L'immagine ripresa dal Very Large Telescope (VLT) dell'ESO mostra il resto di supernova SNR 0509-67.5, formato da materiale in espansione ad alta velocità, espulso in seguito alla doppia esplosione di una nana bianca. Lo strumento MUSE installato sul VLT ha permesso di mappare la distribuzione di vari elementi chimici nel resto. In particolare, il calcio è mostrato in blu e forma due gusci concentrici, mentre l'idrogeno è rappresentato in tonalità arancio.
Credit: ESO/P. Das et al. / Stelle di Fondo (Hubble): K. Noll et al.
ABSTRACT
Il resto di supernova SNR 0509-67.5, nella Grande Nube di Magellano, mostra una bolla in espansione generata dall’esplosione di una stella circa 350 anni fa. Le osservazioni del VLT rivelano strutture gassose complesse e un doppio guscio di calcio ionizzato, prova di una possibile “doppia esplosione” tipica di alcune supernove di tipo Ia. Questo risultato offre nuove indicazioni sui meccanismi che innescano tali detonazioni, fondamentali per comprendere la produzione di elementi pesanti e migliorare le misurazioni cosmologiche basate su queste “candele standard”.
Resto di Supernova SNR 0509-67.5
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Nel cuore della Nube Molecolare del Toro, a soli 480 anni luce da noi, il telescopio Hubble ha immortalato la nebulosa a riflessione GN 04.32.8, un etereo arco azzurrognolo che ospita un terzetto di stelle in formazione: V1025 Tauri, HP Tauri e HP Tau G3. Queste giovani stelle, nate da un denso addensamento di gas e polveri, stanno crescendo grazie all’accrescimento di materia dalla nube circostante. Il delicato bagliore blu della nebulosa è prodotto dalla luce stellare riflessa dalle polveri, mentre le zone più oscure celano materiale pronto a generare nuove stelle. V1025 Tauri, una stella Ae/Be di Herbig, si trova ancora nella fase di pre-sequenza principale, riscaldata dal collasso gravitazionale. Al suo fianco, HP Tauri, una stella T Tauri, mostra intense attività magnetiche e brillamenti. Nella parte inferiore dell’immagine spicca una giovane protostella avvolta da un disco protoplanetario, segno che anche qui potrebbero nascere futuri sistemi planetari.
Nebulosa a Riflessione GN 04.32.8
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In un’epoca in cui le notizie sempre più clamorose e sempre più incredibili si accavallano senza più avere tempo per una dovuta verifica, è difficile tenere saldo il timone del metodo scientifico per riuscire a navigare senza incidenti nel procelloso mare della disinformazione.
Queste riflessioni sono il pane quotidiano soprattutto per gli scienziati e le scienziate che hanno dedicato la loro intera carriera allo sviluppo di tecniche affidabili, verificabili e ripetibili per la ricerca scientifica della vita al di fuori del nostro Pianeta. La sfida è fenomenale: si tratta senza dubbio alcuno di uno degli obiettivi filosoficamente affascinanti ed ambiziosi che l’essere umano si sia mai posto.
Abbiamo avuto la fortuna di poter intervistare una figura determinante nello sviluppo di questo ambito di ricerca: Jill Tarter, classe 1944, una delle protagoniste delle iniziative SETI, acronimo di “Search for Extra Terrestrial Intelligence”. Grande amica di Carl Sagan, lo scienziato che permise di compiere enormi passi avanti nella definizione del problema dell’esobiologia in termini scientifici ed oggettivi, la professoressa Tarter ottenne un dottorato in Astronomia alla Cornell University di New York con una tesi sugli oggetti celesti che per via della mancanza di una massa sufficiente non riescono ad avviare i processi di fusione nucleare, e pertanto non riescono a diventare stelle. La Tarter coniò per questi oggetti il termine di “nana bruna”, in seguito scoperti da Rafael Rebolo dell’IAC nel 1995.
Jill Tarter è un mito ed un simbolo per le donne che si dedicano alla scienza: a quanto pare Sagan si inspirò a lei per il personaggio di Ellie Arroway, protagonista del romanzo “Contact” del 1985, da cui fu poi tratto il film omonimo del 1997, con protagonista Jodie Foster e regia di Robert Zemeckis. Nel 1989 l’organizzazione Women in Aerospace le tributò un Lifetime Achievement Award e nel 2004 fu nominata dal prestigioso Time Magazine come una delle cento personalità più influenti al Mondo. Proprio mentre realizzavamo gli ultimi ritocchi all’intervista oggetto di questo servizio, dagli Stati Uniti è giunta la notizia che il 23 ottobre 2025 la prestigiosa California Academy of Science, con sede presso il Golden Gate Park di San Francisco, ha conferito il premio annuale della Fellows Medal alla scienziata Jill Tarter, co-fondatrice dell’Istituto SETI e Bernard M. Oliver Chair Emerita del SETI Institute.
Intervista a cura di Thomas Villa
Thomas Villa — Professoressa Jill Tarter, che cos’è in poche parole il progetto SETI?
Jill Tarter — Nell’Istituto SETI cerchiamo intelligenze extraterrestri in grado di emettere un segnale rilevabile, cioè cerchiamo tracce della tecnologia di qualcun altro.
Dovremmo dire “SETT”, cioè “Search for Extra Terrestrial Technology”, ma il marchio “SETI” è ormai consolidato, quindi lo teniamo, ricordando però che ciò che cerchiamo è, di fatto, la tecnologia di altriChe cosa non è il SETI: non è un’indagine sugli UFO, non è una religione o, peggio, una setta. Non sempre siamo “politicamente corretti”, e questo talvolta complica le cose. In sostanza, il SETI è un insieme di esplorazioni scientifiche che provano a rispondere con esperimenti a una domanda antichissima. È un progetto realizzato da persone molto pragmatiche — no, non siamo “mistici”: siamo scienziati “tosti”. Dobbiamo capire che potenzialmente è un impegno multigenerazionale. L’universo è vasto, e se pensiamo a quanto potremmo dover esplorare — quante bande, polarizzazioni, frequenze, direzioni in cielo — c’è davvero un’enormità da cercare. Potremmo non portare mai a termine il compito: la risposta potrebbe essere che siamo soli, oppure potrebbero volerci più generazioni. Ma soprattutto è importantissimo ricordare che si tratta di una domanda antica. Ci riguarda, e riguarda l’Universo, come siamo venuti all’esistenza e come potremmo evolvere. Dobbiamo fare esperimenti per rispondere a questa domanda. Qual è l’esperimento giusto? Possiamo provare il “SETI andando a verificare di persona”: va bene nel Sistema Solare, e in parte lo facciamo — analizziamo superfici di corpi del Sistema Solare per cercare prove di geoingegneria. Ma per lo spazio lontano è presto per andare “là fuori”. Dunque restano approcci passivi: telerilevamento di corpi molto distanti. In pratica, la nostra definizione di intelligenza è la capacità di costruire un trasmettitore. Anche accettando questa definizione ristretta, quanto è probabile che le ricerche che possiamo condurre abbiano successo?
TV — Il progetto SETI è nato da alcune iniziative precedenti: per esempio ricordiamo l’idea di Frank Drake con l’esperimento Ozma del 1960, ossia l’osservazione di due stelle vicine simili al sole: Tau Ceti ed Epsilon Eridani con il radiotelescopio di Green Bank nella Virginia Occidentale. C’è stato anche, ad esempio, il Rapporto Cyclops della NASA nel 1971, che fu l’occasione che le permise di iniziare a sviluppare le sue idee…
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Cosa troverai nell’Almanacco 2026
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Congiunzioni planetarie Una raccolta delle più suggestive congiunzioni del 2026:
pianeta con pianeta
pianeta con la Luna
pianeta con il Sole Ogni evento è corredato da indicazioni sull’orario e dalla visibilità, suddivise per singolo pianeta.
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La grande eclissi di Sole del 2026 Il prossimo anno sarà segnato da uno degli eventi più attesi: l’eclissi di Sole del 2026. Nell’almanacco scoprirai dove sarà visibile, in quali regioni offrirà lo spettacolo migliore e gli orari da segnare sul calendario.
Eclissi parziale di Luna Informazioni su tempi, modalità e visibilità per seguire questo affascinante fenomeno direttamente dal tuo territorio.
I commenti e i consigli per le osservazioni sono a cura di Luigi Civita, Marco Iozzi e Claudio Pra.
Si ringrazia Filippo Bisognano per i dati.
Con l’Almanacco Astronomico 2026 avrai sempre con te una guida compatta, chiara e facile da consultare, pronta ad accompagnarti nell’esplorazione di un anno ricco di spettacoli celesti. Non perdere neanche un evento: il cielo del 2026 ti aspetta!
NGC 1068 fotografata dal telescopio Hubble. Nell’immagine è possibile vedere la classica struttura di una galassia a spirale: al centro è presente il nucleo, estremamente luminoso, popolato da stelle più vecchie, da cui si diramano i bracci a spirale che si avvolgono attorno ad esso. I bracci sono il luogo dove si formano le stelle, di conseguenza sono popolati da stelle più giovani.
Fonte: https://icecube.wisc.edu/
di Denise Sammartino
Indice dei contenuti
Un esempio di studio complesso
ABSTRACT
NGC 1068 è una galassia a spirale a 45 milioni di anni luce, che ospita un nucleo galattico attivo dominato da un buco nero supermassiccio di circa dieci milioni di masse solari. La materia che vi accresce genera un disco estremamente energetico, circondato da gas e polveri dalla struttura ancora discussa, insieme a una corona caldissima e piccoli jet.
Particolarmente rilevante è la sua duplice emissione di raggi gamma e neutrini, tra le poche conosciute nell’universo. I neutrini, quasi privi di massa e capaci di attraversare la materia, rivelano fenomeni cosmici molto energetici. La loro rilevazione da parte di IceCube, l’osservatorio immerso nel ghiaccio antartico, ha reso NGC 1068 una sorgente chiave per la fisica astroparticellare.
I telescopi Cherenkov come LST-1, parte del futuro osservatorio CTAO, studiano invece i raggi gamma ricostruendo energia e direzione per capire i meccanismi di emissione. Nel caso di NGC 1068, la forte produzione di neutrini accompagnata da un debole segnale gamma indica probabile assorbimento delle radiazioni ad alta energia nelle regioni interne attorno al buco nero, con la corona come possibile origine.
NGC 1068 resta così un enigma del cosmo estremo, che richiede osservazioni sempre più accurate per essere compreso.
A14 megaparsec da noi, circa 45 milioni di anni luce, si trova uno degli oggetti più misteriosi del cosmo e che ultimamente è fonte di particolare attenzione da parte degli astrofisici: la galassia NGC 1068 (nel New General Catalogue), anche classificata come M77 nel Catalogo Messier. Si tratta di una galassia a spirale, visibile nella costellazione della Balena, che nasconde una serie di interessanti processi all’interno di essa. Nel centro della galassia NGC 1068 è presente un AGN (Active Galactic Nuclei, nucleo galattico attivo), ovvero un buco nero supermassiccio, con una massa uguale a circa 107M⊙, che accresce materia in un disco che ruota attorno ad esso, chiamato tecnicamente disco di accrescimento. La materia, attraverso l’attrito, si riscalda ed emette un’enorme quantità di energia, caratteristica di questi oggetti.
Altre componenti importanti che costituiscono gli AGN sono:
Una struttura di polvere e gas, che circonda il buco nero e il disco. Attualmente non è ancora chiara la sua forma esatta: la teoria più diffusa è che abbia la forma di una ciambella, detta anche tecnicamente un toro. Altri studi però suggeriscono che sia una regione formata da tante nubi di polvere, e che quindi sia più frammentato e non semplicemente un’unica grossa struttura;
La corona: è una regione che si trova al di sopra del disco, composta da gas estremamente caldo;
I jet di materia, i.e. flussi di materia che fuoriescono da una regione vicino al buco nero, il cui punto esatto di origine è sconosciuto, perpendicolarmente al disco di accrescimento. Nel caso di NGC1068 però, i jet sono piccoli e poco veloci rispetto alla media degli AGN.
Perché la comunità scientifica si dedica a studiare questo oggetto? La galassia NGC 1068 è interessante perché rappresenta una delle pochissime sorgenti osservate in grado di emettere sia raggi gamma che neutrini.
Basti pensare che la sorgente di neutrini emessa dall’AGN di NGC 1068, è la seconda sorgente rilevata dal progetto IceCube nel 2010 (vedi seguente sezione), dopo quella del quasar TXS 0506+0561, e la quarta sorgente nota in assoluto, oltre quelle della supernova SN1987A e quella relativa ai neutrini solari.
In astrofisica, ogni particella, come appunto i raggi gamma ed i neutrini, nasconde dietro di sé un vero e proprio universo di conoscenze. Quindi, per comprendere davvero i fenomeni che vengono svelati da queste osservazioni, è necessario fare una breve “mini-lezione” di fisica delle particelle: solo così possiamo iniziare a decifrare il linguaggio dell’universo più estremo.
Rappresentazione grafica di un AGN, con tutte le sue componenti: il toro di polvere e gas (Clumpy Gas and Dust Torus), i Jet, il buco nero supermassiccio (Supermassive Black Hole) e il disco di accrescimento (Accretion Disk). Fonte: https://public.nrao.edu/gallery/a-unified-agn-model/.
Sapevi che esistono diversi tipi di buchi neri?
1. I buchi neri stellari – con una massa tra le 3 e le 100 volte quella del sole. Sono formati a seguito del collasso gravitazionale di una stella massiccia, quando quest’ultima si trova negli stadi finali della sua vita, ovvero quando ha terminato tutto il “combustibile” che l’alimenta.
2. I buchi neri supermassicci – con masse milioni di volte quella solare, ordine 106M⊙ – si trovano solitamente al centro delle galassie. Allo stato attuale dell’arte non c’è una perfetta comprensione sui meccanismi che li hanno generati, ma si pensa che i buchi neri supermassicci possano avere origine da diversi buchi neri stellari che nel corso del tempo si sono fusi insieme.
La Fisica delle Alte Energie
Molte volte, nell’universo, protoni ed elettroni si trovano in forma libera, non organizzati in legami atomici, come nella materia che ci circonda sulla terra: questa condizione prende il nome di plasma.
Il plasma, spesso definito “quarto stato della materia”, è un gas portato a temperature ed energie così elevate da spezzare gli atomi, liberando elettroni e lasciando i nuclei carichi muoversi liberamente. È lo stato più comune della materia nell’universo: lo troviamo nel Sole, in generale nell’interno di tutte le stelle, nelle nebulose e nei getti cosmici che viaggiano quasi alla velocità della luce. In ambienti estremi, come le esplosioni di supernova, i venti stellari violenti o le regioni intorno ai buchi neri, il plasma raggiunge energie tali che le particelle al suo interno possono muoversi a velocità prossime a quella della luce.
Quando queste particelle si scontrano o vengono improvvisamente deviate da qualche campo magnetico, rilasciano enormi quantità di energia sotto forma di radiazione, fino alla banda di frequenza dei raggi gamma, la più intensa dell’intero spettro elettromagnetico. Per quanto riguarda i protoni, il fenomeno più frequente è la collisione tra queste particelle. Il loro scontro fa sì che vengano prodotti pioni, un tipo di particelle che si indica con il simbolo π, caratterizzate da una vita molto breve (circa 0,00000000000000001 secondi o 10 attosecondi). Passato questo tempo infinitamente piccolo, la particella π decade e si trasforma in un altro tipo di particella: a volte si trasforma in raggi gamma, ovvero particelle senza massa ad altissima energia (simili alle particelle che costituiscono la luce visibile, ma con energie e frequenze molto più alte), altre volte in neutrini.
Un raggio di luce con poca energia può incontrare un elettrone e, dopo lo scontro, “rubargli” un po’ di energia, diventando così molto più energetico — fino a trasformarsi in un raggio gamma, come nello scontro tra due palle da biliardo, quella piú lenta riparte con una maggiore velocita, che ha ‘acquisito’ da quella piú rapida.Un protone e un elettrone slegati hanno un incontro ravvicinato, senza toccarsi: si produce un raggio gamma e la traiettoria dell’elettrone viene deviata.
I neutrini sono delle particelle leggerissime, che hanno una proprietà molto particolare, cioè quella di passare attraverso la materia. Per fare un paragone, immaginate una casa infestata dai fantasmi. Loro non hanno bisogno di aprire le porte, o di fare le scale… Ma vanno da una stanza ad un’altra passando attraverso le pareti. Ecco, i neutrini possiamo vederli così, come i fantasmi dell’universo. Anche gli elettroni possono generare raggi gamma (ma non neutrini), sebbene i processi che portano a questa emissione siano più complessi. Possiamo comunque descriverli in modo qualitativo.
IceCube nel ghiaccio a caccia di Neutrini
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Bibliografia
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Huang, K.-Y., Viti, S., Holdship, J., García-Burillo, S., Kohno, K., Taniguchi, A., Martín, S., Aladro, R., Fuente, A., & Sánchez-García, M. (2022). The chemical footprint of AGN feedback in the outflowing circumnuclear disk of NGC 1068. Astronomy & Astrophysics, 666, A102.
Fiorillo, Damiano F. G.; Comisso, Luca; Peretti, Enrico; Petropoulou, Maria; Sironi, Lorenzo (1 October 2024). “A Magnetized Strongly Turbulent Corona as the Source of Neutrinos from NGC 1068”. The Astrophysical Journal. 974 (1): 75.
I quasar sono definiti nell’articolo di COELUM n.273 “Una tazza di thè caldo al buco nero”
Padovani, P., Resconi, E., Ajello, M. et al. High-energy neutrinos from the vicinity of the supermassive black hole in NGC 1068. Nat Astron 8, 1077–1087 (2024).
Yasuda, Koichiro; Sakai, Nobuyuki; Inoue, Yoshiyuki; Kusenko, Alexander (18 April 2025). “Neutrinos and Gamma Rays from Beta Decays in an Active Galactic Nucleus NGC 1068 Jet”. Physical Review Letters. 134 (15):
151005 6 Herrera, Gonzalo. “Plausible Indication of Gamma-Ray Absorption by Dark Matter in NGC 1068.” arXiv preprint arXiv:2504.21560 (2025).
Instituto de Astrofísica de Andalucía
L’Instituto de Astrofisica de Andalucia (IAA) è un centro di ricerca di eccellenza facente parte del Consejo Superior de Investigaciones Científicas. Al suo interno ci sono quasi 200 tra astronomi, astrofisici ed ingegneri che portano avanti l’obiettivo di approfondire la conoscenza del Cosmo. All’interno dell’IAA, il gruppo VHEGA (Very High Energy Group for Astrophysics) si occupa dello studio dell’astrofisica delle alte energie e dell’astronomia gamma. I ricercatori di VHEGA sono attivi sia sul lato teorico/osservativo che su quello sperimentale. Per quanto riguarda l’astrofisica teorica/osservativa, studiano ed interpretano le osservazioni gamma provenienti da varie sorgenti, i.e. dagli ammassi stellari a giovani stelle in formazione, fino ad arrivare a sorgenti più esotiche come le stelle di neutroni e le loro nebulose. Gli astrofisici di VHEGA studiano anche l’emissione di raggi gamma da sorgenti extragalattiche, come i nuclei galattici attivi: mastodontici buchi neri al centro di remote galassie che lanciano potenti getti, possibili fonti di raggi cosmici. Per quanto riguarda invece l’aspetto sperimentale, legato alle tecniche di ricostruzione delle immagini dei telescopi Cherenkov, il gruppo VHEGA si occupa di sviluppare e mantenere software open source che gestiscono sia la ricostruzione delle immagini dei telescopi IACT (algoritmi basati su tecniche innovative di machine learning), che l’analisi di dati ad alto livello per l’astronomia gamma. Questi software sono una delle colonne portanti del futuro CTAO, un osservatorio di raggi gamma composto da due array di telescopi IACT: uno posizionato nell’emisfero nord nell’isola di La Palma (e attualmente in costruzione) e l’altro nell’emisfero sud presso l’osservatorio del Paranal in Cile.
Fotocamera Hasselblad 500 EL/M con motore elettrico, modello utilizzato dagli astronauti nelle missioni Apollo per realizzare le storiche immagini lunari. Crediti NASA.
Tra le tante avventure dell’esplorazione spaziale, c’è un episodio di quasi sessant’anni fa, avvenuto si direbbe per caso, ma che ha avuto conseguenze profonde.
Siamo alla vigilia di Natale del 1968: è in orbita intorno alla Luna la missione Apollo 8, partita tre giorni prima da Cape Canaveral. Il suo equipaggio, composto da Frank Borman, James Lovell e William Anders, è stato il primo della storia a lasciare l’orbita bassa terrestre e a osservare la faccia nascosta del nostro satellite, ma non è ancora destinato a mettere piede sulla Luna come quelli che seguiranno pochi mesi dopo. Il compito di Borman e compagni è studiare la superficie del nostro satellite, fotografando possibili siti di allunaggio per le future missioni, in particolare uno nel Mare della Tranquillità che è stato ipotizzato per la missione Apollo 11.
L’equipaggio principale di Apollo 8 accanto alla gondola del simulatore nel Flight Acceleration Facility del Manned Spacecraft Center durante l’addestramento alla centrifuga. Da sinistra: William A. Anders, pilota del modulo lunare; James A. Lovell Jr., pilota del modulo di comando; Frank Borman, comandante della missione.Crediti NASA.
Ma durante la quarta orbita intorno alla Luna si presentò un’occasione inattesa destinata a cambiare per sempre la nostra percezione della Terra. Per caso Frank Borman guardò fuori dall’oblò nel momento in cui la Terra spuntava sopra l’orizzonte lunare. Il nostro pianeta era l’unico oggetto colorato visibile agli astronauti, in forte contrasto con il grigio della Luna e il nero dello spazio profondo, suscitò in lui un’ondata di nostalgia e commozione. Borman scattò subito una foto in bianco e nero, poi Anders e Lovell afferrarono un rullino a colori e scattarono in tutta fretta altre fotografie, prima che la Terra scomparisse definitivamente alla vista. Dopo il ritorno a Terra della missione i tecnici della NASA guidarono per quattro ore da Houston a Corpus Christi, dove a quell’epoca si trova l’unico fotografo di tutto il Texas del Sud in grado di sviluppare foto a colori. Il fotografo Raul Rodriguez prese in consegna un rullino che aveva viaggiato per più di 800 000 chilometri tra andata e ritorno e sviluppò le foto in formato 8 per 10 pollici (circa 20 per 25 centimetri).
Una di quelle foto passerà alla storia come “la fotografia ambientale più influente mai scattata”: mostra la Terra, parzialmente in ombra, che sale dietro l’orizzonte lunare, e ricorda il sorgere del Sole sul nostro pianeta: per questo è chiamata Earthrise («Sorgere della Terra»).
Scattata da Bill Anders dell’equipaggio di Apollo 8 il 24 dicembre 1968, mostra la Terra che sorge sopra l’orizzonte lunare, con l’Africa occidentale visibile. Il fenomeno è osservabile solo da un corpo in movimento, poiché dalla Luna la Terra appare ferma nel cielo. Due crateri dell’immagine furono poi chiamati “8 Homeward” e “Anders’ Earthrise”. Crediti NASA/Bill Anders.
La Terra vista da 400 000 chilometri di distanza sorprese gli astronauti soprattutto per i suoi colori. Prima delle missioni spaziali infatti si immaginava che il colore della Terra, come nei mappamondi, fosse una mescolanza di verde foglia, giallo sabbia, marrone terra, blu mare e bianco neve. Ma quando si osserva la Terra dal vivo il blu prevale su tutti gli altri colori, per un fenomeno provocato dall’atmosfera terrestre e chiamato “diffusione di Rayleigh”, lo stesso per cui il cielo ci appare azzurro.
Vent’anni dopo la missione Bill Anders spiegherà così l’impatto della fotografia: «Sulla Terra ci eravamo addestrati per tutto il tempo in modo da sapere come studiare la Luna, come andare sulla Luna. […] Eppure, quando alzai gli occhi e vidi la Terra spuntare da quell’orizzonte lunare spoglio e desolato – una Terra che era l’unico colore visibile, una Terra che sembrava fragilissima, una Terra dall’aria delicata – subito mi sentii quasi sopraffatto dal pensiero che eravamo arrivati fin lì per vedere la Luna, e invece la cosa più notevole che stavamo vedendo era il nostro pianeta, casa nostra, la Terra».
Fotocamera Hasselblad 500 EL/M con motore elettrico, modello utilizzato dagli astronauti nelle missioni Apollo per realizzare le storiche immagini lunari. Crediti NASA.
Con queste parole Anders descrisse la stessa emozione provata da tutti gli astronauti che hanno avuto la possibilità di osservare la Terra dallo spazio e che lo scrittore Frank White ha definito “effetto della veduta d’insieme” (in inglese “overview effect”). Visto da fuori il nostro pianeta appare meraviglioso e vulnerabile nell’Universo sconfinato, protetto dal mortale spazio esterno soltanto da un’atmosfera sottile come una fragile pellicola: “una piccola oasi nel mezzo del nulla”, come la chiama l’astronauta Ron Garan. Perdono ogni significato i confini tra le nazioni e le differenze di etnia o di religione che quaggiù causano tante guerre, così come la pretesa di essere il centro stesso dell’Universo.
Dopo aver visto la Terra in questo modo è impossibile ritornare a dare lo stesso peso di prima alle nostre divisioni e contrapposizioni interne, che appaiono insignificanti. Praticamente tutti coloro che sono stati nello spazio hanno testimoniato che vedere la Terra dall’esterno ha cementato il loro senso di appartenenza all’umanità e modificato per sempre il punto di vista con cui osservare. La consapevolezza di quanto sia straordinaria e delicata la vita sul nostro pianeta non è quantificabile come una scoperta scientifica o un ritorno economico, ma è una delle conseguenze più importanti delle missioni spaziali. La fotografia Earthrise ha contribuito a far nascere il movimento ambientalista contemporaneo e non a caso molti astronauti sono attivi nel sensibilizzare l’opinione pubblica sul cambiamento climatico e sulle altre minacce che incombono sul nostro futuro.
Anche oggi, l’esplorazione spaziale non mira soltanto a studiare altri corpi celesti o a predisporre improbabili colonizzazioni. Il suo scopo più importante è, attraverso la planetologia comparata, aiutarci a comprendere la storia del nostro pianeta per prendercene cura nel modo migliore.
Andrea Ferrero è autore di “Rimasti a Terra” Il Mulino Editore
Ci sono nomi e momenti dell’avventura spaziale indelebili nella memoria collettiva: la prima orbita intorno alla Terra di Jurij Gagarin, i primi passi sulla Luna di Neil Armstrong. Ma ce ne sono molti di più che non ricordiamo, senza i quali la corsa allo spazio sarebbe stata diversa. Come Konstantin Ciolkovskij, che dimostrò che lasciare la Terra non era una fantasia, o Jerrie Cobb, che infranse i record dell’aviazione per poi scontrarsi con i pregiudizi di genere. E ancora, ingegneri e sognatori troppo audaci per la loro epoca. Un tributo a chi ha dimostrato che si possono raggiungere le stelle anche rimanendo coi piedi sulla Terra.
Gli ultimi due mesi hanno visto l’uscita di tante ricerche e notizie che hanno riguardato il Pianeta Rosso, la prima delle quali è la rivelazione, da prendere con cautela, della scoperta di potenziali firme biologiche di antichi batteri. Un recente studio ha poi analizzato i dust devil dall’orbita marziana e adesso sappiamo un po’ meglio come si comportano questi mini tornado. E poi c’è una cometa interstellare che ha “sfiorato” il pianeta a 30 milioni di km di distanza osservata da satelliti e anche da un rover… Ma prima di tutto questo, riprendiamo il filo delle cronache dell’esplorazione del Cratere Jezero, si parte!
Paesaggio in direzione di Kerrlaguna osservato da Perseverance nel Sol 1593. In primo piano le formazioni chiamate megaripple. NASA/JPL-Caltech/Piras.
Megaripple e Megabrecce aavanti a Perseverance
Abbiamo lasciato il nostro rover impegnato nel tentativo di scavalcare il bordo est di Krokodillen, l’unità geologica che ha esplorato negli scorsi mesi, così da raggiungere l’affioramento roccioso chiamato Midtoya. Tuttavia il confine si era rivelato troppo ripido per il rover che ha dovuto rinunciare a quella via per dirigersi invece verso sud. Il 13 agosto è così giunto nelle vicinanze della località Kerrlaguna. Il nome è mutuato da quello di un lago situato nell’isola Prins Karls Forland delle Svalbard, il cui parco nazionale Forlandet ospita anche la montagna Krokodillen, in effetti gli scienziati della NASA stanno attingendo proprio da questa area i toponimi utilizzati per la geografia marziana dell’attuale quadrante.
In Kerrlaguna il rover ha incontrato un campo di megaripple. Il termine, generalmente non tradotto in italiano, viene utilizzato in riferimento al paesaggio marziano per indicare le creste di sabbia modellate dal vento che sul Pianeta Rosso raggiungono fino a un metro di altezza. A differenza delle simili formazioni studiate da Curiosity quasi 10 anni fa nella località Bagnold Dune Field, capaci di spostarsi di un metro ogni anno terrestre a causa del vento, i megaripple di Kerrlaguna sono dune non più attive, molto probabilmente a causa della lenta formazione di una crosta di sali. Lo studio di questi megaripple tramite fotografie, nonché l’analisi dell’ambiente circostante con i sensori meteorologici della suite MEDA, ci aiuterà a comprendere il ruolo del vento e dell’acqua nel sagomare il paesaggio marziano.
Quattro Sol più tardi e 430 metri a sud-ovest, Perseverance raggiunge un differente bordo dell’unità Krokodillen. Si tratta del lungo affioramento Soroya, selezionato da tempo come obiettivo a causa del suo colore molto più chiaro rispetto alle zone circostanti. La navigazione autonoma che a quanto pare funziona alla perfezione, porta il rover su un’area pianeggiante con rocce esposte.
Mappa con gli spostamenti di Perseverance aggiornata al 10 ottobre. NASA/JPL-Caltech/Piras.
Megaripple di Kerrlaguna in una foto della Right MastCam-Z, Sol 1593. NASA/JPL-Caltech/ASU/Piras.
I basamenti di quest’area, a prima vista tutti piatti e levigati, a un’osservazione più attenta rivelano alcuni massi con superfici ruvide ricchissime di piccoli granelli inclusi nella roccia. Uno di questi massi viene “spazzato” in superficie dalla polvere per mezzo dei getti supersonici di azoto e poi osservato da vicino con la camera WATSON. Le foto documentano una trama grossolana e irregolare, composta da granuli di dimensioni variabili e da una sottile patina violacea diffusa sulla superficie.
Le immagini notturne, illuminate dai LED della camera, mettono in evidenza riflessi iridescenti: è un segnale tipico della presenza di olivina, un minerale vulcanico già identificato in altre zone del margine di Krokodillen. Queste caratteristiche, insieme alla distribuzione dei materiali e al contesto geologico, portano il team a ipotizzare che si tratti di depositi formatisi da colate di cenere vulcanica esplosiva, il prodotto di eruzioni catastrofiche che hanno distribuito ceneri e frammenti fusi sul terreno che si sono poi consolidati nel tempo.
Terminate le analisi sulle rocce di Soroya, a fine agosto Perseverance si sposta verso nord-est per circa 180 metri ed entra in quella che si ritiene possa essere una megabreccia. Con questo termine, identico in inglese e italiano in quanto derivato dal latino, si intendono campi costituiti da blocchi di roccia più grandi di un metro, fratturati e rimescolati da violenti eventi d’impatto. Questi eventi, che riportano in superficie materiale proveniente dagli strati interni della crosta marziana, offrono l’opportunità di esaminare alcune delle rocce più antiche a cui il rover potrà mai accedere.
Sol 1597, visuale NavCam dell’affioramento Soroya che in questa fotografia si sviluppa verso sud-ovest. NASA/JPL-Caltech/Piras.
L’esplorazione di quest’area è documentata nella porzione più a est della mappa dai ripetuti zigzag e impegna il rover per tutto il mese di settembre e l’inizio di ottobre, toccando le rocce (o “megablocchi”) Scotiafjellet e Monacofjellet. “Peachflya” e “Klorne”, i nomi di due abrasioni che Perseverance esegue qui, raccontano delle storie differenti tra loro e forniscono uno spaccato della complessità geologica di Marte.
Uno dei massi di Soroya fotografato dalla Left MastCam-Z, Sol 1599. NASA/JPL-Caltech/ASU/Piras.
La prima, “Peachflya”, si è rivelata un mosaico di frammenti minerali differenti. Ciò confermerebbe che la roccia analizzata sia effettivamente una breccia, formata dall’unione di pezzi più antichi cementati insieme dopo un evento altamente energetico. Peachflya racconta una storia di distruzione e ricomposizione: frammenti dell’antica crosta marziana spezzati, trasportati e poi saldati in un nuovo insieme.
A pochi metri di distanza la seconda abrasione, “Klorne”, ha un racconto dicevamo differente. La sua superficie, di un verde tenue punteggiato da venature bianche, rivela un processo opposto: non fratture e violenza, ma trasformazione chimica lenta e profonda. Il colore verde è tipico del minerale serpentino, che si forma quando l’acqua interagisce con rocce ricche di ferro e magnesio. Così, in un breve tratto di terreno, Perseverance ha osservato due facce della storia marziana: una segnata dagli impatti che plasmarono la crosta primordiale, l’altra modellata dall’azione dell’acqua che, almeno per un tempo, ne modificò la composizione chimica.
Immagini macro di WATSON in diurna (a sinistra) e in notturna. La dimensione orizzontale dell’inquadratura è di circa 2 cm. Sol 1600. NASA/JPL-Caltech/Piras.
Peachflya (in alto) e Klorne, le abrasioni eseguite nei Sol 1620 e 1623 (10 e 13 settembre). Il diametro delle incisioni è di 5 cm. NASA/JPL-Caltech/Piras.
Più di 1000 Dust Devil ci raccontano il clima Marziano
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L’astrobiologia è il campo che più di ogni altro sfiora il confine con una delle grandi domande dell’umanità: «Siamo soli nell’Universo?» Ogni possibile segnale, ogni anomalia chimica, ogni fenomeno inspiegato può accendere l’entusiasmo di scienziati, mezzi di comunicazione e pubblico. Ma la storia ci insegna che proprio in questo terreno fertile si nascondono i rischi più grandi, come errori di misura, interpretazioni frettolose, bias cognitivi. Un nuovo studio pubblicato su arXiv, “Responsible Discovery in Astrobiology: Lessons from Four Controversial Claims”, ripercorre quattro casi celebri in cui si è pensato — o si è voluto credere — di aver trovato tracce di vita extraterrestre. Non sono semplici episodi storici: sono lezioni preziose per chi fa scienza, per chi si occupa di comunicazione e anche per chi sogna!
Anno 1877 I canali di Marte Nel XIX secolo alcuni astronomi, osservando Marte con telescopi ancora limitati, credettero di scorgere una rete di “canali artificiali”. La fantasia collettiva trasformò quelle linee sfocate in opere di una decadente civiltà marziana. Oggi sappiamo che si trattava di illusioni ottiche, amplificate dal desiderio di vedere vita dove non c’era. È una lezione fondamentale: la percezione umana non è un dato scientifico.
La mappa di Marte pubblicata da Schiaparelli nel 1890.
Anno 1976 sonde Viking Gli esperimenti biologici delle sonde Viking cercavano metaboliti nel suolo di Marte. Un test diede un risultato positivo, scatenando l’ipotesi della presenza di microbi. Ma l’assenza di composti organici rilevabili e altre anomalie portarono la comunità a ritenere che il segnale fosse dovuto a processi chimici non biologici. Ricordiamoci che un singolo dato “promettente” non basta: la scienza richiede convergenza di prove.
Foto del suolo marziano ripresa dal Viking 1
Anno 2020 La fosfina su Venere Nel 2020 la possibile rilevazione di fosfina nell’atmosfera venusiana, una molecola che sulla Terra ha forti associazioni biologiche, fece pensare a forme di vita nei cieli acidi di Venere. Tuttavia, rianalisi successive hanno mostrato che il segnale era debolissimo, non potevano essere esclusi errori di calibrazione, altri gas o fenomeni atmosferici potevano imitare il segnale della fosfina. Ricordiamoci che a volte il clamore supera i dati.
Struttura 3D a sfere della fosfina.
Anno 2020 Il segnale BLC1 Un segnale radio preciso e sorprendentemente simile a una trasmissione artificiale proveniva dalla direzione di Proxima Centauri. Per un breve periodo si temette (o meglio, si sperò) di aver intercettato un segnale extraterrestre. Ma analisi approfondite lo identificarono come un’interferenza terrestre. Ricordiamoci di trattare con cautela anche le scoperte più emozionanti: la tecnologia può essere piena di inganni.
Osservatorio Parkes che ha rilevato BLC-1
L’articolo mostra come in tutti e quattro i casi la dinamica sia stata simile, ovvero: un segnale ambiguo, interpretazioni ottimistiche, forte amplificazione mediatica, una fase successiva di correzione e prudenza. Gli autori propongono alcuni principi chiave: comunicare sempre l’incertezza. Ad esempio, scrivere “potrebbe” è più onesto e più scientifico che “abbiamo trovato vita”. È necessario valutare oggettivamente i propri pregiudizi: l’essere umano tende a vedere collegamenti, intenzioni e significati persino dove non ce ne sono. Sono necessarie verifiche indipendenti prima di un annuncio eclatante: una scoperta è tale solo quando è replicabile e quando è stata confermata da studi indipendenti. Infine, bisogna favorire un dialogo chiaro tra scienziati, media e pubblico: la comunicazione scientifica non deve creare illusioni, ma accompagnare alla comprensione. Viviamo nell’epoca di una astronomia rivoluzionaria dove la possibilità di trovare vita, anche microbica, non è mai stata così concreta. Proprio per questo serve rigore, cautela e una comunicazione responsabile.
Fonte principale: ArXiv: 2512.04122 – Responsible Discovery in Astrobiology: Lessons from Four Controversial Claims
Immagine finale, ottenuta con il Workflow ShaRA, del cuore della nebulosa Uovo di Drago (NGC6164) nella costellazione della Norma; telescopio RC da 1000mm di diametro e 6800mm di focale, composizione HOO per un totale di più di 8 ore di esposizione alla quale è stata aggiunta la componente RGBHOO ottenuta col più piccolo Newton da 500mm di diametro.
di Aldo Zanetti e ShaRA Team
Indice dei contenuti
Il Target
Immagine finale, ottenuta con il Workflow ShaRA, del cuore della nebulosa Uovo di Drago (NGC6164) nella costellazione della Norma; telescopio RC da 1000mm di diametro e 6800mm di focale, composizione HOO per un totale di più di 8 ore di esposizione alla quale è stata aggiunta la componente RGBHOO ottenuta col più piccolo Newton da 500mm di diametro.
Nel progetto ShaRA#13 il team ha affrontato un soggetto recentemente diventato iconico nella community di astrofotografi mondiali grazie alla disponibilità sempre maggiore di stazioni osservative remote, ubicate nell’emisfero sud del nostro pianeta, capaci quindi di riprendere agevolmente target del cielo australe come questo, ossia la nebulosa ad emissione Uovo di Drago. Il progetto è stato sviluppato combinando le riprese di due grandi telescopi remoti cileni, molto diversi tra loro per lunghezza focale, caratteristiche ottiche e meccaniche: l’RC1000 ed il Newton 500. La sfida del tredicesimo progetto è stata quella di fondere le immagini derivanti dal telescopio a maggior lunghezza focale con quelle realizzate col telescopio “più piccolo”, combinando sessioni di ripresa con filtri a banda larga e banda stretta, in 15 nottate differenti, per un totale di quasi 40 ore di integrazione, talvolta realizzate in contemporanea coi due telescopi. Nel fare questo il team si è imbattuto in svariate complessità elaborative, ed anche in una sorpresa finale. Ma andiamo con ordine.
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A cura della rete CARMELO
(Cheap Amatorial Radio Meteor Echoes LOgger)
Mariasole Maglione (GAV, Gruppo Astrofili Vicentini)
Lorenzo Barbieri (Rete CARMELO e AAB, Associazione Astrofili Bolognesi)
Bollettino di Novembre
Introduzione
Novembre è il mese delle Leonidi (LEO), ma quest’anno la rete CARMELO non ha registrato un’attività particolarmente intensa in corrispondenza del massimo previsto per lo sciame.
I dati del mese di Novembre
I grafici che seguono sono tratti da questa pagina: nelle ascisse è rappresentato il tempo, che è espresso in UT (Universal Time, Tempo Universale) oppure in longitudine solare (Solar Longitude) e le ordinate rappresentano il tasso orario (hourly rate), calcolato come il numero totale di eventi registrati dalla rete nell’ora diviso per il numero di ricevitori in funzione.
In fig.1, l’andamento dei segnali rilevati dai ricevitori per il mese di novembre.
Fig. 1: Andamento nel mese di novembre 2025.
Le Leonidi
Nel mese di novembre il cielo torna a ospitare lo sciame delle Leonidi (LEO), associato alla cometa periodica 55P/Tempel-Tuttle e legato al suo ciclo orbitale di circa 33 anni. Ogni volta che la cometa attraversa il perielio rilascia una nuova scia di detriti, responsabili delle spettacolari “tempeste” meteoriche osservate in epoche come il 1966 o, più recentemente, il 2001.
Negli ultimi anni tuttavia il “serbatoio” di polveri che la Terra incontra a metà novembre si è progressivamente impoverito. Fino al prossimo ritorno della cometa, atteso per il 2031, lo sciame continuerà a mostrare un’attività sempre più modesta. Secondo le stime dell’International Meteor Organization (IMO), quest’anno la Terra ha incrociato due segmenti della scia del 1699 nella serata del 17 novembre, con una frequenza prevista di circa 15–20 meteore l’ora (1). Tuttavia il radiante, situato nella costellazione del Leone, si è alzato solo intorno alle 23:30 in Italia, in coincidenza del massimo atteso, impedendo quindi di rilevare un numero elevato di eventi.
I modelli indicavano anche possibili incontri con scie più antiche: quella del 1167 (prevista il 9 novembre), del 1633 (15 novembre) e un primo passaggio nella scia del 1699. Tuttavia, come spesso accade per le Leonidi in questa fase povera di materiale, le previsioni restavano accompagnate da un ampio margine d’incertezza.
L’attività osservata quest’anno dalla rete CARMELO conferma il quadro di debolezza dello sciame. Anche nelle rilevazioni visuali, come indicato dalle osservazioni del Global Meteor Network (GMN, 2), lo ZHR si è mantenuto su valori molto bassi, senza variazioni significative nei momenti in cui erano previsti i massimi.
L’unico incremento leggermente più evidente tra i rilevamenti di CARMELO si nota nella mattina del 19 novembre, attorno alla longitudine solare 236.8° (vedi fig. 2, dove è stato riportato in blu il grafico dell’altezza del radiante).
Considerata l’elevata velocità delle Leonidi, di circa 72 km/s ci si attenderebbe di rilevare echi radio con marcati echi di testa e chiari spostamenti Doppler, che sono come delle impronte caratteristiche delle meteore più rapide. Anche sotto questo aspetto, però, i dati della rete indicano una presenza molto scarsa di eventi riconducibili a meteore ad alta velocità.
Fig. 2: Tasso orario di eventi registrati tra il 13 e il 23 novembre, in funzione della longitudine solare.
Ottobre è il mese delle Orionidi (ORI). La rete CARMELO ha registrato un moderato aumento dell’attività meteorica tra il 21 e il 22 ottobre, e un ulteriore aumento tra il 26 e il 27 ottobre.
I dati del mese di Ottobre
I grafici che seguono sono tratti da questa pagina: nelle ascisse è rappresentato il tempo, che è espresso in UT (Universal Time, Tempo Universale) oppure in longitudine solare (Solar Longitude) e le ordinate rappresentano il tasso orario (hourly rate), calcolato come il numero totale di eventi registrati dalla rete nell’ora diviso per il numero di ricevitori in funzione.
In fig.1, l’andamento dei segnali rilevati dai ricevitori per il mese di ottobre.
Fig. 1: Andamento nel mese di ottobre 2025.
Le Orionidi
Le Orionidi (ORI) sono uno sciame meteorico annuale originato dalla cometa 1P/Halley. La Terra incontra ogni anno il flusso di particelle lasciate dalla cometa lungo la sua orbita, dando origine allo sciame attivo tra inizio ottobre e i primi giorni di novembre. Il picco di attività si registra di solito intorno al 22 ottobre, con uno ZHR che può arrivare a circa 25 meteore all’ora, in condizioni favorevoli. Queste meteore sono piuttosto veloci: entrano nell’atmosfera terrestre a circa 67.5 km/s, producendo tracce rapide e sottili, a volte con meteore particolarmente luminose.
Le Orionidi hanno mostrato in passato anche episodi di incremento improvviso dell’attività (outburst). In particolare, nel 1993 si registrò un outburst inatteso nelle notti tra il 16 e il 18 ottobre, quindi qualche giorno prima del picco atteso. In quelle notti furono osservate anche meteore molto brillanti, in corrispondenza di longitudini solari intorno a 202°–205°. L’anno successivo il fenomeno non si ripeté (1).
Il radiante delle Orionidi si trova nella costellazione di Orione, vicino alla stella Betelgeuse. Questo significa che le meteore sembrano provenire da questa area del cielo. Per gli osservatori dell’emisfero settentrionale, come la rete CARMELO, il radiante sorge a tarda sera e raggiunge la massima elevazione nelle ore subito prima dell’alba. In fig.2, al tasso orario di segnali ricevuti nei giorni in cui è stato registrato un aumento del numero di meteore, compatibile con l’attività delle Orionidi, è sovrapposta una linea blu che indica l’elevazione del radiante.
Fig. 2: Tasso orario di eventi registrati tra il 17 e il 29 ottobre, in funzione della longitudine solare.
Quest’anno, la rete CARMELO ha rilevato un aumento apprezzabile nel tasso orario di eventi rilevati tra la longitudine solare 208° e 209°, quindi tra il 21 e il 22 ottobre. Tuttavia, proprio in corrispondenza del previsto passaggio della Terra nel massimo dello sciame delle Orionidi, il 22 ottobre, il radar Graves è stato spento per circa 4 ore.
Abbiamo notato anche un ulteriore aumento tra la longitudine solare 212° e 214°, ovvero tra il 26 e il 27 ottobre (vedi sempre fig.2).
Bibliografia: 1) P. Jenniskens (2006): “Meteor showers and their parent comets”. Cambridge University Press, pag. 301-302
Bollettino di Settembre
Introduzione
A settembre l’attività meteorica rilevata dalla rete CARMELO è stata moderata e non ha permesso di evidenziare picchi di attività di determinati sciami. Abbiamo perciò scelto di sfruttare l’occasione per una riflessione ragionata sulla possibilità di valutare, almeno qualitativamente, il comportamento degli sciami meteorici a partire dai dati della rete.
I dati del mese di Settembre
I grafici che seguono sono tratti da questa pagina: nelle ascisse è rappresentato il tempo, che è espresso in UT (Universal Time, Tempo Universale) oppure in longitudine solare (Solar Longitude) e le ordinate rappresentano il tasso orario (hourly rate), calcolato come il numero totale di eventi registrati dalla rete nell’ora diviso per il numero di ricevitori in funzione.
In fig.1, l’andamento dei segnali rilevati dai ricevitori per il mese di settembre.
Fig. 1: Andamento nel mese di settembre 2025.
Nel mese di settembre l’attività meteorica registrata dalla rete CARMELO è stata più o meno costante. Non si sono verificati picchi di attività associabili a qualche sciame in particolare.
Il comportamento degli sciami
L’osservazione delle meteore tramite radio meteor scatter in ambito amatoriale, come abbiamo già visto, soffre la grave limitazione di non poter definire le orbite. Di conseguenza è impossibile classificare le singole meteore.
All’opposto, come è noto, questo tipo di osservazione prescinde dalle condizioni meteo e dalla presenza o meno del Sole o della Luna. Può quindi essere di supporto nella valutazione, almeno qualitativa, del comportamento degli sciami. Proviamo quindi a ipotizzare un utilizzo dei dati di CARMELO con questo obiettivo.
Ipotizziamo che uno sciame meteorico, al momento della sua formazione, abbia una struttura omogenea, cioè che le particelle che lo compongono siano uniformemente distribuite all’interno del cilindro venutosi a creare dalla liberazione di materia dal corpo progenitore.
Come è noto, col passare del tempo questa omogeneità viene a perdersi a causa di alcune forze perturbanti. La più nota di queste è quella che va sotto il nome di effetto di Poynting Robertson. Questo effetto si spiega con il fatto che le particelle che vengono riscaldate dal Sole tendono a raffreddarsi riemettendo la stessa energia nell’infrarosso, in tutte le direzioni.
Prendendo in esame il comportamento medio di tutte le particelle, quindi attribuendo loro una simmetria sferica, se la particella fosse ferma, la radiazione emessa sarebbe la stessa in tutte le direzioni, con uguale quantità e uguale frequenza.
Tutte le particelle invece viaggiano nel Sistema Solare, e lo fanno a una velocità di circa 30 km/s, di conseguenza nella direzione di marcia la frequenza della radiazione emessa è più alta di quella emessa nella direzione inversa, a causa dell’effetto Doppler. (1)
Secondo la legge di Plank, la famosa legge alla base della meccanica quantistica:
Dove e è l’energia, h la costante di Plank e 𝜈 la frequenza.
L’energia rilasciata nella direzione di marcia è maggiore di quella rilasciata nella direzione opposta: ne consegue quindi che la particella subisce un’azione frenante. Tale azione frenante non sarà uguale per tutte le particelle, ma sarà proporzionale alla loro capacità di ricevere e riemettere calore e quindi, tra le altre grandezze, alla loro massa.
Più un corpo viene rallentato più la sua orbita si “stringe”, cioè gli assi dell’orbita divengono minori. Ne consegue quindi che particelle diverse vengono indotte dall’effetto Poynting Robertson a differenziare le loro orbite in ragione della loro massa (vedi fig. 2).
Fig. 2: Differenziazione delle orbite in funzione delle masse.
Lo sciame, con il passare degli anni viene a perdere sempre più la sua simmetria. Ci sono due parametri, derivati dall’osservazione visuale, che descrivono analiticamente questo fenomeno:
• La densità del flusso meteorico (meteoric flux density).
• L’indice di massa (mass index).
La densità del flusso meteorico (meteoric flux density) si indica con Q(m0) ed è definita come la quantità di meteoroidi di massa m0 nell’unità di tempo, in una unità di area perpendicolare alla direzione del moto.
Per esempio, per m0 = 10 mg potremo avere Q(m0) = 0.001 miliardesimi al metro quadro al secondo.
L’indice di massa (mass index) è l’esponente (s) in una distribuzione di potenza delle masse dei meteoroidi, un metodo per modellare il numero di meteoroidi di diverse dimensioni esistenti. La formula è:
dN/dM = N₀(M/M*)⁻ˢ
dove dN è il numero di meteoroidi in un intervallo di massa dM, N₀ è una costante, M* è una massa caratteristica e s è l’indice di massa. (2)
Nel grafico che segue è riportato il confronto tra Q(m0) ed s per uno sciame generico: sulle ascisse la longitudine solare, cioè il tempo.
Fig. 3: Confronto tra Q(m0) ed s in uno sciame generico. (2)
La differenza tra il massimo di Q(m0) e il massimo di s rappresenta il lasso di tempo che intercorre tra il massimo della densità di particelle e il massimo di particelle di maggior massa, ed è proporzionale all’età dello sciame: quanto più lo sciame è giovane, tanto più la lunghezza della freccia rossa in fig. 3 tende a zero.
A complicare le cose, occorre considerare l’inclinazione delle orbite, che cambia il modo in cui la Terra incontra lo sciame (vedi fig. 4).
Fig. 4a – Orbita a bassa inclinazione sull’eclittica.
Fig. 4b – Orbita ad alta inclinazione sull’eclittica.
Fig. 5: Confronto tra HR e durata, nel caso delle Quadrantidi.
Si tratta di uno sciame notoriamente “giovane”, ma già alla sua età uno sfasamento tra i due massimi è apprezzabile.
Ammettendo che queste considerazioni abbiano un fondamento scientifico nonostante le semplificazioni effettuate, potremmo anche spingerci a valutare un ordine di grandezza delle distanze in gioco.
Considerando che
s=v*t
e che la velocità v della Terra nel Sistema Solare è di circa 30 Km/s, in 9 ore lo spazio percorso sarà di:
s=30*9*60*60 = 972000 Km
Ovvero, lo scivolamento verso un’orbita interna da parte delle particelle più massicce ha comportato una distanza tra le orbite dell’ordine di grandezza di un milione di chilometri.
L’attendibilità del confronto che qui proponiamo andrà verificata in futuro con altri sciami.
Bibliografia: 1) P. Jenniskens (2006): “Meteor showers and their parent comets”. Cambridge University Press 2) O. Belkovich, D. Pajovic, J M. Wislez (2005): “Basic elements of meteor stream theory”. Proceedings of the radio meteor school 2005, p. 17 e seg. 3) O. Belkovich, Cis Verbeeck (2005): “The physics of meteoroid ablation and the formation of ionized meteor trails”. Proceedings of the radio meteor school 2005, p. 21 e seg.
Bollettino di Agosto
Introduzione
Agosto è il mese delle Perseidi. Quest’anno, nonostante lo sciame sia come sempre molto sparso, un picco di maggiore attività meteorica è stato registrato nella notte del 13 agosto.
I dati del mese di Agosto
I grafici che seguono sono tratti da questa pagina: nelle ascisse è rappresentato il tempo, che è espresso in UT (Universal Time, Tempo Universale) oppure in longitudine solare (Solar Longitude) e le ordinate rappresentano il tasso orario (hourly rate), calcolato come il numero totale di eventi registrati dalla rete nell’ora diviso per il numero di ricevitori in funzione.
In fig.1, l’andamento dei segnali rilevati dai ricevitori per il mese di agosto.
Fig. 1: Andamento nel mese di agosto 2025.
Le Perseidi
Le Perseidi (PER) sono uno degli sciami meteorici più noti e spettacolari dell’anno, attivo dalla fine di luglio fino a quasi la fine di agosto. Il massimo di attività si registra attorno alla metà del mese di agosto, ma lo sciame si distingue per la sua durata piuttosto estesa: le meteore possono essere osservate per diverse settimane, rendendolo un fenomeno diffuso e non circoscritto a una sola notte.
Le Perseidi sono originate dai detriti lasciati dalla cometa Swift-Tuttle, che la Terra incontra ogni anno in questo periodo. Il radiante si trova nella costellazione di Perseo, da cui lo sciame prende il nome. Le meteore sono particolarmente veloci, con una velocità d’ingresso in atmosfera di circa 61 km/s, e producono scie luminose brillanti e persistenti, spesso accompagnate da tracce di ionizzazione ben rilevabili anche tramite osservazioni radio.
Quest’anno, la rete CARMELO ha registrato la maggiore attività dello sciame nella notte del 13 agosto, per una durata di circa 5-6 ore, tra la longitudine solare 140.1° e 140.4°, come in fig. 2.
Fig. 2: Massimo di attività meteorica registrato tra la longitudine solare 140.1° e 140.4°.
Anche le osservazioni visuali dell’International Meteor Organization (IMO), in fig. 3, e, tramite le telecamere, del Global Meteor Network (GMN), in fig. 4, mostrano un picco di attività dello sciame in corrispondenza del 13 agosto (1), (2).
Fig. 3: Grafico dello ZHR (Zenithal Hourly Rate) registrato da IMO.
Fig. 4: Grafico del flusso di meteoroidi in atmosfera registrato dalle camere GMN.
Tornando ai nostri dati radio notiamo un aumento in corrispondenza delle ore 8-9 UT del 12 agosto, sia nel grafico della potenza ricevuta (in fig. 5) che nel grafico della durata degli echi meteorici (in fig. 6).
Sappiamo che la durata di un’eco radio dipende dal tempo impiegato dalla meteora a dissolversi (saturazione del cilindro): quanto maggiore è il numero degli atomi ionizzati, tanto più tempo dura il processo di deionizzazione. Il numero degli atomi ionizzati è anche proporzionale all’energia cinetica dei corpi impattanti contro le prime molecole della ionosfera: più lo scontro è energetico, più atomi si disintegrano, e quindi più la radiometeora è densa.
Dato che l’energia cinetica è data da:
Ec = mv2/2
e dato che tutte le meteore appartenenti a uno stesso sciame viaggiano alla stessa velocità v, se ne deduce che l’unico parametro che varia è m, cioè la massa.
Quindi possiamo ipotizzare che in corrispondenza delle 8-9 UT del 12 agosto, alla longitudine solare 139.57° si sia misurato un aumento di energia cinetica, il che ci fa supporre che probabilmente sono entrati in atmosfera meteoroidi di massa maggiore rispetto alla media delle altre Perseidi, e con un anticipo di una trentina di ore rispetto al massimo del tasso orario.
Fig. 5: Grafico della potenza degli echi meteorici con picco alla longitudine solare 139.57°.
Fig. 6: Grafico della durata degli echi meteorici con picco alla longitudine solare 139.57°.
Bollettino di Luglio
Introduzione
Nella prima metà del mese di luglio l’attività meteorica è stata moderata, principalmente dominata dallo sciame meteorico delle Psi Cassiopeidi (187 PCA).
I dati del mese di Luglio
I grafici che seguono sono tratti da questa pagina: nelle ascisse è rappresentato il tempo, che è espresso in UT (Universal Time, Tempo Universale) oppure in longitudine solare (Solar Longitude) e le ordinate rappresentano il tasso orario (hourly rate), calcolato come il numero totale di eventi registrati dalla rete nell’ora diviso per il numero di ricevitori in funzione.
In fig.1, l’andamento dei segnali rilevati dai ricevitori per il mese di luglio.
Fig. 1: Andamento nel mese di luglio 2025.
Le Psi Cassiopeidi
Le Psi Cassiopeidi (187 PCA) sono uno sciame meteorico attivo nella prima metà di luglio, con picco massimo attorno alla metà del mese. Si tratta di uno sciame minore, poco visibile a occhio nudo ma rilevabile tramite sistemi di osservazione radio, grazie alla velocità e alla frequenza delle meteore, specie nelle ore crepuscolari. Non è associato ad alcun corpo progenitore noto (1).
Il radiante dello sciame è localizzato nella costellazione di Cassiopea, vicino alla stella Psi Cassiopeiae, da cui prende il nome. Le Psi Cassiopeidi sono rapide, con una velocità d’ingresso in atmosfera di circa 58 km/s, e producono echi radio intensi e di breve durata.
Nel 2025, lo sciame delle Psi Cassiopeidi ha mostrato un’attività crescente nella prima metà del mese di luglio, e la rete CARMELO ha rilevato un tasso orario compatibile con il tracciamento dello sciame (fig. 2).
Fig. 2: Tasso orario tra il 4 e il 18 luglio 2025, con attività compatibile con il tracciamento dello sciame delle Psi Cassiopeidi.
Bibliografia:
(1) Peter Jenniskens et al. (2006): Meteor showers and their parent comets. Cambridge University Press
Bollettino di Giugno
Introduzione
A giugno la rete CARMELO ha registrato un’attività meteorica in crescente intensità, e nella prima metà del mese ha rilevato un’attività compatibile con lo sciame diurno delle Arietidi (171 ARI).
I dati del mese di Giugno
I grafici che seguono sono tratti da questa pagina: nelle ascisse è rappresentato il tempo, che è espresso in UT (Universal Time, Tempo Universale) oppure in longitudine solare (Solar Longitude) e le ordinate rappresentano il tasso orario (hourly rate), calcolato come il numero totale di eventi registrati dalla rete nell’ora diviso per il numero di ricevitori in funzione.
In fig.1, l’andamento dei segnali rilevati dai ricevitori per il mese di giugno.
Fig. 1: Andamento nel mese di giugno 2025.
Le Arietidi
Le Arietidi (171 ARI) sono uno sciame meteorico attivo da metà maggio a metà giugno. Si tratta del più intenso sciame meteorico diurno (daytime shower) dell’anno: il suo massimo avviene quando il Sole è già alto nel cielo, rendendone l’osservazione visuale estremamente difficile, con meno di una meteora visibile all’ora. Le meteore delle Arietidi sono tuttavia ben rilevabili con strumentazione radio.
Il radiante dello sciame si trova nella costellazione dell’Ariete, in una posizione circa 4 gradi a sud-est della stella 41 Arietis. Le meteore sono generalmente rapide, con una velocità d’ingresso in atmosfera di circa 42 km/s, corrispondente a una velocità media rispetto ad altri sciami, non alta (1).
Nel 2025, lo sciame delle Arietidi ha mostrato una attività crescente tra il 3 e il 13 giugno, e anche la rete CARMELO ha rilevato un tasso orario compatibile con un picco giornaliero dello sciame tra le 11:00 e le 12:00 UT (fig. 2).
Fig. 2: Tasso orario tra l’1 e il 15 giugno 2025, con attività compatibile con il tracciamento dello sciame delle Arietidi.
Spegnimento del radar Graves
Dalla fig. 1 che mostra l’andamento del tasso orario di meteore rilevate dalla rete CARMELO salta all’occhio l’interruzione dell’11 giugno, tra le 7:00 UT e le 10:00 UT, ovvero tra le longitudini solari 80.28° e 80.40° (vedi fig. 3). Essa corrisponde a uno spegnimento del radar Graves in Francia, probabilmente causata da una manutenzione della stazione.
Fig. 3: Tasso orario tra la fine di maggio e l’inizio di giugno 2025.
Durante lo spegnimento, durato circa tre ore, i ricevitori della rete CARMELO hanno registrato soltanto 4 eventi, tutti chiaramente identificabili come falsi positivi. In condizioni normali, nello stesso intervallo temporale, il sistema registra in media oltre 1000 eventi. Questo confronto porta a una considerazione interessante: se in assenza del segnale radar riceviamo solo 4 eventi spuri, significa che, in condizioni standard, circa il 99.6% delle registrazioni sono effettivamente meteore. Un risultato che conferma l’affidabilità del sistema di rilevamento automatico di CARMELO.
Bibliografia:
1Robert Lunsford (2025): Meteor Activity Outlook for 14-20 June 2025, eMeteorNews
Bollettino di Maggio
Introduzione
Nel mese di maggio la rete CARMELO non ha rilevato un’attività meteorica particolarmente intensa. All’inizio del mese si è verificato un picco, anche se non molto pronunciato, dello sciame delle Eta Aquaridi (ETA), nella notte tra il 5 e il 6 maggio. Segnaliamo inoltre il rilevamento di un outburst meteorico probabilmente legato alla cometa 73P/Schwassmann–Wachmann nei primi giorni di giugno.
I dati del mese di Maggio
I grafici che seguono sono tratti da questa pagina: nelle ascisse è rappresentato il tempo, che è espresso in UT (Universal Time, Tempo Universale) oppure in longitudine solare (Solar Longitude) e le ordinate rappresentano il tasso orario (hourly rate), calcolato come il numero totale di eventi registrati dalla rete nell’ora diviso per il numero di ricevitori in funzione.
In fig.1, l’andamento dei segnali rilevati dai ricevitori per il mese di maggio.
Fig. 1: Andamento nel mese di maggio 2025.
Le Eta Aquaridi
Le Eta Aquaridi (ETA) sono uno sciame meteorico attivo ogni anno tra metà aprile e fine maggio, con un picco di visibilità attorno al 6 maggio. Anche se meno appariscenti rispetto a sciami più noti, le Eta Aquaridi rivestono una certa importanza particolare per la loro origine: i frammenti che le compongono provengono dalla celebre cometa di Halley, la stessa che dà origine anche alle Orionidi di ottobre (1).
Il radiante dello sciame si trova nella costellazione dell’Acquario, nei pressi della stella Eta Aquarii, da cui prende il nome. Nelle nostre latitudini questo punto sorge poco prima dell’alba, intorno alle 3:30, rendendo le ultime ore della notte il momento più adatto per l’osservazione e la rilevazione. A causa della posizione bassa del radiante sull’orizzonte, il numero di meteore visibili in Italia è generalmente limitato a circa 30–40 l’ora. Nelle regioni australi, dove il radiante si alza molto di più sull’orizzonte, lo sciame offre invece uno spettacolo ben più intenso, con tassi orari allo zenit (ZHR) che possono superare le 50–60 meteore all’ora.
Le Eta Aquaridi si distinguono anche per l’alta velocità delle meteore, che possono raggiungere oltre 66 km/s. Questo rende le loro tracce nel cielo particolarmente luminose e persistenti, con scie che talvolta permangono per diversi secondi.
Nel 2025, il picco di attività dello sciame era atteso nella notte tra il 5 e il 6 maggio. La rete CARMELO ha registrato un’attività moderata, in particolare tra le 2:00 e le 5:00 del mattino del 6 maggio, dove il massimo conteggio è stato di 204 eventi alle 2:00 quando ancora il radiante era sotto l’orizzonte, e successivamente, nell’intorno dell’alba, si è aggirato tra i 170 e i 180 eventi, tra le longitudini solari 45.55° e 45.67°.
Fig. 2: Tasso orario tra il 5 e il 6 maggio 2025, con un’attività meteorica molto moderata.
Gli outburst del 31 maggio e 1 giugno
Il 6 giugno il Central Bureau for Astronomical Telegrams ha pubblicato il CBET 5561 (2), in cui si riportano due intensi outburst meteorici potenzialmente associati allo sciame minore delle Tau Herculids (61 TAH), generato da frammenti della cometa 73P/Schwassmann–Wachmann. Le osservazioni sono state condotte dal Croatian Meteor Network, che ha evidenziato due picchi ben distinti nel tasso orario di meteore, il secondo dei quali si è concluso bruscamente intorno alle 0:00 UTC del 2 giugno (longitudine solare 70.71°).
Quando una cometa come 73P/Schwassmann–Wachmann si frammenta (come è avvenuto in modo spettacolare nel 1995, con ulteriori rotture osservate nel 2006), rilascia materiale in grandi quantità: frammenti grandi e piccoli, polveri, e meteoroidi che vengono espulsi con velocità leggermente diverse tra loro. Queste differenze di velocità iniziale, anche minime, portano col tempo i meteoroidi a distribuirsi lungo l’orbita della cometa in modo non uniforme. Questo processo si chiama espansione differenziale: le particelle più veloci si allontanano in avanti, quelle più lente restano indietro. Dopo anni o decenni, queste “nuvole” si separano, generando pacchetti o filamenti che possono intersecare l’orbita terrestre in momenti precisi, dando luogo a outburst meteorici brevi ma intensi.
Nel caso della cometa 73P, diversi studi modellistici (3) hanno previsto che i detriti espulsi nei passaggi del 1995 e del 2006 — anni chiave per i suoi eventi di disgregazione — avrebbero potuto raggiungere la Terra intorno al 2022–2025. Il comportamento osservato in questi giorni è compatibile con l’arrivo di uno di questi filamenti di meteoroidi, confermando le simulazioni.
Osservando i dati della rete CARMELO, notiamo effettivamente un aumento del numero di echi meteorici rilevati tra l’1 e il 2 giugno, seguito da un improvviso calo proprio in corrispondenza alla longitudine solare 70.71° come indicato nel CBET.
Il radiante dello sciame associato alla cometa 73P transitava in meridiano proprio attorno a mezzanotte. Questo significa che al momento del calo non si era verificata alcuna variazione significativa nella geometria di osservazione. Il brusco calo dell’attività meteorica potrebbe quindi essere imputato alla cessazione del flusso di meteoroidi.
Fig. 3: Tasso orario tra la fine di maggio e l’inizio di giugno 2025.
Bibliografia:
(1) A. Egal et al. (2020): Activity of the Eta-Aquariid and Orionid meteor showers, Astronomy & Astrophysics, Vol. 640
(2) Two meteor shower outbursts with potential connection to comet 73P, Central Bureau for Astronomical Telegrams, CBET 5561
(3) A Egal et al (2023): Modelling the 2022 τ-Herculid outburst, The Astrophysical Journal, Vol. 949
(4) L. Barbieri et al. (2024): What CARMELO can observe, eMeteorNews, vol. 9, no. 4, p. 241-248
Bollettino di Aprile
Introduzione
Aprile è il primo mese primaverile a mostrare degli sciami meteorici prevalenti, come quello antico delle Liridi (LYR). Il picco di attività per il 2025 era previsto tra il 21 e il 22 aprile. La rete CARMELO ha osservato un’attività moderata, con un lieve aumento nella notte tra il 22 e il 23 aprile, all’orario in cui la Lira si trovava circa in meridiano.
I dati del mese di Aprile
I grafici che seguono sono tratti da questa pagina: nelle ascisse è rappresentato il tempo, che è espresso in UT (Universal Time, Tempo Universale) oppure in longitudine solare (Solar Longitude) e le ordinate rappresentano il tasso orario (hourly rate), calcolato come il numero totale di eventi registrati dalla rete nell’ora diviso per il numero di ricevitori in funzione.
In fig.1, l’andamento dei segnali rilevati dai ricevitori per il mese di aprile.
Fig. 1: Andamento nel mese di aprile 2025.
Le Liridi
Le Liridi sono uno sciame meteorico attivo ogni anno in aprile, con un picco solitamente attorno al 22 del mese. Si tratta di uno degli sciami più antichi mai osservati, e dello sciame con la più lunga documentazione storica continua, con osservazioni che risalgono almeno al 687 a.C. (1).
Il corpo progenitore è stato identificato nel XIX secolo nella cometa C/1861 G1 (Thatcher), che impiega circa 415 anni per compiere un’orbita attorno al Sole. Le meteore di questo sciame hanno come radiante la costellazione della Lira, vicino alla brillante stella Vega. Le Liridi si distinguono per la loro velocità (circa 49 km/s) e per la possibilità di produrre scie brillanti e persistenti in cielo.
Solitamente si possono vedere attorno alle 15–20 meteore all’ora, ma occasionalmente si sono registrati picchi molto più elevati, che si riteneva fossero associati alla vicinanza della cometa madre alla Terra. Tuttavia, studi condotti alla fine del XX secolo hanno smentito questa correlazione diretta e indicano che gli outburst potrebbero essere invece legati a risonanze dinamiche o a dense regioni di materiale all’interno della scia cometaria (1).
Uno degli eventi più intensi fu l’outburst del 1803, con un tasso orario stimato di circa 860, che suscitò grande interesse astronomico. Uno più recente avvenne nel 1982, quando si registrarono fino a 90 meteore/h (2).
Nel 2025 il picco delle Liridi era atteso nelle ore notturne tra il 21 e il 22 aprile. La rete CARMELO ha registrato un’attività moderata tra il 21 e il 23 aprile, con un tasso orario di rilevazioni maggiori il 23, e un picco massimo alle 01:00 UT del 23 aprile, alla longitudine solare 32.80°.
Fig. 2: Tasso orario tra il 21 e il 24 aprile 2025, con picco di attività meteorica il 23 aprile alla longitudine solare 32.80°.
La lacuna delle 6
Un’anomalia ricorrente nei dati raccolti dalla rete CARMELO, già riscontrata in passato con il sistema RAMBO, è il sistematico calo di meteore registrate attorno alle ore 6 locali in primavera, proprio quando ci si attenderebbe il massimo giornaliero teorico della frequenza meteorica.
Fig. 3: Tasso orario di meteore in funzione dell’ora del giorno, in prossimità dell’equinozio di primavera, che ci si aspetterebbe di osservare.
Questo fenomeno, da noi definito “la lacuna delle 6” (vedi fig. 4), rappresenta un apparente paradosso osservativo che trova una spiegazione interessante.
Fig. 4: A sinistra, andamento del tasso orario di eventi registrato da CARMELO nell’aprile 2025, con evidente la “lacuna delle 6”; in inverno; a destra, dati raccolti in inverno.
Secondo il modello sviluppato da Giovanni Schiaparelli nel 1867 (3), la quantità di meteore osservata non è costante nel corso della giornata né dell’anno, ma segue delle variazioni regolari. Questo accade per via del movimento combinato della Terra, che ruota su sé stessa e orbita attorno al Sole. Anche se le meteore arrivassero da tutte le direzioni dello spazio in modo uniforme (cioè con una distribuzione isotropa dei radianti), l’effetto combinato tra la velocità della Terra e quella delle particelle meteoritiche crea un’illusione di concentrazione: le meteore sembrano arrivare in numero maggiore da una direzione specifica nel cielo, detta apice del moto terrestre (vedi fig.5).
Questo punto attraversa ogni giorno la volta celeste con un movimento analogo a quello del Sole e raggiunge il meridiano locale attorno alle 6 del mattino (tempo solare vero), generando così un massimo giornaliero della frequenza osservata. Simmetricamente, il minimo si verifica attorno alle 18.
Fig. 5: Rappresentazione dell’apice del moto terrestre rispetto all’eclittica e alla posizione di un osservatore sulla Terra.
Nel corso dell’anno, l’apice percorre l’eclittica, oscillando in declinazione: raggiunge valori massimi in primavera e minimi in autunno. Proprio in primavera, quindi, l’apice si trova a quote elevate (70–80° sull’orizzonte) durante il suo transito meridiano mattutino.
Fig. 6: Andamento dell’altezza del radiante sopra l’orizzonte nel corso dell’anno.
Le antenne utilizzate nella rete CARMELO sono caratterizzate da una discreta direttività, ed essendo fisse hanno un guadagno massimo concentrato in una specifica porzione di cielo. In particolare, la zona in cui l’antenna ha più guadagno nel ricevere i segnali radio riflessi dalle meteore è generalmente su declinazioni comprese tra 30° e +40° rispetto all’orizzonte. Questo comporta il fatto che le antenne della rete hanno meno sensibilità per meteore che si verificano ad altezze molto elevate nel cielo. E di conseguenza, quando l’apice del moto terrestre culmina in cielo ad alte declinazioni (vedi fig.7), come in primavera ed alle ore 6, le meteore che arrivano da quella direzione vengono intercettate con meno efficacia, con una conseguente riduzione delle rilevazioni proprio nel momento in cui, secondo la geometria, ci si attenderebbe il massimo di attività.
L’effetto risulta più evidente in primavera per due motivi principali:
L’apice ha declinazioni più elevate.
Il contributo meteorico è dominato dalle sporadiche, che rendono più “pulito” l’andamento sinusoidale.
Fig. 7: Posizione dell’apice del moto terrestre in primavera e in autunno.
Marzo, come febbraio, è uno dei mesi meno attivi per quanto riguarda il passaggio di grossi sciami meteorici. In attesa del picco delle Liridi, previsto per la seconda metà di aprile, questo mese abbiamo concentrato la nostra attenzione su alcune considerazioni riguardanti il rumore radioelettrico.
I dati del mese di marzo
I grafici che seguono sono tratti da questa pagina: nelle ascisse è rappresentato il tempo, che è espresso in UT (Universal Time, Tempo Universale) oppure in longitudine solare (Solar Longitude) e le ordinate rappresentano il tasso orario (hourly rate), calcolato come il numero totale di eventi registrati dalla rete nell’ora diviso per il numero di ricevitori in funzione.
In fig.1, l’andamento dei segnali rilevati dai ricevitori per il mese di marzo.
Fig. 1: Andamento nel mese di marzo 2025.
Bollettino di Febbraio
Introduzione
Febbraio è uno dei mesi meno attivi dal punto di vista degli sciami meteorici. A differenza di gennaio, caratterizzato dal picco delle Quadrantidi, e di altri mesi con eventi più marcati, il periodo invernale centrale non presenta sciami di particolare rilievo. Tuttavia, l’osservazione radar permette di rilevare fenomeni altrimenti inosservabili, come i Daytime Showers, sciami meteorici il cui radiante è talmente vicino al Sole da non poter essere osservato con metodi ottici tradizionali. I dati raccolti dalla rete CARMELO nel mese di febbraio mostrano segnali compatibili con la presenza dello sciame delle χ-Capricornids (114 DXC).
I dati del mese di febbraio
I grafici che seguono sono tratti da questa pagina: nelle ascisse è rappresentato il tempo, che è espresso in UT (Universal Time, Tempo Universale) oppure in longitudine solare (Solar Longitude) e le ordinate rappresentano il tasso orario (hourly rate), calcolato come il numero totale di eventi registrati dalla rete nell’ora diviso per il numero di ricevitori in funzione.
In fig.1, l’andamento dei segnali rilevati dai ricevitori per il mese di febbraio.
Fig. 1: Andamento nel mese di febbraio 2025.
I Daytime Showers
I Daytime Showers sono sciami meteorici i cui radianti si trovano molto vicini alla posizione del Sole nel cielo, rendendoli impossibili da osservare con strumenti ottici. A differenza degli sciami notturni, che presentano radianti ben visibili sopra l’orizzonte nelle ore serali o notturne, i Daytime Showers possono essere rilevati quasi esclusivamente attraverso osservazioni radar (1, 2). I loro radianti si trovano tipicamente tra i 20° e i 30° a ovest del Sole e vengono identificati grazie alle tecniche di radio-forward scatter e radar.
L’assenza di osservazioni ottiche implica che le informazioni su questi sciami sono spesso limitate. Mentre gli sciami notturni più noti, come le Perseidi o le Geminidi, hanno tassi di attività ben documentati e parametri ben definiti, molti Daytime Showers restano ancora poco studiati. Alcuni di essi mostrano attività più elevate e sono stati rilevati anche da reti di video osservazioni, mentre altri hanno un’attività così debole da rendere difficile una loro caratterizzazione precisa.
Le osservazioni radar degli ultimi decenni hanno comunque permesso di mappare i principali sciami diurni e di riconoscerne l’attività in periodi specifici dell’anno. Tra i più noti (2) vi sono quello delle Arietids (171 ARI), attivo tra maggio e giugno (3), e quello delle Sextantids (221 DSX), attivo tra settembre e ottobre. Nel periodo invernale, invece, l’attività dei Daytime Showers è generalmente più bassa, con sciami minori che mostrano un’attività difficilmente distinguibile dal rumore di fondo.
L’analisi di questi sciami è però importante per comprendere meglio la distribuzione e le caratteristiche della popolazione di meteoroidi nel Sistema Solare. Sebbene la loro attività sia spesso inferiore rispetto agli sciami principali, il loro studio permette di affinare i modelli di flusso meteorico e migliorare la nostra comprensione della dinamica delle particelle interplanetarie.
Le χ-Capricornids (114 DXC)
Le χ-Capricornids (114 DXC) sono uno sciame meteorico diurno attivo tra il 29 gennaio e il 28 febbraio, con un massimo previsto intorno al 13 febbraio alla longitudine solare 324.5° (2). Questo sciame è stato individuato grazie a osservazioni radar, poiché la vicinanza del suo radiante al Sole ne impedisce la rilevazione ottica tradizionale. L’attività dello sciame è classificata come bassa, con una distribuzione di meteoroidi caratterizzata da masse ridotte e velocità relativamente basse.
Il radiante delle χ-Capricornids sorge intorno alle 6:30 e tramonta intorno alle 14:30 (ora locale in Italia), limitando così la finestra temporale utile per la loro osservazione radar. A causa della loro bassa attività, non si registrano aumenti significativi nell’intensità dei segnali radio né variazioni rilevanti nella durata degli echi rilevati. Tuttavia, le osservazioni condotte nel corso degli anni hanno mostrato che questo sciame è compatibile con i dati raccolti, suggerendo che una frazione delle meteore rilevate possa effettivamente appartenere alle χ-Capricornids.
Studi precedenti, tra cui quelli riportati da Jürgen Rendtel nel 2014 (2), indicano che la popolazione di meteoroidi appartenente alle χ-Capricornids potrebbe derivare da una sorgente progenitrice non ancora identificata con certezza. Il fatto che le meteore osservate abbiano una scarsa intensità e brevi echi radio suggerisce che i frammenti siano il risultato di un processo di erosione prolungato, piuttosto che di un evento di frammentazione recente.
I dati raccolti dalla rete CARMELO nel mese di febbraio mostrano segnali compatibili con la presenza del χ-Capricornids. Tuttavia, l’assenza di picchi significativi di intensità del segnale e di variazioni nella durata degli echi suggerisce che lo sciame, se effettivamente il segnale è presente, sia composto prevalentemente da meteoroidi di piccola massa e bassa velocità.
In fig.2, il rettangolo grigio evidenzia la finestra di visibilità del radiante sopra l’orizzonte in Italia.
Analizzando il tasso orario di eventi e la potenza massima del segnale (Max Power), si nota un’assenza di fluttuazioni marcate attorno al massimo atteso. Questo comportamento conferma la bassa attività dello sciame, ma la compatibilità dei dati con le previsioni suggerisce comunque che una parte delle meteore rilevate possa effettivamente appartenere al χ-Capricornids.
Fig. 2: Compatibilità delle osservazioni CARMELO con la presenza dello sciame delle χ-Capricornids.
Il Bollettino di Gennaio
Introduzione
Il mese di gennaio si apre con il picco delle Quadrantidi, che è lo sciame principale e dominante di tutto il mese, per il resto interessato solo dal passaggio di piogge minori. Il picco delle Quadrantidi si è verificato il 3 gennaio.
I dati del mese di gennaio
I grafici che seguono sono tratti da questa pagina: nelle ascisse è rappresentato il tempo, che è espresso in UT (Universal Time, Tempo Universale) oppure in longitudine solare (Solar Longitude) e le ordinate rappresentano il tasso orario (hourly rate), calcolato come il numero totale di eventi registrati dalla rete nell’ora diviso per il numero di ricevitori in funzione.
In fig.1, l’andamento dei segnali rilevati dai ricevitori per il mese di gennaio.
Fig. 1: Andamento nel mese di gennaio 2025.
Le Quadrantidi
Tra le piogge meteoriche annuali, le Quadrantidi di gennaio si distinguono solitamente per la loro intensità, raggiungendo picchi di attività compresi tra 60 e 200 meteore all’ora. Nonostante ciò, rimangono meno conosciute rispetto ad altri sciami più celebri, come le Perseidi o le Geminidi. La loro minore notorietà è dovuta anche al brevissimo picco di attività, che dura circa 24 ore.
Il radiante delle Quadrantidi si trova nella costellazione di Boote, in una posizione piuttosto bassa nel cielo settentrionale, tra la testa del Dragone e il timone del Grande Carro. Il nome deriva da Quadrans Muralis, un’antica costellazione creata nel 1795 dall’astronomo francese Jérôme Lalande che includeva parti del Boote e del Dragone, e che non rientra nella lista delle 88 costellazioni stilata dall’Unione Astronomica Internazionale (IAU) nel 1922 e pubblicata nel 1930 (1).
L’origine di questo sciame resta un argomento dibattuto. Nel 2003, a seguito di una campagna osservativa sui corpi minori del Sistema Solare, l’astronomo Peter Jenniskens trovò un possibile corpo progenitore delle Quadrantidi nell’asteroide Near Earth (196256) 2003 EH1, un’ipotesi che le renderebbe uno dei pochi sciami meteorici derivanti da un asteroide e non da una cometa, analogamente alle Geminidi di dicembre (2). Da allora, 2003 E1 è considerato il corpo progenitore più probabile delle Quadrantidi. Esso potrebbe essere a sua volta un frammento della cometa C/1490 Y1 , che è stata osservata da astronomi cinesi, giapponesi e coreani poco più di 500 anni fa, nel 1490 (3).
Quest’anno, il picco massimo delle Quadrantidi era previsto il 3 gennaio alla longitudine solare 283.2°, corrispondente alle 17 UT. A quell’ora tuttavia il radiante dello sciame si trovava troppo basso sull’orizzonte per un corretto rilevamento. La rete CARMELO ha rilevato la massima attività alle 3 UT del 3 gennaio alla longitudine solare 286.6°, quando il tasso orario è stato di 224, e il radiante delle Quadrantidi era alto in cielo a Nord-Est (fig.2, con evidenziate con i tratti neri in basso le ore del giorno in cui il radiante si trovava sufficientemente in alto sopra l’orizzonte per l’osservazione).
Fig. 2: Picco di massima attività dello sciame delle Quadrantidi il 3 gennaio rilevato alla longitudine solare 282.6°, e picco atteso a 283.2° quando il radiante era troppo basso sull’orizzonte.
La composizione delle Quadrantidi
Il grafico che segue in fig.3 è un confronto tra il tasso orario e la durata media degli echi meteorici nei giorni intorno al picco di attività delle Quadrantidi.
Si noti come i tre picchi del 3 e 4 gennaio nei due grafici siano molto diversi: il picco centrale, intorno alla longitudine solare 283° corrispondente alle ore 13 UT del 3 gennaio, ha echi molto più lunghi; la durata media raggiunge anche il mezzo secondo.
Fig. 3: Confronto tra il tasso orario e la durata media degli echi meteorici tra l’1 e il 6 gennaio.
Questa osservazione ci dice molto sulla composizione di questo sciame. Infatti, la durata di un’eco radio dipende dal tempo impiegato dalla meteora a dissolversi: quanto maggiore è il numero degli atomi ionizzati (ioni ed elettroni liberi), tanto più tempo dura il processo di deionizzazione. Il numero degli atomi ionizzati, o densità del plasma, è proporzionale all’energia cinetica dei corpi impattanti contro le prime molecole della ionosfera: più lo scontro è energetico, più atomi si disintegrano, e quindi più la radiometeora è densa.
Noi sappiamo che l’energia cinetica è data da: E = mv*v/2
e sappiamo che tutte le meteore appartenenti a uno stesso sciame viaggiano tutte alla stessa velocità v. Se ne deduce quindi che l’unico parametro che varia è m, cioè la massa.
Il grafico mostra quindi che lo sciame delle Quadrantidi può essere descritto come un cilindro avente all’esterno un “guscio” di meteore più piccole, e all’interno un filamento di meteore più grosse. Questa caratteristica è tipica degli sciami relativamente giovani (in tempi astronomici, ovviamente). Col trascorrere del tempo, infatti, questa composizione tende a cambiare, sia per l’effetto delle interazioni gravitazionali con i pianeti maggiori del Sistema Solare, sia per la pressione della radiazione solare che tende a spostare le particelle più massicce verso l’esterno dello sciame, generando quindi una conformazione non più simmetrica.
Da notare come nel grafico in basso in fig.3, il picco di aumento di densità verso la longitudine solare 284° (tra il 4 e il 5 gennaio) non sia un falso positivo, o un errore del sistema. Era presente anche al passaggio delle Quadrantidi nel gennaio 2023 e rilevato da CARMELO (4).
La strumentazione
La rete CARMELO è costituita da ricevitori radio SDR. In essi un microprocessore (Raspberry) svolge simultaneamente tre funzioni:
1) Pilotando un dongle, sintonizza la frequenza su cui trasmette il trasmettitore e si sintonizza come una radio, campiona il segnale radioelettrico e tramite la FFT (Fast Fourier Trasform) misura frequenza e potenza ricevuta.
2) Analizzando il dato ricevuto per ogni pacchetto, individua gli echi meteorici e scarta falsi positivi e interferenze.
3) Compila un file contenente il log dell’evento e lo spedisce ad un server.
I dati sono tutti generati da un medesimo standard, e sono pertanto omogenei e confrontabili. Un singolo ricevitore può essere assemblato con pochi dispositivi il cui costo attuale complessivo è di circa 210 euro.
Per partecipare alla rete leggi le istruzioni a questa pagina.
La rete CARMELO
La rete è attualmente composta da 14 ricevitori di cui 13 funzionanti, dislocati in Italia, Regno Unito, Croazia e USA. I ricevitori europei sono sintonizzati sulla frequenza della stazione radar Graves in Francia, pari a 143.050 MHz. Partecipano alla rete:
• Lorenzo Barbieri, Budrio (BO) ITA
• Associazione Astrofili Bolognesi, Bologna ITA
• Associazione Astrofili Bolognesi, Medelana (BO) ITA
• Paolo Fontana, Castenaso (BO) ITA
• Paolo Fontana, Belluno (BL) ITA
• Associazione Astrofili Pisani, Orciatico (PI) ITA
• Gruppo Astrofili Persicetani, San Giovanni in Persiceto (BO) ITA
• Roberto Nesci, Foligno (PG) ITA
• MarSEC, Marana di Crespadoro (VI) ITA
• Gruppo Astrofili Vicentini, Arcugnano (VI) ITA
• Associazione Ravennate Astrofili Rheyta, Ravenna (RA) ITA
• Akademsko Astronomsko Društvo, Rijeka CRO
• Mike German a Hayfield, Derbyshire UK
• Mike Otte, Pearl City, Illinois USA
L’auspicio degli autori è che la rete possa espandersi sia quantitativamente che geograficamente, permettendo così la produzione di dati di miglior qualità.
Osservatorio per le Onde Gravitazionali sulla Luna
di Ferdinando Patat e Silvia Piranomonte
Indice dei contenuti
ABSTRACT
La rivelazione delle onde gravitazionali ha inaugurato una nuova era dell’astrofisica, consentendo di studiare il cosmo attraverso le vibrazioni dello spazio-tempo. Tuttavia, la banda delle frequenze intermedie (0.01–1 Hz) rimane oggi inesplorata: le limitazioni dovute al rumore sismico e atmosferico dei rivelatori terrestri e i vincoli tecnologici di quelli spaziali hanno creato un vero e proprio “deserto osservativo”. La Lunar Gravitational-Wave Antenna (LGWA) propone di colmare questo gap sfruttando la Luna come rivelatore naturale, misurando le sue deformazioni globali indotte dal passaggio di onde gravitazionali attraverso una rete di stazioni sismografiche ultra-sensibili installate in regioni permanentemente in ombra al polo sud lunare, estremamente silenziose e stabili dal punto di vista sismico e termico. Questo approccio permetterà di investigare fenomeni finora invisibili, tra cui buchi neri di massa intermedia, binarie di nane bianche e sistemi che precedono esplosioni di supernova, oltre a fornire preziose informazioni sulla struttura interna del nostro satellite e sull’origine della Luna. LGWA rappresenta quindi un progetto visionario e complementare a futuri interferometri terrestri e spaziali, aprendo la strada a un osservatorio gravitazionale planetario unico nel suo genere e alla piena realizzazione dell’astronomia multi-messaggera nel dominio delle frequenze intermedie.
Quando, nel settembre 2015, i rivelatori LIGO negli Stati Uniti e Virgo in Italia captarono un segnale di due buchi neri in collisione, si aprì una finestra completamente nuova sull’Universo. Per la prima volta, invece di osservare il cosmo attraverso la luce, ne ascoltavamo le vibrazioni dello spazio-tempo: le onde gravitazionali. Predette un secolo prima da Einstein, queste minuscole increspature – con ampiezze pari a un millesimo del diametro di un protone – viaggiano alla velocità della luce trasportando informazioni dirette su eventi cataclismici altrimenti invisibili a qualsiasi telescopio.
