L’Alba dell’Astronomia: Uno Sguardo alle Origini Celesti
Introduzione
L’astronomia, una delle più antiche scienze, ha affascinato l’umanità fin dall’alba dei tempi. La necessità di comprendere i cicli diurni e stagionali, per motivi pratici e religiosi, ha portato all’osservazione sistematica del cielo e alla nascita dell’astronomia come disciplina scientifica.
L’Origine dello Studio del Cielo
Le prime civiltà osservarono il cielo per orientarsi, per misurare il tempo e per pianificare le attività agricole. Monumenti come Stonehenge testimoniano l’importanza dei corpi celesti nella vita quotidiana dei popoli antichi.
La Nascita della Scienza
L’astronomia si distaccò dall’astrologia con l’avvento del metodo scientifico. La creazione di calendari e la comprensione dei “meccanismi celesti” furono i primi passi verso una scienza sistematica del cielo.
Le Principali Scoperte dei Popoli Antichi
I popoli antichi svilupparono conoscenze astronomiche indipendenti, che includevano:
La misurazione del tempo basata su lunazioni e solstizi.
L’orientamento attraverso la posizione delle stelle e dei pianeti.
La creazione di costellazioni basate su miti e leggende.
L’Evoluzione dell’Astronomia
Con l’invenzione del telescopio, l’astronomia si è evoluta da una pratica osservativa a una scienza esatta, permettendo scoperte rivoluzionarie come le leggi del moto planetario e la struttura dell’universo.
Per saperne di più sulla storia dell’astronomia segui ARCHEOASTRONOMIA
Astronome e Astronomi influenti nel passato
Galileo Galilei (1564-1642)
Scoperte: Satelliti di Giove, fasi di Venere, macchie solari.
Biografia: Galileo è considerato il padre dell’astronomia moderna. Ha rivoluzionato l’uso del telescopio per l’osservazione celeste e ha sostenuto il modello eliocentrico di Copernico.
Nicolaus Copernicus (1473-1543)
Scoperte: Modello eliocentrico del Sistema Solare.
Biografia: Astronomo polacco, la sua opera “De revolutionibus orbium coelestium” ha segnato l’inizio della Rivoluzione Astronomica.
Johannes Kepler (1571-1630)
Scoperte: Leggi del moto planetario.
Biografia: Astronomo tedesco, le sue leggi hanno descritto per la prima volta le orbite ellittiche dei pianeti.
Claudio Tolomeo (100 d.C. circa – 170 d.C. circa)
Scoperte: Sistema geocentrico, Almagesto.
Biografia: Astronomo e geografo dell’antico Egitto, Tolomeo ha influenzato l’astronomia per oltre mille anni con il suo modello geocentrico.
Tycho Brahe (1546-1601)
Scoperte: Osservazioni precise delle stelle e dei pianeti.
Biografia: Astronomo danese, le sue osservazioni accurate hanno fornito la base per le leggi di Kepler.
Edwin Hubble (1889-1953)
Scoperte: Espansione dell’universo, classificazione delle galassie.
Biografia: Astronomo americano, la legge di Hubble ha rivelato che l’universo si sta espandendo
Caroline Herschel (1750-1848)
Scoperte: Comete, nebulose.
Biografia: Astronoma tedesca naturalizzata britannica, fu la prima donna a ricevere un salario per il suo lavoro scientifico.
Carl Sagan (1934-1996)
Scoperte: Contributi alla comprensione delle atmosfere planetarie, esobiologia.
Biografia: Astronomo americano, divulgatore scientifico, autore di “Cosmos” e promotore della ricerca di vita extraterrestre.
Hipparchus (190 a.C. circa – 120 a.C. circa)
Scoperte: Precessione degli equinozi, catalogo stellare.
Biografia: Astronomo greco antico, considerato uno dei più grandi astronomi dell’antichità.
Scoperte: Relazione periodo-luminosità delle Cefeidi.
Biografia: Astronoma americana, il suo lavoro sulle stelle variabili Cefeidi ha permesso di misurare le distanze intergalattiche.
Vita da Astronomo
Essere un astronomo oggi significa dedicarsi allo studio dell’universo e dei suoi fenomeni. Gli astronomi osservano e analizzano corpi celesti come stelle, pianeti, galassie e nebulose per comprendere la loro origine, struttura, evoluzione e posizione. Utilizzano una vasta gamma di strumenti, dai telescopi terrestri ai satelliti in orbita, per raccogliere dati su tutto lo spettro elettromagnetico.
Le attività principali di un astronomo includono:
Osservazione: Utilizzo di telescopi e altri strumenti per raccogliere dati astronomici.
Analisi: Elaborazione e interpretazione dei dati raccolti per comprendere meglio i processi fisici e chimici dell’universo.
Ricerca: Conduzione di studi scientifici per scoprire nuovi pianeti, galassie o fenomeni celesti.
Sviluppo di Modelli: Creazione di modelli teorici per spiegare i fenomeni osservati.
Pubblicazione: Redazione di articoli scientifici per condividere scoperte e progressi nel campo.
Un ricercatore in astronomia si occupa di:
Creare Nuove Ipotesi: Formulare nuove teorie sull’universo e i suoi componenti.
Sviluppare Proposte: Ideare progetti di ricerca innovativi.
Conduzione di Ricerche Specifiche: Investigare argomenti particolari, come la formazione delle stelle o l’individuazione di pianeti extrasolari.
Utilizzo di Attrezzature Specializzate: Impiego di telescopi avanzati e telecamere satellitari per l’osservazione spaziale.
Redazione di Documenti di Ricerca: Sintetizzare i risultati delle ricerche in documenti scientifici.
L’astronomia è una disciplina in continua evoluzione, e gli astronomi sono spesso al confine tra la conoscenza attuale e l’esplorazione dell’ignoto, contribuendo significativamente alla nostra comprensione dell’universo e del nostro posto in esso.
Le discipline dell’Astronomia
L’astronomia è un campo vasto e multidisciplinare che si estende oltre lo studio degli oggetti celesti per includere diverse sotto-discipline, ognuna con il proprio focus unico. Ecco una panoramica di alcune delle principali discipline dell’astronomia:
Cosmologia: È lo studio dell’universo nel suo insieme, comprese le sue origini, la sua struttura a grande scala, l’evoluzione e il destino finale. La cosmologia cerca di rispondere a domande fondamentali sull’universo e utilizza teorie come il Big Bang e l’inflazione cosmica per spiegare le osservazioni astronomiche.
Astrofisica: Questa disciplina si concentra sulle proprietà fisiche degli oggetti celesti e sui fenomeni che avvengono nello spazio. L’astrofisica applica le leggi della fisica e della chimica per studiare stelle, galassie, buchi neri e altri fenomeni cosmici.
Geologia Planetaria: Anche nota come esogeologia, si occupa dello studio della composizione, formazione ed evoluzione geologica dei corpi celesti come pianeti, lune, asteroidi, comete e meteoriti. Gli scienziati in questo campo esaminano le superfici planetarie e i processi geologici che le hanno modellate.
Astrobiologia: È lo studio dell’origine, evoluzione e distribuzione della vita nell’universo. L’astrobiologia esplora la possibilità di vita al di fuori della Terra e cerca di comprendere le condizioni necessarie per la vita come la conosciamo.
Astrochimica: Si occupa dello studio degli elementi chimici nello spazio, in particolare nelle nubi di gas molecolare. L’astrochimica esamina la formazione, l’accrescimento, l’interazione e la distruzione di questi elementi e molecole nello spazio interstellare.
Archeoastronomia: Questa disciplina combina l’astronomia con l’archeologia per studiare come gli antichi popoli comprendevano e utilizzavano i fenomeni celesti. L’archeoastronomia può rivelare molto sulle credenze e le pratiche culturali legate al cielo degli antichi.
Ingegneria Spaziale: È il campo dell’ingegneria che si occupa della progettazione, dello sviluppo, dei test e della gestione di missioni spaziali e dei relativi veicoli, come satelliti e navicelle spaziali. Gli ingegneri spaziali lavorano su tecnologie che permettono l’esplorazione e l’utilizzo dello spazio.
Ognuna di queste discipline contribuisce a una comprensione più completa dell’universo e del nostro posto in esso, fornendo conoscenze che spaziano dalla fisica fondamentale alla possibilità di vita oltre la Terra.
Dove e cosa studiare Astronomia
Oggi, per studiare astronomia o astrofisica, ci sono diverse università e istituti che offrono programmi di studio dedicati. In Italia, ad esempio, l’Università degli Studi di Padova offre un corso di laurea triennale in Astronomia e Astrofisica e un corso di laurea magistrale in Astrofisica1. Anche l’Università degli Studi di Bologna propone un corso di laurea triennale in Fisica e Astrofisica e un corso di laurea magistrale in Astrofisica.
Il percorso per diventare astronomo generalmente inizia con una laurea triennale in Astronomia o Fisica, che fornisce le basi matematiche e fisiche necessarie. Dopo la laurea triennale, si prosegue con una laurea magistrale di due anni in Astrofisica o Cosmologia, che approfondisce ulteriormente la conoscenza e le competenze specifiche nel campo. Infine, per entrare nel mondo della ricerca e diventare un astronomo professionista, è necessario conseguire un dottorato di ricerca in Astronomia, che di solito ha una durata di tre anni.
Durante il percorso di studi, è importante acquisire esperienza pratica attraverso stage, progetti di ricerca e lavorando in osservatori o laboratori astronomici. Questo aiuta a sviluppare competenze tecniche e di ricerca indispensabili per la carriera di astronomo.
Il Sistema Solare si è formato circa 4,6 miliardi di anni fa dalla contrazione gravitazionale di una nube molecolare gigante. Il processo ha portato alla formazione di un disco protoplanetario da cui sono emersi il Sole e i corpi celesti.
Composizione
Il Sistema Solare è composto dal Sole, una stella di tipo G2V, una nana gialla ancora nella sua fase di stabilità, e da una miriade di oggetti che includono pianeti, lune, asteroidi, comete, e la polvere interplanetaria.
Oggetti che compongono il Sistema Solare
Gli oggetti principali del Sistema Solare sono:
Pianeti: Corpi celesti in orbita attorno al Sole che sono abbastanza massicci da essere resi sferici dalla propria gravità e hanno pulito le vicinanze della propria orbita.
Satelliti Naturali: Corpi che orbitano attorno ai pianeti, comunemente noti come lune.
Asteroidi: Piccoli corpi rocciosi che orbitano principalmente nella cintura di asteroidi tra Marte e Giove.
Comete: Corpi ghiacciati che sviluppano un’atmosfera (coma) e una coda quando si avvicinano al Sole.
Meteoroidi: Piccoli frammenti di asteroidi o comete.
Polvere Interplanetaria: Particelle minuscole lasciate da comete e collisioni tra asteroidi.
Elenco e Descrizione dei Pianeti
Mercurio: Il più piccolo e interno dei pianeti, noto per le sue estreme variazioni di temperatura.
Venere: Simile in dimensioni e composizione alla Terra, ma con un’atmosfera densa e tossica.
Terra: L’unico pianeta noto per sostenere la vita, con un’atmosfera ricca di ossigeno e acqua liquida in superficie.
Marte: Il “pianeta rosso”, famoso per il suo terreno desertico e la possibilità di acqua passata.
Giove: Il gigante gassoso più grande, con una famosa Grande Macchia Rossa, una tempesta gigante.
Saturno: Notabile per i suoi spettacolari anelli, è un altro gigante gassoso.
Urano: Un gigante ghiacciato con un asse di rotazione estremamente inclinato.
Nettuno: Simile a Urano, noto per i forti venti e la tempesta chiamata Grande Macchia Scura.
La Fascia di Kuiper
La Fascia di Kuiper è una regione del Sistema Solare esterna all’orbita di Nettuno, popolata da corpi ghiacciati, tra cui i pianeti nani come Plutone. Gli oggetti della Fascia di Kuiper sono residui della formazione del Sistema Solare.
Le Comete
Le comete sono corpi celesti composti principalmente da ghiaccio, polvere e roccia. Quando si avvicinano al Sole, il calore lo fa evaporare, creando una caratteristica coda luminosa.
I Pianeti Nani
I pianeti nani sono corpi celesti che non hanno pulito l’area attorno alla propria orbita. I primi cinque per grandezza sono:
Lo spazio interplanetario è composto principalmente da vuoto, con la presenza di polvere cosmica, radiazione solare, e campi magnetici.
Curiosità
Il Sistema Planetario più Vicino Il sistema planetario più vicino al nostro è quello di Alpha Centauri, a circa 4,37 anni luce di distanza.
Scienziati Determinanti per la Comprensione del Sistema Solare Tra gli scienziati che hanno contribuito significativamente alla comprensione del Sistema Solare ci sono:
Nicolaus Copernicus: Propose il modello eliocentrico.
Galileo Galilei: Utilizzò il telescopio per osservazioni che supportavano l’eliocentrismo.
Johannes Kepler: Formulò le leggi del moto planetario.
Isaac Newton: Definì la legge di gravitazione universale.
Edwin Hubble: Dimostrò l’esistenza di altre galassie oltre la Via Lattea.
Dati Significativi
Ecco alcuni dati rilevanti sul nostro affascinante Sistema Solare:
Dimensioni del Sistema Solare
L’estensione complessiva del Sistema Solare è di circa 6 miliardi di chilometri, pari a circa 39 unità astronomiche (UA). Un’UA è la distanza media tra la Terra e il Sole, che corrisponde a circa 150.000.000 km.
Tuttavia, i corpi celesti che compongono il Sistema Solare occupano in realtà un volume molto piccolo rispetto alle dimensioni complessive.
Età del Sistema Solare
Il Sistema Solare si è formato circa 4,6 miliardi di anni fa da una gigantesca nube di gas e polveri interstellari, nota come nebulosa solare.
La teoria più accettata sulla formazione del Sistema Solare prevede che la gravità abbia iniziato a comprimere la materia all’interno della nebulosa, formando una massa centrale che sarebbe poi diventata il Sole. Intorno al Sole, i materiali si sono successivamente aggregati per formare i pianeti, le lune, gli asteroidi e le comete.
Posizione
Il Sistema Solare è situato nella Via Lattea, una galassia a spirale.
Si trova nel Braccio di Orione, uno dei bracci a spirale della Via Lattea, a circa 27.000 anni luce dal centro galattico.
La velocità media del Sistema Solare rispetto al centro della Via Lattea è di circa 828.000 chilometri all’ora.
Luna nuova nei primi giorni del mese di maggio favorirà le riprese
3 Maggio
Iniziamo Maggio con la Luna che sorge a sud-est all’ultimo quarto oramai dopo le 3 di notte, nella costellazione del Capricorno, e ritardando sempre più il suo sorgere finiremo già il giorno 3 per scorgerla solo per qualche minuto nelle prime luci del mattino quando sarà vicino a Saturno, tuttavia entrambi troppo vicini al Sole per consentire qualsiasi osservazione. Trascorreranno così delle piacevoli notti “senza Luna” perfette per le osservazioni più impegnative ma a discapito di perdere una congiunzione stretta fra Luna e Marte nell’alba del giorno 5 maggio.
12 Maggio
Torneremo a scorgere la Luna ad ovest nelle luci del tramonto il giorno 9 maggio mostrandosi con una sottilissima falce. Le ore di buio con la presenza dell’astro andranno via via aumentando fino al giorno 12 quando la Luna si farà trovare alta nel cielo, a sud-ovest, già al tramonto e molto vicina a Polluce (2° 30′), stella dei Gemelli.
15 Maggio
Passano i giorni e il 15 maggio la luna al Primo Quarto si mostrerà al tramonto del Sole sopra alla stella Regolo della costellazione del Leone fino a scomparire sotto l’orizzonte ad ovest intorno alle 2 della notte.
Nei giorni successivi il nostro satellite ripercorrerà più o meno lo stesso scenario attraversato in aprile fino a raggiungere e superare Spica nella Vergine il giorno 20 già nelle prime ore della sera e spostando lo sguardo stavolta verso sud est.
23 Maggio
La Luna Piena si potrà ammirare nella sera del 23 maggio quando sorgerà a Sud Est molto vicina ad Antares (2°50′), stella dello Scorpione.
I pianeti ancora tutti posizionati molto vicino al Sole non favoriranno l’osservazione di alcuna congiunzione. Un vero peccato che si pensa che il satellite nelle prime ore dell’alba transiterà molto vicino a Saturno, Marte e Mercurio rispettivamente il 4,5 e 6 maggio ma come abbiamo anticipato, il Sole non sarà purtroppo molto distante e il tutto avverrà nella luce, seppur tenue, dell’alba.
Tabelle delle fasi e distanze Luna-Terra
FASE
DATA
ORE
SORGE
CULMINA
TRAMONTA
DISTANZA
DIAM. APP.
Ultimo Quarto
01-mag
13:27
02:42
07:22
12:03
375769 km
1893.2
Nuova
08-mag
05:21
05:49
12:30
21:08
366059 km
1942.4
Primo Quarto
15-mag
13:47
12:24
19:00
02:21
399569 km
1806.4
Piena
23-mag
15:53
22:55
00:35
05:12
393033 km
1836.9
FASE
DATA
Calante
dal 01 al 08
Crescente
dal 09 al 23
Calante
dal 24 al 31
FASE
DATA
ORE
DISTANZA
DIAM. APP.
Perigeo
06/05
00:10
363164 km
1951.6
Apogeo
17/05
20:59
404176 km
1789.3
LA LUNA DI APRILE 2024
Ad ovest l’8 aprile Luna e Giove non vicinissimi accompagnati da Urano
ma probabilmente si parlerà solo dell’eclissi!
All’inizio del mese di Aprile la Luna sorgerà nelle ultime ore della notte quando l’alba ne nasconderà in poco meno di un’ora la visuale. Seguiranno notti senza Luna che attraverserà la fase di Luna Nuova il giorno 8 aprile.
Il 10 Luna – Giove
Per riscoprire nuovamente il satellite dovremo attendere il giorno 10 quando intorno alle 20 la potremo ammirare ad ovest vicino Giove (4° ovest) ed immersa nella luce del tramonto.
Dal giorno 11 in poi e per i giorni successivi la Luna si allontanerà dal pianeta aumentando pian piano la sua fase ed anticipando sempre più la sua altezza in cielo al momento del tramonto del Sole. Sarà quindi sempre più facile scorgerla ad ovest nelle sere e via via per parte della notte.
Il 15 Luna – Polluce
Attraversando il Toro, senza avvicinarsi troppo ad Aldebaran arriverà nell’Auriga il giorno 12, nei pressi della stella Elnath finchè il giorno 15 con Luna al primo quarto non comparirà al tramonto del Sole molto vicino a Polluce, poco più di 2°.
Le giornate si stanno allungando e per le prime ore di buio bisognerà aspettare sin dopo le 20 e 30.
Il 18 Luna – Regolo
Nei giorni successivi la Luna attraverserà la costellazione del Cancro che, come sappiamo, è priva di stelle di particolare nota, puntando direttamente verso Regolo, la stella alfa della costellazione del Leone, che raggiungerà il giorno 18 aprile (3° e 15′). La Luna inizierà inoltre ad apparire sempre più spostata verso est.
Il 27 Luna e Antares
Saltiamo al 22 aprile quando la Luna sarà visibile ad Est già immersa nelle luci del tramonto molto vicina a Spica (3° 53′) stella principale della costellazione della Vergine, per rimanere poi ben visibile per tutto il corso della notte fino all’alba. Certo non un grande aiuto per le osservazioni di profondo cielo ma molte ore utili invece per chi è alle prese proprio con gli scatti dedicati al satellite. Attenzione però la Luna il giorno 25 sarà oramai piena, le riprese della superficie mostreranno quindi poche ombre dei crateri.
Il giorno 27 il nostro satellite, che ora sorge sempre più tardi nello ore serali e prima notte, transiterà vicino Antares.
Con i pianeti quasi tutti immersi nella luce del Sole e posizionati a distanze minime da esso, poche occasioni ci concederanno per scatti gradevoli.
Al Limite
Immersi nelle luci dell’alba potremo forse provare a catturare due avvicinamenti fra Luna e Saturno e Luna e Venere rispettivamente nelle mattine del 6 e 7 aprile. Ma stiamo davvero parlando di pochissimi minuti con una esigua falce di Luna.
Tabelle delle fasi e distanze Luna-Terra
FASE
DATA
ORE
SORGE
CULMINA
TRAMONTA
DISTANZA
DIAM. APP.
Ultimo Quarto
02-apr
05:14
03:16
07:33
11:47
380330 km
1868.6
Nuova
08-apr
20:20
06:29
19:04
19:37
358878 km
1972.3
Primo Quarto
15-apr
21:13
11:22
18:37
02:41
391137 km
1846.1
Piena
24-apr
01:48
20:50
01:07
06:15
399979 km
1807.7
FASE
DATA
Calante
dal 01 al 08
Crescente
dal 09 al 254
Calante
dal 26 al 30
FASE
DATA
ORE
DISTANZA
DIAM. APP.
Perigeo
07/04
19:53
359464 km
1966.2
Apogeo
20/04
04:09
405608 km
1789.0
LA LUNA DI MARZO 2024
Simpatica configurazione il 14 marzo con Pleiadi-Luna-Urano-Giove allineati in verticale ad ovest. Il 25 eclissi di Luna di penombra ma dall’Italia non sarà visibile
In marzo saltiamo i primi giorni e arriviamo direttamente all’08 marzo quando, come anticipato, ci attende un incontro fra Luna e Venere leggermente più favorevole rispetto al mese precedente.
La distanza minima pari a 3.3°S è prevista per le 19:53 quando entrambi saranno sotto l’orizzonte precedendo il Sole del tramonto. Meglio tentare la mattina dello stesso giorno, intorno alle 06:00 quando una finestra di circa 20 minuti ci consentirà di catturare la Luna all’8.8% in un triangolo coinvolgendo anche Marte.
Il 14 marzo intorno alle 22:00 sarà interessante osservare quasi in linea verticale ad Ovest in ordine dall’alto verso il basso: le Pleiadi, la Luna 17.8%, Urano e vicino all’orizzonte Giove a più o meno sei gradi di distanza l’uno dall’altro.
Il 20 marzo l’equinozio di primavera ci avrà donato giornate più lunghe ma anche notti più corte. Nulla di particolare da segnalare fino a saltare direttamente al giorno 25 marzo che vedrà la Luna interessata da un’Eclisse Parziale di Penombra. Purtroppo come mostrato anche nell’immagine, l’eclisse non sarà visibile dall’Italia se non per qualche minuto prima del tramonto del satellite e giorno oramai fatto.
L’inizio dell’ingresso della Luna nella sezione di penombra della Terra è previsto per le 5:53 UTC+1 mentre il satellite scomparirà sotto l’orizzonte ad Ovest, quindi subito dopo già alle 06:10 UTC+1.
Tabelle delle fasi e distanze Luna-Terra
FASE
DATA
ORE
SORGE
CULMINA
TRAMONTA
DISTANZA
DIAM. APP.
Ultimo Quarto
03-mar
16:23
01:16
05:49
10:09
390254 km
1831.0
Nuova
10-mar
12:57
06:42
12:32
18:28
357007 km
1978.1
Primo Quarto
17-mar
05:10
10:32
17:54
02:03
386947 km
1862.8
Piena
25-mar
08:00
18:48
06:11
07:44
405717 km
1788.0
FASE
DATA
Calante
dal 01 al 10
Crescente
dal 11 al 25
Calante
dal 26 al 31
FASE
DATA
ORE
DISTANZA
DIAM. APP.
Perigeo
10-mar
08:05
356894 km
1978.1
Apogeo
23-mar
16:15
406295 km
1788.4
LA LUNA DI FEBBRAIO 2024
Nei primi 10 giorni di febbraio ben 5 congiunzioni interessano la Luna. Andiamo a vederle nel dettaglio
Si inizia il primo giorno (01 febbraio) quando la Luna incontra Spica, astro principale della Costellazione della Vergine. L’avvicinamento sarà visibile già nelle ore notturne verso est, ed alle 05:48, fine della notte astronomica, saranno distanti poco più di 2°. Il massimo della congiunzione è previsto alle 08:44 a 1.7°N.
Il giorno 03 la Luna è già all’ultimo quarto, nei giorni successivi quindi, in prossimità delle altre congiunzioni si presenterà come una falce sempre più sottile, ottima per favorire gli scatti.
Il giorno 05 febbraio la Luna avvicina Antares, questa volta nello Scorpione, il massimo è previsto a notte inoltrata, ore 01:52 con separazione addirittura 0.6°N, purtroppo in quel momento gli astri saranno sotto l’orizzonte. Li si potrà scorgere vicini solo poco prima delle 04:00 quando compariranno a ES
Dopo due giorni, il 07 febbraio, è la volta di Venere, la congiunzione fra il satellite e il pianeta splendente mancava da un pò, niente di speciale però perché i due oggetti saranno già tramontati per il massimo previsto alle 19:53 a più di 5° S di distanza. Meglio sperare nella posizione del mattino quando i due astri appariranno allineati rispetto alla linea di orizzonte già alle 06:00. La tenue luce dell’alba, la falce di Luna sottile (appena 12,6%) e la luminosità del pianeta potrebbero dar vita ad un bel quadro. A marzo la situazione migliorerà.
Il giorno 08 passiamo a Marte e Mercurio insieme, in un triangolo con i due pianeti ai vertici in alto e la Luna nel vertice in basso. Consapevoli però che ci stiamo approssimando al Sole ed alla Luna Nuova, il massimo della congiunzione è previsto per le 07:32 con 4.2S° di distanza fra Luna e il pianeta rosso, e 3.2°S con Mercurio, e prima ci sarà davvero poco margine, solo una cinquantina di minuti fra il sorgere della Luna (più in basso rispetto a Marte) e il massimo.
Il 09 febbraio arriva la Luna Nuova che si trasformerà in una sottilissima nuova falce (solo 1,6%) nell’incontro l’11 con Saturno. Il massimo è previsto alle 01:39 ma i due astri saranno sotto l’orizzonte.
Saltiamo al giorno 15 con la Luna che sorgerà intorno alle 10:00 del mattino già molto vicina a Giove. Nel corso della giornata purtroppo la distanza continuerà aumentare ma i due astri saranno abbastanza vicini (circa 4° N) anche per tutta la sera fino a dopo la mezzanotte.
Per consolarci potremo puntare sempre sulle amate Pleiadi, il giorno 16, ad una distanza minima media di 0.6°S visibili per tutta la notte.
Il 21 febbraio sarà favorevole anche l’avvicinamento a Polluce, visibile per tutta la notte ad una distanza di circa 1.6°S. Il 24 la Luna Piena si avvicinerà a Regolo a 3.6°N ma probabilmente la forte luce dell’astro coprirà la tenue luminosità della stella.
FASE
DATA
ORE
SORGE
CULMINA
TRAMONTA
DISTANZA
DIAM. APP.
Ultimo Quarto
03-feb
00:18
01:12
06:15
11:04
394498 km
1811.3
Nuova
09-feb
23:59
07:17
12:05
16:55
361239 km
1951.6
Primo Quarto
16-feb
16:01
10:27
17:19
00:46
377032 km
1905.8
Piena
24-feb
13:30
17:53
00:09
07:09
405423 km
1793.3
FASE
DATA
Calante
dal 01 al 09
Crescente
dal 10 al 24
Calante
dal 25 al 29
FASE
DATA
ORE
DISTANZA
DIAM. APP.
Perigeo
10-feb
19:49
358086 km
1966.1
Apogeo
25-feb
15:59
406311 km
1788.4
LA LUNA DI GENNAIO 2024
A Gennaio Luna e Pleiadi
Lo scatto di Fausto Lubatti immortala Luna e Pleiadi nel mese di Ottobre. A gennaio le distanze saranno molto più strette fino a toccarsi
Archiviato il 2023 dedichiamoci al nuovo anno ricchi di buoni propositi giusto? Gennaio è un po’ come settembre, si fanno progetti e si inizia a pensare già alle attività primaverili con nuove sfide magari sfruttando quel nuovo accessorio che da tanto avreste voluto acquistare..
Va bene, va bene, torniamo a noi, al concreto.
La Luna inizia il mese di gennaio 2024 in fase calante, raggiungerà l’ultimo quarto il 4 e poi una falce sempre più sottile caratterizzerà il cielo per la prima decade. Nel frattempo però non potremo confidare in congiunzioni troppo strette. La Luna incontrerà il giorno 05 Spica ad una distanza di 2° nord e tre giorni dopo Antares, spettacolo all’alba intorno alle 05:00 del mattino ma le giornate ancora molto corte consentiranno un buio accettabile. Nelle stesse ore, quindi sempre l’08 gennaio all’alba, sopra i due astri ci sarà Venere, ma a distanze di circa 5° sud, insomma ampi campi per le inquadrature.
Superiamo la Luna Nuova l’11 per vedere comparire la nuova e piccolissima falce di Luna il giorno 14nei pressi di Saturno, giusto poco più di un’ora prima che il satellite tramonti intorno alle 19 e 30. I due ballerini saranno a OSO con la Luna più in basso e Saturno sopra a circa 2.2° di distanza a circa 15° sull’orizzonte.
Le settimane scorrono tranquille con il passaggio della Luna, oramai al primo quarto quindi in piena fase crescente, nei pressi di Giove. Sarà la sera del 18 intorno alle 21 Luna e Giove saranno distanti circa 3° gradi, ma si lasceranno ammirare ancora per qualche ora sino al tramonto poco dopo la mezzanotte.
Un paio di giorni dopo il satellite si immergerà quasi totalmente nelle Pleiadi, ad una distanza di soli 0,8° raggiunta in pieno giorno ma la sera del 20 a partire dal tramonto del Sole fino a circa l’una di notte saranno ancora molto alti nel cielo. Parecchie ore utili quindi per cercare lo scatto perfetto.
La Luna piena sarà il 25 gennaio con pochi passaggi interessanti sul finire del mese.
FASE
DATA
ORE
SORGE
CULMINA
TRAMONTA
DISTANZA
DIAM. APP.
Ultimo Quarto
04/01
04:30
00:13
06:12
11:55
401578 km
1784.2
Nuova
11/01
12:57
07:59
12:22
16:44
367027 km
1920.5
Primo Quarto
18/01
04:52
11:29
17:45
00:30
373837 km
1920.9
Piena
25/01
18:53
16:50
23:52
07:44
399019 km
1824.4
FASE
DATA
Calante
dal 01 al 11
Crescente
dal 12 al 25
Calante
dal 26
FASE
DATA
ORE
DISTANZA
DIAM. APP.
Apogeo
13/01
11:35
362446 km
1948.0
Perigeo
29/01
09:13
405711 km
1785.5
LA LUNA DI DICEMBRE 2023
Il mese di dicembre si apre con la Luna coinvolta in una serie di congiunzioni, non troppo strette a dire il vero, rispettivamente con tre stelle molto luminose e ravvicinate della volta celeste: Polluce nella costellazione dei Gemelli, Presepe nel Cancro e Regolo del Leone. Le congiunzioni si susseguiranno nell’ordine il 01 quando il satellite sarà a 1,6° Sud da Polluce, il 02 quando sarà la volta del Presepe a 3.6° Nord, ed infine il 03 con Regolo a 4.0° N. Per osservare la serie di passaggi ravvicinati le ore migliori saranno quelle dell’alba ma considerando le giornate molto corte ciò non costringerà l’osservatore ad improbabili alzatacce, essere pronti poco prima delle 05:00 sarà sufficiente, forse per l’ultimo appuntamento sarà meglio fissare la sveglia qualche ora prima.
La configurazione di inizio mese si ripeterà quasi identica anche nei 4 giorni prima del 31 Dicembre, agognato capodanno che segna la fine del 2023 quando le distanze saranno leggermente migliorate.
Nel resto del mese la Luna affronterà le sue 4 fasi senza l’occasione di ripeterne alcuna come invece era accaduto in settembre per la Luna Piena registrata due volte nei trenta giorni.
