PROMO NUOVI ABBONATI IN OMAGGIO N°3 ARRETRATI
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Venti Estremi dal Quasar PDS 456: Nuovi Dati da XRISM

Grazie al satellite XRISM e allo spettrometro ad alta risoluzione Resolve, un team internazionale di scienziati – con il contributo dell’Università di Roma Tor Vergata  e dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) – ha osservato per la prima volta una tempesta cosmica generata da un buco nero supermassiccio, rivelando cinque distinti flussi di plasma espulsi a velocità pari al 20–30% della velocità della luce. La scoperta è stata pubblicata oggi su Nature.

Roma, 14 maggio 2025 – Immaginate una tempesta colossale che si scatena appena al di fuori di un buco nero supermassiccio: è proprio ciò che ha rivelato Resolve, il nuovo spettrometro ad altissima risoluzione nei raggi X a bordo del satellite XRISM, nel contesto di una missione spaziale guidata dall’agenzia spaziale JAXA (Giappone), con la partecipazione di NASA (Stati Uniti) ed ESA (Europa).

Grazie ai dati ad altissima precisione di XRISM, è stato possibile – per la prima volta – identificare cinque componenti distinte di questo vento nel cuore del quasar PDS 456, ognuna espulsa dal buco nero centrale a velocità relativistiche, comprese tra il 20% e il 30% della velocità della luce. Per fare un confronto, basti pensare che le tempeste più violente sulla Terra – come un uragano di categoria 5 – raggiungono al massimo 300 km/h. Questa “tempesta cosmica” è milioni di volte più veloce.

Lo studio nato da questa collaborazione internazionale (JAXA, NASA, ESA) nell’ambito della missione XRISM, a cui partecipano anche ricercatrici e ricercatori dell’Università di Roma Tor Vergata e dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), è pubblicato oggi sulla rivista internazionale Nature, con un articolo dal titolo “Structured ionized winds shooting out from a quasar at relativistic speeds”, che evidenzia la scoperta di cinque distinti flussi di plasma che fuoriescono dal disco di accrescimento del buco nero centrale a velocità estreme, pari al 20–30% di quella della luce.
 
“Il nostro gruppo ha giocato un ruolo chiave nell’interpretazione di questi dati, grazie a tecniche spettroscopiche avanzate nei raggi X e a modelli teorici innovativi per la fisica dei venti prodotti dai buchi neri.  Questi risultati aprono una nuova finestra sullo studio dell’universo estremo, e gettano le basi per comprendere meglio come i buchi neri influenzano l’evoluzione delle galassie”.  Commenta così
Francesco Tombesi, professore associato di Astrofisica presso il dipartimento di Fisica dell’università di Roma Tor Vergata e associato INAF. In qualità di XRISM Guest Scientist selezionato dall’ESA (uno dei soli due in Italia insieme a James Reeves, associato INAF), Tombesi ha partecipato alla pianificazione e all’analisi dell’osservazione del quasar PDS 456, il più luminoso dell’universo locale, utilizzando il nuovo spettrometro ad alta risoluzione Resolve.

Roma Tor Vergata ha avuto un ruolo di primo piano – prosegue Tombesi – anche grazie al contributo di due giovani ricercatori cresciuti all’interno del nostro Ateneo: Pierpaolo Condò, dottorando al secondo anno del PhD in Astronomy, Astrophysics and Space Science (AASS), e Alfredo Luminari, ricercatore post-doc presso INAF ed ex dottorando AASS”.

Un’energia così enorme e una struttura così complessa rivoluzionano la nostra comprensione dell’ambiente estremo intorno ai buchi neri supermassicci e mettono in seria discussione i modelli attuali di feedback tra buco nero e galassia. “Le teorie finora accettate – conclude Tombesi – non riescono a spiegare una simile combinazione di forza e frammentazione: è chiaro che serviranno nuovi modelli per descrivere questi mostri cosmici”.

PDS456 è un laboratorio prezioso per studiare nell’universo locale i potentissimi venti prodotti dai buchi neri supermassivi. Questa nuova osservazione ci ha permesso di misurare la geometria e distribuzione in velocità del vento con un livello di dettagli impensabile prima dell’avvento di XRISM”, aggiunge Valentina Braito, ricercatrice INAF a Milano.

Un ruolo vincente all’interno della campagna osservativa di PDS456 lo ha avuto ancora una volta l’osservatorio spaziale Neil Gehrels Swift, satellite NASA con una importante partecipazione dell’INAF con l’Agenzia Spaziale Italiana (ASI). È stato infatti grazie a un programma osservativo Swift – ottenuto da Valentina Braito – che il team è riuscito a costruire i modelli specifici per PDS456 utilizzati nell’analisi dei dati XRISM. 

Fonte: MEDIA INAF



Nuove Mappe Gravitazionali della Luna e di Vesta

In questa illustrazione artistica è rappresentato l’interno caldo della Luna e l’intensa attività vulcanica che si ritiene abbia avuto luogo tra 2 e 3 miliardi di anni fa. Secondo gli studiosi, le eruzioni sul lato vicino della Luna (quello rivolto verso la Terra) avrebbero contribuito a creare un paesaggio dominato da vaste pianure basaltiche, note come maria.

Due recenti studi condotti dalla NASA offrono un’affascinante visione delle strutture interne della Luna e dell’asteroide Vesta, utilizzando una tecnica sorprendente: l’analisi dei dati gravitazionali raccolti da sonde in orbita, senza la necessità di atterrare sulla superficie dei corpi celesti.

Pubblicati su Nature e Nature Astronomy, questi lavori segnano un passo decisivo nella comprensione della formazione e dell’evoluzione dei corpi del Sistema Solare.

La Luna: Un Interno Asimmetrico e Caldo sul Lato Vicino

Nel primo studio, pubblicato il 14 maggio su Nature, i ricercatori hanno elaborato il più dettagliato modello gravitazionale della Luna mai realizzato. Questa nuova mappa è il risultato dell’analisi dei dati della missione GRAIL (Gravity Recovery and Interior Laboratory), che ha visto le due sonde gemelle Ebb e Flow orbitare il nostro satellite tra la fine del 2011 e il 2012.

Il team ha rilevato sottili variazioni nel campo gravitazionale lunare legate alla sua orbita ellittica intorno alla Terra. Queste variazioni provocano una lieve deformazione mareale del satellite, causata dall’attrazione gravitazionale terrestre, che a sua volta fornisce indizi preziosi sulla struttura interna profonda della Luna.

Una delle scoperte più sorprendenti riguarda l’asimmetria tra il lato vicino e quello lontano della Luna. Mentre il lato vicino è dominato da vasti mari di roccia solidificata, testimoni di un’intensa attività vulcanica avvenuta tra 2 e 3 miliardi di anni fa, il lato lontano appare più aspro e privo di ampie pianure.

Secondo Ryan Park, supervisore del Solar System Dynamics Group al Jet Propulsion Laboratory (JPL) della NASA, «abbiamo scoperto che il lato vicino della Luna si flette di più rispetto al lato lontano, il che indica una differenza fondamentale nella loro struttura interna». Questo maggiore “cedimento” suggerisce la presenza di una regione mantellare più calda sul lato vicino, arricchita da elementi radioattivi capaci di generare calore.

Questa scoperta non solo fornisce la prova più solida finora della teoria secondo cui l’attività vulcanica ha modellato la faccia visibile della Luna, ma permetterà anche di migliorare i sistemi di navigazione e di determinazione del tempo per le future missioni lunari.

Vesta: Un Asteroide Diverso da Come lo Immaginavamo

Nel secondo studio, pubblicato il 23 aprile su Nature Astronomy, gli scienziati hanno applicato la stessa tecnica di analisi gravitazionale a Vesta, uno dei più grandi asteroidi della fascia principale tra Marte e Giove.

La missione Dawn della NASA ha ottenuto questa immagine del grande asteroide Vesta il 24 luglio 2011. La sonda ha trascorso 14 mesi in orbita attorno a Vesta, acquisendo oltre 30.000 immagini e realizzando la mappatura completa della sua superficie.
Crediti: NASA/JPL-Caltech/UCLA/MPS/DLR/IDA

Utilizzando i dati radiometrici del Deep Space Network e le immagini raccolte dalla sonda Dawn, che ha orbitato Vesta tra il 2011 e il 2012, il team ha ottenuto risultati inaspettati: contrariamente a quanto previsto, l’interno di Vesta appare sorprendentemente uniforme, con un nucleo ferroso molto piccolo o forse addirittura assente.

Attraverso la misurazione delle oscillazioni di Vesta mentre ruota, il team ha calcolato il suo momento d’inerzia, una proprietà strettamente legata alla distribuzione interna della massa. «La nostra tecnica è estremamente sensibile ai cambiamenti del campo gravitazionale, che si manifestano sia nel tempo, come nel caso delle maree lunari, sia nello spazio, come nel moto oscillatorio di un asteroide», ha spiegato Park.

Questa analisi porta a rivedere le teorie finora accettate sull’evoluzione di Vesta e, più in generale, su come si formano e si differenziano i corpi rocciosi nel Sistema Solare.

Un Nuovo Futuro per l’Esplorazione Planetaria

Gli studi guidati da Ryan Park, frutto di oltre un decennio di lavoro e dell’impiego dei supercomputer della NASA, dimostrano come l’analisi dei dati gravitazionali possa svelare i misteri più profondi dei corpi celesti senza bisogno di costose e complesse missioni di atterraggio.

«La gravità è una proprietà fondamentale e unica che possiamo usare per esplorare l’interno di un corpo planetario», ha sottolineato Park. «Non abbiamo bisogno di dati raccolti sulla superficie: è sufficiente seguire con grande precisione il movimento delle sonde per ottenere una visione globale di ciò che si cela all’interno».

Fonte: ESA

Nel silenzio del cosmo, Voyager 1 risveglia i suoi vecchi motori: un atto di coraggio prima del lungo silenzio

Lontana, in una regione dello spazio dove il Sole è solo una stella tra le altre e il vento solare è ormai un sussurro impercettibile, la sonda Voyager 1 continua il suo viaggio solitario. Lanciata nel 1977, è oggi l’oggetto costruito dall’uomo più distante dalla Terra, una messaggera silenziosa che da quasi cinquant’anni attraversa l’oscurità dell’infinito. E proprio quando sembrava che il tempo avesse ormai relegato alcune delle sue funzioni all’oblio, la sonda ha compiuto un piccolo grande miracolo: ha riattivato dei propulsori considerati inutilizzabili da oltre vent’anni.

È successo nelle scorse settimane, grazie al lavoro degli ingegneri del Jet Propulsion Laboratory (JPL) della NASA, in California. Una manovra tanto ardita quanto rischiosa, che ha richiesto ingegno e una buona dose di coraggio. L’obiettivo? Riportare in vita quei vecchi propulsori, messi da parte nel 2004, per far fronte a un problema ben più urgente: l’invecchiamento dei sistemi di spinta ancora attivi.

Il problema dei propulsori ostruiti

Nel cuore delle Voyager, che oggi sfrecciano nello spazio interstellare a una velocità vertiginosa di circa 56.000 km/h, si trovano i piccoli motori di orientamento. Sono loro a mantenere l’antenna puntata verso la Terra, permettendo il fragile filo di comunicazione che ci unisce a queste sonde così lontane. Ogni lieve rotazione, ogni delicato aggiustamento serve a far sì che Voyager possa continuare a inviare dati preziosi e ricevere i pochi, sempre più radi comandi da casa.

Ma il tempo, come sempre, presenta il conto. I tubi del carburante dei propulsori principali stanno accumulando residui. Se questa ostruzione dovesse peggiorare, le Voyager potrebbero perdere la capacità di orientarsi e quindi di comunicare. Gli ingegneri hanno calcolato che questo rischio potrebbe diventare realtà già nell’autunno di quest’anno.

Ecco perché, nonostante le difficoltà, si è deciso di tentare l’impossibile: rianimare i propulsori di riserva. Quegli stessi motori che non venivano utilizzati da oltre due decenni e che molti davano ormai per persi.

Una corsa contro il tempo (e il silenzio)

La missione aveva anche un’altra scadenza imminente: il 4 maggio, data in cui l’antenna terrestre responsabile di inviare comandi alla Voyager 1 (e alla sua gemella, Voyager 2) è stata messa offline per importanti lavori di aggiornamento. Una volta spenta, sarebbe rimasta silenziosa per mesi. Se i propulsori di backup non fossero stati riattivati in tempo, la finestra per intervenire si sarebbe chiusa irrimediabilmente.

Con una serie di comandi complessi, inviati a una distanza di oltre 24 miliardi di chilometri, gli ingegneri hanno trasmesso le istruzioni per far ripartire i vecchi propulsori. E contro ogni previsione, la risposta è arrivata: i motori si sono accesi. Un sussurro di vita meccanica nel grande vuoto cosmico.

Un ultimo gesto di resilienza

Questo intervento rappresenta molto più di una semplice manovra tecnica. È la testimonianza della resilienza di un progetto nato in un’altra epoca, quando i computer erano grandi come stanze e le missioni spaziali si affidavano ancora a calcoli fatti a mano. È il simbolo di come, anche nell’estremo silenzio dello spazio profondo, la mano dell’uomo riesca ancora a farsi sentire.

Oggi Voyager 1 continua a viaggiare, portando con sé il Golden Record, quel disco d’oro che racchiude i suoni e le immagini della Terra, nel caso qualche civiltà aliena dovesse mai trovarla. E anche se il silenzio radio è ora inevitabile per qualche mese, sappiamo che laggiù, oltre i confini del nostro Sistema Solare, c’è ancora una piccola nave solitaria che continua a puntare la sua fragile antenna verso casa.

E finché quella flebile voce continuerà a parlarci, anche solo con un battito meccanico di propulsori ritrovati, non saremo mai davvero soli nell’Universo.

Fonte: NASA JPL

Titano sotto la lente di Webb: nuvole di metano

Le immagini di Titano sono state riprese dal James Webb Space Telescope l’11 luglio 2023 (in alto) e dal telescopio terrestre Keck il 14 luglio 2023 (in basso). Mostrano nuvole di metano (indicate dalle frecce bianche) a diverse altitudini nell’emisfero nord. A sinistra, le immagini a colori mostrano l’atmosfera e la superficie. I colori rappresentano diverse lunghezze d’onda dell’infrarosso: Webb ha evidenziato luce a 1.4 µm (blu), 1.5 µm (verde) e 2.0 µm (rosso), mentre Keck ha utilizzato rispettivamente 2.13 µm, 2.12 µm e 2.06 µm. Al centro, le immagini a 2.12 µm rivelano emissioni dalla bassa troposfera, dove si formano le nubi più basse. A destra, le immagini a lunghezze d’onda più sensibili agli strati superiori (Webb a 1.64 µm, Keck a 2.17 µm) mostrano nubi più alte nella troposfera superiore e nella stratosfera. Il confronto dimostra che, tra l’11 e il 14 luglio, le nubi si sono spostate verso altitudini più elevate, segno di un moto ascensionale nell’atmosfera di Titano. Crediti immagine: NASA, ESA, CSA, STScI, Keck Observatory.

Un team internazionale di scienziati ha recentemente gettato nuova luce sull’affascinante atmosfera di Titano, la più grande luna di Saturno. Grazie ai dati combinati del telescopio spaziale James Webb (NASA/ESA/CSA James Webb Space Telescope) e del telescopio terrestre Keck II (W. M. Keck Observatory), gli astronomi hanno osservato per la prima volta fenomeni di convezione nuvolosa nell’emisfero nord di Titano, proprio dove si concentrano la maggior parte dei suoi laghi e mari di idrocarburi.

Un meteo alieno, ma sorprendentemente familiare

Titano è l’unico altro luogo del Sistema Solare che presenta un clima simile a quello terrestre, nel senso che ha nuvole e precipitazioni che raggiungono la superficie,” ha spiegato Conor Nixon del Goddard Space Flight Center della NASA, autore principale dello studio.

A differenza della Terra, dove il ciclo climatico è dominato dall’acqua, su Titano l’elemento chiave è il metano (CH₄). A temperature prossime ai -180 °C, il metano evapora dalle superfici liquide, si condensa in atmosfera e cade sotto forma di una pioggia fredda e oleosa su un terreno in cui il ghiaccio d’acqua è duro come la roccia.

Le osservazioni, condotte nel novembre 2022 e nel luglio 2023, hanno mostrato formazioni nuvolose alle medie e alte latitudini settentrionali, proprio nell’estate boreale di Titano. I dati suggeriscono che le nuvole si stiano sollevando verso altitudini maggiori nel corso dei giorni, segno di attività convettiva. Questa è una scoperta cruciale, poiché i laghi e i mari del nord, ricchi di metano ed etano, rappresentano una potenziale fonte di rifornimento per l’atmosfera.

La troposfera di Titano: un mondo espanso

Mentre sulla Terra la troposfera si estende fino a circa 12 km di altitudine, su Titano, grazie alla sua bassa gravità, questa fascia atmosferica raggiunge i 45 km. Usando filtri infrarossi differenti, Webb e Keck sono riusciti a sondare vari strati dell’atmosfera e a stimare l’altitudine delle nubi osservate. Tuttavia, non sono state rilevate precipitazioni dirette durante le osservazioni.

Le osservazioni del Webb sono state effettuate alla fine dell’estate boreale di Titano, una stagione che non abbiamo potuto studiare durante la missione Cassini-Huygens,” ha sottolineato Thomas Cornet dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA), co-autore dello studio. “Insieme alle osservazioni da Terra, Webb ci sta offrendo preziose nuove informazioni sull’atmosfera di Titano, che speriamo di esplorare più da vicino con una futura missione ESA nel sistema di Saturno.

Le immagini di Titano sono state riprese dal James Webb Space Telescope l’11 luglio 2023 (in alto) e dal telescopio terrestre Keck il 14 luglio 2023 (in basso). Mostrano nuvole di metano (indicate dalle frecce bianche) a diverse altitudini nell’emisfero nord.
A sinistra, le immagini a colori mostrano l’atmosfera e la superficie. I colori rappresentano diverse lunghezze d’onda dell’infrarosso: Webb ha evidenziato luce a 1.4 µm (blu), 1.5 µm (verde) e 2.0 µm (rosso), mentre Keck ha utilizzato rispettivamente 2.13 µm, 2.12 µm e 2.06 µm.
Al centro, le immagini a 2.12 µm rivelano emissioni dalla bassa troposfera, dove si formano le nubi più basse.
A destra, le immagini a lunghezze d’onda più sensibili agli strati superiori (Webb a 1.64 µm, Keck a 2.17 µm) mostrano nubi più alte nella troposfera superiore e nella stratosfera.
Il confronto dimostra che, tra l’11 e il 14 luglio, le nubi si sono spostate verso altitudini più elevate, segno di un moto ascensionale nell’atmosfera di Titano.
Crediti immagine: NASA, ESA, CSA, STScI, Keck Observatory.
Il James Webb Space Telescope (11 luglio 2023) e il telescopio Keck (14 luglio 2023) hanno ripreso nuvole di metano a diverse altitudini nell’emisfero nord di Titano (frecce bianche). Sinistra: immagini a colori combinati mostrano atmosfera e superficie. Centro: immagini a 2.12 µm evidenziano nubi nella bassa troposfera. Destra: emissioni a 1.64 µm (Webb) e 2.17 µm (Keck) rivelano nubi a quote più alte, salite nei tre giorni tra le osservazioni. Crediti: NASA, ESA, CSA, STScI, Keck Observatory.

I segreti chimici di Titano

Titano continua a suscitare grande interesse astrobiologico per la sua complessa chimica organica. Nonostante il gelo estremo, la sua atmosfera è un laboratorio naturale di reazioni che coinvolgono molecole contenenti carbonio, le stesse alla base della vita sulla Terra.

Il metano, in particolare, gioca un ruolo centrale: viene scomposto dalla luce solare o dagli elettroni energetici intrappolati nella magnetosfera di Saturno, producendo etano (C₂H₆) e molecole più complesse.

Per la prima volta, il telescopio Webb ha rilevato con certezza la presenza del radicale metile (CH₃), un elemento chiave di queste reazioni. Questo radicale, dotato di un elettrone libero, si forma proprio quando il metano si rompe.

È come vedere la torta mentre sta ancora cuocendo nel forno, invece di limitarsi a osservare solo la farina e lo zucchero all’inizio e la torta decorata alla fine,” ha commentato Stefanie Milam del Goddard Space Flight Center, co-autrice dello studio.

Il destino atmosferico di Titano

Questa intensa attività chimica ha conseguenze importanti sul lungo termine. Una parte dell’idrogeno prodotto dalla dissociazione del metano si perde nello spazio, riducendo progressivamente la quantità di metano disponibile. Se non esistono fonti interne in grado di rifornire l’atmosfera, come emissioni dalla crosta o dall’interno del satellite, Titano è destinato a diventare un mondo secco e polveroso, non troppo dissimile da ciò che è accaduto a Marte con la perdita di gran parte della sua acqua.

Su Titano il metano è un consumabile. È possibile che venga costantemente rifornito e risalga dalla crosta e dall’interno del satellite nel corso di miliardi di anni. Altrimenti, un giorno scomparirà del tutto e Titano diventerà un mondo per lo più privo di atmosfera, dominato da polveri e dune,” ha concluso Nixon.

Le osservazioni fanno parte del programma Guaranteed Time Observations guidato da Heidi Hammel e sono state pubblicate sulla rivista Nature Astronomy.

Addio a GSAT0104: il primo satellite Galileo a concludere la sua missione

Galileo è la più grande costellazione satellitare europea e il sistema di navigazione satellitare più preciso al mondo, in grado di fornire una precisione di posizionamento al livello del metro a circa quattro miliardi di utenti in tutto il pianeta. Attualmente è composta da 28 satelliti distribuiti su tre piani orbitali, garantendo che almeno quattro satelliti siano sempre visibili da qualsiasi punto della Terra. Credito immagine: ESA – F. Zonno
Ogni anno, i partner del programma Galileo valutano lo stato e l’efficacia dei satelliti più anziani, decidendo se prolungarne l’operatività di un ulteriore anno o procedere alla dismissione, trasferendoli su un’orbita più alta e sicura e spegnendoli definitivamente. Questo processo contribuisce a mantenere l’orbita pulita, in linea con l’impegno dell’ESA per la riduzione dei detriti spaziali.
Credito immagine: ESA

Il 12 marzo 2013, il satellite GSAT0104, insieme ai suoi compagni della fase di Validazione in Orbita (In-Orbit Validation, IOV), segnava un momento storico: per la prima volta, una posizione terrestre veniva determinata utilizzando esclusivamente il sistema di navigazione satellitare europeo Galileo. Oggi, dopo 12 anni di onorato servizio, GSAT0104 entra nuovamente nella storia diventando il primo satellite della costellazione Galileo a essere ufficialmente dismesso.

Una costellazione in continua evoluzione

Galileo rappresenta un’infrastruttura pubblica cruciale per l’Europa e il mondo, progettata per offrire servizi di navigazione affidabili e continui per decenni. In questo contesto, il decommissioning — ovvero la dismissione controllata dei satelliti giunti a fine vita — è tanto importante quanto il lancio di nuovi veicoli spaziali.

Nel 2023, per la prima volta, l’Agenzia dell’Unione Europea per il Programma Spaziale (EUSPA), l’Agenzia Spaziale Europea (ESA) e la Commissione Europea hanno stabilito il ritiro di un satellite Galileo. Le operazioni per GSAT0104 sono iniziate a marzo 2024 e si sono concluse ad aprile 2025.

Attualmente, la costellazione continua a garantire prestazioni elevate con satelliti operativi in tutte le posizioni principali, supportati da tre satelliti di riserva attivi. Inoltre, sei nuovi satelliti di Prima Generazione sono pronti al lancio, mentre dodici satelliti di Seconda Generazione sono in fase di sviluppo, a testimonianza di un sistema in costante aggiornamento.

Spazio sostenibile: una priorità per l’ESA

L’ESA ha fatto della sostenibilità spaziale una delle sue missioni centrali, impegnandosi a ridurre l’inquinamento orbitale e a prevenire la formazione di nuovi detriti. Questo obiettivo si traduce in pratiche di progettazione sostenibile, rigorose politiche di mitigazione dei detriti e protocolli di fine vita per i satelliti.

Quando un satellite Galileo termina il suo servizio operativo, viene trasferito in un’orbita sicura più elevata, chiamata “orbita cimitero”, situata almeno 300 km sopra la costellazione attiva. Qui, il satellite viene “passivato”, ovvero vengono eliminate tutte le fonti di energia residue per garantire la sua stabilità a lungo termine.

Nel caso di GSAT0104, grazie alle riserve di propellente ancora disponibili, è stato possibile posizionarlo ben 700 km sopra la costellazione operativa, su un’orbita altamente stabile. Successivamente, il serbatoio è stato svuotato e le batterie completamente scaricate. Le future dismissioni seguiranno la stessa procedura, variando leggermente le altitudini per mantenere distanze di sicurezza tra i satelliti non più operativi.

Perché è importante fare “ordine” nello spazio

La gestione accurata della costellazione Galileo non è solo una questione di sostenibilità ambientale, ma anche di efficienza operativa. “Abbiamo bisogno di mantenere le orbite libere e sicure per supportare il continuo rinnovamento della flotta. Solo una costellazione sana può garantire prestazioni ottimali e servizi affidabili per miliardi di utenti in tutto il mondo”, spiega Riccardo Di Corato, responsabile dell’Unità Analisi della Costellazione Galileo.

Ogni satellite ha una vita operativa prevista: 12 anni per quelli di Prima Generazione e 15 anni per quelli di Seconda Generazione. Ogni anno, i partner del programma valutano lo stato dei satelliti più anziani, decidendo se estenderne l’operatività o procedere alla dismissione.

“È fondamentale rimuovere i satelliti prima che i sistemi critici — come il controllo dell’assetto, i propulsori e le comunicazioni — smettano di funzionare correttamente. Se siamo sicuri che la dismissione potrà avvenire in sicurezza in un secondo momento, ne estendiamo l’uso il più possibile”, aggiunge Di Corato.

L’ultimo servizio di GSAT0104

Lanciato il 12 ottobre 2012 dalla base europea di Kourou, nella Guyana Francese, GSAT0104 è stato il quarto e ultimo satellite della fase IOV. Proprio grazie a lui, è stato possibile determinare per la prima volta una posizione a terra usando esclusivamente i satelliti Galileo.

Dopo anni di servizio nella navigazione, un guasto all’antenna L-band lo ha portato a essere assegnato principalmente alle attività di Ricerca e Soccorso (Search and Rescue). Nel 2021, è stato spostato da una posizione primaria a una di riserva per fare spazio ai nuovi satelliti entrati in funzione nell’aprile 2024.

Ancora una volta, GSAT0104 ha svolto un ruolo pionieristico: la sua dismissione ha stabilito un modello di riferimento per le future operazioni di fine vita della costellazione, offrendo un prezioso bagaglio di esperienza che sarà fondamentale negli anni a venire.

Gli altri tre satelliti IOV continueranno a operare almeno fino a ottobre 2025, con due di essi già oltre la vita operativa prevista, ma ancora perfettamente funzionanti. Le prestazioni del sistema Galileo sono monitorate in modo indipendente dal Galileo Reference Centre (GRC) e consultabili tramite il GNSS Service Centre (GSC).

Galileo: il sistema di navigazione più preciso al mondo

Dal 2017, Galileo è ufficialmente in Open Service e serve oltre quattro miliardi di utenti nel mondo. Tutti gli smartphone venduti nell’Unione Europea sono compatibili con il sistema, che fornisce servizi essenziali anche nei settori del trasporto ferroviario e marittimo, nell’agricoltura di precisione, nei servizi finanziari e nelle operazioni di emergenza e soccorso.

Galileo è un programma di punta dell’Unione Europea, gestito e finanziato dalla Commissione Europea. L’ESA ne cura lo sviluppo e la progettazione, mentre EUSPA coordina la gestione operativa e la fornitura dei servizi. Con un occhio sempre rivolto al futuro, le attività di ricerca e sviluppo proseguono nell’ambito del programma Horizon Europe, per garantire che Galileo continui a rappresentare l’eccellenza europea nella navigazione satellitare.

Fonte: ESA

LUGO: Esplorare i Misteri Geologici della Luna

Nuove Prospettive sulla Geologia Lunare per l’Esplorazione Umana

Nonostante decenni di esplorazioni spaziali e missioni robotiche, la Luna continua a custodire misteri geologici irrisolti. Due tra i più affascinanti sono gli Irregular Mare Patches (IMPs) e i presunti tunnel di lava sotterranei, strutture che potrebbero rivoluzionare la nostra comprensione dell’evoluzione termica del nostro satellite e aprire nuove prospettive per la futura colonizzazione umana. È con questi obiettivi che nasce il progetto LUnar Geology Orbiter (LUGO), un’iniziativa proposta nell’ambito del programma Open Space Innovation Platform (OSIP) dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA) (esa.int).

IMPs: Le Enigmatiche Formazioni Vulcaniche

Gli IMPs sono tra le strutture vulcaniche più misteriose della superficie lunare, localizzate principalmente sul lato visibile del nostro satellite. Scoperte per la prima volta nel 1971 dall’astronomo E.A. Whitaker durante l’analisi delle immagini della missione Apollo 15, queste formazioni presentano depressioni di forma irregolare, caratterizzate da colline lisce e circondate da terreni accidentati e rocciosi.

Nonostante siano noti da oltre cinquant’anni, l’origine e l’età di queste strutture restano oggetto di dibattito. Alcuni studi ne collocano la formazione circa 3,5 miliardi di anni fa, mentre altri suggeriscono che siano sorprendentemente giovani, con meno di 100 milioni di anni. Se quest’ultima ipotesi fosse confermata, metterebbe seriamente in discussione le attuali teorie sull’evoluzione termica della Luna.

I Tunnel di Lava: Rifugi Naturali per la Vita Umana sulla Luna?

Un altro tema centrale del progetto LUGO è la ricerca di tunnel di lava sotterranei, strutture vuote formatesi durante antichi episodi di attività vulcanica. Queste cavità potrebbero rappresentare rifugi naturali per future basi lunari, offrendo protezione da radiazioni cosmiche, micrometeoriti e sbalzi termici estremi. Inoltre, potrebbero nascondere risorse preziose, come riserve d’acqua sotto forma di ghiaccio.

Sebbene la loro esistenza sia stata ipotizzata per decenni e alcuni crolli superficiali sembrino confermare la loro presenza, le dimensioni, la frequenza e le caratteristiche fisiche di questi tunnel restano largamente sconosciute.

Gli Strumenti di LUGO

Per affrontare queste sfide scientifiche, la missione LUGO prevede un carico strumentale altamente tecnologico, comprendente:

  • Radar Penetrante (GPR): Operante tra 15 e 30 MHz, permetterà di indagare la struttura stratigrafica del sottosuolo fino a diversi metri di profondità.
  • Telecamera a Stretta Angolazione (NAC): Con una risoluzione superiore ai 25 cm per pixel, offrirà immagini dettagliate delle superfici degli IMPs e delle aree candidate alla presenza di tunnel di lava.
  • Telecamera Iperspettrale (HSC): Coprendo uno spettro da 500 a 1650 nm, aiuterà a determinare la composizione mineralogica delle aree osservate.
  • LiDAR a Singolo Fotone: Operante a 1550 nm, sarà fondamentale per la creazione di mappe tridimensionali ad altissima precisione delle superfici osservate.

Prospettive Future

I dati ottenuti da LUGO supporteranno progetti di esplorazione più ambiziosi, come la missione DIMPLE della NASA (nasa.gov), destinata a sbarcare direttamente su un IMP per datare con precisione queste affascinanti strutture.

Fonte: ScienceDirect

Asteroidi del mese – (3) Juno – pt.02

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Asteroidi del mese di Maggio 2025 – (3) Juno (pt.02)

Scoperta e nomenclatura

(3) Juno fu scoperto il 1 settembre 1804 dall’astronomo tedesco Karl Ludwig Harding nell’osservatorio privato di Lilienthal, appena fuori Brema. L’annuncio arrivò in un momento di fervente attività: Pallas era stato scoperto soltanto pochi anni prima, e l’idea che tra Marte e Giove potesse orbitare un’intera “famiglia” di piccoli pianeti stava prendendo forma. Harding scelse il nome della regina degli dèi dell’olimpo, inaugurando così la consuetudine di attingere alla mitologia classica per la nomenclatura dei pianetini.

Parametri orbitali

Il semiasse maggiore di Juno misura 2,67 UA, con un’eccentricità insolitamente elevata di 0,256 che porta il perielio a 1,98 UA e l’afelio a 3,36 UA. L’inclinazione orbitale raggiunge 12,97 gradi, valore che lo colloca appena al di fuori dei più popolati piani mediani della fascia principale interna. L’evoluzione secolare del perielio è modulata da risonanze di ordine elevato con Giove, mentre piccole variazioni nell’eccentricità suggeriscono passaggi ripetuti in prossimità dello “stiramento” ν6 di Saturno,  una risonanza secolare  che agisce come un lungo “tirante gravitazionale” amplificandone lentamente l’eccentricità.

Caratteristiche fisiche

Le dimensioni di Juno sono state determinate combinando fotometria nel vicino infrarosso con misurazioni nell’infrarosso termico medio, la banda spettrale (circa 5–25 µm) in cui l’asteroide non riflette la luce solare ma la riemette come calore, permettendo di stimarne direttamente temperatura ed emissione termica. Le osservazioni convergono su di un diametro medio di 248 ± 5 km e su un’albedo geometrica intorno a 0,24, sostanzialmente più alta della media degli asteroidi di tipo S. La densità oscilla fra 3,0 e 3,3 g cm³: valori compatibili con un corpo parzialmente metallico o, più verosimilmente, con un interno ricco in silicati a grana fine ma scarsamente poroso. Gli spettri di riflettanza indicano la presenza di olivina e pirosseni ferrosi, inquadrando Juno nella classe tassonomica S, con mineralogia simile alle condriti H poco alterate.

Curve di luce, periodo di rotazione e forma

Le prime curve di luce di Juno, pubblicate da H. Russell già nel 1904, indicavano un periodo vicino a sette ore; l’analisi moderna  evidenzia un periodo di rotazione di 7,209 ± 0,000005 h e un’ampiezza media di 0,90 magnitudini. Una variazione così ampia comporta un rapporto assiale di circa 1,5:1 e suggerisce un profilo irregolare con un grande rilievo su uno dei due emisferi. Inversioni delle curve di luce fissano il polo eclittico approssimativamente a longitudine 122° e latitudine 28°, una configurazione che comporta stagioni insolitamente accentuate per un corpo di medie dimensioni.

Appartenenza a una famiglia asteroidale

Pur essendo un oggetto di grandi dimensioni e con un’eccentricità insolitamente alta, Juno non è circondato da un insieme consistente di frammenti che ne condividano l’origine; in altre parole non forma una vera famiglia genetica.

Con questa espressione si indica un gruppo di corpi che presenta semiasse maggiore, eccentricità e inclinazione molto simili perché deriva dalla frammentazione di un unico corpo progenitore. Gli asteroidi “consanguinei” condividono quindi la stessa orbita di base e, a distanza di milioni di anni, continuano a rimanere raggruppati nello spazio dei parametri orbitali. Quando un oggetto massiccio viene distrutto, i suoi frammenti si allontanano con velocità relative di poche decine o centinaia di metri al secondo: questo valore è piccolo rispetto alle velocità orbitali (chilometri al secondo), perciò l’insieme dei frammenti resta concentrato e riconoscibile; se l’addensamento osservato è debole o spiegabile con altri meccanismi dinamici, non si parla di famiglia genetica vera e propria.

Nel caso di Juno l’analisi dei cluster mostra solo un modesto addensamento di piccoli asteroidi nelle vicinanze dei suoi parametri orbitali, e le integrazioni orbitali retrograde indicano che tali oggetti sono probabilmente entrati a far parte di quella regione perché intrappolati in risonanze di ordine elevato con i pianeti, e non perché siano schegge prodotte da un singolo impatto catastrofico.

Come e quando osservarlo

(3 Juno) sarà in opposizione il 14 Maggio, momento nel quale raggiungerà la magnitudine 10.1. Il suo moto sarà di 0,55 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle  nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere  una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo Juno  trasformarsi in una bella striscia luminosa di 22 secondi d’arco.

Il percorso dell’asteroide Juno in opposizione il 14 maggio.

(4) Vesta (pt.01)

Scoperta e nomenclatura

Il 29 marzo 1807 Heinrich Wilhelm Olbers, già celebre per la scoperta di (2) Pallas, riconobbe un oggetto insolitamente brillante nel cielo di Brema: lo battezzò Vesta in onore della dea romana del focolare. L’asteroide fu il quarto scoperto e, per luminosità, destò immediatamente l’interesse della comunità scientifica; Gauss – che in quell’epoca stava perfezionando i metodi di calcolo orbitale – ne predisse con grande accuratezza la posizione, aiutando Olbers a confermarne la natura di corpo appartenente alla fascia principale.

Parametri orbitali

Vesta percorre un’orbita compresa fra 2,15 UA al perielio e 2,57 UA all’afelio, con semiasse maggiore di 2,36 UA, eccentricità di 0,089 e inclinazione di 7,14 gradi sull’eclittica; completa una rivoluzione in 3,63 anni terrestri, muovendosi a una velocità media di 19,3 km s.  Questi valori la collocano nella fascia principale interna, fuori dalle risonanze maggiori con Giove, in una regione dinamicamente stabile. L’asteroide è troppo massiccio perché l’effetto Yarkovsky ne alteri sensibilmente il semiasse maggiore, mentre i membri più piccoli della sua famiglia migrano di qualche centesimo di UA per milione di anni, spiegando l’allineamento dei vestoidi con le “porte” dinamiche che alimentano la popolazione near-Earth.  Il momento d’inerzia basso e la regolazione mareale interna hanno mantenuto l’assetto rotazionale in equilibrio: non si registrano drift YORP misurabili sul periodo di 5,34 h, in accordo con le previsioni teoriche per corpi di centinaia di chilometri.

Caratteristiche fisiche

Le misure della sonda Dawn hanno fissato il diametro medio a 525 km, con assi principali di 572 × 557 × 446 km e massa di 2,59 × 10²⁰ kg; la densità di 3,46 g cm³ conferma la presenza di un nucleo metallico di Fe-Ni del raggio di circa 110 km, sovrastato da mantello silicatico e crosta basaltica.  Vesta rappresenta quindi un protopianeta differenziato rimasto quasi intatto sin dalle prime fasi di formazione dei pianeti terrestri. Le immagini ad alta risoluzione di Dawn hanno inoltre rivelato il gigantesco bacino polare Rheasilvia, largo 505 km e profondo oltre 20 km, la cui vetta centrale di 22 km figura fra i rilievi più alti del Sistema Solare. L’impatto che lo generò espulse circa l’1 per cento del volume dell’asteroide, aprendo squarci sul mantello e lasciando cicatrici tettoniche come il sistema di Divalia Fossa. Analisi geologiche mostrano inoltre che le colate basaltiche originali sono state coperte da sottili strati di materiale carbonioso scuro, depositato da impattanti primitivi.

Connessione coi meteoriti HED

Lo spettro di riflettanza, dominato da bande di pirosseno–olivina, colloca Vesta nella rara classe tassonomica V-type.  Già dagli anni Settanta si era notato che tale spettro coincide con quello dei meteoriti eucriti, diogeniti e howarditi, i cosiddetti HED.  Le analisi isotopiche effettuate su questi meteoriti, corroborate dai dati ricavati dalla sonda Dawn, confermano che essi provengono dalla crosta e dal mantello di Vesta, rendendo l’asteroide l’unico corpo progenitore noto di un’intera classe meteoritica basaltica.  Studi del 2024 hanno mostrato come le variazioni di zinco e sodio negli HED riflettano la perdita primordiale di elementi volatili durante la solidificazione del magma vestiano, rafforzando l’interpretazione di Vesta quale “pianeta interno in miniatura”.

Curve di luce, periodo di rotazione e forma

Le curve di luce ricavate da osservazioni telescopiche e dalla stessa sonda Dawn definiscono un periodo di rotazione di 5,342 ± 0,001 ore; l’ampiezza fotometrica varia fra 0,10 e 0,30 magnitudini a seconda della geometria di fase, con un valore medio di circa 0,26 mag alle lunghezze d’onda visibili.  La modulazione doppia (bimodale, due massimi e due minimi) indica una forma triassiale.  L’asse di rotazione è inclinato di 29 gradi, generando un alternarsi di “stagioni” particolarmente pronunciate.

La famiglia dei Vestoidi

L’impatto che formò il cratere Rheasilvia – e quello precedente di Veneneia – ha espulso milioni di frammenti oggi noti come famiglia Vesta o Vestoidi.  Questa popolazione, che supera i 15 000 membri identificati, riempie la regione 2,26–2,48 UA con inclinazioni di 5–8 gradi; la maggioranza della massa è dominata da Vesta stessa (circa il 98 %), seguita da alcuni corpi di decine di chilometri come 63 Ausonia, mentre la stragrande maggioranza misura meno di 10 km. I vestoidi presentano spettri di tipo V-type o, per i frammenti più profondi, J-type ricchi di diogenite, confermando l’origine comune dal mantello e dalla crosta di Vesta.  I frammenti più piccoli derivano progressivamente verso semiassi maggiori più piccoli o più grandi per effetto Yarkovsky; quando raggiungono specifiche risonanze, alcuni vengono proiettati verso il sistema solare interno, molti divengono NEA e alcui finiscono per cadere sulla Terra sotto forma di meteoriti HED.

Come e quando osservarlo

(4 Vesta) sarà in opposizione il 1 Maggio, momento nel quale raggiungerà la magnitudine 5,7. Il suo moto sarà di 0,63 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle  nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere  una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (4) Vesta trasformarsi in una bella striscia luminosa di 25 secondi d’arco.

Il percorso di Vesta nel mese di Maggio. Opposizione 1 Maggio 2025.

Asteroidi del mese di Aprile 2025 – (113) Amalthea

Scoperta e nomenclatura

L’asteroide (113) Amalthea fu scoperto il 12 marzo 1871 dall’astronomo tedesco Robert Luther presso l’Osservatorio di Bilk a Düsseldorf. Fu il 113º asteroide identificato, in un’epoca in cui la fascia principale andava popolandosi rapidamente grazie alle frequenti scoperte. Luther scelse di battezzarlo “Amalthea” in onore della ninfa della mitologia greca Amaltea, nota per aver allattato con il proprio latte di capra il neonato Zeus (Giove).

Parametri orbitali

Amalthea orbita attorno al Sole in circa 3,66 anni. La sua orbita lo colloca nella regione interna della fascia asteroidale (la cosiddetta fascia principale interna), leggermente oltre il gruppo della famiglia Flora. In particolare, Amalthea percorre un’orbita relativamente poco eccentrica e lievemente inclinata sull’eclittica. I suoi elementi orbitali indicano un’orbita stabile lontana da risonanze maggiori: il semi-asse maggiore è di circa 2,376 UA, ben al di sotto della lacuna di Kirkwood del 3:1 con Giove (circa 2,50 UA), mentre il perielio si mantiene a 2,17 UA, dunque non penetra nella regione delle risonanze secolari interne. Alcune analisi più datate l’avevano incluso come membro appartenente alla famiglia di Flora, ma studi successivi hanno evidenziato una diversa origine (come vedremo tra breve) e attualmente Amalthea viene considerato al di fuori delle grandi famiglie classiche.

Il percorso dell’asteroide (113) Amalthea nel mese di aprile nella Costellazione della Vergine. Crediti: in-the-sky.org

Caratteristiche fisiche

Osservazioni effettuate nell’infrarosso e nel visibile hanno permesso di determinare con buona precisione le dimensioni e la natura della superficie di Amalthea. L’asteroide ha un diametro medio di circa 50 km. Si tratta dunque di un corpo di dimensioni intermedie, più grande del 99% circa degli asteroidi noti ma comunque molto più piccolo dei maggiori pianeti nani o degli asteroidi giganti come Cerere o Vesta.

Amalthea ha una superficie insolitamente riflettente, con un albedo intorno a 0,24–0,27, valore  che suggerisce una composizione di tipo silicaceo (asteroidi di tipo S), indicando che Amalthea riflette oltre un quarto della luce solare incidente; un indice di superficie relativamente brillante, per confronto, asteroidi di tipo carbonaceo, hanno un albedo intorno a 0,05–0,10. La massa di (113) Amalthea non è nota con precisione perché non esistono misurazioni dirette (ad esemepio satelliti stabili o perturbazioni orbitali significative su altri corpi). Tuttavia, ipotizzando una densità coerente con rocce silicacee poco porose, la massa di un sferoide di circa 50 km di diametro risulta dell’ordine di circa 100 trilioni di tonnellate. Si tratta di un valore approssimativo ma utile per inquadrare Amalthea come un corpo in grado di esercitare piccole perturbazioni gravitazionali locali, ma non sufficiente ad assumere forma sferica sotto la propria gravità.

Analisi spettroscopiche dettagliate hanno rivelato una caratteristica peculiare: Amalthea è ricco di olivina. In particolare, studi nella banda 0,3–2,5 µm indicano che il materiale superficiale è composto quasi interamente da olivina, con solo una piccola frazione di pirosseno e pochissimo metallo. Questa composizione suggerisce fortemente che Amalthea non sia un asteroide primitivo monolitico, ma un frammento proveniente dagli strati interni (mantello) di un grande corpo progenitore differenziato.

Curve di luce, periodo di rotazione e forma

Le osservazioni fotometriche di Amalthea – tramite la tecnica delle curve di luce – hanno permesso di determinarne il periodo di rotazione e la forma approssimativa. L’asteroide mostra una variazione periodica della luminosità mentre ruota su se stesso, dovuta alla sua forma non sferica. Le prime misure risalgono alla metà del ’900, ma è soprattutto con osservazioni moderne che si è consolidato il risultato: Amalthea ruota in circa 9,95 ore attorno al proprio asse. Questo valore indica una rotazione relativamente lenta rispetto ai piccoli asteroidi (che spesso ruotano in poche ore), ma abbastanza tipica per un corpo di circa 50 km. L’ampiezza della curva di luce – ossia la differenza tra la magnitudine massima e minima durante una rotazione – è di circa 0,2 magnitudini. Ciò significa che la brillantezza varia di circa il 20% tra i lati più luminosi e più deboli, suggerendo che Amalthea abbia una forma allungata ma non estremamente irregolare. Un’ampiezza di 0,20 mag è consistente con un rapporto tra gli assi del corpo di circa 1,2:1 (ipotizzando un ellissoide triaxiale); in altre parole, Amalthea potrebbe avere una forma oblunga con un asse lungo forse il 20% in più del corto. Effettivamente, osservazioni effettuate durante occultazioni stellari indicherebbero una sagoma ellissoidale marcata. Ad esempio, durante l’occultazione di una stella di magnitudine 10 avvenuta il 14 marzo 2017, varie stazioni osservative registrarono una durata d’occultazione coerente con un profilo molto allungato (rapporto assi di circa 1,5). La direzione dell’asse di rotazione (polo) non è al momento nota con precisione.

Appartenenza a una famiglia asteroidale

Per molto tempo Amalthea fu catalogato genericamente come un asteroide della fascia interna, potenzialmente associato alla numerosa famiglia Flora (data la similitudine dei parametri orbitali). Tuttavia, studi dettagliati della composizione e della dinamica orbitale hanno rivelato uno scenario diverso e Amalthea sembra essere strettamente legato all’asteroide (9) Metis. Metis e Amalthea condividono proprietà orbitali e spettroscopiche che suggeriscono l’origine da un comune evento di frammentazione: entrambi sono asteroidi di tipo S insolitamente ricchi di olivina, cosa rara nella fascia principale, e le loro orbite sono molto simili. Si è quindi ipotizzato che Metis (diametro di circa 190 km) e Amalthea (circa 50 km) siano i due maggiori superstiti di un antico corpo progenitore andato poi distrutto. Secondo questi studi, circa 1 miliardo di anni fa un grande asteroide di dimensioni stimabili tra 300 e 600 km (paragonabile a 4 Vesta in scala) sarebbe stato oggetto di una collisionme catastrofica dalla quale sarebbero nati una miriade di frammenti; col trascorrere del tempo, la grande maggioranza della massa di quel corpo originale è andata perduta, dispersa o ulteriormente frammentata. Gli unici oggetti riconoscibili rimasti sarebbero proprio (9) Metis e (113) Amalthea. Questa possibile famiglia Metis-Amalthea è però talmente erosa ed i membri minori sopravvissuti sono così pochi e di piccola taglia, che nelle analisi di clustering orbitale la coppia non emerge chiaramente come famiglia a sé (viene infatti classificata come “background”). Si tratta di un caso estremo di famiglia “condensata” in pochi oggetti, definita anche coppia asteroidale genetica poiché solo i due maggiori frammenti sono identificabili come correlati.

Le implicazioni dinamiche di questa potenziale appartenenza sono rilevanti. Innanzitutto, la composizione olivinica di Amalthea troverebbe spiegazione naturale se si trattasse di un frammento del mantello del corpo progenitore, mentre Metis potrebbe rappresentare una porzione più interna (mantello profondo o addirittura parte del nucleo, data la presenza di più metallo nel suo spettro). La similarità spettrale indica la possibile provenienza dallo stesso corpo differenziato originario. In secondo luogo, il fatto che la famiglia sia oggi praticamente ridotta a due soli membri principali suggerisce che i frammenti minori siano stati progressivamente eliminati nel tempo, probabilmente da processi dinamici di cui parleremo tra breve.

Dinamica orbitale: risonanze, effetti Yarkovsky-YORP e migrazione

Dal punto di vista dinamico a lungo termine, (113) Amalthea occupa un’orbita stabile nella fascia principale interna. Non si trova in risonanza orbitale significativa con alcun pianeta maggiore: le principali risonanze di Giove in zona (ad esempio la 3:1 a 2,50 UA o la 5:2 a 2,82 UA) sono lontane dalla sua posizione (2,38 UA). Anche le risonanze secolari (che destabilizzano gli asteroidi portandoli in orbite che intersecano quella di Marte) agiscono più vicino, a 2,1 UA e a inclinazioni differenti, quindi Amalthea rimane fuori anche dalla loro portata. Questo significa che Amalthea manterrà un’orbita stabile per centinaia di milioni di anni. Tuttavia, per i piccoli frammenti  originatisi dalla sua famiglia collisionale entrano in gioco forze non gravitazionali che possono aver alterato le orbite nel tempo, in particolare l’effetto Yarkovsky. L’effetto Yarkovsky è una debole forza propulsiva prodotta dall’emissione di radiazione termica da parte di un corpo in rotazione: in pratica un asteroide assorbe luce solare e la ri-emette come calore con un leggero ritardo rotazionale. Questo fenomeno, nel corso di milioni di anni, causa una lenta deriva del semiasse maggiore, dipendente dal senso di rotazione, dalle dimensioni del corpo e dalle sue proprietà termiche. Per asteroidi di dimensioni inferiori ai 20 km, la deriva indotta dall’effetto Yarkovsky può essere abbastanza significativa da spostarli gradualmente e farli entrare in zone di risonanza che poi li rimuovono dalla fascia. Nel caso della famiglia di Amalthea, è probabile che dopo la frammentazione iniziale molti piccoli pezzi siano migrati lentamente sotto l’azione dell’effetto Yarkovsky, finendo per entrare in risonanze per poi essere espulsi dalla fascia principale. Questo spiegherebbe perché oggi restano solo Metis e Amalthea: i membri minori potrebbero essere stati dispersi dinamicamente dal combinarsi dell’effetto Yarkovsky e delle risonanze, mente i corpi più grandi come Amalthea stesso, avendo  una deriva generata dall’effetto Yarkovsky trascurabile ed essendo distanti dalle risonanze, sarebbero rimasti vicino alla loro posizione originaria.

Un altro effetto correlato è l’effetto YORP (acronimo di Yarkovsky-O’Keefe-Radzievskii-Paddack): una variante dell’effetto Yarkovsky che modifica il periodo di rotazione di un piccolo corpo tramite il momento torcente esercitato dall’emissione termica. L’effetto YORP può accelerare o rallentare la rotazione degli asteroidi di pochi chilometri in tempi geologici, portando alcuni a ruotare molto rapidamente o molto lentamente. Nel caso di Amalthea, date le sue dimensioni, l’effetto YORP è estremamente debole – la sua massa e inerzia sono troppo grandi perché la flebile spinta termica alteri sensibilmente il periodo di 9,95 h in tempi osservabili. Tuttavia, per i frammenti minori della famiglia originaria, l’effetto YORP può aver giocato un ruolo: asteroidi di 1–5 km potrebbero aver subito cambiamenti di spin significativi, portando magari a stati rotazionali caotici o alla frammentazione secondaria se superavano il limite di stabilità, fenomeno noto ad esempio per gli asteroidi formati da blocchi e materiale poco coeso, i cosiddetti asteroidi “rubble pile”.

Come e quando osservarlo

(113 Amalthea) sarà in opposizione il 18 Aprile, momento nel quale raggiungerà la magnitudine 11. Il suo moto sarà di 0,61 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle  nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere  una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo 113 Amalthea  trasformarsi in una bella striscia luminosa di 25 secondi d’arco.

Mondi in miniatura – Asteroidi del mese di Marzo 2025

(8) Flora

Scoperta e nomenclatura

L’asteroide (8) Flora fu scoperto il 18 ottobre 1847 dall’astronomo britannico John Russell Hind presso l’osservatorio privato di George Bishop, situato a Regent’s Park, Londra. L’oggetto deve il suo nome alla dea romana dei fiori, in accordo con la convenzione ottocentesca di denominare gli asteroidi con riferimenti alla mitologia classica. La scoperta di Flora si inserisce in un periodo di intensa attività nello studio dei corpi minori del Sistema Solare, durante il quale Hind e i suoi contemporanei contribuirono significativamente alla caratterizzazione della fascia principale. Il loro lavoro permise di ampliare la conoscenza sulla distribuzione e sulla natura di questi oggetti, fornendo le prime basi per una classificazione sistematica degli asteroidi.

Parametri orbitali

L’asteroide (8) Flora percorre un’orbita attorno al Sole con un semiasse maggiore di circa 2,2 UA, completando una rivoluzione in 3,26 anni terrestri. L’eccentricità orbitale è pari a 0,15, mentre l’inclinazione rispetto al piano dell’eclittica è compresa tra 5° e 6°, posizionandolo stabilmente nella regione interna della fascia principale. L’analisi dei parametri orbitali di Flora è rilevante anche per il suo ruolo di corpo principale della famiglia asteroidale di Flora, un gruppo di asteroidi che condividono elementi orbitali simili e che si ritiene derivino dalla frammentazione di un progenitore comune. Le dinamiche di questa famiglia risultano di particolare interesse per la correlazione ipotizzata con alcune tipologie di meteoriti condritiche ordinarie rinvenute sulla Terra.

Caratteristiche fisiche

Le osservazioni spettroscopiche e fotometriche indicano che Flora appartiene alla classe degli asteroidi di tipo S, caratterizzati da una composizione ricca di silicati di ferro e magnesio, in particolare olivina e pirosseni, con una frazione di metalli ferrosi. La sua albedo, stimata tra 0,20 e 0,24, è coerente con quella di altri asteroidi di tipo S e risulta significativamente superiore rispetto agli asteroidi di tipo C, caratterizzati da una composizione prevalentemente carbonacea. Questa elevata riflettività consente a Flora di raggiungere magnitudini che ne facilitano l’osservazione, rendendolo uno degli oggetti più luminosi della fascia principale interna. La correlazione tra la composizione di Flora e quella della sua famiglia asteroidale supporta l’ipotesi che questa popolazione derivi dalla disgregazione di un corpo progenitore con analoghe caratteristiche mineralogiche.

Curve di luce, periodo di rotazione e forma

L’analisi delle curve di luce di (8) Flora ha permesso di determinare un periodo di rotazione di circa 12,86 ore. Studi fotometrici condotti nel corso di diverse campagne osservative hanno confermato con buona precisione questo valore, pur evidenziando variazioni minime dovute a differenti condizioni osservative e metodologie di riduzione dei dati.

L’ampiezza della curva di luce suggerisce che Flora possieda una forma irregolare, ma non eccessivamente allungata. Le variazioni periodiche di luminosità sono attribuibili a disomogeneità superficiali, probabilmente riconducibili a crateri, rilievi e altre strutture morfologiche risultanti da impatti avvenuti nel corso della sua storia evolutiva.

Come e quando osservarlo

(8 Flora) sarà in opposizione il 12 Marzo, momento nel quale raggiungerà la magnitudine 9,7. Il suo moto sarà di 0,71 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle  nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere  una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (8) Flora trasformarsi in una bella striscia luminosa di 28 secondi d’arco.

(18) Melpomene

Scoperta e nomenclatura

La scoperta di (18) Melpomene si colloca nello stesso fervente contesto scientifico che, pochi anni prima, aveva portato all’individuazione di (8) Flora. Come quest’ultimo, anche Melpomene fu individuato dall’astronomo britannico John Russell Hind presso l’osservatorio privato di George Bishop a Regent’s Park, Londra. L’oggetto venne identificato il 24 giugno 1852, in un periodo in cui la catalogazione sistematica degli asteroidi stava prendendo forma, grazie ai progressi nella strumentazione astronomica e alla crescente attenzione verso i corpi minori del Sistema Solare.

Il nome Melpomene, assegnato secondo la consolidata tradizione ottocentesca di ispirarsi alla mitologia classica, fa riferimento alla musa greca della tragedia e questa scelta si inserisce nella stessa logica culturale che aveva portato alla denominazione di (8) Flora, dedicato alla dea romana dei fiori.

La scoperta di Melpomene contribuì ulteriormente alla comprensione della fascia principale, che stava emergendo come una struttura dinamicamente complessa e scientificamente rilevante.

Parametri orbitali

I dati orbitali attuali descrivono un’orbita con semiasse maggiore di circa 2,30 UA, collocando stabilmente (18) Melpomene nella regione centrale della fascia principale. Il periodo di rivoluzione attorno al Sole è di circa 3,5 anni terrestri (pari a circa 1280 giorni).

L’eccentricità orbitale, compresa tra 0,20 e 0,25, indica un’orbita moderatamente ellittica, mentre l’inclinazione di circa 10° rispetto all’eclittica è relativamente elevata per un asteroide della fascia principale. L’analisi orbitale di (18) Melpomene è di particolare interesse per lo studio della distribuzione e dell’evoluzione delle popolazioni asteroidali, nonché per la caratterizzazione delle interazioni gravitazionali all’interno della fascia principale.

Caratteristiche fisiche

Dal punto di vista tassonomico, (18) Melpomene appartiene alla classe S, caratterizzata da una composizione dominata da silicati di ferro e magnesio, come olivina e pirosseni, con una frazione di metalli ferrosi. Le analisi spettroscopiche nel visibile e nel vicino infrarosso confermano la presenza delle tipiche bande di assorbimento associate a questi minerali, rafforzando l’ipotesi che gli asteroidi di tipo S siano i progenitori di una parte significativa dei meteoriti condritici ordinari rinvenuti sulla Terra.

Il diametro medio dell’asteroide è stimato in circa 140 km, un valore che lo colloca nella categoria degli asteroidi di medie dimensioni della fascia principale. L’albedo geometrica, coerentemente con altri oggetti della classe S, varia tra 0,20 e 0,26, a seconda della lunghezza d’onda considerata nelle osservazioni fotometriche. Questa elevata riflettività, rispetto agli asteroidi carbonacei di tipo C, contribuisce alla relativa brillantezza di Melpomene durante le opposizioni più favorevoli.

Curve di luce, periodo di rotazione e forma

L’ampio database di osservazioni fotometriche raccolte tra il XX e il XXI secolo consente di determinare con buona precisione il periodo di rotazione di (18) Melpomene, stimato in 11,57 ore. I dati, pubblicati in diverse edizioni del Minor Planet Bulletin e registrati nell’Asteroid Lightcurve Database (LCDB), indicano un’ampiezza della curva di luce compresa tra 0,4 e 0,5 magnitudini.

Queste variazioni di luminosità suggeriscono che l’asteroide abbia una forma irregolare, riconducibile a un ellissoide triaxiale, con asperità e strutture superficiali quali crateri e rilievi. L’interpretazione delle curve di luce, supportata da tecniche di inversione fotometrica, permette di delineare un quadro morfologico coerente con la storia collisionale degli asteroidi della fascia principale. Sebbene questi metodi non possano sostituire un’osservazione diretta, forniscono comunque informazioni fondamentali sulla rotazione e sulla distribuzione delle irregolarità superficiali di Melpomene e più in generale sugli asteroidi.

Come e quando osservarlo

Grazie alla sua elevata albedo e alla posizione orbitale, (18) Melpomene raggiunge, nelle opposizioni più favorevoli, luminosità tali da renderlo visibile anche con telescopi di piccola apertura. Melpomene sarà in opposizione il 24 di Marzo, momento nel quale raggiungerà la massima luminosità brillando di magnitudine di 7.9. Il suo moto sarà di 0,68 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle  nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere  una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (18) Melpomene trasformarsi in una bella striscia luminosa di quasi 27 secondi d’arco.

Febbraio 2025

L’asteroide (29) Amphitrite: storia, caratteristiche e curiosità

Un’illustre scoperta nell’Inghilterra vittoriana

(29) Amphitrite fu individuato il 1º marzo 1854 da Albert Marth dall’osservatorio privato di George Bishop a Regent’s Park, Londra. All’epoca, l’Osservatorio di Bishop era già noto per alcune rilevanti scoperte, fra le quali (7) Iris nel 1847, individuato da John Russell Hind. Il nome “Amphitrite” (in italiano “Anfitrite”) richiama la figura mitologica della ninfa marina sposa di Poseidone, in linea con la tradizione ottocentesca di associare gli asteroidi a divinità greco-romane. Scoprire asteroidi nell’Inghilterra vittoriana era tutt’altro che semplice, a causa dello smog tipico della rivoluzione industriale e del clima spesso nuvoloso. L’osservatorio di George Bishop, tuttavia, disponeva di attrezzature per il tempo all’avanguardia e di un gruppo di astronomi, che riuscirono a ottenere risultati di grande rilievo.

Parametri orbitali: un’orbita quasi circolare

Le osservazioni e i dati raccolti dal Minor Planet Center e dal JPL Small-Body Database della NASA mostrano che Amphitrite si muove attorno al Sole con un semiasse maggiore di circa 2,55 UA, descrivendo un’orbita completata in circa 4,36 anni terrestri. L’eccentricità è di circa 0,07, un valore basso che evidenzia un’orbita quasi circolare. L’inclinazione del piano orbitale, di circa 6,1° rispetto all’eclittica, è relativamente modesta.