Oltre a questa scoperta epocale ne arrivò presto un’altra. Nell’agosto del 2017, gli interferometri LIGO e Virgo rivelarono il segnale GW170817 associato per la prima volta alla fusione di due stelle di neutroni che, a differenza dei buchi neri, emettono anche la luce. Nel giro di pochi secondi, decine di telescopi in tutto il mondo si orientarono verso la stessa regione di cielo, catturando un lampo gamma seguito da emissioni ottiche, infrarosse e radio. Nacque così l’astronomia multi-messaggera, capace di osservare lo stesso evento cosmico attraverso “messaggeri” diversi – onde gravitazionali, fotoni di ogni energia, e potenzialmente neutrini – fornendo una visione più completa e coerente del fenomeno. In meno di un decennio, LIGO e Virgo sono riusciti a catalogare centinaia di fusioni di buchi neri insieme a due eventi di collisioni tra stelle di neutroni, consolidando così la nuova disciplina dell’astronomia gravitazionale.
Il Laboratorio LIGO gestisce due siti di rilevazione distanti tra loro circa 3000 km (1800 miglia): uno vicino a Hanford, nello stato di Washington, e l’altro nei pressi di Livingston, in Louisiana. La foto mostra il rivelatore di Hanford. Crediti Caltech/MIT/LIGO Lab.
Il deserto delle Frequenze Intermedie
Ogni evento astrofisico che coinvolge masse in rapido movimento genera onde gravitazionali a frequenze caratteristiche. Le fusioni di buchi neri stellari – con masse pari a qualche decina di volte quella del Sole – come anche quelle di stelle di neutroni, producono segnali compresi tra 10 e 1000 Hz. Questo intervallo rientra nella banda di frequenza operativa degli attuali rivelatori terrestri, come LIGO e Virgo e in futuro dell’Einstein Telescope (ET), l’interferometro sotterraneo di terza generazione in fase di progettazione in Europa, che promette una sensibilità fino a dieci volte superiore. I buchi neri supermassicci, di milioni o miliardi di masse solari situati al centro delle galassie, generano invece onde a frequenze molto più basse, da 0.1 millihertz a 0.1 Hz, che il futuro interferometro spaziale LISA dell’Agenzia Spaziale Europea, potrà rivelare a partire dal 2035. Fra questi due mondi – tra un decimo di hertz e qualche hertz – ad oggi si estende un vero e proprio deserto osservativo. Questa è la regione dei decihertz, dove si celano eventi chiave come i buchi neri di massa intermedia che collegano quelli stellari a quelli supermassicci, le fusioni di stelle di neutroni e nane bianche, i precursori delle esplosioni di supernova e altri fenomeni fondamentali per comprendere l’evoluzione dell’universo. Per osservare questi fenomeni serve un rivelatore in grado di captare frequenze più basse di quelle accessibili sulla Terra, ma non così basse come quelle che LISA rivelerà dallo spazio. In altre parole, serve una piattaforma che faccia da ponte osservativo tra gli interferometri spaziali e quelli terrestri, che sia stabile e silenziosa. Come vedremo, tra i corpi del Sistema Solare, la Luna sembra essere uno dei candidati più adatti a offrire le condizioni necessarie. Ed è qui che entra in scena la Lunar Gravitational-wave Antenna (LGWA), un progetto audace e visionario proposto da un consorzio internazionale guidato da ricercatori del Gran Sasso Science Institute (GSSI), dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) e dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV). Ne avevamo già anticipato alcune notizie in Coelum n°254. L’idea è tanto semplice quanto rivoluzionaria: utilizzare la Luna stessa come un gigantesco rivelatore di onde gravitazionali, sfruttando le sue uniche caratteristiche geofisiche per riempire quel gap osservativo che nessun altro strumento può colmare.
Un’alternativa ai Metodi Interferometrici
La caccia alle onde gravitazionali è iniziata molto prima che l’era LIGO/Virgo consacrasse l’interferometria laser, grazie a una brillante idea del fisico Joseph Weber. Il principio su cui si fonda quest’idea è molto semplice. Quando un corpo elastico viene colpito o sollecitato da un segnale periodico, inizia a vibrare. Se la frequenza del segnale assume dei valori specifici, che dipendono dalle proprietà fisiche del corpo stesso, questo entra in risonanza e le oscillazioni si amplificano enormemente. Weber pensò di sfruttare proprio questo effetto, intuendo che il passaggio di un’onda gravitazionale, comprimendo e stirando lo spazio, avrebbe potuto far entrare in risonanza delle pesanti barre metalliche. Weber ebbe quest’idea dopo aver ascoltato Richard Feynmann alla storica conferenza di Chapel Hill nel 1957, durante la quale il noto fisico americano aveva esposto il seguente argomento: se le onde gravitazionali avevano realtà fisica, fatto sul quale all’epoca non tutti erano d’accordo, allora dovevano necessariamente trasportare energia e questa poteva essere dissipata, rendendo quindi possibile la loro rivelazione diretta. Un ragionamento dalla limpidezza sconcertante, che portava lo studio le onde gravitazionali dal campo puramente teorico, cui erano rimaste confinate per quarant’anni, a quello sperimentale.
Joseph Weber il primo ad ipotizzare che un corpo, colpito da un’onda gravitazionale, dovesse vibrare.
Perseguendo tenacemente questa idea, negli anni che seguirono Weber e i suoi collaboratori realizzarono diversi detector di questo tipo, costituiti da cilindri di alluminio lunghi circa due metri e del peso di svariate tonnellate, sospesi in modo da isolarli dal rumore esterno e connessi a sensori piezoelettrici atti a rivelarne le vibrazioni. Facendo un parallelo musicale, si può immaginare il tutto come un sistema di microfoni che registrino il suono emesso da una campana tubolare quando il musicista la percuote col mazzuolo. Solo che nel caso delle barre di Weber l’ampiezza dell’oscillazione prevista attorno alla loro frequenza di risonanza (fra 1 e 2 kHz, quindi nel dominio delle frequenze udibili) era dell’ordine di 10⁻16 m: una frazione di metro pari a un decimilionesimo di miliardesimo — molto meno del diametro di un nucleo atomico. Le misure erano ostacolate dalle limitazioni tecnologiche e dall’elevato livello del rumore generato dall’agitazione termica all’interno del metallo, rumore che possiamo paragonare al fruscio in una registrazione. Per mitigare i disturbi ambientali, Weber usò coppie di rivelatori posti a mille chilometri di distanza e connessi da una rete telefonica veloce. Sulla base dei dati raccolti, alla fine degli anni ’60 annunciò di aver osservato eventi compatibili con le onde gravitazionali. Tuttavia, esperimenti indipendenti, fra i quali quelli condotti qui in Italia da Edoardo Amaldi, Guido Pizzella e i loro collaboratori, non confermarono i risultati di Weber, tanto che la comunità scientifica concluse che quei segnali dovevano essere spuri. Ciò nonostante, oltre ad aver dato un impulso fondamentale alla ricerca sperimentale sulle onde gravitazionali, l’idea seminale di Weber ebbe un importante ed immediato risvolto.
L’Antenna per l’ Apollo 17’s Lunar Seismic Profiling Experiment. Crediti NASA Apollo 17 photograph AS17-136-20704.
Infatti, dalla barra risonante alla gravimetria il passo concettuale è breve: invece di misurare le vibrazioni di un corpo che entri in risonanza, si possono rilevare minuscole variazioni del campo di gravità locale indotte dalle deformazioni globali subite dal corpo al passaggio di un’onda gravitazionale. Proprio con questo spirito — e con Weber tra i promotori — durante la missione Apollo 17 fu portato sulla Luna il Lunar Surface Gravimeter (LSG), uno strumento di precisione che avrebbe dovuto, nelle intenzioni di chi lo aveva ideato e progettato, misurare sia le deformazioni mareali della crosta lunare sia eventuali oscillazioni indotte dalle onde gravitazionali. L’LSG però mancò il suo obiettivo: un errore di taratura legato all’adattamento dell’apparato alla gravità lunare, la ridotta capacità di regolazione fine e alcuni problemi termici ne compromisero il funzionamento. In realtà, come si è capito in seguito, né le barre di Weber né l’LSG possedevano la sensibilità necessaria alla rivelazione diretta delle onde gravitazionali. Il concetto di entrambi gli esperimenti era troppo avanti rispetto alla tecnologia disponibile all’epoca, ma lasciava in eredità un’idea visionaria: che un corpo celeste potesse essere usato come un enorme rivelatore.
Genesi di un’Idea
Alla fine degli anni duemila, negli Stati Uniti si sta analizzando la fattibilità di un telescopio sotterraneo per le onde gravitazionali, concettualmente simile a quello dell’Einstein Telescope di cui si sta discutendo in Europa. Jan Harms è un post-doc alla University of Minnesota, ed è alla ricerca di un sito adatto al nuovo progetto. Sta studiando gli effetti del rumore ambientale a un chilometro e mezzo di profondità, in fondo ai cunicoli di una vecchia miniera d’oro nel South Dakota. Esegue dei test e raccoglie dati, finché si convince che la tecnica dell’interferometria laser, quella utilizzata da LIGO e Virgo, alle basse frequenze si sarebbe presto scontrata con dei limiti invalicabili, anche quando fosse stata impiegata a grandi profondità nel sottosuolo terrestre. Nonostante i vantaggi offerti da un rivelatore sotterraneo, non sarebbe mai stato possibile eliminare le fluttuazioni del campo di gravità causate dall’atmosfera e dalle onde sismiche.
Jan Harms il primo a riprendere l’ipotesi di Weber e avviare nuove indagini di approfondimento. È l’ideatore di LGWA
Harms giunge così alla conclusione che, per studiare le onde gravitazionali a frequenze inferiori a pochi Hertz, sarebbe stato necessario sviluppare altri concetti, nuove idee. Negli anni successivi prosegue la ricerca in quella direzione, con un gruppo di ricercatori che lavora allo studio di un ricevitore terrestre per la banda dei decihertz. A seguito di un incontro tenutosi alle Hawai’i nel 2012, quando Jan è ricercatore presso il Caltech, lui e i suoi collaboratori pubblicano un articolo in cui giungono ad una scoraggiante conclusione: non c’è alcuna strada tecnologicamente praticabile per ridurre il rumore di fondo terrestre in modo da rendere possibile l’osservazione di onde gravitazionali fra i 0.01 Hz e qualche Hz. La via sembra chiusa.
Nel corso del 2013, Harms prosegue i suoi studi sul rumore ambientale insieme a Michael Coughlin, uno studente della Harvard University. Per comprendere a fondo i limiti fondamentali imposti dal rumore ambientale, i due scaricano su un cluster del California Institute of Technology tutti i dati sismici allora pubblicamente disponibili. Ed è proprio durante l’analisi di quei dati che Harms s’imbatte in un articolo di Freeman Dyson — una lettura destinata a cambiare il corso delle sue ricerche e a gettare le basi della Lunar Gravitational Wave Antenna. In quella pubblicazione, uscita più di quarant’anni prima, Dyson presentava un modello di come un corpo come la Terra risponda alle sollecitazioni meccaniche indotte dal passaggio di onde gravitazionali. In linea di principio il risultato è promettente, ma l’ampiezza prevista per il segnale è così piccola che il rumore sismico e atmosferico lo sovrastano: anche questa via pare chiusa. Harms non si dà per vinto e lavora ad un metodo che gli permetta di ridurre questo disturbo. I dettagli sono complessi, ma il concetto è questo: è possibile diminuire il rumore se si dispone di misure indipendenti e simultanee, ed il risultato migliore si ottiene quando le stazioni sismografiche sono una agli antipodi dell’altra. Harms e Coughlin si mettono al lavoro e, correlando coppie di stazioni e anni di dati ottenuti da ogni stazione, calcolano i nuovi limiti di sensibilità. Il risultato è straordinario: l’utilizzo della correlazione fra coppie di segnali indipendenti permette una riduzione del rumore di cento milioni di volte. Harms e Coughlin pubblicano i loro risultati su Physical Review, in una serie di tre articoli. Nell’ultimo di questi utilizzano i dati raccolti dalle missioni Apollo. Nonostante la scarsità e la qualità delle informazioni a disposizione, i due ricercatori raggiungono un risultato fondamentale per gli sviluppi di questa storia: la Luna è il sito ideale per la realizzazione del concetto di misura ideato da Freeman Dyson nel 1969.
Gli studi si fermano per qualche anno e anche se l’idea rimane in sospeso, è troppo brillante per cadere nell’oblio. In occasione della Call for Ideas dell’ESA del 2020, dedicata all’esplorazione lunare con un grande lander europeo, un gruppo di ricercatori italiani si incontra per discutere un possibile progetto da presentare all’agenzia spaziale. Del gruppo fa parte anche Marica Branchesi, che si ricorda dei precedenti studi di Harms sui dati sismici lunari e propone di rimettere mano a quell’idea. La proposta viene accolta con entusiasmo e nel giro di poche settimane il concetto di LGWA prende forma.
Il progetto prevede l’installazione di almeno quattro stazioni sismiche, capaci di rilevare le oscillazioni della Luna nella banda che va da 1 millihertz a 10 hertz, nella regione del Mare delle Tempeste.
Le stazioni, disposte a formare un array di circa un chilometro di diametro, sarebbero state posizionate con precisione da una flotta di droni autonomi.
Poco tempo dopo si costituisce formalmente la collaborazione LGWA, che tiene il suo primo incontro ufficiale nell’autunno dello stesso anno. Nel 2021 viene pubblicato su The Astrophysical Journal il primo articolo dedicato al progetto, in cui vengono presentati il concetto generale e i primi studi sui casi scientifici della missione. Da quel momento la collaborazione cresce rapidamente, approfondendo sia gli aspetti scientifici che quelli tecnologici e avviando i primi contatti con potenziali partner industriali. Le attività di questa fase esplorativa culminano nell’autunno del 2024 con la pubblicazione del white paper, che presenta il progetto in forma dettagliata ed è frutto di una collaborazione internazionale che comprende oltre settanta ricercatori. L’articolo è disponibile a questo link https://arxiv.org/html/2404.09181v1 .
Dalla Terra alla Luna
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Mappa del cielo alle ore (TMEC): 01 DIC> 23:00 15 DIC> 22:00 30 DIC> 21:00
Nel dicembre 2025 il cielo offrirà numerosi eventi astronomici. Tre asteroidi saranno in opposizione: Psyche il 7, Sappho il 16 e Hygiea il 21, tutti osservabili con tempi di esposizione fino a 5 minuti. Saranno visibili la cometa 210/P Christensen, ancora luminosa dopo il perielio, e la cometa interstellare 3I ATLAS, seppur in calo. La ISS presenterà sei transiti notevoli tra il 14 e il 31, con magnitudini elevate. La Luna mostrerà tutte le fasi, dal Plenilunio del 5 al Novilunio del 20, fino al Primo Quarto del 27, arricchita da spettacolari osservazioni crateriche.
COSTELLAZIONI NEL CIELO DEL MESE DI DICEMBRE 2025
Il cielo di dicembre è dominato da Orione, facilmente riconoscibile anche in ambienti urbani. La costellazione ospita stelle brillanti come Rigel e Betelgeuse, quest’ultima parte del Triangolo Invernale e candidata a futura supernova. Celebri le nebulose vicine alla sua cintura, tra cui M42, Anello di Barnard e Nebulosa Testa di Cavallo, veri laboratori stellari. Ai suoi piedi si trova la costellazione della Lepre, meno evidente ma ricca di oggetti interessanti come l’ammasso globulare M79.
01/12 Sorge: h 05:43 Tramonta: h 15:48 31/12 Sorge: h 06:55 Tramonta: h 15:46
Il 7 dicembre, il pianeta raggiungerà la sua massima elongazione ovest di 20.8°, il punto di massima distanza angolare apparente a ovest del Sole, che rappresenta il momento ideale per la sua osservazione. L’elongazione si manterrà negativa per tutto il mese, da -18.3° il 1 dicembre a -12.4° il 31 dicembre, confermando la posizione a ovest del Sole. Il 27 dicembre, Mercurio attraverserà anche il suo nodo discendente. Mercurio sarà in congiunzione con la stella Antares il 18 dicembre, con una separazione di 5.7° a nord, quando, nello stesso giorno ci sarà anche un avvicinamento Luna-Mercurio. Il giorno 4 Mercurio sarà in dicotomia.
NAME
RA
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SUNDIST
EADIST
ELONG
MAG
DIAM
PHASE
RISE
TRAN
SET
1 Mercurio
15:16:27.6
-15:27:15.6
0.32422
0.84205
-18.3
0.1
8.0
35.5
05:43
10:45
15:48
2 Mercurio
15:17:38.0
-15:30:49.5
0.32858
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-19.1
0.0
7.8
40.0
05:41
10:43
15:45
3 Mercurio
15:19:22.8
-15:37:59.4
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-19.6
-0.1
7.6
44.4
05:39
10:41
15:43
4 Mercurio
15:21:38.9
-15:48:18.7
0.33829
0.91565
-20.1
-0.2
7.4
48.5
05:39
10:39
15:40
5 Mercurio
15:24:23.0
-16:01:21.0
0.34354
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-20.4
-0.3
7.2
52.4
05:38
10:38
15:38
6 Mercurio
15:27:32.4
-16:16:41.2
349
0.9646
-20.6
-0.4
7.0
56.0
05:39
10:38
15:37
7 Mercurio
15:31:04.3
-16:33:55.9
0.3546
0.9886
-20.7
-0.4
6.8
59.4
05:40
10:37
15:35
8 Mercurio
15:34:56.1
-16:52:43.6
0.36031
1.01213
-20.7
-0.4
6.7
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10:38
15:34
9 Mercurio
15:39:05.8
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1.03512
-20.7
-0.5
6.5
65.5
05:43
10:38
15:33
10 Mercurio
15:43:31.3
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1.05752
-20.6
-0.5
6.4
68.2
05:45
10:39
15:32
11 Mercurio
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1.07927
-20.4
-0.5
6.2
70.7
05:47
10:39
15:31
12 Mercurio
15:53:03.0
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1.10034
-20.2
-0.5
6.1
73.0
05:50
10:40
15:31
13 Mercurio
15:58:06.3
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-20.0
-0.5
6.0
75.1
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15:30
14 Mercurio
16:03:19.7
-19:02:06.2
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-0.5
5.9
77.1
05:55
10:43
15:30
15 Mercurio
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-19:24:23.5
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-0.5
5.8
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10:44
15:30
16 Mercurio
16:14:12.6
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-19.1
-0.5
5.7
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10:46
15:30
17 Mercurio
16:19:50.4
-20:08:09.4
0.41079
1195
-18.7
-0.5
5.6
82.0
06:05
10:48
15:30
18 Mercurio
16:25:35.0
-20:29:24.1
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1.21177
-18.3
-0.5
5.6
83.4
06:08
10:50
15:30
19 Mercurio
16:31:25.7
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-17.9
-0.5
5.5
84.7
06:12
10:52
15:31
20 Mercurio
16:37:21.9
-21:10:08.5
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-17.5
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5.4
85.9
06:15
10:54
15:31
21 Mercurio
16:43:23.3
-21:29:28.6
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-17.1
-0.5
5.4
87.0
06:19
10:56
15:32
22 Mercurio
16:49:29.3
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1.27187
-16.7
-0.5
5.3
88.0
06:22
10:58
15:33
23 Mercurio
16:55:39.8
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1.28521
-16.2
-0.5
5.2
88.9
06:26
11:00
15:34
24 Mercurio
17:01:54.4
-22:22:33.3
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-0.5
5.2
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11:03
15:35
25 Mercurio
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-0.5
5.1
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06:33
11:05
15:36
26 Mercurio
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-22:53:18.3
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-14.9
-0.5
5.1
91.3
06:37
11:07
15:37
27 Mercurio
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-0.5
5.1
92.0
06:41
11:10
15:39
28 Mercurio
17:27:28.1
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-0.5
5.0
92.7
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11:13
15:40
29 Mercurio
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06:48
11:15
15:42
30 Mercurio
17:40:33.4
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-0.5
5.0
93.9
06:51
11:18
15:44
31 Mercurio
17:47:10.1
-23:51:33.7
0.46081
1.36937
-12.4
-0.5
4.9
94.4
06:55
11:21
15:46
VENERE
01/12 Sorge: h 06:37 Tramonta: h 16:08 31/12 Sorge: h 07:41 Tramonta: h 16:34
Venere si avvicina rapidamente al Sole in dicembre 2025. L’elongazione (Elong) si riduce da −8.9 ° il 1° dicembre a −1.7° il 31 dicembre, indicando che il pianeta, pur trovandosi a ovest del Sole, si muove velocemente verso la congiunzione superiore. Nonostante la sua straordinaria brillantezza (magnitudine stabile a circa −3.9), la sua visibilità mattutina peggiora sensibilmente a causa della rapida diminuzione della distanza angolare dal Sole. All’inizio del mese, Venere sorge alle 06:37, circa 46 minuti prima del Sole (07:23), offrendo una breve finestra di osservazione sull’orizzonte orientale. Entro la fine di dicembre, Venere sorge alle 07:41, quasi in contemporanea con il Sole (07:43), rendendolo quasi indistinguibile nell’ultima settimana del mese a causa della luce dell’alba. Il 19 dicembre Venere attraversa il suo Nodo Discendente. Tra le congiunzioni, l’8 dicembre si verifica l’incontro con Antares a 5.1 ° nord, e il 19 dicembre si avrà la congiunzione Luna-Venere a 4.9° sud.
NAME
RA
DEC
SUNDIST
EADIST
ELONG
MAG
DIAM
PHASE
RISE
TRAN
SET
1 Venere
15:52:30.8
-19:29:24.4
0.72383
1.68196
-8.9
-3.9
10.0
98.9
06:37
11:23
16:08
2 Venere
15:57:42.4
-19:47:05.8
0.72396
1.68348
-8.6
-3.9
10.0
98.9
06:40
11:25
16:08
3 Venere
16:02:55.1
-20:04:13.9
0.7241
1.68495
-8.4
-3.9
10.0
99.0
06:43
11:26
16:08
4 Venere
16:08:09.0
-20:20:48.0
0.72423
1.68638
-8.1
-3.9
10.0
99.1
06:45
11:27
16:08
5 Venere
16:13:24.0
-20:36:47.4
0.72437
1.68777
-7.9
-3.9
10.0
99.1
06:48
11:29
16:08
6 Venere
16:18:40.1
-20:52:11.4
0.7245
1.68912
-7.7
-3.9
10.0
99.2
06:50
11:30
16:09
7 Venere
16:23:57.3
-21:06:59.5
0.72463
1.69044
-7.4
-3.9
10.0
99.2
06:53
11:31
16:09
8 Venere
16:29:15.6
-21:21:10.9
0.72477
1.69171
-7.2
-3.9
9.9
99.3
06:55
11:33
16:09
9 Venere
16:34:34.9
-21:34:45.0
0.7249
1.69294
-6.9
-3.9
9.9
99.3
06:58
11:34
16:09
10 Venere
16:39:55.2
-21:47:41.2
0.72503
1.69413
-6.7
-3.9
9.9
99.4
07:00
11:35
16:10
11 Venere
16:45:16.4
-21:59:58.9
0.72515
1.69528
-6.4
-3.9
9.9
99.4
07:02
11:37
16:10
12 Venere
16:50:38.6
-22:11:37.6
0.72528
1.69639
-6.2
-3.9
9.9
99.5
07:05
11:38
16:11
13 Venere
16:56:01.7
-22:22:36.6
0.7254
1.69746
-5.9
-3.9
9.9
99.5
07:07
11:40
16:12
14 Venere
17:01:25.6
-22:32:55.6
0.72553
1.69848
-5.7
-3.9
9.9
99.5
07:09
11:41
16:12
15 Venere
17:06:50.4
-22:42:33.9
0.72565
1.69947
-5.5
-3.9
9.9
99.6
07:12
11:43
16:13
16 Venere
17:12:15.9
-22:51:31.2
0.72577
1.70041
-5.2
-3.9
9.9
99.6
07:14
11:44
16:14
17 Venere
17:17:42.1
-22:59:47.0
0.72589
1.70131
-5.0
-3.9
9.9
99.7
07:16
11:46
16:15
18 Venere
17:23:08.9
-23:07:20.9
726
1.70217
-4.7
-3.9
9.9
99.7
07:18
11:47
16:16
19 Venere
17:28:36.4
-23:14:12.6
0.72612
1.70299
-4.5
-3.9
9.9
99.7
07:20
11:49
16:17
20 Venere
17:34:04.4
-23:20:21.7
0.72623
1.70377
-4.2
-3.9
9.9
99.7
07:22
11:50
16:18
21 Venere
17:39:32.9
-23:25:47.8
0.72634
1.70451
-4.0
-3.9
9.9
99.8
07:24
11:52
16:19
22 Venere
17:45:01.8
-23:30:30.8
0.72644
1.7052
-3.8
-3.9
9.9
99.8
07:26
11:53
16:20
23 Venere
17:50:31.0
-23:34:30.3
0.72655
1.70586
-3.5
-3.9
9.9
99.8
07:28
11:55
16:21
24 Venere
17:56:00.6
-23:37:46.2
0.72665
1.70647
-3.3
-3.9
9.9
99.8
07:30
11:56
16:23
25 Venere
18:01:30.3
-23:40:18.3
0.72675
1.70704
-3.1
-3.9
9.9
99.9
07:32
11:58
16:24
26 Venere
18:07:00.3
-23:42:06.3
0.72684
1.70758
-2.8
-3.9
9.9
99.9
07:33
11:59
16:25
27 Venere
18:12:30.3
-23:43:10.4
0.72694
1.70807
-2.6
-3.9
9.8
99.9
07:35
12:01
16:27
28 Venere
18:18:00.4
-23:43:30.2
0.72703
1.70852
-2.4
-3.9
9.8
99.9
07:36
12:03
16:29
29 Venere
18:23:30.5
-23:43:05.9
0.72712
1.70893
-2.1
-3.9
9.8
99.9
07:38
12:04
16:30
30 Venere
18:29:00.5
-23:41:57.4
0.7272
1.70931
-1.9
-3.9
9.8
99.9
07:39
12:06
16:32
31 Venere
18:34:30.3
-23:40:04.7
0.72729
1.70964
-1.7
-3.9
9.8
100.0
07:41
12:07
16:34
MARTE
01/12 Sorge: h 08:17 Tramonta: h 17:09 31/12 Sorge: h 07:58 Tramonta: h 16:49
Il pianeta Marte in dicembre 2025 sarà in una posizione estremamente sfavorevole per l’osservazione, essendo un oggetto del cielo mattutino che si avvicina rapidamente al Sole. La sua elongazione (ELONG), che misura la distanza angolare dal Sole, diminuisce costantemente da 10.3° il 1° dicembre a soli 2.5° il 31 dicembre. Questa drastica riduzione significa che Marte è quasi in congiunzione con il Sole, rendendolo difficile, se non impossibile, da osservare. La sua magnitudine apparente si mantiene su valori modesti (attorno a 1.3) per tutto il periodo. L’unico evento che coinvolge direttamente Marte è la congiunzione Luna-Marte del 20 dicembre alle 13:30:01 in pieno giorno, con una separazione di 3.8° a sud.
NAME
RA
DEC
SUNDIST
EADIST
ELONG
MAG
DIAM
PHASE
RISE
TRAN
SET
1 Marte
17:13:03.8
-23:39:54.2
1.46421
2.42387
10.3
1.3
3.9
99.6
08:17
12:43
17:09
2 Marte
17:16:17.5
-23:43:52.5
1.46298
2.42384
10.0
1.3
3.9
99.7
08:16
12:42
17:08
3 Marte
17:19:31.6
-23:47:36.2
1.46176
2.42378
9.7
1.3
3.9
99.7
08:16
12:41
17:07
4 Marte
17:22:46.1
-23:51:05.2
1.46054
2.4237
9.5
1.3
3.9
99.7
08:15
12:41
17:06
5 Marte
17:26:01.0
-23:54:19.2
1.45932
2.42358
9.2
1.3
3.9
99.7
08:15
12:40
17:05
6 Marte
17:29:16.3
-23:57:18.4
1.45811
2.42344
8.9
1.3
3.9
99.7
08:14
12:39
17:04
7 Marte
17:32:32.0
-24:00:02.5
1.45691
2.42327
8.7
1.3
3.9
99.7
08:14
12:39
17:03
8 Marte
17:35:48.1
-24:02:31.5
1.4557
2.42307
8.4
1.3
3.9
99.8
08:14
12:38
17:02
9 Marte
17:39:04.5
-24:04:45.2
1.45451
2.42285
8.1
1.3
3.9
99.8
08:13
12:37
17:01
10 Marte
17:42:21.2
-24:06:43.6
1.45332
2.4226
7.9
1.3
3.9
99.8
08:13
12:37
17:01
11 Marte
17:45:38.2
-24:08:26.5
1.45213
2.42232
7.6
1.3
3.9
99.8
08:12
12:36
17:00
12 Marte
17:48:55.6
-24:09:53.9
1.45095
2.42202
7.4
1.3
3.9
99.8
08:11
12:35
16:59
13 Marte
17:52:13.2
-24:11:05.7
1.44978
2.42169
7.1
1.3
3.9
99.8
08:11
12:35
16:58
14 Marte
17:55:31.1
-24:12:01.8
1.44861
2.42133
6.8
1.3
3.9
99.8
08:10
12:34
16:58
15 Marte
17:58:49.3
-24:12:42.1
1.44745
2.42095
6.6
1.3
3.9
99.8
08:10
12:33
16:57
16 Marte
18:02:07.7
-24:13:06.6
1.4463
2.42055
6.3
1.3
3.9
99.9
08:09
12:33
16:56
17 Marte
18:05:26.4
-24:13:15.3
1.44515
2.42011
6.0
1.3
3.9
99.9
08:09
12:32
16:56
18 Marte
18:08:45.3
-24:13:08.1
1.44401
2.41965
5.8
1.3
3.9
99.9
08:08
12:32
16:55
19 Marte
18:12:04.4
-24:12:44.9
1.44287
2.41917
5.5
1.3
3.9
99.9
08:07
12:31
16:54
20 Marte
18:15:23.7
-24:12:05.8
1.44174
2.41866
5.3
1.2
3.9
99.9
08:07
12:30
16:54
21 Marte
18:18:43.1
-24:11:10.6
1.44062
2.41813
5.0
1.2
3.9
99.9
08:06
12:30
16:53
22 Marte
18:22:02.7
-24:09:59.4
1.4395
2.41757
4.8
1.2
3.9
99.9
08:05
12:29
16:53
23 Marte
18:25:22.4
-24:08:32.1
1.43839
2.41698
4.5
1.2
3.9
99.9
08:04
12:28
16:52
24 Marte
18:28:42.3
-24:06:48.7
1.43729
2.41638
4.3
1.2
3.9
99.9
08:04
12:28
16:52
25 Marte
18:32:02.2
-24:04:49.3
1.4362
2.41575
4.0
1.2
3.9
99.9
08:03
12:27
16:51
26 Marte
18:35:22.2
-24:02:33.7
1.43511
2.41509
3.8
1.2
3.9
99.9
08:02
12:27
16:51
27 Marte
18:38:42.2
-24:00:01.9
1.43403
2.41442
3.5
1.2
3.9
100.0
08:01
12:26
16:51
28 Marte
18:42:02.3
-23:57:14.1
1.43296
2.41372
3.3
1.2
3.9
100.0
08:01
12:25
16:50
29 Marte
18:45:22.4
-23:54:10.1
1.43189
2413
3.0
1.2
3.9
100.0
08:00
12:25
16:50
30 Marte
18:48:42.6
-23:50:50.0
1.43084
2.41226
2.8
1.2
3.9
100.0
07:59
12:24
16:50
31 Marte
18:52:02.7
-23:47:13.8
1.42979
2.41151
2.5
1.2
3.9
100.0
07:58
12:24
16:49
GIOVE
01/12 Sorge: h 19:43 Tramonta: h 10:44 31/12 Sorge: h 17:29 Tramonta: h 08:36
Giove sarà il gigante del cielo notturno a dicembre 2025, con una visibilità eccellente che durerà per quasi tutta la notte. La sua elongazione (distanza angolare dal Sole) è molto ampia e crescente, passando da −134.5° all’inizio del mese fino a −168.0 °il 31 dicembre, avvicinandosi all’opposizione e mantenendo una magnitudine molto alta (circa −2.6). Il pianeta sorge il 1° dicembre alle 19:43, diverse ore dopo il tramonto del Sole (16:36), e resta visibile fino alle 10:44 del mattino, ben dopo l’alba (07:23). Entro la fine del mese, la sua visibilità è ancora migliore: il 31 dicembre, Giove sorge alle 17:29 e tramonta alle 08:36, restando osservabile per l’intera durata della notte astronomica. L’evento principale del mese sarà la congiunzione Luna-Giove che avverrà il 7 dicembre alle 16:49:28, con i due corpi celesti separati da 3.7° a nord. Questo evento sarà ben visibile nel cielo serale.
NAME
RA
DEC
SUNDIST
EADIST
ELONG
MAG
DIAM
PHASE
RISE
TRAN
SET
1 Giove
07:45:56.0
21:22:11.7
5.20058
4.46191
-134.5
-2.5
44.1
99.5
19:43
03:15
10:44
2 Giove
07:45:39.8
21:23:02.0
5.20094
4.45107
-135.5
-2.5
44.2
99.6
19:39
03:11
10:40
3 Giove
07:45:22.7
21:23:54.1
5.20131
4.44045
-136.6
-2.5
44.3
99.6
19:34
03:07
10:36
4 Giove
07:45:05.0
21:24:48.0
5.20167
4.43004
-137.7
-2.6
44.4
99.6
19:30
03:03
10:32
5 Giove
07:44:46.4
21:25:43.7
5.20203
4.41984
-138.8
-2.6
44.5
99.6
19:26
02:58
10:27
6 Giove
07:44:27.2
21:26:41.1
5.2024
4.40988
-139.9
-2.6
44.6
99.6
19:21
02:54
10:23
7 Giove
07:44:07.2
21:27:40.1
5.20276
4.40014
-141.0
-2.6
44.7
99.6
19:17
02:50
10:19
8 Giove
07:43:46.5
21:28:40.9
5.20313
4.39064
-142.1
-2.6
44.8
99.7
19:12
02:46
10:15
9 Giove
07:43:25.0
21:29:43.3
5.20349
4.38137
-143.2
-2.6
44.9
99.7
19:08
02:41
10:11
10 Giove
07:43:02.9
21:30:47.2
5.20385
4.37234
-144.3
-2.6
45.0
99.7
19:04
02:37
10:07
11 Giove
07:42:40.1
21:31:52.5
5.20422
4.36356
-145.4
-2.6
45.1
99.7
18:59
02:33
10:02
12 Giove
07:42:16.5
21:32:59.4
5.20458
4.35503
-146.5
-2.6
45.2
99.7
18:55
02:28
09:58
13 Giove
07:41:52.4
21:34:07.5
5.20495
4.34676
-147.6
-2.6
45.3
99.7
18:50
02:24
09:54
14 Giove
07:41:27.5
21:35:17.0
5.20531
4.33874
-148.7
-2.6
45.3
99.8
18:46
02:20
09:50
15 Giove
07:41:02.1
21:36:27.8
5.20567
4.33099
-149.8
-2.6
45.4
99.8
18:41
02:15
09:46
16 Giove
07:40:36.0
21:37:39.7
5.20604
4.32351
-151.0
-2.6
45.5
99.8
18:37
02:11
09:41
17 Giove
07:40:09.3
21:38:52.8
5.2064
4.31629
-152.1
-2.6
45.6
99.8
18:32
02:07
09:37
18 Giove
07:39:42.1
21:40:06.9
5.20677
4.30935
-153.2
-2.6
45.7
99.8
18:28
02:02
09:33
19 Giove
07:39:14.3
21:41:22.1
5.20713
4.30269
-154.3
-2.6
45.7
99.8
18:23
01:58
09:29
20 Giove
07:38:45.9
21:42:38.3
5.20749
4.29631
-155.5
-2.6
45.8
99.8
18:19
01:53
09:24
21 Giove
07:38:17.0
21:43:55.3
5.20786
4.29021
-156.6
-2.6
45.9
99.9
18:14
01:49
09:20
22 Giove
07:37:47.7
21:45:13.2
5.20822
4.28441
-157.7
-2.6
45.9
99.9
18:10
01:45
09:15
23 Giove
07:37:17.8
21:46:31.9
5.20858
4.27889
-158.9
-2.6
46.0
99.9
18:05
01:40
09:11
24 Giove
07:36:47.5
21:47:51.2
5.20895
4.27367
-160.0
-2.6
46.0
99.9
18:01
01:36
09:07
25 Giove
07:36:16.7
21:49:11.2
5.20931
4.26875
-161.1
-2.6
46.1
99.9
17:56
01:31
09:02
26 Giove
07:35:45.6
21:50:31.7
5.20967
4.26412
-162.3
-2.7
46.1
99.9
17:52
01:27
08:58
27 Giove
07:35:14.0
21:51:52.6
5.21004
4.2598
-163.4
-2.7
46.2
99.9
17:47
01:22
08:54
28 Giove
07:34:42.1
21:53:13.9
5.2104
4.25578
-164.6
-2.7
46.2
99.9
17:43
01:18
08:49
29 Giove
07:34:09.8
21:54:35.5
5.21077
4.25206
-165.7
-2.7
46.3
99.9
17:38
01:13
08:45
30 Giove
07:33:37.2
21:55:57.3
5.21113
4.24865
-166.9
-2.7
46.3
100.0
17:34
01:09
08:40
31 Giove
07:33:04.3
21:57:19.2
5.21149
4.24555
-168.0
-2.7
46.3
100.0
17:29
01:04
08:36
SATURNO
01/12 Sorge: h 13:27 Tramonta: h 01:04 31/12 Sorge: h 15:29 Tramonta: h 23:07
Il pianeta Saturno in dicembre 2025 sarà un ottimo oggetto per l’osservazione serale. La sua elongazione (distanza angolare dal Sole) diminuisce da 106° all’inizio del mese a 79.8° alla fine, mantenendosi ben distante dal bagliore solare e con una magnitudine di circa 1.1. La visibilità è massima nella prima parte della notte. Il 1° dicembre, Saturno sorge alle 13:27, transita alle 19:13 e tramonta all’01:04 del giorno successivo, restando visibile per circa otto ore e mezza dopo il tramonto del Sole (16:36). Entro fine mese, la sua visibilità si riduce leggermente, ma rimane eccellente: il 31 dicembre, Saturno tramonta alle 23:18, offrendo ancora circa sei ore e mezza di osservazione dopo il tramonto. L’evento principale del mese è la congiunzione Luna-Saturno, che si verificherà il 27 dicembre (4.0^°N), ben osservabile nel cielo serale.
Urano (mag. 5.6) sarà visibile quasi tutta la notte. La sua elongazione resta alta, passando da 170.1° a 142.7°. Sorge alle 15:53 l’1/12 e resta in cielo fino all’alba. Evento principale: congiunzione Luna il 4 dicembre.
Nettuno (mag. 7.9) non è alla portata di telescopi amatoriali. La sua elongazione scende da 110.4° a 84.0°. L’1/12 sorge alle 13:31 e tramonta all’01:28.
NAME
RA
DEC
SUNDIST
EADIST
ELONG
MAG
DIAM
PHASE
RISE
TRAN
SET
1 Nettuno
23:59:56.8
-01:28:47.7
29.88549
29.52765
110.4
7.9
2.5
100.0
13:31
19:27
01:28
2 Nettuno
23:59:55.6
-01:28:53.0
29.88547
29.54398
109.4
7.9
2.5
100.0
13:27
19:23
01:24
3 Nettuno
23:59:54.5
-01:28:57.5
29.88544
29.5604
108.4
7.9
2.5
100.0
13:23
19:19
01:20
4 Nettuno
23:59:53.6
-01:29:01.1
29.88542
29.57692
107.3
7.9
2.5
100.0
13:19
19:15
01:16
5 Nettuno
23:59:52.8
-01:29:03.9
29.88539
29.59353
106.3
7.9
2.5
100.0
13:15
19:11
01:12
6 Nettuno
23:59:52.1
-01:29:05.9
29.88537
29.61022
105.3
7.9
2.5
100.0
13:11
19:07
01:08
7 Nettuno
23:59:51.6
-01:29:07.0
29.88534
29627
104.3
7.9
2.5
100.0
13:07
19:03
01:04
8 Nettuno
23:59:51.1
-01:29:07.3
29.88532
29.64385
103.3
7.9
2.5
100.0
13:03
18:59
01:00
9 Nettuno
23:59:50.8
-01:29:06.8
29.88529
29.66076
102.3
7.9
2.5
100.0
12:59
18:55
00:56
10 Nettuno
23:59:50.6
-01:29:05.5
29.88526
29.67775
101.2
7.9
2.5
100.0
12:55
18:51
00:52
11 Nettuno
23:59:50.5
-01:29:03.4
29.88524
29.6948
100.2
7.9
2.5
100.0
12:51
18:47
00:48
12 Nettuno
23:59:50.6
-01:29:00.5
29.88521
29.7119
99.2
7.9
2.5
100.0
12:47
18:43
00:44
13 Nettuno
23:59:50.8
-01:28:56.7
29.88519
29.72905
98.2
7.9
2.5
100.0
12:43
18:39
00:40
14 Nettuno
23:59:51.1
-01:28:52.2
29.88516
29.74624
97.2
7.9
2.5
100.0
12:39
18:35
00:36
15 Nettuno
23:59:51.5
-01:28:46.7
29.88514
29.76348
96.2
7.9
2.5
100.0
12:35
18:31
00:32
16 Nettuno
23:59:52.1
-01:28:40.4
29.88511
29.78075
95.2
7.9
2.5
100.0
12:31
18:28
00:28
17 Nettuno
23:59:52.8
-01:28:33.3
29.88508
29.79804
94.1
7.9
2.5
100.0
12:27
18:24
00:24
18 Nettuno
23:59:53.6
-01:28:25.3
29.88506
29.81536
93.1
7.9
2.5
100.0
12:23
18:20
00:20
19 Nettuno
23:59:54.6
-01:28:16.5
29.88503
29.8327
92.1
7.9
2.5
100.0
12:19
18:16
00:16
20 Nettuno
23:59:55.7
-01:28:06.8
29.88501
29.85005
91.1
7.9
2.4
100.0
12:15
18:12
00:13
21 Nettuno
23:59:56.9
-01:27:56.2
29.88498
29.8674
90.1
7.9
2.4
100.0
12:11
18:08
00:09
22 Nettuno
23:59:58.3
-01:27:44.9
29.88496
29.88476
89.1
7.9
2.4
100.0
12:08
18:04
00:05
23 Nettuno
23:59:59.7
-01:27:32.7
29.88493
29.90211
88.1
7.9
2.4
100.0
12:04
00:02
00:01
24 Nettuno
00:00:01.3
-01:27:19.7
29.88491
29.91944
87.1
7.9
2.4
100.0
12:00
20:34
23:53
25 Nettuno
00:00:03.1
-01:27:05.9
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29.93677
86.0
7.9
2.4
100.0
11:56
17:56
23:50
26 Nettuno
00:00:04.9
-01:26:51.4
29.88486
29.95406
85.0
7.9
2.4
100.0
11:52
17:52
23:46
27 Nettuno
00:00:06.9
-01:26:36.0
29.88483
29.97134
84.0
7.9
2.4
100.0
11:48
17:48
23:42
28 Nettuno
00:00:09.0
-01:26:19.8
29.8848
29.98857
83.0
7.9
2.4
100.0
11:44
17:45
23:38
29 Nettuno
00:00:11.2
-01:26:02.8
29.88478
30.00577
82.0
7.9
2.4
100.0
11:41
17:41
23:34
30 Nettuno
00:00:13.6
-01:25:44.9
29.88475
30.02293
81.0
7.9
2.4
100.0
11:37
17:37
23:30
31 Nettuno
00:00:16.0
-01:25:26.3
29.88473
30.04004
80.0
7.9
2.4
100.0
11:33
17:33
23:26
LUNA
Nel dicembre 2025 la Luna offrirà varie opportunità osservative: Plenilunio il 5 con visibilità del cratere Bailly, Ultimo Quarto l’11, Novilunio il 20 e Primo Quarto il 27 con osservazione del Deslandres. Falci calanti tra il 16 e 18 e crescenti il 21 e 22. Librations favorevoli nella Regione Polare Meridionale (3-5 dicembre). Possibili limitazioni meteo a fine mese.
L’articolo completo dedicato alla Luna è a cura di Francesco Badalotti e disponibile QUI
ASTEROIDI – PICCOLI MONDI
Nel dicembre 2025 saranno osservabili tre importanti asteroidi in opposizione: (16) Psyche, oggetto metallico oggetto di missione NASA, (80) Sappho di tipo roccioso e (10) Hygiea, tra i più massivi della fascia principale. Raggiungeranno magnitudini tra la nona e la decima, con tempi di esposizione ottimali fino a 5 minuti per immagini puntiformi.
L’articolo completo sugli asteroidi del mese di Novembre è a cura di Marco Iozzi e disponibile QUI
COMETE
Nel dicembre 2025 la ISS sarà facilmente osservabile nei cieli italiani prima dell’alba, con sei transiti molto luminosi tra il 14 e il 31 del mese, alcuni con magnitudini fino a -3.8. Un’occasione ideale per appassionati e curiosi: basterà un cielo sereno e un luogo buio per seguire il passaggio rapido della Stazione Spaziale Internazionale.
L’articolo completo sulle comete di Novembre è a cura di Claudio Pra e disponibile QUI
TRANSITI STAZIONE SPAZIALE INTERNAZIONALE
I Transiti maggiori nel nostro cielo della ISS International Space Station per il mese di Dicembre a cura di Giuseppe Petricca disponibile QUI
Nel numero 138 della rubrica Supernovae si segnala la scoperta amatoriale della supernova SN2025aceh nella galassia UGC640 (Pesci), distante 520 milioni di anni luce. Scoperta il 1° novembre 2025 con magnitudine +18,5, ha raggiunto circa +17. Classificata come tipo Ia da Claudio Balcon, che raggiunge 195 supernovae classificate per primo, record mondiale.
La rubrica completa dedicata alla Supernovae a cura di Fabio Briganti e Riccardo Mancini è disponibile QUI
Psyche fu scoperto da Annibale de Gasparis a Napoli il 17 marzo 1852, gli fu dedicato il nome dalla dea greca dell’anima. Percorre un’orbita nella fascia principale esterna con semiasse di 2,92 Unità Astronomiche, eccentricità di 0,134 e inclinazione di 3,1 gradi, completando una rivoluzione intorno al Sole in circa 5 anni. Si colloca tra i maggiori corpi della fascia principale, contenendone circa l’1% della massa complessiva, ed è il più massiccio tra gli asteroidi di classe M/X, ricchi in metalli.
Dal punto di vista fotometrico, l’analisi delle curve di luce racconta un periodo di rotazione di 4,19 ore, con un’ ampiezza di variazione modesta. Le inversioni di curve di luce, combinate con altre tecniche osservative dal suolo, forniscono l’immagine di un oggetto che ruota mostrandoci prevalentemente il suo aspetto equatoriale.
Psyche misura circa 230 km di diametro e presenta una figura piuttosto irregolare. Questo imponente asteroide sarà oggetto di studi approfonditi in situ, grazie alla missione NASA Psyche, lanciata il 13 ottobre 2023 e in rotta per un arrivo stimato nel 2029. È la prima esplorazione dedicata a un asteroide ricco di metalli: a bordo, il radar a microonde e gli spettrometri mapperanno composizione, struttura e campo gravitazionale per fare luce tra le ipotesi che vedono Psyche come il nucleo metallico esposto di un antico protopianeta, oppure come una aggregazione di frammenti metallici e rocciosi.
Come e quando osservarlo
Psyche sarà in opposizione il 7 dicembre momento nel quale raggiungerà la nona magnitudine. Il suo moto sarà di 0,57 secondi d’arco al minuto, quindi, per far sì che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo Psyche trasformarsi in una bella striscia luminosa di 22 secondi d’arco
(80) Sappho
Sappho fu scoperto da Norman Robert Pogson il 2 maggio 1864 al Madras Observatory, in India. Fu dedicato alla poetessa di Lesbo, secondo la consuetudine ottocentesca di assegnare ai pianetini nomi della tradizione classica. Percorre un’orbita nella fascia principale interna con semiasse maggiore di 2,29 Unità Astronomiche, eccentricità di 0,20 e inclinazione di 8,7 gradi, per un periodo di rivoluzione intorno al Sole di 3,48 anni. Sappho ha un diametro medio di circa 69 km, con l’albedo tipico degli asterotidi di tipo S a composizione prevalentemente rocciosa. L’analisi delle curve di luce inquadra un periodo di rotazione di 14,03 ore, e le tecniche di inversione, assieme ai risultati delle occultazioni e delle osservazioni al suolo, descrivono un oggetto dalla forma moderatamente allungata.
Come e quando osservarlo
Sappho sarà in opposizione il 16 dicembre momento nel quale raggiungerà la decima magnitudine. Il suo moto sarà di 0,73 secondi d’arco al minuto, quindi, per far sì che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo Sappho trasformarsi in una bella striscia luminosa di 29 secondi d’arco.
(10) Hygiea
Hygiea è stato scoperto da Annibale de Gasparis il 12 aprile 1849 a Napoli. E’ il quarto oggetto per massa e volume della fascia principale. Con un diametro medio di 434 km, si stima che da solo contenga circa il 3% della massa complessiva dell’intera fascia. Percorre un’orbita nella fascia esterna con semiasse maggiore di 3,14 Unità Astronomiche, eccentricità di 0,11 e inclinazione di 3,83 gradi, completando una rivoluzione intorno al Sole in 5,58 anni terrestri.
Dal punto di vista fisico, Hygiea è un asteroide di tipo C con una superficie molto scura e poco riflettente, composta da materiali carbonacei primordiali. Questo basso albedo comporta che, nonostante le dimensioni considerevoli, l’asteroide risulti sempre piuttosto debole ai nostri telescopi, raggiungendo la nona magnitudine esclusivamente durante le opposizioni più favorevoli. Le curve di luce fissano il periodo di rotazione in 13,83 ore e le osservazioni al suolo del Very Large Telescope (VLT) rivelano una forma quasi sferica, segnata da due grandi crateri da impatto, rispettivamente di 180 e 90 km di diametro, con un’area più chiara, interpretata come materiale subsuperficiale esposto recentemente, probabilmente a seguito di un impatto.
Hygiea è il capostipite della vasta famiglia omonima. Si ritiene che questo raggruppamento sia nato da una collisione catastrofica con un altro grande corpo che avrebbe distrutto l’asteroide originale: la maggior parte dei frammenti si sarebbe poi riaggregata per gravità formando l’attuale Hygiea, mentre gli altri sono andati a costituire i membri della sua famiglia.
Come e quando osservarlo
Hygiea sarà in opposizione il 21 dicembre momento nel quale raggiungerà la decima magnitudine. Il suo moto sarà di 0,52 secondi d’arco al minuto, quindi, per far sì che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo Hygiea trasformarsi in una bella striscia luminosa di 21 secondi d’arco.
Asteroidi del mese di Novembre 2025
(12) Victoria
Scoperta e nomenclatura
(12) Victoria fu scoperto da John Russell Hind il 13 settembre 1850 al Bishop’s Observatory di Londra. La scelta del nome generò un piccolo caso diplomatico nell’astronomia vittoriana: ufficialmente dedicato alla dea romana Victoria, il nome coincideva con quello della regina regnante. B. A. Gould, allora direttore dell’Astronomical Journal, adottò provvisoriamente “Clio” per evitare l’equivoco; la comunità, però, riconobbe che l’intitolazione mitologica era legittima e il nome “Victoria” fu quindi adottato in modo definitivo (il nome Clio fu poi assegnato al n. 84).
Parametri orbitali
Victoria percorre un’orbita nella fascia principale interna media con semiasse maggiore di 2,33 UA, eccentricità di 0,22 e inclinazione di 8,37°; completa una rivoluzione in circa 3,57 anni. Questi valori la collocano in un corridoio dinamico relativamente tranquillo, lontano dalle risonanze più pericolose con Giove.
Caratteristiche fisiche e composizione
Le misure termiche e le modellazioni più recenti convergono su un diametro medio dell’ordine di 112–124 km e su un’albedo geometrica di circa 0,16–0,18. Dal punto di vista tassonomico, Victoria è classificato come un asteroide di tipo S nella scala di Tholen ma L-type nella SMASS/Bus–DeMeo: un profilo “intermedio” all’interno del complesso silicaceo che rimanda a superfici dominate da olivina/pirosseno. Le immagini ad alta risoluzione e gli studi sulla forma indicano un corpo allungato, coerente con la moderata irregolarità suggerita dalla fotometria. Alcune analisi storiche hanno persino ipotizzato la presenza di un compagno, ipotesi che resta comunque ad oggi non confermata.
Analisi fotometrica e periodo di rotazione
La fotometria raccolta in molte opposizioni fissa un periodo di rotazione di 8,66 ore. L’ampiezza della curva di luce è moderata e varia con l’aspetto, come ci si attende da un corpo triassale. I modelli da inversione di curve di luce, oggi archiviati in DAMIT, restituiscono una forma convessa allungata e soluzioni dell’asse di rotazione compatibili con l’andamento delle curve.
Dinamica orbitale e interazioni gravitazionali
Con dimensioni superiori al centinaio di chilometri, Victoria è poco sensibile ai lenti meccanismi di migrazione termica (Yarkovsky/YORP); i suoi elementi propri restano sostanzialmente stabili su scale di tempo di milioni di anni. Le risonanze principali con Giove sono a distanza di sicurezza e non emergono evidenze di una famiglia collisiva genetica dominata da Victoria: l’asteroide appare piuttosto come un grande membro del background silicaceo della fascia media-interna.
Come e quando osservarlo
(12) Victoria sarà in opposizione il 5 novembre momento nel quale raggiungerà la nona magnitudine. Il suo moto sarà di 0,73 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 4 minuti. Per ottenere una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo Victoria trasformarsi in una bella striscia luminosa di 29 secondi d’arco.
(471) Papagena
Scoperta e denominazione
(471) Papagena fu scoperto da Max Wolf il 7 giugno 1901 all’osservatorio di Heidelberg-Königstuhl, in piena “età dell’astrofotografia” inaugurata proprio dal gruppo di Wolf. Il nome è un omaggio alla Papagena del Flauto magico di Mozart: un dettaglio che restituisce bene l’aria di quegli anni, quando la mitologia classica e l’opera europea alimentavano la fantasia dei battezzatori di pianetini.
Parametri orbitali
Papagena percorre un’orbita nella fascia principale esterna con semiasse maggiore di 2,88 UA, eccentricità di 0,23 e inclinazione di 15°; completa una rivoluzione in 4,91 anni. Questi valori inquadrano un corpo dinamicamente tranquillo, esterno ai corridoi più perturbati dalle grandi risonanze con Giove.
Caratteristiche fisiche e composizione
La fotometria termica e le campagne osservative convergono su una taglia dell’ordine di 130–140 km; molte pubblicazioni adottano un valore medio vicino a 137 km, coerente con i diametri radiometrici AKARI/NEOWISE e con le modellazioni più recenti. L’albedo geometrica è moderata (circa 0,16-0,18). Dal punto di vista spettroscopico Papagena rientra nella classe S (silicacei), con bande da olivina/clinopirosseno nel vicino infrarosso: un quadro che la distingue dalla popolazione più scura dei carbonacei puri e la colloca tra gli S classici della fascia esterna.
Analisi fotometrica e periodo di rotazione
Le curve di luce sono uno dei tratti più curiosi di Papagena. Già nel 1976, con fotometria fotoelettrica all’ESO, A. Surdej misurò un periodo sinodico di circa 7 ore e, soprattutto, documentò una struttura insolita a triplo massimo/triplo minimo, invece della classica doppia modulazione attesa per un corpo triaxiale. Studi successivi hanno confermato un periodo di 7,11 ore e ampiezza tipica tra 0,08 e 0,13 magnitudini, compatibile con una figura non esasperatamente allungata ma con asimmetrie di forma in grado di generare la triplicità dei picchi. In altre parole: la modulazione riscontrata nelle curve di luce non richiede macchie d’albedo estreme, bastano leggere irregolarità geometriche, distribuite lungo il profilo dell’asteroide.
Dinamica orbitale e interazioni gravitazionali
Con una taglia di oltre cento chilometri, Papagena risente poco dei lenti meccanismi di migrazione termica (Yarkovsky/YORP) e su tempi di centinaia di milioni di anni i parametri orbitali propri restano sostanzialmente stabili. La posizione nella fascia esterna lo tiene a distanza di sicurezza dalle lacune di Kirkwood più pericolose e non vi è evidenza di una famiglia collisiva genetica dominata da Papagena. Papagena si comporta piuttosto come un grande membro di background silicaceo, una pietra di paragone per la mineralogia in una regione dove i carbonacei sono più comuni.
Come e quando osservarlo
(471) Papagena sarà in opposizione il 10 novembre momento nel quale raggiungerà la nona magnitudine. Il suo moto sarà di 0,66 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo Papagena trasformarsi in una bella striscia luminosa di 26 secondi d’arco.
(68) Leto
Scoperta e denominazione
(68) Leto fu scoperto da Karl T. R. Luther il 29 aprile 1861 all’osservatorio di Bilk, a Düsseldorf, durante una delle campagne sistematiche che resero celebre l’astronomo tedesco (24 pianetini scoperti e ben sette premi Lalande). Il nome fu proposto dagli astronomi dell’Osservatorio di Berlino, Johann F. Encke e Wilhelm J. Foerster. Richiama Leto (Latona per i Romani), una delle Titanidi, figura centrale nella mitologia greca come madre di Apollo e Artemide, concepiti da Zeus. La scelta si inserisce perfettamente nel solco della tradizione ottocentesca di attingere al pantheon classico per battezzare i nuovi corpi celesti, onorando una delle divinità maggiori dell’Olimpo.
Parametri orbitali
Leto descrive un’orbita nella fascia principale centrale con semiasse maggiore di 2,78 UA, eccentricità di 0,184 e inclinazione di 8°. Il periodo orbitale è di 4,64 anni. Leto occupa un corridoio orbitale dinamicamente tranquillo, ben al di fuori dalle risonanze più pericolose.
Caratteristiche fisiche e composizione
Le survey infrarosse IRAS–AKARI–NEOWISE e le osservazioni ottiche riportano per Leto un diametro medio tra 120 e 125 km, con un’albedo geometrica di 0,21. La classe tassonomica è di tipo S, quindi composizione silicacea con bande di olivina/pirosseno nel vicino infrarosso. L’insieme di albedo, tassonomia e taglia ne fa un buon termine di paragone per confrontare gli asteoridi silicacei della fascia centrale con quelli, più scuri, della fascia esterna.
Analisi fotometrica e periodo di rotazione
Le curve di luce raccolte in più opposizioni fissano un periodo di rotazione di 14,85 ore. Già nel 1978, una campagna fotoelettrica all’ESO rivelò una morfologia insolita a tre massimi e tre minimi per ciclo, con ampiezza totale 0,19 magnitudini, anziché la più comune doppia modulazione di un ellissoide triaxiale; i lavori successivi hanno confermato il periodo e l’anomalia di forma della curva. L’inversione fotometrica moderna ha prodotto un modello convesso 3D coerente con le ampiezze osservate e con la triplicità dei picchi, senza dover invocare forti macchie d’albedo: è la geometria più che variazioni cromatiche estese che domina la modulazione della luce.
Dinamica orbitale e interazioni gravitazionali
Dal punto di vista dinamico Leto è spesso citato come corpo progenitore di una piccola famiglia collisiva: un cluster Leto popolato in prevalenza da asteroidi di tipo S con semiasse attorno a 2,8 UA, suggerendo un’ antica origine collisiva, con susseguente diffusione parziale dei frammenti. Per un oggetto della taglia di Leto gli effetti di migrazione termica Yarkovsky/YORP sono comunque trascurabili su scale di milioni di anni e la sua orbita risulta stabile, senza tendenze a migrare verso le grandi risonanze.
Come e quando osservarlo
(68) Leto sarà in opposizione il 20 novembre momento nel quale raggiungerà la decima magnitudine. Il suo moto sarà di 0,62 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo Leto trasformarsi in una bella striscia luminosa di 24 secondi d’arco.
Mappa degli asteroidi in opposizione nel mese di Novembre.
Asteroidi del mese di Ottobre 2025
(1) Cerere
Scoperta e nomenclatura
La notte di Capodanno 1801, dal chiostro dell’Osservatorio di Palermo, Giuseppe Piazzi annotò il moto di un astro di ottava, nona grandezza, che giudicò inizialmente “una cometa molto lenta”. In poche settimane comprese però che si trattava di un corpo di origine differente; propose quindi il nome Cerere Ferdinandea (in onore della dea e del sovrano borbonico), di cui rimase solo “Cerere”. Quando l’oggetto andò perduto nella congiunzione solare, la sua “recovery” a fine 1801 fu resa possibile dai calcoli di Carl Friedrich Gauss, che proprio su Ceres mise alla prova il suo metodo di determinazione orbitale, anticipando quella che poi è divenuta la moderna astrometria. Il Ramsden Circle con cui Piazzi effettuò le misure astrometriche è tuttora conservato a Palermo, a memoria dell’inizio della “era asteroidale”.
Parametri orbitali
(1) Cerere orbita nel cuore della fascia principale con semiasse maggiore di 2,77 UA, eccentricità 0,08 e inclinazione 10,6°; completa una rivoluzione in 4,6 anni. Questi valori lo collocano in una regione stabile, lontana dalle principali risonanze con Giove. La piccola inclinazione attuale del suo asse di rotazione suggerisce l’esistenza di una debole stagionalità.
Caratteristiche fisiche e composizione
Il diametro medio di Cerere è di circa 940 km e la sua forma, quasi sferica, è quella che ci attenderemmo per un corpo che sotto il proprio peso tende all’equilibrio. La densità media di circa 2,16 g/cm³ indica che l’interno non è omogeneo: i dati della raccolti dalla sonda Dawn suggeriscono l’esistenza di un nucleo roccioso, avvolto da un mantello ricco d’acqua e sormontato da una crosta più leggera.
La superficie è scura, con un albedo di 0,09–0,10. L’analisi spettrale lo colloca nel tipo G di Tholen (una sottoclasse dei carbonacei, gli asteroidi di tipo C) e, negli schemi di studio più moderni, nel complesso C. Il cratere Occator ospita i celebri depositi brillanti di Cerealia e Vinalia Faculae, ricchi di carbonato di sodio e sali. Poco lontano, Ahuna Mons è un duomo criovulcanico alto circa 4 km, suggerendo che l’interno di Cerere sia stato attivo fino a non troppo tempo fa. In varie regioni, soprattutto presso Ernutet, lo spettrometro VIR di Dawn ha rilevato tracce di materiale organico alifatico, mentre alle alte latitudini compaiono chiazze di ghiaccio d’acqua ed è stato rilevato vapore acqueo emesso da alcune aree localizzate.
Analisi fotometrica e periodo di rotazione
Le osservazioni fotometriche raccolte nell’arco di oltre un secolo indicano per Cerere un periodo di rotazione di 9,07 ore. La variazione di luce nell’arco di una rotazione è insolitamente piccola, circa 0,04–0,05 magnitudini, e cambia con la longitudine delle principali zone chiare e scure in superficie, indizio che la modulazione è dovuta soprattutto a differenze di albedo, più che alla forma del corpo. Le immagini del telescopio Hubble del 2003–2004 hanno riprodotto la curva di luce proprio introducendo mappe di albedo, e misure più recenti confermano una modulazione media di circa 0,045 mag. L’asse di rotazione è stato determinato con buona precisione e risulta essere quasi verticale rispetto al piano della sua orbita, con un’inclinazione di circa 4°.
Dinamica orbitale e interazioni gravitazionali
A differenza di altri grandi corpi della fascia, Cerere non mostra una famiglia collisiva genetica inequivocabile. Il gruppo asteroidale che un tempo le era stato accostato è stato poi riclassificato come famiglia Gefion, e Cerere risulta un intruso in quanto la sua orbita e la sua composizione non coincidono con quelli del gruppo.
La deriva Yarkovsky è trascurabile per un corpo di questa taglia, quindi la sua orbita resterà stabile per miliardi di anni.
Come e quando osservarlo
(1) Cerere sarà in opposizione il 17 settembre momento nel quale raggiungerà la settima magnitudine. Il suo moto sarà di 0,56 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo Cerere trasformarsi in una bella striscia luminosa di 22 secondi d’arco.
Il movimento dell’asteroide (1) Cerere nel mese di ottobre nel cuore della costellazione della Balena.
(779) Nina
Scoperta e nomenclatura
(779) Nina fu scoperto il 25 gennaio 1914 da Grigorij Neujmin all’Osservatorio di Simeiz in Crimea. Il nome onora Nina Nikolaevna Neujmina, sorella dello scopritore. Merita sottolineare che dopo la scoperta ufficiale emersero osservazioni di precovery effettuate su lastre di Heidelberg del 1908 e 1912, poi successivamente inglobate nell’arco osservativo; Nina fu quindi si un oggetto identificato a Simeiz, ma era già presente in archivi fotografici precedenti, anche se, fino ad allora, vi era passato inosservato.
Parametri orbitali
Nina orbita nella fascia principale centrale con semiasse maggiore di 2,66 UA, eccentricità 0,22 e inclinazione di 14,6°; completa una rivoluzione in 4,35 anni. Non appartiene a raggruppamenti collisivi stabili e si muove in un corridoio relativamente tranquillo compreso tra le grandi risonanze 3:1 e 5:2 con Giove.
Caratteristiche fisiche e composizione
Le misure nell’infrarosso di IRAS, Akari e NEOWISE indicano per Nina una dimensione compresa tra 77 e 81 km con un’albedo intorno a 0,13–0,16. Un’occultazione stellaredel 10 novembre 2005 ha rafforzato il quadro, disegnando una sagoma ellittica coerente con circa 80 km di diametro medio. Dal punto di vista spettrale Nina rientra negli asteroidi di tipo X (SMASS) e, nel sistema di Tholen, è spesso classificato di tipo M, metallico. “Metallico”, però, non significa ferro-nichel allo stato quasi puro. Indica piuttosto superfici miste, nelle quali si riscontra la presenza di metalli e silicati. In più occasioni, soprattutto vicino al perielio, sono stati segnalati indizi di una sottilissima coma/esosfera, con leggere variazioni del colore (un velo appena più “blu” nel visibile), interpretate come polvere sollevata dalla sublimazione di piccoli depositi di ghiaccio superficiale.
Analisi fotometrica e periodo di rotazione
Le curve di luce raccolte in molteplici opposizioni fissano un periodo di rotazione di 11,18 h con un ampiezza che varia sensibilmente in base all’aspetto da 0,06 mag fino a 0,30–0,32 mag, indizio di una forma moderatamente allungata, coerente con i profili ricavati dalle occultazioni.
Dinamica orbitale e interazioni gravitazionali
Con circa 80 km di diametro l’effetto Yarkovsky è trascurabile e Nina resterà stabile nel proprio corridoio orbitale per miliardi di anni. Inoltre le grandi risonanze con Giove restano a distanza di sicurezza, riducendo il rischio di cambiamenti o instabilità della sua orbita. Sul piano dinamico, Nina è classificato come oggetto di fondo, e se in passato ha prodotto frammenti, questi si sono oramai dispersi e oggi non formano una famiglia riconoscibile.
Come e quando osservarlo
(779) Nina sarà in opposizione il 3 ottobre momento nel quale raggiungerà la decima magnitudine. Il suo moto sarà di 0,55 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo Nina trasformarsi in una bella striscia luminosa di 22 secondi d’arco.
Il movimento dell’asteroide (779) Nina nel mese di ottobre nel cuore della costellazione di Andromeda.
(85) Io
Scoperta e nomenclatura
Io fu individuato da Christian Heinrich Friedrich Peters il 19 settembre 1865 al Litchfield Observatory (Hamilton College, New York). Il nome richiama la figura mitologica amata da Zeus. Un piccolo aneddoto di nomenclatura: con “85” e due sole lettere, “Io” è la designazione più corta dell’intero catalogo dei pianeti minori.
Parametri orbitali
Io percorre un’orbita nella fascia principale centrale con semiasse maggiore di 2,65 UA, eccentricità di 0,19 e inclinazione di 12°. Completa una rivoluzione in 4,32 anni.
Caratteristiche fisiche e composizione
Le misure nell’infrarosso (IRAS, AKARI, NEOWISE) e i profili ottenuti durante alcune occultazioni stellari indicano per Io una dimensione media intorno ai 170 km; se lo immaginiamo come un ellissoide triassiale, le dimensioni sono all’incirca 180 × 160 × 160 km. È un corpo scuro, che riflette poco la luce solare, conun albedo di 0,067. Il suo spettro nel visibile e nel vicino infrarosso è quello tipico dei corpi carboniosi. Nel sistema di Tholen rientra nella classe FC, mentre nelle classificazioni più moderne (SMASS/Bus–DeMeo) è un tipo B, cioè mostra una pendenza “blu” (la riflettanza diminuisce verso il rosso), non presenta la classica banda a 1 μm di olivina e pirosseno e mostra deboli assorbimenti vicino a 3 μm compatibili con minerali idrati. Le stime della densità media sono attorno a 2,1 g/cm³.
Analisi fotometrica e periodo di rotazione
Le curve di luce raccolte in decenni di osservazioni convergono su un periodo di rotazione di 6,87 h, con ampiezza tipica 0,05–0,17 mag che varia in base all’aspetto. L’analisi delle curve di luce effetuato con i consueti metodi di inversione ha permesso di ricostruirne la forma complessiva, con un asse di rotazione fortemente inclinato (oltre i 90°), tanto che l’orientamento di Io rispetto al Sole e alla Terra cambia in modo marcato lungo l’orbita.
Dinamica orbitale e interazioni gravitazionali
Pur trovandosi nella stessa zona orbitale della famiglia asteroidale Eunomia, Io non ne è parente: è un “intruso”. A suggerirlo sono i gli spettri e la bassa albedo, tipici di un corpo carbonaceo, mentre la famiglia è popolata soprattutto da asteroidi silicacei (Tipo S). Su di un corpo di 170 km di diametro gli effetti termici sono trascurabili. Di conseguenza, la posizione di Io nella fascia resterà stabile per miliardi di anni, senza migrare verso le grandi risonanze che potrebbero alterarne l’orbita.
Come e quando osservarlo
(85) Io sarà in opposizione il 16 ottobre momento nel quale raggiungerà la decima magnitudine. Il suo moto sarà di 0,58 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo Io trasformarsi in una bella striscia luminosa di 23 secondi d’arco.
Il movimento dell’asteroide (85) Io nel mese di ottobre nel cuore della costellazione dei Pesci.
Asteroidi del mese di Settembre 2025 – (22) Kalliope
Scoperta e nomenclatura
(22) Kalliope fu scoperto da John Russell Hind il 16 novembre 1852: eravamo negli anni d’oro del Bishop’s Observatory, l’osservatorio privato londinese di George Bishop da cui Hind individuò ben dieci asteroidi in sette anni. Il nome scelto, quello di Kalliope, la Musa della poesia epica, era perfettamente in linea con una sensibilità classicista promossa attivamente dalla Royal Astronomical Society. Figure come J.C. Adams incoraggiavano gli scopritori a scegliere nomi che esprimessero un linguaggio universale e apolitico per le nuove scoperte. La necessità di tale approccio era emersa con il divampare della polemica su (12) Victoria, quando Hind dovette precisare pubblicamente che il nome si riferiva alla dea romana e non alla sovrana regnante, a riprova di quanto anche la nomenclatura dei nuovi “pianetini” potesse rappresentare uno spinoso tema “politico“. In quegli stessi anni, la scienza degli asteroidi affrontava inoltre una sfida molto pratica: i simboli pittografici, simili a quelli dei pianeti, adottati fino ad allora si stavano rivelando non più adeguati e poco gestibili. Fu l’astronomo tedesco Johann Franz Encke, nel 1851, a suggerire la soluzione introducendo la notazione numerica (inizialmente un numero cerchiato), segnando il passaggio da uno scenario di pochi “pianeti in miniatura” a una vasta popolazione da catalogare in modo standard e sistematico.
La scelta del nome di Kalliope, rappresentò lo specchio delle grandi trasformazioni che stavano avvenendo nello studio degli asteroidi: la professionalizzazione della ricerca (con osservatori privati che collaboravano con le società scientifiche), la standardizzazione dei cataloghi (dai glifi ai numeri) e la ricerca di un lessico mitologico condiviso. In questo senso, la “scelta delle Muse” non fu un dettaglio folkloristico, ma un tassello della modernizzazione della disciplina.
Parametri orbitali
(22) Kalliope percorre un’orbita nella fascia principale media con semiasse maggiore di 2,91 UA, eccentricità di 0,10 e inclinazione di 13,7°; il periodo siderale è di 4,96 anni. Si colloca nel corridoio dinamicamente stabile compreso tra le risonanze 3:1 e 5:2 con Giove: non entra nelle lacune maggiori, ma risente di un reticolo di risonanze deboli che modulano lentamente eccentricità e inclinazione senza comprometterne la stabilità secolare.
Caratteristiche fisiche e composizione
Il diametro medio è comunemente riportato intorno ai 166 km, con stime recenti che, ricalibrando forma e albedo, scendono a circa 150 km. La presenza del satellite Linus, di circa 28 km di diametro, ha consentito una misura diretta della massa e quindi della densità bulk, risultata ρ ≈ 3,35 ± 0,33 g cm⁻³ per un diametro di 166 km; modelli più recenti, adottando il diametro di 150 km, convergono su ρ ≈ 4,4 ± 0,5 g cm⁻³. In entrambi gli scenari emerge comunque l’evidenza di un corpo metallico/silicatico: non un blocco ferro-nichel puro, ma un interno con elevata frazione metallica (dell’ordine del 40-60% in volume) mescolata a silicati. L’albedo geometrica è moderata (0,17). La tassonomia è M (Tholen) e X / Xk (SMASS / Bus–DeMeo); spettri raccolti nel visibile e nel vicino infrarosso mostrano caratteristiche attribuibili a silicati. L’albedo radar non è tra le più elevate del sottogruppo M, suggerendo la presenza di una regolite eterogenea piuttosto che una superficie metallica esposta. Anche le misure radio millimetriche (ALMA/VLA) indicano una composizione compatibile con la presenza di grani metallici mescolati alla regolite.
Analisi fotometrica e periodo di rotazione
La curva di luce di (22) Kalliope è stata misurata in molteplici opposizioni e converge su un periodo sinodico 4,14 h. L’ampiezza fotometrica tipica è di 0,28–0,33 mag. nelle geometrie più favorevoli, come mostrano le campagne osservative svolte nei primi anni 2000, mentre le inversioni fotometriche hanno fornito modelli di forma e una soluzione del polo poi risultata coerente con i vincoli dinamici posti dall’orbita di Linus. La stagione di mutui eventi di occultazione del 2007 ha permesso di rifinire non solo dimensioni e densità, ma anche la topografia macroscopica (profilo del bordo, schiacciamenti e rilievi principali), che spiegherebbe l’ampiezza fotometrica senza invocare la presenza di marcate chiazze d’albedo.
Dinamica orbitale e interazioni gravitazionali
Un corpo delle dimensioni di (22) Kalliope subisce una deriva Yarkovsky trascurabile sul semiasse maggiore, e la traiettoria resta quindi molto stabile nel tempo. Linus orbita a circa 1100 km di semiasse maggiore dal corpo principale, con periodo 3,59 giorni ed eccentricità molto bassa. L’interpretazione oggi più accreditata della natura della piccola luna è collisiva: un grande impatto avrebbe strappato parte del mantello silicatico di Kalliope, formando quindi Linus e generando una famiglia dinamica di frammenti. L’età stimata è di circa 900 milioni di anni, con successiva dispersione del gruppo indotta dalle risonanze con Giove e Saturno. Osservazioni recenti in banda millimetrica (ALMA/VLA) aggiungono un ulteriore tassello sulla storia evolutiva e composizione del sistema: Le misure indicano sulla superficie di (22) Kalliope la presenza di una regolite ricca di granuli metallici, mentre Linus mostra un minor contenuto metallico, un quadro che rafforza lo scenario che vede Kalliope differenziato e Linus nato da un riaccumulo di ejecta.
Come e quando osservarlo
(22) Kalliope sarà in opposizione il 17 settembre momento nel quale raggiungerà la decima magnitudine. Il suo moto sarà di 0,54 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo Kalliope trasformarsi in una bella striscia luminosa di 22 secondi d’arco.
Il movimento dell’asteroide (22) Kalliope nel emse di Settembre nell’angolo in basso a destra della costellazione della Balena.
Asteroidi del mese di Agosto 2025 – pt. 02 – (2) Pallas – (89) Julia – (6) Hebe
Nella seconda metà di agosto tre asteroidi della fascia principale raggiungeranno l’opposizione: (2) Pallas, (89) Julia e (6) Hebe. Con magnitudini tra 7 e 9 saranno ottimi bersagli per l’osservazione amatoriale. Ognuno racconta una storia diversa del Sistema Solare primordiale.
(2) Pallas
Scoperta e nomenclatura
Il 28 marzo 1802 Heinrich Wilhelm Olbers, nel tentativo di ritrovare (1) Ceres per tracciare con maggiore precisione la sua orbita, osservò un secondo oggetto in lento movimento nella stessa regione di cielo. Convinto di trovarsi di fronte a un “nuovo pianeta”, battezzò la scoperta Pallas in onore della dea Atena, protettrice delle arti e della saggezza. Per quasi mezzo secolo, insieme a Ceres, Juno e Vesta, Pallas mantenne lo status di pianeta agli occhi del pubblico; solo dopo il 1845, quando il conteggio dei “pianetini” crebbe rapidamente, la comunità scientifica introdusse la categoria dei “Corpi minori”. Olbers annotò che l’orbita appariva “insolitamente ripida” rispetto all’eclittica, una caratteristica che ancora oggi distingue Pallas da tutti gli altri corpi principali della fascia.
Parametri orbitali
Pallas percorre un’orbita marcatamente eccentrica (e = 0,23) e altamente inclinata (34,9 gradi) con semiasse maggiore di 2,77 UA; completa la rivoluzione intorno al Sole in 4,61 anni, spingendosi da un perielio di 2,13 UA fino a un afelio di 3,41 UA. La sua orbita inclinata di quasi 35 gradi rispetto al piano dell’eclittica lo tiene lontano dalle principali zone di disturbo gravitazionale di Giove (le risonanze), che influenzano pesantemente altri corpi della fascia. Sebbene che le proiezioni nel futuro dell’orbita indichino una certa dinamicità, questa rimarrà stabile per la vita residua del sistema solare.
Caratteristiche fisiche e composizione
Le immagini dei grandi telescopi al suolo, integrate con i dati raccolti dalle occultazioni stellari, restituiscono la forma di un ellissoide di dimensioni 568 × 532 × 448 km con un diametro medio di 512 km; La sua superficie è moderatamente riflettente, più del normale per un asteroide a base di carbonio. Per questo è classificato come tipo B, intermedia fra carbonaceo e silicaceo. Lo spettro di riflettanza rivela la presenza di minerali contenenti acqua, ma povero dei composti organici che caratterizzano la maggior parte degli asteroidi simili. Questa composizione fa ipotizzare che Pallas si sia formato in una zona più calda e secca del Sistema Solare, o che abbia perso gran parte della sua acqua primordiale a causa di un intenso riscaldamento nelle prime fasi della sua storia. La sua superficie è disseminata di crateri superiori ai 30 km e da almeno due bacini d’impatto maggiori di 400 km considerate le cicatrici dell’evento catastrofico che ha generato la sua famiglia di frammenti, gli asterodi Palladiani.
Analisi fotometrica e periodo di rotazione
L’asteroide è stato osservato fotometricamente fin da inizio Novecento e le osservazioni moderne convergono su un periodo sinodico molto preciso di 7,81 h. L’ampiezza della curva di luce varia tra un minimo di 0,03 ad un massimo di 0,16 magnitudini. Un’escursione così contenuta indica che il corpo, pur non essendo perfettamente sferico, possiede un rapporto fra gli assi non superiore a circa 1,2 : 1; in pratica appare solo moderatamente allungato. Le inversioni delle curve di luce e le immagini acquisite con ottiche adattive fissano il polo con un inclinazione di circa 84 gradi. Pallas sperimenta quindi stagioni estreme, mentre la piccola ampiezza fotometrica suggerisce una topografia priva di rilievi eccessivamente pronunciati e una distribuzione dell’albedo relativamente uniforme su tutta la sua superficie.
Dinamica orbitale e interazioni gravitazionali
La forte inclinazione e l’eccentricità accentuata dell’orbita, avvicinano perielio e afelio di Pallas alle zone più dinamiche della fascia, ma senza farlo mai transitare all’interno delle risonanze principali. I suoi frammenti più piccoli, però, sperimentano un destino diverso. La famiglia Pallas comprende oggi oltre 600 membri che derivano dall’impatto che ha generato i grandi bacini identificati sulla sua superficie. I frammenti inferiori al chilometro deriveranno lentamente verso il bordo della risonanza 5:2 e potrebbero diventare asteroidi near-Earth in qualche centinaio di milioni di anni. Pallas stesso, invece, resta un protopianeta sopravvissuto al caos dei primordi del sistema solare, e l’effetto Yarkovsky esercitato su di un corpo delle sue dimensioni non è sufficiente a spostarlo dall’orbita attuale.
Come e quando osservarlo
(2) Pallas sarà in opposizione il 7agosto, momento nel quale raggiungerà la nona magnitudine. Il suo moto sarà di 0.59 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo Pallas trasformarsi in una bella striscia luminosa di 24 secondi d’arco.
Percorso dell’asteroide (2) Pallas a partire dal 7 agosto fino a fine mese di agosto nella costellazione del delfino.
(89) Julia
Scoperta e nomenclatura
Il 6 agosto 1866 l’astronomo francese Édouard Jean-Marie Stephan, allora giovane direttore ad interim dell’Osservatorio di Marsiglia, individuò un astro di nona grandezza che si spostava lentamente fra le stelle. Fu la sua prima scoperta asteroidale (la seconda e ultima sarà 91 Aegina). Stephan propose il nome Julia in onore di Santa Giulia di Corsica, martire molto venerata nella Provenza e patria della famiglia di Stephan; la scelta fu accolta con favore perché non violava la consuetudine di attingere alla mitologia classica ma ricordava una figura storica legata al Mediterraneo meridionale.
Parametri orbitali
Julia percorre un orbita con un semiasse maggiore di 2,550 UA, eccentricità 0,184 e inclinazione 16,1 gradi. Completa una rivoluzione in 4,07 anni terrestri spaziando da un perielio di 2,08 UA a un afelio di 3,02 UA. L’orbita cade nel corridoio fra le risonanze 3:1 e 5:2 con Giove ma ne resta sufficientemente distante da conservare una sostazionale stabilità per tutto il tempo di vita rimanente al sistema solare.
Caratteristiche fisiche e composizione
Le osservazioni con i grandi telescopi al suolo ed i risultati delle occultazioni modellano Julia come un ellissoide moderatamente allungato con un diametro medio di 145 km. L’albedo è alta rispetto alla media dei silicacei di fascia interna e sebbene rientri nella grande famiglia del tipo S, analisi più spettroscopiche più precise lo collocano nel sottogruppo più specifico del tipo K con una composizione superficiale dominata da minerali come l’olivina e il pirosseno. Sulla sua superficie spicca un grande cratere da impatto di 70-80 km, battezzato Nonza che espone espone materiale più brillante rispetto al paesaggio circostante, e si ritiene sia la diretta conseguenza dell’evento che ha dato origine alla famiglia asteroidale di Julia.
Analisi fotometrica e periodo di rotazione
Le curve di luce ottenute in molteplici opposizioni convergono su un periodo sinodico di 11,38 ore. L’ampiezza della curva di luce varia da 0,10 a 0,25 magnitudini, un escursione contenuta che suggerisce un rapporto tra gli assi intorno a 1,3 : 1 indicativo di una forma poco allungata. L’ipotesi della presenza di un satellite, avanzata dopo il risultato delle occultazioni del 1985, è stata poi esclusa dalle campagne osservative successive, eliminando i dubbi e confermando che Julia non ospita alcuna luna.
Dinamica orbitale e interazioni gravitazionali
Julia domina per massa la piccola famiglia asteroidale eponima, i cui frammenti di dimensioni inferiori a qualche chilometro subiscono una deriva a causa dell’effetto Yarkovsky, che li conduce verso la risonanza 3:1 alimentando la popolazione di asteroidi near-Earth. Per Julia la deriva termica è trascurabile e la sua orbita rimarrà sostanzialmente invariata per l’età residua del Sistema Solare. Inoltre l’elevata inclinazione la tiene al sicuro, riducendo la frequenza di incontri ravvicinati con altri corpi della fascia, favorendo così la stabilità e la longevità della sua famiglia.
Come e quando osservarlo
(89) Julia sarà in opposizione il 10 agosto, momento nel quale raggiungerà l’ottava magnitudine. Il suo moto sarà di 0.78 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 4 minuti. Per ottenere una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo Julia trasformarsi in una bella striscia luminosa di 31 secondi d’arco.
Percorso dell’asteroide (89)Julia a partire dal 7 agosto fino a fine mese fra le due costellazioni dell’acquario e del capricorno.
(6) Hebe
Scoperta e nomenclatura
Il 1 luglio 1847 l’ex impiegato postale Karl Ludwig Hencke scoprì il suo secondo e ultimo asteroide: (6) Hebe. La scoperta avvenne a solo un anno e mezzo di distanza da quella di (5) Astraea, il primo successo che aveva premiato la sua leggendaria perseveranza dopo quindici anni di pazienti ricerche. Hencke individuò il nuovo astro errante mentre si muoveva tra le stelle della costellazione dell’Ofiuco. Lo battezzò Hebe, la coppiera degli dèi olimpici, e i giornali dell’epoca lo celebrarono come «il più tenace dei cacciatori di pianetini».
Parametri orbitali
Hebe orbita nella fascia principale interna con semiasse maggiore di 2,42 UA, eccentricità 0,20 e inclinazione 14,7 gradi. Il perielio scende a 1,93 UA, mentre l’afelio raggiunge 2,92 UA; la rivoluzione intorno al Sole dura 3,78 anni. L’orbita lambisce la risonanza 3:1 con Giove e, pur essendo piuttosto eccentrica, risulta comunque stabile nel lungo periodo.
Caratteristiche fisiche e composizione
Le immagini dal suolo integrate con i dati raccolti dalle occultazioni delineano un corpo di 185 km di diametro con assi di circa 205 × 185 × 170 km. Le analisi spettroscopiche collocano Hebe nella classe S, con una superficie dove spicca una miscela di minerali che la rende simile alle meteoriti condritiche ordinarie di tipo H. Per oltre vent’anni Hebe è stata indicata come probabile corpo parentale di questo tipo di meteoriti e delle più rare meteoriti ferrose, poichè combina la composizione superficiale con una posizione dinamicamente compatibile ad iniettare i frammenti all’interno della risonanza 3:1. Le immagini, tuttavia, mostrano che nessun cratere raggiunge la scala necessaria a produrre abbastanza ejecta da spiegare da solo il flusso di meteoriti H verso la Terra, lasciando aperto il dibattito sulla presenza di altre sorgenti complementari che lo alimentano.
Analisi fotometrica e periodo di rotazione
Dal 1950 a oggi sono state ottenute decine di curve di luce; Le curve fotometriche confermano un periodo sinodico di 7,27 h con un’ ampiezza che varia fra 0,05 e 0,21 magnitudini. La combinazione delle tecniche di inversione delle curve di luce con le immagini dirette ha consentito di identificare l’orientamento del suo asse di rotazione, che risulta inclinato di circa 45 gradi rispetto alla sua orbita. Hebe quindi sperimenta stagioni moderate, più pronunciate di quelle terrestri ma non veramente estreme.
Dinamica orbitale e interazioni gravitazionali
Hebe domina per dimensioni una piccola popolazione di frammenti spettralmente affini, ma i tentativi di definire una vera e propria “famiglia” Hebe restano controversi: se un grande impatto ne avesse frammentato la superficie, i blocchi inferiori al chilometro sarebbero già stati dispersi dalle risonanze, alcuni alimentando la popolazione degli asteroidi near-Earth. Per quanto riguarda la deriva indotta dell’effetto Yarkovsky su Hebe, questa è trascurabile, e l’orbita rimarrà stabile per miliardi di anni. Sebbene l’orbita la porti ad avvicinare Marte entro la 0,3 UA, l’energia scambiata tra i due corpi è comunque minima e non ne compromette l’integrità orbitale nel lungo periodo.
Come e quando osservarlo
(6) Hebe sarà in opposizione il 26 agosto, momento nel quale raggiungerà la settima magnitudine. Il suo moto sarà di 0.54 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo Hebe trasformarsi in una bella striscia luminosa di 22 secondi d’arco.
Percorso dell’asteroide (6) Hebe a partire dal 7 agosto sino alla fine del mese fra le costellazioni dell’acquario e del capricorno, alla destra dell’asteroide Julia.
Asteroidi del mese di Agosto 2025 – pt. 01 – (63) Ausonia – (129) Antigone – (532) Herculina
Nei primi giorni di agosto, tre protagonisti silenziosi della fascia principale si offrono all’osservazione: (63) Ausonia, (129) Antigone e (532) Herculina. Ognuno porta con sé una storia che intreccia mitologia, scienza e tecnica osservativa. Dalla scoperta ottocentesca alla classificazione spettrale, dai parametri orbitali alle peculiarità fisiche, questi asteroidi offrono un’occasione preziosa per approfondire la dinamica del Sistema Solare interno e mettere alla prova le nostre strumentazioni astrofotografiche.
(63) Ausonia
Scoperta e nomenclatura
Nella notte tra il 10 e l’11 febbraio 1861 Annibale de Gasparis – già celebre “cacciatore di pianetini” del Reale Osservatorio di Capodimonte – registrò su un micrometro filare un oggetto di decima magnitudine che si muoveva lentamente fra le stelle della costellazione del Leone. Il telescopio impiegato era il rifrattore Merz da 215 mm, lo stesso con cui aveva individuato Hygiea dodici anni prima. In una prima minuta inviata al direttore Ernesto Capocci, de Gasparis annotò il nome Italia, desideroso di celebrare la recente proclamazione del Regno. Pochi giorni dopo, però, ritrattò temendo che la scelta fosse troppo “politica” in un clima in cui la toponomastica celeste era ancora materia di diplomazia accademica. Optò quindi per Ausonia, l’antico etnonimo greco-latino della penisola meridionale, che evocava l’identità culturale senza richiamare direttamente lo Stato nascente.