La Luna Nuova del 12 Dicembre sarà complice di quegli avventurieri che vorranno sfidare le temperature pungenti per perdersi ad ammirare il fascio delle Geminidi il cui massimo è previsto la notte del 14. Con un po’ di fortuna e con un cielo sgombro da nuvole, nella quasi totalità di buio non dovremo attendere molto prima di individuare almeno una stella cadente.
Con la Luna invece diretta verso il Primo Quarto e vicina al Perigeo potremo programmare uno scatto interessante del transito del satellite vicino a Saturno con distanza 2.5°S, bene ma non benissimo e la situazione non migliorerà molto per il passaggio della Luna vicino all’altro gigante gassoso Giove previsto per la notte del 22.
Il vero incontro interessante probabilmente sarà quello del 24 dicembre con le Pleiadi con una distanza media prevista di soli 1.1° Sud ma resta indispensabile il forse per due motivi: la Luna sarà infatti quasi piena e il bagliore potrebbe rendere difficile immortalare nello stesso scatto le sette sorelle e il satellite e, per qualcuno sarà probabilmente difficile abbandonare la cena di Natale per dedicarsi alla propria passione, il rischio è che si scateni un putiferio!
FASE
DATA
ORE
SORGE
CULMINA
TRAMONTA
DISTANZA
DIAM. APP.
Ultimo Quarto
05/12
06:49
—
06:18
12:57
404325 km
1776.4
Nuova
13/12
00:32
08:15
12:35
16:47
375230 km
1879.1
Primo Quarto
19/12
19:39
12:16
00:50
00:50
369692 km
1933.3
Piena
27/12
01:33
16:54
00:12
08:20
391537 km
1860.1
FASE
DATA
Calante
dal 01 al 05
Crescente
dal 07 al 27
Calante
dal 28
FASE
DATA
ORE
DISTANZA
DIAM. APP.
Apogeo
04/12
19:42
404346 km
1783.3
Perigio
16/12
19:53
367888 km
1921.5
LA LUNA DI NOVEMBRE 2023
Novembre Luna e Venere al mattino
Nel mese di Novembre la Luna in fase calante e diretta verso l’ultimo quarto sorgerà intorno alle 20 e 30 per rimanere visibile per quasi tutta la notte. Il giorno 3, intorno alle 22 la scorgeremo vicino a Castore e Polluce, subito sotto ai due gemelli.
Il giorno 9, sorgerà la mattina poco dopo le tre accompagnata da Venere. Lo spettacolo sarà gradevole con la Luna ridotta oramai quasi ad uno spicchio tenue (porzione visibile 18,5).
Sopra la Luna e subito sotto Venere i due astri saranno distanti circa 2°. Nel corso della giornata, quando oramai però saranno avvolti nella luce diurna, Venere e Luna continueranno ad avvicinarsi finché la seconda non finirà per coprire la prima in un’eclisse accessibile ahinoi a pochi dotati della giusta attrezzatura.
L’eclissi di Venere coperta dallo spicchio di Luna inizierà alle ore 09:06 (per un osservatore situato a Roma) e ci concluderà alle ore 14:07.
Nei giorni successivi poco la Luna Nuova si nasconderà per quasi tutto il tempo nella luce diurna ma sarebbe interessante osservare lo splendido quintetto formato da Mercurio,
Antares, Marte, Luna e Sole tutti stretti in pochi gradi.
Il satellite uscirà dalla morsa del giorno intorno il 17 quando inizierà a scorgersi nelle prime luci della sera, stiamo parlando di orari pomeridiani, le giornate si riducono infatti sempre di più tanto che alla fine del mese avremo pochissime ore di luce.
Quando riapparirà verso ovest la Luna sarà visibile al 14% circa e seguita da vicino da Plutone che sia avvicinerà ancora di più il giorno successivo.
Ritardando sempre di più il suo tramontare la Luna il giorno 20 sarà vicino a Saturno che non lascerà fino al tramonto, prima della mezzanotte, la Luna sarà al primo quarto.
Inizia con questo passaggio la serie di congiunzioni fra Luna e i pianeti. Dopo appena due giorni infatti, il 22 sarà la volta di Luna e Nettuno, poi dopo ancora altri due giorni, il 24 di Luna e Giove e infine il 26 la Luna si muoverà nei pressi di Urano.
Il momento migliore per catturare Luna e Giove sarà però il 25 al loro sorgere, intorno alle 17 e 30 in direzione est, mentre per Luna e Urano, sarebbe meglio svegliarsi all’alba del 26 con i due astri ad ovest. Ricordiamo che gli astri in questo periodo dell’anno sono molto bassi sull’orizzonte.
FASE
DATA
ORE
SORGE
CULMINA
TRAMONTA
DISTANZA
DIAM. APP.
Ultimo Quarto
05/11
09:37
23:32
06:16
13:48
402114 km
1790.3
Nuova
13/11
10:27
06:59
11:57
16:42
388251 km
1819.0
Primo Quarto
2011
11:50
13:23
18:36
23:55
370740 km
1926.0
Piena
27/11
10:16
16:29
23:35
07:22
378852 km
1922.4
FASE
DATA
Calante
dal 01 al 13
Crescente
dal 14 al 27
Calante
dal 28
FASE
DATA
ORE
DISTANZA
DIAM. APP.
Apogeo
06/11
21:49
404569 km
1777.0
Perigio
21/11
21:02
369819 km
1937.0
LA LUNA DI OTTOBRE 2023
Ottobre e Luna subito in congiunzione
Il decimo mese dell’anno si apre con una gradita congiunzione fra Luna in fase calante (il mese di settembre si è chiuso con la Luna piena del 29) e Giove. I due astri saranno vicini circa 3° gradi, già a partire dal loro sorgere, intorno alle 20 e 30 per il centro Italia, con il satellite che sovrasterà il pianeta per tutta la durata della notte, fino all’alba. Le giornate sempre più corte favoriranno l’osservazione sin da subito con la luce del crepuscolo abbastanza lontana, il Sole tramonterà intorno alle 19.
Il giorno successivo, 2 ottobre, un’altra configurazione interessante, Luna e Pleiadi nella costellazione del Toro, ben visibile nel periodo autunnale, 3 gradi circa anche per questa opportunità. Il satellite e l’ammasso M45 saranno sin dal sorgere affiancati in orizzontale per avvicinarsi sempre di più durante la notte, il massimo si posiziona intorno alle 3 del mattino successivo. In allineamento con a sinistra le Pleiadi e al centro la Luna, a destra ci sarà Urano, pacifico e sornione.
Nei giorni successivi la Luna all’ultimo quarto, che sorgerà in ore sempre più tardi, scivolerà nella costellazione del Toro per collocarsi il 7 fra i due gemelli Polluce e Castore.
Giunti all’11 ottobre sarà necessario volgere il telescopio verso est per sorprendere il satellite aggirarsi intorno a Venere. La fase quasi terminata e vicina alla Luna Nuova consentirebbe uno scatto piacevole ma non vi aspettate vicinanze troppe strette, sarà comunque una bella sfida catturare Luna – Venere – Regolo intorno alle 4. Il Sole sorgerà solo 2 ore e mezzo dopo.
Intorno al 17 finalmente torneremo a scorgere il satellite verso ovest poco prima e dopo il tramonto e l’accesso agli scatti continuerà a migliorare fino al 19 quando oramai la Luna, in Sagittario e in fase crescente, tornerà ben alta nel cielo già al tramonto.
Evento interessante che vale il tentativo di una foto panoramica la congiunzione fra Luna e Saturno (mag. 0,7) del 24 ottobre. I due astri saranno già alti nel cielo al tramonto e scompariranno sotto l’orizzonte solo a notte inoltrata.
Nei giorni successivi, la Luna, dopo aver affiancato Nettuno, si dirigerà di nuovo verso Giove, completando il suo periodo. Il 29 Giove e Luna danzeranno uno rispetto all’altro per tutta la notte senza avvicinarsi mai troppo, inoltre la Luna avrà da poco superato la fase piena quindi tanta luminosità in cielo. Condizioni non facili.
FASE
DATA
ORE
SORGE
CULMINA
TRAMONTA
DISTANZA
DIAM. APP.
Ultimo Quarto
06/10
15:47
23:35
06:01
15:00
395056 km
1821.1
Nuova
14/10
19:55
06:53
12:07
18:26
399435 km
1771.7
Primo Quarto
22/10
05:29
15:15
19:51
–:–
373091 km
1917.9
Piena
28/10
22:24
17:56
00:11
06:57
386953 km
1982.0
FASE
DATA
Calante
dal 01 al 06
Crescente
dal 07 al 22
Calante
dal 03 al 31
FASE
DATA
ORE
DISTANZA
DIAM. APP.
Perigeo
26/10
02:52
364902 km
1986,1
Apogeo
10/10
03:41
405396 km
1758.0
LUNA SETTEMBRE 2023
La Luna Blu, la Congiunzione Luna – Saturno e la Luna di Settembre
La Luna Blu
Al contrario di ciò che si potrebbe pensare la Luna Blu non ha nulla a che vedere con il suo colore, sono rarissimi i casi in cui le condizioni atmosferiche favoriscono un colore freddo all’altro al sorgere.
Quindi seconda Luna Piena il 31 agosto prevista per le 03:35 per questo sarà più facile ammirarla già dal giorno precedente (30 agosto).
Congiunzione Luna-Saturno
Solo 3° e 21′ primi di distanza fra Luna e Saturno il 30 agosto. Già dal sorgere di entrambi, intorno alle 21:00 orario di Roma, i due astri saranno molto vicini, ma probabilmente abbastanza lontani per consentire la vista di entrambi.
La Luna sarà al 97% di fase, quindi particolarmente luminosa.
Al culmine, intorno alle 01:35 i due astri saranno a circa 35° gradi sopra l’orizzonte.
Sguardo a SudSudEst nella costellazione dell’Acquario.
Meno spettacolare il primo dei mesi autunnali per la Luna ma che sarà darci comunque delle soddisfazioni. Primo appuntamento interessante il 4 settembre nella tarda notte quando Luna e Giove, si avvicineranno quasi allineati in orizzontale. Fase delle Luna 80%, altezza sull’orizzonte alle 23 circa 12° e distanza fra gli astri poco più di 3°. Nel corso della notte però essi tenderanno ad allontanarsi sempre di più, meglio cercare di riprenderli appena sorti.
La sera successiva segnaliamo una Luna al 70% avvicinarsi moltissimo alla Pleidi già dal sorgere (dopo le 22:00) fino a circa la mezzanotte, scavallato il giorno infatti i due oggetti tenderanno ad allontanarsi.
Il 9 settembre, ma sarebbe meglio dire la mattina dell’10 settembre dopo l’una la Luna sorgerà a Nord-Est già in compagnia di Polluce, la seconda delle stelle per importanza e luminosità della costellazione dei Gemelli. Distanza minima intorno ai 2°.
La mattina del giorno 13, poco prima del sorgere del Sole, sarà possibile scorgere nel cielo ancora abbastanza scuro Venere solidamente posizionata ad Est e a Nord-Est poco sopra l’orizzonte una minuscola falce di Luna del 4% appena. Non si tratta di una congiunzione stretta ma potrebbe essere una sfida per astrofotografi paesaggisti.
La mattina successiva, ancora più arduo perché ancora più a ridosso del sorgere del Sole, saremo già alle 6 del mattino, fra Luna molto bassa e Venere già alto farà capolino Mercurio.
A partire da metà mese potremo tornare ad ammirare la Luna nella sera ma essendo nuova dovremo attendere ancora qualche giorno perché si mostri. Peccato perché proprio il 16, anche se molto vicino al tramontare del Sole, dubito dopo le 19, Luna e Marte si renderanno partecipe di una strettissima congiunzione, con inizio a meno di un grado ed in occultazione parziale al momento del tramonto.
Luna e Saturno ci riprovano il giorno 26 ben alti sull’orizzonte già alle 22:00, visibili per quasi tutta la notte la distanza, che resterà intorno ai 3° gradi andrà via via diminuendo. Fase della Luna 82%.
Il mese per la Luna si chiude il giorno 27 con un avvicinamento a Nettuno. Luna quasi piena e scatti non semplici a causa delle notevole differenza di luminosità.
Fase
Data
Ore
Sorge
Culmina
Tramonta
Diam App
Distanza Terrakm
Ultimo Quarto
07/09
00:21
23:54
06:22
15:19
1839.2
390676
Nuova
15/09
03:40
06:58
12:49
19:43
1754.9
404449
Primo Quarto
22/09
21:32
14:40
18:02
23:11
1871.9
381271
Piena
29/09
11:57
19:08
23:27
06:49
2013.0
360579
Calante
dal 01 al 15
Crescente
Dal 16 al 29
Calante
Dal 30
Apogeo
12/09
15:42
1753.6
406066
Perigeo
28/09
01:04
2013.8
359927
LUNA AGOSTO 2023
Ben due pleniluni per agosto e la Luna più grande di tutto il 2023
Per il mese di Agosto la Luna ci riserva momenti di intenso spettacolo. Già il giorno 2 del mese la concomitanza fra due fattori, una Luna quasi al perigeo (molto vicina alla Terra) e la fase piena, darà origine alla seconda occasione per quest’anno (la prima è stata in Luglio) per ammirare la SuperLuna, la più grande di tutto il 2023 con ben 2019.8 secondi d’arco di grandezza apparente. Come per l’evento di luglio, bel tempo permettendo, sarà il momento per dare vita a scatti romantici caratterizzati da una Luna particolarmente rossa. Meglio pianificarli con anticipo! La Luna sorgerà alle 21:27 per un osservatore sito in Roma. Sullo sfondo a fare da cornice le costellazioni del Capricorno a destra e l’Aquario a sinistra. Nella foto panoramica potrebbe trovare spazio anche Saturno che sorge più o meno alla stessa ora e posto a circa 10° di distanza verso Est dal nostro satellite.
La vicinanza non troppo stretta fra Luna e Saturno si ripete la sera successiva il 3, questa volta con il pianeta collocato sopra al satellite spostato verso sud. La distanza si riduce leggermente arrivando sino a poco più di 7 gradi.
La mattina del 4 agosto, una luna non più piena ma con fase al 93% sorge poco dopo le 22:30 nella costellazione dei Pesci accompagnata da Nettuno, piccolo puntino luminoso in alto in direzione Est rispetto al satellite, distanza 4° e 30’ circa. La situazione migliora leggermente nella tarda notte, dopo le 03:00 del mattino successivo quando gli astri si avvicineranno fino a 3° e 30’ di distanza.
Nella notte, a cavallo fra il giorno 7 e 8 agosto altro incontro della Luna questa volta con il gigante Giove. La Luna, oramai al 55,7% di fase si alzerà dall’orizzonte intorno alla 23:30 ma dovremo aspettare ancora qualche minuto per vedere sorgere anche Giove. Trascorsi i 30 minuti dopo la mezzanotte i due astri saranno entrambi ben visibili in cielo e partiranno da una distanza di circa 4° e 28’ per poi via via avvicinarsi sempre più sino a meno di 3° di separazione intorno alle 3 del mattino. Massimo avvicinamento poco dopo le 8 del mattino ma a quell’ora il Sole sarà già alto.
La sera dell’8, o sarebbe meglio dire la notte dell’8 oramai superata la mezzanotte, la Luna e Giove si saranno oramai allontanati ma la visione potrebbe essere ugualmente avvincente soprattutto sotto un cielo con un buon seeing. In pochi gradi quadrati e piuttosto allineati troveremo in ordine da est verso sud: le Pleidi, La Luna sfiorata in basso da Urano, e Giove.
Nelle notti dal 10 agosto “San Lorenzo”, notte delle stelle cadenti, fino al 13 agosto, quando si prevede il massimo dello sciame, la Luna sarà dalla nostra parte sorgendo sempre più tardi, ben oltre la mezzanotte e riducendo via via sempre più la porzione visibile illuminata dal Sole. Il giorno 13 la Luna avrà fase di solo il 10%, praticamente una piccolissima falce.
Nel mese di Agosto le giornate si saranno già un po’ accorciate e il 18 si potrebbe azzardare l’osservazione di una minuscola falce di Luna (2,2%) ad ovest di Marte con subito sotto Mercurio. Il Sole sarà tramontato da poco, insomma dovremmo trovarci in una condizione di cielo davvero molto limpido e un orizzonte ad ovest totalmente scoperto.
Il resto del mese trascorrerà senza particolari note fino ad arrivare al 30 quando, oramai quasi di nuovo piena 97% si imbatterà nuovamente in Saturno, entrambi visibili già interno alle 21 e con distanza pari a 3° e 21’. Alle 21 la Luna sarà alta sull’orizzonte 13° e Saturno 16°.
Chiusura del mese con la seconda Luna Piena di Agosto generalmente detta Luna Blu. Al contrario di ciò che si potrebbe pensare la Luna Blu non ha nulla a che vedere con il suo colore, sono rarissimi i casi in cui le condizioni atmosferiche favoriscono un colore freddo all’altro al sorgere.
Fase
Data
Ore
Sorge
Culmina
tramonta
Diam. Apparente
arcsec
Distanza Terra km
Luna Piena
01/08
20:31
20:51
00:36
05:03
2010.2
359014
Ultimo Quarto
08/08
12:28
–:–
05:59
14:06
1889.1
380062
Nuova
16/08
11:38
05:59
12:43
20:36
1751.3
406519
Primo Quarto
24/08
11:57
14:31
18:21
23:40
1851.3
386265
Piena
31/08
03:35
20:20
01:15
06:40
2026.2
357247
Calante
dal 01 al 16
Crescente
dal 07 al 31
Perigeo
01/08
05:51
2010.2
359014
Perigeo
31/08
15:50
2026.2
357247
Apogeo
16/08
11:54
1751.3
406519
LUNA LUGLIO 2023
Ripartiamo in luglio con la Luna solitaria come agli inizi di Giugno ma con un appuntamento particolare il 3 Luglio.
Segnate sul calendario 3 Luglio: SUPERLUNA
La superluna è un fenomeno ottico che si verifica quando due fattori sono concomitanti. La Luna, che non cambia mai dimensione reale ma solo apparente, in alcuni periodi dell’anno sembra più grande e più rossa rispetto al solito. Si tratta del risultato della combinazione di due eventi. Il primo è la Luna Piena, il 3 luglio infatti, la Luna tutta illuminata sarà al giorno 15° e con fase al 100%, il secondo è la distanza dalla Terra che il giorno 4 luglio sarà minima a soli 360.147 km, si dice che la Luna è al Perigeo.
Anche se i due eventi non si combinano proprio nello stesso giorno ma a distanza di poche ore, la loro vicinanza fa della Luna del ciclo di Luglio una delle apparentemente più grandi di tutto il 2023 con un diametro pari a 33′ e 10”, seconda solo a quella che si verificherà circa un mese più tardi il 2 agosto.
Il colore rosso invece è un fenomeno legato all’atmosfera terrestre che altera i colori percepiti dall’occhio umano e più evidente quando gli oggetti sono all’orizzonte. L’atmosfera per sua natura tende e riflettere le frequenze della luce più blu e lasciar passare invece quelle rosse. Quando un oggetto di trova all’orizzonte la sua luce deve attraversare, per giungere ai nostri occhi, uno strato più spesso di atmosfera e ciò amplifica l’effetto. In tal modo la Luna appena sorta sembrerà di un rosso fuoco perdendo di intensità man mano che si alzerà nel cielo.
La mattina del giorno 5 una Luna praticamente piena, fase 98%, appena iniziato il tragitto calante, transiterà vicino Plutone, oggetti troppo diversi per luminosità e dimensioni per tentare un approccio.
Molto più interessante invece saranno i giorni successivi con La Luna che si avvia all’ultimo quarto, che verso Est transiterà vicino Saturno. Appuntamento dalla mezzanotte in poi e alle 5, ancora quasi un’ora prima del sorgere del Sole i due oggetti celesti saranno alti sopra l’orizzonte ben 34°, occhio che nel frattempo vi sarete già spostati a Sud.
Non ci sono particolari note per la Luna
Si ripete in parte lo spettacolo di giugno con una congiunzione a 3 (ma anche 4) all’inizio della terza decade del mese. Tramonto avvincente anche se fugace il 21 luglio. In 4 in pochi gradi di cielo: Luna tenue falce a meno del 10%, Venere, Marte e Mercurio. A partire dalle 21 ma per pochissimi minuti, dopo un’ora e trenta infatti, i pianeti prima e la Luna dopo scompariranno sotto l’orizzonte.
Fase
Data
Ore
Sorge
Culmina
Tramonta
Diam App
Distanza Terrakm
Piena
03/07
13:38
21:28
00:46
04:59
1983.5
363584
Ultimo Quarto
10/07
03:48
00:42
06:30
13:55
1904.2
375660
Nuova
17/07
20:31
05:00
12:18
21:04
1772.5
402272
Primo Quarto
26/07
00:06
14:24
18:52
00:11
1834.3
391084
Crescente
dal 01 al 03
Calante
dal 03 al 17
Crescente
dal 17 al 31
Perigeo
04/07
22:27
1996.1
360147
Apogeo
20/07
06:56
1757.0
406286
LA LUNA DI GIUGNO 2023
Iniziamo il mese con una Luna già quasi piena e fase quasi al 90% e all’11 giorno ben visibile a 18° sopra l’orizzonte alla sinistra, verso est quindi della costellazione della Vergine. Viaggerà sola, senza la compagnia degli oggetti più grandi del Sistema Solare ma già il giorno 2 dopo aver attraverso la costellazione della Lira, si avvicinerà ad Antares, regina della costellazione dello Scorpione. La congiunzione con separazione 1,5° nord, inizierà già nelle prime ore della sera, quando la Luna sarà alta sull’orizzonte ma solo per 16 gradi. La situazione non migliorerà nella sera successiva, meglio cogliere quindi l’occasione, difficile ma spettacolare.
Fase
Data
Ore
Sorge
Culmina
tramonta
Diam. Apparente arcsec
Distanza Terra in Km
Piena
04/06
05:41
21:36
00:59
05:23
1877.1
385368
Ultimo Quarto
10/06
21:31
01:29
06:56
12:28
1932.2
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Il giorno successivo, il 4 la Luna oramai piena avrà abbandonato lo Scorpione per dirigersi verso il Sagittario. Nei giorni 7 e 8 la Luna in fase decrescente si avvicinerà a Plutone, tutto molto basso sull’orizzonte, non oltre i 10 gradi e forse qualcosa in più nella mattina del giorno successivo ma a quel punto gli oggetti saranno più separati.
Il giorno 10, con la Luna già all’ultimo quarto, fase 48% e 21° giorno, bella da osservare sarà la congiunzione con Saturno a partire alla mezzanotte circa, potremo approfittare di circa 3/4 ore di osservazione prima del sorgere del Sole. Direzione sud est ed altezza massima circa 14° gradi.
In genere il giorno successivo offre sempre un’altra occasione per immortalare gli spettacoli, a discapito della vicinanza, che tende ad aumentare ma, come in questo caso, magari aggiungendo elementi. I’11 infatti la congiunzione fra Luna e Saturno si trasformerà in un triangolo con un vertice assai debole: Nettuno. Appuntamento nella notte, dalla mezzanotte fino all’alba.
Volete un evento davvero clamoroso da segnare sul calendario? Appuntatevi questa data: 14 giugno. Luna e Giove si avvicineranno e andranno in occultazione a Sole. Potrete scattare foto con la Luna quasi nuova per due ore, all’alba circa 19°. Poco prima dell’alba, il Sole sorge alle 05:30 e entrano inquadratura Mercurio, Urano e Nettuno.
Saltiamo al 21 e 22 giugno subito dopo il tramonto per un altro splendido ballo a tre. Una sottilissima falce di Luna, questa volta crescente, con fase intorno al 10%, al secondo e terzo giorno, si affiancherà al duetto Marte-Venere, inizio delle osservazioni non prima delle 21, altezza 25° sull’orizzonte verso ovest.
Il 30 giugno, ben alta sull’orizzonte, 21°, la Luna oltre l’Ultimo quarta transiterà molto vicino ad Antares, occhi verso Sud già dalle prime ore della sera.
In questo 28esimo appuntamento della rubrica continuiamo a seguire le esplorazioni di Perseverance nel cratere Jezero con tantissime immagini e vari dettagli tecnici. C’è anche qualche nuova fotografia scattata a Ingenuity e uno sviluppo sulla missione dell’elicotterino. Si parte!
Riprendiamo il filo
A fine marzo abbiamo lasciato Perseverance nei pressi della roccia Bunsen Peak da cui aveva estratto pochi giorni prima il carotaggio denominato Comet Geyser, il suo 21esimo campione roccioso nonché 24esimo in totale. Altre due fiale sono state riempite di regolite nell’ottobre 2022 (vedi News da Marte #6) e una contiene dell’atmosfera marziana.
Anche il nome CometGeyser deriva da un’attrazione del Parco di Yellowstone così come Bunsen Peak fa riferimento all’omonima montagna di 2610 metri all’interno del parco.
Gli scienziati guardano con molto interesse a questa roccia. Le analisi svolte sembrano infatti suggerire che il campione Comet Geyser sia composto principalmente da due minerali: carbonato e silice. Entrambi sono materiali con ottime potenzialità per la conservazione delle biosignature, antichi segni di vita batterica, e preservano inoltre le tracce delle condizioni ambientali in cui si sono formati. La scoperta di carbonato in Bunsen Peak offre preziose indicazioni sul passato del cratere Jezero. Questo composto, insieme alla presenza di silice, suggerisce un ambiente in cui acqua, biossido di carbonio e altri elementi chimici hanno reagito con le rocce circostanti, formando questi minerali. L’analisi di tali composti può fornire importanti informazioni sul clima passato e sulla possibilità di vita antica su Marte.
La conservazione di biosignature in carbonato e silice è un fenomeno noto anche sulla Terra, dove queste rocce possono preservare tracce di vita per milioni, se non miliardi, di anni. Alcune delle prove più antiche di vita sulla Terra provengono proprio da rocce contenenti frammenti di cellule microbiche, fossilizzate nel corso del tempo grazie all’azione della silice. Di conseguenza, le rocce contenenti questi minerali sono considerate di vitale importanza per comprendere se Marte abbia mai ospitato vita batterica.
Il rover torna in marcia
Otto giorni dopo le ultime osservazioni su Bunsen Peak Perseverance ha ripreso a muoversi verso ovest senza attraversare l’antico canale sabbioso denominato Neretva Vallis bensì costeggiandolo da sud.
Il Sol 1110 di missione (4 aprile) Perseverance scatta una serie di foto rivolto verso nord con le sue camere zoom.
Nell’ampia panoramica di 24 immagini inquadra ancora il suo compagno, l’elicottero Ingenuity, svelando nuovi dettagli sul problema fatale occorso a quest’ultimo il 18 gennaio.
Grazie allo spostamento verso ovest, Perseverance è ora in grado di scorgere il versante nascosto della duna di Valinor Hills (nome dato al luogo dove Ingenuity è atterrato al termine del suo 72esimo e ultimo volo) e nella sabbia scorgiamo le tracce lasciate dall’atterraggio violento dell’elicottero.
Grazie all’interpolazione dell’immagine e un potente zoom, sul versante ovest della duna (ovvero a sinistra della foto) si scorgono nitidamente altri segni lasciati da Ingenuity come conseguenza del primo contatto con il terreno.
In qualche modo l’elicottero potrebbe poi essere “rimbalzato” sull’altro versante (le gambe di atterraggio sono connesse al corpo tramite delle lamelle di metallo che fungono da ammortizzatori) toccando nuovamente la sabbia e scivolando leggermente verso est come documentato in altre foto più dettagliate degli scorsi mesi. Vale infine la pena evidenziare che ilpezzo dell’elica, quello scagliato a 15 metri di distanza dall’elicottero, ha cambiato posizione rispetto alla foto del 24 febbraio.
Nonostante i venti su Marte siano solo delle leggerissime brezze a causa dell’atmosfera rarefatta, questo non dovrebbe sorprenderci del tutto in quanto l’elica pesa solo 18 grammi ed è pur sempre una superficie alare, studiata per reagire in modo efficace ai flussi d’aria.
Verso ovest
Successivamente al prelievo da Bunsen Peak Perseverance ha marciato verso ovest percorrendo in tutto circa 1285 metri in poco più di 50 Sol. Tutto il tragitto è mostrato nelle mappe elaborate dalla NASA e messe a disposizione della community di appassionati. Il marker rosso a destra indica la posizione in cui è stato eseguito il prelievo mentre la posizione di Perseverance (aggiornata al 18 maggio, Sol 1153) è il marker blu a sinistra.
1285 metri in circa 50 Sol non è una gran velocità per il rover, che ci ha abituati a spostamenti giornalieri di svariate centinaia di metri eseguiti grazie alle eccellenti abilità del suo sistema di navigazione autonoma.
Perseverance ha un computer specializzato nell’elaborazione in tempo reale delle immagini acquisite da vari dispositivi fotografici: ci sono le note NavCam, ospitate nella “testa” e quindi in posizione molto rialzata, ma anche le Hazard Avoidance Cameras montate nella parte bassa del rover (quattro anteriori e due posteriori) che osservano il terreno davanti e dietro. Questi input sono analizzati costantemente per mezzo di ricostruzioni stereo così da rilevare eventuali ostacoli e stimarne la pericolosità. Lo scopo finale è elaborare autonomamente il percorso per giungere nella destinazione programmata schivando grandi rocce o trappole di sabbia.
Questo software ha dimostrato nel tempo di lavorare incredibilmente bene ma la sua efficienza dipende dalle asperità del terreno affrontato, e andando a indagare nel dettaglio del percorso fedelmente riportato nella mappa scopriamo alcune occasioni in cui Perseverance sembra aver rinunciato ad andare avanti in attesa di istruzioni specifiche da parte dei tecnici.
Sono situazioni in cui appare che il rover abbia iniziato a girare in tondo, sia tornato indietro, abbia sterzato completamente per cercare una strada differente oppure, più semplicemente, si sia mosso di soli pochi metri. Lo vediamo qui in alcuni esempi che sono delle ottime scuse per ammirare paesaggi marziani mozzafiato: a causa di queste tappe forzate c’è stato il tempo per acquisire numerosi mosaici fotografici.
Sol 1106
Questo Sol il rover si è trovato di fronte a un’area disseminata di rocce che è stata probabilmente giudicata troppo pericolosa da attraversare. L’intervento dei piloti da Terra ha risolto l’impasse programmando una leggera deviazione verso destra per poi proseguire in direzione ovest.
Sol 1108
In questo giorno Perseverance tenta alcune volte di avanzare, torna indietro e infine si arrende. Vediamo questa lotta nelle tracce lasciate sulla sabbia.
Sol 1122
Parecchie difficoltà per il rover che nell’arco di 10 Sol deve fare delle acrobazie per uscire da un terreno che presenta la doppia insidia di sabbia e rocce appuntite.
Sol 1138
Un’altra piccola complicazione per Perseverance che si trova di fronte ad altre rocce insidiose e non sa come procedere. Da questo punto il rover gode di una incredibile visuale verso nord della sabbiosa Neretva Vallis, il letto prosciugato del fiume che scorreva qui miliardi di anni fa.
Da questa posizione c’è anche una piccola sorpresa fotografica. Il 3 maggio i tecnici programmano il rover per puntare ancora una volta il piccolo telescopio della RMI SuperCam in direzione di Ingenuity, distante da qui circa 510 metri.
Cambia ancora una volta la prospettiva dalla quale il rover può osservare l’elicottero il quale inizia ora a essere nascosto dalla duna. Ben evidenti le quattro impronte delle gambe di atterraggio e più in basso si scorge anche l’elica danneggiata.
Inoltre è possibile che, durante i giorni in cui ha costeggiato Neretva Vallis, Perseverance sia comparso dentro il campo inquadrato della camera RTE a colori di Ingenuity, che potrebbe così averlo immortalato a sua volta. Infatti questa regione risulta nell’angolo superiore destro della visuale dell’elicottero.
