L’astrologia, con il suo scintillante zodiaco e le sue promesse di rivelare i segreti del futuro, è spesso oggetto di confusione con l’astronomia, la nobile scienza del cosmo. Ma non lasciamoci ingannare dalle stelle! L’astrologia, a differenza dell’ASTRONOMIA, non è una scienza riconosciuta. Non troverai corsi di laurea in astrologia nelle università, né laboratori scientifici dedicati alla misurazione dell’influenza di Mercurio retrogrado.
Mentre l’astronomia si basa su osservazioni rigorose e metodi scientifici per studiare gli astri, l’astrologia si avventura nel regno dell’esoterico, offrendo interpretazioni simboliche che non hanno fondamento nella metodologia scientifica. L’astronomia può prevedere con precisione un’eclissi solare, mentre l’astrologia si limita a prevedere che durante tale evento potresti avere un incontro fortuito.
Quindi, se stai cercando fatti concreti e conoscenze approfondite sull’universo, rivolgiti all’astronomia. Se invece desideri un pizzico di mistero e un consiglio per il cuore, forse l’astrologia potrà offrirti un sorriso. Ma ricorda, quando guardi in alto verso il cielo notturno, le stelle brillano indifferenti, senza preoccuparsi dei nostri affanni terreni. Sono l’astronomia a dar loro un senso, non l’astrologia.
Gli errori dell’astrologia
L’astrologia, con le sue stelle guida e i suoi oroscopi personalizzati, ha attraversato la storia umana come un fiume di credenze e pratiche. Tuttavia, nel corso dei secoli, ha commesso alcuni errori storici notevoli.
Per esempio, l’astrologia ha radici antiche, risalenti ai tempi più remoti della storia umana, quando le civiltà vedevano nelle costellazioni e nei pianeti dei poteri divini da consultare e venerare. Questa visione del mondo ha portato a interpretazioni errate degli eventi celesti come presagi diretti degli eventi terreni. I babilonesi, attivi tra il 2000 a.C. e il 500 a.C., sono spesso considerati i pionieri dell’astrologia e svilupparono il primo Zodiaco. Tuttavia, la loro interpretazione dei fenomeni celesti non aveva basi scientifiche e portava a conclusioni errate.
Un altro grande errore storico dell’astrologia è legato alle predizioni di Nostradamus, che, nonostante alcune interpretazioni considerate accurate, ha anche previsto eventi che non si sono mai verificati. Ad esempio, pochi ricordano i suoi clamorosi errori, come la previsione che i primi uomini ad andare sulla Luna sarebbero stati i russi e la cura risolutiva per tutte le forme di tumori attesa per il 1967. Questi esempi mostrano come l’astrologia, pur essendo affascinante, non possieda la precisione e l’affidabilità dell’astronomia.
Occhio alle truffe!
L’astrologia, con le sue promesse di intuizioni personalizzate basate sulle stelle, ha spesso portato a situazioni in cui individui in buona fede sono caduti vittime di truffe. Questi “astrologi” si presentano come guide esperte del destino, promettendo rivelazioni e soluzioni ai problemi della vita, ma in realtà mirano solo a sfruttare la credulità delle persone.
Le truffe astrologiche possono assumere varie forme, da letture oroscopiche personalizzate a costosi talismani e rituali che promettono amore, fortuna e successo. Spesso, queste pratiche non hanno alcun fondamento scientifico e sono progettate per ingannare e lucrare sui desideri e le paure delle persone.
Un esempio storico di errore astrologico è la credenza che gli eventi celesti potessero prevedere o influenzare gli affari umani, una nozione che ha portato a decisioni politiche e personali errate basate su presagi stellari. Nel corso dei secoli, molti astrologi hanno fatto previsioni che si sono rivelate completamente infondate, causando non solo delusione ma anche perdite finanziarie significative per coloro che vi avevano creduto.
Inoltre, la tradizione degli oroscopi non è immune dal fenomeno dei ciarlatani che, approfittando dell’abuso della credulità popolare, hanno spesso indotto le persone a spendere grandi somme di denaro per servizi inesistenti o inefficaci. Questi individui si nascondono dietro la facciata di un’antica pratica, ma in realtà sono interessati solo al guadagno personale, senza alcun riguardo per il benessere o la verità.
La principale teoria alternativa alla materia oscura è la MOND ma la sonda Cassini ed altri test potrebbero invalidarla
Uno dei più grandi misteri dell’astrofisica odierna è che le forze nelle galassie non sembrano sommarsi. Le galassie ruotano molto più velocemente di quanto previsto applicando la legge di gravità di Newton alla loro materia visibile, nonostante tali leggi funzionino bene ovunque nel Sistema Solare.
Per evitare che le galassie si disperdano, è necessaria una certa gravità aggiuntiva. Questo è il motivo per cui è stata proposta per la prima volta l’idea di una sostanza invisibile chiamata materia oscura che nessuno ha mai visto. Nessuna delle particelle nel Modello Standard della fisica si candida per altro per comporla. La materia oscura: se c’è deve essere qualcosa di piuttosto esotico.
Fra le teorie rivali ci sono quelle che si basano sull’idea che le discrepanze galattiche siano invece causate da una violazione delle leggi di Newton. L’idea di maggior successo nella categoria è nota come dinamica Milgromiana o MOND, proposta dal fisico israeliano Mordehai Milgrom nel 1982. Una recente ricerca mostra però le difficoltà di questo modello.
Cos’è la MOND e quali sono le sue basi?
Il postulato principale della MOND è che la gravità inizia a comportarsi diversamente da quanto previsto da Newton quando diventa molto debole, come ai margini delle galassie. MOND è abbastanza efficace nel prevedere la rotazione delle galassie senza la presenza di materia oscura, e ha ottenuto alcuni altri successi. Tuttavia molti effetti possono essere spiegati anche con la materia oscura, pur preservando così le leggi di Newton.
Si può sottoporre la MOND alla prova definitiva? La chiave è che MOND descrive il cambiamento del comportamento della gravità solo a basse accelerazioni, non a una distanza specifica da un oggetto. Sentirai un’accelerazione inferiore alla periferia di qualsiasi oggetto celeste (un pianeta, una stella o una galassia) rispetto a quando gli sei vicino. Ma è la quantità di accelerazione, piuttosto che la distanza, a prevedere dove la gravità dovrebbe essere più forte.
Ciò significa che, sebbene gli effetti MOND si manifestino tipicamente a diverse migliaia di anni luce da una galassia, se guardiamo una singola stella, gli effetti diventerebbero molto significativi a un decimo di anno luce. Si tratta di un valore solo poche migliaia di volte più grande di un’unità astronomica (UA), ovvero la distanza tra la Terra e il sole. Ma effetti MOND più deboli dovrebbero essere rilevabili anche su scale ancora più piccole, come nel Sistema Solare esterno.
La Missione Cassini test per la MOND
Questo ci porta alla missione Cassini, che ha orbitato attorno a Saturno tra il 2004 e il suo ultimo e violento incidente sul pianeta nel 2017. Saturno orbita attorno al Sole a 10 UA. Secondo la MOND, la gravità del resto della nostra galassia dovrebbe far deviare l’orbita di Saturno dall’aspettativa newtoniana anche se in modo minimo.
Poiché Saturno non è così lontano, grazie alle trasmissioni radio con Cassini è stato possibile tracciare con precisione l’orbita del pianeta. Tuttavia Cassini non ha riscontrato alcuna anomalia del tipo previsto dalla MOND. Newton quindi funziona ancora bene per Saturno.
Con le ipotesi standard considerate più probabili dagli astronomi e consentendo un’ampia gamma di incertezze, la possibilità che MOND corrisponda ai risultati di Cassini è la stessa di una moneta lanciata che esce testa a testa 59 volte di seguito. Si tratta di più del doppio del gold standard “5 sigma” per una scoperta scientifica, che corrisponde a circa 21 lanci di moneta consecutivi.
Altre brutte notizie per la MOND
Oltre ai dati della Cassini un altro test interessante si basa sulle stelle binarie larghe: due stelle che orbitano attorno a un centro condiviso a diverse migliaia di UA di distanza. MOND ha previsto che tali stelle dovrebbero orbitare l’una attorno all’altra il 20% più velocemente di quanto previsto con le leggi di Newton. Ma lo studio di Indranil Banik esclude questa previsione.
I risultati di un altro team mostrano che la MOND non riesce a spiegare i piccoli corpi nel lontano Sistema Solare esterno. Le comete che arrivano da là fuori hanno una distribuzione di energia molto più ristretta di quanto previsto dalla MOND. Questi corpi hanno anche orbite che di solito sono solo leggermente inclinate rispetto al piano vicino al quale orbitano tutti i pianeti. Se MOND funzionasse le inclinazioni dovrebbero essere maggiori.
La stessa MOND non sembra sostenere i valori gravitazionali nelle zone più esterne delle galassie.
Il modello cosmologico standard della materia oscura, tuttavia, non è perfetto. Ci sono cose che fatica a spiegare, dal tasso di espansione dell’Universo alle gigantesche strutture cosmiche. Quindi potremmo non avere ancora il modello perfetto. Sembra che la materia oscura sia qui per restare, ma la sua natura potrebbe essere diversa da quella suggerita dal Modello Standard. Oppure la gravità potrebbe effettivamente essere più forte di quanto pensiamo, ma solo su scala molto ampia.
In definitiva, però, la MOND, così come formulata attualmente, non può più essere considerata una valida alternativa alla materia oscura. Potrebbe non piacerci, ma il lato oscuro continua a prevalere.
La materia oscura è una forma ipotetica di materia che non interagisce con la luce o il campo elettromagnetico, rendendola invisibile ai nostri strumenti di osservazione diretta. Tuttavia, la sua presenza è implicata dagli effetti gravitazionali che non possono essere spiegati dalla relatività generale a meno che non sia presente più materia di quanto possiamo osservare. Nel modello standard della cosmologia, la materia oscura costituisce circa il 26.8% dell’universo, mentre la materia ordinaria solo il 5%.
Fritz Zwicky: Il Padre della Teoria della Materia Oscura
Il concetto di materia oscura fu introdotto per la prima volta dall’astronomo svizzero Fritz Zwicky nel 1933. Mentre esaminava l’ammasso di galassie della Coma, Zwicky utilizzò il teorema del viriale per scoprire l’esistenza di un’anomalia gravitazionale, che egli chiamò “dunkle Materie”, o materia oscura. La sua intuizione aprì la strada a decenni di ricerche e studi.
Principali Evidenze a Favore della Teoria Le evidenze a sostegno dell’esistenza della materia oscura sono molteplici e provengono da diverse osservazioni astronomiche:
Rotazione delle Galassie: Le stelle nelle galassie ruotano con velocità tali che la gravità generata dalla materia visibile non sarebbe sufficiente a mantenerle unite. Questo suggerisce la presenza di una massa aggiuntiva non visibile.
Lenti Gravitazionali: La luce proveniente da oggetti distanti viene deviata in modo tale da suggerire che c’è più massa di quanto possiamo vedere, un fenomeno noto come lente gravitazionale.
Radiazione Cosmica di Fondo: Le anisotropie nella radiazione cosmica di fondo forniscono indizi sulla distribuzione della materia oscura nell’universo primordiale.
In conclusione, la materia oscura rimane uno dei più grandi enigmi della fisica moderna. Nonostante non possiamo vederla direttamente, le sue tracce attraverso l’universo ci forniscono indizi cruciali sulla sua esistenza e sulla natura stessa del cosmo.
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Nel pieno dell’autunno incontriamo sulla volta celeste due costellazioni mitologicamente connesse tra di loro, che rappresentano una coppia di sovrani: Cassiopea e Cefeo.
Un’altra costellazione settentrionale da osservare nel periodo autunnale è quella di Cefeo, il mitologico marito di Cassiopea.
Stelle Principali della Costellazione di Cefeo
Si tratta di una costellazione circumpolare confinante con l’Orsa Minore e Cassiopea, composta da stelle non molto luminose che danno a Cefeo la figura di una casetta un po’ sgangherata che poggia la base sulla Via Lattea settentrionale; Alderamin (α Cephei) è la stella principale dell’asterismo, bianca e di magnitudine 2,45 che dista solo 49 anni luce.
Cefeo possiede una stella molto interessante: si tratta di Mu Cephei (μ Cep / μ Cephei), nota anche come Granatum Sidus (Stella granata): si tratta di una stella supergigante rossa multipla di quarta magnitudine, che l’astronomo Giuseppe Piazzi inserì nel suo “Catalogo di Palermo” proprio con questo nome, che deriva da un’affermazione di William Herschel il quale, nel suo Philosophical transactions, definì Mu Cephei così: «Ha un bellissimo e profondo colore granata, simile a quello della stella periodica Omicron Ceti».
Da un cielo nitido e idoneo all’osservazione la Stella Granata può essere individuata anche ad occhio nudo poco più a sud di Alderamin (α Cephei), con il suo caratteristico colore rosso/arancio.
Ma la stella di certo più importante per gli astronomi, che si trova nella costellazione di Cefeo, è Delta Cephei, una stella variabile multipla capostipite della classe di Cefeidi.
OGGETTI NON STELLARI
Giacendo sul piano della Via Lattea settentrionale, la costellazione di Cefeo vanta numerosi oggetti del profondo cielo; tra ammassi e nebulose spicca IC 1396, oggetto conosciuto come Nebulosa Proboscide d’elefante: si tratta di una nebulosa oscura abbastanza estesa e che quindi si presta bene all’astrofotografia deep sky.
Un altro affascinante oggetto in Cefeo è la Galassia fuochi d’artificio (NGC 6946), una galassia a spirale posta al confine con il Cigno, che vanta un gran numeroso di supernove osservate al suo interno.
CEFEO NELLA MITOLOGIA
Come già espresso sopra, Nella mitologia Cefeo, figlio di Belo, rappresenta il re di Etiopia marito di Cassiopea, che ebbe l’arduo compito di immolare la sua dolce,giovane figlia Andromeda, per salvare il regno dalla furia di Poseidone, indispettito dalla vanità di Cassiopea.
I due sovrani sono l’unica coppia formata da marito e moglie a essersi guadagnati un posto sulla volta celeste dove brillano insieme, vicini, per l’eternità.
Nel pieno dell’autunno incontriamo sulla volta celeste due costellazioni mitologicamente connesse tra di loro, che rappresentano una coppia di sovrani: Cassiopea e Cefeo.
Subito dopo il tramonto, che avverrà sempre più anticipo, si avrà maggior possibilità di osservare il cielo stellato: a Nord non sarà difficile imbattersi in un’inconfondibile figura a forma di W: si tratta della costellazione di Cassiopea.
L’asterismo è tipico del cielo boreale ed è situato tra le costellazioni di Cefeo e Andromeda; Cassiopea raggiunge la massima altezza proprio nel periodo autunnale, sebbene sia visibile durante tutto l’anno nei pressi della Stella Polare, assumendo la forma di W o M a seconda delle stagioni.
Stelle principali nella Costellazione di Cassiopea
La stella più brillante della costellazione è Shedir (α Cassiopeiae), una gigante arancione di magnitudine apparente di +2,25, posta a 229 anni luce dalla Terra e che viene a volte surclassata in termini di luminosità dalla variabile Gamma Cassiopeiae.
SUPERNOVAE IN CASSIOPEA
Nel 1572 nella costellazione di Cassiopea apparve all’improvviso una stella tanto brillante quanto il pianeta Venere: venne denominata come la “nova di Tycho Brahe”, dal nome dell’astronomo danese che condusse le osservazioni dell’oggetto per oltre un anno, ad occhio nudo, riportando dati molto dettagliati: ciò che aveva osservato era l’apparizione di una supernova.
Ma nella stessa costellazione è apparso anche un altro oggetto di questa categoria, ovvero Cassiopea A, una forte radiosorgente situata a 11 mila anni luce da noi e osservata nel 1680.
Il telescopio spaziale Chandra, nel 2004, ha scoperto anche una sorgente molto compatta di raggi X proprio al centro di Cassiopea A, le cui caratteristiche mostrano che si tratta di una stella di neutroni che con ogni probabilità rappresenta il resto della stella esplosa più di 300 anni fa.
OGGETTI NON STELLARI IN CASSIOPEA
La costellazione di Cassiopea è attraversata dalla Via Lattea, per cui risulta essere molto ricca di oggetti non stellari come nebulose e ammassi, le cui immagini sono una vera delizia per gli occhi.
Uno di questi è IC1805, una nebulosa a emissione nota con il nome di Nebulosa Cuore, distante 7500 anni luce da noi: al suo interno si trova un sistema di piccoli ammassi di cui il più noto è Melotte 15, il quale contiene alcune stelle circa 50 volte più massicce del Sole.
Un altro oggetto davvero sorprendente è Sh2-185, una nebulosa a emissione e riflessione, composta da regioni distinte con diverse caratteristiche; è noto con il nome di Fantasma di Cassiopea.
CASSIOPEA NELLA MITOLOGIA
Vanitosa e presuntuosa come poche, Cassiopea era la sovrana di Etiopia moglie di Cefeo e madre di Andromeda: la donna, pettinando i suoi capelli (la sua occupazione preferita) si vantava di essere la più bella del reame, persino più bella delle Nereidi, le ninfe marine al seguito del dio del mare, Poseidone, al quale non andava proprio giù che la regina etiope osasse affermare che la sua bellezza fosse superiore a quella delle sue ninfe.
Offeso e oltraggiato, Poseidone scatenò la sua ira sull’intero regno, (vedi costellazione di ottobre) e in modo particolare sul punto più debole della vanitosa Cassiopea, ovvero la sua giovane e innocente figlia Andromeda.
La storia è quella che conosciamo già e narra che Andromeda, per colpa di sua madre, fu legata su di una rupe infernale, preda del mostro marino Ceto; a salvarla dalle sue grinfie e della pena che le venne inflitta per scontare le colpe della regina, ci pensò Perseo in groppa al cavallo alato Pegaso, che ruppe le catene e la portò via con sé.
A Cassiopea toccò la sorte di essere collocata in cielo sul trono ma in una posizione poco carina, ovvero a testa in giù, nell’atto di specchiarsi o accarezzarsi i capelli, condannata a roteare per sempre attorno al polo nord.
Nel cielo di ottobre sono quasi tangibili le costellazioni tipiche dell’autunno, che troveremo in prossimità della scia di stelle della Via Lattea settentrionale.
Mitologicamente connessa alla figura di Andromeda, quella della Balena è una costellazione tipica del cielo australe, che tuttavia può essere osservata durante l’autunno/inverno boreale.
Si trova in una regione di cielo popolata dalle costellazioni “d’acqua” (Pesci, Acquario) e la sua stella principale è Deneb Kaitos (β Ceti),di colore giallo-arancione e con una magnitudine di +2,04.
Stelle della Costellazione della Balena
Deneb Kaitos si trova a 96 anni luce dalla Terra e il suo nome, che deriva dall’arabo, significa “coda della balena”.
A comporre la costellazione vi è anche α Ceti, nota con il nome di Menkar: si tratta di una gigante rossa di magnitudine 2,54 situata nel gruppo della “testa” della Balena, a una distanza di 220 anni luce dalla Terra.