Caratteristiche fisiche: Un grande S-type

Amphitrite appartiene alla categoria degli asteroidi di tipo S, composti prevalentemente da silicati di ferro e magnesio e dotati di un’albedo media intorno allo 0,20, valore superiore rispetto a quello tipico degli asteroidi di tipo C (carbonacei). Il diametro medio di (29) Amphitrite è stato stimato in circa 212 km, mentre la magnitudine assoluta (H) si aggira intorno a 7,9, valori che ne fanno uno degli oggetti più luminosi e massicci fra i rocciosi presenti nella fascia principale. Queste caratteristiche lo rendono interessante sia sotto il profilo astronomico sia sotto quello planetologico, poiché gli asteroidi di notevoli dimensioni possono fornire informazioni preziose sulla composizione e sull’evoluzione primordiale del Sistema Solare. A differenza dei frammenti più piccoli, che possono essere stati distrutti o profondamente alterati da collisioni e processi termici, gli asteroidi massicci sono in grado di conservare al loro interno tracce dei processi di accrezione e differenziazione avvenuti miliardi di anni fa.

Un esempio notevole è (4) Vesta, uno degli asteroidi più grandi della fascia principale, il cui studio (anche grazie alla missione Dawn della NASA) ha rivelato prove di una parziale fusione interna e della formazione di un nucleo ferroso. Tali evidenze suggeriscono che, quando un corpo raggiunge certe dimensioni, può trattenere abbastanza calore da innescare processi di differenziazione (separazione di materiali più pesanti verso l’interno e di quelli leggeri verso la superficie). Gli strati così formati—nucleo, mantello e crosta—rimangono come “registro geologico” di eventi verificatisi nelle prime fasi di vita del Sistema Solare.

Confrontando la composizione chimica, la mineralogia e le firme isotopiche dei grandi asteroidi, con quelle riscontrate nei meteoriti (molti dei quali sono frammenti distaccatisi nel tempo proprio da corpi maggiori), diventa possibile ricostruire i meccanismi di formazione planetaria, i tempi in cui si sono verificati i diversi processi termici e la sequenza degli impatti che ha caratterizzato la fascia principale e questo fornisce indizi fondamentali sulla distribuzione iniziale degli elementi e sul graduale assemblaggio dei protopianeti, facendo luce sull’evoluzione complessiva del nostro Sistema Solare.

Curve di luce, periodo di rotazione e forma

Dalle molteplici campagne osservative emerge che (29) Amphitrite possiede un periodo di rotazione di circa 5,39 ore. Le curve di luce indicano un’ampiezza di variazione compresa in genere fra 0,2 e 0,4 magnitudini, a seconda dell’angolo di fase e delle condizioni di osservazione. Tale regolarità suggerisce che l’asteroide ruoti in maniera abbastanza uniforme, pur lasciando spazio a possibili irregolarità superficiali. L’analisi fotometrica, infatti, da sola non è sufficiente a definire con esattezza la morfologia del corpo, tuttavia può fornire buoni indizi su forma e orientamento dell’asse di rotazione attraverso il processo di inversione delle curve di luce.

L’inversione delle curve di luce è una tecnica di analisi fotometrica che permette di ricostruire la forma tridimensionale e l’orientamento dell’asse di rotazione di un asteroide utilizzando una serie di misurazioni di luminosità raccolte in differenti apparizioni e da diversi osservatori. Come ben sappiamo, quando un asteroide ruota, la quantità di luce che riflette (ossia la sua magnitudine apparente) varia leggermente in funzione dell’angolo di visione e della geometria lluminazione/osservatore. Registrando queste variazioni (le “curve di luce”) e combinandole con un appropriato modello matematico, si riesce a risalire alla geometria della rotazione ed alla forma generale del corpo. Per ottenere un modello accurato servono osservazioni fotometriche in più fasi orbitali (idealmente anche distribuite su diverse opposizioni), in modo che l’asteroide venga “visto” sotto molteplici angoli. Le procedure di inversione consentono di stimare gli assi principali di un eventuale ellissoide (o poliedro) che meglio approssima il corpo reale e di individuare il polo di rotazione in coordinate eclittiche.

Nel caso di (29) Amphitrite, la forma ricostruita non risulta eccessivamente irregolare; i modelli attuali descrivono Amphitrite come un solido triaxiale con rapporto fra gli assi abbastanza vicino a 1: in altre parole, non è un corpo estremamente “piatto” o “allungato”, ma presenta comunque differenze di dimensione misurabili fra un asse e l’altro. Le soluzioni di inversione, disponibili in database come il DAMIT (Database of Asteroid Models from Inversion Techniques) e citate in articoli pubblicati sul Minor Planet Bulletin, indicano inoltre che l’asse di rotazione di Amphitrite è inclinato di diversi gradi rispetto all’eclittica, con un valore di longitudine e latitudine del polo che rientra in un range di soluzioni molto simili tra loro.

Come e quando osservarlo

In occasione di opposizioni particolarmente favorevoli, Amphitrite può arrivare a magnitudini di circa 8, valore sufficiente per consentire l’osservazione con telescopi di piccola o media apertura e, a volte, persino con binocoli di buona qualità.

(29) Amphitrite sarà in opposizione il 12 Febbraio. In questo frangente raggiungerà la massima brillantezza con una magnitudine di 9.2. Il suo moto sarà di 0,63 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle  nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere  una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (29) Amphitrite trasformarsi in una bella striscia luminosa di 25 secondi d’arco.

Riferimenti bibliografici

Le informazioni citate derivano dai dati ufficiali riportati dal Minor Planet Center (https://minorplanetcenter.net/), dal JPL Small-Body Database (https://ssd.jpl.nasa.gov/tools/sbdb_lookup.html#/) e dai lavori di fotometria pubblicati sul Minor Planet Bulletin. Dati relativi alle composizioni e alle classificazioni degli asteroidi di tipo S e dei meteoriti condriti ci sono disponibili presso i database della NASA (PDS) e della USGS.

Mondi in miniatura – Asteroidi del mese di Gennaio 2025

Il mese di gennaio 2025 offre un’opportunità unica per osservare alcuni dei più affascinanti asteroidi visibili nel nostro cielo. Con condizioni favorevoli e momenti di opposizione ideali, diversi corpi celesti si mostrano al massimo della loro brillantezza, rendendosi accessibili anche agli astrofili dotati di strumentazione amatoriale. Tra i protagonisti del mese troviamo il carbonaceo (79) Eurynome, il massiccio (14) Irene e l’interessante NEA (887) Alinda, che effettuerà un passaggio ravvicinato alla Terra. Questo articolo ti guiderà alla scoperta delle loro caratteristiche e dei momenti migliori per osservarli, con utili suggerimenti tecnici per ottimizzare le tue osservazioni. Prepara il telescopio e scopri insieme a noi il fascino di questi piccoli giganti del sistema solare.

(79) Eurynome

Asteroide di fascia principale che compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.400 giorni (3.83 anni) ad una distanza compresa tra le 1.98 e le 2.91 unità astronomiche (rispettivamente, 296.203.784 Km al perielio e 435.329.804 Km all’afelio). Deve il suo nome Eurinome, spesso identificata come una divinità o una ninfa che, unendosi a Zeus, generò le Cariti (o Grazie). Scoperto il 14 settembre 1863 dall’astronomo James Craig Watson presso l’Osservatorio di Ann Arbor (Michigan, USA), (79) Eurynome misura all’incirca 70 Kilometri di diametro ed  è classificato come un asteroide di tipo C (carbonaceo) o X, a seconda delle diverse classificazioni: ciò indica probabilmente una composizione ricca di carbonio e/o di composti metallici. (79) Eurynome sarà in opposizione il 7 di Gennaio. In questo frangente raggiungerà la massima brillantezza con una magnitudine di 10.3, il suo moto sarà di 0,65 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle  nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere  una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (79) Eurynome trasformarsi in una bella striscia luminosa di 26 secondi d’arco.

(79) Eurynome Crediti: https://in-the-sky.org/

(675) Ludmilla

Sempre il 7 di gennaio avremo in opposizione (675) Ludmilla, un asteroide di fascia principale di circa 70 Km che compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.680 giorni (4.60 anni) ad una distanza compresa tra le 2.20 e le 3.33 unità astronomiche (rispettivamente, 329.115.316 Km al perielio e 498.160.909 Km all’afelio). L’origine del nome non è certa, ma “Ludmilla” (o “Ljudmila”, “Ludmila”) è un nome femminile slavo piuttosto diffuso. Potrebbe riferirsi a Santa Ludmilla di Boemia (una santa ceca del IX-X secolo) o semplicemente al significato del nome slavo (spesso tradotto come “cara al popolo”). E’ stato scoperto da J. H. Metcalf il 30 Agosto del 1908. Al momento dell’opposizione  raggiungerà la massima luminosità brillando di magnitudine di 11.2. Il suo moto sarà di 0,64 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle  nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere  una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (675) Ludmilla trasformarsi in una bella striscia luminosa di 26 secondi d’arco.

(675) Ludmilla Crediti: https://in-the-sky.org/

(14) Irene

(14) Irene è un asteroide di fascia principale che compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.520 giorni (4.16 anni) ad una distanza compresa tra le 2.16 e le 3.02 unità astronomiche (rispettivamente, 323.131.401 Km al perielio e 451.785.570 Km all’afelio). Deve il suo nome a Eirene, Divinità personificazione della pace. Scoperto da John Russel Hind il 19 Maggio 1851, questo grande asteroide (all’incirca 152 Kilometri di diametro) è classificato come asteroide di tipo S, caratterizzato da una composizione ricca di silicati ferrosi, nichel e ferro metallico. Sarà in opposizione il 10 di Gennaio. In questo frangente raggiungerà la massima brillantezza con una magnitudine di 9.7.  Il suo moto sarà di 0,66 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle  nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere  una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (14) Irene trasformarsi in una bella striscia luminosa di 26 secondi d’arco.

(14) Irene Crediti: https://in-the-sky.org/

(51) Nemausa

(51) Nemausa è un grande asteroide di fascia principale di circa 150Km che compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.330 giorni (3.64 anni) ad una distanza compresa tra le 2.21 e le 2.52 unità astronomiche (rispettivamente, 330.611.294 Km al perielio e 376.986.634 Km all’afelio). Deve il suo nome alla città francese di Nîmes. E’ stato scoperto da Joseph Jean Pierre Laurent il 22 Gennaio 1858. Studi fotometrici e spettroscopici suggeriscono che possa rientrare tra i tipi carbonacei (C/G), con un albedo piuttosto basso tipico di questo tipo di asteroidi. (51) Nemausa raggiungerà l’opposizione il 17 Gennaio, momento nel quale raggiungerà magnitudine 10.7. Il suo moto sarà di 0,67 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle  nostre immagini, anche in questo caso, potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 4/5 minuti. Per ottenere  una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (51) Nemausa trasformarsi in una bella striscia luminosa di 27 secondi d’arco.

(51) Nemausa Crediti: https://in-the-sky.org/

(887) Alinda

(887) Alinda è un asteroide NEA (Near Earth Asteroid) appartenente al gruppo Amor, scoperto il 3 gennaio 1918 dall’astronomo tedesco Max Wolf presso l’Osservatorio di Heidelberg, in Germania. Deve il suo nome all’antica città di Alinda, situata nella storica regione della Caria, nell’odierna Turchia. È noto  per aver dato il nome al gruppo Alinda, un insieme di asteroidi accomunati da specifiche caratteristiche orbitali legate a una risonanza orbitale con Giove. L’orbita di (887) Alinda ha un semiasse maggiore di circa 2,5 unità astronomiche e un’eccentricità piuttosto elevata. Questo lo pone vicino alla risonanza 3:1 con Giove, un fenomeno per cui il rapporto fra i tempi di rivoluzione di Alinda e del pianeta gigante è pari a tre a uno. Tale risonanza tende a far aumentare l’eccentricità dell’asteroide nel tempo, portandolo progressivamente a intersecare le orbite dei pianeti interni, compresa quella della Terra. Sebbene ciò non lo classifichi come un oggetto immediatamente pericoloso, rappresenta comunque un interessante esempio di come l’influenza gravitazionale di Giove possa modificare l’orbita di un corpo minore con il passare dei millenni. Dal punto di vista della composizione, Alinda è considerato un asteroide di tipo S,  prevalentemente roccioso, composto da silicati ferrosi e nichel-ferro. Il suo diametro stimato è di circa 4.2 chilometri, abbastanza grande da renderlo osservabile anche con strumentazione amatoriale nei periodi di migliore visibilità.

(887) Alinda Crediti: https://in-the-sky.org/

L’8 di gennaio (887) Alinda effettuerà un passaggio ravvicinato transitando a 0.082 unità astronomiche dalla terra, poco più di 12 milioni di kilometri, raggiungendo la nona magnitudine e rimanendo osservabile anche nei giorni successivi. I giorni precedenti il passaggio il NEA viaggerà intorno ai 6 secondi d’arco al minuto, per poi accellerare fino a raggiungere gli 8.4 arcosecondi al minuto. Per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle  nostre immagini, dovremo quindi utilizzare utilizzare tempi di esposizione non superiori ai 20 secondi.

Le effemeridi per il proprio sito osservativo potranno essere calcolate utilizzando il Minor Planet Ephemeris Service:

https://minorplanetcenter.net/iau/MPEph/MPEph.html

Mondi in miniatura – Asteroidi del mese di Dicembre 2024

Con l’arrivo di dicembre, il cielo ci regala un’opportunità imperdibile per osservare alcuni tra gli asteroidi più affascinanti della fascia principale, che raggiungono la loro opposizione durante questo mese quindi si trovano, rispetto alla Terra, nel punto opposto al Sole che può così illuminarli per l’interezza.

La rubrica “Asteroidi” vi guida attraverso gli appuntamenti del mese, fornendo dettagli sulle caratteristiche e le curiosità di questi corpi celesti. Con mappe stellari, consigli per le osservazioni e specifiche tecniche di ripresa, potrete seguire il moto degli asteroidi e, magari, catturare la loro traccia luminosa con una lunga esposizione.

Di seguito, il calendario degli asteroidi in opposizione a dicembre, ognuno con una storia affascinante e caratteristiche uniche. Preparate telescopi e fotocamere per vivere un viaggio attraverso il Sistema Solare, restando seduti comodamente sotto il cielo invernale. Buone osservazioni!

(13) Egeria

Asteroide di fascia principale che compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.510 giorni (4.13 anni) ad una distanza compresa tra le 2.36 e le 2.80 unità astronomiche (rispettivamente, 535.050.973 Km al perielio e 418.874.036 Km all’afelio). Deve il suo nome a Egeria, Divinità protettrice delle nascite e delle acque sorgive. Scoperto da Annibale de Gasparis il 2 Novembre 1850, questo grande asteroide, che misura all’incirca 220 Kilometri di diametro, appartiene alla classe spettrale G. Gli asteroidi di questo tipo sono ricchi di materiali carboniosi e silicati idrati, indicando una possibile presenza di acqua. (13) Egeria sarà in opposizione il 4 di Dicembre. In questo frangente raggiungerà la massima brillantezza con una magnitudine di 10.1.  Il suo moto sarà di 0,71 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle  nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere  una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (13) Egeria trasformarsi in una bella striscia luminosa di 28 secondi d’arco.

Il percorso e la posizione dell’asteroide (13) Egeria in dicembre nella Costellazione di Perseo. Mappa https://in-the-sky.org/

(15) Eunomia

Asteroide di fascia principale che compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.570 giorni (4.30 anni) ad una distanza compresa tra le 2.15 e le 3.14 unità astronomiche (rispettivamente, 321.635.421 Km al perielio e 469.737.312 Km all’afelio). E’ il membro più grande dell’omonima famiglia di Asteoridi e deve il suo nome a Eunomia, antica divinità Greca. Una delle Ore, Figlia di Zeus e di Temi, Eunomia era la personificazione della legalità e del buon governo. Scoperto da Annibale de Gasparis il 29 Luglio 1851, questo imponente asteroide misura circa 250 Km di diametro ed appartiene al tipo S, composto principalmente da silicati, nichel e ferro. (15) Eunomia sarà in opposizione l’8 Dicembre, momento nel quale raggiungerà la massima luminosità brillando di magnitudine di 8.2. Il suo moto sarà di 0,66 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle  nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5/6 minuti. Per ottenere  una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (15) Eumonia trasformarsi in una bella striscia luminosa di 26 secondi d’arco.

La posizione e la traiettoria dell’asteroide (15) Eunomia nel mese di dicembre nella Costellazione dell’Auriga. Mappa https://in-the-sky.org/

(69) Hesperia

Asteroide di fascia principale che compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.880 giorni (5.15 anni) ad una distanza compresa tra le 2.47 e le 3.48 unità astronomiche (rispettivamente, 369.506.741 Km al perielio e 520.600.590 Km all’afelio). Deve il suo nome a Esperia, antico nome dell’Italia datole originariamente dai Greci per via della sua posizione occidentale. Scoperto da Giovanni Schiapparelli il 29 Aprile 1861, questo grande asteroide (110 Kilometri di diametro) appartiene al tipo M, una classificazione che suggerisce una composizione ricca di metalli, come nichel e ferro, e talvolta anche di silicati. La sua natura metallica lo rende un interessante oggetto per gli studi sulla differenziazione planetaria, suggerendo che potrebbe essere un frammento del nucleo di un antico protopianeta. (69) Hesperia sarà in opposizione il 15 Dicembre brillando di magnitudine 10.7.  Il suo moto sarà di 0,56 secondi d’arco al minuto, quindi, utilizzando tempi di esposizione fino a 5 minuti manterremo l’oggetto di aspetto puntiforme. Per ottenere una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (69) Hesperia trasformarsi in una bella striscia luminosa di 22 secondi d’arco.

La posizione e la traiettoria dell’asteroide (69) Hesperia nel mese di dicembre nella Costellazione di Orione. Mappa https://in-the-sky.org/

(116) Sirona

Asteroide di fascia principale che compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.680 giorni (4.60 anni) ad una distanza compresa tra le 2.38 e le 3.16 unità astronomiche (rispettivamente, 356.042.932 Km al perielio e 472.729.271 Km all’afelio). Prende il nome da una dea celtica della salute, della guarigione e delle sorgenti. Nella mitologia celtica, Sirona era spesso associata a pozzi e fonti sacre, simboli di purificazione e rinnovamento. Scoperto l’8 settembre 1871 dall’astronomo canadese-americano Christian Heinrich Friedrich Peters, con i suoi “soli” 71 Kilometri di diametro non è certamente tra i più grandi asteroidi ad oggi conosciuti. E’ un asteroide di tipo S, con una composizione prevalentemente rocciosa e silicatica con presenza di nichel e ferro, caratterizzato da una superficie di medio albedo. (116) Sirona sarà in opposizione il 24 di Dicembre brillando ad una magnitudine di 11.2.  Il suo moto sarà di 0,60 secondi d’arco al minuto, quindi, con tempi di esposizione fino a 5 minuti ne preserveremo l’aspetto puntiforme. Volendo ottenere  una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (116) Sirona  trasformarsi in una bella striscia luminosa di 24 secondi d’arco.

La posizione e la traiettoria dell’asteroide (116) Sirona nel mese di dicembre nella Costellazione dei Gemelli. Mappa https://in-the-sky.org/

 

Mondi in miniatura – Asteroidi del mese di Novembre 2024

(11) Parthenope

Asteroide di fascia principale che compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.400 giorni (3.83 anni) ad una distanza compresa tra le 2.21 e le 2.70 unità astronomiche (rispettivamente, 330.611.293 Km al perielio e 403.914.249 Km all’afelio). Deve il suo nome a Parthenope, una delle Sirene nella mitologia Greca che, si narra in una tarda leggenda, morì gettandosi in mare assieme alle sorelle per l’insensibilità del prode Ulisse al loro Canto. Fu scoperto l’11 maggio 1850 dall’astronomo italiano Annibale de Gasparis presso l’Osservatorio Astronomico di Capodimonte a Napoli. Si tratta dell’undicesimo asteroide catalogato, da cui deriva il numero 11 nel suo nome. Dal punto di vista fisico Parthenope misura 149 kilometri di diametro ed è composto prevalentemente da silicati di ferro e magnesio, con un albedo relativamente alto tipico degli asteroidi di tipo S. Quest’anno sarà in opposizione il 13 Novembre brillando di magnitudine 9.8.  Il suo moto sarà di 0,65 secondi d’arco al minuto, quindi, con tempi di esposizione fino a 5 minuti ne preserveremo l’aspetto puntiforme. Per ottenere invece una traccia di movimento dovremo esporre (od integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (11) Parthenope trasformarsi in una bella striscia luminosa di 26 secondi d’arco.

Il percorso dell’asteroide (11) Parthenope nella Costellazione del Toro nel mese di novembre. Crediti in-the-sky.org

(36183) 1999 TX16

Asteroide Near Earth di classe Amor scoperto dal progetto LINEAR (Lincoln Near-Earth Asteroid Research), un programma gestito dal Laboratorio Lincoln del MIT, in collaborazione con l’Aeronautica degli Stati Uniti e la NASA. La scoperta è avvenuta presso il sito di Socorro, New Mexico, nel 1999. LINEAR è uno dei principali contributori alla ricerca sugli asteroidi, responsabile dell’identificazione di una grande quantità di asteroidi NEA-EARTH dagli anni ’90 in poi. Questo asteroide di circa 2,3 chilometri di diametro completa un’orbita attorno al Sole in 706 giorni, con una distanza minima di 1.04 unità astronomiche ed una massima di 2.07 (rispettivamente, 155.581.786 Km al perielio e 309.667.592 Km all’afelio). Il suo periodo di rotazione è di circa 5,61 ore. Ha un’albedo relativamente bassa, con una superficie scura e scarsamente riflettente. La classe spettrale a cui appartiene suggerisce la presenza di materiali organici e possibili composti primitivi. (36183) 1999 TX16 effettuerà un passaggio ravvicinato il 13 novembre 2024 alle ore 12:57 UT, a una distanza di circa 20 milioni di chilometri dalla terra raggiungendo magnitudine 13.2. Il suo moto angolare sarà di 12,95 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto risulti puntiforme nelle  nostre immagini, dovremo utilizzare tempi di esposizione non superiori a 15 secondi.

Il percorso dell’asteroide (36183) 1999 TX16 nella Costellazione del Toro nel mese di novembre. Crediti in-the-sky.org

Mondi in miniatura – Asteroidi del mese di Ottobre 2024

(39) Laetitia

Asteroide di fascia principale che compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.680 giorni (4.60 anni) ad una distanza compresa tra le 2.46 e le 3.08 unità astronomiche (rispettivamente, 368.010.760 Km al perielio e 460.761.440 Km all’afelio). Deve il suo nome alla divinità Romana Laetitia, personificazione della gioia. Scoperto da Jean Chacornac l’8 Febbraio 1856, (39) Laetitia misura 179 Kilometri di diametro ed ha un’albedo relativamente alto, consueto negli asteroidi di tipo S composti principalmente da silicati di ferro e magnesio, con una possibile presenza di metalli.  Quest’anno sarà in opposizione il 7 Ottobre raggiungendo la magnitudine di 9.1. Il suo moto sarà di 0,60 secondi d’arco al minuto, quindi, utilizzando tempi di esposizione fino a 5 minuti manterremo l’oggetto di aspetto puntiforme. Per ottenere una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (39) Laetitia trasformarsi in una bella striscia luminosa di 24 secondi d’arco.

Il percorso dell'asteroide (39) Laetitia nel mese di ottobre fra la costellazione dei Pesci e quella della Balena
Il percorso dell’asteroide (39) Laetitia nel mese di ottobre fra la costellazione dei Pesci e quella della Balena


(19) Fortuna

Asteroide di fascia principale che compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.390 giorni (3.81 anni) ad una distanza compresa tra le 2.06 e le 2.83 unità astronomiche (rispettivamente, 308.171.612 Km al perielio e 423.361.972 Km all’afelio). Deve il suo nome alla divinità Romana Fortuna, dea del caso e del destino. Scoperto da John Russell Hind il 22 Agosto 1852, con i suoi 225 Kilometri di diametro è più tra i più grandi asteroidi ad oggi conosciuti. È un asteroide di tipo C, composto principalmente da carbonio e materiali primitivi, caratterizzato da una superficie scura dal basso albedo. Sarà in opposizione il 16 di Ottobre brillando ad una magnitudine di 9.3.  Il suo moto sarà di 0,61 secondi d’arco al minuto, quindi, con tempi di esposizione fino a 5 minuti ne preserveremo l’aspetto puntiforme. Volendo ottenere  una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (19) Fortuna trasformarsi in una bella striscia luminosa di 24secondi d’arco.

Il percorso dell'asteroide Fortuna nel mese di Ottobre nella costellazione dei Pesci
Il percorso dell’asteroide Fortuna nel mese di Ottobre nella costellazione dei Pesci


(10) Hygiea

Quarto asteroide per massa e volume e con i suoi di 434 KM di diametro si stima che  da solo contenga  il 3 % della massa complessiva dell’intera fascia principale.  Deve il suo nome alla divinità Greca Hygiea, personificazione della sanità fisica e intellettuale. Scoperto da Annibale Gasparis il 12 Aprile 1849, Hygiea è il quarto Asteoroide della fascia in ordine di grandezza ed il progenitore dell’omonima famiglia che si ritiene nata dall’impatto con un oggetto di grandi dimensioni, avvenuto all’incirca 2 miliardi di fa. La sua superfcie è molto scura, caratteristica questa tipica dei corpi asteoridali di tipo C composti da materiali carbonacei e primitivi. Questo suo basso albedo comporta che nonostante le sue considerevoli dimensioni Hygiea risulti sempre piuttosto debole, raggiungendo la nona magnitudine esclusivemente durante le opposizione più favorevoli. Alcune immagini della sua superficie riprese nel 2017 dal Very Large Telescope hanno rivelato la presenza di due grandi crateri, rispettivamente di 180 e 90 KM di diametro, e di un’area sensibilmente più chiara risultante dell’esposizione di materiale sub-superficiale, probabilmente emerso a seguito di un’impatto. (10) Hygiea sarà in opposizione il 21 Ottobre, brillando ad una magnitudine di 10.5. Il suo moto sarà di 0,51 secondi d’arco al minuto, quindi, anche in nel suo caso, con tempi di esposizione fino a 5 minuti ne preserveremo l’aspetto puntiforme. Volendo ottenere  una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (10) Hygiea trasformarsi in una bella striscia luminosa di 21 secondi d’arco.

Il percorso dell'asteroide Hygiea nel mese di ottobre fra le costellazioni dei Gemelli e Ariete
Il percorso dell’asteroide Hygiea nel mese di ottobre fra le costellazioni dei Gemelli e Ariete


(511) Davida

Il più grande e il più massiccio asteroide della fascia principale ad oggi noti. Compie un’orbita intorno al Sole ogni 2.050 giorni (5.61 anni) ad una distanza compresa tra le 2.56 e le 3.76 unità astronomiche (rispettivamente, 382.970.549 Km al perielio e 562.487.994 Km all’afelio). E’ stato così chiamato in onore di David Peck Todd, astronomo che ha guidato numerose spedizioni internazionali per osservare e documentare le eclissi solari negli anni che vanno dal 1878 al 1919. Scoperto il 30 maggio 1903 dall’astronomo Raymond Smith Dugan, questo imponente asteroide (misura all’incirca 300 Kilometri di diametro) presenta anch’esso una superficie scura, ricca di carbonio, con l’albedo molto basso tipico degli asteroidi di tipo C. (511) Davida sarà in opposizione il 31 di ottobre, momento in cui raggiungerà la magnitudine di 10.4. Il suo moto sarà di 0,53 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto risulti puntiforme nelle  nostre immagini, potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere  una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (511) Davida trasformarsi in una bella striscia luminosa di 21 secondi d’arco.

Il percorso dell'asteroide Davida nel mese di ottobre sotto la costellazione della Balena
Il percorso dell’asteroide Davida nel mese di ottobre sotto la costellazione della Balena


Mondi in miniatura – Asteroidi del mese di Settembre 2024

(194) Prokne

Asteroide di fascia principale compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.550 giorni (4.24 anni) ad una distanza compresa tra le 2.00 e le 3.24 unità astronomiche (rispettivamente, 299.195.741 Km al perielio e 411.394.144 Km all’afelio). Deve il suo nome a Prokne, mitica figlia di Pandione re di Atene, sorella di Filomela. Scoperto il 21 marzo 1879 da Christian Heinrich Friedrich Peters, (194) Prokne è un asteroide con un diametro stimato di circa 150 chilometri ed è classificato come un asteroide di tipo C. Gli asteroidi di tipo C sono noti per avere una bassa albedo (riflettività), il che significa che riflettono solo una piccola frazione della luce solare che ricevono a causa della loro superficie scura, ricca di materiali carboniosi. (194) Prokne sarà in opposizione il 2 di Settembre, quando raggiungerà magnitudine 9.5. Il suo moto sarà di 0,88 secondi d’arco al minuto, quindi, con tempi di esposizione fino a 4 minuti ne preserveremo l’aspetto puntiforme. Volendo ottenere  una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (194) Prokne trasformarsi in una bella striscia luminosa di 35 secondi d’arco.

(20) Massalia

Asteroide di fascia principale che compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.370 giorni (3.75 anni) ad una distanza compresa tra le 2.06 e le 2.75 unità astronomiche (rispettivamente, 308.171.612 Km al perielio e 411.394.143 Km all’afelio). Massalia è un asteroide di tipo S, a composizione prevalentemente silicatica. Gli asteroidi di tipo S sono composti principalmente da silicati ferrosi e nichel-ferro ed hanno una superficie relativamente brillante con un’albedo (riflettività) relativamente alta. (20) Massalia è membro della famiglia di asteroidi Masssalia che popola le regioni interne della fascia principale. Si ritiene che la famiglia asteroidale sia nata a seguito di una antica collisione che ha frammentato un corpo progenitore più grande. L’evento catastrofico ha generato numerosi pezzi che hanno poi assunto tutti caratteristiche orbitali simili, e Massalia,  con i sui 145 Km di diametro, è il resto più grande. Scoperto da Annibale Gasparis il 19 Settembre 1852, questo grande asteroide raggiungerà l’opposizione il 29 Settembre, momento nel quale raggiungerà magnitudine 9.2. Il suo moto sarà di 0,65 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle  nostre immagini, anche in questo caso, potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere  una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (20) Massalia trasformarsi in una bella striscia luminosa di 26 secondi d’arco.

Il percorso durante il mese di settembre dei due asteroidi: Massalia (traccia arancione in alto a sinistra) e Prokne (traccia in basso a destra).
Il percorso durante il mese di settembre dei due asteroidi: Massalia (traccia arancione in alto a sinistra) e Prokne (traccia in basso a destra).

Mondi in miniatura – Asteroidi del mese di Agosto 2024

(16) Psyche

Asteroide di fascia principale che compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.830 giorni (5.01 anni) ad una distanza compresa tra le 2.53 e le 3.32 unità astronomiche (rispettivamente, 378.482.611 Km al perielio e 496.664.928 Km all’afelio). Deve il suo nome alla mitologica figura di Psyche. Scoperto da Annibale Gasparis il 17 Marzo 1852, questo grande asteroide che misura 226 Kilometri di diametro è composto principalmente da ferro e nichel, con piccole quantità di silicio e altri elementi (Tipo M). il 13 Ottobre 2023 è stata lanciata una sonda robotica che avrà il compito di esplorare (16) Psyche, con arrivo previsto nel 2029. La missione, denominata “Psyche”, ha l’obiettivo di studiare la composizione, la topografia, la gravità e il magnetismo dell’asteroide. (16) Psyche sarà in opposizione il 5 di agosto, momento in cui raggiungerà la magnitudine di 9.7. Il suo moto sarà di 0,54 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto risulti puntiforme nelle  nostre immagini, potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere  una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (16) Psyche trasformarsi in una bella striscia luminosa di 22 secondi d’arco.

(7) Iris

Asteroide di fascia principale, il quarto in ordine di luminosità, che compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.350 giorni (3.70 anni) ad una distanza compresa tra le 1.84 e le 2.94 unità astronomiche (rispettivamente, 275.260.082 Km al perielio e 439.817.740 Km all’afelio). Deve il suo nome al personaggio mitologico Iride, figlia di Taumante e di Elettra, personificazione dell’arcobaleno e messaggera degli dei. Scoperto dall’astronomo John Russell Hind il 13 Agosto 1847, questo imponente asteroide di circa 200 Km di diametro ha un’albedo relativamente alta e si ritiene che sia composto principalmente da silicati di ferro e magnesio, con una possibile presenza di metalli (Tipo S). L’alta riflettività della sua superficie lo rende il quarto oggetto più luminoso nella fascia degli asteroidi dopo Vesta, Cerere e Pallade, e nelle opposizioni vicino al perielio, Iris può raggiungere una magnitudine di 6.7, brillando quanto Cerere nei suoi momenti di massima luminosità. (7) Iris sarà in opposizione il 6 Agosto, momento nel quale raggiungerà magnitudine 8.3. Il suo moto sarà di 0,66 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle  nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere  una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (7) Iris trasformarsi in una bella striscia luminosa di 26 secondi d’arco.

(737) Arequipa

Asteroide di fascia principale che compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.520 giorni (4.16 anni) ad una distanza compresa tra le 1.96 e le 3.22 unità astronomiche (rispettivamente, 293.211.827 Km al perielio e 481.705.144 Km all’afelio). Deve il suo nome in onore della città peruviana di Arequipa, sede dell’Osservatorio Boyden di Harvard fino al 1927. La sua superficie è composta principalmente da silicati e metalli (Tipo S), simile a quella di molti altri asteroidi della fascia principale. Scoperto dall’astronomo americano Joel Hastings Metcalf il 7 dicembre 1912, questo grande asteroide di circa 47 km sarà in opposizione il 7 di Agosto, e in questo frangente raggiungerà la magnitudine 11. Il suo moto angolare sarà modesto, 0,59 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle  nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere  una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (737) Arequipa trasformarsi in una bella striscia luminosa di 24 secondi d’arco.

(44) Nysa

Asteroide di fascia principale che compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.380 giorni (3.78 anni) ad una distanza compresa tra le 2.06 e le 2.78 unità astronomiche (rispettivamente, 308.171.614 Km al perielio e 415.882.081 Km all’afelio).

Deve il suo nome alla mitica montagna di Nysa alle cui Ninfe fu affidato il compito di allevare il piccolo Dioniso. Scoperto dall’astronomo Hermann Goldschmidt il 27 Maggio 1857, questo grande asteoride classificato di tipo E (la sua superficie mostra la presenza di enstatite) é il membro principale della famiglia Nysa ed è stato oggetto di studio da parte della missione Hayabusa nel 2003 e della missione Dawn nel 2018. (44) Nysa sarà in opposizione il 27 Agosto, momento nel quale raggiungerà la magnitudine 10.1. Il suo moto sarà di 0,63 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle  nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere  una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (44) Nysa trasformarsi in una bella striscia luminosa di 25 secondi d’arco.

Il percorso seguito dagli asteroidi (16) Psyche, (7) Iris, (737) Arequipa e (44) Nysa nel mese di Agosto. Crediti inthesky.org

Mondi in miniatura – Asteroidi del mese di Luglio 2024

(1) Ceres

(1) Ceres è il più grande asteroide della fascia principale tanto che da solo costituisce il 40% della massa stimata dell’intera cintura degli asteroidi. Compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.680 giorni (4.60 anni) ad una distanza compresa tra le 2.55 e le 2.99 unità astronomiche (rispettivamente, 381.474.570 Km al perielio e 447.297.633 Km all’afelio). La sua superficie è composta principalmente da silicati con la presenza di minerali carbonati e argille e di significative quantità di ghiaccio d’acqua, specialmente nelle regioni più ombreggiate e nei crateri profondi. Una delle scoperte più sorprendenti della missione Dawn è stata la presenza di depositi di sali, in particolare solfati di sodio, come l’hexahidrite, e cloruri. Questi sali sono particolarmente visibili nelle macchie luminose del cratere Occator, che sono interpretate come depositi di materiale salino lasciato dall’evaporazione di acqua salmastra che si è sublimata o evaporata. La missione Dawn ha inoltre rilevato la presenza di materiali organici, molecole a base di carbonio, i costituenti fondamentali della vita sulla Terra. Ceres ha un un diametro medio di 939 km ed una ha una superficie tormentata e fortemente craterizzata dove il più grande cratere è costituito dal bacino di Kerwan, che si estende in larghezza per oltre 280 km. La regione polare nord presenta un numero maggiore di crateri rispetto alla regione equatoriale e si conoscono almeno tre grandi bacini poco profondi che si pensa siano i resti di antichi crateri da impatto, dei quali il più esteso, la Vendimia Planitia, con i suoi 800 km di diametro, rappresenta la più grande struttura geografica ad oggi conosciuta. (1) Ceres sarà in opposizione il 5 di Luglio, di certo l’ateroide le mese più interessante In questo frangente raggiungerà la  magnitudine di 7.3, il suo moto sarà di 0,58 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle  nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere  una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (1) Ceres trasformarsi in una bella striscia luminosa di 23 secondi d’arco.

Asteroidi del mese – Il percorso di (68) Leto in Giugno. Crediti: in-the-sky.org.

(40) Harmonia

(40) Harmonia è un asteroide di fascia principale che compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.250 giorni (3.42 anni) ad una distanza compresa tra le 2.16 e le 2.37 unità astronomiche (rispettivamente, 323.131.401 Km al perielio e 354.546.954 Km all’afelio). E’ stato scoperto dall’astronomo e pittore Hermann Mayer Salomon Goldschmidt il 31 Marzo 1856 e deve il suo nome a Armonia figlia di Ares e Afrodite, Dea della concordia e personificazione  dell’ordine morale e sociale. Questo grande asteroide ha un diametro di circa 107 Km ed una superficie composta in prevalenza da silicati e metalli (Tipo S). (40) Harmonia sarà in opposizione il 20 Luglio, momento nel quale raggiungerà la massima luminosità brillando di magnitudine di 8.9. Il suo moto sarà di 0,66 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle  nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere  una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (40) Harmonia trasformarsi in una bella striscia luminosa di 26 secondi d’arco.

Mondi in miniatura – Asteroidi del mese di Giugno 2024

(68) Leto

(68) Leto è un asteroide di fascia principale che compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.700 giorni (4.65 anni) ad una distanza compresa tra le 2.27 e le 3.30 unità astronomiche (rispettivamente, 339.587.165 Km al perielio e 493.672.971 Km all’afelio). E’ stato scoperto il 29 Aprile 1861 dall’astronomo tedesco Karl Theodor Robert Luther. Deve il suo nome a Leto, madre di Apollo e di Artemide. Questo grande asteroide ha un diametro di circa 122 Km con una superficie che riflette relativamente bene la luce solare, indicando una composizione di silicati e metalli (Tipo S). (68) Leto sarà in opposizione il 19 Giugno, momento nel quale raggiungerà la massima luminosità brillando di magnitudine di 10.3. Il suo moto sarà di 0,58 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle  nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere  una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (68) Leto trasformarsi in una bella striscia luminosa di 23 secondi d’arco.

Asteroidi del mese
Asteroidi del mese – Il percorso di (68) Leto in Giugno. Crediti: in-the-sky.org.

(42) Isis

(42) Isis è un asteroide di fascia principale che compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.390 giorni (3.81 anni) ad una distanza compresa tra le 1.90 e le 2.99 unità astronomiche (rispettivamente, 284.235.954 Km al perielio e 447.297.633 Km all’afelio). Scoperto dall’astronomo inglese Norman Robert Pogson il 23 maggio 1856 presso l’Osservatorio Radcliffe a Oxford, prende il nome dalla dea egizia Iside, ma anche dalla figlia di Pogson, Elizabeth Isis Pogson. Questo grande asteroide di circa 100 Km di diametro ha una composizione superficiale di silicati e metalli (Tipo S) ed il suo spettro rivela una forte presenza del minerale olivina, una rarità nella fascia degli asteroidi. (42) Isis sarà in opposizione il 27, momento nel quale raggiungerà la massima luminosità brillando di magnitudine di 9.4. Il suo moto sarà di 0,67 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle  nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere  una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (42) Isis trasformarsi in una bella striscia luminosa di quasi 27 secondi d’arco.

(471) Papagena

(471) Papagena è un asteroide di fascia principale che compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.790 giorni (4.90 anni) ad una distanza compresa tra le 2.23 e le 3.55 unità astronomiche (rispettivamente, 333.603.252 Km al perielio e 531.072.441 Km all’afelio). E’ stato così chiamato in onore di Papagena, un personaggio dell’opera “Il flauto magico” di Mozart. La sua superficie è composta prevalentemente di rocce silicatiche e metalli (Tipo S) il che lo rende simile a molti altri corpi della fascia principale. Scoperto da  Max Wolf il 7 di Giugno del 1901, questo grande asteroide di circa 149 Km di diametro sarà in opposizione il 30, momento nel quale raggiungerà la massima luminosità brillando di magnitudine di 10.6. Il suo moto sarà di 0,59 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle  nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere  una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (471) Papagena trasformarsi in una bella striscia luminosa di quasi 24 secondi d’arco.

asteroidi del mese
Asteroidi del mese – Il percorso di (42) Isis e (471) Papagena in Giugno. Crediti: in-the-sky.org.


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AT2024tvd: Il Primo TDE Off-Nuclear Scoperto da Indagini Ottiche

Crediti: Zwicky Transient Facility (ZTF)

Un team internazionale di astronomi ha recentemente annunciato la scoperta di AT2024tvd, il primo evento di distruzione mareale (Tidal Disruption Event, TDE) off-nuclear rilevato grazie a survey ottiche di ampio campo. L’evento è stato inizialmente identificato dalla Zwicky Transient Facility (ZTF) presso il Palomar Observatory e successivamente confermato tramite osservazioni multi-banda, tra cui i telescopi spaziali Hubble Space Telescope (HST), Chandra X-ray Observatory, e il radiotelescopio Very Large Array (VLA).

Un TDE Lontano dal Nucleo Galattico

AT2024tvd è stato rilevato per la prima volta il 25 agosto 2024 con una magnitudine gZTF = 19.68 ± 0.23, nell’ambito del programma ad alta cadenza della ZTF. Ma ciò che ha destato l’interesse della comunità scientifica è stata la sua posizione: l’evento si trova a 0.914 ± 0.010 arcosecondi dal centro del bulge galattico della sua galassia ospite, una distanza proiettata di circa 0.808 ± 0.009 kiloparsec.

Questo offset è stato confermato con precisione dal Hubble Space Telescope, mentre osservazioni radio del VLA hanno identificato un’emissione radio coincidente con la posizione del TDE, consolidando l’interpretazione di un evento realmente fuori dal centro galattico.

Caratteristiche Spettrali e Osservazioni Multi-Banda

L’evento è stato successivamente classificato come TDE da S. Faris et al. (2024), grazie alla presenza di ampie linee di idrogeno e possibili tracce di elio nello spettro, oltre a una persistente emissione ultravioletta. Tuttavia, un’analisi più approfondita ha messo in dubbio la presenza chiara delle linee di elio.

Lo spettro UV ottenuto con HST presenta forti somiglianze con quello del noto TDE ASASSN-14li, con linee larghe di Lyα, N V, Si IV, C IV, He II e N III], che confermano l’origine del fenomeno.

In banda X, le osservazioni con Swift/XRT e Chandra hanno mostrato un’emissione soffice con temperature del disco comprese tra 0.1 e 0.2 keV e luminosità X intorno a 10⁴³ erg/s, tipiche dei TDE. È stata osservata anche una significativa variabilità su scale temporali di ore, simile a quella di TDE noti come AT2022lri.

Al tempo t = 105 giorni dalla scoperta, l’emissione radio misurata dal VLA a 10 GHz ha mostrato una luminosità di L₁₀GHz ≈ 3 × 10³⁸ erg/s, compatibile con TDE radio-brillanti non associati a getti, come ASASSN-15oi e AT2019dsg.

La Galassia Ospite e la Massa dei Buchi Neri Coinvolti

La galassia ospite è una galassia lenticolare di massa elevata, con una massa stellare stimata in log(M_gal/M_☉) = 10.93 ± 0.02 e una dispersione stellare σ = 192.74 ± 5.11 km/s, misurata dallo Sloan Digital Sky Survey (SDSS).

Applicando la relazione M-σ di J. E. Greene et al. (2020), la massa del buco nero centrale è stata stimata in log(M_BH/M_☉) ≈ 8.37 ± 0.08 (stat) ± 0.43 (sys), ovvero circa 2 × 10⁸ M_☉. Tuttavia, il buco nero associato a AT2024tvd è molto meno massivo. L’analisi dei dati con il modello MOSFiT suggerisce una massa compresa tra 10⁵ e 10⁷ M_☉, con un valore più probabile attorno a 10⁶ M_☉.

Origine dell’Evento: Merger Minori o Interazioni Gravitazionali?

Due sono le ipotesi principali per spiegare la posizione off-nuclear di AT2024tvd:

  1. Residuo di un Merger Minore: Il buco nero associato a AT2024tvd potrebbe provenire dal centro di una galassia nana cannibalizzata. In questo scenario, il buco nero secondario non è ancora spiralizzato verso il centro a causa di un lungo tempo scala associato alla frizione dinamica. Simulazioni cosmologiche (Ricarte et al., 2021b) suggeriscono che nei grandi aloni galattici (con masse fino a 10¹³ M_☉) si possono trovare decine di questi buchi neri vaganti.

  2. Slingshot Gravitazionale da un Sistema Triplo: In questo scenario, il buco nero è stato espulso da interazioni dinamiche tra tre MBH, ricevendo una “spinta” gravitazionale che lo ha collocato nella posizione osservata.

La terza ipotesi, quella di un recoil gravitazionale successivo alla fusione di due MBH, è stata esclusa per l’evidenza della presenza di un MBH ancora attivo nel nucleo galattico.

AT2024tvd: Un Caso Unico tra i TDE Off-Nuclear

Finora, solo due altri eventi TDE off-nuclear sono stati documentati: 3XMM J2150 e EP240222a, entrambi scoperti nei raggi X. A differenza di questi casi, AT2024tvd è stato identificato grazie a survey ottiche e si trova all’interno del bulge della galassia, non nei suoi esterni.

La posizione ravvicinata al centro galattico e la massa stimata del buco nero coinvolto suggeriscono che questo evento rappresenti una popolazione distinta di buchi neri erranti, meno massicci e localizzati più vicino ai centri delle galassie ospiti.

Prospettive Future

La scoperta di AT2024tvd apre nuovi orizzonti nello studio dei buchi neri erranti e nella comprensione delle dinamiche di fusione galattica. Con l’arrivo dell’Osservatorio Vera C. Rubin e la sua Legacy Survey of Space and Time (LSST), dotata di una precisione astrometrica di 10 milliarcosecondi e una profondità fino a r ≈ 24.5 mag, si prevede la scoperta di molti nuovi TDE off-nuclear.

Questi eventi forniranno importanti vincoli sui tassi di fusione dei buchi neri supermassicci e sull’efficienza dei meccanismi di frizione dinamica, contribuendo in modo significativo alla nostra comprensione dell’evoluzione delle galassie e delle loro componenti più enigmatiche.

Fonte: ArXiv

Roman Space Telescope alla Scoperta dei Pianeti Erranti

Roman Space Telescope. Crediti: NASA

I pianeti liberi, o free-floating planets (FFPs), rappresentano una delle popolazioni più misteriose di esopianeti nella nostra Galassia. Questi mondi vagano nello spazio interstellare senza essere legati a una stella, rendendoli difficili da osservare. Tuttavia, grazie alla prossima missione della NASA, il Nancy Grace Roman Space Telescope, questa situazione è destinata a cambiare.

Un Censimento dei Mondi Perduti

Secondo lo studio di Scott Perkins, William DeRocco e colleghi, il telescopio Roman, con il suo programma Galactic Bulge Time Domain Survey (GBTDS), potrebbe rilevare centinaia, se non migliaia, di questi oggetti durante i suoi cinque anni di missione. Roman sfrutterà la tecnica del microlensing gravitazionale, l’unica in grado di individuare pianeti che non emettono luce propria.

Le simulazioni indicano che Roman sarà in grado di migliorare le attuali stime sulla quantità di FFP di sei ordini di grandezza per masse inferiori a quella terrestre. Questo significa che i dati raccolti permetteranno per la prima volta di ricostruire la distribuzione delle masse di questi oggetti, fornendo preziose informazioni sulla loro origine.

Come Nascono i Pianeti Erranti?

Le teorie principali suggeriscono due meccanismi di formazione:

  • Collasso diretto delle nubi di gas, tipico degli oggetti più massicci (oltre 300 masse terrestri).
  • Espulsione dinamica dai sistemi planetari durante le prime fasi di formazione, un fenomeno che riguarda in particolare i pianeti con massa inferiore a 10 masse terrestri.

Misurare la distribuzione delle masse degli FFP aiuterà a capire quale di questi processi sia prevalente e in quale fase della storia della Galassia si siano verificati.

I Numeri del Censimento Roman

Lo studio, basandosi su diverse ipotesi di distribuzione delle masse, ha stimato il numero di FFP che Roman potrà rilevare:

Massa del pianeta (in masse terrestri) N. eventi attesi (MOA) N. eventi attesi (Coleman & DeRocco) N. eventi attesi (Distribuzione uniforme)
< 0.1 266 1 2
1 1537 6 13
10 1497 22 58
100 526 136 214
1000 87 10 2799
Totale 4184 272 6197

Le differenze fra i modelli evidenziano quanto sia ancora incerta la nostra comprensione di questa popolazione. Il modello MOA prevede una netta predominanza di FFP di massa terrestre, mentre i modelli teorici di Coleman & DeRocco (2025) suggeriscono un picco di eventi attorno a 8 masse terrestri, legato ai meccanismi di migrazione planetaria nei sistemi binari.

Una Sfida Osservativa Senza Precedenti

La tecnica del microlensing pone notevoli difficoltà: i segnali durano poche ore e spesso mancano di informazioni sufficienti per stimare direttamente la massa dei pianeti. Tuttavia, come spiegano gli autori, “l’analisi statistica su vasta scala permetterà comunque di distinguere tra diverse ipotesi sulla distribuzione delle masse con elevata significatività statistica”.

Il team ha sviluppato un innovativo metodo di analisi basato su simulazioni avanzate e tecniche bayesiane, sfruttando anche le risorse del centro di calcolo Advanced Research Computing at Hopkins (ARCH).

Il Futuro della Ricerca sui Mondi Vaganti

Il telescopio Roman rappresenta una vera svolta: per la prima volta sarà possibile studiare i pianeti erranti in modo sistematico e comprendere il loro ruolo nell’evoluzione dei sistemi planetari. Come sottolinea il team, “questi dati permetteranno di aprire una nuova finestra sull’origine di questi mondi solitari e sui processi che governano la formazione planetaria nell’intera Galassia”.

Fonte: ArXiv

Quanto è Spessa la Crosta di Venere?

Un recente studio guidato da Alexandra Plesa e colleghi, pubblicato nel 2024, ha finalmente posto nuovi vincoli sulla composizione e lo spessore massimo della crosta di Venere, uno dei pianeti più enigmatici del Sistema Solare. Il lavoro è frutto di una collaborazione tra il German Aerospace Center (DLR), l’Università di Münster, e l’ETH di Zurigo.

Un Pianeta di Fuoco e Mistero

Venere è avvolto da una densa atmosfera (circa 92 bar) che mantiene la sua superficie a temperature estreme, superiori ai 460 °C. Le sue vaste pianure vulcaniche, datate a meno di un miliardo di anni, e i segnali di attività vulcanica in corso, sollevano interrogativi cruciali sulla struttura della sua crosta e sulle dinamiche interne.

Quanto può Crescere la Crosta di Venere?

Utilizzando modelli petrologici basati su transizioni metamorfiche e condizioni di fusione parziale, il team ha stimato che lo spessore massimo della crosta di Venere è fortemente legato al gradiente termico:

  • Con un basso gradiente termico di 5 °C/km (tipico di un regime tettonico stagnante), la crosta può raggiungere al massimo 40 km di spessore prima che l’elevata densità inneschi un processo di delaminazione, ovvero il distacco e l’affondamento degli strati più profondi nel mantello.
  • Con un alto gradiente termico di 25 °C/km (associato a un regime tettonico più mobile), lo spessore massimo scende a circa 20 km a causa dell’avvio della fusione parziale che favorisce l’attività vulcanica.
  • Il valore massimo assoluto di spessore per una crosta basaltica si raggiunge con un gradiente intermedio di 10 °C/km, arrivando fino a 65 km.

Secondo gli autori, “la crosta basaltica venusiana non può superare uno spessore compreso tra 20 e 65 km senza innescare processi di delaminazione o fusione, con conseguente riciclo crostale o eruzioni vulcaniche”.

Un Pianeta in Equilibrio Instabile

Le simulazioni mostrano che le variazioni nella composizione della crosta e nella quantità di volatili (acqua e CO₂) giocano un ruolo marginale, poiché l’attuale litosfera venusiana è considerata prevalentemente secca. Le transizioni mineralogiche verso assemblaggi più densi (dominati da granato e pirosseni) causano un rapido aumento della densità con la profondità, limitando la possibilità di sostenere croste più spesse.

Il team ha anche confrontato le proprie stime con i dati di missioni storiche come Venera e Vega, che indicano la presenza di basalti tholeiitici e alcalini sulla superficie. Tuttavia, non sono state rilevate prove definitive di rocce più leggere e ricche di silice (simili ai graniti terrestri), che potrebbero giustificare spessori maggiori in alcune aree.

Cosa Significa per la Tectonica di Venere?

Questo studio fornisce forti indizi sul fatto che Venere non sia mai stato dominato da una tettonica a placche simile a quella terrestre, ma piuttosto da cicli intermittenti di attività geologica intensificata, con lunghi periodi di quiete. I risultati sono compatibili con un regime definito come episodic-lid, dove la litosfera passa ciclicamente da fasi stabili a eventi catastrofici di riciclo crostale.

Prospettive Future

Le missioni di prossima generazione, come NASA VERITAS e ESA EnVision, forniranno nuovi dati geofisici e spettroscopici per testare le previsioni di questo modello. Come sottolineano gli autori, “comprendere la storia termica e geodinamica di Venere è essenziale per svelare le condizioni che distinguono un pianeta vulcanicamente attivo da uno potenzialmente abitabile come la Terra”.

Fonte: Nature

58º Congresso Nazionale dell’Unione Astrofili Italiani

Nei giorni 9 – 10 – 11 maggio, sotto il cielo stellato partenopeo, gli appassionati di astronomia si riuniranno come costellazioni in un firmamento di sapere e passione per il 58º Congresso Nazionale dell’Unione Astrofili Italiani (UAI).

Questo evento di rara bellezza è un faro splendente per la comunità astronomica, un’occasione per abbracciarsi, condividere esperienze celestiali, e intrecciare nuove idee come fili d’oro nel tessuto dell’universo. Il congresso avrà luogo presso l’Osservatorio Astronomico di Capodimonte a Napoli, un tempio di scienza e meraviglia sotto il manto azzurro del cielo partenopeo.

La scelta di questa cornice prestigiosa è un tributo alla grandezza dell’evento e offre l’opportunità di attingere alle fonti di sapere di una delle istituzioni scientifiche più illustri d’Italia. L’evento si arricchirà della collaborazione dell’Unione Astrofili Napoletani (UAN), una delle gemme tra le delegazioni dell’UAI. Il loro contributo sarà il vento sotto le ali di questo incontro, grazie alla loro esperienza e alla loro intima conoscenza del territorio. La collaborazione tra l’Unione Astrofili Napoletani e l’Unione Astrofili Italiani è un esempio di come le organizzazioni locali e nazionali possano lavorare insieme per raggiungere obiettivi comuni, promuovendo la cultura scientifica e l’amore per l’astronomia in tutta Italia.

Il Congresso Nazionale dell’UAI si conferma, anche in questa edizione, come un appuntamento irrinunciabile per chi sogna di contribuire all’evoluzione dell’astronomia in Italia. Non mancare a questo viaggio tra le stelle!

In bocca al lupo a tutti!

ShaRA@ Team Party #2

A due anni dal primo ritrovo fisico del Team ShaRA, la storia si ripete! Il prolifico ed attivissimo gruppo di astrofotografi remoti capitanati dall’astrofilo Alessandro Ravagnin, si ritroverà ai piedi del grande telescopio nazionale Galileo, dell’Osservatorio Astrofisico di Asiago, per il secondo meeting in presenza. Sarà un’occasione per incontrarsi dal vivo e ripercorrere tutti assieme la strada percorsa finora, confrontandosi su temi di interesse comune e parlando coi professionisti dell’astronomia.
Il programma prevede una visita guidata all’Osservatorio, un workshop dove interverranno Luca Fornaciari, Molisella Lattanzi e Stefano Ciroi (Professore Associato presso il Dipartimento di Fisica e Astronomia “Galileo Galilei” dell’Università di Padova), la cena a base di prodotti locali dell’Altopiano e quindi una chiusura in bellezza sotto la cupola del Galileo per una sessione di riprese spettroscopiche.
 
Sarà una bellissima occasione per darsi nuovamente la mano nonché conoscere i nuovi entrati nel gruppo!

Kepler-10: un sistema planetario antico che potrebbe ospitare un mondo d’acqua

Autori principali: A. S. Bonomo, L. Malavolta, V. Nascimbeni, R. F. Díaz, M. Damasso e collaboratori.
Istituti coinvolti: INAF – Osservatorio Astrofisico di Torino, Telescopio Nazionale Galileo.


Situato a circa 186 parsec di distanza nella costellazione del Drago, il sistema planetario Kepler-10 orbita attorno a una stella vecchia di oltre 10 miliardi di anni. Grazie a un’osservazione paziente durata 11 anni e condotta principalmente con lo spettrografo HARPS-N montato sul Telescopio Nazionale Galileo, un team internazionale ha potuto ottenere nuove misure di massa e densità per i pianeti noti del sistema, e ha identificato un nuovo candidato non in transito, Kepler-10d. I risultati arricchiscono la nostra comprensione della formazione ed evoluzione dei piccoli pianeti intorno alle stelle di tipo solare.

Un pianeta roccioso e un potenziale mondo d’acqua

Kepler-10b, il pianeta più interno, completa un’orbita in meno di un giorno terrestre. Con un raggio di 1,47 raggi terrestri e una massa di 3,24 ± 0,32 masse terrestri, si conferma come una super-Terra rocciosa, simile per densità alla Terra, ma priva di un grande nucleo ferroso. Il suo ambiente è estremamente ostile: l’equilibrio termico di superficie supera i 2000 K, rendendo improbabile la presenza di atmosfera.

Kepler-10c, invece, ha attirato particolare attenzione: con un raggio di 2,35 raggi terrestri e una massa di 11,29 ± 1,24 masse terrestri, presenta una densità di 4,75 g/cm³. Questa combinazione di massa e volume non si adatta a un pianeta roccioso puro né a un gigante gassoso, ma suggerisce la presenza di una quantità significativa di acqua o ghiaccio. Kepler-10c potrebbe quindi rappresentare uno dei rari “mondi d’acqua” identificati fino a oggi, con una percentuale d’acqua stimata tra il 40% e il 70% della sua massa.

La posizione orbitale di Kepler-10c, ben al di fuori dalla “valle dei raggi” che separa i pianeti rocciosi da quelli dominati da volatili, rafforza l’ipotesi di una formazione oltre la linea del ghiaccio, con successiva migrazione verso l’interno del sistema.

Un nuovo pianeta: Kepler-10d

Oltre ai due pianeti già noti, i ricercatori hanno individuato prove convincenti della presenza di un terzo corpo, Kepler-10d, grazie a un’analisi combinata delle variazioni nei tempi di transito di Kepler-10c (Transit Timing Variations, TTVs) e delle velocità radiali. Questo nuovo pianeta avrebbe una massa minima di 12,00 ± 2,15 masse terrestri e un periodo orbitale di circa 151 giorni.

Anche se Kepler-10d non è stato osservato in transito, la sua massa suggerisce che potrebbe essere simile a Kepler-10c, forse anch’esso ricco d’acqua o dotato di un’atmosfera più densa. L’assenza di un transito è compatibile con una piccola inclinazione orbitale differente rispetto a quella degli altri pianeti, sufficiente a evitare l’allineamento con il nostro punto di osservazione.

Un sistema senza giganti

Un altro aspetto fondamentale dello studio è l’assenza di pianeti giganti nel sistema. L’analisi della sensibilità delle osservazioni ha escluso la presenza di pianeti simili a Giove entro 10 unità astronomiche dalla stella madre. Questa caratteristica è significativa: l’assenza di giganti gassosi suggerisce che i pianeti più piccoli di Kepler-10 abbiano potuto migrare verso le loro orbite attuali senza essere disturbati da masse gravitazionali maggiori, un comportamento coerente con diversi modelli di formazione planetaria.

Un risultato di alta precisione

Gli autori hanno utilizzato diverse tecniche di analisi statistica avanzata, tra cui:

  •  Analisi delle velocità radiali con diversi modelli di rumore;
  • Modellizzazione con algoritmi MCMC e Nested Sampling;
  • Analisi combinata delle TTVs e delle RVs con il codice dinamico TRADES.

Queste metodologie hanno permesso di raggiungere una precisione del 9-10% nella determinazione delle masse planetarie, un risultato raro per pianeti di così piccole dimensioni e periodi orbitali relativamente lunghi.

Implicazioni future

Questo studio non solo migliora la nostra comprensione di Kepler-10, ma dimostra anche l’importanza delle campagne di osservazione a lungo termine per caratterizzare mondi di dimensioni terrestri attorno a stelle simili al Sole. In particolare, sistemi come Kepler-10 rappresentano obiettivi ideali per missioni future come PLATO dell’ESA, che si concentrerà sulla ricerca di pianeti abitabili intorno a stelle solari.

La presenza di un possibile mondo d’acqua nel sistema Kepler-10, a basse temperature rispetto a molti sub-Netuniani noti, fornisce un importante laboratorio naturale per lo studio della diversità planetaria e dei processi di formazione planetaria in ambienti relativamente tranquilli e stabili.

Fonte: arxiv.org

Juno svela cicloni polari ed eruzioni vulcaniche

Questa immagine composita, ottenuta dai dati raccolti nel 2017 dallo strumento JIRAM a bordo della sonda Juno della NASA, mostra il ciclone centrale situato al polo nord di Giove, circondato da otto cicloni più piccoli. I dati della missione indicano che queste tempeste sono strutture persistenti. Crediti: Dati immagine: NASA/JPL-Caltech/SwRI/MSSS – Elaborazione immagine: Jackie Branc (CC BY)

Nuovi dati raccolti dalla missione Juno della NASA offrono uno sguardo più approfondito sui venti impetuosi e sui cicloni che imperversano nelle regioni settentrionali di Giove, oltre a rivelare dettagli inediti sull’attività vulcanica della sua luna infuocata, Io.