Ma questo vuol dire che Ingenuity è ancora in funzione? Ve lo racconto dopo…
Tornando al lungo spostamento del rover, un’immagine del Sol 1145 (e così nel frattempo siamo arrivati al 10 maggio) trasmette efficacemente l’idea delle condizioni in cui Perseverance sta operando, e la marcata inclinazione dell’orizzonte ci ricorda che il terreno qui è in discesa verso la valle a nord.
Dopo il lungo viaggio, qualcosa sotto i denti
È il Sol 1150 (15 maggio) quando Perseverance raggiunge la posizione finale mostrata nella mappa all’inizio di queste cronache. Davanti a lui le NavCam mostrano una piana sabbiosa costellata di piccole rocce affioranti.
La piccola roccia che spunta di poco dal centro dell’area sabbiosa di fronte al rover è quella che, per ragioni ancora non chiarite dei canali di divulgazione NASA, ha attirato le attenzioni dei geologi. Il flusso di azioni si attiva rapidamente, e già all’indomani del suo arrivo Perseverance è in azione.
Si parte con le osservazioni ravvicinate tramite la camera WATSON condotte alle ore 13:15 locali.
Pochi minuti dopo, alle 13:24, Perseverance è già pronto a intaccare la roccia. Sul trapano è installata una delle note frese e nell’arco di 18 minuti l’operazione viene portata a termine, documentata nel video realizzato con una delle HazCam frontali.
Le successive osservazioni con WATSON vengono eseguite immediatamente per evitare che della polvere, soffiata dal vento, vada a coprire l’area appena raschiata compromettendo parzialmente la qualità dei rilievi. Un’immagine aggiuntiva viene poi acquisita dopo il tramonto del Sole, in luce artificiale, impiegando i led UV della camera per evidenziare potenziali effetti di fluorescenza da parte dei minerali inclusi nella roccia.
Staremo a vedere se i risultati delle osservazioni saranno rilevanti e se spingeranno i tecnici NASA a prelevare un nuovo campione, o se questa sosta era solo una rapida tappa intermedia per valutare cambiamenti geologici lungo il percorso. Il rover è attualmente diretto verso il confine ovest dell’Unità Marginale, in una località denominata Bright Angel. Questa regione è ritenuta di grande interesse scientifico e rappresenterà il primo contatto con le rocce molto antiche che costituiscono il bordo del cratere Jezero.
Un aggiornamento sulla camera SHERLOC-ACI
Vi ricordate dei problemi con il tappo della camera SHERLOC? Ne abbiamo parlato qui e qui.
Una breve novità riguarda il fatto che i tecnici potrebbero aver fatto un importante passo avanti, almeno da quello che si può vedere nelle immagini grezze. Infatti nel Sol 1047 è stato eseguito un test inquadrando uno dei target di calibrazione della camera. Nel corso del test è stata fatta variare la distanza di messa a fuoco. 23 immagini individuali hanno scandito questa verifica, durata complessivamente 50 minuti, e ce le possiamo gustare in sequenza in questo video.
L’ultimo incarico di Ingenuity
Il 16 aprile il Deep Space Network della NASA ha ricevuto l’ultima comunicazione da parte di Ingenuity, ma questo non significa che l’elicottero sarà spento per sempre. Il giorno precedente era stato caricato un aggiornamento software ed è iniziata per lui una lunga seconda vita come stazione permanente marziana.
Da adesso Ingenuity si risveglierà una volta al giorno. Attiverà i computer di volo, rileverà informazioni sulla carica delle batterie, acquisirà le temperature da sensori dislocati in vari punti del suo hardware e scatterà anche una foto a colori. Tutto questo ogni singolo giorno marziano, finché sarà nelle condizioni di farlo.
Scienziati e ingegneri del JPL ritengono che questo tipo di raccolta dati gioverà ai progettisti di velivoli e veicoli del futuro, e darà un’inedita prospettiva di lungo termine allo studio del meteo e dei movimenti della sabbia marziana. Con l’attuale spazio di memoria disponibile, si stima che Ingenuity potrà raccogliere informazioni potenzialmente per 20 anni.
E se la sua elettronica dovesse smettere di funzionare o i pannelli non produrranno più abbastanza energia, i dati non andranno persi ma resteranno al sicuro. In futuro, quando magari Valinor Hills sarà visitata di nuovo da un rover, un velivolo o persino degli astronauti, il testamento scientifico di Ingenuity sarà recuperato. Anche con un’ala rotta, questo incredibile elicottero continuerà a studiare Marte per noi.
Anche per questo aggiornamento da Marte è tutto, alla prossima!
Hubble cattura veli di polvere che avvolgono NGC4753
In questa nuova immagine del telescopio spaziale Hubble della NASA/ESA c’è una vista quasi di taglio della galassia lenticolare NGC 4753 che ha una forma ellittica e bracci a spirale non ben definiti.
NGC 4753 si trova a circa 60 milioni di anni luce dalla Terra nella costellazione della Vergine e fu scoperta per la prima volta dall’astronomo William Herschel nel 1784. È un membro del gruppo di galassie NGC 4753 all’interno della nube della Vergine II, che comprende circa 100 galassie e ammassi di galassie.
Si ritiene che questa galassia sia il risultato di una fusione galattica con una galassia nana vicina avvenuta circa 1,3 miliardi di anni fa e che le strisce di polvere attorno al nucleo siano state accumulate durante evento di fusione.
L’ipotesi dominante è che la maggior parte della massa della galassia si trovi in un alone sferico leggermente appiattito di materia oscura. La materia oscura è una forma di materia che attualmente non può essere osservata direttamente, ma si ritiene che comprenda circa l’85% di tutta la materia nell’Universo. Viene definito “oscura” perché non sembra interagire con il campo elettromagnetico e quindi non sembra emettere, riflettere o rifrangere la luce.
Questo oggetto è anche di interesse scientifico per testare diverse teorie sulla formazione delle galassie lenticolari dato l’ambiente a bassa densità in cui si trova e la struttura complessa. Inoltre, questa galassia ha ospitato due supernovae di tipo Ia conosciute.
Il Telescopio Spaziale Hubble
Da oltre tre decenni, il Telescopio Spaziale Hubble (HST) ha servito come uno degli strumenti più significativi per l’astronomia moderna. Lanciato il 24 aprile 1990, Hubble ha rivoluzionato la nostra comprensione dell’universo, fornendo immagini senza precedenti di galassie lontane, nebulose e stelle.
Perché un Telescopio nello Spazio?
La Terra è avvolta da un’atmosfera che, sebbene vitale per la vita, distorce la luce proveniente dallo spazio. Questo fenomeno, noto come distorsione atmosferica, ha limitato la capacità degli astronomi di osservare l’universo con chiarezza. Hubble è stato posizionato oltre questa barriera, a circa 550 km di altitudine, dove può osservare l’universo nelle lunghezze d’onda dell’ultravioletto, della luce visibile e dell’infrarosso vicino1.
Innovazioni e Scoperte
Con uno specchio primario di 2,4 metri di diametro, Hubble ha una precisione di puntamento tale da poter colpire una monetina a 320 km di distanza con un laser. Questa precisione ha permesso di osservare dettagli finora inaccessibili.
Tra le scoperte più significative di Hubble ci sono:
La determinazione dell’età dell’universo, stimata in circa 13,8 miliardi di anni.
L’osservazione di galassie in formazione nei primi anni dell’universo.
La scoperta dell’espansione accelerata dell’universo, che ha portato alla teoria dell’energia oscura.
La Storia di Hubble
Il concetto di un telescopio spaziale fu proposto per la prima volta nel 1923 dal fisico tedesco Hermann Oberth e sviluppato successivamente dall’astrofisico americano Lyman Spitzer nel 1946. Dopo decenni di sviluppo e collaborazione tra la NASA e l’Agenzia Spaziale Europea (ESA), Hubble è diventato realtà.
Se la meccanica quantistica richiede che ci sia sempre un osservatore, chi osserva l’universo?
Sempre più spesso si vedono titoli di articoli divulgativi che dichiarano che la meccanica quantistica ha dimostrato che la realtà oggettiva non esiste, e che invece sono gli osservatori che creano ciò che osservano. Quindi la Luna non c’è se non la osserva nessuno e l’albero che cade nella foresta non fa rumore. Sicuramente affascinante. Ma è vero?
[..]
L’elettrone è onda o particella?
Il motivo per cui viene insegnato che la meccanica quantistica non può essere d’aiuto nel capire il mondo è che sembrano esserci degli esperimenti in cui, nel momento in cui tentiamo di descrivere cosa succede in essi dal punto di vista microscopico, ci troviamo in contraddizione. L’esempio più famoso di tutti è probabilmente l’esperimento delle due fenditure. Immaginiamo una sorgente che genera elettroni, una specie di cannone elettronico che spara, uno alla volta, questi elettroni verso un pannello su cui ci sono due fenditure (figura 1 e 2).
Se l’elettrone finisce sul pannello viene assorbito, mentre se passa attraverso una delle fenditure viene rilevato da uno schermo poco distante, che, per esempio mostra un puntino blu. Che cosa dovremmo aspettarci se il cannone elettronico spara, sempre uno alla volta, molti elettroni? Come appare l’immagine fatta dalla combinazione dei puntini blu, corrispondenti agli elettroni arrivati sullo schermo? Siccome si pensa che gli elettroni siano particelle, dovremmo vedere sullo schermo un’immagine con una alta densità di puntini in corrispondenza delle due fenditure: l’elettrone passa o in una o nell’altra fenditura, altrimenti viene bloccato dal pannello, e quindi i puntini blu si ammasseranno in corrispondenza a dove sono passati gli elettroni. Invece quello che si osserva è una figura di interferenza, fatta di un alternarsi di zone ad alte e basse densità di puntini blu, e con la zona a densità più alta corrispondente alla porzione di schermo in mezzo alle due fenditure.
Tale figura è tipicamente generata da onde: l’onda incidente viene “sdoppiata” dalle fenditure, che quindi generano due onde secondarie che poi interagiscono, interferendo tra di loro. Come spiegare quindi la figura di interferenza, se si hanno particelle? Abbiamo forse sbagliato nel considerare gli elettroni come particelle? Sono invece onde? Non è così immediato sciogliere il dilemma, perché altri esperimenti, come quelli dei rivelatori usati nei moderni acceleratori, mostrano che gli elettroni lasciano tracce continue, e quindi hanno traiettorie, cosa che invece le onde, essendo intrinsecamente delocalizzate, non hanno. Quindi gli elettroni sono onde o particelle? La risposta che si trova nei libri è: sono entrambi; a volte si comportano come onde, a volte come particelle. E se si cerca di trovare da che parte è passato l’elettrone, per esempio mettendo un rivelatore su una delle due fenditure cosicché si possa stabilire se è passato di lì, lo si “forza” a diventare particella, perché la figura d’interferenza scompare. La situazione è pazzesca. Nonostante questo, si legge nei libri che esiste un teorema, provato dal famoso fisico ungherese John von Neumann, uno dei padri fondatori della meccanica quantistica, che ha mostrato come non si possa far meglio di così: nessuna teoria quantistica può fornire una descrizione della realtà più esauriente di questa.
La realtà viene creata dall’osservatore
Ma non è finita: di conseguenza a quanto appena visto spesso si legge anche che la realtà viene creata dall’osservatore. Infatti, la meccanica quantistica ha due equazioni fondamentali che descrivono l’evoluzione temporale di un oggetto chiamato funzione d’onda. La prima, che va sotto il nome di equazione di Schrödinger (dal fisico austriaco Erwin Schrödinger, che la propose),
è valida solo fintantoché non viene fatta una misura. Tale equazione descrive come una generica onda si comporterebbe anche classicamente (con qualche differenza essenziale, discussa in seguito). In particolare, come deve essere per le onde, qualsiasi somma di soluzioni, detta anche sovrapposizione, è ancora soluzione dell’equazione di Schrödinger.
Descrive quindi un possibile modo in cui può essere il mondo. Oltre all’equazione di Schrödinger però abbiamo bisogno anche di qualcosa d’altro. Infatti, prendiamo il nostro cannone elettronico, che però questa volta produce un elettrone la cui funzione d’onda è la sovrapposizione di un elettrone diretto verso destra e uno verso sinistra. Per mezzo di uno schermo sferico che ci dice dove è finito l’elettrone, siccome la funzione d’onda è in sovrapposizione, dovremmo vedere una sovrapposizione di puntini blu: uno a destra e uno a sinistra. Ma questo è assurdo, è una contraddizione logica: l’elettrone non può logicamente essere “a destra” e “non a destra” allo stesso momento! Ed infatti è così, tali sovrapposizioni macroscopiche non vengo mai osservate: l’elettrone è rilevato o a destra oppure a sinistra (non a destra). Questo viene spiegato dicendo che tutte le volte che si fa una misura, l’equazione di Schrödinger cessa di valere e subentra una seconda equazione di evoluzione, chiamata “collasso” o “riduzione” di von Neumann (il quale si accorse che era necessario). Tale “collasso” cancella in maniera casuale ed istantanea tutti i termini della sovrapposizione tranne uno, cioè quello effettivamente osservato. Il collasso garantisce che le previsioni della teoria siano in accordo con i dati sperimentali attraverso quella che si chiama regola di Born, che descrive la probabilità di trovare un dato risultato a seguito di un dato esperimento.
Se ci si ferma un attimo a pensare si vede subito che non tutti i misteri sono scomparsi, tutt’altro: cosa vuol dire che l’atto di fare una misura cambia l’equazione di evoluzione? Fare una misura non è un processo fisico come gli altri? Forse quello che fa la differenza non è la misura ma la presenza di un misuratore? Cioè, forse quello che succede è che sono io, in qualità di essere cosciente, che nel guardare la sovrapposizione prodotta dall’equazione di Schrödinger, la “riduco” a uno dei suoi termini? Quindi forse è la mia coscienza che cambia la realtà microscopica solo perché la guardo?
Tipicamente viene replicato appellandosi al teorema di von Neumann: “secondo la teoria l’osservatore crea la realtà guardandola; sarà strano non possiamo fare di meglio, quindi mettiti il cuore in pace e torna a lavorare.
In effetti, questo è quello che è storicamente accaduto: tutti hanno gettato la spugna e accettato di “star zitti e fare i conti”, per usare una citazione del fisico americano David Mermin.
Gli Astrofisici alle prese con il dogma della Meccanica Quantistica
Questo atteggiamento non creò problemi essenzialmente a nessuno, eccetto che agli astrofisici, i quali si trovano nell’imbarazzante posizione di non avere alcun osservatore a cui appellarsi per far collassare la funzione d’onda: chi osserva l’universo? Inoltre, in astrofisica è fondamentale considerare, oltre alla meccanica quantistica, l’altra importante teoria sviluppata nel secolo scorso. Sto pensando alla relatività generale di Einstein, che descrive la struttura della spazio-tempo ed elimina la forza di gravità di Newton: lo spaziotempo “simula” la forza gravitazionale tramite la sua curvatura sotto il peso della materia. Siccome i suoi effetti sono importanti soprattutto in presenza di entità molto massive, come gli oggetti celesti, la relatività generale non può essere ignorata in astrofisica. Uno dei postulati fondamentali della relatività prescrive che ci sia una velocità, quella della luce, al di là della quale niente può andare, neanche l’interazione tra oggetti: se sento la terra tremare sotto i miei piedi, quello che succede è che le vibrazioni generate da una scossa di terremoto avvenuta pochi secondi fa in qualche zona poco distante mi hanno raggiunto. Questo è uno dei motivi per cui Einstein riteneva che la meccanica quantistica fosse incompleta. Ricordo che tutti i sistemi fisici sono descritti da una funziona d’onda e che le funzioni d’onda possono stare in sovrapposizione di stati. Nel caso di sistemi composti da più elementi, come un sistema composto da due particelle, la funzione d’onda può anche essere “aggrovigliata”(entangled): le due particelle non sono descritte ognuna da una funzione d’onda singola ma hanno una funzione d’onda in comune. Ora consideriamo due particelle che viaggiano in direzione opposta e che sono aggrovigliate. Quello che si può mostrare è che se io misuro una delle due particelle, quindi istantaneamente collasso il suo stato, dato che le due sono in uno stato aggrovigliato allora collasso anche lo stato dell’altra particella, indipendentemente da quanto questa sia lontana. In altre parole, la mia influenza su una particella (la misura che ho effettuato su di essa, “collassandola”) ha influenzato istantaneamente anche quell’altra, che potrebbe essere su Alfa Centauri. Questo vuol dire che il collasso agisce a velocità maggiore della velocità della luce, contraddicendo la relatività.
La teoria dei Molti Mondi
A partire dagli anni ’60 alcuni astrofisici che lavoravano nella cosiddetta gravità quantistica, che cerca di unificare le due teorie, tra cui l’americano Bryce de Witt iniziarono a interessarsi a possibilità alternative al collasso, non tanto per la tensione con la relatività ma più che altro perché, più semplicemente, non è possibile in questo contesto appellarsi ad un osservatore che “collassi” tutto, come accennato prima. Si accorsero (o riscoprirono) dell’esistenza di pochi “valorosi” che avevano resistito al dogma sin dagli anni ‘20, e che avevano proposto teorie alternative al collasso di von Neumann. In primis, fu riscoperta e pubblicizzata la teoria proposta dallo studente americano Hugh Everett III nella sua tesi di dottorato, presumibilmente perché non richiede nessuna modifica del formalismo quantistico. L’idea di Everett è che non ci sia nessun collasso e che la funzione d’onda evolva sempre secondo l’equazione di Schrödinger, a patto che però si interpreti la funzione d’onda a dovere. Secondo la versione di Everett preferita da de Witt, che va sotto il nome di teoria dei molti mondi, i singoli termini della sovrapposizione della funzione d’onda vanno interpretati come appartenenti a mondi diversi, che non interagiscono tra loro e che quindi per definizione non sono osservabili.
Quindi, una sola equazione, lineare e deterministica, nessun osservatore privilegiato, nessun collasso istantaneo. Bene, ma non benissimo: secondo questa teoria ci sono infiniti mondi non osservabili che continuano a formarsi ogni volta che si ha una sovrapposizione. Ogni volta che osserviamo qualcosa che è in sovrapposizione, ci sdoppiamo in infinite copie, ognuna in un universo diverso che non incontreremo mai. È davvero credibile? Questa sembra fantascienza, non scienza. Davvero non c’è nulla di meno convoluto?
Teoria dell’onda pilota
Potrete immaginare la mia grande sorpresa quando scoprii che esiste una teoria senza collasso, senza osservatore, senza molti mondi, ed esiste dal 1923 quando il francese Louis de Broglie, anche lui studente di dottorato, ne gettò le basi, e che nel 1951 fu riscoperta e completata dal fisico americano David Bohm. La teoria è molto semplice: ci sono particelle puntiformi il cui movimento è governato da una legge, chiamata equazione di guida, in cui appare la funzione d’onda descritta dall’equazione di Schrödinger. Tale legge ha come soluzione delle traiettorie
altamente non classiche, tanto da spiegare l’esperimento delle due fenditure senza misteri (figura 3). Infatti, mentre classicamente ci si aspetta di vedere oggetti che vanno dritti se non c’è nulla che li disturba, questo non è vero nel caso della teoria in questione: le particelle hanno traiettorie tortuosissime, veramente strane, secondo gli standard classici, ma che recentemente sono anche state osservate sperimentalmente (figura 4). Che si potrebbe chiedere di meglio?
Questa teoria viene chiamata teoria dell’onda pilota perché la funzione d’onda è ancora presente nel formalismo della teoria. Altri nomi per questa teoria sono: teoria di de Broglie-Bohm o meccanica Bohmiana. Mille domande sorgono spontanee, la prima delle quale potrebbe essere: “ma se era così semplice, perché la teoria dell’onda pilota non viene insegnata nei corsi di fisica al posto della meccanica quantistica? Ci deve essere qualche cosa di sbagliato, per forza. Sì, deve essere così: non hai mica detto prima che von Neumann ha provato un teorema che stabilisce che fare meglio della meccanica quantistica è impossibile? Quindi questa teoria non può essere giusta.”
La teoria del collasso spontaneo
Un’altra possibile alternativa alla meccanica quantistica di cui non ho ancora parlato è la teoria del collasso spontaneo, proposta dai fisici italiani GianCarlo Ghirardi, Tullio Weber e Alberto Rimini nel 1986, e quindi chiamata teoria GRW, dalle iniziali dei loro nomi. In questa teoria l’equazione di Schrödinger e il collasso vengono sostituite da un’unica equazione non lineare e stocastica. In tale teoria le sovrapposizioni collassano da sole, perché l’equazione non è più lineare. Inoltre, mentre nella teoria dell’onda pilota la materia è fatta da particelle, nella teoria del collasso spontaneo la natura delle cose sembra essere ondulatoria, descritta dalla funzione d’onda. Questo però è implausibile: infatti, come fatto notare immediatamente da de Broglie, Schrödinger e Einstein (loro lo dissero nel contesto della meccanica quantistica, dove si potrebbe affermare la stessa cosa, non in quello della teoria del collasso spontaneo che ai loro tempi ancora non esisteva), matematicamente la funzione d’onda non oscilla nello spazio fisico (tridimensionale) ma è definita in uno spazio astratto ad altissime dimensioni.
Conclusione sulla Meccanica Quantistica
A questo punto, non ho risposte certe; ho solo domande. Ma a naso, se fosse davvero necessario abbandonare l’idea stessa di interazione per salvare la struttura spaziotemporale relativistica […] preferisco sacrificare la relatività per una teoria quantistica deterministica. Il che non significa diminuire la grandezza di Einstein: dopo tutto anche la meccanica classica non è strettamente vera, ma nessuno pensa che Newton non sia stato un gigante della fisica!
Nota sull’articolo
L’articolo è un estratto del contributo di Valia Allori pubblicato in Coelum Astronomia 261. Per ragioni di spazio ed anche di lettura sono stati esclusi alcuni passaggi che possono tuttavia aiutare ulteriormente a seguire il ragionamento.
Lei disse: “Dimmi qualcosa di bello!”. Lui rispose:
(δ + m) ψ = 0
È l’equazione di Dirac (…). Grazie ad essa si descrive il fenomeno dell’entanglement quantistico. Il principio afferma che: “Se due sistemi interagiscono tra loro per un certo periodo di tempo e poi vengono separati (…) in qualche modo diventano un unico sistema (…) quello che accade a uno di loro continua ad influenzare l’altro, anche se distanti chilometri o anni luce”. Se due persone entrano in relazione e si instaura tra di loro, nel tempo, un rapporto di amicizia o di amore e poi vengono separate, esse non possono essere definite come due soggetti differenti ma, in qualche modo, ne diventano uno solo (e questa dovrebbe essere l’equazione dell’amore..)
Questo è quello che si legge in rete su tanti siti che parlano dell’equazione di Dirac. In un incredibile copia/incolla mondiale, questa serie di frasi, che in realtà nulla hanno a che vedere con l’equazione di Dirac, sta spopolando. E poi c’è anche chi, credendo di aver visto la Luce, si fa addirittura tatuare “l’equazione dell’amore” addosso, a volte giusta, ma molto spesso perfino sbagliata.
Che – voglio dire – almeno informati, no? È come se uno che dicesse di amare Dante e la Divina Commedia alla follia si facesse tatuare sul braccio: “Durante il cammin di nostra vita…”;
A parte che non si capisce come mai l’entanglement fra due persone che all’inizio si sono amate ma poi si sono lasciate debba manifestarsi necessariamente solo con l’amore eterno e la bontà, e non eventualmente anche con le corna e i lanci di piatti, la cosa buffa è che l’equazione di Dirac non ha proprio nulla a che vedere con l’entanglement quantistico, né, tantomeno, con l’amore! Essa descrive infatti il comportamento di una (singola!) particella di spin ½ (ad esempio l’elettrone) tenendo conto della Relatività Ristretta. L’entanglement, invece, è un fenomeno quantistico che implica più particelle coinvolte simultaneamente, e con l’equazione di Dirac, che descrive appunto il comportamento di un singolo elettrone, non ha proprio niente a che fare.
Come però sempre succede, se si vuole cercare la meraviglia nelle conquiste della Scienza, non c’è proprio bisogno di inventarsi cose che non esistono, perché possiamo ricavare stupore e fascino in abbondanza già da ciò che la Scienza ci racconta.
L’equazione di Dirac permise infatti la previsione teorica del positrone, l’antiparticella dell’elettrone, particella di uguale massa ma con proprietà – chiamiamole – opposte, tra cui ad esempio la carica elettrica. L’esistenza delle antiparticelle è infatti insita nelle soluzioni dell’equazione stessa. La verifica sperimentale arrivò poco dopo, nel 1932, quando nei raggi cosmici fu osservata una particella di caratteristiche uguali a quelle dell’elettrone, ma che curvava in direzione opposta in presenza di un campo magnetico. L’antimateria, di cui altrimenti non si conosceva né si immaginava l’esistenza, è stata prevista a tavolino in base alle soluzioni matematiche di un’equazione.
Chi è Dirac
Dirac, uno dei più grandi fisici teorici di tutti i tempi, fu per questo insignito del premio Nobel nel 1933. Le particelle di antimateria, sebbene appaiano misteriose nell’immaginario collettivo, sono oggi comunemente prodotte negli esperimenti agli acceleratori di particelle, e vengono perfino usate in medicina, in tecniche diagnostiche come la PET, Positron Emission Tomography.
E la domanda che gli scienziati si pongono, oggi, non è perché esiste l’antimateria, ma perché ce n’è così poca! Infatti le leggi della Natura funzionano esattamente allo stesso modo per materia e antimateria. Non fanno praticamente nessuna differenza, e tutto ciò che può avvenire per la materia, può avvenire anche per l’antimateria. Un mondo fatto di antimateria sarebbe identico al nostro mondo che per convenzione definiamo fatto di materia. I bicchieri cadrebbero allo stesso modo quando ci sfuggono di mano, il Sole fatto di antimateria ci scalderebbe allo stesso modo. Tutto sarebbe uguale.
Antimateria fatta in casa oltre che Equazione dell’Amore
Quasi tutto, in realtà. Soltanto in una ristretta categoria di fenomeni, confinato nell’ambito delle interazioni nucleari deboli, materia e antimateria si comportano in modo leggermente diverso. Una differenza però troppo esigua per spiegare come mai l’Universo ci appaia fatto solo di quella che per convenzione chiamiamo materia, e non ci sia traccia di antimateria, se non in una ristrettissima classe di fenomeni. E su questo la fisica delle particelle sta indagando tramite esperimenti dedicati.
Tuttavia, nonostante la presenza dell’antimateria sul palcoscenico del Mondo sia relegata a fenomeni molto particolari e tutto sommato rari, tutti noi abbiamo in realtà inconsapevolmente maneggiato una sorgente di antimateria senza rendercene conto: una banana. Ebbene sì, una comunissima banana emette particelle di antimateria.
La banana contiene infatti Potassio, e l’isotopo 40 di questo elemento è instabile e decade radioattivamente. Nella maggioranza dei casi il Potassio 40 decade trasformandosi in un nucleo di Calcio, con l’emissione di un elettrone. Si chiama, in gergo, decadimento Beta. Tuttavia, nell’ambito dei possibili decadimenti del Potassio 40, una piccola frazione, appena lo 0.001%, avviene emettendo positroni, le antiparticelle degli elettroni. Mediamente ogni 75 minuti una banana emette un positrone, una particella di antimateria.
Una ventina di positroni ogni giorno. Da oggi, ne sono certo, guarderemo con occhi divers
i il cesto di frutta che abbiamo in cucina! Lo credevamo solo una risorsa di vitamine e sali minerali, e invece passa il suo tempo anche a sparare antimateria in giro per la stanza!
Ma non basta. Anche il nostro corpo contiene naturalmente Potassio, e come per le banane, una piccola frazione di esso decade emettendo positroni, per un totale di qualche migliaio al giorno. I positroni che vengono emessi dentro di noi incontrano poi gli elettroni dei nostri atomi, e con essi si annichilano, dando luogo ad altrettanti piccoli lampi di raggi gamma. Tutto questo, grazie all’equazione dell’amore.
Laghi di idrocarburi liquidi e ciottoli di ghiaccio, la geologia esotica di Titano
Grazie alle immagini acquisite tra il 2004 il 2017 dalla sonda Cassini, una missione internazionale che ha visto la collaborazione tra ASI, NASA ed ESA, è stato possibile completare la prima mappa delle principali caratteristiche geomorfologiche di Titano (Figura 1), il secondo satellite del Sistema Solare per dimensioni e l’unico corpo che presenta liquidi in superficie oltre la Terra. Nascosta dalla densa atmosfera, solo con le osservazioni radar della sonda Cassini è stato possibile svelare le unicità di questa luna di Saturno. Oltre alradar, le immagini della camera e dello spettrometro acquisite in una piccola finestra spettrale del vicino infrarosso hanno evidenziato variazioni composizionali e di albedo della superficie (Figura 1 e 2), variabilità che suggerisce un pianeta geologicamente attivo.
Un recente lavoro di cartografia a scala globale (Lopez et alii, 2020) delle morfologie identificate dalle immagini multisensore, mette in evidenza che alcune unità hanno una chiara distribuzione a seconda della latitudine e che alcune tipologie sono più estese rispetto ad altre: ampie aree a bassa riflettività occupano la fascia equatoriale e corrispondono ad estesi campi di dune prodotti dal trasporto eolico, sistemi lacustri e mari caratterizzano le fasce polari, mentre ampie zone pianeggianti occupano gran parte della superficie (Figura 1).
Le aree in rilievo ad alta riflettività radar, presentano una morfologia complessa anche con fasce montuose, suggerendo dinamiche crostali simili a quelle terrestri; però non ci sarebbe un mantello con magma fluido all’interno del satellite ad innescare i movimenti crostali, ma un oceano salato e ricco di idrocarburi in forma liquida miscelati ad altre sostanze organiche (probabilmente ammoniaca). Diversi sono i modelli della struttura interna di Titano basati su varie combinazioni di minerali e composti organici, ma tutte concordano sul fatto che sia presente una struttura con densità differenziata e un flusso di calore capace di mantenere uno strato fluido al di sotto della crosta. Questa dinamicità interna di Titano sarebbe anche responsabile di strutture da criovulcanismo identificate nella fascia equatoriale (Figura 2).
Altopiani di Titano con struttura a ‘labirinto’
Di particolare interesse sono gli altopiani con struttura a ‘labirinto’, così chiamati perchè la loro complessa geometria causata da un insieme di deformazioni tettoniche, erosione fluviale e processi di sublimazione dei ghiacci ricchi di idrocarburi (clatrati), ricorda la pianta di un labirinto. Sono queste le aree che sembrano più ricche di composti organici e quindi un potenziale target per l’esplorazione astrobiologica.
L’unicità di Titano è di avere un sistema idrologico molto probabilmente ancora attivo, basato però su idrocarburi in forma liquida con piogge di metano ed etano che alimentano fiumi e laghi (Figura 3). La distribuzione, struttura e densità dei network fluviali cartografati dalle immagini radar (Miller et alii, 2021), suggeriscono sia una variabilità alle diverse latitudini della tipologia di substrato, sia una variazione delle condizioni climatiche nel passato. Purtroppo i dati a disposizione non permettono studi approfonditi per redimere questi aspetti, dovremo aspettare le future missioni.
Le immagini acquisite dalla sonda europea Huygens (Figura 2), parte della missione Cassini e atterrata su Titano nel 2005, mostrano la presenza di ciottoli di clatrati di forma allungata e arrotondata, tipici dell’ambiente fluviale. Il sito di atterraggio era stato individuato come un potenziale sistema lacustre, ma la sonda registrò condizioni di aridità. In realtà, acquisizioni ripetute nel tempo durante la missione Cassini, hanno mostrato variazioni di albedo del sito di atterraggio, suggerendo periodici eventi di inondazione e quindi l’esistenza di un sistema fluvio-lacustre ancora attivo.