Ma di certo l’astro più interessante della Balena è Mira Ceti, una stella variabile pulsante, la prima ad essere conosciuta e a dare il nome all’intera classe (Variabili Mira), e rappresenta una della variabili più luminose che appaiono e scompaiono alla vista osservando ad occhio nudo.
Mira Ceti si trova a 299 anni luce di distanza, situata nell’emisfero celeste australe e quando si trova nel suo massimo della luminosità è ben visibile ad occhio nudo poco a sud-ovest di α Ceti.
OGGETTI NON STELLARI NELLA COSTELLAZIONE DELLA BALENA
La costellazione della Balena ospita diverse galassie: una della più interessanti è M77, una galassia spirale che può essere individuata già con un buon binocolo.
Nella costellazione vi è anche la galassia NGC 247, vicina al nostro Gruppo Locale, e IC 1613, una galassia nana irregolare visibile solo con telescopi di una certa portata.
Un altro oggetto deep sky che può essere individuato nella Balena è la nebulosa planetaria NGC 246, nota anche come “Nebulosa Teschio”.
Nel 1827 in questa costellazione fu scoperto l’asteroide 4 Vesta.
LA COSTELLAZIONE DELLA BALENA NELLA MITOLOGIA
Strettamente legata al mito di Andromeda, Cetus (balena) era il mostro marino inviato da Poseidone per distruggere il regno dei sovrani etiopi Cefeo e Cassiopea e uccidere la loro giovane figlia, Andromeda appunto. Andromeda colpevole di essere più bella addirittura delle dee venne sacrificata dai genitori per salvare il raccolto minacciato appunto da Poseidone in nome di tutte le dee dell’Olimpo. La giovane venne legata in riva al mare in attesa della balena ma salvata da Perseo in volo sul cavallo alato Pegaso. La storia narra che i due si sposarono vivendo una vita serena e felice e dando origine a diverse stirpe che poi hanno governato nel mondo antico buona parte dei territorio che si affacciano sul Mediterraneo.
Il mostro marino viene rappresentato dai Greci come una creatura terrificante con le fauci spalancate e i denti aguzzi e con le zampe anteriori di animale terrestre. In genere la balena è rappresentata con la testa da drago, il corpo da cetaceo e la coda da pesce.
In effetti la Balena assume un ruolo minoritario nella narrazione della mitologia greca tuttavia non va dimenticato che la Costellazione della Balena occupa invece una sezione di cielo molto estesa che sembra sproporzionata in base al suo ruolo.
Nel cielo di ottobre sono quasi tangibili le costellazioni tipiche dell’autunno, che troveremo in prossimità della scia di stelle della Via Lattea settentrionale.
Lungo i sentieri siderali incontriamo la costellazione di Pegaso e Andromeda, due figure che condividono un astro,la stella Sirrah, e che sono protagoniste di grandi miti e leggende.
ANDROMEDA NEL CIELO AUTUNNALE
Affascinante costellazione che brilla nel cielo d’autunno, quella di Andromeda è una figura che investe la volta celeste di miti e leggende concatenate fra loro e ci regala anche uno degli oggetti più belli e conosciuti del profondo cielo: M31, la Galassia di Andromeda.
La costellazione lambisce quasi la scia settentrionale della Via Lattea del Nord ed è individuabile anche grazie all’inconfondibile figura di Cassiopea; la stella più luminosa è Alpheratz (α Andromedae) e insieme alle stelle α, β e λ Pegasi forma un asterismo chiamato Quadrato di Pegaso.
Questa stella un tempo faceva parte della costellazione di Pegaso, con la sigla δ Pegasi, conosciuta anche con il nome Sirrah, dall’arabo “l’ombelico del destriero”.
α Andromedae è situata a 97 anni luce dalla Terra, e anche se ad occhio nudo appare come una stella singola, con una magnitudine apparente pari a +2,06, in realtà è un sistema binario composto da due stelle in orbita stretta tra loro.
OGGETTI NON STELLARI NELLA COSTELLAZIONE DI ANDROMEDA
La costellazione è ricca di stelle doppie come π Andromedae, una coppia risolvibile già con un binocolo, e di sistemi multipli come μ Andromedae.
Tuttavia è innegabile che la fama della costellazione sia dovuta all’oggetto che Andromeda ospita e da cui prende il nome: M31 è una grande galassia a spirale barrata che dista circa 2,538 milioni di anni luce dalla Terra e rappresenta l’oggetto più lontano visibile ad occhio nudo.
Per individuare la Galassia di Andromeda ad occhio nudo è sufficiente recarsi nei luoghi privi inquinamento luminoso, prendere come punti di riferimento Cassiopea e Pegaso e cercare un batuffolino di luce immerso nello sfondo stellato: sarebbe utile l’ausilio di un binocolo per apprezzare un alone più luminoso.
M31 è uno degli oggetti del profondo cielo più amato dagli astrofili e dagli astrofotografi, alla portata anche di principianti, ma è chiaro che per ottenere immagini nitide e dettagliate bisogna affidarsi a telescopi e camere astronomiche, oltre che a diverse fasi di elaborazione e post produzione, in grado di rivelare anche la galassia satellite M32.
La costellazione di Andromeda ospita anche l’ammasso aperto NGC 752, posto verso il confine con il Triangolo e che si mostra ben visibile con l’ausilio di un binocolo.
Nei luoghi caratterizzati da un cielo particolarmente nitido l’ammasso è percepibile anche a occhio nudo.
LA COSTELLAZIONE DI ANDROMEDA NELLA MITOLOGIA
Bellissima ed affascinante fanciulla, Andromeda era figlia dei sovrani di Etiopia Cefeo e Cassiopea, che per un soffio non pagò con la propria vita la superbia di sua madre.
Cassiopea, infatti, osò definire lei e sua figlia molto più belle delle Nereidi, ninfe marine che componevano il corteo di Poseidone.
Il dio del mare colse tale affermazione come un’offesa e provocò una violenta inondazione che travolse il regno dei sovrani, scatenando anche il mostro marino Cetus (la costellazione della Balena) contro le navi commerciali del regno.
Disperati Cefeo e Cassiopea deciso di consultare che gli suggerì di offrire la loro innocente figlia al dio del mare affinché la sua ira venisse placata e il loro regno fosse salvo.
Così Cefeo, addolorato, fu costretto a incatenare la figlia Andromeda sul costone di roccia affinché espiasse con la propria vita le colpe di sua madre.
Fu Perseo a capovolgere le sorti della fanciulla servendosi del cavallo alato Pegaso, sottraendo Andromeda dalle grinfie del mostro marino e restituendole la libertà.
“Come la vide con le braccia legate a una rigida rupe, Perseo di marmo l’avrebbe creduta se l’aria leggera non avesse mosso le chiome e le lacrime dagli occhi stilate non fossero, inconsapevole ne ardeva stupito. Rapito alla vista di quella bellezza, quasi di battere l’ali si scordava. Come fu sceso a terra, disse “non meriti codesti ceppi ma quelli che legano amanti tra loro; dimmi il tuo nome e la patria e perché sei legata”. Ovidio, Le Metamorfosi, Libro IV
La fanciulla ritrovò la felicità convolando a nozze proprio con il suo eroe.
Quando la giovane Andromeda morì, la dea Atena la tramutò in stelle, collocandola in cielo come costellazione proprio accanto Perseo.
Nel cielo di ottobre sono quasi tangibili le costellazioni tipiche dell’autunno, che troveremo in prossimità della scia di stelle della Via Lattea settentrionale.
Lungo i sentieri siderali incontriamo la costellazione di Pegaso e Andromeda, due figure che condividono un astro,la stella Sirrah, e che sono protagoniste di grandi miti e leggende.
Facilmente identificabile grazie all’asterismo del Quadrato, quella di Pegaso è una costellazione boreale che transita al meridiano proprio a metà ottobre: la sua stella principale è Markab (α Pegasi), una gigante azzurra con magnitudine 2,49 e distante 140 anni luce, che rappresenta il vertice sud-occidentale del Quadrato.
Nonostante la stella alfa di Pegaso sia Markab è Enif (ε Pegasi) l’astro più brillante della costellazione, una supergigante arancione con magnitudine +2,38.
Stelle principali della Costellazione di Pegaso
Seconda alla stella Enif in termini di brillantezza troviamo Scheat (β Pegasi), una gigante rossa di magnitudine 2,44 distante 199 anni luce: essa indica il vertice nord-occidentale del Quadrato di Pegaso.
Nella costellazione sono presenti diverse stelle doppie, alcune anche facilmente risolvibili, come 3 Pegasi e η Pegasi: le due componenti che danno vita a 3 Pegasi sono bianco-giallastre di sesta e settima magnitudine e possono essere risolte anche con modesti ingrandimenti. Nel caso di η Pegasi ognuna delle due componenti è una stella doppia, risolvibili ma non con piccole strumentazioni.
Interessante anche il sistema stellare binario IK Pegasi: esso è composto dalla stella bianca IK Pegasi A e dalla nana bianca IK Pegasi B e diversi studi astronomici lo indicano come un stella doppia che potrebbe esplodere in supernova in tempi non troppo lontani.
OGGETTI DEL PROFONDO CIELO NELLA COSTELLAZIONE DI PEGASO
La costellazione di Pegaso ospita diversi oggetti non stellari molto interessanti: nel periodo che va da luglio a dicembre è possibile osservare M15, uno degli ammassi globulari più densi della Via Lattea, visibile già con un binocolo in cieli sufficientemente bui e nitidi, mentre sarà necessario l’ausilio di telescopi a ingrandimenti superiori a 350mm per godere di tutti i dettagli di cui l’ammasso è caratterizzato.
Altri interessanti oggetti presenti nella costellazione sono le galassie a spirale NGC 7331 e NGC 7217, ma il vero protagonista è il Quintetto di Stephan, un gruppo visuale di cinque galassie scoperto dall’astronomo francese Édouard Stephan nel 1877.
L’insieme di galassie è situato a circa 290 milioni di anni luce di distanza da noi ed è considerato dagli astronomi un autentico laboratorio in cui studiare la collisione tra le galassie e come questa impatti sulla materia che costituisce il mezzo intergalattico.
Il 12 luglio 2022 la NASA ha rivelato una straordinaria immagine del Quintetto di Stephan, frutto del superlativo lavoro del telescopio spaziale James Webb: con la sua potente visione a infrarossi e una risoluzione spaziale estremamente elevata, Webb è stato in grado di mostrare dettagli mai visti prima in questo straordinario gruppo di galassie.
La costellazione di Pegaso ospita anche un sistema planetario extrasolare, 51 Pegasi, composto da una stella molto simile al Sole attorno a cui orbita un pianeta extrasolare di tipo gioviano caldo, scoperto nel 1995.
LA COSTELLAZIONE DI PEGASO NELLA MITOLOGIA
Quella del cavallo alato è certamente una figura che affascina da sempre l’immaginario collettivo: la mitologia ci offre diverse narrazioni riguardo a questa creatura, che fu protagonista di vicende molto movimentate.
La figura di Pegaso è associata a quella del cavallo alato che nacque da uno zampillo di sangue scaturito dall’uccisione di Medusa da parte di Perseo, l’eroe che si servì proprio della creatura mitologica per salvare Andromeda, figlia di Cefeo e di Cassiopea, dalle grinfie del mostro marino Ceto.
Pegaso era caro a Zeus poiché si occupava di trasportare le folgori del dio fino all’Olimpo e rappresenta altresì la creatura alata di cui si servì Bellerofonte per uccidere la Chimera.
Secondo la mitologia greca Pegaso tornò all’Olimpo dopo la morte di Bellerofonte e successivamente riscese sul Monte Elicona mentre si stava svolgendo una gara di canto tra le Muse e le Pieridi; alle melodie intonate dalle Pieridi il Monte Elicona prese ad innalzarsi verso il cielo e solo lo zoccolo battuto sulla roccia dal cavallo mitologico riuscì ad arrestarne la rapida ascensione.
Nel punto in cui Pegaso sbatté lo zoccolo si aprì una sorgente chiamata così “sorgente del cavallo“.
Portate a termine le sue imprese, il cavallo alato prese il volo verso la volta celeste e qui si trasformò in una manciata di stelle poste a omaggiare le sue virtù per l’eternità.
COSTELLAZIONE DELLA VOLPETTA, COSTELLAZIONE DELLA FRECCIA E COSTELLAZIONE DEL DELFINO
Il cielo di settembre è un diario le cui pagine raccontano ancora delle stelle d’estate, con appunti sugli astri d’autunno che, imminente, si prepara a svelarci nuove storie già scritte nel firmamento.
Verso occidente vedremo ormai tramontare le costellazioni che ci hanno accompagnato nelle serate estive, ovvero il Sagittario, Ofiuco, Scorpione, Ercole.
A Nord-Ovest si accinge al tramonto anche il Boote, con la brillante stella Arturo e nelle vicinanze anche la Corona Boreale si appresta gradualmente a scomparire all’orizzonte.
Da Est vedremo apparire le costellazioni dell’Ariete, Acquario, Pesci mentre a Sud-Est incrociamo Pegaso; a Nord-Est possiamo ammirare Andromeda e Perseo, mentre volgendo lo sguardo a Nord non sarà per nulla difficile notare Cassiopea e poi ancora Perseo, mentre guardando a Nord troveremo Orsa Maggiore ed Orsa Minore.
Dei residui di cielo estivo potremo ancora scorgere verso Ovest le costellazioni di Aquila, Cigno e Lira che con le loro stelle principali hanno dato vita all’asterismo del Triangolo Estivo. In questa regione di cielo incontriamo tre costellazioni minori: la Volpetta,la Freccia e il Delfino.
Si tratta di tre piccole figure celesti, due delle quali (Volpetta e Delfino) passano per il meridiano proprio nel mese di settembre.
COSTELLAZIONE DELLA VOLPETTA
Al centro dell’area celeste del Triangolo Estivo, in una regione fortemente oscurata dalla Fenditura dell’Aquila, è presente la piccola costellazione della Volpetta: essa possiede una sola stella brillante visibile, denominata Anser (Alpha Vulpeculae).
Stelle principali
Si tratta di una stella gigante rossa, classificata come doppia (apprezzabile con un binocolo) con magnitudine apparente di 4,4.
Se la costellazione non possiede particolari caratteristiche in compenso viene ricordata per una delle scoperte astronomiche più interessanti: proprio all’interno della Volpetta, nel 1967,Antony Hewish e Jocelyn Bell, da Cambridge, identificarono la prima pulsar conosciuta, oggi noto come oggi noto come PSR 1919+21.
OGGETTI NON STELLARI
La Volpetta ospita diversi interessanti oggetti del cielo profondo: primo fa tutti la famosa Nebulosa Manubrio (M27), soggetto molto amato dagli astrofotografi.
M27 è la prima nebulosa planetaria ad essere stata scoperta da Charles Messier, nel 1764: l’oggetto è individuabile a 3° a nord della stellaγ Sagittae, e si presenta al binocolo come un disco non troppo luminoso mentre al telescopio se ne riesce ad apprezzare la struttura che ricorda quella di una clessidra.
Al centro dell’immagine apparirà una stella centrale che viene utilizzata spesso dagli astrofotografi nel testare la limpidezza del cielo nelle notti di riprese.
Un altro oggetto del cielo profondo presente nella costellazione della Volpetta è l’asterismo dell’Attaccapanni o Cluster di Brocchi (dal nome dell’astronomo americano che negli anni 20 lo disegnó): l’oggetto, denominato anche Cr 399, è stato scoperto dall’astronomo arabo Al Sufi nel 964 d. C. e inizialmente era stato classificato come ammasso, ma nuovi studi hanno poi rivelato che le stelle che lo compongono (circa 40) non sono legate gravitazionalmente.
Da un luogo privo di disturbo luminoso è possibile individuare l’asterismo anche ad occhio nudo, mentre avvalendosi dell’ausilio di un binocolo è facile risolvere il gruppo di stelle che lo compone.
STORIA DELLA COSTELLAZIONE Volpetta
La costellazione è stata introdotta nel XVII secolo dall’astronomo polacco Johannes Hevelius e in origine era nota come la “volpetta e l’oca”, “Vulpecula cum Ansere“; oggi dell’oca, un tempo rappresentata tra le fauci della Volpetta, rimane solo il nome dato alla stella alfa della costellazione.
COSTELLAZIONE DELLA FRECCIA
La Freccia (Sagittae) giace sulla Via Lattea, a 10° nord di Altair, in una regione in cui risiedono reminescenze della Fenditura dell’Aquila.
La costellazione non spicca certo per estensione e luminosità: la sua stella principale è Alpha Sagittae (nota anche con il nome di Sham), una stella gigante gialla con una magnitudine apparente di 4,37.
Nella Freccia sono presenti stelle doppie, alcune delle quali sono risolvibili anche con strumenti di piccola portata: è il caso di ε Sagittae, formata da una stella arancione e una azzurra, entrambe visibili attraverso un piccolo telescopio.
La Freccia ospita anche un gran numero di stelle variabili come S Sagittae, una variabile Cefeide che oscilla fra la quinta e la sesta magnitudine in circa 8,4 giorni, e le cui variazioni possono essere addirittura notate anche ad occhio nudo, a patto di avere a disposizione un cielo molto, ma molto nitido.
OGGETTI NON STELLARI NELLA FRECCIA
La costellazione scarseggia di oggetti del profondo cielo, tuttavia è presente un vasto e brillante ammasso globulare, M71, posto a 13.000 anni luce.
LA FRECCIA NELLA MITOLOGIA
Sono diversi i miti in cui la Freccia trova riferimento: quello più noto la legano ad Ercole e a Prometeo.
Quest’ultimo era un titano che rubava il fuoco agli dei per farne dono agli uomini; ma questo suo modo di agire scatenò l’ira di Zeus che decise di punire Prometeo incatenandolo, nudo, su di una rupe scoscesa ed esposta a qualsiasi tipo di intemperie, nella regione del Caucaso.
Non pago di questa già atroce pena inflitta al titano, il padre degli dei inviò una mostruosa aquila affinché passasse le giornate a dilaniare il ventre e il fegato di Prometeo, le cui ferite guarivano però di notte.
Dopo un lunghissimo tempo fu risolutivo il passaggio di Ercole da quella rupe infernale: l’eroe, avendo assistito a quelle atroci torture, salvò Prometeo, scagliando una freccia contro il mostruoso rapace, liberando così il titano a cui stava a cuore l’umanità.
COSTELLAZIONE DEL DELFINO
Un’altra costellazione che transita al meridiano nel cielo di settembre è quella del Delfino: la figura del Delfino è individuabile 10° a Nord-Est della brillante Altair e nonostante la costellazione sia molto piccola, le stelle che la compongono (circa una ventina) appaiono ravvicinate e ben visibili ad occhio nudo.
Due sono sostanzialmente le stelle più luminose: si tratta del sistema binario β Delphini (Rotanev), una stella subgigante gialla di magnitudine 3,6, distante 97anni luce e il sistema binario α Delphini (Sualocin), una stella azzurra di magnitudine 3,77, distante 241 anni luce.