Le scoperte sono state presentate durante la conferenza stampa a Vienna, il 29 aprile, in occasione dell’Assemblea Generale dell’Unione Europea di Geoscienze.

Tutto su Giove è estremo. Il pianeta ospita cicloni polari giganti più grandi dell’Australia, correnti a getto violente, il corpo più vulcanico del nostro sistema solare, le aurore più potenti e le cinture di radiazioni più intense,” ha dichiarato Scott Bolton, principal investigator di Juno presso il Southwest Research Institute a San Antonio. “Man mano che l’orbita di Juno ci porta in nuove regioni del complesso sistema di Giove, otteniamo una visione sempre più ravvicinata dell’immensa energia che questo gigante gassoso sprigiona.

Il “radiatore” lunare

Sebbene il radiometro a microonde (MWR) di Juno sia stato progettato per esplorare sotto le nuvole di Giove, il team ha utilizzato anche questo strumento per osservare Io, integrando i dati con quelli del Jovian Infrared Auroral Mapper (JIRAM), fornito dall’Agenzia Spaziale Italiana.

Il team scientifico di Juno ama combinare set di dati molto diversi tra loro e vedere cosa possiamo scoprire,” ha spiegato Shannon Brown, scienziata di Juno al Jet Propulsion Laboratory della NASA in California. “Quando abbiamo combinato i dati MWR con le immagini infrarosse di JIRAM, siamo rimasti sorpresi da ciò che abbiamo visto: prove di magma ancora caldo, non ancora solidificato, sotto la crosta raffreddata di Io. A ogni latitudine e longitudine, c’erano flussi di lava in fase di raffreddamento.

I dati indicano che circa il 10% della superficie di Io è caratterizzato da questi residui di lava in lento raffreddamento sotto la superficie, offrendo nuovi spunti su come la luna rinnovi rapidamente la sua superficie e su come il calore si muova dal suo interno profondo verso l’esterno.

I vulcani, i campi di lava e i flussi sotterranei di Io funzionano come un radiatore d’auto,” ha aggiunto Brown, “trasportando efficacemente il calore dall’interno alla superficie e raffreddandosi poi nello spazio.

Inoltre, analizzando solo i dati JIRAM, il team ha stabilito che la più energetica eruzione vulcanica della storia di Io, osservata durante il sorvolo del 27 dicembre 2024, risultava ancora attiva fino al 2 marzo 2025. Si prevede che l’attività continui, con ulteriori osservazioni programmate per il 6 maggio, quando Juno sorvolerà Io a una distanza di circa 89.000 chilometri.

Questa immagine composita, ottenuta dai dati raccolti nel 2017 dallo strumento JIRAM a bordo della sonda Juno della NASA, mostra il ciclone centrale al polo nord di Giove e gli otto cicloni che lo circondano. I dati della missione indicano che queste tempeste sono strutture persistenti.
Crediti: NASA/JPL-Caltech/SwRI/ASI/INAF/JIRAM

Temperature polari estreme

Durante il suo 53° orbitale (18 febbraio 2023), Juno ha avviato esperimenti di occultazione radio per analizzare la struttura termica dell’atmosfera di Giove. Utilizzando segnali radio trasmessi dalla Terra verso la sonda e viceversa, attraversando l’atmosfera gioviana, gli scienziati riescono a misurare dettagliatamente la temperatura e la densità.

Finora, Juno ha completato 26 rilevazioni di occultazione radio, rivelando per la prima volta che la calotta stratosferica del polo nord di Giove è circa 11°C più fredda rispetto alle aree circostanti, ed è circondata da venti che superano i 160 km/h.

Cicloni polari in movimento

Anni di osservazioni grazie alla fotocamera visibile JunoCam e a JIRAM hanno permesso agli scienziati di seguire i movimenti a lungo termine del gigantesco ciclone polare nord e degli otto cicloni che lo circondano. A differenza degli uragani terrestri, confinati a latitudini più basse, i cicloni di Giove restano intrappolati nelle regioni polari.

Monitorando i loro movimenti, i ricercatori hanno osservato che ogni ciclone tende a spostarsi lentamente verso il polo attraverso un processo chiamato “beta drift”, che coinvolge l’interazione tra la forza di Coriolis e il pattern circolare dei venti.

Queste forze concorrenti fanno sì che i cicloni rimbalzino l’uno contro l’altro in un modo che ricorda le molle in un sistema meccanico,” ha spiegato Yohai Kaspi, co-investigatore della missione presso il Weizmann Institute of Science in Israele. “Questa interazione non solo stabilizza l’intera configurazione, ma causa anche oscillazioni cicliche attorno alle loro posizioni centrali, mentre lentamente derivano in senso orario attorno al polo.

Il nuovo modello atmosferico sviluppato aiuterà non solo a comprendere meglio i cicloni di Giove, ma potenzialmente anche quelli su altri pianeti, inclusa la Terra.

Una delle grandi qualità di Juno è che la sua orbita è sempre in evoluzione, permettendoci ogni volta un nuovo punto di vista,” ha concluso Bolton. “Nella missione estesa, significa che stiamo esplorando regioni mai raggiunte da altre sonde, attraversando anche le cinture di radiazione più intense del sistema solare. È un po’ spaventoso, ma abbiamo costruito Juno come un carro armato e impariamo di più su questo ambiente estremo a ogni passaggio.

L’articolo completo è pubblicato su Coelum 254


Maggiori informazioni su Juno:

Il Cielo del Mese

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SUPERNOVAE aggiornamenti del mese

a cura di Fabio Briganti e Riccardo Mancini

RUBRICA SUPERNOVAE COELUM   N. 132

Nella rubrica dello scorso mese avevamo fatto appena in tempo ad inserire la notizia della nuova scoperta realizzata dal grande astrofilo giapponese Koichi Itagaki, preannunciando che il nuovo transiente aveva tutte le carte in regola per diventare una supernova molto luminosa. Per nostra fortuna le previsioni non sono state smentite e la SN2025fvw ha raggiunto la notevole mag.+13,5 diventando attualmente la supernova più luminosa del 2025. È stata scoperta nella notte del 26 marzo nella galassia a spirale barrata NGC 5957 posta nella costellazione del Serpente a circa 100 milioni di anni luce di distanza. Al momento della scoperta il nuovo transiente mostrava una luminosità pari alla mag.+17,4 ed il grande Itagaki è stato bravo ad inserire velocemente la scoperta nel TNS battendo sul tempo i due programmi professionali di ricerca supernovae denominati ATLAS e Pan-STARRS che avevano entrambi immortalato il nuovo oggetto circa 7 ore prima del giapponese. Nella notte del 27 marzo, i primi a riprendere lo spettro di conferma sono stati gli astronomi americani del DLT40 con il Southern Astrophysical Research Telescope, un moderno telescopio da 4,1 metri posto sulle Ande cilene a 2700 metri di altitudine sul Cerro Pachon. Si tratta di una supernova di tipo Ia scoperta circa due settimane prima del massimo di luminosità, con i gas iettati dall’esplosione che viaggiano ad una velocità di circa 17.000 km/s. La supernova ha infatti aumentato costantemente la sua luminosità fino a raggiungere il suo massimo alla mag.+13,5 intorno al 12 aprile, per poi ridiscendere lentamente. A fine mese di aprile è comunque sempre molto luminosa intorno alla mag.+15 ed è pertanto un facile oggetto, anche perché posizionato nella parte periferica della galassia ospite NGC 5957. Con questa scoperta l’incredibile giapponese, che continua a stupirci, ottiene il secondo successo del 2025 raggiungendo un totale di 188 scoperte e consolidando la terza posizione nella Top Ten mondiale amatoriale.

La posizione della galassia NGC 5957 nella Costellazione del Serpente.

Immagine della SN2025fvw in NGC5957 realizzata dall’astrofilo spagnolo Carlos Segarra con un telescopio da 200mm F.4 somma di 25 immagini da 240 secondi.

Immagine della SN2025fvw in NGC5957 realizzata dall’astrofilo spagnolo Rafael Ferrando con un telescopio Meade LX200 da 400mm F.7.

Immagine della SN2025fvw in NGC5957 realizzata Rolando Ligustri in remoto dal Cile con un telescopio Dall-Kirkam da 500mm F.6,8 BVR: 180 secondi per canale – L: somma di tre immagini da 180 secondi.

RUBRICA SUPERNOVAE COELUM   N. 131

Non avevamo fatto in tempo ad inserirla nella rubrica dello scorso mese, perché arrivata negli ultimi giorni di febbraio, ma il vecchio leone giapponese Koichi Itagaki ha sferrato la prima zampata del 2025 individuando nella notte del 24 febbraio una nuova supernova nella galassia a spirale NGC3277 posta nella costellazione del Leone Minore a circa 65 milioni di anni luce di distanza. In un primo momento il nuovo oggetto, che mostrava una luminosità pari alla mag.+17,4 non dava la certezza di essere di fronte ad un evento di supernova perché situato ad una distanza veramente elevata dal centro della galassia ospite NGC3277. Questa caratteristica faceva infatti pensare che si trattasse di una Variabile Cataclismica della nostra galassia. Invece nella notte del 25 febbraio dal Haleakala Observatory nelle Isole Hawaii con il Faulkes Telescope North di 2 metri di diametro è stato ripreso lo spettro di conferma che ha classificato il nuovo transiente come una supernova di tipo II, anche se posizionata a grande distanza dalla galassia ospite. Alla nuova supernova è stata perciò assegnata la sigla definitiva SN2025coe. Nella notte del 7 marzo sempre dal Haleakala Observatory nelle Isole Hawaii con il Faulkes Telescope North di 2 metri di diametro è stato ripreso un nuovo spettro e le caratteristiche nel nuovo transiente erano cambiate. Non era più una supernova di tipo II, ma si era evoluta in una supernova di tipo Ib-pec. L’Idrogeno H ben visibile nel primo spettro aveva lasciato spazio all’Elio He, tipico delle supernovae di tipo Ib, mentre la peculiarità era evidenziata dalla presenza del calcio Ca II ionizzato. Vista questa peculiarità, sempre dal Haleakala Observatory, è stato ripreso un terzo spettro nella notte del 18 marzo. La classificazione è stata ulteriormente modificata in una supernova di tipo Ib-Ca-rich. Classificazione molto inusuale che specifica meglio la peculiarità di questa supernova caratterizzata da una forte presenza di calcio Ca II ionizzato. Anche la curva di luce ha mostrato un andamento molto particolare. Nei giorni seguenti la scoperta la luminosità è aumentata fino a sfiorare la mag.+16 intorno al 7 marzo, per poi calare molto rapidamente oltre la mag.+18,5 già dopo il 19 marzo. Possiamo perciò affermare che si è trattato di una supernova molto particolare e singolare, sia per la classificazione, che per l’evoluzione della curva di luce.

Immagine della SN2025coe in NGC3277 realizzata dall’astrofilo tedesco Manfred Mrotzek con un telescopio da 140mm F.5,4 somma di 24 immagini da 180 secondi.

Immagine della SN2025coe in NGC3277 realizzata dall’astrofilo spagnolo Carlo Segarra con un telescopio da 200mm F.4 somma di 30 immagini da 180 secondi.

Ma la notizia che ci riempie di gioia, verificatasi nei primi giorni di marzo, è stata la stupenda doppia scoperta di Novae Extragalattiche messa a segno dal team dell’Osservatorio di Monte Baldo, formato da Flavio Castellani, Vittorio Andreoli e Raffaele Belligoli, che per fortuna in questi ultimi anni ci ha abituati a simili performance. Entrambe le scoperte sono state messe a segno nella stupenda galassia a spirale Messier 81. La prima è stata ottenuta nella notte del 4 marzo con una luminosità pari alla mag.+19,2. Al nuovo debole transiente è stata assegnata la sigla provvisoria AT2025dih. La seconda è stata invece realizzata la notte successiva. Anche questa molto debole con una luminosità pari alla mag.+18,8 e con la sigla provvisoria AT2025dkp. In entrambi i casi sono stati rapidissimi a comunicare la scoperta, battendo sul tempo l’astrofilo cieco Kamil Hornoch, il leader indiscusso a livello mondiale in fatto di Novae Extragalattiche, che però questa volta si è dovuto accontentare di due scoperte indipendenti.

Immagine di scoperta della AT2025dih in M81 realizzata dal team dell’Osservatorio di Monte Baldo con un telescopio Dall-Kirkham da 400mm F.7 somma di 24 immagini da 180 secondi.

Immagine di scoperta della AT2025dkp in M81 realizzata dal team dell’Osservatorio di Monte Baldo con un telescopio Dall-Kirkham da 400mm F.7 somma di 24 immagini da 180 secondi.

E’ giusto spendere alcune parole di elogio per gli amici di Monte Baldo per lo stupendo lavoro che stanno portando avanti da anni. La strumentazione di cui dispongono è di tutto rispetto, con un ottimo telescopio Dall-Kirkham da 40cm F.7 accoppiato ad una CCD KAF Moravian G4-9000. La loro attività di ricerca in ambito ISSP iniziò nel lontano 2012 quando ottennero la loro prima scoperta con la supernova SN2012fm nella galassia UGC3528, a cui seguì un’altra supernova l’anno successivo la SN2013ff nella galassia NGC2748. Le supernovae nel palmares dell’Osservatorio di Monte Baldo sono in realtà tre, ottennero infatti nel 2020 anche la SN2020gpe nella galassia NGC6214. Dal 2016 però il loro campo di ricerca preferito è virato verso le Novae Extragalattiche, concentrando i loro sforzi principalmente sulle tre galassie più vicine M31, M33 e M81. I successi ottenuti, diciotto Novae in M31 e sette Novae in M81, hanno permesso all’Osservatorio di Monte Baldo di diventare una delle realtà amatoriali più importanti a livello mondiale nella campo della ricerca di Novae Extragalattiche, secondi solo al grande Kamil Hornoch e agli incredibili cinesi del programma XOSS. Per fare i complimenti agli amici di Monte Baldo per questi numerosi successi e con la speranza che la strada intrapresa porti ancora a grandi soddisfazioni, pubblichiamo una foto che ritrae tutti i membri del team, che in questi anni hanno contribuito a questi importanti successi: da destra Vittorio Andreoli, Claudio Marangoni, Raffaele Belligoli, Flavio Castellani e Fernando Marziali.

Team dell’Osservatorio di Monte Baldo: da destra Vittorio Andreoli, Claudio Marangoni, Raffaele Belligoli, Flavio Castellani e Fernando Marziali.

Ultima ora: nella notte del 26 marzo Koichi Itagaki ottiene una nuova scoperta nella galassia NGC5957. La supernova dovrebbe diventare molto luminosa. Ne parleremo in maniera più approfondita nella rubrica del prossimo numero.

RUBRICA SUPERNOVAE COELUM   N. 130

L’esperta coppia Mirco Villi e Michele Mazzucato rompe il ghiaccio nel 2025 e mette a segno una doppia scoperta sempre nell’ambito della collaborazione con i professionisti del CRTS Catalina, che utilizza il telescopio Cassegrain di 1,5 metri di diametro dell’osservatorio americano sul Mount Lemmon in Arizona. La prima scoperta è stata ottenuta la notte del 2 febbraio nella galassia a spirale barrata NGC180 posta nella costellazione dei Pesci a circa 230 milioni di anni luce di distanza. Al momento della scoperta il nuovo oggetto appariva molto debole, pari alla mag.+19. Il CRTS Catalina è stato molto rapido ad inserire la scoperta nel TNS battendo sul tempo gli americani di un altro programma professionale di ricerca supernovae denominato ZTF Zwicky Transient Facility, che avevano immortalato due giorni prima questo transiente con una luminosità pari alla mag.+19,7. Da un follow-up del 5 febbraio sempre di ZTF la luminosità era salita intorno alla mag.+18. La posizione della galassia ospite NGC180 in questo periodo dell’anno però è purtroppo molto sfavorevole, essendo visibile bassa sull’orizzonte Ovest subito dopo il tramonto. Per questo motivo non è stato possibile riprendere uno spettro di conferma e pertanto al nuovo transiente è rimasta la sigla provvisoria AT2025arw.

1) Immagine di scoperta della AT2025arw in NGC180 ripresa dal Catalina con il telescopio Cassegrain da 1,5 metri.

La seconda scoperta è invece più interessante e da seguire in maniera più accurata. È stata ottenuta nella notte del 7 febbraio nella galassia a spirale NGC5602 posta nella costellazione del Bootes a circa 120 milioni di anni luce di distanza. Al momento della scoperta il nuovo transiente mostrava una luminosità pari alla mag.+18,9. Nei giorni successivi la scoperta la luminosità è aumentata fino alla mag.+17 ma stranamente troppo debole per una supernova esplosa in una galassia relativamente vicina come NGC5602 (120 milioni a.l.). Una tipo Ia normale infatti avrebbe dovuto raggiungere la mag.+14. L’ottenimento dello spettro ha poi svelato questa stranezza. I primi ad ottenerlo sono stati gli astronomi dell’Osservatorio del Roque de los Muchachos nelle Isole Canarie con il Liverpool Telescope da 2 metri. La SN2025baq è una supernova di tipo Iax 02cx-like. Le supernovae di tipo Iax sono transienti rari e peculiari, che prendono il nome dal prototipo di questo gruppo di oggetti, cioè la SN2002cx. Sono supernovae di solito più deboli e con righe nello spettro molto più strette rispetto ad una normale supernova di tipo Ia e sono associate a popolazione stellare giovane. La loro interpretazione fisica è ancora in fase di approfondimento e sono perciò seguite con molto interesse dalla comunità astronomica internazionale.

2) Immagine della SN2025baq in NGC5602 realizzata dall’astrofilo spagnolo Carlo Segarra con un telescopio da 200mm F.4 somma di 8 immagini da 180 secondi.

I veri protagonisti di questo inizio 2025 sono però sicuramente gli astrofili cinesi del programma XOSS capitanati da Xing Gao e Mi Zhang, che nei primi due mesi del 2025 hanno già messo a segno ben 10 scoperte. Si tratta di supernovae molto deboli, a volte oltre la mag.+18 e collocate in piccole galassie, anche anonime. Soffermiamo adesso la nostra attenzione su quella che ha raggiunto una discreta luminosità, individuata nella notte del 3 febbraio nella galassia a spirale barrata UGC3007 posta nella costellazione del Perseo a circa 250 milioni di anni luce di distanza e situata non lontano (circa 4°) dalla famosa Nebulosa California. Al momento della scoperta il nuovo transiente mostrava una luminosità pari alla mag.+17,2 che è aumentata fino a raggiungere il massimo alla mag.+15,5 intorno al 20 febbraio. Nell’inserimento della scoperta nel TNS i cinesi hanno battuto sul tempo il programma professionale americano denominato ATLAS che aveva immortalato il nuovo oggetto il giorno prima, quando mostrava una luminosità pari alla mag.+18,5. I primi a riprendere lo spettro di conferma sono stati ancora una volta gli astronomi dell’Osservatorio del Roque de los Muchachos nella notte del 5 febbraio sempre con il Liverpool Telescope da 2 metri. La SN2025aue, questa la sigla definitiva assegnata, è una supernova di tipo Ia-91T con un forte assorbimento del Fe III e la quasi assenza del Si II. Le supernovae di tipo Ia-91T sono una sottoclasse delle tradizionali Ia caratterizzate da righe più larghe nello spettro e perciò da velocità di espansione e temperature più alte dei materiali espulsi dall’esplosione (eject). Hanno un’evoluzione fotometrica più lenta e sono associate a popolazione stellare giovane. La capostipite di questa sottoclasse è la SN1991T scoperta il 13 aprile 1991 dai nostri Mirko Villi e Giancarlo Cortini insieme a Bob Evans, nella bella galassia a spirale NGC4527.

3) Immagine della SN2025aue in UGC3007 realizzata dall’astrofilo spagnolo Carlo Segarra con un telescopio da 200mm F.4 somma di 25 immagini da 180 secondi

4) Immagine della SN2025aue in UGC3007 realizzata dall’astrofilo spagnolo Rafael Ferrando con un telescopio Meade LX200 da 400mm F.7

Il solito Koichi Itagaki mette a segno la sua prima scoperta del 2025 individuando un nuovo transiente nella parte periferica della galassia NGC3277. Ne parleremo in maniera più approfondita nella rubrica del prossimo mese.

RUBRICA SUPERNOVAE COELUM   N. 129

Non avevamo fatto in tempo ad inserirla nella rubrica dello scorso mese, perché avvenuta il 30 dicembre, ma per l’ISSP il 2024 si è chiuso con una interessante e difficile scoperta. Il team dell’Osservatorio di Monte Baldo, formato da Flavio Castellani, Raffaele Belligoli e Vittorio Andreoli ha infatti individuato un debole transiente di mag.+19,3 nella bella galassia di Andromeda M31. Si tratta molto probabilmente di una Nova Extragalattica che però non ha ricevuto la conferma spettroscopica ed alla quale è rimasta assegnata la sigla provvisoria AT2024agal. La mancata conferma spettroscopica è forse da imputare al fatto che il nuovo oggetto è rimasto molto debole oltre la mag.+19. In un follow-up del 2 gennaio da parte dell’astrofilo Giuseppe Pappa era appena visibile alla proibitiva mag.+19,5. Agli amici di Monte baldo vanno comunque i nostri complimenti per aver tenuto alto il nome dell’ISSP con la scoperta di due Novae Extragalattiche nella galassia M31 ottenute nel 2024.

Immagine di scoperta della AT2024agal in M31 realizzata dal team dell’Osservatorio di Monte Baldo con il telescopio Ritchey-Chretien da 400mm F.8

Venendo alle supernovae questo nuovo anno è iniziato benissimo per i cinesi del programma XOSS capitanati da Xing Gao e Mi Zhang che nel mese di gennaio hanno già messo a segno la scoperta di tre supernovae, purtroppo molto deboli intorno alla mag.+19 e collocate in piccole galassie anonime. Negli ultimi tre anni gli astrofili cinesi si sono dimostrati senza ombra di dubbio i leader indiscussi in fatto di ricerca amatoriale di supernova. Nel 2024 hanno occupato il gradino più del podio con 22 scoperte. Per capire la portata dell’enorme lavoro svolto dai cinesi basta pensare che il secondo gradino del podio è occupato dal mitico Koichi Itagaki con solo, si fa per dire, 7 scoperte. Dobbiamo perciò constatare che in fatto di ricerca di supernovae amatoriali l’Oriente non ha rivali. Come abbiamo visto nei mesi scorsi in Giappone non abbiamo solo il grande Itagaki e adesso anche in Cina non abbiamo solo il gruppo XOSS. Esiste infatti un nuovo gruppo ben equipaggiato, che è ancora in fase di allestimento, ma che è già riuscito a mettere a segno la sua prima scoperta. Li abbiamo contattati, ma prima di svelarci come si svolge la loro attività di ricerca preferiscono aspettare di ultimare la messa a punto del loro osservatorio e dei loro programmi di ricerca. Questa prima scoperta è stata infatti ottenuta non grazie all’avvio del loro programma di ricerca, ma casualmente durante i lavori di settaggio e messa a punto della strumentazione. Ziyang Mai e Jiaze Fu, che fanno parte di questo gruppo, hanno individuato nella notte del 12 gennaio un nuovo oggetto di mag.+17,9 in una piccola galassia anonima posta nella costellazione dell’Orsa Minore a circa 530 milioni di anni luce di distanza e posizionata a soli 8° dal Polo Nord Celeste.  Se dall’Oriente arrivano le scoperte amatoriali, dall’Italia arrivano le classificazioni amatoriali grazie al bravissimo Claudio Balcon, che nella notte del 18 gennaio ha ottenuto lo spettro di conferma, classificando la SN2025kw come una supernova di tipo Ia. Possiamo considerare Claudio Balcon come il fiore all’occhiello dell’ISSP con ben 170 classificazioni inserite per primo nel TNS, che lo pone come leader indiscusso a livello mondiale in fatto di classificazioni amatoriali di supernovae. La SN2025kw anche se relativamente debole, ha raggiunto infatti la mag.+17,5 intorno al 20 gennaio e posizionata in una piccola galassia vista di taglio, ha comunque un valore importante per noi astrofili perché rappresenta l’ennesima supernova tutta amatoriale dalla scoperta alla classificazione.

Immagine della SN2025kw in Anonima realizzata dall’astrofilo spagnolo Carlo Segarra con un telescopio da 200mm F.4 somma di 25 immagini da 240 secondi.

Chiudiamo la rubrica di questo mese passando da una supernova molto debole e collocata in una piccola e poco fotogenica galassia, ad una che invece rappresenta la supernova più luminosa di questo periodo avendo raggiunto l’interessante mag.+13,5 nella seconda metà di gennaio. Stiamo parlando della SN2025gj individuata nella notte dell’8 gennaio dal programma professionale americano di ricerca supernovae denominato DLT40 che utilizza una batteria di sei telescopi Ritchey-Chrétien da 41cm chiamati PROMPT e situati sul Cerro Tololo in Cile. La galassia ospite è la NGC2986, un’ellittica posta nella costellazione meridionale dell’Hydra a circa 110 milioni di anni luce di distanza e accompagnata in cielo dalla galassia a spirale PGC27873 situata grosso modo alla solita distanza. Nella stessa notte della scoperta, con il Southern African Large Telescope da 10 metri di diametro, in Sudafrica, è stato ripreso lo spettro di conferma che ha permesso di classificare il nuovo transiente come una supernova di tipo Ia scoperta circa due settimane prima del massimo di luminosità e con i gas eiettati dall’esplosione che viaggiano alla velocità di circa 13.700 km/s. Questa supernova è comunque un facile oggetto da immortalare, situato in un fotogenico campo ricco di galassie. L’unico inconveniente è la declinazione a -21°, che penalizza leggermente gli osservatori del Nord Italia. La SN2025gj rappresenta la seconda supernova conosciuta esplosa in NGC2986. La prima fu la SN1999gh scoperta il 3 dicembre 1999 dall’astrofilo giapponese Kesao Takamizawa, anch’essa di tipo Ia.

Immagine della SN2025gj in NGC2986 realizzata dall’astrofilo spagnolo Rafael Ferrando con un telescopio Meade LX200 da 400mm F.7 somma di 12 immagini da 180 secondi.

Immagine della SN2025gj in NGC2986 realizzata dall’astrofilo spagnolo Carlo Segarra con un telescopio da 200mm F.4 somma di 25 immagini da 120 secondi.

Immagine della SN202gj in NGC2986 realizzata dall’astrofilo spagnolo Jordi Camarasa con un riflettore da 500mm F.6,9 somma di 3 immagini da 120 secondi.

RUBRICA SUPERNOVAE COELUM   N. 128

Chiudiamo questo anno 2024 nel migliore dei modi con diverse scoperte amatoriali, iniziando da quella che ci riguarda più da vicino.

Nella notte del 16 dicembre Giancarlo Cortini torna a fare centro, dopo due anni di digiuno, individuando una debole stellina di mag.+18 nella galassia a spirale IC1231 situata nella costellazione del Drago a circa 240 milioni di anni luce di distanza. Dopo la coppia Ciabattari e Mazzoni, Giancarlo Cortini è il terzo italiano con il maggior numero di scoperte amatoriali, raggiungendo quota 33. Agli inizi degli anni ’90, insieme all’amico Mirco Villi, Giancarlo Cortini ha dato vita alla ricerca di supernovae amatoriale italiana e rappresenta perciò un’icona indiscussa per questo tipo di ricerca. Adesso è in pensione e ci ha confidato che avendo più tempo a disposizione ha aumentato la sua attività di ricerca. Speriamo che questo possa portare ad un incremento in termini di scoperte, che purtroppo scarseggiano per la ricerca amatoriale italiana di supernovae in questi ultimi anni. Il nuovo transiente non ha ancora ricevuto la classificazione spettroscopica e pertanto mantiene la sigla provvisoria AT2024aeds. Il motivo della mancanza dello spettro va forse ricercato nella scomoda posizione in cui si trova la galassia, che sarebbe circumpolare (32° dal Polo Nord Celeste) ma in questo periodo è visibile per poco tempo subito dopo il tramonto a Nord-Ovest, scendendo verso l’orizzonte, per poi risalire dalla parte opposta a Nord-Est poco prima dell’alba. Abbiamo comunque dei follow-up nei giorni seguenti la scoperta, sia dello stesso Cortini, che dell’astrofilo spagnolo Carlos Segarra con l’oggetto in aumento di luminosità alla mag.+17.

Immagine della SN2024aeds in IC1231 realizzata da Giancarlo Cortini con un telescopio C14 somma di quattro immagini da 60 secondi.

Immagine della SN2024aeds in IC1231 realizzata dall’astrofilo spagnolo Carlo Segarra con un telescopio da 200mm F.4 somma di 25 immagini da 180 secondi.

Intanto la coppia Mirco Villi e Michele Mazzucato continuano a sfornare scoperte nell’ambito della loro collaborazione con i professionisti del CRTS Catalina che utilizza il telescopio Cassegrain di 1,5 metri di diametro dell’osservatorio americano sul Mount Lemmon in Arizona. La nuova scoperta è stata individuata nella piccola galassia PGC1530 nella costellazione dei Pesci, al confine con quella della Balena, a circa 500 milioni di anni luce di distanza. Al momento della scoperta il nuovo oggetto mostrava una luminosità pari alla mag.+19,5 e nei giorni seguenti è leggermente aumentata fino alla mag.+18,7. Anche questo oggetto non ha ancora ricevuto una classificazione spettroscopica e pertanto mantiene la sigla provvisoria AT2024aeaj.

Immagine di scoperta della AT2024aeaj in PGC1530 ripresa dal Catalina con il telescopio Cassegrain da 1,5 metri.

Immagine della SN2024aduf in NGC5945 realizzata dall’astrofilo spagnolo Carlo Segarra con un telescopio da 200mm F.4 somma di 20 immagini da 180 secondi.

Arriviamo adesso ad una scoperta tutta amatoriale il top per il 2024 in fatto a ricerca, scoperte e classificazioni amatoriali di supernovae. Ci riferiamo all’eccezionale giapponese Koichi Itagaki ed al nostro bravissimo Claudio Balcon (ISSP). Nella notte del 9 dicembre il bravo ed esperto astrofilo giapponese ha individuato una nuova supernova di mag.+16 nella galassia a spirale barrata NGC5945 nella costellazione del Bootes a circa 220 milioni di anni luce di distanza. Il primo a riprendere lo spettro di questo nuovo transiente è stato il nostro Claudio Balcon giunto all’incredibile numero di 164 supernovae classificate per primo nel TNS Transient Name Server. Si tratta di una classica supernova di tipo Ia scoperta pochi giorni prima del massimo di luminosità, raggiunto 2-3 giorni dopo la scoperta intorno alla mag.+15,5. Grazie allo spettro del bellunese alla supernova è stata assegnata la sigla definitiva SN2024aduf.

Shinichi Ono nel cortile di casa, accanto al suo telescopio Celestron 9.25 da 235mm.

Dal Giappone però non arrivano solo le scoperte del grande Itagaki. Già nel gennaio 2023 Hiroshi Okuno aveva individuato la SN2023fu nella galassia IC1874, poi nel gennaio del 2024 era stato il turno di Hidehiko Okoshi che aveva individuato la SN2024ahv nella galassia NGC6106 e adesso con grande soddisfazione abbiamo un’altra new entry di nome Shinichi Ono che mette a segno la sua prima scoperta. Questi astrofili giapponesi seguono le gesta del grande Itagaki riuscendo nel loro piccolo ad ottenere dei risultati di grande prestigio. Abbiamo perciò contattato anche Shinichi Ono per avere delle informazioni sulla sua attività di ricerca.

Nato il 2 gennaio del 1958, tra pochi giorni compirà 67 anni. Abita nella prefettura di Shizuoka, vicino al famoso Monte Fuji. Ha iniziato ad essere attratto dal cielo stellato già ai tempi dell’asilo. Da quattro anni si dedica in maniera assidua alla ricerca di supernovae riprendendo circa 30 campi di galassie ogni notte che è sereno, con il suo telescopio Celestron 9.25 da 235mm F.10 ridotto a F.6,3. Non possiede un vero e proprio osservatorio e il suo strumento è installato in giardino e gestito dall’interno della sua casa. Nella notte del 17 dicembre ha coronato un suo grande sogno individuando una nuova stella di mag.+16,5 nella galassia a spirale barrata NGC2523 nella costellazione della Giraffa al confine con quella dell’Orsa Minore a circa 150 milioni di anni luce di distanza.

Immagine della SN2024aeee in NGC2523 realizzata da Riccardo Mancini con un telescopio Newton da 250mm F.5 esposizione di 90 minuti.

Immagine della SN2024aeee in NGC2523 realizzata dall’astrofilo spagnolo Carlo Segarra con un telescopio da 200mm F.4 somma di 20 immagini da 180 secondi.

Situata a soli 17° dal Polo Nord Celeste, NGC2523 è visibile per tutta la notte. Il programma professionale di ricerca supernovae denominato ZTF possiede un’immagine di questa supernova realizzata circa 7 ore prima di Shinichi Ono, che però per fortuna è stato più rapido nel comunicare la scoperta nel TNS. I primi a riprendere lo spettro di conferma sono stati gli astronomi dell’osservatorio del Roque de los Muchachos nella notte del 19 dicembre con il Liverpool Telescope da 2 metri di diametro. La SN2024aeee, questa la sigla definitiva assegnata, è una supernova di tipo II molto giovane, ricca di idrogeno, ma è ancora troppo presto per stabilire adesso la sottoclasse precisa. Facciamo comunque i nostri sinceri complimenti ad Shinichi Ono per la bella scoperta, con la speranza che sia di incentivo a proseguire ancor di più in questo tipo di ricerca ed ottenere presto altri splendidi successi.

Immagine della SN2024aeee in NGC2523 realizzata da Luca Lacara con un telescopio Celestron 9.25 da 235mm F.10 ridotto a F.6,3 esposizione di 80 minuti.

RUBRICA SUPERNOVAE COELUM   N. 127

SUPERNOVAE AGGIORNAMENTI di Fabio Briganti e Riccardo Mancini

Non sappiamo più quali aggettivi usare per descrivere l’incredibile lavoro portato avanti dal grande ricercatore amatoriale di supernovae Koichi Itagaki, che mette a segno la sesta scoperta del 2024, consolidando la terza posizione nella Top Ten mondiale amatoriale e raggiungendo quota 185 scoperte. Vedere un astrofilo che riesce ripetutamente a battere sul tempo i programmi professionali dedicati a questo tipo di ricerca, ci riempie di gioia. Bisogna però puntualizzare, per non scoraggiare gli altri astrofili, che Itagaki possiede due osservatori controllati in remoto con un numero impressionante di strumenti, superiori a tutti quelli dell’ISSP messi insieme. Inoltre, essendo in pensione, dedica tutto il suo tempo a riprendere e controllare immagini di galassie. E dobbiamo aggiungere che lo fa molto bene.

Nella notte del 15 novembre ha individuato un nuovo transiente di mag.+17,5 nei pressi della bella galassia a spirale barrata peculiare NGC2146 posta nella costellazione della Giraffa a circa 60 milioni di anni luce di distanza ed accompagnata in cielo da una più piccola galassia a spirale barrata denominata NGC2146A. Situate a soli 12° dal Polo Nord Celeste, queste due galassie sono circumpolare e perciò visibili tutta la notte. La caratteristica principale di NGC2146 è la struttura irregolare, con presenza di un immenso braccio di polveri posizionato vicino al nucleo, deformato da un probabile incontro ravvicinato o da una fusione con un’altra galassia più piccola. Questa situazione sembra essere testimoniata anche dall’alta formazione stellare all’interno della galassia, così elevata da far inserire l’oggetto nel novero delle galassie “starburst”.

In tempo di record, dopo solo sei ore dalla scoperta, gli astronomi dell’Indian Astronomical Observatory, situato nell’Himalaya occidentale ad un’altitudine di 4500 metri, uno degli osservatori più alti al mondo, utilizzando l’Himalaya Chandra Telescope da 2,01 metri hanno ottenuto lo spettro di conferma. La SN2024abfl è una supernova di tipo II molto giovane, scoperta circa 3/4 giorni dopo l’esplosione. Un secondo spettro, ripreso due giorni dopo il primo dagli astronomi americani del DLT40, ha confermato il tipo II per questa supernova, con un leggero assorbimento di polveri dovuto alla nostra galassia, che toglie alla luminosità della supernova circa mezza magnitudine. Il nuovo transiente non si è infatti distinto per la sua luminosità, raggiungendo il massimo intorno alla fine del mese di novembre con una luminosità che non è andata oltre alla mag.+16,5. E’ comunque situato in una bella e particolare galassia, oltre che comoda come posizione per gli osservatori dell’emisfero settentrionale. Per chi possiede una strumentazione con un buon campo, può riprendere nel solito scatto la coppia NGC2146 e NGC2146A con la supernova, che appare come un facile oggetto perché posto nella parte periferica della galassia ospite, anche se con una luminosità non elevata. Questa è la terza supernova conosciuta esplosa in NGC2146. La precedente fu la SN2018zd scoperta il 3 marzo 2018 proprio dall’astrofilo giapponesi Koichi Itagaki, che quindi ha un feeling particolare con questa galassia. Inoltre la posizione della SN2018zd è incredibilmente quasi coincidente con quella dell’attuale SN2024abfl. La prima supernova fu invece la SN2005V scoperta il 30 gennaio 2005 dal Nuclear Supernova Search.

1) Immagine della SN2024abfl in NGC2146 ripresa da Riccardo Mancini con un Newton da 250mm F.5 somma di 40 immagini da 180 secondi.

2) Immagine della SN2024abfl in NGC2146 ripresa dall’astrofilo tedesco Manfred Mrotzek con un telescopio da 140mm F.5,4 somma di 27 immagini da 180 secondi.

3) Immagine della SN2024abfl in NGC2146 ripresa dall’astrofilo spagnolo Carlos Segarra con un telescopio da 200mm F.4 somma di 35 immagini da 120 secondi.

RUBRICA SUPERNOVAE COELUM   N. 126

SUPERNOVAE AGGIORNAMENTI di Fabio Briganti e Riccardo Mancini

Questo mese soffermiamo la nostra attenzione su tre supernovae, che ci riguardano da vicino e che possiamo definire come semi-amatoriali. Sono state infatti scoperte da una coppia di astrofili italiani, controllando però immagini ottenute con strumentazione professionale. I due bravi ed esperti astrofili sono: Mirco Villi e Michele Mazzucato, mentre la strumentazione professionale è quella del CRTS Catalina che utilizza il telescopio Cassegrain di 1,5 metri di diametro dell’osservatorio americano sul Mount Lemmon in Arizona. Le tre supernovae sono oltre la mag.+20 e sono state scoperte in ordine cronologico: la prima AT2024wpa individuata la notte del 12 settembre nella galassia a spirale barrata PGC71752 posta nella costellazione dei Pesci a circa 180 milioni di anni luce di distanza; la seconda AT2024ycq individuata la notte del 13 ottobre nella galassia irregolare UGC4882 nella costellazione della Lince a circa 130 milioni di anni luce di distanza; infine la terza SN2024yhg della notte del 15 ottobre nella galassia lenticolare UGC1596 costellazione del Triangolo a circa 210 milioni di anni luce di distanza. Nota: La galassia UGC 1596 accompagnata in cielo dalla galassia a spirale vista di taglio UGC1591, posta anche lei a circa 210 milioni di anni luce di distanza ed entrambe vicine (circa 6°) alla più bella e famosa galassia a spirale M33.

1) Immagine di scoperta della AT2024wap in PGC71752 ripresa dal Catalina con il telescopio Cassegrain da 1,5 metri.

2) Immagine di scoperta della AT2024ycq in UGC4882 ripresa dal Catalina con il telescopio Cassegrain da 1,5 metri.

3) Immagine di scoperta della SN2024yhg in UGC1596 ripresa dal Catalina con il telescopio Cassegrain da 1,5 metri.


Se per le prime due supernovae non è stato ad oggi ripreso uno spettro di conferma, forse anche a causa della debole luminosità, per la terza (SN2024yhg) la situazione è ben diversa.

4) Immagine della SN2024yhg in UGC1596 ripresa da Claudio Balcon con un Newton da 410mm F.5 somma di sei immagini da 60 secondi.

5) Immagine della SN2024yhg in UGC1596 ripresa dall’astrofilo spagnolo Jordi Camarasa in remoto dalla Namibia con un riflettore da 360mm F.8,4 somma di due immagini da 60 secondi.


Scoperta quando mostrava una luminosità pari alla mag.+20,3 nei giorni la sua luminosità è aumentata fino a raggiungere intorno al 25 ottobre la mag.+17,5. Nella notte del 22 ottobre dall’Osservatorio di Mauna Kea nelle Isole Hawaii, con il telescopio UH88 da 2,2 metri di diametro, è stato ripreso lo spettro di conferma. Si tratta di una supernova di tipo Ia-91bg-like, una sottoclasse di supernova di tipo Ia che i cui soggetti si mostrano leggermente più deboli ed evolvono più rapidamente. Hanno gli spettri con righe più strette e presentano le righe del Calcio e del Titanio più intense e meno quelle del Ferro, rispetto ad una tradizionale supernova di tipo Ia. La galassia UGC1596 ha un modulo di distanza di pari a 34, se questa supernova fosse stata una normale tipo Ia, la sua luminosità sarebbe salita fino alla mag.+15 (34-19=15). Comunque  la posizione della galassia ospite in questo periodo dell’anno è ottimale trovandosi quasi allo Zenit già in prima serata. Non sarà perciò difficile ottenere una buona immagine di questa supernova italo-americana insieme a questa interessante coppia di piccole galassie.

Immagine della SN2024yhg in UGC1596 ripresa da Riccardo Mancini con un Newton da 250mm F.5 somma di 20 immagini da 180 secondi.

RUBRICA SUPERNOVAE COELUM   N. 125

SUPERNOVAE AGGIORNAMENTI di Fabio Briganti e Riccardo Mancini

Questo mese soffermiamo la nostra attenzione su due supernovae che non sono molto luminose e poste in galassie neanche molto fotogeniche, però hanno una caratteristica molto importante: sono due supernovae amatoriali. E chi poteva essere l’astrofilo che ha messo a segno questa bella doppietta? Naturalmente il solito veterano ricercatore giapponese Koichi Itagaki che raggiunge così quota 184 scoperte, consolidando la terza posizione della Top Ten mondiale amatoriale. La prima supernova è stata individuata la notte dell’11 settembre nella galassia a spirale UGC690 posta nella costellazione di Andromeda a circa 260 milioni di anni luce di distanza e situata non lontano (circa 5°) dalla famosa galassia di Andromeda M31. Al momento della scoperta il nuovo transiente mostrava una luminosità molto debole pari alla mag.+18,8. Il bravo Itagaki è riuscito a battere sul tempo, per poche ore, i due programmi professionali americani denominati GOTO e ZTF.

1)Immagine della SN2024vfo ripresa dall’astrofilo giapponese Yasuo Sano con un telescopio Schmidt-Cassegrain da 360mm F.11 ed esposizione di 90 secondi.
1) Immagine della SN2024vfo ripresa dall’astrofilo giapponese Yasuo Sano con un telescopio Schmidt-Cassegrain da 360mm F.11 ed esposizione di 90 secondi.


Un primo spettro è stato ripreso la notte seguente la scoperta dagli astronomi americani dell’Haleakala Observatory con il Faulkes Telescope North da 2 metri di diametro, posto a quota 3000 metri nelle Isole Hawaii. La fase ancora troppo giovane ha permesso di evidenziare soltanto che eravamo davanti ad una supernova, ma senza riuscire a decifrarne il tipo. Al nuovo oggetto è stata comunque assegnata la sigla definitiva SN2024vfo. Nella notte successiva del 13 settembre, anche gli astronomi dell’Osservatorio del Roque de los Muchachos nelle Isole Canarie con il Nordic Optical Telescope da 2,56 metri hanno ripreso un nuovo spettro. A distanza di circa 24 ore rispetto al primo spettro la situazione era già molto più chiara, permettendo di classificare la supernova di tipo II con i gas eiettati dall’esplosione che viaggiano ad una velocità di circa 13.000 km/s. Negli ultimi giorni di settembre la luminosità della supernova è leggermente aumentata raggiungendo la mag.+18 e intorno a questo valore sembrerebbe stazionare facendo pensare di essere di fronte ad una supernova di tipo IIP. Se così fosse per altri 100 giorni la luminosità rimarrà invariata intorno a questo valore. Per le nostre latitudini l’oggetto è facilmente osservabile e in prima serata, peccato per la luminosità un po’ bassa.


La seconda supernova di Itagaki è stata invece individuata nella notte del 19 settembre nella galassia lenticolare vista di taglio NGC2830 posta nella costellazione della Lince a circa 310 milioni di anni luce di distanza e situata a circa un grado dalla stella Alpha Elvashak di mag.+3,13. NGC2830 forma un terzetto di galassie con le vicine NGC2831 e NGC2832 che trova menzione nell’atlante di Halton Arp sotto il nome di Arp 315. Non c’è però certezza che le tre galassie siano effettivamente legate fisicamente. Infatti mentre NGC2831 e NGC2832 risultano essere ad una distanza molto simile intorno ai 250 milioni di anni luce, NGC2830 è situata sicuramente più lontano. A differenza della precedente, questa possibile supernova è stata individuata a mag.+17,5 ma in una situazione scomoda, visibile bassa sull’orizzonte Est poco prima dell’alba.


Per questo motivo ad oggi non è stato ancora ripreso lo spettro di conferma e perciò al nuovo transiente è stata assegnata la sigla provvisoria AT2024vsu. Abbiamo però due follow-up di conferma realizzati nella notte seguente la scoperta dagli astrofili giapponesi Toshihide Noguchi e Katsumi Yoshimoto. Il nuovo transiente è stato rilevato a mag.+17,7 quindi leggermente in calo. Se la stima è corretta possiamo ipotizzare che il massimo di luminosità è già avvenuto e forse proprio durante la congiunzione con il Sole. Aspettiamo comunque i prossimi giorni quando la galassia si allontanerà dal Sole permettendo l’ottenimento di una spettro di conferma, che svelerà la reale natura e fase del transiente.

2)Immagine della AT2024vsu ripresa dall’astrofilo giapponese Katsumi Yoshimoto con un riflettore da 510mm F.4,5 somma di 4 immagini da 60 secondi.
2) Immagine della AT2024vsu ripresa dall’astrofilo giapponese Katsumi Yoshimoto con un riflettore da 510mm F.4,5 somma di 4 immagini da 60 secondi.


RUBRICA SUPERNOVAE COELUM   N. 124

SUPERNOVAE AGGIORNAMENTI di Fabio Briganti e Riccardo Mancini

In questo mese non abbiamo nessuna scoperta amatoriale di supernovae da raccontare, ma ci possiamo consolare con un successo targato ISSP relativamente ad una Nova Extragalattica. Nella notte del 24 agosto, utilizzando il telescopio Ritchey Chretien da 400mm F.8, il team dell’Osservatorio di Monte Baldo, formato da Flavio Castellani, Vittorio Andreoli e Raffaele Belligoli è riuscito ad individuare un nuovo transiente di mag.+17,1 nella famosa galassia di Andromeda M31.

Immagine di scoperta della AT2024ssq in M31 ottenuta dal team dell’Osservatorio di Monte Baldo con un telescopio Ritchey Chretien da 400mm F.8 e 100 minuti di posa.
Immagine di scoperta della AT2024ssq in M31 ottenuta dal team dell’Osservatorio di Monte Baldo con un telescopio Ritchey Chretien da 400mm F.8 e 100 minuti di posa.

Gli amici di Monte Baldo nell’acquisizione della prima immagine della nuova stella hanno preceduto il programma professionale americano ZTF per circa 8 ore ed incredibilmente anche l’altro programma professionale americano ATLAS per soli 17secondi! Le buone notizie però non finisco qui: nella notte seguente la scoperta, con la Nova calata leggermente verso la mag.+18 il nostro Claudio Balcon è riuscito a classificarla per primo nel TNS come una classica Nova. Nel suo spettro infatti era ben visibile la linea H-Alpha intorno ai 6500 Armstrong, tipico delle Novae Extragalattiche. Abbiamo pertanto una Nova Extragalattica scoperta e classificata tutto in casa ISSP. Alla Nova è stata assegnata la sigla provvisoria AT2024ssq, ma presto dovrebbe prendere la sigla definitiva, che molto probabilmente sarà M31N-2024-08e con il nome della galassia ospite seguita dalla lettera N (Nova), l’anno, il mese e la lettera “e” che in questo caso rappresenta la quinta Nova scoperta e confermata nel mese di agosto del 2024 in M31. L’Osservatorio di Monte Baldo, insieme ai cinesi del programma XOSS capitanati da Xing Gao e all’astrofilo ceco Kamil Hornoch, sono leader indiscussi a livello mondiale nel campo della ricerca di Novae Extragalattiche.

Elaborazione dello spettro della AT2024ssq in M31 ottenuto da Claudio Balcon con un telescopio Newton da 410mm F.5,5 dove è evidenziata la linea H-Alpha intorno ai 6500 Armstrong, tipico delle Novae Extragalattiche.
Elaborazione dello spettro della AT2024ssq in M31 ottenuto da Claudio Balcon con un telescopio Newton da 410mm F.5,5 dove è evidenziata la linea H-Alpha intorno ai 6500 Armstrong, tipico delle Novae Extragalattiche.

Concludiamo la rubrica soffermando la nostra attenzione su due supernovae scoperte entrambe nella notte del 23 luglio ed esplose in due galassie esteticamente molto fotogeniche. Una di queste due supernovae è risultata anche molto luminosa, peccato che sia visibile solo dall’emisfero australe.

La prima ad essere stata scoperta è stata proprio la supernova individuata dal programma professionale americano denominato DTL40 nella galassia a spirale barrata NGC6221 posta nella costellazione dell’Ara a circa 65 milioni di anni luce di distanza. Al momento della scoperta il nuovo transiente mostrava una luminosità pari alla mag.+15,1.

Nella stessa notte, gli astronomi americani dal Cerro Tololo Observatory con il SOAR Souther Astrophysical Research Telescope, un moderno telescopio da 4,10 metri con ottiche attive posto a 2.700 metri di altitudine sul Cerro Pachon in Cile, hanno ottenuto lo spettro di conferma. La SN2024pxg, questa la sigla definitiva assegnata, è una giovane supernova di tipo II scoperta 4 giorni dopo l’esplosione. Nei giorni seguenti la sua luminosità è aumentata leggermente fino a raggiungere la mag.+14,5. Questa è la seconda supernova conosciuta esplosa in NGC6221, la prima fu la SN1990W scoperta il 16 agosto 1990 dal famoso astrofilo australiano Robert Evans, che purtroppo ci ha lasciato nel novembre del 2022.

Immagine della SN2024pxg in NGC6221 ottenuta dall’astrofilo spagnolo Jordi Camarasa con un riflettore da 360mm F.8,4 somma di 7 immagini da 60 secondi.
Immagine della SN2024pxg in NGC6221 ottenuta dall’astrofilo spagnolo Jordi Camarasa con un riflettore da 360mm F.8,4 somma di 7 immagini da 60 secondi.

La seconda supernova del 23 luglio è stata invece scoperta dal programma professionale americano di ricerca supernovae Zwicky Transient Facility (ZTF) nella galassia a spirale barrata NGC6384 nella costellazione di Ofiuco a circa 80 milioni di anni luce di distanza. Nella notte seguente la scoperta, dal Siding Spring Observatory con l’ANU Telescope da 2,3 metri è stato ripreso lo spettro di conferma che ha permesso di classificare la SN2024pxl come una supernova di tipo Iax 02cx-like scoperta circa una settimana prima del massimo, che si è verificato nei primi giorni del mese di agosto intorno alla mag.+15,5. Le supernovae di tipo Iax sono transienti rari e peculiari, che prendono il nome dal prototipo di questo gruppo di oggetti, cioè la SN2002cx. Sono supernovae di solito più deboli e con righe nello spettro molto più strette rispetto ad una normale supernova di tipo Ia e sono associate a popolazioni stellari giovani. La loro interpretazione fisica è ancora in fase di approfondimento e sono perciò seguite con molto interesse dalla comunità astronomica internazionale. Questa è la terza supernova conosciuta esplosa in NGC6384. Le altre due sono state la SN2017drh scoperta il 3 maggio del 2017 dal programma professionale DTL40 di tipo Ia e la SN1971L scoperta il 24 giugno del 1971 da Logan di tipo I, che raggiunse la notevole mag.+12,8.

Immagine della SN2024pxl in NGC6384 ottenuta dall’astrofilo spagnolo Rafael Ferrando con un telescopio Meade LX200 da 400mm F.7
Immagine della SN2024pxl in NGC6384 ottenuta dall’astrofilo spagnolo Rafael Ferrando con un telescopio Meade LX200 da 400mm F.7

RUBRICA SUPERNOVAE COELUM   N. 123

SUPERNOVAE AGGIORNAMENTI

Questo mese torniamo a parlare di scoperte amatoriali con una vecchia conoscenza dell’emisfero meridionale: il neozelandese Stuart Parker. Fino al 2021 Parker rivaleggiava a suon di scoperte con il grande Itagaki per contendersi la terza posizione della Top Ten mondiale amatoriale. Purtroppo nell’agosto del 2021 una grande tempesta danneggiò irreparabilmente il suo osservatorio posto ad Oxford, piccola cittadina a circa 60 km dalla città di Christchurch e per un paio di anni ha dovuto sospendere la sua grande passione di cercare supernovae. Finalmente nel febbraio 2023 e tornato al successo con la SN2023pbx nella galassia NGC3557 ed adesso mette a segno una nuova e luminosa scoperta ottenuta la notte del  10 luglio nella galassia lenticolare NGC3706 posta nella costellazione del Centauro a circa 130 milioni di anni luce di distanza. Al momento della scoperta il nuovo transiente mostrava una luminosità pari alla mag.+16 e anche se molto luminoso era situato vicino al nucleo della galassia ospite. Stranamente nessun osservatorio professionale ad oggi ha ripreso lo spettro di conferma e pertanto il nuovo oggetto ha ancora la sigla provvisoria AT2024pfn. Fortunatamente abbiamo un’immagine di follow-up ottenuta cinque giorni dopo la scoperta dall’astrofilo spagnolo Jordi Camarasa, che perciò ha confermato la presenza della supernova con una luminosità in aumento a mag.+14,5. Purtroppo dalle nostre latitudini la galassia NGC3706 non è facile da osservare trovandosi alla declinazione di -36°. Sono avvantaggiati gli astrofili del Sud Italia con la galassia che a Catania culmina a circa 16° sopra l’orizzonte.

Immagine della AT2024pfn in NGC3706 ripresa dall’astrofilo neozelandese Stuart Parker in remoto con un telescopio da 400mm.

Immagine della AT2024pfn in NGC3706 ripresa dall’astrofilo spagnolo Jordi Camarasa con un riflettore da 360mm F.8,4 somma di 12 immagini sa 60 secondi.

Anche gli astrofili cinesi del programma XOSS, capitanati da Xing Gao, sono tornati al successo, proprio nella notte del 10 luglio, individuando una debole stellina di mag.+18,7 nella piccola galassia a spirale UGC11499 posta nella costellazione del Cigno a circa 340 milioni di anni luce di distanza. In questi ultimi anni i cinesi sono stati sicuramente i più prolifici in fatto di scoperte, ben 11 nel 2024, raggiungendo la quota di 98 scoperte e occupando in maniera stabile la settima posizione del Top Ten mondiale. A breve raggiungeranno quota 100, un traguardo che solo un ristretto numero di grandi astrofili è riuscito a raggiungere: Puckett 385, Newton 202, Itagaki 182, Parker 167, Boles 155 e Monard 150. I primi a riprendere lo spettro di conferma della supernova cinese sono stati gli astronomi americani dell’Osservatorio di Mauna Kea nelle Isole Hawaii con il telescopio da 2,2 metri. La SN2024pgy, questa la sigla definitiva assegnata, è una supernova di Tipo Ia scoperta circa due settimane prima del massimo di luminosità, con i gas eiettati dall’esplosione che viaggiano alla velocità di circa 14.000 km/s. Intorno al 25 luglio la supernova ha infatti raggiunto il suo massimo di luminosità, sfiorando la mag.+16. I cinese sono stati rapidi nell’inserire la scoperta nel TNS bruciando sul tempo due programmi professionali denominati GOTO e ZTF che avevano immortalato questa supernova alla mag.+19,6 il giorno prima dei cinesi. Questa è la seconda supernova conosciuta esplosa nella galassia UGC11499. La prima fu la SN2009hz, di tipo II, scoperta il 3 agosto del 2009 dal programma professionale di ricerca supernovae denominato LOSS.

Immagine della SN2024pgy in UGC11499 ripresa da Riccardo Mancini con un Newton 250mm F.5 somma di 36 immagini da 120 secondi.

Immagine della SN2024pgy in UGC11499 ripresa dall’astrofilo spagnolo Carlos Segarra con un telescopio da 200mm F.4

RUBRICA SUPERNOVAE COELUM   N. 122

SUPERNOVAE AGGIORNAMENTI

Anche questo mese, come il precedente, purtroppo non abbiamo da segnalare nessuna scoperta amatoriale. Sta diventando sempre più difficile la vita per gli astrofili che portano avanti la ricerca amatoriale di supernovae extragalattiche. Soffermiamo comunque la nostra attenzione su una interessante nonché peculiare supernova, degna di un approfondimento. Nella notte del 2 giugno il programma professionale americano di ricerca supernovae denominato Zwicky Transient Facility (ZTF) ha inserito per primo nel Transient Name Server (TNS) la comunicazione di scoperta di una nuova stella di mag.+17,5 in una piccola galassia Anonima molto vicina alla grande galassia ellittica M49, poste entrambe nella costellazione della Vergine.

In realtà il primo a riprendere questo nuovo transiente, quando mostrava una luminosità pari alla mag.+18,2 è stato il programma professionale americano di ricerca supernovae e pianetini denominato ATLAS Asteroid Terrestrial-impact Last Alert System, tre ore prima di ZTF. Lo spettro di conferma di conferma invece è arrivato dagli astronomi americani del Lick Observatory in California con il telescopio Shane da 3 metri di diametro.

Aggiornamenti Supernovae
1) Immagine della SN2024kce, vicina alla galassia M49, ripresa dall’astrofilo spagnolo Calors Segarra con un telescopio da 200mm F.4, confrontata con una sua immagine d’archivio che permette di evidenziare la piccola galassia nana oscurata, nell’immagine attuale, dalla luce della supernova. Un altro chiaro esempio di una supernova che diventa più luminosa dell’intera galassia che la ospita.

La SN2024kce, questa la sigla definitiva assegnata, è una giovane supernova di tipo Ia-pec, dove la peculiarità si evidenzia nella bassa luminosità e nella forte presenza di Calcio. I gas eiettati dall’esplosione viaggiano ad una velocità di circa 15.600 Km/s. Vista la posizione del nuovo transiente, la domanda è sorta subito spontanea: si trattava di una supernova esplosa in Messier 49 oppure nella piccola galassia nana situata a circa 13’ a Nord dal centro di M49? In realtà anche se M49 è una galassia ellittica molto estesa con un diametro di circa 160.000 anni luce, è molto improbabile che il suo alone più esterno possa arrivare così lontano. Inoltre il redshift della supernova riporta un valore di 0,003 che corrisponde ad una distanza di circa 40 milioni di anni luce. M49 si trova invece ad una distanza di circa 55 milioni di anni luce. Alla luce di questi dati, la supernova è quasi sicuramente esplosa nella parte meridionale della piccola galassia nana situata solo prospetticamente vicino ad M49 ed anche se più vicina in termini di distanza (quasi 15 milioni di anni luce), risulta molto poco appariscente e quasi scompare, sovrastata dalla grande estensione del gigante M49.

Aggiornamenti Supernovae
2) Immagine della SN2024kce ripresa da Enrico Prosperi con un rifrattore da 70mm F.6, il campo più largo permette di evidenziare le numerose galassie che circondano M49 all’interno dell’Ammasso della Vergine.

Nei giorni successivi alla scoperta, la supernova ha comunque incrementato la sua luminosità, raggiungendo il massimo il 13 giugno alla discreta mag.+13,6 per poi iniziare la discesa. A fine giugno la luminosità è calata intorno la mag.+15 ma permette ancora di ottenere delle belle immagini di una campo stellare ricco di galassie (siamo infatti all’interno dell’Ammasso della Vergine) dove troneggia M49.

RUBRICA SUPERNOVAE COELUM   N. 121

SUPERNOVAE AGGIORNAMENTI

Questo mese purtroppo non abbiamo da segnalare nessuna scoperta amatoriale. Ci possiamo però consolare con un nuovo successo messo a segno dall’esperta coppia di astrofili Mirco Villi e Michele Mazzucato, che collaborano ormai da diversi anni con i professionisti americani del CRTS Catalina.

Nella notte del 15 maggio hanno individuato una debole stellina di mag.+19,7 analizzando immagini professionali realizzate con il telescopio Cassegrain di 1,5 metri di diametro dell’osservatorio americano sul Mount Lemmon in Arizona. La galassia ospite è la NGC7312, una spirale barrata posta nella costellazione di Pegaso a circa 450 milioni di anni luce di distanza.

Nei giorni seguenti la scoperta, il nuovo transiente è aumentato leggermente di luminosità raggiungendo la mag.+19 e facendo ipotizzare di essere di fronte ad una supernova di tipo II, però ad oggi nessun osservatorio professionale ha ripreso uno spettro di conferma e pertanto al nuovo oggetto rimane assegnata la sigla provvisoria AT2024ixe.

supernovae aggiornamenti
1) Immagine di scoperta della AT2022ixe in NGC7312 ripresa dal Catalina con il telescopio Cassegrain da 1,5 metri.

Da un transiente molto debole e quindi difficile da seguire, passiamo adesso alle due supernova più luminose del periodo. La prima è stata scoperta la notte del 10 maggio dal programma professionale americano denominato Automatic Learning for the Rapid Classification of Events (ALeRCE) nella galassia lenticolare NGC3524 posta nella costellazione del Leone a circa 70 milioni di anni luce di distanza. Al momento della scoperta il nuovo transiente appariva come una debole stellina di mag.+18,3 ma nei giorni seguenti ha aumentato costantemente la sua luminosità fino a raggiungere il massimo intorno al 27 maggio sfiorando la notevole mag.+12,5.