Crateri da impatto su Titano
I crateri da impatto su Titano sono pochi, ulteriore evidenza di attività geologica superficiale che li ha cancellati, e possono essere classificati in due gruppi sulla base della loro risposta spettrale (Solomonidouet alii, 2020): quelli sulle dune e quelli sulle piane. Questi ultimi sembrano contenere anche ghiaccio d’acqua insieme ai composti organici e mostrano un trend di alterazione diverso rispetto a quelli sulle dune. Queste differenze suggeriscono un processo erosivo differenziato nelle due aree, probabilmente dominato dall’erosione fluviale nelle piane. L’anomalia è rappresentata dal cratere Sinlap (Figura 2), considerato il cratere più giovan ee sebbene si trovi nella regione equatoriale dominata dalle dune, contiene ghiaccio d’acqua. È quindi possibile che i crateri delle dune avessero originariamente ghiaccio d’acqua esposto in superficie che è stato poi ricoperto dalla deposizione di materiale organico. Questo sembrerebbe essere un processo di alterazione rapido e continuo. La recente età di Sinlap indica che questo processo sia ancora in corso.
I dati della missione Cassini-Huygens hanno svelato un satellite con una storia geologica complessa, legata a dinamiche interne e atmosferiche ancora poco comprese ma con una forte similitudine a quelle terrestri. Quanto sia ancora geologicamente attivo Titano e le sue variazioni ambientali troveranno risposta solo con le future missioni.
Astrobiologia su Titano
Titano, la più grande luna di Saturno, è l’unico satellite del Sistema Solare a possedere una chimica complessa che lo rende oggetto di studio molto interessante per l’esplorazione planetaria.
Come anticipato nell’articolo precedente da Gabriele Cremonese la missione Cassini-Huygens che ha orbitato attorno a Saturno,rilasciando la sonda atterrata sulla superficie di Titano, ha rivelato una superficie che, nonostante le temperature bassissime di circa 100 K presenta materiale organico complesso probabilmente correlato ai processi chimici che avvengono in atmosfera. Non solo. Huygens ci ha mostrato una superficie solcata da canali, un po’ come quelli visti su Marte. Quindi dei liquidi devono aver solcato la superficie tuttavia non è un mistero che l’acqua a quelle temperature si trova solo sotto forma di ghiaccio. Quindi cosa può essere successo o sta succedendo su Titano?
Oggi sappiamo, sempre grazie alla missione Cassini, che su Titano avvengono complesse reazioni chimiche le quali portano alla formazione in atmosfera di una grande quantità di aerosol composto da materia organica che successivamente si deposita sulla superficie di Titano.
Titano possiede un’atmosfera 1,5 volte più densa di quella terrestre composta principalmente da N2 con la presenza di una piccola percentuale di metano. Queste due semplici componenti costituiscono la base per un’incredibilmente ricca chimica organica, da cui si producono complessi molecolari basati su CHON. Un altro aspetto che ha del sorprendente è la presenza di metano in condizioni vicine al suo punto triplo, in cui cioè le tre fasi solido, liquido e gassoso sono presenti contemporaneamente.
Titano ha un asse inclinato di 26,71 gradi simile alla Terra. Questa caratteristica permette alla luna di Saturno di godere di stagioni che si alternano durante i 29,5 anni che il pianeta impiega a completare la sua orbita attorno al Sole. Il metano gassoso condensa in atmosfera formando nubi dalle quali si originano precipitazioni di metano liquido sulla superficie. Il metano poi evapora, condensa e precipita sulla superficie in forma liquida. In pratica il metano su Titano, è responsabile di un ciclo analogo al ciclo idrologico terrestre, caratterizzato da attività nuvolosa, precipitazioni, che a sua volta si raccolgono in reti fluviali e laghi.
Titano è un enorme laboratorio chimico dove avvengono processi complessi che potrebbero avere importanti implicazioni per i processi chimici che hanno dato origine alla vita. L’abbondante e complesso materiale organico depositato sulla superficie di Titano lo rende una destinazione ideale per studiare le condizioni di abitabilità di un ambiente extraterrestre molto distante dal Sole ma anche per comprendere come potrebbe essere stata la Terra primordiale prima che la vita facesse la sua comparsa. Per tale ragione, può considerarsi un corpo davvero unico nel Sistema Solare.
Altro primato importante, Titano è l’unico corpo, oltre al nostro pianeta, a possedere liquidi sulla superficie che la sonda Cassini ci ha mostrato di raccolti in laghi di metano.
Dragonfly si librerà su Titano
Appassionati di droni, questa è la vostra missione!!
Mi riferisco a Dragonfly selezionata dalla NASA nel 2019 nell’ambito del programma New Frontiers, le missioni di classe media, collocato tra il programma Discovery e le flagship. Il lancio è previsto per il 2027 con arrivo in orbita nel 2034.
L’obiettivo della missione è Titano il satellite più grande di Saturno, con un diametro di 5150 km è più grande di Mercurio, e anche l’unico satellite del Sistema Solare con un’atmosfera importante. La pressione atmosferica arriva a 1.5 volte quella terrestre e la densità a livello della superficie 4 volte superiore, è composta per il 95% di azoto, 5% di metano e tracce di idrogeno ed altri idrocarburi.
L’unica sonda che ha esplorato Titano, sino ad ora, è stata la sonda Cassini che è arrivata nel sistema di Saturno nel 2004 e ha sganciato il lander Huygens il quale grazie ad un paracadute è lentamente atterrato sulla superficie di Titano eseguendo delle misure dell’atmosfera e nei pressi della posizione di atterraggio fornendo anche diverse immagini. La Cassini poi, negli anni successivi è riuscita a passare più volte sopra Titano ottenendo altri dati che insieme a quelli del lander, ci hanno consentito di capire che sono gli idrocarburi, raccolti in laghi siti in regioni ove si pensava ci fosse acqua, e molto probabilmente diverse molecole organiche, a caratterizzare il satellite. Titano diviene così interessante anche da un punto di vista astrobiologico, ma resta comunque difficile da esplorare.
La temperatura sulla superficie è di -179 gradi Celsius e la quantità di luce solare che arriva è ridotta, ben 100 volte minore di quella che arriva sulla Terra a causa della maggiore distanza eliocentrica pari a circa 9 AU, a cui va aggiunto un ulteriore fattore 10 per la densa atmosfera. E’ quindi chiaro che l’energia solare non potrà mai essere una fonte utile per un qualunque lander o rover che vorrà esplorare Titano.
La brillante idea della proposta di Dragonfly consiste nell’esplorare Titano volando sopra la superficie, partendo dall’esperienza del piccolo drone Ingenuity, sganciato su Marte insieme a Perseverance, utilizzando un ottacottero, dotato cioè di otto rotori.
Dragonfly alla fine peserà 500 kg e potrà raggiungere una velocità di 36 km/h e alzarsi fino a 4000 metri dalla superficie.
Congresso dedicato al progetto implementativo CAESAR (Comprehensive Space Weather Studies for the ASPIS Prototype Realization)
AUDITORIUM dell’AGENZIA SPAZIALE ITALIANA (ASI)
Via del Politecnico snc – ROMA
(Roma) Il 24 maggio p.v. la sede dell’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) ospita, nell’ambito del programma ASPIS (ASI Space Weather InfraStructure), il congresso dedicato al progetto implementativo CAESAR (Comprehensive Space Weather Studies for the ASPIS Prototype Realization), che si avvia alla chiusura.
“La giornata di lavori del 24 maggio, ospitata dalla sede dell’ASI, è un’occasione importante per presentare i risultati del progetto CAESAR, che si avvia alla chiusura. Frutto della collaborazione di circa cento scienziati – spiega Monica Laurenza, Primo ricercatore presso l’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), coordinatrice del progetto CAESAR – che si occupano di meteorologia spaziale, il progetto ha effettuato studi scientifici molto promettenti per capire le cause e gli effetti sulla salute dell’uomo e sulla società dei fenomeni che avvengono dal Sole alla Terra, fino agli ambienti planetari, in conseguenza delle eruzioni solari. Soprattutto il progetto ha realizzato il prototipo della prima banca dati di meteorologia spaziale di cui si dota l’ASI. Grazie a CAESAR dunque, nel nostro Paese nasce il prototipo di una infrastruttura di rilevanza strategica e ad uso di tutta la comunità scientifica dello Space Weather.”
CAESAR è stato selezionato e supportato da ASI e INAF nell’ambito dell’accordo attuativo ASI-INAF per “Attività di studio per la comunità scientifica dello Space Weather per il popolamento del centro dati scientifico ASPIS.
“CAESAR è il prototipo dell’infrastruttura dati di ASI per lo Space Weather, ASPIS, il cui obiettivo è diventare il nodo di aggregazione e sviluppo delle attività scientifiche legate alla Ricerca sullo Space Weather della comunità scientifica Italiana” spiega Giuseppe Sindoni, capo Progetto di ASPIS per ASI. “La Scienza supportata da ASPIS ha l’obiettivo di permettere alla comunità scientifica nazionale di cogliere le opportunità di partecipazione che si apriranno in ambito EU e internazionale, sia nell’ ambito della modellistica e analisi dati, che in quello della strumentazione, fornendo supporto e strumenti per lo studio dell’ambiente lunare, cislunare o marziano, per valutare gli effetti sui payload e sugli astronauti, per lo studio delle magnetosfere e delle superfici planetarie”.
Gli scienziati coinvolti nel progetto appartengono a tre enti di ricerca (INAF, Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia), sette università italiane (Calabria, Catania, Genova, L’Aquila, Perugia, Roma Tor Vergata, Trento) ed alcuni istituti stranieri. Info più dettagliate sul sito: https://caesar.iaps.inaf.it/
Tra gli obiettivi del progetto la volontà di ampliare la comprensione dell’origine e dell’evoluzione dei fenomeni e fornire dati, codici e modelli sia nuovi che consolidati. A ciò si aggiunge l’obiettivo di progettare, implementare e popolare con tali prodotti il prototipo ASPIS in un’infrastruttura flessibile e di facile utilizzo e, infine, aprire la strada a future capacità di previsione avanzate. Ultimo obiettivo: la garanzia di un’efficace diffusione e promozione per gli studi futuri.
Cosa si intende per Space Weather?
“La definizione europea è stata messa a punto nel 2006 da un gruppo di lavoro specifico di cui ho fatto parte nell’ambito dell’azione europea 724 della COST (Cooperation in Science and Technology), denominata “Developing the Scientific Basis for Monitoring, Modelling and Predicting Space Weather”. Questa definizione è stata poi adottata dall’Agenzia Spaziale Europea ESA, che la utilizza nei suoi documenti ufficiali.
Il termine Space Weather (Tempo meteorologico dello spazio) indica lo stato fisico e fenomenologico degli ambienti spaziali naturali. La disciplina associata (Meteorologia dello spazio) ha lo scopo, tramite l’osservazione, il monitoraggio, l’analisi e la modellistica, di comprendere e prevedere lo stato del Sole e degli ambienti interplanetari e planetari e le perturbazioni di origine solare e non solare che li interessano e di prevedere a lungo ed a breve termine i potenziali impatti sui sistemi biologici e tecnologici.” di MAURO MESSEROTTI, ASSOCIATO INAF CON INCARICO DI RICERCA, SENIOR ADVISOR FOR
SPACE WEATHER PRESSO LA DIREZIONE SCIENTIFICA DELL’INAF.
Le nebulose, con la loro maestosa bellezza e complessità, sono tra gli oggetti più affascinanti dell’universo. Questi immensi agglomerati di gas e polvere sono testimoni silenziosi della nascita e della morte delle stelle, e giocano un ruolo cruciale nell’evoluzione delle galassie. In questo articolo, esploreremo i vari tipi di nebulose, le teorie sulla loro formazione, alcune delle nebulose più note e dove si trovano generalmente nell’Universo. Inoltre, approfondiremo la natura specifica delle nebulose planetarie.
Indice dei contenuti
Tipi di Nebulose
Le nebulose possono essere classificate in diverse categorie in base alla loro natura e origine:
Oscure: Sono nubi di gas e polvere così dense da bloccare la luce delle stelle alle loro spalle.
a Riflessione: Riflettono la luce delle stelle vicine, spesso assumendo una colorazione blu a causa della dispersione della luce.
a Emissione: Conosciute anche come regioni H II, queste nebulose brillano in rosso perché il gas ionizzato emette luce a specifiche lunghezze d’onda.
Planetarie: Formate dagli strati esterni espulsi di stelle morenti, queste nebulose spesso presentano forme simmetriche e colori vivaci.
Resti di Supernova: I resti di stelle esplose in supernove, questi oggetti sono fonti importanti di elementi pesanti nell’universo.
Teorie sulla Formazione delle Nebulose
La formazione delle nebulose è strettamente legata ai processi di vita e morte delle stelle. Le nebulose oscure e a riflessione sono spesso associate alla nascita di nuove stelle, mentre le nebulose planetarie e i resti di supernova segnano il termine del ciclo vitale stellare.
da Formazione Stellare: Si formano in regioni di spazio ricche di gas e polvere, dove l’attrazione gravitazionale fa collassare la materia, innescando la nascita di nuove stelle.
da Morte Stellare: Quando una stella esaurisce il suo combustibile nucleare, può espellere i suoi strati esterni nello spazio, creando una nebulosa planetaria. Se la stella esplode come supernova, i resti possono formare una nebulosa di questo tipo.
Oggetti Noti e Conosciuti
Alcune delle nebulose più famose includono:
Nebulosa di Orione (M42): Una delle nebulose a emissione più brillanti e facilmente osservabili.
Nebulosa Testa di Cavallo: Una nebulosa oscura situata nella costellazione di Orione.
Nebulosa dell’Aquila (M16): Famosa per i “Pilastri della Creazione”, colonne di gas e polvere che ospitano nuove stelle in formazione.
Nebulosa del Granchio (M1): Il resto di una supernova osservata nel 1054.
Ubicazione delle Nebulose
Questi oggetti estesi si trovano principalmente nello spazio interstellare, le regioni tra le stelle all’interno delle galassie. Le nebulose visibili dalla Terra o dal nostro Sistema Solare sono tutte contenute all’interno della Via Lattea. La nebulosa più vicina a noi è la Nebulosa Elica, situata a circa 700 anni luce di distanza. La nebulosa elica è una nebulosa planetaria situata a circa 650 a.l. di distanza dal nostro sistema solare e può essere considerata tra le più vicine.
Calcolando la velocità di espansione dei gas più interni e di quelli esterni, gli astronomi hanno calcolato un età media di questo oggetto di circa 12.000 anni.
La nebulosa, si è formata a seguito delle violente reazioni termonucleari di una stella morente.
Tale stella di medie dimensioni ha espulso i gas più esterni, creando così questa particolare forma con filamenti che si espandono in modo radiale partendo dal centro, dove si trova la stella nana bianca (che originariamente aveva una massa di circa 0.8 – 8 volte quella del nostro sole).
La zona più esterna della nebulosa invece presenta una colorazione rosso arancio ed’è formata da gas più freddi mentre la parte interna di colore verde azzurro è ricca molecole di gas e materia più calda e che riflettono maggiormente la luce della stella situata all’interno.
Cos’è una Nebulosa Planetaria
Una nebulosa planetaria è il risultato finale della vita di una stella di piccola o media massa. Dopo aver esaurito il suo combustibile nucleare, la stella espelle gli strati esterni, che vengono illuminati dalla radiazione ultravioletta del nucleo caldo rimanente. Questi strati di gas ionizzato formano la nebulosa planetaria, che può assumere forme spettacolari e colori vivaci.
“La prima volta che si sentì parlare del James Webb Space Telescope (JWST) era il 1989 e il telescopio spaziale Hubble doveva ancora entrare in funzione, sarebbe stato lanciato infatti appena l’anno dopo e ben presto si iniziò a definirlo come il successore di Hubble.”
di Antonella Nota
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Hubble Space Telescope e James Webb Space Telescope a confronto
Che l’Hubble sarebbe rimasto in funzione così a lungo, e così a lungo avrebbe contribuito ad alcune fra le più importanti scoperte astronomiche degli ultimi trent’anni, nessuno poteva pensarlo, così come nessuno avrebbe potuto immaginare che ci sarebbe voluto così tanto tempo per realizzare il JWST. Trentatré annifrom concept to reality, per la precisione. Ma possiamo davvero continuare a pensare che l’osservatorio spaziale dallo specchio dorato sia semplicemente il successore del telescopio spaziale che ha fatto la storia? Lo abbiamo chiesto ad Antonella Nota, astronoma del STSCI a Baltimora e project scientist di Hubble e JWST per l’ESA.
“All’inizio le ipotesi di durata di Hubble puntavano ai dieci anni, oggi siamo già a 32, come l’energizer bunny, è super strong. Il termine successore quindi perde valore già solo per questioni temporali, sono infatti inaspettatamente operativi contemporaneamente finendo per creare una sinergia. Una sorpresa molto utile per la scienza. Con Hubble che ha uno specchio di due metri e mezzo e Webb di 6 metri e mezzo, sia ha la copertura di tutto lo spettro, a partire dall’ultravioletto e fino all’infrarosso medio. Ciò ribalta completamente l’approccio iniziale ed è indispensabile che ora passi l’idea corretta ceh questi due strumenti in realtà si potenziano a vicenda. Abbiamo anche creato sui social media la campagna “best friends in space. Ci sono un sacco di programmi di ricerca che li usano entrambi, ci aspettiamo risutlati incredibili”.
Quali sono le ragioni per cui dire che JWST è il successore di Hubble è fuorviante e quali quelle per cui può essere considerato tale?
Allora, pensandoci un attimo, l’unico modo in cui vedo una successione è la sfida che abbiamo: portare Webb allo stesso livello di Hubble, quanto a visibilità nella comunità e nel pubblico. Hubble è iconico, è diventato un nome riconosciuto in qualunque parte del mondo, un vero e proprio brand. La gente riconosce le foto di Hubble che sono oramai dappertutto: nei film, nell’arte, ovunque vi sia un’immagine astronomica con grande probabilità si tratta di un’immagine di Hubble. Riuscire a ripercorrere gli stessi step di Hubble in 30 anni stabilendo questa connessione intima con le persone in tutto il mondo: è questa la sfida per noi. Webb sarà il successore di Hubble se riusciremo a portarlo allo stesso livello di visibilità, comprensione e ammirazione.
Perché è così importante che ci si affezioni a una missione spaziale come Hubble e Webb?
Per me non è importante che ci si affezioni, ma capita, succede. È una conseguenza quasi naturale. Se ci pensi, con Rosetta è successa un po’ la stessa cosa perché sono avventure di esplorazione e fanno vivere a tutti le stesse emozioni, e normale che un po’ le persone ci si identifichino. Che Hubble fosse diventato una presenza quasi antropomorfica, che fosse più di un telescopio, però l’abbiamo scoperto quando la NASA ha provato a cancellare l’ultima servicing mission nel 2009: c’è stata una rivolta del pubblico, ricevevamo lettere di bambini che ci mandavano il salvadanaio, la paghetta settimanale, delle cose incredibili. Con Webb la campagna di conquista del pubblico prima del lancio non ha funzionato, Webb è considerato “il costoso”, e certo i ritardi non hanno aiutato. Ora è importante far arrivare il messaggio che i ritardi sono stati condizionati dalla necessità di realizzare un lavoro ben fatto. Che i membri dei team hanno operato con serietà e rispetto per il progetto così ambizioso e importante per il futuro della scienza.
E come sta andando ora?
La mia impressione è che si siano già fatti passi da gigante in questo primo mese. Grazie al fatto che il lancio è stato fantastico e con il contributo della NASA che ha gestito la campagna di comunicazione sul deployment in modo eccezionale, abbiamo visto infatti la nostra following base moltiplicarsi di giorno in giorno. Il nostro profilo su Twitter, e parlo solo di quello europeo, aumenta di duemila follower al giorno. Sono tutti lì che seguono, che vogliono vedere la fine, e quindi per noi la sfida è quella di continuare a tenere tutti informati, ma anche approfittare di questo momento per attrarre l’interesse del pubblico nei confronti dell’astronomia e della scienza. Gli astronomi hanno vita facile: è facile ispirare un pubblico facendo vedere immagini bellissime o parlando di fenomeni celesti ma per me oggi, a livello di educazione scientifica, si potrebbe fare molto di più e missioni così hanno proprio il potenziale di allargare gli orizzonti, creare curiosità e formare la prossima generazione di scienziati, che non devono essere necessariamente astronomi.
L’orbita di Webb è molto diversa da quella di Hubble, in primo luogo per via della distanza. Cosa succederebbe se qualcosa dovesse funzionare male, come accaduto ad Hubble?
Nella scelta di posizionare Webb in L2, scienziati e ingegneri erano assolutamente consci dei rischi: Webb avrebbe dovuto funzionare dal primo momento, e non ci sarebbero state possibilità di riparazione. E la differenza fra una missione che funziona e una che fallisce è proprio la preparazione, tornando quindi al motivo per cui sono stati spesi tanti anni per i test, con il risultato di essere immersi in un’esperienza gratificante ed entusiasmante in cui tutto sembra andare nel verso giusto e non per fortuna ma per professionalità. Webb avrà anche un lunga ed inaspettata durata: grazie una manovra di intersezione nell’orbita praticamente perfetta, è stato risparmiato molto carburante durante le minime correzioni, lasciandone una buona scorta per le operatività future. Si parla di oltre vent’anni per una missione che doveva durarne a malapena 5 o al massimo 10, un grandissimo successo.
Qualcuno parla della possibilità di impiegare missioni robotiche…
Gli ingegneri sono sempre estremamente creativi, e abbiamo visto in passato che hanno il pregio di non fermarsi di fronte a nulla. Quindi non escludo, per quanto non ci sia nulla di programmato, che i team potrebbero stupirci in qualche “diavoleria” in caso di un’inattese criticità. Al momento tutto sta andando benissimo. A metterci tranquilli è l’esperienza vissuta con Hubble quando c’è stato il problema dell’aberrazione sferica, le cose alla fine si sono aggiustate, certo non immediatamente e ci sono voluti due o tre anni, però la comunità scientifica è stata molto reattiva. Personalmente quindi sono molto fiduciosa e una missione robotica sarebbe l’unica opzione, l’intervento degli astronauti è da escludere: Webb è troppo lontano ed è troppo pericoloso e oggi ancora non esiste un modo per metterli in sicurezza. Poi è vero anche che non si esclude mai nessuna ipotesi a priori. “The sky’s the limit”, non c’è limite alla creatività del cervello umano.
Come saranno le immagini di Webb rispetto a quelle di Hubble?
Allora le immagini saranno diverse. Saranno bellissime, sì certamente, ma saranno diverse per due motivi. Intanto Webb è cento volte più potente di Hubble e quindi riuscirà a vedere i dettagli che con Hubble erano assolutamente non visibili. Qualsiasi cosa osservata con un in gradimento 100 invece di 10 sarebbe assolutamente diversa: un universo completamente nuovo. Webb poi, come dicevamo, opera nell’infrarosso, che è una regione dello spettro ancora abbastanza sconosciuta. Abbiamo già avuto satelliti infrarossi (come Spitzer o ancora prima Iras), stiamo parlando però di strumenti piccoli e di conseguenza con una capacità limitata in risoluzione (l’abilità di vedere separati due oggetti deboli). Con uno specchio da sei metri e metri e mezzo JWST cambierà completamente la visione dell’universo.
Facciamo un esempio: Hubble con uno specchio di 2 metri e mezzo è riuscito ad allargare l’orizzonte dell’universo osservato fino a 400-500 milioni dopo il Big Bang, e quindi ha osservato galassie che si erano formate 400-500 milioni di anni dopo il momento iniziale. La speranza è che Webb superi quel limite e arrivi ai primi 100 milioni di anni fino ad osservare veramente come si sono formate le prime galassie. Mi chiedono ogni tanto, riuscirà Webb a vedere anche le prime stelle? Forse, questa è il grande sogno. Le prime stelle probabilmente sono comparse proprio nei primi 100 milioni di anni, siamo proprio al limite quindi delle potenzialità.
Per JWST inoltre, dobbiamo tener conto che, a differenza di Hubble, che la sua attività scientifica principale non dipenderà esattamente dalle immagini.
Ci spieghi meglio…
JWST è, principalmente, un telescopio spettroscopico. Questa è una cosa a cui il pubblico dovrà abituarsi, e sarà una sfida per noi spiegare la differenza tra fare astronomia usando solo immagini e fare astronomia avendo informazioni quantitative che vengono dagli spettri. Gli strumenti che ci aspettiamo che faranno faville, nel caso di Webb, sono appunto gli spettrografi: quello europeo Nirspec, in particolare, nel corso del primo anno osserverà per ben il 40 per cento del tempo. Gli spettri sono fondamentali perché permettono agli astronomi di capire di capire la composizione di ciò che stanno guardando. Non solo come si mostra ma quali sono le proprietà chimiche, fisiche, la temperatura, la gravità e i moti. Sarà una rivoluzione della comunicazione perché dobbiamo riuscire a spiegare al pubblico che vede uno spettro, molto simile ad un elettrocardiogramma, l’importanza che tutti quei tracciati hanno per le scoperte che Webb farà.
Considerando la diversità negli strumenti e il diverso regime di lunghezza d’onda, potremmo quindi dire che JWST prende in carico quello che ha fatto Hubble per migliorarlo da un lato e completarlo dall’altro?
Assolutamente si!
Quindi, per questo, possiamo dire che JWST è il successore di Hubble: ha un’eredità da cui partire.
Si, forse questo è l’unico aspetto in cui considerare JWST il successore di Hubble ha senso. Diciamo che è una crescita rispetto alla missione precedente. Hubble ha messo le fondamenta e Webb costruirà la casa, o forse il grattacielo, non c’è dubbio. Però ci tengo a precisare che continueranno a lavorare insieme perché sono di fatto complementari ed è importantissimo: Webb lavora solamente nell’infrarosso, vicino e lontano, mentre l’ottico e l’ultravioletto li ha solo Hubble. Secondo me continueremo a vedere le immagini bellissime di Hubble che ci spiegheranno le incredibili scoperte astrofisiche che farà Webb. Questa è la mia predizione: che questa sinergia fra i due ci presenterà una visione del cielo sempre più ricca, la nostra comprensione dell’Universo in generale diventerà molto più completa e per questo dovremo ringraziare questi due “colossi scientifici” che lavorano in sinergia.
Biografia
Antonella Nota ricopre il ruolo di Project Scientist del telescopio spaziale James Webb per l’Agenzia Spaziale Europea (ESA) allo Space Telescope Science Institute (STSCI) di Baltimora. Nata a Venezia, Nota è sempre stata appassionata di astronomia. Dopo la laurea all’università degli studi di Padova ha ottenuto una posizione come ricercatrice postdoc all’ESA, in Germania. Un anno e mezzo dopo si è trasferita a STSCI, negli Stati Uniti, per lavorare a uno degli strumenti del telescopio spaziale Hubble, la Faint Object Camera. Dopo aver ottenuto una posizione permanente per l’ESA nello stesso istituto, ha assunto il ruolo di capo del Science Mission Office, dirigendo circa 150 scienziati dell’istituto, per poi cominciare a curare la parte scientifica del telescopio spaziale Hubble e James Webb. Attualmente, per l’osservatorio spaziale Webb, si occupa di comunicazione di policy scientifiche alla comunità scientifica e con il pubblico.
Il Sole è stato il punto di riferimento di innumerevoli generazioni dall’alba della vita su questo pianeta, un Dio dispensatore di luce, bene o male in molte religioni, mentre la sua temporanea mancanza nelle eclissi è stata fonte di sgomento e terrore: e tutto ciò perché esso è una sorgente inestinguibile di luce e calore, ma cos’è la luce?
La Luce
Il termine luce (dal latino lux) si riferisce alla porzione dello spettro elettromagnetico visibile dall’occhio umano, approssimativamente compresa tra 400 e 700 nanometri di lunghezza d’onda. Questo intervallo coincide con il centro della regione spettrale della luce emessa dal Sole che arriva al suolo attraverso l’atmosfera ed è visibile dall’occhio umano. Tuttavia la gamma di radiazione elettromagnetica che arriva dalla nostra stella è molto più vasta, e può andare da frequenze molto piccole, a quelle dell’IR , generanti calore. La parte di radiazione solare pericolosa per l’uomo, che giunge sulla terra come l’UvC e parte dell’IR è assorbita dall’atmosfera terrestre, ma tuttavia quella residua oltre il visibile rende impossibile l’osservazione del sole ad occhio nudo, pena, oltre all’abbagliamento, severi danni alla vista.
Il Sole è anche la stella a noi più vicina, e costituisce un gigantesco laboratorio dove possono essere studiati fenomeni fisici che, per la loro scala, non sono accessibili alla sperimentazione terrestre e non possono essere studiati in stelle più lontane: proprio per questo il loro studio ha contribuito, e contribuisce in modo notevole, al progresso generale dell’astrofisica.
Strumenti professionali per lo studio del Sole
La ricerca professionale sul Sole si avvale di strumentazioni sofisticate basate a terra, come, ad esempio , il Big Bear Solar Observatory e lo Swedish Solar Telescope a la Palma (Canarie), la torre solare di Mount Wilson e, ancor di più di strumentazioni satellitari come le famose SOHO (Solar and Heliosheric Observatory) , SDO (Solar Dynamics Observatory) e le meno conosciute, IRIS, Stereo, Parker Solar Probe ed altre ancora.
Ma cosa si può osservare sul sole?
Le principali strutture osservabili da terra del disco solare sono:
La Fotosfera
lo strato superficiale del Sole, spesso circa 500 Km, al di sotto del quale la stella diviene opaca alla luce; si tratta dunque del primo strato visibile, dal quale l’energia proveniente dall’interno è libera di propagarsi nello spazio. È sede di fenomeni come i granuli ,celle ascendenti e discendenti di plasma della zona di convenzione di circa 1000 Km di diametro medio, e le macchie solari. Queste ultime, pur essendo molto calde (tra 2700- 4200 °C ) appaiono scure per contrasto rispetto alla restante superficie solare a circa 5500 °C. Esse normalmente si mostrano in coppie aventi opposta polarità magnetica. Nell’immagine che segue (fig 1) un gruppo di macchie e la granulazione riprese in luce bianca.
Il numero delle macchie solari cresce da un minimo ad un massimo con cadenza undecennale (cd “ciclo solare”). Attualmente ci troviamo nel ciclo solare 25, iniziato nel dicembre 2019 che, contrariamente alle previsioni, si preannuncia più interessante del 24. Un gruppo di scienziati sponsorizzati dalla NASA aveva previsto che il ciclo 25 sarebbe stato simile al 24 , quindi con un numero di macchie al di sotto della media, mentre le ultime previsioni, sulla scorta anche dell’attività sinora registrata e dello studio di Scott Mc Intosh e altri pubblicato su Solar Physics, fanno prevedere un’attività ben superiore a quella del ciclo precedente. L’immagine che segue (fig. 2), (fonte NASA blogs-solar cycle 25) dà un’idea molto precisa della situazione attuale delle previsioni sino al 2035.
La Cromosfera
La cromosfera è l’atmosfera del Sole: una sottile fascia spessa circa 2300 km al di sopra della fotosfera, con temperatura che, di circa 6000 K ai confini della fotosfera, comincia a decrescere immediatamente dopo sino a 3800 K, per poi crescere nuovamente sino ai 10000 K e poi 20000 K nei suoi strati più alti. Essa prende il suo nome dal greco chroma, chromatos, colore, a causa dei suoi brillamenti colorati visibili subito prima e subito dopo le eclissi totali di Sole. È un sottile involucro costituito da gas rarefatto che appare di colore rossastro; in realtà, lo strato è trasparente. La colorazione rossastra è dovuta agli atomi di idrogeno, in particolare di Idrogeno ionizzato alla lunghezza d’onda di 6562.8 A (rosso profondo) che alle più basse pressioni ed alte temperature della cromosfera emettono radiazioni di tale colore. La cromosfera non è normalmente visibile senza appositi filtri o telescopi solari, che vedremo in seguito; tuttavia essa è visibile in occasione delle eclissi solari totali, insieme alle protuberanze. Le caratteristiche più interessanti della cromosfera sono:
-Il Cd Cromospheric Network che evidenzia le celle di supergranulazione, meglio visibile in luce Idrogeno Alfa a Calcio ionizzato, con supergranuli di diametro di circa 30.000 Km, quindi molto più grandi dei granuli fotosferici
-Le Plages, strutture brillanti intorno alle macchie fotosferiche, dovute alla concentrazione di attività magnetica in tali zone cd.”Attive”.