IL CURIOSO CASO DEI NOMI DELLE STELLE DEL DELFINO
Sualocin e Rotanev apparvero per la prima volta nel catalogo stellare del Reale Osservatorio di Palermo nel 1814: in quel periodo il Direttore era padre Giuseppe Piazzi, grande astronomo e matematico, fondatore dell’Osservatorio e fautore della scoperta di Cerere proprio dal cielo di Palermo, il 1 gennaio 1801.
Nel link a seguire il servizio fotografico e l’articolo ad opera dell’autrice Teresa Molinaro e di Walter Leopardi sull’Osservatorio Astronomico di Palermo QUI
Nel 1800 Piazzi fece l’incontro di Niccolò Cacciatore, astronomo che condusse i suoi studi proprio all’Osservatorio di Palermo assumendone la direzione nel 1817.
Nella stesura dei cataloghi stellari del 1814, a cui si faceva riferimento sopra, che vinsero il premio dell’Académie des Sciences di Parigi, comparvero i nomi di due stelle, Sualocin e Rotanev, gli astri principali della costellazione del Delfino.
Queste diciture suonarono bizzarre alle orecchie dell’astronomo britannico Thomas Webb che, dopo un’accurata analisi, arrivò a comprendere che i due nomi letti al contrario altro non rappresentavano che il nome e cognome latinizzato dell’astronomo siciliano Niccolò Cacciatore: Nicolaus Venator. Sulla base dell’amicizia e della collaborazione che li legava, Giuseppe Piazzi volle dedicare il nome delle due stelle al suo assistente Niccolò Cacciatore.
OGGETTI NON STELLARI NEL DELFINO
Fra i pochi oggetti del profondo cielo nel Delfino ci sono gli ammassi globulare NGC 7006, NGC 6934 e la nebulosa planetaria NGC 6891.
Nel cielo serale di settembre è possibile osservare la stella 18 Delphini (o Musica), una gigante gialla situata appunto nella costellazione del Delfino, la cui peculiarità è quella di avere un pianeta che ruota intorno ad essa.
Si tratta di Arion, un gigante gassoso scoperto nel 2018,che completa un’orbita quasi circolare in circa 993 giorni terrestri, ad una distanza media dalla stella di 2,6 UA.
Il nome è stato scelto dai partecipanti al concorso NameExoWorlds.
IL DELFINO NELLA MITOLOGIA
Incontrare un delfino in mare aperto era una consuetudine per gli antichi marinai greci, e le leggende ci raccontano diverse versioni in cui queste creature sono protagoniste.
Secondo Eratostene il delfino era il messaggero d’amore del dio del mare, Poseidone, che invaghitosi di una delle ninfe marine Nereidi, decise che doveva averla a tutti i costi, nonostante il suo rifiuto.
Un giorno Poseidone inviò un delfino a prelevare la fanciulla dal suo nascondiglio e a portarla nel suo castello sottomarino, dove ne fece la sua sposa.
Pieno di gratitudine il dio del mare pose la figura del delfino tra le stelle.
Un’altra leggenda ci ricollega al nome dell’ esopianeta Arion che prende il nome dal cantore greco Arione il quale, di ritorno in Grecia dalla Sicilia, dove si era esibito con la sua cetra, fu minacciato da un gruppo di marinai che volevo sottrargli il suo denaro; preso dalla paura di morire chiese come ultimo desiderio di poter suonare ancora una volta la sua amata cetra, il cui suono armonioso attirò un delfino che lo prese sul suo groppone e lo trasse in salvo.
Arrivati in Grecia il dio della musica Apollo collocó il delfino tra le costellazioni del cielo.
Per larga parte il cielo è attraversato da striature e macchie chiare; la Via Lattea prende d’agosto una consistenza densa e si direbbe che trabocchi dal suo alveo; il chiaro e lo scuro sono così mescolati da impedire l’effetto prospettico d’un abisso nero sulla cui vuota lontananza campeggiano, ben in rilievo, le stelle; tutto resta sullo stesso piano: scintillio e nube argentea e tenebre.
I.Calvino – Palomar
Il cielo d’agosto ci trascina nel vivo dell’estate e da amanti nel cielo non possiamo perderci neanche una notte di stelle: volgendo lo sguardo a sud-est è la Via Lattea la regina indiscussa, e con essa le costellazioni che rappresentano l’estate boreale.
Sarà una vera emozione ammirare lo Scorpione, l’Aquila, il Sagittario, e la Costellazione del Cigno e i tanti altri asterismi che con il loro scintillìo di stelle illuminano le calde notti d’agosto.
LA COSTELLAZIONE DEL CIGNO
Rappresentata come un uccello in volo verso il sud sulla volta celeste, la costellazione del Cigno è uno degli asterismi più amati e conosciuti dell’estate boreale, soprattutto per gli spettacolari oggetti del profondo cielo che custodisce e che sono tra i soggetti preferiti dagli astrofotografi.
Il Cigno lo si può scorgere grazie alla sua stella alfa, Deneb, una supergigante bianca che con la sua magnitudine apparente di +1,25, rappresenta la diciannovesima stella più brillante del cielo notturno.
Stelle principali della Costellazione del Cigno
Deneb, insieme alla stella Vega della Lira e ad Altair dell’Aquila, rappresenta uno dei vertici del Triangolo estivo, tipico asterismo dell’estate boreale.
Del Cigno fa parte anche Albireo, un interessante sistema stellare composto da due astri di colore diverso: le due componenti, la principale di colore arancio mentre la secondaria di colore bianco-azzurro, possono essere risolte già attraverso un piccolo telescopio.
L’astro è un soggetto molto amato da tutti coloro che si approcciano all’osservazione al telescopio, poiché è facile ed entusiasmante risolverne le due componenti, anche se non si è esperti conoscitori del cielo.
Albireo insieme a Deneb costituisce l’asterismo della Croce del Nord, il cui asse maggiore è attraversato dalla Via Lattea.
Oggetti non stellari nella Costellazione del Cigno
Moltissimi gli oggetti da riprendere con un buon set strumentale. Fra i principali ricordiamo la Nebulosa Velo
Anche il Cigno (Cygnus) trova posto tra le innumerevoli storie legate alla mitologia: molte di queste riconducono la sua figura a quella di Zeus, in quanto il padre degli dei era solito assumere tali sembianze per poter sedurre le fanciulle di cui si invaghiva.
Tra tutte le varie vicende legate alle scorribande del padre degli dei sembra prevalere quella in cui Zeus, incapricciatosi di Leda, nipote di Ares e regina di Sparta, si trasformò in un cigno nell’intento di possedere la giovane donna mentre passeggiava sulle rive del fiume; dall’uovo concepito (anzi, presumibilmente due uova) vennero alla luce quattro bambini, ma poiché Leda quella stessa notte giacque con suo marito, il re Tindaro, non v’è certezza sulla reale paternità anche se le uova divine, da cui nacquero Elena di Troia e Polluce, furono attribuite a Zeus.
Il Cigno dunque campeggia in cielo a voler rappresentare il dio greco e le leggende che lo vedono protagonista.
Il cielo d’agosto ci trascina nel vivo dell’estate e da amanti nel cielo non possiamo perderci neanche una notte di stelle: volgendo lo sguardo a sud-est è la Via Lattea la regina indiscussa, e con essa le costellazioni che rappresentano l’estate boreale.
Sarà una vera emozione ammirare lo Scorpione, l’Aquila, la Costellazione del Sagittario, il Cigno e i tanti altri asterismi che con il loro scintillìo di stelle illuminano le calde notti d’agosto.
Una tipica costellazione dell’estate boreale è la Costellazione del Sagittario, che transita al meridiano intorno al 20 agosto eppur rimanendo bassa sull’orizzonte meridionale, può essere facilmente osservata per tutto il periodo estivo e individuata grazie al particolare asterismo della Teiera composta dalle sue stelle più luminose.
Si tratta di una delle costellazione dello zodiaco più importanti poiché contiene al suo interno il Centro Galattico, il punto più ricco e luminoso della nostra galassia, osservabile senza difficoltà ad occhio nudo da luoghi privi di qualsiasi impedimento luminoso.
Stelle principali della Costellazione del Sagittario
La stella principale del Sagittario è ε Sagittarii, una gigante bianca-azzurra con magnitudine 1,79, nota come Kaus Australis, poiché rappresenta la parte bassa dell’arco che tiene in mano il Sagittario; la seconda stella più brillante è Sigma Sagittarii, o Nunki, una gigante azzurra di magnitudine 2,05 e poi c’è Zeta Sagittarii, la terza stella più luminosa.
OGGETTI NON STELLARI NELLA COSTELLAZIONE DEL SAGITTARIO
Il Sagittario è ricco di oggetti non stellari: esso ospita un numero considerevole di oggetti del catalogo Messier, in particolar modo ammassi globulari come M22, uno dei più consistenti, che contiene più di mezzo milione di stelle.
Nella costellazione non mancano nemmeno le nebulose, come M8 (Nebulosa Laguna), M20 (Nebulosa Trifida), M17 (Nebulosa Omega) al confine con la costellazione dello Scudo, e diversi ammassi aperti.
Interessante l’oggetto M24, ovvero la Piccola Nube Stellare del Sagittario: si tratta di una estesa nube di polveri, gas e stelle, al cui interno è collocato anche l’ammasso aperto NGC 6603.
SAGITTARIUS A* NEL CUORE DELLA COSTELLAZIONE E DELLA NOSTRA GALASSIA
Quando si fa riferimento alla costellazione del Sagittario è inevitabile menzionare Sagittarius A*, la luminosa sorgente di onde radio posta al centro della Via Lattea, in cui si trova il buco nero supermassiccio. Il centor della via Lattea al contrario di quanto si possa immaginare ad occhio nudo non appare come una sorgente luminosa ma al contrario si tratta di una zona del cielo che se ripresa appare totalmente scura. Ciò a causa della posizione del nostro Sistema Solare rispetto al piano galattico che interpone nella linea di vista una densa nube di polvere in grado di coprire il bagliore centrale.
E’ molto affascinante osservare la costellazione nel cielo, pensando che al suo interno vi sia un oggetto di tale portata.
LA COSTELLAZIONE DEL SAGITTARIO NELLA MITOLOGIA
Metà uomo e metà cavallo, la figura del Sagittario rappresenta un arciere con indosso un mantello, intento a tendere l’arco in direzione dello Scorpione: il Sagittario è colui che lancia le frecce, dal latino sagittae, e come ogni oggetto celeste è rivestito da un significato mitologico.
Nel mito greco il Sagittario viene associato a Croto, figlio del dio dei pastori, Pan, e della nutrice delle Muse, Eufeme.
Croto visse la sua infanzia crescendo sul Monte Elicone circondato dalle Muse e dalle loro arti e proprio in loro onore inventò l’applauso come segno di omaggio alle loro manifestazioni artistiche.
Le Muse, grate a Croto, si rivolsero a Zeus affinché gli concedesse un posto d’onore sulla volta celeste; il padre degli dei decise dunque di trasformarlo in una costellazione e premiandolo per la sue doti di arciere e di cavallerizzo, lo pose tra le stelle a brillare per l’eternità.
Il pianeta Saturno: principali caratteristiche e informazioni
Saturno, il sesto pianeta del Sistema Solare, è noto per la sua magnificenza e i suoi anelli spettacolari. Questo gigante gassoso si trova a una distanza media di circa 1,4 miliardi di chilometri dal Sole. Conosciuto come il “Signore degli Anelli”, Saturno è un pianeta che continua a stupire e affascinare scienziati e appassionati di astronomia.
Composizione e Struttura di Saturno
Il pianeta Saturno è composto principalmente da idrogeno ed elio, con tracce di metano, acqua e ammoniaca. La sua atmosfera è caratterizzata da bande colorate e vortici, tra cui spicca un gigantesco sistema di vortici di forma esagonale al Polo nord.
Dimensioni di Saturno
Il diametro equatoriale del pianeta Saturno è di circa 116.464 km, rendendolo il secondo pianeta più grande del Sistema Solare dopo Giove. La sua massa è pari a 95,2 volte quella terrestre, eppure è l’unico pianeta del nostro sistema solare la cui densità media è inferiore a quella dell’acqua, il che significa che potrebbe galleggiare in un oceano abbastanza grande.
I Satelliti di Saturno
Saturno vanta un numero impressionante di satelliti naturali. Attualmente, si contano 82 satelliti confermati, con 53 di questi che hanno ricevuto un nome ufficiale. Tra i principali satelliti, troviamo Titano, il più grande, noto per la sua atmosfera densa e i laghi di idrocarburi, e Encelado, famoso per i suoi getti di vapore acqueo e possibili oceani sotterranei. Altri satelliti rilevanti includono Mimas, Teti, Dione, Rea e Giapeto.
Distanze e Dimensioni
La distanza dei satelliti da Saturnovaria considerevolmente, con alcuni che orbitano molto vicino al pianeta, mentre altri si trovano a distanze molto più estese. Titano, il più grande dei satelliti di Saturno, orbita a una distanza media di circa 1,2 milioni di chilometri dal centro del pianeta. Altri satelliti significativi includono Rhea, Dione, Tethys e Enceladus, che orbitano a distanze che vanno da 200.000 a 500.000 chilometri.
Periodi di Rivoluzione
I periodi di rivoluzione deisatelliti di Saturnosono altrettanto vari. Titano, per esempio, completa un’orbita attorno a Saturno in circa 16 giorni terrestri. Altri satelliti, come Mimas e Enceladus, hanno periodi di rivoluzione più brevi, compiendo un’orbita completa in meno di un giorno terrestre.
Caratteristiche Fisiche
I satelliti di Saturno presentano una vasta gamma di caratteristiche fisiche. Titano, ad esempio, è noto per la sua densa atmosfera ricca di azoto e per i suoi laghi di idrocarburi liquidi. Enceladus si distingue per i suoi getti di vapore acqueo e per la possibile presenza di un oceano sotterraneo di acqua liquida. Mimas è riconoscibile per il grande cratere Herschel, che gli conferisce un aspetto simile alla “Morte Nera” di Star Wars.
Teorie di Formazione
Le teorie sulla formazione dei satelliti di Saturno sono varie e complesse. Alcuni potrebbero essersi formati dallo stesso disco di accrescimento che ha dato origine a Saturno, mentre altri potrebbero essere oggetti catturati dalla gravità del pianeta. Le interazioni gravitazionali tra i satelliti e gli anelli di Saturno hanno anche giocato un ruolo cruciale nella loro evoluzione orbitale.
Gli Anelli di Saturno: Una Danza Celestiale di Ghiaccio e Roccia
Gli anelli di Saturno sono una delle meraviglie più affascinanti del nostro sistema solare. Questi dischi luminosi che circondano il secondo gigante gassoso hanno catturato l’immaginazione di astronomi e appassionati per secoli. In questo articolo, esploreremo le dimensioni, la composizione, la formazione e le missioni spaziali che hanno studiato gli anelli di Saturno.
Dimensioni degli Anelli del Pianeta Saturno
Gli anelli di Saturno si estendono dalla quota di circa 6.600 km dalla superficie del pianeta fino a 120.000 km. Hanno uno spessore medio di 10 metri, ma in alcune zone possono raggiungere i 3-5 km. Il diametro complessivo del sistema di anelli può arrivare fino a circa 300.000 km, quasi un terzo della distanza tra la Terra e la Luna.
Formazione degli Anelli del Pianeta Saturno
La formazione degli anelli di Saturno è ancora oggetto di studio, ma le misure della gravità del pianeta e della massa degli anelli suggeriscono che potrebbero essersi formati al più 100 milioni di anni fa. Questa stima li rende significativamente più giovani del pianeta stesso, che ha circa 4,5 miliardi di anni.
Composizione
Gli anelli sono composti da miliardi di particelle di varie dimensioni, dalla granulometria della polvere fino alla grandezza di una montagna. Queste particelle sono principalmente di ghiaccio, con impurità che includono elementi rocciosi e organici. Si ritiene che queste particelle possano essere frammenti di comete, asteroidi o lune che sono state distrutte prima di raggiungere il pianeta, frantumate dalla sua potente gravità.
Missioni Spaziali verso il Pianeta Saturno
Diverse missioni spaziali hanno studiato Saturno e i suoi anelli, fornendo dati preziosi sulla loro struttura e composizione:
Pioneer 11: La prima sonda a effettuare un flyby di Saturno, fornendo le prime immagini ravvicinate degli anelli.
Voyager 1 e 2: Queste missioni hanno offerto una visione dettagliata degli anelli, scoprendo la complessità e la fine struttura delle fasce.
Cassini-Huygens: La missione più prolungata e dettagliata, Cassini ha orbitato Saturno per oltre 13 anni, studiando gli anelli in profondità e fornendo informazioni senza precedenti sulla loro composizione e dinamica.
Principali dati del Pianeta Saturno
Ecco i principali dati di Saturno, escludendo le informazioni provenienti da Wikipedia:
Tipo di Pianeta: Gigante gassoso.
Massa: Circa 5,6834×1026 kg.
Raggio Medio: 58.232 km.
Distanza dal Sole:
Afelio (punto più lontano): circa 1,51 miliardi di km.
Perielio (punto più vicino): circa 1,35 miliardi di km.
Periodo di Rivoluzione: Circa 29,5 anni terrestri.
Distanza Media dalla Terra: 1,4 miliardi di km.
Composizione: Prevalentemente idrogeno ed elio, con tracce di metano, acqua e ammoniaca.
Giove, il quinto pianeta dal Sole, è un gigante gassoso noto per la sua imponente presenza nel nostro sistema planetario. Con una massa che supera quella di tutti gli altri pianeti combinati, Giove domina il paesaggio celeste oltre la cintura principale degli asteroidi.
Posizione nel Sistema Solare
Giove orbita attorno al Sole a una distanza media di circa 778 milioni di chilometri, situandosi oltre Marte e prima della fascia degli asteroidi. Il suo percorso orbitale lo porta a compiere una rivoluzione completa in quasi 12 anni terrestri, fungendo da guardiano per i pianeti interni grazie alla sua massiccia gravità.
Composizione
Questo colosso è prevalentemente composto da idrogeno (circa il 75%) ed elio (circa il 24%), con tracce di metano, acqua, ammoniaca e composti di roccia e metallo. La sua atmosfera superiore è adornata da bande colorate e vortici, tra cui spicca la Grande Macchia Rossa, un gigantesco ciclone persistente da secoli.
Dimensioni
Con un diametro equatoriale di circa 142.984 km, Giove è il più grande pianeta del nostro sistema solare. La sua grandezza è tale che potrebbe contenere più di 1.300 Terre, e il suo volume è così vasto che il baricentro del sistema Sole-Giove non si trova all’interno del Sole stesso, ma nello spazio che li separa.
Giove in dati
Posizione: Giove è il quinto pianeta del Sistema Solare in ordine di distanza dal Sole.
Diametro Equatoriale: Circa 142.984 km, rendendo Giove il più grande pianeta del nostro sistema solare.
Massa: 1,898 x 1027 kg, circa 318 volte quella della Terra.
I Satelliti
Giove è circondato da un’impressionante schiera di satelliti naturali, conosciuti anche come lune. Al momento, si contano 79 satelliti confermati, ma il numero potrebbe aumentare con nuove scoperte. Tra questi, spiccano i quattro principali: Io, Europa, Ganimede e Callisto, noti come satelliti galileiani. Questi corpi celesti sono stati i primi ad essere scoperti al di fuori del nostro pianeta e hanno rivoluzionato la nostra comprensione dell’universo.