SUPERNOVAE AGGIORNAMENTI

I primi a riprendere lo spettro di conferma sono stati gli astronomi americani del Palomar Observatory con il telescopio da 1,5 metri. La SN2024inv, questa la sigla definitiva assegnata, è una giovane supernova di tipo Ia. Ci teniamo a sottolineare una particolarità: il bravissimo e famoso astrofilo giapponese Koichi Itagaki questa volta è arrivato leggermente in ritardo. Ha inserito infatti nel TNS la sua scoperta appena 7 minuti dopo i professioni americani, perdendo così la possibilità di inanellare una nuova scoperta. Gli va comunque riconosciuto che anche questa volta si trovava nel posto giusto ed al momento giusto!

Supernovae aggiornamenti
2) Immagine della SN2024inv ripresa da Riccardo Mancini con un telescopio Newton da 250mm F.5 esposizione di 60 minuti.

La seconda supernova più luminosa di questo periodo è stata invece scoperta nella notte del 12 maggio dal programma professionale denominato Gravitational-ware Optical Transient Observer (GOTO) nella piccola galassia nana PGC1846725, poco appariscente ma abbastanza vicina. Si trova infatti nella costellazione della Chioma di Berenice a circa 60 milioni di anni luce di distanza.

Al momento della scoperta il transiente appariva già molto luminoso a mag.+14,6 e nei giorni seguenti ha aumentato ulteriormente la sua luminosità fino a raggiungere il massimo intorno al 25 maggio superando leggermente la mag.+13. Ci è capitato spesso in passato di imbatterci in supernovae che con la loro luminosità hanno raggiunto ed a volte anche superato quella della galassia che le ospitava.

Questa volta però siamo di fronte ad un caso davvero eclatante

con la supernova che ha letteralmente surclassato in luminosità la piccola galassia ospite nana, che rimane pertanto invisibile, nascosta dall’immensa luce dell’esplosione della supernova.

Supernovae aggiornamenti
3) Immagine della SN2024iss ripresa da Gianluca Masi con un telescopio C14 somma di 8 immagini da 120 secondi.

SUPERNOVAE AGGIORNAMENTI

Il primo spettro di conferma è stato ripreso il 14 maggio dall’Osservatorio del Roque de los Muchachos con il Liverpool Telescope da 2 metri, confermando che eravamo di fronte ad una supernova, ma la fase era ancora troppo giovane per poterne distinguere il tipo. La notte seguente gli astronomi americani del Palomar Observatory con il telescopio da 1,5 metri hanno ottenuto a loro volta un nuovo spettro e stavolta è comparsa la linea dell’Idrogeno tipico delle supernovae di tipo II. Al transiente è stata perciò assegnata la sigla definitiva SN2024iss, con i gas eiettati dall’esplosione che viaggiano alla velocità di circa 20.000 km/s. L’oggetto è facile da seguire perché molto luminoso, peccato che la piccola galassia ospite è praticamente invisibile.

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NASA Testa i Guanti di una futura Tuta Spaziale in una Camera Criogenica

Un guanto spaziale progettato per le passeggiate spaziali sulla Stazione Spaziale Internazionale (ISS) è pronto per essere testato all'interno di una camera chiamata CITADEL, presso il Jet Propulsion Laboratory (JPL) della NASA. I test, condotti a temperature estremamente fredde simili a quelle che gli astronauti della missione Artemis III incontreranno al Polo Sud Lunare, supportano lo sviluppo delle tute spaziali di nuova generazione. Credito: NASA/JPL-Caltech.

 

Preparazione per le Missioni Luna e Marte

Quando gli astronauti della NASA torneranno sulla Luna sotto la campagna Artemis e si spingeranno oltre nel sistema solare, affronteranno condizioni mai sperimentate prima dagli esseri umani. Per garantire che le tute spaziali di nuova generazione proteggano adeguatamente gli astronauti, sono necessari test innovativi. Una camera unica nel suo genere, chiamata CITADEL (Cryogenic Ice Testing, Acquisition Development, and Excavation Laboratory), presso il Jet Propulsion Laboratory (JPL) della NASA in California, è diventata un punto di riferimento per questi esperimenti.

Costruita per preparare i potenziali esploratori robotici alle condizioni di basse temperature e bassa pressione degli oceani ghiacciati di mondi come Europa, una delle lune di Giove, la CITADEL è anche utilizzata per valutare come i guanti e gli stivali delle tute spaziali resistano al freddo estremo. Il test dei guanti, promosso dal NASA Engineering and Safety Center, si è svolto dal ottobre 2023 al marzo 2024, mentre il test degli stivali, iniziato dal programma Extravehicular Activity e Human Surface Mobility del Johnson Space Center della NASA a Houston, ha avuto luogo tra ottobre 2024 e gennaio 2025.

Un altro aspetto cruciale per la missione Artemis III è l’esplorazione del Polo Sud Lunare, una regione con condizioni ben più estreme rispetto ai siti equatoriali visitati dalle missioni Apollo. Gli astronauti trascorreranno fino a due ore alla volta all’interno di crateri che potrebbero contenere depositi di ghiaccio, fondamentali per garantire una presenza umana a lungo termine sulla Luna. Queste regioni, chiamate “zone permanentemente in ombra”, sono tra i luoghi più freddi del sistema solare, con temperature che raggiungono i -248°C.

Due ingegneri esaminano un guanto spaziale bianco all’interno di una camera a vuoto etichettata “CITADEL”, in un laboratorio pieno di attrezzature, cavi e pannelli di controllo. Un ingegnere è seduto, regolando il guanto, mentre l’altro osserva da vicino.

Simulazione del Freddo Estremo

La camera CITADEL è progettata per simulare temperature estremamente basse. Utilizzando elio compresso, la camera può raggiungere temperature fino a -223°C, più basse rispetto a quelle delle strutture criogeniche tradizionali che si basano principalmente sull’azoto liquido. Con un’altezza di 1,2 metri e un diametro di 1,5 metri, la camera è abbastanza grande da permettere a una persona di entrarvi.

Uno degli aspetti innovativi della CITADEL sono le “lock chambers”, che consentono di inserire i materiali da testare nel vuoto della camera senza interrompere lo stato criogenico. Questo sistema ha permesso agli ingegneri di fare aggiustamenti rapidi durante i test degli stivali e dei guanti.

Al suo interno, sono presenti anche “Cryocoolers” che raffreddano la camera, e blocchi di alluminio che simulano gli attrezzi che gli astronauti potrebbero afferrare, o la superficie lunare fredda su cui camminerebbero. Inoltre, la camera è dotata di un braccio robotico per interagire con i materiali da testare e di diverse telecamere a luce visibile e infrarossa per monitorare le operazioni.

Uno stivale spaziale per astronauti, parte di un prototipo di tuta lunare della NASA, l’xEMU, è preparato per i test nella CITADEL del JPL. Una spessa lastra di alluminio simula la superficie gelida del Polo Sud Lunare, dove gli astronauti della missione Artemis III affronteranno condizioni più estreme di quelle che gli esseri umani hanno mai sperimentato. Credito: NASA/JPL-Caltech.

Test degli Estremi

Un ingegnere raccoglie campioni simulati di suolo lunare mentre indossa la tuta spaziale Axiom Extravehicular Mobility Unit durante i test al NASA Johnson Space Center alla fine del 2023. I recenti test sui design esistenti delle tute spaziali NASA nella camera CITADEL del JPL supporteranno lo sviluppo delle tute di nuova generazione in costruzione da Axiom Space. Credito: Axiom Space.

I guanti testati nella CITADEL sono la sesta versione di un guanto utilizzato dalla NASA sin dagli anni ’80, parte di una tuta spaziale chiamata “Extravehicular Mobility Unit”. Ottimizzata per le passeggiate spaziali alla ISS, questa tuta è così complessa da essere considerata una sorta di “astronave personale”. I test nella CITADEL a -213°C hanno mostrato che il guanto esistente non soddisfa i requisiti termici necessari per affrontare l’ambiente più impegnativo del Polo Sud Lunare. I risultati del test sugli stivali, che utilizzavano un prototipo di tuta spaziale chiamato “Exploration Extravehicular Mobility Unit”, non sono ancora stati completamente analizzati.

Oltre a individuare le vulnerabilità nelle tute esistenti, gli esperimenti condotti nella CITADEL aiuteranno la NASA a preparare i criteri per metodi di test standardizzati, ripetibili ed economici per la tuta lunare di nuova generazione, costruita dalla Axiom Space. Questo sarà il modello che gli astronauti della NASA indosseranno durante la missione Artemis III.

Sostenibilità a Lungo Periodo

Questo test serve per identificare quali sono i limiti: per quanto tempo un guanto o uno stivale possono resistere nell’ambiente lunare?” afferma Shane McFarland, responsabile dello sviluppo tecnologico del team Advanced Suit presso la NASA Johnson. “Vogliamo quantificare il divario nelle capacità dell’attuale hardware per fornire queste informazioni al fornitore della tuta per Artemis e, allo stesso tempo, sviluppare questa capacità unica di testare i futuri design delle tute spaziali.

I test realizzati con l’ausilio della CITADEL, quindi, non solo forniscono dati cruciali per il miglioramento delle tute spaziali, ma permetteranno di garantire la sicurezza degli astronauti nelle missioni future, affrontando ambienti estremi come quelli che li attendono sulla Luna e, un giorno, su Marte.

Fonti e Link Utili:

La Luna del Mese – Maggio 2025

LA LUNA DI MAGGIO 2025

Analogamente al mese appena trascorso, Maggio si apre con la fase di Primo Quarto che alle ore 15:52 del giorno 4 vedrà il ritorno del nostro satellite nelle migliori condizioni osservative rendendosi ormai visibile nelle più comode ore serali, anche se con l’avanzare della primavera il Sole ritarda sempre più il suo tramonto. Basterà attendere qualche ora e dalle ore 21:00 circa con la Luna ad un’altezza sull’orizzonte intorno ai 60° sarà possibile andare alla ricerca di una immensa varietà di dettagli con crateri di qualsiasi dimensione, scarpate, solchi e vastissimi altipiani alternati ad estese aree solo apparentemente pianeggianti dove, osservando anche ad elevati ingrandimenti, ci si renderà conto che sulla Luna il termine “pianeggiante” assume un significato estremamente relativo. Nella serata ad attirare l’attenzione saranno i monti Caucasus fra i mari Serenitatis e Imbrium unitamente alla parte più settentrionale degli Appennini, i lunghi solchi noti come Hyginus e Ariadaeus e le imponenti e spettacolari strutture crateriformi del settore S-SE dell’altopiano meridionale. Tutte queste, ma oltre a tante altre, verranno a trovarsi in prossimità della linea del terminatore con la concreta possibilità di osservazioni in alta risoluzione in caso di seeing stabile. Infine per completare la serata segnalo che la zona di massima librazione si troverà ad est del grande cratere Humboldt, alla medesima latitudine del vicino Petavius.

Monti lunari Caucasus, visibili in maggio durante il primo quarto.

Solchi Rimae Hyginus e Ariadaeus visibili durante il primo quarto nella mese di maggio.

Giunta la fase crescente al suo capolinea alle ore 18:56 del 12 Maggio col nostro satellite in Plenilunio alla distanza di 407923 km dalla Terra, diametro apparente 29,29’ ma a -16° sotto l’orizzonte, sarà sufficiente attendere le ore 20:35 della medesima serata quando sorgerà in fase di 15 giorni in tutto il suo splendore e pronto a farsi ammirare dagli appassionati con i loro binocoli e/o telescopi fino all’alba del mattino seguente quando scenderà sotto l’orizzonte contestualmente al sorgere del Sole.

Ripartita la fase calante, la Luna traslerà la propria presenza nel cielo progressivamente di sera in sera dalle comode ore tardo pomeridiane e serali fino alle più lontane ore della notte, portandosi di sera in sera prima in Ultimo Quarto alle ore 13:59 del 20 Maggio, successivamente fino al Novilunio delle ore 05:02 del 27 Maggio quando ci apparirà nuovamente in ombra. A proposito di Ultimo Quarto, alle ore 02:09 del 20 Maggio la Luna sorgerà in fase di 22 giorni. Nel caso specifico, anche se mancheranno circa 12 ore all’Ultimo Quarto, potrebbe risultare molto interessante ed anche stimolante l’osservazione al telescopio di strutture quali i crateri Eratosthenes, Copernicus, Kepler e, più a nordovest, lo spettacolare altopiano noto come Aristarchus Plateau. Ripartita dal Novilunio del 27 Maggio la fase crescente, contestualmente ad un ulteriore nuovo ciclo lunare, il mese in corso andrà a terminare con la Luna che intorno alle ore 21:30 del 31 Maggio sarà in fase di 4,7 giorni ad un’altezza di +36°, con alcune ore a disposizione prima che scenda sotto l’orizzonte poco dopo la mezzanotte.

Struttura lunare Aristarchus Plateau
ben visibile nel mese di maggio durante l’ultimo quarto.

Congiunzioni e Occultazioni Notevoli

La seconda parte dell’articolo di Francesco Badalotti, dedicato alla Luna di Maggio, con la descrizione delle Congiunzioni e Occultazioni notevoli, le Falci Lunari, e la tabella delle effemeridi è disponibile per i lettori abbonati alla versione digitale o al cartaceo.

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La Luna del Mese di mAGGIO è pubblicata in Coelum 273

–  Ogni fenomeno lunare e rispettivi orari sono rapportati alla Città di Roma, dati rilevati dai siti https://theskylive.com/http://www.marcomenichelli.it/luna.asp


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Le Costellazioni del Mese

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Le costellazioni del mese di Maggio 2025

Mentre le costellazioni invernali sono oramai tramontate, nel cielo di maggio, ponendo lo sguardo ad Est, ci imbattiamo nelle figure che ci accompagneranno durante l’estate. Tra queste in prima serata fanno il loro ingresso il Boote, la Corona Boreale e la Chioma di Berenice.

Sono asterismi non particolarmente appariscenti ma degni di attenzione poiché, come la Chioma di Berenice, ricchi di oggetti del profondo cielo e di aneddoti che intrecciano la scienza al mito.

LA COSTELLAZIONE DI CHIOMA DI BERENICE

Un groviglio di stelle sparse sui sentieri celesti del mese di maggio,ma all’apparenza vicine, danno forma a una figura nota come la Chioma di Berenice.

“E ancora umida di pianto la dea mi pose nel firmamento, nuova stella fra quelle antiche. Io, sfiorando le costellazioni della Vergine e dell’ardente Leone, insieme con Callisto volgo ad occidente guidando il lento Boòte, che solo all’alba s’immerge nel profondo Oceano”.

Catullo, Carme 66

Situata tra il Boote e il Leone, come narrano i versi di Catullo, la costellazione è ben visibile nel cielo di maggio e sino alla fine di luglio, quando la vedremo declinare gradualmente verso Ovest.

La costellazione non spicca per luminosità poiché molte delle stelle che la compongono fanno parte di un ammasso aperto, situato a 250 anni luce e noto come Mel 111 o Ammasso della Chioma di Berenice.

La sua stella principale β Comae Berenices, di magnitudine apparente 4,23, ha una magnitudine assoluta  di poco più luminosa del Sole; α Comae Berenices è la seconda stella più luminosa della costellazione è possiede il nome di Diadem: si tratta di una stella binaria con una magnitudine +4,32 e si trova a 60 anni luce.

A comporre la costellazione c’è anche la stella binaria Al Dafirah, che dall’arabo significa “treccia”.

HR Number(*) Star designation Proper name Visual magnitude
HR4983 β Comae Berenices   4.26
HR4737 γ Comae Berenices   4.36
HR4697 11 Comae Berenices   4.74
HR4920 36 Comae Berenices   4.78
HR4954 41 Comae Berenices   4.8
HR4707 12 Comae Berenices   4.81
HR4789 23 Comae Berenices   4.81
HR4894 35 Comae Berenices   4.9
HR4924 37 Comae Berenices   4.9
HR4883 31 Comae Berenices   4.94
HR4733 14 Comae Berenices   4.95
HR4667 7 Comae Berenices   4.95
HR4668     5
HR4738 16 Comae Berenices   5
HR4792 24 Comae Berenices   5.02
HR4663 6 Comae Berenices   5.1
HR4851 27 Comae Berenices   5.12
HR4717 13 Comae Berenices   5.18
HR4969 α Comae Berenices   5.22
HR4968 α Comae Berenices Diadem 5.22

OGGETTI NON STELLARI NELLA CHIOMA DI BERENICE

Tra ammassi e galassie, la costellazione è davvero ricca di oggetti del profondo cielo.

Uno di questi è M53, che appare visibile con un telescopio anche di piccole dimensioni: si tratta di un ammasso di grande interesse scientifico, che sappiamo abbondare di elementi chimici quali Ferro, Calcio, Titanio, Sodio e Ossigeno grazie alle rilevazioni dello spettrografo Hydra, montato nel telescopio Wisconsin- Indiana – Yale di 3,5 metri del National Optical Astronomy Observatory.

M53 CREDITI: LINO BENZ DEL GRUPPO ASTROFILI DEL SALENTO

Per quanto riguarda le galassie presenti nella costellazione, una delle più note e riprese dagli astrofili è M64, conosciuta come Galassia Occhio Nero o Galassia Occhio del Diavolo: è una galassia a spirale che ha di fronte al suo  luminoso centro galattico una vistosa banda scura di polveri.

M64 CREDITI: LORENZO BUSILACCHI

Particolare è l’oggetto che possiamo ammirare nell’immagine realizzata da Lorenzo Busilacchi, che mostra l’oggetto Arp242 o Galassie dei Topi, una coppia di galassie interagenti scoperta da William Herschel nel 1785, che venne catalogato come NGC 4676; l’oggetto è situato a 300 anni luce dalla Terra. 

ARP 242 CREDITI: LORENZO BUSILACCHI

Un altro interessante oggetto deepsky che si trova nella Chioma di Berenice, a 40 milioni di anni luce, è la galassia a spirale barrata NGC 4725: con un telescopio di almeno 200 mm di apertura di riesce a individuare il suo luminoso nucleo e i suoi bracci esterni.

NGC 4725 CREDITI: LINO BENZ DEL GRUPPO ASTROFILI DEL SALENTO

A 350 milioni di anni luce da noi c’è l’Ammasso della Chioma (Abell 1656), un ricco ammasso che comprende circa 1000 grandi galassie e migliaia di altre galassie più piccole: la mappatura completa è stata realizzata sono negli anni ’50 dagli astronomi dell’Osservatorio del Monte Palomar, che hanno stabilito come la maggior parte delle componenti dell’ammasso siano galassie ellittiche e lenticolari.

LA CHIOMA DI BERENICE NELLA MITOLOGIA

Regina cirenaica di rara bellezza, Berenice era la sposa del re egizio Tolomeo III: la devozione per il suo sposo era tale da spingere Berenice a consacrare la sua splendida chioma come pegno d’amore alla dea Afrodite, affinché favorisse il ritorno incolume di suo marito dalla guerra.

Quando il re tornò dalla sua amata regina, ad ella non rimase che tenere fede alla sua promessa, è così agghindó i suoi capelli in un raccolto, probabilmente una treccia, che poi tagliò, portandolo al tempio dedicato ad Afrodite.

Ma il giorno dopo di quel pegno d’amore non vi era  traccia, qualcuno lo aveva trafugato, gettando i sovrani nella rabbia e nella sconforto: a placare le ire ci pensò Conone di Samo, un matematico e astronomo dell’epoca, che tranquillizzó i sovrani asserendo di aver trovato lui la chioma della regina, in un posto speciale, ovvero di averla individuata sulla volta celeste: come ci suggeriscono i versi di Catullo, citati sopra, fu la stessa dea Afrodite a suggellare il gesto d’amore di Berenice per suo marito, trasformando la chioma in luminose stelle e ponendola nel cielo come eterno simbolo di devozione.

LA COSTELLAZIONE DEL BOOTE

Il Boote è una costellazione riconoscibile grazie ad una delle stelle più luminose del cielo notturno dopo Sirio, Canopo e Alfa Centauri, ovvero Arturo.


La stella alfa del Boote è una gigante rossa con un diametro di 35 milioni di kilometri,  grande circa 25 volte il Sole e luminosa circa 113 volte la nostra stella, ma se teniamo conto di tutte le bande dello spettro elettromagnetico allora possiamo affermare che Arturo arriva ad una luminosità totale circa 200 volte quella della nostra stella.

Alfa Boo è situata a una distanza di 36,7 anni luce da noi e, pur appartenendo all’emisfero boreale, la sua posizione 19° a Nord dell’equatore celeste, fa sì che Arturo sia visibile da tutte le aree popolate della Terra.

Nella costellazione sono presenti stelle variabili come W Bootis, molto luminosa, e stelle doppie come v1 – v2 Bootis e risolvibili anche con un binocolo.

Tabella delle stelle della Costellazione del Bootes

HR Number(*) Star designation Proper name Visual magnitude Notes
HR5340 α Boötis Arcturus -0.04 Variable;
HR5235 η Boötis Muphrid 2.68 Double;
HR5506 ε Boötis Izar 2.7 Multiple;
HR5435 γ Boötis Seginus 3.03 Variable; Multiple;
HR5681 δ Boötis   3.47 Variable; Double;
HR5602 β Boötis Nekkar 3.5 Variable;
HR5429 ρ Boötis   3.58 Variable; Double;
HR5404 θ Boötis   4.05 Variable; Double;
HR5200 υ Boötis   4.07 Variable;
HR5351 λ Boötis Xuange 4.18 Variable;
HR5733 μ1 Boötis Alkalurops 4.31 Variable; Multiple;
HR5478 ζ Boötis   4.43 Variable; Multiple;
HR5447 σ Boötis   4.46 Variable; Multiple;
HR5185 τ Boötis   4.5 Variable; Double;
HR5329 κ2 Boötis   4.54 Variable; Double;
HR5616 ψ Boötis   4.54  
HR5544 ξ Boötis   4.55 Variable; Multiple;
HR5502 ο Boötis   4.6  
HR5350 ι Boötis   4.75 Variable; Multiple;
HR5618 44 Boötis   4.76 Variable; Double;

OGGETTI NON STELLARI NELLA COSTELLAZIONE DEL BOOTES

Il Boote non ospita molti oggetti del profondo cielo e il più noto è l’ammasso globulare NGC 5466, distante50.000 anni luce e risolvibile con telescopi di almeno 250 mm di diametro.

NGC 5466 Crediti: ESA/Hubble

IL BOOTE NELLA MITOLOGIA

La mitologia greca narra del Boote in relazione all’Orsa Maggiore, nella vicenda che vede coinvolta la ninfa Callisto, figlia del re di Arcadia, Licaone, e ancella di Artemide.

La fanciulla era un’abile cacciatrice e, come tutte le ninfe al seguito di seguito di Artemide, aveva fatto voto di castità.

Vi sono diverse versioni che narrano di Callisto e dalla sua triste storia:  la bellissima ninfa era divenuta l’oggetto (ennesimo) del desiderio di Zeus che la trasformò in un’orsa per sottrarla all’ira funesta di Era, dopo che Zeus aveva giaciuto con lei.

Un’altra legenda narra che fu proprio Artemide a trasformare Callisto in un’orsa, come punizione, dopo aver scoperto lo stato di gravidanza della sua ancella che, ricordiamo, aveva fatto voto di castità.

In ogni caso la metamorfosi di Callisto avvenne dopo aver dato alla luce Arcade, un bellissimo bambino che venne allevato da Artemide e le altre sue ancelle.

Una volta diventato un giovane uomo, Arcade venne a conoscenza di un’ orsa che si aggirava nel bosco, e si mise sulle tracce per ucciderla.

Dopo essere riuscito a scovarla, Arcade si preparò ad ucciderla, ignorando che in realtà l’animale incarnasse la sua mamma: mentre il giovane era sul punto di colpire la povera orsa con una lancia, Zeus, impietosito, fermò il tempo e trasformò sia l’orsa che Arcade in stelle, collocandoli sulla volta celeste.

Nel cielo madre e figlio brillano vicini, prolungando infatti la “coda”dell’Orsa Maggiore, costellazione che rappresenterebbe Callisto, si arriva alla stella Arturo del Boote, che rappresenta invece Arcade; il nome dell’astro significa proprio “inseguitore dell’orsa”.

LA COSTELLAZIONE DELLA CORONA BOREALE

Dal mese di maggio e per tutta l’estate possiamo ammirare la Corona Boreale, un piccolo diadema di stelle posto tra Ercole e Boote.

La stella principale della costellazione è Alphecca o Gemma, una binaria a eclisse con magnitudine 2,2 e distante dalla Terra 75 anni luce.

CORONA BOREALE CREDITI: GIUSEPPE J. DONATIELLO

Le altre stelle più luminose che compongono la Corona Boreale sono Nusakan (Beta Corona Borealis) e Gamma Corona Borealis.

Tabella delle stelle della Costellazione del Bootes

HR Number(*) Star designation Proper name Visual magnitude Notes
HR5958     2 Variable; Double;
HR5793 α Coronae Borealis Alphecca 2.23 Variable;
HR5747 β Coronae Borealis Nusakan 3.68 Variable; Double;
HR5849 γ Coronae Borealis 3.84 Variable; Double;
HR5778 θ Coronae Borealis 4.14 Variable; Double;
HR5947 ε Coronae Borealis 4.15 Multiple;
HR5889 δ Coronae Borealis 4.63 Variable;
HR6018 τ Coronae Borealis 4.76 Variable; Double;
HR5901 κ Coronae Borealis 4.82 Double;
HR6103 ξ Coronae Borealis 4.85 Double;
HR5971 ι Coronae Borealis 4.99 Variable;
HR5834 ζ2 Coronae Borealis 5.07 Double;
HR5800 μ Coronae Borealis 5.11  
HR6107 ν1 Coronae Borealis 5.2 Variable; Multiple;
HR6108 ν2 Coronae Borealis 5.39  
HR5968 ρ Coronae Borealis 5.41 Double;
HR5936 λ Coronae Borealis 5.45 Double;
HR5709 ο Coronae Borealis 5.51 Variable; Double;
HR5855 π Coronae Borealis 5.56  
HR5957     5.62  

OGGETTI NON STELLARI NELLA CORONA BOREALE

La piccola costellazione ospita un ammasso di galassie, Abell2065, situato a un miliardo di anni luce dal nostro Sistema Solare, con magnitudine 15.

L’ammasso fa parte di uno dei più grandi e particolari superammassi di galassie dell’emisfero boreale, ovvero il Superammasso della corona Boreale.

Esso si trova a 946 milioni di anni luce e contiene sette ammassi, di cui Abell 2056, 2061, 2065, 2067 e 2089 sono legati gravitazionalmente e sono nella fase di collasso per formare un grosso ammasso.

LA CORONA BOREALE NELLA MITOLOGIA

Una corona di stelle, un dono di nozze e il legame tra mitologia e volta celeste: pare infatti che il dio Dioniso si innamoròperdutamente di Arianna,figlia di Minossee promessa sposadi Teseo; la giovane fanciulla però fu lasciatada Teseo prima del matrimonio, sull’isola di Nasso: dall’evento pare sia nata la  locuzione  “piantare in Nasso”.

Quando il dio la vide piangere, inconsolabile per l’abbandono subito, decise di regalarle una meravigliosa e brillante corona come dono di nozze.

Il diadema donato ad Arianna si trasformò in stelle dopo che il dio Efesto lo ebbe lanciato in cielo e lì rimase a brillare per l’eternità.

 

Le costellazioni del mese di Aprile 2025

Tutte le sere, quando si apre il sipario della notte, nel cielo nero si accendono le stelle e inizia lo spettacolo che da millenni mette in scena storie in cui si muovono eroi dotati di superpoteri, mostri e ibridi da fantascienza, fanciulle più divine che terrestri: tutti impegnati in un repertorio d’amori e d’avventure ai confini della realtà.

Margherita Hack

Nel cielo di aprile incontriamo le costellazioni della Vergine e dei Cani da Caccia, ricche di oggetti molto amati dagli astrofili e circondate da storie e leggende mitologiche.

LA COSTELLAZIONE DELLA VERGINE

Quella della Vergine è una costellazione molto estesa (circa 1300 gradi quadrati) la seconda più ampia della volta celeste dopo l’Hydra; l’asterismo è posto tra quello del Leone e quello della Bilancia ed è facilmente individuabile grazie alla sua stella più brillante Spica (alfa Virginis), un astro di colore bianco-azzurro che con la sua magnitudine di 1.04 si colloca al quindicesimo posto tra le stelle più brillanti del cielo notturno.

Spica è situata a una distanza di 262 anni luce e si trova in direzione della mano della fanciulla che la costellazione della Vergine rappresenta, indicando una spiga di grano stretta tra le dita.

Insieme alle stelle Arturo del Boote e Denebola del Leone, Spica costituisce uno dei vertici del Triangolo primaverile.

Tra gli astri che compongono la costellazione della Vergine la seconda più luminosa è Porrima (gamma Virginis), una stella doppia di magnitudine apparente di 2.74, le cui componenti sono di pari colore (giallastro); il sistema binario è posto a una distanza di 39 anni luce.

Al terzo posto per luminosità brilla la stella gigante gialla Vindemiatrix (epsilon Virginis) o Vendemmiatrice, che possiede una magnitudine di 2.85, distante 102 anni luce: le origini del nome di questa stella risalgono a più di 2.000 anni fa quando epsilon Virginis sorgeva alle prime luci dell’alba a inizio settembre, periodo in cui si svolgeva la vendemmia.

A causa della Precessione degli Equinozi, le cose ad oggi sono un po’ variate, e Vindemiatrix ha lasciato il posto agli astri della costellazione del Leone.

Tabella delle stelle della Costellazione della Vergine

HR Number(*) Star designation Proper name Visual magnitude Notes  
HR5056 α Virginis Spica 0.98 Variable; Multiple;  
HR4932 ε Virginis Vindemiatrix 2.83 Variable; Double;  
HR5107 ζ Virginis Heze 3.37    
HR4910 δ Virginis Minelauva 3.38 Variable; Double;  
HR4540 β Virginis Zavijava 3.61 Multiple;  
HR4825 γ Virginis Porrima 3.65 Variable; Multiple;  
HR4826 γ Virginis   3.68 Variable; Multiple;  
HR5511 109 Virginis   3.72 Variable;  
HR5487 μ Virginis   3.88    
HR4689 η Virginis Zaniah 3.89 Variable; Multiple;  
HR4517 ν Virginis   4.03 Variable;  
HR5338 ι Virginis Syrma 4.08 Variable;  
HR4608 ο Virginis   4.12    
HR5315 κ Virginis Kang 4.19    
HR5264 τ Virginis   4.26 Multiple;  
HR4963 θ Virginis   4.38 Multiple;  
HR5601 110 Virginis   4.4    
HR5359 λ Virginis Khambalia 4.52 Variable;  
HR4589 π Virginis   4.66    
HR4813 χ Virginis   4.66 Multiple;  

OGGETTI NON STELLARI NELLA COSTELLAZIONE DELLA VERGINE

Nella costellazione della Vergine risiedono oggi del profondo cielo davvero affascinanti: uno dei più importanti è l’ammasso di galassie della Vergine, composto da circa

2. 500 membri e che a sua volta fa parte del Superammasso della Vergine, di cui fa parte anche il Gruppo Locale, ovvero il gruppo di galassie a cui appartiene la nostra Via Lattea.

IMMAGINE CATENA DI MARKARIAN CREDITI: GIANNI MELIS

Parte dell’Ammasso della Vergine è composto dall’oggetto deep sky noto come Catena di Markarian: si tratta di una striscia di galassie disposta lungo una linea vagamente incurvata, che prende il nome dall’astrofisico armeno Benjamin Markarian, il quale scoprì il moto comune della galassie nei primi anni 60.

Tra gli altri oggetti non stellari nella Vergine come non citare uno dei più noti del profondo cielo, ovvero M87, la galassia che con il suo getto relativistico e l’emissione di raggi X e gamma rappresenta un importante oggetto di studio nell’ambito dell’astronomia e radio astronomia.

IMMAGINE M87 CREDITI: NASA, ESA e Hubble Heritage Team (STScI/AURA); Riconoscimenti: P. Cote (Herzberg Institute of Astrophysics) ed E. Baltz (Stanford University)

La galassia ospita un buco nero supermassiccio e una famiglia di circa 15.000 ammassi globulari: il getto rilasciato dal centro galattico è un flusso di materiale alimentato dal buco nero che viene espulso dal nucleo di M87. Mentre il materiale gassoso dal centro della galassia si accumula sul buco nero, l’energia rilasciata produce un flusso di particelle subatomiche che vengono accelerate a velocità prossime a quella della luce.

La Vergine ospita una scenografica coppia di galassie nota come Arp 240, composta da galassie a spirale di massa e dimensioni simili, NGC 5257 e NGC 5258. Le galassie interagiscono visibilmente tra loro tramite un ponte di stelle fioche che le collega.

IMMAGINE ARP 240 CREDITI: Hubble Collaboration e A. Evans (University of Virginia, Charlottesville/NRAO/Stony Brook University)

Infine un ultimo sguardo su un’altra galassia molto conosciuta, ovvero M104, nota come Galassia Sombrero

M104 CREDITI: GIANNI MELIS

LA VERGINE NELLA MITOLOGIA

La costellazione della Vergine viene rappresentata come una fanciulla con in mano delle spighe: l figura è da sempre associata al chicco di grano che muore e rinasce, al periodo dei raccolti, alla mietitura, da cui deriva proprio il nome della Stella alfa della costellazione, ovvero Spica, che è visibile dopo il tramonto proprio durante i mesi primaverili ed estivi.

Nella mitologia la figura della Vergine mette d’accordo un po’ tutte le antiche popolazioni, dai Sumeri agli Egizi, ai greci: ad essa si associa l’alternarsi delle stagioni e del ciclo della vita.

La mitologia greca ci porta in Sicilia, sulle rive del Lago di Pergusa, nell’entroterra ennese, dove una giovane fanciulla di nome Proserpina, figlia di Demetra, (dea dell’agricoltura e della fertilità) , era intenta a raccogliere dei fiori quando, da una fenditura del terreno, uscì fuori un cocchio trainato da quattro cavalli e condotto dal dio dell’oltretomba Plutone, che rapí la giovane (il famoso ratto di Proserpina) facendone la sua sposa e trascinandola con sé negli inferi.

Demetra, dopo averla cercata ovunque, fu mossa da una disperazione tale da lasciar calare un lungo e freddo inverno sulla campagna siciliana, provocando devastazione e terreni non più fertili.

Dopo qualche tempo la dea interpelló il dio del Sole Elio, testimone del rapimento di Proserpina: fu allora che Demetra si recò da Giove minacciando di far morire ogni forma di vita esistente se non le fosse restituita sua figlia.

Plutone a quel punto, incalzato da Giove, acconsentí a rendere la fanciulla a sua madre, ma bleffando: egli infatti offrì a Proserpina un melograno avvelenato di cui ella però mangiò solo pochi semi.

Gli dei, mossi dalla pena e dalle minacce di Demetra, stabilirono un compromesso: Proserpina avrebbe vissuto per sei mesi negli inferi con Plutone e sei mesi sulla Terra con sua madre.

Questo alternarsi tra l’ombra e la luce è il simbolo del chicco che muore e rinasce e del continuo incedere delle stagioni e della vita stessa.

LA COSTELLAZIONE DEI CANI DA CACCIA

Alta sull’orizzonte orientale, nel mese di aprile, possiamo osservare la costellazione dei Cani di Cacci.

Posta accanto alla Chioma di Berenice, tra il Boote e l’Orsa Maggiore, questa costellazione appare visibile nel cielo primaverile ed estivo.

La sua stella principale, alfa Canum Venaticorum, è nota anche come Cor Caroli, ed è una stella doppia di magnitudine 2,89 distante 110 anni luce, risolvibile già attraverso l’impiego di un buon telescopio.

HR Number(*) Star designation Proper name Visual magnitude Notes
HR4915 α2 Canum Venaticorum Cor Caroli 2.9 Variable; Double;
HR4785 β Canum Venaticorum Chara 4.26 Variable;
HR5112 24 Canum Venaticorum   4.7 Variable;
HR5017 20 Canum Venaticorum   4.73 Variable;
HR5219     4.74 Variable;
HR4716 5 Canum Venaticorum   4.8 Variable;
HR5127 25 Canum Venaticorum   4.82 Multiple;
HR4997     4.92  
HR5110     4.98 Variable;
HR4846   La Superba 4.99 Variable;
HR4728 6 Canum Venaticorum   5.02  
HR5023 21 Canum Venaticorum   5.15 Variable;
HR4943 14 Canum Venaticorum   5.25 Variable;
HR4690 3 Canum Venaticorum   5.29  
HR4783     5.42  
HR5186     5.5 Double;
HR5032 23 Canum Venaticorum   5.6  
HR4914 α1 Canum Venaticorum   5.6 Double;
HR5195     5.62  
HR4945     5.63 Double;

OGGETTI NON STELLARI NELLA COSTELLAZIONE DEI CANI DA CACCIA

Questa è una costellazione che ospita davvero molti interessanti oggetti del profondo cielo, ripresi facilmente anche in maniera amatoriale.

Uno di questi è senza dubbio Messier 106, una galassia a spirale relativamente vicina, a poco più di 20 milioni di anni luce di distanza.

A 100 milioni di anni luce da noi è presente un ammasso di una ventina di galassie, il cosiddetto ammasso Hickson Compact Group 68, uno dei più luminosi ed appariscenti gruppi del catalogo Hickson.

HGC 68 CREDITI: GIUSEPPE LIVRIERI

Nella costellazione è presente anche un luminoso ammasso globulare noto come M3, uno dei più brillanti del cielo.

L’ammasso è visibile già all’oculare di un buon binocolo, per rivelarsi al meglio attraverso l’utilizzo di un telescopio anche amatoriale.

Le notti di primavera sono l’ideale per accingersi all’osservazione di M3.

I CANI DA CACCIA TRA MITO E STORIA

Nel 1687 l’astronomo polacco Johannes Hevelius formò la costellazione dei Cani da Caccia, inserendola tra il Boote e l’Orsa Maggiore, in una regione di cielo a suo dire troppo vuota e che bisognava integrare con un oggetto che comprendesse anche la stella Cor Caroli, Cuore di Carlo (ll d’Inghilterra).

Perché la scelta fosse ricaduta proprio su due cani da caccia non è ben chiaro: essi venivano attribuiti ora al Boote ora all’Orsa Maggiore.

Un’altra storia ci porta tra gli intrighi della corona inglese, dove il medico di corte Charles Scarborough denominó una stella con l’appellativo di Cor Caroli, in onore di Carlo l, in seguito alla sua decapitazione durante la guerra civile inglese.

Successivamente Edmund Halley associó l’astro a Carlo ll, salito al trono dopo la morte del padre: il monarca accolse con entusiasmo che il suo nome fosse tra le stelle e, mosso forse da una certa riconoscenza nei confronti di Halley, decise di dare il via alla realizzazione di uno dei più illustri osservatori del mondo: l’osservatorio Astronomico di Greenwich.

Le costellazioni del mese di Marzo 2025

Nel cielo di Marzo troveremo costellazioni sia facili che meno note e luminose: la Costellazione del Leone, la Costellazione del Leone Minore e la Costellazione della Giraffa.

LA COSTELLAZIONE DEL LEONE

Una delle costellazioni protagoniste del cielo primaverile, che transita al meridiano intorno al  15 di aprile, è indubbiamente la Costellazione del Leone: essa è posta tra il Cancro e la Vergine ed è osservabile già dalla prima serata; per riconoscerla sarà sufficiente individuare la tipica forma trapezoidale che la identifica, di cui la stella Regolo (alfa Leonis) costituisce uno dei suoi vertici (quello orientato a Sud-Ovest).

Regolo è un sistema stellare composto da quattro stelle divise in due coppie; con la sua magnitudine +1,40 è la ventunesima stella più luminosa del cielo notturno. Dista circa 79 anni luce da noi e la sua vicinanza all’Equatore celeste fa sì che possa essere osservata da tutte le aree popolate della Terra.

Con il suo colore bianco-azzurro, Regolo si rende facilmente visibile nelle serate primaverili e, insieme ad altre stelle della costellazione del Leone, va a comporre un asterismo chiamato Falce.

Si tratta di un oggetto molto brillante, noto anche come Falce Leonina, la cui forma richiama appunto quella dell’oggetto di cui porta il nome.

Il vertice Sud-Orientale della figura del Leone è costituito dalla stella Denebola, che rappresenta la coda dell’animale: è una delle stelle più vicine a noi, trovandosi a 36 anni luce di distanza; con la sua luce bianca è circa 17 volte più luminosa del Sole.

Denebola è una stella variabile della tipologia Delta Scuti, con una luminosità che varia leggermente nel giro di poche ore.

Da studi cinematici risulta che Denebola potrebbe essere una componente di un’associazione stellare di cui fanno parte anche Alpha Pictoris, Beta CanisMinoris e l’ammasso aperto IC 2391.

Numero HR(*) Designazione della stella Nome proprio Magnitudine visiva Appunti
HR3982 Un leone Regolo 1.35 Variabile; Multiplo;
HR4534 ß Leone Denebola 2.14 Variabile; Multiplo;
HR4357 dLeoni Zosma 2.56 Variabile; Multiplo;
HR4057 ?1 Leone Algieba 2.61 Variabile; Multiplo;
HR3873 E Leonis   2,98 Variabile;
HR4359 ? Leoni Certan 3.34 Variabile;
HR4031 ? Leoni Adhafera 3.44 Variabile; Doppio;
HR3975 E Leonide   3.52 Variabile; Doppio;
HR3852 o Leonis Subra 3.52 Multiplo;
HR4058 ?2 Leoni   3.8 Variabile; Multiplo;
HR4133 ? Leonis   3,85 Variabile;
HR3905 µ Leonis Rasala 3.88  
HR4399 Io Leonis   3.94 Variabile; Doppio;
HR4386 s Leonis   4.05  
HR4471 di Leonis   4.3 Raddoppiare;
HR3773 ? Leoni Alterf 4.31 Variabile;
HR3980 31 Leoni   4.37 Raddoppiare;
HR4300 60 Leoni   4.42  
HR3731 e Leonis   4.46 Variabile; Multiplo;
HR4368 f Leoni   4.47 Raddoppiare;

OGGETTI NON STELLARI NELLA COSTELLAZIONE DEL LEONE

GALASSIA A SPIRALE NGC 2903 CREDITI: ESA/Hubble, NASA e L. Ho, J. Lee e il team PHANGS-HST

La costellazione del Leone ospita diversi oggetti non stellari come le galassie M65M66M105 e NGC 2903: quest’ultima, oltre ad essere una galassia a spirale barrata, è anche l’oggetto più brillante della costellazione e possiamo ammirarne i dettagli nell’incredibile immagine ad alta risoluzione catturata dal Telescopio Spaziale HUBBLE, attraverso l’utilizzo della Advanced Camera for Surveys (ACS) e la Wide Field Camera 3 (WFC3).

TRIPLETTO DEL LEONE CREDITI: MASSIMO DI FUSCO

Le Galassie M66, M65 e NGC 3628 formano il famigeratoTripletto del Leone, che si trova a 35 milioni di anni luce dalla Terra. Entro i confini della costellazione sono stati scoperti anche diversi sistemi planetari: attorno alla nana rossa Gliese 436, posta a 33 anni luce dal Sole, orbita un pianeta la cui massa è simile a quella di Nettuno; vi è poi la stella HD 102272 attorno alla quale orbitano due pianeti di tipo giovano.

IL LEONE NELLA MITOLOGIA

Nota già sin dai tempi dei Babilonesi per la sua identificazione con il Sole, poiché ospitava il Solstizio d’Estate, la costellazione del Leone è mitologicamente legata alla figura di Ercole.

Secondo il mito, la dea Era possedeva un famelico leone che tormentava il popolo di Nemea: l’animale, dotato di una spessa e invulnerabile pelliccia, sembrava essere immune a qualsiasi arma.

Nell’impresa di cacciarlo e ucciderlo vi riuscì solamente Ercole, che dopo aver sconfitto la feroce bestia, la scuoiò, indossando da quel momento la pelliccia impenetrabile del leone. La fierezza dell’animale fu tramutata in stelle da Zeus, che collocò la sua figura sulla volta celeste.

LA COSTELLAZIONE DEL LEONE MINORE

Nel cielo serale di marzo possiamo cercare la piccola costellazione del Leone Minore: essa raffigura un cucciolo di leone e fu introdotta nel 1687dall’astronomo polacco Johannes Hevelius.

La costellazione è situata tra quella del Leone e dell’Orsa Maggiore, composta da debole stelli che non appartenevano a nessun’altra figura celeste.

Una curiosità riguardo a questo asterismo è che nonostante abbia una stella beta, non possegga una stella alfa: pare che proprio il fautore della costellazione non si preoccupò di classificare le stelle che aveva raggruppato nel Leone Minore e così circa 150 anni dopo, l’astronomo inglese Francis Baily, assegnò la lettera Beta alla seconda stella in ordine di brillantezza del Leone Minore, ma lasciò senza denominazione la più brillante!

Si tratta di Praecipua, una stella gigante di classe spettraleK0 situata ad una distanza di circa 98 anni luce, che ha una magnitudine apparente di 3,83.

La stella beta del Leone Minore è una binaria di magnitudine 4,2 e le sue componenti orbitano tra loro in un periodo di 37 anni.

Numero HR(*) Designazione della stella Nome proprio Magnitudine visiva Appunti
HR4247 46 Leone Minore Precipuo 3.83 Variabile;
HR4100 ß Leone Minore 4.21 Raddoppiare;
HR3974 21 Leoni Minori 4.48 Variabile;
HR3800 10 Leoni Minori 4.55 Variabile;
HR4166 37 Leone Minore 4.71  
HR4090 30 Leoni Minori 4.74  
HR4192 41 Leone Minore 5.08  
HR3928 19 Leoni Minori 5.14  
HR4203 42 Leone Minore 5.24 Raddoppiare;
HR4024 23 Leoni Minori 5.35  
HR3951 20 Leoni Minori 5.36 Raddoppiare;
HR3769 8 Leoni Minori 5.37 Variabile;
HR3815 11 Leone Minore 5.41 Variabile; Doppio;
HR4081 28 Leone Minore 5.5  
HR4189 40 Leoni Minori 5.51 Multiplo;
HR4137 34 Leone Minore 5.58  
HR4113 32 Leoni Minori 5.77  
HR3993     5,85 Variabile;
HR4168 38 Leone Minore 5,85  
HR3764 7 Leoni Minori 5,85 Multiplo;

OGGETTI NON STELLARI NELLA COSTELLAZIONE DEL LEONE MINORE

Uno degli oggetti non stellari più brillanti della costellazione è la galassia NGC 3344, ben visibile con un telescopio di 150 mm di apertura.

NGC 3344 CREDITI: CRISTINA CELLINI

Vi sono poi altre galassie di facile osservazione come NGC 3486 e NGC 2859, anche se l’oggetto più misterioso presente nella costellazione è quello denominato come Hanny’s Voorwerp: dall’olandese “Oggetto di Hanny”,  si tratta di un bizzarro oggetto che il telescopio della NASA/ESA, ha immortalato come  un’insolita e spettrale macchia di gas verde che sembra fluttuare vicino a una galassia a spirale dall’aspetto normale, chiamata IC 2497.

HANNY’S VOORWERP CREDITI: NASA, ESA, William Keel (Università dell’Alabama, Tuscaloosa) e il team del Galaxy Zoo

L’oggetto  verdastro è visibile perché è stato illuminato da un fascio di luce proveniente dal nucleo della galassia. Questo fascio proveniva da un quasar, un oggetto luminoso ed energetico alimentato da un buco nero.

Il quasar potrebbe essersi spento negli ultimi 200.000 anni.

LA COSTELLAZIONE DELLA GIRAFFA

In una remota area di cielo compresa tra Orsa Maggiore, Cassiopea e Auriga, è posta la costellazione della Giraffa, nota anche come Camelopardalis.

Si tratta di una costellazione circumpolare difficilmente riconoscibile ad occhio nudo, soprattutto da un cielo urbano, proprio perché è collocata in una regione buia della volta celeste ed è composta da stelle molto deboli.

La più luminosa della Giraffa è Beta Camelopardalis, una supergigante gialla di magnitudine +4,03 distante circa 900 anni luce.

Alfa Camelopardalis è invece una stella supergigante blu con magnitudine apparente di +4,29, distante 5240 anni luce.

Numero HR(*) Designazione della stella Nome proprio Magnitudine visiva Appunti
HR1603 ß Giraffa   4.03 Multiplo;
HR1035     4.21 Variabile; Doppio;
HR1542 a Giraffa   4.29  
HR1155     4.47 Variabile;
HR1568 7 Giraffe   4.47 Multiplo;
HR1040     4.54  
HR2527     4.55  
HR1148 ? Giraffa   4.63 Multiplo;
HR1129     4.8 Raddoppiare;
HR2209     4.8  
HR985     4.84 Variabile; Doppio;
HR2742     4,96 Variabile;
HR1205     5 Raddoppiare;
HR1204     5.03  
HR1686     5.05 Multiplo;
HR1467 3 Giraffe   5.05 Variabile; Doppio;
HR1242     5.06  
HR1622 11 Giraffe 5.08 Variabile; Multiplo;
HR1046     5.09 Variabile; Multiplo;
HR1105     5.1 Variabile;

OGGETTI NON STELLARI NELLA COSTELLAZIONE DELLA GIRAFFA

Questa costellazione è tuttavia ricca di vari oggetti del profondo cielo: tra questi c’è l’ammasso 1502, composto da una cinquantina di stelle osservabile già con un buon binocolo.

NGC 1502 CREDITI: LINO BENZ DEL GRUPPO ASTROFILI DEL SALENTO

Nei pressi dell’ammasso si trova un oggetto davvero affascinante, la cosiddetta Cascata di Kemble, un asterismo che appare come una sequenza di stelle di diversi colori e luminosità, disposte e allineate sono per un effetto prospettico.

Addentrandoci ancora nel profondo cielo in direzione della Giraffa, incontriamo la galassia a spirale intermedia NGC 2403, un oggetto molto amato dagli astrofili.

NGC 2403 CREDITI: MASSIMO DI FUSCO

Nell’immagine di seguito, realizzata da Lino Benz del Gruppo Astrofili del Salento, possiamo apprezzare una serie di oggetti nella Giraffa: si tratta di vdB 14,vdB 15, Sh2-202 e Stock 23.

VDB14, VDB 15, SH2-202, STOCK 23 CREDITI: LINO BENZ DEL GRUPPO ASTROFILI DEL SALENTO

vdB 14  e vdB 15 sono rispettivamente una piccola nebulosa a riflessione e una brillante nebulosa a riflessione, che si trova a circa 2600 anni luce da noi all’interno della nostra galassia.

Sh2-202 è un’estesa nebulosa diffusa visibile al confine fra le costellazioni di Cassiopea e della Giraffa. Èindividuabile ad  est del Complesso delle nebulose Cuore e Anima, nel punto in cui la scia luminosa della Via Lattea sembra interrompersi bruscamentea causa di grossi banchi di polveri oscure.

L’altro oggetto presente nell’immagine è Stock 23, classificato talvolta come ammasso aperto e talvolta come un semplice asterismo.

Trattandosi di una costellazione creata da PetrusPlancius nel 1612, quella della Giraffa non possiede riferimenti mitologici.

Le costellazioni del mese di Febbraio 2025

Nel cielo di febbraio troveremo le costellazioni che caratterizzano l’inverno boreale: in prima serata brillano inconfondibili le figure di Orione, Toro, Auriga, Gemelli e il Cane Maggiore con la sua luminosa Sirio.

LA COSTELLAZIONE DEI GEMELLI

In questo mese la volta celeste ci offre la visione delle stelle Castore e Polluce, simbolo della costellazione dei Gemelli, che transita al meridiano intorno al 20 febbraio: con una magnitudine di 1,6 e distante circa 52 anni luce da noi, Castore è composta da tre coppie di stelle aventi una complessa interazione gravitazionale tra di loro; sebbene Castore venga indicata come la stella alfa della costellazione, è in realtà meno luminosa di Polluce.

Beta Geminorum, ovvero Polluce, è una gigante  di colore arancione con una magnitudine di 1,15 ed è situata a 34 anni luce da noi.

La classificazione delle stelle alfa e beta dei Gemelli è un po’ controversa: benché Polluce sia più brillante di Castore, tanto da occupare il 17° posto nella lista delle 20 stelle più luminose del cielo notturno, come già accennato è Castore a rivestire il ruolo di stella principale della costellazione.

Johann Bayer, autore del primo atlante celeste, decise di assegnare il ruolo di stella alfa dei Gemelli a Castore, ma Polluce in realtà detiene un premio di consolazione molto importante: è una delle poche stelle visibili attorno a cui ruota un pianeta.

Circa 10 anni fa infatti è stato scoperto un pianeta gigante gassoso simile a Giove, che compia un’orbita completa attorno alla sua stella in 590 giorni, a cui è stato dato il nome di Polluce b.

Nella costellazione si trovano anche altre stelle molto più luminose di Castore e Polluce, ma più distanti, quindi meno brillanti, come Alhena e Mebsuta: la prima è un subgigante bianca di magnitudine 1,93 e distante 105 anni luce da noi.

La seconda è una supergigante gialla di magnitudine assoluta – 4,15 e distante 903 anni luce.

HR Number(*) Star designation Proper name Visual magnitude Notes
HR2990 β Geminorum Pollux 1.14 Variable; Multiple;
HR2421 γ Geminorum Alhena 1.93 Multiple;
HR2891 α Geminorum Castor 1.98 Variable; Multiple;
HR2890 α Geminorum   2.88 Multiple;
HR2286 μ Geminorum Tejat 2.88 Variable; Multiple;
HR2473 ε Geminorum Mebsuta 2.98 Variable; Double;
HR2216 η Geminorum Propus 3.28 Variable; Multiple;
HR2484 ξ Geminorum Alzirr 3.36 Variable;
HR2777 δ Geminorum Wasat 3.53 Multiple;
HR2985 κ Geminorum   3.57 Double;
HR2763 λ Geminorum   3.58 Variable; Multiple;
HR2540 θ Geminorum   3.6 Multiple;
HR2650 ζ Geminorum Mekbuda 3.79 Variable; Multiple;
HR2821 ι Geminorum   3.79  
HR2905 υ Geminorum   4.06 Variable; Double;
HR2343 ν Geminorum   4.15 Multiple;
HR2134 1 Geminorum   4.16 Variable; Multiple;
HR2852 ρ Geminorum   4.18 Multiple;
HR2973 σ Geminorum   4.28 Variable; Double;
HR2697 τ Geminorum   4.41 Variable; Multiple;

OGGETTI NON STELLARI NELLA COSTELLAZIONE DEI GEMELLI

Tra gli oggetti del profondo cielo presenti nei Gemelli troviamo IC443, nota come Nebulosa Medusa, una nebulosa planetaria a circa 5000 anni luce di distanza, soggetto molto amato dagli astrofili.

Ripresa di IC443. Crediti di Lorenzo Busilacchi

Sempre a proposito di nebulose vale la pena citare NGC2392, ovvero la scenografica Nebulosa Eskimo, a 6500 anni luce di distanza.

NGC 2392 Nebulosa Eskimo CREDITI: LORENZO BUSILACCHI

Nella costellazione sono presentigli ammassi M35 e NGC 2158, entrambi prospetticamente vicini e individuabili già con un buon binocolo.

IMMAGINE M35 E NGC 2158 CREDITI: MASSIMILIANO PEDERSOLI

I GEMELLI NELLA MITOLOGIA

I due gemelli per antonomasia sono protagonisti di varie pagine di mitologia greca: al centro delle vicende c’è anche (come sempre!) Zeus, che sappiamo essere molto determinato quando si tratta di sedurre una delle sue vittime prescelte, e di ricorrere alle sue note metamorfosi in animali per riuscirci.

Avendo perso la testa per Leda, nipote di Ares e regina di Sparta, Zeus si trasformò in cigno e possedette la giovane mentre passeggiava sulla riva del fiume: dall’uovo concepito (o forse erano due) vennero alla luce quattro bambini, ma poiché quella stessa notte Leda giacque con suo marito Tindaro, non v’è certezza sulla reale paternità dei nascituri.

A Zeus furono attribuiti i gemelli immortali Polluce ed Elena (di Troia), mentre il re Tindaro riconobbe la paternità di Castore e Clitennestra.

Nonostante questa classificazione, Castore e Polluce ebbero l’appellativo di Dioscuri, è quindi riconosciuti sia come figli di Zeus che di Tindaro.

Castore era un domatore di cavalli mentre Polluce si distingueva come un pugile formidabile; entrambi nutrivano un forte sentimento fraterno l’uno per l’altro ed erano inseparabili, tanto da prendere insieme parte anche alla famosa spedizione degli Argonauti e, tra le tante avventure, sfidarono addirittura Teseo.

Un evento fatale li vide però coinvolti, segnando il loro destino: per una storia di donne e bestiame, i due gemelli mitologici si trovarono a battersi in duello con un’altra coppia di gemelli, Ida e Linceo.

Nella sfida fu Castore ad avere la peggio tanto che Polluce, dilaniato dal dolore per la perdita dell’amato fratello, implorò Zeus affinché potesse lasciare la terra insieme a lui.

Zeus fu impietosito dalle lacrime di suo figlio e concesse a Polluce di poter condividere con Castore un abbraccio eterno impresso sul manto celeste, brillando nelle stelle a cui danno il nome.

LA COSTELLAZIONE DEL CANE MAGGIORE

Nel pieno dell’inverno boreale possiamo ammirare nel cielo la brillante stella Sirio.

L’astro fa parte della costellazione del Cane Maggiore, rappresentando la sua stella principale e componendo uno dei vertici del Triangolo Invernale.

La costellazione è poco appariscente ed è composta, oltre a Sirio, dalle stelle Mizam, Adhara, Wezen, Aludra e Furud.

In questi anni la compagna di Sirio, la nana bianca Sirio B si sta avvicinando al suo punto di massima distanza, rendendo più facile riuscire a osservarla anche con telescopi amatoriali. In questa ripresa effettuata la mattina del 28 ottobre 2020 sono riuscito a fotografarla al fuoco diretto con un Celestron C11 e Zwo Asi 224MC. In alcuni vecchi libri letti quando ancora ero bambino, si racconta che abitanti di un pianeta orbitante intorno a Sirio B abbiano visitato la Terra in tempi lontani. Anche questo aiuta a rendere ancora più affascinate e nostalgica la sua osservazione…. Crediti: Fabrizio Guasconi

Con il suo freddo bagliore bianco-azzurro, Sirio è una vera regina del cielo, riconoscibile anche dai meno esperti: l’astro è posto a 8,6 anni luce e ha una magnitudine apparente – 1,47.

In realtà si tratta di un sistema binario, composto da Sirio A e Sirio B, quest’ultima difficile da immortalare, ma non impossibile, a patto che si disponga di un’ottima attrezzatura e tanta pazienza.

La difficoltà è data dall’importante luminosità della componente principale che offusca la componente secondaria.

HR Number(*) Star designation Proper name Visual magnitude Notes
HR2491 α Canis Majoris Sirius -1.46 Multiple;
HR2618 ε Canis Majoris Adhara 1.5 Double;
HR2693 δ Canis Majoris Wezen 1.84 Variable;
HR2294 β Canis Majoris Mirzam 1.98 Variable; Double;
HR2827 η Canis Majoris Aludra 2.45 Double;
HR2282 ζ Canis Majoris Furud 3.02 Variable; Double;
HR2653 ο2 Canis Majoris   3.02  
HR2646 σ Canis Majoris Unurgunite 3.47 Variable; Double;
HR2749 ω Canis Majoris   3.85 Variable;
HR2580 ο1 Canis Majoris   3.87 Variable;
HR2429 ν2 Canis Majoris   3.95 Variable;
HR2538 κ Canis Majoris   3.96 Variable;
HR2574 θ Canis Majoris   4.07  
HR2657 γ Canis Majoris Muliphein 4.12  
HR2387 ξ1 Canis Majoris   4.33 Variable; Multiple;
HR2596 ι Canis Majoris   4.37 Variable;
HR2782 τ Canis Majoris   4.4 Variable; Multiple;
HR2443 ν3 Canis Majoris   4.43  
HR2361 λ Canis Majoris   4.48  
HR2414 ξ2 Canis Majoris   4.54  

OGGETTI NON STELLARI NELLA COSTELLAZIONE DEL CANE MAGGIORE

Trovandosi in una porzione di cielo attraversata dalla Via Lattea, la costellazione ospita diversi oggetti del profondo cielo: tra le nebulose spicca IC 2177, nota come Nebulosa Gabbiano, situata a 3260 anni luce.

IC 2177 CREDITI: LINO BENZ

Un altro oggetto molto amato e ripreso dagli astrofili è la Nebulosa Elmetto di Thor, NGC 2359, visibile con telescopi di almeno 120mm di diametro.

NEBULOSA ELMETTO DI THOR CREDITI: EGIDIO VERGANI

IL CANE MAGGIORE NELLA MITOLOGIA

Il Cane Maggiore trova posto nella mitologia in riferimento al fedele cane da caccia di Orione, ovvero Sirio.

Della luminosa stella si narra nel mito greco anche in riferimento al suo sorgere all’alba, che indicava l’arrivo dei giorni più roventi dell’estate, della canicola, ovvero i giorni del Cane.

“Abbaiando lancia fiamme e raddoppia il caldo ardente del Sole” scriveva Manlio, “la torrida Stella del Cane spacca i campi” narrava invece Virgilio nelle Georgiche; è chiaro che a Sirio veniva attribuita la causa del caldo torrido che infuocava i campi, rinsecchendo i raccolti.

Le costellazioni del mese di Gennaio 2025

Ora era onde ‘l salir non volea storpio chè il Sole avea il cerchio di merigge lasciato al Tauro e la notte a lo Scorpio…

Dante, Divina Commedia

Nel cuore dell’inverno boreale possiamo ammirare un cielo sfavillante di costellazioni luminose e ricche di oggetti e storie mitologiche. Due delle figure caratteristiche del cielo di gennaio sono quelle del Toro e dell’Auriga.

LA COSTELLAZIONE DEL TORO

Riconoscibile grazie alla sua stella Aldebaran, quella del Toro è una delle costellazioni della fascia dello Zodiaco, compresa tra Ariete e Gemelli; la figura si estende a Est/Sud-Est, dove la sua stella principale brilla con il suo inconfondibile colore rosso-arancio.