-Le Protuberanze, getti di materia che si estendono oltre la superficie solare per effetto di forti campi magnetici.
-I Filamenti, strie di colore scuro, protuberanze proiettate sul disco, che appaiono scure per contrasto.
-Le Spicules, l’erba della cromosfera, piccole eiezioni di plasma sulla base della cromosfera.
La Corona del Sole
La corona è la parte esterna dell’atmosfera solare, non ha limiti definiti, e si estende nello spazio per decine di milioni di chilometri in modo molto tenue. È costituita da plasma a elevatissima temperatura (oltre un milione di gradi °C). È sede di fenomeni come le CME (espulsioni di massa coronale). La corona non è normalmente visibile, ma lo è in occasione delle eclissi totali di sole, ovvero con uno speciale strumento detto coronografo, che simula un eclisse occultando il disco solare, naturalmente in luoghi con atmosfera tersa e molto limpida, non certo dalle città.
Perchè Osservare il Sole?
Ma veniamo alla domanda più interessante: come si pongono gli astrofili nei confronti dell’osservazione solare e come può la passione per l’astronomia e quindi per oggetti a noi più lontani come nebulose e galassie, coniugarsi con la passione per una stella che, per la sua vicinanza, potrebbe apparire un oggetto di osservazione quasi scontato se non banale. La risposta è semplice e complessa allo stesso tempo:
L’osservazione solare viene effettuata di giorno, e resta quindi più agevole per molti astrofili che non hanno la possibilità di recarsi in luoghi bui e lontani per ammirare o fotografare gli oggetti del cielo profondo.
L’inquinamento luminoso e quello indotto dalla miriade di satelliti che gravitano sopra le nostre teste non incide in alcun modo sull’osservazione e , ancor di più, sull’imaging solare.
Contrariamente a quanto si crede, il sole costituisce un oggetto di osservazione estremamente mutevole ed interessante per la continua variabilità delle sue strutture.
Il fenomeno ricorrente e caratteristico delle macchie solari, che già nei secoli scorsi aveva colpito scienziati del calibro di Galileo, affascina ancora oggi non solo gli astrofili, ma anche coloro che non seguono l’astronomia.
Alle precedenti considerazioni se ne aggiunge un’altra, che appartiene più al campo della psicologia che a quello dell’astrofisica: esiste probabilmente in noi una componente ancestrale che inconsciamente ci attrae verso la nostra stella.
Tra questi motivi, primeggia quello della variabilità dei fenomeni che avvengono sul Sole. Il ciclo delle macchie solari, che pur ripetendosi con cadenza undecennale è sempre diverso come intensità, forza magnetica e dimensioni delle macchie stesse, i flares, le mutevoli ed emozionanti caratteristiche cromosferiche come le protuberanze, ne sono un esempio. L’osservazione solare è andata quindi crescendo in modo notevole negli ultimi anni, coinvolgendo un numero sempre maggiore di astrofili, grazie all’evoluzione tecnologica della strumentazione per l’osservazione visuale e l’imaging del sole, ed al fatto che anche coloro che si interessano principalmente di osservazione del cielo profondo l’osservazione solare viene comunque effettuata a latere dell’interesse principale.
Inutile dire che tale tipo di osservazione va effettuata con la massima accortezza, e la consapevolezza che approcci superficiali possono causare gravi danni agli occhi, data l’intensità ed il calore della radiazione che ci giunge dal nostro astro. Occorre quindi conoscere a fondo la propria strumentazione ed usare sistemi di filtraggio della luce idonei e certificati, e mai affidarsi a filtri dei quali non si conosce la provenienza e la qualità o, peggio ancora, fatti in casa.
Le Teorie della Formazione del Sole
La formazione del Sole è un argomento che ha affascinato gli scienziati per secoli. Le teorie sulla nascita della nostra stella si sono evolute nel tempo, grazie ai progressi nelle osservazioni astronomiche e nella comprensione dei processi fisici dell’universo.
L’Ipotesi Nebulare
La teoria più accreditata sulla formazione del Sole è l’ipotesi nebulare. Secondo questa teoria, circa 4,6 miliardi di anni fa, una vasta nube di gas e polveri, nota come nebulosa solare, ha iniziato a collassare sotto la propria gravità. Questo processo ha portato alla formazione di un disco protoplanetario e, al centro, di una protostella, il futuro Sole.
Il Collasso della Nebulosa
Il collasso della nebulosa solare ha provocato un aumento della temperatura e della pressione al suo interno. Quando la temperatura ha raggiunto circa 10 milioni di gradi Celsius, si sono innescate le reazioni di fusione nucleare, trasformando l’idrogeno in elio e liberando enormi quantità di energia. Questo ha segnato la nascita del Sole come stella della sequenza principale.
La Formazione del Disco Protoplanetario
Attorno al protosole si è formato un disco di gas e polveri. All’interno di questo disco, i materiali più densi e pesanti hanno iniziato ad aggregarsi, formando i cosiddetti planetesimi. Questi corpi, attraverso processi di accrescimento e collisioni, hanno dato origine ai pianeti del sistema solare.
L’Influenza delle Supernovae
Alcune teorie suggeriscono che il collasso della nebulosa solare possa essere stato innescato o accelerato da eventi esterni, come l’esplosione di una supernova vicina. L’onda d’urto di una supernova avrebbe potuto comprimere la nebulosa, favorendo il collasso e la formazione del Sole e dei pianeti.
Conclusione
Le teorie sulla formazione del Sole continuano ad essere oggetto di studio e di dibattito. Ogni nuova scoperta astronomiche può fornire ulteriori indizi su come la nostra stella, e con essa il sistema solare, sia venuta alla luce. La missione Solar Orbiter dell’ESA, ad esempio, potrebbe fornire nuove informazioni sulla fisica solare che potrebbero influenzare la nostra comprensione della formazione stellare.
Il Sole in dati
Distanza dalla Terra: Il Sole si trova a circa 150 milioni di chilometri dalla Terra, per l’esattezza la distanza fra Terra e Sole è chiamata Unità Astronomica e corrisponde a 149.597.870.707. di metri, o anche circa 149 milioni di km.
Luce Solare: Per percorrere questa distanza, la luce impiega circa 8 minuti e 19 secondi per raggiungere il nostro pianeta.
Diametro: Il Sole ha un diametro di circa 1,4 milioni di chilometri.
Massa: La massa del Sole è circa 330.000 volte superiore a quella della Terra.
Temperatura della Corona: La corona solare, lo strato più esterno dell’atmosfera del Sole, ha una temperatura di oltre 1 milione di kelvin.
Campo Magnetico: Il Solar Dynamics Observatory (SDO) della NASA studia la struttura del campo magnetico solare e come la sua energia viene immagazzinata e convertita nello spazio sotto forma di vento solare.
Attività Solare: L’attività solare segue cicli lunghi in media undici anni, durante i quali le macchie solari aumentano progressivamente fino a raggiungere un picco.
Il Sole immortalato da vicino in questo video catturato dalla sonda Solar Orbiter dell’ESA
L’Agenzia Spaziale Europea (ESA) ha distribuito questo video dal paesaggio ultraterreno e fantascientifico.
Si tratta della ripresa da vicino del Sole effettuata dalla sonda Solar Orbiter dell’ESA. Il Sole appare in continuo movimento e la sonda ha filmato la transizione dall’atmosfera inferiore del Sole alla corona esterna, molto più calda. Le strutture simili a capelli sono costituite da gas carico (plasma), che segue le linee del campo magnetico che emergono dall’interno del Sole.
Le regioni più luminose sono intorno al milione di gradi Celsius, mentre il materiale più freddo appare scuro poiché assorbe le radiazioni.
Il video è stato registrato il 27 settembre 2023 dallo strumento Extreme Ultraviolet Imager (EUI) su Solar Orbiter. In quel momento (traccia la posizione in tempo reale della sonda) la navicella spaziale si trovava a circa un terzo della distanza della Terra dal Sole (circa 149 milioni di km) e il 7 ottobre si sarebbe avvicinata ancor di più, sino a 43 milioni di km.
Una squadra vincente: Solar Orbiter e Parker Solar Probe
Nello stesso giorno in cui è stato registrato questo video, la Parker Solar Probe della NASA ha sfiorato appena 7,26 milioni di km dalla superficie solare. Parker misura le particelle e il campo magnetico nella corona solare e nel vento solare e l’occasionale presenza di entrambe le sonde così vicino al Sole è stata un’opportunità perfetta per le due missioni di collaborare. Con gli strumenti di telerilevamento del Solar Orbiter guidato dall’ESA hanno osservato la regione di origine del vento solare che avrebbe successivamente attraversato la Parker Solar Probe.
I dettagli del video
In angolo in basso a sinistra: una caratteristica intrigante visibile per tutta la durata del film: è il gas luminoso che crea delicati motivi simili a merletti attraverso il Sole. Si tratta di piccoli laghi. Di solito appare intorno alla base di grandi anse coronali che sono troppo calde o troppo tenui per essere viste con le impostazioni dello strumento prescelte.
Sull’orizzonte solare: picchi di gas, noti come spicole, si estendono dalla cromosfera del Sole fino a raggiungere anche altezze di 10 000 km.
Tempo 0:22: una piccola eruzione al centro del campo visivo, con materiale più freddo sollevato verso l’alto prima di ricadere in gran parte verso il basso. Ma non lasciatevi ingannare dall’uso del termine “piccolo”: questa eruzione è più grande della Terra!
Centro-sinistra intorno al tempo 0:30: la pioggia coronale “fresca” (probabilmente inferiore a 10.000 °C) appare scura sullo sfondo luminoso di grandi anelli coronali (circa un milione di gradi). La pioggia è costituita da grumi di plasma ad alta densità che ricadono verso il Sole sotto l’influenza della gravità.
La missione
La missione Solar Orbiter dell’European Space Agency (ESA) rappresenta un passo avanti significativo nella comprensione della nostra stella più vicina, il Sole. Fu concepita per rispondere a domande fondamentali sulla fisica solare e sulla sua influenza sull’eliosfera, l’ambiente spaziale che abbraccia tutto il nostro Sistema Solare.
Storia della Realizzazione
Il Solar Orbiter è il laboratorio scientifico più complesso mai inviato verso il Sole. La sua realizzazione è frutto di un’ambiziosa collaborazione internazionale che ha visto la partecipazione di diverse agenzie spaziali e istituti di ricerca. Il progetto è stato selezionato come la prima missione di classe media del programma Cosmic Vision 2015-2025 dell’ESA.
Oltre all’ESA, che ha la responsabilità principale della missione, la NASA ha fornito un sensore aggiuntivo e uno strumento rimanente. L’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) e l’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) hanno contribuito con il coronografo METIS e la Data Processing Unit di SWA (Solar Wind Analyzer), con ulteriori contributi da Germania e Repubblica Ceca.
Lancio e Traiettoria della Solar Orbiter
La sonda è stata lanciata il 10 febbraio 2020 dalla base di Cape Canaveral in Florida, a bordo di un razzo Atlas V fornito dalla NASA.
Percorso Durante i suoi 21 mesi di crociera, Solar Orbiter ha sfruttato la gravità della Terra e di Venere per posizionarsi nella corretta orbita attorno al Sole. L’orbita scientifica ellittica della sonda, con un punto più vicino a 42 milioni di km dalla superficie del Sole, la porterà all’interno dell’orbita del pianeta Mercurio. Utilizzando la gravità di Venere, gli operatori hanno potuto avvicinarsi al Sole e inclinare gradualmente l’orbita della sonda per osservare i poli solari.
Obiettivi
Gli obiettivi principali di Solar Orbiter includono:
Studiare il ciclo di attività magnetica del Sole di 11 anni.
Comprendere il riscaldamento della corona solare, che raggiunge temperature di milioni di gradi Celsius.
Investigare la generazione e l’accelerazione del vento solare.
Osservare le regioni polari inesplorate del Sole.
Misurare la composizione del vento solare e collegarla alla sua area di origine sulla superficie solare.
Conclusione
Solar Orbiter è una missione pionieristica che promette di svelare i segreti del Sole e di migliorare la nostra comprensione degli effetti dell’attività solare sul nostro pianeta e sull’intero Sistema Solare. Con i suoi strumenti avanzati e la sua traiettoria unica, Solar Orbiter ci permetterà di osservare il Sole come mai prima d’ora.
La rubrica più seguita nel web e nel cartaceo a cura di @antonio-piras. Da Ingenuity che si può ancora utilizzare al cambio di strategia per il rientro dei campioni seminati da Perseverance. Ben 10 pagine sul pianeta rosso ricche di inquadrature e tracciati della superficie del pianeta rosso.
PEZZI DI CIELO
Per la sezione meteoriti questa volta parliamo di MUONIONALUSTA
SUPERNOVAE
Due scoperte nelle scorse settimane, una facile da ammirare dalle nostre latitudine, l’altra decisamente più ostica, ma molti italiani si sono cimentati nello scatto.
IL CIELO DEL BIMESTRE
Non mancano gli aggiornamenti sulla Luna, Comete Asteroidi, Congiunzioni Pianeti e Sole, tutti gli eventi celesti dei mesi Giugno/Luglio.
CATALOGO MESSIER
Messier 16 o meglio conosciuta come M16 la Nebulosa Aquila a cura di Giuseppe Petricca
SEZIONE ASTROFISICA di Coelum Astronomia n°268
LA CORSA ALLE PRIME GALASSIE
Scopriamo con l’aiuto di Marco Castellaro gli ultimi aggiornamenti sullo studio della prime galassie, i progenitori. Grazie ai nuovi dati raccolti dal JWST stanno emergendo nuove particolarità che favoriscono alcune teorie, ma non è ancora detta l’ultima parola!
CONCRESSO VST
Si è svolto il congresso VST all’osservatorio di Capodimonte Napoli. Il gruppo del VLT Survey Telescope sfrutta le ore assegnate all’INAF presso il Very Large Telescope per coordinare ricerche e indagini.
LA FRECCIA DEL TEMPO
@camillapianta firma di Coelum.com astrofisica e divulgatrice ci accompagna in viaggio nel tempo, fino a piegarlo, torcerlo ed in conclusione farlo tornare indietro ma non è lo stesso che retrocedere. Seguiamo il suo ragionamento per scoprire nuovi approcci.
Illustrazioni di Tommaso Duse
SEZIONE ASTROFOTOGRAFIA di Coelum Astronomia n°268
DALLA CITTA’ NON DI VEDE NULLA.. O FORSE SI?
Egidio Vergani già citato più volte nella rivista, ci racconta la sua evoluzione da scettico scoraggiato a soddisfatto astrofotografo con aperte ancora mille sfide. Volete motivazioni per iniziare la vostra avventura come astrofotografi ma vivete in città? Leggete questo articolo!
SUPERARE I PRIMI LIMITI:STREGATTO
Alessandro Ravagnin non si ferma mai e pur conoscendo i limiti, suoi e degli strumenti, prova ed osa e delle volte ne esce proprio felice!
PHOTOCOELUM
Le migliori immagini caricate in PhotoCoelum Online, grazie a: VITO QUARATO DE MARINIS, FABRIZIO DE SANTIS, SIMONE FALERNO, SAVERIO FERRETTI, CORRADO LARANA, DIEGO LOPESTI, MASSIMO MAGI, CHRISTOPHER MASIA, PATRIZIA MAZZUCATO, LUCA NERLI, MASSIMILIANO PEDERSOLI, ILARIA SARDELLA, COSIMO SECLÌ
e soprattutto.. A chi andrà la prossima APOC??? La curiosità sale…
MERAVIGLIE DEL COSMO
Barbara Bubbi ci accompagna nella fotografia professionale dei grandi telescopi in orbita: HST e JWST. Per questo numero: Una Goccia Nera su fondo Rosso e Tratti di Pittori nella Laguna. Per il JWST: un’Antica Galassia sotto la lente gravitazionale.
ShaRA#8
I mitici di ShaRA affrontano il Delfino ma poi finiscono per distrarsi dietro ai minuscoli soggetti che entrano nel campo, insomma, se avessero 30 ore al giorno non sarebbero comunque sufficienti!
AUTOCOSTRUZIONE di Coelum Astronomia n°268
ALLSKYCAM
Certo siamo tutti muniti di siti di riferimento per le previsioni meteo, abbiamo scelto gli algoritmi più affidabili ma nulla funziona meglio di “un’occhiata al cielo” per individuare subito cali nelle riprese e la bontà dei dati raccolti. Facile quando il telescopio è sul tuo terrazzo o in giardino ma se è a decine di kilometri di distanza? Francesco Sferlazza ha realizzato una All Sky Cam in grado di mostrare h24 il cielo esattamente sopra al suo strumento controllato da remoto. Non facilissimo ma decisamente utile.
AEROSPAZIO di Coelum Astronomia n°268
Con l’Italian Institute for the Future affrontiamo temi delicati ma importanti. L’aerospazio è si ingegneria ma verso dove? A servizio di cosa? Per quale futuro? Seguiamo gli sviluppi internazionali si temi fondamentali per il futuro dell’umanità.
e molto altro
ASTRODIVAGAZIONI: TELETRASPORTO,IPERVELOCITÀ E ALTRE AMENITÀ di Ranieri Zaninotti
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IL TRATTO CORSIVO I dubbi di un viaggiatore potenziale terrorista di Stefano Marcellini
HANC MARGINIS: Il restauro dell’Osservatorio all’Abbazia di Praglia di Graziano Chiaro
STREGATI DALLA LUNA: MITI, COMPLOTTI E FALSE CREDENZE – Cicap e UAI insieme contro le false credenze.
SETI Il linguaggio espressione di un “Essere” di Graziano Chiaro
L’astrologia, con il suo scintillante zodiaco e le sue promesse di rivelare i segreti del futuro, è spesso oggetto di confusione con l’astronomia, la nobile scienza del cosmo. Ma non lasciamoci ingannare dalle stelle! L’astrologia, a differenza dell’ASTRONOMIA, non è una scienza riconosciuta. Non troverai corsi di laurea in astrologia nelle università, né laboratori scientifici dedicati alla misurazione dell’influenza di Mercurio retrogrado.
Mentre l’astronomia si basa su osservazioni rigorose e metodi scientifici per studiare gli astri, l’astrologia si avventura nel regno dell’esoterico, offrendo interpretazioni simboliche che non hanno fondamento nella metodologia scientifica. L’astronomia può prevedere con precisione un’eclissi solare, mentre l’astrologia si limita a prevedere che durante tale evento potresti avere un incontro fortuito.
Quindi, se stai cercando fatti concreti e conoscenze approfondite sull’universo, rivolgiti all’astronomia. Se invece desideri un pizzico di mistero e un consiglio per il cuore, forse l’astrologia potrà offrirti un sorriso. Ma ricorda, quando guardi in alto verso il cielo notturno, le stelle brillano indifferenti, senza preoccuparsi dei nostri affanni terreni. Sono l’astronomia a dar loro un senso, non l’astrologia.
Gli errori dell’astrologia
L’astrologia, con le sue stelle guida e i suoi oroscopi personalizzati, ha attraversato la storia umana come un fiume di credenze e pratiche. Tuttavia, nel corso dei secoli, ha commesso alcuni errori storici notevoli.
Per esempio, l’astrologia ha radici antiche, risalenti ai tempi più remoti della storia umana, quando le civiltà vedevano nelle costellazioni e nei pianeti dei poteri divini da consultare e venerare. Questa visione del mondo ha portato a interpretazioni errate degli eventi celesti come presagi diretti degli eventi terreni. I babilonesi, attivi tra il 2000 a.C. e il 500 a.C., sono spesso considerati i pionieri dell’astrologia e svilupparono il primo Zodiaco. Tuttavia, la loro interpretazione dei fenomeni celesti non aveva basi scientifiche e portava a conclusioni errate.
Un altro grande errore storico dell’astrologia è legato alle predizioni di Nostradamus, che, nonostante alcune interpretazioni considerate accurate, ha anche previsto eventi che non si sono mai verificati. Ad esempio, pochi ricordano i suoi clamorosi errori, come la previsione che i primi uomini ad andare sulla Luna sarebbero stati i russi e la cura risolutiva per tutte le forme di tumori attesa per il 1967. Questi esempi mostrano come l’astrologia, pur essendo affascinante, non possieda la precisione e l’affidabilità dell’astronomia.
Occhio alle truffe!
L’astrologia, con le sue promesse di intuizioni personalizzate basate sulle stelle, ha spesso portato a situazioni in cui individui in buona fede sono caduti vittime di truffe. Questi “astrologi” si presentano come guide esperte del destino, promettendo rivelazioni e soluzioni ai problemi della vita, ma in realtà mirano solo a sfruttare la credulità delle persone.
Le truffe astrologiche possono assumere varie forme, da letture oroscopiche personalizzate a costosi talismani e rituali che promettono amore, fortuna e successo. Spesso, queste pratiche non hanno alcun fondamento scientifico e sono progettate per ingannare e lucrare sui desideri e le paure delle persone.
Un esempio storico di errore astrologico è la credenza che gli eventi celesti potessero prevedere o influenzare gli affari umani, una nozione che ha portato a decisioni politiche e personali errate basate su presagi stellari. Nel corso dei secoli, molti astrologi hanno fatto previsioni che si sono rivelate completamente infondate, causando non solo delusione ma anche perdite finanziarie significative per coloro che vi avevano creduto.
Inoltre, la tradizione degli oroscopi non è immune dal fenomeno dei ciarlatani che, approfittando dell’abuso della credulità popolare, hanno spesso indotto le persone a spendere grandi somme di denaro per servizi inesistenti o inefficaci. Questi individui si nascondono dietro la facciata di un’antica pratica, ma in realtà sono interessati solo al guadagno personale, senza alcun riguardo per il benessere o la verità.
La principale teoria alternativa alla materia oscura è la MOND ma la sonda Cassini ed altri test potrebbero invalidarla
Uno dei più grandi misteri dell’astrofisica odierna è che le forze nelle galassie non sembrano sommarsi. Le galassie ruotano molto più velocemente di quanto previsto applicando la legge di gravità di Newton alla loro materia visibile, nonostante tali leggi funzionino bene ovunque nel Sistema Solare.
Per evitare che le galassie si disperdano, è necessaria una certa gravità aggiuntiva. Questo è il motivo per cui è stata proposta per la prima volta l’idea di una sostanza invisibile chiamata materia oscura che nessuno ha mai visto. Nessuna delle particelle nel Modello Standard della fisica si candida per altro per comporla. La materia oscura: se c’è deve essere qualcosa di piuttosto esotico.
Fra le teorie rivali ci sono quelle che si basano sull’idea che le discrepanze galattiche siano invece causate da una violazione delle leggi di Newton. L’idea di maggior successo nella categoria è nota come dinamica Milgromiana o MOND, proposta dal fisico israeliano Mordehai Milgrom nel 1982. Una recente ricerca mostra però le difficoltà di questo modello.
Cos’è la MOND e quali sono le sue basi?
Il postulato principale della MOND è che la gravità inizia a comportarsi diversamente da quanto previsto da Newton quando diventa molto debole, come ai margini delle galassie. MOND è abbastanza efficace nel prevedere la rotazione delle galassie senza la presenza di materia oscura, e ha ottenuto alcuni altri successi. Tuttavia molti effetti possono essere spiegati anche con la materia oscura, pur preservando così le leggi di Newton.
Si può sottoporre la MOND alla prova definitiva? La chiave è che MOND descrive il cambiamento del comportamento della gravità solo a basse accelerazioni, non a una distanza specifica da un oggetto. Sentirai un’accelerazione inferiore alla periferia di qualsiasi oggetto celeste (un pianeta, una stella o una galassia) rispetto a quando gli sei vicino. Ma è la quantità di accelerazione, piuttosto che la distanza, a prevedere dove la gravità dovrebbe essere più forte.
Ciò significa che, sebbene gli effetti MOND si manifestino tipicamente a diverse migliaia di anni luce da una galassia, se guardiamo una singola stella, gli effetti diventerebbero molto significativi a un decimo di anno luce. Si tratta di un valore solo poche migliaia di volte più grande di un’unità astronomica (UA), ovvero la distanza tra la Terra e il sole. Ma effetti MOND più deboli dovrebbero essere rilevabili anche su scale ancora più piccole, come nel Sistema Solare esterno.
La Missione Cassini test per la MOND
Questo ci porta alla missione Cassini, che ha orbitato attorno a Saturno tra il 2004 e il suo ultimo e violento incidente sul pianeta nel 2017. Saturno orbita attorno al Sole a 10 UA. Secondo la MOND, la gravità del resto della nostra galassia dovrebbe far deviare l’orbita di Saturno dall’aspettativa newtoniana anche se in modo minimo.
Poiché Saturno non è così lontano, grazie alle trasmissioni radio con Cassini è stato possibile tracciare con precisione l’orbita del pianeta. Tuttavia Cassini non ha riscontrato alcuna anomalia del tipo previsto dalla MOND. Newton quindi funziona ancora bene per Saturno.
Con le ipotesi standard considerate più probabili dagli astronomi e consentendo un’ampia gamma di incertezze, la possibilità che MOND corrisponda ai risultati di Cassini è la stessa di una moneta lanciata che esce testa a testa 59 volte di seguito. Si tratta di più del doppio del gold standard “5 sigma” per una scoperta scientifica, che corrisponde a circa 21 lanci di moneta consecutivi.
Altre brutte notizie per la MOND
Oltre ai dati della Cassini un altro test interessante si basa sulle stelle binarie larghe: due stelle che orbitano attorno a un centro condiviso a diverse migliaia di UA di distanza. MOND ha previsto che tali stelle dovrebbero orbitare l’una attorno all’altra il 20% più velocemente di quanto previsto con le leggi di Newton. Ma lo studio di Indranil Banik esclude questa previsione.
I risultati di un altro team mostrano che la MOND non riesce a spiegare i piccoli corpi nel lontano Sistema Solare esterno. Le comete che arrivano da là fuori hanno una distribuzione di energia molto più ristretta di quanto previsto dalla MOND. Questi corpi hanno anche orbite che di solito sono solo leggermente inclinate rispetto al piano vicino al quale orbitano tutti i pianeti. Se MOND funzionasse le inclinazioni dovrebbero essere maggiori.
La stessa MOND non sembra sostenere i valori gravitazionali nelle zone più esterne delle galassie.
Il modello cosmologico standard della materia oscura, tuttavia, non è perfetto. Ci sono cose che fatica a spiegare, dal tasso di espansione dell’Universo alle gigantesche strutture cosmiche. Quindi potremmo non avere ancora il modello perfetto. Sembra che la materia oscura sia qui per restare, ma la sua natura potrebbe essere diversa da quella suggerita dal Modello Standard. Oppure la gravità potrebbe effettivamente essere più forte di quanto pensiamo, ma solo su scala molto ampia.
In definitiva, però, la MOND, così come formulata attualmente, non può più essere considerata una valida alternativa alla materia oscura. Potrebbe non piacerci, ma il lato oscuro continua a prevalere.
La materia oscura è una forma ipotetica di materia che non interagisce con la luce o il campo elettromagnetico, rendendola invisibile ai nostri strumenti di osservazione diretta. Tuttavia, la sua presenza è implicata dagli effetti gravitazionali che non possono essere spiegati dalla relatività generale a meno che non sia presente più materia di quanto possiamo osservare. Nel modello standard della cosmologia, la materia oscura costituisce circa il 26.8% dell’universo, mentre la materia ordinaria solo il 5%.
Fritz Zwicky: Il Padre della Teoria della Materia Oscura
Il concetto di materia oscura fu introdotto per la prima volta dall’astronomo svizzero Fritz Zwicky nel 1933. Mentre esaminava l’ammasso di galassie della Coma, Zwicky utilizzò il teorema del viriale per scoprire l’esistenza di un’anomalia gravitazionale, che egli chiamò “dunkle Materie”, o materia oscura. La sua intuizione aprì la strada a decenni di ricerche e studi.
Principali Evidenze a Favore della Teoria Le evidenze a sostegno dell’esistenza della materia oscura sono molteplici e provengono da diverse osservazioni astronomiche:
Rotazione delle Galassie: Le stelle nelle galassie ruotano con velocità tali che la gravità generata dalla materia visibile non sarebbe sufficiente a mantenerle unite. Questo suggerisce la presenza di una massa aggiuntiva non visibile.
Lenti Gravitazionali: La luce proveniente da oggetti distanti viene deviata in modo tale da suggerire che c’è più massa di quanto possiamo vedere, un fenomeno noto come lente gravitazionale.
Radiazione Cosmica di Fondo: Le anisotropie nella radiazione cosmica di fondo forniscono indizi sulla distribuzione della materia oscura nell’universo primordiale.
In conclusione, la materia oscura rimane uno dei più grandi enigmi della fisica moderna. Nonostante non possiamo vederla direttamente, le sue tracce attraverso l’universo ci forniscono indizi cruciali sulla sua esistenza e sulla natura stessa del cosmo.
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Nel pieno dell’autunno incontriamo sulla volta celeste due costellazioni mitologicamente connesse tra di loro, che rappresentano una coppia di sovrani: Cassiopea e Cefeo.
Un’altra costellazione settentrionale da osservare nel periodo autunnale è quella di Cefeo, il mitologico marito di Cassiopea.
Stelle Principali della Costellazione di Cefeo
Si tratta di una costellazione circumpolare confinante con l’Orsa Minore e Cassiopea, composta da stelle non molto luminose che danno a Cefeo la figura di una casetta un po’ sgangherata che poggia la base sulla Via Lattea settentrionale; Alderamin (α Cephei) è la stella principale dell’asterismo, bianca e di magnitudine 2,45 che dista solo 49 anni luce.
Cefeo possiede una stella molto interessante: si tratta di Mu Cephei (μ Cep / μ Cephei), nota anche come Granatum Sidus (Stella granata): si tratta di una stella supergigante rossa multipla di quarta magnitudine, che l’astronomo Giuseppe Piazzi inserì nel suo “Catalogo di Palermo” proprio con questo nome, che deriva da un’affermazione di William Herschel il quale, nel suo Philosophical transactions, definì Mu Cephei così: «Ha un bellissimo e profondo colore granata, simile a quello della stella periodica Omicron Ceti».
Da un cielo nitido e idoneo all’osservazione la Stella Granata può essere individuata anche ad occhio nudo poco più a sud di Alderamin (α Cephei), con il suo caratteristico colore rosso/arancio.
Ma la stella di certo più importante per gli astronomi, che si trova nella costellazione di Cefeo, è Delta Cephei, una stella variabile multipla capostipite della classe di Cefeidi.
OGGETTI NON STELLARI
Giacendo sul piano della Via Lattea settentrionale, la costellazione di Cefeo vanta numerosi oggetti del profondo cielo; tra ammassi e nebulose spicca IC 1396, oggetto conosciuto come Nebulosa Proboscide d’elefante: si tratta di una nebulosa oscura abbastanza estesa e che quindi si presta bene all’astrofotografia deep sky.
Un altro affascinante oggetto in Cefeo è la Galassia fuochi d’artificio (NGC 6946), una galassia a spirale posta al confine con il Cigno, che vanta un gran numeroso di supernove osservate al suo interno.
CEFEO NELLA MITOLOGIA
Come già espresso sopra, Nella mitologia Cefeo, figlio di Belo, rappresenta il re di Etiopia marito di Cassiopea, che ebbe l’arduo compito di immolare la sua dolce,giovane figlia Andromeda, per salvare il regno dalla furia di Poseidone, indispettito dalla vanità di Cassiopea.
I due sovrani sono l’unica coppia formata da marito e moglie a essersi guadagnati un posto sulla volta celeste dove brillano insieme, vicini, per l’eternità.