I Satelliti Principali di Giove: Un Viaggio tra Scoperta e Mistero
Giove, il gigante gassoso del nostro sistema solare, è noto per essere circondato da un’impressionante schiera di satelliti naturali. Tra questi, spiccano i quattro principali: Io, Europa, Ganimede e Callisto, conosciuti anche come satelliti galileiani. Questi corpi celesti non sono solo testimoni della storia astronomica, ma anche oggetti di studio per comprendere meglio la composizione e la dinamica del nostro sistema solare.
Scoperta dei Satelliti Galileiani
La scoperta dei satelliti principali di Giove risale al 1610, ad opera di Galileo Galilei. Utilizzando il suo telescopio, Galilei osservò quattro punti luminosi che cambiavano posizione di notte in notte, deducendo che fossero corpi in orbita attorno a Giove. Questa scoperta fu rivoluzionaria, poiché contraddiceva la visione geocentrica dell’universo, sostenendo invece il modello eliocentrico.
Composizione e Struttura
I satelliti galileiani presentano composizioni diverse:
Io è il più interno e si distingue per la sua intensa attività vulcanica.
Europa è ricoperta da una crosta di ghiaccio e si ipotizza possa nascondere un oceano sotterraneo di acqua salata.
Ganimede, il più grande satellite naturale del sistema solare, ha un campo magnetico proprio e una struttura differenziata simile a quella dei pianeti terrestri.
Callisto presenta una superficie antica e fortemente craterizzata, segno di un passato geologicamente tranquillo.
Caratteristiche Fisiche dei satelliti principali
Le dimensioni e le caratteristiche fisiche dei satelliti galileiani sono uniche:
Ganimede è il gigante tra i satelliti naturali con i suoi 5.268 km di diametro.
Callisto ha un diametro di circa 4.821 km.
Principali Missioni
Le missioni spaziali che hanno esplorato Giove sono state fondamentali per ampliare la nostra conoscenza del gigante gassoso e del suo sistema di satelliti. Ecco un elenco delle principali missioni:
Pioneer 10 e 11: Lanciate rispettivamente nel 1972 e 1973, queste missioni hanno rappresentato i primi flybys di Giove, fornendo dati preziosi sul pianeta e i suoi satelliti.
Voyager 1 e 2: Nel 1979, le sonde Voyager hanno effettuato flybys di Giove, raccogliendo immagini dettagliate e dati che hanno rivoluzionato la nostra comprensione del sistema gioviano.
Galileo: Lanciata nel 1989, la sonda Galileo è stata la prima a entrare in orbita attorno a Giove, rimanendo operativa per oltre 7 anni e inviando dati approfonditi sul pianeta, i suoi anelli e i suoi satelliti.
Cassini: Pur essendo una missione primariamente diretta verso Saturno, Cassini ha effettuato un flyby di Giove nel 2000, raccogliendo dati che hanno aiutato a comprendere meglio l’atmosfera e la magnetosfera del pianeta.
New Horizons: Anche se il suo obiettivo principale era Plutone, nel 2007 la sonda New Horizons ha utilizzato Giove per una manovra di fionda gravitazionale e ha approfittato dell’occasione per studiare il pianeta e i suoi satelliti.
Juno: Lanciata nel 2011, la sonda Juno è stata progettata per studiare la composizione, il campo gravitazionale, il campo magnetico e la magnetosfera polare di Giove. È attualmente operativa e continua a inviare dati.
Jupiter Icy Moons Explorer (JUICE): Prevista per il lancio nel 2023, questa missione dell’ESA si concentrerà sull’esplorazione di Callisto, Ganimede ed Europa, tre dei satelliti galileiani.
Europa Clipper: Pianificata per il lancio nel 2024, questa missione della NASA mira a studiare il potenziale abitabile di Europa, uno dei satelliti galileiani, con particolare attenzione alla sua crosta di ghiaccio e all’oceano sottostante.
Aurora boreale del 10 maggio ma fenomeno sempre più frequente in Italia – Cosa sono le aurore boreali e perché si vedono?
L’Italia si sta abituando ad un fenomeno celeste piuttosto inusuale per le nostre latitudini: le Aurore Boreali.
Le aurore boreali, di cui abbiamo parlato ampiamente nel numero 260 di COELUM ASTRONOMIA, sono dei fenomeni che si manifestano dall’incontro del campo magnetico terrestre con le particelle cariche emesse dal Sole.
Il fenomeno della Aurore Boreali interessa in genere il nord Europa ma a causa dell’aumento dell’attività del Sole gli effetti si spingono fino a regioni più basse sull’equatore fra cui quelle del sud Europa appunto.
Le immagini sorprendenti si riferiscono alla sera del 10 maggio in cui il bagliore rossastro si è manifestato in quasi tutto il Nord Italia ed attenzione a stasera perché il fenomeno potrebbe ripetersi!
C’è da dire che le immagini non rispecchiano spesso quanto visibile ad occhio nudo perché per incrementare l’effetto gli astrofotografi sono soliti utilizzare dei filtri in grado di catturare più o meno colore in una determinata tonalità. Ciò nonostante l’effetto resta comunque stupefacente.
L’attività solare continuerà a crescere fino a raggiungere il massimo previsto per il 2025 ciò farà si che lo spettacolo possa ripetersi con frequenza nei prossimi mesi.
L’Italia non è nuova a questo fenomeno, anche in passato il territorio nazionale è stato inondato dall’insolita luce rossastra, così come raccontato da Daniele Capezzali nel n° 267 di COELUM ASTRONOMIA. Grazie ai suoi studi Capezzali ha individuato in alcuni manoscritti risalenti al 1700 la descrizione di un’aurora boreale potentissima le cui tracce e conferme si individuano anche in testi tedeschi e giapponesi.
Nella schermata sopra l’aurora boreale ripresa dalla AllSkyCam progettata e costruita da Francesco Sferlazza e installata a Brallo di Pregola in provincia di Pavia. Con la sua webcam in remoto Sferlazza è riuscito a catturare una testimonianza genuina del fenomeno. La AllSkyCam è descritta con attenzione e con tutti i passaggi per la costruzione nel prossimo numero 268 di COELUM ASTRONOMIA.
Complimenti anche per il nostro autore Cristian Fattinnanzi che è riuscito a catturare una testimonianza unica ed emblematica dell’aurora boreale che il 10 maggio ha raggiunto anche l’Italia.
Le Aurore Boreali: Uno Spettacolo di Luce e Scienza
Le aurore boreali, conosciute anche come “luci del nord”, sono uno dei fenomeni naturali più affascinanti del nostro pianeta. Questo articolo esplora la scienza dietro le aurore boreali, descrivendo cosa sono, come si formano, eventi particolari, quando svaniscono e come possono essere fotografate.
Cosa Sono le Aurore Boreali?
Le aurore boreali sono spettacolari giochi di luce che si verificano nelle regioni polari della Terra. Sono visibili principalmente nelle zone vicino ai poli magnetici, in particolare durante i mesi invernali. Questi fenomeni luminosi sono caratterizzati da bande colorate che danzano nel cielo notturno.
Come si Formano le Aurore Boreali?
Le aurore si formano quando le particelle cariche emesse dal Sole, conosciute come vento solare, interagiscono con il campo magnetico terrestre. Queste particelle sono canalizzate verso i poli magnetici, dove collidono con gli atomi e le molecole dell’atmosfera terrestre, rilasciando energia sotto forma di luce1.
Quando Svaniscono le Aurore Boreali?
Le aurore boreali sono fenomeni transitori e la loro durata può variare. Possono durare da pochi minuti a diverse ore, ma generalmente svaniscono con l’arrivo dell’alba, quando la luce solare inizia a illuminare il cielo.
Suggerimenti per fotografare l’aurora boreale livello principiante
Per fotografare le aurore boreali è necessario avere una fotocamera con la possibilità di impostare manualmente l’esposizione. È consigliabile utilizzare un treppiede per stabilizzare la fotocamera e impostare un’esposizione lunga per catturare la luce delle aurore. L’uso di un obiettivo grandangolare può aiutare a catturare l’ampiezza del fenomeno.
In conclusione, le aurore boreali sono un fenomeno naturale straordinario che combina bellezza e scienza. La loro osservazione e fotografia richiedono pazienza e un po’ di pianificazione, ma l’esperienza di assistere a questo spettacolo di luci è indimenticabile.
La Storia dell’Attività Solare e la Situazione Attuale – cenni
L’attività solare ha affascinato l’umanità fin dall’antichità. La nostra stella, il Sole, è una dinamo cosmica che influenza non solo il clima spaziale ma anche la vita sulla Terra.
La storia dell’attività solare è caratterizzata dai cosiddetti cicli solari, periodi di circa 11 anni durante i quali l’attività del Sole varia da minima a massima.
Uno degli eventi più noti nella storia dell’attività solare è il “Minimo di Maunder”, un periodo tra il 1645 e il 1715 durante il quale le macchie solari divennero estremamente rare. Questo periodo coincide con la “Piccola Era Glaciale” in Europa, suggerendo un legame tra attività solare e clima terrestre.
La Situazione Attuale
Attualmente, il Sole sta attraversando il ciclo solare 25. Dopo un periodo di minima attività, che ha visto un numero ridotto di macchie solari, l’attività sta aumentando. Questo è confermato dal maggior numero di macchie solari, principalmente nelle regioni equatoriali, e dalla più alta frequenza di altri fenomeni solari, come le espulsioni di massa coronale.
Le macchie solari sono regioni del Sole che appaiono più scure perché sono più fredde rispetto alle aree circostanti. Sono un indicatore chiave dell’attività solare e possono dar luogo a brillamenti solari, potenti esplosioni di radiazione che possono influenzare le comunicazioni radio sulla Terra e generare spettacolari aurore polari.
Implicazioni per il Futuro L’attuale aumento dell’attività solare è un fenomeno normale all’interno del ciclo solare. Tuttavia, è importante monitorare questa attività poiché può avere implicazioni significative per la tecnologia e la società. Tempeste solari particolarmente intense possono disturbare i satelliti, le reti elettriche e le comunicazioni.
A partire dal prossimo numero 268 di COELUM ASTRONOMIA
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Il Misterioso Pianeta Mercurio: Un Viaggio nel Sistema Solare Interno
Mercurio, il pianeta più interno del nostro sistema solare, è un mondo di estremi e contrasti. Nonostante sia spesso trascurato a favore dei suoi vicini più grandi e più appariscenti, questo piccolo pianeta roccioso nasconde segreti che potrebbero svelare molto sulla formazione del nostro quartiere cosmico.
I Record
Mercurio è noto per le sue condizioni estreme. Con un diametro di soli 4.880 chilometri, è il più piccolo pianeta del nostro sistema solare, se escludiamo i pianeti nani. La sua vicinanza al Sole significa che riceve una quantità di radiazione solare molto maggiore rispetto alla Terra. Di conseguenza, le temperature diurne possono raggiungere i 430°C, mentre di notte possono precipitare fino a -180°C, a causa dell’assenza di un’atmosfera significativa che possa trattenere il calore.
Il nucleo
Una delle scoperte più affascinanti riguardanti Mercurio è la dimensione del suo nucleo. Le misurazioni indicano che il nucleo metallico di Mercurio occupa circa il 55% del suo volume totale, una proporzione molto più grande rispetto agli altri pianeti rocciosi del sistema solare. Questo ha portato gli scienziati a ipotizzare che Mercurio potrebbe essere stato in passato molto più grande, ma un impatto catastrofico potrebbe aver spogliato gran parte del suo mantello esterno.
Un Campo Magnetico Enigmatico
Nonostante le sue dimensioni ridotte, Mercurio possiede un campo magnetico, il che è piuttosto insolito per un pianeta della sua stazza. Il campo magnetico è circa l’1% della forza di quello terrestre, ma la sua esistenza pone interrogativi interessanti sugli interni planetari e sulle dinamiche del nucleo.
Crateri e Contrazioni
La superficie di Mercurio è costellata di crateri, simili a quelli della Luna, testimoni di un passato violento e bombardato da asteroidi e comete. Inoltre, la superficie mostra segni di contrazione, con scarpate che si estendono per centinaia di chilometri, suggerendo che il pianeta si sta raffreddando e restringendo nel tempo.
L’Esplorazione
Le principali missioni dedicate al pianeta:
Mariner 10: Lanciata dalla NASA nel 1973, è stata la prima missione a sorvolare Mercurio. Ha realizzato tre flyby del pianeta nel 1974 e 1975, rivelando dettagli senza precedenti sulla sua superficie craterizzata e sul suo campo magnetico.
MESSENGER: Anche questa missione della NASA, lanciata nel 2004, ha effettuato tre flyby di Mercurio tra il 2008 e il 2009 prima di entrare in orbita attorno al pianeta nel 2011. MESSENGER ha fornito una mappatura completa della superficie di Mercurio e ha scoperto prove di ghiaccio d’acqua nei poli del pianeta.
BepiColombo: È una missione congiunta dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA) e dell’Agenzia Spaziale Giapponese (JAXA), lanciata nel 2018. Composta da due sonde, BepiColombo è progettata per studiare la formazione e l’evoluzione di Mercurio. Si prevede che entrerà in orbita attorno a Mercurio verso la fine del 2025.
Esplorazione Futura
Le missioni passate, come MESSENGER della NASA, hanno fornito una ricchezza di dati, ma molto rimane da scoprire. La missione BepiColombo, una collaborazione tra l’Agenzia Spaziale Europea (ESA) e l’Agenzia Spaziale Giapponese (JAXA), è attualmente in viaggio verso Mercurio, con l’obiettivo di mappare la sua superficie in dettaglio senza precedenti e di comprendere meglio la sua storia geologica e la natura del suo campo magnetico.
In conclusione, Mercurio potrebbe essere piccolo, ma le sue peculiarità lo rendono un gigante in termini di interesse scientifico. Continuando ad esplorarlo, possiamo sperare di risolvere alcuni dei misteri che ancora avvolgono questo pianeta veloce e ardente.
Dati interessanti
Nome: prende il nome dal messaggero degli dei romani, noto per la sua velocità.
Dimensioni: È leggermente più grande della Luna della Terra, ha un raggio medio di 2.440 chilometri (1.516 miglia), il che lo rende poco più grande di un terzo della larghezza della Terra. Per darti un’idea, se la Terra fosse grande quanto una moneta da cinque centesimi, Mercurio sarebbe approssimativamente delle dimensioni di un mirtillo. Inoltre, Mercurio si trova a una distanza media di 58 milioni di chilometri (36 milioni di miglia) dal Sole, equivalente a 0,4 unità astronomiche.
Orbita: Completa un’orbita attorno al Sole ogni 88 giorni terrestri.
Superficie: Ricoperta da decine di migliaia di crateri da impatto.
Sole: Da Mercurio, il Sole appare più di tre volte più grande rispetto a come lo vediamo dalla Terra.
Temperatura: Nonostante la sua vicinanza al Sole, Mercurio non è il pianeta più caldo del sistema solare; questo titolo spetta a Venere.
Velocità: è il pianeta più veloce, viaggiando nello spazio a quasi 47 km/s.
Atmosfera: Possiede una sottile esosfera.
Satelliti: Non ha lune.
Anelli: Non possiede anelli.
Vita: Non può sostenere la vita come la conosciamo.
Venere, il secondo pianeta del nostro sistema solare, è spesso chiamato il “gemello malvagio” della Terra a causa delle sue somiglianze in termini di dimensioni e composizione, ma anche per le sue drammatiche differenze climatiche e geologiche. In questo articolo, esploreremo le origini, la composizione, le caratteristiche e le curiosità di questo pianeta affascinante.
Origini e Composizione
Venere si è formato circa 4,5 miliardi di anni fa dallo stesso disco protoplanetario da cui è emersa la Terra. La sua composizione è simile a quella terrestre, con un nucleo di ferro, un mantello roccioso e una crosta solida. Tuttavia, la sua atmosfera è radicalmente diversa: è densa e composta principalmente di anidride carbonica, con tracce di azoto e altri gas, che contribuiscono a un effetto serra devastante.
Caratteristiche Distintive
Venere brilla nel cielo notturno grazie alla sua densa copertura nuvolosa che riflette la luce solare. Queste nubi sono acide e impediscono una visione chiara della superficie. La temperatura superficiale raggiunge i 467°C, la più alta tra tutti i pianeti del sistema solare, superando persino Mercurio.
La superficie è caratterizzata da un paesaggio dominato da vulcani e terreno scosceso, con poche evidenze di placche tettoniche. Ciò suggerisce che l’attività vulcanica è stata una forza predominante nella sua storia geologica.
Rotazione Retrograda e Parametri Orbitali
Un aspetto peculiare di Venere è la sua rotazione retrograda: ruota in senso opposto rispetto alla maggior parte dei pianeti del sistema solare. Il suo periodo orbitale è di circa 225 giorni terrestri, significativamente più breve di un anno terrestre. Venere orbita a una distanza media di circa 108 milioni di chilometri dal Sole.
Esplorazione e Principali Missioni
Venere è stato oggetto di numerose missioni spaziali. La fosfina, un gas rilevato nelle nubi di media altitudine, ha recentemente sollevato l’ipotesi di possibili forme di vita microbica, sebbene questa teoria sia ancora oggetto di dibattito.
Ecco un elenco delle principali missioni spaziali che hanno sorvolato o esplorato Venere:
Mariner 2 (1962): La prima missione riuscita su qualsiasi altro pianeta. Ha misurato la temperatura superficiale di Venere per la prima volta.
Venera 4 (1967): La navicella spaziale dell’Unione Sovietica che è stata la prima a trasmettere con successo informazioni dall’atmosfera.
Mariner 5 (1967): Veicolo spaziale della NASA che si è avvicinato il 19 ottobre 1967, esaminando i campi magnetici e le particelle cariche.
Venera 5 e 6 (1969): Missioni sovietiche che hanno studiato l’atmosfera venusiana.
Venera 7 (1970): La prima navicella spaziale a restituire dati con successo dopo l’atterraggio sulla superficie.
Venera 8 (1972): Ha fornito dati sulla luce solare e sulle condizioni atmosferiche.
Mariner 10 (1974): Ha sorvolato lungo il suo tragitto verso Mercurio e ha ripreso immagini all’ultravioletto delle nubi.
Pioneer Venus (1978): Un gruppo di missioni della NASA che ha studiato l’atmosfera e la superficie.
Veneras 11 e 12 (1978): Veicoli spaziali sovietici che hanno rilasciato un lander sulla superficie.
Veneras 13 e 14 (1981): Missioni sovietiche che hanno fornito immagini a colori della superficie.
Veneras 15 e 16 (1983): Hanno mappato la superficie usando radar.
Vegas 1 e 2 (1985): Veicoli spaziali sovietici che hanno fornito uno sguardo al pianeta da molte angolazioni diverse.
Magellan (1989): La missione della NASA che ha mappato la superficie con un radar ad alta risoluzione.
Galileo (1989): Ha sorvolato Venere mentre era in rotta verso Giove.
Cassini (1998 e 1999): Ha sorvolato Venere due volte per prendere velocità verso Saturno.