Parametri orbitali
Ausonia appartiene alla fascia principale interna: semiasse maggiore 2,395 UA, eccentricità 0,129 e inclinazione 5,77 °. Compie una rivoluzione in 3,71 anni, passando da un perielio di 2,088 UA a un afelio di 2,702 UA. Tali elementi la collocano poco all’interno della risonanza 3:1 con Giove, ma abbastanza lontano da garantirle un’orbita stabile su scala di milioni fi anni.
Caratteristiche fisiche e composizione
Il suo diametro compreso tra 95 e 116 km fa di Ausonia il secondo corpo più grande della famiglia Vesta dopo lo stesso Vesta. L’albedo geometrica è quella tipica degli asteroidi silicacei moderatamente scuri con uno spettro risulta coerente con quello di un membro “vestiano” di superficie basaltica.
Analisi fotometrica e periodo di rotazione
La prima determinazione del periodo di rotazione risale al 1977 quando fu calcolato un valore di 9,17 h. Studi successivi hanno stabilito un periodo di rotazione sinodico di 9,29 h. L’ampiezza della curva di luce varia da 0,27 fino a quasi mezza magnitudine, suggerendo una forma ellissoidale fortementa allungata.
Dinamica orbitale e interazioni gravitazionali
Ausonia è considerato il secondo “pilastro” della famiglia Vesta: con un diametro superiore ai cento chilometri, è di gran lunga il frammento più grande rimasto dall’impatto che scavò il gigantesco bacino Rheasilvia sul polo sud di Vesta. Per un oggetto di queste dimensioni l’effetto Yarkovsky è trascurabile, ma per i vestoidi più piccoli la deriva secolare porta a un lento scivolamento verso le risonanze che alimentano la popolazione degli asteroidi near-Earth. Ausonia si trova invece in una nicchia dinamica tranquilla con nessun passaggio attraverso risonanze forti e incontri ravvicinati con Vesta più rari di uno ogni tre milioni di anni. Le simulazioni di evoluzione orbitale mostrano che il corpo è rimasto quasi immobile rispetto al luogo di frammentazione del progenitore e che continuerà a far da “sentinella” della famiglia per l’intera vita residua del Sistema Solare.
Come e quando osservarlo
(63) Ausonia sarà in opposizione il 2 agosto, momento nel quale raggiungerà la nona magnitudine. Il suo moto sarà di 0,63 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo Ausonia trasformarsi in una bella striscia luminosa di 25 secondi d’arco.
Il percorso dell’asteroide Ausonia nel mese di Agosto 2025 nella Costellazione del Capricorno
(129) Antigone
Scoperta e nomenclatura
Il 5 febbraio 1873 Christian Heinrich Friedrich Peters – professore di astronomia al Litchfield Observatory di Hamilton (New York) – individuò un nuovo “pianetino” mentre perlustrava il cielo tra le stelle del Cancro. Come da consuetudine ottocentesca ne scelse il nome attingendo alla mitologia greca: Antigone, figlia di Edipo e simbolo di fedeltà alle leggi non scritte. L’osservatorio di Hamilton, a dispetto delle dimensioni modeste, accumulò un impressionante palmarès di corpi minori grazie alla sistematicità di Peters, che in trent’anni portò a 48 le proprie scoperte.
Parametri orbitali
Antigone percorre un’orbita nella fascia principale media con semiasse maggiore di 2,86 UA, eccentricità 0,213 e inclinazione 12,3 gradi. Completa una rivoluzione in 4,86 anni, oscillando tra un perielio di 2,26 UA e un afelio di 3,48 UA. Questi valori la collocano in un corridoio compreso tra le risonanze 3:1 e 5:2 con Giove, ma abbastanza lontano da entrambe da garantirle stabilità secolare.
Caratteristiche fisiche e composizione
Antigone è un asteroide di dimensioni considerevoli, con un diametro stimato tra i 113 ed i 120 km. La sua superficie è moderatamente riflettente, una via di mezzo tra gli scuri asteroidi carboniosi e quelli rocciosi più brillanti. È classificato come un asteroide di tipo M, categoria che indica una composizione ricca di metalli. Questa ipotesi è confermata dalle osservazioni radar dalle quali emerge che Antigone riflette le onde radio con come ci si aspetterebbe da un grande oggetto di ferro e nichel. Analisi più approfondite hanno rivelato sulla sua superficie deboli tracce di rocce con molecole d’acqua (silicati idrati) e la sua densità suggerisce che Antigone non sia blocco ferro-nichel puro, ma piuttosto un corpo poroso o un aggregato misto di rocce e metalli.
Analisi fotometrica e periodo di rotazione
Le prime fotometrie sistematiche risalgono agli anni Settanta e determinarono un periodo vicino alle 5 ore, successivamente affinato a 4,95 h. La curva di luce mostra un’ampiezza che varia tra 0,20 e 0,42 magnitudini suggerendo una forma allungata. L’ipotesi della presenza di un piccolo satellite proposta nel 1979, basata su leggere asimmetrie rilevate nei minimi di luce non è stata però stata al momento confermata.
Dinamica orbitale e interazioni gravitazionali
Con un diametro superiore a 110 km, l’effetto Yarkovsky su Antigone è trascurabile, la sua orbita rimane dunque quasi immobile rispetto al sistema di risonanze che la circondano: Antigone è un oggetto destinato a rimanere nella fascia principale per l’età residua del Sistema Solare. Non esiste una famiglia genetica convincente intorno a lui; frammenti metallici più piccoli, se prodotti, sarebbero stati lentamente spinti dalle forze non gravitazionali verso la risonanza 3:1 per poi disperdersi.
Come e quando osservarlo
(129 ) Antigone sarà in opposizione il 5 agosto, momento nel quale raggiungerà magnitudine 10. Il suo moto sarà di 0.62 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo Antigone trasformarsi in una bella striscia luminosa di 25 secondi d’arco.
Il percorso dell’asteroide Antigone nel mese di Agosto 2025 nella Costellazione del Capricorno
(532) Herculina
Scoperta e nomenclatura
La sera del 20 aprile 1904 Max Wolf, pioniere della fotografia astronomica all’osservatorio di Heidelberg-Königstuhl, registrò su due lastre fotografiche un oggetto di nona magnitudine che si spostava lentamente tra le stelle della costellazione della Chioma di Berenice. Wolf annunciò la scoperta seguendo la sua abitudine di evocare figure femminili legate alla mitologia classica, scelse quindi il nome Herculina, forma latinizzata al femminile dell’eroe Eracle.
Parametri orbitali
Herculina percorre un’orbita di semiasse maggiore 2,770 UA, eccentricità 0,18 e inclinazione 16,3°; il perielio scende a 2,271 UA e l’afelio tocca 3,26 UA. Il periodo siderale è 4,61 anni. Con questi elementi l’asteroide s’inserisce nella parte alta della fascia principale media, poco all’interno della risonanza 5:2 con Giove ma abbastanza distante da evitare la risonanza secolare.
Caratteristiche fisiche e composizione
Le stime sulla dimensione convergono su un diametro compreso fra 220 e 230 km; L’albedo geometrica di 0,16 colloca Herculina fra gli asteroidi moderatamente riflettenti della famiglia silicacea, con una superficie composta principalmente da silicati (rocce) che però appare “invecchiata” e alterata dalla lunga esposizione all’ambiente spaziale (un fenomeno noto come space weathering). Queste caratteristiche la avvicinano a un sottotipo più specifico (il tipo K) e la rendono simile a certi meteoriti rocciosi che cadono sulla Terra. La sua densità è di circa 2,7 g/cm³, un valore che conferma la sua natura rocciosa, suggerendo che Herculina sia un corpo solido e abbastanza compatto, ma senza un grande nucleo metallico al suo interno.
Analisi fotometrica e periodo di rotazione
Fin dagli anni Cinquanta Herculina è stata un bersaglio classico per la fotometria asteroidale: Kuiper e Gehrels ne pubblicarono curve di luce a due massimi, evidenziando un periodo vicino alle dieci ore. L’attuale valore consolidato è di 9,40 h con un ampiezza della curva che varia da 0,11 fino a 0,25 magnitudini; i modelli tridimensionali ricavati dall’inversione fotometrica delle curve di luce e da osservazioni radar di Arecibo, mostrano un corpo di forma irregolare, con due rilievi prominenti separati da un’ampia depressione, topografia che spiegherebbe le variazioni di luminosità senza necessariamente invocare la presenza di chiazze di albedo molto contrastate. Una breve campagna condotta con Hubble Space Telescope del 1993 suggerì la possibile presenza di un satellite di circa 10 km di diametro, ipotesi poi non confermata dalle occultazioni che non rilevarono alcun segno del satellite.
Dinamica orbitale e interazioni gravitazionali
Con un diametro intorno ai 220 km l’effetto Yarkovsky sul suo semiasse è trascurabile. L’orbita è tuttavia lambita da una fitta rete di risonanze secolari che ne modulano eccentricità e inclinazione, ma la traiettoria resterà stabile su scala di decine di milioni di anni. Tentativi di individuare una famiglia genetica, la cosiddetta “Herculina cluster”, identificata negli anni Novanta, restano controversi. Secondo modelli più recenti, se un impatto avesse effettivamente generato frammenti di Herculina, i pezzi inferiori ai 10 km dovrebbero essere già migrati verso risonanze che li avrebbero dispersi, riducendo drasticamente la visibilità del gruppo.
Come e quando osservarlo
(532) Herculina sarà in opposizione il 6 agosto, momento nel quale raggiungerà la decima magnitudine. Il suo moto sarà di 0.59 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo Herculina trasformarsi in una bella striscia luminosa di 24 secondi d’arco.
Il percorso dell’asteroide Herculina nel mese di Agosto 2025 sotto la Costellazione del Capricorno
Asteroidi del mese di Luglio 2025 – (312) Pierretta – (221) Eos – (115)Thyra
Tre asteroidi che dimostrano la meravigliosa ricchezza della fascia principale: Pierretta come piccolo S-type regolare, Eos quale frammento basaltico che ha dato origine a un’intera famiglia, e Thyra come S-type brillante in orbita relativamente eccentrica.
(312) Pierretta
Scoperta e nomenclatura
Il 28 agosto 1891 Auguste Charlois, dall’Osservatorio di Nizza, registrò un nuovo puntino luminoso in lento movimento nella costellazione del Capricorno: fu battezzato Pierretta, verosimilmente in onore di una conoscente del nume locale o come variante femminile di “Pierre”. L’oggetto, oggi ricordato più per la regolarità fotometrica che per la dimensione, fu il quarantesimo asteroide scoperto da Charlois.
Parametri orbitali
Pierretta descrive un’orbita con semiasse maggiore 2,782 UA, eccentricità 0,160 e inclinazione di 9°, completando la rivoluzione in 4,64 anni. Il perielio (2,34 UA) la mantiene ben dentro l’area centrale della fascia, lontana dalle risonanze con Giove.
Caratteristiche fisiche e composizione
I dati concordano su un diametro di circa 50 km e un’albedo geometrica di 0,18. Lo spettro la colloca nella classe S, composta di silicati di ferro-magnesio con piccole frazioni metalliche.
Analisi fotometrica e periodo di rotazione
La curva di luce mostra un periodo robusto di 10,282 h con ampiezza attorno a 0,20 mag, il che suggerisce un corpo solo moderatamente allungato.
Dinamica orbitale e interazioni gravitazionali
L’oggetto risiede in un tranquillo corridoio tra le risonanze; l’effetto Yarkovsky calcolato per 50 km di diametro è molto debole, dunque il semiasse maggiore varia di pochi chilometri per milione di anni, insufficiente a portarlo in zone caotiche nel futuro prevedibile.
Come e quando osservarlo
(312) Pierretta sarà in opposizione il 14 di Luglio, momento nel quale raggiungerà la dodicesima magnitudine. Il suo moto sarà di 0,64 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo Pierretta trasformarsi in una bella striscia luminosa di 26 secondi d’arco.
Il percorso dell’asteroide Pierretta nel mese di Luglio 2025 vicino alla Costellazione del Sagittario
(221) Eos
Scoperta e nomenclatura
Il 18 gennaio 1882 Johann Palisa, a Vienna, scoprì l’asteroide che battezzò Eos, la dea dell’Aurora: nome evocativo perché l’inaugurazione del nuovo osservatorio di Vienna veniva celebrata come “alba” di una stagione scientifica. Più tardi si scoprì che attorno a Eos orbita una folta schiera di frammenti: la famiglia asteroidale Eos porta il suo nome.
Parametri orbitali
Eos percorre un’orbita con semiasse 3,012 UA, eccentricità 0,101 e inclinazione 10,9°; il periodo di rivoluzione è 5,23 anni. La posizione, appena oltre la risonanza con Giove, è dinamicamente stabile e ospita migliaia di membri della sua famiglia.
Caratteristiche fisiche e composizione
Le misure infrarosse indicano un diametro medio di 104 ± 6 km. Il suo spettro la classifica come K-type, ricco di rocce basaltiche; questo suggerisce che Eos sia un frammento di crosta di un progenitore differenziato.
Analisi fotometrica e periodo di rotazione
Le campagne fotometriche multi-decennali convergono su un periodo sinodico di 10,443 h con ampiezza ~0,18 mag, compatibile con un ellissoide poco allungato.
Dinamica orbitale e interazioni gravitazionali
Eos è il progenitore della sua omonima famiglia: migliaia di frammenti si distribuiscono in un ventaglio di semiasse 2,95–3,10 UA. I più piccoli derivano lentamente sotto l’effetto Yarkovsky finendo nelle risonanze con Giove; molti vengono espulsi, ma il corpo principale rimarrà stabile per l’età residua del Sistema Solare.
Come e quando osservarlo
(221) Eos sarà in opposizione il 17 di Luglio, momento nel quale raggiungerà magnitudine 11.5. Il suo moto sarà di 0.55 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo Eos trasformarsi in una bella striscia luminosa di 22 secondi d’arco.
Il percorso dell’asteroide Eos nel mese di Luglio 2025 nella Costellazione del Sagittario
(115) Thyra
Scoperta e nomenclatura
James Craig Watson scoprì Thyra il 6 agosto 1871 dall’osservatorio di Ann Arbor e lo dedicò alla regina danese Thyra, moglie di re Gorm il Vecchio. È uno dei pochi asteroidi con un nome di derivazione storica nordica.
Parametri orbitali
Thyra orbita con semiasse maggiore 2,381 UA, eccentricità 0,192 e inclinazione 11,6°, completando il percorso in 3,67 anni. Il perielio scende a 1,92 UA; il ’MOID con Marte rimane superiore a 0,17 UA, perciò l’asteroide, pur avvicinandosi al pianeta rosso, non attraversa l’orbita marziana.
Caratteristiche fisiche e composizione
Thyra misura 80 ± 2 km di diametro e presenta un’albedo di 0,22. Spettralmente Thyra appartiene alla classe S, con una composizione che lo rende analogo potenziale delle condriti ordinarie H.
Analisi fotometrica e periodo di rotazione
Il periodo sinodico consolidato è 7,241 h, confermato da numerose curve di luce. L’ampiezza varia fra 0,25 e 0,35 mag, e la modellazione da occultazioni e da fotometria suggerisce una forma ellissoidale con superficie a riflettività disomogenea.
Dinamica orbitale e interazioni gravitazionali
Con perielio sotto 2 UA e inclinazione oltre 11°, Thyra si trova in un corridoio incrociato da risonanze secolari minori ma rimane fuori dalle più pericolose. L’effetto Yarkovsky, irrilevante per 80 km, non ne sposterà la traiettoria; eventuali frammenti minori potrebbero invece migrare verso le risonanze più potenti e detabilizzanti per diventare near-Earth, ma il corpo principale resterà confinato nella fascia interna.
Come e quando osservarlo
(115) Thyra sarà in opposizione il 21 di Luglio, momento nel quale raggiungerà l’undicesima magnitudine. Il suo moto sarà di 0.69 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo Thyra trasformarsi in una bella striscia luminosa di 28 secondi d’arco.
Il percorso dell’asteroide Thyra, sotto l’asteroide Pierretta, nel mese di Luglio 2025 nella Costellazione del Sagittario
Asteroidi del mese di Giugno 2025 – (5) Astraea
Scoperta e nomenclatura
L’asteroide (5) Astraea fu individuato l’8 dicembre 1845 da Karl Ludwig Hencke, un impiegato postale prussiano che, per puro diletto, passava le nottate al telescopio installato sul tetto della propria abitazione a Driesen. Per quasi quarant’anni, dopo la scoperta di 4 Vesta, la comunità astronomica si era convinta che la “serie dei pianetini” fosse chiusa; l’apparizione di Astraea colse quindi di sorpresa gli osservatori professionisti e rilanciò la caccia nella fascia principale. Hencke battezzò il nuovo corpo con il nome della vergine simbolo della Giustizia, Astraea (vergine delle stelle), segnando la ripresa della tradizione mitologica inaugurata da Piazzi. L’astronomo dilettante ricevette perfino una piccola pensione da Federico Guglielmo IV di Prussia: un riconoscimento pubblico raro, che fece rapidamente il giro delle accademie europee.
Parametri orbitali
Astraea si colloca su di un’orbita con semiasse maggiore di 2,576 UA, eccentricità 0,187 e inclinazione 5,35 gradi sul piano dell’eclitica. Il perielio raggiunge 2,093 UA, mentre l’afelio tocca 3,060 UA; il periodo siderale è pari a 4,14 anni. La traiettoria resta al di fuori delle principali lacune di Kirkwood, ma è lambita da risonanze di ordine superiore che modulano lentamente eccentricità e inclinazione senza compromettere la stabilità dell’orbita.
Caratteristiche fisiche e composizione
Le misure indicano un diametro medio di circa 125 km e un’albedo geometrica compresa fra 0,23 e 0,24, valore elevato per un asteroide di tipo roccioso. L’analisi delle perturbazioni gravitazionali su piccole masse vicine fornisce una densità attorno a 3,1 g cm³, coerente con un interno silicatico scarsamente poroso e una modesta frazione metallica. Lo spettro di riflettanza, dominato dalle bande di olivina e pirosseno a 1 e 2 µm, colloca Astraea nella classe tassonomica S. La mineralogia ricorda le condriti ordinarie di tipo H, suggerendo una crosta basaltica moderatamente evoluta.
Analisi fotometrica e periodo di rotazione
Oltre seimila osservazioni fissano un periodo rotazionale di 16,801 ore. L’ampiezza media della curva di luce, compresa fra 0,24 e 0,30 magnitudini, implica un rapporto assiale di circa 1,25:1 e quindi una forma poco allungata; l’inversione delle curve di luce individua un polo eclittico vicino a λ = 115 °, β = 55 °, segno che l’asse di rotazione è inclinato di circa 33 gradi, il che conferisce all’asteroide stagioni non particolarmente pronunciate.
Dinamica orbitale e contesto collisivo
Astraea non possiede una vera famiglia collisionale. Gli algoritmi di clustering mostrano soltanto un lieve addensamento di piccoli corpi, la spiegazione più plausibile è che quegli oggetti non derivino da una sola collisione su Astraea; piuttosto, si sono avvicinati progressivamente alla sua orbita spinti dall’effetto Yarkovsky che li ha fatti scivolare in risonanze di ordine elevato con Giove. Queste risonanze, a loro volta, hanno “catturato” gli asteroidi rallentandone la deriva e creando un addensamento intorno ai parametri orbitali di Astraea.
Come e quando osservarlo
(5 Astraea) sarà in opposizione il 5 di Giugno, momento nel quale raggiungerà la magnitudine 10.6. Il suo moto sarà di 0,60 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo Astraea trasformarsi in una bella striscia luminosa di 24 secondi d’arco.
Asteroidi del mese di Maggio 2025 – (3) Juno (pt.02)
Scoperta e nomenclatura
(3) Juno fu scoperto il 1 settembre 1804 dall’astronomo tedesco Karl Ludwig Harding nell’osservatorio privato di Lilienthal, appena fuori Brema. L’annuncio arrivò in un momento di fervente attività: Pallas era stato scoperto soltanto pochi anni prima, e l’idea che tra Marte e Giove potesse orbitare un’intera “famiglia” di piccoli pianeti stava prendendo forma. Harding scelse il nome della regina degli dèi dell’olimpo, inaugurando così la consuetudine di attingere alla mitologia classica per la nomenclatura dei pianetini.
Parametri orbitali
Il semiasse maggiore di Juno misura 2,67 UA, con un’eccentricità insolitamente elevata di 0,256 che porta il perielio a 1,98 UA e l’afelio a 3,36 UA. L’inclinazione orbitale raggiunge 12,97 gradi, valore che lo colloca appena al di fuori dei più popolati piani mediani della fascia principale interna. L’evoluzione secolare del perielio è modulata da risonanze di ordine elevato con Giove, mentre piccole variazioni nell’eccentricità suggeriscono passaggi ripetuti in prossimità dello “stiramento” ν6 di Saturno, una risonanza secolare che agisce come un lungo “tirante gravitazionale” amplificandone lentamente l’eccentricità.
Caratteristiche fisiche
Le dimensioni di Juno sono state determinate combinando fotometria nel vicino infrarosso con misurazioni nell’infrarosso termico medio, la banda spettrale (circa 5–25 µm) in cui l’asteroide non riflette la luce solare ma la riemette come calore, permettendo di stimarne direttamente temperatura ed emissione termica. Le osservazioni convergono su di un diametro medio di 248 ± 5 km e su un’albedo geometrica intorno a 0,24, sostanzialmente più alta della media degli asteroidi di tipo S. La densità oscilla fra 3,0 e 3,3 g cm³: valori compatibili con un corpo parzialmente metallico o, più verosimilmente, con un interno ricco in silicati a grana fine ma scarsamente poroso. Gli spettri di riflettanza indicano la presenza di olivina e pirosseni ferrosi, inquadrando Juno nella classe tassonomica S, con mineralogia simile alle condriti H poco alterate.
Curve di luce, periodo di rotazione e forma
Le prime curve di luce di Juno, pubblicate da H. Russell già nel 1904, indicavano un periodo vicino a sette ore; l’analisi moderna evidenzia un periodo di rotazione di 7,209 ± 0,000005 h e un’ampiezza media di 0,90 magnitudini. Una variazione così ampia comporta un rapporto assiale di circa 1,5:1 e suggerisce un profilo irregolare con un grande rilievo su uno dei due emisferi. Inversioni delle curve di luce fissano il polo eclittico approssimativamente a longitudine 122° e latitudine 28°, una configurazione che comporta stagioni insolitamente accentuate per un corpo di medie dimensioni.
Appartenenza a una famiglia asteroidale
Pur essendo un oggetto di grandi dimensioni e con un’eccentricità insolitamente alta, Juno non è circondato da un insieme consistente di frammenti che ne condividano l’origine; in altre parole non forma una vera famiglia genetica.
Con questa espressione si indica un gruppo di corpi che presenta semiasse maggiore, eccentricità e inclinazione molto simili perché deriva dalla frammentazione di un unico corpo progenitore. Gli asteroidi “consanguinei” condividono quindi la stessa orbita di base e, a distanza di milioni di anni, continuano a rimanere raggruppati nello spazio dei parametri orbitali. Quando un oggetto massiccio viene distrutto, i suoi frammenti si allontanano con velocità relative di poche decine o centinaia di metri al secondo: questo valore è piccolo rispetto alle velocità orbitali (chilometri al secondo), perciò l’insieme dei frammenti resta concentrato e riconoscibile; se l’addensamento osservato è debole o spiegabile con altri meccanismi dinamici, non si parla di famiglia genetica vera e propria.
Nel caso di Juno l’analisi dei cluster mostra solo un modesto addensamento di piccoli asteroidi nelle vicinanze dei suoi parametri orbitali, e le integrazioni orbitali retrograde indicano che tali oggetti sono probabilmente entrati a far parte di quella regione perché intrappolati in risonanze di ordine elevato con i pianeti, e non perché siano schegge prodotte da un singolo impatto catastrofico.
Come e quando osservarlo
(3 Juno) sarà in opposizione il 14 Maggio, momento nel quale raggiungerà la magnitudine 10.1. Il suo moto sarà di 0,55 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo Juno trasformarsi in una bella striscia luminosa di 22 secondi d’arco.
Il percorso dell’asteroide Juno in opposizione il 14 maggio.
(4) Vesta (pt.01)
Scoperta e nomenclatura
Il 29 marzo 1807 Heinrich Wilhelm Olbers, già celebre per la scoperta di (2) Pallas, riconobbe un oggetto insolitamente brillante nel cielo di Brema: lo battezzò Vesta in onore della dea romana del focolare. L’asteroide fu il quarto scoperto e, per luminosità, destò immediatamente l’interesse della comunità scientifica; Gauss – che in quell’epoca stava perfezionando i metodi di calcolo orbitale – ne predisse con grande accuratezza la posizione, aiutando Olbers a confermarne la natura di corpo appartenente alla fascia principale.
Parametri orbitali
Vesta percorre un’orbita compresa fra 2,15 UA al perielio e 2,57 UA all’afelio, con semiasse maggiore di 2,36 UA, eccentricità di 0,089 e inclinazione di 7,14 gradi sull’eclittica; completa una rivoluzione in 3,63 anni terrestri, muovendosi a una velocità media di 19,3 km s. Questi valori la collocano nella fascia principale interna, fuori dalle risonanze maggiori con Giove, in una regione dinamicamente stabile. L’asteroide è troppo massiccio perché l’effetto Yarkovsky ne alteri sensibilmente il semiasse maggiore, mentre i membri più piccoli della sua famiglia migrano di qualche centesimo di UA per milione di anni, spiegando l’allineamento dei vestoidi con le “porte” dinamiche che alimentano la popolazione near-Earth. Il momento d’inerzia basso e la regolazione mareale interna hanno mantenuto l’assetto rotazionale in equilibrio: non si registrano drift YORP misurabili sul periodo di 5,34 h, in accordo con le previsioni teoriche per corpi di centinaia di chilometri.
Caratteristiche fisiche
Le misure della sonda Dawn hanno fissato il diametro medio a 525 km, con assi principali di 572 × 557 × 446 km e massa di 2,59 × 10²⁰ kg; la densità di 3,46 g cm³ conferma la presenza di un nucleo metallico di Fe-Ni del raggio di circa 110 km, sovrastato da mantello silicatico e crosta basaltica. Vesta rappresenta quindi un protopianeta differenziato rimasto quasi intatto sin dalle prime fasi di formazione dei pianeti terrestri. Le immagini ad alta risoluzione di Dawn hanno inoltre rivelato il gigantesco bacino polare Rheasilvia, largo 505 km e profondo oltre 20 km, la cui vetta centrale di 22 km figura fra i rilievi più alti del Sistema Solare. L’impatto che lo generò espulse circa l’1 per cento del volume dell’asteroide, aprendo squarci sul mantello e lasciando cicatrici tettoniche come il sistema di Divalia Fossa. Analisi geologiche mostrano inoltre che le colate basaltiche originali sono state coperte da sottili strati di materiale carbonioso scuro, depositato da impattanti primitivi.
Connessione coi meteoriti HED
Lo spettro di riflettanza, dominato da bande di pirosseno–olivina, colloca Vesta nella rara classe tassonomica V-type. Già dagli anni Settanta si era notato che tale spettro coincide con quello dei meteoriti eucriti, diogeniti e howarditi, i cosiddetti HED. Le analisi isotopiche effettuate su questi meteoriti, corroborate dai dati ricavati dalla sonda Dawn, confermano che essi provengono dalla crosta e dal mantello di Vesta, rendendo l’asteroide l’unico corpo progenitore noto di un’intera classe meteoritica basaltica. Studi del 2024 hanno mostrato come le variazioni di zinco e sodio negli HED riflettano la perdita primordiale di elementi volatili durante la solidificazione del magma vestiano, rafforzando l’interpretazione di Vesta quale “pianeta interno in miniatura”.
Curve di luce, periodo di rotazione e forma
Le curve di luce ricavate da osservazioni telescopiche e dalla stessa sonda Dawn definiscono un periodo di rotazione di 5,342 ± 0,001 ore; l’ampiezza fotometrica varia fra 0,10 e 0,30 magnitudini a seconda della geometria di fase, con un valore medio di circa 0,26 mag alle lunghezze d’onda visibili. La modulazione doppia (bimodale, due massimi e due minimi) indica una forma triassiale. L’asse di rotazione è inclinato di 29 gradi, generando un alternarsi di “stagioni” particolarmente pronunciate.
La famiglia dei Vestoidi
L’impatto che formò il cratere Rheasilvia – e quello precedente di Veneneia – ha espulso milioni di frammenti oggi noti come famiglia Vesta o Vestoidi. Questa popolazione, che supera i 15 000 membri identificati, riempie la regione 2,26–2,48 UA con inclinazioni di 5–8 gradi; la maggioranza della massa è dominata da Vesta stessa (circa il 98 %), seguita da alcuni corpi di decine di chilometri come 63 Ausonia, mentre la stragrande maggioranza misura meno di 10 km. I vestoidi presentano spettri di tipo V-type o, per i frammenti più profondi, J-type ricchi di diogenite, confermando l’origine comune dal mantello e dalla crosta di Vesta. I frammenti più piccoli derivano progressivamente verso semiassi maggiori più piccoli o più grandi per effetto Yarkovsky; quando raggiungono specifiche risonanze, alcuni vengono proiettati verso il sistema solare interno, molti divengono NEA e alcui finiscono per cadere sulla Terra sotto forma di meteoriti HED.
Come e quando osservarlo
(4 Vesta) sarà in opposizione il 1 Maggio, momento nel quale raggiungerà la magnitudine 5,7. Il suo moto sarà di 0,63 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (4) Vesta trasformarsi in una bella striscia luminosa di 25 secondi d’arco.
Il percorso di Vesta nel mese di Maggio. Opposizione 1 Maggio 2025.
Asteroidi del mese di Aprile 2025 – (113) Amalthea
Scoperta e nomenclatura
L’asteroide (113) Amalthea fu scoperto il 12 marzo 1871 dall’astronomo tedesco Robert Luther presso l’Osservatorio di Bilk a Düsseldorf. Fu il 113º asteroide identificato, in un’epoca in cui la fascia principale andava popolandosi rapidamente grazie alle frequenti scoperte. Luther scelse di battezzarlo “Amalthea” in onore della ninfa della mitologia greca Amaltea, nota per aver allattato con il proprio latte di capra il neonato Zeus (Giove).
Parametri orbitali
Amalthea orbita attorno al Sole in circa 3,66 anni. La sua orbita lo colloca nella regione interna della fascia asteroidale (la cosiddetta fascia principale interna), leggermente oltre il gruppo della famiglia Flora. In particolare, Amalthea percorre un’orbita relativamente poco eccentrica e lievemente inclinata sull’eclittica. I suoi elementi orbitali indicano un’orbita stabile lontana da risonanze maggiori: il semi-asse maggiore è di circa 2,376 UA, ben al di sotto della lacuna di Kirkwood del 3:1 con Giove (circa 2,50 UA), mentre il perielio si mantiene a 2,17 UA, dunque non penetra nella regione delle risonanze secolari interne. Alcune analisi più datate l’avevano incluso come membro appartenente alla famiglia di Flora, ma studi successivi hanno evidenziato una diversa origine (come vedremo tra breve) e attualmente Amalthea viene considerato al di fuori delle grandi famiglie classiche.
Il percorso dell’asteroide (113) Amalthea nel mese di aprile nella Costellazione della Vergine. Crediti: in-the-sky.org
Caratteristiche fisiche
Osservazioni effettuate nell’infrarosso e nel visibile hanno permesso di determinare con buona precisione le dimensioni e la natura della superficie di Amalthea. L’asteroide ha un diametro medio di circa 50 km. Si tratta dunque di un corpo di dimensioni intermedie, più grande del 99% circa degli asteroidi noti ma comunque molto più piccolo dei maggiori pianeti nani o degli asteroidi giganti come Cerere o Vesta.
Amalthea ha una superficie insolitamente riflettente, con un albedointorno a 0,24–0,27, valore che suggerisce una composizione di tipo silicaceo (asteroidi di tipo S), indicando che Amalthea riflette oltre un quarto della luce solare incidente; un indice di superficie relativamente brillante, per confronto, asteroidi di tipo carbonaceo, hanno un albedo intorno a 0,05–0,10. La massa di (113) Amalthea non è nota con precisione perché non esistono misurazioni dirette (ad esemepio satelliti stabili o perturbazioni orbitali significative su altri corpi). Tuttavia, ipotizzando una densità coerente con rocce silicacee poco porose, la massa di un sferoide di circa 50 km di diametro risulta dell’ordine di circa 100 trilioni di tonnellate. Si tratta di un valore approssimativo ma utile per inquadrare Amalthea come un corpo in grado di esercitare piccole perturbazioni gravitazionali locali, ma non sufficiente ad assumere forma sferica sotto la propria gravità.
Analisi spettroscopiche dettagliate hanno rivelato una caratteristica peculiare: Amalthea è ricco di olivina. In particolare, studi nella banda 0,3–2,5 µm indicano che il materiale superficiale è composto quasi interamente da olivina, con solo una piccola frazione di pirosseno e pochissimo metallo. Questa composizione suggerisce fortemente che Amalthea non sia un asteroide primitivo monolitico, ma un frammento proveniente dagli strati interni (mantello) di un grande corpo progenitore differenziato.
Curve di luce, periodo di rotazione e forma
Le osservazioni fotometriche di Amalthea – tramite la tecnica delle curve di luce – hanno permesso di determinarne il periodo di rotazione e la forma approssimativa. L’asteroide mostra una variazione periodica della luminosità mentre ruota su se stesso, dovuta alla sua forma non sferica. Le prime misure risalgono alla metà del ’900, ma è soprattutto con osservazioni moderne che si è consolidato il risultato: Amalthea ruota in circa 9,95 ore attorno al proprio asse. Questo valore indica una rotazione relativamente lenta rispetto ai piccoli asteroidi (che spesso ruotano in poche ore), ma abbastanza tipica per un corpo di circa 50 km. L’ampiezza della curva di luce – ossia la differenza tra la magnitudine massima e minima durante una rotazione – è di circa 0,2 magnitudini. Ciò significa che la brillantezza varia di circa il 20% tra i lati più luminosi e più deboli, suggerendo che Amalthea abbia una forma allungata ma non estremamente irregolare. Un’ampiezza di 0,20 mag è consistente con un rapporto tra gli assi del corpo di circa 1,2:1 (ipotizzando un ellissoide triaxiale); in altre parole, Amalthea potrebbe avere una forma oblunga con un asse lungo forse il 20% in più del corto. Effettivamente, osservazioni effettuate durante occultazioni stellari indicherebbero una sagoma ellissoidale marcata. Ad esempio, durante l’occultazione di una stella di magnitudine 10 avvenuta il 14 marzo 2017, varie stazioni osservative registrarono una durata d’occultazione coerente con un profilo molto allungato (rapporto assi di circa 1,5). La direzione dell’asse di rotazione (polo) non è al momento nota con precisione.
Appartenenza a una famiglia asteroidale
Per molto tempo Amalthea fu catalogato genericamente come un asteroide della fascia interna, potenzialmente associato alla numerosa famiglia Flora (data la similitudine dei parametri orbitali). Tuttavia, studi dettagliati della composizione e della dinamica orbitale hanno rivelato uno scenario diverso e Amalthea sembra essere strettamente legato all’asteroide (9) Metis. Metis e Amalthea condividono proprietà orbitali e spettroscopiche che suggeriscono l’origine da un comune evento di frammentazione: entrambi sono asteroidi di tipo S insolitamente ricchi di olivina, cosa rara nella fascia principale, e le loro orbite sono molto simili. Si è quindi ipotizzato che Metis (diametro di circa 190 km) e Amalthea (circa 50 km) siano i due maggiori superstiti di un antico corpo progenitore andato poi distrutto. Secondo questi studi, circa 1 miliardo di anni fa un grande asteroide di dimensioni stimabili tra 300 e 600 km (paragonabile a 4 Vesta in scala) sarebbe stato oggetto di una collisionme catastrofica dalla quale sarebbero nati una miriade di frammenti; col trascorrere del tempo, la grande maggioranza della massa di quel corpo originale è andata perduta, dispersa o ulteriormente frammentata. Gli unici oggetti riconoscibili rimasti sarebbero proprio (9) Metis e (113) Amalthea. Questa possibile famiglia Metis-Amalthea è però talmente erosa ed i membri minori sopravvissuti sono così pochi e di piccola taglia, che nelle analisi di clustering orbitale la coppia non emerge chiaramente come famiglia a sé (viene infatti classificata come “background”). Si tratta di un caso estremo di famiglia “condensata” in pochi oggetti, definita anche coppia asteroidale genetica poiché solo i due maggiori frammenti sono identificabili come correlati.
Le implicazioni dinamiche di questa potenziale appartenenza sono rilevanti. Innanzitutto, la composizione olivinica di Amalthea troverebbe spiegazione naturale se si trattasse di un frammento del mantello del corpo progenitore, mentre Metis potrebbe rappresentare una porzione più interna (mantello profondo o addirittura parte del nucleo, data la presenza di più metallo nel suo spettro). La similarità spettrale indica la possibile provenienza dallo stesso corpo differenziato originario. In secondo luogo, il fatto che la famiglia sia oggi praticamente ridotta a due soli membri principali suggerisce che i frammenti minori siano stati progressivamente eliminati nel tempo, probabilmente da processi dinamici di cui parleremo tra breve.
Dinamica orbitale: risonanze, effetti Yarkovsky-YORP e migrazione
Dal punto di vista dinamico a lungo termine, (113) Amalthea occupa un’orbita stabile nella fascia principale interna. Non si trova in risonanza orbitale significativa con alcun pianeta maggiore: le principali risonanze di Giove in zona (ad esempio la 3:1 a 2,50 UA o la 5:2 a 2,82 UA) sono lontane dalla sua posizione (2,38 UA). Anche le risonanze secolari (che destabilizzano gli asteroidi portandoli in orbite che intersecano quella di Marte) agiscono più vicino, a 2,1 UA e a inclinazioni differenti, quindi Amalthea rimane fuori anche dalla loro portata. Questo significa che Amalthea manterrà un’orbita stabile per centinaia di milioni di anni. Tuttavia, per i piccoli frammenti originatisi dalla sua famiglia collisionale entrano in gioco forze non gravitazionali che possono aver alterato le orbite nel tempo, in particolare l’effetto Yarkovsky. L’effetto Yarkovsky è una debole forza propulsiva prodotta dall’emissione di radiazione termica da parte di un corpo in rotazione: in pratica un asteroide assorbe luce solare e la ri-emette come calore con un leggero ritardo rotazionale. Questo fenomeno, nel corso di milioni di anni, causa una lenta deriva del semiasse maggiore, dipendente dal senso di rotazione, dalle dimensioni del corpo e dalle sue proprietà termiche. Per asteroidi di dimensioni inferiori ai 20 km, la deriva indotta dall’effetto Yarkovsky può essere abbastanza significativa da spostarli gradualmente e farli entrare in zone di risonanza che poi li rimuovono dalla fascia. Nel caso della famiglia di Amalthea, è probabile che dopo la frammentazione iniziale molti piccoli pezzi siano migrati lentamente sotto l’azione dell’effetto Yarkovsky, finendo per entrare in risonanze per poi essere espulsi dalla fascia principale. Questo spiegherebbe perché oggi restano solo Metis e Amalthea: i membri minori potrebbero essere stati dispersi dinamicamente dal combinarsi dell’effetto Yarkovsky e delle risonanze, mente i corpi più grandi come Amalthea stesso, avendo una deriva generata dall’effetto Yarkovsky trascurabile ed essendo distanti dalle risonanze, sarebbero rimasti vicino alla loro posizione originaria.
Un altro effetto correlato è l’effetto YORP (acronimo di Yarkovsky-O’Keefe-Radzievskii-Paddack): una variante dell’effetto Yarkovsky che modifica il periodo di rotazione di un piccolo corpo tramite il momento torcente esercitato dall’emissione termica. L’effetto YORP può accelerare o rallentare la rotazione degli asteroidi di pochi chilometri in tempi geologici, portando alcuni a ruotare molto rapidamente o molto lentamente. Nel caso di Amalthea, date le sue dimensioni, l’effetto YORP è estremamente debole – la sua massa e inerzia sono troppo grandi perché la flebile spinta termica alteri sensibilmente il periodo di 9,95 h in tempi osservabili. Tuttavia, per i frammenti minori della famiglia originaria, l’effetto YORP può aver giocato un ruolo: asteroidi di 1–5 km potrebbero aver subito cambiamenti di spin significativi, portando magari a stati rotazionali caotici o alla frammentazione secondaria se superavano il limite di stabilità, fenomeno noto ad esempio per gli asteroidi formati da blocchi e materiale poco coeso, i cosiddetti asteroidi “rubble pile”.
Come e quando osservarlo
(113 Amalthea) sarà in opposizione il 18 Aprile, momento nel quale raggiungerà la magnitudine 11. Il suo moto sarà di 0,61 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo 113 Amalthea trasformarsi in una bella striscia luminosa di 25 secondi d’arco.
Mondi in miniatura – Asteroidi del mese di Marzo 2025
(8) Flora
Scoperta e nomenclatura
L’asteroide (8) Flora fu scoperto il 18 ottobre 1847 dall’astronomo britannico John Russell Hind presso l’osservatorio privato di George Bishop, situato a Regent’s Park, Londra. L’oggetto deve il suo nome alla dea romana dei fiori, in accordo con la convenzione ottocentesca di denominare gli asteroidi con riferimenti alla mitologia classica. La scoperta di Flora si inserisce in un periodo di intensa attività nello studio dei corpi minori del Sistema Solare, durante il quale Hind e i suoi contemporanei contribuirono significativamente alla caratterizzazione della fascia principale. Il loro lavoro permise di ampliare la conoscenza sulla distribuzione e sulla natura di questi oggetti, fornendo le prime basi per una classificazione sistematica degli asteroidi.
Parametri orbitali
L’asteroide (8) Flora percorre un’orbita attorno al Sole con un semiasse maggiore di circa 2,2 UA, completando una rivoluzione in 3,26 anni terrestri. L’eccentricità orbitale è pari a 0,15, mentre l’inclinazione rispetto al piano dell’eclittica è compresa tra 5° e 6°, posizionandolo stabilmente nella regione interna della fascia principale. L’analisi dei parametri orbitali di Flora è rilevante anche per il suo ruolo di corpo principale della famiglia asteroidale di Flora, un gruppo di asteroidi che condividono elementi orbitali simili e che si ritiene derivino dalla frammentazione di un progenitore comune. Le dinamiche di questa famiglia risultano di particolare interesse per la correlazione ipotizzata con alcune tipologie di meteoriti condritiche ordinarie rinvenute sulla Terra.
Caratteristiche fisiche
Le osservazioni spettroscopiche e fotometriche indicano che Flora appartiene alla classe degli asteroidi di tipo S, caratterizzati da una composizione ricca di silicati di ferro e magnesio, in particolare olivina e pirosseni, con una frazione di metalli ferrosi. La sua albedo, stimata tra 0,20 e 0,24, è coerente con quella di altri asteroidi di tipo S e risulta significativamente superiore rispetto agli asteroidi di tipo C, caratterizzati da una composizione prevalentemente carbonacea. Questa elevata riflettività consente a Flora di raggiungere magnitudini che ne facilitano l’osservazione, rendendolo uno degli oggetti più luminosi della fascia principale interna. La correlazione tra la composizione di Flora e quella della sua famiglia asteroidale supporta l’ipotesi che questa popolazione derivi dalla disgregazione di un corpo progenitore con analoghe caratteristiche mineralogiche.
Curve di luce, periodo di rotazione e forma
L’analisi delle curve di luce di (8) Flora ha permesso di determinare un periodo di rotazione di circa 12,86 ore. Studi fotometrici condotti nel corso di diverse campagne osservative hanno confermato con buona precisione questo valore, pur evidenziando variazioni minime dovute a differenti condizioni osservative e metodologie di riduzione dei dati.
L’ampiezza della curva di luce suggerisce che Flora possieda una forma irregolare, ma non eccessivamente allungata. Le variazioni periodiche di luminosità sono attribuibili a disomogeneità superficiali, probabilmente riconducibili a crateri, rilievi e altre strutture morfologiche risultanti da impatti avvenuti nel corso della sua storia evolutiva.
Come e quando osservarlo
(8 Flora) sarà in opposizione il 12 Marzo, momento nel quale raggiungerà la magnitudine 9,7. Il suo moto sarà di 0,71 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (8) Flora trasformarsi in una bella striscia luminosa di 28 secondi d’arco.
(18) Melpomene
Scoperta e nomenclatura
La scoperta di (18) Melpomene si colloca nello stesso fervente contesto scientifico che, pochi anni prima, aveva portato all’individuazione di (8) Flora. Come quest’ultimo, anche Melpomene fu individuato dall’astronomo britannico John Russell Hind presso l’osservatorio privato di George Bishop a Regent’s Park, Londra. L’oggetto venne identificato il 24 giugno 1852, in un periodo in cui la catalogazione sistematica degli asteroidi stava prendendo forma, grazie ai progressi nella strumentazione astronomica e alla crescente attenzione verso i corpi minori del Sistema Solare.
Il nome Melpomene, assegnato secondo la consolidata tradizione ottocentesca di ispirarsi alla mitologia classica, fa riferimento alla musa greca della tragedia e questa scelta si inserisce nella stessa logica culturale che aveva portato alla denominazione di (8) Flora, dedicato alla dea romana dei fiori.
La scoperta di Melpomene contribuì ulteriormente alla comprensione della fascia principale, che stava emergendo come una struttura dinamicamente complessa e scientificamente rilevante.
Parametri orbitali
I dati orbitali attuali descrivono un’orbita con semiasse maggiore di circa 2,30 UA, collocando stabilmente (18) Melpomene nella regione centrale della fascia principale. Il periodo di rivoluzione attorno al Sole è di circa 3,5 anni terrestri (pari a circa 1280 giorni).
L’eccentricità orbitale, compresa tra 0,20 e 0,25, indica un’orbita moderatamente ellittica, mentre l’inclinazione di circa 10° rispetto all’eclittica è relativamente elevata per un asteroide della fascia principale. L’analisi orbitale di (18) Melpomene è di particolare interesse per lo studio della distribuzione e dell’evoluzione delle popolazioni asteroidali, nonché per la caratterizzazione delle interazioni gravitazionali all’interno della fascia principale.
Caratteristiche fisiche
Dal punto di vista tassonomico, (18) Melpomene appartiene alla classe S, caratterizzata da una composizione dominata da silicati di ferro e magnesio, come olivina e pirosseni, con una frazione di metalli ferrosi. Le analisi spettroscopiche nel visibile e nel vicino infrarosso confermano la presenza delle tipiche bande di assorbimento associate a questi minerali, rafforzando l’ipotesi che gli asteroidi di tipo S siano i progenitori di una parte significativa dei meteoriti condritici ordinari rinvenuti sulla Terra.
Il diametro medio dell’asteroide è stimato in circa 140 km, un valore che lo colloca nella categoria degli asteroidi di medie dimensioni della fascia principale. L’albedo geometrica, coerentemente con altri oggetti della classe S, varia tra 0,20 e 0,26, a seconda della lunghezza d’onda considerata nelle osservazioni fotometriche. Questa elevata riflettività, rispetto agli asteroidi carbonacei di tipo C, contribuisce alla relativa brillantezza di Melpomene durante le opposizioni più favorevoli.
Curve di luce, periodo di rotazione e forma
L’ampio database di osservazioni fotometriche raccolte tra il XX e il XXI secolo consente di determinare con buona precisione il periodo di rotazione di (18) Melpomene, stimato in 11,57 ore. I dati, pubblicati in diverse edizioni del Minor Planet Bulletin e registrati nell’Asteroid Lightcurve Database (LCDB), indicano un’ampiezza della curva di luce compresa tra 0,4 e 0,5 magnitudini.
Queste variazioni di luminosità suggeriscono che l’asteroide abbia una forma irregolare, riconducibile a un ellissoide triaxiale, con asperità e strutture superficiali quali crateri e rilievi. L’interpretazione delle curve di luce, supportata da tecniche di inversione fotometrica, permette di delineare un quadro morfologico coerente con la storia collisionale degli asteroidi della fascia principale. Sebbene questi metodi non possano sostituire un’osservazione diretta, forniscono comunque informazioni fondamentali sulla rotazione e sulla distribuzione delle irregolarità superficiali di Melpomene e più in generale sugli asteroidi.
Come e quando osservarlo
Grazie alla sua elevata albedo e alla posizione orbitale, (18) Melpomene raggiunge, nelle opposizioni più favorevoli, luminosità tali da renderlo visibile anche con telescopi di piccola apertura. Melpomene sarà in opposizione il 24 di Marzo, momento nel quale raggiungerà la massima luminosità brillando di magnitudine di 7.9. Il suo moto sarà di 0,68 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (18) Melpomene trasformarsi in una bella striscia luminosa di quasi 27 secondi d’arco.
Febbraio 2025
L’asteroide (29) Amphitrite: storia, caratteristiche e curiosità
Un’illustre scoperta nell’Inghilterra vittoriana
(29) Amphitrite fu individuato il 1º marzo 1854 da Albert Marth dall’osservatorio privato di George Bishop a Regent’s Park, Londra. All’epoca, l’Osservatorio di Bishop era già noto per alcune rilevanti scoperte, fra le quali (7) Iris nel 1847, individuato da John Russell Hind. Il nome “Amphitrite” (in italiano “Anfitrite”) richiama la figura mitologica della ninfa marina sposa di Poseidone, in linea con la tradizione ottocentesca di associare gli asteroidi a divinità greco-romane. Scoprire asteroidi nell’Inghilterra vittoriana era tutt’altro che semplice, a causa dello smog tipico della rivoluzione industriale e del clima spesso nuvoloso. L’osservatorio di George Bishop, tuttavia, disponeva di attrezzature per il tempo all’avanguardia e di un gruppo di astronomi, che riuscirono a ottenere risultati di grande rilievo.
Parametri orbitali: un’orbita quasi circolare
Le osservazioni e i dati raccolti dal Minor Planet Center e dal JPL Small-Body Database della NASA mostrano che Amphitrite si muove attorno al Sole con un semiasse maggiore di circa 2,55 UA, descrivendo un’orbita completata in circa 4,36 anni terrestri. L’eccentricità è di circa 0,07, un valore basso che evidenzia un’orbita quasi circolare. L’inclinazione del piano orbitale, di circa 6,1° rispetto all’eclittica, è relativamente modesta.
Caratteristiche fisiche: Un grande S-type
Amphitrite appartiene alla categoria degli asteroidi di tipo S, composti prevalentemente da silicati di ferro e magnesio e dotati di un’albedo media intorno allo 0,20, valore superiore rispetto a quello tipico degli asteroidi di tipo C (carbonacei). Il diametro medio di (29) Amphitrite è stato stimato in circa 212 km, mentre la magnitudine assoluta (H) si aggira intorno a 7,9, valori che ne fanno uno degli oggetti più luminosi e massicci fra i rocciosi presenti nella fascia principale. Queste caratteristiche lo rendono interessante sia sotto il profilo astronomico sia sotto quello planetologico, poiché gli asteroidi di notevoli dimensioni possono fornire informazioni preziose sulla composizione e sull’evoluzione primordiale del Sistema Solare. A differenza dei frammenti più piccoli, che possono essere stati distrutti o profondamente alterati da collisioni e processi termici, gli asteroidi massicci sono in grado di conservare al loro interno tracce dei processi di accrezione e differenziazione avvenuti miliardi di anni fa.
Un esempio notevole è (4) Vesta, uno degli asteroidi più grandi della fascia principale, il cui studio (anche grazie alla missione Dawn della NASA) ha rivelato prove di una parziale fusione interna e della formazione di un nucleo ferroso. Tali evidenze suggeriscono che, quando un corpo raggiunge certe dimensioni, può trattenere abbastanza calore da innescare processi di differenziazione (separazione di materiali più pesanti verso l’interno e di quelli leggeri verso la superficie). Gli strati così formati—nucleo, mantello e crosta—rimangono come “registro geologico” di eventi verificatisi nelle prime fasi di vita del Sistema Solare.
Confrontando la composizione chimica, la mineralogia e le firme isotopiche dei grandi asteroidi, con quelle riscontrate nei meteoriti (molti dei quali sono frammenti distaccatisi nel tempo proprio da corpi maggiori), diventa possibile ricostruire i meccanismi di formazione planetaria, i tempi in cui si sono verificati i diversi processi termici e la sequenza degli impatti che ha caratterizzato la fascia principale e questo fornisce indizi fondamentali sulla distribuzione iniziale degli elementi e sul graduale assemblaggio dei protopianeti, facendo luce sull’evoluzione complessiva del nostro Sistema Solare.
Curve di luce, periodo di rotazione e forma
Dalle molteplici campagne osservative emerge che (29) Amphitrite possiede un periodo di rotazione di circa 5,39 ore. Le curve di luce indicano un’ampiezza di variazione compresa in genere fra 0,2 e 0,4 magnitudini, a seconda dell’angolo di fase e delle condizioni di osservazione. Tale regolarità suggerisce che l’asteroide ruoti in maniera abbastanza uniforme, pur lasciando spazio a possibili irregolarità superficiali. L’analisi fotometrica, infatti, da sola non è sufficiente a definire con esattezza la morfologia del corpo, tuttavia può fornire buoni indizi su forma e orientamento dell’asse di rotazione attraverso il processo di inversione delle curve di luce.
L’inversione delle curve di luce è una tecnica di analisi fotometrica che permette di ricostruire la forma tridimensionale e l’orientamento dell’asse di rotazione di un asteroide utilizzando una serie di misurazioni di luminosità raccolte in differenti apparizioni e da diversi osservatori. Come ben sappiamo, quando un asteroide ruota, la quantità di luce che riflette (ossia la sua magnitudine apparente) varia leggermente in funzione dell’angolo di visione e della geometria lluminazione/osservatore. Registrando queste variazioni (le “curve di luce”) e combinandole con un appropriato modello matematico, si riesce a risalire alla geometria della rotazione ed alla forma generale del corpo. Per ottenere un modello accurato servono osservazioni fotometriche in più fasi orbitali (idealmente anche distribuite su diverse opposizioni), in modo che l’asteroide venga “visto” sotto molteplici angoli. Le procedure di inversione consentono di stimare gli assi principali di un eventuale ellissoide (o poliedro) che meglio approssima il corpo reale e di individuare il polo di rotazione in coordinate eclittiche.
Nel caso di (29) Amphitrite, la forma ricostruita non risulta eccessivamente irregolare; i modelli attuali descrivono Amphitrite come un solido triaxiale con rapporto fra gli assi abbastanza vicino a 1: in altre parole, non è un corpo estremamente “piatto” o “allungato”, ma presenta comunque differenze di dimensione misurabili fra un asse e l’altro. Le soluzioni di inversione, disponibili in database come il DAMIT (Database of Asteroid Models from Inversion Techniques) e citate in articoli pubblicati sul Minor Planet Bulletin, indicano inoltre che l’asse di rotazione di Amphitrite è inclinato di diversi gradi rispetto all’eclittica, con un valore di longitudine e latitudine del polo che rientra in un range di soluzioni molto simili tra loro.
Come e quando osservarlo
In occasione di opposizioni particolarmente favorevoli, Amphitrite può arrivare a magnitudini di circa 8, valore sufficiente per consentire l’osservazione con telescopi di piccola o media apertura e, a volte, persino con binocoli di buona qualità.
(29) Amphitrite sarà in opposizione il 12 Febbraio. In questo frangente raggiungerà la massima brillantezza con una magnitudine di 9.2. Il suo moto sarà di 0,63 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (29) Amphitrite trasformarsi in una bella striscia luminosa di 25 secondi d’arco.
Riferimenti bibliografici
Le informazioni citate derivano dai dati ufficiali riportati dal Minor Planet Center (https://minorplanetcenter.net/), dal JPL Small-Body Database (https://ssd.jpl.nasa.gov/tools/sbdb_lookup.html#/) e dai lavori di fotometria pubblicati sul Minor Planet Bulletin. Dati relativi alle composizioni e alle classificazioni degli asteroidi di tipo S e dei meteoriti condriti ci sono disponibili presso i database della NASA (PDS) e della USGS.
Mondi in miniatura – Asteroidi del mese di Gennaio 2025
Il mese di gennaio 2025 offre un’opportunità unica per osservare alcuni dei più affascinanti asteroidi visibili nel nostro cielo. Con condizioni favorevoli e momenti di opposizione ideali, diversi corpi celesti si mostrano al massimo della loro brillantezza, rendendosi accessibili anche agli astrofili dotati di strumentazione amatoriale. Tra i protagonisti del mese troviamo il carbonaceo (79) Eurynome, il massiccio (14) Irene e l’interessante NEA (887) Alinda, che effettuerà un passaggio ravvicinato alla Terra. Questo articolo ti guiderà alla scoperta delle loro caratteristiche e dei momenti migliori per osservarli, con utili suggerimenti tecnici per ottimizzare le tue osservazioni. Prepara il telescopio e scopri insieme a noi il fascino di questi piccoli giganti del sistema solare.
(79) Eurynome
Asteroide di fascia principale che compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.400 giorni (3.83 anni) ad una distanza compresa tra le 1.98 e le 2.91 unità astronomiche (rispettivamente, 296.203.784 Km al perielio e 435.329.804 Km all’afelio). Deve il suo nome Eurinome, spesso identificata come una divinità o una ninfa che, unendosi a Zeus, generò le Cariti (o Grazie). Scoperto il 14 settembre 1863 dall’astronomo James Craig Watson presso l’Osservatorio di Ann Arbor (Michigan, USA), (79) Eurynome misura all’incirca 70 Kilometri di diametro ed è classificato come un asteroide di tipo C (carbonaceo) o X, a seconda delle diverse classificazioni: ciò indica probabilmente una composizione ricca di carbonio e/o di composti metallici. (79) Eurynome sarà in opposizione il 7 di Gennaio. In questo frangente raggiungerà la massima brillantezza con una magnitudine di 10.3, il suo moto sarà di 0,65 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (79) Eurynome trasformarsi in una bella striscia luminosa di 26 secondi d’arco.
(79) Eurynome Crediti: https://in-the-sky.org/
(675) Ludmilla
Sempre il 7 di gennaio avremo in opposizione (675) Ludmilla, un asteroide di fascia principale di circa 70 Km che compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.680 giorni (4.60 anni) ad una distanza compresa tra le 2.20 e le 3.33 unità astronomiche (rispettivamente, 329.115.316 Km al perielio e 498.160.909 Km all’afelio). L’origine del nome non è certa, ma “Ludmilla” (o “Ljudmila”, “Ludmila”) è un nome femminile slavo piuttosto diffuso. Potrebbe riferirsi a Santa Ludmilla di Boemia (una santa ceca del IX-X secolo) o semplicemente al significato del nome slavo (spesso tradotto come “cara al popolo”). E’ stato scoperto da J. H. Metcalf il 30 Agosto del 1908. Al momento dell’opposizione raggiungerà la massima luminosità brillando di magnitudine di 11.2. Il suo moto sarà di 0,64 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (675) Ludmilla trasformarsi in una bella striscia luminosa di 26 secondi d’arco.
(675) Ludmilla Crediti: https://in-the-sky.org/
(14) Irene
(14) Irene è un asteroide di fascia principale che compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.520 giorni (4.16 anni) ad una distanza compresa tra le 2.16 e le 3.02 unità astronomiche (rispettivamente, 323.131.401 Km al perielio e 451.785.570 Km all’afelio). Deve il suo nome a Eirene, Divinità personificazione della pace. Scoperto da John Russel Hind il 19 Maggio 1851, questo grande asteroide (all’incirca 152 Kilometri di diametro) è classificato come asteroide di tipo S, caratterizzato da una composizione ricca di silicati ferrosi, nichel e ferro metallico. Sarà in opposizione il 10 di Gennaio. In questo frangente raggiungerà la massima brillantezza con una magnitudine di 9.7. Il suo moto sarà di 0,66 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (14) Irene trasformarsi in una bella striscia luminosa di 26 secondi d’arco.
(14) Irene Crediti: https://in-the-sky.org/
(51) Nemausa
(51) Nemausa è un grande asteroide di fascia principale di circa 150Km che compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.330 giorni (3.64 anni) ad una distanza compresa tra le 2.21 e le 2.52 unità astronomiche (rispettivamente, 330.611.294 Km al perielio e 376.986.634 Km all’afelio). Deve il suo nome alla città francese di Nîmes. E’ stato scoperto da Joseph Jean Pierre Laurent il 22 Gennaio 1858. Studi fotometrici e spettroscopici suggeriscono che possa rientrare tra i tipi carbonacei (C/G), con un albedo piuttosto basso tipico di questo tipo di asteroidi. (51) Nemausa raggiungerà l’opposizione il 17 Gennaio, momento nel quale raggiungerà magnitudine 10.7. Il suo moto sarà di 0,67 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle nostre immagini, anche in questo caso, potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 4/5 minuti. Per ottenere una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (51) Nemausa trasformarsi in una bella striscia luminosa di 27 secondi d’arco.
(51) Nemausa Crediti: https://in-the-sky.org/
(887) Alinda
(887) Alinda è un asteroide NEA (Near Earth Asteroid) appartenente al gruppo Amor, scoperto il 3 gennaio 1918 dall’astronomo tedesco Max Wolf presso l’Osservatorio di Heidelberg, in Germania. Deve il suo nome all’antica città di Alinda, situata nella storica regione della Caria, nell’odierna Turchia. È noto per aver dato il nome al gruppo Alinda, un insieme di asteroidi accomunati da specifiche caratteristiche orbitali legate a una risonanza orbitale con Giove. L’orbita di (887) Alinda ha un semiasse maggiore di circa 2,5 unità astronomiche e un’eccentricità piuttosto elevata. Questo lo pone vicino alla risonanza 3:1 con Giove, un fenomeno per cui il rapporto fra i tempi di rivoluzione di Alinda e del pianeta gigante è pari a tre a uno. Tale risonanza tende a far aumentare l’eccentricità dell’asteroide nel tempo, portandolo progressivamente a intersecare le orbite dei pianeti interni, compresa quella della Terra. Sebbene ciò non lo classifichi come un oggetto immediatamente pericoloso, rappresenta comunque un interessante esempio di come l’influenza gravitazionale di Giove possa modificare l’orbita di un corpo minore con il passare dei millenni. Dal punto di vista della composizione, Alinda è considerato un asteroide di tipo S, prevalentemente roccioso, composto da silicati ferrosi e nichel-ferro. Il suo diametro stimato è di circa 4.2 chilometri, abbastanza grande da renderlo osservabile anche con strumentazione amatoriale nei periodi di migliore visibilità.
(887) Alinda Crediti: https://in-the-sky.org/
L’8 di gennaio (887) Alinda effettuerà un passaggio ravvicinato transitando a 0.082 unità astronomiche dalla terra, poco più di 12 milioni di kilometri, raggiungendo la nona magnitudine e rimanendo osservabile anche nei giorni successivi. I giorni precedenti il passaggio il NEA viaggerà intorno ai 6 secondi d’arco al minuto, per poi accellerare fino a raggiungere gli 8.4 arcosecondi al minuto. Per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle nostre immagini, dovremo quindi utilizzare utilizzare tempi di esposizione non superiori ai 20 secondi.
Le effemeridi per il proprio sito osservativo potranno essere calcolate utilizzando il Minor Planet Ephemeris Service:
Mondi in miniatura – Asteroidi del mese di Dicembre 2024
Con l’arrivo di dicembre, il cielo ci regala un’opportunità imperdibile per osservare alcuni tra gli asteroidi più affascinanti della fascia principale, che raggiungono la loro opposizione durante questo mese quindi si trovano, rispetto alla Terra, nel punto opposto al Sole che può così illuminarli per l’interezza.
La rubrica “Asteroidi” vi guida attraverso gli appuntamenti del mese, fornendo dettagli sulle caratteristiche e le curiosità di questi corpi celesti. Con mappe stellari, consigli per le osservazioni e specifiche tecniche di ripresa, potrete seguire il moto degli asteroidi e, magari, catturare la loro traccia luminosa con una lunga esposizione.
Di seguito, il calendario degli asteroidi in opposizione a dicembre, ognuno con una storia affascinante e caratteristiche uniche. Preparate telescopi e fotocamere per vivere un viaggio attraverso il Sistema Solare, restando seduti comodamente sotto il cielo invernale. Buone osservazioni!
(13) Egeria
Asteroide di fascia principale che compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.510 giorni (4.13 anni) ad una distanza compresa tra le 2.36 e le 2.80 unità astronomiche (rispettivamente, 535.050.973 Km al perielio e 418.874.036 Km all’afelio). Deve il suo nome a Egeria, Divinità protettrice delle nascite e delle acque sorgive. Scoperto da Annibale de Gasparis il 2 Novembre 1850, questo grande asteroide, che misura all’incirca 220 Kilometri di diametro, appartiene alla classe spettrale G. Gli asteroidi di questo tipo sono ricchi di materiali carboniosi e silicati idrati, indicando una possibile presenza di acqua. (13) Egeria sarà in opposizione il 4 di Dicembre. In questo frangente raggiungerà la massima brillantezza con una magnitudine di 10.1. Il suo moto sarà di 0,71 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (13) Egeria trasformarsi in una bella striscia luminosa di 28 secondi d’arco.
Il percorso e la posizione dell’asteroide (13) Egeria in dicembre nella Costellazione di Perseo. Mappa https://in-the-sky.org/
(15) Eunomia
Asteroide di fascia principale che compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.570 giorni (4.30 anni) ad una distanza compresa tra le 2.15 e le 3.14 unità astronomiche (rispettivamente, 321.635.421 Km al perielio e 469.737.312 Km all’afelio). E’ il membro più grande dell’omonima famiglia di Asteoridi e deve il suo nome a Eunomia, antica divinità Greca. Una delle Ore, Figlia di Zeus e di Temi, Eunomia era la personificazione della legalità e del buon governo. Scoperto da Annibale de Gasparis il 29 Luglio 1851, questo imponente asteroide misura circa 250 Km di diametro ed appartiene al tipo S, composto principalmente da silicati, nichel e ferro. (15) Eunomia sarà in opposizione l’8 Dicembre, momento nel quale raggiungerà la massima luminosità brillando di magnitudine di 8.2. Il suo moto sarà di 0,66 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5/6 minuti. Per ottenere una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (15) Eumonia trasformarsi in una bella striscia luminosa di 26 secondi d’arco.
La posizione e la traiettoria dell’asteroide (15) Eunomia nel mese di dicembre nella Costellazione dell’Auriga. Mappa https://in-the-sky.org/
(69) Hesperia
Asteroide di fascia principale che compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.880 giorni (5.15 anni) ad una distanza compresa tra le 2.47 e le 3.48 unità astronomiche (rispettivamente, 369.506.741 Km al perielio e 520.600.590 Km all’afelio). Deve il suo nome a Esperia, antico nome dell’Italia datole originariamente dai Greci per via della sua posizione occidentale. Scoperto da Giovanni Schiapparelli il 29 Aprile 1861, questo grande asteroide (110 Kilometri di diametro) appartiene al tipo M, una classificazione che suggerisce una composizione ricca di metalli, come nichel e ferro, e talvolta anche di silicati. La sua natura metallica lo rende un interessante oggetto per gli studi sulla differenziazione planetaria, suggerendo che potrebbe essere un frammento del nucleo di un antico protopianeta. (69) Hesperia sarà in opposizione il 15 Dicembre brillando di magnitudine 10.7. Il suo moto sarà di 0,56 secondi d’arco al minuto, quindi, utilizzando tempi di esposizione fino a 5 minuti manterremo l’oggetto di aspetto puntiforme. Per ottenere una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (69) Hesperia trasformarsi in una bella striscia luminosa di 22 secondi d’arco.
La posizione e la traiettoria dell’asteroide (69) Hesperia nel mese di dicembre nella Costellazione di Orione. Mappa https://in-the-sky.org/
(116) Sirona
Asteroide di fascia principale che compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.680 giorni (4.60 anni) ad una distanza compresa tra le 2.38 e le 3.16 unità astronomiche (rispettivamente, 356.042.932 Km al perielio e 472.729.271 Km all’afelio). Prende il nome da una dea celtica della salute, della guarigione e delle sorgenti. Nella mitologia celtica, Sirona era spesso associata a pozzi e fonti sacre, simboli di purificazione e rinnovamento. Scoperto l’8 settembre 1871 dall’astronomo canadese-americano Christian Heinrich Friedrich Peters, con i suoi “soli” 71 Kilometri di diametro non è certamente tra i più grandi asteroidi ad oggi conosciuti. E’ un asteroide di tipo S, con una composizione prevalentemente rocciosa e silicatica con presenza di nichel e ferro, caratterizzato da una superficie di medio albedo. (116) Sirona sarà in opposizione il 24 di Dicembre brillando ad una magnitudine di 11.2. Il suo moto sarà di 0,60 secondi d’arco al minuto, quindi, con tempi di esposizione fino a 5 minuti ne preserveremo l’aspetto puntiforme. Volendo ottenere una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (116) Sirona trasformarsi in una bella striscia luminosa di 24 secondi d’arco.
La posizione e la traiettoria dell’asteroide (116) Sirona nel mese di dicembre nella Costellazione dei Gemelli. Mappa https://in-the-sky.org/
Mondi in miniatura – Asteroidi del mese di Novembre 2024
(11) Parthenope
Asteroide di fascia principale che compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.400 giorni (3.83 anni) ad una distanza compresa tra le 2.21 e le 2.70 unità astronomiche (rispettivamente, 330.611.293 Km al perielio e 403.914.249 Km all’afelio). Deve il suo nome a Parthenope, una delle Sirene nella mitologia Greca che, si narra in una tarda leggenda, morì gettandosi in mare assieme alle sorelle per l’insensibilità del prode Ulisse al loro Canto. Fu scoperto l’11 maggio 1850 dall’astronomo italiano Annibale de Gasparis presso l’Osservatorio Astronomico di Capodimonte a Napoli. Si tratta dell’undicesimo asteroide catalogato, da cui deriva il numero 11 nel suo nome. Dal punto di vista fisico Parthenope misura 149 kilometri di diametro ed è composto prevalentemente da silicati di ferro e magnesio, con un albedo relativamente alto tipico degli asteroidi di tipo S. Quest’anno sarà in opposizione il 13 Novembre brillando di magnitudine 9.8. Il suo moto sarà di 0,65 secondi d’arco al minuto, quindi, con tempi di esposizione fino a 5 minuti ne preserveremo l’aspetto puntiforme. Per ottenere invece una traccia di movimento dovremo esporre (od integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (11) Parthenope trasformarsi in una bella striscia luminosa di 26 secondi d’arco.
Il percorso dell’asteroide (11) Parthenope nella Costellazione del Toro nel mese di novembre. Crediti in-the-sky.org
(36183) 1999 TX16
Asteroide Near Earth di classe Amor scoperto dal progetto LINEAR (Lincoln Near-Earth Asteroid Research), un programma gestito dal Laboratorio Lincoln del MIT, in collaborazione con l’Aeronautica degli Stati Uniti e la NASA. La scoperta è avvenuta presso il sito di Socorro, New Mexico, nel 1999. LINEAR è uno dei principali contributori alla ricerca sugli asteroidi, responsabile dell’identificazione di una grande quantità di asteroidi NEA-EARTH dagli anni ’90 in poi. Questo asteroide di circa 2,3 chilometri di diametro completa un’orbita attorno al Sole in 706 giorni, con una distanza minima di 1.04 unità astronomiche ed una massima di 2.07 (rispettivamente, 155.581.786 Km al perielio e 309.667.592 Km all’afelio). Il suo periodo di rotazione è di circa 5,61 ore. Ha un’albedo relativamente bassa, con una superficie scura e scarsamente riflettente. La classe spettrale a cui appartiene suggerisce la presenza di materiali organici e possibili composti primitivi. (36183) 1999 TX16 effettuerà un passaggio ravvicinato il 13 novembre 2024 alle ore 12:57UT, a una distanza di circa 20 milioni di chilometri dalla terra raggiungendo magnitudine 13.2. Il suo moto angolare sarà di 12,95 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto risulti puntiforme nelle nostre immagini, dovremo utilizzare tempi di esposizione non superiori a 15 secondi.
Il percorso dell’asteroide (36183) 1999 TX16 nella Costellazione del Toro nel mese di novembre. Crediti in-the-sky.org
Mondi in miniatura – Asteroidi del mese di Ottobre 2024
(39) Laetitia
Asteroide di fascia principale che compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.680 giorni (4.60 anni) ad una distanza compresa tra le 2.46 e le 3.08 unità astronomiche (rispettivamente, 368.010.760 Km al perielio e 460.761.440 Km all’afelio). Deve il suo nome alla divinità Romana Laetitia, personificazione della gioia. Scoperto da Jean Chacornac l’8 Febbraio 1856, (39) Laetitia misura 179 Kilometri di diametro ed ha un’albedo relativamente alto, consueto negli asteroidi di tipo S composti principalmente da silicati di ferro e magnesio, con una possibile presenza di metalli. Quest’anno sarà in opposizione il 7 Ottobre raggiungendo la magnitudine di 9.1. Il suo moto sarà di 0,60 secondi d’arco al minuto, quindi, utilizzando tempi di esposizione fino a 5 minuti manterremo l’oggetto di aspetto puntiforme. Per ottenere una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (39) Laetitia trasformarsi in una bella striscia luminosa di 24 secondi d’arco.
Il percorso dell’asteroide (39) Laetitia nel mese di ottobre fra la costellazione dei Pesci e quella della Balena
(19) Fortuna
Asteroide di fascia principale che compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.390 giorni (3.81 anni) ad una distanza compresa tra le 2.06 e le 2.83 unità astronomiche (rispettivamente, 308.171.612 Km al perielio e 423.361.972 Km all’afelio). Deve il suo nome alla divinità Romana Fortuna, dea del caso e del destino. Scoperto da John Russell Hind il 22 Agosto 1852, con i suoi 225 Kilometri di diametro è più tra i più grandi asteroidi ad oggi conosciuti. È un asteroide di tipo C, composto principalmente da carbonio e materiali primitivi, caratterizzato da una superficie scura dal basso albedo. Sarà in opposizione il 16 di Ottobre brillando ad una magnitudine di 9.3. Il suo moto sarà di 0,61 secondi d’arco al minuto, quindi, con tempi di esposizione fino a 5 minuti ne preserveremo l’aspetto puntiforme. Volendo ottenere una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (19) Fortuna trasformarsi in una bella striscia luminosa di 24secondi d’arco.
Il percorso dell’asteroide Fortuna nel mese di Ottobre nella costellazione dei Pesci
(10) Hygiea
Quarto asteroide per massa e volume e con i suoi di 434 KM di diametro si stima che da solo contenga il 3 % della massa complessiva dell’intera fascia principale. Deve il suo nome alla divinità Greca Hygiea, personificazione della sanità fisica e intellettuale. Scoperto da Annibale Gasparis il 12 Aprile 1849, Hygiea è il quarto Asteoroide della fascia in ordine di grandezza ed il progenitore dell’omonima famiglia che si ritiene nata dall’impatto con un oggetto di grandi dimensioni, avvenuto all’incirca 2 miliardi di fa. La sua superfcie è molto scura, caratteristica questa tipica dei corpi asteoridali di tipo C composti da materiali carbonacei e primitivi. Questo suo basso albedo comporta che nonostante le sue considerevoli dimensioni Hygiea risulti sempre piuttosto debole, raggiungendo la nona magnitudine esclusivemente durante le opposizione più favorevoli. Alcune immagini della sua superficie riprese nel 2017 dal Very Large Telescope hanno rivelato la presenza di due grandi crateri, rispettivamente di 180 e 90 KM di diametro, e di un’area sensibilmente più chiara risultante dell’esposizione di materiale sub-superficiale, probabilmente emerso a seguito di un’impatto. (10) Hygiea sarà in opposizione il 21 Ottobre, brillando ad una magnitudine di 10.5. Il suo moto sarà di 0,51 secondi d’arco al minuto, quindi, anche in nel suo caso, con tempi di esposizione fino a 5 minuti ne preserveremo l’aspetto puntiforme. Volendo ottenere una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (10) Hygiea trasformarsi in una bella striscia luminosa di 21 secondi d’arco.
Il percorso dell’asteroide Hygiea nel mese di ottobre fra le costellazioni dei Gemelli e Ariete
(511) Davida
Il più grande e il più massiccio asteroide della fascia principale ad oggi noti. Compie un’orbita intorno al Sole ogni 2.050 giorni (5.61 anni) ad una distanza compresa tra le 2.56 e le 3.76 unità astronomiche (rispettivamente, 382.970.549 Km al perielio e 562.487.994 Km all’afelio). E’ stato così chiamato in onore di David Peck Todd, astronomo che ha guidato numerose spedizioni internazionali per osservare e documentare le eclissi solari negli anni che vanno dal 1878 al 1919. Scoperto il 30 maggio 1903 dall’astronomo Raymond Smith Dugan, questo imponente asteroide (misura all’incirca 300 Kilometri di diametro) presenta anch’esso una superficie scura, ricca di carbonio, con l’albedo molto basso tipico degli asteroidi di tipo C. (511) Davida sarà in opposizione il 31 di ottobre, momento in cui raggiungerà la magnitudine di 10.4. Il suo moto sarà di 0,53 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto risulti puntiforme nelle nostre immagini, potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (511) Davida trasformarsi in una bella striscia luminosa di 21 secondi d’arco.
Il percorso dell’asteroide Davida nel mese di ottobre sotto la costellazione della Balena
Mondi in miniatura – Asteroidi del mese di Settembre 2024
(194) Prokne
Asteroide di fascia principale compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.550 giorni (4.24 anni) ad una distanza compresa tra le 2.00 e le 3.24 unità astronomiche (rispettivamente, 299.195.741 Km al perielio e 411.394.144 Km all’afelio). Deve il suo nome a Prokne, mitica figlia di Pandione re di Atene, sorella di Filomela. Scoperto il 21 marzo 1879 da Christian Heinrich Friedrich Peters, (194) Prokne è un asteroide con un diametro stimato di circa 150 chilometri ed è classificato come un asteroide di tipo C. Gli asteroidi di tipo C sono noti per avere una bassa albedo (riflettività), il che significa che riflettono solo una piccola frazione della luce solare che ricevono a causa della loro superficie scura, ricca di materiali carboniosi. (194) Prokne sarà in opposizione il 2 di Settembre, quando raggiungerà magnitudine 9.5. Il suo moto sarà di 0,88 secondi d’arco al minuto, quindi, con tempi di esposizione fino a 4 minuti ne preserveremo l’aspetto puntiforme. Volendo ottenere una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (194) Prokne trasformarsi in una bella striscia luminosa di 35 secondi d’arco.
(20) Massalia
Asteroide di fascia principale che compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.370 giorni (3.75 anni) ad una distanza compresa tra le 2.06 e le 2.75 unità astronomiche (rispettivamente, 308.171.612 Km al perielio e 411.394.143 Km all’afelio). Massalia è un asteroide di tipo S, a composizione prevalentemente silicatica. Gli asteroidi di tipo S sono composti principalmente da silicati ferrosi e nichel-ferro ed hanno una superficie relativamente brillante con un’albedo (riflettività) relativamente alta. (20) Massalia è membro della famiglia di asteroidi Masssalia che popola le regioni interne della fascia principale. Si ritiene che la famiglia asteroidale sia nata a seguito di una antica collisione che ha frammentato un corpo progenitore più grande. L’evento catastrofico ha generato numerosi pezzi che hanno poi assunto tutti caratteristiche orbitali simili, e Massalia, con i sui 145 Km di diametro, è il resto più grande. Scoperto da Annibale Gasparis il 19 Settembre 1852, questo grande asteroide raggiungerà l’opposizione il 29 Settembre, momento nel quale raggiungerà magnitudine 9.2. Il suo moto sarà di 0,65 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle nostre immagini, anche in questo caso, potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (20) Massalia trasformarsi in una bella striscia luminosa di 26 secondi d’arco.
Il percorso durante il mese di settembre dei due asteroidi: Massalia (traccia arancione in alto a sinistra) e Prokne (traccia in basso a destra).
Mondi in miniatura – Asteroidi del mese di Agosto 2024
(16) Psyche
Asteroide di fascia principale che compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.830 giorni (5.01 anni) ad una distanza compresa tra le 2.53 e le 3.32 unità astronomiche (rispettivamente, 378.482.611 Km al perielio e 496.664.928 Km all’afelio). Deve il suo nome alla mitologica figura di Psyche. Scoperto da Annibale Gasparis il 17 Marzo 1852, questo grande asteroide che misura 226 Kilometri di diametro è composto principalmente da ferro e nichel, con piccole quantità di silicio e altri elementi (Tipo M). il 13 Ottobre 2023 è stata lanciata una sonda robotica che avrà il compito di esplorare (16) Psyche, con arrivo previsto nel 2029. La missione, denominata “Psyche”, ha l’obiettivo di studiare la composizione, la topografia, la gravità e il magnetismo dell’asteroide. (16) Psyche sarà in opposizione il 5 di agosto, momento in cui raggiungerà la magnitudine di 9.7. Il suo moto sarà di 0,54 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto risulti puntiforme nelle nostre immagini, potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (16) Psyche trasformarsi in una bella striscia luminosa di 22 secondi d’arco.
(7) Iris
Asteroide di fascia principale, il quarto in ordine di luminosità, che compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.350 giorni (3.70 anni) ad una distanza compresa tra le 1.84 e le 2.94 unità astronomiche (rispettivamente, 275.260.082 Km al perielio e 439.817.740 Km all’afelio). Deve il suo nome al personaggio mitologico Iride, figlia di Taumante e di Elettra, personificazione dell’arcobaleno e messaggera degli dei. Scoperto dall’astronomo John Russell Hind il 13 Agosto 1847, questo imponente asteroide di circa 200 Km di diametro ha un’albedo relativamente alta e si ritiene che sia composto principalmente da silicati di ferro e magnesio, con una possibile presenza di metalli (Tipo S). L’alta riflettività della sua superficie lo rende il quarto oggetto più luminoso nella fascia degli asteroidi dopo Vesta, Cerere e Pallade, e nelle opposizioni vicino al perielio, Iris può raggiungere una magnitudine di 6.7, brillando quanto Cerere nei suoi momenti di massima luminosità. (7) Iris sarà in opposizione il 6 Agosto, momento nel quale raggiungerà magnitudine 8.3. Il suo moto sarà di 0,66 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (7) Iris trasformarsi in una bella striscia luminosa di 26 secondi d’arco.
(737) Arequipa
Asteroide di fascia principale che compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.520 giorni (4.16 anni) ad una distanza compresa tra le 1.96 e le 3.22 unità astronomiche (rispettivamente, 293.211.827 Km al perielio e 481.705.144 Km all’afelio). Deve il suo nome in onore della città peruviana di Arequipa, sede dell’Osservatorio Boyden di Harvard fino al 1927. La sua superficie è composta principalmente da silicati e metalli (Tipo S), simile a quella di molti altri asteroidi della fascia principale. Scoperto dall’astronomo americano Joel Hastings Metcalf il 7 dicembre 1912, questo grande asteroide di circa 47 km sarà in opposizione il 7 di Agosto, e in questo frangente raggiungerà la magnitudine 11. Il suo moto angolare sarà modesto, 0,59 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (737) Arequipa trasformarsi in una bella striscia luminosa di 24 secondi d’arco.
(44) Nysa
Asteroide di fascia principale che compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.380 giorni (3.78 anni) ad una distanza compresa tra le 2.06 e le 2.78 unità astronomiche (rispettivamente, 308.171.614 Km al perielio e 415.882.081 Km all’afelio).
Deve il suo nome alla mitica montagna di Nysa alle cui Ninfe fu affidato il compito di allevare il piccolo Dioniso. Scoperto dall’astronomo Hermann Goldschmidt il 27 Maggio 1857, questo grande asteoride classificato di tipo E (la sua superficie mostra la presenza di enstatite) é il membro principale della famiglia Nysa ed è stato oggetto di studio da parte della missione Hayabusa nel 2003 e della missione Dawn nel 2018. (44) Nysa sarà in opposizione il 27 Agosto, momento nel quale raggiungerà la magnitudine 10.1. Il suo moto sarà di 0,63 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (44) Nysa trasformarsi in una bella striscia luminosa di 25 secondi d’arco.
Il percorso seguito dagli asteroidi (16) Psyche, (7) Iris, (737) Arequipa e (44) Nysa nel mese di Agosto. Crediti inthesky.org
Mondi in miniatura – Asteroidi del mese di Luglio 2024
(1) Ceres
(1) Ceres è il più grande asteroide della fascia principale tanto che da solo costituisce il 40% della massa stimata dell’intera cintura degli asteroidi. Compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.680 giorni (4.60 anni) ad una distanza compresa tra le 2.55 e le 2.99 unità astronomiche (rispettivamente, 381.474.570 Km al perielio e 447.297.633 Km all’afelio). La sua superficie è composta principalmente da silicati con la presenza di minerali carbonati e argille e di significative quantità di ghiaccio d’acqua, specialmente nelle regioni più ombreggiate e nei crateri profondi. Una delle scoperte più sorprendenti della missione Dawn è stata la presenza di depositi di sali, in particolare solfati di sodio, come l’hexahidrite, e cloruri. Questi sali sono particolarmente visibili nelle macchie luminose del cratere Occator, che sono interpretate come depositi di materiale salino lasciato dall’evaporazione di acqua salmastra che si è sublimata o evaporata. La missione Dawn ha inoltre rilevato la presenza di materiali organici, molecole a base di carbonio, i costituenti fondamentali della vita sulla Terra. Ceres ha un un diametro medio di 939 km ed una ha una superficie tormentata e fortemente craterizzata dove il più grande cratere è costituito dal bacino di Kerwan, che si estende in larghezza per oltre 280 km. La regione polare nord presenta un numero maggiore di crateri rispetto alla regione equatoriale e si conoscono almeno tre grandi bacini poco profondi che si pensa siano i resti di antichi crateri da impatto, dei quali il più esteso, la Vendimia Planitia, con i suoi 800 km di diametro, rappresenta la più grande struttura geografica ad oggi conosciuta. (1) Ceres sarà in opposizione il 5 di Luglio, di certo l’ateroide le mese più interessante In questo frangente raggiungerà la magnitudine di 7.3, il suo moto sarà di 0,58 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (1) Ceres trasformarsi in una bella striscia luminosa di 23 secondi d’arco.
Asteroidi del mese – Il percorso di (68) Leto in Giugno. Crediti: in-the-sky.org.
(40) Harmonia
(40) Harmonia è un asteroide di fascia principale che compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.250 giorni (3.42 anni) ad una distanza compresa tra le 2.16 e le 2.37 unità astronomiche (rispettivamente, 323.131.401 Km al perielio e 354.546.954 Km all’afelio). E’ stato scoperto dall’astronomo e pittore Hermann Mayer Salomon Goldschmidt il 31 Marzo 1856 e deve il suo nome a Armonia figlia di Ares e Afrodite, Dea della concordia e personificazione dell’ordine morale e sociale. Questo grande asteroide ha un diametro di circa 107 Km ed una superficie composta in prevalenza da silicati e metalli (Tipo S). (40) Harmonia sarà in opposizione il 20 Luglio, momento nel quale raggiungerà la massima luminosità brillando di magnitudine di 8.9. Il suo moto sarà di 0,66 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (40) Harmonia trasformarsi in una bella striscia luminosa di 26 secondi d’arco.
Mondi in miniatura – Asteroidi del mese di Giugno 2024
(68) Leto
(68) Leto è un asteroide di fascia principale che compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.700 giorni (4.65 anni) ad una distanza compresa tra le 2.27 e le 3.30 unità astronomiche (rispettivamente, 339.587.165 Km al perielio e 493.672.971 Km all’afelio). E’ stato scoperto il 29 Aprile 1861 dall’astronomo tedesco Karl Theodor Robert Luther. Deve il suo nome a Leto, madre di Apollo e di Artemide. Questo grande asteroide ha un diametro di circa 122 Km con una superficie che riflette relativamente bene la luce solare, indicando una composizione di silicati e metalli (Tipo S). (68) Leto sarà in opposizione il 19 Giugno, momento nel quale raggiungerà la massima luminosità brillando di magnitudine di 10.3. Il suo moto sarà di 0,58 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (68) Leto trasformarsi in una bella striscia luminosa di 23 secondi d’arco.
Asteroidi del mese – Il percorso di (68) Leto in Giugno. Crediti: in-the-sky.org.
(42) Isis
(42) Isis è un asteroide di fascia principale che compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.390 giorni (3.81 anni) ad una distanza compresa tra le 1.90 e le 2.99 unità astronomiche (rispettivamente, 284.235.954 Km al perielio e 447.297.633 Km all’afelio). Scoperto dall’astronomo inglese Norman Robert Pogson il 23 maggio 1856 presso l’Osservatorio Radcliffe a Oxford, prende il nome dalla dea egizia Iside, ma anche dalla figlia di Pogson, Elizabeth Isis Pogson. Questo grande asteroide di circa 100 Km di diametro ha una composizione superficiale di silicati e metalli (Tipo S) ed il suo spettro rivela una forte presenza del minerale olivina, una rarità nella fascia degli asteroidi. (42) Isis sarà in opposizione il 27, momento nel quale raggiungerà la massima luminosità brillando di magnitudine di 9.4. Il suo moto sarà di 0,67 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (42) Isis trasformarsi in una bella striscia luminosa di quasi 27 secondi d’arco.
(471) Papagena
(471) Papagena è un asteroide di fascia principale che compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.790 giorni (4.90 anni) ad una distanza compresa tra le 2.23 e le 3.55 unità astronomiche (rispettivamente, 333.603.252 Km al perielio e 531.072.441 Km all’afelio). E’ stato così chiamato in onore di Papagena, un personaggio dell’opera “Il flauto magico” di Mozart. La sua superficie è composta prevalentemente di rocce silicatiche e metalli (Tipo S) il che lo rende simile a molti altri corpi della fascia principale. Scoperto da Max Wolf il 7 di Giugno del 1901, questo grande asteroide di circa 149 Km di diametro sarà in opposizione il 30, momento nel quale raggiungerà la massima luminosità brillando di magnitudine di 10.6. Il suo moto sarà di 0,59 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (471) Papagena trasformarsi in una bella striscia luminosa di quasi 24 secondi d’arco.