La Costellazione del Toro a cura di https://theskylive.com/

Aldebaran è una gigante arancione grande 40 volte il Sole e che con la sua magnitudine +0,95 rappresenta la, quattordicesima stella più luminosa del cielo notturno.

L’astro rappresenta l’occhio del Toro mentre le stelle Elnath e Alheka costituiscono le corna dell’animale; beta Tauri, ovvero Elnath, brilla al confine con l’Auriga e infatti ha la peculiarità di essere attribuita ora al Toro ora all’Auriga.

M45: UN AMMASSO APERTO NEL CUORE DELL’INVERNO

Oltre ai vari interessanti oggetti del profondo cielo presenti nel Toro, quello più noto e facilmente riconoscibile da tutti gli amanti del cielo, è senza ombra di dubbio M45, meglio conosciuto con il nome di Pleiadi.

M45 CREDITI Davide De Martin & the ESA/ESO/NASA Photoshop FITS Liberator

Si tratta di un ammasso aperto situato nella spalla del Toro, distante 440 anni luce dalla Terra. Da un luogo buio sono visibili già sette delle stelle che lo compongono, per le quali l’ammasso viene anche comunemente denominato con l’appellativo di “le sette sorelle”; in realtà con un binocolo e soprattutto con un telescopio si scopre che l’ammasso è composto da centinaia di stelle, in prevalenza giganti blu e bianche, legate da un’origine comune e da reciproche forze gravitazionali. Attraverso l’oculare di un telescopio di apertura considerevole non sarà difficile osservare dei piccoli aloni che circondano le singole stelle: si tratta di nubi di polveri, ovvero nebulose a riflessione, illuminare dalle stelle. Le Pleiadi rappresentano uno degli oggetti più amati del cielo invernale, spesso protagoniste di suggestive congiunzioni con la Luna e pianeti.

L’ammasso trova numerosi riferimenti nella  mitologia, in cui vengono identificate con le ninfe della montagna, figlie di Atlante e dell’oceanina Pleione: i loro nomi sono Alcione, Asterope, Celeno, Elettra, Maia, Merope e Taigeta.

Nella letteratura italiana troviamo un significativo riferimento alle Pleiadi nella poesia di Pascoli, il Gelsomino Notturno: “La Chioccetta per l’aia azzurra va col suo pigolìo di stelle”. Il poeta paragona le Pleiadi a una chioccia che trascinai suoi pulcini intenti a pigolare.

OGGETTI DEL PROFONDO CIELO NEL TORO

In direzione della Stella Alheka si  trova uno degli oggetti più importanti in campo astronomico e nell’astronomia a raggi X, nonché il primo oggetto del Catalogo Messier ovvero la Nebulosa del Granchio, distante 6500 anni luce dal Sistema Solare.

M1 Crab Nevula di Lorenzo Busilacchi PHOTOCOELUM

 

M1 Crab Nevula di Gianni Melis PHOTOCOELUM

Durante la fase finale della sua vita la Supernova 1054 ha espulso una quantità enorme di materiali ferroso e gas, generando un’esplosione in grado di proiettare tutti i propri frammenti a una grande distanza e che ancora oggi viaggiano a una velocità che sfiora i 1500 km/s.

Oggi il centro della nebulosa ospita ciò che resta della stella esplosa, una potente stella di neutroni che ruotando su sé stessa crea l’effetto pulsar.

L’esplosione della Supernova 1054 non rimase inosservata: il 4 luglio del 1054 gli astronomi cinesi furono i primi ad accorgersi di un nuovo astro che brillava sulla volta celeste: la sua luminosità fu tale da essere visibile anche in pieno giorno, la sua magnitudine era infatti compresa tra – 7 e –4,5.

Il Toro vanta anche altri variegati oggetti deepsky, molto amati dagli astrofili, come ad esempio la Nebulosa Falchetto (LBN 777) e la Nebulosa Spaghetti (SH2-240), quest’ultima situata al confine con l’Auriga.

NEBULOSA FALCHETTO E NEBULOSA SPAGHETTI CREDITI: CRISTINA CELLINI

IL TORO NELLA MITOLOGIA

La figura del Toro è una delle più antiche di cui si trovi traccia: ben 5.000 anni fa, nei pressi di Aldebaran, era collocato il punto Gamma, che indica l’equinozio di primavera.

Già in alcuni scritti dei Sumeri compaiono riferimenti al Toro, come protagonista di storie d’amore conflittuali.

Presso gli antichi Egizi invece tali animali erano figure mitologiche da venerare.

Nell’antica Grecia il mito del Toro era associato alla figura del Minotauro, frutto del tradimento consumato da Pasifa con il sacro Toro di Creta, alle spalle del marito Minosse.

Vi sono poi le solite vicende legate alle metamorfosi di Zeus che in questo caso, innamoratosi della principessa fenicia Europa, decise di ricorrere alla trasformazione in un toro per poterla rapire e sedurre.

E fu così che un giorno Europa, mentre si trovava in compagnia delle sue ancelle sulla spiaggia, fu attirata dalla presenza di un bellissimo toro bianco; completamente ammaliata da esso, vi salì in groppa lasciandosi condurre fino all’isola di Creta, dopo aver galoppato attraverso il mare.

Ma l’idillio durò poco, poiché una volta giunti a destinazione, l’ingenua principessa scoprì  l’inganno: Zeus le rivelò la, sua identità, abusando di lei. Dall’infelice unione nacquero Minosse, Radamanto e Serpedonte.

Elenco delle Stelle Principali della Costellazione del Toro

HR Number(*) Star designation Proper name Visual magnitude Tipo
HR1457 α Tauri Aldebaran 0.85 Variable; Multiple;
HR1791 β Tauri Elnath 1.65 Double;
HR1165 η Tauri Alcyone 2.87 Multiple;
HR1910 ζ Tauri Tianguan 3 Variable;
HR1412 θ2 Tauri Chamukuy 3.4 Variable; Multiple;
HR1239 λ Tauri   3.47 Variable;
HR1409 ε Tauri Ain 3.53 Double;
HR1030 ο Tauri   3.6 Variable;
HR1178 27 Tauri Atlas 3.63 Variable; Multiple;
HR1346 γ Tauri Prima Hyadum 3.65 Variable;
HR1142 17 Tauri Electra 3.7  
HR1038 ξ Tauri   3.74  
HR1373 δ1 Tauri Secunda Hyadum 3.76 Variable; Multiple;
HR1411 θ1 Tauri   3.84 Multiple;
HR1149 20 Tauri Maia 3.87 Variable;
HR1251 ν Tauri   3.91  
HR1066 5 Tauri   4.11  
HR1156 23 Tauri Merope 4.18 Variable;
HR1387 κ1 Tauri   4.22 Variable; Multiple;
HR1458 88 Tauri   4.25 Variable; Double;

LA COSTELLAZIONE DELL’AURIGA

Nel mese di gennaio possiamo osservare la costellazione dell’Auriga, figura facile da individuare per via della sua forma a pentagono, che va ad unirsi alla schiera delle costellazioni che dominano l’inverno boreale.

La costellazione dell’Auriga. Cortesia di https://theskylive.com/

La stella principale della costellazione (α Aurigae) è Capella, un sistema multiplo costituito da ben quattro stelle, distante 42,2 anni luce da noi; l’astro è situato nella parte settentrionale dell’Auriga ed è ben visibile nel cielo serale con il suo luccichio di colore giallo, e rappresenta la sesta stella più luminosa del cielo notturno.

Le altre stelle che compongono la costellazione dell’Auriga sono Menkalinan, Mahasim, Hassaleh eAlmaaz.

Elenco delle Stelle principali della Costellazione dell’Auriga

Star designation Proper name Visual magnitude Color Tipo
HR1708 α Aurigae Capella 0.08 Variable; Multiple;
HR2088 β Aurigae Menkalinan 1.9 Variable; Multiple;
HR2095 θ Aurigae Mahasim 2.62 Variable; Multiple;
HR1577 ι Aurigae Hassaleh 2.69 Variable;
HR1605 ε Aurigae Almaaz 2.99 Variable; Multiple;
HR1641 η Aurigae Haedus 3.17 Variable;
HR2077 δ Aurigae   3.72 Multiple;
HR1612 ζ Aurigae Saclateni 3.75 Variable;
HR2012 ν Aurigae   3.97 Double;
HR2091 π Aurigae   4.26 Variable;
HR2219 κ Aurigae   4.35 Variable;
HR1995 τ Aurigae   4.52 Multiple;
HR1726 16 Aurigae 4.54 Variable; Double;
HR1729 λ Aurigae   4.71 Multiple;
HR2011 υ Aurigae   4.74 Variable;
HR1843 χ Aurigae   4.76  
HR1551 2 Aurigae   4.78  
HR2427 ψ2 Aurigae 4.79 Multiple;
HR1689 μ Aurigae   4.86  
HR2696 63 Aurigae 4.9  

OGGETTI NON STELLARI NELL’AURIGA

La costellazione ospita diversi oggetti del catalogo Messier, come gli ammassi aperti M36, M37 ed M38.

M37 CREDITI CRISTINA CELLINI

IMMAGINE M37 CREDITI CRISTINA CELLINI

Altri oggetti del profondo cielo molto interessanti sono le nebulose IC405 e IC410.

LA COSTELLAZIONE DELL’AURIGA NELLA MITOLOGIA

L’Auriga trova diversi riferimenti nella mitologia: una delle storie più diffuse è quella che associa Capella alla capra Amaltea, animale che secondo la mitologia greca allattó Zeus quando, ancora in fasce, venne abbandonato sull’isola di Creta.

Per tale motivo, in segno di gratitudine, l’animale fu collocato sulla volta celeste, accompagnato dai suoi due capretti partoriti proprio mentre allattava Zeus, associati alle stelle Eta e Zeta dell’Auriga.

Per le rappresentazioni delle costellazioni e altri dettagli visitare https://theskylive.com/

Le costellazioni del mese di Dicembre 2024

Nel mese che introduce all’inverno boreale, il cielo si arricchisce di oggetti brillanti e inconfondibili, tra cui spiccano quelli che compongono la celebre costellazione di Orione.

La figura di Orione è così caratteristica da essere riconoscibile anche dai meno esperti di astronomia ed è facilmente individuabile ad occhio nudo, persino dai cieli delle aree urbane.

Questa costellazione fa il suo ingresso nel cielo già a fine estate, quando appare bassa a Sud-Est nelle ore più profonde della notte, fino alle prime luci dell’alba. Con l’arrivo dell’autunno, Orione si mostra in orario serale, per poi dominare le nostre serate invernali, emergendo subito dopo il tramonto e culminando al meridiano verso metà gennaio.

La stella più luminosa della costellazione è Rigel, una supergigante blu che brilla con una magnitudine di 0,2, indicando il ginocchio del mitico Cacciatore celeste. Tuttavia, la stella Alfa di Orione è Betelgeuse, celebre per il suo colore rosso-arancio. Betelgeuse è una supergigante rossa dalla magnitudine di 0,5, situata a circa 600 anni luce dalla Terra.

Questa stella occupa il vertice nord-orientale della costellazione di Orione ed è anche uno dei tre punti che formano il Triangolo Invernale, un asterismo che include anche Sirio (nel Cane Maggiore) e Procione (nel Cane Minore).

Betelgeuse è da sempre al centro dell’interesse astronomico. La sua natura instabile e la fase avanzata della sua evoluzione stellare fanno supporre che, al termine del suo ciclo vitale, potrebbe esplodere in una spettacolare supernova.

OGGETTI DEL PROFONDO CIELO IN ORIONE

La Cintura di Orione è circondata da un imponente anello di nebulosità noto come Anello di Barnard, situato a circa 1600 anni luce dalla Terra e con un diametro di 300 anni luce. Questo straordinario oggetto è ciò che resta di una supernova esplosa probabilmente circa 2 milioni di anni fa.

La costellazione di Orione, tuttavia, è un autentico scrigno di meraviglie del profondo cielo. Tra queste, la più celebre e fotografata dagli astrofili, esperti o alle prime armi, è senza dubbio la Nebulosa di Orione (M42). Questo spettacolare complesso nebuloso molecolare, situato tra la Cintura e la Spada di Orione, è una delle regioni di formazione stellare più attive della nostra galassia, una vera incubatrice di nuove stelle.

Un altro gioiello di Orione, accessibile anche con un semplice binocolo 10×50, è M78, conosciuta anche come Nebulosa Casper. Si tratta di una brillante nebulosa a riflessione situata sopra la Cintura di Orione, a una distanza di circa 1300 anni luce. Questo oggetto, visibile già da luoghi bui con strumenti di piccole dimensioni, fu scoperto da Pierre Méchain all’inizio del 1780 e successivamente catalogato da Charles Messier il 17 dicembre dello stesso anno.

Nella parte settentrionale della costellazione, troviamo un altro oggetto interessante: Sh2-261, noto come Nebulosa di Lower. Questa nebulosa a emissione, sebbene meno famosa, è visibile anche nelle riprese amatoriali a lunga posa, regalando ulteriori spunti di osservazione per chi si avventura alla scoperta delle meraviglie celesti di Orione.

IMMAGINE NEBULOSA FIAMMA E NEBULOSA TESTA DI CAVALLO CREDITI DI RIPRESA E ELABORAZIONE DI MIRKO TONDINELLI E RICCARDO PACINI
IMMAGINE M78 CREDITI: LINO BENZ DEL GRUPPO ASTROFILI DEL SALENTO
IMMAGINE Sh2-261/ Sh2-268 e NGC 2169 CREDITI: LINO BENZ DEL GRUPPO ASTROFILI DEL SALENTO

ORIONE NELLA MITOLOGIA

Orione è una delle figure mitologiche più antiche, presente nelle leggende di numerose civiltà, a partire dai Sumeri.
Nel mito greco, Orione era figlio di Euriale e Poseidone e possedeva l’incredibile dono di camminare sull’acqua. Nell’Odissea, Omero lo descrive come un abilissimo cacciatore, sempre accompagnato dai suoi fedeli cani, tra cui il prediletto Sirio, oggi la stella più luminosa del cielo.

Le sue vicende mitologiche sono spesso legate a storie d’amore e di passione, che lo portarono a scontrarsi con rivali agguerriti e persino a perdere temporaneamente la vista durante una delle sue avventure.

Tra i numerosi racconti che lo riguardano, il più celebre è quello del suo amore per Artemide, la dea della caccia e sorella gemella di Apollo. Secondo la leggenda, Orione giunse sull’isola sacra di Delo in compagnia della sua amante Eos, ma fu lì che incontrò Artemide, con la quale condivideva la passione per il tiro con l’arco. I due si innamorarono perdutamente, un amore che però suscitò l’ira di Apollo, il quale considerava l’unione una profanazione della sua isola.

Apollo, deciso a liberarsi di Orione, chiese aiuto alla Madre Terra, che scatenò contro il cacciatore un gigantesco scorpione velenoso. Questo episodio è immortalato nel cielo: la figura dello Scorpione continua a inseguire Orione nella volta celeste. Nonostante la forza e l’abilità di Orione, il cacciatore si rifugiò in mare, ma lì trovò il suo destino segnato da Apollo.

Mentre Orione nuotava al largo in una notte senza luna, Apollo convinse Artemide a scagliare una freccia contro un bersaglio distante, visibile appena tra le onde. Ignara che il bersaglio fosse il suo amato, Artemide colpì Orione con precisione letale. Quando scoprì la verità, la dea, distrutta dal dolore, implorò Zeus di concedere al cacciatore l’immortalità.

Zeus, commosso, trasformò Orione in una brillante costellazione, affinché Artemide potesse contemplarlo ogni notte nel cielo, eternamente luminoso come simbolo del loro amore tragico.

LA COSTELLAZIONE DEL TRIANGOLO

A sud delle costellazioni di Andromeda e Perseo, troviamo il Triangolo, una piccola costellazione visibile nei cieli autunnali e invernali dell’emisfero boreale, che culmina al meridiano nel mese di dicembre.

Pur essendo una costellazione di dimensioni ridotte e poco luminosa, il Triangolo è facilmente riconoscibile grazie alla sua caratteristica forma geometrica.

La stella principale, Alfa Trianguli, nota anche con il nome arabo Mothallah, che significa “la testa del Triangolo,” è una gigante bianco-azzurra con una magnitudine di 3,42, situata a 124 anni luce dalla Terra. Si tratta di una stella binaria che, sebbene porti la designazione di stella alfa, è solo la seconda più luminosa della costellazione.

La stella più brillante del Triangolo è infatti Beta Trianguli, conosciuta anche come Deltotum, una subgigante gialla con una magnitudine di 3,00 e distante 64 anni luce.

Il terzo vertice che completa la figura è rappresentato da Gamma Trianguli, formando così il caratteristico disegno della costellazione.

LA GALASSIA M33 NEL TRIANGOLO

Nota come Galassia del Triangolo, questo oggetto si trova a una distanza  stimata sui 2,59 milioni di anni luce, ed essendo membro del Gruppo Locale è una delle galassie più vicine alla Via Lattea. Da un luogo perfettamente buio e privo di qualsiasi tipo di inquinamento, si può tentare l’osservazione di M33 anche con un buon binocolo.

IMMAGINE M33 CREDITI DI RIPRESA E ELABORAZIONE: EMANUELE NERI E MIRKO TONDINELLI

Ricordiamo anche le galassie barrata NGC 672 e NGC 925 presenti nella costellazione del Triangolo.

IL TRIANGOLO NELLA MITOLOGIA

Per i greci la costellazione del Triangolo rappresentava la lettera Delta, mentre gli Egizi la identificavano come il Delta del fiume Nilo; secondo lo scrittore latino Igino il Triangolo rappresentava la Trinacria, ovvero la Sicilia, isola sacra a Cerere, dove è avvenuto, secondo il mito, il ratto di Persefone e la sua discesa agli inferi.

La figura del Triangolo trova riferimenti nelle antiche tradizioni marinare e, sempre secondo Igino, viene associato ad una sorta di segnale collocato sulla volta celeste ed utile a Mercurio per individuare la costellazione dell’Ariete.

Le costellazioni del mese di Novembre 2024

Nel cielo di novembre incontriamo le costellazioni di Andromeda e Perseo, due figure mitologicamente legate, ricche di oggetti interessanti per l’osservazione e la fotografia astronomica.

LA COSTELLAZIONE DI ANDROMEDA

La costellazione di Andromeda è una delle figure tipiche del cielo autunnale e la si può osservare agevolmente guardando a Nord della volta celeste: pur essendo molto estesa è poco luminosa, e arriva a lambire la Via Lattea settentrionale.

La stella principale della costellazione è nota con i nomi di Alpheratz e Sirrah e insieme alle stelle α, β e λ Pegasi forma un noto asterismo chiamato Quadrato di Pegaso.

Un tempo questa stella faceva parte della costellazione di Pegaso, con la sigla δ Pegasi: essa si trova a 97 anni luce dalla Terra ed è in realtà un sistema binario, con una magnitudine apparente di +2,06.

Fra le altre stelle della costellazione, va segnalata υ Andromedae: la stella possiede un sistema planetario con tre pianeti, con masse di 0,71, 2,11 e 4,64 volte quella di Giove.

OGGETTI NON STELLARI NELLA COSTELLAZIONE DI ANDROMEDA

La costellazione è ricca di stelle doppie e di sistemi multipli, come ad esempio Pi Andromedae (π And / π Andromedae), un sistema distante 656 anni luce dal sistema solare.

Tuttavia, la fama di oggetto del profondo cielo più noto e interessante della costellazione di Andromeda è, indubbiamente, M31 ovvero la famigerata Galassia di Andromeda.

M31 di Salvo Semilia
M31 di Salvo Semilia

Si tratta dell’oggetto più lontano visibile ad occhio nudo e rappresenta una galassia a spirale barrata distante più di due milioni e mezzo di anni luce.

È di certo la galassia più amata dagli astrofili: per individuare M31 ad occhio nudo è sufficiente recarsi in luoghi idonei dall’osservazione celeste, partendo da β Andromeda e e proseguendo in direzione Nord-Ovest; immersa nello sfondo stellato, la Galassia di Andromeda apparirà come un batuffolino di luce, sufficiente a farci fermare a riflettere sull’ infinita grandezza dell’universo.

Chiaramente con l’ausilio di binocoli e telescopi potremo ottenere un’immagine più dettagliata, e con la fotografia a lunga esposizione riusciremo a dare forma a quel batuffolo celeste.

Arp 273 di Lorenzo Busilacchi
Arp 273 di Lorenzo Busilacchi

Ma la costellazione di Andromeda ospita anche un altro spettacolare oggetto del profondo cielo, molto scenografico: si tratta di Arp273, un coppia di galassie interagenti che sembra dar vita a una bellissima rosa cosmica, a 345 milioni di anni luce dalla Terra.

ANDROMEDA NELLA MITOLOGIA

Bellissima e giovane fanciulla, Andromeda viene identificata come la principessa di Etiopia, figlia dei sovrani Cefeo e Cassiopea: la leggenda è ben nota, e intreccia diverse figure mitologiche.

Andromeda stava per pagare con la propria vita le colpe di sua madre Cassiopea, presuntuosa e vanitosa come poche, la quale osò definire lei e sua figlia più belle persino delle Nereidi, ninfe marine alla corte di Poseidone.

Come è noto, per placare la furia del dio mare, l’unica soluzione pareva essere quella di dare in pasto Andromeda al mostro marino Ceto.

Ma la storia ebbe un lieto fine, perché a salvare la principessa ci pensò Perseo, in sella al cavallo alato Pegaso e successivamente ne fece la sua sposa.

Come la vide con le braccia legate a una rigida rupe,
Perseo di marmo l’avrebbe creduta se l’aria leggera non avesse
mosso le chiome e le lacrime dagli occhi stilate non fossero,
inconsapevole ne ardeva stupito. Rapito alla vista di
quella bellezza, quasi di battere l’ali si scordava.
Come fu sceso a terra, disse “non meriti codesti ceppi ma quelli che legano amanti tra loro;
dimmi il tuo nome e la patria e perché sei legata”.

Ovidio, Le Metamorfosi – Libro IV

Quando Andromeda morì, la dea Atena la trasformò in stelle, ponendola in cielo proprio accanto al suo amato sposo Perseo.

LA COSTELLAZIONE DI PERSEO

Nel cielo autunnale di novembre incontriamo anche la costellazione di Perseo: la celebre figura si estende tra Andromeda e l’Auriga, e diventa favorevole all’ osservazione proprio nei mesi autunnali e invernali.

Mirphak (α Persei) è la stella più luminosa della costellazione, ed è una supergigante gialla di tipo spettrale F5 Ib, posta a 510 anni luce: l’astro è circumpolare, facilmente osservabile  all’emisfero boreale e con la sua magnitudine pari a +1,79 si può scorgere anche dalle aree urbane.

La stella più famosa della costellazione è Algol (la stella del Diavolo in arabo),che rappresenta l’occhio della gorgone Medusa; La sua luminosità apparente varia tra le magnitudini 2,12 e 3,39 in poco meno di tre giorni, e la stella rappresenta il prototipo di una classe di variabili, ovvero le variabili a eclisse.

OGGETTI NON STELLARI NELLA COSTELLAZIONE DI PERSEO

Uno degli eventi astronomici più noti, correlati a Perseo, è il famigerato sciame di meteore, le Persei di, che si manifesta in piena estate (fine luglio/metà agosto) e che ha come radiante proprio la costellazione da cui prende il nome.

In Perseo è presente un ricco numero di stelle doppie e variabili, sistemi spesso risolvibili anche con piccoli telescopi comeζ Persei .

Pur attraversando la costellazione di Perseo da NW a SE , la Via Lattea settentrionale appare poco evidente in questo tratto di cielo, ma ciononostante la costellazione contiene numerosi oggetti del profondo cielo.

AMMASSO DOPPIO di MASSIMILIANO PEDERSOLI
AMMASSO DOPPIO di MASSIMILIANO PEDERSOLI

Uno dei più noti oggetti deepsky, osservato e fotografato da principianti ed esperti, è certamente l’Ammasso Doppio, un coppia di ammassi aperti molto brillanti, NGC 869 (h); NGC 884 (χ), visibili anche ad occhio nudo, che insieme formano una sorta di “8” rovesciato.

Sono due ammassi molto giovani, distanti 800 anni luce tra loro e 7000 dal sistema solare.

Con un telescopio di 200 mm di apertura lo spettacolo che ne deriva è assicurato, poiché è possibile ammirare molti dettagli, come il contrasto dato dalle stelle di colore azzurro con le supergiganti rosse che costituiscono gli ammassi.

Un altro ammasso interessante in Perseo è l’ammasso di Alfa Persei, noto anche con il nome di Mel 20, un oggetto molto luminoso situato nella parte settentrionale della costellazione, dove spicca la stella Mirphak.

Degno di nota è anche l’ammasso di Perseo o Abell 426,un ammasso di galassie posto a circa 240 milioni di anni luce dalla Terra, la cui componente più brillante è NGC 1275, una radiogalassia che domina il centro dell’ammasso.

Ammasso di Galassie in Perseo di Lorenzo Busilacchi
Ammasso di Galassie in Perseo di Lorenzo Busilacchi

Interessante anche la Piccola Nebulosa Manubrio, M76: si tratta di un oggetto poco luminoso e difficile nelle riprese astrofotografiche, ma comunque sono molti gli astrofili che vi si cimentano, producendo ottime immagini.

M76 di Lorenzo Busilacchi
M76 di Lorenzo Busilacchi

PERSEO EROE MITOLOGICO

Il personaggio di Perseo è uno dei più celebri della mitologia: egli era il figlio mortale di Giove e Danae, a cui venne affidato l’arduo compito di uccidere il mostro Medusa, una Gorgone avente serpenti al posto dei capelli e il potere di pietrificare all’istante chiunque avesse fatalmente incrociato il suo sguardo.

«Volgiti ‘n dietro e tien lo viso chiuso;/ ché se ‘l Gorgon si mostra e tu ‘l vedessi,/ nulla sarebbe di tornar mai suso»

Dante, Inferno canto I (vv. 55-57).

Medusa viveva su di un’isola situata oltreoceano, insieme alle altre due Gorgoni, Stelo e Eurialo, entrambi mortali a differenza di Medusa.

Perseo giunse nel loro nascondiglio dopo aver ricevuto in sogno una spada da Minerva, con la quale decapitare il mostro e uno scudo riflettente, affinché Medusa non riuscisse a pietrificarlo.

Infine, l’eroe incontrò le tre ninfe del Nord, che gli consegnarono un elmo speciale per essere invisibile e una sacca in cui  Perseo avrebbe dovuto riporre la testa della Gorgone.

Attraverso rocce sperdute e impervie, attraverso orride forre,
giunse alla casa della Gorgone, e qua e là per i campi e per le strade
vedeva figure di uomini e di animali
tramutati da esseri veri in statue per aver visto Medusa.
Ovidio, Metamorfosi, IV, 778-781

Alla fine, Perseo uccise Medusa, dal cui sangue nacque Pegaso, il cavallo alato attraverso cui l’aitante eroe riuscì a salvare Andromeda, incontrata proprio nel suo viaggio di ritorno.

Per la sua nobiltà e per il fatto di essere nato da un connubio eccezionale, si racconta, fu collocato tra le stelle.

Igino- PoeticonAstronomicon


Le costellazioni del mese di Ottobre 2024

Nel cielo autunnale di ottobre incontriamo due costellazioni che costituiscono una coppia mitologica, l’unica ad essere collocata sulla volta celeste: si tratta di Cassiopea e Cefeo.

LA COSTELLAZIONE DI CASSIOPEA

Asterismo tipico del cielo boreale, Cassiopea è una figura visibile tutto l’anno e raggiunge la massima altezza proprio nel periodo autunnale.

Poiché è molto vicina al polo nord celeste, Cassiopea rimane visibile per tutta la notte e per questo viene classificata come una costellazione circumpolare.

La sua peculiare forma a W o M, a seconda delle stagioni, la rende facilmente individuabile a Nord, nei pressi della Stella Polare.

Shedir (alfa Cassiopeiae) è l’astro principale della costellazione: si tratta di una gigante arancione di magnitudine apparente +2,25, situata a 229 anni luce dalla Terra.

Il suo nome deriva dall’arabo(صدر, şadr) e significa busto: essa infatti è collocata nel cuore della costellazione che, mitologicamente, rappresenta la regina di Etiopia.

Interessante  γ Cassiopeiae, la stella binaria a raggi X più brillante del cielo e l’unica ad essere visibile ad occhio nudo.

SUPERNOVAE IN CASSIOPEA

Nel 1572 nella costellazione di Cassiopea apparve improvvisamente un stella tanto luminosa quanto ci appare il pianeta Venere: essa venne denominata “nova di Tycho Brahe” dal nome dell’astronomo danese che condusse per oltre un anno osservazioni di questo oggetto, ad occhio nudo, riportando dati dettagliati; in conclusione, ciò che aveva osservato era una supernova.

Ma non è l’unico episodio di questo tipo quello che riguarda la costellazione di Cassiopea: nel 1680 è stata osservata una forte radiosorgente situata a 11 mila anni luce da noi, Cassiopea A.

Nel 2004 il telescopio spaziale Chandra ha scoperto anche una sorgente molto compatta di raggi X proprio al centro di Cassiopea A, le cui caratteristiche confermano che si tratta di una stella di neutroni che, con ogni probabilità, rappresenta il resto della Stella esplosa più di 300 anni fa.

OGGETTI NON STELLARI NELLA COSTELLAZIONE DI CASSIOPEA

Nel tratto di Via Lattea boreale in cui è situata Cassiopea vi è un gran numero di nebulose e ammassi: due oggetti  molto amati e ripresi dagli astrofili sono certamente la Nebulosa Cuore ( IC1805), distante7500 anni luce, e la nebulosa a emissione e riflessione nota come Fantasma di Cassiopea (Sh2-185).

IMMAGINE AMMASSI NGC 654 e 663 CREDITI: MASSIMILIANO PEDERSOLI
IMMAGINE AMMASSI NGC 654 e 663 CREDITI: MASSIMILIANO PEDERSOLI

Seppur meno appariscenti e scenografici delle suddette nebulose, in Cassiopea sono apprezzabili diversi ammassi: nell’immagine possiamo ammirare NGC 654 e NGC 663.

Si tratta di due ammassi aperti: il primo contiene circa 60 stelle e si trova a una distanza di 7800 anni luce dal sistema solare, nel Braccio di Perseo, ed è stato scoperto nel 1787 da William Herschel; sempre all’astronomo tedesco è attribuita la scoperta di NGC 663, l’altro ammasso aperto che contiene un centinaio di stelle ed è distante 7900 anni luce.

IMMAGINE M52 CREDITI: MASSIMILIANO PEDERSOLI
IMMAGINE M52 CREDITI: MASSIMILIANO PEDERSOLI

Un altro ammasso aperto presente nella costellazione di Cassiopea è M52, o NGC 7654. L’oggetto si trova nella parte occidentale della costellazione, al confine con quella di Cefeo: è un ammasso piuttosto ricco e compatto, uno dei più osservati durante il periodo autunnale. Si può tentare di individuali con un binocolo 10×50, anche se vi si potranno scorgere poche delle sue stelle,mentre con un telescopio da 150mm di apertura sarà possibile scorgere una cinquantina di stelle che diventano 150 con un’apertura di 250 mm.

CASSIOPEA NELLA MITOLOGIA

Nella mitologia greca Cassiopea rappresenta la regina di Etiopia, moglie di Cefeo e madre di Andromeda: vanitosa e presuntuosa come poche, la sovrana era dedita principalmente a vantarsi e a spazzolare i suoi capelli; un giorno però commise un errore che portò all’intreccio di una serie di vicende ampiamente narrate nella mitologia.

Cassiopea si vantava di essere la più bella de reame e sosteneva che, insieme a sua figlia Andromeda, fosse persino più bella delle ninfe marine al seguito di Poseidone, le Nereidi.

Il dio del mare, venuto a conoscenza di tali affermazioni, non mandò giù tale oltraggio, e decise di vendicarsi di Cassiopea, di Cefeo e del regno intero.

Poseidone decise di scatenare la sua ira verso il punto debole dei sovrani, ovvero la loro splendida e giovane figlia, Andromeda.

Il mito è piuttosto celebre e narra della giovane principessa che, per colpa di sua madre, fu rapita e legata su di una rupe infernale, preda del mostro marino Ceto; a salvarla dalle sue grinfie giunse l’eroe Perseo, in sella al cavallo alato Pegaso.

A Cassiopea toccò la sorte di essere collocata sul suo trono celeste ma a testa in giù, nell’atto di specchiarsi o accarezzarsi i capelli e condannata a roteare per sempre attorno al polo celeste.

LA COSTELLAZIONE DI CEFEO

Nella porzione di cielo tra l’Orsa Minore e Cassiopea, incontriamo Cefeo: si tratta di una costellazione circumpolare, composta da stelle non molto luminose che conferiscono a Cefeo la figura di una casetta con il tetto verso il Nord e la base che poggia sulla Via Lattea settentrionale.

La stella principale della costellazione è Alderamin (alfa Cephei), una stella bianca di magnitudine 2,45, che dista solo 49 anni luce.

Cefeo possiede un oggetto molto interessante, Mu Cephei, noto anche come Granatum Sidus ovvero Stella Granata: si tratta di una supergigante rossa multipla di quarta magnitudine, inserita all’astronomo e matematico Giuseppe Piazzi nel suo “Catalogo di Palermo”.

Il nome deriva da un’affermazione di William Herschel riportata nel suo “Philosophical Transaction”, riguardo ad alcune stelle non registrate nel British Catalogue di John Flamsteed.

Herschel, riferendosi a Mu Cephei, disse che «Ha un bellissimo e profondo colore granata, simile a quello della stella periodica Omicron Ceti>>.

L’astro appare di questo colore per via della sua  bassa temperatura superficiale, che corrisponde a circa 3000 K.

Osservando da un punto privo di qualsiasi tipo di disturbo, la Stella Granata può anche essere individuata ad occhio nudo poco più a Sud di Alderamin, con il suo caratteristico colore rosso/arancio.

Ma Cefeo ospita anche un’altra stella, di certo più importante per l’astronomia, ovvero Delta Cephei: si tratta di una supergigante gialla posta a 890 anni luce, che rappresenta il prototipo di una classe delle cefeidi, una classe di stelle variabili molto importanti, oltre ad essere una delle cefeidi più vicine al Sole.

Delta Cephei contribuisce significativamente alla misurazione delle distanze cosmiche.

OGGETTI NON STELLARI NELLA COSTELLAZIONE DI CEFEO

Poiché giace sul piano della Via Lattea settentrionale, la costellazione di Cefeo vanta numerosi oggetti del profondo cielo: una di questi è la Nebulosa oscura IC1396, meglio nota come Nebulosa Proboscide d’Elefante; molto appariscente anche la Galassia Fuochi d’Artificio (NGC 6946), una galassia a spirale che vanta un gran numero di supernovae osservate al suo interno.

In Cefeo troviamo anche un’estesa nebulosa a emissione, che si trova a 10.400 anni luce, ed è nominata come Sh2-132: l’oggetto deepsky è visibile nella parte meridionale di Cefeo, e si colloca all’interno del Braccio di Perseo.

IMMAGINE SH2-132 CREDITI: DAVIDE NARDULLI
IMMAGINE SH2-132 CREDITI: DAVIDE NARDULLI

Nell’immagine a largo campo possiamo ammirare due oggetti del profondo cielo che formano una “coppia” molto suggestiva e molto amata dagli astrofili: si tratta della nebulosa a riflessione NGC 7129 e dell’ammasso aperto NGC 7142, distanti rispettivamente 3000 e 6000 anni luce.

IMMAGINE NGC 7129 e NGC 7142 CREDITI: DAVIDE NARDULLI
IMMAGINE NGC 7129 e NGC 7142 CREDITI: DAVIDE NARDULLI

CEFEO NELLA MITOLOGIA

Come già citato sopra, nella mitologia Cefeo, figlio di Belo, rappresenta il sovrano di Etiopia, marito di Cassiopea e padre di Andromeda, che rischiò di perdere l’amata figlia per colpa della presunzione di sua moglie.

In seguito all’ira e alle minacce di Poseidone, Cefeo si rivolse a un oracolo per chiedergli come salvare la sua famiglia e il suo regno.

Ma egli non si aspettava come risposta quella di dover immolare la sua adorata principessa Andromeda; un padre disperato, che nonostante il suo dolore decise di sacrificare sua figlia. Ma il fato volle che Perseo, passando dalla rupe su cui era legata Andromeda, minacciata dal mostro marino Ceto, la salvasse, portando il lieto fine a questa brutta vicenda.

Per piangere potrete avere tutto il tempo che vorrete;

per portare soccorso, ci sono pochi attimi.

Se io chiedessi la sua mano, io, Perseo, figlio di Giove

e di colei che quand’era imprigionata fu ingravidata da Giove con oro fecondo,

Perseo vincitore della Gorgone dalla chioma di serpi, che oso andarmene

per l’aria del cielo battendo le ali, non sarei forse preferito come genero a chiunque altro?

A così grandi doti, solo che mi assistano gli dèi,

cercherò comunque di aggiungere un merito.

Facciamo un patto: che sia mia se la salvo col mio valore!

(Ovidio, Metamorfosi, IV, 695-703)

Cefeo si è guadagnato un posto sulla volta celeste e brilla insieme alla sua regina e alla sua adorata e unica figlia.

Le costellazioni del mese di Settembre 2024

Settembre: l’estate che sfuma nell’autunno, il giorno che indietreggia a favor della notte e il cielo che palpita di astri, miti e leggende.

Dopo le grandi costellazioni protagoniste dell’estate boreale, il cielo di settembre ci offre una rosa di asterismi interessanti, anche se meno appariscenti: il punto sulle costellazioni di Acquario, Pesce Australe e Delfino.

LA COSTELLAZIONE DELL’ACQUARIO

Posta tra le costellazioni del Capricorno e dei Pesci, quella dell’Acquario è una figura estesa ma poco luminosa: la parte più settentrionale giace sull’equatore celeste, mentre la figura si estende per la maggior parte  nell’emisfero australe.

Dai cieli urbani le stelle che compongono la costellazione non risultano visibili, mentre sono apprezzabili dai luoghi bui, dove sarà possibile individuarne la loro disposizione nel cielo, che sembra comporre una sorta di brocca da cui viene rovesciata dell’acqua.

La stella più brillante della costellazione è Sadalsuud (Beta Aquarii – β Aqr), dall’arabo “fortuna delle fortune” : si tratta di una stella gialla avente una magnitudine 2,90 e una distanza di 612 anni luce.

Vi è poi α Aquarii, Sadalmelik“ il fortunato del re”, una stella gialla di magnitudine 2,95, mentre ad Est a di Delta Aquarii c’è un interessante sistema stellare triplo, Ez Aquarii, composto da tre nane rosse.

La costellazione dell’Acquario vanta un gran numero di stelle doppie e anche triple: con l’ausilio di un piccolo telescopio è possibile risolvere β Aquarii , un sistema a tre astri in cui la componente primaria è una gigante arancione di magnitudine 2,91, mentre le altre due componenti sono di decima e undicesima grandezza.

In direzione della stella η Aquarii si trova il radiante dello sciame di meteore originato dalla Cometa di Halley e che prende proprio il nome di Eta Aquaridi, visibile da metà aprile a fine maggio, con un picco di attività generalmente intorno al 6 maggio.

OGGETTI DEL PROFONDO CIELO NELL’ACQUARIO

Uno degli oggetti del profondo cielo più noti che l’Acquario ospita è la Nebulosa Elica, NGC 7293.

La Nebulosa Elica nella Costellazione dell'Acquario di Lino Benz
La Nebulosa Elica di Lino Benz

Questo magnifico oggetto si trova a 650 anni luce dalla Terra, ed è l’esempio di  nebulosa planetaria formatasi alla fine della vita di una stella di tipo solare. L’oggetto, molto amato dagli astrofili, è anche noto con il nome di Occhio di Dio.

L’Acquario ospita anche altri oggetti deepsky come la Nebulosa Saturno e gli ammassi globulari M2 ed M72, oltre all’ammasso aperto M73.

Nebulosa Saturno nella Costellazione dell'Acquario di Lorenzo Busilacchi
NEBULOSA SATURNO CREDITI: LORENZO BUSILACCHI

La Nebulosa Saturno, nota anche come NGC 7009 e C55, è una nebulosa planetaria scoperta da William Herschel nel 1782: la stella nel cuore della nebulosa è una nana bianca di magnitudine 11,5, molto brillante.

Tra gli ammassi nell’Acquario va sottolineato che M2 è il primo ammasso globulare ad aver preso posto nel celebre Catalogo Messier.

LA COSTELLAZIONE DELL’ACQUARIO NELLA MITOLOGIA

Il mito dell’Acquario attraversa vari popoli e leggende: rappresentato come un giovane nell’atto di versare dell’acqua da una brocca, questa figura trova riferimenti dai Babilonesi agli Egizi, che lo identificano rispettivamente come il dio dell’acqua e del Nilo.

Alcune varianti del mito greco collegano la figura dell’Acquario a un giovane che versa l’acqua nella bocca di un pesce (Australe), mentre secondo un altro dei miti greci, il più diffuso, l’Acquario rappresenterebbe Ganimede, giovane e bellissimo ragazzo troiano, per il quale Zeus perse la testa: un giorno infatti, mentre Ganimede si trovava a pascolare le pecore del padre, il dio pensò bene di inviare un’aquila a rapire il giovane e portarlo sull’Olimpo, dove divenne il coppiere degli dei.

Che fosse vino o fosse acqua ciò che il giovane è raffigurato a versare non ci è dato sapere, ma di certo gli è valso un posto tra le stelle.

LA COSTELLAZIONE DEL PESCE AUSTRALE

Tra la fine dell’estate e l’inizio dell’autunno è possibile scorgere sulla volta celeste la costellazione del Pesce Australe: l’asterismo è individuabile esclusivamente grazie alla sua stella principale, la luminosa Fomalhaut.

Si tratta di una stella bianca di magnitudine 1,16, che rappresenta la diciottesima stella più brillante della volta celeste.

La luminosità di Fomalhaut nel cielo è accentuata dal fatto che l’astro si trovi un una regione povera di stelle.

Il nome della stella alfa del Pesce Australe viene dall’arabo “fom – al – hut” e significa “la bocca del pesce”.

La si può scorgere già in estate, bassa sull’orizzonte in direzione Sud-Est.

La costellazione del Pesce Australe non contiene oggetti del profondo cielo, tuttavia a 25 anni luce da essa è situato uno degli oggetti più interessanti di cui si è parlato negli ultimi tempi.

Il James Webb Telescope, grazie al Mid-Infrared Instrument (Miri), ha rivelato che Fomalhaut è circondata da un disco di detriti, fotografando tre fasce concentriche che si estendono fino a 23 miliardi di chilometri dalla stella.

Link di approfondimento https://www.coelum.com/news/cintura-di-asteroidi-di-fomalhaut

IL PESCE AUSTRALE NELLA MITOLOGIA

Come si accennava nella parte mitologica dedicata alla costellazione dell’Acquario, il Pesce Australe è raffigurato nel tentativo (inusuale) di bere l’acqua che sgorga dalla brocca del suddetto; il mito e la leggenda lo collocano in varie vicende: una su tutte, la più ricorrente, narra di Derceto, sorella di Afrodite, che per la vergogna di aver concepito una bambina con un mortale, in seguito al parto decise di uccidersi lasciandosi annegare nelle acque di un lago nei pressi dell’Eufrate.

Il destino di Derceto fu però cambiato dall’intervento di un grosso pesce che, nuotando nelle acque del lago, si apprestò a salvare la dea che, come gesto di eterna gratitudine, lo trasformò in stelle e lo pose sulla volta celeste.

LA COSTELLAZIONE DEL DELFINO

Una costellazione che transita al meridiano nel cielo di settembre è quella del Delfino: la figura  è individuabile10° a Nord-Est della brillante Altair e, nonostante la costellazione sia molto piccola, le stelle che la compongono (circa una ventina) appaiono ravvicinate e ben visibili ad occhio nudo.

Due sono sostanzialmente le stelle più luminose della costellazione: si tratta del sistema binario B Delphini (Rotane), una stella subgigante gialla di magnitudine 3,6, distante 97 anni luce e il sistema binario a Delphini (Sualocin), una stella azzurra di magnitudine 3,77, distante 241 anni luce.

IL CURIOSO CASO DEI NOMI DELLE STELLE DEL DELFINO

Sualocin e Rotanev apparvero per la prima volta nel catalogo stellare del Reale Osservatorio di Palermo nel 1814: in quel periodo il Direttore era padre Giuseppe Piazzi, grande astronomo e matematico, fondatore dell’Osservatorio e fautore della scoperta di Cerere proprio dal cielo di Palermo, il 1 gennaio 1801.

Nel 1800 Piazzi fece l’incontro di Niccolò Cacciatore, astronomo che condusse i suoi studi proprio all’Osservatorio di Palermo, assumendone la direzione nel 1817.

Nella stesura dei cataloghi stellari del 1814, che tra l’altro vinsero il premio dell’Académie des Sciences di Parigi, comparvero i nomi di due stelle, Sualocin e Rotanev, gli astri principali della costellazione del Delfino.

Queste diciture suonarono bizzarre alle orecchie dell’astronomo britannico Thomas Webb che, dopo un’accurata analisi, arrivò a comprendere che i due nomi letti al contrario altro non erano che il nome e cognome latinizzato dell’astronomo siciliano Niccolò Cacciatore: Nicolaus Venator. Sulla base dell’amicizia e della collaborazione che li legava, Giuseppe Piazzi volle dedicare il nome delle due stelle al suo assistente Niccolò Cacciatore.

Un approfondimento sul Reale Osservatorio Astronomico di Palermo a cura di Teresa Molinaro e Walter Leonardi è disponibile qui

OGGETTI NON STELLARI NEL DELFINO

Fra i pochi oggetti del profondo cielo nel Delfino ci sono gli ammassi globulari NGC7006, NGC 6934 e la nebulosa planetaria NGC 6891.

NGC 6934 CREDITI: ESA/Hubble e NASA
NGC 6934 CREDITI: ESA/Hubble e NASA

 

NGC 6891 catturata da Hubble.
NGC 6891 catturata da Hubble.

NGC 6891 è una nebulosa planetaria luminosa e asimmetrica che grazie alle immagini di Hubble è stato possibile studiare “più da vicino”: l’immagine rilasciata nel 2021rivela filamenti e nodi all’interno della nebulosa, che circondano la stella nana bianca; dai loro movimenti, gli astronomi stimano che uno dei gusci abbia 4.800 anni mentre l’alone esterno ne ha circa 28.000, ciò indica una serie di esplosioni dalla stella morente in momenti diversi.

Nel cielo serale di settembre è possibile osservare la stella 18 Delphini (o Musica), una gigante gialla situata appunto nella costellazione del Delfino, la cui peculiarità è quella di avere un pianeta che ruota intorno ad essa.

Si tratta di Arion, un gigante gassoso scoperto nel 2018,che completa un’orbita quasi circolare in circa 993 giorni terrestri, aduna distanza media dalla stella di 2,6 UA.

Il nome è stato scelto dai partecipanti al concorso Name Exo Worlds.

IL DELFINO NELLA MITOLOGIA

Incontrare un delfino in mare aperto era una consuetudine per gli antichi marinai greci e le leggende ci raccontano diverse versioni di  cui queste creature sono protagoniste.

Secondo Eratostene il delfino era il messaggero d’amore del dio del mare, Poseidone, che invaghitosi di una delle ninfe marine Nereidi, decise che doveva averla a tutti i costi, nonostante il suo rifiuto.

Un giorno Poseidone inviò un delfino a prelevare la fanciulla dal suo nascondiglio e a portarla nel suo castello sottomarino, dove ne fece la sua sposa.

Pieno di gratitudine il dio del mare pose la figura del delfino tra le stelle.

Un’altra leggenda si ricollega al nome dell’esopianeta Arion che prende il nome dal cantore greco Arione il quale, di ritorno in Grecia dalla Sicilia, dove si era esibito con la sua cetra, fu minacciato da un gruppo di marinai che volevo sottrargli il denaro; preso dalla paura di morire chiese come ultimo desiderio di poter suonare ancora una volta la sua amata cetra, il cui suono armonioso attirò un delfino che lo prese sul groppone e lo trasse in salvo.

Arrivati in Grecia, il dio della musica Apollo collocò il delfino tra le stelle.

 

Le costellazioni del mese di Agosto 2024

La Grande Orsa si distende quasi ad accucciarsi sulle chiome degli alberi a nord-ovest; Arturo cala a picco sul profilo della collina trascinando tutto l’aquilone di Boote; esattamente a ovest è Vega, alta e solitaria; se Vega è quella, questa sopra il mare è Altair e quella è Deneb che manda un freddo raggio allo zenit.

Palomar, Calvino

Le sere di agosto sono pervase da storie di stelle e miti da scorgere sulla volta celeste, attraversata dalla bellezza della Via Lattea estiva. Proprio in questa regione di cielo possiamo contemplare le costellazioni più interessati dell’estate boreale, tra cui la Lira e il Cigno.

LA COSTELLAZIONE DELLA LIRA

Seppur di piccole dimensioni, la costellazione della Lira è una figura facilmente riconoscibile grazie alla luminosità della sua stella principale, Vega: alfa Lyrae è una stella colorbianco-azzurro multipla, costituita d 5 componenti e situata a una distanza di 25,3 anni luce.

La sua magnitudine apparente di 0,03 la rende la seconda stella più luminosa dell’emisfero settentrionale e la quinta di tutto ilfirmamento.

Circa 14.000 anni fa il Polo Nord celeste si trovava proprio nei pressi della Lira, e Vegain quell’epoca era la Stella Polaree tornerà ad esserlo fra 13.000 anni quando, l’asse di rotazione terrestre, tornerà nuovamente in direzione della Lira.

VEGA NELLA STORIA DELL’ASTROFOTOGRAFIA

Vega è stata la prima stella del cielo notturno ad essere fotografata: l’astro infatti è stato immortalato la notte tra il 16 e il 17 luglio del 1850, dall’astronomo statunitense William Cranch Bond, e da uno dei pionieri del dagherrotipo John Adams Whipple: Vega venne ripresa dall’Harvard College Observatory, in Massachusetts, utilizzando un telescopio rifrattore da 38 cm di apertura.

Più tardi, nel 1872, Henry Draper ne fotografò lo spettro, utilizzando un prisma collegato a un telescopio riflettore da 70 cm.

OGGETTI NON STELLARI NELLA LIRA

La costellazione contiene diverse stelle doppie risolvibili già con l’ausilio di un binocolo, come nel caso di  ε Lyrae, la doppiaper eccellenza, distante 162 anni luce dalla Terra.

Entrambe le stelle che compongonoil sistema possono essere separate in due sistemi binari distinti; il sistema binario contiene dunque due stelle binarie che orbitano una sull’altra. 

Tra gli oggetti del profondo cielo presenti nella costellazioneestiva di certo il più noto è M 57, ovvero la Nebulosa Anello, molto amata dagli astrofili.Si tratta di una nebulosa planetaria posta a circa2000 anni luce dalla Terra, individuabile a Sud della luminosa Vega.

Il periodo migliore per osservarla è proprio quello che abbraccia l’estate, tramite l’utilizzo di telescopi di apertura considerevole.

Costellazione della Lira
M57 rirpesa da Andrea Iorio

Altri oggetti deepsky da menzionare sono l’ammasso globulare M56 e l’ammasso NGC 6791, composto da diverse centinaia di stelle.

Alla costellazione della Lira fa riferimento anche un noto sciame di meteoriti, ovvero le Liridi, visibile nel periodo di aprile e così chiamato per via del radiante situato appunto nei pressi della costellazione.

LA LIRA NELLA MITOLOGIA

Questa costellazione è piena di significato mitologico, che si tramanda attraverso le culture di varie antiche popolazioni.

Una delle leggende più romantiche proviene dall’oriente e narra la storia di due giovani innamorati, Vega e Altair, separati da un fiume di stelle ( la Via Lattea); pare che i due riuscissero a ricongiungersi grazie ad un volo di gazze che solo per un giorno all’anno riusciva a dar vita ad un ponte stellato, consentendo agli innamorati di potersi ritrovare.

Il mito greco invece identifica la Lira come lo strumento musicale del dio Ermes, che ne fece dono a suo fratello Apollo per poi passare nelle mani di Orfeo, eccellente musicista del suo tempo.

Qui la trama si fa più profonda e rappresenta una delle più belle storie d’amore del mito greco.

Dopo l’uccisione della sua sposa, Euridice, Orfeo scese negli Inferi nel tentativo di riprendersi la sua amata.

Arrivato nel regno dei morti iniziò a intonare struggenti melodie attraverso la sua lira, suscitando la commozione di Ade, dio dell’oltretomba, il quale decise di consentire a Orfeo di riprendersi sua moglie, a patto però di camminare davanti ad Euridice senza mai voltarsi indietro.

Orfeo però non riuscì a rispettare il patto e si voltò poco prima di uscire dall’oltretomba, condannando la sua amata (e sé stesso) al buio eterno.

Costellazione del Cigno
Carl Goos Orpheus and Eurydice States Museum for Kunst

“E ormai non erano lontani dalla superficie della terra,
quando, nel timore che lei non lo seguisse, ansioso di guardarla,
l’innamorato Orfeo si volse: sùbito lei svanì nell’Averno;
cercò, sì, tendendo le braccia, d’afferrarlo ed essere afferrata,
ma null’altro strinse, ahimè, che l’aria sfuggente.
Morendo di nuovo non ebbe per Orfeo parole di rimprovero
(di cosa avrebbe dovuto lamentarsi, se non d’essere amata?);
per l’ultima volta gli disse ‘addio’, un addio che alle sue orecchie
giunse appena, e ripiombò nell’abisso dal quale saliva.”

(Metamorfosi, X libro, vv. 55-63)

Da quel momento Orfeo prese ad errare per il mondo aggrappato al suo dolore e alla sua inseparabile lira, e fino alla fine dei suoi giorni il ricordo di Euridice rimase vivo in lui, tanto da non concedere più il suo cuore a nessun’altra donna. Accadde però che proprio una delle sue contendenti, vedendosi rifiutata da Orfeo, decise di vendicarsi uccidendolo, colpendolo alle spalle a colpi di pietre, mentre suonava ignaro in un bosco.

Orfeo poté finalmente ricongiungersi con la sua amata Euridice.

La leggenda narra che le Muse, impietosite, raccolsero la lira e la adagiarono sulla volta celeste in un eterno scintillío di stelle.

Anche la Lira attraverso il cielo si scorge con i bracci
divaricati tra le stelle, con la quale una volta Orfeo catturava
tutto quello che con la sua musica raggiungesse, e volse il passo
perfino tra le anime dei trapassati e ruppe col canto le leggi d’abisso.
Donde la dignità del cielo e un potere simile a quel dell’origine:
allora alberi e rupi trascinava, ora di astri è guida
e attira dietro sé il cielo infinito dell’orbitante cosmo.
(Manilio, PoeticonAstronomicon, I, 324-330)

LA COSTELLAZIONE DEL CIGNO

Rappresentata come un l’uccello in volo verso il Sud della volta celeste, quella del Cigno è una delle costellazioni più interessanti dell’estate boreale.

La costellazione del Cigno
La costellazione del Cigno

È individuabile grazie alla stella alfa Deneb, una supergigante bianca che con la sua magnitudine apparente +1,25 rappresenta la diciannovesima stella più brillante del cielo notturno.

Insieme a Vega ed Altair, Deneb costituisce uno dei vertici del Triangolo estivo.

Nelle sere d’estate possiamo dedicarci dall’osservazione di Albireo (il becco del Cigno) un interessante sistema stellare, noto anche ai semplici appassionati di astronomia: il sistema è composto da due astri di colore diverso, la componente principale è di colore arancio mentre la secondaria è di colore bianco-azzurro. Le due possono essere risolte già con un piccolo telescopio.

Albireo, insieme a Deneb,dà vita all’asterismo della Croce del Nord, il cui asse maggiore è attraversato dalla Via Lattea.

OGGETTI NON STELLARI NELLA COSTELLAZIONE DEL CIGNO

La costellazione ospita un gran numero di stelle variabili, ammassi aperti e nebulose: uno dei più noti oggetti deepsky è la Fenditura del Cigno, un vastissimo complesso di nebulose oscure e polveri interstellari a Sud di Deneb, che taglia in due la Via Lattea e include oggetti come la Nebulosa Nord America (NGC 7000) e la Nebulosa Pellicano, soggetti molto amati dagli astrofili.

La Costellazione del Cigno
NEBULOSA NORD AMERICA CREDITI: MIRKO TONDINELLI

Nella parte sudorientale del Cigno è presente la Nebulosa Velo, un antico resto di supernova: la stella che ha originato l’oggetto è esplosa diversi millenni fa e ora ciòne che resta sono dei sottili filamenti ancora in espansione.

La parte più orientale del complesso nebulare della Velo è nota come Nebulosa Velo Est o NGC 6992/6995 mentre la parte più occidentale, NGC 6960, è nota appunto come Nebulosa Velo Ovest.

Costellazione del Cigno
NEBULOSA VELO EST E OVEST CREDITI: MIRKO TONDINELLI

IL CIGNO NELLA MITOLOGIA

Osservando la costellazione del Cigno vengono in mente le innumerevoli storie legate alla mitologia, molte di queste identificano la figura del Cigno con quella di Zeus.

Tra le tante, prevale la vicenda della trasformazione di Zeus in un bellissimo e innocente cigno con lo scopo di sedurre Leda, nipote di Ares e regina di Sparta: mentre Leda passeggiava sulle rive del fiume Eurota, Zeus la possedette sotto le sembianze di un cigno.

Dall’uovo concepito (o forse erano due) vennero alla luce quattro bambini, ma poiché quella stessa notte la regina di Sparta giacque con suo marito, il re Tindaro, non fu certa la reale paternità dei bambini, anche se le uova da cui nacquero Elena di Troia e Polluce, vennero attribuite  a Zeus.

Il Cigno brilla dunque tra le stelle come omaggio ad una delle tante metamorfosi di Zeus.

Costellazione del Cigno
Jacopo Pontormo, Leda e il cigno, 1512-13, Galleria Uffizi

Le costellazioni del mese di luglio 2024

Nel cielo di luglio ci troviamo tra le costellazioni tipiche dell’estate: lo Scorpione, protagonista assoluto, incanta la volta celeste con la sua stella rosso-arancio Antares, e poi l’Ofiuco e ancora l’Aquila con la sua luminosa Altair.

Scopriamo dunque stelle e miti delle figure dominanti del cielo estivo!

COSTELLAZIONE DELLO SCORPIONE

Costellazione tipica del cielo australe, lo Scorpione è facilmente osservabile durante l’estate boreale, grazie alla sua tipica sagoma e alla stella Antares (Alfa Scorpii), che è l’emblema della costellazione: anti-Ares, “rivale di Marte” per via del suo colore inconfondibile, essa è una supergigante rossa di magnitudine apparente 1,06, situata a 600 anni luce dal sistema solare.

Con un raggio di circa 850 volte quello del Sole, Antares è classificata come una delle stelle più grandi conosciute.

Tra le altre stelle che compongono la costellazione dello Scorpione merita una certa considerazione anche  Shaula (Lambda Scorpii), una stella azzurra di magnitudine 1,62: si tratta dell’astro più luminoso del gruppo di stelle che insieme a U Scorpii compone la coda e quindi il pungiglione dello scorpione stesso.

Costellazioni del mese - Scorpione
La costellazione dello Scorpione

OGGETTI NON STELLARI NELLO SCORPIONE: ANTARES E LA NUBE DI RHO OPHIUCHI

La costellazione ospita un gran numero di stelle variabili oltre che diversi interessanti oggetti del cielo profondo.

Insieme alle stelle di colore azzurro β Scorpii, δ Scorpiie π Scorpii, Antares è una componente dell’asterismo del Grande Uncino ma non solo: la stella principale dello Scorpione è pervasa dalla nube molecolare gigante nota come Nube di Rho Ophiuchi, che prende il nome da ρ Ophiuchi, stella situata nella costellazione  dell’Ofiuco e che domina la regione composta da idrogeno ionizzato luminoso e polveri oscure; Rho Ophiuchi è forse uno dei soggetti del profondo cielo più fotografati e ammirati, che può essere individuato con le apposite strumentazioni nella regione di stelle che compongono la testa dello Scorpione.

Parte dei gas della nube viene illuminata proprio da Antares, che le conferisce la tipica colorazione  rosso-arancio.

le costellazioni del mese - scorpione
NUBE DI RHO OPHIUCHI CREDITI: CRISTINA CELLINI

Proseguendo tra gli oggetti del profondo cielo troviamo anche diversi ammassi globulari come M 4, poco concentrato ma molto luminoso e distinguibile già con un buon binocolo, ad Ovest di Antares.

Vi è poi l’ammasso aperto M 7 o Ammasso di Tolomeo che, se osservato da un  luogo appropriato, risulta  essere ben visibile  anche ad occhio nudo, mentre  sarà risolvibile in dettagli maggiori con l’ausilio di un binocolo.

Le costellazioni del mese - scorpione
IMMAGINE DI UN CAMPO NELLA CODA DELLO SCORPIONE CREDITI: MARCELLA BOTTI
Costellazioni del mese - Scorpione
VIA LATTEA TRA LO SCORPIONE E IL SAGITTARIO CREDITI: CRISTINA CELLINI

Altri oggetti interessanti per gli astrofili sono la Nebulosa  Zampa di Gatto, NGC 6334, appartenente  al Braccio del  Sagittario  della Via Lattea e la Nebulosa Guerra e Pace, NGC 6357, che si trova nella parte meridionale della costellazione dello Scorpione, a declinazioni australi.

Costellazioni del mese - Scorpione
NEBULOSA ZAMPA DI GATTO E GUERRA E PACE CREDITI: MARCELLA BOTTI

LO SCORPIONE NELLA MITOLOGIA

Come ogni oggetto celeste anche la figura dello Scorpione trova posto tra i miti e le leggende: esso è strettamente legato ad Orione, in diverse storie che  li vedono protagonisti.

Secondo una delle vicende più note pare che lo Scorpione avesse punto fatalmente il cacciatore Orione dopo che  quest’ultimo si era vantato con Artemide di essere in grado di poter uccidere qualsiasi animale gli fosse capitato a tiro; questa sua spavalderia non fu gradita a Gea, la madre Terra, che scagliò contro Orione il velenoso scorpione, uccidendolo.

Zeus, vedendo a terra Orione con accanto lo scorpione, decise di trasformarli entrambi in stelle e di porli sulla volta celeste, destinati a non incontrarsi mai perché quando lo Scorpione sorge Orione tramonta, in un ciclico scorrere del tempo e delle stagioni.