MESSENGER (2004): Ha sorvolato mentre era in rotta verso Mercurio.
Venus Express (2005): La missione dell’Agenzia Spaziale Europea che ha studiato l’atmosfera e la superficie di Venere.
Akatsuki (2010): Il primo orbiter giapponese su Venere.
BepiColombo (2020 e 2021): Una missione congiunta ESA e JAXA che ha sorvolato Venere mentre era in rotta verso Mercurio.
Queste missioni hanno contribuito significativamente alla nostra comprensione di Venere, fornendo dati preziosi sulla sua atmosfera, superficie e caratteristiche geologiche.
Dati
Ecco un elenco puntato con i dati principali del pianeta Venere:
Diametro medio: circa 12.104 km1 Massa: 4,8675 × 10^24 kg, circa l’81,5% della massa terrestre1 Densità media: 5,243 kg/m^31 Gravità superficiale: 8,87 m/s^21 Periodo di rotazione: 243,69 giorni terrestri (rotazione retrograda)1 Temperatura superficiale: minima di 653 K (380 °C), media di 737 K (464 °C)1 Pressione atmosferica: 92 bar1 Albedo (riflettività): 0,771 Magnitudine apparente: tra -4,38 e -4,8, rendendolo l’oggetto naturale più luminoso nel cielo notturno dopo la Luna1 Semiasse maggiore: 1,0821 × 10^8 km1 Periodo orbitale: 224,701 giorni terrestri1 Velocità orbitale media: 35,02 km/s1 Inclinazione orbitale: 3,39°1 Eccentricità orbitale: 0,00671
Conclusioni
In conclusione, Venere continua a essere un pianeta di grande interesse scientifico. Le sue condizioni estreme e la sua vicinanza alla Terra lo rendono un laboratorio naturale per studiare i processi geologici e atmosferici che possono esistere su altri mondi rocciosi nell’universo.
I International Astrobiology School – From interstellar molecules to first cells
21 – 24 Maggio 2024, Museo degli Innocenti, Firenze
Organizzatori: Astrobiology Graduates in Europe (AbGradE) e Arcetri Astrobiology Lab (INAF – Osservatorio Astrofisico di Arcetri)
Astrobiology Graduates in Europe (AbGradE) e Arcetri Astrobiology Lab (INAF – Osservatorio Astrofisico di Arcetri) annunciano la prima edizione della “International Astrobiology School”, che si terrà a Firenze presso il Museo degli Innocenti dal 21 al 24 maggio 2024, per celebrare il 10° anniversario della nascita di AbGradE, organizzata da Prof. John Robert Brucato (INAF-OA), Dr. Andrew Alberini (INAF-OA), Dr. Christian Lorenz (Università di Napoli Federico II, INAF-OA) e Dr.ssa Silvana Pinna (Presidente di AbGradE).
Cosa è l’Astrobiologia? L’astrobiologia è un campo della ricerca scientifica fortemente interdisciplinare che sta suscitando sempre più̀ interesse nel panorama contemporaneo per le sue implicazioni nell’esplorazione spaziale. L’astrobiologia nasce dal connubio di conoscenze e competenze che provengono da discipline fino a oggi considerate appartenenti ad aree strettamente distinte come l’astrofisica, la biologia, la chimica e la geologia. L’obiettivo dell’astrobiologia è rispondere a due delle domande più profondamente filosofiche della storia dell’Uomo: da dove veniamo? Siamo soli nell’Universo? Scientificamente parlando, si occupa di studiare l’origine, l’evoluzione e la distribuzione delle forme di vita nell’universo, cercando di scoprire se esistono forme di vita emerse fuori dal pianeta Terra. Pertanto, la formazione di nuove generazioni di ricercatori con una solida preparazione multidisciplinare è più̀ che mai urgente in vista di un futuro ricco di progetti e missioni di esplorazione planetaria da parte delle principali agenzie spaziali, fra cui NASA ed ESA, per tentare di rispondere alle numerose domande di questo vasto campo scientifico.
Obiettivo della Scuola. L’International Astrobiology School offrirà un’opportunità unica per studenti universitari, dottorandi e post-doc provenienti da tutto il mondo che potranno partecipare ad una serie di seminari focalizzati sui principali temi dell’astrobiologia. I partecipanti avranno modo di interagire con alcune delle personalità italiane e internazionali più rilevanti di questo campo come John Robert Brucato (INAF), Paola Caselli (Max Planck), Jean Pierre de Vera (DLR – Centro Aerospaziale Tedesco), Teresa Fornaro (INAF), Wolf Geppert (Università di Stoccolma), Donato Giovannelli (Università di Napoli Federico II) Mitchell Schulte (NASA) e Cyprien Verseux (ZARM – Università di Brema). Gli oratori potranno condividere i risultati delle loro ricerche agli studenti con l’intento di fornire gli strumenti necessari per affrontare le sfide future di questo campo di ricerca. Inoltre, i partecipanti potranno interagire in maniera informale con gli oratori attraverso workshop pomeridiani come il World Café: un metodo efficace e dinamico di condivisione di idee e rafforzamento del concetto di comunità scientifica. In conclusione, ai partecipanti verrà data la possibilità di poter presentare i propri lavori e ricerche in una poster session.
La scuola internazionale di astrobiologia sarà un’occasione unica per la nostra comunità scientifica nazionale e internazionale per poter consolidare e migliorare la condivisione del Sapere sia fra i ricercatori odierni che futuri, in cui Firenze sarà cornice di questo evento, una città rinomata per la sua storia, la sua arte e la sua cultura.
La navicella spaziale TESS della NASA riprende la caccia agli esopianeti dopo essersi ripresa dal problema tecnico e scopre un pianeta roccioso che brilla di lava fusa mentre viene schiacciato dai suoi vicini
Il satellite TESS è uscito dalla modalità provvisoria il 3 maggio, continuando le sue osservazioni scientifiche.
Il Transiting Exoplanet Survey Satellite (TESS) della NASA è tornato in azione, alla ricerca di mondi oltre i limiti del sistema solare.
TESS è uscito dalla “modalità provvisoria” il 3 maggio, riprendendo la ricerca di mondi in altri sistemi stellari noti come pianeti extrasolari (o esopianeti ) mentre attraversano o “transitano” sulla faccia delle loro stelle madri , causando un piccolo calo nella luce stellare. Il satellite era entrato in modalità provvisoria quando ha interrotto le operazioni il 23 aprile , appena cinque giorni dopo aver celebrato il sesto anniversario del suo lancio, avvenuto il 18 aprile 2018.
Praticamente nello stesso periodo il ricercatore Stephen Kane di UC Riverside ha annunciato la scoperta, proprio grazie ai dati ricevuti da TESS, di un pianeta che sopravvive in condizioni estreme.
Kane stava studiando un sistema stellare chiamato HD 104067 a circa 66 anni luce dal nostro Sole e che era già noto per ospitare un pianeta gigante. TESS aveva appena scoperto segnali per un nuovo pianeta roccioso in quel sistema. Raccogliendo dati su quel pianeta, Kane ne trovò inaspettatamente un altro, portando a tre il numero totale di pianeti conosciuti nel sistema.
Il nuovo pianeta scoperto da TESS è un pianeta roccioso come la Terra, ma più grande del 30%. Tuttavia, a differenza della Terra, ha più cose in comune con Io, la luna rocciosa più interna di Giove e il corpo più attivo dal punto di vista vulcanico del nostro Sistema Solare.
Kane ha calcolato che la temperatura superficiale del nuovo pianeta, TOI-6713.01, sarebbe di 2.600 gradi Kelvin, che è più calda di alcune stelle. Le forze gravitazionali sono responsabili dell’attività vulcanica sia su Io che su questo pianeta.
Ci sono due pianeti nel sistema HD 104067 che sono più lontani dalla stella rispetto a questo nuovo pianeta. Quei pianeti esterni stanno anche forzando il pianeta roccioso interno in un’orbita eccentrica attorno alla stella che lo stringe mentre orbita e ruota.
“Questo ci insegna molto sugli estremi di quanta energia può essere pompata in un pianeta terrestre e sulle conseguenze di ciò”, ha detto Kane.
Cos’è TESS?
Il Transiting Exoplanet Survey Satellite (TESS) è una missione spaziale rivoluzionaria progettata per la scoperta di esopianeti. Lanciato il 18 aprile 2018, TESS ha segnato l’inizio di una nuova era nell’esplorazione planetaria.
Obiettivo della Missione TESS
L’obiettivo principale di TESS è l’identificazione di pianeti extrasolari che transitano davanti alle loro stelle ospiti. Utilizzando un metodo fotometrico del transito, TESS monitora la luminosità delle stelle per rilevare cali periodici causati dai transiti planetari. La missione si concentra sulle stelle nane più brillanti vicine alla Terra, con l’intento di mappare circa il 75% del cielo stellato.
Come nasce la Missione TESS
Progettazione e Realizzazione TESS è un progetto guidato dal Massachusetts Institute of Technology (MIT) e gestito dal NASA’s Goddard Space Flight Center. Il satellite è stato costruito dalla Orbital Sciences Corporation e include partner come Northrop Grumman, NASA’s Ames Research Center, Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics, e altri istituti di ricerca e osservatori internazionali.
Principali Successi della Missione TESS
Principali Successi Durante la sua missione principale, TESS ha scoperto 66 nuovi esopianeti e quasi 2.100 candidati pianeti. Ha mappato oltre il 93% della volta celeste, fornendo dati preziosi per l’analisi di una vasta gamma di fenomeni cosmici.
Posizione di TESS
Orbita di TESS TESS segue un’orbita altamente ellittica con un apogeo di 375.000 km e un perigeo di 108.000 km. Il periodo orbitale è di circa 13,7 giorni, con un’inclinazione di 37°. Questa orbita particolare consente osservazioni ampie e continue, stabilità termica e riduzione della luce parassita causata dall’interferenza tra Terra e Luna.
In conclusione, TESS non solo continua a cercare nuovi mondi ma anche a espandere la nostra comprensione dell’universo, dimostrandosi uno strumento inestimabile nella ricerca di esopianeti e nella comprensione delle loro caratteristiche.
Il cielo di luglio ci prende per mano, guidandoci tra asterismi e leggende fino a notte tarda, quando nel silenzio possiamo contemplare l’infinita bellezza del firmamento.
Tra le costellazioni tipiche dell’estate e del mese di luglio troviamo quella dello Scorpione, una figura molto affascinante e facilmente individuabile sulla volta celeste: si tratta di un asterismo tipico del cielo australe, ma che possiamo osservare anche nel cielo boreale durante i mesi estivi.
La brillante stella Antares (α Sco / α Scorpii / Alfa Scorpii) è l’emblema dello Scorpione: si tratta di una supergigante rossa situata a 600 anni luce dal Sistema Solare, con una magnitudine apparente 1,06: la stella si trova al centro della costellazione e il suo nome significa “rivale di Marte” (anti-Ares) per via del colore rossastro che la accomuna al pianeta Marte.
Con un raggio di circa 850 volte quello del Sole, essa si classifica come una delle stelle più grandi conosciute.
Tra le altre stelle che compongono la costellazione dello Scorpione merita la nostra attenzione anche Shaula (λ Sco / λ Scorpii / Lambda Scorpii), una stella azzurra di magnitudine 1,62: si tratta dell’astro più luminoso del gruppo di stelle che insieme a υ Scorpii compone la coda e quindi il pungiglione dello Scorpione.
Oggetti notevoli nella Costellazione dello Scorpione ANTARES E LA NUBE DI RHO OPHIUCHI
Insieme alle stelle di colore azzurro β Scorpii, δ Scorpii e π Scorpii, Antares compone l’asterismo del Grande Uncino ma non solo: la stella alfa dello Scorpione è pervasa dalla nube molecolare gigante denominata Nube di Rho Ophiuchi, che prende il nome da ρ Ophiuchi, stella situata nella costellazione dell’Ofiuco e che domina la regione composta da idrogeno ionizzato luminoso e polveri oscure; Rho Ophiuchi è forse uno dei soggetti più fotografati e ammirati del profondo cielo, che può essere individuato con le apposite strumentazioni nella regione di stelle che compongono la testa dello Scorpione, rivelando diversi dettagli attraverso la fotografia a lunga esposizione.
Parte dei gas della Nube vengono illuminati proprio da Antares, che vi conferisce la tipica colorazione rosso/arancio.
OGGETTI NON STELLARI NELLA COSTELLAZIONE DELLO SCORPIONE
La costellazione ospita un gran numero di stelle variabili oltre che diversi oggetti del cielo profondo: tra gli ammassi globulari ricordiamo M4, poco concentrato ma molto luminoso e individuabile già con un binocolo ad Ovest di Antares.
Vi è poi l’ammasso aperto M7 o Ammasso di Tolomeo, che se osservato da un luogo appropriato risulta ben visibile anche ad occhio nudo, mentre sarà risolvibile nei dettagli con l’ausilio di un binocolo.
LA COSTELLAZIONE DELLO SCORPIONE DALL’ASTRONOMIA ALLA MITOLOGIA
Come ogni oggetto celeste, anche lo Scorpione è circondato da un alone di mito e leggenda.
Secondo la mitologia greca la sua figura è strettamente legata a quella di Orione, diverse sono infatti le storie che raccontano di questo legame.
Secondo una delle vicende più acclarate lo Scorpione aveva punto fatalmente Orione dopo che il cacciatore si era vantato con Artemide di essere in grado di uccidere qualsiasi animale gli fosse capitato a tiro; questa sua spavalderia non fu gradita a Gea, la Terra, che scagliò il velenoso scorpione proprio contro Orione, uccidendolo. Zeus, vedendo a terra Orione e accanto ad egli il velenoso Scorpione, decise di trasformarli in stelle e porli sulla volta celeste, destinati a non incontrarsi mai perché quando lo Scorpione sorge Orione tramonta, in un ciclico scorrere del tempo e delle stagioni.
Secondo un’altra leggenda lo Scorpione salvò Artemide da un tentativo di violenza da parte di Orione: la dea infatti si avvalse dell’aiuto del velenoso pungiglione per liberarsi dalle grinfie del cacciatore, che venne punto su un tallone. Come ricompensa lo Scorpione venne posto in cielo, tra le stelle.
Posta tra le costellazioni di Ercole e del Boote brilla un piccolo gioiello fatto di stelle, che nel mese di giugno potremo provare a individuare nel cielo: la Corona Boreale.
Si tratta di una costellazione le cui stelle che la compongono sono disposte in maniera tale da ricordare la forma di una corona: Gemma (o Alphecca) è una stella binaria a eclissecon una magnitudine di 2,2 e distante dalla Terra 75 anni luce e rappresenta la stella alfa della costellazione.
Nusakan (Beta Corona Borealis) e Gamma Corona Borealis sono le altre due stelle più luminose della Corona Boreale.
La piccola costellazione non vanta un gran numero di oggetti non stellari, tranne che la presenza di alcune stelle variabili, osservabili anche con strumenti di piccole dimensioni, come la stella variabile supergigante gialla R Coronae Borealis.
Nella costellazione è presente anche un ammasso di galassie nominato Abell 2065, situato a un miliardo di anni luce dal nostro Sistema Solare, avente magnitudine 15.
La Costellazione della CORONA BOREALE NELLA MITOLOGIA
Anche questa tiara di stelle è ricoperta da un velo mitologico: uno dei miti più noti fa riferimento alla corona come un regalo di nozze del dio Dionisio alla bella Arianna, figlia di Minosse, triste e sconsolata per essere stata lasciata, anzi proprio piantata in asso, dal suo promesso sposo Teseo sull’isola di Nasso (da qui si è spesso attribuita l’origine della locuzione “piantare in Nasso”).
Pare che il diadema donato alla giovane fanciulla si trasformò in una costellazione, dopo che il dio Efesto lo ebbe lanciato in cielo.
Nel cielo di giugno ci imbattiamo nella costellazione del Boote, facilmente individuabile con la sua forma di aquilone e soprattutto grazie alla sua stella alfa, Arturo(α Boo): si tratta della stella più luminosa della costellazione e la quarta più brillante del cielo notturno dopo Sirio, Canopo e α Centauri.
Arturo è una gigante rossa con un diametro di 35 milioni di km (circa 25 volte più grande della nostra stella) e la sua luminosità è 113 volte quella del Sole,ma se teniamo conto di tutte le bande dello spettro elettromagnetico, la sua luminosità totale arriva a circa 200 volte quella del Sole.
La stella è situata a una distanza di 36,7 anni luce da noi e, pur appartenendo all’emisfero boreale, la sua posizione 19° a nord dell’equatore celeste fa sì che Arturo sia visibile da ogni area popolata della Terra.
OGGETTI NON STELLARI NELLA COSTELLAZIONE DEL BOOTE
Nella costellazioni sono presenti stelle variabili come W Boötis, molto luminosa, e le stelle doppie ν1-ν2 Bootis e μ1-μ2 Bootis: la prima coppia è formata da una stella gigante arancione e una bianca; la seconda coppia è composta da due stelle bianco-giallastre.
Entrambe le coppie possono essere facilmente risolvibili anche con il solo utilizzo di un binocolo.
Da segnalare l’ammasso globulare NGC 5466, un oggetto del profondo cielo alla portata di telescopi anche amatoriali.
Nella mitologia greca la figura del Boote è strettamente legata a quella dell’Orsa Maggiore nella vicenda che vede coinvolta la ninfa Callisto, una bellissima fanciulla figlia del Re di Arcadia Licaone e ancella di Artemide.
Divenuta l’ennesimo oggetto del desiderio di Zeus, Callisto fu tramutata in orso dallo stesso padre degli Dei.
Le versioni della storia sono diverse, citiamo le due più note: la prima versione racconta che fu proprio Zeus a trasformare la giovane fanciulla in un’orsa per sottrarla alle ire di Era; mentre, la seconda versione, narra che fu Artemide a trasformare Callisto in orsa, per punizione, dopo aver scoperto lo stato di gravidanza della giovane ancella, votata alla castità.
La metamorfosi di Callisto avvenne dopo aver dato alla luce Arcade.
Questi, allevato da Artemide e dalle sue ancelle, venne a conoscenza della presenza di un orso nel bosco dove abitavano le ninfe, così si mise sulle sue tracce per ucciderlo.
Dopo averlo scovato, si preparò a colpire l’animale con una lancia, ignaro della sua vera identità.
Zeus, impietosito, fermò il tempo, trasformò sia l’orsa che Arcade in stelle e li collocò per sempre sulla volta celeste.
In cielo madre e figlio sono “vicini” poiché, prolungando la coda dell’Orsa, si arriva ad Arcade, ovvero Arturo. Il nome dell’astro significa appunto “inseguitore dell’Orsa”.
Tra le costellazioni che caratterizzano il mese di giugno spiccano la Costellazione di Ercole e del Boote, che con le loro stelle e le loro storie ci terranno con gli occhi incollati al cielo; ma attraverso i sentieri celesti ci imbatteremo anche in un piccolo diadema di stelle, la Corona Boreale.
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LA COSTELLAZIONE DI ERCOLE
Posta tra il Boote e la Lira, quella di Ercole è una costellazione tipica dell’estate boreale, che culmina a mezzanotte verso metà giugno; per via della sua ampia estensione (1225 gradi quadrati) è classificata come la quinta più grande del firmamento.