Asteroidi del mese – Il percorso di (42) Isis e (471) Papagena in Giugno. Crediti: in-the-sky.org.
Il nuovo mese si apre col nostro satellite in fase di 10,6 giorni alle ore 00:00 dell’1 Dicembre 2025 già pronto a mostrarsi telescopicamente nell’infinita varietà dei suoi panorami.
Il Plenilunio è previsto per le ore 00:14 del 5 Dicembre 2025 in fase di 14,7 giorni alla distanza di 351318 km dalla Terra, con diametro apparente di 34.01’ ad un’altezza di +74°. Una delle formazioni geologiche che possiamo osservare in Luna Piena è proprio Bailly, che con i suoi 303 km di diametro e pareti in alcuni punti terrazzate alte circa 4300/4500 mt è il più esteso cratere visibile sull’emisfero lunare rivolto verso il nostro pianeta nonostante si trovi in prossimità del confine con l’altro emisfero, tenendo presente che l’osservazione viene condizionata dalla librazione più o meno favorevole e con una visione decisamente “ovalizzata”, deformazione prospettica che affligge le strutture lunari posizionate lontane dal centro geometrico del disco della Luna. Per la sua formazione è necessario risalire al periodo geologico Nettariano collocato a 3,9 miliardi di anni fa. Non essendo stato invaso dal materiale lavico, il fondo di Bailly si presenta notevolmente irregolare e ricco di linee di creste e numerosi crateri di varie dimensioni mentre non sono presenti rilievi montuosi e nemmeno un picco centrale. Considerate le dimensioni, Bailly si rende visibile anche in un piccolo strumento in librazione favorevole.
DICEMBRE 2025 – BAILLY – Fase LUNA PIENA
Iniziata la fase calante contestualmente al Plenilunio, in modo speculare e contrario rispetto alla fase crescente, la porzione lunare illuminata dal Sole si ridurrà sempre più fino ad allontanarsi dalle comode ore serali raggiungendo alle ore 21:52 dell’11 Dicembre 2025 la fase di Ultimo Quarto a -23° sotto l’orizzonte. Chi intendesse orientare il telescopio verso questa sempre spettacolare fase lunare dovrà attendere solo qualche ora infatti, pochi minuti dopo la mezzanotte del giorno 12 (precisamente alle 00:07), la Luna sorgerà in fase di 21,7 giorni perfettamente visibile fin verso l’alba.
Le ore 02:43 del 20 Dicembre 2025 segneranno il culmine della fase calante col Novilunio, infatti la Luna Nuova si manifesta quando il nostro satellite nel moto di rotazione attorno alla Terra viene a trovarsi tra il nostro pianeta ed il Sole, con l’emisfero vicino completamente in ombra e l’altra faccia in piena luce solare. Alla Luna Nuova segue contestualmente la fase di Luna crescente in cui viene gradualmente incrementata la porzione lunare illuminata dal Sole, raggiungendo progressivamente di sera in sera le migliori condizioni osservative.
Infatti alle ore 20:10 del 27 Dicembre 2025 la Luna sarà in Primo Quarto in fase di 7,7 giorni ad un’altezza di +42°, pronta a farsi ammirare e perfettamente visibile fino a poco oltre la mezzanotte seguente (00:28 del 28) quando scenderà sotto l’orizzonte. Volendo effettuare osservazioni col telescopio c’è solo l’imbarazzo della scelta. Nel caso specifico si potrebbe orientare il telescopio sul settore sudest del mare Nubium in direzione del vasto Deslandres, una spettacolare e antichissima struttura crateriforme di 235 km di diametro contornata da un sistema di pareti che raggiungono i 5000/5400 mt di altezza la cui origine viene ricondotta al periodo geologico Pre-Nectariano collocato da 4,5 a 3,9 miliardi di anni fa. Nella sua sterminata platea, anche in questo caso non colmata a suo tempo dalla risalita di materiale magmatico fluido, si possono osservare numerosissimi crateri di ogni dimensione, dai più minuscoli fino ai 63 km del cratere Lexell con le sue pareti di 3600 mt. In Deslandres non sono presenti particolari rilievi montuosi ma numerose linee di creste, depressioni e gruppi di basse colline. Immediatamente a sud è possibile osservare l’altrettanto spettacolare complesso costituito dai crateri allineati in semicerchio e parzialmente sovrapposti Orontius, Huggins, Nasireddin e Miller, oltre al vicino e caratteristico Saussure. Siamo arrivati ormai nella parte finale di Dicembre mentre il progredire della Luna crescente porta il nostro satellite nell’ultima serata del mese, la sera del fatidico 31…., in fase di 12 giorni, visibile nel cielo occidentale fino alla notte seguente quando, mostrandosi per la prima volta all’inizio del nuovo anno, alle 05:41 dell’1 Gennaio 2026 scenderà sotto l’orizzonte. Osservazioni molto probabilmente limitate dalle avverse condizioni meteo di una stagione invernale ormai avanzata, anche se i postumi delle abbondanti libagioni di una serata così particolare potranno avere un ruolo non indifferente nel “vedere” o “non vedere” la Luna.
DICEMBRE 2025 – DESLANDRES ORONTIUS – Fase PRIMO QUARTO
Congiunzioni e Occultazioni Notevoli
Occultazione Luna – M45
Alle ore 04:40 del 4 Dicembre 2025 la Luna quasi piena in fase di 13,8 giorni ad un’altezza di +21° occulterà parzialmente l’ammasso aperto delle Pleiadi M45 ad iniziare dal bordo occidentale del nostro satellite. Questo interessante evento avrà termine poco dopo le ore 06:00 con la Luna sempre più bassa sull’orizzonte andando così a tramontare alle 06:52.
Occultazione Luna-Regolo
Il 10 Dicembre 2025 la Luna in fase di 20,6 giorni ad un’altezza di +38° alle ore 08:54 inizierà ad occultare la stella Regolo col suo bordo ovest-nordovest con egresso dall’opposto bordo orientale alle ore 09:50.
Le FALCI lunari di Dicembre
Primo appuntamento per le falci di Luna calante nella tarda nottata del 16 Dicembre 2025 con una falce di 26 giorni che sorgerà alle ore 04:17 sulla cui superficie illuminata sarà possibile ammirare il notevole contrasto fra le chiare rocce anortositiche degli altipiani rispetto alle più scure rocce basaltiche dell’immensa distesa dell’oceanus Procellarum, mentre si renderanno visibili anche i crateri Aristarchus e Grimaldi i cui dettagli sono inseriti ai due estremi della Scala di Elger. Il 17 Dicembre 2025 sorgerà alle ore 05:20 una più sottile falce di 27 giorni seguita dal pianeta Mercurio ma con una porzione illuminata decisamente inferiore rispetto alla notte precedente. Una falce ancora più sottile sorgerà alle ore 06:21 del 18 Dicembre 2025 in fase di 28 giorni sulla cui superficie non sarà possibile scorgere dettagli. Per la Luna crescente alle ore 17:44 del 21 Dicembre 2025 tramonterà una sottile falce di 1,63 giorni ma in questo caso avremo solo il tempo per qualche veloce ripresa fotografica con la Luna già in corrispondenza dell’orizzonte. La successiva serata, il 22 Dicembre 2025, una più larga falce di 2,6 giorni tramonterà alle ore 18:49 consentendo già discrete possibilità di osservazioni sulla sua superficie lungo tutto il bordo orientale del nostro satellite. Per questa tipologia di osservazioni, oltre agli ormai noti parametri osservativi, risulterà determinante disporre di un orizzonte il più possibile libero da ostacoli. Sarà inoltre di fondamentale importanza evitare nel modo più assoluto di intercettare la luce solare al fine di prevenire gravi danni, anche irreversibili, alla propria vista.
La distanza fra la Terra e la Luna in Km è geocentrica e non topocentrica.
L’istante in T.U.(Perigei e Apogei) rappresenta quello segnato dagli orologi sul Meridiano di Greenwich (London).
A questo istante aggiungere 1ora per il Tempo Medio dell’Europa Centrale; 2 ore se è in vigore l’ora
Tutti i valori vengono calcolati con formule rilevate dal libro ‘Astronomical Algorithms’ di Jean Meeus
LIBRAZIONI di DICEMBRE
Si precisa che, per ovvi motivi, non vengono indicati i giorni in cui i punti di massima Librazione si discostano dalla superficie lunare illuminata dal Sole.
– 03 Dicembre: Regione Polare Meridionale – 04 Dicembre: Regione Polare Meridionale – 05 Dicembre: Regione Polare Meridionale
La Luna del Mese di NOVEMBRE è pubblicata in Coelum 277
Un fotogramma tratto da un video realizzato Un fotogramma tratto da un video realizzato con un drone mostra il Site 31/6, una rampa di lancio del cosmodromo di Baikonur in Kazakistan, insieme ai danni riportati in seguito al decollo del nuovo equipaggio diretto alla Stazione Spaziale Internazionale il 27 novembre 2025. (Crediti immagine: Roscosmos).
Da molti decenni il Baikonur Cosmodrome è la base di lancio fondamentale per l’esplorazione spaziale. La sua costruzione ebbe inizio intorno al 1955 e già nel 1957 portò al primo lancio orbitale di un satellite artificiale, lo Sputnik 1 — l’evento che segnò l’inizio dell’era spaziale.
Nel corso degli anni Sessanta, da Baikonur decollarono storiche missioni: la prima orbita umana attorno alla Terra, con Yuri Gagarin nel 1961, e poco dopo quella della prima donna astronauta, Valentina Tereshkova nel 1963.
Nel tempo il sito si è espanso considerevolmente: oggi Baikonur copre un’area vastissima, con numerose rampe di lancio, strutture di assemblaggio, depositi carburante e altri impianti ausiliari che rendono il complesso capace di sostenere decine di lanci all’anno.
Tra le rampe attive c’è la Site 31/6 — spesso indicata come “Site 31” — che dal 14 gennaio 1961 è stata utilizzata per decolli sia sperimentali sia operativi.
Con la dismissione nel 2019 della storica “Gagarin’s Start” (Site 1/5), la Site 31/6 è diventata l’unica rampa attiva per le missioni con equipaggio umano. Fino ad oggi da Site 31/6 sono stati effettuati 444 lanci.
Proprio da Site 31/6 è decollata il 27 novembre 2025 la missione Soyuz MS-28, con a bordo due cosmonauti russi e un astronauta della NASA: un lancio riuscito, che ha portato il veicolo in orbita e ha permesso l’arrivo sicuro dell’equipaggio alla stazione spaziale.
Tuttavia, subito dopo il lancio è emersa una notizia ben più preoccupante: la rampa di lancio ne è uscita danneggiata. Le immagini diffuse dall’agenzia spaziale russa (Roscosmos) mostrano che la piattaforma di servizio mobile, fondamentale per le operazioni di preparazione del razzo, è collassata nella “flame trench” sotto la rampa stessa. In pratica, la struttura che consente l’accesso tecnico al razzo per ispezioni e controllo è precipitata in un canale destinato ad allontanare i gas di scarico: un danno che compromette temporaneamente la funzionalità della rampa.
Un fotogramma tratto da un video realizzato Un fotogramma tratto da un video realizzato con un drone mostra il Site 31/6, una rampa di lancio del cosmodromo di Baikonur in Kazakistan, insieme ai danni riportati in seguito al decollo del nuovo equipaggio diretto alla Stazione Spaziale Internazionale il 27 novembre 2025. (Crediti immagine: Roscosmos).
Secondo Roscosmos, i pezzi di ricambio necessari per la riparazione sono disponibili e i lavori inizieranno a breve; ma al momento la situazione rende incerto se e quando la struttura tornerà pienamente operativa.
Questo incidente assume un peso particolare non solo per la sua natura tecnica, ma per le conseguenze che potrebbe avere sul futuro dei voli spaziali russi: la Site 31/6, come detto, era diventata l’unica rampa attiva per lanciare equipaggi verso la International Space Station. Senza di essa operativa, i lanci con equipaggio (e probabilmente anche alcune missioni cargo) potrebbero subire ritardi o sospensioni, almeno fino a quando le riparazioni non saranno completate in modo sicuro ed efficiente.
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Chi segue la nostra rubrica supernovae avrà notato che lo scorso mese non siamo andati online ed il motivo purtroppo è dovuto all’assenza di scoperte amatoriali o di altre supernovae luminose esplose in belle galassie. Ad essere sinceri però nel mese di ottobre abbiamo avuto tre scoperte amatoriali da parte degli incredibili cinesi del programma XOSS, ma si trattava di deboli possibili supernovae scoperte oltre la mag.+19 esplose in piccole galassie anonime e prive di conferma spettroscopica. Non valeva pertanto la pena dare un approfondimento se non ai soli fini statistici.
Questi astrofili cinesi raggiungono infatti la fantastica quota di ben 33 supernovae scoperte nel 2025. In questo mese di novembre invece la situazione va leggermente migliorando e possiamo focalizzare la nostra attenzione su una interessante scoperta amatoriale ottenuta da un altro gruppo di astrofili cinesi, che merita un approfondimento.
Non si tratta di una supernova luminosa ed anche la galassia che la ospita non è niente di eclatante, però siamo di fronte ad una supernova tutta amatoriale a partire dalla scoperta fino ad arrivare alla classificazione. Stiamo parlando della SN2025aceh scoperta il 1° novembre dagli astrofili cinesi Ziyang Mai, Bozhang Shi e Jiaze Fu del Sumdo Observatory, nella piccola galassia a spirale UGC640 posta nella costellazione dei Pesci e distante circa 520 milioni di anni luce.
Immagine di scoperta della SN2025aceh in UGC640 realizzata dal team del Sumdo Observatory con un telescopio Celestron 11 Edge HD F.10.
Telescopio Celestron 11 Edge HD F.10 all’interno del Sumdo Observatory con il quale è stata realizzata la scoperta della SN2025aceh in UGC640.
Il team del Sumdo Observatory con questa supernova raggiunge quota 5 scoperta nel 2025 e si posiziona subito dietro agli altri cinesi del programma XOSS e davanti al nostro Giancarlo Cortini che con 3 scoperte nel 2025 occupa il terzo gradino del podio. Tornando a questa supernova, al momento della scoperta mostrava una luminosità pari alla mag.+18,5 e nei giorni seguenti è aumentata di luminosità fino a raggiungere il massimo intorno alla mag.+17.
Immagine della SN2025aceh in UGC640 realizzata da Riccardo Mancini con un telescopio Newton da 250mm F.5 esposizione di 68 minuti.
Immagine della SN2025aceh in UGC640 realizzata dall’astrofilo spagnolo Carlos Segarra con un telescopio da 200mm F.4 somma di 25 immagini da 240 secondi.
Arriviamo adesso all’aspetto che ci interessa da vicino: nella notte del 10 novembre il nostro Claudio Balcon (ISSP) è stato il primo a riprendere lo spettro del nuovo transiente, classificandolo come una supernova di tipo Ia scoperta circa due settimane prima del massimo di luminosità, con i gas eiettati dall’esplosione che viaggiano ad una velocità di circa 10.500 km/s. Con questa classificazione il bravo astrofilo bellunese raggiunge quota 195 supernovae classificate per primo nel TNS – Transient Name Server. Un record a livello mondiale davvero incredibile e difficilmente eguagliabile. Abbiamo contattato Ziyang Mai del Sumdo Observatory, che ci ha riferito che a breve amplieranno la loro strumentazione dedicata alla ricerca di supernovae con un altro telescopio da 30cm, che sarà affiancato all’attuale telescopio da 28cm. Inoltre ci ha rivelato un interessante metodo operativo che stanno utilizzando con successo: i programmi professionali di ricerca supernovae limitano la loro attività nei giorni prossimi alla Luna Piena ed è pertanto questo il periodo più favorevole per gli astrofili, per cercare supernovae senza la scomoda concorrenza dei professionisti. Un giusto suggerimento da prendere in buona considerazione.
Immagine della SN2025aceh in UGC640 posta nella fenditura dello spettrografo autocostruito da Claudio Balcon, prima di iniziare la ripresa dello spettro, e applicato al telescopio Newton da 410mm F.5
Spettro della SN2025aceh in UGC640 che tramite il programma Gelato, che contiene nei suoi archivi moltissimi spettri, ha evidenziato la perfetta somiglianza con lo spettro la SN1994D, una supernova di tipo Ia ripreso circa 3 giorni prima del massimo di luminosità.
RUBRICA SUPERNOVAE COELUM N. 137
Nella rubrica dello scorso mese non avevamo fatto a tempo ad inserire un’altra scoperta amatoriale realizzata nel mese di agosto. A metterla a segno è stato l’astrofilo russo Filipp Romanov, che nella notte del 17 agosto ha individuato una debole stellina di mag.+19,6 in una piccola galassia denominata SDSS J004819.14+075856.8 posta nella costellazione dei Pesci all’incredibile distanza di oltre 2 miliardi di anni luce. Non ne abbiamo la certezza, ma molto probabilmente si tratta della supernova più lontana mai scoperta da un astrofilo.
Filipp Romanov.
Filipp Romanov ha 28 anni, è di Mosca, nato a Nakhodka, nella Krai del Primorsky. Ha iniziato ad interessarsi all’astronomia dall’età di 12 anni, diventando la sua principale passione. Anche se giovane, possiamo considerarlo come un astrofilo molto evoluto. Ha infatti scoperto altre due supernovae nel 2022 nell’ambito della collaborazione con il Catalina CRTS, confermate spettroscopicamente ed altre tre possibili supernovae (due tramite il DSS Plate Finder ed una collaborando con Pan-STARRS durante la campagna di ricerca asteroidi) che invece non hanno avuto una conferma spettroscopica. Filipp ha scoperto anche 3 Novae in M31, 9 asteroidi e 82 variabili. Il suo “capolovaro” però è stato realizzato proprio con questa ultima scoperta e vediamo perché. Ha scelto dei campi di ripresa sull’equatore celeste nella costellazione dei Pesci alla ricerca di supernovae, variabili cataclismiche e pianetini, ottenendo cinque immagini in remoto da 300 secondi utilizzando un riflettore di 51cm F.6,8 posto in Australia al Siding Spring Observatory. Poi analizzando attentamente la ripresa centrata sulla galassia NGC257 ha individuato questa debole stellina vicina ad una piccola galassia situata ad appena 12” sul bordo Sud dell’immagine. Dopo i dovuti controlli del caso ha perciò inserito la scoperta nel TNS. Filipp però non si è fermato qui ed infatti il 19 agosto sempre in remoto utilizzando il famoso Liverpool Telescope da 2 metri di diametro dalle Isole Canarie ha ripreso un’immagine di conferma, con la supernova che in realtà mostrava una luminosità pari alla mag.+20,3. Infine il 20 agosto, sempre utilizzando il Liverpool Telescope, ha ottenuto lui stesso uno spettro di conferma. La SN2025umq è una supernova di tipo Ia scoperta circa una settimana dopo il massimo di luminosità. Ci congratuliamo pertanto con questo giovane astrofilo, che ha al suo attivo un palmares da vero veterano dell’astronomia.
Immagine di scoperta della SN2025umq nella galassia SDSS J004819.14+075856.8 ottenuta in remoto da Filipp Romanov con un riflettore di 51cm F.6,8 posto in Australia somma di 5 immagini da 300 secondi.
Immagine di conferma della SN2025umq nella galassia SDSS J004819.14+075856.8 ottenuta in remoto da Filipp Romanov con il Liverpool Telescope da 2 metri di diametro dalle Isole Canarie somma di 3 immagini da 60 secondi.
Intanto chi continua ad inanellare successi sono i soliti cinesi del programma XOSS capitanati da Xing Gao e Mi Zhang, che nel mese di settembre hanno messo a segno altre quattro scoperte raggiungendo quota 29 in questo 2025 che per loro è sicuramente da record. Tre di queste quattro supernovae sono molto deboli ed individuate in piccole galassie anonime. Soffermiamo invece la nostra attenzione sulla SN2025wwk scoperta la notte del 3 settembre nella galassia ellittica NGC83 posta nella costellazione di Andromeda ad una distanza di circa 280 milioni di anni luce.
Immagine della SN2025wwk in NGC83 ottenuta dall’astrofilo spagnolo Carlos Segarra con un telescopio da 200mm F.4 somma di 30 immagini da 180 secondi.
La galassia ospite è immersa in un campo ricco di galassie fra cui troneggiano, oltre ad NGC83 anche altre due galassie ellittiche NGC80 e NGC85 e tre galassie a spirale NGC90, NGC93 e IC1546. Al momento della scoperta la nuova stella mostrava una luminosità pari alla mag.+17,75 e nei giorni seguenti è aumentata fino a raggiungere il massimo intorno alla mag.+15,5 / +16,0 a metà settembre. I primi a riprendere lo spettro di conferma sono stati gli astronomi americani del Palomar Observatory in California utilizzando il telescopio da 60 pollici (1,5 metri). Si tratta di una classica supernova di tipo Ia scoperta circa due settimane prima del massimo di luminosità. Questa è la seconda supernova conosciuta esplosa in NGC83. La prima fu la SN2016eoa anch’essa di tipo Ia, scoperta il 2 agosto 2016 dal team di astrofili capitanati dai famosi Tim Puckett e Jack Newton. Il campo di ripresa intorno a NGC83 è molto bello e ricco di galassie con svariate forme, che permette di ottenere immagini molto interessanti. Peccato che la supernova, anche se luminosa, è situata molto vicino al nucleo della galassia ospite. Nelle riprese a lunga posa che mettono in evidenza i bracci delle spirali ed i tenui aloni delle ellittiche, la supernova viene inglobata dalla luminosità del nucleo di NGC83. Dobbiamo pertanto trovare il giusto compromesso nella posa, che permetta di evidenziare la supernova senza togliere i particolari più deboli delle parti periferiche delle galassie.
Immagine della SN2025wwk in NGC83 ottenuta da Gianluca Masi con un telescopio da 250mm F.4,5 somma di 11 immagini da 300 secondi.
Crop ingrandita dell’immagine precedente della SN2025wwk in NGC83 ottenuta da Gianluca Masi con un telescopio da 250mm F.4,5 somma di 11 immagini da 300 secondi, che evidenzia la supernova ben separata dal nucleo della galassia NGC83.
Immagine a colori della SN2025wwk in NGC83 ottenuta da Riccardo Mancini con un telescopio da 250mm F.5 esposizione di 60 minuti.
RUBRICA SUPERNOVAE COELUM N. 136
Sta diventando una piacevole routine aprire la rubrica supernovae con una nuova scoperta del grande Giarcarlo Cortini. Dice il detto: non c’è due senza tre e così il bravo astrofilo forlivese ha messo a segno la terza scoperta in meno di tre mesi raggiungendo quota 36 scoperte al suo attivo. Il nuovo transiente è stato individuato alla mag.+18 la notte del 2 agosto nella piccola galassia a spirale barrata UGC5700 posta nella costellazione dell’Orsa Maggiore a circa 300 milioni di anni luce di distanza. Nei giorni seguenti la scoperta l’oggetto ha mantenuto una luminosità sempre intorno alla mag.+18 facendo ipotizzare di essere di fronte ad una supernova di tipo II. Nessun osservatorio professionale però ha ripreso uno spettro di conferma e pertanto al nuovo transiente è rimasta assegnata la sigla provvisoria AT2025taj.
Immagine della AT2025taj in UGC5700 ottenuta il giorno dopo la scoperta da Giancarlo Cortini con un telescopio C14 F.5,6 somma di 5 immagini da 60 secondi.
Immagine della AT2025taj in UGC5700 ottenuta da Riccardo Mancini con un telescopio Newton da 250mm F.5 esposizione di 70 minuti.
In questo rovente agosto 2025 le scoperte amatoriali però non finiscono qui. Dalla Cina arrivano infatti due nuove scoperte. La prima è stata messa a segno dal team del programma XOSS capitanati da Xing Gao e Mi Zhang. Con questa scoperta i prolifici cinesi raggiungono quota 25 scoperte nel 2025, oltre a numerose Variabili Caltaclismiche della nostra galassia ed anche a diverse Novae Extragalattiche. Se consideriamo che per il 2025 il secondo posto in fatto di scoperte di supernovae è occupato dal nostro Giancarlo Cortini con tre scoperte, ci rendiamo conto del divario e dell’incredibile lavoro che stanno portando avanti i cinesi di XOSS, tanto che potremmo considerarli dei veri e propri professionisti.
Negli ultimi mesi non abbiamo dato molto spazio al racconto di queste 25 supernovae perché sono state quasi tutte molto deboli, a volte oltre la mag.+19 e collocate in piccole galassie, anche anonime. Anche l’attuale SN2025trj è stata scoperta a mag.+18,7 in una piccola galassia denominata PGC58378 posta nella costellazione di Ercole a circa 470 milioni di anni luce di distanza. La galassia ospite è immersa in un campo stellare ricco di galassie, inserite da George Abell nel suo famoso catalogo di gruppi di galassie al n. 2197, fra cui spiccano la galassia ellittica NGC6173 e la galassia NGC6175 che in realtà è una coppia di galassie interagenti. I cinesi dei XOSS hanno individuato questo nuovo transiente nella notte dell’11 agosto, battendo sul tempo i programmi professionali quali ZTF ed ATLAS. I primi a riprendere lo spettro di conferma sono stati gli astronomi americani del Palomar Observatory in California con il telescopio da 1,5 metri. La SN2025trj è una giovane supernova di tipo Ia scoperta circa due settimane prima del massimo di luminosità, che si è verificato il 25 agosto intorno alla mag.+17.
Bella immagine della SN2025trj in PGC58378 ottenuta dall’astrofilo spagnolo Carlos Segarra con un telescopio da 200mm F.4 somma di 25 immagini da 180 secondi, dove sono visibile numerose galassie che compongono l’ammasso denominato Abell 2197.
La seconda scoperta proveniente dalla Cina è stata invece ottenuta dal nuovo gruppo di ricerca supernovae collegato al Sumdo Observatory, ubicato nella provincia di Qinghai. Avevamo già accennato di questo nuovo gruppo nella rubrica di gennaio, in occasione della loro prima scoperta la SN2025km individuata in una piccola galassia anonima. Questo gruppo di astrofili cinesi, capitanati da Ziyang Mai e Jiaze Fu, hanno messo a segno ad aprile una seconda scoperta la AT2025hjd con il loro osservatorio ancora in fase di settaggio. Finalmente le operazioni di messa a punto della strumentazione sono terminate ed il 13 agosto è arrivata la terza scoperta individuata nella galassia a spirale IC4434 posta nella costellazione del Bootes a circa 700 milioni di anni luce di distanza. La galassia ospite è accompagnata in cielo dalla galassia a spirale barrata IC4433. Al momento della scoperta il nuovo transiente mostrava una luminosità pari alla mag.+18,6 ed i bravi astrofili cinesi hanno battuto sul tempo i programmi professionali quali ZTF ed ATLAS. A fine agosto il nuovo oggetto era aumentato di luminosità superando la mag.+17 ma ad oggi nessun osservatorio professionale ha ripreso uno spettro di conferma e pertanto al nuovo transiente è rimasta assegnata la sigla provvisoria AT2025ttc.
Immagine di scoperta della AT2025ttc in IC4434 ottenuta da Ziyang Mai e Jiaze Fu con il telescopio Celestron 8 Edge HD da 200mm F.7 del Sumdo Observatory.
Immagine della AT2025ttc in IC4434 ottenuta dall’astrofilo spagnolo Carlos Segarra con un telescopio da 200mm F.4 somma di 10 immagini da 180 secondi.
Abbiamo contattato Ziyang Mai per avere delle informazioni sulla loro attività di ricerca. Il Sumdo Observatory come abbiamo visto è entrato in funzione a gennaio di quest’anno e il telescopio principale utilizzato per la ricerca di supernovae è un Celestron 8 Edge HD da 200mm F.10 ridotto a F.7 con il quale vengono ripresi ogni notte che è sereno circa 60 campi stellari con varie galassie per campo, per una media a notte di circa 500 galassie riprese. All’interno dell’osservatorio sono presenti altri strumenti di diametro inferiore che vengono utilizzarti per le riprese a largo campo della Via Lattea a caccia di Variabili Cataclismiche. Sono già previsti per il futuro l’entrata in funzione di telescopi di maggior diametro per incrementare la ricerca di supernovae extragalattiche. Ziyang Mai ci ha rivelato che dagli inizi del 2023 aveva partecipato personalmente al progetto del Xingming Observatory e ha scoperto oltre 100 transitori insieme ai membri del team XOSS, inclusi vari tipi di supernove, Novae in M31, Variabili Cataclismiche ed eventi di microlensing. Naturalmente tutte queste scoperte sono state riportate a nome del team XOSS. È stato grazie alla partecipazione al progetto XOSS che Ziyang Mai ha appreso l’abilità dell’osservazione del cielo e perciò ha deciso alla fine del 2024 di avviare il suo nuovo progetto di ricerca presso il Sumdo Observatory. Dobbiamo dire che i risultati ottenuti sono davvero molto interessanti, alla luce anche del fatto che questo nuovo gruppo sta utilizzando attualmente una normalissima strumentazione, che però se usata con coerenza e costanza può portare a grandi soddisfazioni.
Jiaze Fu (a sinistra) e Ziyang Mai (a destra)
Visione notturna del Sumdo Observatory operativo con tutti i suoi strumenti al lavoro.
Primo piano del telescopio Celestron 8 Edge HD da 200mm F.10 ridotto a F.7 utilizzato per la ricerca di supernovae extragalattiche al Sumdo Observatory.
Eravamo in procinto di chiudere la rubrica di questo mese, quando è giunta la notizia di una nuova scoperta da parte di Ziyang Mai e Jiaze Fu e di tutto il team del Sumdo Observatory. Nella notte del 21 agosto hanno infatti individuato un nuovo transiente situato in una piccola galassia anonima posta nella costellazione di Pegaso alla notevole distanza di circa 900 milioni di anni luce di distanza. Al momento della scoperta il nuovo oggetto mostrava una luminosità pari alla mag.+18,3 ed i bravi astrofili cinesi sono stati più rapidi nel comunicare la scoperta nel TNS, battendo sul tempo il programma professionale denominato GOTO che si è dovuto accontentare di una prediscovery datata 17 agosto. A differenza della precedente, questa nuova scoperta ha ricevuto una rapida classificazione due giorni dopo la scoperta da parte degli astronomi dall’Osservatorio del Mauna Kea nelle Isole Hawaii con il telescopio dell’Università delle Hawaii UH88 da 2,2 metri. La SN2025uxv, questa la sigla definitiva assegnata, è una supernova di tipo Ia scoperta circa 10 giorni prima del massimo di luminosità. Non possiamo pertanto che esprimere le nostre congratulazioni a questo nuovo gruppo di astrofili cinesi, che con grande tenacia e professionalità hanno iniziato nel migliore dei modi questa loro nuova avventura di ricerca supernovae extragalattiche.
Immagine di scoperta della SN2025uxv in galassia Anonima ottenuta da Ziyang Mai e Jiaze Fu con il telescopio Celestron 8 Edge HD da 200mm F.7 del Sumdo Observatory.
RUBRICA SUPERNOVAE COELUM N. 135
Apriamo la rubrica di questo mese con la stupenda notizia di una nuova scoperta dell’astrofilo forlivese Giancarlo Cortini, messa a segno a poco meno di un mese dalla precedente scoperta SN2025ovr in UGC4973 che abbiamo raccontato nella rubrica dello scorso mese. Questa nuova scoperta è stata individuata nella notte del 22 luglio nella piccola galassia a spirale UGC9052 poste nella costellazione dell’Orsa minore a circa 320 milioni di anni luce di distanza. Al momento della scoperta il nuovo oggetto mostrava una luminosità pari alla mag.+18, aumentata di qualche decimo di magnitudine il giorno seguente. La galassia ospite si trova a solo 14° dal Polo Nord celeste ed è perciò visibile tutta la notte. Al momento in cui stiamo scrivendo nessun osservatorio professionale ha ottenuto uno spettro di conferma e pertanto al nuovo transiente è stata assegnata la sigla provvisoria AT2025rwy. La sua luminosità è rimasta costante per oltre una settimana intorno alle mag.+17,5 / +18,5 pertanto siamo sicuramente di fronte ad una supernova e non ad una variabile cataclismica della nostra galassia, che invece avrebbe visto calare drasticamente la sua luminosità pochi giorni dopo la scoperta. Non è possibile però determinare con certezza il tipo di supernova, ma analizzando la fotometria possiamo sbilanciarsi nell’ipotizzare che potrebbe trattarsi di una supernova “core-collapse” cioè di tipo II o tipo Ib o tipo Ic. Non ci dilunghiamo nel raccontare tutto quello che Giancarlo ha fatto in oltre trenta anni per la ricerca amatoriale italiana di supernovae, ma queste nuove scoperte che permettono a Giancarlo di raggiungere quota 35 scoperte, sono la dimostrazione che ha intrapreso una nuova e vincente strategia di ricerca che sta portando davvero buoni frutti e merita tutte le nostre più sincere congratulazioni.
Immagine della AT2025rwy in UGC9052 ottenuta il giorno dopo la scoperta da Giancarlo Cortini con un telescopio C14 F.5,6 somma di tre immagini da 60 secondi.
Immagine della AT2025rwy in UGC9052 ottenuta da Riccardo Mancini con un telescopio Newton da 250mm F.5 esposizione di 60 minuti.
Immagine della AT2025rwy in UGC9052 ottenuta dall’astrofilo spagnolo Carlos Segarra con un telescopio da 200mm F.4 somma di 25 immagini da 180 secondi.
Prima di parlare delle due supernovae più luminose del 2025 scoperte in queste settimane, proseguiamo la rubrica di questo mese non con una scoperta, ma con una prediscovery ottenuta dal team dell’Osservatorio di Monte Agliale (LU) composto da Fabrizio Ciabattari, Emiliano Mazzoni e Sauro Donati a dimostrazione che il nostro ISSP è ancora vivo ed impegnato nella ricerca della tanto sospirata scoperta di supernova che ormai manca da ben cinque anni. Un’immagine di prediscovery è appunto, come dice il nome, un’immagine ottenuta prima della scoperta ufficiale, quindi da un lato c’è il rammarico di non essere stati rapidi nel comunicare la scoperta, ma dall’altro c’è la consapevolezza di essere stati sulla galassia giusta, nel momento giusto, mancando solo un pizzico di fortuna. Stiamo parlando della SN2025qtt scoperta dal programma professionale americano Zwicky Transient Facility (ZTF) l’11 luglio a mag.+17,9 nella galassia a spirale barrata UGC11453 posta nella costellazione del Cigno a circa 150 milioni di anni luce di distanza. In realtà si tratta di una coppia di galassie interagenti con la spirale collegata con il braccio a Sud ad una piccola galassia ellittica denominata MCG+09-32-008. Stranamente Halton Arp non ha inserito questa coppia di galassie nel suo famoso catalogo di galassie interagenti. Tornando alla scoperta, ZTF è stato rapidissimo comunicando la scoperta nel TNS appena due ore dopo l’ottenimento della loro immagine. L’immagine del team di Monte Agliale era invece antecedente di circa 8 ore, al 10 luglio con una luminosità pari alla mag.+18,5 ma il giorno seguente quando il programma di controllo automatico ha evidenziato il sospetto ormai era troppo tardi, con la scoperta già comunicata dagli americani dello ZTF. Nella stessa notte della scoperta dall’Osservatorio del Mauna kea nelle Isole Hawaii con il telescopio dell’Università delle Hawaii UH88 da 2,2 metri è stato ripreso lo spettro di conferma, classificando il nuovo oggetto come una giovane supernova di tipo II con flash ionizzato. L’osservatorio di Monte Agliale è sempre stato la punta di diamante dell’ISSP con un elevato numero di scoperte. Non a caso Fabrizio Ciabattari ed Emiliano Mazzoni sono in vetta alla Top Ten italiana ed occupano l’ottavo e il decimo posto della Top Ten mondiale rispettivamente con 76 e 70 scoperte. Negli ultimi anni vari problemi di settaggio della strumentazione ed altri problemi logistici non hanno permesso agli amici lucchesi di esprimere il loro grande potenziale. Adesso però sono tornati operativi al 100% e questa prediscovery ne è la dimostrazione. Con il loro telescopio Newton da 51cm F.4,5 e pose di 30 secondi riescono a raggiungere la mag.+19,5 ed ottenere circa 300 immagini di galassie a notte, che nelle lunghe notti invernali possono arrivare a sfiorare le 1000 immagini. Speriamo quindi di poter tornare presto a parlare di una nuova scoperta di supernova targata ISSP.
Immagine di prediscovery della SN2025qtt in UGC11453 ottenuta dal team dell’Osservatorio di Monte Agliale con il telescopio Newton da 51cm F.4,5 esposizione di 30 secondi.
Immagine della SN2025qtt in UGC11453 ottenuta da Riccardo Mancini con un telescopio Newton da 250mm F.5 esposizione di 72 minuti.
Immagine della SN2025qtt in UGC11453 realizzata dall’astrofilo spagnolo Rafael Ferrando con un telescopio Meade LX200 da 400mm F.7.
Immagine della SN2025qtt in UGC11453 ottenuta dall’astrofilo spagnolo Carlos Segarra con un telescopio da 200mm F.4 somma di 30 immagini da 180 secondi.
Veniamo adesso alle due supernovae molto luminose di questo periodo, che sono diventate le due supernova più luminose del 2025. Partiamo cronologicamente dalla SN2025pht, scoperta la notte del 29 giugno dal programma professionale americano di ricerca supernovae denominato All Sky Automated Survey for SuperNovae (ASAS-SN) nella bella galassia a spirale barrata NGC1637 posta nella costellazione dell’Eridano a circa 35 milioni di anni luce di distanza. La supernova è stata individuata alla notevole mag.+13,3 nel bel mezzo dei chiarori dell’alba. La galassia ospite stava infatti uscendo dalla congiunzione con il Sole. I primi a riprendere lo spettro di conferma, all’alba del 3 luglio, in condizioni proibitive, sono stati gli astronomi americani del Cerro Tololo Observatory con il SOAR Souther Astrophysical Research Telescope, un moderno telescopio da 4,10 metri con ottiche attive posto a 2.700 metri di altitudine sul Cerro Pachon in Cile. La SN2025pht è una supernova di tipo IIP cioè con “plateau”. Questo tipo di supernovae, dopo un massimo di luminosità, che in questo caso dovrebbe essersi verificato intorno alla mag.+13 quando la galassia era in congiunzione eliaca, calano di circa mezza magnitudine raggiungendo il “plateau” dove rimango per circa tre mesi alla solita magnitudine. Dopodiché calano drasticamente di luminosità. La SN2025pht dovrebbe perciò restare ancora due mesi sul plateau intorno alla mag.+13,5-+14,0 allontanandosi sempre più dal Sole e permettendoci di ottenere delle belle immagini di una stupenda spirale vista di faccia insieme ad una luminosa supernova, la seconda più luminosa del 2025. La SN2025pht è la seconda supernova conosciuta esplosa in NGC1637. La prima fu la SN1999em, anche questa di tipo IIP, scoperta il 29 ottobre 1999 dal programma professionale di ricerca supernova denominato Lick Observatory Supernova Search (LOSS), che fu anche la supernova più luminosa del 1999. Gli osservatori di Cerro Tololo in Cile e di Siding Spring in Australia hanno misurato con precisione la posizione della supernova. Successivamente analizzando le immagini d’archivio del Hubble Space Telescope e del James Webb Space Telescope è stata trovata la stella progenitrice della supernova, cioè una debole stellina di mag.+22.
Immagine della SN2025pht in NGC1637 ottenuta in remoto dal Cile dall’astrofila Marie Newhnam con un telescopio Dall- Kirkam da 425mm F.6,8 esposizione di 110 secondi.
Immagine della SN2025pht in NGC1637 ottenuta dall’astrofilo spagnolo Carlos Segarra con un telescopio da 200mm F.4 somma di 15 immagini da 120 secondi.
Chiudiamo la rubrica in bellezza con una supernovae molto luminosa, che sta catalizzando le attenzioni degli astrofotografi, esplosa in una stupenda galassia a spirale. Stiamo parlando della SN2025rbs scoperta la notte del 14 luglio dal programma professionale denominato Gravitational-ware Optical Transient Observer (GOTO) nella bellissima galassia a spirale NGC7331 posta nella costellazione di Pegaso a circa 40 milioni di anni luce di distanza. NGC7331 è una delle galassie più luminose, che stranamente Messier non incluse nel suo famoso catalogo. Intorno a lei sono presenti almeno cinque piccole galassie satelliti ed a soli 30’ a Sud troviamo il famoso Quintetto di Stephan. Al momento della scoperta il nuovo transiente mostrava una luminosità pari alla mag.+17, ma nei giorni seguente la sua luminosità è andata costantemente ad aumentare fino a raggiungere il massimo intorno al 28 luglio sfiorando la notevole mag.+12 e diventando la supernova più luminosa del 2025. I primi a riprendere lo spettro di conferma sono stati gli astronomi americani del Haleakala Observatory nelle Isole Hawaii con il Faulkes Telescope North da 2 metri di diametro. La SN2025rbs è una supernova di tipo Ia scoperta circa due settimane prima del massimo di luminosità con i gas eiettati dall’esplosione che viaggiano ad una velocità di circa 15.000 km/s. Abbiamo pertanto una galassia molto fotogenica con all’interno una supernova molto luminosa che ci permetterà di ottenere delle stupende immagini. Un cocktail perfetto che però è leggermente disturbato da un particolare importante: la supernova è posizionata molto vicino al nucleo della galassia ospite. La supernova è pertanto ben visibile in pose brevi che però non evidenziano la stupenda struttura dei bracci a spirale. Se aumentiamo il tempo di posa la bellezza della galassia viene fuori in tutto il suo splendore, ma la supernova rimane soffocata dal nucleo luminoso della galassia. Dobbiamo pertanto trovare il giusto compromesso che permetta di evidenziare entrambi. Questa è la quarta supernova esplosa in NGC7331. Le prime tre sono state rispettivamente la SN1959D di tipo II scoperta il 28 giugno 1959 dall’astronomo americano Milton Humason, la SN2013bu di tipo II scoperta il 21 aprile 2013 dall’astrofilo giapponese Koichi Itagaki e la SN2014C di tipo Ib scoperta il 5 gennaio 2014 dal programma professionale denominato Lick Observatory Supernova Search (LOSS).
Immagine della SN2025rbs in NGC7331 ottenuta da Riccardo Mancini con un telescopio Newton da 250mm F.5 esposizione di 50 minuti.
Immagine della SN2025rbs in NGC7331 ottenuta dall’astrofilo spagnolo Carlos Segarra con un telescopio da 200mm F.4 somma di 40 immagini da 120 secondi.
Immagine della SN2025rbs in NGC7331 ottenuta da J.D. con un telescopio Newton da 114mm F.4 esposizione di 20 minuti. In questa immagine i bracci della galassia non sono ben evidenziati, ma la supernova è ben visibile in tutto il suo splendore.
Immagine della SN2025rbs in NGC7331 ottenuta da Rolando Ligustri in remoto dalla Spagna con un rifrattore APO da 130mm F.4 LRGB: somma di 17 immagini da 180 secondi.
Immagine della SN2025rbs in NGC7331 ottenuta dall’astrofilo canadese Mathieu Chauveau con un telescopio Celestron Origin da 152mm F.2,2 esposizione di 5 minuti. In questa immagine a largo campo è visibile in basso a destra il famoso Quintetto di Stephan.
Immagine della SN2025rbs in NGC7331 realizzata dall’astrofilo spagnolo Rafael Ferrando con un telescopio Meade LX200 da 400mm F.7.
RUBRICA SUPERNOVAE COELUM N. 134
Non avevamo fatto in tempo ad inserirla nella rubrica dello scorso mese perché arrivata alla fine del mese di maggio, ma con grande soddisfazione parliamo adesso della stupenda doppia scoperta di Novae Extragalattiche messa a segno dal solito team dell’Osservatorio di Monte Baldo, che ormai ci ha abituato a queste notevoli performance e che tengono alto il nome dell’ISSP. La prima Nova è stata individuata nella notte del 27 maggio nella stupenda galassia a spirale M81 da Flavio Castellani, Raffaele Belligoli e Vittorio Andreoli, utilizzando il telescopio Dall-Kirkham da 40cm F.7. Al momento della scoperta, la nuova stella mostrava una debole luminosità pari alla mag. +19,6 aumentata alla mag.+19,2 la notte seguente. A causa di questa debole luminosità non è stato possibile ottenere uno spettro di conferma e pertanto al transiente è stata assegnata la sigla provvisoria AT2025mlk. La seconda scoperta è stata realizzata il 28 maggio, ma sempre nella stessa notte della prima scoperta, però dopo la mezzanotte. Naturalmente sempre dai soliti tre: Flavio Castellani, Raffaele Belligoli e Vittorio Andreoli, ma questa volta nella stupenda galassia a spirale M31. La luminosità era meno proibitiva rispetto alla precedente e pari alla mag.+18,4. M31 è infatti molto più vicina, a circa 2,5 milioni di anni luce, rispetto ai 12 milioni di anni luce di distanza di M81. La notte successiva del 29 maggio la nuova stella era aumentata di luminosità raggiungendo al mag.+17,1 purtroppo però, anche in questo caso, non è stato possibile riprendere uno spettro di conferma e perciò al nuovo transiente è rimasta la sigla provvisoria AT2025mho.
Immagine di scoperta della AT2025mlk in M81 realizzata dal team dell’Osservatorio di Monte Baldo con un telescopio Dall-Kirkham da 400mm F.7 somma di 30 immagini da 180 secondi.
Immagine di scoperta della AT2025mho in M31 realizzata dal team dell’Osservatorio di Monte Baldo con un telescopio Dall-Kirkham da 400mm F.7 somma di 9 immagini da 180 secondi.
Le belle notizie però non finiscono qui ed infatti l’esperto e veterano ricercatore forlivese Giancarlo Cortini mette a segno una nuova scoperta eludendo l’aggressiva concorrenza dei programmi professionali dedicati alla ricerca di supernovae. Nella notte del 24 giugno ha individuato un nuovo transiente di mag.+17 nella galassia a spirale UGC4973 posta nella costellazione dell’Orsa Maggiore a circa 350 milioni di anni luce di distanza. Per Giancarlo, che come ben sappiamo dette vita agli inizi degli anni ’90 alla ricerca amatoriale di supernova in Italia insieme all’amico Mirco Villi, si tratta della scoperta n. 34 che lo vede occupare il terzo posto della Top Ten italiana. Adesso è in pensione e può dedicare molto più tempo alla sua passione ed i risultati si vedono bene: la sua precedente scoperta risale infatti a pochi mesi fa nel dicembre 2024. Ci ha rivelato che riprende e controlla immediatamente circa 50 galassie l’ora per un totale che può variare dalle 200 alle 400 galassie a notte. Numeri di tutto rispetto che unite ad una selezione accurata dei target da riprendere non può che portare ad importanti risultati. Tornando alla sua ultima scoperta, lo spettro di conferma è stato ripreso nella notte del 27 giugno dall’Osservatorio del Mauna Kea nelle Isole Hawaii con il telescopio dell’Università delle Hawaii UH88 da 2,2 metri. La SN2025ovr è una supernova molto giovane, inizialmente classificata come tipo Ia. Il nostro Claudio Balcon analizzando lo spettro hawaiano e riprendendone uno suo nella notte del 29 giugno, ha evidenziato una non corretta interpretazione delle righe e della velocità di espansione, confermata anche dagli astronomi dell’Osservatorio di Asiago. Tutto questo la dice lunga sulle capacità del bellunese in fatto di spettroscopia di supernova. La supernova di Cortini sarebbe infatti una tipo II o più probabilmente una tipo IIb. Chi volesse riprendere questa supernova deve farlo subito dopo il tramonto per evitare che la galassia ospite vada troppo bassa sull’orizzonte di Nord-Ovest.
Immagine della SN2025ovr in UGC4973 realizzata da Giancarlo Cortini con un telescopio C14 F.5,6 somma di tre immagini da 60 secondi.
Immagine della SN2025ovr in UGC4973 realizzata dall’astrofilo spagnolo Carlo Segarra con un telescopio da 200mm F.4 somma di 25 immagini da 180 secondi.
Da poco dopo il tramonto passiamo adesso a poco prima dell’alba con un’altra supernova scoperta da un italiano. Nella notte del 26 giugno Michele Mazzucato mette a segno una nuova scoperta nell’ambito della collaborazione con i professionisti del CRTS Catalina, che utilizza il telescopio Cassegrain di 1,5 metri di diametro dell’osservatorio americano sul Mount Lemmon in Arizona, individuando un nuovo transiente nella piccola galassia UGC1206 posta nella costellazione dei Pesci a circa 370 milioni di anni luce di distanza e situata a circa 4° a Sud della stupenda galassia a spirale M74. Al momento della scoperta la luminosità era pari alla mag.+17,5 ma nei due giorni successivi era già aumentata intorno alla mag.+17. A completamento di questo proficuo mese per i ricercatori amatoriali italiani, all’alba del 29 giugno in condizioni proibitive, per colpa della scarsa altezza sull’orizzonte e disturbato dai primi chiarori del nuovo giorno, l’incredibile Claudio Balcon ha ottenuto lo spettro con conferma. La SN2025pao è una supernova di tipo Ia, ma come indicato dallo stesso Balcon, sarebbe opportuno riprendere un nuovo spettro in condizioni migliori per avere la conferma di questa classificazione inserita nel TNS con la dicitura “provvisoria”.
Immagine di scoperta della SN2025pao in UGC1206 ripresa dal Catalina con il telescopio Cassegrain da 1,5 metri.
Immagine della SN2025pao in UGC1206 realizzata dall’astrofilo spagnolo Carlo Segarra con un telescopio da 200mm F.4 somma di 10 immagini da 180 secondi.
Concludiamo questa corposa rubrica soffermando la nostra attenzione su una luminosa supernova, che sarebbe potuta diventare molto più luminosa, esplosa nella bella galassia a spirale NGC5033, posta nella costellazione dei Cani da Caccia a circa 50 milioni di distanza. A scoprirla sono stati i professioni americani del programma denominato ATLAS, che l’hanno individuata nella notte del 3 giugno quando mostrava una luminosità pari alla mag.+17,9. Il primo spettro di conferma è stato ripreso nella notte del 4 giugno dagli astronomi del Gemini Observatory con il Gemini North Telescope da 8,1 metri posto sul Monte Mauna Kea nelle Isole Hawaii. La SN2025mvn, questa la sigla definitiva assegnata, è una giovane supernova di tipo II con flash ionizzato. E’ molto arrossata, cioè offuscata dalle polveri della galassia NGC5033, che purtroppo toglie alla luminosità della supernova almeno tre magnitudini. Il massimo di luminosità si è verificato il 20 giugno alla mag.+15,4 e se non avessimo avuto questa forte estinzione, la SN2025mvn sarebbe diventata la supernova più luminosa del 2025. NGC5033 è comunque molto prolifica in fatto di eventi di supernova. Questa infatti è la quarta supernova conosciuta esplosa in questa galassia. Le tre precedenti sono state: la SN2001gd di tipo IIb scoperta il 24 novembre dal giapponese Koichi Itagaki ed indipendentemente anche dal ns. Alex Dimai, la SN1985L di tipo II scoperta il 13 giugno 1985 dall’astronoma russa Natalya Metlova e la SN1950C scoperta il 14 maggio 1950 dal grande Fritz Zwicky. Abbiamo pertanto una bella e fotogenica galassia da riprendere insieme ad una interessante supernova, che però si nasconde leggermente dietro le polveri della galassia che la ospita.
Immagine della SN2025mvn in NGC5033 realizzata da Riccardo Mancini con un telescopio Newton da 250mm F.5 esposizione di 170 minuti.
Immagine della SN2025mvn in NGC5033 realizzata dall’astrofilo spagnolo Rafael Ferrando con un telescopio Meade LX200 da 400mm F.7.
Immagine della SN2025mvn in NGC5033 realizzata da Rolando Ligustri in remoto dagli Stati Uniti con un telescopio Dall-Kirkam da 500mm F.4,5 BVR: 180 secondi per canale – L: somma di tre immagini da 300 secondi.
Immagine della SN2025mvn in NGC5033 realizzata dall’astrofilo spagnolo Carlo Segarra con un telescopio da 200mm F.4 somma di 30 immagini da 180 secondi.
RUBRICA SUPERNOVAE COELUM N. 133
Dal marzo 2012 abbiamo raccontato tutte le supernovae scoperte da astrofili italiani e quelle più significative a livello internazionale. Negli ultimi quattro/cinque anni, a causa della sempre maggiore concorrenza dei programmi professionali di ricerca supernovae, il numero delle scoperte amatoriali italiane sono andate sempre più a scemare e pertanto abbiamo preso in considerazione quasi tutte le scoperte amatoriali a livello mondiale.
Nello scorso mese di aprile, per una nostra mancanza, non abbiamo dato evidenza ad una scoperta amatoriale realizzata da un nuovo gruppo di astrofili cinesi, che hanno iniziato una sistematica ricerca di supernovae. La supernova in questione è la SN2025gmc scoperta nella notte del 1° aprile dagli astrofili cinesi del nuovo programma denominato JIST capitanati da Winson Tsai e Tao Chen. Il nuovo transiente è stato individuato nella galassia lenticolare NGC2407 posta nella costellazione dei Gemelli a circa 370 milioni di anni luce di distanza. La galassia ospite è immersa in una campo ricco di galassie fra cui spiccano NGC2406 e MCG+03-20-002 oltre a galassie più piccole come LEDA213399, LEDA1557488 e LEDA1556254. Al momento della scoperta il nuovo oggetto mostrava una luminosità molto debole pari alla mag.+19,4 per poi aumentare progressivamente fino a raggiungere il massimo intorno alla metà di aprile con una luminosità che ha superato al mag.+16.
Immagine della SN2025gmc in NGC2407 ripresa dall’astrofilo cinese Winson Tsai con un telescopio Takahashi Merlow da 300mm F.7 posa di 60 secondi con la supernova intorno al massimo di luminosità.
Immagine della SN2025gmc in NGC2407 realizzata dall’astrofilo spagnolo Carlos Segarra con un telescopio da 200mm F.4 somma di 25 immagini da 120 secondi.
I primi a riprendere lo spettro di conferma nella notte del 7 aprile sono stati gli astronomi dell’Osservatorio del Roque de los Muchachos nelle Isole Canarie con il Liverpool Telescope da 2 metri. La SN2025gmc è una supernova di tipo Ia scoperta circa due settimane prima del massimo di luminosità. Abbiamo pertanto contattato Wilson Tsai per avere delle notizie sulla loro attività di ricerca. La sigla JIST è l’abbreviazione di Jiama’erdengTianwentai/ICQ Search and Tracking Program un programma amatoriale avviato nel 2019 focalizzato sulla ricerca di comete e pianetini. Il loro osservatorio è situato a 5100 metri di altitudine sulla montagna chiamata Jiama’erdeng a Ngari, Tibet, Cina, utilizzando telescopi e altre attrezzature finanziate dalla società cinese Tencent. Grazie all’impressionante altitudine, si tratta dell’osservatorio astronomico più alto al mondo. L’osservatorio è di proprietà di Tao Chen ed insieme a Winson Tsai, Zhangwei Jin, Jie-lin Yang, Yu-Hsing Lee, Hung-Yi Yeh e Po-Liang Cheng, da circa due anni è stato avviato un programma di ricerca supernovae, che ha portato a questo primo importante successo. Lo strumento utilizzato per la ricerca è un telescopio Takahashi Merlow da 300mm F.7 e con un’esposizione di 60 secondi ad immagine, vengono riprese circa 300 galassie per notte. L’osservatorio è controllato in remoto e per riprendere le immagini viene utilizzato il programma ACP software. Le immagini vengono invece controllate con il programma SN Search Tool. Dobbiamo pertanto fare i nostri sinceri complimenti a questo nuovo gruppo per il successo ottenuto, oltre alla strumentazione e alla location davvero di prim’ordine. Vogliamo anche soffermarci anche su una curiosità: Winson Tsai e Tao Chen nel 2009 hanno scoperto insieme otto pianetini, mentre per Wilson Tsai la SN2025gmc rappresenta la sua seconda scoperta. La prima fu infatti la SN2006ds scoperta nella galassia MCG-06-50-011 ed a dimostrazione di quanto grande sia la sua passione per questo tipo di ricerca e quanto grande sia stata la gioia per la prima supernova scoperta, si è fatto tatuare sulla sua spalla il disegno della galassia con la supernova, il nome della galassia e la sigla della supernova…..davvero straordinario!!!
Tao Chen a sinistra e Winson Tsai a destra nel 2008 all’aeroporto di Shanghai.
L’osservatorio del Jiama’erdengTianwentai/ICQ Search and Tracking Program situato a 5100 metri di altitudine sulla montagna chiamata Jiama’erdeng a Ngari, in Tibet, Cina.
Il telescopio Takahashi Merlow da 300mm F.7 posto all’interno dell’osservatorio ed utilizzato per la ricerca di supernovae.
Particolare della spalla di Winson Tsai con il tatuaggio che riporta il disegno della galassia con la supernova, il nome della galassia e la sigla della supernova scoperta nel 2006.
Da un nuovo gruppo che riesce ad ottenere la sua prima scoperta, passiamo invece ad un veterano ricercatore dell’emisfero meridionale: il neozelandese Stuart Parker numero 4 della Top Ten mondiale amatoriale, che raggiunge quota 170 scoperte. Fino al 2021 Parker rivaleggiava a suon di scoperte con il grande Itagaki per contendersi la terza posizione della Top Ten mondiale amatoriale. Purtroppo nell’agosto del 2021 una grande tempesta distrusse irreparabilmente il suo osservatorio posto ad Oxford, piccola cittadina a circa 60 km dalla città di Christchurch, costringendolo a sospendere la sua grande passione di cercare supernovae. Nel 2023 è tornato operativo e ha ripreso a mettere a segno nuove scoperte. Nella notte del 5 maggio ha individuato una nuova stella di mag.+17 nella galassia a spirale PGC68615 posta nella costellazione della Gru a circa 250 milioni di distanza e accompagnata dalla galassia a spirale PGC68627. Il nuovo transiente ha aumentato la sua luminosità fino a raggiungere il massimo a mag.+15,5 intorno alla metà del mese di maggio. I primi a riprendere lo spettro di conferma sono stati gli astronomi del SAAO South African Astronomical Observatory con il Lesedi Telescope da un metro di diametro.
Immagine di scoperta della SN2025jyk in PGC68615 realizzata da Stuart Parker con un telescopio C11 Edge HD.
La SN2025jyk, questa la sigla definitiva assegnata, è una supernova di tipo Ia scoperta circa 10 giorni prima del massimo di luminosità. Abbiamo contattato anche Stuart Parker per avere un aggiornamento sulla sua attività di ricerca. Attualmente dispone di tre osservatori con cinque telescopi, ma in questo periodo sta concentrando le sue energie principalmente sulla fotografia astronomica. Non sta pertanto portando avanti una sistematica ricerca di supernovae come ha fatto in passato, ma ogni tanto utilizza la sua strumentazione per riprendere galassie, arrivando a fotografarne circa 800 a notte. Questa ultima scoperta è stata ottenuta in un modo un po’ fortuito, perché stata testando il suo ultimo telescopio un C11 Edge HD. Ci confessa che potrebbe tornare presto a ricercare supernovae in maniera più sistematica e noi aggiungiamo che con questa strumentazione e con questi numeri di immagini riprese per notte, la sfida con Itagaki per il terzo posto della Top Ten mondiale diventerebbe davvero entusiasmante.
Immagine di qualche anno fa con Stuart Parker accanto al telescopio all’interno del suo osservatorio, che fu distrutto dalla grande tempesta dell’agosto 2021.
RUBRICA SUPERNOVAE COELUM N. 132
Nella rubrica dello scorso mese avevamo fatto appena in tempo ad inserire la notizia della nuova scoperta realizzata dal grande astrofilo giapponese Koichi Itagaki, preannunciando che il nuovo transiente aveva tutte le carte in regola per diventare una supernova molto luminosa. Per nostra fortuna le previsioni non sono state smentite e la SN2025fvw ha raggiunto la notevole mag.+13,5 diventando attualmente la supernova più luminosa del 2025. È stata scoperta nella notte del 26 marzo nella galassia a spirale barrata NGC 5957 posta nella costellazione del Serpente a circa 100 milioni di anni luce di distanza. Al momento della scoperta il nuovo transiente mostrava una luminosità pari alla mag.+17,4 ed il grande Itagaki è stato bravo ad inserire velocemente la scoperta nel TNS battendo sul tempo i due programmi professionali di ricerca supernovae denominati ATLAS e Pan-STARRS che avevano entrambi immortalato il nuovo oggetto circa 7 ore prima del giapponese. Nella notte del 27 marzo, i primi a riprendere lo spettro di conferma sono stati gli astronomi americani del DLT40 con il Southern Astrophysical Research Telescope, un moderno telescopio da 4,1 metri posto sulle Ande cilene a 2700 metri di altitudine sul Cerro Pachon. Si tratta di una supernova di tipo Ia scoperta circa due settimane prima del massimo di luminosità, con i gas iettati dall’esplosione che viaggiano ad una velocità di circa 17.000 km/s. La supernova ha infatti aumentato costantemente la sua luminosità fino a raggiungere il suo massimo alla mag.+13,5 intorno al 12 aprile, per poi ridiscendere lentamente. A fine mese di aprile è comunque sempre molto luminosa intorno alla mag.+15 ed è pertanto un facile oggetto, anche perché posizionato nella parte periferica della galassia ospite NGC 5957. Con questa scoperta l’incredibile giapponese, che continua a stupirci, ottiene il secondo successo del 2025 raggiungendo un totale di 188 scoperte e consolidando la terza posizione nella Top Ten mondiale amatoriale.
La posizione della galassia NGC 5957 nella Costellazione del Serpente.
Immagine della SN2025fvw in NGC5957 realizzata dall’astrofilo spagnolo Carlos Segarra con un telescopio da 200mm F.4 somma di 25 immagini da 240 secondi.
Immagine della SN2025fvw in NGC5957 realizzata dall’astrofilo spagnolo Rafael Ferrando con un telescopio Meade LX200 da 400mm F.7.
Immagine della SN2025fvw in NGC5957 realizzata Rolando Ligustri in remoto dal Cile con un telescopio Dall-Kirkam da 500mm F.6,8 BVR: 180 secondi per canale – L: somma di tre immagini da 180 secondi.
RUBRICA SUPERNOVAE COELUM N. 131
Non avevamo fatto in tempo ad inserirla nella rubrica dello scorso mese, perché arrivata negli ultimi giorni di febbraio, ma il vecchio leone giapponese Koichi Itagaki ha sferrato la prima zampata del 2025 individuando nella notte del 24 febbraio una nuova supernova nella galassia a spirale NGC3277 posta nella costellazione del Leone Minore a circa 65 milioni di anni luce di distanza. In un primo momento il nuovo oggetto, che mostrava una luminosità pari alla mag.+17,4 non dava la certezza di essere di fronte ad un evento di supernova perché situato ad una distanza veramente elevata dal centro della galassia ospite NGC3277. Questa caratteristica faceva infatti pensare che si trattasse di una Variabile Cataclismica della nostra galassia. Invece nella notte del 25 febbraio dal Haleakala Observatory nelle Isole Hawaii con il Faulkes Telescope North di 2 metri di diametro è stato ripreso lo spettro di conferma che ha classificato il nuovo transiente come una supernova di tipo II, anche se posizionata a grande distanza dalla galassia ospite. Alla nuova supernova è stata perciò assegnata la sigla definitiva SN2025coe. Nella notte del 7 marzo sempre dal Haleakala Observatory nelle Isole Hawaii con il Faulkes Telescope North di 2 metri di diametro è stato ripreso un nuovo spettro e le caratteristiche nel nuovo transiente erano cambiate. Non era più una supernova di tipo II, ma si era evoluta in una supernova di tipo Ib-pec. L’Idrogeno H ben visibile nel primo spettro aveva lasciato spazio all’Elio He, tipico delle supernovae di tipo Ib, mentre la peculiarità era evidenziata dalla presenza del calcio Ca II ionizzato. Vista questa peculiarità, sempre dal Haleakala Observatory, è stato ripreso un terzo spettro nella notte del 18 marzo. La classificazione è stata ulteriormente modificata in una supernova di tipo Ib-Ca-rich. Classificazione molto inusuale che specifica meglio la peculiarità di questa supernova caratterizzata da una forte presenza di calcio Ca II ionizzato. Anche la curva di luce ha mostrato un andamento molto particolare. Nei giorni seguenti la scoperta la luminosità è aumentata fino a sfiorare la mag.+16 intorno al 7 marzo, per poi calare molto rapidamente oltre la mag.+18,5 già dopo il 19 marzo. Possiamo perciò affermare che si è trattato di una supernova molto particolare e singolare, sia per la classificazione, che per l’evoluzione della curva di luce.
Immagine della SN2025coe in NGC3277 realizzata dall’astrofilo tedesco Manfred Mrotzek con un telescopio da 140mm F.5,4 somma di 24 immagini da 180 secondi.
Immagine della SN2025coe in NGC3277 realizzata dall’astrofilo spagnolo Carlo Segarra con un telescopio da 200mm F.4 somma di 30 immagini da 180 secondi.
Ma la notizia che ci riempie di gioia, verificatasi nei primi giorni di marzo, è stata la stupenda doppia scoperta di Novae Extragalattiche messa a segno dal team dell’Osservatorio di Monte Baldo, formato da Flavio Castellani, Vittorio Andreoli e Raffaele Belligoli, che per fortuna in questi ultimi anni ci ha abituati a simili performance. Entrambe le scoperte sono state messe a segno nella stupenda galassia a spirale Messier 81. La prima è stata ottenuta nella notte del 4 marzo con una luminosità pari alla mag.+19,2. Al nuovo debole transiente è stata assegnata la sigla provvisoria AT2025dih. La seconda è stata invece realizzata la notte successiva. Anche questa molto debole con una luminosità pari alla mag.+18,8 e con la sigla provvisoria AT2025dkp. In entrambi i casi sono stati rapidissimi a comunicare la scoperta, battendo sul tempo l’astrofilo cieco Kamil Hornoch, il leader indiscusso a livello mondiale in fatto di Novae Extragalattiche, che però questa volta si è dovuto accontentare di due scoperte indipendenti.
Immagine di scoperta della AT2025dih in M81 realizzata dal team dell’Osservatorio di Monte Baldo con un telescopio Dall-Kirkham da 400mm F.7 somma di 24 immagini da 180 secondi.
Immagine di scoperta della AT2025dkp in M81 realizzata dal team dell’Osservatorio di Monte Baldo con un telescopio Dall-Kirkham da 400mm F.7 somma di 24 immagini da 180 secondi.
E’ giusto spendere alcune parole di elogio per gli amici di Monte Baldo per lo stupendo lavoro che stanno portando avanti da anni. La strumentazione di cui dispongono è di tutto rispetto, con un ottimo telescopio Dall-Kirkham da 40cm F.7 accoppiato ad una CCD KAF Moravian G4-9000. La loro attività di ricerca in ambito ISSP iniziò nel lontano 2012 quando ottennero la loro prima scoperta con la supernova SN2012fm nella galassia UGC3528, a cui seguì un’altra supernova l’anno successivo la SN2013ff nella galassia NGC2748. Le supernovae nel palmares dell’Osservatorio di Monte Baldo sono in realtà tre, ottennero infatti nel 2020 anche la SN2020gpe nella galassia NGC6214. Dal 2016 però il loro campo di ricerca preferito è virato verso le Novae Extragalattiche, concentrando i loro sforzi principalmente sulle tre galassie più vicine M31, M33 e M81. I successi ottenuti, diciotto Novae in M31 e sette Novae in M81, hanno permesso all’Osservatorio di Monte Baldo di diventare una delle realtà amatoriali più importanti a livello mondiale nella campo della ricerca di Novae Extragalattiche, secondi solo al grande Kamil Hornoch e agli incredibili cinesi del programma XOSS. Per fare i complimenti agli amici di Monte Baldo per questi numerosi successi e con la speranza che la strada intrapresa porti ancora a grandi soddisfazioni, pubblichiamo una foto che ritrae tutti i membri del team, che in questi anni hanno contribuito a questi importanti successi: da destra Vittorio Andreoli, Claudio Marangoni, Raffaele Belligoli, Flavio Castellani e Fernando Marziali.
Team dell’Osservatorio di Monte Baldo: da destra Vittorio Andreoli, Claudio Marangoni, Raffaele Belligoli, Flavio Castellani e Fernando Marziali.
Ultima ora: nella notte del 26 marzo Koichi Itagaki ottiene una nuova scoperta nella galassia NGC5957. La supernova dovrebbe diventare molto luminosa. Ne parleremo in maniera più approfondita nella rubrica del prossimo numero.
RUBRICA SUPERNOVAE COELUM N. 130
L’esperta coppia Mirco Villi e Michele Mazzucato rompe il ghiaccio nel 2025 e mette a segno una doppia scoperta sempre nell’ambito della collaborazione con i professionisti del CRTS Catalina, che utilizza il telescopio Cassegrain di 1,5 metri di diametro dell’osservatorio americano sul Mount Lemmon in Arizona. La prima scoperta è stata ottenuta la notte del 2 febbraio nella galassia a spirale barrata NGC180 posta nella costellazione dei Pesci a circa 230 milioni di anni luce di distanza. Al momento della scoperta il nuovo oggetto appariva molto debole, pari alla mag.+19. Il CRTS Catalina è stato molto rapido ad inserire la scoperta nel TNS battendo sul tempo gli americani di un altro programma professionale di ricerca supernovae denominato ZTF Zwicky Transient Facility, che avevano immortalato due giorni prima questo transiente con una luminosità pari alla mag.+19,7. Da un follow-up del 5 febbraio sempre di ZTF la luminosità era salita intorno alla mag.+18. La posizione della galassia ospite NGC180 in questo periodo dell’anno però è purtroppo molto sfavorevole, essendo visibile bassa sull’orizzonte Ovest subito dopo il tramonto. Per questo motivo non è stato possibile riprendere uno spettro di conferma e pertanto al nuovo transiente è rimasta la sigla provvisoria AT2025arw.
1) Immagine di scoperta della AT2025arw in NGC180 ripresa dal Catalina con il telescopio Cassegrain da 1,5 metri.
La seconda scoperta è invece più interessante e da seguire in maniera più accurata. È stata ottenuta nella notte del 7 febbraio nella galassia a spirale NGC5602 posta nella costellazione del Bootes a circa 120 milioni di anni luce di distanza. Al momento della scoperta il nuovo transiente mostrava una luminosità pari alla mag.+18,9. Nei giorni successivi la scoperta la luminosità è aumentata fino alla mag.+17 ma stranamente troppo debole per una supernova esplosa in una galassia relativamente vicina come NGC5602 (120 milioni a.l.). Una tipo Ia normale infatti avrebbe dovuto raggiungere la mag.+14. L’ottenimento dello spettro ha poi svelato questa stranezza. I primi ad ottenerlo sono stati gli astronomi dell’Osservatorio del Roque de los Muchachos nelle Isole Canarie con il Liverpool Telescope da 2 metri. La SN2025baq è una supernova di tipo Iax 02cx-like. Le supernovae di tipo Iax sono transienti rari e peculiari, che prendono il nome dal prototipo di questo gruppo di oggetti, cioè la SN2002cx. Sono supernovae di solito più deboli e con righe nello spettro molto più strette rispetto ad una normale supernova di tipo Ia e sono associate a popolazione stellare giovane. La loro interpretazione fisica è ancora in fase di approfondimento e sono perciò seguite con molto interesse dalla comunità astronomica internazionale.
2) Immagine della SN2025baq in NGC5602 realizzata dall’astrofilo spagnolo Carlo Segarra con un telescopio da 200mm F.4 somma di 8 immagini da 180 secondi.
I veri protagonisti di questo inizio 2025 sono però sicuramente gli astrofili cinesi del programma XOSS capitanati da Xing Gao e Mi Zhang, che nei primi due mesi del 2025 hanno già messo a segno ben 10 scoperte. Si tratta di supernovae molto deboli, a volte oltre la mag.+18 e collocate in piccole galassie, anche anonime. Soffermiamo adesso la nostra attenzione su quella che ha raggiunto una discreta luminosità, individuata nella notte del 3 febbraio nella galassia a spirale barrata UGC3007 posta nella costellazione del Perseo a circa 250 milioni di anni luce di distanza e situata non lontano (circa 4°) dalla famosa Nebulosa California. Al momento della scoperta il nuovo transiente mostrava una luminosità pari alla mag.+17,2 che è aumentata fino a raggiungere il massimo alla mag.+15,5 intorno al 20 febbraio. Nell’inserimento della scoperta nel TNS i cinesi hanno battuto sul tempo il programma professionale americano denominato ATLAS che aveva immortalato il nuovo oggetto il giorno prima, quando mostrava una luminosità pari alla mag.+18,5. I primi a riprendere lo spettro di conferma sono stati ancora una volta gli astronomi dell’Osservatorio del Roque de los Muchachos nella notte del 5 febbraio sempre con il Liverpool Telescope da 2 metri. La SN2025aue, questa la sigla definitiva assegnata, è una supernova di tipo Ia-91T con un forte assorbimento del Fe III e la quasi assenza del Si II. Le supernovae di tipo Ia-91T sono una sottoclasse delle tradizionali Ia caratterizzate da righe più larghe nello spettro e perciò da velocità di espansione e temperature più alte dei materiali espulsi dall’esplosione (eject). Hanno un’evoluzione fotometrica più lenta e sono associate a popolazione stellare giovane. La capostipite di questa sottoclasse è la SN1991T scoperta il 13 aprile 1991 dai nostri Mirko Villi e Giancarlo Cortini insieme a Bob Evans, nella bella galassia a spirale NGC4527.
3) Immagine della SN2025aue in UGC3007 realizzata dall’astrofilo spagnolo Carlo Segarra con un telescopio da 200mm F.4 somma di 25 immagini da 180 secondi
4) Immagine della SN2025aue in UGC3007 realizzata dall’astrofilo spagnolo Rafael Ferrando con un telescopio Meade LX200 da 400mm F.7
Il solito Koichi Itagaki mette a segno la sua prima scoperta del 2025 individuando un nuovo transiente nella parte periferica della galassia NGC3277. Ne parleremo in maniera più approfondita nella rubrica del prossimo mese.
RUBRICA SUPERNOVAE COELUM N. 129
Non avevamo fatto in tempo ad inserirla nella rubrica dello scorso mese, perché avvenuta il 30 dicembre, ma per l’ISSP il 2024 si è chiuso con una interessante e difficile scoperta. Il team dell’Osservatorio di Monte Baldo, formato da Flavio Castellani, Raffaele Belligoli e Vittorio Andreoli ha infatti individuato un debole transiente di mag.+19,3 nella bella galassia di Andromeda M31. Si tratta molto probabilmente di una Nova Extragalattica che però non ha ricevuto la conferma spettroscopica ed alla quale è rimasta assegnata la sigla provvisoria AT2024agal. La mancata conferma spettroscopica è forse da imputare al fatto che il nuovo oggetto è rimasto molto debole oltre la mag.+19. In un follow-up del 2 gennaio da parte dell’astrofilo Giuseppe Pappa era appena visibile alla proibitiva mag.+19,5. Agli amici di Monte baldo vanno comunque i nostri complimenti per aver tenuto alto il nome dell’ISSP con la scoperta di due Novae Extragalattiche nella galassia M31 ottenute nel 2024.
Immagine di scoperta della AT2024agal in M31 realizzata dal team dell’Osservatorio di Monte Baldo con il telescopio Ritchey-Chretien da 400mm F.8
Venendo alle supernovae questo nuovo anno è iniziato benissimo per i cinesi del programma XOSS capitanati da Xing Gao e Mi Zhang che nel mese di gennaio hanno già messo a segno la scoperta di tre supernovae, purtroppo molto deboli intorno alla mag.+19 e collocate in piccole galassie anonime. Negli ultimi tre anni gli astrofili cinesi si sono dimostrati senza ombra di dubbio i leader indiscussi in fatto di ricerca amatoriale di supernova. Nel 2024 hanno occupato il gradino più del podio con 22 scoperte. Per capire la portata dell’enorme lavoro svolto dai cinesi basta pensare che il secondo gradino del podio è occupato dal mitico Koichi Itagaki con solo, si fa per dire, 7 scoperte. Dobbiamo perciò constatare che in fatto di ricerca di supernovae amatoriali l’Oriente non ha rivali. Come abbiamo visto nei mesi scorsi in Giappone non abbiamo solo il grande Itagaki e adesso anche in Cina non abbiamo solo il gruppo XOSS. Esiste infatti un nuovo gruppo ben equipaggiato, che è ancora in fase di allestimento, ma che è già riuscito a mettere a segno la sua prima scoperta. Li abbiamo contattati, ma prima di svelarci come si svolge la loro attività di ricerca preferiscono aspettare di ultimare la messa a punto del loro osservatorio e dei loro programmi di ricerca. Questa prima scoperta è stata infatti ottenuta non grazie all’avvio del loro programma di ricerca, ma casualmente durante i lavori di settaggio e messa a punto della strumentazione. Ziyang Mai e Jiaze Fu, che fanno parte di questo gruppo, hanno individuato nella notte del 12 gennaio un nuovo oggetto di mag.+17,9 in una piccola galassia anonima posta nella costellazione dell’Orsa Minore a circa 530 milioni di anni luce di distanza e posizionata a soli 8° dal Polo Nord Celeste. Se dall’Oriente arrivano le scoperte amatoriali, dall’Italia arrivano le classificazioni amatoriali grazie al bravissimo Claudio Balcon, che nella notte del 18 gennaio ha ottenuto lo spettro di conferma, classificando la SN2025kw come una supernova di tipo Ia. Possiamo considerare Claudio Balcon come il fiore all’occhiello dell’ISSP con ben 170 classificazioni inserite per primo nel TNS, che lo pone come leader indiscusso a livello mondiale in fatto di classificazioni amatoriali di supernovae. La SN2025kw anche se relativamente debole, ha raggiunto infatti la mag.+17,5 intorno al 20 gennaio e posizionata in una piccola galassia vista di taglio, ha comunque un valore importante per noi astrofili perché rappresenta l’ennesima supernova tutta amatoriale dalla scoperta alla classificazione.
Immagine della SN2025kw in Anonima realizzata dall’astrofilo spagnolo Carlo Segarra con un telescopio da 200mm F.4 somma di 25 immagini da 240 secondi.
Chiudiamo la rubrica di questo mese passando da una supernova molto debole e collocata in una piccola e poco fotogenica galassia, ad una che invece rappresenta la supernova più luminosa di questo periodo avendo raggiunto l’interessante mag.+13,5 nella seconda metà di gennaio. Stiamo parlando della SN2025gj individuata nella notte dell’8 gennaio dal programma professionale americano di ricerca supernovae denominato DLT40 che utilizza una batteria di sei telescopi Ritchey-Chrétien da 41cm chiamati PROMPT e situati sul Cerro Tololo in Cile. La galassia ospite è la NGC2986, un’ellittica posta nella costellazione meridionale dell’Hydra a circa 110 milioni di anni luce di distanza e accompagnata in cielo dalla galassia a spirale PGC27873 situata grosso modo alla solita distanza. Nella stessa notte della scoperta, con il Southern African Large Telescope da 10 metri di diametro, in Sudafrica, è stato ripreso lo spettro di conferma che ha permesso di classificare il nuovo transiente come una supernova di tipo Ia scoperta circa due settimane prima del massimo di luminosità e con i gas eiettati dall’esplosione che viaggiano alla velocità di circa 13.700 km/s. Questa supernova è comunque un facile oggetto da immortalare, situato in un fotogenico campo ricco di galassie. L’unico inconveniente è la declinazione a -21°, che penalizza leggermente gli osservatori del Nord Italia. La SN2025gj rappresenta la seconda supernova conosciuta esplosa in NGC2986. La prima fu la SN1999gh scoperta il 3 dicembre 1999 dall’astrofilo giapponese Kesao Takamizawa, anch’essa di tipo Ia.
Immagine della SN2025gj in NGC2986 realizzata dall’astrofilo spagnolo Rafael Ferrando con un telescopio Meade LX200 da 400mm F.7 somma di 12 immagini da 180 secondi.
Immagine della SN2025gj in NGC2986 realizzata dall’astrofilo spagnolo Carlo Segarra con un telescopio da 200mm F.4 somma di 25 immagini da 120 secondi.
Immagine della SN202gj in NGC2986 realizzata dall’astrofilo spagnolo Jordi Camarasa con un riflettore da 500mm F.6,9 somma di 3 immagini da 120 secondi.
RUBRICA SUPERNOVAE COELUM N. 128
Chiudiamo questo anno 2024 nel migliore dei modi con diverse scoperte amatoriali, iniziando da quella che ci riguarda più da vicino.
Nella notte del 16 dicembre Giancarlo Cortini torna a fare centro, dopo due anni di digiuno, individuando una debole stellina di mag.+18 nella galassia a spirale IC1231 situata nella costellazione del Drago a circa 240 milioni di anni luce di distanza. Dopo la coppia Ciabattari e Mazzoni, Giancarlo Cortini è il terzo italiano con il maggior numero di scoperte amatoriali, raggiungendo quota 33. Agli inizi degli anni ’90, insieme all’amico Mirco Villi, Giancarlo Cortini ha dato vita alla ricerca di supernovae amatoriale italiana e rappresenta perciò un’icona indiscussa per questo tipo di ricerca. Adesso è in pensione e ci ha confidato che avendo più tempo a disposizione ha aumentato la sua attività di ricerca. Speriamo che questo possa portare ad un incremento in termini di scoperte, che purtroppo scarseggiano per la ricerca amatoriale italiana di supernovae in questi ultimi anni. Il nuovo transiente non ha ancora ricevuto la classificazione spettroscopica e pertanto mantiene la sigla provvisoria AT2024aeds. Il motivo della mancanza dello spettro va forse ricercato nella scomoda posizione in cui si trova la galassia, che sarebbe circumpolare (32° dal Polo Nord Celeste) ma in questo periodo è visibile per poco tempo subito dopo il tramonto a Nord-Ovest, scendendo verso l’orizzonte, per poi risalire dalla parte opposta a Nord-Est poco prima dell’alba. Abbiamo comunque dei follow-up nei giorni seguenti la scoperta, sia dello stesso Cortini, che dell’astrofilo spagnolo Carlos Segarra con l’oggetto in aumento di luminosità alla mag.+17.
Immagine della SN2024aeds in IC1231 realizzata da Giancarlo Cortini con un telescopio C14 somma di quattro immagini da 60 secondi.
Immagine della SN2024aeds in IC1231 realizzata dall’astrofilo spagnolo Carlo Segarra con un telescopio da 200mm F.4 somma di 25 immagini da 180 secondi.
Intanto la coppia Mirco Villi e Michele Mazzucato continuano a sfornare scoperte nell’ambito della loro collaborazione con i professionisti del CRTS Catalina che utilizza il telescopio Cassegrain di 1,5 metri di diametro dell’osservatorio americano sul Mount Lemmon in Arizona. La nuova scoperta è stata individuata nella piccola galassia PGC1530 nella costellazione dei Pesci, al confine con quella della Balena, a circa 500 milioni di anni luce di distanza. Al momento della scoperta il nuovo oggetto mostrava una luminosità pari alla mag.+19,5 e nei giorni seguenti è leggermente aumentata fino alla mag.+18,7. Anche questo oggetto non ha ancora ricevuto una classificazione spettroscopica e pertanto mantiene la sigla provvisoria AT2024aeaj.
Immagine di scoperta della AT2024aeaj in PGC1530 ripresa dal Catalina con il telescopio Cassegrain da 1,5 metri.
Immagine della SN2024aduf in NGC5945 realizzata dall’astrofilo spagnolo Carlo Segarra con un telescopio da 200mm F.4 somma di 20 immagini da 180 secondi.
Arriviamo adesso ad una scoperta tutta amatoriale il top per il 2024 in fatto a ricerca, scoperte e classificazioni amatoriali di supernovae. Ci riferiamo all’eccezionale giapponese Koichi Itagaki ed al nostro bravissimo Claudio Balcon (ISSP). Nella notte del 9 dicembre il bravo ed esperto astrofilo giapponese ha individuato una nuova supernova di mag.+16 nella galassia a spirale barrata NGC5945 nella costellazione del Bootes a circa 220 milioni di anni luce di distanza. Il primo a riprendere lo spettro di questo nuovo transiente è stato il nostro Claudio Balcon giunto all’incredibile numero di 164 supernovae classificate per primo nel TNS Transient Name Server. Si tratta di una classica supernova di tipo Ia scoperta pochi giorni prima del massimo di luminosità, raggiunto 2-3 giorni dopo la scoperta intorno alla mag.+15,5. Grazie allo spettro del bellunese alla supernova è stata assegnata la sigla definitiva SN2024aduf.
Shinichi Ono nel cortile di casa, accanto al suo telescopio Celestron 9.25 da 235mm.
Dal Giappone però non arrivano solo le scoperte del grande Itagaki. Già nel gennaio 2023 Hiroshi Okuno aveva individuato la SN2023fu nella galassia IC1874, poi nel gennaio del 2024 era stato il turno di Hidehiko Okoshi che aveva individuato la SN2024ahv nella galassia NGC6106 e adesso con grande soddisfazione abbiamo un’altra new entry di nome Shinichi Ono che mette a segno la sua prima scoperta. Questi astrofili giapponesi seguono le gesta del grande Itagaki riuscendo nel loro piccolo ad ottenere dei risultati di grande prestigio. Abbiamo perciò contattato anche Shinichi Ono per avere delle informazioni sulla sua attività di ricerca.
Nato il 2 gennaio del 1958, tra pochi giorni compirà 67 anni. Abita nella prefettura di Shizuoka, vicino al famoso Monte Fuji. Ha iniziato ad essere attratto dal cielo stellato già ai tempi dell’asilo. Da quattro anni si dedica in maniera assidua alla ricerca di supernovae riprendendo circa 30 campi di galassie ogni notte che è sereno, con il suo telescopio Celestron 9.25 da 235mm F.10 ridotto a F.6,3. Non possiede un vero e proprio osservatorio e il suo strumento è installato in giardino e gestito dall’interno della sua casa. Nella notte del 17 dicembre ha coronato un suo grande sogno individuando una nuova stella di mag.+16,5 nella galassia a spirale barrata NGC2523 nella costellazione della Giraffa al confine con quella dell’Orsa Minore a circa 150 milioni di anni luce di distanza.
Immagine della SN2024aeee in NGC2523 realizzata da Riccardo Mancini con un telescopio Newton da 250mm F.5 esposizione di 90 minuti.
Immagine della SN2024aeee in NGC2523 realizzata dall’astrofilo spagnolo Carlo Segarra con un telescopio da 200mm F.4 somma di 20 immagini da 180 secondi.
Situata a soli 17° dal Polo Nord Celeste, NGC2523 è visibile per tutta la notte. Il programma professionale di ricerca supernovae denominato ZTF possiede un’immagine di questa supernova realizzata circa 7 ore prima di Shinichi Ono, che però per fortuna è stato più rapido nel comunicare la scoperta nel TNS. I primi a riprendere lo spettro di conferma sono stati gli astronomi dell’osservatorio del Roque de los Muchachos nella notte del 19 dicembre con il Liverpool Telescope da 2 metri di diametro. La SN2024aeee, questa la sigla definitiva assegnata, è una supernova di tipo II molto giovane, ricca di idrogeno, ma è ancora troppo presto per stabilire adesso la sottoclasse precisa. Facciamo comunque i nostri sinceri complimenti ad Shinichi Ono per la bella scoperta, con la speranza che sia di incentivo a proseguire ancor di più in questo tipo di ricerca ed ottenere presto altri splendidi successi.
Immagine della SN2024aeee in NGC2523 realizzata da Luca Lacara con un telescopio Celestron 9.25 da 235mm F.10 ridotto a F.6,3 esposizione di 80 minuti.
RUBRICA SUPERNOVAE COELUM N. 127
SUPERNOVAE AGGIORNAMENTI di Fabio Briganti e Riccardo Mancini
Non sappiamo più quali aggettivi usare per descrivere l’incredibile lavoro portato avanti dal grande ricercatore amatoriale di supernovae Koichi Itagaki, che mette a segno la sesta scoperta del 2024, consolidando la terza posizione nella Top Ten mondiale amatoriale e raggiungendo quota 185 scoperte. Vedere un astrofilo che riesce ripetutamente a battere sul tempo i programmi professionali dedicati a questo tipo di ricerca, ci riempie di gioia. Bisogna però puntualizzare, per non scoraggiare gli altri astrofili, che Itagaki possiede due osservatori controllati in remoto con un numero impressionante di strumenti, superiori a tutti quelli dell’ISSP messi insieme. Inoltre, essendo in pensione, dedica tutto il suo tempo a riprendere e controllare immagini di galassie. E dobbiamo aggiungere che lo fa molto bene.
Nella notte del 15 novembre ha individuato un nuovo transiente di mag.+17,5 nei pressi della bella galassia a spirale barrata peculiare NGC2146 posta nella costellazione della Giraffa a circa 60 milioni di anni luce di distanza ed accompagnata in cielo da una più piccola galassia a spirale barrata denominata NGC2146A. Situate a soli 12° dal Polo Nord Celeste, queste due galassie sono circumpolare e perciò visibili tutta la notte. La caratteristica principale di NGC2146 è la struttura irregolare, con presenza di un immenso braccio di polveri posizionato vicino al nucleo, deformato da un probabile incontro ravvicinato o da una fusione con un’altra galassia più piccola. Questa situazione sembra essere testimoniata anche dall’alta formazione stellare all’interno della galassia, così elevata da far inserire l’oggetto nel novero delle galassie “starburst”.