Nel pieno dell’autunno incontriamo sulla volta celeste due costellazioni mitologicamente connesse tra di loro, che rappresentano una coppia di sovrani: Cassiopea e Cefeo.
Subito dopo il tramonto, che avverrà sempre più anticipo, si avrà maggior possibilità di osservare il cielo stellato: a Nord non sarà difficile imbattersi in un’inconfondibile figura a forma di W: si tratta della costellazione di Cassiopea.
L’asterismo è tipico del cielo boreale ed è situato tra le costellazioni di Cefeo e Andromeda; Cassiopea raggiunge la massima altezza proprio nel periodo autunnale, sebbene sia visibile durante tutto l’anno nei pressi della Stella Polare, assumendo la forma di W o M a seconda delle stagioni.
Stelle principali nella Costellazione di Cassiopea
La stella più brillante della costellazione è Shedir (α Cassiopeiae), una gigante arancione di magnitudine apparente di +2,25, posta a 229 anni luce dalla Terra e che viene a volte surclassata in termini di luminosità dalla variabile Gamma Cassiopeiae.
SUPERNOVAE IN CASSIOPEA
Nel 1572 nella costellazione di Cassiopea apparve all’improvviso una stella tanto brillante quanto il pianeta Venere: venne denominata come la “nova di Tycho Brahe”, dal nome dell’astronomo danese che condusse le osservazioni dell’oggetto per oltre un anno, ad occhio nudo, riportando dati molto dettagliati: ciò che aveva osservato era l’apparizione di una supernova.
Ma nella stessa costellazione è apparso anche un altro oggetto di questa categoria, ovvero Cassiopea A, una forte radiosorgente situata a 11 mila anni luce da noi e osservata nel 1680.
Il telescopio spaziale Chandra, nel 2004, ha scoperto anche una sorgente molto compatta di raggi X proprio al centro di Cassiopea A, le cui caratteristiche mostrano che si tratta di una stella di neutroni che con ogni probabilità rappresenta il resto della stella esplosa più di 300 anni fa.
OGGETTI NON STELLARI IN CASSIOPEA
La costellazione di Cassiopea è attraversata dalla Via Lattea, per cui risulta essere molto ricca di oggetti non stellari come nebulose e ammassi, le cui immagini sono una vera delizia per gli occhi.
Uno di questi è IC1805, una nebulosa a emissione nota con il nome di Nebulosa Cuore, distante 7500 anni luce da noi: al suo interno si trova un sistema di piccoli ammassi di cui il più noto è Melotte 15, il quale contiene alcune stelle circa 50 volte più massicce del Sole.
Un altro oggetto davvero sorprendente è Sh2-185, una nebulosa a emissione e riflessione, composta da regioni distinte con diverse caratteristiche; è noto con il nome di Fantasma di Cassiopea.
CASSIOPEA NELLA MITOLOGIA
Vanitosa e presuntuosa come poche, Cassiopea era la sovrana di Etiopia moglie di Cefeo e madre di Andromeda: la donna, pettinando i suoi capelli (la sua occupazione preferita) si vantava di essere la più bella del reame, persino più bella delle Nereidi, le ninfe marine al seguito del dio del mare, Poseidone, al quale non andava proprio giù che la regina etiope osasse affermare che la sua bellezza fosse superiore a quella delle sue ninfe.
Offeso e oltraggiato, Poseidone scatenò la sua ira sull’intero regno, (vedi costellazione di ottobre) e in modo particolare sul punto più debole della vanitosa Cassiopea, ovvero la sua giovane e innocente figlia Andromeda.
La storia è quella che conosciamo già e narra che Andromeda, per colpa di sua madre, fu legata su di una rupe infernale, preda del mostro marino Ceto; a salvarla dalle sue grinfie e della pena che le venne inflitta per scontare le colpe della regina, ci pensò Perseo in groppa al cavallo alato Pegaso, che ruppe le catene e la portò via con sé.
A Cassiopea toccò la sorte di essere collocata in cielo sul trono ma in una posizione poco carina, ovvero a testa in giù, nell’atto di specchiarsi o accarezzarsi i capelli, condannata a roteare per sempre attorno al polo nord.
Nel cielo di ottobre sono quasi tangibili le costellazioni tipiche dell’autunno, che troveremo in prossimità della scia di stelle della Via Lattea settentrionale.
Mitologicamente connessa alla figura di Andromeda, quella della Balena è una costellazione tipica del cielo australe, che tuttavia può essere osservata durante l’autunno/inverno boreale.
Si trova in una regione di cielo popolata dalle costellazioni “d’acqua” (Pesci, Acquario) e la sua stella principale è Deneb Kaitos (β Ceti),di colore giallo-arancione e con una magnitudine di +2,04.
Stelle della Costellazione della Balena
Deneb Kaitos si trova a 96 anni luce dalla Terra e il suo nome, che deriva dall’arabo, significa “coda della balena”.
A comporre la costellazione vi è anche α Ceti, nota con il nome di Menkar: si tratta di una gigante rossa di magnitudine 2,54 situata nel gruppo della “testa” della Balena, a una distanza di 220 anni luce dalla Terra.
Ma di certo l’astro più interessante della Balena è Mira Ceti, una stella variabile pulsante, la prima ad essere conosciuta e a dare il nome all’intera classe (Variabili Mira), e rappresenta una della variabili più luminose che appaiono e scompaiono alla vista osservando ad occhio nudo.
Mira Ceti si trova a 299 anni luce di distanza, situata nell’emisfero celeste australe e quando si trova nel suo massimo della luminosità è ben visibile ad occhio nudo poco a sud-ovest di α Ceti.
OGGETTI NON STELLARI NELLA COSTELLAZIONE DELLA BALENA
La costellazione della Balena ospita diverse galassie: una della più interessanti è M77, una galassia spirale che può essere individuata già con un buon binocolo.
Nella costellazione vi è anche la galassia NGC 247, vicina al nostro Gruppo Locale, e IC 1613, una galassia nana irregolare visibile solo con telescopi di una certa portata.
Un altro oggetto deep sky che può essere individuato nella Balena è la nebulosa planetaria NGC 246, nota anche come “Nebulosa Teschio”.
Nel 1827 in questa costellazione fu scoperto l’asteroide 4 Vesta.
LA COSTELLAZIONE DELLA BALENA NELLA MITOLOGIA
Strettamente legata al mito di Andromeda, Cetus (balena) era il mostro marino inviato da Poseidone per distruggere il regno dei sovrani etiopi Cefeo e Cassiopea e uccidere la loro giovane figlia, Andromeda appunto. Andromeda colpevole di essere più bella addirittura delle dee venne sacrificata dai genitori per salvare il raccolto minacciato appunto da Poseidone in nome di tutte le dee dell’Olimpo. La giovane venne legata in riva al mare in attesa della balena ma salvata da Perseo in volo sul cavallo alato Pegaso. La storia narra che i due si sposarono vivendo una vita serena e felice e dando origine a diverse stirpe che poi hanno governato nel mondo antico buona parte dei territorio che si affacciano sul Mediterraneo.
Il mostro marino viene rappresentato dai Greci come una creatura terrificante con le fauci spalancate e i denti aguzzi e con le zampe anteriori di animale terrestre. In genere la balena è rappresentata con la testa da drago, il corpo da cetaceo e la coda da pesce.
In effetti la Balena assume un ruolo minoritario nella narrazione della mitologia greca tuttavia non va dimenticato che la Costellazione della Balena occupa invece una sezione di cielo molto estesa che sembra sproporzionata in base al suo ruolo.
Nel cielo di ottobre sono quasi tangibili le costellazioni tipiche dell’autunno, che troveremo in prossimità della scia di stelle della Via Lattea settentrionale.
Lungo i sentieri siderali incontriamo la costellazione di Pegaso e Andromeda, due figure che condividono un astro,la stella Sirrah, e che sono protagoniste di grandi miti e leggende.
ANDROMEDA NEL CIELO AUTUNNALE
Affascinante costellazione che brilla nel cielo d’autunno, quella di Andromeda è una figura che investe la volta celeste di miti e leggende concatenate fra loro e ci regala anche uno degli oggetti più belli e conosciuti del profondo cielo: M31, la Galassia di Andromeda.
La costellazione lambisce quasi la scia settentrionale della Via Lattea del Nord ed è individuabile anche grazie all’inconfondibile figura di Cassiopea; la stella più luminosa è Alpheratz (α Andromedae) e insieme alle stelle α, β e λ Pegasi forma un asterismo chiamato Quadrato di Pegaso.
Questa stella un tempo faceva parte della costellazione di Pegaso, con la sigla δ Pegasi, conosciuta anche con il nome Sirrah, dall’arabo “l’ombelico del destriero”.
α Andromedae è situata a 97 anni luce dalla Terra, e anche se ad occhio nudo appare come una stella singola, con una magnitudine apparente pari a +2,06, in realtà è un sistema binario composto da due stelle in orbita stretta tra loro.
OGGETTI NON STELLARI NELLA COSTELLAZIONE DI ANDROMEDA
La costellazione è ricca di stelle doppie come π Andromedae, una coppia risolvibile già con un binocolo, e di sistemi multipli come μ Andromedae.
Tuttavia è innegabile che la fama della costellazione sia dovuta all’oggetto che Andromeda ospita e da cui prende il nome: M31 è una grande galassia a spirale barrata che dista circa 2,538 milioni di anni luce dalla Terra e rappresenta l’oggetto più lontano visibile ad occhio nudo.
Per individuare la Galassia di Andromeda ad occhio nudo è sufficiente recarsi nei luoghi privi inquinamento luminoso, prendere come punti di riferimento Cassiopea e Pegaso e cercare un batuffolino di luce immerso nello sfondo stellato: sarebbe utile l’ausilio di un binocolo per apprezzare un alone più luminoso.
M31 è uno degli oggetti del profondo cielo più amato dagli astrofili e dagli astrofotografi, alla portata anche di principianti, ma è chiaro che per ottenere immagini nitide e dettagliate bisogna affidarsi a telescopi e camere astronomiche, oltre che a diverse fasi di elaborazione e post produzione, in grado di rivelare anche la galassia satellite M32.
La costellazione di Andromeda ospita anche l’ammasso aperto NGC 752, posto verso il confine con il Triangolo e che si mostra ben visibile con l’ausilio di un binocolo.
Nei luoghi caratterizzati da un cielo particolarmente nitido l’ammasso è percepibile anche a occhio nudo.
LA COSTELLAZIONE DI ANDROMEDA NELLA MITOLOGIA
Bellissima ed affascinante fanciulla, Andromeda era figlia dei sovrani di Etiopia Cefeo e Cassiopea, che per un soffio non pagò con la propria vita la superbia di sua madre.
Cassiopea, infatti, osò definire lei e sua figlia molto più belle delle Nereidi, ninfe marine che componevano il corteo di Poseidone.
Il dio del mare colse tale affermazione come un’offesa e provocò una violenta inondazione che travolse il regno dei sovrani, scatenando anche il mostro marino Cetus (la costellazione della Balena) contro le navi commerciali del regno.
Disperati Cefeo e Cassiopea deciso di consultare che gli suggerì di offrire la loro innocente figlia al dio del mare affinché la sua ira venisse placata e il loro regno fosse salvo.
Così Cefeo, addolorato, fu costretto a incatenare la figlia Andromeda sul costone di roccia affinché espiasse con la propria vita le colpe di sua madre.
Fu Perseo a capovolgere le sorti della fanciulla servendosi del cavallo alato Pegaso, sottraendo Andromeda dalle grinfie del mostro marino e restituendole la libertà.
“Come la vide con le braccia legate a una rigida rupe, Perseo di marmo l’avrebbe creduta se l’aria leggera non avesse mosso le chiome e le lacrime dagli occhi stilate non fossero, inconsapevole ne ardeva stupito. Rapito alla vista di quella bellezza, quasi di battere l’ali si scordava. Come fu sceso a terra, disse “non meriti codesti ceppi ma quelli che legano amanti tra loro; dimmi il tuo nome e la patria e perché sei legata”. Ovidio, Le Metamorfosi, Libro IV
La fanciulla ritrovò la felicità convolando a nozze proprio con il suo eroe.
Quando la giovane Andromeda morì, la dea Atena la tramutò in stelle, collocandola in cielo come costellazione proprio accanto Perseo.
Nel cielo di ottobre sono quasi tangibili le costellazioni tipiche dell’autunno, che troveremo in prossimità della scia di stelle della Via Lattea settentrionale.
Lungo i sentieri siderali incontriamo la costellazione di Pegaso e Andromeda, due figure che condividono un astro,la stella Sirrah, e che sono protagoniste di grandi miti e leggende.
Facilmente identificabile grazie all’asterismo del Quadrato, quella di Pegaso è una costellazione boreale che transita al meridiano proprio a metà ottobre: la sua stella principale è Markab (α Pegasi), una gigante azzurra con magnitudine 2,49 e distante 140 anni luce, che rappresenta il vertice sud-occidentale del Quadrato.
Nonostante la stella alfa di Pegaso sia Markab è Enif (ε Pegasi) l’astro più brillante della costellazione, una supergigante arancione con magnitudine +2,38.
Stelle principali della Costellazione di Pegaso
Seconda alla stella Enif in termini di brillantezza troviamo Scheat (β Pegasi), una gigante rossa di magnitudine 2,44 distante 199 anni luce: essa indica il vertice nord-occidentale del Quadrato di Pegaso.
Nella costellazione sono presenti diverse stelle doppie, alcune anche facilmente risolvibili, come 3 Pegasi e η Pegasi: le due componenti che danno vita a 3 Pegasi sono bianco-giallastre di sesta e settima magnitudine e possono essere risolte anche con modesti ingrandimenti. Nel caso di η Pegasi ognuna delle due componenti è una stella doppia, risolvibili ma non con piccole strumentazioni.
Interessante anche il sistema stellare binario IK Pegasi: esso è composto dalla stella bianca IK Pegasi A e dalla nana bianca IK Pegasi B e diversi studi astronomici lo indicano come un stella doppia che potrebbe esplodere in supernova in tempi non troppo lontani.
OGGETTI DEL PROFONDO CIELO NELLA COSTELLAZIONE DI PEGASO
La costellazione di Pegaso ospita diversi oggetti non stellari molto interessanti: nel periodo che va da luglio a dicembre è possibile osservare M15, uno degli ammassi globulari più densi della Via Lattea, visibile già con un binocolo in cieli sufficientemente bui e nitidi, mentre sarà necessario l’ausilio di telescopi a ingrandimenti superiori a 350mm per godere di tutti i dettagli di cui l’ammasso è caratterizzato.
Altri interessanti oggetti presenti nella costellazione sono le galassie a spirale NGC 7331 e NGC 7217, ma il vero protagonista è il Quintetto di Stephan, un gruppo visuale di cinque galassie scoperto dall’astronomo francese Édouard Stephan nel 1877.
L’insieme di galassie è situato a circa 290 milioni di anni luce di distanza da noi ed è considerato dagli astronomi un autentico laboratorio in cui studiare la collisione tra le galassie e come questa impatti sulla materia che costituisce il mezzo intergalattico.
Il 12 luglio 2022 la NASA ha rivelato una straordinaria immagine del Quintetto di Stephan, frutto del superlativo lavoro del telescopio spaziale James Webb: con la sua potente visione a infrarossi e una risoluzione spaziale estremamente elevata, Webb è stato in grado di mostrare dettagli mai visti prima in questo straordinario gruppo di galassie.
La costellazione di Pegaso ospita anche un sistema planetario extrasolare, 51 Pegasi, composto da una stella molto simile al Sole attorno a cui orbita un pianeta extrasolare di tipo gioviano caldo, scoperto nel 1995.
LA COSTELLAZIONE DI PEGASO NELLA MITOLOGIA
Quella del cavallo alato è certamente una figura che affascina da sempre l’immaginario collettivo: la mitologia ci offre diverse narrazioni riguardo a questa creatura, che fu protagonista di vicende molto movimentate.
La figura di Pegaso è associata a quella del cavallo alato che nacque da uno zampillo di sangue scaturito dall’uccisione di Medusa da parte di Perseo, l’eroe che si servì proprio della creatura mitologica per salvare Andromeda, figlia di Cefeo e di Cassiopea, dalle grinfie del mostro marino Ceto.
Pegaso era caro a Zeus poiché si occupava di trasportare le folgori del dio fino all’Olimpo e rappresenta altresì la creatura alata di cui si servì Bellerofonte per uccidere la Chimera.
Secondo la mitologia greca Pegaso tornò all’Olimpo dopo la morte di Bellerofonte e successivamente riscese sul Monte Elicona mentre si stava svolgendo una gara di canto tra le Muse e le Pieridi; alle melodie intonate dalle Pieridi il Monte Elicona prese ad innalzarsi verso il cielo e solo lo zoccolo battuto sulla roccia dal cavallo mitologico riuscì ad arrestarne la rapida ascensione.
Nel punto in cui Pegaso sbatté lo zoccolo si aprì una sorgente chiamata così “sorgente del cavallo“.
Portate a termine le sue imprese, il cavallo alato prese il volo verso la volta celeste e qui si trasformò in una manciata di stelle poste a omaggiare le sue virtù per l’eternità.
COSTELLAZIONE DELLA VOLPETTA, COSTELLAZIONE DELLA FRECCIA E COSTELLAZIONE DEL DELFINO
Il cielo di settembre è un diario le cui pagine raccontano ancora delle stelle d’estate, con appunti sugli astri d’autunno che, imminente, si prepara a svelarci nuove storie già scritte nel firmamento.
Verso occidente vedremo ormai tramontare le costellazioni che ci hanno accompagnato nelle serate estive, ovvero il Sagittario, Ofiuco, Scorpione, Ercole.
A Nord-Ovest si accinge al tramonto anche il Boote, con la brillante stella Arturo e nelle vicinanze anche la Corona Boreale si appresta gradualmente a scomparire all’orizzonte.
Da Est vedremo apparire le costellazioni dell’Ariete, Acquario, Pesci mentre a Sud-Est incrociamo Pegaso; a Nord-Est possiamo ammirare Andromeda e Perseo, mentre volgendo lo sguardo a Nord non sarà per nulla difficile notare Cassiopea e poi ancora Perseo, mentre guardando a Nord troveremo Orsa Maggiore ed Orsa Minore.
Dei residui di cielo estivo potremo ancora scorgere verso Ovest le costellazioni di Aquila, Cigno e Lira che con le loro stelle principali hanno dato vita all’asterismo del Triangolo Estivo. In questa regione di cielo incontriamo tre costellazioni minori: la Volpetta,la Freccia e il Delfino.
Si tratta di tre piccole figure celesti, due delle quali (Volpetta e Delfino) passano per il meridiano proprio nel mese di settembre.
COSTELLAZIONE DELLA VOLPETTA
Al centro dell’area celeste del Triangolo Estivo, in una regione fortemente oscurata dalla Fenditura dell’Aquila, è presente la piccola costellazione della Volpetta: essa possiede una sola stella brillante visibile, denominata Anser (Alpha Vulpeculae).
Stelle principali
Si tratta di una stella gigante rossa, classificata come doppia (apprezzabile con un binocolo) con magnitudine apparente di 4,4.
Se la costellazione non possiede particolari caratteristiche in compenso viene ricordata per una delle scoperte astronomiche più interessanti: proprio all’interno della Volpetta, nel 1967,Antony Hewish e Jocelyn Bell, da Cambridge, identificarono la prima pulsar conosciuta, oggi noto come oggi noto come PSR 1919+21.
OGGETTI NON STELLARI
La Volpetta ospita diversi interessanti oggetti del cielo profondo: primo fa tutti la famosa Nebulosa Manubrio (M27), soggetto molto amato dagli astrofotografi.
M27 è la prima nebulosa planetaria ad essere stata scoperta da Charles Messier, nel 1764: l’oggetto è individuabile a 3° a nord della stellaγ Sagittae, e si presenta al binocolo come un disco non troppo luminoso mentre al telescopio se ne riesce ad apprezzare la struttura che ricorda quella di una clessidra.
Al centro dell’immagine apparirà una stella centrale che viene utilizzata spesso dagli astrofotografi nel testare la limpidezza del cielo nelle notti di riprese.
Un altro oggetto del cielo profondo presente nella costellazione della Volpetta è l’asterismo dell’Attaccapanni o Cluster di Brocchi (dal nome dell’astronomo americano che negli anni 20 lo disegnó): l’oggetto, denominato anche Cr 399, è stato scoperto dall’astronomo arabo Al Sufi nel 964 d. C. e inizialmente era stato classificato come ammasso, ma nuovi studi hanno poi rivelato che le stelle che lo compongono (circa 40) non sono legate gravitazionalmente.
Da un luogo privo di disturbo luminoso è possibile individuare l’asterismo anche ad occhio nudo, mentre avvalendosi dell’ausilio di un binocolo è facile risolvere il gruppo di stelle che lo compone.
STORIA DELLA COSTELLAZIONE Volpetta
La costellazione è stata introdotta nel XVII secolo dall’astronomo polacco Johannes Hevelius e in origine era nota come la “volpetta e l’oca”, “Vulpecula cum Ansere“; oggi dell’oca, un tempo rappresentata tra le fauci della Volpetta, rimane solo il nome dato alla stella alfa della costellazione.
COSTELLAZIONE DELLA FRECCIA
La Freccia (Sagittae) giace sulla Via Lattea, a 10° nord di Altair, in una regione in cui risiedono reminescenze della Fenditura dell’Aquila.
La costellazione non spicca certo per estensione e luminosità: la sua stella principale è Alpha Sagittae (nota anche con il nome di Sham), una stella gigante gialla con una magnitudine apparente di 4,37.
Nella Freccia sono presenti stelle doppie, alcune delle quali sono risolvibili anche con strumenti di piccola portata: è il caso di ε Sagittae, formata da una stella arancione e una azzurra, entrambe visibili attraverso un piccolo telescopio.
La Freccia ospita anche un gran numero di stelle variabili come S Sagittae, una variabile Cefeide che oscilla fra la quinta e la sesta magnitudine in circa 8,4 giorni, e le cui variazioni possono essere addirittura notate anche ad occhio nudo, a patto di avere a disposizione un cielo molto, ma molto nitido.
OGGETTI NON STELLARI NELLA FRECCIA
La costellazione scarseggia di oggetti del profondo cielo, tuttavia è presente un vasto e brillante ammasso globulare, M71, posto a 13.000 anni luce.
LA FRECCIA NELLA MITOLOGIA
Sono diversi i miti in cui la Freccia trova riferimento: quello più noto la legano ad Ercole e a Prometeo.
Quest’ultimo era un titano che rubava il fuoco agli dei per farne dono agli uomini; ma questo suo modo di agire scatenò l’ira di Zeus che decise di punire Prometeo incatenandolo, nudo, su di una rupe scoscesa ed esposta a qualsiasi tipo di intemperie, nella regione del Caucaso.
Non pago di questa già atroce pena inflitta al titano, il padre degli dei inviò una mostruosa aquila affinché passasse le giornate a dilaniare il ventre e il fegato di Prometeo, le cui ferite guarivano però di notte.
Dopo un lunghissimo tempo fu risolutivo il passaggio di Ercole da quella rupe infernale: l’eroe, avendo assistito a quelle atroci torture, salvò Prometeo, scagliando una freccia contro il mostruoso rapace, liberando così il titano a cui stava a cuore l’umanità.
COSTELLAZIONE DEL DELFINO
Un’altra costellazione che transita al meridiano nel cielo di settembre è quella del Delfino: la figura del Delfino è individuabile 10° a Nord-Est della brillante Altair e nonostante la costellazione sia molto piccola, le stelle che la compongono (circa una ventina) appaiono ravvicinate e ben visibili ad occhio nudo.
Due sono sostanzialmente le stelle più luminose: si tratta del sistema binario β Delphini (Rotanev), una stella subgigante gialla di magnitudine 3,6, distante 97anni luce e il sistema binario α Delphini (Sualocin), una stella azzurra di magnitudine 3,77, distante 241 anni luce.
IL CURIOSO CASO DEI NOMI DELLE STELLE DEL DELFINO
Sualocin e Rotanev apparvero per la prima volta nel catalogo stellare del Reale Osservatorio di Palermo nel 1814: in quel periodo il Direttore era padre Giuseppe Piazzi, grande astronomo e matematico, fondatore dell’Osservatorio e fautore della scoperta di Cerere proprio dal cielo di Palermo, il 1 gennaio 1801.
Nel link a seguire il servizio fotografico e l’articolo ad opera dell’autrice Teresa Molinaro e di Walter Leopardi sull’Osservatorio Astronomico di Palermo QUI
Nel 1800 Piazzi fece l’incontro di Niccolò Cacciatore, astronomo che condusse i suoi studi proprio all’Osservatorio di Palermo assumendone la direzione nel 1817.
Nella stesura dei cataloghi stellari del 1814, a cui si faceva riferimento sopra, che vinsero il premio dell’Académie des Sciences di Parigi, comparvero i nomi di due stelle, Sualocin e Rotanev, gli astri principali della costellazione del Delfino.
Queste diciture suonarono bizzarre alle orecchie dell’astronomo britannico Thomas Webb che, dopo un’accurata analisi, arrivò a comprendere che i due nomi letti al contrario altro non rappresentavano che il nome e cognome latinizzato dell’astronomo siciliano Niccolò Cacciatore: Nicolaus Venator. Sulla base dell’amicizia e della collaborazione che li legava, Giuseppe Piazzi volle dedicare il nome delle due stelle al suo assistente Niccolò Cacciatore.
OGGETTI NON STELLARI NEL DELFINO
Fra i pochi oggetti del profondo cielo nel Delfino ci sono gli ammassi globulare NGC 7006, NGC 6934 e la nebulosa planetaria NGC 6891.
Nel cielo serale di settembre è possibile osservare la stella 18 Delphini (o Musica), una gigante gialla situata appunto nella costellazione del Delfino, la cui peculiarità è quella di avere un pianeta che ruota intorno ad essa.
Si tratta di Arion, un gigante gassoso scoperto nel 2018,che completa un’orbita quasi circolare in circa 993 giorni terrestri, ad una distanza media dalla stella di 2,6 UA.
Il nome è stato scelto dai partecipanti al concorso NameExoWorlds.
IL DELFINO NELLA MITOLOGIA
Incontrare un delfino in mare aperto era una consuetudine per gli antichi marinai greci, e le leggende ci raccontano diverse versioni in cui queste creature sono protagoniste.
Secondo Eratostene il delfino era il messaggero d’amore del dio del mare, Poseidone, che invaghitosi di una delle ninfe marine Nereidi, decise che doveva averla a tutti i costi, nonostante il suo rifiuto.
Un giorno Poseidone inviò un delfino a prelevare la fanciulla dal suo nascondiglio e a portarla nel suo castello sottomarino, dove ne fece la sua sposa.
Pieno di gratitudine il dio del mare pose la figura del delfino tra le stelle.
Un’altra leggenda ci ricollega al nome dell’ esopianeta Arion che prende il nome dal cantore greco Arione il quale, di ritorno in Grecia dalla Sicilia, dove si era esibito con la sua cetra, fu minacciato da un gruppo di marinai che volevo sottrargli il suo denaro; preso dalla paura di morire chiese come ultimo desiderio di poter suonare ancora una volta la sua amata cetra, il cui suono armonioso attirò un delfino che lo prese sul suo groppone e lo trasse in salvo.
Arrivati in Grecia il dio della musica Apollo collocó il delfino tra le costellazioni del cielo.
Per larga parte il cielo è attraversato da striature e macchie chiare; la Via Lattea prende d’agosto una consistenza densa e si direbbe che trabocchi dal suo alveo; il chiaro e lo scuro sono così mescolati da impedire l’effetto prospettico d’un abisso nero sulla cui vuota lontananza campeggiano, ben in rilievo, le stelle; tutto resta sullo stesso piano: scintillio e nube argentea e tenebre.
I.Calvino – Palomar
Il cielo d’agosto ci trascina nel vivo dell’estate e da amanti nel cielo non possiamo perderci neanche una notte di stelle: volgendo lo sguardo a sud-est è la Via Lattea la regina indiscussa, e con essa le costellazioni che rappresentano l’estate boreale.
Sarà una vera emozione ammirare lo Scorpione, l’Aquila, il Sagittario, e la Costellazione del Cigno e i tanti altri asterismi che con il loro scintillìo di stelle illuminano le calde notti d’agosto.
LA COSTELLAZIONE DEL CIGNO
Rappresentata come un uccello in volo verso il sud sulla volta celeste, la costellazione del Cigno è uno degli asterismi più amati e conosciuti dell’estate boreale, soprattutto per gli spettacolari oggetti del profondo cielo che custodisce e che sono tra i soggetti preferiti dagli astrofotografi.
Il Cigno lo si può scorgere grazie alla sua stella alfa, Deneb, una supergigante bianca che con la sua magnitudine apparente di +1,25, rappresenta la diciannovesima stella più brillante del cielo notturno.
Stelle principali della Costellazione del Cigno
Deneb, insieme alla stella Vega della Lira e ad Altair dell’Aquila, rappresenta uno dei vertici del Triangolo estivo, tipico asterismo dell’estate boreale.
Del Cigno fa parte anche Albireo, un interessante sistema stellare composto da due astri di colore diverso: le due componenti, la principale di colore arancio mentre la secondaria di colore bianco-azzurro, possono essere risolte già attraverso un piccolo telescopio.
L’astro è un soggetto molto amato da tutti coloro che si approcciano all’osservazione al telescopio, poiché è facile ed entusiasmante risolverne le due componenti, anche se non si è esperti conoscitori del cielo.
Albireo insieme a Deneb costituisce l’asterismo della Croce del Nord, il cui asse maggiore è attraversato dalla Via Lattea.
Oggetti non stellari nella Costellazione del Cigno
Moltissimi gli oggetti da riprendere con un buon set strumentale. Fra i principali ricordiamo la Nebulosa Velo
Anche il Cigno (Cygnus) trova posto tra le innumerevoli storie legate alla mitologia: molte di queste riconducono la sua figura a quella di Zeus, in quanto il padre degli dei era solito assumere tali sembianze per poter sedurre le fanciulle di cui si invaghiva.
Tra tutte le varie vicende legate alle scorribande del padre degli dei sembra prevalere quella in cui Zeus, incapricciatosi di Leda, nipote di Ares e regina di Sparta, si trasformò in un cigno nell’intento di possedere la giovane donna mentre passeggiava sulle rive del fiume; dall’uovo concepito (anzi, presumibilmente due uova) vennero alla luce quattro bambini, ma poiché Leda quella stessa notte giacque con suo marito, il re Tindaro, non v’è certezza sulla reale paternità anche se le uova divine, da cui nacquero Elena di Troia e Polluce, furono attribuite a Zeus.
Il Cigno dunque campeggia in cielo a voler rappresentare il dio greco e le leggende che lo vedono protagonista.
Il cielo d’agosto ci trascina nel vivo dell’estate e da amanti nel cielo non possiamo perderci neanche una notte di stelle: volgendo lo sguardo a sud-est è la Via Lattea la regina indiscussa, e con essa le costellazioni che rappresentano l’estate boreale.
Sarà una vera emozione ammirare lo Scorpione, l’Aquila, la Costellazione del Sagittario, il Cigno e i tanti altri asterismi che con il loro scintillìo di stelle illuminano le calde notti d’agosto.
Una tipica costellazione dell’estate boreale è la Costellazione del Sagittario, che transita al meridiano intorno al 20 agosto eppur rimanendo bassa sull’orizzonte meridionale, può essere facilmente osservata per tutto il periodo estivo e individuata grazie al particolare asterismo della Teiera composta dalle sue stelle più luminose.
Si tratta di una delle costellazione dello zodiaco più importanti poiché contiene al suo interno il Centro Galattico, il punto più ricco e luminoso della nostra galassia, osservabile senza difficoltà ad occhio nudo da luoghi privi di qualsiasi impedimento luminoso.