Nonostante le sue vaste dimensioni, Ercole non vanta stelle particolarmente brillanti: la più luminosa è Beta Herculis, nota anche come Kornephoros, stella di magnitudine 2,78; vi è poi Zeta Herculis, nota anche come Ruticulus, una stella gialla di magnitudine 2.81 distante 35 anni luce da noi.
OGGETTI NON STELLARI nella Costellazione di ERCOLE
La costellazione contiene in compenso un gran numero di stelle doppie e stelle variabili, alcune osservabili già con piccoli strumenti e telescopi, come Alpha Herculis, detta anche Ras Algethi: si tratta di una stella doppia situata nella parte meridionale della costellazione di Ercole, la cui componente principale è una gigante rossa variabile di magnitudine 3.51.
La Costellazione di Ercole giace lontana dalla porzione di cielo attraversata dalla Via Lattea, in una regione priva di galassie luminose; tuttavia la costellazione ospita uno dei più conosciuti ammassi globulari: M13 o Ammasso Globulare di Ercole.
Si tratta dell’ammasso più luminoso dell’emisfero boreale, visibile già ad occhio nudo da luoghi bui, e più nitido e ben dettagliato se osservato rispettivamente con binocolo e telescopio. Con la sua magnitudine apparente pari a 5,8 l’ammasso contiene migliaia di stelle ed è uno degli oggetti più fotografati da dilettanti e professionisti.
L’Ammasso Globulare di Ercole rimane altresì famoso per il “messaggio Arecibo”: un messaggio radio trasmesso nello spazio dal radiotelescopio di Arecibo, a Porto Rico, (purtroppo ormai smantellato dopo gravi danneggiamenti ambientali) il 16 novembre 1974 e indirizzato verso M13, a 25 000 anni luce di distanza.
Presente nella costellazione anche l’ammasso globulare M92, meno facile da individuare rispetto ad M13, ma si può tentare con un binocolo 10×50, attraverso il quale l’ammasso apparecome una macchia biancastra diffusa, mentre con un telescopio da almeno 200mm di apertura sarà possibile risolverlo in stelle.
Nella costellazione di Ercole è situata una delle nebulose planetarie più grandi della nostra Via Lattea, Abell 39, che possiede un diametro di ben 5 anni luce e la cui forma, circolare e trasparente, ricorda una bolla di sapone.
IL MITO della Costellazione di ERCOLE
Quella di Ercole è certamente una delle figure più note della mitologia: la sua fama è legata alle 12 fatiche che l’eroe dovette affrontare e chi gli valsero la sua eterna gloria, di seguito citate:
Uccidere l’invulnerabile leone di Nemea e portare la sua pelle come trofeo;
Uccidere l’immortale idra di Lerna;
Catturare la cerva di Cerinea;
Catturare il cinghiale di Erimanto;
Ripulire in un giorno le stalle di Augia;
Disperdere gli uccelli del lago Stinfalo;
Catturare il toro di Creta;
Rubare le cavalle di Diomede;
Impossessarsi della cintura di Ippolita, regina delle Amazzoni;
Rubare i buoi di Gerione;
Rubare i pomi d’oro del giardino delle Esperidi;
Portare vivo Cerbero, il cane a tre teste guardiano degli Inferi, a Micene.
In origine i greci associavano alla figura di Ercole quella dell’Inginocchiato senza però attribuirgli un significato specifico; solo successivamente, in seguito alle 12 fatiche attribuite all’eroe, la figura venne ribattezzata con il nome che oggi conosciamo, e l’atto di inginocchiarsi è da ricondurre al riposo di Ercole dopo le sue gesta.
Ercole era venerato come simbolo di forza e abilità, ma anche come eroe generoso, che per il suo altruismo divenne esempio anche di grandezza morale oltre che fisica e proprio per queste sue virtù gli fu donato un posto sulla volta celeste.
Grazie alla mano di Ercole, regna la Pace fra l’Aurora e il Vespero, e nel luogo in cui il sole a mezzogiorno nega le ombre ai corpi; tutta la terra bagnata dal lungo circuito di Teti è stata sottomessa dalla fatica di Alcide. (Seneca, La follia di Ercole, 883-888)
Ma ad Ercole è legato anche un altro affascinante mito dove la protagonista è la nostra galassia, la Via Lattea: Ercole era figlio di Zeus e di Alcmena, una fanciulla, ennesima vittima degli inganni del padre degli dei: narra la mitologia che Zeus si trasformò nel marito della giovane per poterla possedere e proprio da questa unione nacque l’eroe mitologico, che però fu abbandonato dalla sua mamma.
Zeus teneva molto a quel figlio, per metà dio, e fece in modo che sua moglie Era lo trovasse e lo allattasse: accadde che Ercole fu preso in braccio da Era nel tentativo di attaccarlo al suo seno, ma il piccolo si mosse bruscamente (o fu Era stessa ad allontanarlo, secondo altre versioni) e lo schizzo di latte arrivò fino in cielo creando così il fiume di stelle che scorre sulla volta celeste e che dà vita alla Via Lattea.
Tra le costellazioni visibili durante il mese di maggio c’è quella circumpolare del Drago: si tratta di una figura situata tra l’Orsa Maggiore, l’Orsa Minore e Cefeo e risulta essere una delle più estese della volta celeste.
La parte immediatamente visibile della costellazione è il quadrato dato dalle stelle che ne formano la testa, le cui due più brillanti sono Eltanin e Rastaban, rispettivamente Gamma Draconis e β Draconis; quest’ultima deriva dall’arabo (Al Rās al Thuʽbān) e significa “la testa del serpente”.
Il Drago non spicca certo per grande luminosità, in compenso vanta un buon numero di stelle doppie come ν Draconis e ο Draconis, risolvibili già con un discreto telescopio.
OGGETTI NON STELLARI nella Costellazione del Drago
All’interno della costellazione del Drago si trova la nebulosa planetaria NGC 6543, comunemente nota come Nebulosa Occhio di Gatto. Questa nebulosa è stata scoperta da William Herschel nel 1786 ed è stata oggetto di studio dettagliato grazie al Telescopio Spaziale Hubble, il quale ha rivelato informazioni di grande interesse sulla sua struttura.
La Costellazione del DRAGO NELLA MITOLOGIA
Il Drago trova riferimenti sia negli antichi popoli Sumeri e Babilonesi che nella mitologia greca, dove veniva configurato con Ladone, il guardiano delle mele d’oro.
Tutto ebbe inizio con il matrimonio di Giove e Giunone, i quali ricevettero come regalo di nozze dalla dea Gea (la Terra) un albero speciale, in grado di produrre mele d’oro.
Giunone lo fece piantare in giardino, ma l’albero era così prezioso che serviva qualcuno che lo sorvegliasse: così Giunone incaricò un terribile mostro, Ladone, con sembianze metà di donna e metà di serpente.
E qui entra in scena Ercole che venne convocato dal re di Micene, Euriseo, il quale gli affidò il compito di uccidere il mostro e trafugare l’albero dal giardino di Giunone; l’eroe prese alla lettera l’incarico e, giunto nel giardino e individuato il temibile mostro, scagliò una delle sue fatali frecce contro Ladone, che stramazzò a terra esanime.
Il Drago venne posto in cielo in ricordo di quell’impresa e fu sistemato attorno all’albero dai frutti d’oro, rappresentato dall’asse terrestre.
Tra la costellazione del Leone e quella del Boote vi è una piccola costellazione piena di significato mitologico: la Chioma di Berenice.
“Qui la deami pose, tra le antiche, stella nuova. Della Vergine e del fiero Leone tocco gli astri, nei pressi di Callisto Licaonia volgo al tramonto, dirigendo il corso dinanzi al lento Boote, che si immerge nell’Oceano profondo, a stento tardi”.
Nella poesia di Catullo (carme 66) è sostanzialmente racchiusa la mappa stellare per individuare la Chioma di Berenice che, esprimendosi in prima persona, ci guida tra le costellazioni del Leone e del Boote passando per quella della Vergine per trovare finalmente gli astri che la compongono.
La costellazione non spicca di certo per luminosità poiché molte delle stelle che costituiscono l’oggetto sono membri di un ammasso aperto, uno dei più vicini a noi posto a soli 250 anni luce: si tratta di Mel 111 o Ammasso della Chioma di Berenice, oggetto visibile al meglio soprattutto attraverso un binocolo, il cui oculare è in grado di contenere meglio la visuale delle poche stelle che compongono l’ammasso.
Le sue stelle principali sono Diadem(α Comae Berenices), la seconda stella più luminosa della costellazione e β Comae Berenices: la prima è una stella binaria di magnitudine +4,32 che si trova a 60 anni luce di distanza dal sistema solare mentre la seconda, molto simile al nostro Sole, ha una magnitudine apparente 4,23.
Vi è infine la stella binaria Al Dafirah, che dall’arabo significa “treccia”.
OGGETTI NON STELLARI NELLA Costellazione della CHIOMA DI BERENICE
Uno degli oggetti deep sky più interessanti e amati dagli astrofili è sicuramente NGC 4565, nota come Galassia Ago: si tratta di una galassia a spirale distante circa 52 milioni di anni luce che ha la caratteristica di mostrarsi di taglio, favorendo così una dettagliata osservazione del suo nucleo e restituendoci delle immagini spettacolari attraverso le adeguate strumentazioni.
Un nuovo straordinario lavoro di Paolo Palma, inerente proprio alle costellazioni del Leone e della Chioma di Berenice, riguarda la realizzazione di due mosaici che presentano tutte le stelle fino alla sesta magnitudine riportate da Stellarium, più la debole e rossa R Leonis per un totale di 120 astri.
La Costellazione della CHIOMA DI BERENICE NELLA MITOLOGIA
Regina cirenaica di splendida bellezza, Berenice era la moglie del re egizio Tolomeo III: ella consacrò la sua fluente chioma, come pegno d’amore, alla dea Afrodite, affinché favorisse il ritorno di suo marito sano e salvo dalla guerra. Quando questi tornò trionfante e tutto intero, per la bella regina non restò altro che mantenere fede alla sua promessa: Berenice agghindò così i suoi capelli in un raccolto che poi tagliò e portò al tempio dedicato ad Afrodite.
Ma il giorno dopo di quel pegno d’amore non vi era traccia, qualcuno lo aveva trafugato e i sovrani andarono su tutte le furie: a calmare gli animi e a fare chiarezza intervenne Conone di Samo, un matematico e astronomo dell’epoca il quale cercò di tranquillizzare i sovrani asserendo di aver trovato lui la chioma della regina, ma in un posto speciale, ovvero sulla volta celeste trasformata in luminose stelle.
Se tu vuoi bene a un fiore che sta in una stella, è dolce, la notte, guardare il cielo. Tutte le stelle sono fiorite.
“Il Piccolo Principe” di Antoine de Saint-Exupéry
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La Costellazione del Leone
Nelle sere di primavera c’è tutta l’attesa del cielo d’estate: sulla volta celeste, nel mese di maggio, è un fiorire di costellazioni note che, una dopo l’altra, possiamo cogliere con i nostri occhi e immortalare con gli strumenti a nostra disposizione.
Prima però di dare di accogliere gli asterismi che ci accompagneranno nelle notti più calde, vogliamo salutare all’orizzonte, oramai verso ovest la ricca costellazione del Leone.
Tra la debole costellazione del Cancro e quella della Vergine si trova la Costellazione del Leone, figura celeste che tramontando sempre prima sta lasciando il passo alle costellazioni più autunnali.
Nei primi giorni del mese di maggio tuttavia, già dalle prime ore della sera, Leo sarà visibile proprio a Sud, per riconoscere sarà sufficiente trovare la tipica forma trapezoidale che la identifica, di cui la stella Regolo (alfa Leonis) costituisce uno dei suoi vertici (quello orientato a Sud-Ovest).
Le Stelle della Costellazione del Leone
Regolo è un sistema stellare composto da quattro stelle divise in due coppie; con la sua magnitudine +1,40 è la ventunesima stella più luminosa del cielo notturno. Dista circa 79 anni luce da noi e la sua vicinanza all’Equatore celeste fa sì che possa essere osservata da tutte le aree popolate della Terra.
Con il suo colore bianco-azzurro, Regolo è facilmente individuabile nelle serate primaverili: insieme ad altre stelle della costellazione del Leone, alfa Leonis va a comporre un asterismo chiamato Falce.
Si tratta di un asterismo molto brillante noto anche comeFalce Leonina, la cui forma richiama appunto quella dell’oggetto di cui porta il nome.
Il vertice Sud-Orientale della figura del Leone è costituito dalla stella Denebola, che rappresenta la coda dell’animale: è una delle stelle più vicine a noi, trovandosi a 36 anni luce di distanza; con la sua luce bianca è circa 17 volte più luminosa del Sole.
Denebola è una stella variabile della tipologia Delta Scuti, con una luminosità che varia leggermente nel giro di poche ore.
Da studi cinematici risulta che Denebola potrebbe essere una componente di un’associazione stellare di cui fanno parte anche Alpha Pictoris, Beta Canis Minoris e l’ammasso aperto IC 2391.
GLI OGGETTI DEL PROFONDO CIELO NELLA COSTELLAZIONE DEL LEONE
La costellazione del Leone ospita diversi oggetti non stellari come le galassie M65, M66, M105 e NGC 2903. Quest’ultima, oltre ad essere una galassia a spirale barrata, è anche l’oggetto più brillante della costellazione. Inoltre, visibile anche attraverso un piccolo telescopio, vi è la grande galassia ellittica NGC 3607.
Le Galassie M66, M65 e NGC 3628 formano il Tripletto del Leone, che si trova a 35 milioni di anni luce dalla Terra.
Entro i confini della costellazione sono stati scoperti anche diversi sistemi planetari: attorno alla nana rossa Gliese 436, posta a 33 anni luce dal Sole, orbita un pianeta la cui massa è simile a quella di Nettuno; vi è poi la stella HD 102272 attorno alla quale orbitano due pianeti di tipo gioviano.
La Costellazione del LEONE NELLA MITOLOGIA
Nota già ai tempi dei Babilonesi per la sua identificazione con il Sole, poiché ospitava il Solstizio d’Estate, la costellazione del Leone è mitologicamente legata alla figura di Ercole.
Secondo il mito, la dea Era possedeva un famelico leone che tormentava il popolo di Nemea. Il leone, dotato di una spessa e invulnerabile pelliccia, sembrava essere immune a qualsiasi arma.
Nell’impresa di cacciarlo e ucciderlo vi riuscì solamente Ercole, che dopo aver sconfitto la feroce bestia, la scuoiò, indossando da quel momento la pelliccia impenetrabile del leone. La fierezza dell’animale fu tramutata in stelle da Zeus, che collocò la sua figura sulla volta celeste.
Tutte le sere, quando si apre il sipario della notte, nel cielo nero si accendono le stelle e inizia lo spettacolo che da millenni mette in scena storie in cui si muovono eroi dotati di superpoteri, mostri e ibridi da fantascienza, fanciulle più divine che terrestri: tutti impegnati in un repertorio d’amori e d’avventure ai confini della realtà.
Margherita Hack
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La Costellazione della Vergine
Tra le costellazioni che interessano il cielo di aprile partiamo dalla Vergine, che culmina a mezzanotte verso metà mese.
Si tratta di una costellazione molto estesa, (circa 1300 gradi quadrati) la seconda più ampia della volta celeste (il primato lo detiene l’Hydra): una figura ricca di oggetti non stellari.
La Vergine è posta tra il Leone e la Bilancia ed è facilmente individuabile grazie alla sua stella più brillante, Spica (alfa Virginis), un astro di colore bianco-azzurro che con la sua magnitudine di 1.04 si colloca al quindicesimo posto tra le stelle più brillanti del cielo notturno.
La stella principale della Costellazione della Vergine: Spica
Spica, situata in direzione della mano della fanciulla (o meglio della spiga di grano che stringe tra le dita) si trova a una distanza di 262 anni luce da noi e insieme alle stelle Arturo del Boote e Denebola del Leone, costituisce uno dei vertici dell’asterismo del Triangolo primaverile.
Tra gli astri che compongono la costellazione, la seconda più luminosa è Porrima (gamma Virginis), una stella doppia di magnitudine apparente di 2.74, le cui componenti sono di pari colore (giallastro); il sistema binario è posto a una distanza di 39 anni luce.
Al terzo posto per luminosità, brilla la stella gigante gialla Vindemiatrix (Epsilon Virginis) o Vendemmiatrice, con magnitudine 2.85 e distante 102 anni luce.
Le origini del suo nome risalgono a più di 2.000 anni fa, quando la stella sorgeva alle prime luci dell’alba a inizio settembre, periodo in cui si svolgeva la vendemmia.
A causa della Precessione degli equinozi, le cose ad oggi sono un po’ cambiate e la stella Vendemmiatrice ha lasciato il posto agli astri della costellazione del Leone.
OGGETTI NON STELLARI NELLA COSTELLAZIONE DELLA VERGINE
Gli oggetti del cielo profondo siti nella costellazione della Vergine sono vari ma affascinanti: uno fra tutti l’ammasso di galassie della Vergine, composto da circa 2.500 membri, facente parte a sua volta del Superammasso della Vergine di cui fa parte anche il Gruppo Locale, ovvero il gruppo di galassie a cui appartiene la nostra Via Lattea; come non citare poi la galassia ellittica M87 e la galassia Sombrero.
M87 (o Virgo A) è una grande galassia ellittica oltre ad essere una forte sorgente radio: la sua caratteristica principale è il Buco Nero Supermassiccio situato al centro della galassia di cui, il 10 aprile 2019, è stata rivelata al mondo l’immagine dell’orizzonte degli eventi.
Con il suo getto relativistico e l’emissione di raggi X e gamma, la galassia M87 rappresenta un importante oggetto di studio nell’ambito dell’astronomia e radio astronomia.
La Galassia Sombrero (M104) è invece una galassia spirale vista di taglio, con un grosso rigonfiamento centrale, situata a 31 milioni di anni luce da noi e posta alla periferia dell’Ammasso della Vergine, la cui appartenenza sembra essere dubbia.
LA COSTELLAZIONE DELLA VERGINE NELLA MITOLOGIA
La costellazione della Vergine viene rappresentata come una ragazza con in mano delle spighe: la figura è da sempre associata al chicco di grano che muore e rinasce, al periodo dei raccolti, alla mietitura, da cui deriva il nome della stella alfa della costellazione, Spica, che è visibile dopo il tramonto verso Ovest proprio durante i mesi primaverili ed estivi.
In ambito mitologico quella della Vergine è una figura che mette d’accordo un po’ tutte le antiche popolazioni, dai sumeri agli egizi, ai greci: essa simboleggia la rinascita, la natura, la fertilità ed è l’emblema dell’incessante ciclo della stagioni e quindi della vita.
Il mito greco ci porta in Sicilia, sulle rive del Lago di Pergusa nella campagna di Enna, dove una giovane fanciulla di nome Proserpina, figlia della dea del frumento Demetra (a cui si associa la Vergine) era intenta a raccogliere dei fiori quando, da una fenditura del terreno, uscì fuori un cocchio trainato da quattro cavalli e condotto dal dio dell’oltretomba Plutone, che rapì la giovane (il famoso ratto di Proserpina) facendone la sua sposa e trascinandola con sé negli inferi, di cui divenne regina.