In tempo di record, dopo solo sei ore dalla scoperta, gli astronomi dell’Indian Astronomical Observatory, situato nell’Himalaya occidentale ad un’altitudine di 4500 metri, uno degli osservatori più alti al mondo, utilizzando l’Himalaya Chandra Telescope da 2,01 metri hanno ottenuto lo spettro di conferma. La SN2024abfl è una supernova di tipo II molto giovane, scoperta circa 3/4 giorni dopo l’esplosione. Un secondo spettro, ripreso due giorni dopo il primo dagli astronomi americani del DLT40, ha confermato il tipo II per questa supernova, con un leggero assorbimento di polveri dovuto alla nostra galassia, che toglie alla luminosità della supernova circa mezza magnitudine. Il nuovo transiente non si è infatti distinto per la sua luminosità, raggiungendo il massimo intorno alla fine del mese di novembre con una luminosità che non è andata oltre alla mag.+16,5. E’ comunque situato in una bella e particolare galassia, oltre che comoda come posizione per gli osservatori dell’emisfero settentrionale. Per chi possiede una strumentazione con un buon campo, può riprendere nel solito scatto la coppia NGC2146 e NGC2146A con la supernova, che appare come un facile oggetto perché posto nella parte periferica della galassia ospite, anche se con una luminosità non elevata. Questa è la terza supernova conosciuta esplosa in NGC2146. La precedente fu la SN2018zd scoperta il 3 marzo 2018 proprio dall’astrofilo giapponesi Koichi Itagaki, che quindi ha un feeling particolare con questa galassia. Inoltre la posizione della SN2018zd è incredibilmente quasi coincidente con quella dell’attuale SN2024abfl. La prima supernova fu invece la SN2005V scoperta il 30 gennaio 2005 dal Nuclear Supernova Search.
1) Immagine della SN2024abfl in NGC2146 ripresa da Riccardo Mancini con un Newton da 250mm F.5 somma di 40 immagini da 180 secondi.
2) Immagine della SN2024abfl in NGC2146 ripresa dall’astrofilo tedesco Manfred Mrotzek con un telescopio da 140mm F.5,4 somma di 27 immagini da 180 secondi.
3) Immagine della SN2024abfl in NGC2146 ripresa dall’astrofilo spagnolo Carlos Segarra con un telescopio da 200mm F.4 somma di 35 immagini da 120 secondi.
RUBRICA SUPERNOVAE COELUM N. 126
SUPERNOVAE AGGIORNAMENTI di Fabio Briganti e Riccardo Mancini
Questo mese soffermiamo la nostra attenzione su tre supernovae, che ci riguardano da vicino e che possiamo definire come semi-amatoriali. Sono state infatti scoperte da una coppia di astrofili italiani, controllando però immagini ottenute con strumentazione professionale. I due bravi ed esperti astrofili sono: Mirco Villi e Michele Mazzucato, mentre la strumentazione professionale è quella del CRTS Catalina che utilizza il telescopio Cassegrain di 1,5 metri di diametro dell’osservatorio americano sul Mount Lemmon in Arizona. Le tre supernovae sono oltre la mag.+20 e sono state scoperte in ordine cronologico: la prima AT2024wpa individuata la notte del 12 settembre nella galassia a spirale barrata PGC71752 posta nella costellazione dei Pesci a circa 180 milioni di anni luce di distanza; la seconda AT2024ycq individuata la notte del 13 ottobre nella galassia irregolare UGC4882 nella costellazione della Lince a circa 130 milioni di anni luce di distanza; infine la terza SN2024yhg della notte del 15 ottobre nella galassia lenticolare UGC1596 costellazione del Triangolo a circa 210 milioni di anni luce di distanza. Nota: La galassia UGC 1596 accompagnata in cielo dalla galassia a spirale vista di taglio UGC1591, posta anche lei a circa 210 milioni di anni luce di distanza ed entrambe vicine (circa 6°) alla più bella e famosa galassia a spirale M33.
1) Immagine di scoperta della AT2024wap in PGC71752 ripresa dal Catalina con il telescopio Cassegrain da 1,5 metri.
2) Immagine di scoperta della AT2024ycq in UGC4882 ripresa dal Catalina con il telescopio Cassegrain da 1,5 metri.
3) Immagine di scoperta della SN2024yhg in UGC1596 ripresa dal Catalina con il telescopio Cassegrain da 1,5 metri.
Se per le prime due supernovae non è stato ad oggi ripreso uno spettro di conferma, forse anche a causa della debole luminosità, per la terza (SN2024yhg) la situazione è ben diversa.
4) Immagine della SN2024yhg in UGC1596 ripresa da Claudio Balcon con un Newton da 410mm F.5 somma di sei immagini da 60 secondi.
5) Immagine della SN2024yhg in UGC1596 ripresa dall’astrofilo spagnolo Jordi Camarasa in remoto dalla Namibia con un riflettore da 360mm F.8,4 somma di due immagini da 60 secondi.
Scoperta quando mostrava una luminosità pari alla mag.+20,3 nei giorni la sua luminosità è aumentata fino a raggiungere intorno al 25 ottobre la mag.+17,5. Nella notte del 22 ottobre dall’Osservatorio di Mauna Kea nelle Isole Hawaii, con il telescopio UH88 da 2,2 metri di diametro, è stato ripreso lo spettro di conferma. Si tratta di una supernova di tipo Ia-91bg-like, una sottoclasse di supernova di tipo Ia che i cui soggetti si mostrano leggermente più deboli ed evolvono più rapidamente. Hanno gli spettri con righe più strette e presentano le righe del Calcio e del Titanio più intense e meno quelle del Ferro, rispetto ad una tradizionale supernova di tipo Ia. La galassia UGC1596 ha un modulo di distanza di pari a 34, se questa supernova fosse stata una normale tipo Ia, la sua luminosità sarebbe salita fino alla mag.+15 (34-19=15). Comunque la posizione della galassia ospite in questo periodo dell’anno è ottimale trovandosi quasi allo Zenit già in prima serata. Non sarà perciò difficile ottenere una buona immagine di questa supernova italo-americana insieme a questa interessante coppia di piccole galassie.
Immagine della SN2024yhg in UGC1596 ripresa da Riccardo Mancini con un Newton da 250mm F.5 somma di 20 immagini da 180 secondi.
RUBRICA SUPERNOVAE COELUM N. 125
SUPERNOVAE AGGIORNAMENTI di Fabio Briganti e Riccardo Mancini
Questo mese soffermiamo la nostra attenzione su due supernovae che non sono molto luminose e poste in galassie neanche molto fotogeniche, però hanno una caratteristica molto importante: sono due supernovae amatoriali. E chi poteva essere l’astrofilo che ha messo a segno questa bella doppietta? Naturalmente il solito veterano ricercatore giapponese Koichi Itagaki che raggiunge così quota 184 scoperte, consolidando la terza posizione della Top Ten mondiale amatoriale. La prima supernova è stata individuata la notte dell’11 settembre nella galassia a spirale UGC690 posta nella costellazione di Andromeda a circa 260 milioni di anni luce di distanza e situata non lontano (circa 5°) dalla famosa galassia di Andromeda M31. Al momento della scoperta il nuovo transiente mostrava una luminosità molto debole pari alla mag.+18,8. Il bravo Itagaki è riuscito a battere sul tempo, per poche ore, i due programmi professionali americani denominati GOTO e ZTF.
1) Immagine della SN2024vfo ripresa dall’astrofilo giapponese Yasuo Sano con un telescopio Schmidt-Cassegrain da 360mm F.11 ed esposizione di 90 secondi.
Un primo spettro è stato ripreso la notte seguente la scoperta dagli astronomi americani dell’Haleakala Observatory con il Faulkes Telescope North da 2 metri di diametro, posto a quota 3000 metri nelle Isole Hawaii. La fase ancora troppo giovane ha permesso di evidenziare soltanto che eravamo davanti ad una supernova, ma senza riuscire a decifrarne il tipo. Al nuovo oggetto è stata comunque assegnata la sigla definitiva SN2024vfo. Nella notte successiva del 13 settembre, anche gli astronomi dell’Osservatorio del Roque de los Muchachos nelle Isole Canarie con il Nordic Optical Telescope da 2,56 metri hanno ripreso un nuovo spettro. A distanza di circa 24 ore rispetto al primo spettro la situazione era già molto più chiara, permettendo di classificare la supernova di tipo II con i gas eiettati dall’esplosione che viaggiano ad una velocità di circa 13.000 km/s. Negli ultimi giorni di settembre la luminosità della supernova è leggermente aumentata raggiungendo la mag.+18 e intorno a questo valore sembrerebbe stazionare facendo pensare di essere di fronte ad una supernova di tipo IIP. Se così fosse per altri 100 giorni la luminosità rimarrà invariata intorno a questo valore. Per le nostre latitudini l’oggetto è facilmente osservabile e in prima serata, peccato per la luminosità un po’ bassa.
La seconda supernova di Itagaki è stata invece individuata nella notte del 19 settembre nella galassia lenticolare vista di taglio NGC2830 posta nella costellazione della Lince a circa 310 milioni di anni luce di distanza e situata a circa un grado dalla stella Alpha Elvashak di mag.+3,13. NGC2830 forma un terzetto di galassie con le vicine NGC2831 e NGC2832 che trova menzione nell’atlante di Halton Arp sotto il nome di Arp 315. Non c’è però certezza che le tre galassie siano effettivamente legate fisicamente. Infatti mentre NGC2831 e NGC2832 risultano essere ad una distanza molto simile intorno ai 250 milioni di anni luce, NGC2830 è situata sicuramente più lontano. A differenza della precedente, questa possibile supernova è stata individuata a mag.+17,5 ma in una situazione scomoda, visibile bassa sull’orizzonte Est poco prima dell’alba.
Per questo motivo ad oggi non è stato ancora ripreso lo spettro di conferma e perciò al nuovo transiente è stata assegnata la sigla provvisoria AT2024vsu. Abbiamo però due follow-up di conferma realizzati nella notte seguente la scoperta dagli astrofili giapponesi Toshihide Noguchi e Katsumi Yoshimoto. Il nuovo transiente è stato rilevato a mag.+17,7 quindi leggermente in calo. Se la stima è corretta possiamo ipotizzare che il massimo di luminosità è già avvenuto e forse proprio durante la congiunzione con il Sole. Aspettiamo comunque i prossimi giorni quando la galassia si allontanerà dal Sole permettendo l’ottenimento di una spettro di conferma, che svelerà la reale natura e fase del transiente.
2) Immagine della AT2024vsu ripresa dall’astrofilo giapponese Katsumi Yoshimoto con un riflettore da 510mm F.4,5 somma di 4 immagini da 60 secondi.
RUBRICA SUPERNOVAE COELUM N. 124
SUPERNOVAE AGGIORNAMENTI di Fabio Briganti e Riccardo Mancini
In questo mese non abbiamo nessuna scoperta amatoriale di supernovae da raccontare, ma ci possiamo consolare con un successo targato ISSP relativamente ad una Nova Extragalattica. Nella notte del 24 agosto, utilizzando il telescopio Ritchey Chretien da 400mm F.8, il team dell’Osservatorio di Monte Baldo, formato da Flavio Castellani, Vittorio Andreoli e Raffaele Belligoli è riuscito ad individuare un nuovo transiente di mag.+17,1 nella famosa galassia di Andromeda M31.
Immagine di scoperta della AT2024ssq in M31 ottenuta dal team dell’Osservatorio di Monte Baldo con un telescopio Ritchey Chretien da 400mm F.8 e 100 minuti di posa.
Gli amici di Monte Baldo nell’acquisizione della prima immagine della nuova stella hanno preceduto il programma professionale americano ZTF per circa 8 ore ed incredibilmente anche l’altro programma professionale americano ATLAS per soli 17secondi! Le buone notizie però non finisco qui: nella notte seguente la scoperta, con la Nova calata leggermente verso la mag.+18 il nostro Claudio Balcon è riuscito a classificarla per primo nel TNS come una classica Nova. Nel suo spettro infatti era ben visibile la linea H-Alpha intorno ai 6500 Armstrong, tipico delle Novae Extragalattiche. Abbiamo pertanto una Nova Extragalattica scoperta e classificata tutto in casa ISSP. Alla Nova è stata assegnata la sigla provvisoria AT2024ssq, ma presto dovrebbe prendere la sigla definitiva, che molto probabilmente sarà M31N-2024-08e con il nome della galassia ospite seguita dalla lettera N (Nova), l’anno, il mese e la lettera “e” che in questo caso rappresenta la quinta Nova scoperta e confermata nel mese di agosto del 2024 in M31. L’Osservatorio di Monte Baldo, insieme ai cinesi del programma XOSS capitanati da Xing Gao e all’astrofilo ceco Kamil Hornoch, sono leader indiscussi a livello mondiale nel campo della ricerca di Novae Extragalattiche.
Elaborazione dello spettro della AT2024ssq in M31 ottenuto da Claudio Balcon con un telescopio Newton da 410mm F.5,5 dove è evidenziata la linea H-Alpha intorno ai 6500 Armstrong, tipico delle Novae Extragalattiche.
Concludiamo la rubrica soffermando la nostra attenzione su due supernovae scoperte entrambe nella notte del 23 luglio ed esplose in due galassie esteticamente molto fotogeniche. Una di queste due supernovae è risultata anche molto luminosa, peccato che sia visibile solo dall’emisfero australe.
La prima ad essere stata scoperta è stata proprio la supernova individuata dal programma professionale americano denominato DTL40 nella galassia a spirale barrata NGC6221 posta nella costellazione dell’Ara a circa 65 milioni di anni luce di distanza. Al momento della scoperta il nuovo transiente mostrava una luminosità pari alla mag.+15,1.
Nella stessa notte, gli astronomi americani dal Cerro Tololo Observatory con il SOAR Souther Astrophysical Research Telescope, un moderno telescopio da 4,10 metri con ottiche attive posto a 2.700 metri di altitudine sul Cerro Pachon in Cile, hanno ottenuto lo spettro di conferma. La SN2024pxg, questa la sigla definitiva assegnata, è una giovane supernova di tipo II scoperta 4 giorni dopo l’esplosione. Nei giorni seguenti la sua luminosità è aumentata leggermente fino a raggiungere la mag.+14,5. Questa è la seconda supernova conosciuta esplosa in NGC6221, la prima fu la SN1990W scoperta il 16 agosto 1990 dal famoso astrofilo australiano Robert Evans, che purtroppo ci ha lasciato nel novembre del 2022.
Immagine della SN2024pxg in NGC6221 ottenuta dall’astrofilo spagnolo Jordi Camarasa con un riflettore da 360mm F.8,4 somma di 7 immagini da 60 secondi.
La seconda supernova del 23 luglio è stata invece scoperta dal programma professionale americano di ricerca supernovae Zwicky Transient Facility (ZTF) nella galassia a spirale barrata NGC6384 nella costellazione di Ofiuco a circa 80 milioni di anni luce di distanza. Nella notte seguente la scoperta, dal Siding Spring Observatory con l’ANU Telescope da 2,3 metri è stato ripreso lo spettro di conferma che ha permesso di classificare la SN2024pxl come una supernova di tipo Iax 02cx-like scoperta circa una settimana prima del massimo, che si è verificato nei primi giorni del mese di agosto intorno alla mag.+15,5. Le supernovae di tipo Iax sono transienti rari e peculiari, che prendono il nome dal prototipo di questo gruppo di oggetti, cioè la SN2002cx. Sono supernovae di solito più deboli e con righe nello spettro molto più strette rispetto ad una normale supernova di tipo Ia e sono associate a popolazioni stellari giovani. La loro interpretazione fisica è ancora in fase di approfondimento e sono perciò seguite con molto interesse dalla comunità astronomica internazionale. Questa è la terza supernova conosciuta esplosa in NGC6384. Le altre due sono state la SN2017drh scoperta il 3 maggio del 2017 dal programma professionale DTL40 di tipo Ia e la SN1971L scoperta il 24 giugno del 1971 da Logan di tipo I, che raggiunse la notevole mag.+12,8.
Immagine della SN2024pxl in NGC6384 ottenuta dall’astrofilo spagnolo Rafael Ferrando con un telescopio Meade LX200 da 400mm F.7
RUBRICA SUPERNOVAE COELUM N. 123
SUPERNOVAE AGGIORNAMENTI
Questo mese torniamo a parlare di scoperte amatoriali con una vecchia conoscenza dell’emisfero meridionale: il neozelandese Stuart Parker. Fino al 2021 Parker rivaleggiava a suon di scoperte con il grande Itagaki per contendersi la terza posizione della Top Ten mondiale amatoriale. Purtroppo nell’agosto del 2021 una grande tempesta danneggiò irreparabilmente il suo osservatorio posto ad Oxford, piccola cittadina a circa 60 km dalla città di Christchurch e per un paio di anni ha dovuto sospendere la sua grande passione di cercare supernovae. Finalmente nel febbraio 2023 e tornato al successo con la SN2023pbx nella galassia NGC3557 ed adesso mette a segno una nuova e luminosa scoperta ottenuta la notte del 10 luglio nella galassia lenticolare NGC3706 posta nella costellazione del Centauro a circa 130 milioni di anni luce di distanza. Al momento della scoperta il nuovo transiente mostrava una luminosità pari alla mag.+16 e anche se molto luminoso era situato vicino al nucleo della galassia ospite. Stranamente nessun osservatorio professionale ad oggi ha ripreso lo spettro di conferma e pertanto il nuovo oggetto ha ancora la sigla provvisoria AT2024pfn. Fortunatamente abbiamo un’immagine di follow-up ottenuta cinque giorni dopo la scoperta dall’astrofilo spagnolo Jordi Camarasa, che perciò ha confermato la presenza della supernova con una luminosità in aumento a mag.+14,5. Purtroppo dalle nostre latitudini la galassia NGC3706 non è facile da osservare trovandosi alla declinazione di -36°. Sono avvantaggiati gli astrofili del Sud Italia con la galassia che a Catania culmina a circa 16° sopra l’orizzonte.
Immagine della AT2024pfn in NGC3706 ripresa dall’astrofilo neozelandese Stuart Parker in remoto con un telescopio da 400mm.
Immagine della AT2024pfn in NGC3706 ripresa dall’astrofilo spagnolo Jordi Camarasa con un riflettore da 360mm F.8,4 somma di 12 immagini sa 60 secondi.
Anche gli astrofili cinesi del programma XOSS, capitanati da Xing Gao, sono tornati al successo, proprio nella notte del 10 luglio, individuando una debole stellina di mag.+18,7 nella piccola galassia a spirale UGC11499 posta nella costellazione del Cigno a circa 340 milioni di anni luce di distanza. In questi ultimi anni i cinesi sono stati sicuramente i più prolifici in fatto di scoperte, ben 11 nel 2024, raggiungendo la quota di 98 scoperte e occupando in maniera stabile la settima posizione del Top Ten mondiale. A breve raggiungeranno quota 100, un traguardo che solo un ristretto numero di grandi astrofili è riuscito a raggiungere: Puckett 385, Newton 202, Itagaki 182, Parker 167, Boles 155 e Monard 150. I primi a riprendere lo spettro di conferma della supernova cinese sono stati gli astronomi americani dell’Osservatorio di Mauna Kea nelle Isole Hawaii con il telescopio da 2,2 metri. La SN2024pgy, questa la sigla definitiva assegnata, è una supernova di Tipo Ia scoperta circa due settimane prima del massimo di luminosità, con i gas eiettati dall’esplosione che viaggiano alla velocità di circa 14.000 km/s. Intorno al 25 luglio la supernova ha infatti raggiunto il suo massimo di luminosità, sfiorando la mag.+16. I cinese sono stati rapidi nell’inserire la scoperta nel TNS bruciando sul tempo due programmi professionali denominati GOTO e ZTF che avevano immortalato questa supernova alla mag.+19,6 il giorno prima dei cinesi. Questa è la seconda supernova conosciuta esplosa nella galassia UGC11499. La prima fu la SN2009hz, di tipo II, scoperta il 3 agosto del 2009 dal programma professionale di ricerca supernovae denominato LOSS.
Immagine della SN2024pgy in UGC11499 ripresa da Riccardo Mancini con un Newton 250mm F.5 somma di 36 immagini da 120 secondi.
Immagine della SN2024pgy in UGC11499 ripresa dall’astrofilo spagnolo Carlos Segarra con un telescopio da 200mm F.4
RUBRICA SUPERNOVAE COELUM N. 122
SUPERNOVAE AGGIORNAMENTI
Anche questo mese, come il precedente, purtroppo non abbiamo da segnalare nessuna scoperta amatoriale. Sta diventando sempre più difficile la vita per gli astrofili che portano avanti la ricerca amatoriale di supernovae extragalattiche. Soffermiamo comunque la nostra attenzione su una interessante nonché peculiare supernova, degna di un approfondimento. Nella notte del 2 giugno il programma professionale americano di ricerca supernovae denominato Zwicky Transient Facility (ZTF) ha inserito per primo nel Transient Name Server (TNS) la comunicazione di scoperta di una nuova stella di mag.+17,5 in una piccola galassia Anonima molto vicina alla grande galassia ellittica M49, poste entrambe nella costellazione della Vergine.
In realtà il primo a riprendere questo nuovo transiente, quando mostrava una luminosità pari alla mag.+18,2 è stato il programma professionale americano di ricerca supernovae e pianetini denominato ATLAS Asteroid Terrestrial-impact Last Alert System, tre ore prima di ZTF. Lo spettro di conferma di conferma invece è arrivato dagli astronomi americani del Lick Observatory in California con il telescopio Shane da 3 metri di diametro.
1) Immagine della SN2024kce, vicina alla galassia M49, ripresa dall’astrofilo spagnolo Calors Segarra con un telescopio da 200mm F.4, confrontata con una sua immagine d’archivio che permette di evidenziare la piccola galassia nana oscurata, nell’immagine attuale, dalla luce della supernova. Un altro chiaro esempio di una supernova che diventa più luminosa dell’intera galassia che la ospita.
La SN2024kce, questa la sigla definitiva assegnata, è una giovane supernova di tipo Ia-pec, dove la peculiarità si evidenzia nella bassa luminosità e nella forte presenza di Calcio. I gas eiettati dall’esplosione viaggiano ad una velocità di circa 15.600 Km/s. Vista la posizione del nuovo transiente, la domanda è sorta subito spontanea: si trattava di una supernova esplosa in Messier 49 oppure nella piccola galassia nana situata a circa 13’ a Nord dal centro di M49? In realtà anche se M49 è una galassia ellittica molto estesa con un diametro di circa 160.000 anni luce, è molto improbabile che il suo alone più esterno possa arrivare così lontano. Inoltre il redshift della supernova riporta un valore di 0,003 che corrisponde ad una distanza di circa 40 milioni di anni luce. M49 si trova invece ad una distanza di circa 55 milioni di anni luce. Alla luce di questi dati, la supernova è quasi sicuramente esplosa nella parte meridionale della piccola galassia nana situata solo prospetticamente vicino ad M49 ed anche se più vicina in termini di distanza (quasi 15 milioni di anni luce), risulta molto poco appariscente e quasi scompare, sovrastata dalla grande estensione del gigante M49.
2) Immagine della SN2024kce ripresa da Enrico Prosperi con un rifrattore da 70mm F.6, il campo più largo permette di evidenziare le numerose galassie che circondano M49 all’interno dell’Ammasso della Vergine.
Nei giorni successivi alla scoperta, la supernova ha comunque incrementato la sua luminosità, raggiungendo il massimo il 13 giugno alla discreta mag.+13,6 per poi iniziare la discesa. A fine giugno la luminosità è calata intorno la mag.+15 ma permette ancora di ottenere delle belle immagini di una campo stellare ricco di galassie (siamo infatti all’interno dell’Ammasso della Vergine) dove troneggia M49.
RUBRICA SUPERNOVAE COELUM N. 121
SUPERNOVAE AGGIORNAMENTI
Questo mese purtroppo non abbiamo da segnalare nessuna scoperta amatoriale. Ci possiamo però consolare con un nuovo successo messo a segno dall’esperta coppia di astrofili Mirco Villi e Michele Mazzucato, che collaborano ormai da diversi anni con i professionisti americani del CRTS Catalina.
Nella notte del 15 maggio hanno individuato una debole stellina di mag.+19,7 analizzando immagini professionali realizzate con il telescopio Cassegrain di 1,5 metri di diametro dell’osservatorio americano sul Mount Lemmon in Arizona. La galassia ospite è la NGC7312, una spirale barrata posta nella costellazione di Pegaso a circa 450 milioni di anni luce di distanza.
Nei giorni seguenti la scoperta, il nuovo transiente è aumentato leggermente di luminosità raggiungendo la mag.+19 e facendo ipotizzare di essere di fronte ad una supernova di tipo II, però ad oggi nessun osservatorio professionale ha ripreso uno spettro di conferma e pertanto al nuovo oggetto rimane assegnata la sigla provvisoria AT2024ixe.
1) Immagine di scoperta della AT2022ixe in NGC7312 ripresa dal Catalina con il telescopio Cassegrain da 1,5 metri.
Da un transiente molto debole e quindi difficile da seguire, passiamo adesso alle due supernova più luminose del periodo. La prima è stata scoperta la notte del 10 maggio dal programma professionale americano denominato Automatic Learning for the Rapid Classification of Events (ALeRCE) nella galassia lenticolare NGC3524 posta nella costellazione del Leone a circa 70 milioni di anni luce di distanza. Al momento della scoperta il nuovo transiente appariva come una debole stellina di mag.+18,3 ma nei giorni seguenti ha aumentato costantemente la sua luminosità fino a raggiungere il massimo intorno al 27 maggio sfiorando la notevole mag.+12,5.
SUPERNOVAE AGGIORNAMENTI
I primi a riprendere lo spettro di conferma sono stati gli astronomi americani del Palomar Observatory con il telescopio da 1,5 metri. La SN2024inv, questa la sigla definitiva assegnata, è una giovane supernova di tipo Ia. Ci teniamo a sottolineare una particolarità: il bravissimo e famoso astrofilo giapponese Koichi Itagaki questa volta è arrivato leggermente in ritardo. Ha inserito infatti nel TNS la sua scoperta appena 7 minuti dopo i professioni americani, perdendo così la possibilità di inanellare una nuova scoperta. Gli va comunque riconosciuto che anche questa volta si trovava nel posto giusto ed al momento giusto!
2) Immagine della SN2024inv ripresa da Riccardo Mancini con un telescopio Newton da 250mm F.5 esposizione di 60 minuti.
La seconda supernova più luminosa di questo periodo è stata invece scoperta nella notte del 12 maggio dal programma professionale denominato Gravitational-ware Optical Transient Observer (GOTO) nella piccola galassia nana PGC1846725, poco appariscente ma abbastanza vicina. Si trova infatti nella costellazione della Chioma di Berenice a circa 60 milioni di anni luce di distanza.
Al momento della scoperta il transiente appariva già molto luminoso a mag.+14,6 e nei giorni seguenti ha aumentato ulteriormente la sua luminosità fino a raggiungere il massimo intorno al 25 maggio superando leggermente la mag.+13. Ci è capitato spesso in passato di imbatterci in supernovae che con la loro luminosità hanno raggiunto ed a volte anche superato quella della galassia che le ospitava.
Questa volta però siamo di fronte ad un caso davvero eclatante
con la supernova che ha letteralmente surclassato in luminosità la piccola galassia ospite nana, che rimane pertanto invisibile, nascosta dall’immensa luce dell’esplosione della supernova.
3) Immagine della SN2024iss ripresa da Gianluca Masi con un telescopio C14 somma di 8 immagini da 120 secondi.
SUPERNOVAE AGGIORNAMENTI
Il primo spettro di conferma è stato ripreso il 14 maggio dall’Osservatorio del Roque de los Muchachos con il Liverpool Telescope da 2 metri, confermando che eravamo di fronte ad una supernova, ma la fase era ancora troppo giovane per poterne distinguere il tipo. La notte seguente gli astronomi americani del Palomar Observatory con il telescopio da 1,5 metri hanno ottenuto a loro volta un nuovo spettro e stavolta è comparsa la linea dell’Idrogeno tipico delle supernovae di tipo II. Al transiente è stata perciò assegnata la sigla definitiva SN2024iss, con i gas eiettati dall’esplosione che viaggiano alla velocità di circa 20.000 km/s. L’oggetto è facile da seguire perché molto luminoso, peccato che la piccola galassia ospite è praticamente invisibile.
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Transiti della ISS International Space Station per il mese di Dicembre 2025 considerati notevoli
La ISS – Stazione Spaziale Internazionale sarà rintracciabile nei cieli della nazione al mattino, prima dell’alba, nella seconda metà del mese. Avremo sei transiti notevoli con magnitudini elevate, auspicando come sempre in cieli sereni.
14 Dicembre
Si inizierà il giorno 14 Dicembre, dalle 06:23 in direzione SO alle 06:33 verso ENE. La ISS sarà ben visibile da tutta Italia, con una magnitudine di picco a -3.6.
16 Dicembre
Il 16 Dicembre, un transito visibile al meglio dal Nord Italia, dalle 06:26 alle 06:34, da O a NE. Magnitudine massima a -3.3.
17 Dicembre
Il giorno successivo, 17 Dicembre, la ISS effettuerà un transito parziale dalle 05:41 alle 05:46, da N a NE. Sarà visibile da tutta Italia, con una magnitudine molto elevata di -3.8 subito dopo l’uscita dall’ombra della Terra.
28 Dicembre
Saltando di circa dieci giorni, il 28 Dicembre, la Stazione Spaziale sarà visibile dalle 06:31 alle 06:39, da NO a ESE. Ottima visibilità per il Nord-Est e le regioni adriatiche, con magnitudine massima a -3.2.
30 Dicembre
Il 30 Dicembre, dalle 06:32 alle 06:39, da ONO a SE, il transito sarà ben visibile dal versante tirrenico e dalle Isole Maggiori, con una magnitudine di picco a -3.7.
31 Dicembre
L’ultimo transito notevole dell’anno sarà il 31 Dicembre, dalle 05:45 alle 05:51, da NNE a ESE. Un passaggio parziale ma brillante, visibile da tutta Italia con una magnitudine massima di -3.8.
Giorno
Ora Inizio
Direzione
Ora Fine
Direzione
Magnitudine
14
06:23:00
SO
06:33:00
ENE
-3.6
16
06:26:00
O
06:34:00
NE
-3.3
17
05:41:00
N
05:46:00
NE
-3.8
28
06:31:00
NO
06:39:00
ESE
-3.2
30
06:32:00
ONO
06:39:00
SE
-3.7
31
05:45:00
NNE
05:51:00
ESE
-3.8
Transiti della ISS International Space Station per il mese di Novembre 2025 considerati notevoli
La ISS – Stazione Spaziale Internazionale sarà rintracciabile nei nostri cieli sia ad orari mattutini che serali. Avremo molti transiti notevoli con magnitudini elevate durante l’ultimo mese autunnale, auspicando come sempre in cieli sereni.
02 Novembre
Si inizierà il giorno 2 Novembre, dalle 05:28 alle 05:35, osservando da ONO a SE. La ISS sarà ben visibile da tutta Italia, con una magnitudine massima che si attesterà su un valore di -3.8. Il miglior transito mattutino del mese.
13 Novembre
Il 13 Novembre, la Stazione Spaziale effettuerà un transito serale dalle 18:05 alle 18:12, da SO a E. Visibilità ottimale dal Sud Italia, con magnitudine di picco a -3.3.
15 Novembre
Il 15 Novembre, nuovo passaggio da OSO a NE, dalle 18:05 alle 18:12. Questo transito sarà particolarmente favorevole per il Centro-Nord, con magnitudine massima a -3.5.
16 Novembre
Il giorno successivo, 16 Novembre, la ISS attraverserà il cielo dalle 17:16 alle 17:25, da SO a ENE. Un transito visibile da tutta Italia, con magnitudine di picco a -3.7.
18 Novembre
Il 18 Novembre, dalle 17:16 alle 17:25, nuovo passaggio da OSO a NE. Visibilità ottimale dal Nord Italia, con magnitudine massima a -3.1.
29 Novembre
Il 29 Novembre, la ISS sarà visibile da tutta Italia in un transito serale dalle 18:01 alle 18:08, da NO a ESE. Sarà il passaggio più luminoso del mese, con magnitudine di picco a -3.8.
30 Novembre
Infine, l’ultimo transito notevole del mese si avrà il 30Novembre, dalle 17:12 alle 17:21, da NO a ESE. Ottima visibilità dal Nord-Est e dalle regioni Adriatiche, con magnitudine massima di -3.3.
Giorno
Ora Inizio
Direzione
Ora Fine
Direzione
Magnitudine
2
05:28
ONO
05:35
SE
-3.8
13
18:05
SO
18:12
E
-3.3
15
18:05
OSO
18:12
NE
-3.5
16
17:16
SO
17:25
ENE
-3.7
18
17:16
OSO
17:25
NE
-3.1
29
18:01
NO
18:08
ESE
-3.8
30
17:12
NO
17:21
ESE
-3.3
Transiti della ISS International Space Station per il mese di Ottobre 2025 considerati notevoli
La ISS – Stazione Spaziale Internazionale sarà rintracciabile nei nostri cieli sia in orari mattutini. Avremo solo quattro transiti notevoli con magnitudini elevate nella seconda metà del mese, auspicando come sempre in cieli sereni.
16 Ottobre
Si inizierà il giorno 16 Ottobre, dalle 06:35 alle 06:44, osservando da SO a ENE. La ISS sarà ben visibile dal Centro-Sud Italia, con una magnitudine massima che si attesterà su -3.3.
18 Ottobre
Due giorni dopo, il 18 Ottobre, nuovo transito antelucano dalle 06:33 in direzione OSO alle 06:41 verso NE. Passaggio perfetto per il Centro-Nord Italia, con magnitudine di picco a -3.6.
19 Ottobre
Il 19 Ottobre, la ISS sarà nuovamente visibile, questa volta in un passaggio parziale dalle 05:46 alle 05:51, da SO a NE. Transito valido per tutta Italia, con magnitudine massima a -3.9 poco dopo l’uscita dall’ombra della Terra.
31 Ottobre
L’ultimo transito notevole del mese si avrà il 31 Ottobre, dalle 05:59 alle 06:08, da NO a SE. Visibilità eccellente da tutta la nazione, con una magnitudine di picco a -3.8.
Giorno
Ora Inizio
Direzione
Ora Fine
Direzione
Magnitudine
16
06:35:00
SO
06:44:00
ENE
-3.3
18
06:33:00
OSO
06:41:00
NE
-3.6
19
05:46:00
SO
05:51:00
NE
-3.9
31
05:59:00
NO
06:08:00
SE
-3.8
Transiti della ISS International Space Station per il mese di Settembre 2025 considerati notevoli
La ISS – Stazione Spaziale Internazionale sarà rintracciabile nei nostri cieli sia ad orari mattutini che serali. Avremo molti transiti notevoli con magnitudini elevate durante il primo mese d’autunno, sperando come sempre in cieli sereni.
03 SETTEMBRE
Si inizierà il giorno 3 Settembre, dalle 05:40 alle 05:50, osservando da NO a ESE. La ISS sarà visibile da tutta Italia con una magnitudine massima di -3.5. Un ottimo transito mattutino per iniziare il mese.
05 SETTEMBRE
Si replica il 5 Settembre, dalle 05:40 in direzione ONO alle 05:49 verso SE. Un transito visibile al meglio dalle Isole Maggiori, con magnitudine di picco a -3.4.
06 SETTEMBRE
Il giorno dopo, 6 Settembre, la ISS transiterà dalle 04:54 verso O alle 05:00 verso SE. Sebbene parziale, sarà uno dei transiti più luminosi del mese, con magnitudine massima di -3.9, visibile da tutta la nazione.
11 SETTEMBRE
Il transito successivo si avrà l’11 Settembre, con la Stazione Spaziale che attraverserà il cielo dalle 20:40 alle 20:48, da OSO a NE. Un passaggio ben visibile da tutta Italia, con magnitudine di picco a -3.8.
12 SETTEMBRE
Il 12 Settembre, nuovo transito serale dalle 19:51 in direzione SO alle 20:01 verso ENE. Magnitudine massima a -3.7, con visibilità ottimale dal Centro-Sud.
25 SETTEMBRE
Saltando di circa due settimane, al 25 Settembre, dalle 20:31 alle 20:37 da NO a NE, la ISS sarà ben visibile dal Nord Italia, con una magnitudine di picco a -3.5.
27 SETTEMBRE
Il 27 Settembre, la Stazione Spaziale sarà visibile dalle 20:29 alle 20:35, da ONO a S. Un nuovo transito ottimale per le Isole Maggiori, con magnitudine massima di -3.5.
28 SETTEMBRE
L’ultimo transito sarà il 28 Settembre, dalle 19:40 verso NO alle 19:48 verso ESE. Un transito serale perfetto per tutta Italia, con magnitudine massima di -3.8.
Transiti della ISS International Space Station per il mese di Agosto 2025 considerati notevoli
La ISS – Stazione Spaziale Internazionale sarà rintracciabile nei nostri cieli in orari mattutini, prima dell’alba. Avremo quattro transiti notevoli con magnitudini elevate durante l’ultimo mese estivo, auspicando come sempre in cieli sereni.
NOTA PER TUTTI i transiti di Agosto, non perdete le congiunzioni multiple ad oriente tra Giove, Venere, la Luna calante e Mercurio in tutte e quattro le mattine.
20 Agosto
Si inizierà il giorno 20 Agosto, dalle 05:38 alle 05:46, osservando da OSO a NE. La ISS sarà visibile da tutta Italia, con una magnitudine massima di -3.8.
21 Agosto
Il 21 Agosto, nuovo transito mattutino dalle 04:51 in direzione SSO alle 04:57 verso ENE. Visibilità ottimale per il Centro-Sud Italia, con magnitudine di picco a -3.5.
22 Agosto
Si prosegue il 22 Agosto con un passaggio da O a NE, dalle 05:37 alle 05:45. La ISS sarà ben visibile dal Nord Italia, con magnitudine massima di -3.1.
23 Agosto
L’ultimo transito notevole del mese sarà il 23 Agosto, dalle 04:49 alle 04:56, da O a NE. Un transito luminoso con magnitudine di picco a -3.4, osservabile al meglio dal Centro-Nord del paese.
Transiti della ISS International Space Station per il mese di Luglio 2025 considerati notevoli
La ISS – Stazione Spaziale Internazionale sarà rintracciabile nei nostri cieli sia ad orari mattutini che serali. Avremo molti transiti notevoli con magnitudini elevate durante il secondo mese estivo, auspicando come sempre in cieli sereni.
06 Luglio
Si inizierà il giorno 6 Luglio, dalle 22:46 verso SO alle 22:57 verso ENE. Visibilità ottimale dal Centro-Sud Italia, con una magnitudine massima di -3.9. Uno dei migliori transiti serali del mese, meteo permettendo.
07 Luglio
Il giorno successivo, 7 Luglio, la ISS effettuerà un passaggio da SO a ENE, osservabile al meglio dal Sud Italia. Dalle 21:57 alle 22:08, con magnitudine di picco a -3.2.
08 Luglio
L’8 Luglio, nuovo transito mattutino dalle 04:26 alle 04:37, da NO a ESE. Visibile perfettamente da tutta la nazione, con magnitudine massima di -3.7.
09 Luglio
Si replica il 9 Luglio, dalle 21:56 verso SO alle 22:07 verso NE. Un altro ottimo transito serale, ben visibile da tutta Italia, con magnitudine di picco a -3.7.
10 Luglio
Il 10 Luglio, nuovo passaggio mattutino dalle 04:25 alle 04:36, da ONO a SE. Questo transito sarà visibile al meglio dalle Isole Maggiori, con magnitudine massima di -3.3.
11 Luglio
L’11 Luglio, la ISS transiterà dalle 03:36 alle 03:47, da ONO a SE. Magnitudine di picco a -3.9, con visibilità ottimale dalle regioni tirreniche.
22 Luglio
Saltando verso la fine mese, il 22 Luglio avremo un transito serale da NO a ESE, osservabile da tutta Italia. Dalle 22:38 alle 22:44, con una magnitudine massima di -3.9.
23 Luglio
Il giorno dopo, 23 Luglio, dalle 21:49 in direzione NO alle 21:56 verso E, la ISS attraverserà il cielo visibile soprattutto dal Nord e dalle regioni Adriatiche. Magnitudine massima a -3.2.
25 Luglio
Infine, il 25 Luglio, si concluderà con un transito da ONO a SE, dalle 21:47 alle 21:54. Passaggio ideale per le regioni tirreniche, con magnitudine di picco a -3.6.
Transiti della ISS International Space Station per il mese di Giugno 2025 considerati notevoli
La ISS – Stazione Spaziale Internazionale sarà rintracciabile nei nostri cieli in orari mattutini, prima dell’alba. Avremo cinque transiti notevoli con magnitudini elevate durante gli ultimi giorni del mese, auspicando come sempre in cieli sereni.
22 Giugno
Si inizierà il giorno 22 Giugno, dalle 04:35 alle 04:43, osservando da SO ad ENE. La ISS sarà ben visibile dal CentroSud Italia, con una magnitudine massima che si attesterà su -3.5.
24 Giugno
Il 24 Giugno, la ISS transiterà dalle 04:34 verso OSO alle 04:43 verso NE. Visibilità ottimale dal CentroNord, con magnitudine di picco a -3.2.
25 Giugno
Il giorno successivo, 25 Giugno, avremo il miglior transito del mese: dalle 03:47 alle 03:54, da OSO a NE. Osservabile da tutta la nazione, con una magnitudine massima di -3.8.Un ottimo transito mattutino per iniziare la giornata con lo sguardo al cielo.
26 Giugno
Il 26 Giugno, nuovo transito (questa volta parziale) dalle 03:00 in direzione ESE alle 03:05 verso ENE. Visibile al meglio dal CentroSud, con magnitudine massima a -3.3, poco dopo l’uscita dall’ombra della Terra.
28 Giugno
L’ultimo transito notevole del mese sarà il 28 Giugno, dalle 02:59 alle 03:05, da NO a NE. Un nuovo passaggio parziale osservabile dal CentroNord, con magnitudine di picco a -3.4.
Transiti della ISS International Space Station per il mese di Maggio 2025 considerati notevoli
La ISS – Stazione Spaziale Internazionale sarà rintracciabile nei nostri cieli sia ad orari mattutini che serali. Avremo molti transiti notevoli con magnitudini elevate durante l’ultimo mese della primavera, auspicando come sempre in cieli sereni.
07 Maggio
Si inizierà il giorno 7 Maggio, dalle 05:14 alle 05:24, osservando da ONO a SE. Visibilità perfetta da tutta Italia, con magnitudine di picco a -3.9. Uno dei migliori transiti mattutini del mese, meteo permettendo.
08 Maggio
Il giorno successivo, 8 Maggio, la ISS sarà nuovamente visibile dalle 04:25 verso NO alle 04:35 verso ESE. Anche questo transito sarà osservabile da tutta la nazione, con una magnitudine massima di -3.4.
09 Maggio
Alla sera del 9 Maggio, nuovo spettacolare transito da SO ad ENE, dalle 21:54 alle 22:04. La ISS attraverserà il cielo da orizzonte a orizzonte, visibile perfettamente da tutta Italia, con magnitudine massima a -3.9.
10 Maggio
Il 10 Maggio, nuovo transito mattutino dalle 04:25 alle 04:34, da ONO a SE. Sarà osservabile in particolare dalle Isole Maggiori, con magnitudine di picco a -3.6.
10 Maggio
Sempre il 10 Maggio, ma alla sera, la ISS transiterà dalle 21:06 alle 21:16, da SO a ENE. Visibilità ottimale dal Sud Italia, con magnitudine massima di -3.5.
12 Maggio
Il 12 Maggio, nuovo transito serale dalle 21:19 alle 21:29, da OSO a NE. Visibile al meglio dal Centro-Nord Italia, con una magnitudine di picco di -3.4.
22 Maggio
Saltando di alcuni giorni, il 22 Maggio, nuovo transito parziale serale, dalle 22:33 alle 22:39, da NO a ENE. Visibilità migliore dal Centro-Nord, con magnitudine massima a -3.6.
24 Maggio
Il 24 Maggio, la ISS attraverserà il cielo delle Isole Maggiori dalle 22:31 alle 22:36, da ONO a SSO. Magnitudine di picco a -3.4 per questo transito breve ma brillante.
25 Maggio
Infine, il 25 Maggio, dalle 21:41 alle 21:49, da NO a SE, si avrà il miglior transito serale del mese. Osservabile da tutta Italia, con magnitudine massima a -3.8.
Transiti della ISS International Space Station per il mese di Aprile 2025 considerati notevoli
La ISS – Stazione Spaziale Internazionale sarà rintracciabile nei nostri cieli in orari mattutini. Avremo cinque transiti notevoli con magnitudini elevate durante il mese, auspicando come sempre in cieli sereni.
20 Aprile
Si inizierà il giorno 20 Aprile, dalle 05:34 verso SO alle 05:43 verso ENE. La ISS sarà ben visibile da tutta Italia, con una magnitudine massima che si attesterà su -3.5.
21 Aprile
Il giorno successivo, 21 Aprile, la Stazione Spaziale transiterà dalle 04:46 in direzione S alle 04:53 in direzione ENE. Transito osservabile al meglio dal Sud Italia, con magnitudine di picco a -3.1.
22 Aprile
Si prosegue il 22 Aprile, dalle 05:31 alle 05:39, da OSO a NE. Un passaggio ben visibile dal Centro-Nord del paese, con magnitudine massima di -3.3.
23 Aprile
Il 23 Aprile, nuovo transito da non perdere: dalle 04:43 verso OSO alle 04:49 verso NE. Osservabile da tutta la nazione, con magnitudine di picco a -3.9, sarà uno dei più luminosi del mese.
25 Aprile
L’ultimo transito notevole sarà il 25 Aprile, visibile al meglio dal Nord Italia. Dalle 04:38 alle 04:45, la ISS attraverserà il cielo da ONO a NE, con una magnitudine massima di -3.0.
Transiti della ISS International Space Station per il mese di Marzo 2025 considerati notevoli
La ISS – Stazione Spaziale Internazionale sarà rintracciabile nei nostri cieli sia ad orari mattutini che serali. Avremo molti transiti notevoli con magnitudini elevate durante il primo mese della Primavera, auspicando come sempre in cieli sereni.
03 Marzo
Si inizierà il giorno 3 Marzo, dalle 05:55 alle 06:04, osservando da ONO a SE. Visibilità perfetta da tutta Italia per uno dei migliori transiti del mese, con una magnitudine massima che si attesterà su un valore di -3.8.
04 Marzo
Si replica il 4 Marzo, dalle 05:09 verso NO alle 05:16 verso ESE. La ISS sarà nuovamente ben visibile da tutta la nazione, con magnitudine di picco a -3.4. Osservabile senza problemi, meteo permettendo.
06 Marzo
Due giorni dopo, il 6 Marzo dalle 05:10 alle 05:16, da OSO a SE, la ISS sarà osservabile al meglio dalle isole maggiori. Transito parziale con magnitudine massima a -3.5.
13 Marzo
Saltando una settimana ed iniziando con i transiti serali, il 13 Marzo avremo un transito dalle 19:23 in direzione SO alle 19:30 in direzione ENE. Visibilità ottimale dal Centro Sud, con magnitudine massima di -3.9.
14 Marzo
Il giorno successivo, 14 Marzo, dalle 18:34 alle 18:44, la ISS transiterà da SO a ENE. Questo passaggio sarà visibile al meglio dal Sud Italia, con magnitudine massima a -3.3.
26 Marzo
Passiamo al 26 Marzo, dalle 20:07 in direzione NO alle 20:13 in direzione NNE. Un passaggio ottimale, seppur parziale, per il Centro Nord, con magnitudine massima di -3.7.
27 Marzo
Il giorno dopo, 27 Marzo, dalle 19:18 verso NO alle 19:26 verso E, la ISS sarà visibile al meglio dal Nord Est del paese, raggiungendo una magnitudine massima di -3.2.
28 Marzo
Il 28 Marzo, dalle 20:06 alle28 Marzo 20:11, la Stazione Spaziale Internazionale attraverserà il cielo da ONO a S. Questo transito sarà osservabile al meglio dalle isole maggiori, con magnitudine di picco a -3.2. Se osservata dal Centro Italia, la ISS transiterà vicina alle Pleiadi e Giove.
29 Marzo
L’ultimo transito del mese avverrà il 29 Marzo, dalle 19:16 alle 19:25, da NO a SE. Un passaggio facilmente osservabile da tutta la nazione, con magnitudine massima a -3.8.
Transiti della ISS International Space Station per il mese di Febbraio 2025 considerati notevoli
La ISS – Stazione Spaziale Internazionale sarà rintracciabile nei nostri cieli prima dell’alba durante il secondo mese del 2025. Avremo cinque transiti notevoli con magnitudini elevate, auspicando come sempre in cieli sereni.
14 Febbraio
Si inizierà il giorno 14 Febbraio, dalle 06:27 alle 06:37, osservando da SO a NE. La ISS sarà ben visibile da tutta Italia, con una magnitudine di picco a -3.7. Un transito mattutino che vale la pena osservare.
15 Febbraio
Il giorno successivo, 15 Febbraio, dalle 05:41 verso SSO alle 05:48 in direzione ENE, il transito sarà visibile al meglio dal Sud Italia, con una magnitudine massima di -3.0.
16 Febbraio
Passiamo al 16 Febbraio, dalle 06:27 in direzione O alle 06:35 verso NE. Questo transito sarà particolarmente adatto per il Nord Italia, con una magnitudine di picco a -3.2.
17 Febbraio
Il giorno successivo, 17 Febbraio, dalle 05:40 in direzione O alle 05:46 verso NE, la ISS sarà visibile da tutta Italia. Questo transito, con magnitudine massima a -3.8, sarà uno dei più luminosi del mese.
19 Febbraio
L’ultimo transito notevole del mese sarà il 19 Febbraio, dalle 05:38 alle 05:44, da NO a NE. Questo passaggio sarà osservabile al meglio dal Nord Italia, con una magnitudine di picco a -3.1.
Transiti della ISS International Space Station per il mese di Gennaio 2025 considerati notevoli
La ISS – Stazione Spaziale Internazionale sarà rintracciabile nei nostri cieli sia ad orari mattutini che serali. Avremo molti transiti notevoli con magnitudini elevate durante il primo mese del nuovo anno, auspicando come sempre in cieli sereni.
01 Gennaio
Si inizierà il giorno 1 Gennaio, dalle 06:12 alle 06:18, osservando da ONO a SE. La ISS sarà ben visibile da tutta Italia, con una magnitudine massima che si attesterà su un valore di -3.8.
14 Gennaio
Saltando ai passaggi serali, il 14 Gennaio, la Stazione Spaziale transiterà dalle 18:30 alle 18:37, da SO ad ENE. Questo sarà uno dei due transiti migliori del mese, visibile senza problemi da tutta Italia, con magnitudine di picco a -3.9. Da alcune località del centro Italia la ISS transiterà nel mezzo della (o molto vicino alla) congiunzione tra Venere e Saturno, un’ottima occasione fotografica.
15 Gennaio
Il giorno successivo, 15 Gennaio, dalle 17:41 verso SSO alle 17:49 in direzione ENE, il transito sarà visibile al meglio dal Sud Italia. La ISS raggiungerà una magnitudine massima di -3.2.
17 Gennaio
Passiamo al 17 Gennaio, dalle 17:37 in direzione OSO alle 17:46 verso NE. Questo sarà un transito ideale per il Centro Nord Italia, con magnitudine di picco a -3.6.
28 Gennaio
Il 28 Gennaio, dalle 18:09 alle 18:16, da NO a E, la ISS sarà visibile al meglio dal Nord Est, raggiungendo una magnitudine di -3.2.
29 Gennaio
Il giorno successivo, 29 Gennaio, dalle 18:55 alle 19:02, da ONO a SSE, il transito sarà osservabile al meglio da Sardegna e Sicilia. La magnitudine massima sarà di -3.4.
30 Gennaio
L’ultimo transito notevole del mese, il 30 Gennaio, dalle 18:05 alle 18:14, da NO a ESE, sarà nuovamente visibile da tutta Italia (il secondo migliore del mese), con magnitudine di picco a -3.9.
Transiti della ISS International Space Station per il mese di Dicembre 2024 considerati notevoli
La ISS – Stazione Spaziale Internazionale sarà rintracciabile nei cieli della nazione ad orari tardo pomeridiani nella prima parte del mese, e al mattino, prima dell’alba, nella seconda. Avremo sette transiti notevoli con magnitudini elevate, auspicando come sempre in cieli sereni.
02 Dicembre
Si inizierà il giorno 2 Dicembre, dalle 17:43 verso NO alle 17:52 verso SE. La ISS sarà ben visibile da tutta Italia, con una magnitudine di picco a -3.7.
16 Dicembre
Si passa ai transiti mattutini, prima dell’alba. Il 16 Dicembre, dalle 06:19 in direzione SO alle 06:28 in direzione NE. Un classico transito visibile senza alcun problema da ogni parte d’Italia, meteo permettendo. Magnitudine di -3.9.
17 Dicembre
Il giorno successivo, 17 Dicembre, la Stazione Spaziale Internazionale sarà visibile al meglio dal Sud Italia dalle 05:33 alle 05:39, da S ad ENE. Questo transito avrà una magnitudine massima di -3.1.
18 Dicembre
Il 18 Dicembre, dalle 06:20 in direzione O alle 06:27 in direzione NE, la ISS sarà particolarmente visibile dal Nord Italia, raggiungendo una magnitudine di -3.2.
29 Dicembre
Passiamo al 29 Dicembre, dalle 06:56 verso NO alle 07:05 verso ESE. Questo transito sarà nuovamente visibile da tutta Italia, con una magnitudine di picco a -3.6.
30 Dicembre
Il giorno dopo, 30 Dicembre, dalle 06:08 in direzione NNO alle 06:15 in direzione ESE, il transito sarà osservabile al meglio dal Nord-Est e dalle regioni Adriatiche, con magnitudine massima a -3.1.
31 Dicembre
L’ultimo transito notevole del mese, il 31 Dicembre, sarà visibile al meglio da Sardegna e Sicilia. Dalle 06:53 alle 07:02, da ONO a SE, la ISS raggiungerà una magnitudine di -3.3.
Transiti della ISS International Space Station per il mese di Novembre 2024 considerati notevoli
La ISS – Stazione Spaziale Internazionale sarà rintracciabile nei nostri cieli sia ad orari mattutini che serali. Avremo molti transiti notevoli con magnitudini elevate durante l’ultimo mese autunnale, auspicando come sempre in cieli sereni.
02 Novembre
Si inizierà il giorno 2 Novembre, dalle 06:05 alle 06:14, osservando da ONO a SE. La ISS sarà ben visibile dalle Isole Maggiori, con una magnitudine massima che si attesterà su un valore di -3.6.
03 Novembre
Il prossimo transito sarà il 3 Novembre, dalle 05:19 in direzione NO alle 05:25 in direzione ESE. Visibilità eccellente da tutta Italia, con una magnitudine di picco a -3.8.
05 Novembre
Il giorno 5 Novembre, dalle 05:18 verso SO alle 05:23 in direzione SE, sarà un transito osservabile al meglio da Sardegna e Sicilia, con una magnitudine massima di -3.1.
15 Novembre
Saltando di dieci giorni, arriviamo al 15 Novembre, dalle 18:31 in direzione OSO alle 18:37 in direzione NNO, con magnitudine di picco a -3.8. Questo sarà un transito ideale per il Centro-Nord.
16 Novembre
Il giorno successivo, 16 Novembre, dalle 17:42 verso SO alle 17:49 verso ENE. Visibilità migliore dal Centro-Sud Italia, con magnitudine massima a -3.7.
18 Novembre
Il 18 Novembre, dalle 17:39 alle 17:47, la ISS attraverserà il cielo da OSO a NE. Un transito ottimale per il Centro-Nord, con magnitudine di picco a -3.2.
29 Novembre
L’ultimo transito del mese, il 29 Novembre, sarà visibile al meglio dal Nord Italia. Dalle 18:12 alle 18:17, da NO a NNE. La ISS raggiungerà una magnitudine massima di -3.4.
Transiti della ISS International Space Station per il mese di Ottobre 2024 considerati notevoli
La ISS – Stazione Spaziale Internazionale sarà rintracciabile nei nostri cieli sia ad orari serali che mattutini. Avremo quattro transiti notevoli con magnitudini elevate ad inizio e a fine mese, auspicando come sempre in cieli sereni.
02 Ottobre
Si inizierà il giorno 2 Ottobre, dalle 19:09 alle 19:20, osservando da ONO a SE. La ISS sarà ben visibile dalle Isole Maggiori e regioni occidentali, con una magnitudine massima che si attesterà su un valore di -3.1.
17 Ottobre
Il prossimo transito sarà il 17 Ottobre, dalle 06:52 verso SO alle 07:03 verso ENE. Visibilità eccellente da tutta Italia, con un transito che attraverserà il cielo da orizzonte a orizzonte. Magnitudine di picco a -3.5.
19 Ottobre
Saltiamo di un paio di giorni, andando al 19 Ottobre, dalle 06:51 in direzione OSO alle 07:00 in direzione NE. Transito ottimale per il Centro Nord, con magnitudine massima a -3.4.
20 Ottobre
L’ultimo passaggio sarà visibile al meglio da tutta Italia il 20 Ottobre. Dalle 06:04 alle 06:11, da OSO a NE, con magnitudine di picco a -3.9. Vale la pena mettere la sveglia per il miglior transito antelucano del mese.
Transiti della ISS International Space Station per il mese di Settembre 2024 considerati notevoli
La ISS – Stazione Spaziale Internazionale sarà rintracciabile nei nostri cieli sia ad orari mattutini che serali. Avremo molti transiti notevoli con magnitudini elevate durante il primo mese d’autunno, sperando come sempre in cieli sereni.
05 Settembre
Si inizierà il giorno 5 Settembre, dalle 06:00 verso ONO alle 06:10 verso SE. Visibilità perfetta da tutta la nazione, con magnitudine di picco a -3.7. Osservabile senza problemi, meteo permettendo.
06 Settembre
Si replica il 6 Settembre, dalle 05:14 in direzione NO alle 05:21 in direzione ESE. Questo sarà un transito ottimale per tutto il paese. Magnitudine massima nuovamente a -3.7.
11 Settembre
Il transito successivo si avrà l’11 Settembre, con la Stazione Spaziale che transiterà dalle 21:02 alle 21:08, da SO ad ENE. Un transito ottimale per tutta Italia, con magnitudine massima a -3.9. Il miglior transito serale del mese, anche se parziale.
12 Settembre
Un nuovo transito della ISS il 12 Settembre, dalle 20:14 verso SO alle 20:22 verso ENE, con magnitudine di picco a -3.6. Questo passaggio sarà particolarmente visibile nel Centro-Sud.
14 Settembre
Il giorno 14 Settembre, nuovo transito ottimale per il Centro-Nord, dalle 20:13 alle 20:22, da OSO a NE, la ISS avrà una magnitudine massima di -3.3.
28 Settembre
Il penultimo passaggio sarà il 28 Settembre, dalle 20:09 verso NO alle 20:16 verso ESE. Transito osservabile da tutta la nazione, con la ISS che raggiungerà una magnitudine di picco di -3.8.
29 Settembre
L’ultimo transito notevole si avrà il 29 Settembre, osservabile al meglio dal Nord Italia, dalle 19:21 alle 19:29, da NO ad ESE. La ISS avrà una magnitudine massima a -3.2.
Transiti della ISS International Space Station per il mese di Agosto 2024 considerati notevoli
La ISS – Stazione Spaziale Internazionale sarà rintracciabile nei nostri cieli in orari mattutini, prima dell’alba. Avremo quattro transiti notevoli con magnitudini elevate durante l’ultimo mese estivo, auspicando come sempre in cieli sereni.
20 Agosto
Si inizierà il giorno 20 Agosto, dalle 05:46alle 05:55, osservando da SO ad ENE. La ISS sarà visibile da tutta la nazione per uno dei due migliori transiti del mese con una magnitudine massima di -3.7.Se osservata dal Centro, la ISS sarà vicina alla coppia Marte-Giove.
21 Agosto
Si replica il 21 Agosto, dalle 04:58 verso S alle 05:05 verso ENE. Visibilità migliore per il Sud Italia, con magnitudine di picco a -3.1.
22 Agosto
Passiamo al giorno 22 Agosto con un nuovo transito dalle 05:44 in direzione OSO alle 05:52 in direzione NE. Osservabile al meglio dal Centro Nord Italia con una magnitudine massima di -3.3.
23 Agosto
L’ultimo transito del mese si avrà il 23 Agosto, dalle 04:56 alle 05:03, da OSO a NE. Magnitudine di picco a -3.9per il miglior transito del mese, osservabile da tutta la nazione.
Transiti della ISS International Space Station per il mese di Luglio 2024 considerati notevoli
La ISS – Stazione Spaziale Internazionale sarà rintracciabile nei nostri cieli sia ad orari mattutini che serali. Avremo molti transiti notevoli con magnitudini elevatedurante il secondo mese estivo, auspicando come sempre in cieli sereni.
08 Luglio
Transiti della ISS International Space Station 08 Luglio
Si inizierà il giorno 8 Luglio, dalle 22:54 verso OSO alle 23:05 verso NE. Visibilità perfetta da tutta la nazione, con magnitudine di picco a -3.9. Osservabile senza problemi, meteo permettendo.
09 Luglio
Transiti della ISS International Space Station 09 Luglio
Si replica il 9 Luglio, dalle 22:06 alle 22:16, osservando da SO a ENE. La ISS sarà nuovamente ben visibile da tutta Italia, in particolare dal Centro Sud, con una magnitudine massima si attesterà su un valore di -3.7.
10 Luglio mattina
Transiti della ISS International Space Station 10 Luglio
Il 10 Luglio avremo una giornata con un transito al mattino ed uno alla sera. Il primo si avrà dalle 04:35 alle 04:45, da ONO a SE, con una magnitudine massima di -3.8. Osservabile al meglio dall’occidente italiano.
10 Luglio sera
Transiti della ISS International Space Station 10 Luglio sera
Sempre il 10 Luglio, ma alla sera, dalle 21:17 alle 21:28, vi sarà il secondo transito con magnitudine di picco a -3.2, visibile al meglio dal Sud Italia, da SSO a ENE.
11 Luglio
Transiti della ISS International Space Station 11 Luglio
L’11 Luglio avremo un nuovo transito mattutino osservabile da tutta la nazione. Dalle 03:46 verso NO alle 03:57 verso ESE, con magnitudine massima a -3.7. Vale la pena di mettere la sveglia.
12 Luglio
Transiti della ISS International Space Station 12 Luglio
Il 12 Luglio, alla sera, si avrà un nuovo passaggio delle ISS dalle 21:16 verso SO alle 21:27 verso NE, con visibilità perfetta (meteo permettendo) da tutta la nazione con magnitudine massima a -3.7.
22 Luglio
Transiti della ISS International Space Station 22 Luglio
Saltando di una decina di giorni, il 22 Luglio, con magnitudine a -3.5 dalle 22:50 verso NO alle 22:56 verso NE, la ISS effettuerà un transito parziale osservabile al meglio dal Centro Nord del paese.
24 Luglio
Transiti della ISS International Space Station 24 Luglio
Due giorni dopo, il 24 Luglio, la Stazione Spaziale effettuerà un altro transito parziale, osservabile al meglio dalla Sardegna, dalle22:49 alle 22:54, da ONO a OSO. Magnitudine massima a -3.3.
25 Luglio
Transiti della ISS International Space Station 25 Luglio
Passando al 25 Luglio, dalle 22:00 verso NO alle 22:07 verso ESE, la Stazione Spaziale Internazionale sarà osservabile nuovamente da tutto il paese, con magnitudine massima a -3.9.
26 Luglio
Transiti della ISS International Space Station 26 Luglio
Il 26 Luglio, con magnitudine a -3.4 dalle 21:11 verso NO alle 21:20 verso ESE, la ISS effettuerà il penultimo transito notevole del mese, osservabile al meglio dal Nord Est e regioni Adriatiche.
28 Luglio
Transiti della ISS International Space Station 28 Luglio
L’ultimo transito notevole del mese si avrà il 28Luglio, osservabile al meglio dall’occidente italiano, dalle 21:09 alle 21:18, da ONO a SE. La ISS avrà una magnitudine massima a -3.5.
Transiti della ISS International Space Station per il mese di Giugno 2024 considerati notevoli
La ISS – Stazione Spaziale Internazionale sarà rintracciabile nei nostri cieli in orari mattutini, prima dell’alba. Avremo sei transiti notevoli con magnitudini elevate ma solo durante gli ultimi giorni del mese di giugno, auspicando come sempre in cieli sereni.
23 Giugno
Transiti della ISS International Space Station 23 giugno
Si inizierà il giorno 23 Giugno, dalle 04:54alle 05:03, osservando da SO ad ENE. La ISS International Space Station sarà ben visibile da tutta la nazione con una magnitudine massima si attesterà su un valore di -3.8. Vale la pena di puntare la sveglia per questo passaggio.
24 Giugno
Transiti della ISS International Space Station 24 giugno
Il 24 Giugno, dalle 04:05 verso SSO alle 04:15 verso ENE, la Stazione Spaziale sarà osservabile al meglio dal Sud Italia con magnitudine di picco a -3.3.
25 Giugno
Transiti della ISS International Space Station 25 giugno
Il giorno dopo, 25 Giugno, la ISS transiterà dalle 04:50 alle 04:58, da OSO a NE, con una magnitudine massima di -3.1. Un passaggio perfetto per il Nord Italia questa volta.
26 Giugno
Transiti della ISS International Space Station 26 giugno
Continuando, il 26 Giugno avremo un nuovo passaggio della ISS International Space Station dalle 04:00 verso OSO alle 04:08 verso NE. Visibile nuovamente da tutto il paese con magnitudine di picco a -3.8. Sperando come sempre in cieli sereni.
27 Giugno
Transiti della ISS International Space Station 27 giugno
Arriviamo al penultimo transito, il 27 Giugno, dalle 03:11 in direzione SE alle 03:17 in direzione ENE. Un transito parziale, osservabile al meglio dal Centro Sud del paese, con una magnitudine massima di -3.6.
29 Giugno
Transiti della ISS International Space Station 29 giugno
L’ultimo transito del mese si avrà il giorno 29 Giugno, dalle 03:06 da ONO alle 03:12 a NE, con magnitudine massima a -3.4. Osservabile al meglio dal Centro Nord Italia.
N.B. Le direzioni visibili per ogni transito sono riferite ad un punto centrato sulla penisola, nel centro Italia, costa tirrenica. Considerate uno scarto ± 1-5 minuti dagli orari sopra scritti, a causa del grande anticipo con il quale sono stati calcolati.
ATTENZIONE
In caso di Booster della ISS eseguiti nei giorni successivi alla pubblicazione dell’articolo gli orari possono differire anche in maniera significativa. Vi invitiamo a controllare sempre il sito https://www.heavens-above.com/ soprattutto in caso di programmazione di una sezione di osservazione.
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Il cielo di dicembre è popolato da oggetti brillanti e inconfondibili: uno di questi è certamente la costellazione di Orione, figura celeste nota anche ai meno esperti di astronomia, individuabile ad occhio nudo già in contesti urbani.
LA COSTELLAZIONE DI ORIONE
Orione fa il suo ingresso sulla volta celeste già a fine estate, quando lo ritroviamo basso a Sud-Est da notte inoltrata fino alle prime luci dell’alba, per poi ritrovarlo nel periodo autunnale in serata, e da quel momento accompagnerà le nostre sere d’inverno a partire dalle ore successive al tramonto del Sole, raggiungendo il meridiano a gennaio inoltrato.
La stella principale della costellazione è Rigel, una supergigante blu che indica il ginocchio del “cacciatore celeste”, avente magnitudine 0,2; tuttavia è Betelgeuse la stella alfa della costellazione.
Betelgeuse, con il suo colore rosso-arancio, rappresenta una supergigante rossa con magnitudine 0,5 posta a 600 anni luce dalla Terra.
La stella indica il vertice nord-orientale di Orione e rappresenta anche uno dei vertici del Triangolo Invernale, asterismo composto da Sirio (Cane Maggiore) e Procione (Cane Minore).
Betelgeuse è un oggetto molto discusso in campo astronomico poiché alla fine del suo ciclo vitale potrebbe esplodere in supernova.
HR Number(*)
Star designation
Proper name
Visual magnitude
Notes
HR1713
β Orionis
Rigel
0.12
Variable; Multiple;
HR2061
α Orionis
Betelgeuse
0.5
Variable; Multiple;
HR1790
γ Orionis
Bellatrix
1.64
Variable; Double;
HR1903
ε Orionis
Alnilam
1.7
Variable; Double;
HR1948
ζ Orionis
Alnitak
2.05
Variable; Multiple;
HR2004
κ Orionis
Saiph
2.06
Variable;
HR1852
δ Orionis
Mintaka
2.23
Variable; Multiple;
HR1899
ι Orionis
Hatysa
2.77
Variable; Multiple;
HR1543
π3 Orionis
Tabit
3.19
Variable; Double;
HR1788
η Orionis
3.36
Variable; Multiple;
HR1879
λ Orionis
Meissa
3.54
Variable; Multiple;
HR1735
τ Orionis
3.6
Multiple;
HR1552
π4 Orionis
3.69
Variable;
HR1567
π5 Orionis
3.72
Variable;
HR1931
σ Orionis
3.81
Multiple;
HR1580
ο2 Orionis
4.07
Multiple;
HR1907
φ2 Orionis
4.09
HR2124
μ Orionis
4.12
Variable; Multiple;
HR1784
29 Orionis
4.14
HR1839
32 Orionis
4.2
Double;
OGGETTI DEL PROFONDO CIELO IN ORIONE
Ciò che caratterizza l’immagine di Orione sulla volta celeste è indubbiamente la sua celebre “cintura”, asterismo dato composto dalle tre stelle Alnitak, Alnilam e Mintaka.
Nelle prossimità della cintura vi sono alcuni degli oggetti tra i più noti del profondo cielo, ovvero M43, NCG 1990, la Nebulosa Fiamma e la Nebulosa Testa di Cavallo.
Nebulosa Testa di Cavallo IC434, Nebulosa Fiamma NGC 2024 , Nebulosa di Orione M42. Crediti di Simeone Pendolo.
La Cintura di Orione è avvolta all’esterno da un imponente anello di nebulosità che dista circa 1600 anni luce dalla Terra, noto come Anello di Barnard, che ha una dimensione di 300 anni luce di diametro.
Si tratta del resto di una supernova esplosa probabilmente circa 2 milioni di anni fa.
IMMAGINE LDN 1622 CREDITI: COSIMO SECLÌ DALLA GALLERY DI PHOTOCOELUM
Proprio sul bordo orientale dell’Anello di Barnard si trova un oggetto dall’aspetto tanto affascinante quanto inquietante: si tratta di LDN 1622, meglio noto come Nebulosa Boogeyman o Nebulosa dell’Uomo Oscuro.
L’oggetto si trova nei pressi del pian galattico, a 500 anni luce di distanza dalla Terra: si tratta di una nube oscura che si staglia su uno sfondo rosso di idrogeno incandescente.
La polvere scura è formata da gas talmente denso da nascondere la luce delle stelle retrostanti. Questa nebulosa non è un soggetto molto facile da immortalare, necessita infatti di diverse ore di riprese, ma ne vale di certo la pena.
La costellazione di Orione è uno scrigno pregno di bellezze del profondo cielo, e uno degli oggetti più famosi e ripresi dagli astrofili più o meno esperti è senza ombra di dubbio M42, la cosiddetta Nebulosa di Orione.
IMMAGINE M42 CREDITI: MIRKO TONDINELLI
Si tratta di un complesso nebuloso molecolare in cui hanno origine importanti processi di formazione stellare e che si estende ampiamente tra la cintura e la spada di Orione; è una delle regioni stellari più attive, una vera e propria incubatrice di stelle.
Un altro oggetto presente in Orione, alla portata anche di un binocolo 10×50, è M 78 o Nebulosa Casper: rappresenta una nebulosa a riflessione tra le più brillanti, distante 1300 anni luce e situata sopra alla Cintura di Orione, visibile da luoghi bui già con piccole strumentazioni.
IMMAGINE M 78 CREDITI: GIUSEPPE DE PACE DALLA GALLERY DI PHOTOCOELUM
L’oggetto venne scoperto all’inizio del 1780 da Pierre Méchain, e fu inserito da Charles Messier nel suo catalogo degli oggetti nebulosi il 17 dicembre di quello stesso anno.
ORIONE NELLA MITOLOGIA
Orione è una delle figure di cui si narra nelle leggende delle antiche popolazioni, già a partire dai Sumeri. Per il mito greco Orione era il figlio di Euriale e Posidone, ed aveva il dono di saper camminare sull’acqua. Nell’Odissea Omero narra di lui come un abile cacciatore, sempre accompagnato dai suoi fedeli cani da caccia, in particolare il suo prediletto, Sirio.
Le sue avventure sono principalmente legate a storie d’amore e passioni a causa delle quali, il cacciatore, si trovava a dover fronteggiare rivali molto veementi, e arrivò persino a perdere la vista (poi recuperata) per una lite molto accesa. Tra le tante storie, una delle più note è quella che lega Orione ad Artemide: arrivato a Delo, l’isola sacra ad Apollo, insieme alla sua amante Eos, Orione incontrò Artemide.
Accomunati dalla passione del tiro con l’arco, il cacciatore e la bellissima sorella gemella di Apollo, si innamorarono perdutamente. Ma questo amore non andava proprio giù al dio greco, che considerava l’arrivo di Orione sulla sua isola una sorta di profanazione, tanto da ricorrere all’aiuto della Madre Terra per poterlo annientare definitivamente.
La Madre Terra scatenò contro Orione un velenosissimo e gigante scorpione, figura che sulla volta celeste ritroviamo a inseguire il cacciatore. Orione impiegó tutte le sue forze, le sue frecce e armature pur di non soccombere, e si gettó in mare, dove il suo destino era già stato deciso da Apollo.
Mentre una notte Orione stava nuotando a pelo d’acqua, Apollo diede l’arco in mano a sua sorella Artemide, invitandola a puntare la freccia a largo, dove vi era poca visibilità: la dea scaglió con abilità il dardo fatale, colpendo a morte il suo amato. Disperata per aver ucciso l’uomo che amava, incontrò la pietà di Zeus, che trasformò Orione in una brillante costellazione, così che ogni notte Artemide potesse contemplare il suo grande amore sulla volta celeste.
LA COSTELLAZIONE DELLA LEPRE
Ai piedi di Orione giace la piccola costellazione della Lepre, che transita al meridiano proprio a dicembre; si tratta di un oggetto di dimensioni contenute, ma abbastanza appariscente da essere individuato nel cielo notturno. Arneb (alfa Leporis) è la stella principale della costellazione, una supergigante gialla di magnitudine 2,58, distante 1283 anni luce. Beta Leporis è Nihal, una gigante brillante gialla di magnitudine 2,81, distante 159 anni luce.
Epsilon Leporis e Mu Leporis sono le altre due stelle che compongono la costellazione, con una magnitudine rispettivamente di 3,19 e 3,29.
OGGETTI NON STELLARI NELLA LEPRE
La costellazione della Lepre giace sul brodo della Via Lattea, ma non tanto vicina da contenere importanti campi stellari: sono presenti tuttavia alcuni oggetti interni alla nostra galassia, quali l’ammasso globulare M 79, la Nebulosa IC 418.
M 79 è individuabile a sud della Stella Nihal, e c’è bisogno dell’ausilio do in binocolo di media potenza per poterlo cercare amatorialmente.
IMMAGINE IC 418 CREDITI: NASA e The Hubble Heritage Team (STScI/AURA) Ringraziamenti: Dr. Raghvendra Sahai (JPL) e Dr. Arsen R. Hajian (USNO)
La Nebulosa IC 418 è molto suggestiva, appare di taglio e la sua distanza si aggira attorno ai 2000 anni luce dalla Terra. Tra gli oggetti più esterni alla Via Lattea troviamo invece la galassia a spirale NCG 1964, dal nucleo brillante e denso.
IMMAGINE NGC 1964 CREDITI: ESO/Jean-Christophe Lambry
LA COSTELLAZIONE DELLA LEPRE NELLA MITOLOGIA
Per gli arabi la stella beta della costellazione della Lepre significa “i cammelli saziando la loro sete”, Al-Nihal, come se ad alcuni momenti di osservazione loro associassero I cammelli nell’atto di dissetarsi nei pressi della vicina Via Lattea.
Nota anche alle antiche popolazioni greche, quella della lepre è una figura strettamente associata a quella di Orione, poiché rappresenta la preda inseguita dal cacciatore mitologico, ma preda anche del Cane Maggiore.
Un’antica leggenda narra di un forestiero che arrivò sull’isola Greca di Leros una piccola lepre, con l’intento di dar vita ad un allevamento di questo animale; in poco tempo però la situazione sfuggì di mano, poiché le lepri iniziarono a riprodursi in maniera incontrollata, invadendo l’isola e distruggendo i raccolti.
Gli abitanti dunque si mobilitarono in massa per contenere tale problema, eliminando tutte le lepri salvandone solo una, che fu posta in cielo tra le stelle.
Le costellazioni del mese di Novembre 2025
In un viaggio attraverso il cielo di novembre, incontriamo la mitologica costellazione di Perseo, un’affascinante figura nell’emisfero boreale. Nota come radiante dello sciame meteorico delle Perseidi e per il suo spettacolare Ammasso Doppio (NGC 869 e NGC 884) , Perseo si estende tra Andromeda e Auriga. La sua stella più celebre, Algol (Beta Persei), è il prototipo delle variabili a eclisse, con una luminosità che oscilla in meno di tre giorni. Questa costellazione, legata al mito dell’eroe che sconfisse Medusa e salvò Andromeda , è ricca anche di nebulose come M 76 e la vasta Nebulosa California (NGC 1499). Poco più a Sud di Perseo, è visibile la costellazione del Triangolo, una figura poco estesa e poco luminosa, ma riconoscibile per la sua forma. Nonostante la sua lontananza dalla Via Lattea, il Triangolo ospita una delle galassie a spirale più note, ovvero M33 o Galassia del Triangolo, una delle galassie più vicine alla Via Lattea.
LA COSTELLAZIONE DI PERSEO
Nel cielo di novembre incontriamo la costellazione di Perseo, una figura nota per il suo Ammasso Doppio e per essere il radiante di uno degli sciami meteorici più conosciuti, quello delle Perseidi.
La costellazione si estende fra quelle di Andromeda e Auriga ed è composta da circa 136 stelle visibili a occhio nudo, concentrate sostanzialmente in tre gruppi, in direzione delle stelle Mirfak, Algol ed Epsilon Persei.
HR Number(*)
Star designation
Proper name
Visual magnitude
Notes
HR936
β Persei
Algol
2.12
Variable; Multiple;
HR1203
ζ Persei
2.85
Variable; Multiple;
HR1220
ε Persei
2.89
Variable; Multiple;
HR915
γ Persei
2.93
Multiple;
HR1122
δ Persei
3.01
Variable; Double;
HR921
ρ Persei
3.39
Variable;
HR834
η Persei
Miram
3.76
Multiple;
HR1135
ν Persei
3.77
Variable; Double;
HR941
κ Persei
Misam
3.8
Variable; Double;
HR1131
ο Persei
Atik
3.83
Variable; Double;
HR854
τ Persei
3.95
Variable; Multiple;
HR1273
48 Persei
4.04
Variable;
HR1228
ξ Persei
Menkib
4.04
Variable;
HR937
ι Persei
4.05
Double;
HR496
φ Persei
4.07
Variable;
HR799
θ Persei
4.12
Variable; Multiple;
HR1303
μ Persei
4.14
Variable; Multiple;
HR840
16 Persei
4.23
Variable; Multiple;
HR1087
ψ Persei
4.23
Variable;
Da settembre a marzo, nell’emisfero boreale, Perseo è facilmente individuabile grazie al cospicuo numero di stelle di terza e quarta magnitudine: Mirfak è la stella principale della costellazione (alfa Persei) ed è una supergigante di colore giallo, con una magnitudine di 1,79, situata a una distanza di circa 590 anni luce.
Algol (Beta Persei) è la stella forse più nota in Perseo, e possiede una luminosità apparente che oscilla tra le magnitudini 2,12 e 3,39 in poco meno di tre giorni.
Algol è il prototipo di una classe di variabili, di forma regolare, in cui due componenti di un sistema binario si eclissano a vicenda causando la diminuzione della luminosità totale del sistema.
Essa è posta a una distanza di 93 anni luce.
OGGETTI DEL PROFONDO CIELO IN PERSEO
La costellazione è in parte attraversata dalla Via Lattea che però appare in maniera non proprio marcata in tale direzione, osservando anzi ad occhio nudo in direzione di Perseo, è come se la Via Lattea si interrompesse in alcuni tratti, originando un vuoto dovuto alla presenza di vasti banchi di nebulosità oscure.
Nonostante ciò, Perseo contiene diversi e interessanti oggetti del profondo cielo: uno dei più noti è certamente l’Ammasso Doppio, costituito dagli ammassi NGC 869 e NGC 884, che danno origine a uno dei più belli e luminosi oggetti del cielo notturno.
Doppio Ammasso in Perseo. Crediti EGIDIO MARIA VERGANI DALLA GALLERY DI PHOTOCOELUM
La costellazione ospita anche l’Ammasso di Alfa Persei (Mel 20), un oggetto molto luminoso nella parte settentrionale della costellazione; molto nota anche la nebulosa planetaria M76 e la Nebulosa California (NGC 1499).
Quest’ultima è una nebulosa a emissione distante 1000 anni luce dalla Terra, ed è un oggetto deep sky molto amato dagli astrofili.
IMMAGINE NGC 1499 CREDITI: DANIELE BORSARI DALLA GALLERY DI PHOTOCOELUM, IMMAGINE VINCITRICE DELLA CATEGORIA YOUNG NEL CONCORSO APY 2024.
Qualche anno fa il telescopio spaziale Euclid ha ottenuto una sorprendente immagine che ci mostra l’Ammasso di Galassie di Perseo, oltre a 100.000 galassie più lontane visibili sullo sfondo, alcune della quali non erano mai state viste prima.
IMMAGINE GALASSIE DI PERSEO CREDITI: EUCLID/ESA.INT
PERSEO NELLA MITOLOGIA
Attraverso rocce sperdute e impervie, attraverso orride forre, giunse alla casa della Gorgone, e qua e là per i campi e per le strade vedeva figure di uomini e di animali tramutati da esseri veri in statue per aver visto Medusa. Ovidio, Metamorfosi, IV, 778-781
Perseo è legato a diversi miti, in una narrazione che si intreccia con le figure di Pegaso, Andromeda, Medusa.
Perseo era il figlio mortale di Giove e Danae: al giovane venne affidato il compito di trovare e uccidere il mostro Medusa, una Gorgone con i serpenti al posto dei capelli e il potere di pietrificare con un solo sguardo chiunque incrociasse il suo.
Medusa viveva su un’isola Situata Oltre l’oceano, insieme a Steno e Eurialo, altre due Gorgoni, mortali.
L’eroe giunse sull’isola dopo aver ricevuto in sogno, da Minerva, una spada con la quale decapitare il mostro e uno scudo riflettente affinché esso non potesse pietrificarlo.
Sul suo cammino Perseo incontrò anche le tre ninfe del Nord, che gli consegnarono un elmo speciale con la capacità di renderlo invisibile e una sacca dove riporre la testa di Medusa una volta recisa.
Alla fine Perseo riuscì a portare a termine il suo compito, uccidendo il mostro Medusa, dal cui sangue nacque Pegaso, il cavallo alato di cui si serví per fuggire e con il quale, durante il viaggio di ritorno, trasse in salvo Andromeda, incatenata sulla rupe sotto minaccia del mostro marino Ceto.
Per le sue gesta, da sempre narrate attraverso l’arte, Perseo si guadagnó un posto sulla volta celeste, brillando tra le stelle per l’eternità.
LA COSTELLAZIONE DEL TRIANGOLO
Poco più a Sud delle costellazioni di Andromeda e Perseo incontriamo il Triangolo, una figura visibile nei mesi autunnali e invernali del nostro emisfero.
Si tratta di una costellazione poco estesa e poco luminosa, tuttavia riconoscibile per la sua forma.
Alfa Trianguli, dall’arabo Mothallah ovvero “la testa del Triangolo” è una gigante bianco-azzurra di magnitudine 3,42, distante 124 anni luce: è la stella principale della costellazione, una binaria che nonostante venga classificata come stella alfa, rappresenta la seconda più luminosa dopo beta Trianguli.
Quest’ultima, nota anche come Deltotum, è una subgigante gialla di magnitudine 3,00, distante 64 anni luce.
Il terzo vertice della costellazione è raffigurato da gamma Trianguli.
HR Number(*)
Star designation
Proper name
Visual magnitude
Notes
HR622
β Trianguli
3
HR544
α Trianguli
Mothallah
3.41
Multiple;
HR664
γ Trianguli
4.01
HR660
δ Trianguli
4.87
Double;
HR642
6 Trianguli
4.94
Variable; Double;
HR675
10 Trianguli
5.03
Double;
HR736
14 Trianguli
5.15
HR655
7 Trianguli
5.28
HR717
12 Trianguli
5.29
HR758
5.3
Variable;
HR750
15 Trianguli
5.35
Variable; Double;
HR599
ε Trianguli
5.5
Variable; Double;
HR712
11 Trianguli
5.54
HR490
5.64
HR523
5.79
HR564
5.82
HR738
5.83
HR720
13 Trianguli
5.89
HR485
5.99
HR757
6.1
OGGETTI NON STELLARI NEL TRIANGOLO
La costellazione non vanta la presenza di numerosi oggetti del profondo cielo, data la sua lontananza dalla Via Lattea, nonostante questo però ospita una delle galassie a spirale più note, ovvero M33.
IMMAGINE M33 CREDITI: RAFFAELE CALCAGNO DALLA GALLERY DI PHOTOCOELUM
IMMAGINE M33 CREDITI: RAFFAELE CALCAGNO DALLA GALLERY DI PHOTOCOELUM
Nota come Galassia del Triangolo, questo oggetto si trova a una distanza stimata sui 3 milioni di anni luce ed essendo membro del Gruppo Locale, è una delle galassie più vicine alla Via Lattea. Da un luogo perfettamente buio e privo di qualsiasi tipo di inquinamento, si può tentare l’osservazione di M33 anche con un buon binocolo.
Di M33, oggetto di interesse per gli astrofili, colpiscono i suoi bracci a spirale aperti, ricchi di nebulose e regioni di formazione stellare.
Nella costellazione del Triangolo sono presenti anche le galassie IC 1727, NGC 672 e NGC 925, visibili anche con strumenti amatoriali.
IMMAGINE NGC 672 E IC 1727 CREDITI: LORENZO BUSILACCHI
IMMAGINE NGC 672 E IC 1727 CREDITI: LORENZO BUSILACCHI
IC 1727 è una galassia a spirale barrata che interagisce gravitazionalmente con NGC 672, due oggetti che sono frutto di grandi soddisfazioni per gli astrofili che si cimentano nelle loro riprese.
IL TRIANGOLO NELLA MITOLOGIA
Per i greci la costellazione del Triangolo rappresentava la lettera Delta, mentre gli Egizi la identificavano come il delta del fiume Nilo; secondo lo scrittore latino Igino il Triangolo rappresentava la Trinacria, ovvero la Sicilia, isola sacra a Cerere dove, secondo il mito, è avvenuto il ratto di Persefone e la sua discesa agli inferi.
La figura del Triangolo trova riferimenti nelle antiche tradizioni marinare e, sempre secondo Igino, viene associato ad una sorta di segnale collocato sulla volta celeste, utile a Mercurio per individuare la costellazione dell’Ariete. Una segnaletica stellare!
Le costellazioni del mese di Ottobre 2025
Andromeda e Pegaso 2025
Il cielo di ottobre ci conduce tra le costellazioni che caratterizzano l’autunno boreale: complici le ore di buio che prendono via via il sopravvento su quelle di luce, potremo volgere lo sguardo verso la volta celeste già in prima serata, con la certezza di poter riconoscere figure mitologiche come principesse e cavalli alati. Tra queste ci soffermiamo sulle costellazioni di Andromeda e Pegaso, che con l’intrecciarsi dei loro astri e delle loro leggende, ci terranno compagnia nei mesi a venire.
LA COSTELLAZIONE DI ANDROMEDA
Visibile già nel cielo serale di fine agosto, quella di Andromeda è una costellazione che può essere osservata fino a marzo all’emisfero boreale: per quanto sia abbastanza estesa (722 gradi quadrati circa), essa non vanta stelle particolarmente brillanti. La più luminosa della costellazione è la stella Alpheratz ( o Sirrah), che un tempo faceva parte della costellazione di Pegaso (Delta Pegasi) e che oggi è una componente del famoso Quadrato di Pegaso, insieme alle stelle α, β e λ Pegasi. Alfa Andromedae è situata a 97 anni luce dalla Terra ed è un sistema binario con una magnitudine apparente pari a +2,06. Le altre stelle principali di Andromeda sono Mirach, Almach e Sadiradra, mentre nella costellazione sono presenti diverse doppie, come Mu Andromedae, una stella bianca di sequenza principale con una massa 2,3 volte quella del Sole; essa è catalogato come stella quadrupla ed è osservabile con un telescopio di medie dimensioni.
HR Number(*)
Star designation
Proper name
Visualmagnitude
Notes
HR15
α Andromedae
Alpheratz
2.06
Variable; Double;
HR337
β Andromedae
Mirach
2.06
Variable; Multiple;
HR603
γ1 Andromedae
Almach
2.26
Multiple;
HR165
δ Andromedae
3.27
Multiple;
HR464
51 Andromedae
Nembus
3.57
HR8762
ο Andromedae
3.62
Variable; Multiple;
HR8961
λ Andromedae
3.82
Variable; Multiple;
HR269
μ Andromedae
3.87
Multiple;
HR215
ζ Andromedae
4.06
Variable; Multiple;
HR458
υ Andromedae
Titawin
4.09
Multiple;
HR8976
κ Andromedae
4.14
Multiple;
HR335
φ Andromedae
4.25
Variable; Double;
HR8965
ι Andromedae
4.29
Variable;
HR154
π Andromedae
4.36
Variable; Multiple;
HR163
ε Andromedae
4.37
HR271
η Andromedae
4.42
Double;
HR8830
7 Andromedae
4.52
HR68
σ Andromedae
4.52
Variable;
HR226
ν Andromedae
4.53
HR63
θ Andromedae
4.61
Variable;
OGGETTI NON STELLARI NELLA COSTELLAZIONE DI ANDROMEDA
M31 CREDITI: DAVIDE NARDULLI dalla Gallery PhotoCoelum
Nonostante la sua estensione, la costellazione non contiene un considerevole numero di oggetti del profondo cielo; in compenso ospita l’oggetto che oltre ad essere quello probabilmente più noto a chiunque, è altresí l’oggetto più lontano visibile ad occhio nudo! Si tratta chiaramente di M 31, una grande galassia a spirale situata a una distanza di due milioni di anni luce. La galassia non balza immediatamente agli occhi, pur osservando da un luogo completamente buio, ma appare come una macchiolina sfocata che necessita almeno di un binocolo per essere distinta. Fotografando con le lunghe esposizioni, senza per forza dover effettuare estenuanti somme di scatti, si può già immortalare M 31, poiché appare nel cielo stellato sotto le sembianze di un punto luminoso con attorno un alone, nel suo insieme simile a un batuffolo. Per immagini più sofisticate e dettagliate è necessario disporre di attrezzature adeguate, come camera di ripresa e telescopi di una buona apertura.