Stelle principali della Costellazione del Sagittario
La stella principale del Sagittario è ε Sagittarii, una gigante bianca-azzurra con magnitudine 1,79, nota come Kaus Australis, poiché rappresenta la parte bassa dell’arco che tiene in mano il Sagittario; la seconda stella più brillante è Sigma Sagittarii, o Nunki, una gigante azzurra di magnitudine 2,05 e poi c’è Zeta Sagittarii, la terza stella più luminosa.
OGGETTI NON STELLARI NELLA COSTELLAZIONE DEL SAGITTARIO
Il Sagittario è ricco di oggetti non stellari: esso ospita un numero considerevole di oggetti del catalogo Messier, in particolar modo ammassi globulari come M22, uno dei più consistenti, che contiene più di mezzo milione di stelle.
Nella costellazione non mancano nemmeno le nebulose, come M8 (Nebulosa Laguna), M20 (Nebulosa Trifida), M17 (Nebulosa Omega) al confine con la costellazione dello Scudo, e diversi ammassi aperti.
Interessante l’oggetto M24, ovvero la Piccola Nube Stellare del Sagittario: si tratta di una estesa nube di polveri, gas e stelle, al cui interno è collocato anche l’ammasso aperto NGC 6603.
SAGITTARIUS A* NEL CUORE DELLA COSTELLAZIONE E DELLA NOSTRA GALASSIA
Quando si fa riferimento alla costellazione del Sagittario è inevitabile menzionare Sagittarius A*, la luminosa sorgente di onde radio posta al centro della Via Lattea, in cui si trova il buco nero supermassiccio. Il centor della via Lattea al contrario di quanto si possa immaginare ad occhio nudo non appare come una sorgente luminosa ma al contrario si tratta di una zona del cielo che se ripresa appare totalmente scura. Ciò a causa della posizione del nostro Sistema Solare rispetto al piano galattico che interpone nella linea di vista una densa nube di polvere in grado di coprire il bagliore centrale.
E’ molto affascinante osservare la costellazione nel cielo, pensando che al suo interno vi sia un oggetto di tale portata.
LA COSTELLAZIONE DEL SAGITTARIO NELLA MITOLOGIA
Metà uomo e metà cavallo, la figura del Sagittario rappresenta un arciere con indosso un mantello, intento a tendere l’arco in direzione dello Scorpione: il Sagittario è colui che lancia le frecce, dal latino sagittae, e come ogni oggetto celeste è rivestito da un significato mitologico.
Nel mito greco il Sagittario viene associato a Croto, figlio del dio dei pastori, Pan, e della nutrice delle Muse, Eufeme.
Croto visse la sua infanzia crescendo sul Monte Elicone circondato dalle Muse e dalle loro arti e proprio in loro onore inventò l’applauso come segno di omaggio alle loro manifestazioni artistiche.
Le Muse, grate a Croto, si rivolsero a Zeus affinché gli concedesse un posto d’onore sulla volta celeste; il padre degli dei decise dunque di trasformarlo in una costellazione e premiandolo per la sue doti di arciere e di cavallerizzo, lo pose tra le stelle a brillare per l’eternità.
Il pianeta Saturno: principali caratteristiche e informazioni
Saturno, il sesto pianeta del Sistema Solare, è noto per la sua magnificenza e i suoi anelli spettacolari. Questo gigante gassoso si trova a una distanza media di circa 1,4 miliardi di chilometri dal Sole. Conosciuto come il “Signore degli Anelli”, Saturno è un pianeta che continua a stupire e affascinare scienziati e appassionati di astronomia.
Composizione e Struttura di Saturno
Il pianeta Saturno è composto principalmente da idrogeno ed elio, con tracce di metano, acqua e ammoniaca. La sua atmosfera è caratterizzata da bande colorate e vortici, tra cui spicca un gigantesco sistema di vortici di forma esagonale al Polo nord.
Dimensioni di Saturno
Il diametro equatoriale del pianeta Saturno è di circa 116.464 km, rendendolo il secondo pianeta più grande del Sistema Solare dopo Giove. La sua massa è pari a 95,2 volte quella terrestre, eppure è l’unico pianeta del nostro sistema solare la cui densità media è inferiore a quella dell’acqua, il che significa che potrebbe galleggiare in un oceano abbastanza grande.
I Satelliti di Saturno
Saturno vanta un numero impressionante di satelliti naturali. Attualmente, si contano 82 satelliti confermati, con 53 di questi che hanno ricevuto un nome ufficiale. Tra i principali satelliti, troviamo Titano, il più grande, noto per la sua atmosfera densa e i laghi di idrocarburi, e Encelado, famoso per i suoi getti di vapore acqueo e possibili oceani sotterranei. Altri satelliti rilevanti includono Mimas, Teti, Dione, Rea e Giapeto.
Distanze e Dimensioni
La distanza dei satelliti da Saturnovaria considerevolmente, con alcuni che orbitano molto vicino al pianeta, mentre altri si trovano a distanze molto più estese. Titano, il più grande dei satelliti di Saturno, orbita a una distanza media di circa 1,2 milioni di chilometri dal centro del pianeta. Altri satelliti significativi includono Rhea, Dione, Tethys e Enceladus, che orbitano a distanze che vanno da 200.000 a 500.000 chilometri.
Periodi di Rivoluzione
I periodi di rivoluzione deisatelliti di Saturnosono altrettanto vari. Titano, per esempio, completa un’orbita attorno a Saturno in circa 16 giorni terrestri. Altri satelliti, come Mimas e Enceladus, hanno periodi di rivoluzione più brevi, compiendo un’orbita completa in meno di un giorno terrestre.
Caratteristiche Fisiche
I satelliti di Saturno presentano una vasta gamma di caratteristiche fisiche. Titano, ad esempio, è noto per la sua densa atmosfera ricca di azoto e per i suoi laghi di idrocarburi liquidi. Enceladus si distingue per i suoi getti di vapore acqueo e per la possibile presenza di un oceano sotterraneo di acqua liquida. Mimas è riconoscibile per il grande cratere Herschel, che gli conferisce un aspetto simile alla “Morte Nera” di Star Wars.
Teorie di Formazione
Le teorie sulla formazione dei satelliti di Saturno sono varie e complesse. Alcuni potrebbero essersi formati dallo stesso disco di accrescimento che ha dato origine a Saturno, mentre altri potrebbero essere oggetti catturati dalla gravità del pianeta. Le interazioni gravitazionali tra i satelliti e gli anelli di Saturno hanno anche giocato un ruolo cruciale nella loro evoluzione orbitale.
Gli Anelli di Saturno: Una Danza Celestiale di Ghiaccio e Roccia
Gli anelli di Saturno sono una delle meraviglie più affascinanti del nostro sistema solare. Questi dischi luminosi che circondano il secondo gigante gassoso hanno catturato l’immaginazione di astronomi e appassionati per secoli. In questo articolo, esploreremo le dimensioni, la composizione, la formazione e le missioni spaziali che hanno studiato gli anelli di Saturno.
Dimensioni degli Anelli del Pianeta Saturno
Gli anelli di Saturno si estendono dalla quota di circa 6.600 km dalla superficie del pianeta fino a 120.000 km. Hanno uno spessore medio di 10 metri, ma in alcune zone possono raggiungere i 3-5 km. Il diametro complessivo del sistema di anelli può arrivare fino a circa 300.000 km, quasi un terzo della distanza tra la Terra e la Luna.
Formazione degli Anelli del Pianeta Saturno
La formazione degli anelli di Saturno è ancora oggetto di studio, ma le misure della gravità del pianeta e della massa degli anelli suggeriscono che potrebbero essersi formati al più 100 milioni di anni fa. Questa stima li rende significativamente più giovani del pianeta stesso, che ha circa 4,5 miliardi di anni.
Composizione
Gli anelli sono composti da miliardi di particelle di varie dimensioni, dalla granulometria della polvere fino alla grandezza di una montagna. Queste particelle sono principalmente di ghiaccio, con impurità che includono elementi rocciosi e organici. Si ritiene che queste particelle possano essere frammenti di comete, asteroidi o lune che sono state distrutte prima di raggiungere il pianeta, frantumate dalla sua potente gravità.
Missioni Spaziali verso il Pianeta Saturno
Diverse missioni spaziali hanno studiato Saturno e i suoi anelli, fornendo dati preziosi sulla loro struttura e composizione:
Pioneer 11: La prima sonda a effettuare un flyby di Saturno, fornendo le prime immagini ravvicinate degli anelli.
Voyager 1 e 2: Queste missioni hanno offerto una visione dettagliata degli anelli, scoprendo la complessità e la fine struttura delle fasce.
Cassini-Huygens: La missione più prolungata e dettagliata, Cassini ha orbitato Saturno per oltre 13 anni, studiando gli anelli in profondità e fornendo informazioni senza precedenti sulla loro composizione e dinamica.
Principali dati del Pianeta Saturno
Ecco i principali dati di Saturno, escludendo le informazioni provenienti da Wikipedia:
Tipo di Pianeta: Gigante gassoso.
Massa: Circa 5,6834×1026 kg.
Raggio Medio: 58.232 km.
Distanza dal Sole:
Afelio (punto più lontano): circa 1,51 miliardi di km.
Perielio (punto più vicino): circa 1,35 miliardi di km.
Periodo di Rivoluzione: Circa 29,5 anni terrestri.
Distanza Media dalla Terra: 1,4 miliardi di km.
Composizione: Prevalentemente idrogeno ed elio, con tracce di metano, acqua e ammoniaca.
Giove, il quinto pianeta dal Sole, è un gigante gassoso noto per la sua imponente presenza nel nostro sistema planetario. Con una massa che supera quella di tutti gli altri pianeti combinati, Giove domina il paesaggio celeste oltre la cintura principale degli asteroidi.
Posizione nel Sistema Solare
Giove orbita attorno al Sole a una distanza media di circa 778 milioni di chilometri, situandosi oltre Marte e prima della fascia degli asteroidi. Il suo percorso orbitale lo porta a compiere una rivoluzione completa in quasi 12 anni terrestri, fungendo da guardiano per i pianeti interni grazie alla sua massiccia gravità.
Composizione
Questo colosso è prevalentemente composto da idrogeno (circa il 75%) ed elio (circa il 24%), con tracce di metano, acqua, ammoniaca e composti di roccia e metallo. La sua atmosfera superiore è adornata da bande colorate e vortici, tra cui spicca la Grande Macchia Rossa, un gigantesco ciclone persistente da secoli.
Dimensioni
Con un diametro equatoriale di circa 142.984 km, Giove è il più grande pianeta del nostro sistema solare. La sua grandezza è tale che potrebbe contenere più di 1.300 Terre, e il suo volume è così vasto che il baricentro del sistema Sole-Giove non si trova all’interno del Sole stesso, ma nello spazio che li separa.
Giove in dati
Posizione: Giove è il quinto pianeta del Sistema Solare in ordine di distanza dal Sole.
Diametro Equatoriale: Circa 142.984 km, rendendo Giove il più grande pianeta del nostro sistema solare.
Massa: 1,898 x 1027 kg, circa 318 volte quella della Terra.
I Satelliti
Giove è circondato da un’impressionante schiera di satelliti naturali, conosciuti anche come lune. Al momento, si contano 79 satelliti confermati, ma il numero potrebbe aumentare con nuove scoperte. Tra questi, spiccano i quattro principali: Io, Europa, Ganimede e Callisto, noti come satelliti galileiani. Questi corpi celesti sono stati i primi ad essere scoperti al di fuori del nostro pianeta e hanno rivoluzionato la nostra comprensione dell’universo.
I Satelliti Principali di Giove: Un Viaggio tra Scoperta e Mistero
Giove, il gigante gassoso del nostro sistema solare, è noto per essere circondato da un’impressionante schiera di satelliti naturali. Tra questi, spiccano i quattro principali: Io, Europa, Ganimede e Callisto, conosciuti anche come satelliti galileiani. Questi corpi celesti non sono solo testimoni della storia astronomica, ma anche oggetti di studio per comprendere meglio la composizione e la dinamica del nostro sistema solare.
Scoperta dei Satelliti Galileiani
La scoperta dei satelliti principali di Giove risale al 1610, ad opera di Galileo Galilei. Utilizzando il suo telescopio, Galilei osservò quattro punti luminosi che cambiavano posizione di notte in notte, deducendo che fossero corpi in orbita attorno a Giove. Questa scoperta fu rivoluzionaria, poiché contraddiceva la visione geocentrica dell’universo, sostenendo invece il modello eliocentrico.
Composizione e Struttura
I satelliti galileiani presentano composizioni diverse:
Io è il più interno e si distingue per la sua intensa attività vulcanica.
Europa è ricoperta da una crosta di ghiaccio e si ipotizza possa nascondere un oceano sotterraneo di acqua salata.
Ganimede, il più grande satellite naturale del sistema solare, ha un campo magnetico proprio e una struttura differenziata simile a quella dei pianeti terrestri.
Callisto presenta una superficie antica e fortemente craterizzata, segno di un passato geologicamente tranquillo.
Caratteristiche Fisiche dei satelliti principali
Le dimensioni e le caratteristiche fisiche dei satelliti galileiani sono uniche:
Ganimede è il gigante tra i satelliti naturali con i suoi 5.268 km di diametro.
Callisto ha un diametro di circa 4.821 km.
Principali Missioni
Le missioni spaziali che hanno esplorato Giove sono state fondamentali per ampliare la nostra conoscenza del gigante gassoso e del suo sistema di satelliti. Ecco un elenco delle principali missioni:
Pioneer 10 e 11: Lanciate rispettivamente nel 1972 e 1973, queste missioni hanno rappresentato i primi flybys di Giove, fornendo dati preziosi sul pianeta e i suoi satelliti.
Voyager 1 e 2: Nel 1979, le sonde Voyager hanno effettuato flybys di Giove, raccogliendo immagini dettagliate e dati che hanno rivoluzionato la nostra comprensione del sistema gioviano.
Galileo: Lanciata nel 1989, la sonda Galileo è stata la prima a entrare in orbita attorno a Giove, rimanendo operativa per oltre 7 anni e inviando dati approfonditi sul pianeta, i suoi anelli e i suoi satelliti.
Cassini: Pur essendo una missione primariamente diretta verso Saturno, Cassini ha effettuato un flyby di Giove nel 2000, raccogliendo dati che hanno aiutato a comprendere meglio l’atmosfera e la magnetosfera del pianeta.
New Horizons: Anche se il suo obiettivo principale era Plutone, nel 2007 la sonda New Horizons ha utilizzato Giove per una manovra di fionda gravitazionale e ha approfittato dell’occasione per studiare il pianeta e i suoi satelliti.
Juno: Lanciata nel 2011, la sonda Juno è stata progettata per studiare la composizione, il campo gravitazionale, il campo magnetico e la magnetosfera polare di Giove. È attualmente operativa e continua a inviare dati.
Jupiter Icy Moons Explorer (JUICE): Prevista per il lancio nel 2023, questa missione dell’ESA si concentrerà sull’esplorazione di Callisto, Ganimede ed Europa, tre dei satelliti galileiani.
Europa Clipper: Pianificata per il lancio nel 2024, questa missione della NASA mira a studiare il potenziale abitabile di Europa, uno dei satelliti galileiani, con particolare attenzione alla sua crosta di ghiaccio e all’oceano sottostante.
Aurora boreale del 10 maggio ma fenomeno sempre più frequente in Italia – Cosa sono le aurore boreali e perché si vedono?
L’Italia si sta abituando ad un fenomeno celeste piuttosto inusuale per le nostre latitudini: le Aurore Boreali.
Le aurore boreali, di cui abbiamo parlato ampiamente nel numero 260 di COELUM ASTRONOMIA, sono dei fenomeni che si manifestano dall’incontro del campo magnetico terrestre con le particelle cariche emesse dal Sole.
Il fenomeno della Aurore Boreali interessa in genere il nord Europa ma a causa dell’aumento dell’attività del Sole gli effetti si spingono fino a regioni più basse sull’equatore fra cui quelle del sud Europa appunto.
Le immagini sorprendenti si riferiscono alla sera del 10 maggio in cui il bagliore rossastro si è manifestato in quasi tutto il Nord Italia ed attenzione a stasera perché il fenomeno potrebbe ripetersi!
C’è da dire che le immagini non rispecchiano spesso quanto visibile ad occhio nudo perché per incrementare l’effetto gli astrofotografi sono soliti utilizzare dei filtri in grado di catturare più o meno colore in una determinata tonalità. Ciò nonostante l’effetto resta comunque stupefacente.
L’attività solare continuerà a crescere fino a raggiungere il massimo previsto per il 2025 ciò farà si che lo spettacolo possa ripetersi con frequenza nei prossimi mesi.
L’Italia non è nuova a questo fenomeno, anche in passato il territorio nazionale è stato inondato dall’insolita luce rossastra, così come raccontato da Daniele Capezzali nel n° 267 di COELUM ASTRONOMIA. Grazie ai suoi studi Capezzali ha individuato in alcuni manoscritti risalenti al 1700 la descrizione di un’aurora boreale potentissima le cui tracce e conferme si individuano anche in testi tedeschi e giapponesi.
Nella schermata sopra l’aurora boreale ripresa dalla AllSkyCam progettata e costruita da Francesco Sferlazza e installata a Brallo di Pregola in provincia di Pavia. Con la sua webcam in remoto Sferlazza è riuscito a catturare una testimonianza genuina del fenomeno. La AllSkyCam è descritta con attenzione e con tutti i passaggi per la costruzione nel prossimo numero 268 di COELUM ASTRONOMIA.
Complimenti anche per il nostro autore Cristian Fattinnanzi che è riuscito a catturare una testimonianza unica ed emblematica dell’aurora boreale che il 10 maggio ha raggiunto anche l’Italia.
Le Aurore Boreali: Uno Spettacolo di Luce e Scienza
Le aurore boreali, conosciute anche come “luci del nord”, sono uno dei fenomeni naturali più affascinanti del nostro pianeta. Questo articolo esplora la scienza dietro le aurore boreali, descrivendo cosa sono, come si formano, eventi particolari, quando svaniscono e come possono essere fotografate.
Cosa Sono le Aurore Boreali?
Le aurore boreali sono spettacolari giochi di luce che si verificano nelle regioni polari della Terra. Sono visibili principalmente nelle zone vicino ai poli magnetici, in particolare durante i mesi invernali. Questi fenomeni luminosi sono caratterizzati da bande colorate che danzano nel cielo notturno.
Come si Formano le Aurore Boreali?
Le aurore si formano quando le particelle cariche emesse dal Sole, conosciute come vento solare, interagiscono con il campo magnetico terrestre. Queste particelle sono canalizzate verso i poli magnetici, dove collidono con gli atomi e le molecole dell’atmosfera terrestre, rilasciando energia sotto forma di luce1.
Quando Svaniscono le Aurore Boreali?
Le aurore boreali sono fenomeni transitori e la loro durata può variare. Possono durare da pochi minuti a diverse ore, ma generalmente svaniscono con l’arrivo dell’alba, quando la luce solare inizia a illuminare il cielo.
Suggerimenti per fotografare l’aurora boreale livello principiante
Per fotografare le aurore boreali è necessario avere una fotocamera con la possibilità di impostare manualmente l’esposizione. È consigliabile utilizzare un treppiede per stabilizzare la fotocamera e impostare un’esposizione lunga per catturare la luce delle aurore. L’uso di un obiettivo grandangolare può aiutare a catturare l’ampiezza del fenomeno.
In conclusione, le aurore boreali sono un fenomeno naturale straordinario che combina bellezza e scienza. La loro osservazione e fotografia richiedono pazienza e un po’ di pianificazione, ma l’esperienza di assistere a questo spettacolo di luci è indimenticabile.
La Storia dell’Attività Solare e la Situazione Attuale – cenni
L’attività solare ha affascinato l’umanità fin dall’antichità. La nostra stella, il Sole, è una dinamo cosmica che influenza non solo il clima spaziale ma anche la vita sulla Terra.
La storia dell’attività solare è caratterizzata dai cosiddetti cicli solari, periodi di circa 11 anni durante i quali l’attività del Sole varia da minima a massima.
Uno degli eventi più noti nella storia dell’attività solare è il “Minimo di Maunder”, un periodo tra il 1645 e il 1715 durante il quale le macchie solari divennero estremamente rare. Questo periodo coincide con la “Piccola Era Glaciale” in Europa, suggerendo un legame tra attività solare e clima terrestre.
La Situazione Attuale
Attualmente, il Sole sta attraversando il ciclo solare 25. Dopo un periodo di minima attività, che ha visto un numero ridotto di macchie solari, l’attività sta aumentando. Questo è confermato dal maggior numero di macchie solari, principalmente nelle regioni equatoriali, e dalla più alta frequenza di altri fenomeni solari, come le espulsioni di massa coronale.
Le macchie solari sono regioni del Sole che appaiono più scure perché sono più fredde rispetto alle aree circostanti. Sono un indicatore chiave dell’attività solare e possono dar luogo a brillamenti solari, potenti esplosioni di radiazione che possono influenzare le comunicazioni radio sulla Terra e generare spettacolari aurore polari.
Implicazioni per il Futuro L’attuale aumento dell’attività solare è un fenomeno normale all’interno del ciclo solare. Tuttavia, è importante monitorare questa attività poiché può avere implicazioni significative per la tecnologia e la società. Tempeste solari particolarmente intense possono disturbare i satelliti, le reti elettriche e le comunicazioni.
A partire dal prossimo numero 268 di COELUM ASTRONOMIA
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Il Misterioso Pianeta Mercurio: Un Viaggio nel Sistema Solare Interno
Mercurio, il pianeta più interno del nostro sistema solare, è un mondo di estremi e contrasti. Nonostante sia spesso trascurato a favore dei suoi vicini più grandi e più appariscenti, questo piccolo pianeta roccioso nasconde segreti che potrebbero svelare molto sulla formazione del nostro quartiere cosmico.
I Record
Mercurio è noto per le sue condizioni estreme. Con un diametro di soli 4.880 chilometri, è il più piccolo pianeta del nostro sistema solare, se escludiamo i pianeti nani. La sua vicinanza al Sole significa che riceve una quantità di radiazione solare molto maggiore rispetto alla Terra. Di conseguenza, le temperature diurne possono raggiungere i 430°C, mentre di notte possono precipitare fino a -180°C, a causa dell’assenza di un’atmosfera significativa che possa trattenere il calore.
Il nucleo
Una delle scoperte più affascinanti riguardanti Mercurio è la dimensione del suo nucleo. Le misurazioni indicano che il nucleo metallico di Mercurio occupa circa il 55% del suo volume totale, una proporzione molto più grande rispetto agli altri pianeti rocciosi del sistema solare. Questo ha portato gli scienziati a ipotizzare che Mercurio potrebbe essere stato in passato molto più grande, ma un impatto catastrofico potrebbe aver spogliato gran parte del suo mantello esterno.
Un Campo Magnetico Enigmatico
Nonostante le sue dimensioni ridotte, Mercurio possiede un campo magnetico, il che è piuttosto insolito per un pianeta della sua stazza. Il campo magnetico è circa l’1% della forza di quello terrestre, ma la sua esistenza pone interrogativi interessanti sugli interni planetari e sulle dinamiche del nucleo.
Crateri e Contrazioni
La superficie di Mercurio è costellata di crateri, simili a quelli della Luna, testimoni di un passato violento e bombardato da asteroidi e comete. Inoltre, la superficie mostra segni di contrazione, con scarpate che si estendono per centinaia di chilometri, suggerendo che il pianeta si sta raffreddando e restringendo nel tempo.
L’Esplorazione
Le principali missioni dedicate al pianeta:
Mariner 10: Lanciata dalla NASA nel 1973, è stata la prima missione a sorvolare Mercurio. Ha realizzato tre flyby del pianeta nel 1974 e 1975, rivelando dettagli senza precedenti sulla sua superficie craterizzata e sul suo campo magnetico.
MESSENGER: Anche questa missione della NASA, lanciata nel 2004, ha effettuato tre flyby di Mercurio tra il 2008 e il 2009 prima di entrare in orbita attorno al pianeta nel 2011. MESSENGER ha fornito una mappatura completa della superficie di Mercurio e ha scoperto prove di ghiaccio d’acqua nei poli del pianeta.
BepiColombo: È una missione congiunta dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA) e dell’Agenzia Spaziale Giapponese (JAXA), lanciata nel 2018. Composta da due sonde, BepiColombo è progettata per studiare la formazione e l’evoluzione di Mercurio. Si prevede che entrerà in orbita attorno a Mercurio verso la fine del 2025.
Esplorazione Futura
Le missioni passate, come MESSENGER della NASA, hanno fornito una ricchezza di dati, ma molto rimane da scoprire. La missione BepiColombo, una collaborazione tra l’Agenzia Spaziale Europea (ESA) e l’Agenzia Spaziale Giapponese (JAXA), è attualmente in viaggio verso Mercurio, con l’obiettivo di mappare la sua superficie in dettaglio senza precedenti e di comprendere meglio la sua storia geologica e la natura del suo campo magnetico.
In conclusione, Mercurio potrebbe essere piccolo, ma le sue peculiarità lo rendono un gigante in termini di interesse scientifico. Continuando ad esplorarlo, possiamo sperare di risolvere alcuni dei misteri che ancora avvolgono questo pianeta veloce e ardente.
Dati interessanti
Nome: prende il nome dal messaggero degli dei romani, noto per la sua velocità.
Dimensioni: È leggermente più grande della Luna della Terra, ha un raggio medio di 2.440 chilometri (1.516 miglia), il che lo rende poco più grande di un terzo della larghezza della Terra. Per darti un’idea, se la Terra fosse grande quanto una moneta da cinque centesimi, Mercurio sarebbe approssimativamente delle dimensioni di un mirtillo. Inoltre, Mercurio si trova a una distanza media di 58 milioni di chilometri (36 milioni di miglia) dal Sole, equivalente a 0,4 unità astronomiche.
Orbita: Completa un’orbita attorno al Sole ogni 88 giorni terrestri.
Superficie: Ricoperta da decine di migliaia di crateri da impatto.
Sole: Da Mercurio, il Sole appare più di tre volte più grande rispetto a come lo vediamo dalla Terra.
Temperatura: Nonostante la sua vicinanza al Sole, Mercurio non è il pianeta più caldo del sistema solare; questo titolo spetta a Venere.
Velocità: è il pianeta più veloce, viaggiando nello spazio a quasi 47 km/s.
Atmosfera: Possiede una sottile esosfera.
Satelliti: Non ha lune.
Anelli: Non possiede anelli.
Vita: Non può sostenere la vita come la conosciamo.
Venere, il secondo pianeta del nostro sistema solare, è spesso chiamato il “gemello malvagio” della Terra a causa delle sue somiglianze in termini di dimensioni e composizione, ma anche per le sue drammatiche differenze climatiche e geologiche. In questo articolo, esploreremo le origini, la composizione, le caratteristiche e le curiosità di questo pianeta affascinante.
Origini e Composizione
Venere si è formato circa 4,5 miliardi di anni fa dallo stesso disco protoplanetario da cui è emersa la Terra. La sua composizione è simile a quella terrestre, con un nucleo di ferro, un mantello roccioso e una crosta solida. Tuttavia, la sua atmosfera è radicalmente diversa: è densa e composta principalmente di anidride carbonica, con tracce di azoto e altri gas, che contribuiscono a un effetto serra devastante.
Caratteristiche Distintive
Venere brilla nel cielo notturno grazie alla sua densa copertura nuvolosa che riflette la luce solare. Queste nubi sono acide e impediscono una visione chiara della superficie. La temperatura superficiale raggiunge i 467°C, la più alta tra tutti i pianeti del sistema solare, superando persino Mercurio.
La superficie è caratterizzata da un paesaggio dominato da vulcani e terreno scosceso, con poche evidenze di placche tettoniche. Ciò suggerisce che l’attività vulcanica è stata una forza predominante nella sua storia geologica.
Rotazione Retrograda e Parametri Orbitali
Un aspetto peculiare di Venere è la sua rotazione retrograda: ruota in senso opposto rispetto alla maggior parte dei pianeti del sistema solare. Il suo periodo orbitale è di circa 225 giorni terrestri, significativamente più breve di un anno terrestre. Venere orbita a una distanza media di circa 108 milioni di chilometri dal Sole.
Esplorazione e Principali Missioni
Venere è stato oggetto di numerose missioni spaziali. La fosfina, un gas rilevato nelle nubi di media altitudine, ha recentemente sollevato l’ipotesi di possibili forme di vita microbica, sebbene questa teoria sia ancora oggetto di dibattito.
Ecco un elenco delle principali missioni spaziali che hanno sorvolato o esplorato Venere:
Mariner 2 (1962): La prima missione riuscita su qualsiasi altro pianeta. Ha misurato la temperatura superficiale di Venere per la prima volta.
Venera 4 (1967): La navicella spaziale dell’Unione Sovietica che è stata la prima a trasmettere con successo informazioni dall’atmosfera.
Mariner 5 (1967): Veicolo spaziale della NASA che si è avvicinato il 19 ottobre 1967, esaminando i campi magnetici e le particelle cariche.
Venera 5 e 6 (1969): Missioni sovietiche che hanno studiato l’atmosfera venusiana.
Venera 7 (1970): La prima navicella spaziale a restituire dati con successo dopo l’atterraggio sulla superficie.
Venera 8 (1972): Ha fornito dati sulla luce solare e sulle condizioni atmosferiche.
Mariner 10 (1974): Ha sorvolato lungo il suo tragitto verso Mercurio e ha ripreso immagini all’ultravioletto delle nubi.
Pioneer Venus (1978): Un gruppo di missioni della NASA che ha studiato l’atmosfera e la superficie.
Veneras 11 e 12 (1978): Veicoli spaziali sovietici che hanno rilasciato un lander sulla superficie.
Veneras 13 e 14 (1981): Missioni sovietiche che hanno fornito immagini a colori della superficie.
Veneras 15 e 16 (1983): Hanno mappato la superficie usando radar.
Vegas 1 e 2 (1985): Veicoli spaziali sovietici che hanno fornito uno sguardo al pianeta da molte angolazioni diverse.
Magellan (1989): La missione della NASA che ha mappato la superficie con un radar ad alta risoluzione.
Galileo (1989): Ha sorvolato Venere mentre era in rotta verso Giove.
Cassini (1998 e 1999): Ha sorvolato Venere due volte per prendere velocità verso Saturno.
MESSENGER (2004): Ha sorvolato mentre era in rotta verso Mercurio.
Venus Express (2005): La missione dell’Agenzia Spaziale Europea che ha studiato l’atmosfera e la superficie di Venere.
Akatsuki (2010): Il primo orbiter giapponese su Venere.
BepiColombo (2020 e 2021): Una missione congiunta ESA e JAXA che ha sorvolato Venere mentre era in rotta verso Mercurio.
Queste missioni hanno contribuito significativamente alla nostra comprensione di Venere, fornendo dati preziosi sulla sua atmosfera, superficie e caratteristiche geologiche.
Dati
Ecco un elenco puntato con i dati principali del pianeta Venere:
Diametro medio: circa 12.104 km1 Massa: 4,8675 × 10^24 kg, circa l’81,5% della massa terrestre1 Densità media: 5,243 kg/m^31 Gravità superficiale: 8,87 m/s^21 Periodo di rotazione: 243,69 giorni terrestri (rotazione retrograda)1 Temperatura superficiale: minima di 653 K (380 °C), media di 737 K (464 °C)1 Pressione atmosferica: 92 bar1 Albedo (riflettività): 0,771 Magnitudine apparente: tra -4,38 e -4,8, rendendolo l’oggetto naturale più luminoso nel cielo notturno dopo la Luna1 Semiasse maggiore: 1,0821 × 10^8 km1 Periodo orbitale: 224,701 giorni terrestri1 Velocità orbitale media: 35,02 km/s1 Inclinazione orbitale: 3,39°1 Eccentricità orbitale: 0,00671
Conclusioni
In conclusione, Venere continua a essere un pianeta di grande interesse scientifico. Le sue condizioni estreme e la sua vicinanza alla Terra lo rendono un laboratorio naturale per studiare i processi geologici e atmosferici che possono esistere su altri mondi rocciosi nell’universo.