Demetra, dopo averla cercata ovunque, fu mossa da una disperazione tale da lasciar calare un lungo inverno sulla campagna siciliana, che devastò i raccolti e rese i terreni non più fertili.
Dopo qualche tempo la dea interpellò il dio del Sole, Elio, che era stato testimone del rapimento di Proserpina; fu allora che Demetra si recò da Giove minacciando di far morire ogni forma di vita presente in natura se non le fosse stata restituita sua figlia.
Plutone, incalzato da Giove, acconsentì a rendere la fanciulla a sua madre, bluffando: egli infatti offrì a Proserpina un melograno avvelenato di cui ne mangiò però solo pochi semi; così gli dei, mossi dalle minacce di Demetra, stabilirono un compromesso: Proserpina avrebbe vissuto per sei mesi negli inferi con Plutone e per sei mesi con sua madre sulla Terra. Questo entrare ed uscire dalla luce simboleggia il ciclo della natura, del seme che muore e rinasce, senza mai una fine.
Caro Marzo Entra, Come sono felice Ti aspettavo da tanto Posa il Cappello Devi aver camminato Come sei Affannato..
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La Costellazione dei Gemelli
In bilico tra l’inverno e la primavera, il cielo di marzo ci regala un mix di costellazioni ancora in grado di offrirci spunti di osservazione e fotografia astronomica.
Insieme ad Orione, Auriga e Toro, nel cielo di marzo ritroviamo la costellazione dei Gemelli che, con le stelle Castore e Polluce, ci accompagna per tutta la notte splendendo alta in direzione Sud-Ovest e tramontando infine poco prima dell’alba.
Castore, con magnitudine 1,6 e distante circa 52 anni luce da noi, è composta da 3 coppie di stelle aventi una complessa interazione gravitazionale tra loro; sebbene venga indicata come α Geminorum, la stella è in realtà meno luminosa di Polluce (i due astri che rappresentano le teste dei gemelli zodiacali).
Polluce (β Geminorum) è una gigante di colore arancione avente magnitudine 1,15 e situata a circa 34 anni luce da noi: si tratta della gigante a noi più vicina.
Le Stelle più importanti della Costellazione dei Gemelli: CASTORE E POLLUCE
Un po’ controversa è la classificazione delle due stelle alfa e beta della costellazione dei Gemelli: benché Polluce sia più brillante – tanto da occupare il 17° posto nella lista delle 20 stelle più luminose del cielo notturno – come già anticipato è Castore la stella alfa della costellazione. Gemelli diversi stando alle loro sostanziali differenze e considerando i 10 anni luce che li separano.
Fin dalla mitologia è sempre Castore ad essere nominato prima di Polluce e anche l’autore del primo atlante celeste, Johann Bayer, decise di assegnare il ruolo di stella alfa dei Gemelli proprio a Castore, “rifilando” così il posto di stella beta a Polluce, eterno secondo tra i due fratelli.
Ma Polluce in realtà è secondo solo sulla carta; il gemello dello Zodiaco, oltre a essere rivestito di maggior luce, si è preso nel tempo le sue rivincite: si tratta infatti di una delle poche stelle visibili attorno a cui ruota un pianeta.
Circa dieci anni fa infatti è stato scoperto un pianeta gigante gassoso simile a Giove, che compie un’orbita completa attorno alla sua stella in 590 giorni, a cui è stato dato il nome di Polluce b.
OGGETTI NON STELLARI NELLA COSTELLAZIONE DEI GEMELLI
Nella costellazione dei Gemelli si trovano anche altre stelle molto più luminose di Castore e Polluce, ma più distanti quindi meno brillanti, come Alhena e Mebsuta. La prima è una stella subgigante bianca di magnitudine 1,93 distante 105 anni luce da noi; la seconda è una supergigante gialla di magnitudine assoluta – 4,15 distante circa 903 anni luce da noi.
Nei Gemelli sono collocati degli oggetti celesti non stellari: stiamo parlando dell’ammasso aperto M35, gli ammassi aperti IC 2157 e NGC 2158 e la bellissima Nebulosa Medusa (IC 443), un resto di supernova esploso in un periodo tra i 3.000 e i 30.000 anni fa.
Attraverso l’impiego di un buon telescopio e camera di ripresa, questi oggetti possono essere osservati e fotografati anche dagli astrofili che si approcciano al cielo profondo: già con un binocolo M35 può essere individuato come l’ammasso più brillante della costellazione dei Gemelli, composto da circa 250 stelle;utilizzando invece un telescopio sarà possibile identificare un maggior numero di stelle.
Interessante soggetto per gli astrofotografi è sicuramente la Nebulosa Medusa, che si rivela agli appassionati attraverso il telescopio (e a un lavoro di post produzione necessario, come sempre in astrofotografia, per definirne tutti i dettagli).
La Costellazione dei GEMELLI NELLA MITOLOGIA
I due gemelli per antonomasia sono protagonisti di varie pagine di mitologia greca: al centro delle vicende c’è sempre Zeus, il padre degli dei e inguaribile seduttore.
Quando una donna diventava oggetto delle sue brame, Zeus era disposto a tutto e spesso ricorreva al metodo delle metamorfosi in animali.
Avendo perso la testa per Leda, nipote di Ares e regina di Sparta, si trasformò in cigno e la possedette mentre la giovane donna passeggiava sulle rive del fiume; dall’uovo concepito (anzi, presumibilmente due uova) vennero alla luce quattro bambini, ma poiché Leda quella stessa notte giacque con suo marito il re Tindaro, non v’è certezza sulla reale paternità e quindi divinità dei gemelli.
Furono così attribuiti a Zeus i gemelli immortali Polluce ed Elena (di Troia), mentre Tindaro assunse la mortale paternità di Castore e Clitennestra.
Nonostante questa assegnazione, Castore e Polluce furono appellati sia come Dioscuri (cioè figli di Zeus) sia come Tindaridi (figli di Tindaro).
Castore era un grande domatore di cavalli, mentre Polluce era un pugile formidabile. Entrambi nutrivano un forte sentimento fraterno l’uno per l’altro ed erano inseparabili: sempre insieme presero anche parte alla famosa spedizione degli Argonauti e, tra le tante avventure, sfidarono persino Teseo.
Ma ci furono degli eventi fatali che li videro coinvolti a un’altra coppia di gemelli, per storie di donne e bestiame: i fratelli Ida e Linceo. In un duello fu Castore ad avere la peggio e Polluce, unico sopravvissuto, dilaniato dal dolore per la morte del suo amato fratello, implorò suo padre Zeus affinché potesse lasciare la Terra insieme a lui. Zeus, impietosito, concesse quindi a Polluce di poter condividere con Castore un abbraccio eterno impresso sul manto celeste nell’omonima costellazione.
Una della costellazioni che transita al meridiano nel mese di febbraio è l’Auriga.
Si tratta di uno degli oggetti tipici dell’inverno boreale, che si staglia sulla volta celeste in compagnia delle grandi costellazioni come Orione e Toro.
Quella dell’Auriga è una costellazione settentrionale dalla caratteristica forma di pentagono, la cui parte centrale è attraversata da una porzione di Via Lattea che si delinea in direzione opposta a quella del centro galattico, ma che ospita comunque diversi ammassi e nebulose.
Di certo però la costellazione deve la sua fama alla sua stella più brillante Alfa Aurigae, ovvero Capella: si tratta della sesta stella più luminosa del cielo notturno, di colore giallo, che dista dal Sole quasi 43 anni luce.
Nonostante Capella appaia ad occhio nudo come un singolo astro, in realtà è un sistema multiplo costituito da quattro componenti, raggruppate in due stelle binarie.
OGGETTI NON STELLARI nella Costellazione dell’AURIGA
La costellazione ospita diversi oggetti già osservati da Messier, inseriti nel suo celebre catalogo con il nome di M36, M37 ed M38: si tratta di tre ammassi aperti molto conosciuti, composti da stelle giovani.
La Costellazione dell’AURIGA NELLA MITOLOGIA
Come per ogni altra costellazione e oggetto celeste, anche l’Auriga trova riferimenti nella mitologia: essa viene identificata con la capra Amaltea, rappresentata dalla stella Capella, animale che secondo la mitologia greca allattò Zeus quando venne abbandonato in fasce sull’isola di Creta.
All’animale e ai suoi capretti venne regalato un posto in cielo, trasformati in stelle come segno di eterna gratitudine.
Ora era onde ‘l salir non volea storpio chè il Sole avea il cerchio di merigge lasciato al Tauro e la notte a lo Scorpio …
Dante, Divina Commedia
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La Costellazione del Toro e le stelle principali
Nel cielo di febbraio risplendono luminose le costellazioni dell’inverno boreale.
Uno degli oggetti protagonisti è certamente il Toro: si tratta di una delle costellazioni della fascia dello Zodiaco, compresa tra Ariete e Gemelli e facilmente riconoscibile per la sua forma a V e per la sua stella principale Aldebaran, una gigante arancione grande 40 volte il Sole che con la sua magnitudine +0,95 rappresenta la quattordicesima stella più luminosa del cielo notturno.
Le stelle Elnath e Alheka caratterizzano le corna dell’animale che si estendono verso est, mentre Beta Tauri (Elnath) è una stella che viene attribuita sia alla costellazione del Toro che a quella dell’Auriga, di cui è uno dei vertici del pentagono celeste.
La costellazione del Toro si espande a est/sud-est dove un brillante ammasso aperto (a 150 anni luce da noi) conosciuto con il nome di Iadi, delinea la testa dell’animale; prospetticamente infatti Aldebaran, Alpha Tauri, sembrerebbe appartenere al vicino ammasso delle Iadi, ma in realtà, con il suo scintillio di colore arancio, rappresenta l’occhio del Toro.
Nella Costellazione del Toro e le PLEIADI
M45 o le PLEIADI: UN AMMASSO APERTO NEL CUORE DELL’INVERNO
Alla costellazione del Toro è strettamente associato un altro oggetto, uno dei più interessanti e conosciuti del catalogo Messier, M45, ovvero le Pleiadi.
Si tratta di un ammasso stellare aperto distante 440 anni luce da noi, collocato nella spalla del Toro.
Senza l’ausilio di telescopi, a patto di osservare lontani da cieli urbani, sono visibili già sette fra le stelle più luminose dell’ammasso, la cui forma rimanda al piccolo carro.
Aiutandosi invece con un binocolo o con un telescopio si scopre che l’ammasso è molto più esteso, sono centinaia le stelle, in prevalenza giganti blu e bianche, che compongono l’ammasso; stelle legate da un’origine comune e da reciproche forze gravitazionali.
Nelle fotografie a lunga esposizione o all’oculare di un telescopio di apertura considerevole, non è difficile notare dei piccoli aloni che circondano i singoli oggetti luminosi: si tratta di nubi di polvere, dette nebulose a riflessione, illuminate dalle stelle.
M45 prende parte alla sfilata degli oggetti più belli e suggestivi del cielo invernale, attirando sempre molta curiosità negli amanti del cielo, poiché l’ammasso è spesso protagonista di congiunzioni con la Luna o con pianeti come Marte e Venere.
Come si chiamano le stelle che compongono l’ammasso delle Pleiadi?
Le Pleiadi sono anche circondate da numerosi riferimenti mitologici, esse vengono chiamate sovente le “sette sorelle”, rappresentate come ninfe della montagna, figlie di Atlante e l’oceanina Pleione: Alcione, Asterope, Celeno, Elettra, Maia, Merope e Taigeta.
Anche Pascoli ne fece riferimento nel Gelsomino Notturno: “La Chioccetta per l’aia azzurra va col suo pigolìo di stelle”.
Il poeta paragonò le Pleiadi a una chioccia che si trascina dietro una covata di pulcini intenti a pigolare.
Immagine curiosa ma d’effetto, che intende ricreare la melodia degli astri in una notte stellata.
OGGETTI DEL PROFONDO CIELO NELLA COSTELLAZIONE DEL TORO: LA NEBULOSA GRANCHIO
In direzione della stella Alheka, si trova uno degli oggetti più importanti in campo astronomico e nell’astronomia a raggi X: è persino il primo oggetto del Catalogo Messier, M1, meglio nota con il nome Nebulosa del Granchio. (vedi Coelum Astronomia 254 di febbraio/marzo 2022)
L’oggetto, dalla forma ad anello, si trova a circa 6500 anni luce dal Sistema Solare ed è ciò che resta dell’esplosione di una Supernova.
Durante la fase finale della sua vita la stella Supernova 1054ha espulso una grande quantità di materiali ferrosi e gas, generando un’esplosione in grado di proiettare tutti i propri frammenti a una grande distanza, che ancora oggi viaggiano a una velocità che sfiora i circa 1500 km/s.
Oggi il centro della nebulosa ospita ciò che resta della stella esplosa, una potente stella di neutroni che ruotando su sé stessa crea l’effetto pulsar.
L’esplosione della supernova 1054 non rimase inosservata.
Il 4 luglio del 1054 gli astronomi cinesi furono i primi ad accorgersi del nuovo astro apparso in cielo ed ebbero la fortuna di assistere al bagliore prodotto dall’esplosione per lungo tempo.
Visibile persino di giorno grazie ad una magnitudine dell’oggetto compresa tra −7 e −4,5 (per contro Sirio, la stella più luminosa del nostro cielo, ha una magnitudine apparante di solo -1.40).
Con così tanti dati a disposizione su questo oggetto, la Nebulosa Granchio è spesso impiegata dagli astronomi come elemento di calibrazione nell’astronomia a raggi X e negli studi dell’universo alle altissime energie.
M1 può essere individuata facilmente già con un binocolo, o ancor meglio con un telescopio anche amatoriale, dove apparirà come una macchia debole e chiara, ma caratterizzata da una luminosità poco omogenea.
LA COSTELLAZIONE DEL TORO NELLA MITOLOGIA
Il Toro è una delle costellazioni più antiche di cui si trovi traccia.
Ben 5.000 anni fa infatti il punto Gamma che indica l’equinozio di primavera, si trovava proprio in questa costellazione, nei pressi della stella Aldebaran.
Citazioni si trovano negli scritti dei Sumeri ove la figura zodiacale assumeva connotazioni mitologiche e si rendeva protagonista di storie d’amore conflittuali.
Per gli antichi egizi invece i tori erano figure mitologiche da venerare.
Nell’antica Grecia il mito del Toro fu associato al Minotauro, frutto del tradimento consumato da Pasifa e con il sacro Toro di Creta alle spalle del marito Minosse.
Ma la storia è molto più avvincente.
Sembra infatti che Zeus si fosse innamorato della principessa fenicia Europa, e che decise (come sempre) di sedurla, ricorrendo a ogni mezzo possibile.
Così, mentre la bella Europa si trovava sulla spiaggia ingenua e spensierata in compagnia delle sue ancelle, vide arrivare un bellissimo toro bianco, animale in cui Zeus nel frattempo si era trasformato per non destare sospetto nella principessa.
La fanciulla, ignara della vera natura dell’animale, ne fu talmente attratta da salirvi in groppa e da lasciarsi trasportare fino a raggiungere l’isola di Creta, dopo aver galoppato attraverso il mare.
Ma una volta giunti a destinazione la giovane principessa fece un’amara scoperta: Zeus infatti le si manifestò nelle sue reali sembianze, abusando di lei.
Dall’unione infelice nacquero Minosse, Radamanto e Sarpedonte.
Inizia il nuovo anno. Gennaio è il mese della contemplazione e dell’attesa
Tra i sentieri celesti del mese di gennaio incontriamo il Cacciatore Orione, i suoi Cani da Caccia e una moltitudine di stelle a rischiarare le notti gelide dell’inverno.
Indice dei contenuti
La Costellazione del CANE MINORE NEL CIELO INVERNALE
Tra le Costellazioni da osservare ne mese di gennaio c’è anche quella del Cane Minore, che fa parte delle figure astronomiche al seguito della costellazione di Orione.
Si tratta di un piccolo oggetto composto da pochi astri, ovvero dalla sua stella alfa, Procione, da Gomeisa (β Canis Minoris) e da γ Canis Minori.
Le Stelle della Costellazione del Cane Minore
α Canis Minori è una stella binaria, posta a 11 anni luce da noi, il che ne fa una stella molto brillante proprio per la sua vicinanza: il sistema è composto dalla stella bianco-gialla Procione A e da una debole nana bianca, Procione B.
Procione è l’ottava stella più luminosa del cielo notturno, con una magnitudine apparente di +0,38.
Insieme a Sirio (Cane Maggiore) e a Betelgeuse(Orione), Procione rappresenta uno dei tre vertici dell’asterismo del Triangolo Invernale.
Trattandosi di una costellazione molto piccola, quella del Cane Minore non contiene molti oggetti del profondo cielo: tuttavia si segnala la galassia a spirale NGC 2485, un oggetto la cui individuazione è molto ardua.
La Costellazione del CANE MINORE NELLA MITOLOGIA
Secondo una versione della mitologia greca il Cane Minore rappresenta uno dei due cani da caccia di Orione: tuttavia ci sono altre leggende che collocano il Cane Minore nella figura di Mera, il fedele cane di Icario, un contadino dell’Attica che ospitò il dio Dioniso, che in segno di gratitudine gli insegnò la coltivazione della vite e l’arte di produrre il vino.
Secondo Igino, Icario spillò il vino da una botte e lo offrì ad alcuni pastori, i quali ne bevvero in grandi quantità: travolti dallo stato di ubriachezza, i pastori credettero di essere stati avvelenati e, ormai fuori controllo, si scagliarono contro il povero Icario, uccidendolo.
Il cane di Icario, Mera, avendo assistito a quella barbarie, corse ululando disperatamente dalla figlia del suo padrone, Erigone, aggrappandosi alle sue vesti e conducendola dal padre, ormai esanime.
Giunta sul posto Erigone non poté reggere a quel dolore e si tolse la vita.
Il cane, ormai solo, si lasciò morire sulla tomba del suo padrone; Zeus, padre degli dei, decise allora di omaggiare i protagonisti di quella sfortunata vicenda, ponendoli tra le stelle, raffigurando così Icario con la costellazione del Boote, Erigone con quella della Vergine e Mera con fedele il Cane Minore.
Ogni stagione ha una costellazione protagonista di quel palcoscenico chiamato cielo: quella di Orione domina senza dubbio il mese di gennaio e, probabilmente, rappresenta una delle costellazioni più conosciute e identificabili, anche dai semplici appassionati di astronomia.
Betelgeuse, stella alfa della Costellazione di Orione
Situata vicino al fiume Eridano (vedi costellazioni di dicembre) nell’atto di combattere con il Toro, quella di Orione non è solo una costellazione affascinante da osservare e fotografare, ma si tratta di uno degli oggetti astronomici più interessanti e studiati, a cominciare da Betelgeuse, stella alfa di Orione: si tratta di una supergigante rossa grande quasi 1000 volte più del Sole e distante circa 600 anni luce dalla Terra.