NGC 891 CREDITI: OSVALDO BOSETTI DALLA GALLERY DI PHOTOCOELUM
Un altro suggestivo oggetto deep sky presente nella costellazione di Andromeda è la galassia a spirale NGC 891, che ad ampi ingrandimenti appare di taglio, rivelando una banda oscura di polveri e gas.
ANDROMEDA NELLA MITOLOGIA
Fanciulla di rara bellezza, Andromeda era una principessa, figlia dei sovrani di Etiopia Cefeo e Cassiopea, che fu sul punto di pagare con la propria vita gli errori commessi da sua madre.
Cassiopea osó infatti definire sé stessa e Andromeda come le più belle, molto più delle Nereidi, le ninfe marine alla corte di Poseidone.
Il dio del mare non poté tollerare tale offesa e provocó una violenta inondazione per distruggere il regno di Cefeo; disperato, il sovrano decise di consultare l’oracolo che gli suggerì di immolare la giovane e ingenua figlia, affinché l’ira di Poseidone si placasse. Addolorato, Cefeo dovette incatenare Andromeda su di una rupe, esposta al famelico mostro marino Ceto. Destino volle che un bel giorno, a passare di lì, fosse il valoroso Perseo, che in sella al suo cavallo alato Pegaso, liberò Andromeda dalle catene e la salvó portandola via con sé e, successivamente, sposandola. Pare che a fu Atena a porre in cielo Andromeda, tra le stelle.
Come la vide con le braccia legate a una rigida rupe, Perseo di marmo l’avrebbe creduta se l’aria leggera non avesse mosso le chiome e le lacrime dagli occhi stilate non fossero, inconsapevole ne ardeva stupito. Rapito alla vista di quella bellezza, quasi di battere l’ali si scordava. Come fu sceso a terra, disse “non meriti codesti ceppi ma quelli che legano amanti tra loro; dimmi il tuo nome e la patria e perché sei legata”.
Ovidio, La Metamorfosi, Libro IV
LA COSTELLAZIONE DI PEGASO
Un’altra delle costellazioni visibili nel cielo boreale autunnale è Pegaso, che si presenta vicino a Cassiopea, ed è legato astronomicamente e mitologicamente ad Andromeda.
La figura è individuabile grazie al celebre asterismo noto come Quadrato di Pegaso, formato dalle sue stelle principali Markab, Scheat, Algenib più Sirrah, stella che come abbiamo già spiegato sopra, fa parte della costellazione di Andromeda.
Nonostante la stella alfa di Pegaso sia Markab, in realtà l’astro più brillante della costellazione è Enif (ε Pegasi) una supergigante rossa di magnitudine 2,38.
La costellazione contiene diverse stelle doppie, alcune facilmente risolvibili anche con medi ingrandimenti: un esempio lo è 1 Pegasi, un sistema doppio di stelle arancioni in cui la componente primaria ha una magnitudine 4,1 mente La secondaria è di nona grandezza; l’altro Sistema binario è 3 Pegasi, composto da due stelle bianco-giallastre di sesta e settima magnitudine.
HR Number(*)
Star designation
Proper name
Visual magnitude
Notes
HR8308
ε Pegasi
Enif
2.39
Variable; Multiple;
HR8775
β Pegasi
Scheat
2.42
Variable; Multiple;
HR8781
α Pegasi
Markab
2.49
Variable;
HR39
γ Pegasi
Algenib
2.83
Variable; Multiple;
HR8650
η Pegasi
Matar
2.94
Variable; Multiple;
HR8634
ζ Pegasi
Homam
3.4
Double;
HR8684
μ Pegasi
Sadalbari
3.48
HR8450
θ Pegasi
Biham
3.53
Variable;
HR8430
ι Pegasi
3.76
Variable; Double;
HR8667
λ Pegasi
3.95
HR8173
1 Pegasi
4.08
Multiple;
HR8315
κ Pegasi
4.13
Multiple;
HR8665
ξ Pegasi
4.19
Multiple;
HR8454
π2 Pegasi
4.29
HR8313
9 Pegasi
4.34
Variable;
HR8905
υ Pegasi
Alkarab
4.4
HR8795
55 Pegasi
4.52
Variable;
HR8923
70 Pegasi
4.55
HR8225
2 Pegasi
4.57
Double;
HR8880
τ Pegasi
Salm
4.6
Variable;
OGGETTI NON STELLARI NELLA COSTELLAZIONE DI PEGASO
Nella costellazione di Pegaso sono presenti diversi oggetti del profondo cielo come alcune appariscenti galassie, ma anche qualche ammasso.
NGC 7331 E SUPERNOVA SN 2025rbs CREDITI LORENZO BUSILACCHI DALLA GALLERY DI PHOTOCOELUM
Uno degli oggetti deep sky più interessanti in Pegaso è la galassia a spirale NGC 7331, situata a 40 milioni di anni luce di distanza che per via della sua struttura e delle sue dimensioni, è spesso denominata come la “galassia gemella” della nostra Via Lattea. Durante l’estate, più precisamente il 14 luglio 2025, il progetto GOTO (Gravitational-wave Optical Transient Observer), una rete di radiotelescopi robotici gestita dall’Osservatorio del Roque de Los Muchachos e dall’Osservatorio di Siding Spring, ha scoperto la Supernova Sn 2025rbs proprio nella galassia NGC 7331. Questo straordinario oggetto ha una magnitudine apparente stimata intorno a +14, ed è visibile come un puntino luminoso al centro della galassia ospite, e ciò la rende individuabile anche attraverso l’utilizzo di telescopi amatoriali medio-grandi.
QUINTETTO DI STEPHAN CREDITI: MAGU MASSIMO DALLA GALLERY DI PHOTOCOELUM
Un altro oggetto deep sky molto amato dagli astrofili è il Quintetto di Stephan, un gruppo visuale di cinque galassie molto scenico, situato a 290 milioni di anni luce e considerato dagli astronomi un autentico laboratorio in cui studiare la collisione tra le galassie e come questa impatti sulla materia che costituisce il mezzo intergalattico. Oltre alle varie galassie, la costellazione di Pegaso ospita l’ammasso globulare M 15: si tratta di uno dei più densi della Via Lattea, situato a circa 33.600 anni luce, visibile già con l’utilizzo di un buon binocolo, ma risolvibile solo attraverso telescopi superiori a 200 mm di apertura.
M 15 CREDITI: CRISTINA CELLINI DALLA GALLERY DI PHOTOCOELUM
Nella costellazione è presente anche un sistema planetario extrasolare, 51 Pegasi, composto da una stella molto simile al Sole attorno a cui orbita un pianeta di tipo gioviano caldo, scoperto nel 1995.
PEGASO NELLA MITOLOGIA
Quella del cavallo alato è una figura che affascina da sempre l’immaginario collettivo, e la mitologia ce ne offre diverse narrazioni. Il mito greco raffigura Pegaso con il cavallo alato che nacque da un fiotto di sangue scaturito dall’uccisione di Medusa per mano di Perseo, che tra l’altro se ne serví per liberare Andromeda dal mostro marino Ceto. Pegaso era caro a Zeus poiché trasportava le folgori fino all’Olimpo, ma fu anche addomesticato da Bellerofonte, che in sella al cavallo combatteva con le Amazzoni e uccise la Chimera. Dopo la morte di Bellerofonte, Pegaso fece ritorno all’Olimpo per poi riscendere sul Monte Elicona mentre si stava tenendo una gara di canto tra le Muse e le Pieridi: alle melodie intonate da quest’ultime, il monte prese a innalzarsi verso il cielo e solo lo zoccolo battuto a terra da Pegaso riuscì ad arrestarne la rapida ascesa. Dalla terreno in cui il cavallo batté con forza, sgorgò una sorgente d’acqua, poi chiamata “sorgente del cavallo”. Al termine delle sue imprese Pegaso prese il volo verso la volta celeste, dove rimase a brillare tra le stelle.
Le costellazioni del mese di Settembre 2025
Nel cielo di settembre, in bilico tra l’estate e l’autunno, incontriamo due costellazioni che rappresentano una coppia mitologica: si tratta di Cassiopea e Cefeo.
LA COSTELLAZIONE DI CASSIOPEA
Asterismo tipico del cielo boreale, Cassiopea è una figura visibile tutto l’anno e raggiunge la massima altezza proprio nel periodo autunnale. Poiché è molto vicina al polo nord celeste, Cassiopea rimane visibile per tutta la notte e per questo viene classificata come una costellazione circumpolare.
La sua peculiare forma a W o M, a seconda delle stagioni, la rende facilmente individuabile a Nord, nei pressi della Stella Polare. Shedir (alfa Cassiopeiae) è l’astro principale della costellazione: si tratta di una gigante arancione di magnitudine apparente +2,25, situata a 229 anni luce dalla Terra. Il suo nome deriva dall’arabo ( صدر, şadr) e significa busto: essa infatti è collocata nel cuore della costellazione che, mitologicamente, rappresenta la regina di Etiopia.
Interessante è anche γ Cassiopeiae, la stella binaria a raggi X più brillante del cielo e l’unica ad essere visibile ad occhio nudo. Della costellazione fa anche parte Rho Cassiopeiae, una stella ipergigante gialla situata a 3400 anni luce dalla Terra.
RHO CASSIOPEIAE CREDITI: SALVATORE PELLEGRINO
HR Number(*)
Star designation
Proper name
Visual magnitude
Notes
HR168
α Cassiopeiae
Schedar
2.23
Variable; Multiple;
HR21
β Cassiopeiae
Caph
2.27
Variable; Double;
HR264
γ Cassiopeiae
2.47
Variable; Multiple;
HR403
δ Cassiopeiae
Ruchbah
2.68
Variable; Double;
HR542
ε Cassiopeiae
Segin
3.38
Variable;
HR219
η Cassiopeiae
Achird
3.44
Multiple;
HR153
ζ Cassiopeiae
Fulu
3.66
Variable;
HR580
50 Cassiopeiae
3.98
HR130
κ Cassiopeiae
4.16
Variable;
HR343
θ Cassiopeiae
4.33
Variable; Double;
HR707
ι Cassiopeiae
4.52
Variable; Multiple;
HR575
48 Cassiopeiae
4.54
Variable; Multiple;
HR193
ο Cassiopeiae
4.54
Variable; Double;
HR9045
ρ Cassiopeiae
4.54
Variable;
HR265
υ2 Cassiopeiae
Castula
4.63
HR442
χ Cassiopeiae
4.71
HR123
λ Cassiopeiae
4.73
Double;
HR399
ψ Cassiopeiae
4.74
Multiple;
HR9066
4.8
Variable; Multiple;
HR179
ξ Cassiopeiae
4.8
Variable;
SUPERNOVAE IN CASSIOPEA
Nel 1572 nella costellazione di Cassiopea apparve improvvisamente un stella tanto luminosa quanto ci appare il pianeta Venere: essa venne denominata “nova di Tycho Brahe” dal nome dell’astronomo danese che condusse per oltre un anno osservazioni di questo oggetto, ad occhio nudo, riportando dati dettagliati; in conclusione, ciò che aveva osservato era una supernova.
Ma non è l’unico episodio di questo tipo quello che riguarda la costellazione di Cassiopea : nel 1680 è stata osservata una forte radiosorgente situata a 11 mila anni luce da noi, Cassiopea A.
Nel 2004 il telescopio spaziale Chandra ha scoperto anche una sorgente molto compatta di raggi X proprio al centro di Cassiopea A, le cui caratteristiche confermano che si tratta di una stella di neutroni che, con ogni probabilità, rappresenta il resto della Stella esplosa più di 300 anni fa.
OGGETTI NON STELLARI NELLA COSTELLAZIONE DI CASSIOPEA
Nel tratto di Via Lattea boreale in cui è situata Cassiopea vi è un gran numero di nebulose e ammassi: due oggetti molto amati e ripresi dagli astrofili sono certamente la Nebulosa Cuore, IC1805, e la Nebulosa Anima, IC 1848.
NEBULOSA E ANIMA CREDITI: EGIDIO MARIA VERGANI DALLA GALLERY DI PHOTOCOELUM
Al centro della Nebulosa Cuore è presente l’ammasso stellare Melotte 15, nato dalla stessa nebulosa.
MELOTTE 15 CREDITI: LORIS FERRINI DALLA GALLERY DI PHOTOCOELUM
Altri oggetto amato dagli astrofili, presente in Cassiopea, è il noto ammasso aperto NGC 457, conosciuto anche come Ammasso Civetta.
NGC 457 CREDITI: ANDREA FERRI DALLA GALLERY DI PHOTOCOELUM
CASSIOPEA NELLA MITOLOGIA
Nella mitologia greca Cassiopea rappresenta la regina di Etiopia, moglie di Cefeo e madre di Andromeda: vanitosa e presuntuosa come poche, la sovrana era dedita principalmente a vantarsi e a spazzolare i suoi capelli per tutto il tempo; un giorno, però, commise un errore che portò all’intreccio di una serie di vicende ampiamente narrate nella mitologia.
Cassiopea si vantava di essere la più bella del reame e sosteneva che, insieme a sua figlia Andromeda, fosse persino più bella delle ninfe marine al seguito di Poseidone, le Nereidi. Il dio del mare, venuto a conoscenza di tali affermazioni, non mandò giù tale oltraggio, e decise di vendicarsi di Cassiopea, di Cefeo e del regno intero.
Poseidone decise di scatenare la sua ira verso il punto debole dei sovrani, ovvero la loro splendida e giovane figlia, Andromeda. Il mito è piuttosto celebre e narra della giovane principessa che, per colpa di sua madre, fu rapita e legata su di una rupe infernale, preda del mostro marino Ceto; a salvarla dalle sue grinfie giunse l’eroe Perseo, in sella al cavallo alato Pegaso.
A Cassiopea toccò la sorte di essere collocata sul suo trono celeste ma a testa in giù, nell’atto di specchiarsi o accarezzarsi i capelli e condannata a roteare per sempre attorno al polo celeste.
LA COSTELLAZIONE DI CEFEO
Nella porzione di cielo tra l’Orsa Minore e Cassiopea, incontriamo Cefeo: si tratta anch’essa di una costellazione circumpolare, composta da stelle non molto luminose, che conferiscono a Cefeo la figura di una casetta con il tetto verso il Nord e la base che poggia sulla Via Lattea settentrionale.
La stella principale della costellazione è Alderamin (alfa Cephei), una stella bianca di magnitudine 2,45, che dista solo 49 anni luce.
Cefeo possiede un oggetto molto interessante, Mu Cephei, noto anche come Granatum Sidus, ovvero Stella Granata: si tratta di una supergigante rossa multipla di quarta magnitudine, inserita all’astronomo e matematico Giuseppe Piazzi nel suo “Catalogo di Palermo”.
Il nome deriva da un’affermazione di William Herschel riportata nel suo “Philosophical Transaction”, riguardo ad alcune stelle non registrate nel British Catalogue di John Flamsteed. Herschel, riferendosi a Mu Cephei, disse che «Ha un bellissimo e profondo colore granata, simile a quello della stella periodica Omicron Ceti>>.
L’astro appare di questo colore per via della sua bassa temperatura superficiale, che corrisponde a circa 3000 K. Osservando da un punto privo di qualsiasi tipo di disturbo, la Stella Granata può anche essere individuata ad occhio nudo poco più a Sud di Alderamin, con il suo caratteristico colore rosso/arancio.
Ma Cefeo ospita anche un’altra stella, di certo più importante per l’astronomia, ovvero Delta Cephei: si tratta di una supergigante gialla posta a 890 anni luce, che rappresenta il prototipo di una classe delle cefeidi, una classe di stelle variabili molto importanti, oltre ad essere una delle cefeidi più vicine al Sole.
Delta Cephei contribuisce significativamente alla misurazione delle distanze cosmiche.
HR Number(*)
Star designation
Proper name
Visual magnitude
Notes
HR8162
α Cephei
Alderamin
2.44
Variable; Multiple;
HR8974
γ Cephei
Errai
3.21
Variable;
HR8238
β Cephei
Alfirk
3.23
Variable; Multiple;
HR8465
ζ Cephei
3.35
Variable;
HR7957
η Cephei
3.43
Double;
HR8694
ι Cephei
3.52
HR8571
δ Cephei
3.75
Variable; Multiple;
HR8316
μ Cephei
4.08
Variable; Multiple;
HR8494
ε Cephei
4.19
Variable; Double;
HR7850
θ Cephei
4.22
HR285
4.25
HR8334
ν Cephei
4.29
Variable;
HR8417
ξ Cephei
Kurhah
4.29
Multiple;
HR7750
κ Cephei
4.39
Multiple;
HR8819
π Cephei
4.41
Multiple;
HR7955
4.51
Double;
HR8317
11 Cephei
4.56
HR8748
4.71
HR8279
9 Cephei
4.73
Variable;
HR8702
4.74
Double;
OGGETTI NON STELLARI NELLA COSTELLAZIONE DI CEFEO
Poiché giace sul piano della Via Lattea settentrionale, la costellazione di Cefeo vanta numerosi oggetti del profondo cielo: una di questi è la Nebulosa oscura IC1396, meglio nota come Nebulosa Proboscide d’Elefante; molto appariscente anche la Galassia Fuochi d’Artificio (NGC 6946), una galassia a spirale che vanta un gran numero di supernovae osservate al suo interno.
NEBULOSE IRIS E FANTASMA CREDITI: EGIDIO MARIA VERGANI DALLA GALLERY DI PHOTOCOELUM
Interessanti anche le nebulose Iris (NGC 7023) e Fantasma (Sh2-136): la prima è una nebulosa a riflessione, illuminata dalla stella HD 200775 e situata a circa 1400 anni luce dalla Terra; la seconda è una nube di polveri e gas che riflette la luce delle stelle vicine, assumendo le sembianze di un fantasma.
Un altro oggetto particolare, che ricorda la forma di uno squalo, è la Nebulosa oscura LDN 1235, nota anche come Shark Nebula.
SHARK NEBULA CREDITI: MICHELE BERNARDO DALLA GALLERY DI PHOTOCOELUM
La costellazione di Cefeo ospita anche la nebulosa planetaria NGC 7139, situata a 4000 anni luce.
NGC 7139 CREDITI: LORENZO BUSILACCHI DALLA GALLERY DI PHOTOCOELUM
CEFEO NELLA MITOLOGIA
Come già citato sopra, nella mitologia Cefeo, figlio di Belo, rappresenta il sovrano di Etiopia, marito di Cassiopea e padre di Andromeda, che rischiò di perdere l’amata figlia per colpa della presunzione di sua moglie.
In seguito all’ira e alle minacce di Poseidone, Cefeo si rivolse a un oracolo per chiedergli come salvare la sua famiglia e il suo regno: ne ricevette un’amara risposta, ovvero che per mettere in salvo il suo intero regno, non vi era altra soluzione che quella di immolare la sua adorata principessa Andromeda; Cefeo dunque, da padre disperato, mise da parte il suo dolore e decise di sacrificare sua figlia.
Ma il fato volle che Perseo, passando nei pressi della rupe su cui era legata Andromeda, minacciata dal mostro marino Ceto, la salvasse, sposandola in seguito, e portando il lieto fine a questa brutta vicenda.
Per piangere potrete avere tutto il tempo che vorrete; per portare soccorso, ci sono pochi attimi. Se io chiedessi la sua mano, io, Perseo, figlio di Giove e di colei che quand’era imprigionata fu ingravidata da Giove con oro fecondo, Perseo vincitore della Gorgone dalla chioma di serpi, che oso andarmene per l’aria del cielo battendo le ali, non sarei forse preferito come genero a chiunque altro? A così grandi doti, solo che mi assistano gli dèi, cercherò comunque di aggiungere un merito. Facciamo un patto: che sia mia se la salvo col mio valore! (Ovidio, Metamorfosi, IV, 695-703)
Cefeo si è guadagnato un posto sulla volta celeste e brilla insieme alla sua regina e alla sua adorata e unica figlia.
Le costellazioni del mese di Agosto 2025
Per larga parte il cielo è attraversato da striature e macchie chiare; la Via Lattea prende d’agosto una consistenza densa e si direbbe che trabocchi dal suo alveo; il chiaro e lo scuro sono così mescolati da impedire l’effetto prospettico d’un abisso nero sulla cui vuota lontananza campeggiano, ben in rilievo, le stelle; tutto resta sullo stesso piano: scintillio e nube argentea e tenebre. Palomar, I.Calvino
Le sere di agosto ci regalano storie di stelle e miti che si dipanano sulla volta celeste, attraversata dalla scia della nostra galassia. Proprio nella regione di cielo percorsa dalla Via Lattea possiamo contemplare le costellazioni più interessanti dell’estate boreale: Sagittario, Lira e Cigno.
LA COSTELLAZIONE DEL SAGITTARIO
Nel mese di agosto transita al meridiano una delle più note e importanti costellazioni dello Zodiaco, ovvero quella del Sagittario. Nel nostro emisfero boreale la si individua nel punto più luminoso della Via Lattea, di cui contiene al suo interno il centro galattico. Pur rimanendo basso sull’orizzonte meridionale, seguito dalla Corona Australe e preceduto dallo Scorpione, il Sagittario è ben riconoscibile grazie all’asterismo della Teiera, composto dalle sue stelle più luminose. Kaus Australis (ε Sagittarii) è la stella principale della costellazione: si tratta di una gigante blu di magnitudine 1,79 distante 145 anni luce. La seconda stella più brillante è Sigma Sagittario, o Nunki, una gigante azzurra di magnitudine 2,05 mentre la terza più luminosa è Zeta Sagittarii.
TABELLA DEI PRINCIPALI ASTRI CHE DISEGNANO LA COSTELLAZIONE DEL SAGITTARIO
HR Number(*)
Star designation
Proper name
Visual magnitude
Notes
HR7635
γ Sagittae
3.47
Variable;
HR7536
δ Sagittae
3.82
Variable;
HR7479
α Sagittae
Sham
4.37
Multiple;
HR7488
β Sagittae
4.37
HR7546
ζ Sagittae
5
Multiple;
HR7679
η Sagittae
5.1
HR7609
10 Sagittae
5.36
Variable;
HR7645
13 Sagittae
5.37
Variable; Double;
HR7622
11 Sagittae
5.53
HR7301
1 Sagittae
5.64
HR7463
ε Sagittae
5.66
Variable; Multiple;
HR7780
5.8
HR7672
15 Sagittae
5.8
Variable; Multiple;
HR7662
5.96
Double;
HR7299
6
HR7260
6.07
Variable; Double;
HR7216
6.09
HR7746
18 Sagittae
6.13
HR7713
6.22
HR7574
9 Sagittae
6.23
Variable;
OGGETTI NON STELLARI NELLA COSTELLAZIONE DEL SAGITTARIO
La costellazione ospita un gran numero di oggetti del catalogo Messier, da ammassi a nebulose, ed è fonte di ricche produzioni in campo astrofotografico. Uno degli oggetti più noti e ripresi dagli astrofili è la Nebulosa Laguna, M 8, individuabile anche ad occhio nudo da un cielo idoneo.
NEBULOSA LAGUNA CREDITI: MIRKO TONDINELLI
Altre nebulose interessanti nel Sagittario sono M 17 e M 20, Trifida e Omega, mentre per quanto riguarda gli ammassi non possiamo fare a meno di citare M 22, uno dei più vicini e luminosi della volta celeste: ecco contiene più di mezzo milione di stelle e si può già individuare con un binocolo.
Al centro della Via Lattea, nella costellazione del Sagittario, è posta la più famosa e complessa radiosorgente luminosa, Sagittarius A, in cui sarebbe situato il buco nero supermassiccio Sagittarius A*.
LA COSTELLAZIONE DEL SAGITTARIO NELLA MITOLOGIA
Metà uomo e metà cavallo: è così che viene raffigurato il Sagittario, come un arciere che, con indosso un mantello, tende l’arco in direzione dello Scorpione. Nella mitologia greca, Eratostene descrisse il Sagittario associandolo a Croto, abile arciere figlio di Pan, dio dei boschi e dell’agricoltura, ed Eufeme, nutrice delle Muse. Una delle vicende più note narra del legame di Croto con le Muse. Abile cacciatore, egli abitava sul Monte Elicona, dove inventò l’arte del tiro con l’arco. Croto viveva circondato dalle Muse e dalle loro arti: fu proprio in loro onore che il giovane inventò l’applauso, in segno di omaggio alle loro performance artistiche.
Di questo le Muse erano grate a Croto e così decisero di rivolgersi a Zeus affinché gli desse un posto d’onore sulla volta celeste; il padre degli dei accolse la loro proposta e decise di premiare Croto anche per le sue doti di arciere e cavallerizza, collocandolo tra le stelle.
… Esattamente a ovest è Vega, alta e solitaria; se Vega è quella, questa sopra il mare è Altair e quella è Deneb che manda un freddo raggio allo zenit.
Italo Calvino, Palomar
LA COSTELLAZIONE DELLA LIRA
Nelle sere estive di agosto è impossibile alzare gli occhi al cielo e non far a caso a quella gemma di luce che brilla inconfondibile già dopo il tramonto. Si tratta di Vega, l’astro che rappresenta la costellazione della Lira.
Seppur di piccole dimensioni, quella della Lira è una figura facilmente riconoscibile grazie alla luminosità della sua stella principale: alfa Lyrae è una stella color bianco-azzurro multipla, costituita da 5 componenti e situata a una distanza di 25,3 anni luce. La sua magnitudine apparente di 0,03 la rende la seconda stella più luminosa dell’emisfero settentrionale e la quinta di tutto il firmamento.
Circa 14.000 anni fa il Polo Nord celeste si trovava proprio nei pressi della Lira, e Vega in quell’epoca era la Stella Polare e tornerà ad esserlo fra 13.000 anni quando, l’asse di rotazione terrestre, tornerà nuovamente in direzione della Lira.
TABELLA DEI PRINCIPALI ASTRI CHE DISEGNANO LA COSTELLAZIONE DELLA LIRA
HR Number(*)
Star designation
Proper name
Visual magnitude
Notes
HR7001
α Lyrae
Vega
0.03
Variable; Multiple;
HR7178
γ Lyrae
Sulafat
3.24
Variable; Multiple;
HR7106
β Lyrae
Sheliak
3.45
Variable; Multiple;
HR7157
13 Lyrae
4.04
Variable;
HR7139
δ2 Lyrae
4.3
Variable; Multiple;
HR6872
κ Lyrae
4.33
Variable;
HR7056
ζ1 Lyrae
4.36
Variable; Multiple;
HR7314
θ Lyrae
4.36
Variable; Multiple;
HR7298
η Lyrae
Aladfar
4.39
Variable; Multiple;
HR7064
4.83
HR7192
λ Lyrae
4.93
Variable;
HR7215
16 Lyrae
5.01
Variable; Multiple;
HR6903
μ Lyrae
5.12
HR7162
5.22
Multiple;
HR7261
17 Lyrae
5.23
Multiple;
HR7102
ν2 Lyrae
5.25
Double;
HR7181
5.27
HR7262
ι Lyrae
5.28
HR7054
ε2 Lyrae
5.37
Variable; Multiple;
HR6997
5.42
Variable; Double;
VEGA NELLA STORIA DELL’ASTROFOTOGRAFIA
Vega è la prima stella del cielo notturno ad essere stata fotografata: l’astro infatti è stato immortalato dall’astronomo statunitense William Cranch Bond e da uno dei pionieri del dagherrotipo, John Adams Whipple, la notte tra il 16 e il 17 luglio del 1850. La stella principale della Lira venne ripresa dall’Harvard College Observatory, in Massachusetts, utilizzando un telescopio rifrattore da 38 cm di apertura. Più tardi, nel 1872, Henry Draper ne fotografò lo spettro, utilizzando un prisma collegato a un telescopio riflettore da 70 cm.
OGGETTI NON STELLARI NELLA LIRA
La costellazione contiene diverse stelle doppie risolvibili già con l’ausilio di un binocolo, come nel caso di ε Lyrae, la doppia per eccellenza, distante 162 anni luce dalla Terra. Entrambe le stelle che compongono il sistema possono essere separate in due sistemi binari distinti; il sistema binario contiene dunque due stelle binarie che orbitano una sull’altra. Tra gli oggetti del profondo cielo presenti nella costellazione estiva di certo il più noto è M 57, ovvero la Nebulosa Anello, molto amata dagli astrofili. Si tratta di una nebulosa planetaria posta a circa 2000 anni luce dalla Terra, individuabile a Sud della luminosa Vega.
M 57 CREDITI: CARLO MOLLICONE DALLA GALLERY DI PHOTOCOELUM
Altri oggetti deep sky da menzionare sono l’ammasso globulare M 56 e l’ammasso aperto NGC 6791 composto d diverse centinaia di stelle. Alla costellazione della Lira fa riferimento anche un noto sciame di meteoriti, ovvero le Liridi, visibile nel periodo di aprile e così chiamato per via del radiante situato appunto nei pressi della costellazione.
LA LIRA NELLA MITOLOGIA
Questa costellazione è piena di significato mitologico, che si tramanda attraverso le culture di varie e antiche popolazioni. Una delle leggende più romantiche proviene all’oriente e narra la storia di due giovani innamorati, Vega e Altair, separati da un fiume di stelle ( la Via Lattea); pare che i due riuscissero a ricongiungersi grazie ad un volo di gazze che solo per un giorno all’anno riusciva a dar vita ad un ponte stellato, consentendo agli innamorati di potersi ritrovare. Il mito greco invece identifica la Lira come lo strumento musicale del dio Ermes, che ne fece dono a suo fratello Apollo per poi passare nelle mani di Orfeo, eccellente musicista del suo tempo. Qui la trama si fa più profonda e rappresenta una delle più belle storie d’amore del mito greco. Dopo l’uccisione della sua sposa, Euridice, Orfeo scese negli Inferi nel tentativo di riprendersi la sua amata. Arrivato nel regno dei morti iniziò a intonare struggenti melodie attraverso la sua lira, suscitando la commozione di Ade, dio dell’oltretomba, il quale decise di consentire a Orfeo di riprendersi sua moglie a patto però di camminare davanti ad Euridice senza mai voltarsi indietro. Orfeo però non riuscì a rispettare il patto e si voltò poco prima di uscire dall’oltretomba, condannando la sua amata (e sé stesso) al buio eterno. Da quel momento Orfeo prese ad errare per il mondo aggrappato al suo dolore e al suo inseparabile strumento musicale, e fino alla fine dei suoi giorni il ricordo di Euridice rimase vivo in lui, tanto da non concedere più il suo cuore a nessun’altra donna. Accadde però che proprio una delle sue contendenti, vedendosi rifiutata, decise di vendicarsi uccidendolo, colpendolo alle spalle a colpi di pietre, mentre suonava ignaro in un bosco. Da quel momento Orfeo poté finalmente ricongiungersi con la sua amata Euridice. La leggenda narra che le Muse, impietosite, raccolsero la lira e la adagiarono sulla volta celeste in un eterno scintillío di stelle.
Anche la Lira attraverso il cielo si scorge con i bracci divaricati tra le stelle, con la quale una volta Orfeo catturava tutto quello che con la sua musica raggiungesse, e volse il passo perfino tra le anime dei trapassati e ruppe col canto le leggi d’abisso. Donde la dignità del cielo e un potere simile a quel dell’origine: allora alberi e rupi trascinava, ora di astri è guida e attira dietro sé il cielo infinito dell’orbitante cosmo. (Manilio, Poeticon Astronomicon, I, 324-330)
LA COSTELLAZIONE DEL CIGNO
Rappresentata come un l’uccello in volo verso il Sud della volta celeste, quella del Cigno è un’altra delle costellazioni più interessanti dell’estate boreale. È individuabile grazie alla stella alfa Deneb, una supergigante bianca che con la sua magnitudine apparente + 1,25 rappresenta la diciannovesima stella più brillante del cielo notturno. Insieme a Vega ed Altair, Deneb costituisce uno dei vertici del Triangolo estivo. Nelle sere d’estate possiamo dedicarci dall’osservazione di Albireo (il becco del Cigno) un interessante sistema stellare, noto anche ai semplici appassionati di astronomia: il sistema è composto da due astri di colore diverso, la componente principale è di colore arancio mentre la secondaria è di colore bianco-azzurro. Le due possono essere risolte già con un piccolo telescopio. Insieme a Deneb, Albireo va a comporre l’asterismo della Croce del Nord, il cui asse maggiore è attraversato dalla Via Lattea.
TABELLA DEI PRINCIPALI ASTRI CHE DISEGNANO LA COSTELLAZIONE DEL CIGNO
OGGETTI NON STELLARI NELLA COSTELLAZIONE DEL CIGNO
La costellazione ospita un gran numero di stelle variabili, ammassi aperti e nebulose: uno dei più noti oggetti deep sky è la Fenditura del Cigno, un vastissimo complesso di nebulose oscure e polveri interstellari a Sud di Deneb, che taglia in due la Via Lattea e include oggetti come la Nebulosa Nord America (NGC 7000) e la Nebulosa Pellicano, oggetti molto amati e fotografati dagli astrofili.
NEBULOSA NORD AMERICA E PELLICANO CREDITI: GIACOMO PRO DALLA GALLERY DI PHOTOCOELUM
Nella parte sudorientale del Cigno è presente la Nebulosa Velo, un antico resto di supernova e la stella che ha originato l’oggetto è esplosa diversi millenni fa. Ora ciò ne che resta sono dei sottili filamenti ancora in espansione. La parte più orientale del complesso nebulare della Velo è nota come Nebulosa Velo Est o NGC 6992/6995 mentre la parte più occidentale, NGC 6960, è nota appunto come Nebulosa Velo Ovest.
NEBULOSA VELO CREDITI: EGIDIO MARIA VERGANI DALLA GALLERY DI PHOTOCOELUM
Nella parte centro-meridionale della costellazione è presente una nebulosa a emissione nota come Nebulosa Tulipano, nota anche come Sh2 – 101.
NEBULOSA TULIPANO CREDITI: MIRKO TONDINELLI
IL CIGNO NELLA MITOLOGIA
Osservando la costellazione del Cigno vengono in mente le innumerevoli storie legate alla mitologia, e molte di queste associano la figura del Cigno a quella di Zeus. Tra le tante, prevale la vicenda della trasformazione di Zeus in un bellissimo cigno per poter sedurre Leda, nipote di Ares e regina di Sparta: mentre la Leda passeggiava sulle rive di un fiume, Zeus la possedette sotto le sembianze di un Cigno. Dall’uovo concepito (anzi due) vennero alla luce quattro bambini, ma poiché quella stessa notte la regina di Sparta giacque con suo marito, il re Tindaro, non vi era certezza sulla reale paternità anche se, le uova divine da cui nacquero Elena di Troia e Polluce, vennero attribuite a Zeus. Il Cigno brilla nel cielo a voler celebrare le “prodezze” del padre degli dei.
Foto di gruppo dei partecipanti ai Prisma Days di Teramo
Il 7 e 8 novembre 2025 si sono svolti a Teramo i Prisma Days: un appuntamento dedicato al Progetto Prisma (Prima Rete Italiana per la Sorveglianza sistematica di Meteore e Atmosfera) che, dopo gli stop legati alla crisi Covid, si ripete con cadenza annuale. Quest’anno la località scelta è stata la città di Teramo, e il ruolo di host locale è andato alla sede INAF dell’Osservatorio Astronomico d’Abruzzo.
A far da padroni di casa, oltre allo staff dell’Osservatorio coordinato dal direttore Mauro Dolci, il team di ricercatrici e ricercatori della rete PRISMA.
I lavori sono iniziati alle 14 del venerdì 7, per tutto il pomeriggio, e sono proseguiti il sabato mattina fino alle 13. I numerosi interventi hanno toccato svariate tematiche:
Stato dell’arte del Progetto Prisma, oramai verso i 10 anni di attività, con analisi relative sia alla tecnica che alla gestione generale, non ultima la comunicazione e il potenziamento dell’outreach
La ricaduta del progetto nella divulgazione e nella didattica dell’astronomia
Sviluppi futuri del network: dal monitoraggio dell’inquinamento luminoso a osservazioni “multimessaggere” dove la parte ottica trova un valido complemento nelle onde radio e nel rilevamento di infrasuoni e onde di pressione
Gli argomenti sono stati sviluppati, a vario livello e a vario titolo, da astronomi ricercatori, da astrofili, e da giovani impegnati nelle loro carriere di studio con tesi e dottorati di ricerca: una rosa di testimonianze di vite messe a frutto nella scienza che ho trovato esaltante.
Nel tardo pomeriggio del venerdì 7 è stata offerta ai partecipanti la visita all’Osservatorio di Abruzzo, già Collurania: un luogo caro ai cultori della storia dell’astronomia e del formidabile periodo dell’osservazione di Marte a cavallo fra ‘800 e ‘900.
A completare le attività, il sabato pomeriggio ci siamo trasferiti presso l’auditorium dell’Istituto Alessandrini-Marino-Pascal-Comi-Forti per le attività del progetto Erasmus + Stand.
Stand è un acronimo che sta per Students As Planetary Defenders, un progetto europeo a cui concorrono enti scientifici di Italia, Grecia, Francia, Germania e Portogallo, che offre attività di formazione per i docenti e percorsi di formazioni per le scuole.
Abbiamo assistito e partecipato attivamente a una attività didattica sull’utilizzo della triangolazione applicata alle immagini Prisma per individuare il punto di caduta delle meteoriti, alla presentazione di una interfaccia software che consentirà di esplorare i dati Prisma, attualmente criptici per i non addetti, e infine ci è stato presentato un kit con tutti gli attrezzi per raccogliere, selezionare e classificare micrometeoriti metalliche. Non tutti sanno infatti che le polveri che si raccolgono presso le caditoie e gli scoli dell’acqua piovana sono ricche di micrometeoriti che si possono raccogliere e classificare: una attività del tutto alla portata delle nostre studentesse e dei nostri studenti.
Da segnalare l’organizzazione impeccabile: dalla sede dei lavori nella sala multimediale di un lussuoso hotel (che ha offerto il pernottamento a costi vantaggiosi), agli spostamenti in pullman, alla visita all’osservatorio storico, alla cena conviviale, ai coffee break.
Ci siamo infine soffermati a ricordare due grandi assenti dell’entourage Prisma: Umberto Repetti, fondatore e animatore di Meteoriti Italia, ricordato sentitamente e affettuosamente dal figlio.
E la cagnetta Pimpa, protagonista del ritrovamento della meteorite di Cavezzo, guest star di molti Prisma Days e onorata con l’intitolazione di un asteroide (peraltro individuato e studiato con gli strumenti della sede di Campo Imperatore dell’Osservatorio di Abruzzo).
Durante alcuni momenti di autentica commozione ci siamo stretti nel loro ricordo.
Un appuntamento stimolante, all’insegna della miglior citizen science, che non ha mancato di fornire occasioni di approfondimento scientifico e stimoli per attività legate alla divulgazione e alla didattica dell’astronomia.
Umberto Repetti e Pimpa, i grando assenti del meeting Il rifrattore storico (400 mm di diametro e 6 metri di focale) dell’osservatorio astronomico di Collurania. Uno strumento dei passaggi, parte della collezione storica dell’osservatorio Daniele Gardiol, Coordinatore Nazionale della rete PRISMA, osserva soddisfatto il lavoro di astronomi, astrofili e docenti durante l’incontro dedicato al progetto StAnD.
Castel Gandolfo, 31 ottobre 2025 — La Specola Vaticana, in collaborazione con la Johns Hopkins University e lo Space Telescope Science Institute, ha inaugurato la mostra Incantati dalla Meraviglia (Wonder Bound), un percorso immersivo che celebra la bellezza dell’universo attraverso le straordinarie immagini dei telescopi spaziali Hubble e James Webb.
L’evento si inserisce tra le iniziative del Giubileo 2025 ed è la prima esposizione ospitata nel nuovo Centro Visitatori della Specola Vaticana, presso l’edificio delle cupole nelle Ville Pontificie (Cupole Barberini) di Castel Gandolfo.
La cerimonia di apertura si è svolta alla presenza di fratel Guy Consolmagno, direttore emerito della Specola Vaticana; p. Richard D’Souza, attuale direttore; Massimo Stiavelli, astrofisico dello Space Telescope Science Institute; e Ray Jayawardhana, rettore della Johns Hopkins University. Dopo i saluti istituzionali del Segretario Generale del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano, Giuseppe Puglisi-Alibrandi, si sono susseguiti gli interventi dei relatori, che hanno ripercorso il valore scientifico e umanistico delle missioni spaziali.
L’apertura della cerimonia di inaugurazione della mostra Incantati dalla Meraviglia, sotto lo storico porticato degli Osservatori Barberini a Castel Gandolfo. L’ambiente fu realizzato per volontà di Papa Pio XII, come ricorda la targa: PIVS XII PM AMBVLATIONEM AB IMBRIBVS TVTAM FIERI IVSSIT. I saluti istituzionali del Segretario Generale del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano hanno dato inizio all’evento.
Prima dell’inizio della conferenza, fratel Consolmagno ha presentato ai presenti la nuova statua in bronzo dell’artista canadese Timothy Paul Schmalz, già fissata e in corso di allestimento nel giardino antistante la Specola. L’opera, di forte impatto simbolico, raffigura figure umane che contemplano il cosmo, con angeli alle estremità — uno dei quali suona una tromba — in un chiaro riferimento agli arcangeli e alla dimensione trascendente della conoscenza umana.
La mostra, che aprirà ufficialmente al pubblico il 3 novembre 2025, propone una selezione di immagini in alta risoluzione e in grande formato dei telescopi Hubble e James Webb, accompagnate da testi curati dai ricercatori della Johns Hopkins University e dello Space Telescope Science Institute. Le fotografie — tra cui le aurore di Giove, le regioni di formazione stellare e gli ammassi galattici lontani — coniugano arte e scienza, invitando a una riflessione sul mistero e sulla bellezza della creazione.
Fratel Consolmagno ha commentato:
“Queste immagini spettacolari ti fanno sentire immerso nelle nebulose e nelle galassie stesse. Mostrarne la bellezza, e le meravigliose scoperte scientifiche a esse collegate, è un modo per rendere gloria al loro Creatore.”
Il Cielo e la Meraviglia: la scienza nella storia
La giornata è poi proseguita nella suggestiva Chiesa di Sant’Ignazio di Loyola a Roma, con il convegno Il Cielo e la Meraviglia, che ha tracciato il solco storico della ricerca astronomica e della meraviglia come esperienza umana e conoscitiva.
Il dibattito, moderato da fratel Guy Consolmagno, ha visto la partecipazione di Ileana Chinnici (INAF), Massimo Stiavelli e Ray Jayawardhana. Nel suo intervento, Ileana Chinnici ha magistralmente collegato il lavoro pionieristico di Padre Angelo Secchi, S.J., padre dell’astrofisica moderna, alle odierne ricerche del James Webb Space Telescope, mostrando come le intuizioni del gesuita nel XIX secolo abbiano gettato le basi della spettroscopia e dell’imaging astronomico.
Nella suggestiva cornice della Chiesa di Sant’Ignazio di Loyola a Roma — sede storica dell’Osservatorio Astronomico Vaticano diretto da Padre Angelo Secchi nel XIX secolo — i relatori del convegno Il Cielo e la Meraviglia rispondono alle domande del pubblico. Da sinistra: Ileana Chinnici (INAF), Ray Jayawardhana (Johns Hopkins University), fratel Guy Consolmagno (direttore emerito della Specola Vaticana e moderatore del dibattito) e Massimo Stiavelli (Space Telescope Science Institute).L’arte che contempla il cosmo. La dimensione trascendente della conoscenza umana si fa scultura. Nei giardini antistanti le Cupole Barberini, sede del nuovo Centro Visitatori della Specola Vaticana a Castel Gandolfo, è in fase di installazione la statua The Saints of Station 13 dell’artista canadese Timothy Paul Schmalz. L’opera, di forte impatto simbolico, raffigura arcangeli, santi e figure religiose di ogni epoca e luogo che circondano Cristo mentre il Suo corpo viene deposto dalla croce (Tredicesima Stazione della Via Crucis). Una fusione tra fede e scienza che celebra la meraviglia del Creato.
Fondata nel XVII secolo, la Chiesa di Sant’Ignazio è uno dei capolavori del barocco romano, celebre per l’incredibile affresco della volta di Andrea Pozzo, che con un raffinato gioco prospettico simula la cupola prevista nel progetto originario ma mai realizzata. Proprio sopra la chiesa, nell’area destinata a quella cupola, Padre Angelo Secchi trasferì nel XIX secolo il primo Osservatorio Astronomico Vaticano, dopo che la sede originaria del Collegio Romano, nella Torre Calandrelli, si era rivelata instabile a causa delle oscillazioni che compromettevano la precisione del telescopio. Questa scelta fece della Chiesa di Sant’Ignazio un punto di riferimento per l’osservazione del cielo e un simbolo del dialogo tra fede e scienza.
L’autore dell’articolo e il direttore emerito della Specola Vaticana. Un momento di confronto tra Adriano Lolli (autore del testo) e fratel Guy Consolmagno (direttore emerito della Specola Vaticana e moderatore del convegno Il Cielo e la Meraviglia).
Dalle riprese telescopiche alla derotazione delle immagini: come creare proiezioni polari ad alta risoluzione del gigante gassoso.
WinJUPOS è un software gratuito sviluppato per l’analisi e la misura delle immagini planetarie, ampiamente utilizzato in ambito amatoriale e professionale per lo studio dei pianeti del Sistema Solare. Il programma consente di effettuare misure di longitudine e latitudine delle formazioni superficiali, di calcolare rotazioni e derotazioni, e di creare diverse rappresentazioni proiettive della superficie planetaria.
Nel caso di Giove, una delle funzioni più utili è la generazione di proiezioni prospettiche dei poli, che permette di visualizzare le regioni polari, normalmente difficili da osservare nelle riprese dirette, in modo chiaro e dettagliato.
Per utilizzare questa funzione è necessario disporre di immagini telescopiche del pianeta elaborate e orientate correttamente. Ogni immagine deve essere denominata in modo coerente, poiché WinJUPOS riconosce automaticamente data e ora di acquisizione (UTC) dal nome del file; ad esempio: 2025-10-18-0215_5-giove. Denominazioni non conformi possono impedire l’importazione corretta o la sincronizzazione temporale delle immagini.
Il primo passo consiste nella creazione del file di misura (.ims), che contiene tutte le informazioni geometriche e temporali relative all’immagine: data e ora esatte, orientamento, scala d’immagine e posizione del disco planetario. Questo file viene generato nella sezione Recording → Image Measurement di WinJUPOS, sovrapponendo la sagoma del pianeta al bordo visibile dell’immagine finché la corrispondenza risulta precisa. Il file .ims non è un’immagine, ma una scheda dati che collega la fotografia originale ai parametri orbitali e rotazionali del pianeta.
Quando si dispone di più immagini acquisite nello stesso intervallo temporale (ad esempio durante una sessione di alcune decine di minuti), è possibile creare più file .ims, uno per ciascuna ripresa. Successivamente, la funzione Tools → De-rotation of Images consente di combinare queste misure in un’unica immagine derotata. In questo modo, le variazioni dovute alla rapida rotazione di Giove vengono compensate, e l’immagine finale risulta molto più nitida e ricca di dettagli. Questo processo è fondamentale per ottenere mappe o proiezioni di alta qualità.
Una volta generata l’immagine derotata, e creato il file o i files .ims, si può accedere alle varie modalità di visualizzazione offerte dal programma: • Proiezione cilindrica equatoriale, utile per creare mappe globali che mostrano in modo continuo l’intera superficie visibile del pianeta. • Proiezione polare, centrata sul polo nord o sul polo sud, che evidenzia vortici, ovali e strutture atmosferiche delle regioni polari. • Proiezioni ortografiche o prospettiche, che simulano l’aspetto tridimensionale del pianeta visto da specifici punti di osservazione.
Il processo di creazione del prospettico polare è semplice: nella sezione Analysis → Map Computation, selezionando come tipo di proiezione “Polar” e scegliendo il polo desiderato, WinJUPOS genera automaticamente l’immagine corrispondente, che può essere salvata in diversi formati. È possibile regolare la risoluzione, il diametro del disco e il contrasto, oltre a sovrapporre griglie di longitudine e latitudine per analisi scientifiche più approfondite.
Le proiezioni ottenute possono essere confrontate nel tempo per studiare l’evoluzione delle strutture atmosferiche, oppure utilizzate come base per animazioni e mappe complete del pianeta. In particolare, le visualizzazioni polari offrono una prospettiva unica sulle dinamiche delle regioni circumpolari, oggi di grande interesse anche per missioni spaziali come Juno.
Invito a leggere la sezione Help del software dove sono presenti descrizioni dettagliate di ogni funzione.
Grazie alla combinazione di immagini derotate, misure precise e diverse modalità di proiezione, WinJUPOS si conferma uno strumento potente e insostituibile per chi desidera analizzare in profondità la complessa atmosfera di Giove, unendo rigore scientifico e risultati di grande impatto visivo.
La galassia a spirale NGC 4378 appare particolarmente luminosa in questo estratto da immagini catturate dall'Osservatorio Vera C. Rubin dell'NSF-DOE. La galassia è nota per avere un solo braccio a spirale.
Credit: RubinObs/NOIRLab/SLAC/NSF/DOE/AURA.
ABSTRACT
La galassia a spirale NGC 4378, ripresa dal Vera C. Rubin Observatory in Cile, si presenta con un aspetto sereno e armonioso, ma cela un nucleo estremamente energetico: un buco nero supermassiccio di circa cento milioni di masse solari che inghiotte materia circostante, generando intensa radiazione. Tale attività colloca NGC 4378 tra le galassie di Seyfert II, caratterizzate da nuclei luminosi e getti di plasma ad alta energia. L’immagine evidenzia il rigonfiamento centrale giallastro, popolato da stelle antiche, e un singolo braccio a spirale che si estende per circa 130.000 anni luce, costellato di giovani stelle blu e regioni di gas ionizzato. Si ritiene che la struttura asimmetrica sia frutto di un’interazione gravitazionale con una galassia minore, coerente con la posizione di NGC 4378 all’interno dell’Ammasso della Vergine, a circa 60 milioni di anni luce. La ripresa fa parte delle osservazioni preliminari del Rubin Observatory, che si prepara ad avviare il Legacy Survey of Space and Time (LSST), un’indagine decennale destinata a rivoluzionare la nostra conoscenza del cielo australe e dei fenomeni transienti.
NGC 4378 Galassia Spirale
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Mappa del cielo alle ore (TMEC): 01 NOV> 23:00 15 NOV> 22:00 30 NOV> 21:00
Il cielo di novembre 2025 promette un mese denso di eventi astronomici. La Luna offrirà spettacolari condizioni osservative, con il Plenilunio del 5, l’Ultimo Quarto il 12, il Novilunio il 20 e il Primo Quarto il 28, ideali per esplorare crateri come Walther e le Alpi lunari. Tra gli asteroidi in opposizione spiccano (12) Victoria, (471) Papagena e (68) Leto, tutti intorno alla nona–decima magnitudine. In cielo brillano le costellazioni di Perseo e Triangolo, ricche di ammassi e galassie come M33. Le comete protagoniste saranno C/2025 A6 Lemmon, visibile a occhio nudo, la SWAN e la K1 ATLAS, mentre la 3I/ATLAS interstellare offrirà un’occasione unica. Numerosi anche i transiti luminosi della ISS, con punte di magnitudine -3.8 il 2 e 29 novembre, e congiunzioni planetarie evidenziate nel diario mensile.
COSTELLAZIONI NEL CIELO DEL MESE DI NOVEMBRE 2025
In un viaggio attraverso il cielo di novembre, incontriamo la mitologica costellazione di Perseo, un’affascinante figura nell’emisfero boreale. Nota come radiante dello sciame meteorico delle Perseidi e per il suo spettacolare Ammasso Doppio (NGC 869 e NGC 884) , Perseo si estende tra Andromeda e Auriga. La sua stella più celebre, Algol (Beta Persei), è il prototipo delle variabili a eclisse, con una luminosità che oscilla in meno di tre giorni. Questa costellazione, legata al mito dell’eroe che sconfisse Medusa e salvò Andromeda , è ricca anche di nebulose come M 76 e la vasta Nebulosa California (NGC 1499). Poco più a Sud di Perseo, è visibile la costellazione del Triangolo, una figura poco estesa e poco luminosa, ma riconoscibile per la sua forma. Nonostante la sua lontananza dalla Via Lattea, il Triangolo ospita una delle galassie a spirale più note, ovvero M33 o Galassia del Triangolo, una delle galassie più vicine alla Via Lattea.
I principali eventi di Novembre 2025 (pubblicati nell’Almanacco 2025 vedi Coelum 271)
Data Ora Cosa Come
01/11/25 05:29 Congiunzione Venere Spica 3.8°N 01/11/25 18:46 Luna Nodo Ascendente 02/11/25 11:54 Congiunzione Luna Saturno 3.6°N 02/11/25 18:05 Congiunzione Luna Nettuno 2.8°N 03/11/25 14:09 Massimo delle 05/11/25 14:19 Luna Piena 05/11/25 23:28 Luna Perigeo 356831 km 06/11/25 17:01 Congiunzione Luna Pleiadi 0.8°N 06/11/25 18:10 Congiunzione Luna Urano 5.2°N 09/11/25 19:52 Mercurio Stazionario Moto Retrogrado 10/11/25 08:18 Congiunzione Luna Polluce 2.7°S 10/11/25 08:55 Congiunzione Luna Giove 4.0°N 11/11/25 07:04 Congiunzione Luna Presepe 1.7°N 11/11/25 16:07 Giove Stazionario Moto Retrogrado 12/11/25 06:28 Ultimo Quarto 12/11/25 19:45 Congiunzione Mercurio Marte 1.3°S 13/11/25 00:31 Congiunzione Luna Regolo 1.0°N 14/11/25 07:38 Luna Nodo Discendente 17/11/25 11:54 Congiunzione Luna Spica 1.2°S 17/11/25 17:45 Congiunzione Marte Antares 4.1°N 18/11/25 14:32 Massimo delle Leonidi 19/11/25 09:34 Congiunzione Luna Venere 5.7°S 20/11/25 03:47 Luna Apogeo 406691 km 20/11/25 07:47 Luna Nuova 20/11/25 10:19 Mercurio Congiunzione Inferiore 20/11/25 10:28 Congiunzione Luna Mercurio 5.5°S 21/11/25 08:02 Congiunzione Luna Antares 0.4°S 21/11/25 13:29 Congiunzione Luna Marte 4.4°S 21/11/25 13:32 Urano Opposizione 23/11/25 12:26 Mercurio Perielio 0.30749 A.U. 25/11/25 01:46 Congiunzione Urano Pleiadi 4.4°S 25/11/25 05:51 Congiunzione Mercurio Venere 1.1°N 28/11/25 07:58 Primo Quarto 28/11/25 22:33 Luna Nodo Ascendente 29/11/25 18:54 Mercurio Stazionario Moto Diretto 29/11/25 20:17 Congiunzione Luna Saturno 3.7°N 30/11/25 03:08 Congiunzione Luna Nettuno 3.0°N
TABELLE EFFEMERIDI DEL SOLE E DELLA LUNA
La parte dell’articolo con le tabelle delle effemeridi dei pianeti e i loro moti, è disponibile per i lettori abbonati alla versione digitale o al cartaceo.
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LUNA
Nel mese di novembre 2025 la Luna offrirà spettacolari opportunità osservative: il Plenilunio del 5 novembre a 358.906 km inaugurerà la fase calante, seguita dall’Ultimo Quarto del 12 e dal Novilunio del 20. Il Primo Quarto del 28 permetterà di esplorare le Alpi lunari e la Valle Alpina. Non mancano le suggestive falci e le librazioni visibili a inizio mese.
L’articolo completo dedicato alla Luna è a cura di Francesco Badalotti e disponibile QUI
ASTEROIDI – PICCOLI MONDI
Nel mese di novembre saranno visibili tre asteroidi di grande interesse: (12) Victoria, nella fascia interna, di tipo silicaceo e nona magnitudine il 5 novembre; (471) Papagena, nella fascia esterna, anch’esso di tipo S e al massimo il 10 novembre; e (68) Leto, silicaceo della fascia centrale, decima magnitudine il 20 novembre. Tutti mostrano curve di luce complesse e orbite stabili.
L’articolo completo sugli asteroidi del mese di Novembre è a cura di Marco Iozzi e disponibile QUI
COMETE
Novembre è un mese di grande interesse cometario. La luminosa C/2025 A6 Lemmon passa al perielio l’8 novembre e sarà osservabile a occhio nudo (mag. 3.4) per circa metà mese prima di scomparire nella luce del Sole. Anche la C/2025 R2 SWAN (mag. 6-9) è un obiettivo interessante, comodamente osservabile in prima serata. La C/2025 K1 ATLAS sarà visibile per gran parte del mese (inizialmente mag. 10). Infine, l’interstellare 3I/2025 N1 ATLAS (mag. 11) sarà osservabile con telescopi di almeno 150/200 mm nella Vergine.
L’articolo completo sulle comete di Novembre è a cura di Claudio Pra e disponibile QUI
TRANSITI STAZIONE SPAZIALE INTERNAZIONALE
I Transiti maggiori nel nostro cielo della ISS International Space Station per il mese di Novembre a cura di Giuseppe Petricca disponibile QUI
Dopo avere chiuso Ottobre con la Luna in fase di 10 giorni, questo mese si apre col nostro satellite ancora nelle migliori condizioni osservative mentre la fase crescente giungerà al capolinea il 5 Novembre 2025 alle ore 14:19 col Plenilunio alla distanza di 358906 km dal nostro pianeta e con diametro apparente di 33.29’ ma a -19° sotto l’orizzonte. Pertanto per effettuare osservazioni telescopiche sarà necessario attendere le prime ore della sera, infatti sorgerà alle 16:36 rendendosi perfettamente visibile fin verso l’alba del mattino seguente quando tramonterà al sorgere del Sole.
Trovandosi anche al capolinea della fase crescente, inizierà pertanto contestualmente l’opposta fase calante riducendo sempre più la parte illuminata e riportando progressivamente la Luna nelle ore tardo serali e poi notturne, passando per l’Ultimo Quarto alle ore 06:28 del 12 Novembre 2025 ad un’altezza di +61° ed in culminazione col meridiano. Nel caso specifico nella precedente serata, 11 Novembre, la Luna sorgerà alle ore 22:56 e sarà visibile fin verso l’alba del mattino seguente garantendo un ampio spazio temporale per osservare col telescopio, ad esempio, l’antichissimo cratere Walther di 141 km di diametro circondato da pareti alte circa 4600 mt la cui origine risale al periodo geologico Pre Nectariano collocato da 4,5 a 3,9 miliardi di anni fa.
Novembre 2025 – Cratere WALTHER – Serata 11 Novembre Ultimo Quarto.
Le pareti intorno al cratere, nonostante la notevole altezza, appaiono seriamente danneggiate dai successivi impatti meteoritici con la formazione di numerosi crateri secondari sovrapposti ai suoi bastioni terrazzati. Il fondo di Walther appare cosparso anche da una miriade di minuscoli craterini oltre ad un sistema montuoso in posizione decentrata verso nordest. Proseguendo nella sua fase calante il nostro satellite sarà in Novilunio alle ore 07:47 del 20 Novembre 2025 pronto per la contestuale ripartenza di un ulteriore nuovo ciclo lunare con la fase crescente che ci mostrerà porzioni progressivamente sempre più ampie di suolo illuminato dalla luce del Sole come, ad esempio, nella fase di Primo Quarto prevista per le ore 07:59 del 28 Novembre 2025. Nell’occasione la Luna si troverà a -49° sotto l’orizzonte ma con un po’ di pazienza basterà attendere fino al tardo pomeriggio quando il nostro satellite, in fase di 8 giorni, dopo il transito in meridiano delle 18:30 a +36°, sarà visibile fin poco oltre la mezzanotte. Concentreremo pertanto la nostra attenzione sulle Alpi lunari situate nel settore nordest del mare Imbrium fra i monti Caucasus ed il cratere Plato.
Novembre 2025 – ALPI lunari – Serata 28 Novembre Primo Quarto.
Si tratta di una vasta regione montuosa estesa per circa 250 km la cui origine risale al periodo geologico Imbriano collocato da 3,8 a 3,2 miliardi di anni fa. Le vette più elevate (alte circa 4000/4500 mt) si trovano in prossimità del versante rivolto verso il mare Imbrium mentre la peculiarità di questa regione è costituita indubbiamente dalla Valle Alpina, una spettacolare struttura geologica di 130 km di lunghezza e mediamente 11 km di larghezza sul cui fondo è presente un lungo e sottile solco avente una larghezza intorno ai 700 mt, un target molto ambito da molti astrofili come valido test per i loro strumenti. Nelle ultime due serate del mese di Novembre la Luna offrirà il meglio di sé consentendo di spaziare in lungo e in largo sulla sua variegata superficie scegliendo fra un’immensa quantità di dettagli, osservazioni limitate dal seeing e purtroppo anche dalla stagione tardo autunnale ormai avanzata.
Congiunzioni e Occultazioni Notevoli
Congiunzione Luna-Nettuno
La sera del 2 Novembre 2025 alle ore 18:10 la Luna in fase crescente di 11,5 giorni sarà in congiunzione col pianeta Nettuno ad un’altezza di +27° con separazione di 2°50’.
Occultazione Luna-M45
Alle ore 17:13 del 06 Novembre 2025 la Luna in fase calante di 16 giorni andrà ad occultare l’ammasso aperto delle Pleiadi (M45) ad un’altezza di circa 7/8°. Segnalo che nella medesima serata la Luna sorgerà alle ore 17:17, pertanto solo pochi minuti dopo l’evento che comunque potrà essere seguito.
Congiunzione Luna-M45 Le Pleiadi alle 19:27 del 06 Novembre dalla città di Roma.
Congiunzione Luna-Giove
La Luna in fase calante di 20 giorni ad un’altezza di +36° sarà in congiunzione il 10 Novembre 2025 alle ore 08:57 col pianeta Giove con una separazione di 3°50’. Questo evento si verificherà però in orario diurno col Sole ad una distanza di circa 114° dai due oggetti, con la necessità di non intercettare la luce solare.
Congiunzione Luna Giove visibile dalle 10:27 del 10 Novembre dalla città di Roma.
Congiunzione Luna-Regolo
Congiunzione il 13 Novembre 2025 alle ore 00:34 fra la Luna in fase calante di 23 giorni e la stella Regolo, evento che si verificherà pochi minuti dopo il sorgere della Luna (sorge ore 00:06).La separazione fra i due oggetti sarà di 1°.
Congiunzione Luna-Saturno
Il 29 Novembre 2025 alle ore 20:20 la Luna in fase crescente di 9 giorni ad un’altezza di +42° sarà in congiunzione col pianetaSaturno con una separazione di 3°.
Le FALCI lunari di Novembre
Appuntamento per le falci di Luna in tarda nottata del 17 Novembre 2025 con una falce che alle ore 04:18 sorgerà in fase di 26,6 giorni, sulla cui superficie si potrà percepire la differenza di albedo fra le rocce anortositiche del settore sudovest in contrasto con le più scure rocce basaltiche dell’oceanus Procellarum. Sempre inconfondibile la macchia nera del cratere Grimaldi mentre la notte successiva, il 18 Novembre 2025, alle ore 05:20 sorgerà una più sottile falce di 27,6 giorni. Per quanto riguarda la Luna crescente, alle ore 17:53 del 22 Novembre 2025 tramonterà una falce di 2,4 giorni ma in questo caso per eventuali riprese fotografiche si renderà necessario attendere il completo tramonto del Sole e con la Luna ormai in prossimità della linea dell’orizzonte. Per questa tipologia di osservazioni, oltre agli ormai noti parametri osservativi, risulterà determinante disporre di un orizzonte il più possibile libero da ostacoli. Sarà inoltre di fondamentale importanza evitare nel modo più assoluto di intercettare la luce solare al fine di prevenire gravi danni, anche irreversibili, alla propria vista.
La distanza fra la Terra e la Luna in Km è geocentrica e non topocentrica.
L’istante in T.U.(Perigei e Apogei) rappresenta quello segnato dagli orologi sul Meridiano di Greenwich (London).
A questo istante aggiungere 1ora per il Tempo Medio dell’Europa Centrale; 2 ore se è in vigore l’ora
Tutti i valori vengono calcolati con formule rilevate dal libro ‘Astronomical Algorithms’ di Jean Meeus
LIBRAZIONI di NOVEMBRE
Si precisa che, per ovvi motivi, non vengono indicati i giorni in cui i punti di massima Librazione si discostano dalla superficie lunare illuminata dal Sole.
– 04 Novembre: Area crateri Phocylides, Bailly – 05 Novembre: Regione Polare Sud – 06 Novembre: Regione Polare Sud
La Luna del Mese di NOVEMBRE è pubblicata in Coelum 276
I venti su Marte soffiano molto più forte di quanto finora immaginassimo
Lo rivela un nuovo studio pubblicato l’8 ottobre su Science Advances (Dust Devil Migration Patterns Reveal Strong Near-surface Winds across Mars, Bickel et al. 2025), frutto dell’analisi di immagini raccolte nel corso di venti anni dalle sonde europee Mars Express ed ExoMars Trace Gas Orbiter (TGO).
Gli scienziati, guidati da Valentin Bickel dell’Università di Berna, hanno individuato e tracciato 1039 dust devil, i vortici di polvere che attraversano la superficie marziana come piccoli tornado. Si tratta della più vasta catalogazione mai realizzata di questi fenomeni, e per la prima volta include anche la direzione e la velocità dei loro movimenti.
Come si formano i “diavoli di polvere”
I dust devil nascono quando l’aria calda vicina al suolo sale rapidamente, incontrando strati più freddi che la fanno ruotare. Lo stesso fenomeno avviene nei deserti terrestri, ma su Marte ha effetti ben più duraturi: la sottile atmosfera e l’assenza di pioggia fanno sì che la polvere rimanga sospesa a lungo, contribuendo a modellare il clima del pianeta.
La polvere marziana, infatti, influenza la temperatura, riflettendo la luce solare di giorno e trattenendo il calore di notte. Inoltre può innescare la formazione di nubi e, nel caso delle tempeste di polvere più potenti, favorire la perdita di acqua verso lo spazio.
Una mappa dei venti di Marte
Grazie a un algoritmo di intelligenza artificiale addestrato a riconoscere i vortici nelle immagini satellitari, i ricercatori hanno analizzato migliaia di rilevazioni acquisite dai satelliti Mars Express e TGO a partire rispettivamente dal 2004 e dal 2016. Si è così scoperto che alcuni dust devil si muovono a velocità fino a 44 metri al secondo, equivalenti a 158 km/h.
Un valore sorprendente, superiore a quello previsto dai modelli climatici precedenti. Tuttavia, a causa della bassissima densità dell’atmosfera marziana, un vento del genere sarebbe ben lontano dal possedere la forza di una tempesta terrestre: si ritiene che a un astronauta, là sul suolo, sembrerebbe poco più di una brezza.
Tre diavoli di polvere fotografati da TGO l’8 novembre 2021. ESA/TGO/CaSSIS
Il nuovo catalogo globale dei dust devil consente di comprendere meglio dove e quando la polvere viene sollevata dal suolo. I vortici sono stati osservati in ogni regione del pianeta, dai crateri ai giganteschi vulcani, con una particolare concentrazione nella zona di Amazonis Planitia (in alto a sinistra nella mappa sottostante), una vasta pianura ricoperta di sabbia e polvere fine. La loro frequenza segue le stagioni marziane: sono più comuni in primavera e in estate, tra le 11:00 e le 14:00 LTST (ora solare locale), proprio come avviene nei deserti della Terra.
Mappa globale di Marte con i dust devil attivi durante primavere ed estati negli emisferi nord e sud. Le frecce indicano la direzione di spostamento nel caso sia stata rilevata; in assenza di questo dato, è indicata con un punto la sola posizione del diavolo di polvere. I quadrati bianchi sono le posizioni di rover e lander. Crediti: ExoMars TGO data: ESA/TGO/CaSSIS; Mars Express data: ESA/DLR/FU Berlin. Traduzione: Piras per Coelum
Si stima che, in media, ogni giorno su Marte si formi un dust devil per chilometro quadrato con una vita che varia da pochi minuti ad alcune ore. Pur nell’impossibilità per i due satelliti impiegati di rilevare ogni singolo diavolo di polvere sul pianeta, questo primo catalogo compie un passo importante nell’analisi statistica di tali fenomeni atmosferici e può permettere fin d’ora di migliorare i modelli del clima marziano a disposizione degli scienziati.
Oltre all’interesse scientifico, queste informazioni avranno un impatto concreto sulla pianificazione delle missioni spaziali. Conoscere la direzione e la forza dei venti aiuta a scegliere i siti di atterraggio più sicuri, a stimare quanta polvere potrebbe depositarsi sui pannelli solari di rover o lander e soppesare meglio i vantaggi offerti da sistemi di pulizia.
La prossima missione europea ExoMars che includerà il rover Rosalind Franklin,prevista attualmente per il 2030, sfrutterà le nostre attuali conoscenze sul clima marziano per evitare di atterrare durante la stagione delle tempeste globali di polvere.
Dalle imperfezioni ai dati scientifici
È interessante notare che i satelliti Mars Express e TGO non erano stati pensati per misurare i venti e i ricercatori hanno sfruttato un effetto indesiderato nelle immagini. Ogni foto è composta da acquisizioni in più canali, fino a 9 nel caso di Mars Express, ripresi con piccoli intervalli tra loro variabili tra 7 e 19 secondi. Questa tecnica di acquisizione non presenta problemi se il terreno è statico, quale è per l’appunto il principale campo d’indagine delle immagini satellitari. Ma se un oggetto si muove tra un canale e l’altro compaiono lievi “sfocature” colorate.
Immagine catturata il 3 dicembre 2021 dallo strumento CaSSIS (Colour and Stereo Surface Imaging System) a bordo di ExoMars TGO. TGO ha un ritardo di circa un secondo tra le singole immagini, acquisite in quattro canali che spaziano da 475 a 950 nm. Crediti: ESA/TGO/CaSSIS
Proprio analizzando questi spostamenti, il team è riuscito a calcolare la velocità dei vortici. Come spiega Bickel, “abbiamo trasformato il rumore delle immagini in dati scientifici preziosi”.
Due immagini dello strumento CaSSIS di TGO che qui, come è nel caso delle sue acquisizioni stereo (ovvero quando il satellite osserva la stessa regione da due punti distinti della sua orbita), sono spaziate temporalmente di 46 secondi. Crediti: ESA/TGO/CaSSIS
Il catalogo dei dust devil è già accessibile pubblicamente e verrà aggiornato man mano che arriveranno nuove immagini. Coordinando le osservazioni di più sonde, gli scienziati potranno verificare i risultati e migliorare la nostra conoscenza dei venti di Marte.
Perseverance non ha fotografato 3I/ATLAS, oppure sì?
La cometa 3I/ATLAS è il terzo oggetto noto proveniente dall’esterno del nostro Sistema Solare ad essere stato scoperto mentre attraversava i nostri dintorni spaziali. Gli astronomi hanno classificato questo corpo come interstellare a causa della forma iperbolica della sua orbita che non sembra seguire un percorso chiuso attorno al Sole. Tracciando all’indietro la traiettoria di 3I/ATLAS, risulta evidente che la cometa ha avuto origine al di fuori del nostro Sistema Solare.
La NASA, come altre agenzie spaziali, sta coordinando le attività per monitorare I3/ATLAS con i propri satelliti. Questo sforzo non è certamente agevolato dallo shutdown imposto a inizio ottobre dal governo statunitense che ha costretto al congedo forzato 15000 dipendenti NASA. Circa 3000 sono quelli che portano avanti le attività dell’agenzia, in alcuni casi inderogabili, senza le quali missioni miliardarie potrebbero essere compromesse o che assicurano la sicurezza degli astronauti nello spazio. Senza contare i preparativi per la cruciale Artemis 2 la cui prima finestra di lancio è prevista per febbraio 2026.
Tra i vari apparati che stanno tenendo d’occhio la cometa interstellare c’è anche un osservatore marziano d’eccezione: Perseverance. Il rover ha tentato in almeno due occasioni di fotografare la I3/ATLAS approfittando del massimo avvicinamento al Pianeta Rosso che è avvenuto il 3 ottobre, quando la cometa è sfilata a circa 30 milioni di km da Marte. Ma per raccontare di un grosso malinteso partiamo dal secondo tentativo di fotografare ATLAS che Perseverance ha compiuto nella notte del Sol 1643, alle ore 6:41 italiane del 4 ottobre.
L’immagine diffusa dalla NASA, senza tante spiegazioni, è questa.
Immagine della Left NavCam acquisita nel Sol 1643 (4 ottobre). Al momento nessun commento è arrivato dall’agenzia statunitense. NASA/JPL-Caltech
Moltissimi siti hanno ripreso questa immagine descrivendola come la documentazione di 3I/ATLAS da parte del rover marziano. Ma proviamo a indagare queste affermazioni.
Dallo studio della documentazione tecnica di Perseverance si scopre che le NavCam possono produrre immagini con risoluzione sino a 5120 x 3840, ma a causa di limitazioni di memoria il computer di bordo può gestire immagini solo fino a 1280 x 960 pixel. Quello che si fa per preservare la massima risoluzione disponibile è scomporre il frame originale, così come acquisito dal sensore, in un mosaico di 16 subframe. Ricomponendo l’immagine con tutti i subframe acquisiti da Perseverance si ottiene questa nuova immagine.
Composizione dell’immagine NavCam con tutti e 16 i subframe. NASA/JPL-Caltech/Piras
L’esposizione complessiva è di 52 secondi, ottenuta combinando 16 singole foto direttamente nel momento dell’acquisizione. Purtroppo si capisce ancora poco, con la corta scia che è difficile da posizionare nel cielo senza altri riferimenti. Ci viene in aiuto un’ottima elaborazione da parte di Simeon Schmauß che ha ridotto il rumore digitale esaltando le altre debolissime stelle all’interno del campo visivo della NavCam.
NASA/JPL-Caltech/Simeon Schmauß
Al brillante alone dell’oggetto a sinistra si aggiungono altre stelle. La più brillante in alto al centro del campo è Acturus, mentre più giù si osservano la coda dell’Orsa Maggiore (si riesce persino a individuare la celeberrima coppia Mizar-Alcor).
Possiamo verificare questa visuale direttamente su Stellarium il quale, inserendo data e ora di acquisizione della foto, ci dà il responso: la scia luminosa non è stata prodotta da 3I/ATLAS ma da Fobos, la più grande delle lune marziane. La cometa è al centro del campo nella costellazione dei Cani da Caccia, non lontana da Cor Caroli, ma molto al di sotto del limite di osservabilità.
Verifica su Stellarium elaborata da Simeon Schmauß
L’angolo di puntamento e la rotazione di campo di 23° possono essere confermati in modo indipendente verificando i metadati delle foto. Si tratta di informazioni aggiuntive messe a disposizione dalla NASA che, tra i vari campi, includono anche delle sequenze di valori indicanti dove fosse puntata la camera e l’inclinazione del rover rispetto al terreno. Anche la lunghezza della scia è compatibile con un’esposizione di 52 secondi più i tempi intermedi di elaborazione interna (il rover sembra dovrebbe aver combinato 16 esposizioni da 3.28 secondi ciascuna, il massimo possibile) per un totale, dall’inizio alla fine, di circa un minuto.
Ma quindi questa cometa si vede da Marte?
Dopo aver analizzato l’immagine NavCam e scoperto cosa sia realmente quella scia luminosa, facciamo un piccolo passo indietro. La notte è sempre quella del 4 ottobre, ma giusto qualche minuto prima.
Tra le 6:26 e le 6:36 Perseverance ha puntato verso 3I/ATLAS la Right MastCam-Z impostata a 110 mm di focale. Vengono prodotte 20 immagini da 30 secondi in cui apparentemente non si vede nulla che non sia un terribile rumore digitale.
Uno dei 20 frame acquisiti nel Sol 1643 con la Right MastCam-Z. NASA/JPL-Caltech/ASU/MSSS
Ancora una volta ci rivolgiamo a Simeon Schmauß il quale ha eseguito lo stacking delle 20 foto e un’eccellente elaborazione successiva.
NASA/JPL-Caltech/ASU/Simeon Schmauß
Tante scie stellari si accendono grazie all’elaborazione di Simeon, e c’è anche una macchia diffusa molto sospetta. Inserendo l’immagine in un software di astrometria abbiamo la conferma che ci troviamo proprio nella costellazione dei Cani da Caccia e che quella macchia è 3I/ATLAS, esattamente nella posizione prevista.
L’immagine finale con le annotazioni delle stelle visibili. NASA/JPL-Caltech/ASU/Simeon Schmauß
Un ringraziamento speciale a Simeon sia per le immagini che per lo scambio piacevole e proficuo che abbiamo avuto tramite messaggi privati su Bluesky.
3I/ATLAS vista anche dall’orbita di Marte
Il 7 ottobre l’agenzia spaziale europea ESA ha diffuso le immagini della cometa interstellare catturate tramite il satellite Trace Gas Orbiter. TGO ha impiegato lo strumento CaSSIS producendo una sequenza di immagini a partire da esposizioni di 5 secondi (se necessario cliccare per far partire la gif).
TGO osserva 3I/ATLAS il 3 ottobre. Crediti: ESA/TGO/CaSSIS
La dimensione del nucleo della cometa è troppo piccola per poter essere risolto dalla camera di TGO da 30 milioni di km di distanza, ciò che si vede è la brillante coma che si estende per alcune migliaia di km mentre il corpo celeste viene riscaldato dalla radiazione solare e i suoi ghiacci sublimano disperdendosi nello spazio.
Mancano ancora all’appello le immagini di Mars Express, penalizzata dal fatto che il suo massimo tempo di esposizione è di 500 ms, un decimo di TGO, e la luminosità di 3I/ATLAS è ancora troppo bassa per consentirne la rilevazione. Risulta che i due satelliti abbiano tentato anche l’osservazione spettrale con gli strumenti OMEGA e SPICAM di Mars Express e NOMAD di TGO, ma non sono stati rilasciati dettagli a riguardo. È possibile che la coma e la coda della cometa non siano abbastanza brillanti per ottenere delle rilevazioni significative.
A novembre 3I/ATLAS sarà osservata anche dalla sonda JUICE, anch’essa gestita dall’ESA. Tuttavia, vista la sua attuale vicinanza al Sole durante questo frangente del suo viaggio verso Giove, al momento sta usando l’antenna ad alto guadagno come scudo termico e le comunicazioni avvengono tramite l’antenna a basso guadagno e dal limitato data rate. Vista inoltre la sua posizione, dall’altra parte del Sistema Solare rispetto alla Terra, non avremo notizie della sua osservazione della cometa prima di febbraio dell’anno prossimo.
News da Marte #41: prove convincenti di vita su Marte
Nel pomeriggio di mercoledì 10 settembre la NASA ha indetto una conferenza stampa per riportare delle scoperte avvenute nell’ambito dell’esplorazione del Cratere Jezero da parte del rover Perseverance e documentate in un articolo appena pubblicato sulla rivista Nature (Hurowitz, J.A., Tice, M.M., Allwood, A.C. et al. Redox-driven mineral and organic associations in Jezero Crater, Mars).
Le rilevazioni del 2024
Il rover Perseverance, attivo su Marte dal 2021, sembra aver raggiunto uno degli obiettivi più ambiziosi della missione: cercare tracce di vita passata in un antico ambiente lacustre. Le nuove analisi condotte nella formazioneBright Angel, nella Neretva Vallis, hanno rivelato risultati che stimolano fortemente il dibattito scientifico.
Dopo aver individuato l’anno scorso Cheyava Falls, una roccia con macchie particolari, il rover Perseverance ha raccolto dati cruciali che sono stati poi sottoposti a un lungo processo di peer review, passaggio fondamentale che ha permesso di confermare la validità della scoperta. Un tempo scoperte simili venivano smentite, ma in questo caso i revisori hanno concordato che la scoperta della NASA è solida e potrebbe davvero rappresentare il segno più chiaro di vita mai trovato su Marte.
a – Immagine orbitale con il percorso del rover evidenziato in bianco, dalla valle Neretva fino agli affioramenti Bright Angel e Masonic Temple. I triangoli arancioni indicano i principali punti analizzati. b – Mosaico a 360° di Mastcam-Z che mostra il contatto tra la formazione chiara Bright Angel (in primo piano) e la Margin Unit (sullo sfondo). Sono indicate le aree di lavoro con i diversi target, tra cui Walhalla Glades, Cheyava Falls, Apollo Temple e il campione Sapphire Canyon. Crediti: NASA/JPL-Caltech/ASU/MSSS
Le rocce esplorate sono argilliti, cioè rocce fini di origine sedimentaria, che contengono non solo carbonio organico ma anche particolari strutture mineralogiche: piccoli noduli e fronti di reazione formati da fosfati e solfuri di ferro. Minerali come la vivianite e la greigite, individuati grazie alle analisi chimiche e spettroscopiche, sono particolarmente interessanti perché sulla Terra si associano spesso a processi microbici in ambienti acquatici.
Gli strumenti impiegati
Queste osservazioni sono frutto del lavoro integrato di tre strumenti chiave del rover. Il primo è WATSON, la camera macro capace di fotografare in altissima risoluzione, che ha permesso di riconoscere le microscopiche strutture nodulari e i contrasti cromatici dei fronti di reazione, le cosiddette “macchie di leopardo” e i “semi di papavero” (leopard spots e poppy seeds in inglese)
C’è poi PIXL, lo spettrometro a fluorescenza X, che ha mappato la distribuzione chimica della roccia mostrando come ferro, fosforo e zolfo si concentrino nei noduli, confermando che si sono formati in situ a seguito di reazioni chimiche successive alla deposizione.
Sopra: immagine a colori di PIXL MCC del sito Cheyava Falls che mostra l’area scansionata e i singoli punti di analisi della fluorescenza a raggi-X, combinati per determinare la composizione chimica complessiva dell’argilla (color sabbia), dei nuclei del fronte di reazione (viola), dei noduli e dei bordi del fronte di reazione (verde). La barra di scala in basso misura 3 mm. Sotto: indice di mobilità degli elementi (τi,TiO2) per gli elementi studiati a Cheyava Falls. Questo grafico permette agli scienziati di capire quanto un certo elemento chimico si è mosso o si è concentrato rispetto alla roccia originale. Qui si evidenzia come noduli e bordi del fronte di reazione (segmento verde) e nuclei della fronte di reazione (segmento viola) mostrino arricchimenti o deplezioni rispetto alle argille circostanti.
L’ultimo strumento è SHERLOC, lo spettrometro Raman dedicato alla ricerca di molecole organiche, il quale ha individuato la banda G nei suoi spettri: un segnale caratteristico, centrato intorno a 1600 cm⁻¹, che indica la presenza di carbonio organico. La banda G è stata osservata in diversi target della formazione, in particolare ad Apollo Temple, mentre era assente in altre zone come Malgosa Crest.
A sinistra: immagine a colori ottenuta con la camera ACI di SHERLOC: si distinguono piccoli noduli formatisi all’interno della roccia stessa (autigeni) e le zone di alterazione chiamate fronti di reazione, dove i minerali sono cambiati chimicamente dopo la deposizione. Sono evidenziate anche le aree analizzate dagli strumenti SHERLOC e PIXL. A destra: spettri Raman misurati da SHERLOC su vari campioni della formazione Bright Angel. Il picco detto “banda G”, attorno a 1600 cm⁻¹, rivela la presenza di carbonio organico nei siti Walhalla Glades (blu), Cheyava Falls (rosso) e Apollo Temple (verde). Nel sito Malgosa Crest (giallo), invece, questo segnale non compare: un indizio che la distribuzione della materia organica non è uniforme. Crediti: NASA/JPL-Caltech/ASU/MSSS.
Quando parliamo di tracce organiche su Marte, uno dei segnali più cercati è la banda G rilevata dalla spettroscopia Raman. La banda G è un picco caratteristico nello spettro Raman, centrato intorno a 1600 cm⁻¹, che corrisponde alla vibrazione degli atomi di carbonio in strutture a legame sp², tipiche della grafite e di molte molecole organiche complesse. La banda G da sola non prova l’esistenza di vita: il carbonio organico può avere origini abiotiche (sintesi chimica spontanea su Marte, apporti da meteoriti o polvere cosmica) oppure biotiche (derivanti da processi biologici). Tuttavia, il suo riscontro in associazione a minerali redox-sensibili come vivianite e greigite, e in un contesto sedimentario acquoso, aumenta l’interesse astrobiologico delle rocce della formazione Bright Angel. Sulla Terra, fenomeni simili avvengono in ambienti lacustri o marini poco ossigenati, dove la degradazione della materia organica da parte di microbi porta a riduzioni chimiche che precipitano questi minerali.
Quindi c’è stata davvero vita su Marte?
Nonostante la rilevanza di queste osservazione, gli scienziati mantengono grande prudenza: le stesse trasformazioni potrebbero anche essere spiegate da processi abiotici. Alcune reazioni puramente chimiche possono infatti ridurre il ferro e lo zolfo in condizioni compatibili con quelle presenti su Marte miliardi di anni fa. Come diceva l’indimenticato Carl Sagan «affermazioni straordinarie richiedono prove straordinarie».
Resta il fatto che la combinazione di materia organica, noduli mineralogici redox e contesto sedimentario acquoso configurano la formazione Bright Angel come uno dei siti più promettenti finora esplorati per indagare la questione della vita sul Pianeta Rosso.
Il lavoro del team scientifico di Perseverance ha permesso di utilizzare ogni strumento disponibile sul rover, spingendo al limite le sue capacità di analisi. Tuttavia, per determinare in modo definitivo se le “firme biologiche” trovate nelle rocce fangose siano effettivamente di origine biologica, è necessario riportare i campioni sulla Terra. Una possibile spiegazione non biologica suggerisce che i minerali come la grigite potrebbero essersi formati se la roccia fosse stata riscaldata, un processo che il rover non può confermare.
Perseverance ha già raccolto un campione da questa unità, chiamato “Sapphire Canyon”, che un giorno potrebbe essere analizzato nei laboratori terrestri. Solo studi più dettagliati, con strumentazione avanzata, potranno chiarire se le tracce trovate siano il risultato di semplici reazioni chimiche o, al contrario, il primo segnale della presenza di antichi microbi marziani.
Prelievo di Sapphire Canyon nel Sol 1215 (21 luglio 2024). NASA/JPL-Caltech/PirasVideo che documenta il prelievo del campione Sapphire Canyon. L’operazione, della durata di circa 16 minuti, viene qui mostrata due volte in sequenza
La speranza è che la comunità di ricerca, con l’accesso ai dati e, in futuro, ai campioni stessi, possa condurre esperimenti in laboratorio per replicare queste caratteristiche, sia con processi biologici che non, e svelare così il mistero. Questa ricerca continua e rappresenta solo l’ultimo tassello di un lavoro iniziato dalla NASA 30 anni fa con il piccolo rover Sojourner e che mantiene più vivo che mai l’entusiasmo per ciò che il futuro dell’esplorazione marziana ci riserverà.
News da Marte #40: le notti marziane di Perseverance tra aurore e lune brillanti
Riprendiamo due news recentemente pubblicate dalla NASA nei suoi canali d’informazione. Queste notizie riguardano alcune rilevazioni fotografiche eseguite dal rover Perseverance, il gioiello tecnologico che dal 2021 guida il programma di esplorazione del Pianeta Rosso. Tuttavia una delle pubblicazioni non è una novità assoluta, ma ne approfittiamo per espandere e analizzare ulteriormente l’argomento. Iniziamo proprio con questa prima notizia, si parte!
La prima osservazione di un’aurora marziana nello spettro visibile
I lettori e le lettrici più assidue di Coelum potrebbero ricordare un paragrafo intitolato in modo simile in News da Marte #30 o nel numero 269 della nostra rivista. Al tempo avevamo documentato la rilevazione di cui nel titolo grazie ai risultati presentati nel lavoro intitolato First Detection Of Visible-Wavelength Aurora On Mars (Knutsen, McConnochie, Lemmon et al., 2024) presentato alla decima International Conference on Mars. Il 15 maggio l’articolo è stato finalmente pubblicato e grazie a questa versione estesa possiamo aggiungere alcuni elementi.
A sinistra la prima foto di un’aurora verde osservata su Marte, Sol 1094 di Mars 2020. A destra è riportata un’immagine di confronto del cielo notturno in cui il fenomeno è assente. La notte è illuminata dal satellite Deimos e dall’ancor più luminoso Fobos, fuori dall’inquadratura. Le tonalità rosse del cielo sono dovute all’abbondante polvere in sospensione nell’atmosfera. Foto eseguite con MastCam-Z. Crediti: NASA/JPL-Caltech/ASU/MSSS/SSI
Il 15 marzo 2024, in seguito a un flare di intensità C4.9 originato dalla macchia solare AR3599, si è generata una potente espulsione di massa coronale che dal Sole ha viaggiato sino a Marte. Qui un’intera flotta di apparati era pronta a intercettare un fenomeno sino a quel momento solo teorizzato: l’emissione alla lunghezza d’onda di 557.7 nm, legata all’ossigeno atomico eccitato che anche sulla Terra produce il colore verde associato alle aurore.
Attraverso modelli matematici, il gruppo di lavoro guidato da Elise W. Knutsen (prima autrice dell’articolo) ha calcolato l’angolo ottimale con cui tentare l’osservazione dell’aurora dovuta alle SEP (solar energetic particle) in arrivo e massimizzare così la possibilità di rilevazione con lo spettrometro della SuperCam e le camere MastCam-Z.
La collaborazione tra team diversi è stata cruciale, garantendo l’opportunità di selezionare un fenomeno con intensità sufficiente a produrre l’emissione verde ricercata. Il Moon to Mars (M2M) Space Weather Analysis Office e il Community Coordinated Modeling Center(CCMC) hanno contribuito fornendo e analizzando in tempo reale i dati sulle eruzioni solari, producendo le simulazioni di CME (coronal mass ejection) e stimando i tempi d’impatto.
Quando è stata diramata l’allerta per la CME di metà marzo 2024 e “ne abbiamo visto l’intensità” – commenta Knutsen – “abbiamo stimato potesse generare un’aurora sufficientemente luminosa per essere rilevata dai nostri strumenti.”