LA COSTELLAZIONE DI OFIUCO

In una regione di cielo molto ricca di oggetti interessanti, a Nord-Ovest  del centro della Via Lattea, è posta la costellazione dell’Ofiuco, una figura che interseca la fascia dello Zodiaco: essa si trova a cavallo dell’equatore celeste e la usa posizione lo rende osservabile da quasi tutte le aree del pianeta, tranne  le regioni polari.

Le stelle più luminose dell’Ofiuco sono alfa Ophiuchi, nota anche come Ras Alhague, che rappresenta  la testa dell’uomo che “tiene il serpente” e poi la stella η Ophiuchi, nota con il nome di Sabik, che si trova nella parte meridionale dell’asterismo.

Alfa Ophiuchi è una stella di magnitudine 2,08: si tratta di una delle stelle più brillanti vicine a noi, posta a 47 anni luce, mentre η Ophiuchi è  una stella bianca di magnitudine 2, 43  posta a 84 anni luce.

La Costellazione dell'Ofiuco
La Costellazione dell’Ofiuco

OGGETTI NON STELLARI NELLA COSTELLAZIONE DELL’OFIUCO

La costellazione contiene di verse stelle variabili oltre ad ammassi e nebulose: con un binocolo è già possibile individuare ad esempio il brillante ammasso globulare M5, ma vi sono anche gli ammassi M9, M10, M12, che si prestano all’osservazione e alle riprese con telescopi di discreta apertura.

In direzione del centro galattico, al confine  con il Sagittario, troviamo la Nebulosa Pipa, una nebulosa oscura che appare legata a Nord con un  altro sistema di nubi oscure.

Le costellazioni del mese - Ofiuco
NEBULOSA PIPA CREDITI: LAURA PULVIRENTI

OFIUCO NELLA MITOLOGIA

L’Ofiuco è rappresentato come un uomo che tiene con le mani con un enorme serpente, attorcigliato a sua volta intorno alla vita e che trova collocazione nella costellazione del Serpente.

Tra i miti che aleggiano intorno alla costellazione dell’Ofiuco di certo il più noto è il mito greco che si rifà al dio greco della medicina Asclepio, figlio di Apollo e Coronide, anche se sull’identità della madre non vi è certezza.

Costellazioni del mese - Ophiuco
Asclepio Marie-Lan Nguyen (settembre 2009) musei vaticani

Secondo la leggenda Coronide, con in grembo il figlio di Apollo, tradì quest’ultimo con un mortale: a rendere il dio a conoscenza del misfatto ci pensò un corvo che, anziché ricevere da Apollo la giusta gratitudine per averlo informato dei fatti, venne trasformato da candido uccello qual era in un corvo nero.

Apollo dunque, accecato dall’ira, scagliò la sua freccia mortale contro Coronide, portando a compimento il suo folle gesto con un’azione ancor più malvagia: egli infatti strappò dal grembo materno il bambino, consegnandolo al centauro Chirone, che  lo allevò come figlio suo e lo indottrinò alla conoscenza e all’applicazione  delle  tecniche di guarigione.

Asclepio acquisì tutto il sapere possibile, divenendo abile nel salvare le vite umane  e anche nel resuscitare i morti: ciò però  mosse la preoccupazione di Ade, il dio dell’oltretomba, che si rivolse a Zeus il quale punì Asclepio, fulminandolo.

Nonostante tutto, Apollo non fu in grado di mandare giù un simile oltraggio, era pur sempre suo figlio e, anche al fine di placare le ire di Zeus, rese Asclepio immortale, trasformandolo in una costellazione e collocandolo sulla  volta celeste per l’eternità.

Nel tempo il simbolo dei medici chirurghi è diventato proprio dal bastone di Asclepio, un semplice bastone con avvolto un serpente, logo che ritroviamo anche nella bandiera dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità).

LA COSTELLAZIONE DELL’AQUILA

Alla corte celeste dei mesi estivi spicca l’astro luminoso Altair, stella principale dell’Aquila, una costellazione tipica dell’estate boreale che si trova a cavallo dell’equatore celeste e che viene attraversata dalla Via Lattea.

Altair è una stella bianca con magnitudine apparente di 0,77 e ciò la classifica come dodicesima stella più brillante del cielo, posta a una distanza di soli 17 anni luce da noi.

Insieme a Vega della Lira e Deneb  del Cigno, Altair costituisce uno dei vertici del Triangolo estivo, un  brillante asterismo da ammirare nel mese di luglio e per tutta l’estate.

Le Costellazioni del mese - Aquila
Costellazione dell’Aquila

OGGETTI NON STELLARI NELL’AQUILA

La costellazione dell’Aquila non contiene oggetti del catalogo Messier, ma ospita al suo interno due ammassi aperti come NGC6709 e NGC 6755, l’ammasso globulare NGC 6760,  la nebulosa Phantom Streak,  la Galassia a spirale NGC6814.

Ma c’è un oggetto poco noto, che possiamo ammirare in un’immagine davvero rara, realizzata da Cristina Cellini, che rappresenta una nebulosa planetaria denominata SH2-78 o nota anche come CTSS3.

Costellazioni del mese - Aquila
SH2-78 CREDITI: CRISTINA CELLINI

Ricordiamo  anche  che nell’Aquila è presente la Nebulosa oscura E, composta da due sistemi nebulosi separati tra loro e visibili con un telescopio anche  amatoriale: B142  e B143.

L’AQUILA NELLA MITOLOGIA

Rapimento di ganimede da parte di giove Eustache Le Sueur

Rappresentata come l’uccello mitologico caro a Zeus, nella mitologia greca e romana l’Aquila è protagonista di molte leggende.

Una delle  storie più diffuse narra che il rapace fosse utilizzato da Zeus per riportare indietro i fulmini una volta scagliati contro chi osasse disobbedirgli.

In un’altra vicenda scopriamo che Zeus si trasformò in un’aquila, ricorrendo alle sue consuete metamorfosi in animali e uccelli di ogni genere e questa volta lo fece per rapire Ganimede e portarlo nell’Olimpo affinchè  svolgesse il ruolo di coppiere degli dei; secondo un’altra conturbante storia, l’inguaribile seduttore Zeus  s’incapricciò della bellissima dea Nemesi  e per riuscire a  possederla messe a punto un piano con l’aiuto di Afrodite, la quale venne trasformata lei stessa in un’aquila per simulare una caccia  al bellissimo cigno in cui si era a sua volta trasformato il padre degli dei.

Zeus finse di essere braccato dal rapace e cercò rifugio tra le braccia della dolce e ingenua Nemesi, riuscendo nell’intento di sedurla con l’inganno.

A memoria del buon esito del folle piano,  Zeus pose il Cigno e l’Aquila a brillare tra le stelle in eterno.

Le costellazioni del mese di giugno 2024

Quando c’è una bella notte stellata, il signor Palomar dice:  – Devo andare a guardare le stelle -. Dice proprio: – Devo, – perchè odia gli sprechi e pensa che non sia giusto sprecare tutta quella quantità di stelle che gli viene messa a disposizione.

Palomar, I.Calvino

Nel mese che conduce all’estate incontriamo sulla volta celeste le costellazioni di Ercole e la costellazione del Drago.

LA COSTELLAZIONE DI ERCOLE

Posta tra il Boote e la Lira, fra le costellazioni del mese troviamo quella di Ercole che è una costellazione tipica dell’estate boreale, che culmina a mezzanotte verso metà giugno; per via della sua ampia estensione (1225 gradi quadrati) è classificata come la quinta più grande del firmamento.

Nonostante le sue vaste dimensioni, Ercole non vanta stelle particolarmente brillanti: la più luminosa è Beta Herculis, nota anche come Kornephoros, stella di magnitudine 2,78; vi è poi Zeta Herculis, conosciuta anche come Ruticulus, una stella gialla di magnitudine 2.81 distante 35 anni luce da noi.

le costellazioni del mese

OGGETTI NON STELLARI IN ERCOLE

La costellazione contiene in compenso un gran numero di stelle doppie e stelle variabili, alcune osservabili già con piccoli strumenti e telescopi, come Alpha Herculis, detta anche Ras Algethi: si tratta di una stella doppia situata nella parte meridionale della costellazione di Ercole, la cui componente principale è una gigante rossa variabile di magnitudine 3.51.

Ercole giace lontano dalla porzione di cielo attraversata dalla Via Lattea, in una regione priva di galassie luminose; tuttavia l’asterismo ospita uno dei più conosciuti ammassi globulari: M13 o Ammasso Globulare di Ercole.

le costellazioni del mese
M13 ripresa da Massimiliano Pedersoli

Si tratta dell’ammasso più luminoso dell’emisfero boreale, visibile già ad occhio nudo da luoghi bui, e in maniera ancor più nitida e ben dettagliata se si osserva il cielo attraverso un binocolo o telescopio.

Con la sua magnitudine apparente pari a 5,8 l’ammasso contiene migliaia di stelle ed è uno degli oggetti più fotografati da dilettanti e professionisti.

L’Ammasso Globulare di Ercole rimane altresì famoso per il “messaggio Arecibo”: un messaggio radio trasmesso nello spazio dal radiotelescopio di Arecibo, a Porto Rico, (purtroppo ormai smantellato dopo gravi danneggiamenti ambientali) il 16 novembre 1974 e indirizzato verso M13, a 25 000 anni luce di distanza.

Nella costellazione è presente anche l’ammasso globulare M 92, uno degliammassi più settentrionali della volta celeste, che risulta essere meno facile da individuare rispetto ad M13, ma non impossibile: si può tentare l’osservazione con un binocolo 10×50, attraverso il quale l’ammasso appare come una macchia biancastra diffusamentre, con un telescopio da almeno 200mm di apertura, sarà possibile risolverlo in stelle.

le costellazioni del mese
L’ammasso M92 di Massimiliano Pedersoli

Nella costellazione di Ercole è situata una delle nebulose planetarie più grandi della nostra Via Lattea, Abell 39, che possiede un diametro di ben 5 anni luce e la cui forma, circolare e trasparente, ricorda una bolla di sapone.

le costellazioni del mese
IMMAGINE ABELL 39 CREDITI: CRISTINA CELLINI

IL MITO DI ERCOLE fra le costellazioni del mese

Quella di Ercole è certamente una delle figure più note della mitologia: la sua fama è legata alle 12 fatiche che l’eroe dovette affrontare e chi gli valsero la sua eterna gloria, di seguito citate:


Uccidere l’invulnerabile leone di Nemea e portare la sua pelle come trofeo;
Uccidere l’immortale idra di Lerna;
Catturare la cerva di Cerinea;
Catturare il cinghiale di Erimanto;
Ripulire in un giorno le stalle di Augia;
Disperdere gli uccelli del lago Stinfalo;
Catturare il toro di Creta;
Rubare le cavalle di Diomede;
Impossessarsi della cintura di Ippolita, regina delle Amazzoni;
Rubare i buoi di Gerione;
Rubare i pomi d’oro del giardino delle Esperidi;
Portare vivo Cerbero, il cane a tre teste guardiano degli Inferi, a Micene.

In origine i greci associavano alla figura di Ercole quella dell’Inginocchiato senza però attribuirgli un significato specifico; solo successivamente, in seguito alle 12 fatiche attribuite all’eroe, la figura venne ribattezzata con il nome che oggi conosciamo, e l’atto di inginocchiarsi è da ricondurre al riposo di Ercole dopo le sue gesta.

Ercole era venerato come simbolo di forza e abilità, ma anche come eroe generoso, che per il suo altruismo divenne esempio anche di grandezza morale oltre che fisica e proprio per queste sue virtù gli fu donato un posto sulla volta celeste.

Grazie alla mano di Ercole,
regna la Pace fra l’Aurora e il Vespero,
e nel luogo in cui il sole a mezzogiorno
nega le ombre ai corpi;
tutta la terra bagnata dal lungo circuito di Teti
è stata sottomessa dalla fatica di Alcide.
(Seneca, La follia di Ercole, 883-888)

Ma ad Ercole è legato anche un altro affascinante mito dove la protagonista è la nostra galassia, la Via Lattea: Ercole era figlio di Zeus e di Alcmena, una fanciulla, ennesima vittima degli inganni del padre degli dei: narra la mitologia che Zeus si trasformò nel marito della giovane per poterla possedere e proprio da questa unione nacque l’eroe mitologico, che però fu abbandonato dalla sua mamma.

Zeus teneva molto a quel figlio, per metà dio, e fece in modo che sua moglie Era lo trovasse e lo allattasse: accadde che Ercole fu preso in braccio da Era nel tentativo di attaccarlo al suo seno, ma il piccolo si mosse bruscamente (o fu Era stessa ad allontanarlo, secondo altre versioni) e lo schizzo di latte arrivò fino in cielo creando così il fiume di stelle che scorre sulla volta celeste e che dà vita alla Via Lattea.

LA COSTELLAZIONE DEL DRAGO fra le costellazioni del mese

Proseguendo il nostro percorso attraverso i sentieri celesti dell’estate, ci imbattiamo nella costellazione del Drago: si tratta di una figura situata tra l’Orsa Maggiore, l’Orsa Minore e Cefeo e risulta essere una delle più estese della volta celeste.

La parte immediatamente visibile della costellazione è il quadrato dato dalle stelle che ne formano la testa, le cui due più brillanti sono Eltanin e Rastaban, rispettivamente Gamma Draconis e β Draconis; quest’ultima deriva dall’arabo (Al Rās al Thuʽbān) e significa “la testa del serpente”.

le costellazioni del mese

OGGETTI NON STELLARI NELLA COSTELLAZIONE DEL DRAGO

Il Drago non spicca certo per grande luminosità, ma in compenso vanta un buon numero di stelle doppie come ν Draconis e ο Draconis, risolvibili già con un discreto telescopio.

Per quanto riguarda gli oggetti del profondo cielo c’è da dire che il Drago offre numerosi e interessanti spunti di osservazione, poiché ospita nebulose e galassie dalle caratteristiche decisamente scenografiche.

Partiamo dalla nebulosa planetaria NGC 6543, comunemente nota come Nebulosa Occhio di Gatto: questo oggetto, posto a 4.000 anni luce da noi, risultaessere davvero molto ambito tra gli astrofili. Si tratta di una nebulosa scoperta da William Herschel nel 1786 che è diventata oggetto di interesse e di studio dettagliato grazie al Telescopio Spaziale Hubble, il quale ha rivelato informazioni di grande rilevanza riguardo la sua struttura.

le costellazioni del mese
La nebulosa NGC 6543 di Loris Ferrini

Un altro degli oggetti del profondo cielo, ospite nella costellazione del Drago, è la Galassia Fuso, NGC 5866, una galassia lenticolare vista di taglio, con un diametro di 60.000 anni luce, posta a una distanza di 40 milioni di anni luce.

Le immagini rilasciate dal Telescopio Spaziale HUBBLE rivelano una striscia di polveri che divide la galassia in due metà, e un sottile rigonfiamento rossastro che circonda un nucleo luminoso, un disco blu di stelle che corre parallelo alla fascia di polvere, oltre ad un alone esterno trasparente.

le costellazioni del mese
IMMAGINE NGC 5866 CREDITI: NASA, ESA, THE HUBBLE HERITAGE TEAM (STSCL/AURA)

Infine va citata la Galassia Girino, UGC 10214, una spettacolare galassia a spirale barrata, che si trova a 400 milioni di anni luce dalla Terra.

Il suo tratto distintivo è una coda di stelle lunga circa 280.000 anni luce,arricchita da luminosi ammassi stellari blu, la cui forma distorta derivadallo scontro con una piccola ecompatta galassia blu: durante l’impatto le forze di marea galattiche hanno espulso una grande quantità di gas,stelle e detriti, generando la coda.Dopo aver causato questo imponente (e suggestivo) incidente, pare  che la piccola galassia compatta (e colpevole) si stia allontanando dal luogo dell’impatto.

le costellazioni del mese
IMMAGINE GALASSIA GIRINOCREDITI: Credit: NASA, H. Ford (JHU), G. Illingworth (UCSC/LO), M.Clampin (STScI), G. Hartig (STScI), the ACS Science Team, and ESA

ILDRAGO NELLA MITOLOGIA

Il Drago trova riferimenti sia negli antichi popoli Sumeri e Babilonesi che nella mitologia greca, dove veniva configurato con Ladone, il guardiano delle mele d’oro.

Tutto ebbe inizio con il matrimonio di Giove e Giunone, i quali ricevettero come regalo di nozze dalla dea Gea (la Terra) un albero speciale, in grado di produrre mele d’oro.

Giunone lo fece piantare in giardino, ma l’albero era così prezioso che serviva qualcuno che lo sorvegliasse: così Giunone incaricò un terribile mostro, Ladone, con sembianze metà di donna e metà di serpente.

E qui entra in scena Ercole che venne convocato dal re di Micene, Euriseo, il quale gli affidò il compito di uccidere il mostro e trafugare l’albero dal giardino di Giunone; l’eroe prese alla lettera l’incarico e, giunto nel giardino e individuato il temibile mostro, scagliò una delle sue fatali frecce contro Ladone, che stramazzò a terra esanime.

Il Drago venne posto in cielo in ricordo di quell’impresa e fu sistemato attorno all’albero dai frutti d’oro, rappresentato dall’asse terrestre.

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Indice dei contenuti

Transiti della ISS International Space Station

Transiti della ISS International Space Station per il mese di Maggio 2025 considerati notevoli

La ISSStazione Spaziale Internazionale sarà rintracciabile nei nostri cieli sia ad orari mattutini che serali. Avremo molti transiti notevoli con magnitudini elevate durante l’ultimo mese della primavera, auspicando come sempre in cieli sereni.

07 Maggio

Si inizierà il giorno 7 Maggio, dalle 05:14 alle 05:24, osservando da ONO a SE. Visibilità perfetta da tutta Italia, con magnitudine di picco a -3.9. Uno dei migliori transiti mattutini del mese, meteo permettendo.

08 Maggio

Il giorno successivo, 8 Maggio, la ISS sarà nuovamente visibile dalle 04:25 verso NO alle 04:35 verso ESE. Anche questo transito sarà osservabile da tutta la nazione, con una magnitudine massima di -3.4.

09 Maggio

Alla sera del 9 Maggio, nuovo spettacolare transito da SO ad ENE, dalle 21:54 alle 22:04. La ISS attraverserà il cielo da orizzonte a orizzonte, visibile perfettamente da tutta Italia, con magnitudine massima a -3.9.

10 Maggio

Il 10 Maggio, nuovo transito mattutino dalle 04:25 alle 04:34, da ONO a SE. Sarà osservabile in particolare dalle Isole Maggiori, con magnitudine di picco a -3.6.

10 Maggio


Sempre il 10 Maggio, ma alla sera, la ISS transiterà dalle 21:06 alle 21:16, da SO a ENE. Visibilità ottimale dal Sud Italia, con magnitudine massima di -3.5.

12 Maggio

Il 12 Maggio, nuovo transito serale dalle 21:19 alle 21:29, da OSO a NE. Visibile al meglio dal Centro-Nord Italia, con una magnitudine di picco di -3.4.

22 Maggio

Saltando di alcuni giorni, il 22 Maggio, nuovo transito parziale serale, dalle 22:33 alle 22:39, da NO a ENE. Visibilità migliore dal Centro-Nord, con magnitudine massima a -3.6.

24 Maggio

Il 24 Maggio, la ISS attraverserà il cielo delle Isole Maggiori dalle 22:31 alle 22:36, da ONO a SSO. Magnitudine di picco a -3.4 per questo transito breve ma brillante.

25 Maggio

Infine, il 25 Maggio, dalle 21:41 alle 21:49, da NO a SE, si avrà il miglior transito serale del mese. Osservabile da tutta Italia, con magnitudine massima a -3.8.

Transiti della ISS International Space Station per il mese di Aprile 2025 considerati notevoli

La ISSStazione Spaziale Internazionale sarà rintracciabile nei nostri cieli in orari mattutini. Avremo cinque transiti notevoli con magnitudini elevate durante il mese, auspicando come sempre in cieli sereni.

20 Aprile

Si inizierà il giorno 20 Aprile, dalle 05:34 verso SO alle 05:43 verso ENE. La ISS sarà ben visibile da tutta Italia, con una magnitudine massima che si attesterà su -3.5.

21 Aprile

Il giorno successivo, 21 Aprile, la Stazione Spaziale transiterà dalle 04:46 in direzione S alle 04:53 in direzione ENE. Transito osservabile al meglio dal Sud Italia, con magnitudine di picco a -3.1.

22 Aprile

Si prosegue il 22 Aprile, dalle 05:31 alle 05:39, da OSO a NE. Un passaggio ben visibile dal Centro-Nord del paese, con magnitudine massima di -3.3.

23 Aprile

Il 23 Aprile, nuovo transito da non perdere: dalle 04:43 verso OSO alle 04:49 verso NE. Osservabile da tutta la nazione, con magnitudine di picco a -3.9, sarà uno dei più luminosi del mese.

25 Aprile

L’ultimo transito notevole sarà il 25 Aprile, visibile al meglio dal Nord Italia. Dalle 04:38 alle 04:45, la ISS attraverserà il cielo da ONO a NE, con una magnitudine massima di -3.0.

Transiti della ISS International Space Station per il mese di Marzo 2025 considerati notevoli

La ISSStazione Spaziale Internazionale sarà rintracciabile nei nostri cieli sia ad orari mattutini che serali. Avremo molti transiti notevoli con magnitudini elevate durante il primo mese della Primavera, auspicando come sempre in cieli sereni.

03 Marzo

Si inizierà il giorno 3 Marzo, dalle 05:55 alle 06:04, osservando da ONO a SE. Visibilità perfetta da tutta Italia per uno dei migliori transiti del mese, con una magnitudine massima che si attesterà su un valore di -3.8.

04 Marzo

Si replica il 4 Marzo, dalle 05:09 verso NO alle 05:16 verso ESE. La ISS sarà nuovamente ben visibile da tutta la nazione, con magnitudine di picco a -3.4. Osservabile senza problemi, meteo permettendo.

06 Marzo

Due giorni dopo, il 6 Marzo dalle 05:10 alle 05:16, da OSO a SE, la ISS sarà osservabile al meglio dalle isole maggiori. Transito parziale con magnitudine massima a -3.5.

13 Marzo

Saltando una settimana ed iniziando con i transiti serali, il 13 Marzo avremo un transito dalle 19:23 in direzione SO alle 19:30 in direzione ENE. Visibilità ottimale dal Centro Sud, con magnitudine massima di -3.9.

14 Marzo

Il giorno successivo, 14 Marzo, dalle 18:34 alle 18:44, la ISS transiterà da SO a ENE. Questo passaggio sarà visibile al meglio dal Sud Italia, con magnitudine massima a -3.3.

26 Marzo

Passiamo al 26 Marzo, dalle 20:07 in direzione NO alle 20:13 in direzione NNE. Un passaggio ottimale, seppur parziale, per il Centro Nord, con magnitudine massima di -3.7.

27 Marzo

Il giorno dopo, 27 Marzo, dalle 19:18 verso NO alle 19:26 verso E, la ISS sarà visibile al meglio dal Nord Est del paese, raggiungendo una magnitudine massima di -3.2.

28 Marzo

Il 28 Marzo, dalle 20:06 alle28 Marzo 20:11, la Stazione Spaziale Internazionale attraverserà il cielo da ONO a S. Questo transito sarà osservabile al meglio dalle isole maggiori, con magnitudine di picco a -3.2. Se osservata dal Centro Italia, la ISS transiterà vicina alle Pleiadi e Giove.

29 Marzo

L’ultimo transito del mese avverrà il 29 Marzo, dalle 19:16 alle 19:25, da NO a SE. Un passaggio facilmente osservabile da tutta la nazione, con magnitudine massima a -3.8.

Transiti della ISS International Space Station per il mese di Febbraio 2025 considerati notevoli

La ISSStazione Spaziale Internazionale sarà rintracciabile nei nostri cieli prima dell’alba durante il secondo mese del 2025. Avremo cinque transiti notevoli con magnitudini elevate, auspicando come sempre in cieli sereni.

14 Febbraio

Si inizierà il giorno 14 Febbraio, dalle 06:27 alle 06:37, osservando da SO a NE. La ISS sarà ben visibile da tutta Italia, con una magnitudine di picco a -3.7. Un transito mattutino che vale la pena osservare.

15 Febbraio

Il giorno successivo, 15 Febbraio, dalle 05:41 verso SSO alle 05:48 in direzione ENE, il transito sarà visibile al meglio dal Sud Italia, con una magnitudine massima di -3.0.

16 Febbraio

Passiamo al 16 Febbraio, dalle 06:27 in direzione O alle 06:35 verso NE. Questo transito sarà particolarmente adatto per il Nord Italia, con una magnitudine di picco a -3.2.

17 Febbraio

Il giorno successivo, 17 Febbraio, dalle 05:40 in direzione O alle 05:46 verso NE, la ISS sarà visibile da tutta Italia. Questo transito, con magnitudine massima a -3.8, sarà uno dei più luminosi del mese.

19 Febbraio

L’ultimo transito notevole del mese sarà il 19 Febbraio, dalle 05:38 alle 05:44, da NO a NE. Questo passaggio sarà osservabile al meglio dal Nord Italia, con una magnitudine di picco a -3.1.

Transiti della ISS International Space Station per il mese di Gennaio 2025 considerati notevoli

La ISSStazione Spaziale Internazionale sarà rintracciabile nei nostri cieli sia ad orari mattutini che serali. Avremo molti transiti notevoli con magnitudini elevate durante il primo mese del nuovo anno, auspicando come sempre in cieli sereni.

01 Gennaio

Si inizierà il giorno 1 Gennaio, dalle 06:12 alle 06:18, osservando da ONO a SE. La ISS sarà ben visibile da tutta Italia, con una magnitudine massima che si attesterà su un valore di -3.8.

14 Gennaio

Saltando ai passaggi serali, il 14 Gennaio, la Stazione Spaziale transiterà dalle 18:30 alle 18:37, da SO ad ENE. Questo sarà uno dei due transiti migliori del mese, visibile senza problemi da tutta Italia, con magnitudine di picco a -3.9. Da alcune località del centro Italia la ISS transiterà nel mezzo della (o molto vicino alla) congiunzione tra Venere e Saturno, un’ottima occasione fotografica.

15 Gennaio

Il giorno successivo, 15 Gennaio, dalle 17:41 verso SSO alle 17:49 in direzione ENE, il transito sarà visibile al meglio dal Sud Italia. La ISS raggiungerà una magnitudine massima di -3.2.

17 Gennaio

Passiamo al 17 Gennaio, dalle 17:37 in direzione OSO alle 17:46 verso NE. Questo sarà un transito ideale per il Centro Nord Italia, con magnitudine di picco a -3.6.

28 Gennaio

Il 28 Gennaio, dalle 18:09 alle 18:16, da NO a E, la ISS sarà visibile al meglio dal Nord Est, raggiungendo una magnitudine di -3.2.

29 Gennaio

Il giorno successivo, 29 Gennaio, dalle 18:55 alle 19:02, da ONO a SSE, il transito sarà osservabile al meglio da Sardegna e Sicilia. La magnitudine massima sarà di -3.4.

30 Gennaio

L’ultimo transito notevole del mese, il 30 Gennaio, dalle 18:05 alle 18:14, da NO a ESE, sarà nuovamente visibile da tutta Italia (il secondo migliore del mese), con magnitudine di picco a -3.9.

Transiti della ISS International Space Station per il mese di Dicembre 2024 considerati notevoli

La ISSStazione Spaziale Internazionale sarà rintracciabile nei cieli della nazione ad orari tardo pomeridiani nella prima parte del mese, e al mattino, prima dell’alba, nella seconda. Avremo sette transiti notevoli con magnitudini elevate, auspicando come sempre in cieli sereni.

02 Dicembre

Si inizierà il giorno 2 Dicembre, dalle 17:43 verso NO alle 17:52 verso SE. La ISS sarà ben visibile da tutta Italia, con una magnitudine di picco a -3.7.

16 Dicembre

Si passa ai transiti mattutini, prima dell’alba. Il 16 Dicembre, dalle 06:19 in direzione SO alle 06:28 in direzione NE. Un classico transito visibile senza alcun problema da ogni parte d’Italia, meteo permettendo. Magnitudine di -3.9.

17 Dicembre

Il giorno successivo, 17 Dicembre, la Stazione Spaziale Internazionale sarà visibile al meglio dal Sud Italia dalle 05:33 alle 05:39, da S ad ENE. Questo transito avrà una magnitudine massima di -3.1.

18 Dicembre

Il 18 Dicembre, dalle 06:20 in direzione O alle 06:27 in direzione NE, la ISS sarà particolarmente visibile dal Nord Italia, raggiungendo una magnitudine di -3.2.

29 Dicembre

Passiamo al 29 Dicembre, dalle 06:56 verso NO alle 07:05 verso ESE. Questo transito sarà nuovamente visibile da tutta Italia, con una magnitudine di picco a -3.6.

30 Dicembre

Il giorno dopo, 30 Dicembre, dalle 06:08 in direzione NNO alle 06:15 in direzione ESE, il transito sarà osservabile al meglio dal Nord-Est e dalle regioni Adriatiche, con magnitudine massima a -3.1.

31 Dicembre

L’ultimo transito notevole del mese, il 31 Dicembre, sarà visibile al meglio da Sardegna e Sicilia. Dalle 06:53 alle 07:02, da ONO a SE, la ISS raggiungerà una magnitudine di -3.3.

Transiti della ISS International Space Station per il mese di Novembre 2024 considerati notevoli

La ISSStazione Spaziale Internazionale sarà rintracciabile nei nostri cieli sia ad orari mattutini che serali. Avremo molti transiti notevoli con magnitudini elevate durante l’ultimo mese autunnale, auspicando come sempre in cieli sereni.

02 Novembre

Si inizierà il giorno 2 Novembre, dalle 06:05 alle 06:14, osservando da ONO a SE. La ISS sarà ben visibile dalle Isole Maggiori, con una magnitudine massima che si attesterà su un valore di -3.6.

03 Novembre

Il prossimo transito sarà il 3 Novembre, dalle 05:19 in direzione NO alle 05:25 in direzione ESE. Visibilità eccellente da tutta Italia, con una magnitudine di picco a -3.8.

05 Novembre

Il giorno 5 Novembre, dalle 05:18 verso SO alle 05:23 in direzione SE, sarà un transito osservabile al meglio da Sardegna e Sicilia, con una magnitudine massima di -3.1.

15 Novembre

Saltando di dieci giorni, arriviamo al 15 Novembre, dalle 18:31 in direzione OSO alle 18:37 in direzione NNO, con magnitudine di picco a -3.8. Questo sarà un transito ideale per il Centro-Nord.

16 Novembre

Il giorno successivo, 16 Novembre, dalle 17:42 verso SO alle 17:49 verso ENE. Visibilità migliore dal Centro-Sud Italia, con magnitudine massima a -3.7.

18 Novembre

Il 18 Novembre, dalle 17:39 alle 17:47, la ISS attraverserà il cielo da OSO a NE. Un transito ottimale per il Centro-Nord, con magnitudine di picco a -3.2.

29 Novembre

L’ultimo transito del mese, il 29 Novembre, sarà visibile al meglio dal Nord Italia. Dalle 18:12 alle 18:17, da NO a NNE. La ISS raggiungerà una magnitudine massima di -3.4.

Transiti della ISS International Space Station per il mese di Ottobre 2024 considerati notevoli

La ISSStazione Spaziale Internazionale sarà rintracciabile nei nostri cieli sia ad orari serali che mattutini. Avremo quattro transiti notevoli con magnitudini elevate ad inizio e a fine mese, auspicando come sempre in cieli sereni.

02 Ottobre

Si inizierà il giorno 2 Ottobre, dalle 19:09 alle 19:20, osservando da ONO a SE. La ISS sarà ben visibile dalle Isole Maggiori e regioni occidentali, con una magnitudine massima che si attesterà su un valore di -3.1.

17 Ottobre

Il prossimo transito sarà il 17 Ottobre, dalle 06:52 verso SO alle 07:03 verso ENE. Visibilità eccellente da tutta Italia, con un transito che attraverserà il cielo da orizzonte a orizzonte. Magnitudine di picco a -3.5.

19 Ottobre

Saltiamo di un paio di giorni, andando al 19 Ottobre, dalle 06:51 in direzione OSO alle 07:00 in direzione NE. Transito ottimale per il Centro Nord, con magnitudine massima a -3.4.

20 Ottobre

L’ultimo passaggio sarà visibile al meglio da tutta Italia il 20 Ottobre. Dalle 06:04 alle 06:11, da OSO a NE, con magnitudine di picco a -3.9. Vale la pena mettere la sveglia per il miglior transito antelucano del mese.


Transiti della ISS International Space Station per il mese di Settembre 2024 considerati notevoli

La ISSStazione Spaziale Internazionale sarà rintracciabile nei nostri cieli sia ad orari mattutini che serali. Avremo molti transiti notevoli con magnitudini elevate durante il primo mese d’autunno, sperando come sempre in cieli sereni.

05 Settembre

Si inizierà il giorno 5 Settembre, dalle 06:00 verso ONO alle 06:10 verso SE. Visibilità perfetta da tutta la nazione, con magnitudine di picco a -3.7. Osservabile senza problemi, meteo permettendo.

06 Settembre

Si replica il 6 Settembre, dalle 05:14 in direzione NO alle 05:21 in direzione ESE. Questo sarà un transito ottimale per tutto il paese. Magnitudine massima nuovamente a -3.7.

11 Settembre

Il transito successivo si avrà l’11 Settembre, con la Stazione Spaziale che transiterà dalle 21:02 alle 21:08, da SO ad ENE. Un transito ottimale per tutta Italia, con magnitudine massima a -3.9. Il miglior transito serale del mese, anche se parziale.

12 Settembre

Un nuovo transito della ISS il 12 Settembre, dalle 20:14 verso SO alle 20:22 verso ENE, con magnitudine di picco a -3.6. Questo passaggio sarà particolarmente visibile nel Centro-Sud.

14 Settembre

Il giorno 14 Settembre, nuovo transito ottimale per il Centro-Nord, dalle 20:13 alle 20:22, da OSO a NE, la ISS avrà una magnitudine massima di -3.3.

28 Settembre

Il penultimo passaggio sarà il 28 Settembre, dalle 20:09 verso NO alle 20:16 verso ESE. Transito osservabile da tutta la nazione, con la ISS che raggiungerà una magnitudine di picco di -3.8.

29 Settembre

L’ultimo transito notevole si avrà il 29 Settembre, osservabile al meglio dal Nord Italia, dalle 19:21 alle 19:29, da NO ad ESE. La ISS avrà una magnitudine massima a -3.2.

Transiti della ISS International Space Station per il mese di Agosto 2024 considerati notevoli

La ISSStazione Spaziale Internazionale sarà rintracciabile nei nostri cieli in orari mattutini, prima dell’alba. Avremo quattro transiti notevoli con magnitudini elevate durante l’ultimo mese estivo, auspicando come sempre in cieli sereni.

20 Agosto

Transiti ISS

Si inizierà il giorno 20 Agosto, dalle 05:46alle 05:55, osservando da SO ad ENE. La ISS sarà visibile da tutta la nazione per uno dei due migliori transiti del mese con una magnitudine massima di -3.7.Se osservata dal Centro, la ISS sarà vicina alla coppia Marte-Giove.

21 Agosto

Transiti ISS

Si replica il 21 Agosto, dalle 04:58 verso S alle 05:05 verso ENE. Visibilità migliore per il Sud Italia, con magnitudine di picco a -3.1.

22 Agosto

Transiti ISS

Passiamo al giorno 22 Agosto con un nuovo transito dalle 05:44 in direzione OSO alle 05:52 in direzione NE. Osservabile al meglio dal Centro Nord Italia con una magnitudine massima di -3.3.

23 Agosto

L’ultimo transito del mese si avrà il 23 Agosto, dalle 04:56 alle 05:03, da OSO a NE. Magnitudine di picco a -3.9per il miglior transito del mese, osservabile da tutta la nazione.

Transiti della ISS International Space Station per il mese di Luglio 2024 considerati notevoli

La ISSStazione Spaziale Internazionale sarà rintracciabile nei nostri cieli sia ad orari mattutini che serali. Avremo molti transiti notevoli con magnitudini elevatedurante il secondo mese estivo, auspicando come sempre in cieli sereni.

08 Luglio

Transiti della ISS International Space Station 08 Luglio

Si inizierà il giorno 8 Luglio, dalle 22:54 verso OSO alle 23:05 verso NE. Visibilità perfetta da tutta la nazione, con magnitudine di picco a -3.9. Osservabile senza problemi, meteo permettendo.

09 Luglio

Transiti della ISS International Space Station 09 Luglio

Si replica il 9 Luglio, dalle 22:06 alle 22:16, osservando da SO a ENE. La ISS sarà nuovamente ben visibile da tutta Italia, in particolare dal Centro Sud, con una magnitudine massima si attesterà su un valore di -3.7.

10 Luglio mattina

Transiti della ISS International Space Station 10 Luglio

Il 10 Luglio avremo una giornata con un transito al mattino ed uno alla sera. Il primo si avrà dalle 04:35 alle 04:45, da ONO a SE, con una magnitudine massima di -3.8. Osservabile al meglio dall’occidente italiano.

10 Luglio sera

Transiti della ISS International Space Station 10 Luglio sera

Sempre il 10 Luglio, ma alla sera, dalle 21:17 alle 21:28, vi sarà il secondo transito con magnitudine di picco a -3.2, visibile al meglio dal Sud Italia, da SSO a ENE.

11 Luglio

Transiti della ISS International Space Station 11 Luglio

L’11 Luglio avremo un nuovo transito mattutino osservabile da tutta la nazione. Dalle 03:46 verso NO alle 03:57 verso ESE, con magnitudine massima a -3.7. Vale la pena di mettere la sveglia.

12 Luglio

Transiti della ISS International Space Station 12 Luglio

Il 12 Luglio, alla sera, si avrà un nuovo passaggio delle ISS dalle 21:16 verso SO alle 21:27 verso NE, con visibilità perfetta (meteo permettendo) da tutta la nazione con magnitudine massima a -3.7.

22 Luglio

Transiti della ISS International Space Station 22 Luglio

Saltando di una decina di giorni, il 22 Luglio, con magnitudine a -3.5 dalle 22:50 verso NO alle 22:56 verso NE, la ISS effettuerà un transito parziale osservabile al meglio dal Centro Nord del paese.

24 Luglio

Transiti della ISS International Space Station 24 Luglio

Due giorni dopo, il 24 Luglio, la Stazione Spaziale effettuerà un altro transito parziale, osservabile al meglio dalla Sardegna, dalle22:49 alle 22:54, da ONO a OSO. Magnitudine massima a -3.3.

25 Luglio

Transiti della ISS International Space Station 25 Luglio

Passando al 25 Luglio, dalle 22:00 verso NO alle 22:07 verso ESE, la Stazione Spaziale Internazionale sarà osservabile nuovamente da tutto il paese, con magnitudine massima a -3.9.

26 Luglio

Transiti della ISS International Space Station 26 Luglio

Il 26 Luglio, con magnitudine a -3.4 dalle 21:11 verso NO alle 21:20 verso ESE, la ISS effettuerà il penultimo transito notevole del mese, osservabile al meglio dal Nord Est e regioni Adriatiche.

28 Luglio

Transiti della ISS International Space Station 28 Luglio

L’ultimo transito notevole del mese si avrà il 28Luglio, osservabile al meglio dall’occidente italiano, dalle 21:09 alle 21:18, da ONO a SE. La ISS avrà una magnitudine massima a -3.5.

Transiti della ISS International Space Station per il mese di Giugno 2024 considerati notevoli

La ISSStazione Spaziale Internazionale sarà rintracciabile nei nostri cieli in orari mattutini, prima dell’alba. Avremo sei transiti notevoli con magnitudini elevate ma solo durante gli ultimi giorni del mese di giugno, auspicando come sempre in cieli sereni.

23 Giugno

Transiti della ISS International Space Station
Transiti della ISS International Space Station 23 giugno

Si inizierà il giorno 23 Giugno, dalle 04:54alle 05:03, osservando da SO ad ENE. La ISS International Space Station sarà ben visibile da tutta la nazione con una magnitudine massima si attesterà su un valore di -3.8. Vale la pena di puntare la sveglia per questo passaggio.

24 Giugno

Transiti della ISS International Space Station
Transiti della ISS International Space Station 24 giugno

Il 24 Giugno, dalle 04:05 verso SSO alle 04:15 verso ENE, la Stazione Spaziale sarà osservabile al meglio dal Sud Italia con magnitudine di picco a -3.3.

25 Giugno

Transiti della ISS International Space Station
Transiti della ISS International Space Station 25 giugno

Il giorno dopo, 25 Giugno, la ISS transiterà dalle 04:50 alle 04:58, da OSO a NE, con una magnitudine massima di -3.1. Un passaggio perfetto per il Nord Italia questa volta.

26 Giugno

Transiti ISS International Space Station
Transiti della ISS International Space Station 26 giugno

Continuando, il 26 Giugno avremo un nuovo passaggio della ISS International Space Station dalle 04:00 verso OSO alle 04:08 verso NE. Visibile nuovamente da tutto il paese con magnitudine di picco a -3.8. Sperando come sempre in cieli sereni.

27 Giugno

Transiti ISS International Space Station
Transiti della ISS International Space Station 27 giugno

Arriviamo al penultimo transito, il 27 Giugno, dalle 03:11 in direzione SE alle 03:17 in direzione ENE. Un transito parziale, osservabile al meglio dal Centro Sud del paese, con una magnitudine massima di -3.6.

29 Giugno

Transiti ISS International Space Station
Transiti della ISS International Space Station 29 giugno

L’ultimo transito del mese si avrà il giorno 29 Giugno, dalle 03:06 da ONO alle 03:12 a NE, con magnitudine massima a -3.4. Osservabile al meglio dal Centro Nord Italia.

Transiti ISS International Space Station

N.B. Le direzioni visibili per ogni transito sono riferite ad un punto centrato sulla penisola, nel centro Italia, costa tirrenica. Considerate uno scarto ± 1-5 minuti dagli orari sopra scritti, a causa del grande anticipo con il quale sono stati calcolati.

ATTENZIONE

In caso di Booster della ISS eseguiti nei giorni successivi alla pubblicazione dell’articolo gli orari possono differire anche in maniera significativa. Vi invitiamo a controllare sempre il sito https://www.heavens-above.com/ soprattutto in caso di programmazione di una sezione di osservazione.


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Circinus West: Una Nebulosa Oscura che Ospita un Nido di Nuove Stelle

Alcune delle caratteristiche interessanti scoperte nell'ombra celeste conosciuta come la nube molecolare Circinus West. Questa immagine è stata catturata con la Dark Energy Camera (DECam) da 570 megapixel, realizzata dal Dipartimento dell'Energia, una delle fotocamere digitali più potenti al mondo. All'interno dei confini opachi di questa culla stellare, le stelle neonate si accendono dal gas e dalla polvere freddi e densi, mentre i getti espellono il materiale residuo nello spazio.Credito: CTIO/NOIRLab/DOE/NSF/AURA Elaborazione dell'immagine: T.A. Rector (University of Alaska Anchorage/NSF NOIRLab), D. de Martin & M. Kosari (NSF NOIRLab).

La nube molecolare Circinus West, una zona oscura celeste recentemente catturata dalla potente Dark Energy Camera (DECam), rappresenta uno degli obiettivi più interessanti per gli astronomi impegnati a esplorare i misteri della formazione stellare. Situata a circa 2.500 anni luce dalla Terra, nella costellazione del Circinus (Compasso), questa culla stellare offre uno sguardo affascinante sulla nascita e l’evoluzione delle stelle, avvolte in dense nubi di gas e polveri interstellari.

Un’ombra celeste conosciuta come la nube molecolare Circinus West attraversa questa immagine, catturata con la Dark Energy Camera (DECam) da 570 megapixel, realizzata dal Dipartimento dell’Energia, una delle fotocamere digitali più potenti al mondo. All’interno di questa culla stellare, stelle neonate si accendono da gas e polvere freddi e densi, mentre i getti espellono il materiale residuo nello spazio. Credito: CTIO/NOIRLab/DOE/NSF/AURA Elaborazione dell’immagine: T.A. Rector (University of Alaska Anchorage/NSF NOIRLab), D. de Martin & M. Kosari (NSF NOIRLab)

Il Ruolo delle Nebulose Oscure nella Formazione delle Stelle

Le nubi molecolari, come Circinus West, sono ambienti cruciali per la formazione delle stelle. Queste nubi, caratterizzate da temperature estremamente basse e densità elevatissime, creano un ambiente ideale per la formazione di molecole, poiché gli atomi all’interno di esse si legano per formare composti più complessi. A causa della loro densità, queste nubi sono opache alla luce, il che conferisce loro un aspetto scuro e maculato, da cui il nome nebulose oscure. Sono proprio queste aree che offrono importanti informazioni sui processi alla base della nascita delle stelle e sull’evoluzione delle nubi molecolari.

Circinus West, una parte della più grande nube molecolare Circinus, si estende su 180 anni luce e possiede una massa pari a 250.000 volte quella del nostro Sole. Nonostante la densità del gas e della polvere che oscurano gran parte della regione, gli astronomi sono riusciti a rilevare la formazione di nuove stelle al suo interno. L’immagine catturata dalla DECam, montata sul telescopio Víctor M. Blanco da 4 metri della National Science Foundation, presso l’Osservatorio Interamericano Cerro Tololo in Cile, mostra una forma scura e tortuosa, ricca di gas e polveri, con diverse stelle neonate sparse nella sua vastità.

La Nascita delle Stelle e i Loro Getti Molecolari

In Circinus West, le stelle appena formate emergono dalla nube oscura, la loro presenza segnalata da esplosioni di luce che penetrano attraverso il materiale che le circonda. Queste emissioni provengono da stelle in formazione attiva, e le cavità attorno a esse sono create da potenti getti di gas—i cosiddetti getti molecolari—che vengono espulsi dalle protostelle mentre si formano. Questi getti, oltre ad essere più facili da osservare rispetto alle stelle stesse, forniscono strumenti molto utili per lo studio dei processi di formazione stellare.

L’immagine DECam mostra numerosi segni di questi getti, inclusi punti luminosi dove le stelle stanno espellendo materiale nello spazio. Una delle aree più significative, la regione Cir-MMS, presenta una forma che ricorda una mano con lunghe dita ombrose, dove la radiazione intensa delle stelle neonate sta creando cavità all’interno della nube oscura. Questi getti molecolari forniscono informazioni fondamentali sui meccanismi che regolano la formazione delle stelle e sull’impatto che le stelle giovani esercitano sull’ambiente circostante.

Un primo piano di due oggetti Herbig-Haro (HH) trovati nella nube molecolare Circinus West: HH 76 (al centro in alto dell’immagine) e HH 77 (in basso a sinistra). Gli oggetti HH sono macchie rosse luminose di nebulosità che si trovano comunemente vicino a stelle neonate. Si formano quando il gas ad alta velocità espulso dalle stelle collide con il gas a bassa velocità presente nella nube molecolare circostante o nel mezzo interstellare. Questa immagine è stata catturata con la Dark Energy Camera (DECam) da 570 megapixel, realizzata dal Dipartimento dell’Energia, una delle fotocamere digitali più potenti al mondo, montata sul telescopio Víctor M. Blanco da 4 metri della National Science Foundation presso l’Osservatorio Interamericano Cerro Tololo in Cile, un programma del NSF NOIRLab. Credito: CTIO/NOIRLab/DOE/NSF/AURA Elaborazione dell’immagine: T.A. Rector (University of Alaska Anchorage/NSF NOIRLab), D. de Martin & M. Kosari (NSF NOIRLab)
Una nebulosa planetaria trovata nella nube molecolare Circinus West. Le nebulose planetarie sono gli strati esterni delle stelle giganti rosse in fase di invecchiamento, espulsi nello spazio al termine della vita di una stella. Questa immagine è stata catturata con la Dark Energy Camera (DECam) da 570 megapixel, realizzata dal Dipartimento dell’Energia, una delle fotocamere digitali più potenti al mondo, montata sul telescopio Víctor M. Blanco da 4 metri della National Science Foundation presso l’Osservatorio Interamericano Cerro Tololo in Cile, un programma del NSF NOIRLab.
Credito:
CTIO/NOIRLab/DOE/NSF/AURA
Elaborazione dell’immagine: T.A. Rector (University of Alaska Anchorage/NSF NOIRLab), D. de Martin & M. Kosari (NSF NOIRLab)

 

Oggetti Herbig-Haro: Un Indicatore della Nascita Stellare

Oltre ai getti, un altro segno distintivo della formazione stellare in Circinus West è la presenza di oggetti Herbig-Haro (HH). Questi oggetti appaiono come macchie rosse e luminose di gas, che si formano quando il gas ad alta velocità espulso dalle stelle collide con il gas a bassa velocità presente nella nube molecolare circostante. L’immagine DECam rivela numerosi oggetti HH sparsi per Circinus West, tra cui tre recentemente scoperti vicino alla regione Cir-MMS.

Gli oggetti HH offrono agli astronomi una comprensione più dettagliata di come le stelle interagiscano con il loro ambiente. Non solo rivelano le prime fasi della nascita stellare, ma permettono anche di studiare i meccanismi che guidano l’evoluzione delle nubi molecolari e delle galassie. Analizzando questi oggetti e i relativi getti, gli scienziati possono raccogliere informazioni vitali sui processi che regolano la formazione delle stelle e su come tali meccanismi potrebbero aver influenzato la nascita del nostro Sistema Solare.

FONTE: NOIRLab

Missione Shenzhou-20: La Cina Vuole un Ruolo nello Spazio

La Cina ha inviato giovedì un nuovo equipaggio di astronauti verso la sua stazione spaziale, segnando un altro audace passo nel suo impegno incessante per diventare una potenza spaziale globale. Crediti: AFP

Il 24 aprile 2025, la Cina ha lanciato con successo la missione Shenzhou-20, un passo decisivo nel suo ambizioso programma spaziale. Il razzo è decollato dal Centro di Lancio Satellitare di Jiuquan, nel deserto del Gobi, alle 17:17 ora locale, segnando un’altra tappa fondamentale nel cammino del Paese verso il rafforzamento della sua presenza nello spazio.

La missione Shenzhou-20 è parte di una visione più ampia voluta dal presidente Xi Jinping, che ha definito l’esplorazione spaziale come una componente essenziale per il “sogno spaziale del popolo cinese“. Con investimenti che ammontano a miliardi di dollari negli ultimi dieci anni, il programma spaziale cinese ha fatto enormi progressi, dal landing di rover sulla Luna e su Marte alla costruzione della propria stazione spaziale orbitante, Tiangong, che significa “Palazzo Celeste”.

La missione è guidata da Chen Dong, astronauta esperto e ex pilota di caccia, che sarà affiancato da Chen Zhongrui e Wang Jie, entrambi al loro primo volo nello spazio. I tre astronauti trascorreranno sei mesi a bordo della stazione spaziale Tiangong, impegnandosi in esperimenti scientifici e attività di manutenzione, tra cui passeggiate spaziali e l’installazione di schermature contro i detriti spaziali. Un’importante novità sarà l’introduzione dei planari, vermi acquatici noti per le loro straordinarie capacità rigenerative, nell’ambiente a microgravità.

La Cina, che ora ha la terza capacità al mondo di inviare esseri umani in orbita, dopo Stati Uniti e Russia, sta accelerando i suoi progetti spaziali. La stazione Tiangong è al centro della strategia spaziale cinese e, con la fine dell’era della Stazione Spaziale Internazionale (ISS), si propone come un’alternativa autonoma e sovrana in orbita terrestre bassa.

Non solo un traguardo scientifico, la missione rappresenta anche un’occasione per la Cina di espandere la sua influenza diplomatica. A febbraio 2025, infatti, la Cina ha siglato un accordo con il Pakistan per l’inserimento di astronauti pakistani nella sua stazione spaziale.

La missione Shenzhou-20 non è un caso isolato. La Cina ha già in programma una missione lunare con equipaggio entro la fine di questo decennio, con l’obiettivo di costruire una base permanente sulla Luna, in collaborazione con la Russia, segnando un ulteriore passo nella sua ascesa come potenza spaziale globale.

Secondo Lin Xiqiang, direttore della CMSA (China Manned Space Agency), “Ogni lancio è un passo più vicino alle stelle e una testimonianza di ciò che la nostra nazione può raggiungere quando è unita in uno scopo comune.

La missione Shenzhou-20 rappresenta non solo un obiettivo scientifico, ma anche un messaggio di determinazione e indipendenza tecnologica della Cina, che si prepara a scrivere un nuovo capitolo nell’esplorazione spaziale.

26 aprile 1967: l’Italia nello spazio grazie a Luigi Broglio

Base Luigi Broglio in Malindi

L’inaugurazione ufficiale, domenica 20 aprile, della sede dell’Agenzia Spaziale Africana (AfSA) a Il Cairo e lo svolgersi della Newspace Africa Conference (21-24 aprile 2025) offrono l’occasione per ricordare il contributo di uomini geniali che hanno saputo costruire una storica cooperazione in campo spaziale tra il nostro Paese e l’Africa. Negli anni Sessanta il Professor Luigi Broglio, considerato padre dell’astronautica italiana, ideò e realizzò il progetto San Marco, con cui l’Italia diventava la terza nazione al mondo, dopo URSS ed USA, a lanciare un satellite nello spazio. Grazie alle intuizioni del suo allievo e braccio destro professor Carlo Buongiorno, coordinatore del progetto, poi primo direttore generale dell’Agenzia Spaziale Italiana (ASI), ed al supporto lungimirante di Enrico Mattei allora Presidente dell’ENI, fu possibile realizzare la Base di lancio al largo delle coste di Malindi, in Kenya. Oggi il Broglio Space Center è una base operativa dell’ASI, simbolo di una “collaborazione basata su scienza, innovazione, diplomazia”, ricordata dal Direttore Generale dell’ASI Vincenzo Maria Salamone, presente all’inaugurazione dell’AfSA.

Ma come nacque il Broglio Space Center?   

Luigi Broglio e Enrico Mattei ebbero occasione di incontrarsi all’inaugurazione della piattaforma Perro Negro il 24 agosto 1961, a Massa Marittima. Broglio chiese a Mattei la possibilità di disporre di una piattaforma petrolifera per realizzare una base di lancio per il suo progetto San Marco. Per la verità chiese proprio quella inaugurata, la Perro Negro, e Mattei tra il sorpreso e il divertito – come ricorda Giorgio Di Bernardo Nicolai nel suo libro dedicato a Broglio intitolato “Nella nebbia in attesa del sole” – gli aveva risposto che loro le piattaforme le costruivano per venderle e non per regalarle. Tuttavia nei giorni successivi diede disposizione di destinare al progetto, che godeva di limitate risorse finanziarie, la piattaforma Scarabeo, allora dislocata nel Mar Rosso, rendendo di fatto possibile la sua realizzazione. In seguito Broglio sollecitò la disponibilità della Scarabeo per avere la certezza di riuscire ad effettuare il successivo trasferimento in condizioni climatiche favorevoli.

Scatto della lettera inviata da Luigi Broglio a Enrico Mattei per la concessione dell’utilizzo della base Santa Rita.

Qui si inserisce una lettera storica che Luigi Broglio scrisse a Mattei per ottenere la disponibilità della Scarabeo, in seguito Santa Rita, patrona delle imprese impossibili,  e indicando come sarebbe dovuta apparire la realizzazione di un poligono di lancio equatoriale con materiale di recupero. Fu adattata a base di lancio nei Cantieri Navali di Taranto, da dove partì il 20 dicembre 1963. Fu trasportata per oltre 8.000 Km, in condizioni di mare molto avverse, verso l’Oceano Indiano per essere poi posizionata al largo delle coste di Malindi.   

La testimonianza del professor Mario Marchetti, ingegnere aerospaziale allievo di Broglio, che incontrai a Roma il 2 gennaio 2017 presso il centro di ricerca Progetto San Marco dell’Università “La Sapienza” all’aeroporto di Roma-Urbe, mi fece subito percepire la necessità di valorizzare quell’episodio, noto prevalentemente tra “gli addetti ai lavori”, cercando proprio quella lettera per presentarla nelle scuole ed eventi pubblici. Appuntamenti di valorizzazione che si sono così susseguiti fino allo IAC di Milano 2024, dove ebbi l’occasione di proporla durante un incontro che si dimostrò cruciale.

Da lì a pochi mesi, infatti, proprio in occasione della Giornata Nazionale dello Spazio, il 16 dicembre 2024, quella lettera, conservata dall’Archivio storico dell’ENI, sarebbe diventata il “Premio Broglio”. Il riconoscimento fu consegnato in una cerimonia presso la Camera dei Deputati, dall’Intergruppo parlamentare per la Space Economy, agli ingegneri e ai tecnici che giovanissimi a Malindi il 26 aprile 1967 realizzarono il lancio del satellite San Marco 2.

Ingegneri del gruppo di Broglio premiati il 16 dicembre 2024

Il nostro Paese, uscito dalla distruzione materiale e morale della guerra, dimostrava di disporre di ingegno, visione e competenze, per costruire, mettere in orbita e gestire i propri satelliti in autonomia. Per di più per la prima volta al mondo da un’orbita equatoriale. Alcuni lanci effettuati successivamente da lì hanno fatto la storia dell’astrofisica spaziale, tra questi il satellite Uhruru, il primo dedicato all’astronomia a raggi X. 

Per Approfondimenti: Media INAF

Le Comete del Mese: C/2025 F2 SWAN, UN’ALTRA COMETA IN FRANTUMI

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Le Comete del Mese di Maggio

Il quinto mese dell’anno ci riserva il passaggio al perielio di quel che resta di cometa promettente che, prima di andare in frantumi, sembrava poter movimentare le nottate degli appassionati.

C/2025 F2 SWAN

La C/2025 F2 SWAN, come si deduce dal nome, è una scoperta recentissima avvenuta il 23marzograzie alle riprese della camera SWAN montata a bordo della sonda solare SOHO. La cometa, che finalmente sembrava poter interrompe un periodo poverissimo di oggetti anche solo deboli, sarà al perielio il primo maggio quando transiterà a circa 50 milioni di chilometri dal Sole. In quel momento gli esperti prevedevano un picco di luminosità tra la quarta e la quinta magnitudine, valore che l’avrebbe teoricamente resa visibile ad occhio nudo. Considerando le sfavorevoli condizioni prospettiche però ben difficilmente ciò sarebbe avvenuto. In ogni caso uno strumento modesto avrebbe reso possibile la sua osservazione. Invece a metà aprile, dopo che nei giorni precedenti la luminosità era aumentata grazie ad un outburst, la SWAN ha cominciato a perdere luminosità, oltre che la coda, ed a mostrare un nucleo allungato, segno del disgregamento in atto. A questo punto quel che si osserverà al perielio è ben lontano dalle iniziali aspettative ed anzi, sarà quasi sicuramente molto difficile poter individuare i frammenti della cometa.

Chi vuol comunque provare ad osservarla tra la fine di aprile e l’inizio di maggio dovrà indirizzare i propri strumenti verso l’orizzonte di nord ovest non appena il cielo è sufficientemente buio. l’”astro chiomato” si troverà ad una manciata di gradi dall’orizzonte ed in procinto di tramontare. Il 2 maggio transiterà un grado e mezzo a nord delle Pleiadi. Con il trascorrere dei giorni la sua scomparsa sotto l’orizzonte sarà sempre più anticipata tanto che dopo i primissimi giorni di maggio, a meno di exploit imprevedibili, l’oggetto è da considerare perso tra le luci del crepuscolo serale.

La cartina riporta il percorso della C/2025 F2 SWAN in maggio. Le stelle più deboli sono di magnitudine 7,5.

Dati dello scatto sulla foto.

C/2021 G2 ATLAS

Dopo una cometa luminosa passiamo ad una debolissima, già proposta il mese scorso, da puntare con strumenti obbligatoriamente di grosse dimensioni. Stiamo parlando della C/2021 G2 ATLAS, di passaggio tra le stelle della Bilancia appena più in alto di Zubenel Shamali, la stella Beta della costellazione. L’orario più appropriato per l’osservazione coincide con il suo passaggio al meridiano, in piena notte a inizio mese ed attorno a mezzanotte a fine periodo. La luminosità continuerà ad essere molto bassa, vicina alla quattordicesima magnitudine. Per sperare di percepirla in visuale, oltre ad avere sopra la testa un cielo molto buio, dovremo forzare gli ingrandimenti, specie in caso il bersaglio si presenti sufficientemente puntiforme.

La cartina riporta il percorso della C/2021 G2 ATLAS tra la fine di aprile e inizio maggio. Le stelle più deboli sono di magnitudine 13,5.

Finiamo con la notizia di un’altra scoperta, quella della C/2025 A6 Lemmon che allieterà l’autunno degli appassionati dato che ad ottobre, secondo le previsioni, raggiungerà l’ottava magnitudine. Di quest’oggetto avremo ovviamente modo di riparlarne in maniera approfondita più avanti.

Le Comete del Mese di Aprile

NESSUNA NUOVA DA OORT

Continua il periodo di magra in campo cometario, in cui occorre letteralmente inventarsi qualche obbiettivo. La proposta mensile, una sfida davvero tosta, è dunque rivolta ai cacciatori di comete molto determinati che possiedono uno strumento di grande diametro e un cielo molto buio.

C/2021 G2 ATLAS

La scoperta della C/2021 G2 ATLAS risale all’aprile del 2021 da parte del sistema ATLAS (Asteroid Terrestrial-Impact Last Alert System). Da tempo transitata al perielio non è di certo un oggetto esaltante, soprattutto considerando la sua debolissima luminosità che si attesta tra la tredicesima e la quattordicesima magnitudine. Purtroppo la mancanza di “astri chiomati” luminosi ci costringe a ripiegare su comete estreme, che però hanno il fascino della sfida osservativa. Chi l’accetta dovrà puntare il suo strumento tra le stelle della Bilancia poco prima che il cielo schiarisca, non distante da Beta Librae, stella di 2,61 magnitudini. L’obbiettivo risulterà un osso molto duro in visuale, mentre risulterà più abbordabile per degli astrofotografi.

La cartina riporta il percorso della C/2021 G2 ATLAS in aprile. Le stelle più deboli sono di magnitudine 14.

Le Comete del Mese di Marzo

OCCHIO ALL’OUTBURST

In attesa di auspicabili novità dedichiamo anche questo mese lo spazio comete alla 29/P Schwassmann-Wachmann, la “cometa degli outburst”. Nome confermato dall’ennesimo “botto” di febbraio.