I International Astrobiology School – From interstellar molecules to first cells
21 – 24 Maggio 2024, Museo degli Innocenti, Firenze
Organizzatori: Astrobiology Graduates in Europe (AbGradE) e Arcetri Astrobiology Lab (INAF – Osservatorio Astrofisico di Arcetri)
Astrobiology Graduates in Europe (AbGradE) e Arcetri Astrobiology Lab (INAF – Osservatorio Astrofisico di Arcetri) annunciano la prima edizione della “International Astrobiology School”, che si terrà a Firenze presso il Museo degli Innocenti dal 21 al 24 maggio 2024, per celebrare il 10° anniversario della nascita di AbGradE, organizzata da Prof. John Robert Brucato (INAF-OA), Dr. Andrew Alberini (INAF-OA), Dr. Christian Lorenz (Università di Napoli Federico II, INAF-OA) e Dr.ssa Silvana Pinna (Presidente di AbGradE).
Cosa è l’Astrobiologia? L’astrobiologia è un campo della ricerca scientifica fortemente interdisciplinare che sta suscitando sempre più̀ interesse nel panorama contemporaneo per le sue implicazioni nell’esplorazione spaziale. L’astrobiologia nasce dal connubio di conoscenze e competenze che provengono da discipline fino a oggi considerate appartenenti ad aree strettamente distinte come l’astrofisica, la biologia, la chimica e la geologia. L’obiettivo dell’astrobiologia è rispondere a due delle domande più profondamente filosofiche della storia dell’Uomo: da dove veniamo? Siamo soli nell’Universo? Scientificamente parlando, si occupa di studiare l’origine, l’evoluzione e la distribuzione delle forme di vita nell’universo, cercando di scoprire se esistono forme di vita emerse fuori dal pianeta Terra. Pertanto, la formazione di nuove generazioni di ricercatori con una solida preparazione multidisciplinare è più̀ che mai urgente in vista di un futuro ricco di progetti e missioni di esplorazione planetaria da parte delle principali agenzie spaziali, fra cui NASA ed ESA, per tentare di rispondere alle numerose domande di questo vasto campo scientifico.
Obiettivo della Scuola. L’International Astrobiology School offrirà un’opportunità unica per studenti universitari, dottorandi e post-doc provenienti da tutto il mondo che potranno partecipare ad una serie di seminari focalizzati sui principali temi dell’astrobiologia. I partecipanti avranno modo di interagire con alcune delle personalità italiane e internazionali più rilevanti di questo campo come John Robert Brucato (INAF), Paola Caselli (Max Planck), Jean Pierre de Vera (DLR – Centro Aerospaziale Tedesco), Teresa Fornaro (INAF), Wolf Geppert (Università di Stoccolma), Donato Giovannelli (Università di Napoli Federico II) Mitchell Schulte (NASA) e Cyprien Verseux (ZARM – Università di Brema). Gli oratori potranno condividere i risultati delle loro ricerche agli studenti con l’intento di fornire gli strumenti necessari per affrontare le sfide future di questo campo di ricerca. Inoltre, i partecipanti potranno interagire in maniera informale con gli oratori attraverso workshop pomeridiani come il World Café: un metodo efficace e dinamico di condivisione di idee e rafforzamento del concetto di comunità scientifica. In conclusione, ai partecipanti verrà data la possibilità di poter presentare i propri lavori e ricerche in una poster session.
La scuola internazionale di astrobiologia sarà un’occasione unica per la nostra comunità scientifica nazionale e internazionale per poter consolidare e migliorare la condivisione del Sapere sia fra i ricercatori odierni che futuri, in cui Firenze sarà cornice di questo evento, una città rinomata per la sua storia, la sua arte e la sua cultura.
La navicella spaziale TESS della NASA riprende la caccia agli esopianeti dopo essersi ripresa dal problema tecnico e scopre un pianeta roccioso che brilla di lava fusa mentre viene schiacciato dai suoi vicini
Il satellite TESS è uscito dalla modalità provvisoria il 3 maggio, continuando le sue osservazioni scientifiche.
Il Transiting Exoplanet Survey Satellite (TESS) della NASA è tornato in azione, alla ricerca di mondi oltre i limiti del sistema solare.
TESS è uscito dalla “modalità provvisoria” il 3 maggio, riprendendo la ricerca di mondi in altri sistemi stellari noti come pianeti extrasolari (o esopianeti ) mentre attraversano o “transitano” sulla faccia delle loro stelle madri , causando un piccolo calo nella luce stellare. Il satellite era entrato in modalità provvisoria quando ha interrotto le operazioni il 23 aprile , appena cinque giorni dopo aver celebrato il sesto anniversario del suo lancio, avvenuto il 18 aprile 2018.
Praticamente nello stesso periodo il ricercatore Stephen Kane di UC Riverside ha annunciato la scoperta, proprio grazie ai dati ricevuti da TESS, di un pianeta che sopravvive in condizioni estreme.
Kane stava studiando un sistema stellare chiamato HD 104067 a circa 66 anni luce dal nostro Sole e che era già noto per ospitare un pianeta gigante. TESS aveva appena scoperto segnali per un nuovo pianeta roccioso in quel sistema. Raccogliendo dati su quel pianeta, Kane ne trovò inaspettatamente un altro, portando a tre il numero totale di pianeti conosciuti nel sistema.
Il nuovo pianeta scoperto da TESS è un pianeta roccioso come la Terra, ma più grande del 30%. Tuttavia, a differenza della Terra, ha più cose in comune con Io, la luna rocciosa più interna di Giove e il corpo più attivo dal punto di vista vulcanico del nostro Sistema Solare.
Kane ha calcolato che la temperatura superficiale del nuovo pianeta, TOI-6713.01, sarebbe di 2.600 gradi Kelvin, che è più calda di alcune stelle. Le forze gravitazionali sono responsabili dell’attività vulcanica sia su Io che su questo pianeta.
Ci sono due pianeti nel sistema HD 104067 che sono più lontani dalla stella rispetto a questo nuovo pianeta. Quei pianeti esterni stanno anche forzando il pianeta roccioso interno in un’orbita eccentrica attorno alla stella che lo stringe mentre orbita e ruota.
“Questo ci insegna molto sugli estremi di quanta energia può essere pompata in un pianeta terrestre e sulle conseguenze di ciò”, ha detto Kane.
Cos’è TESS?
Il Transiting Exoplanet Survey Satellite (TESS) è una missione spaziale rivoluzionaria progettata per la scoperta di esopianeti. Lanciato il 18 aprile 2018, TESS ha segnato l’inizio di una nuova era nell’esplorazione planetaria.
Obiettivo della Missione TESS
L’obiettivo principale di TESS è l’identificazione di pianeti extrasolari che transitano davanti alle loro stelle ospiti. Utilizzando un metodo fotometrico del transito, TESS monitora la luminosità delle stelle per rilevare cali periodici causati dai transiti planetari. La missione si concentra sulle stelle nane più brillanti vicine alla Terra, con l’intento di mappare circa il 75% del cielo stellato.
Come nasce la Missione TESS
Progettazione e Realizzazione TESS è un progetto guidato dal Massachusetts Institute of Technology (MIT) e gestito dal NASA’s Goddard Space Flight Center. Il satellite è stato costruito dalla Orbital Sciences Corporation e include partner come Northrop Grumman, NASA’s Ames Research Center, Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics, e altri istituti di ricerca e osservatori internazionali.
Principali Successi della Missione TESS
Principali Successi Durante la sua missione principale, TESS ha scoperto 66 nuovi esopianeti e quasi 2.100 candidati pianeti. Ha mappato oltre il 93% della volta celeste, fornendo dati preziosi per l’analisi di una vasta gamma di fenomeni cosmici.
Posizione di TESS
Orbita di TESS TESS segue un’orbita altamente ellittica con un apogeo di 375.000 km e un perigeo di 108.000 km. Il periodo orbitale è di circa 13,7 giorni, con un’inclinazione di 37°. Questa orbita particolare consente osservazioni ampie e continue, stabilità termica e riduzione della luce parassita causata dall’interferenza tra Terra e Luna.
In conclusione, TESS non solo continua a cercare nuovi mondi ma anche a espandere la nostra comprensione dell’universo, dimostrandosi uno strumento inestimabile nella ricerca di esopianeti e nella comprensione delle loro caratteristiche.
Il cielo di luglio ci prende per mano, guidandoci tra asterismi e leggende fino a notte tarda, quando nel silenzio possiamo contemplare l’infinita bellezza del firmamento.
Tra le costellazioni tipiche dell’estate e del mese di luglio troviamo quella dello Scorpione, una figura molto affascinante e facilmente individuabile sulla volta celeste: si tratta di un asterismo tipico del cielo australe, ma che possiamo osservare anche nel cielo boreale durante i mesi estivi.
La brillante stella Antares (α Sco / α Scorpii / Alfa Scorpii) è l’emblema dello Scorpione: si tratta di una supergigante rossa situata a 600 anni luce dal Sistema Solare, con una magnitudine apparente 1,06: la stella si trova al centro della costellazione e il suo nome significa “rivale di Marte” (anti-Ares) per via del colore rossastro che la accomuna al pianeta Marte.
Con un raggio di circa 850 volte quello del Sole, essa si classifica come una delle stelle più grandi conosciute.
Tra le altre stelle che compongono la costellazione dello Scorpione merita la nostra attenzione anche Shaula (λ Sco / λ Scorpii / Lambda Scorpii), una stella azzurra di magnitudine 1,62: si tratta dell’astro più luminoso del gruppo di stelle che insieme a υ Scorpii compone la coda e quindi il pungiglione dello Scorpione.
Oggetti notevoli nella Costellazione dello Scorpione ANTARES E LA NUBE DI RHO OPHIUCHI
Insieme alle stelle di colore azzurro β Scorpii, δ Scorpii e π Scorpii, Antares compone l’asterismo del Grande Uncino ma non solo: la stella alfa dello Scorpione è pervasa dalla nube molecolare gigante denominata Nube di Rho Ophiuchi, che prende il nome da ρ Ophiuchi, stella situata nella costellazione dell’Ofiuco e che domina la regione composta da idrogeno ionizzato luminoso e polveri oscure; Rho Ophiuchi è forse uno dei soggetti più fotografati e ammirati del profondo cielo, che può essere individuato con le apposite strumentazioni nella regione di stelle che compongono la testa dello Scorpione, rivelando diversi dettagli attraverso la fotografia a lunga esposizione.
Parte dei gas della Nube vengono illuminati proprio da Antares, che vi conferisce la tipica colorazione rosso/arancio.
OGGETTI NON STELLARI NELLA COSTELLAZIONE DELLO SCORPIONE
La costellazione ospita un gran numero di stelle variabili oltre che diversi oggetti del cielo profondo: tra gli ammassi globulari ricordiamo M4, poco concentrato ma molto luminoso e individuabile già con un binocolo ad Ovest di Antares.
Vi è poi l’ammasso aperto M7 o Ammasso di Tolomeo, che se osservato da un luogo appropriato risulta ben visibile anche ad occhio nudo, mentre sarà risolvibile nei dettagli con l’ausilio di un binocolo.
LA COSTELLAZIONE DELLO SCORPIONE DALL’ASTRONOMIA ALLA MITOLOGIA
Come ogni oggetto celeste, anche lo Scorpione è circondato da un alone di mito e leggenda.
Secondo la mitologia greca la sua figura è strettamente legata a quella di Orione, diverse sono infatti le storie che raccontano di questo legame.
Secondo una delle vicende più acclarate lo Scorpione aveva punto fatalmente Orione dopo che il cacciatore si era vantato con Artemide di essere in grado di uccidere qualsiasi animale gli fosse capitato a tiro; questa sua spavalderia non fu gradita a Gea, la Terra, che scagliò il velenoso scorpione proprio contro Orione, uccidendolo. Zeus, vedendo a terra Orione e accanto ad egli il velenoso Scorpione, decise di trasformarli in stelle e porli sulla volta celeste, destinati a non incontrarsi mai perché quando lo Scorpione sorge Orione tramonta, in un ciclico scorrere del tempo e delle stagioni.
Secondo un’altra leggenda lo Scorpione salvò Artemide da un tentativo di violenza da parte di Orione: la dea infatti si avvalse dell’aiuto del velenoso pungiglione per liberarsi dalle grinfie del cacciatore, che venne punto su un tallone. Come ricompensa lo Scorpione venne posto in cielo, tra le stelle.
Posta tra le costellazioni di Ercole e del Boote brilla un piccolo gioiello fatto di stelle, che nel mese di giugno potremo provare a individuare nel cielo: la Corona Boreale.
Si tratta di una costellazione le cui stelle che la compongono sono disposte in maniera tale da ricordare la forma di una corona: Gemma (o Alphecca) è una stella binaria a eclissecon una magnitudine di 2,2 e distante dalla Terra 75 anni luce e rappresenta la stella alfa della costellazione.
Nusakan (Beta Corona Borealis) e Gamma Corona Borealis sono le altre due stelle più luminose della Corona Boreale.
La piccola costellazione non vanta un gran numero di oggetti non stellari, tranne che la presenza di alcune stelle variabili, osservabili anche con strumenti di piccole dimensioni, come la stella variabile supergigante gialla R Coronae Borealis.
Nella costellazione è presente anche un ammasso di galassie nominato Abell 2065, situato a un miliardo di anni luce dal nostro Sistema Solare, avente magnitudine 15.
La Costellazione della CORONA BOREALE NELLA MITOLOGIA
Anche questa tiara di stelle è ricoperta da un velo mitologico: uno dei miti più noti fa riferimento alla corona come un regalo di nozze del dio Dionisio alla bella Arianna, figlia di Minosse, triste e sconsolata per essere stata lasciata, anzi proprio piantata in asso, dal suo promesso sposo Teseo sull’isola di Nasso (da qui si è spesso attribuita l’origine della locuzione “piantare in Nasso”).
Pare che il diadema donato alla giovane fanciulla si trasformò in una costellazione, dopo che il dio Efesto lo ebbe lanciato in cielo.
Nel cielo di giugno ci imbattiamo nella costellazione del Boote, facilmente individuabile con la sua forma di aquilone e soprattutto grazie alla sua stella alfa, Arturo(α Boo): si tratta della stella più luminosa della costellazione e la quarta più brillante del cielo notturno dopo Sirio, Canopo e α Centauri.
Arturo è una gigante rossa con un diametro di 35 milioni di km (circa 25 volte più grande della nostra stella) e la sua luminosità è 113 volte quella del Sole,ma se teniamo conto di tutte le bande dello spettro elettromagnetico, la sua luminosità totale arriva a circa 200 volte quella del Sole.
La stella è situata a una distanza di 36,7 anni luce da noi e, pur appartenendo all’emisfero boreale, la sua posizione 19° a nord dell’equatore celeste fa sì che Arturo sia visibile da ogni area popolata della Terra.
OGGETTI NON STELLARI NELLA COSTELLAZIONE DEL BOOTE
Nella costellazioni sono presenti stelle variabili come W Boötis, molto luminosa, e le stelle doppie ν1-ν2 Bootis e μ1-μ2 Bootis: la prima coppia è formata da una stella gigante arancione e una bianca; la seconda coppia è composta da due stelle bianco-giallastre.
Entrambe le coppie possono essere facilmente risolvibili anche con il solo utilizzo di un binocolo.
Da segnalare l’ammasso globulare NGC 5466, un oggetto del profondo cielo alla portata di telescopi anche amatoriali.
Nella mitologia greca la figura del Boote è strettamente legata a quella dell’Orsa Maggiore nella vicenda che vede coinvolta la ninfa Callisto, una bellissima fanciulla figlia del Re di Arcadia Licaone e ancella di Artemide.
Divenuta l’ennesimo oggetto del desiderio di Zeus, Callisto fu tramutata in orso dallo stesso padre degli Dei.
Le versioni della storia sono diverse, citiamo le due più note: la prima versione racconta che fu proprio Zeus a trasformare la giovane fanciulla in un’orsa per sottrarla alle ire di Era; mentre, la seconda versione, narra che fu Artemide a trasformare Callisto in orsa, per punizione, dopo aver scoperto lo stato di gravidanza della giovane ancella, votata alla castità.
La metamorfosi di Callisto avvenne dopo aver dato alla luce Arcade.
Questi, allevato da Artemide e dalle sue ancelle, venne a conoscenza della presenza di un orso nel bosco dove abitavano le ninfe, così si mise sulle sue tracce per ucciderlo.
Dopo averlo scovato, si preparò a colpire l’animale con una lancia, ignaro della sua vera identità.
Zeus, impietosito, fermò il tempo, trasformò sia l’orsa che Arcade in stelle e li collocò per sempre sulla volta celeste.
In cielo madre e figlio sono “vicini” poiché, prolungando la coda dell’Orsa, si arriva ad Arcade, ovvero Arturo. Il nome dell’astro significa appunto “inseguitore dell’Orsa”.
Tra le costellazioni che caratterizzano il mese di giugno spiccano la Costellazione di Ercole e del Boote, che con le loro stelle e le loro storie ci terranno con gli occhi incollati al cielo; ma attraverso i sentieri celesti ci imbatteremo anche in un piccolo diadema di stelle, la Corona Boreale.
Indice dei contenuti
LA COSTELLAZIONE DI ERCOLE
Posta tra il Boote e la Lira, quella di Ercole è una costellazione tipica dell’estate boreale, che culmina a mezzanotte verso metà giugno; per via della sua ampia estensione (1225 gradi quadrati) è classificata come la quinta più grande del firmamento.
Nonostante le sue vaste dimensioni, Ercole non vanta stelle particolarmente brillanti: la più luminosa è Beta Herculis, nota anche come Kornephoros, stella di magnitudine 2,78; vi è poi Zeta Herculis, nota anche come Ruticulus, una stella gialla di magnitudine 2.81 distante 35 anni luce da noi.
OGGETTI NON STELLARI nella Costellazione di ERCOLE
La costellazione contiene in compenso un gran numero di stelle doppie e stelle variabili, alcune osservabili già con piccoli strumenti e telescopi, come Alpha Herculis, detta anche Ras Algethi: si tratta di una stella doppia situata nella parte meridionale della costellazione di Ercole, la cui componente principale è una gigante rossa variabile di magnitudine 3.51.
La Costellazione di Ercole giace lontana dalla porzione di cielo attraversata dalla Via Lattea, in una regione priva di galassie luminose; tuttavia la costellazione ospita uno dei più conosciuti ammassi globulari: M13 o Ammasso Globulare di Ercole.
Si tratta dell’ammasso più luminoso dell’emisfero boreale, visibile già ad occhio nudo da luoghi bui, e più nitido e ben dettagliato se osservato rispettivamente con binocolo e telescopio. Con la sua magnitudine apparente pari a 5,8 l’ammasso contiene migliaia di stelle ed è uno degli oggetti più fotografati da dilettanti e professionisti.
L’Ammasso Globulare di Ercole rimane altresì famoso per il “messaggio Arecibo”: un messaggio radio trasmesso nello spazio dal radiotelescopio di Arecibo, a Porto Rico, (purtroppo ormai smantellato dopo gravi danneggiamenti ambientali) il 16 novembre 1974 e indirizzato verso M13, a 25 000 anni luce di distanza.
Presente nella costellazione anche l’ammasso globulare M92, meno facile da individuare rispetto ad M13, ma si può tentare con un binocolo 10×50, attraverso il quale l’ammasso apparecome una macchia biancastra diffusa, mentre con un telescopio da almeno 200mm di apertura sarà possibile risolverlo in stelle.
Nella costellazione di Ercole è situata una delle nebulose planetarie più grandi della nostra Via Lattea, Abell 39, che possiede un diametro di ben 5 anni luce e la cui forma, circolare e trasparente, ricorda una bolla di sapone.
IL MITO della Costellazione di ERCOLE
Quella di Ercole è certamente una delle figure più note della mitologia: la sua fama è legata alle 12 fatiche che l’eroe dovette affrontare e chi gli valsero la sua eterna gloria, di seguito citate:
Uccidere l’invulnerabile leone di Nemea e portare la sua pelle come trofeo;
Uccidere l’immortale idra di Lerna;
Catturare la cerva di Cerinea;
Catturare il cinghiale di Erimanto;
Ripulire in un giorno le stalle di Augia;
Disperdere gli uccelli del lago Stinfalo;
Catturare il toro di Creta;
Rubare le cavalle di Diomede;
Impossessarsi della cintura di Ippolita, regina delle Amazzoni;
Rubare i buoi di Gerione;
Rubare i pomi d’oro del giardino delle Esperidi;
Portare vivo Cerbero, il cane a tre teste guardiano degli Inferi, a Micene.
In origine i greci associavano alla figura di Ercole quella dell’Inginocchiato senza però attribuirgli un significato specifico; solo successivamente, in seguito alle 12 fatiche attribuite all’eroe, la figura venne ribattezzata con il nome che oggi conosciamo, e l’atto di inginocchiarsi è da ricondurre al riposo di Ercole dopo le sue gesta.
Ercole era venerato come simbolo di forza e abilità, ma anche come eroe generoso, che per il suo altruismo divenne esempio anche di grandezza morale oltre che fisica e proprio per queste sue virtù gli fu donato un posto sulla volta celeste.
Grazie alla mano di Ercole, regna la Pace fra l’Aurora e il Vespero, e nel luogo in cui il sole a mezzogiorno nega le ombre ai corpi; tutta la terra bagnata dal lungo circuito di Teti è stata sottomessa dalla fatica di Alcide. (Seneca, La follia di Ercole, 883-888)
Ma ad Ercole è legato anche un altro affascinante mito dove la protagonista è la nostra galassia, la Via Lattea: Ercole era figlio di Zeus e di Alcmena, una fanciulla, ennesima vittima degli inganni del padre degli dei: narra la mitologia che Zeus si trasformò nel marito della giovane per poterla possedere e proprio da questa unione nacque l’eroe mitologico, che però fu abbandonato dalla sua mamma.
Zeus teneva molto a quel figlio, per metà dio, e fece in modo che sua moglie Era lo trovasse e lo allattasse: accadde che Ercole fu preso in braccio da Era nel tentativo di attaccarlo al suo seno, ma il piccolo si mosse bruscamente (o fu Era stessa ad allontanarlo, secondo altre versioni) e lo schizzo di latte arrivò fino in cielo creando così il fiume di stelle che scorre sulla volta celeste e che dà vita alla Via Lattea.
Tra le costellazioni visibili durante il mese di maggio c’è quella circumpolare del Drago: si tratta di una figura situata tra l’Orsa Maggiore, l’Orsa Minore e Cefeo e risulta essere una delle più estese della volta celeste.
La parte immediatamente visibile della costellazione è il quadrato dato dalle stelle che ne formano la testa, le cui due più brillanti sono Eltanin e Rastaban, rispettivamente Gamma Draconis e β Draconis; quest’ultima deriva dall’arabo (Al Rās al Thuʽbān) e significa “la testa del serpente”.
Il Drago non spicca certo per grande luminosità, in compenso vanta un buon numero di stelle doppie come ν Draconis e ο Draconis, risolvibili già con un discreto telescopio.
OGGETTI NON STELLARI nella Costellazione del Drago
All’interno della costellazione del Drago si trova la nebulosa planetaria NGC 6543, comunemente nota come Nebulosa Occhio di Gatto. Questa nebulosa è stata scoperta da William Herschel nel 1786 ed è stata oggetto di studio dettagliato grazie al Telescopio Spaziale Hubble, il quale ha rivelato informazioni di grande interesse sulla sua struttura.
La Costellazione del DRAGO NELLA MITOLOGIA
Il Drago trova riferimenti sia negli antichi popoli Sumeri e Babilonesi che nella mitologia greca, dove veniva configurato con Ladone, il guardiano delle mele d’oro.
Tutto ebbe inizio con il matrimonio di Giove e Giunone, i quali ricevettero come regalo di nozze dalla dea Gea (la Terra) un albero speciale, in grado di produrre mele d’oro.
Giunone lo fece piantare in giardino, ma l’albero era così prezioso che serviva qualcuno che lo sorvegliasse: così Giunone incaricò un terribile mostro, Ladone, con sembianze metà di donna e metà di serpente.
E qui entra in scena Ercole che venne convocato dal re di Micene, Euriseo, il quale gli affidò il compito di uccidere il mostro e trafugare l’albero dal giardino di Giunone; l’eroe prese alla lettera l’incarico e, giunto nel giardino e individuato il temibile mostro, scagliò una delle sue fatali frecce contro Ladone, che stramazzò a terra esanime.
Il Drago venne posto in cielo in ricordo di quell’impresa e fu sistemato attorno all’albero dai frutti d’oro, rappresentato dall’asse terrestre.
Tra la costellazione del Leone e quella del Boote vi è una piccola costellazione piena di significato mitologico: la Chioma di Berenice.
“Qui la deami pose, tra le antiche, stella nuova. Della Vergine e del fiero Leone tocco gli astri, nei pressi di Callisto Licaonia volgo al tramonto, dirigendo il corso dinanzi al lento Boote, che si immerge nell’Oceano profondo, a stento tardi”.
Nella poesia di Catullo (carme 66) è sostanzialmente racchiusa la mappa stellare per individuare la Chioma di Berenice che, esprimendosi in prima persona, ci guida tra le costellazioni del Leone e del Boote passando per quella della Vergine per trovare finalmente gli astri che la compongono.
La costellazione non spicca di certo per luminosità poiché molte delle stelle che costituiscono l’oggetto sono membri di un ammasso aperto, uno dei più vicini a noi posto a soli 250 anni luce: si tratta di Mel 111 o Ammasso della Chioma di Berenice, oggetto visibile al meglio soprattutto attraverso un binocolo, il cui oculare è in grado di contenere meglio la visuale delle poche stelle che compongono l’ammasso.
Le sue stelle principali sono Diadem(α Comae Berenices), la seconda stella più luminosa della costellazione e β Comae Berenices: la prima è una stella binaria di magnitudine +4,32 che si trova a 60 anni luce di distanza dal sistema solare mentre la seconda, molto simile al nostro Sole, ha una magnitudine apparente 4,23.
Vi è infine la stella binaria Al Dafirah, che dall’arabo significa “treccia”.
OGGETTI NON STELLARI NELLA Costellazione della CHIOMA DI BERENICE
Uno degli oggetti deep sky più interessanti e amati dagli astrofili è sicuramente NGC 4565, nota come Galassia Ago: si tratta di una galassia a spirale distante circa 52 milioni di anni luce che ha la caratteristica di mostrarsi di taglio, favorendo così una dettagliata osservazione del suo nucleo e restituendoci delle immagini spettacolari attraverso le adeguate strumentazioni.
Un nuovo straordinario lavoro di Paolo Palma, inerente proprio alle costellazioni del Leone e della Chioma di Berenice, riguarda la realizzazione di due mosaici che presentano tutte le stelle fino alla sesta magnitudine riportate da Stellarium, più la debole e rossa R Leonis per un totale di 120 astri.
La Costellazione della CHIOMA DI BERENICE NELLA MITOLOGIA
Regina cirenaica di splendida bellezza, Berenice era la moglie del re egizio Tolomeo III: ella consacrò la sua fluente chioma, come pegno d’amore, alla dea Afrodite, affinché favorisse il ritorno di suo marito sano e salvo dalla guerra. Quando questi tornò trionfante e tutto intero, per la bella regina non restò altro che mantenere fede alla sua promessa: Berenice agghindò così i suoi capelli in un raccolto che poi tagliò e portò al tempio dedicato ad Afrodite.
Ma il giorno dopo di quel pegno d’amore non vi era traccia, qualcuno lo aveva trafugato e i sovrani andarono su tutte le furie: a calmare gli animi e a fare chiarezza intervenne Conone di Samo, un matematico e astronomo dell’epoca il quale cercò di tranquillizzare i sovrani asserendo di aver trovato lui la chioma della regina, ma in un posto speciale, ovvero sulla volta celeste trasformata in luminose stelle.
Se tu vuoi bene a un fiore che sta in una stella, è dolce, la notte, guardare il cielo. Tutte le stelle sono fiorite.
“Il Piccolo Principe” di Antoine de Saint-Exupéry
Indice dei contenuti
La Costellazione del Leone
Nelle sere di primavera c’è tutta l’attesa del cielo d’estate: sulla volta celeste, nel mese di maggio, è un fiorire di costellazioni note che, una dopo l’altra, possiamo cogliere con i nostri occhi e immortalare con gli strumenti a nostra disposizione.
Prima però di dare di accogliere gli asterismi che ci accompagneranno nelle notti più calde, vogliamo salutare all’orizzonte, oramai verso ovest la ricca costellazione del Leone.
Tra la debole costellazione del Cancro e quella della Vergine si trova la Costellazione del Leone, figura celeste che tramontando sempre prima sta lasciando il passo alle costellazioni più autunnali.
Nei primi giorni del mese di maggio tuttavia, già dalle prime ore della sera, Leo sarà visibile proprio a Sud, per riconoscere sarà sufficiente trovare la tipica forma trapezoidale che la identifica, di cui la stella Regolo (alfa Leonis) costituisce uno dei suoi vertici (quello orientato a Sud-Ovest).
Le Stelle della Costellazione del Leone
Regolo è un sistema stellare composto da quattro stelle divise in due coppie; con la sua magnitudine +1,40 è la ventunesima stella più luminosa del cielo notturno. Dista circa 79 anni luce da noi e la sua vicinanza all’Equatore celeste fa sì che possa essere osservata da tutte le aree popolate della Terra.
Con il suo colore bianco-azzurro, Regolo è facilmente individuabile nelle serate primaverili: insieme ad altre stelle della costellazione del Leone, alfa Leonis va a comporre un asterismo chiamato Falce.
Si tratta di un asterismo molto brillante noto anche comeFalce Leonina, la cui forma richiama appunto quella dell’oggetto di cui porta il nome.
Il vertice Sud-Orientale della figura del Leone è costituito dalla stella Denebola, che rappresenta la coda dell’animale: è una delle stelle più vicine a noi, trovandosi a 36 anni luce di distanza; con la sua luce bianca è circa 17 volte più luminosa del Sole.
Denebola è una stella variabile della tipologia Delta Scuti, con una luminosità che varia leggermente nel giro di poche ore.
Da studi cinematici risulta che Denebola potrebbe essere una componente di un’associazione stellare di cui fanno parte anche Alpha Pictoris, Beta Canis Minoris e l’ammasso aperto IC 2391.
GLI OGGETTI DEL PROFONDO CIELO NELLA COSTELLAZIONE DEL LEONE
La costellazione del Leone ospita diversi oggetti non stellari come le galassie M65, M66, M105 e NGC 2903. Quest’ultima, oltre ad essere una galassia a spirale barrata, è anche l’oggetto più brillante della costellazione. Inoltre, visibile anche attraverso un piccolo telescopio, vi è la grande galassia ellittica NGC 3607.
Le Galassie M66, M65 e NGC 3628 formano il Tripletto del Leone, che si trova a 35 milioni di anni luce dalla Terra.
Entro i confini della costellazione sono stati scoperti anche diversi sistemi planetari: attorno alla nana rossa Gliese 436, posta a 33 anni luce dal Sole, orbita un pianeta la cui massa è simile a quella di Nettuno; vi è poi la stella HD 102272 attorno alla quale orbitano due pianeti di tipo gioviano.
La Costellazione del LEONE NELLA MITOLOGIA
Nota già ai tempi dei Babilonesi per la sua identificazione con il Sole, poiché ospitava il Solstizio d’Estate, la costellazione del Leone è mitologicamente legata alla figura di Ercole.
Secondo il mito, la dea Era possedeva un famelico leone che tormentava il popolo di Nemea. Il leone, dotato di una spessa e invulnerabile pelliccia, sembrava essere immune a qualsiasi arma.
Nell’impresa di cacciarlo e ucciderlo vi riuscì solamente Ercole, che dopo aver sconfitto la feroce bestia, la scuoiò, indossando da quel momento la pelliccia impenetrabile del leone. La fierezza dell’animale fu tramutata in stelle da Zeus, che collocò la sua figura sulla volta celeste.
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