Alcuni giorni dopo l’espulsione di massa coronale è giunta su Marte dove ha prodotto il fenomeno atteso e splendidamente documentato da Perseverance: un debolissimo bagliore verde presente quasi uniformemente in tutto il cielo esattamente alla lunghezza d’onda di 557.7 nm. L’arrivo della CME è stato confermato indipendentemente dagli strumenti a bordo dei satelliti MAVEN della NASA e da Mars Express dell’ESA.
“Le osservazioni dell’aurora nella luce visibile effettuate da Perseverance confermano un nuovo modo di studiare questi fenomeni, complementare a quanto possiamo osservare con i nostri orbiter marziani”, ha dichiarato Katie Stack Morgan, Project Scientist ad interim di Perseverance presso il Jet Propulsion Laboratory della NASA. “Una comprensione più approfondita delle aurore e delle condizioni attorno a Marte che ne determinano la formazione è particolarmente importante mentre ci prepariamo a inviare lì, in sicurezza, degli esploratori umani”.
Questa rilevazione di successo, eseguita nel Sol 1094 della missione Mars 2020, è stata solo una di quattro complessive simili osservazioni che hanno tentato di rilevare il fenomeno dell’aurora nel cielo di Marte. Gli altri tentativi (eseguiti nei Sol 790, 900 e 1108) sono falliti ma hanno fornito dei profili di segnale medio indispensabili per discriminare l’eccesso nel canale verde dovuto all’aurora.
Profili del segnale in eccesso nel verde per tutti e quattro i tentativi di rilevamento dell’aurora. Il segnale medio in eccesso nel verde è espresso in funzione dell’angolo di elevazione. I profili Mastcam-Z e il modello sono mostrati come linee, mentre le misurazioni della radianza da parte di SuperCam sono indicate con rombi. I colori rappresentano diversi sol della missione. Solo il sol 1094 (linea verde continua) ha prodotto un rilevamento positivo. Le aree ombreggiate in verde e grigio rappresentano, rispettivamente, l’incertezza strumentale di Mastcam-Z per il miglior adattamento e l’intervallo di confidenza al 95% comprensivo delle incertezze dovute alle correzioni per la luce diffusa di Phobos. La linea tratteggiata arancione mostra il risultato di un modello di trasferimento radiativo per la riga aurorale adattato alla misurazione di SuperCam del sol 1094. (Knutsen EW, McConnochie TH, Lemmon M et al., Detection of visible-wavelength aurora on Mars. Sci Adv. 2025 May 16)
Alba marziana con Deimos e il Leone
Il rover Perseverance ci regala un’altra splendida immagine catturata prima dell’alba del Sol 1433 (1 marzo) all’ora locale 4:27. Sull’orizzonte est viene immortalata la piccola luna marziana Deimos, lunga appena 12 km e in quel momento distante circa 22000 km dal rover.
Alba marziana fotografata da Perseverance, Sol 1433. NASA/JPL-Caltech
Gli esperti elaboratori del JPL dichiarano che la foto è il risultato di 16 singole acquisizioni eseguite con la Left NavCam e combinate direttamente dal computer di bordo prima del loro invio. Per ciascuno scatto la camera di navigazione è stata impostata sul tempo massimo di acquisizione di 3.28 secondi, producendo così un’immagine che copre un intervallo complessivo di poco più di 52 secondi. Il campo inquadrato è di 90°x70°.
L’aspetto nebbioso dell’immagine è dovuto alla bassissima luminosità della scena che ha richiesto pesanti interventi di elaborazione. È presente un grande disturbo digitale legato sia al rumore elettronico del sensore che a qualche raggio cosmico che di tanto in tanto ha raggiunto il dispositivo di acquisizione. Quest’ultimo disturbo è visibile come brevi scie di pixel luminosi, non è difficile trovarne degli esempi quando si visiona l’immagine a piena risoluzione (disponibile a questo link).
Uno zoom spinto dell’immagine (reso possibile dal fatto che questa acquisizione non ha subito downscaling ed è stata inviata alla massima risoluzione permessa dalla NavCam, 5120×3840 pixel) è in grado di rivelare dettagli aggiuntivi.
Andando a indagare nelle vicinanze di Deimos si individuano due corte scie stellari non dovute a raggi cosmici. Si tratta di Regolo e Algieba, due tra gli astri più luminosi della costellazione del Leone.
Vale la pena notare che Deimos, a differenza delle due stelle che hanno prodotto una scia di circa 0.2°, appare invece immobile. Questo è dovuto al periodo dell’orbita del satellite attorno al suo pianeta esattamente di 30,312 ore. È un tempo comparabile a quello del giorno marziano (24 ore e 39 minuti) e il risultato è che, visto da Marte, Deimos impiega circa 5,34 giorni marziani per tornare allo stesso punto nel cielo. Durante questo tempo il suo moto apparente, in direzione concorde con quello delle stelle, è estremamente lento e ciò fa sì che in lunghe esposizioni come quella qui analizzata sembri praticamente immobile.
Per questo aggiornamento da Marte è tutto, alla prossima!
News da Marte #39: il ciclo del carbonio marziano svelato da Curiosity
Grazie ai dati del rover Curiosity sono stati scoperti minerali che raccontano una storia affascinante: miliardi di anni fa su Marte era attivo un ciclo del carbonio.
È stato a lungo ritenuto che Marte possedesse un’atmosfera molto più densa di quella attuale e ricca di anidride carbonica. Le ricerche portate avanti sino a questo momento fallivano però nel trovare le evidenze fossili nelle rocce di questo composto. Lo studio pubblicato su Science il 17 aprile (Carbonates identified by the Curiosity rover indicate a carbon cycle operated on ancient Mars, Tutolo et al.) segna un punto di svolta nella comprensione della storia del clima e della geochimica del pianeta rosso.
Le tracce del passato in una roccia marziana
Se Marte avesse posseduto un’atmosfera con abbondanza di CO2, le prove sarebbero nelle rocce: l’anidride carbonica e l’acqua reagiscono e formano minerali carbonati. Le cronache delle attività dei rover marziani abbondano di rinvenimenti di questi minerali, ma sino a questo momento le rivelazioni spettrali compiute dagli orbiter e quelle in situ con gli strumenti in dotazione ai robot non avevano mai rilevato quantità di carbonati sufficienti a confermare le teorie.
Tra la fine del 2022 e l’autunno del 2023 Curiosity ha affrontato un’avanzata verso sud in direzione di Aeolis Mons che ha visto il rover risalire un centinaio di metri di quota. Durante la sua esplorazione della formazione sedimentaria denominata Mirador, Curiosity ha analizzato quattro campioni prelevati da diverse profondità con il suo strumento CheMin, in grado di identificare i minerali attraverso la diffrazione a raggi X.
Nella sua ricerca di carbonati alla base della formazione, il rover ha prelevato il primo campione il 19 ottobre 2022. Canaima, questo il suo nome, mostrava la presenza di cristalli di starkeyite.
Curiosity ha proseguito il suo spostamento entrando nella formazione geologica denominata Marker Band. In questa regione, tra i Sol 3752 e 3980 (marzo-ottobre 2023), il rover ha analizzato tre campioni: Tapo Caparo, Ubajara e Sequoia. Se tali nomi vi risultano familiari siete evidentemente assidui lettori e lettrici di questa rubrica perché in passato sono comparsi nelle pagine di News da Marte (ai relativi link potete comunque rinfrescarvi la memoria).
Foto del foro relativo al campione “Sequoia”, Sol 3980. NASA/JPL-Caltech
Ma torniamo ai nostri campioni. In essi i ricercatori hanno individuato abbondanza di siderite (FeCO₃), un minerale carbonatico ferroso presente in concentrazioni fino al 10% in peso rispetto alla roccia. È la prima volta che questo tipo di carbonato viene trovato in quantità così elevate su Marte, e prima d’ora la sua rilevazione così abbondante era sfuggita alle osservazioni orbitali perché ricoperta superficialmente da differenti minerali.
(A) Colonna stratigrafica che mostra le altezze e le interpretazioni sedimentologiche della sezione verticale di 89 m attraversata dal rover. I gruppi, formazioni e membri rappresentano le unità sedimentarie, con stili di tratteggio indicanti la litologia. I cerchi neri segnano i luoghi di campionamento: CA (Canaima), TC (Tapo Caparo), UB (Ubajara) e SQ (Sequoia). Le linee verticali spesse segnano le elevazioni dove sono stati rilevati minerali di Mg-solfato (linea continua) e siderite (linea tratteggiata). (B) Mosaico di immagini ottiche orbitali del cratere Gale, con il percorso del rover Curiosity (linea bianca) su Mt. Sharp. I confini dei membri corrispondono alla sezione in (A). I punti di osservazione ChemCam sono riportati come cerchi colorati, indicanti la differenza rispetto alla composizione media del letto roccioso Chenapau. Tutolo et al.(2025)
Cosa racconta la siderite?
La siderite si forma in ambienti poveri d’acqua ma ricchi di anidride carbonica e con condizioni chimiche riducenti, cioè in assenza di ossigeno. Le analisi suggeriscono che questi carbonati si sono depositati attraverso l’evaporazione di acque sotterranee, in una fase in cui l’ambiente era abbastanza alcalino da permetterne la precipitazione.
Questa scoperta dimostra che, miliardi di anni fa, su Marte esistevano fluidi che reagivano con le rocce del sottosuolo in modo simile a quanto avviene sulla Terra. Ma soprattutto, la presenza di questi minerali implica che una parte dell’atmosfera marziana fu sequestrata nelle rocce attraverso reazioni chimiche. Le stime, basate su analisi spettrografiche orbitali, ipotizzano che i carbonati abbiano trattenuto tra 0,01 e 1 bar di anidride carbonica.
(A) I dati di diffrazione a raggi X ottenuti dallo strumento CheMin per tre campioni marziani. I picchi indicano la presenza di minerali specifici, come siderite, gesso, pirosseno e altri. (B) I diagrammi a torta mostrano le percentuali dei minerali (e delle componenti amorfe) presenti nei campioni Tapo Caparo, Ubajara e Sequoia. La quantità di siderite è evidenziata in ciascuno. (C) Il diagramma triangolare confronta la composizione dei carbonati trovati nei campioni con quella di carbonati già noti da meteoriti marziani e da Comanche, un sito precedentemente studiato nel cratere Gusev. Tutolo et al.(2025)
Nelle descrizioni dei ricercatori, miliardi di anni fa il pianeta rosso era molto diverso da Marte come lo conosciamo ora. L’attuale atmosfera contiene soli 6 mbar di CO2, ma in passato si stima che le sole eruzioni vulcaniche possano averne fornito sino a 10 bar. Anche tenendo conto del gas disperso nello spazio (circa 3 bar) ci sarebbe comunque stata sufficiente pressione affinché l’acqua potesse essere presente stabilmente allo stato liquido.
Un ciclo del carbonio marziano
Ma la storia non finisce qui. I ricercatori hanno anche identificato minerali come ematite, goethite e akaganeite che, detto in termini estremamente specialistici, sono derivati dalla diagenesi della siderite in condizioni ossidanti. Per i non specialisti: con diagenesi si intendono i processi che trasformano i sedimenti in rocce compatte successivamente alla loro deposizione.
Questo indica che una parte del carbonio, inizialmente intrappolata nei carbonati, fu successivamente rilasciata nell’atmosfera marziana chiudendo così un ciclo del carbonio parzialmente simile a quello terrestre.
Lo schema illustra il ciclo del carbonio proposto per l’antico Marte. L’evaporazione delle acque sotterranee porta inizialmente alla formazione di siderite, che intrappola CO₂ atmosferica. Con l’aumento dell’evaporazione si depositano solfati di calcio e magnesio. I sedimenti trasportati dal vento fanno salire nel tempo la zona di evaporazione. In una fase successiva, fluidi poveri di siderite infiltrano i sedimenti, distruggendo parte della siderite formata e liberando nuovamente CO₂ nell’atmosfera. Tutolo et al.(2025)
Implicazioni globali
Anche se queste scoperte provengono da un’unica area del cratere Gale, i ricercatori ipotizzano che sedimenti simili possano essere presenti in molte altre regioni del pianeta. Se confermata, la presenza diffusa di siderite potrebbe significare che Marte ha sequestrato (e in parte rilasciato) quantità di CO₂ comparabili a quelle dell’atmosfera odierna del pianeta, offrendo nuove chiavi di lettura sulla sua evoluzione climatica.
“Perforare la superficie stratificata marziana è come sfogliare un libro di storia” ha enfatizzato il ricercatore Thomas Bristow, coautore dello studio. “Bastano pochi centimetri di profondità per darci un’ottima idea dei minerali che si sono formati sulla superficie o nelle sue immediate vicinanze circa 3,5 miliardi di anni fa.”
Questa scoperta rafforza l’idea che Marte non sia sempre stato il deserto gelido che conosciamo oggi. La sua storia geologica rivela un mondo dinamico, con acqua liquida, reazioni chimiche attive e un’atmosfera capace di trasformarsi. E chissà: dove c’è un ciclo del carbonio, potrebbe esserci stata anche una nicchia abitabile.
Continuate a seguire News da Marte e Bentornatisu Marte, la rubrica ospitata sulla rivista Coelum Astronomia che ogni due mesi va nel dettaglio delle scoperte e delle notizie più interessanti relative al Pianeta Rosso.
News da Marte #38 – Curiosity trova lunghissime molecole organiche
Bentornati su Marte! Il rover Curiosity della NASA ha colpito ancora. Stavolta (o per meglio dire nel 2013), frugando tra le polveri di un antico lago marziano, ha scovato le più grandi molecole organiche mai trovate sul Pianeta Rosso. La scoperta è stata pubblicata lunedì 24 marzo sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences e alimenta l’ipotesi che la chimica prebiotica su Marte possa essere stata più complessa di quanto immaginassimo.
Grandi molecole, domande ancora più grandi
Gli scienziati hanno analizzato un campione di roccia chiamato Cumberland e prelevato nel 2013 da Curiosity nella zona di Yellowknife Bay, all’interno del cratere Gale. A distanza di anni nuove analisi hanno rivelato la presenza di decano, undecano e dodecano, catene molecolari costituite rispettivamente da 10, 11 e 12 atomi di carbonio. Questi composti sembrano essere frammenti di acidi grassi, molecole fondamentali sulla Terra per la costruzione delle membrane cellulari. Questo però non implica necessariamente un’origine biologica: gli acidi grassi possono anche formarsi senza la presenza di vita, grazie a reazioni chimiche come quelle che avvengono nelle bocche idrotermali.
Il rover Curiosity della NASA ha perforato questa roccia, chiamata “Cumberland”, durante il 279° giorno marziano (o sol) della sua missione su Marte, il 19 maggio 2013, raccogliendo un campione di polvere dall’interno della roccia. Situata nella regione di Yellowknife Bay, all’interno del cratere Gale, questa zona era un tempo il fondo di un antico lago, offrendo condizioni ideali per la conservazione di molecole organiche. Le analisi successive hanno rivelato la presenza di composti organici complessi, tra cui decano, undecano e dodecano, le molecole organiche più grandi mai scoperte su Marte. Crediti: NASA/JPL-Caltech/MSSS
Un passo avanti verso la vita?
La cosa esaltante è che finora su Marte erano stati individuati solo composti organici piuttosto semplici. Questi nuovi ritrovamenti dimostrano che la chimica organica su Marte potrebbe essersi spinta più in là, forse fino a livelli compatibili con l’origine della vita. Inoltre, la scoperta dà una speranza concreta di trovare anche quelle molecole biologiche che possono essere considerate vere “firme” della vita passata, le cosiddette biosignature.
Questa grafica mostra le molecole organiche a catena lunga decano, undecano e dodecano. Si tratta delle molecole organiche più grandi scoperte su Marte fino a oggi. Crediti: NASA/Dan Gallagher
La ricerca fornisce un’altra buona notizia, ovvero che questi composti hanno resistito per miliardi di anni nonostante le difficili condizioni marziane. Significa che, se su Marte è mai esistita la vita, potremmo ancora avere una chance di trovarne le tracce.
Il fascino di Yellowknife Bay
La zona di Yellowknife Bay era risultata già molto interessante per gli scienziati. Si tratta di un’area che un tempo ospitava un lago, offrendo le condizioni ideali per preservare molecole organiche nel fango sedimentario. Le analisi precedenti su Cumberland avevano già rivelato un mix di argille (formatesi in acqua), zolfo (perfetto per conservare le molecole organiche), nitrati (importanti per la vita sulla Terra) e perfino metano con un tipo di carbonio che sulla Terra è associato ai processi biologici. Insomma, se dovessimo scegliere un posto su Marte dove un giorno scovare prove di vita passata, Yellowknife Bay sarebbe un candidato ideale.
Un aspetto esplorato dagli autori dello studio è la possibilità di trovare catene organiche ancora più lunghe di 13 atomi di carbonio. Questo rappresenterebbe una prova estremamente potente che potrebbe persino escludere per questi composti l’origine non biologica in quanto tali processi tipicamente generano catene più corte di 12 atomi. Purtroppo gli strumenti in possesso di Curiosity, in particolare il Sample Analysis at Mars (SAM) impiegato per queste analisi, non sono ottimizzati per rilevare moleecole più lunghe di quelle già individuate.
La scoperta del rover non fa che confermare l’importante di portare sulla Terra campioni marziani, per analizzarli con strumenti avanzati impossibili da spedire sul Pianeta Rosso. Non a caso NASA e ESA stanno lavorando a Mars Sample Return, la missione di recupero dei materiali raccolti da Perseverance che mira a risolvere una volta per tutte il mistero della vita su Marte.
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News da Marte #37: nubi crepuscolari e nuovi crateri
Le attività di ricerca svolte sul Pianeta Rosso non riguardano solo le prove che possano indicare l’esistenza di una passata vita batterica marziana. Ci sono anche tanti altri aspetti affascinanti che vengono indagati, come l’atmosfera e l’interno del pianeta come testimoniano due recenti ricerche: il primo analizzato è stato analizzato dal rover Curiosity e il secondo dal lander Insight con un aiuto…dall’alto.
La rilevazione più recente risale a meno di un mese fa, il 17 gennaio, quando la Left MastCam ha immortalato in 33 fotogrammi il transito ad alta quota di questa particolare formazione nuvolosa. La ripresa è durata circa 16 minuti e le immagini sono state acquisite a intervalli di 30 secondi.
NASA/JPL-Caltech/MSSS/SSI
Nel video, ricomposto dagli specialisti del JPL e proposto velocizzato di 480 volte, si notano le nuvole transitare nella parte alta del fotogramma. Le nubi crepuscolari su Marte sono costituite da cristalli di anidride carbonica che, alle gelide temperature presenti a 60/80 km di quota, forma del ghiaccio. L’aggettivo “crepuscolare” fa riferimento al fatto che questo tipo di nube è troppo evanescente per essere visibile di giorno, e così la sua osservazione è possibile solo a ridosso dell’alba o del tramonto quando al suolo è buio ma gli alti strati dell’atmosfera vengono raggiunti dalla luce del Sole. A temperature superiori e quote leggermente inferiori, attorno ai 50 km, anche il debole vapore acqueo in atmosfera ghiaccia. Questo seconda tipologia di nubi si manifesta come pennacchi bianchi, anch’essi visibili nel video di Curiosity: sono le debolissime formazioni che compaiono nella parte inferiore dell’inquadratura e che si muovono in direzione opposta alle nubi crepuscolari.
Un secondo dettaglio del video riguarda non tanto il soggetto dell’acquisizione ma la visuale che risulta parzialmente oscurata da un cerchio. Non è un errore di elaborazione ma il modo con cui i tecnici di Curiosity stanno affrontando il problema alla ruota portafiltri della Left MastCam. Potreste ricordare da un vecchio articolo (News da Marte #23) che, dall’autunno 2023, la visuale della camera grandangolare del rover è parzialmente oscurata a causa della ruota che è rimasta bloccata a metà del filtro RGB. Questo intoppo sta tutt’ora privando il rover di oltre metà del campo permesso dalla camera a 34 mm oltre che della possibilità di eseguire osservazioni in alcune bande spettrali d’interesse per i geologi. In ogni caso, per non sprecare bit nella trasmissione delle immagini dalla superficie di Marte verso la Terra, la porzione nera nella parte destra del frame viene esclusa già in fase di acquisizione. È una procedura di crop dell’area utile del sensore, ben familiare a chi si occupa di acquisizione di immagini planetarie al telescopio.
Entità del problema alla ruota portafiltri della Left MastCam di Curiosity, Sol 3998. NASA/JPL-Caltech
Un nuovo cratere ci aiuta a capire l’interno di Marte
Le rilevazioni del sismometro di InSight, il lander della NASA con cui si sono persi i contatti il 15 dicembre 2022, continua a produrre nuova scienza. In un articolo pubblicato il 3 febbraio sulla rivista Geophysical Research Letters si descrivono i dettagli relativi alla correlazione tra un cratere individuato dal Mars Reconnaissance Orbiter e una scossa rilevata da InSight.
Immagine del cratere acquisita dalla camera HiRise di MRO il 4 marzo 2021. NASA/JPL-Caltech/University of Arizona
Non solo i terremoti, ma anche gli impatti meteorici di significativa potenza, producono un concerto di onde sismiche che si propagano nella crosta e nel mantello dei pianeti rocciosi. L’analisi spettrale di queste onde e i differenti tempi di propagazione in base alle loro frequenze permette di approssimare un modello dell’interno del pianeta.
Proprio il cratere in oggetto, largo 21.5 metri e individuato a 1640 km da InSight nella regione di Cerberus Fossae, ha fornito spunti interessanti ai ricercatori. Nonostante la notevole distanza, le onde sismiche sono stato rilevate dal sismometro del lander con livelli di intensità significativi. Tali livelli non sarebbero stati possibili se le onde avessero viaggiato prevalentemente in superficie, in quanto la crosta marziana agisce come uno smorzatore. La spiegazione è che le vibrazioni abbiano quindi preso una via differente penetrando attraverso il mantello di Marte e trasmettendosi così sino alla posizione di InSight. Attraverso quella che i ricercatori hanno definito “autostrada sismica” le vibrazioni causate dagli eventi di impatto riescono a insinuarsi nell’interno del pianeta e propagarsi più facilmente di quanto sinora stimato.
Tra gli strumenti che negli ultimi anni stanno aiutando i ricercatori a individuare nuove caratteristiche su Marte, che siano crateri o diavoli di polvere, ci sono gli algoritmi di intelligenza artificiale. Dal 2021 il lavoro di analisi di centinaia di migliaia di immagini, pesante ed estremamente lento, è supportato da tecniche di machine learning che riescono a filtrare le acquisizioni eseguite dai satelliti in orbita marziana. L’analisi di una singola immagine della Context Camera (che possiamo vedere come la camera grandangolare di MRO), che richiedeva sino a 40 minuti di lavoro da parte di un operatore umano, adesso viene eseguita in meno di 5 secondi da un supercalcolatore. Anche il cratere individuato nella regione di Cerberus Fossae è stato scoperto nelle immagini grazie a questo nuovo strumento di elaborazione: un primo filtraggio ha rilevato 123 crateri recenti e un’analisi successiva a ridotto a 49 i potenziali match con i dati di InSight. L’intervento umano finale da parte di sismologi e ricercatori coinvolti nella stesura del paper scientifico ha poi individuato il cratere di interesse permettendo le successive analisi.
Anche per questo aggiornamento è tutto! Continuate a seguire News da Marte e Bentornatisu Marte, la rubrica ospitata sulla rivista Coelum Astronomia che ogni due mesi va nel dettaglio delle scoperte e delle notizie più interessanti relative al Pianeta Rosso.
Bentornati su Marte! Nella serata italiana di martedì 7 gennaio la NASA ha annunciato un’importante revisione del programma Mars Sample Return, destinato a riportare sulla Terra campioni raccolti dal rover Perseverance. Con un focus su costi, complessità e tempistiche, l’agenzia spaziale americana sta valutando due nuove opzioni per semplificare e accelerare il progetto.
Il contesto della missione
Dal 2021, il rover Perseverance sta esplorando il cratere Jezero su Marte. Fino ad oggi, il rover ha raccolto 28 campioni sigillati in tubi di titanio, rappresentativi di rocce, regolite e atmosfera. L’obiettivo del programma è recuperare questi campioni e riportarli sulla Terra per analisi che potrebbero rivoluzionare la comprensione del Pianeta Rosso e della sua evoluzione geologica.
Collage con le foto delle dieci fiale che Perseverance ha rilasciato al suolo tra dicembre 2022 e gennaio 2023 per la raccolta da parte di un futuro lander. NASA/JPL-Caltech
Tuttavia, il progetto originale, che prevedeva l’uso di diverse missioni e un approccio molto complesso, ha incontrato ostacoli significativi che abbiamo raccontato in numerosi appuntamenti di questa rubrica. I costi stimati avevano superato gli 11 miliardi di dollari e la data prevista per il recupero era slittata fino al 2040.
Nuova strategia: riduzione dei costi e maggiore efficienza
Nel briefing Bill Nelson, amministratore della NASA, ha spiegato come sia stato necessario “staccare la spina” al progetto originale e ripensare l’architettura della missione. Da aprile 2024 il team ha lavorato su due approcci principali:
Utilizzo della “Sky Crane” Questa opzione si basa sulla tecnologia già impiegata con successo per l’atterraggio dei rover Curiosity e Perseverance. Il sistema prevede l’uso di un lander dotato di un braccio robotico per trasferire i campioni su un veicolo di ascesa marziano (Mars Ascent Vehicle), che li trasporterà nell’orbita di Marte. Da lì, un orbiter dell’Agenzia Spaziale Europea, li raccoglierà e li riporterà sulla Terra. Questa opzione offre un costo stimato di 6,6-7,7 miliardi di dollari e riduce la complessità del sistema.
Rappresentazione della Sky Crane in azione mentre depone Perseverance sul suolo marziano. NASA/JPL-Caltech
Coinvolgimento di partner commerciali L’altra opzione esplora l’uso di un grande lander commerciale fornito da aziende come SpaceX o Blue Origin. Questo approccio mira a sfruttare le capacità di carico elevate offerte dai veicoli commerciali. I costi stimati vanno dai 5,8 ai 7,1 miliardi di dollari.
Un focus su semplicità e rapidità
Indipendentemente dall’opzione scelta, il nuovo approccio mira a ridurre la complessità della missione e i rischi associati. È stato confermato un ruolo prioritario per il braccio robotico di Perseverance al fine di trasferire o comunque avvicinare i campioni direttamente al lander, riducendo la necessità di componenti aggiuntivi. A riguardo sembra accantonata l’idea di ricorrere a due piccoli elicotteri, sviluppati sul progetto di Ingenuity e dotati di un piccolo braccio robotico, per recuperare le dieci fiale rilasciate dal rover due anni fa. Tra le innovazioni chiave discusse c’è l’introduzione di un sistema di alimentazione a radioisotopi che sostituiranno i pannelli solari, garantendo operatività anche durante le stagioni di tempeste di polvere marziane. A livello di trasferimento orbitale è stato poi scartata l’idea di un passaggio intermedio nell’orbita cis-lunare, che avrebbe comportato costi e complessità aggiuntivi, preferendo il ritorno diretto verso la Terra.
La NASA prevede di scegliere definitivamente l’architettura della missione entro la metà del 2026. Le prime missioni di lancio potrebbero avvenire già nel 2030 (orbiter di ritorno) e nel 2031 (lander e sistema di ascesa). Questo permetterebbe di recuperare i campioni entro la metà degli anni 2030, in anticipo rispetto alle previsioni più recenti piano originale. L’amministratore Nelson evidenzia che già a partire dal 2025 sarà necessario uno stanziamento di almeno 300 milioni di dollari da parte del Congresso per evitare ulteriori ritardi.
Concorrenza internazionale: la pressione della Cina
Un tema cruciale emerso durante il briefing è la competizione con la Cina, che ha annunciato piani per una propria missione di ritorno di campioni marziani entro la fine del decennio. Sebbene la NASA sottolinei la superiorità scientifica del proprio approccio, la pressione per accelerare il progetto è evidente. “Non possiamo lasciare che il primo ritorno di campioni avvenga su una navicella cinese” ha dichiarato Nelson, evidenziando l’importanza scientifica e politica del programma.
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News da Marte #35
Bentornati su Marte! Questo nuovo aggiornamento dal Pianeta Rosso è interamente dedicato un rapporto preliminare presentato dalla NASA che fa luce sulla dinamica dell’incidente fatale che ha messo fine ai quasi 1000 giorni di operazioni di volo dell’elicotterino Ingenuity. Si parte!
L’ultimo volo di Ingenuity
È passato quasi un anno dal 18 gennaio 2024, il giorno in cui l’elicottero Ingenuity eseguì il suo ultimo volo. Si trattò della sua 72esima attività, programmata dagli ingegneri del Jet Propulsion Laboratory con lo scopo di confermare la posizione dell’elicottero che nel precedente volo si era, diciamo così, smarrito. Il volo 71 era stato interrotto bruscamente con un atterraggio di emergenza perché, dopo 35 secondi dal decollo, il sistema di navigazione ottica non riusciva più a calcolare lo spostamento rispetto al terreno a causa dell’assenza di dettagli al suolo. Per verificare con precisione la posizione di atterraggio di Ingenuity viene così programmata una breve attività aerea della durata di 32 secondi.
Come detto, l’elicottero si trovava a operare in una zona con un suolo privo di caratteristiche superficiali significative e con in più la presenza di importanti variazioni nel livello del terreno a causa delle dune di sabbia. Un ambiente estremamente diverso da quello che aveva ospitato i primi 5 voli di test di Ingenuity, pianeggiante e ricco di piccoli sassi.
La programmazione del volo 72 consisteva in una rapida ascesa alla quota di 12 metri, lo stazionamento di alcuni secondi per catturare le immagini aeree e l’inizio della discesa 19 secondi dopo il decollo. Al 32esimo secondo, ad atterraggio quasi completato, la telemetria però si interruppe improvvisamente. Nei giorni che seguirono la NASA riuscì a riprendere contatto con l’elicottero e scattare alcune foto che documentavano lo stato dell’apparato: con grande delusione si scoprì che le punte delle quattro eliche erano spezzate. Terminava così la missione di esplorazione di Ingenuity.
Ingenuity sulla destra dell’immagine, adagiato su un crinale sabbioso. Sul lato opposto una delle sue eliche, scagliata a 15 metri di distanza. NASA/JPL-Caltech/LANL/CNES/CNRS
Cos’è successo quel giorno
Ci aiuta a ricostruire i fatti un’indagine dell’incidente, la prima a riguardare un velivolo su un altro pianeta. L’ha eseguita dalla NASA in collaborazione con AeroVironment, la compagnia che ha collaborato alla progettazione di Ingenuity. Il dettagliato rapporto sull’incidente sarà rilasciato nelle prossime settimane ma una news pubblicata dall’agenzia spaziale statunitense l’11 dicembre ci dà una prima interessante panoramica.
La catena di eventi che ha portato al danneggiamento dell’elicottero inizia probabilmente dal problema con il sistema di navigazione, basato sulla camera in bianco e nero puntata verso il basso, che non è riuscito a tracciare lo spostamento di Ingenuity nel corso del volo. Combinando l’informazione dell’altitudine con lo spostamento relativo dei sassi che riusciva a individuare, il sistema calcolava lo spostamento reale dell’elicottero e ne permetteva anche la stabilizzazione.
I dati di volo inviati da Ingenuity mostrano che dopo 20 secondi dal decollo l’apparato non riusciva più a trovare dei punti di riferimento e questo potrebbe aver causato una decisa deriva nello spostamento laterale mentre l’elicottero stava ancora discendendo al suolo.
Infografica con la sequenza dell’incidente occorso a Ingenuity. NASA/JPL-Caltech, traduzione Piras
Lo scenario più plausibile suggerisce un impatto violento sulla duna che combinato con la traslazione orizzontale ha portato Ingenuity a inclinarsi su un lato. Le eliche in rapidissima rotazione avrebbero quindi toccato il terreno spezzandosi tutte e quattro nel punto strutturalmente più fragile (a circa un terzo della loro lunghezza a partire dalla punta). Le eliche in queste condizioni, molto sbilanciate, avrebbero indotto forti vibrazioni nel sistema a doppio rotore comportando il distacco completo di una delle quattro eliche che è stata così scagliata a circa 15 metri di distanza. Durante questa sequenza di eventi un eccessivo assorbimento di corrente ha probabilmente portato al riavvio del computer di bordo e con esso alla perdita delle comunicazioni e delle immagini acquisite sino a quel momento.
NASA/JPL-Caltech/LANL/CNES/IRAP/PirasUno dei fotogrammi acquisiti da Ingenuity nel Sol 1059 (11 febbraio) durante le fasi di indagine sull’incidente. L’ombra delle due eliche mostra chiaramente le punte spezzate. NASA/JPL-Caltech
Ingenuity non vola più ma lavora ancora da terra
Evidentemente impossibilitato nel proseguire le sue attività aeree, alcuni mesi fa l’elicotterino è stato riprogrammato dai tecnici NASA per svolgere dei compiti di monitoraggio meteorologico. Nel dare aggiornamenti sull’indagine relativa all’incidente di Ingenuity è stato anche rivelato che i contatti radio con il rover Perseverance stanno proseguendo al ritmo di circa uno alla settimana, il che permette di scaricare dati meteo e di avionica (non è chiaro in cosa consistano). Ogni minima informazione sarà preziosa per lo sviluppo dei futuri esploratori aerei che voleranno nei cieli di Marte, il primo dei quali potrebbe essere Mars Chopper. Si tratterà di un apparato con sei motori quasi 20 volte più pesante di Ingenuity (quindi oltre 35 kg!) pensato per eseguire voli giornalieri di 3 chilometri trasportando un carico scientifico significativo.
Rendering del futuro Mars Chopper. NASA/JPL-Caltech
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News da Marte #34
Siamo di nuovo sul Pianeta Rosso! In queste ultime settimane Perseverance ha proseguito il suo spostamento verso ovest che stiamo documentando ormai da fine settembre. Tra spettacolari panorami e un insolito campo di candide rocce, vediamo quali sono state le sue attività più recenti. Partiamo!
Un panorama per la missione
Riguardo appunto alle immagini, un nuovo mosaico è stato recentemente diffuso nei canali NASA e in un colpo solo ci permette di osservare quasi tutte le regioni di Marte che Perseverance ha attraversato nei suoi anni sul Pianeta Rosso. Quest’ultima non è un’iperbole perché, grazie alle annotazioni, siamo in grado di individuare persino il sito di atterraggio dove il 18 febbraio 2021 il rover toccò la polvere marziana per la prima volta.
Panorama composto da 44 immagini acquisite il 27 settembre (Sol 1282) che spazia per decine di km. NASA/JPL-CaltechPiccolissimo ritaglio di una porzione dell’immagine. Al centro, distante 8.7 km, c’è persino il sito di atterraggio di Mars 2020. NASA/JPL-Caltech
In questa immagine, e più precisamente la versione annotata con quasi 50 punti di interesse, riconosciamo alcune delle caratteristiche che ci hanno accompagnato in questi anni in cui abbiamo affiancato il rover nel corso della sua esplorazione di Marte. Per esempio la piana sopraelevata Kodiak, vista da vicino nell’aprile 2021, l’affioramento roccioso Enchanted Lake toccato nell’aprile 2022, o la regione di South Seitah sorvolata a 12 metri di altezza dall’elicottero Ingenuity il 5 agosto 2021.
Il panorama a piena risoluzione è grande 164 MB ma vale la pena perdersi al suo interno, lo trovate sul sito della NASA a questo link.
Nuove rocce a Pico Turquino
Sembra di aver fatto un viaggio nel tempo, ma torniamo ora a cronache ben più recenti.
Per esempio alla foto di una roccia osservata nel Sol 1302 (18 ottobre) a cui viene assegnato il nome Observation Rock. Ci troviamo nella località Curtis Ridge, circa 200 metri a nord-est della posizione attuale individuata dalla mappa sottostante. Pico Turquino è invece il nome della più ampia regione in cui il rover sta transitando.
Mappa aggiornata al 13 novembre (Sol 1326). NASA/JPL-CaltechImmagine di Observation Rock nell’elaborazione prodotta dagli esperti grafici. NASA/JPL-Caltech
Le tonalità apparentemente anomale sono dovute all’elaborazione, finalizzata ad aumentare il contrasto ed esaltare le deboli variazioni cromatiche. Insomma, non si tratta affatto di “rocce blu” scoperte da Perseverance come titolato in modo decisamente improprio da alcune testate qualche settimana fa riguardo a simili immagini marziane.
Strani ciottoli chiari
Dieci giorni dopo la ripresa di Observation Rock, e a meno di 80 metri di distanza in linea d’aria, Perseverance si trova impegnato in nuovi rilievi fotografici: alla base dell’area sopraelevata denominata Mist Park le camere del rover inquadrano un campo di sassi brillanti il cui colore molto chiaro risalta rispetto al rosso della polvere marziana e degli altri massi.
Non è la prima volta che queste regioni mostrano di ospitare delle rocce particolari, oseremmo dire fuori posto rispetto al resto delle caratteristiche geologiche. E questo è un piccolo mistero per gli scienziati.
Campo di rocce chiare catturato dalla Right NavCam nel Sol 1311 (27 ottobre)
Sulla Terra siamo abituati alla diversità geologica perché questa è perfettamente giustificata dai complessi processi indotti dall’attività tettonica, che “mescolando” i materiali che costituiscono la crosta sono in grado di produrre minerali dall’ampia varietà chimica e cromatica. Ma su Marte, con tettonica a placche fondamentalmente inesistente e una chimica della crosta dominata dal basalto, abbondano minerali scuri come olivina e pirosseni mentre i materiali chiari sono estremamente più rari.
Panoramica della regione di Mist Park. Left MastCam-Z, Sol 1311. NASA/JPL-Caltech/Piras
Questa chicca inattesa ha portato gli scienziati a richiedere al rover ulteriori investigazioni fotografiche (la cosiddetta remote science) con i filtri spettrali delle MastCam-Z e con il laser vaporizzatore della SuperCam. Purtroppo la scienza di prossimità non è stata possibile perché i sassolini sono troppo piccoli per essere ispezionati in sicurezza dagli strumenti montati sopra il braccio robotico di Perseverance. L’auspicio è che rocce più grandi ma con analoga composizione saranno trovate più avanti lungo il tragitto programmato così da poter procedere con analisi di maggior dettaglio anche del loro interno.
Un secondo mistero legato a queste rocce riguarda le modalità con cui sono arrivate qui venendo sparpagliate in un’area di soli pochi metri quadrati. Anche in questo caso, come per recenti ritrovamenti fuori posto, una delle ipotesi è che questi sassi siano arrivati qui per rotolamento da regioni a maggior altitudine esposte a un materiale bianco di qualche tipo. Un’altra possibile spiegazione è che siano ciò che resta di un’erosione che ha interessato una vena rocciosa, con i materiali più deboli che sarebbero stati dissolti portando alla luce queste rocce più solide.
Dettaglio su alcune delle rocce di Mist Park fotografate con la MastCam-Z di sinistra impostata a 110 mm di focale. NASA/JPL-Caltech/Piras
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News da Marte #33
Facciamo di nuovo tappa sul Pianeta Rosso con nuove notizie sui rover Perseverance e Curiosity. Si parte!
Un panorama
Terreno scivoloso
Nel Sol 1285 (30 settembre) Perseverance è impegnato ad aggirare un promontorio e sta cercando una via verso ovest dopo la faticosa ascesa raccontata in News da Marte #32. I piloti della NASA programmano il rover per una salita ma qualcosa sembra non vada per il verso giusto. La telemetria e le foto scattate dalle camere di navigazione tracciano un quadro chiaro dimostrando che il nostro robot non sia riuscito a completare il percorso previsto e che abbia slittato alcune volte durante i tentativi di avanzamento. Queste perdite di trazione sono visibili nella mappa dello spostamento come delle apparenti lievi correzioni di rotta.
Le due tracce gialle mostrano il percorso di Perseverance nei Sol 1285 e 1286 (rispettivamente la porzione a destra e a sinistra). NASA/JPL-Caltech
La sabbia di questa regione dimostra delle proprietà particolari e si comporta in modo imprevisto, quasi come se fosse umida. Incastrandosi tra le righe trasversali del battistrada delle ruote genera un corpo compatto che slitta al suolo rallentando l’avanzamento del rover. La soluzione più semplice sarebbe stata quella di prendere atto delle complicazioni, fare “inversione” e cercare un’altra strada. Ma questo avrebbe voluto dire allungare i tempi di spostamento e rinunciare a degli obiettivi scientifici che il team di geologi aveva evidentemente molto a cuore.
Quindi i piloti non si sono persi d’animo ed escogitano una soluzione brillante che consiste nel far procedere Perseverance…in retromarcia. Possiamo ipotizzare che si sia trattato di un discorso di bilanciamento, sfruttando magari il peso del generatore a radioisotopi (45 kg) che in questa inedita configurazione di spostamento si trovava quindi a generare una significativa leva sulle ruote posizionate più in alto. Sta di fatto che la mossa, eseguita nel Sol 1288, ha successo e permette al rover di risalire il crinale quanto basta prima di compiere una rotazione su sé stesso e proseguire verso ovest in assetto più convenzionale.
Sol 1287, dettaglio della ruota posteriore destra di Perseverance. La sabbia si è compattata in mezzo agli inserti in titanio del battistrada, compromettendo la trazione. Anche le tracce delle ruote sono estremamente confuse rispetto a quelle molto precise a cui siamo abituati. NASA/JPL-Caltech/PirasSol 1288, la ripresa con la Left NavCam mostra la parte posteriore del rover. Alle sue spalle mancano le consuete tracce nella sabbia o almeno i segni di una rotazione sul posto, a dimostrazione che Perseverance ha percorso questo tratto in retromarcia. NASA/JPL-Caltech/PirasFoto del Sol 1288. Con la freccia gialla è indicata la posizione da cui l’immagine è stata acquisita al termine della giornata di spostamenti. In evidenza anche (marcato con la freccia rossa) lo stesso dettaglio nella sabbia con riferimento sia alla foto che alla mappa. Quello è presumibilmente il punto da cui Perseverance ha iniziato lo spostamento in retromarcia. NASA/JPL-Caltech/Piras
La Terra e Fobos osservati da Curiosity
Non è raro che i rover marziani vengano usati per fotografare il cielo del Pianeta Rosso. Questo avviene spesso di giorno per misurare il tau (il tasso di oscuramento legato alle polveri, rilevato quasi quotidianamente) o riprendere i transiti dei due satelliti di fronte al disco solare.
L’ultima osservazione di questo tipo risale al 30 settembre ad opera di Perseverance che ha ripreso un passaggio della luna maggiore di Marte, Fobos. Il video che vi propongo qui sotto consiste di 64 frame acquisiti in 47 secondi ed è velocizzato di 4 volte. I fotogrammi sono stati ripuliti dal rumore digitale e le transizioni interpolate per ottenere un risultato più fluido.
Video del transito di Fobos di fronte al Sole. Sol 1285 (NASA/JPL-Caltech/MSSS/Piras)
Sono più rare, e forse per questo parecchio più affascinanti, le riprese del cielo notturno di Marte.
Una di queste occasioni è capitata di recente a Curiosity che il 5 settembre (Sol 4295 di missione) è stato programmato per puntare il suo “sguardo” verso l’alto dopo il tramonto del Sole. Dalla sua posizione su Texoli, una collina isolata alle pendici del Monte Sharp, il rover ha eseguito una serie di scatti che hanno spaziato dall’orizzonte fino a circa 15° di elevazione. E in un piccolo angolo di cielo, grande appena mezzo grado, Curiosity ha eseguito la prima osservazione in assoluto di Fobos insieme alla Terra. I due corpi sono visibili nella parte alta dell’immagine, processata dagli esperti della NASA a partire da 17 foto. E qui si svela un piccolo “trucco” perché 5 di queste foto sono state eseguite di giorno mentre le restanti 12 sono esposizioni lunghe (comunque solo pochi secondi per evitare l’effetto scia) acquisite otto ore dopo, di notte, quando il Sole era tramontato da svariate ore e a più di 20° sotto l’orizzonte.
Le due immagini così come processate magistralmente dai grafici del JPL. NASA/JPL-Caltech
Però vediamo di aggiungere qualcosa alle cronache della NASA sin qui riportate, nello spirito di questa rubrica che spesso indaga dettagli nascosti ma (spero) di grande fascino.
L’elaborazione dell’immagine con lo zoom su Fobos e la Terra, in mezzo al notevole disturbo che emerge schiarendo le aree buie, rivela un piccolo “grumo” di pixel sospetto. Si tratta di distribuzione casuale del rumore digitale o c’è dell’altro?
Una possibile risposta viene dalla simulazione della scena immortalata da Curiosity tramite il software Stellarium. I dati della posizione possono essere ricavati dalla mappa messa a disposizione dalla NASA con la posizione del rover, le informazioni di scatto (con la data e l’ora in formato UTC) sono invece incluse nei metadati che corredano ogni singola immagine raw.
Il simulatore fornisce una risposta insperata: quel piccolo gruppo di pixel potrebbe essere la nostra Luna terrestre che brillava con magnitudine 2.8. Gli altri corpi erano invece estremamente più luminosi, con la Terra stimata a -1.7 e Fobos -4.1. Queste misure non tengono però conto dell’estinzione dovuta alla presenza di polveri nell’atmosfera di Marte, attualmente causa di un significativo oscuramento dovuto alle temperature in aumento.
Stellarium si conferma uno strumento di simulazione astronomica di notevole fedeltà. L’immagine qui mostrata è stata ottenuta modificando solo di una decina di arcominuti (corrispondenti all’incirca ad altrettanti km) la latitudine ricavata dalla mappa in modo da avvicinarsi quanto più possibile alla foto reale. L’ora di scatto è stata inserita esattamente come riportata nei metadati.
Sopra: elaborazione dell’immagine NASA con in evidenza l’area più chiara descritta. Sotto: simulazione da Stellarium. NASA/JPL-Caltech/Stellarium-Fabien Chereau/Piras
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Bentornati su Marte nella sezione News da Marte #32!
Gli ultimissimi aggiornamenti da Perseverance e un po’ di notizie relative a missioni spaziali del presente e del futuro. Si parte!
La scalata di Perseverance e una strana roccia con le strisce
Il rover della NASA ha iniziato circa un mese fa la sua ascesa verso sud che rappresenta l’inizio del quinto capitolo della sua esplorazione di Marte, la Crater Rim Campaign. Perseverance sta affrontando alcune delle sue salite più ripide di sempre e ha già guadagnato decine di metri in altezza nell’arco di poche settimane. Lungo la strada è stata anche eseguita l’abrasione di una roccia sedimentaria in modo da dare agli scienziati elementi per valutare come la geologia muti mentre il rover si allontana dagli scenari familiari che ha frequentato i mesi passati tra Neretva Vallis e Bright Angel (l’area in cui tra le altre cose ha eseguito il suo ultimo prelievo, individuata dal piccolo marker rosso nella mappa sottostante).
Mappa con la posizione di Perseverance aggiornata al 26 settembre (sol 1280 di missione). NASA/JPL-CaltechFilmato con l’operazione di abrasione eseguita dal rover nel Sol 1257. NASA/JPL-Caltech/PirasFoto della camera WATSON che documenta l’abrasione eseguita nel Sol 1257 (2 settembre). NASA/JPL-CaltechFoto simile alla precedente ma scattata da due punti di vista distanti pochi cm l’uno dall’altro ed elaborata in modo da generare un’immagine stereografica chiamata anaglifo. Per ammirarne l’effetto di profondità sono necessari i comuni occhialini 3D rosso/ciano. NASA/JPL-Caltech/Piras
Grazie alle posizioni sopraelevate che sta raggiungendo possiamo godere di spettacolari paesaggi attorno al rover acquisiti per mezzo delle NavCam e delle MastCam-Z. Le montagne più lontane risultano oscurate a causa delle tempeste di sabbia che stanno attualmente affliggendo questa a zona di Marte. Vi propongo una breve selezione di immagini della regione.
Visuale verso sud nel Sol 1264 (9 settembre). C’è un moderato effetto fisheye in questa foto della NavCam, ma quella che si vede è la montagna che Perseverance sta scalando. NASA/JPL-Caltech/PirasMosaico di immagini della Left MastCam-Z scattate nel Sol 1266 (11 settembre), la camera era puntata verso est. L’inquadratura inclinata non è un errore di processamento ma testimonia la reale inclinazione del rover che in quel momento era impegnato nella salita in direzione sud (verso destra rispetto all’immagine). NASA/JPL-Caltech/MSSS/Piras
La navigazione non procede a grande velocità, come intuibile nei tratti a nord della mappa dove si vede un’alta densità di pallini bianchi (ogni pallino rappresenta la posizione in un determinato Sol. La distanza di un pallino da quello che lo precede indica quasi sempre lo spostamento compiuto in quella giornata). Possiamo ragionevolmente supporre che la ragione dell’apparente lentezza non sia dovuta agli ostacoli del terreno che il rover si è trovato a dover evitare, poiché le immagini panoramiche non ne mostrano, ma piuttosto alle precauzioni adottate dai piloti che hanno fatto avanzare il robot su una collina parecchio scoscesa.
Intorno al Sol 1264 (9 settembre) Perseverance arriva in un’area più pianeggiante e può così aumentare considerevolmente le distanze percorse giornalmente superando i 150 metri per Sol. Ma dopo alcuni giorni di terreni abbastanza monotoni c’è qualcosa che cattura l’attenzione dei geologi: una roccia molto particolare, come mai ne erano state osservate prima su Marte, che viene battezzata Freya Castle.
Freya Castle osservata dalla Right MastCam-Z nel sol 1268 (13 settembre). NASA/JPL-Caltech/PirasUn’altra immagine di Freya Castle, ma stavolta è un anaglifo. NASA/JPL-Caltech/Piras
Gli appassionati su internet vanno in estasi per questa roccia grande circa 20 cm che iniziano a chiamare amichevolmente “roccia zebrata”. I geologi formulano alcune ipotesi sulla sua origine e sulla ragione per cui si trovi qui. Si pensa che possa essere di formazione magmatica, oppure metamorfica, oppure una combinazione dei due processi. Ciò che è quasi certo è che, date le profonde differenze con il terreno circostante, non si è formata nella zona in cui è stata individuata da Perseverance. Potrebbe piuttosto essere rotolata qua da regioni a quota maggiore. È una spiegazione elettrizzante perché significa che il rover potrebbe rinvenire interi campi di rocce simili mentre continuerà la salita verso il bordo del cratere.
Poco è noto della chimica di Freya Castle e, in attesa di poter analizzare più nel dettaglio rocce simili, il team scientifico ha programmato Perseverance per una serie di acquisizioni in banda stretta per mezzo delle due MastCam-Z. Le camere montate sulla “testa” del rover integrano dei filtri e con ciascuno di essi è possibile isolare bande molto strette dello spettro. A noi queste foto potrebbero sembrare tutte uguali, al massimo con alcune variazioni di luminosità, ma per i geologi sono la chiave per individuare le specie chimiche che compongono le rocce.
Raccolta delle immagini acquisite da Perseverance con tutti i filtri a banda stretta a sua disposizione. Sol 1268. NASA/JPL-Caltech/MSSS/Piras
In questa raccolta mancano quattro filtri: si tratta dei due RGB con cui le camere realizzano le foto normali e i due filtri solari.
Mentre Perseverance continua la sua avanzata gli scienziati si tengono pronti per la prossima tappa molto attesa: Dox Castle. Sarà quasi certamente un argomento per le prossime cronache.
La Cina vuole fortissimamente Marte
Sono trascorsi solo pochi mesi dalla conclusione della missione Chang’e-6 (se n’è parlato in questo articolo), con la quale l’agenzia spaziale cineseCNSA è riuscita nell’obiettivo di portare sulla Terra della regolite lunare (per la precisione 1935 grammi) raccolta per la prima volta sul lato lontano del nostro satellite. Ma i piani spaziali del gigante asiatico non si fermano: i progetti di espansione passano inevitabilmente anche per la prossima frontiera, Marte, e le possibilità di ricerca scientifica offerte dal pianeta rosso. Possiamo affermare che la NASA sia attualmente leader mondiale dell’esplorazione spaziale ma le cose potrebbero cambiare nell’arco di pochi anni e stavolta non per colpa delle compagnie private.
All’inizio di settembre la CNSA ha presentato dei piani di modifica alla sua missione Tianwen-3 che, secondo i programmi diffusi nell’autunno 2023, sarebbe dovuta partire nel 2030 per svolgere dei compiti di raccolta di materiale dalla superficie di Marte per poi portarlo sulla Terra.
Il concetto è il medesimo a cui NASA ed ESA (Agenzia Spaziale Europea) mirano con la loro Mars Sample Return. Con la differenza che mentre la missione occidentale sta soffrendo un’enorme complessità e un budget richiesto crescente che ne stanno causando gravi ritardi, l’agenzia spaziale cinese sembra si potrà permettere persino di anticipare i tempi.
Nel corso della seconda International Deep Space Exploration Conference tenutasi il 5 e 6 settembre a Huangshan, Liu Jizhong, progettista capo della missione, ha rilasciato un aggiornamento che vede la data di lancio di Tianwen-3 spostata dal 2030 al 2028. L’anticipo di circa due anni non è casuale ma dipende com’è noto dai periodi orbitali della Terra e di Marte. Le finestre ottimali con il massimo avvicinamento tra i due pianeti si aprono ogni circa 26 mesi e durano poche settimane, frangenti nei quali si trovano usualmente concentrati tutti i lanci diretti verso il pianeta rosso.
La missione cinese impiegherà due razzi Lunga Marcia 5. Essi porteranno verso Marte un orbiter (che includerà il veicolo di ritorno verso la Terra) e il lander dotato del razzo di ascesa. La raccolta di materiale sarà eseguita dallo stesso lander che metterà al sicuro circa 500 grammi di regolite e piccoli sassi. Liu ha aggiunto che la CNSA intende collaborare con partner internazionali e i veicoli spaziali cinesi ospiteranno anche carichi scientifici per conto di altre nazioni. Ci sarà inoltre condivisione di dati e persino di campioni di materiale, il tutto nell’ottica di stabilire un’aperta cooperazione globale.
L’importante obiettivo scientifico di Tianwen-3 è la ricerca di tracce di vita passata su Marte (suona familiare?) ma il suo successo, soprattutto nei tempi stimati, candiderebbe fortemente la Cina al ruolo di nuovo leader mondiale nell’esplorazione spaziale realizzando, per usare le parole del capo di stato Xi Jinping, il “sogno eterno” cinese. Grazie a enormi investimenti e piani lungimiranti il paese del dragone intende inoltre proseguire le missioni lunari robotiche ma non solo (il primo astronauta cinese è atteso sulla Luna entro il 2030), la raccolta di roccia da una cometa con Tianwen-2 e l’esplorazione del sistema satellitare gioviano con Tianwen-4.
A proposito del programma Tianwen, potreste ricordare la missione capostipite che nel 2021 portò attorno e su Marte per conto della Cina il suo primo orbiter, il primo lander e il primo rover (Zhurong). La missione riuscì in ogni aspetto, con uno dei risultati più notevoli legato all’atterraggio che i cinesi hanno azzeccato al loro primo tentativo.
Il rover Zhurong insieme al lander con cui è atterrato su Marte. Questa foto storica è stata scattata da una piccola camera indipendente che il rover ha deposto al suolo. CNSA
MAVEN e Hubble scoprono il destino dell’acqua marziana
Nonostante decenni di ricerca sono ancora molti i dubbi su quale sia stato il destino dell’acqua un tempo ospitata sulla superficie di Marte. Parte di essa è presumibilmente finita nel sottosuolo (a riguardo si vedano Coelum Astronomia 270 e News da Marte #31), ma che fine ha fatto il resto? Un nuovo tassello nella nostra comprensione della storia del pianeta viene da uno studio pubblicato a luglio sulla rivista Science Advances e a prima firma di John T. Clarke della Boston University.
Clarke e colleghi hanno utilizzato i dati della sonda MAVEN (Mars Atmosphere and Volatile Evolution) e del telescopio spaziale Hubble per cercare di quantificare il tasso di fuga dell’idrogeno marziano nello spazio. Il meccanismo con cui l’acqua di Marte evapora viene indotto dalla radiazione solare che scinde le molecole di H2O nelle sue componenti ossigeno e idrogeno. Quest’ultimo atomo è molto leggero e tende a disperdersi nello spazio con facilità, ma in mezzo agli atomi di idrogeno è presente una certa quantità di deuterio. Si tratta di un isotopo più pesante perché nel suo nucleo ospita anche un neutrone. Con il doppio del peso atomico il deuterio fugge dall’atmosfera a un tasso estremamente inferiore e così, confrontando la sua percentuale in atmosfera rispetto all’idrogeno, gli scienziati hanno uno strumento per stimare quanta acqua fosse presente su Marte in passato.
Gran parte dei dati impiegati nello studio derivano da misurazioni della sonda MAVEN la quale però non è abbastanza sensibile da poter rilevare le emissioni dovute al deuterio durante un intero anno marziano. Questa impossibilità è legata alla distanza mutevole di Marte dal Sole in quanto, a causa della marcata ellitticità della sua orbita, la variazione di distanza tra afelio e perielio è addirittura del 40%. MAVEN può eseguire le sue rilevazioni solo quando Marte è più vicino al Sole e l’atmosfera si espande a causa del maggior calore ricevuto. Il buco nei dati relativo all’afelio è stato colmato dal telescopio Hubble che produce osservazioni utili allo scopo fin dagli anni ‘90 e ha così permesso di coprire tre interi cicli annuali marziali, ciascuno composto di 687 giorni terrestri.
Foto nel profondo infrarosso realizzate da Hubble durante il afelio (sopra) e perielio marziani. NASA, ESA, STScI, John T. Clarke (Boston University); Processing: Joseph DePasquale (STScI)
Insieme all’analisi del rapporto D/H (deuterio/idrogeno) allo scopo di stimare quanta acqua Marte abbia posseduto, i ricercatori hanno anche affinato i modelli matematici usati per descrivere l’atmosfera del pianeta. Il team autore dello studio ha scoperto che Marte è molto più dinamico di quanto ritenuto in precedenza e presenta cicli termici che, pur all’interno della loro annualità, variano anche su tempi molto più brevi, persino poche ore.
Il nuovo modello messo a punto dagli scienziati mostra come le molecole di acqua tendano a salire in alta quota durante le fasi di riscaldamento ed è in questi momenti che avviene la “fuga atomica”. Tuttavia le temperature dell’alta atmosfera da sole non sono sufficienti per dare agli atomi abbastanza energia da abbandonare la gravità marziana ed è qui che intervengono altri fenomeni quali collisioni con i protoni del vento solare e reazioni chimiche indotte dalla radiazione luminosa.
Lo studio dell’evoluzione del clima di Marte attraverso la storia della sua acqua aggiungerà elementi alla comprensione del passato degli altri due mondi all’interno della fascia abitabile del Sole, la Terra e Venere, ma anche di molti esopianeti che è impossibile osservare con analogo dettaglio.
Le sonde ESCAPADE partiranno l’anno prossimo (forse)
Il via libera era arrivato a fine agosto ma il 6 settembre c’è stato un improvviso dietro-front. La NASA ha annunciato che i due satelliti gemelli ESCAPADE (Escape and Plasma Acceleration and Dynamics Explorers) non decolleranno verso Marte il 13 ottobre. La data sarebbe stata anche quella del primo volo del vettore pesante incaricato del lancio, il lungamente atteso New Glenn costruito da Blue Origin, compagnia spaziale fondata dal magnate e imprenditore Jeff Bezos.
Nonostante le rassicurazioni di Blue Origin la NASA non è parsa totalmente fiduciosa che il razzo sarebbe stato pronto per la data stabilita e che l’ultimo flusso di verifiche, integrazioni e lo static fire (prova di accensione dei motori) sarebbero andati lisci.
La ragione per rinunciare al lancio a più di un mese dall’apertura della finestra del 13-21 ottobre verso Marte si spiega con la necessità per la NASA di avviare le procedure di preparazione al lancio tra le quali la più critica è il caricamento del propellente nei serbatoi dei due satelliti. I composti utilizzati sono idrazina etetrossido di azoto, rispettivamente combustibile e ossidante, che vengono fatti venire in contatto per generare una violenta reazione senza l’uso di altri inneschi. È un tipo di miscela usata fin dagli anni ‘50 per la sua affidabilità ma è altamente tossica e richiede particolari cautele nella sua gestione. Attraverso la dichiarazione diffusa nei suoi canali la NASA ha affermato che nel caso di annullamento del lancio l’operazione di svuotamento dei serbatoi delle sonde avrebbe rappresentato una complicazione tecnica e di programmazione delle attività, nonché una grossa spesa aggiuntiva. Un’eventualità troppo azzardata che ha fatto decidere per rimandare il lancio a non prima della primavera 2025. Questo significa che le sonde ESCAPADE perderanno la finestra per arrivare verso il Pianeta Rosso lungo la traiettoria più rapida, rischiando che il viaggio si allunghi di svariati mesi rispetto ai 6/7 che sono necessari in condizioni ideali.
Non sono stati rilasciati dettagli su traiettorie alternative in fase di studio ma c’è una possibilità non trascurabile che il lancio venga persino rimandato di due anni in attesa del prossimo avvicinamento tra la Terra e Marte.
Rappresentazione artistica dei satelliti ESCAPADE. James Rattray/Rocket Lab USA
La missione ESCAPADE utilizzerà due veicoli spaziali identici per studiare come il vento solare interagisce con l’ambiente magnetico di Marte provocando la fuga dell’atmosfera del pianeta.
“Questa missione può aiutarci a studiare l’atmosfera di Marte, un’informazione chiave mentre esploriamo sempre più lontano nel nostro sistema solare e abbiamo bisogno di proteggere astronauti e veicoli spaziali dal meteo spaziale,” ha dichiarato Nicky Fox, amministratrice associata per la scienza presso il quartier generale della NASA a Washington. “Siamo impegnati a portare ESCAPADE in sicurezza nello spazio, e non vedo l’ora di vederla partire per il suo viaggio verso Marte”. E noi con lei!
Anche per questo aggiornamento dal Pianeta Rosso è tutto, alla prossima!
Bentornati su Marte nella sezione News da Marte #31!
Bentornati su Marte! In questo nuovo appuntamento della rubrica ci sono aggiornamenti che interessano i due rover NASA Perseverance e Curiosity. Il primo sta esplorando delle aree a ovest del cratere Jezero e ha scoperto dei materiali di estremo interesse mentre il secondo, in modo decisamente fortuito, ha trovato dei materiali molto particolari all’interno di una roccia. Iniziamo le nostre cronache proprio con Curiosity, si parte!
Il primo zolfo puro rinvenuto su Marte
È stato con grande stupore che gli scienziati hanno rilevato una scoperta fatta dal veterano dei rover marziani (a proposito, il 5 agosto è ricorso il 12esimo anniversario dell’atterraggio di Curiosity sul Pianeta Rosso). Il 30 maggio il robot si stava spostando quando una delle sue ruote è passata sopra una roccia che si è frantumata mettendo in evidenza dei particolari cristalli gialli. La roccia è stata denominata “Convict Lake”, e le successive analisi sui cristalli eseguite con lo spettrometro APXS hanno rivelato qualcosa di mai osservato prima su Marte: zolfo puro.
La roccia sbriciolata da Curiosity porta alla luce cristalli di zolfo puro. Foto del 7 giugno (Sol 4208). NASA/JPL-Caltech/MSSSQuesta roccia, battezzata “Snow Lake” e fotografata l’8 giugno, è molto simile a quella frantumata da Curiosity nove Sol prima. Un intero campo di rocce come questa circonda il rover e tutte presumibilmente inglobano zolfo. NASA/JPL-Caltech/MSSS
Da ottobre 2023, ovvero da quando ha iniziato la sua avanzata all’interno del canale chiamato Gediz Vallis, Curiosity ha incontrato spesso dei composti chiamati solfati. La regione abbonda di questi sali (costituiti da zolfo legato con altri elementi) i quali si sono formati quando l’acqua che li ospitava è evaporata. La formazione di cristalli di zolfo puro richiede invece condizioni differenti e molto particolari che gli scienziati non ritenevano potessero essersi verificate in questa regione. Sulla Terra sono per esempio coinvolti processi vulcanici e attività idrotermale.
Di zolfo sembra essercene davvero parecchio qui in quanto Curiosity ha documentato un intero campo di rocce brillanti analoghe a quella frantumata. “Scoprire cose strane e inaspettate è ciò che rende emozionante l’esplorazione planetaria” ha commentato Ashwin Vasavada, scienziata che lavora alla missione. “Un campo di pietre fatte di puro zolfo non dovrebbe trovarsi là, perciò ora dobbiamo trovare una spiegazione”.
Gediz Vallis è uno dei principali motivi per cui il team scientifico ha scelto di atterrare in questa zona di Marte. Si pensa che il canale sia stato scavato da flussi di acqua liquida e detriti che hanno lasciato creste di massi e sedimenti che si estendono per quasi tre km e mezzo lungo il versante della montagna al di sotto del canale. L’obiettivo attuale è comprendere meglio come questo paesaggio sia cambiato miliardi di anni fa e, sebbene le recenti scoperte abbiano aiutato, c’è ancora molto da svelare. Le ultime osservazioni di Curiosity sembrano indicare che due fenomeni abbiano alternativamente plasmato la regione. Da una parte violenti flussi alluvionali, testimoniati da rocce smussate e arrotondate portate dall’acqua, dall’altra frane avvenute in un ambiente asciutto le cui prove sono rocce dai bordi netti e angolati. Le reazioni chimiche avvenute in ambiente umido hanno modificato la chimica delle rocce e infine l’azione di vento e sabbia ha continuato a sagomare il paesaggio.
Mappa con la posizione di Curiosity aggiornata al 18 agosto. In evidenza il canale denominato Gediz Vallis e al centro sulla sinistra, per confronto, Piazza San Pietro nella Città del Vaticano: la porzione qui sovraimposta è lunga 565 metri. NASA/JPL-Caltech/Piras
Un prelievo di roccia, il 41esimo per Curiosity, è stato eseguito il 18 giugno sulla roccia “Mammoth Lakes”. Le rocce di zolfo sono estremamente fragili per lo strumento di campionamento del rover, perciò l’operazione ha richiesto qualche attenzione extra sia nella ricerca di una roccia con caratteristiche adatte che nell’operazione di “parcheggio” di Curiosity in modo che esso risultasse stabile e non a rischio di scivolare. I materiali sono stati poi depositati negli strumenti del rover per analisi dettagliate e i risultati aiuteranno gli scienziati a decifrare la storia geologica di questa regione.
Da giugno il rover si è ormai allontanato dall’area del prelievo su “Mammoth Lakes” e si è spostato verso sud percorrendo poco più di 100 metri. Tante nuove foto e anche un ulteriore campionamento di roccia stanno tenendo impegnato Curiosity mentre procede nell’ascesa verso Aeolis Mons, il rilievo di 5500 metri che svetta all’interno del Cratere Gale, con ogni strato della montagna che rappresenta un diverso periodo nella storia di Marte.
Foto della roccia “Mammoth Lakes” scattata nel Sol 4234. In basso è inquadrato il foro del trapano mentre in alto si nota l’abrasione superficiale eseguita tramite lo spazzolino metallico con il quale Curiosity pulisce le rocce da analizzare. NASA/JPL-Caltech/MSSS
Macchie di leopardo per Perseverance
A circa 3700 km di distanza dal Cratere Gale continuano le investigazioni dell’altro rover messo in campo dalla NASA e che sta esplorando il bordo ovest del Cratere Jezero. Nel numero 269 di Coelum Astronomia avevamo lasciato Perseverance poco dopo il suo arrivo a “Bright Angel”, la località caratterizzata da rocce chiare situata a nord di Neretva Vallis. Quest’ultimo è il canale sabbioso largo 400 metri dove un tempo scorreva un impetuoso fiume che alimentava il lago all’interno di Jezero.
L’abrasione del Sol 1179 (13 giugno), come ipotizzato, ha preceduto un prelievo vero e proprio che è stato eseguito a metà luglio nel punto più a nord raggiunto dal rover, dove l’argine del canale si eleva diventando quasi invalicabile. È qui che, nelle settimane antecedenti il momento del prelievo, una serie di osservazioni ha prodotto uno dei più importanti risultati della missione fino a questo momento. Facciamo un passo indietro e vediamo con ordine le scoperte fatte dal rover a “Bright Angel”.
Il 23 giugno, durante un breve spostamento all’interno dell’area, Perseverance incontra una formazione molto interessante sopra una roccia con dimensioni 100×60 cm che viene battezzata Cheyava Falls.
Dettaglio di Cheyava Fall con delle annotazioni che indicano i dettagli di interesse del masso: le “macchie di leopardo” e un grosso cristallo di olivina. NASA/JPL-Caltech/MSSS
La roccia è percorsa da vene bianche parallele tra loro composte da solfato di calcio con inglobati qua e là cristalli di olivina, un minerale dalle tonalità verdi che si forma nelle rocce magmatiche. In mezzo alle vene bianche viene individuato del materiale rossastro che indica la presenza di ematite, uno dei composti che conferiscono alla superficie a Marte il suo caratteristico colore. La porzione di ematite è costellata di piccoli puntini con dimensioni nell’ordine di pochi millimetri, con contorni scuri e irregolari che racchiudono zone di colore chiaro. Questa conformazione e colorazione è ciò che ha ispirato gli scienziati che li hanno denominati “macchie di leopardo”.
Una serie di scansioni con lo strumento SHERLOC (ebbene sì, ha ripreso a funzionare ma lo vediamo dopo) ha dimostrato in modo molto convincente che le rocce di Cheyava Falls contengono composti organici. Questa rilevazione si aggiunge a due dati importanti: il primo è il fatto, praticamente assodato vista la quantità di indicazioni in questo senso, che qui anticamente scorreva abbondante acqua. Il secondo dato è fornito dalle “macchie di leopardo”.
Dettaglio delle particolari formazioni rinvenute su Cheyava Falls, macro della camera WATSON del 23 giugno (Sol 1188). NASA/JPL-Caltech
Si ritiene che siano state delle reazioni chimiche a trasformare l’ematite da rossa a bianca con il rilascio di ferro e fosfati che sono andati a formare l’alone scuro documentato nelle immagini della camera WATSON. Tali reazioni chimiche sono ben note sulla Terra, ed è appurato che possono essere usate come fonte di energia da forme di vita batterica fornendo una correlazione molto forte tra la presenza di microbi e questo tipo di formazioni nelle rocce sedimentarie. In un colpo solo quindi Cheyava Falls si è rivelata essere la scoperta più importante eseguita fino a questo momento da Perseverance.
Inizia la scienza di contatto
Le investigazioni proseguono con un’abrasione che viene eseguita nel Sol 1191 (26 giugno). Il masso investigato non è però quello interessato dalle precedenti analisi ma uno collocato a fianco a Cheyava Falls, poco più in alto rispetto alla prospettiva del rover, che viene denominato Steamboat Mountain.
La zona brillante al centro della foto è il punto dell’abrasione eseguita il 26 giugno. La grande roccia sedimentaria in basso è Cheyava Falls. NASA/JPL-Caltech/Piras
Una documentazione fotografica di grande dettaglio viene acquisita dalla camera WATSON sia di giorno che di notte. Questo strumento fotografico è infatti dotato di sei illuminatori a LED che producono luce bianca e negli ultravioletti. Lunghezze d’onda ad alta energia quali gli UV sono usate per rilevare i fenomeni di fluorescenza propri di alcuni minerali.
Parte frontale della camera WATSON fotografata l’8 marzo 2021 (Sol 17). Il coperchio frontale della camera è chiuso ma quattro aperture mostrano i LED bianchi (sopra e sotto) e quelli UV (a sinistra). NASA/JPL-Caltech/MSSS
Osservazione notturna dell’abrasione larga 5 cm acquisita da WATSON. La scena è illuminata dai LED della camera. Sol 1191. NASA/JPL-Caltech
Dopo una breve deviazione alcuni metri verso est che lo impegna per non più di cinque giorni, il rover torna sui suoi passi il 17 luglio (Sol 1211) ed è pronto per proseguire le indagini sul masso Cheyava Falls. Si inizia con una fresatura della roccia che espone il materiale interno e in corrispondenza della porzione abrasa permette agli scienziati di continuare a comprendere le caratteristiche eccezionali illustrate nel paragrafo precedente. Gli strumenti impiegati sono le MastCam-Z, SuperCam, WATSON, SHERLOC e PIXL. Ciascuno di essi indaga un diverso aspetto del materiale per fornire una visione d’insieme ma, inevitabilmente, limitata. Tale limite è dettato dalla dimensione e dal peso degli strumenti che il rover ha potuto portare con sé sul Pianeta Rosso. Per andare oltre servirebbe portare queste rocce in laboratori specializzati, ma per fortuna Perseverance è attrezzato per questo obiettivo.
Il trapano di cui è dotato, in combinazione con un set di particolari punte che ormai conosciamo bene, permette al rover di estrarre piccoli carotaggi di roccia. Dopo l’interesse suscitato da questo masso era inevitabile che gli scienziati intendessero prelevarne un campione, e il rover è stato messo in azione il 21 luglio (Sol 1215). Il campione viene sigillato nella sua fiala lo stesso giorno del prelievo, misura 62 mm e viene denominato “Sapphire Canyon”. Si tratta del 22esimo campione di roccia raccolto sinora dal rover e quello appena chiuso è il 25esimo contenitore impiegato. Infatti, oltre a quelli rocciosi, Perseverance ha raccolto due campioni di sabbia a dicembre 2022 e un campione di aria ad agosto 2021.
Mosaico di foto della Left MastCam-Z che mostra il foro e l’abrasione su Cheyava Falls, la roccia a sinistra dell’immagine. Sol 1217 (23 luglio), NASA/JPL-Caltech/MSSS/Piras
Cambia la prospettiva ma le due rocce sono ben riconoscibili: Cheyava Falls sulla sinistra, con in mostra la fresatura appena eseguita, e Steamboat Mountain a destra con l’abrasione di qualche Sol più vecchia. Left NavCam, Sol 1211. NASA/JPL-Caltech/Piras
Lo stato di Mars Sample Return e la scala CoLD
Come ben sanno i lettori di questa rubrica, il prelievo di campioni per il loro invio verso la Terra è una delle parti più importanti della missione Mars 2020 e costituisce il primo passaggio nell’ambito del progetto ampio (e molto più complesso) chiamato ‘Mars Sample Return’. I campioni di sabbia e roccia che Perseverance sta raccogliendo durante la sua esplorazione del Cratere Jezero vengono sigillati all’interno di piccole fiale di titanio. Questi contenitori saranno poi affidati nell’ordine: a un lander per raccolta e manipolazione; a un piccolo razzo che li porterà in orbita marziana; infine a un orbiter che da Marte tornerà verso la Terra con il contenitore dei campioni, affidando agli scienziati attuali e alle future generazioni il compito di svelare i segreti del Pianeta Rosso. Data prevista di fine missione circa entro metà del prossimo decennio, a patto che la NASA riesca nell’obiettivo di revisione della missione per ridurre i costi e velocizzare il termine delle operazioni (questa fase è descritta in maggior dettaglio in ‘Bentornati su Marte’ del numero 268 di Coelum Astronomia). L’agenzia statunitense ha terminato da alcuni mesi la fase in cui attendeva input da privati e centri NASA per modificare gli aspetti più critici della Mars Sample Return, e un resoconto è atteso per l’inizio dell’autunno. In quel momento comprenderemo meglio il futuro della missione e capiremo se davvero, come auspichiamo da anni con fiducia, i ricercatori potranno mettere le mani sui campioni per svelare eventuali tracce di passata vita batterica su Marte.
Del resto Cheyava Falls, il masso oggetto della cronaca che state leggendo, si è rivelato sinora il più promettente e tantissimi scienziati sono elettrizzati dai risultati preliminari delle sue analisi. Ma, al momento, quanto è probabile la rilevazione di possibile vita microbica extraterrestre sulla base delle informazioni disponibili?
Gli astrobiologi hanno sviluppato la scala CoLD (Confidence of Life Detection) per indicare con quanta probabilità un determinato campione possa essere associato a forme di vita, passata o presente. La scala si compone di sette gradini che vanno dalla ‘rilevazione del possibile segnale’ allo step finale che è la ‘conferma indipendente’. Ci sono passaggi intermedi come per esempio ‘esclusione di contaminazioni’, ‘esclusione di processi non biologici’ o ‘segnali aggiuntivi indipendenti’, tutti pensati in accordo con il metodo scientifico con lo scopo di non dare nulla per scontato. Data l’eco che la loro scoperta ha generato, potremmo essere portati a pensare che le rilevazioni su Cheyava Falls si collochino su una posizione di rilevo della scala CoLD, ma sono stati gli stessi scienziati che lavorano con Perseverance a stemperare gli entusiasmi. Siamo infatti ancora sul primo gradino, vale a dire il semplice rilevamento di un elemento d’interesse. Esistono alcuni processi non biologici che potrebbero aver generato queste ‘macchie di leopardo’ osservate sull’ematite tra i quali l’esposizione a temperature elevatissime, incompatibili con la vita, e che fornirebbero una spiegazione alla presenza dell’olivina la quale ha appunto origine magmatica.
Perseverance si scatta un nuovo selfie
Forse grazie all’agenda di attività un po’ più libera del solito o forse per celebrare la scoperta di questo masso così interessante e il successo del campionamento, il 24 luglio Perseverance si scatta un selfie. Per la maggior parte di noi umani si tratta ormai di un’operazione quasi banale ma su Marte, a centinaia di milioni di km di distanza e con un robot di una complessità spaventosa, non esistono operazioni semplici.
Perseverance impiega 46 minuti per scattare 62 immagini con la camera WATSON installata sul braccio robotico. Seguendo una sequenza di dettagliate istruzioni stilate dai tecnici del Jet Propulsion Laboratory, il rover muove il suo arto come in una precisissima coreografia nel corso della quale orienta lo stretto campo visivo della camera in tutte le direzioni attorno a sé. La finezza migliore è riservata per i momenti in cui il braccio rischierebbe di finire all’interno dell’inquadratura: con ulteriori acrobazie permesse dai cinque snodi di cui esso è dotato, Perseverance riesce a portare a termine una panoramica di 180° nella quale sembra che la foto sia stata fatta da qualcuno là su Marte a fianco al rover. Con una piccola variazione di appena tre foto è stata elaborata una versione alternativa dell’immagine riportata su queste pagine, dove sembra che il rover, invece di guardare in camera, stia ammirando con compiacimento il lavoro che ha eseguito sulla roccia al suolo.
Il più recente autoscatto di Perseverance. Sol 1218. NASA/JPL-Caltech/MSSSUno degli scatti alternativi nei quali la “Mast” del rover guarda verso il basso. NASA/JPL-Caltech/Piras
Combinando i singoli scatti nel modo opportuno, e soprattutto posizionandoli nel punto corretto del mosaico finale, possiamo anche renderci conto dell’ordine nel quale il rover abbia “scansionato” il paesaggio attorno a sé. Ve lo mostro in questo video che ho realizzato. La proiezione è diversa da quella usata dalla NASA perché le opzioni sono numerose quando si desidera di passare da una ripresa panoramica a una rappresentazione su un piano, ciascuna con i suoi pro e contro.
Dopo il prelievo e questo simpatico selfie sembra che per Perseverance non ci sia altro da studiare in questa regione, Bright Angel, che ha rispettato appieno le attese degli scienziati. Il rover può così tornare indietro verso il centro di Neretva Vallis e riprendere la sua strada verso sud-ovest dove inizierà la prossima parte della sua missione.
Sol 1224 (30 luglio), Perseverance si lascia alle spalle Bright Angel. NASA/JPL-CaltechPosizione di Perseverance aggiornata al 20 agosto. La larga striscia chiara in alto è la regione Bright Angel con il marker relativo al prelievo lì eseguito. NASA/JPL-Caltech.
Un nuovo capitolo di esplorazione a Jezero
Quattro campagne scientifiche completate, tre anni e mezzo di esplorazione del fondo di Jezero e del delta del fiume, quasi 28 km percorsi e 22 campioni di roccia raccolti. Con questi numeri e i suoi strumenti scientifici in eccellenti condizioni operative Perseverance ha iniziato a fine agosto il quinto capitolo di esplorazione, la Crater Rim Campaign, che lo vedrà raggiungere il bordo occidentale del cratere. Lo attendono probabilmente i terreni più ripidi affrontati finora, con pendenze che arriveranno a 23° di inclinazione richiedendo la massima attenzione da parte dei piloti e ottime prestazioni dell’autonavigatore. Le regioni di maggiore interesse che il team scientifico intende esplorare sono state individuate in “Pico Turquino” e “Witch Hazel Hill”.
Mappa con il percorso elaborato dai piloti di Perseverance attraverso il bordo ovest del cratere Jezero. NASA/JPL-Caltech/University of Arizona
Il percorso verso la prima di queste regioni dista 1.8 km da “Serpentine Rapids”, l’area dove Perseverance si trovava a metà agosto, e richiederà al rover di risalire un primo dislivello di 300 metri. Nelle immagini satellitari “Pico Turquino” mostra fratture che potrebbe essere state causate da un’antica attività idrotermale. Le osservazioni orbitali di “Witch Hazel Hill” documentano invece possibili stratificazioni di materiali risalenti a un’epoca molto antica, quando il clima marziano era profondamente diverso rispetto a quello attuale. Questa zona, situata circa 1700 metri a ovest di “Pico Turquino” e ulteriori 250 metri più in alto, presenta un substrato roccioso chiaro simile a quello incontrato a “Bright Angel”, il che fa ipotizzare che anche qui potrebbero venir rilevate strutture e biosignature chimiche analoghe, generate forse miliardi di anni fa da batteri in presenza di acqua corrente.
Mosaico di 59 scatti che mostra la visuale verso sud delle zone che Perseverance si accinge a raggiungere. La prima di esse, “Dox Castle”, si trova poco a sinistra del rilievo di destra a 750 metri dalla posizione dell’immagine. Foto del 4 agosto (Sol 1229), NASA/JPL-Caltech/ASU/MSSS
I campioni finora raccolti da Perseverance hanno già offerto informazioni scientifiche di grande valore, ma la missione intravede altre scoperte all’orizzonte. “I campioni attuali rappresentano una raccolta di enorme interesse scientifico, ma esplorare il bordo del cratere ci offrirà l’opportunità di ottenere ulteriori campioni che potrebbero rivelarsi cruciali per comprendere la storia geologica di Marte,” ha dichiarato la scienziata Eleni Ravanis, membro del team Mastcam-Z di Perseverance e uno dei leader scientifici della Crater Rim Campaign. “In particolare ci aspettiamo di analizzare rocce provenienti dalla crosta marziana più antica. Queste rocce si sono formate attraverso una moltitudine di processi geologici, e alcune potrebbero rappresentare ambienti antichi, potenzialmente abitabili, che non sono mai stati esaminati da vicino prima d’ora.”
Ma raggiungere la cima del cratere non sarà un’impresa semplice. Perseverance dovrà seguire un percorso studiato dai tecnici per ridurre al minimo i rischi, pur offrendo al team scientifico delle opportunità di ricerca. Durante la prima parte dell’ascesa il rover guadagnerà circa 300 metri di altitudine raggiungendo la sommità in un’area che il team scientifico ha battezzato “Aurora Park”.
Da lì, a centinaia di metri sopra un vasto cratere di 45 chilometri di diametro, Perseverance sarà pronto per iniziare il prossimo capitolo della sua esplorazione.
Un oceano di acqua sotterranea all’interno di Marte?
Impiegando i dati acquisiti dal lander InSight della NASA, nel corso dei quali ha rilevato e misurato migliaia di piccoli sismi, un gruppo di ricercatori delle Università di San Diego e Berkley sono giunti alla conclusione che l’interno della crosta marziana potrebbe ospitare quantità enormi di acqua a profondità comprese tra 11.5 e 20 km. Fratture e porosità delle rocce ignee all’interno del pianeta, saturate di acqua, fornirebbero la migliore giustificazione ai dati rilevati dalla sonda. La quantità d’acqua che permea le rocce sarebbe tale da poter ricoprire l’intero pianeta con un immenso oceano profondo circa 1.5 km. Questa scoperta non solo arricchisce la nostra comprensione del ciclo dell’acqua marziano, ma offre anche nuove prospettive su come il clima di Marte sia cambiato drasticamente. La possibilità che parte dell’acqua marziana sia rimasta intrappolata nella crosta, piuttosto che evaporare completamente nello spazio, potrebbe aiutare a risolvere il mistero di come il pianeta abbia perso la sua atmosfera e si sia trasformato da un mondo potenzialmente abitabile a un deserto gelido. Sebbene l’accesso a queste riserve d’acqua sia attualmente fuori dalla nostra portata, lo studio apre la possibilità che tali ambienti profondi possano ospitare forme di vita microbica, analogamente a quanto osservato nelle miniere e negli oceani profondi sulla Terra. I risultati della ricerca potrebbero influenzare la pianificazione delle future missioni su Marte, indirizzando l’attenzione verso l’esplorazione del sottosuolo. La possibilità di trovare acqua liquida a grandi profondità potrebbe portare a missioni mirate a sondare queste zone e, in futuro, a sviluppare tecnologie in grado di sfruttare queste risorse che potrebbero rivelarsi cruciali per la colonizzazione del pianeta.
Rappresentazione artistica dell’interno di Marte in base allo studio in oggetto. James Tuttle Keane e Aaron Rodriquez, Scripps Institute of Oceanography
Bentornati su Marte nella sezione News da Marte #30!
Riprendiamo l’esplorazione del Pianeta Rosso con Perseverance che si trovava a un passo da Neretva Vallis, il greto sabbioso dell’antico fiume che miliardi di anni fa scorreva verso est confluendo nel Cratere Jezero. C’è anche qualche interessante integrazione riguardante le aurore marziane catturate direttamente dalla superficie e per finire eccellenti conferme sullo stato della camera SHERLOC. Si parte!
Dove eravamo
Nel precedente appuntamento della rubrica abbiamo lasciato il rover Perseverance impegnato nell’analisi di un’abrasione eseguita su una roccia depositata al suolo. Grazie agli aggiornamenti NASA abbiamo nel frattempo scoperto che la roccia viene battezzata Old Faithful Geyser, ma ci sono dettagli geologici molto più interessanti del suo nome.
Avvio dell’operazione di fresatura catturato dalla Front Left HazCam, Sol 1051. NASA/JPL-Caltech/PirasUna delle fotografie diurne eseguite dalla camera WATSON successivamente alla fresatura, Sol 1051. NASA/JPL-Caltech
La roccia Old Faithful Geyser, così come i tre prelievi che l’hanno preceduta eseguiti lungo la Marginal Unit (Pelican Point, Lefroy Bay e il più recente Comer Geyser), si conferma ricca di carbonati. Ma ci sono alcune differenze nel modo in cui i grani sono cementati all’interno che rendono ciascuna roccia, in un certo senso, unica. La spiegazione potrebbe risiedere nei meccanismi di formazione o in differenti processi di alterazione. Lo studio di questa nuova roccia è stato pensato per integrare le analisi sinora a disposizione degli scienziati in modo da espandere i campionamenti man mano che Perseverance si muove verso ovest e servirà a comprendere se le rocce carbonatiche lungo il percorso siano formate tramite processi sedimentari, vulcanoclastici o ignei.
L’osservazione di Old Faithful Geyser non si è fermata all’imaging esterno ma ha impiegato anche lo strumento PIXL, lo spettrometro a raggi X installato sul braccio robotico, che ha analizzato l’interno della roccia per mappare la dimensione e distribuzione dei grani della roccia. Anche questo rilievo sarà confrontato con quelli analoghi eseguiti nelle settimane passate.
Confronto fra le tre rocce da cui Perseverance ha estratto gli ultimi tre campioni. NASA/JPL-Caltech/Piras
Perseverance mette il turbo
Dopo aver completato il percorso a ostacoli schivando massi e sabbia lungo l’Unità Marginale e procedendo per questa ragione a rilento, i piloti della NASA vedono finalmente tra le dune uno spiraglio verso nord che permetta al rover di accedere all’interno di Neretva Vallis senza pericoli. Il rischio di insabbiarsi era prima d’ora talmente concreto che è stato accettato di perdere tempo con la lenta traversata sulle rocce della WestMarginal Unit.
Visuale verso nord nel Sol 1158 (23 maggio). NASA/JPL-Caltech/PirasSpostamenti di Perseverance dal Sol 1159 al 1176
Il Sol 1162 (27 maggio) Perseverance si è così potuto insinuare verso nord attraverso Dunraven Pass, muovendosi per la notevole distanza di 200 metri e ricordandoci delle sue vere potenzialità messe in ombra nelle precedenti settimane: la tratta unica più lunga era stata di 90 metri, ma mediamente ogni spostamento (o drive, come li chiamano i tecnici) non ha superato i 30.
Il rover giunge al centro dalla valle sabbiosa un tempo costituente il letto del fiume che fluiva verso est in direzione del cratere Jezero. Dalla posizione indicata con il marker rosso a destra nella mappa numero 2 Perseverance esegue una serie di scatti con le MastCam-Z per comporre un mosaico di Mount Washburn, il rilievo che si erge all’interno di Neretva Vallis ben visibile nelle immagini satellitari e che il rover inquadra guardando verso est. Gli scienziati avevano già osservato la regione da lontano cogliendo alcune peculiarità nella composizione e trama delle rocce e appena l’occasione si presenta decidono di indagare ulteriormente.
Il risultato è indubbiamente un bel panorama ma c’è qualcosa di più che salta all’occhio anche ai meno esperti: al centro dell’immagine si staglia un masso alto circa 40 cm eccezionalmente brillante con delle macchie scure. Viene battezzato “Atoko Point” dal nome di un rilievo a est del Grand Canyon in Arizona.
Panorama del Sol 1162. NASA/JPL-Caltech
È noto che impetuosi fiumi, su Marte come sulla Terra, siano stati in grado di trasportare materiale verso valle anche per lunghe distanze, e il masso qui inquadrato sembra provenire davvero da molto lontano. Peraltro non è l’unico con una superficie così chiara in quanto ingrandendo l’immagine se ne scorgono anche altri. Potrebbe essere una piccola anteprima di ciò che attende il rover nei prossimi mesi e anni di missione, o addirittura provenire da regioni che Perseverance non raggiungerà mai. I tecnici non si fanno sfuggire l’occasione di investigare più nel dettaglio “Atoka Point” e lo fanno con ulteriori zoom della MastCam-Z e con la SuperCam, quest’ultima impiegata anche con il suo laser vaporizzatore per indagare la chimica del masso.