29P/Schwassmann-Wachmann

Come il mese scorso si trova nel Leone vicina a Subra, magnitudine 3,5, stella Omicron della costellazione. La sessione osservativa potrà essere anticipata rispetto a febbraio, dato che già dopo cena potremo trovarla piuttosto alta in cielo. Resterà comunque visibile per molte ore. Ricordo che l’”astro chiomato, nei momenti di normalità, brilla attorno alla quindicesima magnitudine mentre nei suoi frequenti outburst raggiunge spesso l’undicesima/dodicesima magnitudine. Verso metà febbraio l’ultimo dei tanti eventi l’ha portata a brillare un po’ sopra l’undicesima magnitudine. Va quindi osservata da subito per monitorare l’evolversi di quest’ultimo episodio e chissà, magari seguirne uno nuovo. Ribadisco infine che anche un’osservazione negativa è utile, testimoniando che la cometa è in un momento tranquillo.

La cartina riporta il percorso della 29Pinmarzo. Le stelle più deboli sono di magnitudine 12,5.

La Cometa

Un oggetto piuttosto enigmatico del nostro Sistema Solare, la cometa 29P/Schwassmann-Wachmann si distingue per il suo comportamento insolito. Scoperta nel 1927 dagli astronomi Arnold Schwassmann e Arno Arthur Wachmann, questa cometa è un membro della famiglia delle centaure, corpi ghiacciati in orbita tra Giove e Saturno. A differenza delle comete periodiche classiche, la 29P non sviluppa una coda spettacolare avvicinandosi al Sole, ma manifesta improvvisi e violenti outburst, eruzioni di gas e polveri che la rendono un oggetto di grande interesse per gli astronomi.

Le Comete del Mese di Febbraio

C/2024 G3 ATLAS, LA COMETA “DIURNA”

Oltre alla proposta mensile, una debole ma interessantissima cometa davvero peculiare, tracciamo un bilancio sul passaggio di una cometa sorprendente, che in gennaio ha messo in fibrillazione gli appassionati.

29P/Schwassmann-Wachmann

In mancanza di soggetti più luminosi concentriamoci su una vecchia conoscenza che periodicamente (almeno una volta all’anno ma spesso più volte) è interessata da outburst che portano spesso la sua luminosità dalla quindicesima all’undicesima/dodicesima grandezza. Si tratta dunque di un target non semplice in visuale, ma nemmeno impossibile nei momenti di maggior luminosità, a patto di possedere un telescopio di almeno 15/20 cm di diametro e di osservare sotto un cielo preservato dall’inquinamento luminoso. Ovviamente gli outburst avvengono inaspettatamente e quindi, a meno di non esserne anticipatamente informati consultando ad esempio il sito seiichiyoshida’s homepage, l’osservazione potrebbe rivelarsi infruttuosa. Non del tutto però, perché tenere monitorata una cometa è sempre utile per la comunità di appassionati. E poi chissà, potremo magari essere i primi a diffondere la notizia di un nuovo outburst. L’ultimo evento si è verificato abbastanza recentemente, nei primi giorni di gennaio 2025. La 29P si muoverà entro i confini del leone, poco sotto Regolo, raggiungendo la massima altezza in piena notte. Sarà però osservabile anche qualche ora prima o dopo. Chi vuole intraprendere la sfida?

La cartina riporta il percorso della 29P in febbraio. Le stelle più deboli sono di magnitudine
12,5.

C/2024 G3 ATLAS

In chiusura parliamo del notevole exploit della C/2024 G3 ATLAS, passata al perielio il 13 gennaio transitando a soli 14 milioni di chilometri dal Sole. Un po’ snobbata dagli esperti sia per le pessime condizioni prospettiche previste che per la sua probabile disgregazione, si è invece rivelata un notevolissimo oggetto osservato da alcuni astrofili in pieno giorno a una manciata di gradi di distanza dalla nostra stella. Io stesso, nella tarda mattinata del giorno del transito al perielio, sono riuscito a scovarla a soli 6° dall’astro diurno con un binocolo 25×100 poco prima che il sole comparisse da dietro la montagna che schermava la sua luce. Testa minuscola e accenno di codina, risaltava comunque bene nel piccolo strumento. L’ho riosservata in circostanze leggermente migliori un paio di giorni dopo nel cielo aranciato del tramonto. Successivamente, dall’ Emisfero Australe, è risultata visibile in condizioni migliori trasformandosi in uno splendido oggetto che sembrerebbe in fase di disgregazione. Quel che gli esperti temevano succedesse al perielio si sarebbe dunque verificato leggermente in ritardo. Pur mettendocela tutta la G3 ATLAS sembrerebbe quindi non avercela fatta. In eredità, se ciò fosse confermato, lascerà il bellissimo ricordo della sua visione diurna, cosa assai rara.

Le Comete del Mese di Gennaio

ADDIO ALLA COMETA INCOMPIUTA

 Primo mese dell’anno in cui daremo l’addio alla più bella cometa del 2024, che per qualche mese ci ha tenuto compagnia dando spettacolo lo scorso ottobre. Una cometa però incompiuta, vuoi per il meteo sfavorevole che per la presenza della Luna nel momento del suo massimo splendore, che ricorderemo con qualche rimpianto per quello che poteva essere e non è stato. Gli osservatori australi sonoinvece in allerta per il passaggio al perielio della C/2024 G3 ATLAS, che avverrà il 13 gennaio circa 13 milioni di chilometri circa dal Sole. In molti, a causa della piccola distanza dalla nostra stella, predicono la sua disintegrazione. Se però dovesse passare indenne potrebbe regalare emozioni a noi purtroppo precluse.

C/2023 A3 Tsuchinshan-ATLAS

La Tsuchinshan-ATLAS sarà rintracciabile nell’Aquila, non distante da Altair, la stella Alfa della costellazione. Osservabile inizialmente meglio non appena fa buio, da metà mese sarà posizionata più favorevolmente al mattino un po’ prima dell’alba. Dalla decima magnitudine di inizio gennaio il suo ulteriore allontanamento la porterà ben presto su valori superiori, ponendo fine alle osservazioni con piccoli strumenti. Chi dispone invece di telescopi più importanti potrà continuare a seguirla ancora per un po’.

La cartina riporta il percorso della C/2023 A3 Tsuchinshan-ATLASingennaio. Le stelle più deboli sono di magnitudine 9,5.

Le Comete del Mese di Dicembre

NATALE SENZA UNA COMETA LUMINOSA

Fine anno senza grandi brividi, con la C/2023 Tsuchinshan-ATLAS ormai ai confini dell’anonimato e il ritorno di una modesta periodica.

C/2023 A3 Tsuchinshan-ATLAS

Sempre più lontana e ormai un pallido ricordo dello splendido aggetto che ad ottobre ha calamitato su di sé tutta su l’attenzione, a inizio mese sarà comunque ancora la cometa più luminosa del cielo brillando di una discreta ottava magnitudine, che scenderà alla decima a fine mese. Sarà rintracciabile entro i confini dell’Aquila, non troppo distante da Altair, la stella alfa della costellazione, osservabile in prima serata inizialmente ancora piuttosto alta in cielo ma gradualmente sempre più bassa con il passare dei giorni.

La cartina riporta il percorso della C/2023 A3 Tsuchinshan-ATLAS in dicembre. Le stelle più deboli sono di magnitudine 9.

333P/LINEAR

Periodica piuttosto recente, (la sua scoperta risale al novembre del 2007da parte del progetto LINEAR, Lincoln Near Earth Asteroid Research), con un periodo di circa otto anni e mezzo. Il 29 novembre è transitata al perielio ma raggiungerà la massima luminosità il 9 dicembre, quando passerà nel punto più vicino alla Terra brillando attorno alla nona magnitudine. Il suo calo nel periodo seguente sarà piuttosto rapido portandola a fine mese già oltre la decima grandezza. Dai Cani da Caccia raggiungerà il Cigno, “percorrendo” circa 90° in cielo. Per gran parte del mese sarà circumpolare, inizialmente osservabile alta in cielo prima dell’alba. Ben presto occorrerà però cercarla dopo il tramonto all’inizio della notte astronomica.

La cartina riporta il percorso della 333P/LINEAR in dicembre. Le stelle più deboli sono di magnitudine 7,5.

Le Comete del Mese di Novembre

C/2024 S1 ATLAS si è disintegrata

L’oggetto, una cometa appartenente alla famiglia Kreuz Sungrazer scoperto a fine settembre, ha dato segni di sofferenza nel suo avvicinamento al Sole ed è sembrato già in fase di disgregazione ancora prima di raggiungere il perielio il 28 ottobre, quando sarebbe transitato ad una distanza di appena 1,2 milioni di km. Dopo alcuni outburst che ne hanno innalzato la luminosità (segnali dell’instabilità del nucleo) arrivata vicina al sole si è disgregata completamente come hanno testimoniato le immagini della Camera Lasco a bordo della Sonda Soho. Niente da fare dunque per una possibile cometa luminosissima una volta uscita dalla congiunzione solare. Ricordo che le Kreuz Sungrazer, comete originatesi dalla frammentazione di un corpo più grande con un’orbita che le porta a sfiorare il Sole, molto spesso, come in questo caso, vengono disintegrate dalla nostra stella. Se però sopravvivono possono rivelarsi luminosissime offrendo spettacoli indimenticabili.

LA TSUCHINSHAN-ATLAS SE NE VA

Dopo il perielio di fine settembre e il passaggio nel punto più vicino alla Terra il 12 ottobre la C/2023 A3 Tsuchinshan-ATLAS prende decisamente la via dell’abisso dalla quale è venuta, affievolendosi sempre più. Una seconda cometa luminosa, su cui si riponeva qualche speranza, si è invece uscita disintegrata dall’incontro con il Sole.

Nell’immagine catturata dalla Sonda Soho della NASA la coda della cometa C/2023 A3 Tsuchinshan-ATLAS ha occupato la visuale dell’Osservatorio solare ed eliosferico il 10 ottobre 2024. Crediti: ESA/NASA

C/2023 A3 Tsuchinshan-ATLAS

Dopo essere risultata la grande protagonista di ottobre, mese in cui ha attirato su di sé tutte le attenzioni, in novembre, pur in allontanamento, sarà ancora un oggetto molto interessante e sicuramente da seguire. Dall’Ofiuco si sposterà verso l’Aquila, risultando osservabile comodamente in prima serata ad una buona altezza. La sua luminosità varierà da un’ancora ottima quinta magnitudine a inizio mese fino attorno all’ottava a fine novembre. Insomma, sarà sostanzialmente l’ultimo mese in cui dovrebbe mostrarsi facilmente, con le osservazioni che dovranno essere condotte soprattutto nella prima parte del mese e poi nell’ ultima decade, quando la Luna non disturberà con la sua ingombrante presenza.

Pur tra tante avversità (meteo sfavorevole, presenza della Luna e modesta elongazione dal Sole nel momento topico) la Tsuchinshan-ATLAS ha dato un bello spettacolo e rimarrà nei ricordi di quanti l’anno osservata. Per un bilancio più approfondito sulla sua apparizione vi rimandiamo alla rubrica pubblicata sul prossimo numero di Coelum.

La cartina riporta il percorso della C/2023 A3 Tsuchinshan-ATLAS in novembre. Le stelle più deboli sono di magnitudine 7.

La Cometa del Mese di Ottobre

Ottobre è il mese della C/2023 A3 Tsuchinshan-ATLAS, che avrà tutti gli occhi addosso nella speranza che ci possa regalare un grande spettacolo.

Le ultime notizie e le prime foto, soprattutto quelle provenienti dall’emisfero australe, fanno ben sperare e descrivono un oggetto in salute che da metà mese non dovrebbe mancare di attirare l’attenzione di tutti, appassionati e non. Non sappiamo se sarà la “cometa del secolo”, come è stata frettolosamente soprannominata da stampa, TV e social, che come sempre cercano di attirare l’attenzione sulla pelle della corretta informazione astronomica.


Noi restiamo cauti preferendo osservare gli eventi prima di dare giudizi. Nei primi giorni del mese la situazione prospettica ricalcherà quella di settembre, volgendo però al peggioramento, con l’elongazione cometa-Sole in diminuzione. Sarà quindi difficile poter scorgere la Tsuchinshan-ATLAS nel chiarore dell’alba, a meno che non raggiunga una magnitudine negativa davvero notevole. Pur monitorando attentamente la situazione e contando su una coda molto sviluppata (che sorgendo prima potrebbe fare capolino in un cielo più buio), occorrerà aspettare la seconda decade di ottobre perché la situazione migliori. Il rapido allontanamento della cometa dalla nostra stella ci permetterà infatti di scrutarla in condizioni decisamente migliori, disturbata però dal chiarore lunare.


Dopo essere transitata al perielio il 29 settembre il giorno 12 passerà alla minima distanza dalla Terra (meno di settanta milioni di chilometri) raggiungendo probabilmente la massima luminosità, con la magnitudine picco che rimane però molto incerta. Nel peggiore dei casi dovrebbe comunque brillare di prima/seconda grandezza, ma qualche previsione è molto più ottimistica ed è a questo che le nostre speranze si legano. Se fino al giorno 10 le osservazioni andranno programmate a ridosso dell’alba, dopo questa data sarà invece visibile dopo il tramonto, sempre più alta in cielo. Da metà mese dovrebbe gradualmente cominciare ad affievolirsi, mantenendosi però anche a fine periodo attorno alla quinta magnitudine e dunque visibile ad occhio nudo. Nell’ultima decade di ottobre la Luna toglierà finalmente il disturbo permettendoci di osservarla finalmente in condizioni ideali.


L’ “astro chiomato”, il giorno 15, verrà a trovarsi a metà strada tra il luminoso ammasso globulare del Serpente M 5 e la cometa 13P/Olbers, con i tre oggetti contenuti in circa tre gradi.  Purtroppo la Luna disturberà alquanto le osservazioni. Il giorno 27, in condizioni ideali, la Tsuchinshan-ATLAS passerà invece molto vicina a NGC 6426, un debole globulare di mag. 11,1.

La cartina riporta il percorso della C/2023 A3 Tsuchinshan-ATLAS in ottobre. Le stelle più deboli sono di magnitudine 6.
La cartina riporta il percorso della C/2023 A3 Tsuchinshan-ATLAS in ottobre. Le stelle più deboli sono di magnitudine 6.

Per finire vi riporto una mia osservazione del 29 settembre, quando all’alba ho raggiunto i 2239 metri di Passo Pordoi. In condizioni ideali di trasparenza ma davvero molto critiche sotto l’aspetto della prospettiva (oggetto alto un paio di gradi ed osservabile con cielo ormai molto chiaro), l’ho avvistata in un binocolo 20×90. Testa stellare attorno alla seconda mag. e accenno di coda leggermente allargata.

Tsuchinshan-ATLAS il 29 settembre. Crediti dell'autore Claudio Pra
Tsuchinshan-ATLAS il 29 settembre. Crediti dell’autore Claudio Pra

La Tsuchinshan-ATLAS negli scatti dei lettori in PHOTOCOELUM

La cometa Tsuchinshan-ATLAS di Filippo Galati
La cometa Tsuchinshan-ATLAS di Filippo Galati

Cometa Tsuchinshan-ATLAS tra le nuvole di Paolo Bardelli
Cometa Tsuchinshan-ATLAS tra le nuvole di Paolo Bardelli

La Cometa C/2023 A3 Tsuchinshan-ATLAS dall'Emilia di Alessandro Carrozzi
La Cometa C/2023 A3 Tsuchinshan-ATLAS dall’Emilia di Alessandro Carrozzi

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Le Comete del Mese di Settembre

ARRIVA LA C/2023 A3 TSUCHINSHAN-ATLAS

 Dopo tanta attesa eccoci al momento della verità. A fine settembre, nel chiarore dell’alba, fa capolino sull’orizzonte orientale laC/2023 A3 Tsuchinshan-ATLAS. In quei giorni il Sole tenterà di nascondercela, “liberandola” dalla sua luce solo verso metà ottobre. Pur in condizioni critiche la situazione andrà comunque monitorata.

C/2023 A3 Tsuchinshan-ATLAS

L’appuntamento tanto atteso è arrivato. Pur essendo ottobre il mese nel quale potremo seguirla al meglio, già gli ultimi giorni di settembre (pur tra tanti limiti prospettici) ci lasciano qualche speranza di poter “sbirciare” la C/2023 A3 Tsuchinshan-ATLAS immersa tra le luci del crepuscolo nautico mattutino, meglio osservabile dalle regioni meridionali, che raggiungerà il perielio il giorno 27 per poi cominciare l’allontanamento dal Sole avvicinandosi però nel contempo alla Terra. La sua luminosità, quella rivista dopo il primaverile calo di attività che potrebbe ridimensionarla (ma sul tema non tutti gli esperti sono concordi) la indica in quei giorni attorno alla seconda/terza grandezza, mentre la coda, ma solo se ben sviluppata, anticipando la levata della chioma potrebbe essere rilevabile in un cielo più buio. Tenendo in considerazione l’imprevedibilità delle comete e i disaccordi sulla curva di luce la situazione merita di essere tenuta sotto stretto controllo. Monitoriamo dunque l’orizzonte orientale, che dovrà obbligatoriamente presentare un cielo limpidissimo ed un’estensione molto ampia, prima del sorgere del Sole. Potremo essere ripagati della levataccia con uno spettacolo imprevedibile.

A3 Tsuchinshan-ATLAS in settembre
La cartina riporta il percorso dellaC/2023 A3 Tsuchinshan-ATLAS negli ultimi cinque giorni si settembre. Le stelle più deboli sono di magnitudine 7.

13P/Olbers

Di fronte alla Tsuchinshan-ATLAS la povera 13P passa in secondo piano, sia per la modesta luminosità che per il lungo periodo nel quale abbiamo seguito la sua evoluzione. Ormai in allontanamento e sempre piuttosto bassa in cielo, risulterà osservabile all’inizio della notte astronomica in spostamento dalla chioma di Berenice alla Vergine “brillando inizialmente di nona magnitudine, che si trasformerà in decima a fine mese. Settembre sarà il mese dei saluti in attesa del prossimo appuntamento fissato tra circa settant’anni.

13P Olbers in settembre
Cartina della 13P Olbers. Le stelle più deboli sono di magnitudine 10

Cartina della 13P Olbers. Le stelle più deboli sono di magnitudine 10

Le Comete del Mese di Agosto

OLBERS IN ALLONTANAMENTO

Agosto ci propone solo la modesta 13P/Olbers, in attesa che settembre ci porti l’attesissima C/2023 A3 Tsuchinshan-ATLAS.

13P/Olbers

Ormai in deciso allontanamento con conseguente calo di luminosità, a inizio mese dovrebbe ancora brillare di una non disprezzabile ottava magnitudine, che diventerà nona a fine agosto. Dall’Orsa Maggiore la cometa si trasferirà nella Chioma di Berenice, osservabile all’inizio della notte astronomica piuttosto bassa sull’orizzonte. Notevoli alcuni suoi incontri con oggetti deep-sky, a cominciare dal giorno 18 quando si troverà tra la galassia ellittica NGC 4494 (mag. 9,8) e la magnifica galassia a spirale vista esattamente di taglio NGC 4565 (mag. 9,7).La Luna quasi piena renderà però l’osservazione praticamente impossibile. Il 25, in condizioni migliori, la 13P passerà a circa mezzo grado dalla Galassia “Occhio Nero”, ovvero M 64 (Mag. 8,4). Infine il 31, finalmente senza disturbo lunare, si troverà a passare a meno di un grado o mezzo dai due globulari M 53 (mag. 7,5) e NGC 5053 (mag. 9,9).

Comete di Agosto
Cartina della 13P Olbers. Le stelle più deboli sono di magnitudine 10

Infine ancora due parole sulla C/2023 A3 Tsuchinshan-ATLAS, ormai scomparsa dai nostri cieli in attesa di ricomparire in autunno. Del suo calo di attività abbiamo già ampiamente parlato. Di nuovo c’è l’ipotesi che il nucleo si sia spezzato. Di questo hanno parlato alcuni esperti che però hanno subìto pronte repliche di altri colleghi assolutamente contrari alla tesi, che non vedono invece segni di cedimento. Ovviamente una frammentazione del nucleo metterebbe fine ad ogni speranza di assistere ad ottobre a quello spettacolo che stavamo pregustando da tempo, già messo in parte in discussione dal ridursi dell’emissione di polveri. Ormai scomparsa tra la luce del Sole dovremo obbligatoriamente attendere per capire la reale evoluzione di questo oggetto, già impropriamente battezzato dalla stampa non specializzata e dai media come “la cometa del secolo”. La nostra speranza, purtroppo un po’ al ribasso e sperando di essere smentiti, è di poter almeno assistere al passaggio di un bel “astro chiomato”, magari non indimenticabile ma che sappia regalare qualche fremito.

Le Comete del Mese di Luglio

SOLO LA 13P/OLBERS

Ne resterà soltanto una…Dopo che la C/2023 A3 Tsuchinshan-ATLAS è stata momentaneamente “inghiottita” dalla luce solare non rimane che concentrarsi sulla 13P/Olbers, che a luglio risulta l’unica cometa a sfoggiare una interessante luminosità.

13P/Olbers

Reduce dal passaggio al perielio avvenuto il 30 giugno, a inizio luglio la Olbers brillerà ancora su valori prossimi alla settima magnitudine, per poi cominciare a calare gradualmente fino attorno all’ottava grandezza. Dalla Lince raggiungerà la parte meridionale dell’Orsa Maggiore, rimanendo bassa in cielo. La sua ricerca dovrà cominciare non appena il cielo si fa completamente buio.

comete del mese - luglio
Cartina della 13P Olbers. Le stelle più deboli sono di magnitudine 10

C/2023 A3 Tsuchinshan-Atlas

Per completare questa breve rubrica spendiamo due parole sulla C/2023 A3 Tsuchinshan-Atlas, ormai sparita tra la luce solare, che tornerà visibile in autunno. Purtroppo non ci sono buone nuove dato che la sua attività, fino a qualche mese fa in linea con la promettente curva di luce prevista, sembra da qualche tempo essersi ridotta. L’emissione di polveri è drasticamente diminuita tanto che qualche dubbio sull’effettiva luminosità che l’oggetto raggiungerà al perielio comincia a insinuarsi tra gli esperti. Ricordo chele previsioni parlavano del raggiungimento della magnitudine zero. Questa “pausa” non è ovviamente un verdetto definitivo, ma sicuramente qualcosa di cui tener conto. Con l’ulteriore avvicinamento al Sole il nucleo sarà maggiormente sollecitato e l’emissione di materiale potrebbe riprendere abbondante, cosa che tutti sperano. Solo così potremo sperare di osservare fra qualche mese una grande cometa.

Le Comete del Mese di Giugno

13P/OLBERS AL PERIELIO, C/2023 A3 TSUCHINSHAN-ATLAS AI (MOMENTANEI) SALUTI

Giugno ci propone due le comete al di sotto della decima magnitudine, la 13P/Olbers, che a fine mese raggiunge il perielio e la C/2023 A3 Tsuchinshan-ATLAS che ci saluterà per poi tornare in autunno.

Comete del mese: 13P/Olbers

Il 30 giugno la 13P/Olbers transita al perielio raggiungendo secondo le previsioni un valore interessante, non distante dalla settima magnitudine. Purtroppo la sua altezza sull’orizzonte migliorerà solo leggermente rispetto a maggio, mantenendosi molto contenuta, cosa che non agevola le osservazioni. Dall’Auriga si trasferirà nella Lince, con la sessione osservativa che dovrà cominciare obbligatoriamente all’inizio della notte astronomica. Sicuramente non risulterà un oggetto vistoso ma meritevole di essere seguito dato il suo periodo orbitale di quasi settant’anni.

comete del mese giugno
Cartina della 13P Olbers. Le stelle più deboli sono di magnitudine 8

Comete del mese: C/2023 A3 Tsuchinshan-ATLAS

Continua il suo avvicinamento al perielio e la sua crescita luminosa che dovrebbe portarla nel corso del mese dalla decima fino attorno alla nona magnitudine. Dobbiamo però segnalare un calo di attività nell’ultimo periodo dopo che precedentemente l’oggetto aveva dato segni di ottima salute. Speriamo sia solo una momentanea pausa e che le grandi speranze rivolte a questa cometa non vadano deluse. Dalla Vergine la Tsuchinshan-ATLAS si dirigerà verso il Leone, rendendosi osservabile come la Olbers all’inizio della notte astronomica. Inizialmente la troveremo ancora abbastanza alta in cielo ma le condizioni peggioreranno gradualmente ed a fine mese, regioni meridionali a parte, il periodo osservativo potrà dirsi momentaneamente concluso. La ritroveremo in autunno, speriamo trasformata in una grande cometa visibile ad occhio nudo.

Comete del mese giugno
Cartina della C/2023 A3 Tsuchinshan-Atlas. Le stelle più deboli sono di magnitudine 10


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Il pallone della NASA galleggia, inizia il viaggio nell’emisfero australe

Un pallone superpressurizzato con a bordo il carico utile HIWIND viene gonfiato prima del lancio durante la campagna 2025 della NASA con palloni superpressurizzati a Wānaka, in Nuova Zelanda. Crediti: NASA/Bill Rodman.

Il primo volo con pallone superpressurizzato della New Zealand Balloon Campaign della NASA ha raggiunto la quota di galleggiamento dopo il decollo dall’aeroporto di Wānaka, in Nuova Zelanda, alle 10:44 NZST di giovedì 17 aprile (18:44 di mercoledì 16 aprile, ora della costa orientale degli Stati Uniti). Il pallone, delle dimensioni di uno stadio di football americano, è in missione per 100 giorni o più alle medie latitudini dell’emisfero australe.

Un pallone superpressurizzato con a bordo il carico utile HIWIND viene gonfiato prima del lancio durante la campagna 2025 della NASA con palloni superpressurizzati a Wānaka, in Nuova Zelanda.
Crediti: NASA/Bill Rodman.

«Sono estremamente orgoglioso del successo delle operazioni del team di oggi», ha dichiarato Gabriel Garde, responsabile dell’Ufficio del Programma Palloni della NASA presso il Wallops Flight Facility in Virginia. «Il lancio odierno rappresenta il culmine di anni di impegno e dedizione, sia negli Stati Uniti che, più recentemente, sul campo. Dalle impeccabili operazioni di lancio, al potenziale dei dati scientifici raccolti, fino al rivoluzionario profilo operativo della piattaforma a superpressione, il Programma Palloni della NASA è oggi più forte che mai.»

Il pallone, riempito con elio e con un volume di 18,8 milioni di piedi cubi, è salito a una velocità di circa 1.000 piedi al minuto, gonfiandosi completamente durante l’ascesa fino a raggiungere, dopo circa due ore, la quota operativa di 110.000 piedi (pari a circa 33,5 km) sopra la superficie terrestre. Sebbene la maggior parte del volo si svolgerà sopra l’oceano, durante la circumnavigazione del globo sono previsti alcuni attraversamenti di terra. Se le condizioni meteorologiche lo permetteranno, il pallone potrebbe essere visibile anche da terra, soprattutto all’alba e al tramonto. La NASA invita il pubblico a seguire la traiettoria in tempo reale [a questo link].

Oltre a testare e qualificare la tecnologia dei palloni ad alta pressione, il volo trasporta anche la missione HIWIND (High-altitude Interferometer Wind Observation), un progetto scientifico di opportunità. Il carico utile HIWIND misurerà i venti neutri nella termosfera, una regione alta dell’atmosfera terrestre. Comprendere questi venti aiuterà gli scienziati a prevedere meglio i cambiamenti nella ionosfera, che possono influenzare i sistemi di comunicazione e navigazione.

«Non posso che elogiare l’instancabile supporto e la straordinaria disponibilità dei nostri ospiti e partner in Nuova Zelanda», ha aggiunto Garde. «Siamo consapevoli dell’impatto che queste attività hanno sulle comunità locali e siamo profondamente riconoscenti per la loro collaborazione. È davvero uno sforzo internazionale, e sono impaziente di assistere a un volo lungo e fruttuoso.»

Intanto proseguono i preparativi per il secondo e ultimo lancio della campagna. Anche questo pallone ad alta pressione trasporterà esperimenti scientifici e dimostrazioni tecnologiche nell’ambito del volo di prova.

Approfondimenti: NASA

Un buco nero solitario nel cuore della Via Lattea: confermata la natura di OGLE-2011-BLG-0462

Autori dello studio: Kailash C. Sahu, Jay Anderson, Stefano Casertano, Howard E. Bond, Martin Dominik, Annalisa Calamida, Andrea Bellini, Thomas M. Brown, Henry C. Ferguson, Marina Rejkuba
Istituzioni: Space Telescope Science Institute, University of St Andrews, INAF, ESO e altri

Il primo buco nero solitario confermato dalla deflessione astrometrica

Per la prima volta nella storia dell’astronomia, è stata confermata l’esistenza di un buco nero di massa stellare completamente isolato, non legato a nessuna stella compagna. L’oggetto in questione, denominato OGLE-2011-BLG-0462, è stato individuato grazie a una rara combinazione di effetti gravitazionali osservati nel corso di oltre un decennio con il telescopio spaziale Hubble e una rete di 16 telescopi da Terra.

Fino ad oggi, tutti i buchi neri conosciuti nella nostra galassia erano stati scoperti tramite le interazioni con una stella vicina — spesso con emissione di raggi X o onde gravitazionali da sistemi binari in fusione. Ma OGLE-2011-BLG-0462 si è manifestato solo attraverso un lente gravitazionale microlensing, ovvero una temporanea amplificazione della luce di una stella sullo sfondo, provocata dal passaggio del buco nero sulla linea di vista.

Una lente gravitazionale durata quasi un anno

L’evento microlensing è stato eccezionalmente lungo, con una durata di circa 270 giorni. Questo ha permesso ai ricercatori di raccogliere dati con una precisione senza precedenti. Le osservazioni dell’Hubble Space Telescope, distribuite su 11 anni, hanno permesso di misurare lo spostamento apparente della stella di fondo — una deflessione astrometrica prodotta dalla massa del buco nero.

In parallelo, la fotometria raccolta da Terra ha fornito informazioni cruciali sulla parallasse dell’evento, cioè sulla deformazione del segnale dovuta al moto della Terra attorno al Sole. L’unione di questi due approcci ha portato a una misura molto precisa della massa dell’oggetto.

Un corpo invisibile di 7 masse solari

I risultati dell’analisi, aggiornati nel 2025 con nuovi dati Hubble, confermano che il corpo lente è un buco nero con una massa di 7.15 ± 0.83 masse solari, situato a una distanza di circa 1.52 ± 0.15 kiloparsec dalla Terra (circa 5.000 anni luce), nel cuore del rigonfiamento galattico. La sua velocità rispetto alle stelle vicine è di 51.1 km/s, suggerendo che potrebbe aver ricevuto un “calcio” durante l’esplosione di supernova che ha generato il buco nero.

Importante sottolineare che nessuna luce è stata rilevata in corrispondenza della posizione del buco nero nemmeno nelle osservazioni più recenti e profonde. Questo esclude la presenza di una stella compagna luminosa o di una nana bruna e rafforza la natura isolata dell’oggetto.

Nessun compagno, nemmeno lontano

Gli autori dello studio hanno inoltre cercato eventuali compagni stellari a distanze fino a 2.000 unità astronomiche (circa 300 miliardi di chilometri), senza successo. L’assenza di una sorgente luminosa co-movente con il buco nero esclude la presenza di compagni con massa superiore a 0.2 masse solari.

Conclusione

La scoperta e conferma di OGLE-2011-BLG-0462 rappresenta un risultato epocale per l’astrofisica moderna. È il primo buco nero di massa stellare confermato come isolato, scoperto non attraverso la sua emissione, ma attraverso gli effetti gravitazionali che esercita sullo spazio-tempo attorno a sé. Un risultato ottenuto con la sinergia di fotometria ad alta precisione, astrometria milliarcosecondica e analisi sofisticata delle immagini, che apre la strada alla rivelazione di molti altri buchi neri silenziosi nascosti nella nostra galassia.

FONTE The Astrophysical Journal, Volume 983, n.2

LE SUPERNOVAE EXTRAGALATTICHE PIU’ LUMINOSE ED IMPORTANTI DELLA STORIA: SN1954A IN NGC4214

Immagine della galassia NGC4214 ripresa dall’astrofilo spagnolo Carlos Segarra con un telescopio da 200mm F.4 somma di 25 immagini da 4 minuti.

Proseguiamo il nostro percorso fra le supernovae extragalatti­che più luminose della storia ed arriviamo al dopo guerra con la SN1954A scoperta il 30 maggio 1954 dall’astronomo svizzero Paul Wild nella galassia irregola­re NGC4214. Anche questa fu una supernova molto luminosa, una delle poche che riuscì a supera­re la mag.+10 (sono solo sette le supernovae che vantano questo primato e la SN1954A occupa la sesta posizione in termini di luminosità).


Negli anni ’40 l’astronomo tedesco naturalizzato statuni­tense Rudolph Minkowski suggerì la suddivisione degli eventi di supernovae in due distinte cate­gorie: le Tipo I i cui spettri non mostravano la presenza dell’i­drogeno e le Tipo II che invece lo evidenziavano. Successivamen­te queste due categorie furono suddivise in ulteriori sottoclas­si. Le supernovae del Tipo I furo­no suddivise nelle Tipo Ia, nei cui spettri è presente il silicio, nelle Tipo Ib, dove è presente l’elio, e nelle Tipo Ic dove non è presente né il silicio né l’elio. Le superno­vae di Tipo II furono invece sud­divise nelle Tipo IIL, in base alla linearità della loro curva di luce, nelle Tipo IIP, per quelle che nella curva di luce mostravano un appiattimento chiamato Plateau e nelle Tipo IIn, le SN che mostravano invece delle linee strette (narrow) dell’i­drogeno. Ebbene la SN1954A è stata la prima supernova della storia classificata come Tipo Ib.

 

Paul Wild fotografato all’Università di Berna il 13 gennaio 2006 da Valerie Chetelat.

Paul Wild nacque a Wadenswil vicino Zurigo in Svizzera il 5 ottobre del 1925 e morì a Ber­na il 2 luglio 2014. Dal 1944 al 1950 frequentò l’università di matematica e fisica a Zurigo. Nel 1951 si trasferì negli Stati Uniti in California dove lavorò fino al 1955 al California Insti­tute of Technology conducendo ricerche su galassie e supernove sotto la guida del connazionale Fritz Zwicky. Vanta al suo attivo la scoperta di 94 asteroidi, 7 comete, 5 novae della nostra galassia e 49 supernovae. La SN1954A rappre­senta la sua prima scoperta in fatto di supernovae e pertanto ne era particolarmente affezio­nato visto anche la notevole luminosità che raggiunse.

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L’articolo è pubblicato in COELUM 273 VERSIONE CARTACEA

LA FINALE NAZIONALE DEI CAMPIONATI ITALIANI DI ASTRONOMIA

DAL 6 ALL’8 MAGGIO 2025 L’ABRUZZO OSPITA 

Dalle gare interregionali sono stati selezionati novanta finalisti provenienti da tutta Italia. Si metteranno alla prova con quesiti astronomici: in palio il titolo nazionale e un posto nella rappresentativa italiana alle Olimpiadi Internazionali di Astronomia.

TERAMO, 22 aprile 2025 – Tutto è pronto per la XXIII edizione della Finale Nazionale dei Campionati Italiani di Astronomia, che si terrà dal 6 all’8 maggio 2025 a Teramo (in Abruzzo). Dopo un lungo percorso di selezione che ha coinvolto quasi 10mila studenti e studentesse in tutta Italia, i novanta migliori talenti dell’astronomia si sfideranno nella risoluzione di problemi teorici e di casi pratici per conquistare il titolo nazionale. Promossa dal Ministero dell’Istruzione e del Merito, la competizione è organizzata dalla Società Astronomica Italiana (SAIt) e dall’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF). Quest’anno il Liceo Scientifico Statale “Albert Einstein” di Teramo ospiterà le prove ufficiali, confermandosi centro nevralgico dell’evento.

La cerimonia di apertura si terrà martedì 6 maggio 2025 a Giulianova (TE), alla presenza di autorità istituzionali e accademiche abruzzesi e nazionali. Moderatore d’eccezione sarà il giornalista e scrittore Angelo De Nicola. Durante l’evento, la prof.ssa Marica Branchesi (ordinaria di Astrofisica al GSSI – Gran Sasso Science Institute), terrà una lectio magistralis dal titolo “Una nuova esplorazione dell’Universo attraverso le onde gravitazionali”, offrendo al pubblico un emozionante affaccio sull’universo più estremo. 

Mercoledì 7 maggio, presso il Liceo Statale “A. Einstein” di Teramo, i finalisti e le finaliste si cimenteranno in una competizione di alto livello, confrontandosi con sfide complesse per le quali dovranno mettere in campo tutte le proprie abilità e competenze in astronomia, astrofisica e matematica applicata. Nello specifico, la finale consisterà in una prova teorica (risoluzione di problemi di astronomia, astrofisica, cosmologia e fisica moderna) e in una prova pratica (analisi di dati astronomici).

Giovedì 8 maggio si terrà la cerimonia di premiazione della XXIII edizione dei Campionati Italiani di Astronomia. Saranno premiati diciotto studenti: cinque per ciascuna delle categorie Junior 1, Junior 2 e Senior, e tre per la categoria Master. A tutti loro verrà conferita la “Medaglia Margherita Hack” per l’edizione 2025 e il loro nome sarà inserito nell’Albo Nazionale delle Eccellenze. Inoltre, agli otto studenti che si classificheranno immediatamente dopo i vincitori sarà assegnato un diploma di merito, in riconoscimento dei risultati di rilievo conseguiti durante la competizione.

Tra i campioni nazionali saranno selezionati i componenti della squadra italiana che parteciperà alle Olimpiadi Internazionali di Astronomia e Astrofisica (IOAA), appuntamento prestigioso che riunisce i migliori giovani studenti del mondo: per la sezione senior è in programma a Mumbai (India) dall’11 al 21 agosto e per la sezione Junior a Piatra Neamt in Romania il prossimo ottobre. 

Le finali dei Campionati di Astronomia rappresentano la punta dell’iceberg della grande mole di lavoro che la SAIt, in collaborazione con l’Istituto Nazionale di Astrofisica, porta avanti per interessare all’astronomia gli studenti delle scuole secondarie di primo e secondo grado”, afferma la prof.ssa Patrizia Caraveo, presidente della Società Astronomica Italiana. “È uno sforzo corale della comunità astronomica italiana, reso possibile dal supporto del Ministero dell’Istruzione e del Merito – Direzione generale per gli ordinamenti scolastici, la formazione del personale scolastico e la valutazione del sistema nazionale di istruzione. Il successo della competizione è cresciuto negli anni – aggiunge – e testimonia l’interesse per una disciplina che, pur non essendo curriculare nel nostro ordinamento scolastico, per la sua valenza interdisciplinare va oltre il naturale legame con le leggi fondamentali della fisica. Le grandi rivoluzioni scientifiche hanno le radici nel cielo e i campionati di astronomia consentono di trasmettere ai ragazzi non solo il fascino delle stelle ma, anche, lo straordinario sviluppo della scienza”.

Comunicato Stampa: Ufficio stampa INAF – Eleonora Ferroni

Vita su K2-18 b? Il JWST rileva possibili biosignature in un mondo oceanico extrasolare

Autori principali: Nikku Madhusudhan (Università di Cambridge), M. Holmberg, S.-M. Tsai, G. J. Cooke, S. Sarkar, tra i numerosi co-autori.
Osservatorio e strumenti: Telescopio Spaziale James Webb – strumento MIRI.
Ente di riferimento: NASA, ESA, Agenzia Spaziale Canadese (CSA), Università di Cambridge.

Un’atmosfera ricca di idrogeno e un oceano nascosto sotto le nubi: il pianeta extrasolare K2-18 b, situato a 124 anni luce dalla Terra nella costellazione del Leone, continua a sorprendere gli scienziati. I nuovi dati del telescopio spaziale James Webb (JWST) hanno infatti rivelato segnali compatibili con la presenza di due molecole considerate biosignature: il dimetil solfuro (DMS) e il dimetil disolfuro (DMDS).

L’osservazione, condotta grazie allo strumento MIRI (Mid-Infrared Instrument) del JWST, ha prodotto il primo spettro di trasmissione in banda medio-infrarossa (6–12 μm) di un esopianeta potenzialmente abitabile. I risultati, pubblicati da un team guidato da Nikku Madhusudhan dell’Università di Cambridge, indicano una rilevazione di DMS e/o DMDS con una significatività statistica di circa 3σ, corrispondente a una probabilità di oltre il 99%.

Un pianeta oltre i confini terrestri

K2-18 b è circa 2,6 volte più grande della Terra e otto volte più massiccio. Orbita attorno a una nana rossa (spettro M2.5V), nella cosiddetta zona abitabile, ovvero dove le temperature potrebbero permettere la presenza di acqua liquida. Le sue caratteristiche lo rendono un perfetto candidato per il paradigma delle “hycean worlds” — mondi oceanici con atmosfera ricca di idrogeno, concetto introdotto da Madhusudhan nel 2021.

Rispetto ai pianeti simili alla Terra, questi mondi sono più facili da osservare: la loro atmosfera è più estesa e trasparente alle osservazioni spettroscopiche. I risultati finora ottenuti sembrano confermare che K2-18 b ospiti effettivamente un’atmosfera H₂-ricca compatibile con il modello hycean, con abbondanze di metano (CH₄) e anidride carbonica (CO₂), e senza tracce significative di ammoniaca (NH₃) o monossido di carbonio (CO).

Le firme chimiche della vita?

La grande novità di queste nuove osservazioni è la conferma indipendente, e a lunghezze d’onda differenti (mid-IR anziché near-IR), della presenza di DMS e DMDS, molecole che sulla Terra sono prodotte quasi esclusivamente da organismi viventi, soprattutto da batteri marini. In particolare, il DMS è considerato un potenziale biosignature robusto per pianeti con atmosfera riducente, ovvero ricca di idrogeno, come quelli hycean.

Tuttavia, a causa della somiglianza spettrale tra le due molecole, non è ancora possibile distinguerle con certezza. Secondo il team, almeno una delle due è presente in quantità significative (≳10 ppmv), un valore straordinariamente alto se paragonato ai livelli terrestri di pochi ppbv. Per stabilire se la loro origine sia biotica o abiotica saranno necessari ulteriori studi.

La sfida dei falsi positivi

Gli autori mettono in guardia contro interpretazioni affrettate: sebbene su K2-18 b non sia stata rilevata H₂S — un precursore necessario per produrre DMS abioticamente — esistono comunque scenari, seppur improbabili, di formazione non biologica. Ad esempio, reazioni chimiche in atmosfera o impatti cometari, come quelli che potrebbero aver portato DMS sulla cometa 67P/Churyumov–Gerasimenko (Hänni et al., 2024). Tuttavia, la quantità richiesta per spiegare le osservazioni supera di gran lunga quella ipotizzabile per processi puramente abiotici.

Prossimi passi

Il gruppo di Madhusudhan sottolinea l’urgenza di ulteriori osservazioni con JWST e di nuovi studi teorici e sperimentali. In particolare, è essenziale ottenere dati di laboratorio sui parametri spettrali del DMS e del DMDS in atmosfere H₂-ricche, a pressioni e temperature simili a quelle di K2-18 b. Questo permetterà di migliorare l’accuratezza dei modelli e ridurre l’incertezza nelle stime di abbondanza.

Una serie aggiuntiva di transiti osservati con JWST, stimano gli autori, potrebbe facilmente elevare la significatività delle rilevazioni a 4–5σ, un livello molto più robusto per una possibile biosignature.


Conclusione

Sebbene non possiamo ancora affermare di aver trovato vita oltre il Sistema Solare, lo studio di K2-18 b rappresenta uno dei passi più concreti mai fatti in questa direzione. La possibile presenza di DMS e DMDS — molecole complesse e indicatrici di attività biologica — in un pianeta oceanico, amplia sensibilmente i nostri orizzonti nella ricerca di biosfere aliene. Il JWST si conferma uno strumento fondamentale per questa nuova era dell’astrobiologia.

Fonte The Astrophysical Journal Letter

Nel cuore del Virgo Cluster, nuove nubi stellari isolate nate da gas strappato

Questa immagine profonda del cluster della Vergine, realizzata da Chris Mihos e collaboratori con il telescopio Burrell Schmidt, rivela la luce diffusa presente tra le galassie appartenenti all’ammasso. Il nord è in alto, l’est a sinistra. Le macchie scure indicano le zone da cui sono state rimosse le stelle brillanti in primo piano. La galassia più grande visibile (in basso a sinistra) è Messier 87. Crediti: Chris Mihos (Case Western Reserve University) / ESO

Un programma di citizen science ha portato alla scoperta di 34 nuovi candidati “blue blobs”, una rara popolazione di sistemi stellari isolati nel cluster di galassie della Vergine.

Nel vasto e dinamico ambiente del Virgo Cluster – uno dei più vicini e studiati agglomerati di galassie – un nuovo studio guidato da Michael G. Jones (University of Arizona) ha identificato 34 nuovi oggetti candidati appartenenti alla categoria dei cosiddetti “blue blobs”. Di questi, 13 presentano caratteristiche ad alta affidabilità, con sei già confermati tramite spettroscopia ottica grazie al telescopio Hobby–Eberly Telescope (HET).

I blue blobs sono nubi di formazione stellare isolate, estremamente povere di massa (meno di 100.000 masse solari), ma inaspettatamente ricche di metalli, immerse nel mezzo caldo intra-ammasso. Sono tra i prodotti più estremi del fenomeno del ram pressure stripping, un processo in cui il gas di una galassia in caduta in un cluster viene strappato via dall’interazione con il mezzo intra-ammasso (ICM). Il gas così rimosso, se sufficientemente denso, può collassare e dare origine a nuove stelle lontano dalla galassia madre.

“Le proprietà di questi oggetti sono incompatibili con quelle delle galassie a bassa massa” spiega Jones. “Sono troppo giovani, troppo isolati, e troppo ricchi in metalli per essere normali galassie nane.”

Una scoperta resa possibile dalla scienza partecipativa

Per identificare questi oggetti, il team ha lanciato un progetto su Zooniverse, coinvolgendo centinaia di volontari nella classificazione visiva di oltre 150.000 immagini ottiche e ultraviolette provenienti da tre grandi survey:

  • Next Generation Virgo Cluster Survey (NGVS) con il telescopio CFHT,
  • Dark Energy Camera Legacy Survey (DECaLS),
  • e dati UV del telescopio spaziale GALEX.

I partecipanti dovevano cercare strutture irregolari, isolate e molto blu, accompagnate da emissione ultravioletta: segnali tipici di formazione stellare recente. Il contributo umano si è rivelato cruciale, dato che i blue blobs hanno morfologie irregolari e bassa luminosità superficiale, caratteristiche che rendono difficile il loro riconoscimento da parte di algoritmi automatici.

Conferme spettroscopiche e proprietà sorprendenti

I sei blue blobs confermati presentano velocità radiali coerenti con l’appartenenza al cluster della Vergine e abbondanze metalliche elevate, incompatibili con galassie nane formatesi in isolamento. Queste caratteristiche confermano l’ipotesi che siano nati da gas pre-enriched, cioè gas già arricchito da precedenti cicli stellari, e strappato a galassie più grandi.

Inoltre, alcuni blue blobs sembrano essere le controparti ottiche di precedenti rilevamenti di nubi di idrogeno neutro (H I) privi di emissione ottica, noti come “dark clouds”. Questo collegamento è stato rafforzato dalla somiglianza delle velocità Hα dei blue blobs e delle loro rispettive nubi H I.

Una popolazione distribuita lungo i filamenti del cluster

La distribuzione spaziale dei nuovi candidati mostra che tendono a formarsi lungo i filamenti galattici che si estendono verso il centro del cluster, ma evitano le zone centrali più dense e calde. Questo suggerisce che la formazione di blue blobs sia favorita da condizioni ambientali intermedie: abbastanza dense da innescare il ram pressure stripping, ma non così estreme da distruggere il gas strappato prima che possa formare stelle.

È significativo che questi oggetti non sembrino provenire da galassie appena entrate nel cluster,” sottolinea Jones. “Molti si trovano in regioni tipiche di membri già presenti da tempo, indicando che il stripping può agire anche dopo diverse orbite.

Una nuova classe di oggetti, forse un nuovo paradigma

Nel complesso, questi risultati rafforzano l’idea che i blue blobs siano i cugini estremi delle galassie jellyfish: nubi stellari nate dal gas strappato, ma che si sono completamente staccate dal loro progenitore galattico. La loro giovinezza, composizione chimica e isolamento pongono sfide significative ai modelli attuali di evoluzione galattica nei cluster.

Ulteriori conferme spettroscopiche sono in corso con HET e il radiotelescopio GBT, ma per comprendere appieno la storia evolutiva di questi oggetti sarà necessario studiarne le popolazioni stellari risolte, un compito che solo il James Webb Space Telescope (JWST) potrà affrontare.

Autore principale: Michael G. Jones – University of Arizona

Collaborazioni: Hobby–Eberly Telescope, Zooniverse, GALEX, NGVS

Strumenti principali: HET LRS2, ALFALFA, CFHT MegaCam, GALEX

Fonte: The Astrophysics Journal

L’interno della Luna è più secco sul lato nascosto? I campioni Chang’e-6 rivelano un’inaspettata dicotomia

Questa immagine distribuita dalla China National Space Administration (CNSA) e pubblicata dall'agenzia di stampa Xinhua mostra la combinazione lander-ascender della sonda Chang'e-6, ripresa da un mini rover dopo l'atterraggio sulla superficie lunare, il 4 giugno 2024. Crediti: CNSA/Xinhua tramite AP, Archivio

Autori principali: Zhang Q. W. L., Zhou Q., Zhang X. e collaboratori
Institute of Geology and Geophysics – Chinese Academy of Sciences (IGGCAS), China National Space Administration (CNSA)

I nuovi dati ottenuti dalla missione cinese Chang’e-6 potrebbero cambiare per sempre la nostra comprensione della Luna. Per la prima volta nella storia dell’esplorazione spaziale, sono stati riportati sulla Terra campioni prelevati dalla faccia nascosta del nostro satellite naturale, e in particolare dal vastissimo cratere South Pole–Aitken Basin (SPA). Le analisi chimiche di questi frammenti hanno portato alla prima stima diretta del contenuto d’acqua nel mantello lunare di quel settore, rivelando un valore sorprendentemente basso: appena 1–1,5 microgrammi per grammo di roccia.

Questo dato – pubblicato in un recente studio coordinato da ricercatori dell’Institute of Geology and Geophysics della Chinese Academy of Sciences (IGGCAS) e basato su misure condotte con tecniche di spettrometria a massa su scala micrometrica – suggerisce che il mantello della Luna possa presentare una dicotomia emisferica nella distribuzione dell’acqua, con la parte visibile (nearside) significativamente più ricca di componenti volatili rispetto a quella nascosta (farside).

“Questi nuovi valori costringono a rivedere le stime complessive sull’acqua nella Luna intera,” affermano gli autori del lavoro, “e forniscono supporto al modello di formazione per impatto gigante.”


Analisi ad altissima precisione

I ricercatori hanno esaminato frammenti basaltici raccolti dal suolo lunare CE6C0200YJFM001, un campione di 5 grammi restituito sulla Terra il 25 giugno 2024. Le analisi si sono concentrate su minerali come apatite e su inclusioni vetrose intrappolate in olivine e ilmenite, che possono trattenere tracce di acqua sotto forma di idrossili e di idrogeno isotopico (δD).

Grazie a strumenti come la NanoSIMS 50L e la microsonda elettronica JXA-8100 operanti presso IGGCAS, è stato possibile determinare la composizione isotopica dell’idrogeno con risoluzione nanometrica e correggere le misure per gli effetti della radiazione cosmica, sfruttando un’età di esposizione stimata in circa 108 milioni di anni.


Un mantello “più asciutto” sul lato nascosto

Confrontando questi dati con quelli ottenuti da precedenti missioni come Chang’e-5, Apollo e Luna, tutte riferite a campioni provenienti dalla parte visibile della Luna e dalla ricca regione del Procellarum KREEP Terrane, emerge un quadro inaspettato: il mantello sottostante al bacino SPA potrebbe essere fino a 10 volte più povero d’acqua rispetto alle zone campionate finora.

Questa possibile asimmetria emisferica – in parte speculare alla già nota distribuzione superficiale del torio (Th), altro elemento incompatibile – suggerisce che la faccia nascosta della Luna sia stata meno influenzata da processi magmatici ricchi in volatili, forse a causa della posizione rispetto all’epicentro dell’impatto gigante che avrebbe originato il nostro satellite.


Implicazioni per l’origine della Luna

I nuovi dati rafforzano le ipotesi a favore di un’origine per impatto gigante, secondo la quale un corpo delle dimensioni di Marte si sarebbe scontrato con la Terra primitiva, generando un disco di detriti che avrebbe poi dato origine alla Luna. In tale scenario, l’acqua sarebbe stata in gran parte dispersa dal calore dell’impatto, e la sua distribuzione successiva all’interno della Luna risulterebbe eterogenea, come ora sembra confermare la scoperta fatta da Chang’e-6.

L’isotopia dell’idrogeno nei campioni CE6, tuttavia, è coerente con quella già rilevata nei campioni del lato visibile (δD medio attorno a −123‰), suggerendo che la composizione isotopica del mantello lunare sia rimasta omogenea nel tempo, forse ereditata dalla cristallizzazione dell’oceano magmatico primordiale.


Verso nuove missioni lunari

Il campione CE6 rappresenta un punto di svolta. “Abbiamo ora un primo valore concreto per il contenuto d’acqua nel mantello della farside lunare,” spiegano gli autori. Ma restano ancora molte domande aperte: l’intera faccia nascosta è così secca? O il cratere SPA rappresenta un’eccezione geologica? Missioni future, come quelle previste dal programma Artemis della NASA e dalle successive fasi del progetto cinese Chang’e, potranno fornire nuovi campioni per confermare o smentire questa dicotomia idrica.

CARMELO A CACCIA DI RADIOMETEORE

A cura di Lorenzo Barbieri dell’Associazione Astrofili Bolognesi

Il progetto RAMBo, nato dall’iniziativa di un gruppo di astrofili bolognesi, ha permesso la rilevazione delle radiometeore sfruttando la tecnologia analogica. L’evoluzione verso il digitale ha portato alla creazione di CARMELO, un sistema basato su ricevitori SDR e Raspberry Pi, capace di registrare e analizzare gli echi meteorici con maggiore precisione. Grazie a strumenti di elaborazione avanzati, CARMELO filtra i falsi positivi e consente il monitoraggio in tempo reale degli eventi, fornendo dati statistici sull’attività meteorica. L’espansione della rete osservativa, che già conta numerosi ricevitori, permetterà di affinare la ricostruzione delle traiettorie e delle velocità delle meteore. Con il coinvolgimento di scuole e astrofili, il progetto mira a rendere la radioastronomia meteorica accessibile a un pubblico sempre più ampio.

Gli Inizi

Tutto iniziò una quindicina di anni fa al termine di una serata di G-Astronomia svoltasi a casa mia con un gruppo di soci dell’Associa­zione Astrofili Bolognesi e con la compagnia di buon vino.
Un nostro socio radioamatore, Marco Calzolari, ci mise a dispo­sizione una radio Yaesu da tavolo che collegammo ad un’antenna autocostruita; con pochi sempli­ci passaggi e attendendo alcuni minuti emerse dal rumore di fondo un piccolo “ping”: era il primo eco attribuibile ad una radiometeora ascoltato dai presenti. Si tratta del prodotto del fenomeno “meteor scat­ter”: quando un meteoroide penetra nell’atmosfera terrestre, l’attrito con le molecole d’aria provoca la vapo­rizzazione del corpo celeste, gene­rando una scia luminosa nota come meteora. Oltre a questo spettacolo visivo, l’evento produce un cilindro di plasma composto da ioni ed elet­troni liberi, risultato della disinte­grazione degli atomi del meteoroide durante l’impatto con le molecole della ionosfera. Questa scia ionizza­ta ha la capacità di riflettere le onde radio, comportandosi come un vero e proprio specchio per le frequenze radio VHF (Very High Frequency). Di conseguenza, un trasmettitore che emette onde radio in queste frequenze può vedere il suo segnale riflesso dalla scia ionizzata, permet­tendo a un ricevitore sintonizzato sulla stessa frequenza di “osserva­re” la meteora, anche in assenza di visibilità direttaa.

Fig. 1 – Il segnale radio viene riflesso dal cilindro ionizzato delle meteore se­guendo la legge della riflessione, quindi l’eco può essere rilevato solo se l’angolo di incidenza coincide con quello di riflessione. Il punto P rappresenta la zona di riflessione speculare, ossia il punto visibile nei ricevito­ri. La parte frontale della meteora, essendo semisferica, riflette il segnale in modo diffuso e più debole. Tuttavia, in casi rari di meteore ad alta energia, può verificarsi un’eco di testa, rilevabile dai ricevitori radio.

Nel corso dei decenni, numerosi radar sono stati progettati specifi­camente per lo studio delle meteore attraverso il meteor scatter. In Italia, ad esempio, il Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) aveva installa­to un radar meteorico a Vedrana di Budrio, vicino Bologna, che pur­troppo non è più operativo. A livello internazionale, il Canadian Meteor Orbit Radar (CMOR) è uno dei più noti strumenti dedicati a questo tipo di osservazionib, affiancato da altri progetti in Belgio, Giappone e Regno Unito. Questi radar permet­tono di raccogliere dati dettagliati sulle orbite e sulle caratteristiche fisiche delle meteore, contribuendo in modo significativo alla nostra comprensione dei piccoli corpi del sistema solare.

L’Esperienza nell’Analogico

Per noi astrofili, l’installazione e la gestione di un radar meteorico rappresenta però una sfida, sostan­zialmente a causa dei costi elevati associati agli apparati trasmittenti e alla loro manutenzione. Nel tempo tuttavia si è trovato il modo per ag­girare parte dell’ostacolo sfruttando trasmettitori esistenti e lasciando così agli appassionati solo il compito di gestire la ricezione. Un esempio è il trasmettitore militare GRAVES, situato in Francia, che grazie alla sua potenza è largamente utilizzato da anni dagli astrofili europei.
Nel giro di poco tempo quindi avevamo installato lo stesso appara­to testato durante la cena nella sede dell’AAB utilizzando una radio analoga a quella di Marco e montando un’an­tenna ad alto guadagno.
Con molta soddisfazione, scelta la polarizzazione giusta, i “ping” piove­vano copiosi.
Avevamo realizzato il primo siste­ma radar “forward scatter” (o bistatico) dell’AAB.
I radar sono comunemente di due tipi: il backward scatter è quello più noto e diffuso in cui trasmettitore e ricevitore sono vicini ed addirittura possono utilizzare la stessa antenna, prima illuminando il bersaglio e poi ricevendone l’eco, mentre il forward scatter, assai diffuso nelle osserva­zioni di meteore, ha una configurazio­ne come quella descritta nell’imma­gine: in questo caso il trasmettitore è sempre in potenza ed i ricevitori (che possono essere più di uno) sono sem­pre in ascolto.

Fig. 2 – La configurazione forward scatter
del nostro RAMBo.

Insieme a Fabio Balboni e Daniele Cifiello, altro radioamatore, ci sia­mo quindi posti il tema: è possibile trasformare il semplice ascolto in una osservazione sistematica e continua­tiva misurando e catalogando questi echi?
Il passo successivo è stato l’acqui­sto di un “Arduino” e la sua program­mazione in c++.
Con esso il segnale audio in uscita dalla radio veniva digitalizzato, i suoi parametri (orario, ampiezza e durata) trascritti in un file csv e resi dispo­nibili al trattamento numerico. Il progetto RAMBo (Radar Astrofilo Me­teorico Bolognese), così fu chiamato, funzionava a pieno regime registran­do circa 2500 eventi al giorno (quasi un milione all’anno).

Fig. 3 – Nelle Perseidi del 2020 RAMBo
evidenzia un filamento dello sciame
assente negli anni precedenti ed invece
previsto dalle analisi numeriche degli astronomi
riguardanti gli influssi gravitazionali dei
pianeti maggiori sul complesso dello sciame.

Che fare con tutti questi dati? Qui entra in scena Gaetano Brando, allora nuovo giovane iscritto all’ associa­zione ed esperto di programmazione python. Con lui abbiamo iniziato a fare statistiche e analisi numeriche sui dati facendo sul campo quelle scoperte che, per quanto note agli esperti del settore, per noi erano assolutamente nuove, ad esempio l’andamento diurno tendenzialmen­te sinusoidale o la presenza degli sciami meteorici come mostrato in figura 7.
Poi sono arrivate anche le prime soddisfazioni: con RAMBo era possi­bile osservare gli sciami meteorici e confrontarli con le previsioni nume­riche elaborate dai professionisti; i nostri articoli al riguardo sono stati pubblicati su WGN il periodico dell’IMO (International Meteor Organi­zation) e su e-Meteor news (giornale elettronico). Il nostro progetto è stato illustrato all’IMC: congresso interna­zionale dell’IMOc.
Per quanto entusiasmante l’e­sperienza di RAMBo soffriva però di alcuni limiti:
1) Presenza di falsi positivi: fulmini, transitori elettrici sulla rete (accensione di luci al neon, motori elettrici ecc.. motori a scoppio nelle vicinanze auto, moto e soprattutto rasaerba!)
2) Misura non del segnale radio ma della sua conversione in segna­le audio effettuata dalla radio, con conseguenti dubbi sulla linearità e fedeltà.
3) Standard non comune condi­zionati dai parametri della radio.
4) Difficoltà replicabilità: realiz­zare la scheda elettronica di inter­faccia tra radio ed Arduino non era affatto banale.
5) Costo considerevole: tra an­tenna, radio di un certo livello, ardui­no e scheda analogica il prezzo saliva.
Un’unica soluzione risolveva tutti i problemi: passare al digitale.


Passaggio al Digitale


E qui sono arrivati i problemi e le frustrazioni: maneggiare la tecnologia SDRd non è per nulla facile se non si è esperti del settore. Con Gaetano ab­biamo impiegato mesi e mesi cercan­do di far funzionare un dongle SDR ed un computer come volevamo, abbia­mo dedicato innumerevoli serate al problema con conseguenti dissapori con altri soci dell’associazione più interessati ad altre attività.
Ad un certo punto abbiamo deciso di rinunciare finché a distanza di un anno Gaetano scrive un messaggio: “Ho trovato in rete una libreria di python che si interfaccia con i dongle SDR!”. È stata la svolta e dopo mesi e mesi persi in vani tentativi in poche ore abbiamo scritto il primo software per realizzare un ricevitore meteorico per le radiometeore! Era l’embrione di CARMELO (Cheap Amatorial Radio Meteoric Echoes Logger).