Atoko Point nel dettaglio catturato dalla Left MastCam-Z, Sol 1162. NASA/JPL-Caltech/ASU/PirasUnione di tre immagini di SuperCam RMI, Sol 1162. NASA/JPL-Caltech/LANL/CNES/IRAP/Piras
Finalmente Bright Angel!
Dopo l’osservazione di Mount Washburn Perseverance non ha fatto altre tappe e ha proceduto spedito prima leggermente verso nord a toccare “Tuff Cliff” e poi verso ovest attraversando “Cedar Ridge” fino all’arrivo alla destinazione finale: Bright Angel.
Immagine NavCam del Sol 1172. Ci troviamo all’interno di Neretva Vallis e guardiamo verso ovest. A destra si intuisce Bright Angel appena alle pendici del rilievo. NASA/JPL-Caltech
È questo il nome che gli scienziati hanno dato all’area al confine ovest dell’Unità Marginale e parzialmente inglobata in Neretva Vallis. Ben visibile anche dalle immagini satellitari grazie al suo colore chiaro che spicca rispetto alle zone circostanti, era nel mirino dei ricercatori ancora prima che la missione del rover iniziasse nel 2021. Le rocce chiare che costituiscono Bright Angel potrebbero essere sedimenti che nel tempo si sono accumulato e hanno formato il canale o materiale ancora più antico, esposto dall’azione erosiva dell’acqua.
Perseverance arriva alla base dell’affioramento intorno al 10 giugno. Le prime immagini stupiscono i geologi e l’intero team scientifico: le rocce presentano strutture stratificate con bordi taglienti che richiamano alla mente vene minerali, simili a quelle osservate mesi fa alla base del cono alluvionale con la differenza che qui sono molto più abbondanti. Ci sono anche alcuni piccoli sassi raggruppati tra loro che presentano delle piccole sfere in superficie. Il team ci mette poco a inventare un’analogia per queste strutture che vengono scherzosamente definite “simili a popcorn”. La visione d’insieme suggerisce che in questa regione scorresse acqua di falda.
Le strutture a “popcorn” di Bright Angel osservate da Perseverance nel Sol 1175, Left MastCam-Z. NASA/JPL-Caltech/ASU/PirasSottilissimi scaglie di roccia emergono dalla sabbia e proiettano al suolo le proprie ombre frastagliate. Right MastCam-Z nel Sol 1182. NASA/JPL-Caltech/ASU/Piras
Nei Sol successivi Perseverance è risalito verso nord di qualche decina di metri documentando il paesaggio circostante e la chimica delle rocce con analisi spettrali. Nei Sol 1179 e 1191 (13 e 26 giugno) si è poi proceduto a due distinte fresature di basamenti al suolo, a non troppa distanza l’uno dall’altro.
Fresatura eseguita da Perseverance nel Sol 1191. NASA/JPL-Caltech/PirasOsservazione dell’abrasione con la camera WATSON, Sol 1191. NASA/JPL-Caltech/Piras
Vedremo se prima di proseguire le esplorazioni il rover, che nel frattempo è praticamente stazionario da alcune settimane, verrà programmato anche per un nuovo prelievo. La regione attualmente in esplorazione è un tesoro per i geologi tra lastre erose dall’acqua, concrezioni di olivina e vene minerali che tagliano in due i massi al suolo.
Credo che siamo in tanti a non vedere l’ora di leggere le analisi degli scienziati al lavoro nella missione del rover non appena saranno disponibil! E come sempre troverete sulle pagine di Coelum Astronomia una completa e rigorosa sintesi delle evidenze risultanti, perciò continuate a seguire questa rubrica web e la sua gemella sulla rivista cartacea.
Riguardo a Perseverance, una volta terminati i lavori in quest’area tornerà sul versante sud del canale in direzione di “Serpentine Rapids” per poi continuare a percorrere Neretva Vallis verso ovest.
Breve avanzamento di Perseverance all’interno di Bright Angel e posizione aggiornata al Sol 2104 (9 luglio)
La CME di maggio: i risultati scientifici
Nel precedente appuntamento della rubrica avevamo visto che l’orbiter MAVEN e il rover Curiosity si stessero preparando all’analisi delle espulsioni di massa coronale originate dalla macchia solare AR3664.
Le rilevazioni più importanti dei due apparati statunitensi non hanno però riguardato le CME legate al brillamento di classe X3.8 dell’11 maggio (quello direttamente responsabile delle aurore documentate sulla Terra sino a latitudini tropicali) e neppure il brillamento X8.79 del 14 maggio.
Un terzo brillamento di intensità ancora maggiore è avvenuto il 20 maggio quando la macchia AR3664 era ormai sparita dal disco solare visibile dalla Terra ma è stata rilevata e misurata nella sua intensità dal satellite NASA-ESA Solar Orbiter. La potenza stimata è stata X12, rendendo questo l’evento più energetico misurato dal novembre 2003.
Sulla superficie di Marte i tecnici di Curiosity si sono fatti trovare pronti con lo strumento Radiation Assessment Detector (RAD), ma non solo. Il rilevatore di particelle del rover ha misurato una quantità di radiazioni al suolo pari a 8.1 millisievert, equivalenti all’incirca a 30 radiografie al torace. Pur non rappresentando una dose letale per un astronauta che si fosse trovato senza adeguate schermature su Marte, è tuttavia la massima rilevazione mai misurata da Curiosity nei suoi 12 anni di operazioni.
Altre analisi di Curiosity hanno impiegato degli strumenti ottici, ovvero MastCam e NavCam. Queste ultime hanno monitorato il paesaggio marziano e documentano l’interazione delle particelle cariche con i fotorilevatori del sensore CCD. Il risultato è rumore digitale che dà luogo a una specie di “neve”. Nelle immagini acquisite si notano persino intere strisciate, generate da singole particelle che hanno percorso il piano del sensore eccitando molteplici pixel.
Immagine NavCam del 20 maggio, Sol 4190. NASA/JPL-Caltech
Le osservazioni con le MastCam sono state invece un po’ diverse a partire dal fatto che si sono svolte durante la notte e hanno cercato di rilevare l’emissione ottica del vento solare, ovvero l’aurora. La ricerca di questa debolissima traccia giustifica le acquisizioni descritte in News da Marte #29 che, a una prima occhiata, poteva sembrare avessero poco senso. Ma abbiamo fatto bene a non giungere a conclusioni affrettate e riservarci di tornare in seguito sulla loro analisi.
Le aurore su Marte
Sul Pianeta Rosso, a causa dell’assenza di un campo magnetico globale, l’interazione tra le particelle cariche e l’atmosfera non è concentrata sui poli come sulla Terra ma genera fenomeni differenti. Uno tra questi è noto con il nome di aurora diffusa e si manifesta a livello planetario come un bagliore nell’emisfero al buio in specifiche linee di emissione nell’ultravioletto a cavallo tra 130.4 e 297.2 nanometri dovute ad anidride carbonica, monossido di carbonio e ossigeno atomico. Le lunghezze d’onda interessate sarebbero perciò esterne alle bande passanti dei filtri di Curiosity che arrivano al massimo a circa 420 nm, corrispondenti al limite inferiore della banda del colore blu. Recentissimi studi hanno però confermato l’esistenza finora solo teorizzata di un’emissione aggiuntiva legata all’ossigeno localizzata a 557.7 nm, nella lunghezza d’onda del colore verde e perciò in piena banda visibile. È un risultato attualmente ancora in fase di pre-print e che dovrebbe venir presentato tra un paio di settimane alla decima International Conference on Mars a Pasadena, California, e che sfrutta le rilevazioni eseguite con le camere di Perseverance. Le tecniche di analisi sono estremamente interessanti e meritano una descrizione nel paragrafo finale di questo articolo.
In orbita marziana era contemporaneamente al lavoro MAVEN che ha rilevato il fenomeno già menzionato delle aurore diffuse nell’intero emisfero in ombra mentre il pianeta veniva investito dalle particelle solari. Durante le osservazioni, eseguite dal 14 al 20 maggio, la sonda parrebbe aver rilevato anche un’altra tipologia di fenomeno chiamato aurora discreta. Queste ultime sono generate dall’interazione del vento solare con le aree, piccole e sparpagliate soprattutto nell’emisfero sud di Marte, in cui si conserva un intenso magnetismo crostale. Si tratta di regioni di crosta raffreddatesi quando ancora il pianeta aveva un magnetismo globale che si è così conservato nelle rocce. Queste regioni non sono state in seguito bersagliate da grandi impatti meteorici che, alzando la temperatura oltre la soglia per cui la roccia perde le proprietà magnetiche (temperatura di Curie), hanno fatto sì che gran parte della superficie di Marte perdesse anche questo magnetismo residuo. Ma nelle aree dove ancora si conserva è talmente intenso da guidare la formazione di aurore estremamente localizzate.
Rilevazione del 20 maggio di MAVEN nell’emisfero notturno di Marte con lo strumento sensibile all’ultravioletto. NASA/University of Colorado/LASP
Per completare la trattazione vale la pena menzionare un ulteriore tipo di aurora marziana: a quelle diffuse e quelle discrete si aggiungono le aurore protoniche (scoperte da MAVEN nel 2018) che riguardano l’emisfero illuminato.
Nel 2022 la sonda emiratina Hope ha invece rilevato per la prima volta un potenziale quarto tipo di aurora (definito come sinuosa discreta) la cui emissione osservata nell’ultravioletto si distendeva per una grande porzione dell’emisfero marziano in ombra. La spiegazione per questo nuovo fenomeno non è al momento chiara perché mostra caratteristiche simili a quelle delle aurore discrete, ovvero una precisa localizzazione, sebbene sia apparentemente generata dagli stessi meccanismi delle aurore globali. I prossimi mesi di attività solare e le osservazioni che seguiranno aiuteranno a far chiarezza.
Emirates Mars Mission
L’aurora nel visibile di Perseverance
Il 15 marzo un flare di intensità C4.9 (quindi circa 90 volte inferiore rispetto al fenomeno X3.8 legato alle aurore terrestri di maggio) originato dalla macchia solare AR3599 ha generato un’espulsione di massa coronale interplanetaria che ha viaggiato sino a Marte. Nel paper intitolato First Detection Of Visible-Wavelength Aurora On Mars (Knutsen, McConnochie, Lemmon et al., 2024) vengono riportati i risultati del quarto tentativo, stavolta riuscito, di rilevare un’aurora diffusa direttamente dalla superficie di Marte e, per la prima volta in assoluto, dell’emissione a 557.7 nm dell’ossigeno atomico responsabile della tinta verde comune anche alle aurore terrestri. Per farlo gli scienziati sono ricorsi a Perseverance e allo spettrometro della SuperCam, dotato tra le altre cose di un amplificatore ottico nell’intervallo 535-853 nm utile per aumentare l’intensità della debole emissione d’interesse.
L’ora di arrivo della tempesta solare ha rispettato le previsioni e l’impatto con Marte è stato confermato anche da un incremento di errori nella memoria della sonda Mars Express di un fattore 4. Le osservazioni spettrali di Perseverance sono partite alle 00:34 del Sol 1094 e, dopo aver compensato il rumore di fondo e applicato gli opportuni filtraggi, mostra in modo eloquente il picco di luce alla lunghezza d’onda attesa.
In nero la media delle acquisizioni spettrali della SuperCam e in verde la curva di miglior adattamento. In basso in rosso il rumore residuo. Knutsen, McConnochie, Lemmon et al.
Al termine delle rilevazioni con la SuperCam, Perseverance ha eseguito acquisizioni anche con le MastCam-Z utilizzando i filtri RBG con cui produce le immagini nello spettro visibile. Nonostante la presenza in cielo del luminoso Fobos che ha aggiunto una tinta giallo-arancio alle immagini, al termine delle compensazioni anche le immagini della MastCam-Z hanno mostrato un eccesso di radiazione nel canale verde.
I ricercatori hanno concluso che l’evento CME studiato ha prodotto un’emissione con intensità stimata di 93 Rayleigh (unità di misura per il flusso luminoso). Le rilevazioni oggetto di studio sono state parzialmente degradate dalla presenza di polveri in sospensione nell’atmosfera che hanno ridotto la luminosità dell’evento, ma si ritiene che in condizioni atmosferiche migliori o nel caso di CME di poco più potenti si potrebbe raggiungere la soglia di visibilità umana. Quindi, un giorno, astronauti e astronaute potrebbero vedere con i loro occhi aurore su Marte.
SHERLOC è di nuovo operativa
La comunicazione ufficiale è arrivata il 17 giugno attraverso gli aggiornamenti resi disponibili dalla NASA e conferma ciò che su queste pagine avevamo già ipotizzato a metà maggio in News da Marte #28. Succede spesso che nelle immagini grezze si nascondano piccole anticipazioni su ciò che verrà narrato più tardi nelle cronache dei rover…
Sono state proprio le immagini acquisite l’11 maggio che hanno confermato la ripresa funzionalità della camera SHERLOC che a inizio gennaio era rimasta con lo sportellino di protezione della lente bloccato in posizione socchiusa.
Posizione della camera SHERLOC ACI sulla torretta del braccio robotico, Sol 1044. NASA/JPL-Caltech/MSSS/Piras
I tentativi di ripristinare la funzionalità del piccolo motore che aziona lo sportellino, che permette inoltre il fondamentale controllo della messa a fuoco, hanno avuto parziale successo nel corso dei mesi di lavoro. I tecnici hanno scaldato l’attuatore coinvolto, hanno azionato il trapano nel tentativo di smuovere granelli di polvere che potessero ostacolare il movimento di apertura, eseguito particolari acrobazie con il braccio robotico…
Non si sa di preciso quale di queste azioni sia stata risolutiva, ma alla fine i tecnici sono riusciti ad aprire lo sportellino quanto bastava per non ostruire più la lente di SHERLOC che è sia una camera che uno spettrometro. Il motore non era però in grado di muoversi liberamente e perciò una precisa messa a fuoco era ancora impossibile da ottenere. È servito un piano B.
Se l’obiettivo fotografico non può agire sulla messa a fuoco allora si può intervenire avvicinando o allontanando la camera al soggetto. Sfruttando l’estrema precisione dei movimenti del braccio robotico, capace di spostamenti minimi di 0.25 millimetri, i tecnici hanno eseguito un test sul target di calibrazione di SHERLOC individuando in 40 mm la distanza dal soggetto per ottenere una precisa messa a fuoco.
La prima immagine nuovamente a fuoco di SHERLOC viene acquisita nel Sol 1047. NASA/JPL-Caltech/Piras
Per il primo test vero e proprio su una roccia bisogna aspettare qualche giorno marziano, il Sol 1153. Il risultato dà esito positivo.
18 maggio, Perseverance fotografa di nuovo una roccia con SHERLOC ACI. NASA/JPL-Caltech
Quasi un mese dopo, il 17 giugno, si presenta l’occasione di testare anche lo spettrometro di SHERLOC. Anche questo test ha successo, e la NASA può così dichiarare ufficialmente riuscito un debug hardware eseguito su un apparato distante centinaia di milioni di km. Pur con la limitazione di non poter agire sulla messa a fuoco diretta tramite l’obiettivo, Perseverance continuerà a produrre dati di immutata qualità scientifica con SHERLOC. Avanti tutta!
Anche per questo appuntamento è tutto, alla prossima!
Bentornati su Marte nella sezione News da Marte #29!
Questo aggiornamento sulle attività dei rover NASA sarà un po’ più mirato del solito e si focalizzerà principalmente su due tipi di tempeste, di sabbia e solari, e le loro conseguenze. Nella seconda parte ci divertiremo poi a indagare il Sole grazie all’occhio acutissimo di Perseverance. Si parte!
Il massimo del ciclo solare
Maggio è stato un mese di grandissimo interesse per chi si occupa di scienza del Sole. Ci avviciniamo al picco di attività della nostra stella all’interno del ciclo di 11 anni, e gli strepitosi fenomeni di aurore e SAR osservati sulla Terra sino a latitudini tropicali ne sono stati la prova. Su Marte la NASA non si farà trovare impreparata in quanto ha due apparati pronti non solo per rilevare ma anche misurare l’intensità delle eruzionisolari e i fenomeni che ne conseguono.
MAVEN
Il primo di questi apparati si trova in orbita ed è la sonda MAVEN, acronimo di Mars Atmosphere and Volatile Evolution. La missione del satellite, iniziata nel settembre 2014, è focalizzata sulla misurazione della fuga dell’atmosfera di Marte, cercare di comprenderne l’evoluzione nel tempo e da qui dedurre quale fosse il clima del pianeta nel suo passato.
NASA/GFSC
Non è poi un caso che MAVEN sia progettata anche per rilevare radiazioni e influenza del vento solare; infatti i picchi di attività della nostra stella, su un pianeta privo di campo magnetico globale come Marte, riescono a soffiare via l’atmosfera durante tempeste solari particolarmente violente. I modelli climatici prevedono che le stagioni marziane più calde, oltre a produrre le celebri tempeste di sabbia che talvolta arrivano ad avvolgere l’interno pianeta, riscaldino e “gonfino” significativamente l’atmosfera. In essa si trova miscelato anche il vapore acqueo che sublima dai ghiacci e che viene così investito dal vento solare e disperso nello spazio. Questo processo, ripetuto nel corso di miliardi di anni, potrebbe aver avuto il potenziale di trasformare un mondo umido nell’attuale deserto arido che è Marte. Un cruciale fattore di riscaldamento globale del pianeta giunge dal suo posizionamento in perielio, punto di massima vicinanza al Sole. L’orbita di Marte ha una marcata eccentricità e questo fa sì che nel punto di perielio il pianeta riceva quasi il 50% di radiazione e calore in più rispetto all’afelio. La stagione delle tempeste di sabbia è attualmente in corso. Siamo infatti a ridosso del perielio (avvenuto l’8 maggio) e quest’anno in concomitanza, come detto, di un periodo di intensa attività solare. MAVEN sta sfruttando questa sovrapposizione di eventi per compiere studi alla ricerca di conferme sperimentali sulla validità delle teorie attuali sulla fuga dell’atmosfera.
Curiosity
Il secondo apparato messo in campo dalla NASA per studiare gli attuali picchi di attività solare è il rover Curiosity. Insieme agli strumenti per l’analisi chimica delle rocce e le numerose camere, il robot monta sulla propria plancia uno strumento chiamato RAD. Il nome è l’acronimo di Radiation Assessment Detector e si tratta di un rilevatore di particelle altamente energetiche.
NASA/JPL-Caltech/MSSS
RAD studia la radiazione solare che filtra nell’atmosfera e colpisce la superficie di Marte. Queste particelle hanno sufficiente energia per spezzare le molecole organiche, inducendo dei processi che danneggiano le eventuali tracce fossili di vita batterica che rappresentano gli attuali obiettivi di studio sul Pianeta Rosso. Ma gli scopi di RAD non si fermano qui: lo strumento sta fornendo indicazioni sulle schermature di cui i futuri habitat umani dovranno essere dotati per fornire un sufficiente livello di sicurezza ai primi astronauti che metteranno piede su Marte. Prima ancora dell’atterraggio sul pianeta nel 2012 a bordo di Curiosity, RAD ha misurato la radiazione nello spazio interplanetario, anche in questo caso con lo scopo di quantificare la pericolosità di un viaggio spaziale per un equipaggio. Gli strumenti di MAVEN e il RAD di Curiosity si completano a vicenda, potremmo dire: i detector del satellite sono sensibili alle radiazioni a bassa energia mentre RAD rileva quelle estremamente più energetiche che riescono a penetrare l’atmosfera e arrivare sino alla superficie. Per questa ragione capita che i team del rover e della sonda lavorino fianco a fianco per caratterizzare da prospettive differenti un medesimo evento solare. Vedremo probabilmente in uscita nei prossimi mesi qualche news o paper scientifico basato sulle rilevazioni che questi due apparati stanno portando avanti.
A caccia dell’aurora
Il 14 maggio la macchia solare AR3664, balzata ai proverbiali onori delle cronache in quanto responsabile pochi giorni prima delle aurore più potenti dal 2003 a oggi, era ormai sul bordo orientale del Sole. Forse intenzionata a dare un saluto memorabile alla Terra, quel giorno ha prodotto un flare di classe X8.79, il più potente del Ciclo Solare 25.
Immagine a 131 Å del satellite Solar Dynamics Observatory. NASA/SDO/AIA team
Ma mentre la conseguente espulsione di massa coronale non ha interessato la Terra a causa della posizione al confine del disco solare, AR3664 era orientata in direzione di Marte. Sul Pianeta Rosso, a causa dell’assenza di un campo magnetico, l’interazione tra le particelle cariche del vento solare e l’atmosfera non è concentrata sui poli come sulla Terra ma appare come un’aurora diffusa globale. Gli aggiornamenti NASA sulle attività del rover Curiosity riportano che i tecnici abbiano deciso qualche giorno dopo la CME di svolgere un’osservazione notturna del cielo con le MastCam del rover alla ricerca dell’elusivo bagliore aurorale. L’attività è stata eseguita nella tarda serata del Sol 4189, producendo complessivamente 24 immagini a lunga esposizione (12 per ciascuna camera) a intervalli di 105 secondi che sono state rese disponibili nelle pagine dedicate alle foto grezze. Nel database NASA non ho purtroppo trovato disponibili dei dark frame per rimuovere il rumore digitale dei sensori e provare così a ripulire le immagini. Ogni tentativo di elaborazione di queste foto è stato inutile e tutto ciò che si vede è il disturbo di acquisizione che sovrasta anche l’eventuale segnale prodotto dalle stelle. Da parte mia non posso fare assunzioni se queste riprese abbiano avuto successo, vedremo in future news ufficiali quali siano stati i risultati.
Una delle 24 immagini notturne acquisite da Curiosity nel Sol 4189. Right MastCam. NASA/JPL-Caltech/MSSS
C’è da aggiungere che, nonostante queste foto siano state scattate sia dalla MastCam di destra che da quella di sinistra, probabilmente solo la Left ci avrebbe permesso di apprezzare il fenomeno astronomico dell’aurora grazie alla lunghezza focale di 34 mm opposta al 100 mm della Right. Dal punto di vista della tecnica fotografica un teleobiettivo è estremamente limitante qualora si vogliano osservare ampie parti del cielo come sarebbe stato opportuno in questo caso. Ma da settembre 2023 la Left MastCam continua a presentare il problema dellaruota portafiltri bloccata a metà del filtro trasparente L0 (problema descritto per la prima volta in News da Marte #23). Attualmente i tecnici stanno continuando a impiegare la camera con l’accorgimento di scaricare perlopiù solo dei ritagli delle foto per non sprecare risorse con le porzioni oscurate delle immagini.
Foto del Sol 4191 della Left MastCam di Curiosity. NASA/JPL-Caltech/MSSS Simulazione del ritaglio a cui le immagini della Left MastCam vengono attualmente sottoposte. NASA/JPL-Caltech/MSSS/PirasRecente immagine della Left MastCam con il ritaglio descritto. NASA/JPL-Caltech/MSSS
Nuove osservazioni solari di Perseverance
Curiosity non è stato l’unico rover che a maggio ha guardato il cielo di Marte. Anche Perseverance è stato impegnato in osservazioni con il naso all’insù, sia solari che stellari. Come visto in passato su queste pagine, le rilevazioni solari sono permesse dalle MastCam-Z, la coppia di camere montate sulla testa (da qui il termine Mast) del rover e dotate di uno zoom (da qui la lettera Z) con escursione 26-110 mm che si differenziano dalle focali fisse di Curiosity. Ciascuna camera monta una ruota di filtri con cui isolare specifiche lunghezze d’onda nello spettro, in modo da capire esattamente quali specie minerali siano più abbondanti in determinate rocce. Tra questi filtri ce ne sono anche due solari, con i quali il rover osserva quasi quotidianamente il Sole per studiare quante polveri siano presenti in sospensione nell’atmosfera e di conseguenza stimare il parametro dello spessore ottico indicato con la lettera greca tau. Alle migliaia di foto scattate da scienziati e semplici appassionati alla macchia AR3664 menzionata nelle cronache di Curiosity, è doveroso per noi esploratori marziani aggiungere le riprese eseguite da Perseverance. Questa macchia, talmente grande da essere stata visibile persino a occhio nudo (ma sempre, ricordo, con gli opportuni filtri), alla sua massima dimensione si è estesa su una lunghezza pari a quasi 18 Terre una a fianco all’altra.
Il Sole visto da Marte il 12 maggio
Tra le immagini che ho selezionato per l’articolo la prima è stata acquisita il 12 maggio (Sol 1147) quindi all’indomani dei fenomeni aurorali estremi. Quando ormai sulla Terra AR3664 si accingeva a tramontare sul lato orientale del disco solare (come illustrato nell’immagine di SDO) su Marte la macchia aveva da poco iniziato a dare bella mostra di sé.
Foto della Left MastCam-Z del 12 maggio, Sol 1147. NASA/JPL-Caltech/ASU/MSSS/Piras Il Sole del 12 maggio visto dallo strumento Helioseismic Magnetic Imager a bordo del satellite SDO. NASA/SDO/HMI team/SpaceWeatherLive
Vale la pena tornare un po’ indietro nel tempo con le immagini del satellite SDO della NASA e ripescare un’acquisizione dello strumento Helioseismic Magnetic Imager datata 4 maggio. In essa si riconosce quasi perfettamente la configurazione di macchie solari che 8 giorni dopo, in seguito alla rotazione della superficie della nostra stella, era rivolta verso Marte.
Immagine del 4 maggio. NASA/SDO/HMI team/SpaceWeatherLive
Il Sole visto da Marte il 14 maggio
11 ore prima che AR3664 producesse l’impressionante brillamento con intensità X8.79 menzionato a inizio articolo, Perseverance aveva fotografato ancora una volta il Sole. L’immagine risultante conferma l’ottimo allineamento della macchia solare in direzione di Marte e ci lascia a fantasticare su quali aurore l’eruzione avrebbe potuto produrre sulla Terra se fosse avvenuta pochi giorni prima!
NASA/JPL-Caltech/ASU/MSSS/Piras
Rotazione solare: animazione
Le ultime immagini sul tema che desidero mostrarvi sono due animazioni realizzate a partire dalle foto solari di Perseverance dal 30 aprile al 22 maggio. I frame della prima gif sono quelli originali così come scaricati dalle pagine NASA, con l’unico accorgimento di aver centrato l’inquadratura sul Sole. Si notano i pixel colorati dovuti al rumore digitale del sensore, l’inclinazione variabile del Sole in base all’ora a cui le foto sono state scattate e soprattutto la mutevoleluminosità legata a quanta polvere fosse presente in atmosfera.
NASA/JPL-Caltech/MSSS/Piras
Ho quindi sottoposto i frame alla pulizia dagli hot pixel, uniformato l’esposizione e corretto l’inclinazione del disco in modo da rendere fluida la rotazione. Questo è il ben più gradevole risultato.
NASA/JPL-Caltech/MSSS/Piras
Ma questa polvere nell’aria che la sta facendo da padrona…si riesce a vedere? Come spesso avviene, un’immagine vale più di mille parole. Ecco una foto realizzata dalla camera di navigazione di Perseverance che illustra come i rilievi all’orizzonte quasi svaniscano a causa dell’oscuramento atmosferico.
Ripresa con la Left NavCam nel Sol 1158, 23 maggio. In basso c’è un ritaglio della porzione superiore della stessa foto. NASA/JPL-Caltech/Piras
Astrofotografia da Marte
Apparentemente non legato all’osservazione di particolari fenomeni nei cieli marziani, nella notte del Sol 1153 Perseverance ha eseguito uno scatto a lunga esposizione con la MastCam-Z di sinistra. Stavolta, a differenza delle immagini notturne di Curiosity, i tecnici hanno prodotto anche dei rudimentali dark frame eseguendo preliminarmente degli scatti con il filtro solare che, grazie all’oscuramento estremo che fornisce, ha bloccato a sufficienza ogni potenziale luce in ingresso alla camera. Ho potuto utilizzare queste particolari immagini per provare a migliorare il light frame, ovvero la foto notturna vera e propria. L’immagine è rimasta comunque rumorosa perché ho aumentato molto il contrasto con lo scopo di evidenziare sia la scia delle stelle che parte del paesaggio. Ebbene sì, Perseverance ha osservato delle stelle all’orizzonte.
Left MastCam-Z, Sol 1153. NASA/JPL-Caltech/ASU/MSSS/Piras
I metadati dell’immagine grezza ci aiutano a collocare lo scatto esattamente in direzione ovest e questo è coerente con l’inclinazione delle stelle le quali, viste dall’emisfero nord di Marte, stanno tramontando. Con l’ausilio del software di simulazione Stellarium possiamo ricostruire il cielo visto da Perseverance inserendo data e ora della foto (le 2:49 italiane del 18 maggio). Se con un po’ di pazienza inseriamo anche le specifiche del sensore, la lunghezza focale impiegata per quest’acquisizione e inseriamo un correttivo che tenga conto dell’inclinazione del rover rispetto al terreno, troviamo un’ottima corrispondenza con il campo inquadrato dalla MastCam-Z e scopriamo l’esatta zona di cielo puntata.
Simulazione della foto notturna di Perseverance. Stellarium/PirasCostellazione australe della Gru vista da Marte
Andando a indagare nelle immagini diurne delle NavCam acquisite in quei giorni Sol (quando Perseverance è rimasto fermo alcuni giorni nella stessa posizione) troviamo il rilievo che compare nella foto e che, dopo un’opportuna compensazione della distorsione della lente, si sovrappone abbastanza bene con lo scatto notturno.
La foto notturna del Sol 1153 è qui sovrapposta a un’immagine della Right NavCam del Sol 1151. NASA/JPL-Caltech/MSSS/Piras
Le opere degli Astrofotografi premiati da Coelum Astronomia
Al Museo della Città di Rovereto
In collaborazione con Coelum Astronomia
Dal 19 novembre 2025 al 6 gennaio 2026, il Museo della Città di Rovereto, ospita una nuova mostra di astrofotografia realizzata in collaborazione con la redazione della rivista Coelum Astronomia.
L’esposizione presenta le dieci straordinarie immagini vincitrici della “Astronomy Picture of Coelum” (APOC), selezionate e pubblicate sulla rivista Coelum Astronomia nei numeri dal febbraio 2024 al luglio 2025 (dal n.266 al 275).
Le eccezionali fotografie, stampate in grande formato e accompagnate da testi di approfondimento, raccontano al pubblico la bellezza e la complessità del cielo, offrendo uno sguardo affascinante sull’universo attraverso l’occhio e la sensibilità dei migliori astrofotografi italiani che da anni collaborano con la rivista.
Il 29 novembre si terrà, presso la sede museale, la cerimonia di consegna delle targhe celebrative agli autori delle immagini premiate, alla presenza della direttrice Molisella Lattanzi di Coelum Astronomia.
Questa iniziativa si inserisce nella continuità delle mostre e dei concorsi di astrofotografia “L’Universo in una foto” organizzati dalla Fondazione Museo Civico di Rovereto insieme al Sichardt Café, in attesa della prossima edizione del concorso prevista per il 2026.
La mostra valorizza anche il ruolo che il Museo svolge da sempre nel campo della divulgazione scientifica e astronomica. La sezione di Astronomia è infatti attiva tutto l’anno con programmi educativi, laboratori, osservazioni pubbliche e percorsi didattici rivolti a scuole e famiglie al Planetario del Museo intitolato ad Angioletta Coradini e all’Osservatorio Astronomico di Monte Zugna, dove si tengono regolarmente serate osservative e attività di approfondimento per il pubblico.
In questo contesto si inseriscono anche i lavori realizzati in chiave creativa dagli alunni e dalle alunne della Scuola primaria “Francesco Cavallin” di Vallarsa, che hanno sviluppato un percorso didattico dedicato all’esplorazione dello Spazio, con il supporto dell’Area Astronomia della Fondazione.
La mostra sarà visitabile a ingresso gratuito per tutta la durata dell’esposizione negli orari di apertura del Museo.
Vi aspettiamo al Museo di Rovereto!
Trovi tutti i vincitori della serie “Astronomy Picture of Coelum” a questo LINK
La Lemmon sopra Cortina all'alba del 18/10. Reflex su astroinseguitore.
Ci siamo, lo spettacolo sta per toccare il suo apice!
A fine ottobre la cometa C/2025 A6 Lemmon passerà alla minima distanza dalla Terra e l‘8 novembre transiterà al perielio, il punto della sua orbita più vicino al Sole.
Il fatto che i due momenti siano molto ravvicinati non può che essere un fattore positivo per la visibilità dell’oggetto, che già il 17/10 sono riuscito a scorgere, seppure a fatica, a occhio nudo. Un piccolo binocolo 10×50 mi ha invece permesso di ammirare oltre un grado di coda.
La Lemmon sopra Cortina all’alba del 18/10. Reflex su astroinseguitore. Crediti Claudio Pra.
Questo testimonia l’ottima salute dell’ “astro chiomato” che nei prossimi giorni, aumentando la sua luminosità fino alla terza/quarta magnitudine, dovrebbe mostrarsi piuttosto facilmente senza strumenti, ovviamente da siti bui. La Lemmon è già seguita da tempo dagli esperti ma in questo periodo sarà alla portata anche degli appassionati più tiepidi e dei semplici curiosi.
Per cercarla occorrerà guardare a nord ovest dopo il tramonto, non appena fa buio, scegliendo un sito preservato dall’inquinamento luminoso e dall’orizzonte piuttosto aperto. L’aspetto molto compatto dell’oggetto dovrebbe comunque agevolare le osservazioni.
Non dimentichiamo di dare anche uno sguardo alla C/2025 R2 SWAN, altra bella cometa di sesta magnitudine, osservabile in questo periodo sempre dopo il tramonto verso sud ovest, più alta sull’orizzonte rispetto alla Lemmon.
La SWAN il 17/10 in piena Via Lattea vicina alla Eagle Nebula e alla Swan Nebula. Reflex su astroinseguitore. Crediti Claudio Pra.
In un anno molto avaro di soddisfazioni abbiamo l’opportunità di rifarci. Non perdiamo quindi l’occasione, tutti sotto al cielo confidando nel meteo favorevole e in uno spettacolo da ricordare.
L’idea nasce da Nicoletta Iannascoli, vicepresidente della Lattanino-Cupolino, economista e divulgatrice, già autrice di Coelum, che da anni intreccia astronomia, cultura e umanità. Dietro il suo sorriso e la sua energia, però, c’è anche una storia personale. Da bambina, Nicoletta ha vissuto un lungo periodo di ricovero in ospedale. Un’esperienza che le ha lasciato cicatrici, ma anche un dono prezioso: la consapevolezza di quanto la gentilezza, l’ascolto e un piccolo gesto di luce possano cambiare il modo di vivere la sofferenza. “So cosa significa passare giorni interi in ospedale, lontano da casa e dagli amici,” racconta, “ricordo il silenzio, la paura, e anche la forza che nasce quando qualcuno ti regala un sorriso.“
Forse è da lì che è nato tutto questo: il desiderio di portare ai bambini un pezzo di cielo, una scintilla di speranza. “Quando guardi le stelle, anche dietro un vetro, capisci che la vita continua a brillare.”
Con Astronomia in corsia, Nicoletta realizza un sogno che unisce la scienza alla solidarietà. “Portare le stelle in ospedale significa donare ai bambini un momento di stupore, di magia, di scoperta. Le stanze diventano luoghi dove la mente può viaggiare anche se il corpo resta fermo. Guardare la Luna o il Sole, immaginare pianeti lontani, può restituire ai bambini la libertà di sognare.”
ABIO – Associazione per il Bambino in Ospedale nasce nel 1978 con una missione semplice e straordinaria: rendere gli ospedali luoghi più accoglienti, umani e a misura di bambino.
I volontari ABIO accolgono ogni giorno i piccoli pazienti e le loro famiglie, portando giochi, libri, ascolto e colori nei reparti pediatrici. A Napoli, ABIO Napoli è una realtà viva e attiva che opera in diversi ospedali, sempre con la stessa dolcezza e lo stesso obiettivo: far tornare un sorriso anche dove c’è paura.
Tra i tanti volontari che animeranno l’iniziativa c’è Mariangela Sofia, 35 anni, di Rofrano.
Nella vita si occupa di comunicazione e fotografia, ma il suo tempo più prezioso lo dedica da undici anni ai bambini ricoverati, come volontaria ABIO Napoli. “Il desiderio di fare volontariato è nato quando ero bambina,” racconta, “in undici anni ho vissuto centinaia di momenti che porto nel cuore. Quello che resta più impresso sono gli sguardi: quelli pieni di gratitudine delle mamme e quelli pieni di gioia dei bambini, che appena ci vedono arrivare sanno che con noi possono giocare e divertirsi.“
L’8 novembre, i corridoi del Policlinico di Napoli si riempiranno di luce: telescopi, racconti, disegni di pianeti e stelle. I bambini potranno osservare il cielo, toccare i modelli della Luna, ascoltare storie e viaggiare con la fantasia.
In questo incontro tra scienza e solidarietà, Stelle in corsia diventa un viaggio doppio: verso l’universo e verso l’animo umano. “La meraviglia è una forma di cura,” dice Nicoletta.
Perché il cielo è di tutti, anche di chi lo osserva da un letto d’ospedale. E a volte basta una stella — o una mano tesa — per accendere la speranza
Anche quest’anno Coelum Astronomia partecipa alla Fiera dell’Astronomia di Cesena – Astroshow 2025, in programma sabato 8 e domenica 9 novembre, confermando il proprio sostegno a un evento che, fin dalla prima edizione, si è affermato come il luogo di incontro e di confronto che il settore dell’astrofilia italiana attendeva da tempo.
L’edizione 2025 si preannuncia come la più grande e vivace di sempre, con un padiglione ampliato e ben 36 espositori tra aziende specializzate, associazioni e professionisti della divulgazione scientifica. Dopo le numerose richieste del pubblico e degli espositori, Astroshow introduce quest’anno anche un ricco programma di conferenze dedicate all’approfondimento e alla divulgazione, che si alterneranno per tutta la durata della manifestazione.
Coelum Astronomia: incontri, autori e dirette dalla fiera
Come ogni anno, Coelum Astronomia sarà presente con un proprio stand dedicato agli appassionati, ai lettori e agli abbonati, offrendo un punto di incontro diretto con la redazione e con gli autori. Sarà possibile incontrare la direttrice editoriale Molisella Lattanzi, conoscere le attività editoriali della rivista e ritirare gli omaggi esclusivi realizzati appositamente per il pubblico della fiera.
Accanto alla redazione sarà presente anche Luca Reggiani di Latitude 44.5, che esporrà una breve mostra fotografica dedicata all’astrofotografia e collaborerà con Coelum nella realizzazione di interviste, riprese e reportage per raccontare in tempo reale l’atmosfera della manifestazione e i suoi protagonisti.
Le conferenze: Coelum cura lo slot di domenica mattina
Tra le principali novità di questa edizione figura il nuovo ciclo di conferenze (programma completo allegato), che arricchirà l’offerta culturale della manifestazione. Coelum Astronomia curerà in particolare l’ultimo slot della mattinata di domenica, dalle ore 11:00 alle 12:30, in cui si alterneranno quattro autori della redazione, ciascuno con il proprio contributo divulgativo:
Aldo Zanetti – “Shara”
Laura Saba – “Favole tra le stelle”
Luigi Civita – “Einstein gioca a dadi”
Alessandro Ravagnin – “Oltre i limiti: gravità e fili di luce”
Durante l’incontro sarà possibile porre domande agli autori, che resteranno poi a disposizione presso lo stand di Coelum per proseguire la conversazione con il pubblico.
Novità 2025: ospite d’eccezione Sabrina Mugnos
Grande novità di quest’anno è la presenza di Sabrina Mugnos, geofisica, saggista e divulgatrice scientifica tra le più seguite in Italia. Autrice di numerosi testi di divulgazione, protagonista di conferenze e attività didattiche in tutta la penisola, sarà ospite dello stand di Coelum per incontrare il pubblico e firmare le copie del suo nuovo libro, “L’Universo che sussurra” (Il Saggiatore).
📚 Firma copie
Sabato 8 novembre dalle 15:00 alle 17:00
Domenica 9 novembre dalle 10:00 alle 12:00
🎙️ Intervista esclusiva Sabato pomeriggio, presso lo stand di Coelum, si terrà una intervista pubblica con Sabrina Mugnos, un momento di approfondimento sul suo percorso professionale, le sue esperienze di divulgatrice e i temi centrali del suo ultimo libro.
Astroshow: la fiera che unisce passione, tecnologia e divulgazione
Organizzata da Idealfiere Srls, Astroshow 2025 si conferma come una delle manifestazioni più attese del panorama astronomico nazionale. Oltre ai numerosi espositori, l’evento offrirà attività divulgative, dimostrazioni pratiche, laboratori per bambini e osservazioni solari, oltre a uno spettacolare planetario operativo per tutta la durata della fiera.
Come ogni anno, Coelum Astronomia sarà media partner ufficiale della manifestazione, seguendo in diretta l’evento, realizzando interviste e reportage e offrendo copertura sui propri canali e piattaforme digitali.
ASTROSHOW 2025
📍 Fiera di Cesena – Via Dismano 3845 (Uscita A14 Cesena Nord) 📅 8–9 novembre 2025 🎟️ Biglietto: € 5,00
Una nuova frontiera per comprendere l’Universo oltre la Relatività Generale
La Relatività Generale di Albert Einstein, formulata nel 1915, rappresenta una delle conquiste più profonde della scienza moderna. Essa descrive la gravità non come una forza nel senso newtoniano, ma come una manifestazione della curvatura dello spaziotempo, prodotta dalla presenza di massa ed energia. Questa visione ha spiegato con eleganza fenomeni che la fisica classica non riusciva a giustificare, come la precessione anomala del perielio di Mercurio, la deflessione della luce da parte del Sole e la dilatazione gravitazionale del tempo. Nel corso del XX e XXI secolo, la Relatività Generale è stata confermata da innumerevoli esperimenti, dalle osservazioni di lenti gravitazionali alle onde gravitazionali rilevate da LIGO e Virgo. Eppure, nonostante i suoi trionfi, la teoria di Einstein mostra dei limiti. Quando la si applica alla scala cosmologica, per spiegare l’accelerazione dell’espansione dell’Universo, occorre introdurre un’entità misteriosa chiamata energia oscura, la cui natura è ancora ignota. Allo stesso modo, la dinamica delle galassie e degli ammassi galattici sembra richiedere una forma di materia invisibile, chiamata materia oscura, che interagisce gravitazionalmente ma non emette né assorbe radiazione elettromagnetica. Queste due componenti, energia oscura e materia oscura, costituiscono oltre il 95% del contenuto energetico dell’Universo, ma restano non rilevate direttamente. Queste difficoltà hanno spinto la comunità scientifica a chiedersi se sia la gravità stessa a dover essere modificata. In altre parole, forse non occorre introdurre entità invisibili, ma piuttosto rivedere le leggi fondamentali che descrivono l’interazione gravitazionale, soprattutto su grande scala. Da questa riflessione è nata un’intera famiglia di teorie alternative alla Relatività Generale, chiamate genericamente teorie di gravità modificata. Queste proposte cercano di spiegare le osservazioni cosmologiche e astrofisiche partendo da principi diversi o ampliando quelli già noti.
Motivazioni per Modificare la Gravità
Le ragioni che spingono a studiare teorie di gravità modificata sono molteplici. Una delle principali è il problema dell’energia oscura: l’osservazione che l’Universo si espande in maniera accelerata, scoperta alla fine degli anni ’90 studiando supernovae di tipo Ia, è incompatibile con la sola materia visibile e con la gravità di Einstein in forma pura, a meno di introdurre una costante cosmologica di valore estremamente piccolo ma non nullo.
Il valore necessario per adattarsi ai dati appare, però, inspiegabilmente fine-tuned, ovvero regolato con una precisione difficile da giustificare dal punto di vista teorico.
Un secondo stimolo proviene dal problema della materia oscura. Le curve di rotazione delle galassie, le dinamiche degli ammassi e la formazione delle strutture cosmiche su larga scala sembrano indicare la presenza di una massa invisibile dominante. Ma dopo decenni di ricerche, nessuna particella candidata è stata ancora rilevata in laboratorio. È quindi lecito chiedersi se queste anomalie non siano invece dovute a un cambiamento del comportamento della gravità su scale galattiche e cosmologiche. Altri motivi nascono da problemi puramente teorici. La Relatività Generale, pur essendo estremamente elegante, non è compatibile con la meccanica quantistica in un quadro perturbativo standard: non è una teoria quantizzabile nel senso tradizionale, e questo la rende incompleta quando si cercano di descrivere fenomeni alle scale di Planck, come l’interno dei buchi neri o l’Universo primordiale.
Inoltre, la presenza di singolarità – punti in cui le grandezze fisiche diventano infinite – indica probabilmente che la teoria necessita di una forma di completamento. Infine, la ricerca di una teoria unificata che descriva tutte le forze fondamentali spinge a esplorare versioni della gravità derivate da quadri teorici più ampi, come la teoria delle stringhe o scenari di extra-dimensioni, in cui la Relatività Generale emerge come un limite approssimato.
La Gravità f(R)
La gravità f(R) rappresenta una delle estensioni più studiate della teoria di Einstein. L’idea di fondo è semplice: invece di considerare che l’azione gravitazionale dipenda linearmente dal solo scalare di curvatura R (noto anche come scalare di Ricci), come avviene nella Relatività Generale, si ipotizza che possa essere una funzione più generale di R.
Questa modifica introduce naturalmente nuovi gradi di libertà nella teoria, spesso interpretabili come un campo scalare aggiuntivo accoppiato alla gravità.
Uno dei motivi principali per cui questo approccio ha suscitato tanto interesse è la sua capacità di spiegare l’accelerazione cosmica senza ricorrere all’energia oscura tradizionale. Alcuni modelli specifici di f(R) riescono a produrre un’espansione accelerata su larga scala pur mantenendo un comportamento simile a quello della Relatività Generale su piccola scala, come nel Sistema Solare. Questo è possibile grazie a meccanismi di screening, come l’effetto camaleonte, che mascherano le deviazioni dalla gravità standard in ambienti ad alta densità.
Oltre alla cosmologia, la gravità f(R) offre scenari interessanti anche in astrofisica, modificando la struttura interna delle stelle di neutroni o influenzando la dinamica delle galassie. Tuttavia, la teoria non è priva di difficoltà: deve essere costruita con attenzione per evitare instabilità, comportamenti patologici e contraddizioni con i test gravitazionali locali. I modelli proposti vengono messi alla prova confrontandoli con dati di supernovae, radiazione cosmica di fondo, oscillazioni acustiche barioniche e formazione di strutture, cercando parametri che soddisfino simultaneamente tutti i vincoli osservativi. Oggi, la gravità f(R) è uno degli ambiti in cui missioni come Euclid e telescopi radio come SKA potranno dare contributi decisivi, misurando con grande precisione la crescita delle perturbazioni cosmiche e fornendo test diretti della validità di queste modifiche.
1. Gravità Teleparallelica e f(T)
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Con il patrocinio di: INAF – Istituto Nazionale di Astrofisica e dell’ Università degli Studi di Napoli “Federico II”
Il XXXIII Convegno Nazionale del GAD (Gruppo di Astronomia Digitale) si è svolto dal 10 al 12 ottobre 2025 presso l’Osservatorio Astronomico di Capodimonte a Napoli. Un appuntamento che da anni riunisce astrofili, ricercatori e divulgatori da tutta Italia.
Più di 50 partecipanti hanno animato tre intense giornate di relazioni, osservazioni, visite e convivialità.
Il convegno inizia con i saluti istituzionali del Direttore dell’Osservatorio, Pietro Schipani, e del Presidente dell’UAN, Edgardo Filippone.
Successivamente si sono susseguiti interventi di alto livello scientifico:
Marcella Marconi, ex Direttrice dell’Osservatorio, ha aperto i lavori con una relazione dedicata alla variabilità stellare.
Salvo Pluchino, Presidente dell’UAI, ha tracciato un quadro aggiornato della radioastronomia amatoriale, settore in espansione grazie alle nuove tecnologie di ricezione e all’impegno dei gruppi di ricerca locali.
Clementina Sasso (INAF) ha sottolineato l’importanza del dialogo tra mondo professionale e comunità amatoriale, una collaborazione che arricchisce entrambi i fronti.
Giovanni Covone, docente dell’Università Federico II di Napoli, ha affascinato il pubblico con un intervento sulla ricerca di esopianeti e mondi abitabili, raccontando le più recenti scoperte e i progressi nell’individuazione di pianeti extrasolari simili alla Terra.
Claudio Lopresti, Presidente del GAD, ha presentato la nuova impostazione dell’Area Ricerca e Tecnica UAI, delineando le linee guida e le prospettive future del network.
Non sono mancati contributi di rilievo da parte dei soci dell’UAN, come Fabio Filippi sugli osservatori remotizzati, e Antonio Marino e Giulio Follero sui progetti di ricerca sugli esopianeti.
Quest’anno, l’Unione Astrofili Napoletani (UAN) ha avuto un ruolo centrale nell’organizzazione dell’evento, curando con dedizione la logistica e l’accoglienza di tutti i partecipanti.
Come ha spiegato Antonio Marino, responsabile della Sezione Esopianeti dell’UAN, l’obiettivo principale è stato duplice: da un lato offrire agli appassionati locali un’occasione preziosa per confrontarsi con esperti delle discipline trattate dal GAD; dall’altro creare un ambiente accogliente stimolante per tutti i partecipanti.
Un impegno non da poco, ma che – sottolinea Marino – “ha ripagato pienamente gli sforzi, grazie ai tanti apprezzamenti ricevuti da parte degli ospiti e al clima di collaborazione che si è respirato durante tutto il convegno”.
Fra i temi più vivi dell’edizione 2025 c’è stata senza dubbio la ricerca sugli esopianeti, ambito in cui l’Italia continua a distinguersi per partecipazione e competenza della comunità amatoriale.
Marino ha sottolineato come la ricerca stia vivendo una fase “straordinariamente dinamica”, in cui anche gli astronomi non professionisti contribuiscono in modo significativo ai progetti internazionali.
Programmi come ExoClock e TESS, infatti, dimostrano quanto sia prezioso il lavoro della citizen science e quanto le tecnologie moderne – telescopi, sensori e software di analisi – stiano rendendo sempre più accessibile un campo di studio che solo pochi anni fa sembrava riservato ai grandi osservatori professionali.
“È un percorso affascinante – ha spiegato Marino – e siamo solo all’inizio. La ricerca esoplanetaria rappresenta uno dei settori più entusiasmanti dell’astronomia contemporanea, capace di unire rigore scientifico e meraviglia per la scoperta.”
Un momento particolarmente significativo è stato il collegamento online con Molisella Lattanzi, direttrice della rivista Coelum Astronomia. In segno di vicinanza, la direttrice ha fatto distribuire ai presenti copie della rivista Coelum, dono simbolico che ha rappresentato l’unione tra ricerca amatoriale e comunicazione scientifica professionale.
Inoltre, uno degli aspetti più apprezzati del Convegno GAD resta la possibilità di incontro tra realtà diverse, accomunate dalla stessa passione per il cielo.
Per Marino, questo è proprio “il valore più grande di eventi come il GAD”: la capacità di creare connessioni tra esperienze e competenze distribuite su tutto il territorio nazionale, offrendo un terreno fertile per la nascita di nuove collaborazioni e idee di ricerca.
La forza del gruppo, aggiunge, risiede nel ritrovarsi periodicamente “per confrontarsi, ispirarsi e rafforzare la rete che unisce appassionati e ricercatori, in un dialogo continuo che arricchisce entrambi i mondi.”
Il messaggio che Marino rivolge a chi desidera avvicinarsi al mondo degli esopianeti è semplice ma profondo: iniziare insieme, mai da soli.
Avvicinarsi alle associazioni locali, partecipare alle attività dei gruppi di ricerca, condividere esperienze e tecniche di elaborazione fotometrica: sono questi, secondo lui, i primi passi per entrare in un campo che non smette di stupire.
“La condivisione delle competenze – afferma – è la chiave che apre le porte di questo mondo affascinante. È così che si cresce, come astrofili e come persone.”
Il Convegno GAD 2025 ha confermato ancora una volta quanto la collaborazione tra professionisti e appassionati rappresenti una delle risorse più preziose per l’astronomia italiana.
Napoli e l’Osservatorio di Capodimonte si confermano così luoghi di incontro privilegiati per chi guarda il cielo con curiosità e dedizione.
E come ricorda Marino, “ogni volta che ci ritroviamo, l’astronomia diventa non solo scienza, ma anche relazione, cultura e futuro condiviso.”
Grazie ad Antonio Marino Responsabile Sezione esopianeti e stelle variabili UAN
Nel cuore del nord-ovest dell’Arabia Saudita, un’area ricca di patrimonio archeologico ereditato da civiltà antiche, è oggi sede di un’importante iniziativa scientifica e tecnologica. AlUla è una terra famosa per i suoi siti storici come la città nabatea di Hegra, dichiarata Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO nel 2008, per i paesaggi mozzafiato e per le radicate tradizioni narrative. Presto ospiterà un osservatorio astronomico unico nel suo genere. L’Osservatorio di AlUla Manara, attualmente in fase di sviluppo, è concepito come una struttura scientifica multifunzionale, finalizzata non solo alla ricerca, ma anche alla valorizzazione culturale e alla formazione. Il progetto mira a integrare attività scientifiche, educative e divulgative in un unico contesto operativo, con una prospettiva di lungo termine. Su scala nazionale, AlUla Manara si inserisce negli sforzi dell’Arabia Saudita per ridurre la dipendenza dal petrolio, puntando su turismo, istruzione e ricerca. Il progetto vuole anche favorire innovazione, collaborazioni e dialogo internazionale. L’osservatorio però guarda oltre i confini del paese: nasce come spazio in cui astronomia, educazione, sostenibilità e identità culturale si intrecciano sotto uno dei cieli più limpidi del pianeta. In linea con la Vision 2030, l’obiettivo è diventare un punto di riferimento per la scienza e la comunità, aprendo l’accesso al cielo non solo ai ricercatori, ma anche agli astrofili, alle scuole e alle istituzioni di tutto il mondo.
Sito archeologico della antica città nabatea di Hegra, nei pressi di AlUla. Copyright: Experience AlUla.
Indice dei contenuti
L’Osservatorio di AlUla Manara
Il valore di AlUla Manara sta soprattutto nel suo cielo. L’osservatorio sorgerà su un altopiano naturale nel deserto, circa 74 chilometri a nord della città vecchia di AlUla e poco a ovest della Riserva Naturale di Gharameel. Nel 2024 l’area ha ottenuto il riconoscimento di International Dark Sky Park da parte di DarkSky International, entrando così in quel ristretto 5% di luoghi al mondo dove l’oscurità del cielo è davvero eccezionale.
Questo non è solo un titolo: significa che qui l’inquinamento luminoso è quasi assente, l’umidità è molto bassa e ci sono più di 280 notti limpide all’anno. A tutto ciò si aggiungono l’altitudine del plateau e la stabilità del clima, che rendono il sito uno dei migliori del Medio Oriente per osservazioni astronomiche.
Riserva Naturale di Gharameel, nei pressi di AlUla. Copyright: Gary Fildes.
Ma il legame con il cielo non è una novità. Per secoli le comunità di AlUla hanno usato le stelle per orientarsi, per misurare il tempo e come punto di partenza per racconti e tradizioni tramandate di generazione in generazione. L’arrivo di un osservatorio moderno non spezza questa continuità: la aggiorna, trasformando una curiosità antica in conoscenza scientifica.
AlUla Manara non sarà solo un centro di ricerca. Vuole aprirsi anche a insegnanti, studenti, turisti, artisti e appassionati, offrendo esperienze che uniscono scienza, paesaggio naturale e cultura locale. Un luogo in cui guardare il cielo diventa non solo osservazione, ma anche racconto e condivisione. “Manara”, in arabo faro, è il nome scelto per l’osservatorio: un simbolo di luce e orientamento, pensato per diventare un punto di riferimento nella ricerca e nella formazione.
L’idea alla base è semplice: far crescere le conoscenze astronomiche e allo stesso tempo dare impulso a nuove competenze, sia umane che tecnologiche.
Il progetto si inserisce nella cornice della Vision 2030 saudita, con l’ambizione di sostenere la diversificazione dell’economia, rafforzare l’istruzione e aprire sempre di più lo scambio culturale con il resto del mondo.
Ma AlUla Manara non è solo un osservatorio: è parte di un mosaico più grande, fatto di iniziative culturali, di progetti per la tutela del patrimonio e di attenzione all’ambiente, portati avanti dalla Royal Commission for AlUla.
Il sito archeologico della antica città nabatea di Hegra, nei pressi di AlUla, si accende con spettacoli di narrativa, teatro e musica dopo il tramonto. Crediti: Gianluca Lombardi.
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L’astrofotografia amatoriale è cambiata profondamente negli ultimi anni, e buona parte di questa evoluzione si deve alla crescita e al miglioramento degli strumenti software. In questo scenario, Siril ha conquistato un ruolo di primo piano: è un software open-source, potente e multipiattaforma, pensato appositamente per chi lavora con immagini astronomiche. Dalla calibrazione delle immagini con dark, bias e flat, alla registrazione (allineamento) e all’integrazione di centinaia di pose in un’unica immagine finale (stacking)1.
Siril offre agli astrofili tutto ciò che serve per trasformare i dati grezzi delle foto astronomiche in immagini pronte per l’analisi scientifica o la pubblicazione a scopi divulgativi o semplicemente da condividere con passione sui social.
Tuttavia, è importante ricordare che Siril offre molto più del semplice utilizzo di calibrazione e stacking delle immagini, il potenziale del software va ben oltre. Ad esempio, consente di:
analizzare le immagini in modo avanzato (Fig. 2), combinando criteri multipli per filtrare, ordinare o confrontare pose;
eseguire fotometria differenziale e curve di luce, utili per lo studio di esopianeti, stelle variabili o eventi transitori;
realizzare astrometria precisa, con riconoscimento automatico degli oggetti presenti nell’immagine;
integrare librerie esterne Python per operazioni scientifiche complesse, come la riduzione dati o la modellazione.
Figura 2 – Diverse possibilità di grafici realizzati con lo stesso set di immagini.
Un riconoscimento importante, che conferma quanto Siril, pur essendo gratuito, sia ormai uno strumento maturo e affidabile anche per la ricerca scientifica professionale.
Per sfruttare appieno tutte queste potenzialità, è necessario andare oltre la semplice esecuzione di script e immergersi nella documentazione ufficiale, nei tutorial disponibili e nella community.
Con la versione 1.4.0, Siril ha introdotto una novità importante: l’integrazione di un ambiente Python interno VENV (virtual environment)2 completamente gestito dal programma. Non si tratta solo di una nuova funzione, ma di una vera svolta, che apre le porte a un modo completamente nuovo di personalizzare e automatizzare il lavoro.
Python è un linguaggio di programmazione di alto livello, versatile e facile da leggere, pensato per essere chiaro e accessibile anche a chi non è uno sviluppatore professionista. Proprio grazie alla sua semplicità, negli anni è diventato lo strumento preferito in moltissimi ambiti scientifici e accademici.
Il vero punto di forza di Python risiede nel suo vastissimo ecosistema di librerie specializzate: moduli già pronti per ogni esigenza, che permettono di affrontare calcoli complessi o analisi dati senza dover reinventare tutto da zero.
Solo per citarne alcune:
NumPy e SciPy per il calcolo numerico ad alte prestazioni;
Matplotlib e Plotly per la visualizzazione dei dati;
OpenCV per l’elaborazione di immagini e computer vision;
e naturalmente Astropy, una libreria pensata appositamente per l’astronomia.
Quest’ultima consente, ad esempio, di gestire file FITS3, convertire coordinate celesti e molto altro ancora.
E per l’utente comune? Nessun incubo da installazioni o righe di comando. Non serve configurare nulla a mano: è Siril che fa tutto da solo. Se uno script ha bisogno di librerie esterne come NumPy o OpenCV, le scarica e le installa automaticamente nel suo ambiente Python VENV separato da tutto il sistema, senza toccare, compromettere o entrare in conflitto con il resto del sistema.
Una “zona sicura” dove gli script possono lavorare in modo isolato, senza correre il rischio di entrare in conflitto con altre versioni di Python già installate sul computer.
E se qualcosa dovesse andare storto (sempre e solo dentro l’ambiente Python VENV di Siril)? Nessun problema: basta un semplice comando da Siril per resettare tutto l’ambiente e ripartire da zero. Una funzione comoda che risolve in un attimo eventuali instabilità.
È un approccio davvero intelligente: semplice per l’utente, stabile per il sistema e sicuro per i dati.
Grazie a questa architettura, oggi anche chi non ha mai scritto una riga di codice può usare — o persino creare — strumenti su misura (è integrato in Siril un editor per script Python), automatizzare operazioni ripetitive o sperimentare con idee nuove. Un passo avanti enorme rispetto al passato, che ha reso possibile (almeno per quanto mi riguarda) lo sviluppo del set di strumenti presentati in questo articolo.
Il set comprende cinque tool, ognuno pensato per risolvere un problema specifico o per rendere più semplice una fase del flusso di lavoro. Si va dalla gestione dei file con “Sequence Deleter“, all’analisi diagnostica dei flat “Flat on Flat Analyzer“, passando per strumenti di elaborazione creativa come “Hubble Palette from OSC” e “Signature Tool“, fino ad arrivare al recupero di dati, grazie a “Satellite Trail Remover“, uno script avanzato per la rimozione semi automatica delle tracce di aerei o satelliti artificiali.
Sequences Deleter
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Figura 5 - Vista interna del fotometro del 1976, che mostra la parte elettronica di controllo con condensatori, resistenze, diodi, transistor e l'integrato oscillatore CA 555.
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Le Origini della Misurazione dell’Inquinamento Luminoso
L’osservazione del cielo notturno, attività fondamentale dell’astronomia, è oggi seriamente minacciata dalla crescente illuminazione artificiale. Questo fenomeno, noto come inquinamento luminoso, rappresenta una sfida globale per gli astronomi. Misurare accuratamente la luminosità del cielo notturno è essenziale per quantificare l’inquinamento, comprenderne l’impatto e selezionare siti idonei per futuri osservatori. In tale contesto, lo sviluppo di strumenti dedicati è cruciale. Questo articolo descrive uno dei primi strumenti portatili specificamente progettato, costruito e testato dall’Osservatorio Vaticano e utilizzato nelle campagne di misurazione del 1971, il cui lavoro fu pubblicato nel 1973, e il cui rapporto è disponibile tramite il NASA Astrophysics Data System (ADS).
Nel corso dei decenni, la comunità scientifica ha costantemente avanzato metodologie e strumentazione per la quantificazione precisa della luminosità del cielo notturno. Dai primi tentativi basati su stime visive, laboriose e soggette a errori, si è passati a strumenti sempre più sofisticati. L’introduzione di fotomoltiplicatori e sensori CCD ha rappresentato avanzamenti fondamentali, consentendo una quantificazione della luce del cielo con un livello di dettaglio senza precedenti.
La storia dell’Osservatorio Vaticano, o Specola Vaticana, testimonia una lunga e ininterrotta tradizione di ricerca astronomica. Le sue origini risalgono alla fine del XVI secolo con la Torre Gregoriana in Vaticano. L’interesse della Chiesa per l’astronomia crebbe, portando alla fondazione ufficiale dell’Osservatorio nel 1774 presso il Collegio Romano. A seguito della presa di Porta Pia nel 1870, l’osservatorio fu trasferito all’interno delle Mura Leonine. Successivamente, a causa del crescente inquinamento luminoso che rendeva le osservazioni a Roma sempre più difficili, a partire dagli anni ’30 l’osservatorio fu spostato nella sua attuale sede di Castel Gandolfo. Questo trasferimento evidenzia la dedizione della Specola alla ricerca di alta qualità e la sua precoce consapevolezza dell’impatto negativo dell’illuminazione artificiale.
In questo contesto di crescente consapevolezza dell’importanza dei cieli bui, l’Osservatorio Vaticano ha dato un contributo significativo con lo sviluppo di un fotometro portatile, specificamente progettato per misurare la luminosità del cielo notturno in Italia. Il rapporto sulle misurazioni effettuate e lo strumento stesso, rappresentano un esempio pionieristico di equipaggiamento portatile.
La Legge di Propagazione
La ricerca del 1971 mirava a sviluppare una “legge di propagazione” della luce artificiale nel cielo notturno per mappare l’inquinamento luminoso su vaste regioni. Gli autori, Treanor e Bertiau, hanno studiato un modello che descrive come la luce di una città si diffonde nell’atmosfera, basandosi sulla seguente equazione:
Immagina di guardare il faro di un’automobile di notte. La luce che vedi è composta da due parti:
La luce diretta: il fascio luminoso che arriva dritto ai tuoi occhi.
La luce diffusa: il bagliore, o alone, che vedi intorno al faro, causato dalla luce che rimbalza sulle particelle di polvere o umidità nell’aria.
L’equazione di Treanor e Bertiau funziona in modo simile: il primo termine descrive il bagliore diffuso, e il secondo descrive il fascio di luce diretta che arriva dalla città.
In questa formula, I è la luminosità che rileva il fotometro nel cielo notturno (illuminazione zenitale), P è la popolazione della città e X è la distanza tra te e la città. Il funzionamento dell’equazione è determinato da tre costanti principali: A, B e k. Ecco cosa rappresentano:
Componente di Diffusione (A): rappresenta l’intensità del bagliore diffuso, come l’alone di luce che una città proietta nel cielo notturno. Un valore di A più alto indica un alone di luce più grande, a parità di altre condizioni.
Componente Diretta (B): rappresenta l’intensità della luce che viaggia direttamente verso l’osservatore. Descrive il contributo principale della luce che non viene dispersa.
Attenuazione (k): un parametro che descrive quanto rapidamente la luce, sia diretta che diffusa, viene indebolita mentre attraversa l’atmosfera. Un valore di k elevato indica che la luce svanisce più velocemente con la distanza.
Figura 1 – Rappresentazione schematica del modello semplificato di propagazione della luce artificiale nell’atmosfera, proposto da Treanor.
Le osservazioni utilizzate per calibrare questa legge furono condotte nell’estate del 1971, con oltre 5000 misurazioni effettuate in diverse località italiane. Tre città furono selezionate per lo studio: Roma (2.600.000 abitanti), L’Aquila (61.000 abitanti) e Teramo (48.000 abitanti), per testare il modello su scale urbane molto diverse. Le notti di osservazione furono scelte per la loro eccellente trasparenza e l’assenza di nuvole, garantendo la massima qualità dei dati.
I risultati di queste misurazioni sono visualizzati nella figura 2. Il grafico illustra chiaramente come l’inquinamento luminoso diminuisca all’aumentare della distanza dal centro abitato. L’asse orizzontale indica la distanza, mentre l’asse verticale rappresenta la magnitudine, che quantifica la perdita di visibilità stellare. Questi dati confermarono l’efficacia del modello di Treanor, dimostrando che l’inquinamento luminoso può essere misurato e analizzato in relazione alla distanza da una sorgente luminosa.
Ulteriori osservazioni sono state condotte a Castel Gandolfo, a Toppo di Castelgrande (sito di test per i gruppi di prospezione del Grande Telescopio Britannico e Italiano), sull’Isola di Ponza e nella campagna a sud di Lecce. Le osservazioni condotte nelle vicinanze di Roma, L’Aquila e Teramo hanno confermato che la legge empirica si adatta efficacemente ai dati. L’intensità della luce artificiale nel cielo, misurata rispetto al cielo naturale, è stata tracciata in funzione della distanza in chilometri. Si è notato che, oltre una certa distanza, l’intensità artificiale non cambiava più, permettendo di stabilire un punto zero locale per i contributi di inquinamento luminoso.
Figura 2 – Grafico dei risultati delle misurazioni dell’inquinamento luminoso nelle città di Roma, L’Aquila e Teramo. L’asse orizzontale indica la distanza dal centro abitato, mentre l’asse verticale mostra il valore della magnitudine, quantificando la perdita di magnitudine in base alla distanza dal centro città.
Per confrontare questi risultati con la legge empirica, è stato necessario considerare la popolazione delle città e le differenze nel loro sviluppo economico. Un fattore di scala basato sulla sola popolazione ha permesso di allineare i dati di Roma e L’Aquila su una curva comune. I valori per Teramo sono risultati inferiori a questa curva di circa il 23%, una differenza che riflette il suo minore sviluppo, un aspetto confermato da dati statistici. I risultati combinati, normalizzati per 100.000 abitanti, hanno mostrato un’ottima corrispondenza con la legge empirica di riferimento, grazie a un’adeguata calibrazione delle costanti. Ulteriori analisi e l’applicazione di formule successive hanno permesso di chiarire alcuni aspetti fondamentali:
Il modello mostra che a grandi distanze, la diffusione della luce nell’atmosfera è il meccanismo principale di propagazione.
Il modello non è preciso a distanze molto ravvicinate dalle città, dove l’approssimazione non è pienamente valida. Questo difetto è stato corretto assegnando una distanza minima di 5 km ai siti di osservazione che si trovano più vicini.
È emerso che il fattore di sviluppo economico è un parametro importante. Per l’Italia, si è trovata una correlazione con il numero di telefoni per abitante, che ha permesso di stimare questo fattore per le varie città, offrendo un metodo oggettivo per tenere conto delle differenze di sviluppo.
Questi risultati hanno dimostrato che è possibile modellare e prevedere l’inquinamento luminoso anche su larga scala, sebbene con alcune limitazioni dovute a fattori locali come l’altitudine dell’osservatorio, le irregolarità topografiche e la presenza di neve, che influenzano l’albedo superficiale.
Il Primo Fotometro
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Composizione SHO di Federico Vittorio Mantovani con scatti realizzati la sera del 29 giugno 2025 con Sky-Watcher 300mm/1200mm e ASI2600MM per un totale di 19 ore di integrazione. Nel riquadro in basso a sinistra è evidenziato l’oggetto che ha fatto scattare la scintilla. A destra nei due cerchi l'area compresa nel mirino a sinistra ingrandita come si mostrava nello scatto di Mantovani nel 2023 e come è apparsa nel 2025.
A volte basta poco per far partire un’indagine dal sapore scientifico anche in ambito prettamente amatoriale: uno scatto tradizionale, un dettaglio che non torna, una chiacchierata tra astrofili. È proprio quello che ci è successo nel mese di luglio scorso, quando Federico ha realizzato un normalissimo scatto sulla nebulosa Aquila (M16) e dopo aver notato una piccola sorgente luminosa, non così luminosa in una sessione da lui realizzata nel 2023, mi ha contattato per cercare di capire che stesse succedendo in quella piccola porzione di cielo. Da lì è scattata la scintilla. Confronti con immagini d’archivio, verifiche incrociate, qualche notte passata a paragonare frame e a scavare nei cataloghi scientifici… e il sospetto si è fatto via via più corposo: quella sorgente si è davvero accesa recentemente, o quantomeno ha mostrato un forte incremento di luminosità in una banda ben precisa, quella dell’Ossigeno terzo (OIII), normalmente ripresa con filtri narrowband per la composizione delle immagini in Hubble Palette. Questo articolo racconta passo dopo passo la nostra esperienza, non solo come caso scientifico, ma anche come stimolo per chi vuole trasformare una “semplice” sessione di astrofotografia in qualcosa di più: un’occasione per osservare in modo attivo, per cercare il nuovo nell’apparente già visto, per scoprire che dietro ogni frame si può nascondere una piccola sorpresa.
Indice dei contenuti
La Scoperta
Nelle notti della prima settimana di Giugno, Federico ha realizzato una serie di riprese multibanda della famigerata nebulosa Aquila, al cui centro ci sono gli ancora più famosi Pilastri della Creazione, una struttura di gas ionizzato, polveri e giovani oggetti stellari immortalati decine di anni fa in una delle più celebri immagini del Telescopio Spaziale Hubble. Durante il montaggio dell’immagine in Hubble Palette (combinazione di riprese coi filtri SII, H-alpha e OIII) con stelle RGB, Federico si è accorto di uno strano oggetto in una delle due ali dell’Aquila, che in una sua precedente ripresa non aveva lo stesso aspetto (fig. 1).
Composizione SHO di Federico Vittorio Mantovani con scatti realizzati la sera del 29 giugno 2025 con Sky-Watcher 300mm/1200mm e ASI2600MM per un totale di 19 ore di integrazione. Nel riquadro in basso a sinistra è evidenziato l’oggetto che ha fatto scattare la scintilla. A destra nei due cerchi l’area compresa nel mirino a sinistra ingrandita come si mostrava nello scatto di Mantovani nel 2023 e come è apparsa nel 2025.
L’oggetto in questione si trova nelle vicinanze della posizione RA 18h 20m 46.16s, DEC -13° 45′ 27.3″ (J2000), in un campo stellare abbastanza denso, immerso in emissioni di idrogeno ionizzato. Nella composizione RGB e nei singoli canali (R, G, B), la fonte luminosa appare debole ma è identificabile e sbilanciata verso il rosso. Nel canale OIII si osserva invece una maggiore e marcata luminosità se paragonata alle stelle del campo, mentre nei canali SII e Hα l’intensità è meno marcata. Le immagini in figura 2 rappresentano un confronto qualitativo tra le varie bande nelle osservazioni di Federico di giugno 2025.
Figura 2 – Pannello con canali RGB, R, G, B, SHO, SII, Hα, OIII realizzati da Federico Vittorio Mantovani la sera del 29 giugno 2025. Notare la sorgente in centro al FoV, molto brillante ed estesa nel canale OIII.
La Verifica
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APPASSIONATI DI METEORE E METEORITI IN ABRUZZO PER LA 7° EDIZIONE DEL MEETING NAZIONALE
Il Progetto PRISMA (Prima Rete Italiana per la Sorveglianza sistematica di Meteore e Atmosfera) dell’Istituto Nazionale di Astrofisica convoca la sua comunità il 7 e 8 novembre a Teramo per fare il punto sui progressi della rete. La chiusura delle iscrizioni è fissata per il 22 ottobre.
Si terrà il 7 e 8 novembre 2025 a Teramo, presso l’Hotel Sporting, la settima edizione dei PRISMA Days. Il meeting annuale della Prima Rete Italiana per la Sorveglianza sistematica di Meteore e Atmosfera (PRISMA), sostenuto da Fondazione CRT e con il supporto della Direzione Scientifica dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), è l’appuntamento di riferimento in Italia per tutti coloro – appassionati, ricercatori, realtà educative e amatoriali – che operano nel campo di meteore e meteoriti.
Per la prima volta in Abruzzo, i PRISMA Days 2025 rappresenteranno l’occasione per aggiornare la comunità sullo stato dei lavori della rete, sulle novità e sui progressi scientifici e tecnologici raggiunti nell’ultimo anno. L’incontro è aperto a tutte le realtà attive sul territorio nazionale.
Il meeting è particolarmente rilevante per esperti che, in diversi ambiti, si occupano o sono interessati al monitoraggio di meteore e bolidi. La rete INAF del progetto PRISMA, infatti, non si limita all’astrofisica, bensì fornisce dati cruciali per la comprensione dell’atmosfera e per la localizzazione di eventuali ritrovamenti di meteoriti sul suolo nazionale. La rete PRISMA rappresenta un ponte unico tra lo spazio e la Terra, con implicazioni dirette per lo studio del nostro pianeta
Il progetto PRISMA si basa su una rete nazionale di camere all-sky che ha tre obiettivi principali: determinare le orbite degli oggetti che generano meteore brillanti (fireball e bolidi); delimitare le aree di caduta per il recupero delle meteoriti; raccogliere dati sistematici per la validazione di modelli meteorologici e per il perfezionamento dei modelli di interazione dei corpi cosmici con l’atmosfera terrestre.
A conclusione dei PRISMA Days, sabato 8 novembre, si terrà un importante evento di divulgazione e formazione: il Multiplier Event del progetto europeo Erasmus+ StAnD (StudenTs As plaNetary Defenders). Questo evento è specificamente rivolto ai docenti della scuola primaria e secondaria, ma è aperto a tutti gli interessati, con l’obiettivo di introdurre strumenti e attività per appassionare gli studenti alle materie STEM attraverso il tema degli asteroidi, delle comete e della difesa planetaria. L’evento è aperto a tutti fino a esaurimento dei posti. Si prega di segnalare il proprio interesse compilando il modulo dedicato: https://forms.gle/cb6eu6pAa7R7UXjG6
All’organizzazione del meeting e dell’evento formativo contribuiscono l’INAF-Osservatorio Astronomico d’Abruzzo e l’INAF-Osservatorio Astrofisico di Torino. Per informazioni scrivere a prisma_po@inaf.it
Messier 24 è un oggetto completamente differente da tutti quelli osservati finora in questa rubrica. Non parleremo di un ammasso aperto, globulare, o di una nebulosa, ma di una nube stellare. Nota anche come Nube delle Caustiche (“per la particolare disposizione delle sue stelle in raggi, archi, curve caustiche e spirali intrecciate”, Padre Secchi), quest’oggetto celeste non è altro che una “finestra aperta” che ci permette di osservare ben oltre la Fenditura oscura che attraversa la Via Lattea vista dalla Terra. Tramite essa, possiamo apprezzare paesaggi stellari che appartengono non solo al nostro braccio galattico (quello di Orione), ma anche al braccio minore del Sagittario e quelli maggiori dello Scudo-Croce e del Cigno, tutti frapposti tra la Terra ed il centro della galassia.
Storia delle osservazioni
Messier 24, fu osservato per la prima volta da Charles Messier il 20 giugno 1764, che lo descrisse come “una grande nebulosità nella quale si distinguono diverse stelle di differente luminosità, distribuite in più parti”. Lo inserì nel suo celebre catalogo riportando un’estensione apparente di circa un grado e mezzo d’arco. Altri osservatori come John Herschel e William Henry Smyth, a partire dal XIX secolo, notarono che M24 non era un oggetto puntiforme, ma piuttosto una densa regione della Via Lattea, resa visibile da una particolare apertura tra le nubi oscure galattiche. Herschel, in particolare, parlò di una “parte gloriosa e concentrata della Via Lattea, quasi somigliante a un ammasso globulare”, mentre l’ammiraglio Smyth ne elogiò la ricchezza di stelle e la complessità strutturale, paragonandola a una distesa di polvere stellare punteggiata da regioni più dense. Nel corso del tempo, la natura di M24 è stata oggetto di interpretazioni discordanti. Alcuni astronomi dell’Ottocento la identificarono erroneamente con l’ammasso aperto NGC 6603, situato nella sua zona centrale, trascurando la descrizione originale di Messier. In epoca moderna, invece, si è chiarito che M24 non corrisponde a un oggetto celeste, bensì a un sezione della galassia osservabile attraverso una “finestra” di minore assorbimento interstellare. Questa zona, visibile a occhio nudo nelle notti più buie, è stata anche chiamata, come detto in apertura, “Nube delle Caustiche”, denominazione introdotta dall’astronomo gesuita Pietro Angelo Secchi. Agnes Mary Clerke, un’astronoma e scrittrice irlandese, riprese questo nome poetico nel 1905, sottolineando l’unicità visiva della nube stellare.
Caratteristiche fisiche
M24 è una vasta nube stellare situata nella costellazione del Sagittario, lungo la direzione del Braccio del Sagittario-Carena. Non si tratta di un singolo ammasso stellare, ma di una regione estesa del piano galattico visibile grazie a una fenditura tra le nubi oscure della Via Lattea. Questa nube stellare consente una visuale profonda, che si estende dai 10.000 ai 16.000 anni luce, attraversando due bracci a spirale e spingendosi visivamente fino al Braccio della Cigno, uno dei più interni della nostra galassia. L’ampiezza apparente di M24 è di circa 2° per 1°, e la sua larghezza reale è stimata in circa 600 anni luce, rendendola la più densa concentrazione di stelle individuali osservabile con un binocolo: si possono distinguere fino a un migliaio di astri in un singolo campo visivo.
All’interno della nube si trovano diversi oggetti di profondo cielo, tra cui spicca l’ammasso aperto NGC 6603, un insieme compatto di circa 30 stelle molto deboli, con una magnitudine integrata di 11.4 ed un’età stimata intorno ai 100-200 milioni di anni.
Accanto a NGC 6603 si trovano anche due nebulose oscure molto note: Barnard 92 e Barnard 93, che appaiono come aree completamente prive di stelle, poste rispettivamente sul bordo nord-occidentale e nord-orientale della nube. La loro presenza accentua il contrasto con lo sfondo ricco di stelle, conferendo a M24 un aspetto quasi tridimensionale. Oltre a questi, la nube ospita anche due nebulose planetarie (NGC 6567 e M 1-43) e piccoli ammassi aperti come Collinder 469 e Markarian 38, rendendo M24 una delle regioni più complesse e affascinanti del cielo boreale estivo.
Crediti: Chuck Ayoub.
Posizione nel Cielo
Messier 24 si può rintracciare seguendo la “cima” dell’asterismo a forma di “teiera” nel Sagittario e spostarsi fino alla stella μ (Mu) Sagittarii (Polis – Al Thalimain – Alnam). Questa struttura si troverà a circa due-quattro gradi verso N dall’astro.
Designazione: M24 – IC 4715
Tipo: Nube Stellare
Classe: n/a
Distanza: 1000 anni luce
Estensione: 600 anni luce
Costellazione: Sagittarius
Ascensione Retta: 18h 17m
Declinazione: -18° 29′
Magnitudine: +4.6
Diametro Apparente: 2° x 1°
Scopritore: Charles Messier nel 1764
Osservabilità
Per le latitudini italiane il periodo migliore per osservare questo ammasso aperto è da giugno ad ottobre.
Occhio nudo: osservabile come una macchia chiara, più brillante rispetto allo sfondo della Via Lattea.
Binocolo:facilmente individuabile con un 10×50, che rivela centinaia di stelle concentrate in uno spazio di circa un grado quadrato.
Telescopi (meglio osservata a bassi ingrandimenti)
Piccolo diametro: le stelle osservabili diventano migliaia, spesso con colori contrastanti.
Medio diametro: ci si può ulteriormente addentrare nel campo stellare della nube, con i margini occidentali che appaiono più netti di quelli orientali, a causa di una nebulosa oscura.
Grande diametro:meglio osservata a bassi ingrandimenti, a meno che non si vogliano esplorare i dettagli più minuti delle nebulose oscure.
La nuova frontiera per accelerare la trasmissione dati con i satelliti
Cosa ha a che vedere una delle piazze più belle d’Italia con un geniale polimata spagnolo e la crittografia quantistica? Ad una prima vista molto poco, ma un collegamento c’è, e per scoprirlo dovremo immergerci negli affascinanti progetti che proprio in questi anni si stanno sviluppando per connettere due isole nel mezzo dell’Atlantico, Tenerife e La Palma, con una rete di comunicazione ottica tra telescopi chiamata “IACLink”.
Ma procediamo con ordine: la nostra avventura inizia nell’anno 2000, quando viene inaugurata l’Optical Ground Station (OGS), un telescopio costruito per iniziativa dell’Agenzia Spaziale Europea con uno specchio da un metro nato con un obiettivo estremamente ambizioso. L’idea di fondo dell’ESA era quella di riuscire a dimostrare che era possibile sviluppare un innovativo sistema di comunicazione con i satelliti modulando un raggio laser. L’obiettivo ce lo spiega in dettaglio Iciar Montilla, ricercatrice dell’IAC, l’Instituto Astrofisico de Canarias: “Perché ci interessa la comunicazione ottica? Perché con i laser si ottiene una maggiore velocità di trasmissione: hanno più larghezza di banda e quindi si può passare da velocità nell’ordine dei megabit al secondo delle radiofrequenze a velocità di gigabit al secondo con i laser. Inoltre – ed è qualcosa che oggi è molto di tendenza – il segnale laser è meno divergente del segnale radio. Dunque, da un lato si richiede meno potenza per trasmettere i dati e, dall’altro – ed è questo l’aspetto oggi sulla cresta dell’onda – la comunicazione è punto-a-punto.”
L’Optical Ground Station OGS della ESA a Tenerife.
In effetti, la trasmissione di dati di un satellite o di una sonda interplanetaria utilizzando semplicemente segnali radio può durare mesi o addirittura anni. Un recente esempio eclatante? La sonda New Horizons, che ha potuto per la prima volta studiare con grande dettaglio il pianeta nano Plutone e il suo satellite Caronte, ha impiegato la bellezza di 15 mesi per inviare 50 gigabit riguardanti i dati raccolti durante il flyby del corpo celeste. Con comunicazioni laser la durata richiesta per le trasmissioni potrebbe essere enormemente minore.
“La questione della velocità non è una mania”, chiarisce Iciar. “È che il fattore, per le missioni spaziali ad esempio, è critico. Stiamo costruendo sonde e satelliti che montano fotocamere con risoluzione sempre migliore e quindi che producono una grande mole di informazioni, ma il problema è che continuiamo a trasmettere via radiofrequenza. Quindi i dati impiegano tantissimo tempo ad arrivare.”
“Per esempio, tra il 1963 e il 1973 furono lanciate le sonde della NASA Mariner dirette verso Venere, Mercurio e Marte. Ebbene, le loro fotocamere all’inizio avevano una risoluzione di 25 chilometri per pixel. Circa dieci anni dopo erano già a 230 metri per pixel. Poi, nel XXI secolo, per esempio, abbiamo risoluzioni di 25,17 metri.”
“Una delle ultime è stata la fotocamera HiRISE (High Resolution Imaging Science Experiment), installata sulla sonda Mars Reconnaissance Orbiter (MRO) lanciata nel 2005. Questa fotocamera ha 50 centimetri per pixel. Allora qual è il problema? Se prendi HiRISE, la sua intenzione era mappare l’intera superficie di Marte. Il problema è che si produce una tale quantità di informazione che, alla velocità della radiofrequenza, un’immagine dell’intera superficie di Marte impiega quattro anni e mezzo. Usando i laser sarebbero bastate una settimana e mezza. Per le missioni spaziali, la differenza è drammatica, perciò la NASA è molto interessata alle comunicazioni ottiche e se vogliamo aumentare ancora di più la velocità e superare la barriera dei 10 gigabit al secondo, allora abbiamo bisogno dell’ottica, ma soprattutto dell’ottica adattiva”.
Ruben Sánchez dell’IACtec (il centro dell’IAC destinato allo sviluppo tecnologico degli strumenti per la ricerca), è uno dei ricercatori che sta portando avanti lo studio sulle tecnologie Free Space Optical Communications (FSOC) nel laboratorio dell’IACtec a Tenerife e mette in evidenza un altro aspetto vantaggioso essendo la tecnologia che utilizza comunicazione ottica nello spazio libero molto più leggera e meno ingombrante di quella tradizionale. Questo concetto prende il nome di “carico utile”: ogni chilo messo in orbita ha un costo enorme, e non c’è spazio per il superfluo.
Per dimostrare la fattibilità dell’uso di questa innovativa tecnica, l’ESA nel 2001 lanciò, con un Ariane 5, il satellite Artemis, che rimase operativo per 16 anni. Il satellite doveva riuscire a realizzare delle comunicazioni via laser con il telescopio dell’Optical Ground Station di Tenerife.
“Fino a quel momento l’impresa non era mai stata tentata. Ma l’ESA non si arrese e, effettivamente, la missione fu un successo. Funzionò molto bene e, di fatto, oggi le comunicazioni ottiche sono decisamente di moda. Ma il primo passo avvenne qui all’OGS, con la collaborazione dell’IAC.”
Una delle sfide che furono affrontate (e brillantemente risolte) nel caso della comunicazione tra l’OGS a terra e Artemis in orbita fu il problema di correggere i problemi legati alla densa atmosfera terrestre, che inevitabilmente portava a distorcere il segnale laser, rendendo difficile la trasmissione.
Esperimento del 2012 usando il JKT di La Palma e il OGS di Tenerife Nell’immagine il raggio laser trasmesso con l’informazione necessaria.
L’obiettivo della comunicazione laser, però, non è solamente una comunicazione tra satelliti e la base terrestre. L’interesse economico principale del progetto risiede anche sul fatto di implementare questa comunicazione all’interno di una rete di comunicazione che copra la superficie terrestre, sostituendo i cavi di comunicazione (fibra ottica) che attualmente sono collocati in fondo al mare.
La difficoltà delle comunicazioni ottiche via laser risiede nello sviluppare sistemi di ottica adattiva così raffinati da correggere l’effetto indotto dalla densa atmosfera terrestre. Se nell’invio di segnali ottici dai satelliti la turbolenza atmosferica risulta problematica solo per i primi chilometri, nell’adozione di questo sistema per le comunicazioni terrestri (cioè tra emettitore e ricevitore basati a terra) l’effetto si mostra molto più marcato.
Un altro problema da risolvere oltre alla distorsione atmosferica, prima di poter sostituire con la comunicazione laser i cavi sottomarini tra Europa e Stati Uniti o tra Asia e America su cui attualmente viaggiano i dati di internet, è quello della sicurezza: dobbiamo essere sicuri che le comunicazioni non vengano intercettate ed essere coscienti nel caso ci sia qualche soggetto terzo che stia ricevendo i dati. Anche per questo problema, la soluzione è particolarmente innovativa, e proviene nientedimeno che dalla fisica quantistica.
Il setup dell’esperimento che valse a Anton Zeilinger il premio Nobel del 2022 sul cosiddetto teletrasporto quantistico.
“Prendiamo l’esperimento che fu realizzato nel 2012 con Anton Zeilinger”, dice Ruben Sanchez “in quel caso si riuscì ad inviare un segnale laser tra il Jacobus Kapteyn Telescope (JKT) di La Palma e l’OGS di Tenerife. Si tratta di circa 143 chilometri di distanza. Normalmente, a fini di calcolo, si suole considerare che l’atmosfera sia alta circa 20 chilometri quindi una volta raggiunta tale soglia sopra le nostre teste il resto si può approssimare allo spazio vuoto ma La Palma-Tenerife è una distanza sette volte maggiore!”. Ruben si riferisce all’esperimento che nel 2012 venne eseguito tra il JKT di La Palma e l’OGS di Tenerife, e che ottenne il record di distanza nella tecnologia del cosiddetto “teletrasporto quantistico”. Al di là dell’esotico nome, forse un po’ fuorviante, quello che si osservò con l’esperimento che è valso ad Anton Zeilinger il premio Nobel nel 2022 è stata la diretta conseguenza delle leggi della meccanica quantistica in azione.
Il set-up dell’Esperimento e la sicurezza spiegati da Socas Negrín
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