Fig. 4 – L’embrione di CARMELO: un PC,
un dongle da 13 euro fissato su un
pezzetto di legno, un cavo coassiale
utilizzato come antenna (dipolo) ed una
radiolina utilizzata come trasmettitore.

Il passo successivo è stato il pas­saggio ad un microprocessore (ab­biamo scelto per il suo costo e la sua ampia diffusione un Raspberry) e la scrittura di un software che risolves­se tutti i punti deboli del precedente progetto analogico (RAMBo).
CARMELO utilizza una Fast Fou­rier Transform (FFT) per elaborare il segnale ricevuto e identificare au­tomaticamente gli echi meteorici, scartando i falsi positivi. Una volta identificato un evento meteorico, il si­stema registra i dati in un piccolo file.
Altri soci AAB, Paolo Fontana ed Antonio Papini, hanno attivamen­te collaborato all’assemblaggio del prototipo.


1. La rete CARMELo


A questo punto era necessario un server a cui spedire i dati ed un sito che li mostrasse e grazie all’incessante lavoro di Gaetano anche ciò è diventato realtà.

Fig. 5 – L’attuale realizzazione di un CARMELo In esso sono visibili: l’alimentatore che converte la tensione 220 V a 5 V (1), il Raspberry sovrastato dalla schedina monitoria (non indispensabile) che con i led mostra il funzionamento di CARMELo (2), il dongle SDR (3), l’LNA (Low Noise Amplificator), (4) il filtro bassa banda (5), il cavo d’antenna (6), il cavo ethernet per la trasmissione dei dati in internet (7) ed il coperchio (8). Il sistema è stato progettato per essere economico, consentendo a chiunque di partecipare all’osservazione radio delle meteore con una spesa relativamente contenuta (ricevitore SDR circa 210 euro, antenna VHF circa 60 euro). Con un assemblaggio semplice permette a qualsiasi astrofilo di installare una stazione
ricevente digitale presso la propria abitazione o osservatorio, senza la necessità di strumenti professionali.

Gli eventi mostrati (in tempo reale) vanno dalle più piccole meteore spora­diche di pochi millisecondi di durata e che corrispondono a meteore di 7° od 8° magnitudine e perciò inosservabili sia ad occhio nudo che con le videoca­mere, fino ai bolidi e super bolidi, con i quali il grado di ionizzazione è assai elevato, quindi l’eco è molto lunga. Tuttavia, poiché la maggioranza dei ricevitori CARMELO è sita in Italia e quindi in forward scatter, l’80% degli eventi rilevati da CARMELO è sulle Alpi oppure a nord delle Alpi. A riprova di ciò mostriamo l’incrocio di dati osserva­tivi nostri e visuali a cui si è dedicata Silvana Sarto altra socia AAB che con entusiasmo è entrata nel gruppo.


2. Il tasso orario


Oltre alle singole osservazioni CAR­MELO fornisce una pagina statistica, che permette di monitorare il tasso orario delle meteore con una risoluzio­ne temporale di un’oraf. Con l’espan­sione della rete, potremo abbassare ulteriormente questa risoluzione, migliorando la precisione delle osser­vazioni.
Oltre a ciò, l’analisi incrociata tra tasso orario e durata degli echi permet­te di studiare la distribuzione della massa all’interno degli sciami mete­orici. Questo porta ad indagare l’età dello sciame in base alla simmetria della distribuzione delle masse.
Ad esempio, proprio questo tipo di confronto fatto per lo sciame delle Quadrantidi a inizio 2025 ha eviden­ziato come questo sciame abbia una struttura a cilindro avente all’esterno un “guscio” di meteore più piccole, e all’interno un filamento di meteore di maggior massag. Questa caratteristi­ca è tipica degli sciami relativamente giovani nei quali né le perturbazioni dei pianeti massicci né la radiazione solare (effetto di Poynting – Robertson) hanno ancora comportato la migra­zione dei meteoroidi più massicci verso “la periferia” dello sciame facendo quindi perdere la simmetria originaria.

Fig. 6 – Meteore registrate da CARMELo e simultaneamente viste dalla rete visuale GMN. Il confronto è stato fatto su una quindicina di giorni.

Ogni mese viene preparato un bol­lettino: il “CARMELo monthly report” che riassume l’attività meteorica registrata dalla rete e caratterizza gli sciami principali, poi pubblicato su eMeteorNews e su eMetNJour­nal ed anche sull’ “Astrophisic data system”. Questo lavoro è a cura di Mariasole Maglione, astrofisica ed esperta di comunicazione in campo industriale astronautico, astrofila vi­centina ed ultimo ingresso nel nostro piccolo gruppo di lavoro.


3. Le forme d’onda


Uno degli aspetti più innovativi è la possibilità di visualizzare le forme d’onda di ogni meteora in tempo reale. Si tratta di una novità assoluta nel campo dell’osservazione radio ama­toriale, permettendo agli astrofili di ottenere informazioni sulla natura di ogni singolo evento. Analizzando le forme d’onda, gli osservatori possono determinare:
– Se la meteora è satura (ovvero, se il segnale è talmente forte da creare un cilindro di plasma che si comporta come un corpo solido).
– Se la meteora ha subito frammen­tazione, osservabile tramite variazioni ondulatorie del segnalei.
– Se è energetica al punto da mostrare l’eco di testa, riconoscibile anche dal tipico effetto Doppler del segnale radio.

Fig. 7 – Il tasso orario nel primo mese del 2025: si nota l’andamento sinusoidale quotidiano delle meteore sporadiche, dovuto alla posizione dell’osservatore sul globo terrestre nel suo movimento di rotazione della terra. Si nota inoltre l’aumento del tasso orario in corrispondenza del previsto sciame delle Quadrantidi.
Fig. 8 – Fra il tasso orario e la durata media degli echi meteorici tra l’1 e il 6 gennaio 2025, che ci ha permesso di descrivere la composizione dello sciame. Questa analisi è descritta nel nostro bollettino di gennaio.


Programmi per il futuro


1. Traiettorie e velocità

Fig. 9 – Esempio di forma d’onda Nei primi 100 millisecondi, il segnale proviene dalla sfera di plasma creata dall’avanzamento della meteora nella ionosfera. La frequenza (in verde) mostra l’effetto Doppler.
Dopo circa 100 millisecondi, il meteoroide raggiunge il punto di riflessione P, perpendicolare alla visuale dell’osservatore. A questo punto, lo spostamento Doppler scompare e la riflessione del cilindro ionizzato sovrasta quella dell’eco di testa in allontanamento. Successivamente si notano le oscillazioni tipiche della frammentazione della meteora.


Uno degli obiettivi più ambiziosi è la ricostruzione delle traiettorie delle meteore. Questo è possibile grazie alla presenza di più osservatori distribuiti sul territorio, che ricevono il segnale riflesso dalla stessa meteora con un leggero ritardo temporale.

Fig. 10 – Alcuni partecipanti al gruppo di lavoro di CARMELo. Da sinistra a destra: Gaetano Brando (AAB), Lorenzo Barbieri (AAB), Mariasole Maglione (Gruppo Astrofili
Vicentini).

Ricostruendo la traiettoria del se­gnale ed individuando gli n punti P di riflessione speculare corrispondenti agli n osservatori è possibile calco­lare la velocità della meteora proprio confrontando il ritardo tra i fronti di salitaj.
Abbiamo confrontato decine di meteore registrate simultaneamente dalla rete CARMELo e dalla rete di tele­camere GMN (Global Meteor Network) ed effettivamente, le velocità calcolate considerando i ritardi temporali dei fronti d’onda coincidevano, entro mar­gini di errore minimi, con le velocità calcolate tramite le immagini dell’os­servazione visuale.
La sfida per il futuro è quella di cal­colare anche le traiettorie prescinden­do dall’uso del confronto con il video. Sarà una sfida impegnativa: occorrerà individuare algoritmi complessi e pro­babilmente potrà rendersi necessario far ricorso anche alle reti neurali.

2. L’inquinamento radioelettrico


All’inizio del 2025 c’è stato un aggiornamento del software di CAR
MELO. Con la nuova versione, la banda passante è stata ristretta a 20 kHz e gli apparati sono stati dotati di un nuovo e più efficace filtro software sui falsi positivi.

Fig.11 – Il segnale trasmesso da T viene ricevuto dagli n ricevitori R dopo una riflessione negli n punti di riflessione speculare P.


Dopo questo aggiornamento, la nostra attenzione si è concentrata sul rumo­re: perché ciò che tutti gli astrofili ed astrofotografi ben conoscono riguardo l’inquinamento luminoso è esatta­mente drammaticamente vero anche per l’inquinamento radioelettrico. La maggioranza dei nostri siti soffre della presenza di ponti radio, torri 4G o 5G, oltre ai trasmettitori televisivi e radiofonici, ma anche in stazioni riceventi in luoghi relativamente non inquinati abbiamo rilevato la novità di questi ultimi anni e cioè i satelliti per la telefonia da cellulari in orbita bassa.
Di conseguenza, una modifica che a breve verrà introdotta sarà l’utilizzo di un filtro a banda stretta, in perfetta similitudine all’osservazione fotome­trica o alla fotografia amatoriale.


3. La velocità del microprocessore


L’amico Roberto Lulli, ricercato­re associato INAF nei progetti Space Debris e SETI in qualità di analista programmatore, ha proposto una modifica al nostro software al fine di utilizzare in parallelo i quattro core del microprocessore, dedicando ogni core ad uno dei vari compiti che attualmen­te CARMELo svolge in maniera seriale. Qualora questa modifica andasse in porto potremmo più che raddoppiare la velocità del ricevitore con conseguenti evidenti miglioramenti sia nella riso­luzione temporale delle forme d’onda, sia dell’individuazione degli istanti dei fronti di salita ed anche del numero delle meteore rilevate.
Roberto, che è anche insegnante di informatica all’ I.T.T.S. “G. & M. Montani” di Fermo (FM), ha coinvolto nell’idea gli studenti dei propri corsi, che hanno ri­sposto mostrando molto interesse. È la prima volta che CARMELo entra in una scuola e speriamo che altre ne seguano.


4. L’ampliamento della rete

Fig. 12 – Osservazioni simultanee
dello stesso evento da parte di diversi
osservatori della rete CARMELO. In alto
si notano i diversi istanti tra i fronti di salita.
In basso la dislocazione geografica. Si può
apprezzare un andamento da sud ovest verso
nord est.


Da quanto detto finora emerge chiaramente che sia per quel che riguarda il tasso orario ed il conse­guente studio degli sciami, sia per quel che riguarda la ricezione simul­tanea tra più ricevitori ed il conse­guente lavoro su traiettorie e velocità delle meteore, l’ampliamento della rete potrebbe rappresentare un salto di qualità.
Attualmente, la rete conta 13 rice­vitori, dislocati in Italia, Regno Unito e USAk ed altre istallazioni sono attese in Croazia, a Porto San Giorgio e a Como, mentre interesse al progetto è stato mostrato da ricercatori in Cata­logna. L’auspicio è che altri astrofili ed istituzioni vogliano entrare a far parte della rete osservativa.
Per partecipare al progetto non ser­vono competenze avanzate: basta un modesto investimento economico, una corretta installazione dell’anten­na e tanta curiosità scientifica.
Il ricevitore è pensato per essere autocostruitol, ma chi non volesse intraprendere il lavoro manuale può scriverci, lo metteremo in contatto con un autocostruttore di nostra fi­ducia. Ognuno può entrare a far parte della comunità dei radio osservatori meteorici tramite CARMELO! Tutte le informazioni per partecipare sono nel nostro sito www.astrofiliabologna.it/carmelo.

Fig. 13 – Installazione di un ricevitore

Riferimenti
a) Cis Verbeeck, Jean-Louis Rault. Radio meteor observations. HANDBOOK FOR METEOR OBSERVERS: International Meteor Organization Edited byJürgen Rendtel 2022
b) https://fireballs.ndc.nasa.gov/cmor-radiants/index.html
c) Barbieri, L. (2016)” An atenna,a radio and a microprocessor: which kinds of observation are possible in meteor radio astronomy?”.IMC – IMO Egmond, the Netherlands, 2-5 June 2016 – page 26
d) https://it.wikipedia.org/wiki/Software_defined_radio
e) http://www.astrofiliabologna.it/graficocarmelo
f) http://www.astrofiliabologna.it/graficocarmelohr
g) Maglione M., Barbieri L. (2025)“January 2025 CARMELO report”,
h) eMetN Journal https://ui.adsabs.harvard.edu/
i) W.G Elford, L Campbell: Effect of meteoroid fragmentation on radar observations ol meteor trails (ESAPSB2): NASA Astrophisic data system
j) M.T. German: Utilizing Video Meteor Trails to Understand Radio Meteor Detection: WGN, the Journal of the
IMO 51:4 (2023)
k) http://www.astrofiliabologna.it/obs_on_line
l) http://www.astrofiliabologna.it/about_carmelo

Seguite ogni mese i bollettini di CARMELO su coelum.com, nella sezione Il Cielo del Mese, per scoprire i dati aggiornati sull’attività meteorica osservata dalla rete radio degli astrofili.

 


L’articolo è pubblicato in COELUM 273 VERSIONE CARTACEA

CARMELO METEOR: Bollettino Mensile delle Radiometeore

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A cura della rete CARMELO
(Cheap Amatorial Radio Meteor Echoes LOgger)

Mariasole Maglione (GAV, Gruppo Astrofili Vicentini)
Lorenzo Barbieri (Rete CARMELO e AAB, Associazione Astrofili Bolognesi)

Bollettino di Marzo

Introduzione

Marzo, come febbraio, è uno dei mesi meno attivi per quanto riguarda il passaggio di grossi sciami meteorici. In attesa del picco delle Liridi, previsto per la seconda metà di aprile, questo mese abbiamo concentrato la nostra attenzione su alcune considerazioni riguardanti il rumore radioelettrico.

I dati del mese di marzo

I grafici che seguono sono tratti da questa pagina: nelle ascisse è rappresentato il tempo, che è espresso in UT (Universal Time, Tempo Universale) oppure in longitudine solare (Solar Longitude) e le ordinate rappresentano il tasso orario (hourly rate), calcolato come il numero totale di eventi registrati dalla rete nell’ora diviso per il numero di ricevitori in funzione.
In fig.1, l’andamento dei segnali rilevati dai ricevitori per il mese di marzo.

Fig. 1: Andamento nel mese di marzo 2025.

Marzo è uno dei mesi meno attivi dell’anno per l’osservazione delle meteore. In questo periodo non si verificano picchi rilevanti di sciami meteorici noti, e l’attività complessiva resta dominata da meteore sporadiche. Le reti di osservazione radio, come CARMELO, registrano un tasso giornaliero di echi meteorici relativamente basso e stabile, senza variazioni significative.
Gli echi registrati nel corso del mese, quindi, sono per lo più echi prodotti da meteore di piccola massa e bassa energia, che generano riflessioni radio di breve durata (inferiori al secondo) e di bassa intensità.

Il Rumore

Nelle osservazioni meteoriche radio condotte da reti come CARMELO, il rumore radioelettrico rappresenta uno degli elementi più critici da comprendere, monitorare e, per quanto possibile, mitigare. È utile distinguere tra tre componenti fondamentali del rumore:

1. Il rumore intrinseco all’apparato, generato dall’agitazione termica degli elettroni nei circuiti elettronici. Si tratta di un rumore fisico ineliminabile, la cui potenza è proporzionale alla temperatura del sistema secondo l’equazione di Boltzmann:

P = kTΔF

ovvero maggiore è la temperatura, maggiore è il rumore, come noto anche agli astrofili che raffreddano le camere CCD per lo stesso motivo. Nella formula, P è la potenza media del rumore in Watt, k è la costante di Boltzmann pari a 1.380 649×10-23 J/K, T è la temperatura assoluta in Kelvin, ΔF è la banda passante in Hertz, ovvero l’intervallo di frequenze su cui si misura o si osserva il rumore. Più larga è la banda, più rumore viene integrato.
Nei ricevitori CARMELO, qualora testati a banco su impedenza di 50 Ohm, il rumore intrinseco si attesta sotto i -130 dBm, in linea con quanto atteso da circuiti VHF, anche se il limite teorico per circuiti passivi è attorno ai -140 dBm.

2. Il rumore esterno naturale, che si aggiunge al rumore intrinseco una volta collegata l’antenna. Questo include:
– Rumore atmosferico, legato all’attività della ionosfera, in particolare a scariche elettriche (fulmini) e disturbi causati dall’attività solare.
– Rumore galattico e cosmico, legato all’emissione di sorgenti radio della Via Lattea e della radiazione cosmica di fondo (CMB). Il livello percepito varia in funzione della direzione verso cui è puntata l’antenna.

3. Il rumore antropico, ovvero quello generato da attività umane. Questo tipo di rumore può essere considerato vero e proprio inquinamento radioelettrico, e oggi rappresenta la componente più problematica, per la rete. Le sue sorgenti includono torri 4G/5G, ponti radio per la trasmissione dati e – in modo crescente – i satelliti per la telefonia diretta ai cellulari (come la costellazione Starlink di SpaceX).
Una delle maggiori difficoltà risiede nel fatto che queste sorgenti non sono stabili nel tempo: i gestori delle reti mobili possono accendere o spegnere trasmettitori, variare le potenze emesse in base al traffico, oppure, nel caso dei satelliti, la loro influenza dipende dal passaggio in orbita sopra la zona di osservazione. Ne risulta un rumore variabile, difficile da modellare o filtrare in modo statico.

Il Rumore e CARMELO

Dai dati della rete CARMELO emerge chiaramente che i ricevitori situati in zone radio-silenziose presentano livelli di rumore complessivo (intrinseco + esterno) attorno ai -130 dBm, come atteso. Tuttavia, alcuni osservatori registrano livelli ben più elevati.

Fig. 2: Andamento del rumore dei diversi ricevitori della rete dalle 20:00 del 30 marzo alle 20:00 del 31 marzo 2025. Colori e simboli differenti corrispondono a diversi osservatori.

In fig. 2 notiamo come alcuni osservatori si attestino a valori di rumore complessivo tra -110 e -90 dBm. I più rumorosi nel grafico sono, in ordine dal più al meno rumoroso: in rosso, un ricevitore posto a San Giovanni in Persiceto, in provincia di Bologna; in verde, un ricevitore dell’Associazione Astrofili Bolognesi (AAB) a Medelana, sempre in provincia di Bologna; con la croce nera, il ricevitore nel Derbyshire in Inghilterra; in blu, un ricevitore di Orciatico (PI); in viola, di Belluno. Si tratta di ricevitori posti in prossimità di torri 4G/5 G o di ponti radio di trasmissione dati per Internet.
Tuttavia, notiamo anche altri tipi di comportamento del rumore che non sembrano riconducibili né a fenomeni atmosferici né a interferenze antropiche costanti. Un esempio interessante è rappresentato dal ricevitore di Foligno (in fig. 3), in provincia di Perugia. I dati raccolti negli ultimi sette giorni, mostrano un andamento del rumore, con oscillazioni regolari su scale di diverse ore difficili da imputare a cause naturali.

Fig. 3: Andamento del rumore del ricevitore presso Foligno (PG) tra il 31 marzo e il 7 aprile 2025.

Questo pattern non sembra compatibile con un classico effetto di accensione/spegnimento di apparati terrestri (come router, sistemi industriali o centrali radio), ma presenta una struttura più graduale e ciclica, difficile da spiegare con sorgenti statiche o locali.
Tra le ipotesi che abbiamo considerato, una delle più plausibili riguarda il transito di satelliti. Tuttavia, la durata dei picchi sembra incompatibile con il passaggio isolato di un singolo satellite in orbita bassa, il cui effetto diretto sarebbe tipicamente molto più breve. Questo porta a spostare la considerazione su costellazioni o “trenini” di satelliti, come quelli utilizzati per la telefonia diretta (come appunto Starlink).

Fig. 4: Screenshot delle 17:33 del 7 aprile 2025 dei satelliti di passaggio sopra a Foligno (PG) dal sito Heavens Above.

Strumenti utili per monitorare il passaggio dei satelliti sono:
• Heavens Above (1) tramite il quale è possibile seguire i passaggi e le traiettorie dei diversi satelliti in transito sopra una determinata località in tempo reale.
• Satellite Map (2) utile per vedere quanti satelliti passano sopra una certa zona e se lo fanno in sequenza, verificare visivamente quando una costellazione transita in quella zona e identificare le costellazioni più attive.
Un articolo pubblicato a settembre 2024 (3) ha portato nuova evidenza alla crescente preoccupazione per l’interferenza generata dai satelliti per telefonia diretta. In particolare, lo studio mostra come alcuni satelliti, progettati per comunicare direttamente con dispositivi mobili a terra, operino in bande radio molto vicine a quelle utilizzate da ricevitori scientifici per l’osservazione di meteore, galassie e segnali transienti.
Questi satelliti emettono segnali attivi e direzionali verso aree specifiche del pianeta, e la loro influenza sul rumore registrato dai ricevitori terrestri non è costante, ma legata alla posizione orbitale del satellite e alla configurazione del fascio trasmesso. Questo comportamento dinamico rende difficile prevedere e filtrare il rumore associato, e rischia di compromettere la qualità dei dati, specialmente nei sistemi che operano a banda relativamente stretta e a bassa potenza di segnale.
Il rischio, già tangibile, è che l’incremento del numero di satelliti attivi in banda VHF porti a una perdita sistematica di sensibilità per le reti radio non protette, e renda più difficile l’identificazione di eventi deboli, come meteore poco brillanti o segnali transienti lontani. Da qui la necessità di lavorare su strategie di filtraggio avanzato e sul potenziamento della rete, sia in termini di densità di stazioni, sia nella condivisione e classificazione dei pattern di rumore.
Per quanto riguarda CARMELO, questa situazione impone due considerazioni operative su quanto sarà necessario fare per abbassare questa componente di rumore:

1. Lavorare sull’apparato per filtrare i segnali interferenti, sia a livello hardware (riducendo la banda passante), sia a livello software, mediante filtri digitali per ridurre i falsi positivi.

2. Interpretare con cautela i dati del tasso meteorico, poiché un aumento del rumore, abbassa il numero di meteore rilevabili. Un tasso basso non implica necessariamente una reale diminuzione di eventi, ma potrebbe riflettere un contesto radio disturbato.

In questo quadro, aumentare il numero di ricevitori nella rete non è solo utile per migliorare la copertura spaziale, ma diventa essenziale per compensare e mediare le variazioni locali del rumore, migliorando l’affidabilità dei dati risultanti.

Bollettino di Febbraio

Introduzione

Febbraio è uno dei mesi meno attivi dal punto di vista degli sciami meteorici. A differenza di gennaio, caratterizzato dal picco delle Quadrantidi, e di altri mesi con eventi più marcati, il periodo invernale centrale non presenta sciami di particolare rilievo. Tuttavia, l’osservazione radar permette di rilevare fenomeni altrimenti inosservabili, come i Daytime Showers, sciami meteorici il cui radiante è talmente vicino al Sole da non poter essere osservato con metodi ottici tradizionali. I dati raccolti dalla rete CARMELO nel mese di febbraio mostrano segnali compatibili con la presenza dello sciame delle χ-Capricornids (114 DXC).

I dati del mese di febbraio

I grafici che seguono sono tratti da questa pagina: nelle ascisse è rappresentato il tempo, che è espresso in UT (Universal Time, Tempo Universale) oppure in longitudine solare (Solar Longitude) e le ordinate rappresentano il tasso orario (hourly rate), calcolato come il numero totale di eventi registrati dalla rete nell’ora diviso per il numero di ricevitori in funzione.

In fig.1, l’andamento dei segnali rilevati dai ricevitori per il mese di febbraio.

Fig. 1: Andamento nel mese di febbraio 2025.

I Daytime Showers

I Daytime Showers sono sciami meteorici i cui radianti si trovano molto vicini alla posizione del Sole nel cielo, rendendoli impossibili da osservare con strumenti ottici. A differenza degli sciami notturni, che presentano radianti ben visibili sopra l’orizzonte nelle ore serali o notturne, i Daytime Showers possono essere rilevati quasi esclusivamente attraverso osservazioni radar (1, 2). I loro radianti si trovano tipicamente tra i 20° e i 30° a ovest del Sole e vengono identificati grazie alle tecniche di radio-forward scatter e radar.
L’assenza di osservazioni ottiche implica che le informazioni su questi sciami sono spesso limitate. Mentre gli sciami notturni più noti, come le Perseidi o le Geminidi, hanno tassi di attività ben documentati e parametri ben definiti, molti Daytime Showers restano ancora poco studiati. Alcuni di essi mostrano attività più elevate e sono stati rilevati anche da reti di video osservazioni, mentre altri hanno un’attività così debole da rendere difficile una loro caratterizzazione precisa.
Le osservazioni radar degli ultimi decenni hanno comunque permesso di mappare i principali sciami diurni e di riconoscerne l’attività in periodi specifici dell’anno. Tra i più noti (2) vi sono quello delle Arietids (171 ARI), attivo tra maggio e giugno (3), e quello delle Sextantids (221 DSX), attivo tra settembre e ottobre. Nel periodo invernale, invece, l’attività dei Daytime Showers è generalmente più bassa, con sciami minori che mostrano un’attività difficilmente distinguibile dal rumore di fondo.
L’analisi di questi sciami è però importante per comprendere meglio la distribuzione e le caratteristiche della popolazione di meteoroidi nel Sistema Solare. Sebbene la loro attività sia spesso inferiore rispetto agli sciami principali, il loro studio permette di affinare i modelli di flusso meteorico e migliorare la nostra comprensione della dinamica delle particelle interplanetarie.

Le χ-Capricornids (114 DXC)

Le χ-Capricornids (114 DXC) sono uno sciame meteorico diurno attivo tra il 29 gennaio e il 28 febbraio, con un massimo previsto intorno al 13 febbraio alla longitudine solare 324.5° (2). Questo sciame è stato individuato grazie a osservazioni radar, poiché la vicinanza del suo radiante al Sole ne impedisce la rilevazione ottica tradizionale. L’attività dello sciame è classificata come bassa, con una distribuzione di meteoroidi caratterizzata da masse ridotte e velocità relativamente basse.
Il radiante delle χ-Capricornids sorge intorno alle 6:30 e tramonta intorno alle 14:30 (ora locale in Italia), limitando così la finestra temporale utile per la loro osservazione radar. A causa della loro bassa attività, non si registrano aumenti significativi nell’intensità dei segnali radio né variazioni rilevanti nella durata degli echi rilevati. Tuttavia, le osservazioni condotte nel corso degli anni hanno mostrato che questo sciame è compatibile con i dati raccolti, suggerendo che una frazione delle meteore rilevate possa effettivamente appartenere alle χ-Capricornids.
Studi precedenti, tra cui quelli riportati da Jürgen Rendtel nel 2014 (2), indicano che la popolazione di meteoroidi appartenente alle χ-Capricornids potrebbe derivare da una sorgente progenitrice non ancora identificata con certezza. Il fatto che le meteore osservate abbiano una scarsa intensità e brevi echi radio suggerisce che i frammenti siano il risultato di un processo di erosione prolungato, piuttosto che di un evento di frammentazione recente.
I dati raccolti dalla rete CARMELO nel mese di febbraio mostrano segnali compatibili con la presenza del χ-Capricornids. Tuttavia, l’assenza di picchi significativi di intensità del segnale e di variazioni nella durata degli echi suggerisce che lo sciame, se effettivamente il segnale è presente, sia composto prevalentemente da meteoroidi di piccola massa e bassa velocità.
In fig.2, il rettangolo grigio evidenzia la finestra di visibilità del radiante sopra l’orizzonte in Italia.
Analizzando il tasso orario di eventi e la potenza massima del segnale (Max Power), si nota un’assenza di fluttuazioni marcate attorno al massimo atteso. Questo comportamento conferma la bassa attività dello sciame, ma la compatibilità dei dati con le previsioni suggerisce comunque che una parte delle meteore rilevate possa effettivamente appartenere al χ-Capricornids.

Fig. 2: Compatibilità delle osservazioni CARMELO con la presenza dello sciame delle χ-Capricornids.

Il Bollettino di Gennaio

Introduzione

Il mese di gennaio si apre con il picco delle Quadrantidi, che è lo sciame principale e dominante di tutto il mese, per il resto interessato solo dal passaggio di piogge minori. Il picco delle Quadrantidi si è verificato il 3 gennaio.

I dati del mese di gennaio

I grafici che seguono sono tratti da questa pagina: nelle ascisse è rappresentato il tempo, che è espresso in UT (Universal Time, Tempo Universale) oppure in longitudine solare (Solar Longitude) e le ordinate rappresentano il tasso orario (hourly rate), calcolato come il numero totale di eventi registrati dalla rete nell’ora diviso per il numero di ricevitori in funzione.
In fig.1, l’andamento dei segnali rilevati dai ricevitori per il mese di gennaio.

Fig. 1: Andamento nel mese di gennaio 2025.

Le Quadrantidi

Tra le piogge meteoriche annuali, le Quadrantidi di gennaio si distinguono solitamente per la loro intensità, raggiungendo picchi di attività compresi tra 60 e 200 meteore all’ora. Nonostante ciò, rimangono meno conosciute rispetto ad altri sciami più celebri, come le Perseidi o le Geminidi. La loro minore notorietà è dovuta anche al brevissimo picco di attività, che dura circa 24 ore.

Il radiante delle Quadrantidi si trova nella costellazione di Boote, in una posizione piuttosto bassa nel cielo settentrionale, tra la testa del Dragone e il timone del Grande Carro. Il nome deriva da Quadrans Muralis, un’antica costellazione creata nel 1795 dall’astronomo francese Jérôme Lalande che includeva parti del Boote e del Dragone, e che non rientra nella lista delle 88 costellazioni stilata dall’Unione Astronomica Internazionale (IAU) nel 1922 e pubblicata nel 1930 (1).

L’origine di questo sciame resta un argomento dibattuto. Nel 2003, a seguito di una campagna osservativa sui corpi minori del Sistema Solare, l’astronomo Peter Jenniskens trovò un possibile corpo progenitore delle Quadrantidi nell’asteroide Near Earth (196256) 2003 EH1, un’ipotesi che le renderebbe uno dei pochi sciami meteorici derivanti da un asteroide e non da una cometa, analogamente alle Geminidi di dicembre (2). Da allora, 2003 E1 è considerato il corpo progenitore più probabile delle Quadrantidi. Esso potrebbe essere a sua volta un frammento della cometa C/1490 Y1 , che è stata osservata da astronomi cinesi, giapponesi e coreani poco più di 500 anni fa, nel 1490 (3).

Quest’anno, il picco massimo delle Quadrantidi era previsto il 3 gennaio alla longitudine solare 283.2°, corrispondente alle 17 UT. A quell’ora tuttavia il radiante dello sciame si trovava troppo basso sull’orizzonte per un corretto rilevamento. La rete CARMELO ha rilevato la massima attività alle 3 UT del 3 gennaio alla longitudine solare 286.6°, quando il tasso orario è stato di 224, e il radiante delle Quadrantidi era alto in cielo a Nord-Est (fig.2, con evidenziate con i tratti neri in basso le ore del giorno in cui il radiante si trovava sufficientemente in alto sopra l’orizzonte per l’osservazione).

Fig. 2: Picco di massima attività dello sciame delle Quadrantidi il 3 gennaio rilevato alla longitudine solare 282.6°, e picco atteso a 283.2° quando il radiante era troppo basso sull’orizzonte.

La composizione delle Quadrantidi

Il grafico che segue in fig.3 è un confronto tra il tasso orario e la durata media degli echi meteorici nei giorni intorno al picco di attività delle Quadrantidi.

Si noti come i tre picchi del 3 e 4 gennaio nei due grafici siano molto diversi: il picco centrale, intorno alla longitudine solare 283° corrispondente alle ore 13 UT del 3 gennaio, ha echi molto più lunghi; la durata media raggiunge anche il mezzo secondo.

Fig. 3: Confronto tra il tasso orario e la durata media degli echi meteorici tra l’1 e il 6 gennaio.

Questa osservazione ci dice molto sulla composizione di questo sciame. Infatti, la durata di un’eco radio dipende dal tempo impiegato dalla meteora a dissolversi: quanto maggiore è il numero degli atomi ionizzati (ioni ed elettroni liberi), tanto più tempo dura il processo di deionizzazione. Il numero degli atomi ionizzati, o densità del plasma, è proporzionale all’energia cinetica dei corpi impattanti contro le prime molecole della ionosfera: più lo scontro è energetico, più atomi si disintegrano, e quindi più la radiometeora è densa.

Noi sappiamo che l’energia cinetica è data da: E = mv*v/2

e sappiamo che tutte le meteore appartenenti a uno stesso sciame viaggiano tutte alla stessa velocità v. Se ne deduce quindi che l’unico parametro che varia è m, cioè la massa.

Il grafico mostra quindi che lo sciame delle Quadrantidi può essere descritto come un cilindro avente all’esterno un “guscio” di meteore più piccole, e all’interno un filamento di meteore più grosse. Questa caratteristica è tipica degli sciami relativamente giovani (in tempi astronomici, ovviamente). Col trascorrere del tempo, infatti, questa composizione tende a cambiare, sia per l’effetto delle interazioni gravitazionali con i pianeti maggiori del Sistema Solare, sia per la pressione della radiazione solare che tende a spostare le particelle più massicce verso l’esterno dello sciame, generando quindi una conformazione non più simmetrica.

Da notare come nel grafico in basso in fig.3, il picco di aumento di densità verso la longitudine solare 284° (tra il 4 e il 5 gennaio) non sia un falso positivo, o un errore del sistema. Era presente anche al passaggio delle Quadrantidi nel gennaio 2023 e rilevato da CARMELO (4).

La strumentazione

La rete CARMELO è costituita da ricevitori radio SDR. In essi un microprocessore (Raspberry) svolge simultaneamente tre funzioni:
1) Pilotando un dongle, sintonizza la frequenza su cui trasmette il trasmettitore e si sintonizza come una radio, campiona il segnale radioelettrico e tramite la FFT (Fast Fourier Trasform) misura frequenza e potenza ricevuta.
2) Analizzando il dato ricevuto per ogni pacchetto, individua gli echi meteorici e scarta falsi positivi e interferenze.
3) Compila un file contenente il log dell’evento e lo spedisce ad un server.
I dati sono tutti generati da un medesimo standard, e sono pertanto omogenei e confrontabili. Un singolo ricevitore può essere assemblato con pochi dispositivi il cui costo attuale complessivo è di circa 210 euro.
Per partecipare alla rete leggi le istruzioni a questa pagina.

La rete CARMELO

La rete è attualmente composta da 14 ricevitori di cui 13 funzionanti, dislocati in Italia, Regno Unito, Croazia e USA. I ricevitori europei sono sintonizzati sulla frequenza della stazione radar Graves in Francia, pari a 143.050 MHz. Partecipano alla rete:
• Lorenzo Barbieri, Budrio (BO) ITA
• Associazione Astrofili Bolognesi, Bologna ITA
• Associazione Astrofili Bolognesi, Medelana (BO) ITA
• Paolo Fontana, Castenaso (BO) ITA
• Paolo Fontana, Belluno (BL) ITA
• Associazione Astrofili Pisani, Orciatico (PI) ITA
• Gruppo Astrofili Persicetani, San Giovanni in Persiceto (BO) ITA
• Roberto Nesci, Foligno (PG) ITA
• MarSEC, Marana di Crespadoro (VI) ITA
• Gruppo Astrofili Vicentini, Arcugnano (VI) ITA
• Associazione Ravennate Astrofili Theyta, Ravenna (RA) ITA
• Akademsko Astronomsko Društvo, Rijeka CRO
• Mike German a Hayfield, Derbyshire UK
• Mike Otte, Pearl City, Illinois USA
L’auspicio degli autori è che la rete possa espandersi sia quantitativamente che geograficamente, permettendo così la produzione di dati di miglior qualità.

Bibliografia:

  1. Eugène Delporte (1930), IAU: “Délimitation Scientifique des Constellations”. At the University Press
  2. Peter Jenniskens (2004): “2003 EH_1 and the Quadrantid shower”. WGN, Journal of the International Meteor Organization, vol. 32, no.1, p.7-10
  3. Ki-Won Lee et al. (2009): “Orbital Elements of Comet C/1490 Y1 and the Quadrantid shower”. Monthly Notices of the Royal Astronomical Society, vol. 400
  4. Lorenzo Barbieri (2023): “The 2023 Quadrantidis”. eMeteorNews

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L’universo ruota? Una possibile soluzione alla crisi dell’espansione cosmica

Autori: Balázs Endre Szigeti, István Szapudi, Imre Ferenc Barna, Gergely Gábor Barnaföldi
Istituzioni: Eötvös Loránd University, HUN-REN Wigner Research Centre for Physics, University of Hawaii, Institute for Astronomy

Un universo in rotazione per spiegare la discrepanza più controversa della cosmologia

Il cosiddetto Hubble tension, cioè il disaccordo tra la misura dell’espansione dell’universo da osservazioni locali e quelle derivate dalla radiazione cosmica di fondo (CMB), è oggi il più significativo punto critico del modello cosmologico standard ΛCDM. Mentre i dati del satellite Planck indicano un valore del parametro di Hubble di circa 67,4 km/s/Mpc, misure dirette su supernovae di tipo Ia osservate con il Hubble Space Telescope restituiscono un valore di circa 73 km/s/Mpc. La divergenza ha raggiunto un livello di significatività di 5σ, troppo elevato per essere attribuito a semplici errori sistematici.

In un nuovo studio pubblicato su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society, un gruppo internazionale di ricercatori propone un’idea sorprendente quanto antica: e se l’universo ruotasse?

Una lenta rotazione per armonizzare le due cosmologie

I ricercatori, guidati da Balázs Szigeti (Eötvös Loránd University) e István Szapudi (University of Hawaii), hanno sviluppato un modello cosmologico che incorpora una rotazione su larga scala all’interno di un fluido oscuro – un’entità teorica che unifica materia oscura ed energia oscura. Utilizzando l’approccio di tipo Sedov–Taylor per risolvere le equazioni di fluido autogravitante (il sistema di Euler–Poisson), il team ha simulato l’evoluzione del parametro di Hubble sia in assenza che in presenza di rotazione.

Sorprendentemente, una rotazione lenta ma costante, con un valore attuale dell’angolo di velocità pari a ω₀ ≈ 0,002 Gyr⁻¹, è sufficiente a colmare il divario tra i due valori osservativi di H₀. Questo valore è compatibile con le osservazioni cosmologiche esistenti e, soprattutto, prossimo al limite massimo teorico che evita paradossi temporali come i loop causali chiusi.

Una rotazione compatibile con la fisica conosciuta

L’idea di un universo rotante non è nuova: già Kurt Gödel nel 1947 ipotizzò una soluzione rotante alle equazioni di Einstein. Tuttavia, tali modelli sono spesso incompatibili con le osservazioni della radiazione cosmica di fondo. Il modello proposto in questo studio, al contrario, si basa su una rotazione globale estremamente debole, sufficiente per produrre un effetto cumulativo sull’espansione cosmica senza introdurre anisotropie rilevabili.

Il valore iniziale della rotazione stimato al tempo della decoupling (quando si è formata la CMB) è ω(t_CMB) ≈ 3,54 Myr⁻¹, coerente con la fisica del periodo. Il modello predice inoltre che il contributo della rotazione diminuisce con l’espansione dell’universo, risultando oggi appena percettibile ma ancora dinamicamente rilevante.

Una proposta affascinante, ma ancora da testare

I risultati sono promettenti, ma gli autori sottolineano che si tratta solo di un primo passo. Il modello considera esclusivamente l’effetto della rotazione sul parametro di Hubble, senza ancora affrontare l’intero complesso di vincoli osservativi del modello ΛCDM, come la formazione delle strutture, le oscillazioni acustiche barioniche o l’abbondanza degli elementi leggeri.

Ulteriori ricerche, in particolare simulazioni N-body rotanti e trattamenti relativistici completi, saranno necessarie per valutare la compatibilità del modello con l’universo osservato.

Fonte MNRAS, “Can rotation solve the Hubble Puzzle?” (2025)

Space Week Uno Sguardo Oltre le Stelle

A Mirandola torna la Space Week con mostre, conferenze e uno sguardo oltre le stelle

Per il terzo anno consecutivo, Latitude 44.5 – il progetto dell’astrofotografo e divulgatore Luca Reggiani, ben noto anche per i suoi interventi nei nostri video social – porta a Mirandola una settimana dedicata all’astronomia e all’esplorazione spaziale, con una mostra di astrofotografia a ingresso libero e un ricco programma di conferenze gratuite.

L’edizione 2025 si svolgerà dal 3 all’11 maggio nella suggestiva cornice della Sala Trionfini, in Piazza Ceretti 9, e sarà un’occasione unica per immergersi nelle meraviglie del cosmo attraverso immagini mozzafiato e approfondimenti scientifici accessibili a tutti.

🌌 La mostra di astrofotografia sarà visitabile per tutta la settimana, offrendo uno sguardo privilegiato sull’universo attraverso gli scatti di appassionati e professionisti.

📚 Il programma delle conferenze – organizzate in occasione della Giornata Mondiale dell’Astronomia – prevede otto incontri con esperti del settore, tra cui astrofisici, divulgatori, astronomi, storici della scienza e tecnici di osservatori astronomici. I temi spazieranno dalla ricerca di vita extraterrestre alla geopolitica dello spazio, passando per i grandi telescopi come Hubble, James Webb ed Euclid.

Tra gli appuntamenti da non perdere:

03 maggio: La (probabile) vita extraterrestre con Lorenzo Pelloni (Planetario di Modena)

04 maggio: Alla ricerca del tempo perduto: Euclid e JWST con Roberto Castagnetti (CosMo)

08 maggio: Le stelle: vita, morte e miracoli con Aldo Zanetti (astronomo)

11 maggio: Stelle erranti con Matteo Marchionni (astrofotografo)

🎫 Ingresso gratuito con posti limitati: per garantire la partecipazione è consigliata la prenotazione tramite il QR code disponibile in locandina o via Eventbrite.

Un’occasione imperdibile per chi desidera avvicinarsi all’astronomia o approfondirne i temi più attuali in un clima di curiosità e condivisione.


Vi aspettiamo numerosi sotto le stelle!

Luca “Orione” – Latitude 44º50’ Astrophotography
IU4FNS – Amateur Radio Station

Lucy vicina al secondo incontro con un asteroide: obiettivo Donaldjohanson

Rappresentazione artistica della sonda Lucy mentre sorvola l’asteroide troiano (617) Patroclus e il suo compagno binario Menoetius. Lucy sarà la prima missione a esplorare gli asteroidi troiani di Giove – antichi residui del Sistema Solare esterno intrappolati nell’orbita del gigante gassoso. Crediti: NASA’s Goddard Space Flight Center / Conceptual Image Lab / Adriana Gutierrez
Cortesia: NASA’s Goddard Space Flight Center / Conceptual Image Lab / Adriana Gutierrez
Lucy è la prima missione spaziale dedicata all’esplorazione degli asteroidi troiani, una popolazione di piccoli corpi celesti residui della formazione del Sistema Solare. Questi oggetti precedono o seguono Giove nella sua orbita attorno al Sole e potrebbero offrire indizi sull’origine dei materiali organici sulla Terra.

La sonda Lucy della NASA si avvicina al piccolo asteroide Donaldjohanson, nel cuore della Fascia Principale, a meno di 80 milioni di chilometri di distanza. Il sorvolo avverrà il 20 aprile alle 13:51 EDT (19:51 ora italiana), a una distanza ravvicinata di 960 km, rappresentando una vera e propria prova generale per la missione principale: l’esplorazione degli asteroidi Troiani di Giove, prevista nei prossimi anni.

Una tappa intermedia, ma fondamentale

Dopo il primo flyby del novembre 2023, che ha visto Lucy incontrare l’asteroide Dinkinesh e il suo satellite naturale Selam, questo secondo passaggio su Donaldjohanson permetterà di affinare manovre e strumenti in condizioni simili a quelle previste per gli asteroidi gioviani. Durante l’avvicinamento, Lucy ruoterà autonomamente per mantenere nel campo visivo il bersaglio, grazie al sistema di tracciamento terminale, e attiverà tutti e tre gli strumenti scientifici principali:

  • L’LORRI, la camera ad alta risoluzione in bianco e nero;
  • L’Ralph, spettrometro nel visibile e infrarosso;
  • L’TES, spettrometro a infrarossi termici.

Le osservazioni si interromperanno però 40 secondi prima del punto di massimo avvicinamento, per evitare che la luce solare troppo intensa danneggi i sensori: “Gli strumenti sono progettati per osservare oggetti illuminati da una luce solare 25 volte più debole rispetto a quella terrestre”, ha spiegato Michael Vincent, responsabile della fase di incontro presso il Southwest Research Institute (SwRI) di Boulder, Colorado. “Guardare verso il Sole in queste condizioni potrebbe rovinarli.”

Una manovra coreografica nello spazio

Dopo il sorvolo, Lucy effettuerà una rotazione per riorientare i suoi pannelli solari verso il Sole e, circa un’ora più tardi, ristabilirà il contatto con la Terra. Il ritardo delle comunicazioni – circa 12,5 minuti luce – impone una gestione completamente autonoma dell’incontro.

“Una delle cose più strane da comprendere di queste missioni nello spazio profondo è la lentezza della velocità della luce”, ha aggiunto Vincent. “Quando inviamo un comando per vedere le immagini scattate durante il passaggio, dobbiamo attendere 25 minuti prima di riceverle.”

Un asteroide giovane, una storia antica

Donaldjohanson, così battezzato in onore del paleoantropologo co-scopritore di Lucy, lo scheletro fossile che ha ispirato il nome della missione, è considerato uno degli asteroidi più giovani mai visitati da una sonda, con un’origine che risale a 150 milioni di anni fa, frutto di una collisione catastrofica.

“Ogni asteroide racconta una storia diversa, e insieme queste storie compongono il grande mosaico della storia del Sistema Solare,” ha commentato Tom Statler, scienziato del programma Lucy presso il NASA Headquarters. “Le osservazioni da terra ci fanno pensare che anche questo oggetto avrà molto da raccontare. E sono pronto a restare sorpreso, ancora una volta.”


Dietro le quinte della missione Lucy

  • NASA Goddard Space Flight Center: gestione missione e sviluppo dello spettrometro L’Ralph
  • Southwest Research Institute (Boulder, CO): direzione scientifica e fase operativa
  • Lockheed Martin Space: costruzione della sonda e controllo di volo
  • KinetX Aerospace e NASA Goddard: navigazione
  • Johns Hopkins Applied Physics Laboratory: progettazione di L’LORRI
  • Arizona State University: progettazione dello spettrometro termico L’TES

Lucy è la tredicesima missione del Discovery Program della NASA, coordinato dal Marshall Space Flight Center a Huntsville, Alabama.

FONTE: NASA / Southwest Research Institute

Rubin Observatory pronto a catturare il cielo

Il Rubin Observatory ha installato la fotocamera LSST da 3200 megapixel, la più grande mai costruita, sul telescopio Simonyi in Cile. Il team internazionale sta completando la messa in servizio, raffreddando il sistema a –100 °C. Dal 2025, la fotocamera realizzerà il più grande film astronomico mai prodotto, con un'indagine decennale del cielo.

Installata la fotocamera LSST da 3200 megapixel: al via la mappatura decennale dell’Universo dal Cerro Pachón in Cile.

di Gaëlle Suter

In cima al Cerro Pachón, nel nord del Cile, un progetto ventennale giunge a un momento storico: la fotocamera LSST (Legacy Survey of Space and Time), il più grande sensore digitale mai costruito per l’astronomia, è stata installata con successo sul telescopio Simonyi Survey del Vera C. Rubin Observatory. Con i suoi 3200 megapixel, la camera permetterà una mappatura senza precedenti dell’Universo, offrendo dati fondamentali per comprendere fenomeni come materia oscura, energia oscura e l’evoluzione cosmica.

Finanziato dalla National Science Foundation (NSF) e dall’Office of Science del Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti (DOE), il progetto è gestito congiuntamente da NOIRLab e dal SLAC National Accelerator Laboratory, in collaborazione con oltre 40 enti scientifici internazionali.


Una fotocamera senza precedenti

Realizzata presso lo SLAC in California, la fotocamera LSST rappresenta un capolavoro di ingegneria scientifica. Composta da 189 sensori CCD, è progettata per acquisire immagini ad altissima risoluzione con una sensibilità tale da rilevare oggetti celesti debolissimi in tempi rapidissimi. Ogni esposizione sarà equivalente a una fotografia da 3200 megapixel, una capacità sufficiente a riprendere l’intero cielo visibile in appena pochi giorni.

Ma accendere una macchina del genere non è affare da poco. Le fasi attuali non riguardano più l’assemblaggio, bensì la messa in servizio, un processo delicato che prevede il raffreddamento dei sistemi elettronici e sensibili a temperature estremamente basse per garantirne la stabilità operativa.


Sotto zero per vedere l’Universo

Il cuore della fotocamera è il criostato, una camera che isola termicamente i componenti interni. «Il vuoto è essenziale per proteggere l’elettronica dai cambiamenti di temperatura», spiega Stuart Marshall, scienziato operativo della fotocamera e ricercatore senior presso SLAC. Una volta creato il vuoto, verrà attivato un circuito di refrigerazione che farà circolare un fluido a –50 °C, in grado di rimuovere il chilowatt di calore generato dal sistema elettronico. L’obiettivo è mantenere le componenti tra i –20 e –5 °C, mentre i sensori CCD richiedono un raffreddamento ancora più estremo, fino a –100 °C, per garantire immagini prive di rumore termico.


Lavoro di squadra tra scienza e ingegneria

Su una stretta piattaforma sospesa a cinque metri dal suolo, incastrato tra la fotocamera LSST e il telescopio, Stuart Marshall, scienziato operativo della fotocamera e ricercatore presso SLAC, è impegnato nel collegamento del sistema a vuoto della fotocamera LSST. (RubinObs/NOIRLab/SLAC/NSF/DOE/AURA/Y. Utsumi)

Le operazioni di messa in servizio sono condotte da un team internazionale altamente specializzato. Accanto a Marshall, anche la postdoc Yijung Kang di SLAC e Yousuke Utsumi, professore associato al National Astronomical Observatory of Japan (NAOJ), stanno contribuendo a portare online il sistema. Tutti lavorano a cinque metri d’altezza, su una piattaforma limitata a 125 kg di carico, incastrati tra la fotocamera e lo specchio del telescopio.

«Ogni parte del sistema deve essere compresa a fondo», spiega Utsumi. «Il lavoro è complesso, ma il team è pronto ad affrontare anche gli imprevisti più difficili


Countdown verso la prima luce

Una volta stabilizzata la temperatura e attivati i CCD, il momento tanto atteso si avvicina: la rimozione del gigantesco copriobiettivo da 1,7 metri di diametro, che avverrà con l’aiuto di una gru. A quel punto, per la prima volta, la luce delle stelle raggiungerà i sensori LSST. Gli specialisti delle osservazioni sceglieranno la porzione di cielo da analizzare, e il telescopio catturerà le prime immagini.

Queste immagini, proiettate su tre schermi giganti nella sala di controllo, segneranno l’inizio di quella che è stata definita “la più grande pellicola astronomica mai realizzata”: un’indagine di dieci anni sull’Universo visibile, che genererà un time-lapse ad altissima risoluzione della volta celeste, utile a studiare transiti planetari, supernove, movimenti di galassie e persino a migliorare i modelli di cosmologia.


Un’eredità per la scienza del futuro

Il Legacy Survey of Space and Time (LSST) non sarà solo un catalogo di immagini: sarà una risorsa scientifica globale. I dati saranno resi pubblici e accessibili agli scienziati di tutto il mondo, permettendo di affrontare questioni fondamentali come la natura della materia oscura e l’espansione dell’universo. Il Rubin Observatory onora la memoria dell’astronoma Vera Rubin, pioniera nello studio delle curve di rotazione galattiche che per prima dimostrò l’esistenza della materia oscura.

Con la prima luce prevista per il 2025, il Rubin Observatory si prepara a diventare uno dei pilastri della nuova astronomia osservativa.


Approfondimenti e link utili

ShaRA#11.1 e 11.2 – Small e Large Magellanic Cloud

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In questo numero di COELUM, parliamo non di una ma bensì di due immagini che lo ShaRA Team ha realizzato fra il finire del 2024 e l’inizio del 2025: la Piccola e la Grande Nube di Magellano. Questi due oggetti sono fra i più caratteristici del cielo australe e non potevano di certo sfuggire alle grinfie del team di Astrofotografi remoti ShaRA!

ABSTRACT

In questo numero di COELUM, parliamo non di una ma bensì di due immagini che lo ShaRA Team ha realizzato fra il finire del 2024 e l’inizio del 2025: la Piccola e la Grande Nube di Magellano. Questi due oggetti sono fra i più caratteristici del cielo australe e non potevano di certo sfuggire alle grinfie del team di Astrofotografi remoti ShaRA!

di Aldo Zanetti e ShaRA Team

Il Target

SMC e 47 Tuc ottenuta con la formula del Superstack ShaRA
partendo da quasi 14 ore di integrazione RGB+HaOIII col Nikon
100mm di apertura f/2 del servizio remoto Chilescope.
LMC ottenuta con la formula del Superstack ShaRA partendo da quasi 32 ore di integrazione
LRGB+HaOIIISII su due pannelli parzialmente sovrapposti, col Nikon 100mm di apertura f/2 del
servizio remoto Chilescope.

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Small Magellanic Cloud Gallery

Large Magellanic Cloud Gallery

ShaRA#11 – Fornax A

Indice dei contenuti

ABSTRACT

Nel progetto ShaRA#11, il team esplora Fornax A (NGC 1316), una spettacolare galassia radio del cielo australe, oggetto di interesse per la fisica delle alte energie e possibile sorgente di raggi cosmici ultra-energetici. L’immagine finale, frutto di oltre 31 ore di posa e complesse tecniche di elaborazione, rappresenta uno dei migliori risultati del team, nonostante numerose difficoltà tecniche e meteorologiche affrontate durante le riprese.

di Adriano Anfuso, Alessandro Ravagnin, Aldo Zanetti e ShaRA Team

Il Target

A destra. L’immagine finale di Fornax A
soggetto del progetto n°11 di ShaRA Team,
uno dei migliori elaborati prodotti dal gruppo
superando non poche avversità

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APOC ASTRONOMY PICTURE OF COELUM

APOC Astronomy Picture of Coelum N°8

M42 and Horse Head Nebula

di Nicola Bugin

Nebulose Testa di Cavallo e Nebulosa di Orione ripresa con rifrattore da 180 mm
e camera monocromatica. Si ringrazia Giovanni Pasquetto per il supporto dell’acquisizione dei dati. Circa 30 ore di segnale raccolto. Elaborazione Pixinsight e Photoshop.
11 Gennaio 2025

M42 di Nicola Bugin entra nel WALL OF FAME di COELUM!

Ogni due mesi, Coelum seleziona l’Astronomical Photo of Coelum (APoC): la più caratteristica e affascinante immagine di astronomia tra quelle inviate alla redazione o caricate su PhotoCoelum, la nostra piattaforma dedicata alla fotografia astronomica.

Non perdere le APOC del 2025: lasciati ispirare dall’immensità dell’universo e dalla creatività della community di Coelum!

📸 Hai una foto da proporre per i prossimi numeri? Caricala su PhotoCoelum e partecipa anche tu alla selezione. Il prossimo APoC potrebbe essere il tuo capolavoro!

L’ApoC n°8 è pubblicata in Coelum 273

APOC Astronomy Picture of Coelum N°7

Brillamento Solare

di Rossana Miani

29 dicembre 2024 – Brillamento Solare da Maserà di Padova Italia

Il Brillamento Solare di Rossana Miani entra nel WALL OF FAME di COELUM!

Ogni due mesi, Coelum seleziona l’Astronomical Photo of Coelum (APoC): la più caratteristica e affascinante immagine di astronomia tra quelle inviate alla redazione o caricate su PhotoCoelum, la nostra piattaforma dedicata alla fotografia astronomica.

Non perdere le APOC del 2025: lasciati ispirare dall’immensità dell’universo e dalla creatività della community di Coelum!

📸 Hai una foto da proporre per i prossimi numeri? Caricala su PhotoCoelum e partecipa anche tu alla selezione. Il prossimo APoC potrebbe essere il tuo capolavoro!

L’ApoC n°7 è pubblicata in Coelum 272

APOC Astronomy Picture of Coelum N°6

Cometa C/2023 A3 Tsuchinshan-Atlas e Via Lattea

DI CRISTINA CELLINI

La cometa C/2023 A3 Tsuchinshan-Atlas nel suo passaggio nei pressi della Via Lattea.
L’immagine è stata realizzata a Castel Tesino, Loc. Celado.
Canon R8 non modificata su Avalon M-Zero
2 novembre 2024
Condizioni del Cielo SQM 20.70
Ficale 50mm – Obiettivo Samyang 50mm
Reflex Digitale

Cometa C/2023 A3 Tsuchinshan-Atlas e Via Lattea di Cristina Cellini entra nel WALL OF FAME di COELUM!

Astronomy Picture of Coelum n°6 pubblicata in COELUM 271

Ogni due mesi, Coelum seleziona l’Astronomical Photo of Coelum (APoC): la più caratteristica e affascinante immagine di astronomia tra quelle inviate alla redazione o caricate su PhotoCoelum, la nostra piattaforma dedicata alla fotografia astronomica.

Nel prossimo numero, in uscita a fine anno, chiuderemo il 2024 con una APoC speciale: una fotografia che celebra la bellezza del cielo notturno e l’ingegno dei suoi autori, appassionati astrofotografi come te.

Non perdere l’ultima APoC del 2024: lasciati ispirare dall’immensità dell’universo e dalla creatività della community di Coelum!

📸 Hai una foto da proporre per i prossimi numeri? Caricala su PhotoCoelum e partecipa anche tu alla selezione. Il prossimo APoC potrebbe essere il tuo capolavoro!

L’ApoC n°6 è pubblicata in Coelum 271


APOC Astronomy Picture of Coelum N°5

UNA SERATA QUASI PERFETTA

DI CRISTIAN FATTINNANZI

Una serata quasi perfetta il 12-13 agosto a Sassotetto (MC – ITALY). Aurora SAR, Perseidi,
cielo favoloso e per finire.. l’ottica grandangolare (14mm su FF) ha catturato il
graffio della meteora più luminosa della notte. Sulla sinistra si nota il bagliore magenta
della SAR.
Serie di scatti realizzati con Reflex Full Frame modificata Baader, posa 60″, 1000 ISO,
ottica 14 mm F2,8.

Un colpo di fortuna sapientemente sfruttato dall’autore che immortala per sempre un momento forse più unico che raro. I complimenti della redazione per il lavoro eccellente!

“Una Serata quasi Perfetta” di Cristian Fattinnanzi entra nel WALL OF FAME di COELUM!

Astronomy Picture of Coelum APOC n°5
Astronomy Picture of Coelum n°4 pubblicata in COELUM 270


APOC Astronomy Picture of Coelum N°4

IN VOLO PER PRENDERE LA LUNA

DI KATIUSCIA PEDERNESCHI

Aeroporto di Fano (PU)
Olympus E-M10 mark III
F9 1/2000″ 171mm iso640
18 maggio 2024 ore 19.00

L’Astrofotografia racconta il Cielo in tutte le sue forma, anche diurne, anche in volo. Lo scatto di Katiuscia Pederneschi è un omaggio a tre passioni che si fondo: l’Astronomia, la fotografia e il paracadutismo. Tre sguardi diversi per raccontare un sogno: toccare la Luna con un dito.

Il “Volo per prendere la Luna” di Katiuscia Pederneschi entra nel WALL OF FAME di COELUM!

I complimenti della redazione all’autrice per il lavoro eccellente!

Astronomy Picture of Coelum n°4 pubblicata in COELUM 269


APOC Astronomy Picture of Coelum N°3

OCEANO DI CEFEO

DI CHRISTOPHER MASIA

Oceano di Cefeo – Nebulosa Squalo
29 Aprile 2024 alle 22:00
Filtri Utilizzati: IDAS LPS D1
Diametro del Telescopio: 62 mm (2″)
Focale di Acquisizone: 135 mm
Soggetti: Nebulosa Squalo LDN1235
Località Porto Pollo, nel Comune di Palau in Sardegna

La Nebulosa Squalo di Christopher Masia entra nel WALL OF FAME di COELUM!

I complimenti della redazione all’autore per il lavoro eccellente!

Il caricamento originale è pubblicato in PhotoCoelum QUI

Astronomy Picture of Coelum n°3 pubblicata in COELUM 269
Astronomy Picture of Coelum n°3 pubblicata in COELUM 268

APOC Astronomy Picture of Coelum N°2

Cometa 12P/Pons-Brooks

di Federico Pelliccia

12P/Pons-Brooks ripresa nella serata del 7 marzo 2024.
L’immagine è la somma di 44 immagini da 100 secondi ciascuna , per un totale di 73 minuti di esposizione. Grazie alla forte attività solare alla data degli scatti la coda si presenta particolarmente accesa e vivace.
Sony 600mm F/4 GM e una fotocamera Full-Frame Sony A7III modificata per astrofotografia, su montatura equatoriale Skywatcher EQ6.
Località: Appennino Umbro

La Cometa 12P/Pons-Brooks è la seconda ad entrare nel WALL OF FAME di COELUM! I complimenti della redazione all’autore per il lavoro eccellente!

La Cometa 12P/Pons-Brooks è pubblicata in PhotoCoelum QUI

APOC n°2 in Coelum 267

APOC Astronomy Picture of Coelum N°1

Arp 273 Rosa Cosmica

di Lorenzo Busilacchi

Arp 273 (APG 273) è composta da due galassie interagenti e situata in direzione della costellazione di Andromeda alla distanza di 345 milioni di anni luce dalla Terra

Somma di 4 sessioni: 15-16-17-19 agosto 2023
Configurazione strumentale: Light 101X300″ 8 hours 25″, Filtro Optolong l-pro 2″, Telescope C11, 1680mm f6.3, Camera ASI 2600 MC Pro -10°, 100gain.

Località: Margine Rosso, Quartu, Sardinia, Italy

La Rosa Cosmica di Lorenzo Busilacchi è la prima ad entrare nel WALL OF FAME di COELUM! I complimenti della redazione all’autore per il lavoro eccellente!

La Rosa Cosmica è pubblicata in PhotoCoelum QUI

Astronomy Picture of Coelum n°1 pubblicata in COELUM 267
Astronomy Picture of Coelum n°1 pubblicata in COELUM 266

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