L’astro rappresenta il vertice nord-orientale di Orione, e brilla nel cielo invernale con il suo inconfondibile colore rosso-arancio. Betelgeuse è al centro dell’interesse degli astronomi già da diversi anni, in costante monitoraggio poiché alla fine del suo ciclo vitale potrebbe esplodere in supernova.
Sirio del Cane Maggiore, Procione del Cane Minore e Betelgeuse sono i vertici del Triangolo Invernale
Insieme a Sirio del Cane Maggiore e a Procione del Cane Minore, Betelgeuse costituisce uno dei vertici del Triangolo Invernale, un asterismo da ammirare proprio nel cielo di gennaio.
Betelgeuse è la decima stella più brillante del cielo notturno e rappresenta sì la stella principale di Orione ma, in realtà, è la seconda più luminosa della costellazione dopo Rigel (Beta Orionis), una supergigante blu nonché il settimo astro (o meglio un sistema stellare) più brillante della volta celeste.
LA CINTURA DI ORIONE caratteristica della Costellazione di Orione
Trovandosi a cavallo dell’equatore celeste, Orione è ben visibile da tutto il pianeta ed è una costellazione affascinante grazie anche alla sua famosa “cintura”, data dall’allineamento delle tre stelle che la compongono Alnitak, Alnilam e Mintaka.
LA NEBULOSA DI ORIONE
Poco sotto alla cintura del cacciatore Orione e al centro dell’asterismo della Spada, individuabile nelle stelle disposte verticalmente a sud della cintura, si trova uno degli oggetti più conosciuti, osservati e fotografati (anche dai principianti) del catalogo Messier: M42 o Nebulosa di Orione.
Posta a circa 1500 anni luce dalla Terra, M42 è un oggetto talmente brillante da essere intuibile anche ad occhio nudo per poi rivelarsi già attraverso l’utilizzo di macchine fotografiche, binocoli e telescopi anche per chi volesse approcciarsi senza dover necessariamente dover spendere una fortuna in attrezzature astronomiche.
Di recente il telescopio spaziale James Webb ci ha regalato una straordinaria immagine (l’ennesima) di M42, grazie alla sua fotocamera a infrarossi NIRCam (Near InfraRed Camera), rivelando dettagli mozzafiato.
Cos’è la Cintura di Orione?
La Cintura di Orione è avvolta all’esterno dall’Anello di Barnard, un imponente anello di nebulosità che dista circa 1600 anni luce dalla Terra e che ha una dimensione di 300 anni luce di diametro.
Si tratta del resto di una supernova esplosa probabilmente circa 2 milioni di anni fa, ed è apprezzabile tramite un telescopio o una fotografia a lunga esposizione.
M42 (oltre ad importanti e noti oggetti come la Nebulosa Fiamma e la nube oscura Nebulosa Testa di Cavallo) fa parte del più famoso complesso nebuloso molecolare del cielo, denominato proprio Complesso Nebuloso Molecolare di Orione, in cui hanno origine importanti processi di formazione stellare.
Esso si estende ampiamente sulla volta celeste tra la cintura e la spada di Orione ed è una delle regioni di formazione stellare più attive.
La Costellazione di ORIONE NELLA MITOLOGIA
Essendo una delle costellazioni più antiche, sono tanti i miti e le leggende che avvolgono Orione: figlio di Euriale e Posidone, Orione era un vigoroso ed abile cacciatore, sempre accompagnato dai suoi fedeli cani da caccia, in particolare Sirio.
Le sue avventure sono legate principalmente a storie d’amore (e di vino) a causa delle quali si trovava spesso a dover combattere e scagliarsi contro i suoi rivali, arrivando persino a perderela vista, che riacquistò grazie ad Eos, la dea dell’aurora.
Una delle tante storie vede Orione incapricciato delle sette sorelle mitologiche, le Pleiadi, che si salvarono dalle molestie del cacciatore grazie all’intervento di Artemide che, folle di gelosia, fece pungere Orione da un velenosissimo Scorpione.
Orione è raffigurato a combattere con il Toro,
posto a difesa delle sette sorelle mitologiche.
Ma poiché le storie d’amore tormentate piacciono sempre tanto, la vicenda che più di tutte appassiona è quella che lega Orione ad Artemide, dea cacciatrice e tiratrice d’arco, impersonificata nella Luna Crescente.
Arrivato insieme alla sua amante Eos a Delo, l’isola sacra al dio Apollo, Orione fece l’incontro di Artemide. Accomunati dalla passione del tiro con l’arco, il cacciatore e la bellissima sorella gemella di Apollo non impiegarono molto tempo ad innamorarsi.
Ma questa passione proprio non andava giù ad Apollo, che considerava l’arrivo di Orione sulla sua isola e la relazione con Artemide una sorta di profanazione: il dio invocò l’aiuto della Madre Terra, che scatenò sul cacciatore la furia di un gigante e velenosissimo scorpione, figura dalla quale il cacciatore è eternamente inseguito sulla volta celeste.
Per non soccombere al velenoso attacco contro il quale nulla gli valsero le sue frecce, la sua armatura e la sua abilità, Orione si gettò in mare, dove il suo destino fu determinato dal perfido piano messo in atto dal geloso Apollo.
Mentre il cacciatore nuotava a pelo d’acqua, di notte, Apollo diede in mano ad Artemide l’arco invitandola a puntare la freccia in un punto poco visibile al largo; scagliando con abilità la fatale freccia, Artemide colpí a morte Orione.
Disperata per aver ucciso il suo amato, le sue lacrime trovarono la pietà di Zeus, che trasformò Orione in una luminosa costellazione e lo collocò tra gli astri affinché la sua amata Artemide potesse contemplarlo ogni sera.
Voglio vederle anch’io quelle galassie e nebulose che vedo nelle foto della Nasa!
Ecco quello che mi sono detto, incantato da quelle immagini, ignaro del fatto che oggetti così lontani appaiono molto più vicini di quanto ci si possa aspettare.
Mi è sempre sembrato un mondo complicato e difficile, ed in effetti per un certo senso lo è, i telescopi, gli accessori, le luci, il trasporto, gli obiettivi, mille fattori e cose da tenere a mente, anche se l’arrivo della fotografia digitale e delle montature elettroniche ha reso tutto più accessibile. Ed eccomi qua ora a “vagare” tra le stelle, cercando di catturare e sentir un po’ più mio quello che c’è lassù.
Spesso mi chiedono dove trovi la voglia per passare tutte quelle notti insonni trascorse a raccogliere dati e fotografie e nel rispondere mi rendo conto vorrei condividere il “privilegio” di vedere tutta la bellezza del cosmo con gli altri, per sognare insieme anche fosse solo per qualche secondo, e ricordare che c’è molto di più di ciò che riusciamo a vedere là fuori.
Mostra di Astrofotografia a Mirandola dell’autore Luca Reggiani
Perdersi dove nascono le stelle prendono forma e come essi plasmani le nubi di gas e polveri con i loro impetuosi venti solari.
Spiare il loro ultimo istante di vita ed i loro eleganti resti, temporanea testimonianza di quello che fu una volta un sole. Non puoi rimanere insensibile a tutta questa poesia.
Il 18/19 maggio 2024, presso la Sala “Edmondo Trionfini” a Mirandola (Modena) vi porto con me in questo incredibile viaggio!
Luca Reggiani, ai più noto come Latitude 44.5 e autore social di Coelum, vi aspetta, ricco di entusiasmo e soddisfazione, alla sua prima esposizione di scatti con le migliori immagini di oggetti del deepsky.
Ci sarà anche una piccola conferenza sul come è nata e come si fa astrofotografia.
Spero di avervi convinto a venire con me, Beyond the stars!”
Informazioni utili:
– ingresso è gratuito!
– gli orari dalle 10:00 alle 18:30 per entrambi i gg
– presentazione e conferenza: sabato ore 10:30 e 16:30.
– si ringrazia la “Sala Trionfini” di Mirandola e l’associazione “amici della biblioteca Eugenio Garin” di Mirandola.
Un asteroide è un corpo celeste roccioso in orbita attorno al Sole. Sono tipicamente molto più piccoli dei pianeti, con un diametro che va da pochi metri a centinaia di chilometri. La maggior parte degli asteroidi si trova nella fascia principale degli asteroidi, situata tra Marte e Giove. Tuttavia, ci sono asteroidi che si trovano anche in altre regioni del Sistema Solare, come vicino alla Terra o oltre l’orbita di Nettuno.
Asteroide in orbita attorno al Sole
Quanti asteroidi ci sono?
Si stima che ci siano miliardi di asteroidi nel Sistema Solare. Fino ad oggi, ne sono stati scoperti oltre un milione, e ogni giorno ne vengono scoperti di nuovi. Gli asteroidi più grandi, come Cerere e Vesta, sono stati scoperti già all’inizio del XIX secolo, mentre gli asteroidi più piccoli, come quelli che potrebbero potenzialmente colpire la Terra, vengono scoperti grazie a telescopi sempre più potenti.
Come si sono formati gli asteroidi?
La teoria più diffusa sulla formazione degli asteroidi è che siano i resti della nebulosa solare, la nube di gas e polveri che ha dato origine al Sistema Solare circa 4,6 miliardi di anni fa. Durante la formazione dei pianeti, la maggior parte della materia si è accentrata nei nuclei che poi sono diventati i pianeti, mentre la materia rimanente si è aggregata in corpi più piccoli, come gli asteroidi.
Dove si trovano gli asteroidi?
La maggior parte degli asteroidi si trova nella fascia principale degli asteroidi, tra Marte e Giove. Questa regione è composta da milioni di asteroidi, di cui solo pochi hanno un diametro superiore a 100 chilometri.
La Fascia di Kuiper: Una Frontiera Gelata del Sistema Solare
La fascia di Kuiper è una vasta regione a forma di anello che si trova oltre l’orbita di Nettuno, il pianeta più lontano dal Sole nel nostro Sistema Solare. È composta da milioni di oggetti ghiacciati, simili a comete, che si ritiene siano resti della formazione del Sistema Solare miliardi di anni fa.
Posizione e Dimensioni
La fascia di Kuiper si estende approssimativamente tra le 30 e le 55 unità astronomiche (AU) dal Sole. Un’unità astronomica (UA) è la distanza media tra la Terra e il Sole, pari a circa 150 milioni di chilometri. Quindi, la fascia di Kuiper inizia a una distanza dal Sole oltre 4,5 miliardi di chilometri e si estende per miliardi di chilometri oltre quello.
Composizione della Fascia di Kuiper
La fascia di Kuiper è popolata da un’enorme quantità di oggetti ghiacciati, principalmente composti da acqua ghiacciata, metano e ammoniaca. Questi oggetti variano notevolmente in dimensioni, con alcuni che raggiungono un diametro di oltre 1.000 chilometri, come il famoso pianeta nano Plutone. Tuttavia, la maggior parte degli oggetti della fascia di Kuiper sono molto più piccoli, con dimensioni inferiori a 100 chilometri.
Origine della Fascia di Kuiper
Si ritiene che la fascia di Kuiper sia composta dai detriti rimanenti dalla formazione del Sistema Solare circa 4,6 miliardi di anni fa. Durante la formazione dei pianeti, la maggior parte della materia si è creata nei pianeti, mentre i detriti rimanenti, principalmente ghiaccio e roccia, sono stati spinti verso le regioni esterne del Sistema Solare dalla potente gravità dei pianeti giganti come Giove e Saturno. Questi detriti ghiacciati si sono poi aggregati per formare gli oggetti della fascia di Kuiper.
La Fascia di Kuiper e le Comete
La fascia di Kuiper è considerata una fonte importante di comete. Si pensa che alcune perturbazioni gravitazionali, come quelle causate da un vicino passaggio di una stella o un pianeta gigante, possano destabilizzare l’orbita di un oggetto della fascia di Kuiper e spingerlo verso il Sistema Solare interno. Quando ciò accade, il calore del Sole fa sublimare il ghiaccio presente sull’oggetto, creando la chioma e la coda che caratterizzano una cometa.
Oggetti Importanti della Fascia di Kuiper
Oltre a Plutone, la fascia di Kuiper ospita altri oggetti celesti di notevole dimensione, come Eris, Haumea e Makemake, classificati come pianeti nani. Questi oggetti sono abbastanza massicci da avere una propria gravità che li ha resi sferici. La fascia di Kuiper è inoltre ricca di oggetti transnettuniani più piccoli, come le comete di corto periodo che orbitano attorno al Sole in meno di 200 anni.
Esplorazione della Fascia di Kuiper
La fascia di Kuiper è una regione lontana e ancora in gran parte inesplorata. Tuttavia, diverse missioni spaziali hanno ampliato la nostra conoscenza di questa zona del Sistema Solare. La missione New Horizons della NASA, lanciata nel 2006, è stata la prima a sorvolare Plutone nel 2015, fornendo immagini e dati dettagliati sul pianeta nano e sul suo sistema di lune. Altre missioni spaziali future sono previste per esplorare ulteriormente la fascia di Kuiper e i suoi oggetti misteriosi.
Oltre alla fascia principale, ci sono asteroidi che si trovano in altre regioni del Sistema Solare:
Asteroidi Near-Earth: Sono asteroidi che si avvicinano periodicamente alla Terra. Alcuni di questi asteroidi sono potenzialmente pericolosi per il nostro pianeta, in quanto potrebbero colpirlo in futuro.
Asteroidi Trojani: Si trovano in due punti di equilibrio gravitazionale lungo l’orbita di Giove.
Centauri: Sono asteroidi che orbitano tra Giove e Nettuno.
Oggetti Transnettuniani: Si trovano oltre l’orbita di Nettuno, tra cui Plutone e la fascia di Kuiper.
Gli asteroidi potenzialmente pericolosi e la difesa planetaria
Un asteroide potenzialmente pericoloso (PHA) è un asteroide che ha un diametro superiore a 150 metri e che si avvicina alla Terra entro una distanza di 0,02 unità astronomiche (circa 3 milioni di chilometri). Si stima che ci siano circa 25.000 PHA nel Sistema Solare.
La difesa planetaria è un settore dell’astronomia che si occupa di individuare e monitorare gli asteroidi potenzialmente pericolosi e di sviluppare strategie per deviare o distruggere quelli che potrebbero colpire la Terra. Esistono diverse missioni spaziali in fase di sviluppo per la difesa planetaria, come NEOWISE e NEO Surveyor.
L’origine degli asteroidi
Come già accennato, si ritiene che gli asteroidi siano i resti della nebulosa solare. Tuttavia, la loro origine precisa non è ancora del tutto chiara. Esistono diverse teorie che cercano di spiegare la formazione degli asteroidi, tra cui:
Teoria della frammentazione: Secondo questa teoria, gli asteroidi si sarebbero formati dalla frammentazione di planetesimi, ovvero corpi celesti che avrebbero potuto formare dei pianeti ma che non ci sono riusciti a causa di collisioni o altre interazioni gravitazionali.
Teoria dell’accrescimento: Questa teoria suggerisce che gli asteroidi si siano formati dall’aggregazione di granelli di polvere e gas nella nebulosa solare.
Gli astronomi hanno un impatto significativo sul clima viaggiando per conferenze, affermano i ricercatori
Nel 2019, i viaggi globali per partecipare a conferenze accademiche internazionali nel campo dell’astronomia hanno causato l’equivalente di 42.500 tonnellate di emissioni di CO2 dannose per il clima. Ciò equivale in media a una tonnellata di CO 2 per partecipante e conferenza. La distanza totale percorsa ammonta a una somma davvero astronomica: una volta e mezza la distanza tra la Terra e il sole.
Lo ha scoperto un team guidato dalla dottoressa Andrea Gokus della Washington University di St. Louis (Stati Uniti). I ricercatori hanno compilato un set di dati di tutte le 362 conferenze di astronomia conosciute nel 2019 e delle corrispondenti emissioni di viaggio. All’analisi dei dati ha contribuito il Dott. Volker Ossenkopf-Okada, PD, dell’Istituto di Astrofisica dell’Università di Colonia.
Lo studio sull’impatto dei viaggi degli astronomi
Lo studio “Emissioni climatiche dell’astronomia: viaggi globali ai congressi scientifici nel 2019″ è stato ora pubblicato su PNAS Nexus.
Gli autori sottolineano l’importanza del networking e della discussione delle nuove scoperte scientifiche durante le conferenze per far avanzare il campo. Tuttavia, è possibile e necessario apportare modifiche per ridurre gli effetti sul clima. Gli esempi includono conferenze virtuali o la scelta di una sede della conferenza il più vicino possibile alla maggior parte dei partecipanti, in modo che solo pochi partecipanti debbano prendere voli a lunga percorrenza.
Come ridurre le emissioni dei viaggi degli astronomi
È anche importante dare agli astronomi che risiedono lontano dal Nord America e dall’Europa, dove si svolgono la maggior parte delle conferenze di astronomia, l’opportunità di partecipare alle conferenze. Gli autori propongono format ibridi e incontri tenuti in più luoghi collegati virtualmente.
“Se il meeting dell’American Astronomical Society del 2019 a Seattle si fosse tenuto in quattro hub globali (Seattle e Baltimora negli Stati Uniti, Amsterdam nei Paesi Bassi e Tokyo in Giappone), le emissioni di CO2 avrebbero potuto essere ridotte del 70%”, ha spiegato Gokus. .
“I formati di conferenza virtuali e ibridi sarebbero anche più inclusivi e quindi più efficienti per il nostro campo nel suo complesso, poiché gli astronomi provenienti da istituti e paesi meno ricchi e quelli con doveri familiari non sarebbero più esclusi dalle conferenze a causa dei tempi costosi e dispendiosi in termini di tempo. viaggio”, ha detto Ossenkopf-Okada.
Il gigante gassoso WASP-43b sotto l’occhio del JWST per indagarne temperatura e rotazione
Un team internazionale di ricercatori ha utilizzato con successo il telescopio spaziale James Webb della NASA per mappare il meteo sull’esopianeta gigante gassoso WASP-43b.
Misurazioni precise della luminosità su un ampio spettro di luce nel medio infrarosso, combinate con modelli climatici 3D e precedenti osservazioni di altri telescopi, suggeriscono la presenza di nuvole spesse e alte che coprono il lato notturno, cieli sereni sul lato diurno e venti equatoriali fino a 5.000 miglia. all’ora che mescolano i gas atmosferici in tutto il pianeta.
WASP-43 b è un esopianeta di tipo “Gioviano caldo”: di dimensioni simili a Giove, composto principalmente da idrogeno ed elio e molto più caldo di qualsiasi pianeta gigante del nostro Sistema Solare. Sebbene la sua stella sia più piccola e più fredda del Sole, WASP-43 b orbita a una distanza di appena 2,1 milioni di km, meno di 1/25 della distanza tra Mercurio e il Sole.
Con un’orbita così stretta, il pianeta è bloccato in base alle maree, con un lato continuamente illuminato e l’altro nell’oscurità permanente. Sebbene il lato notturno non riceva mai alcuna radiazione diretta dalla stella, i forti venti provenienti da est trasportano il calore dal lato diurno.
Dalla sua scoperta nel 2011, WASP-43 b è stato osservato con numerosi telescopi, tra cui l’Hubble della NASA e i telescopi spaziali Spitzer, ora in pensione.
Mappatura della temperatura e deduzione del tempo
Sebbene WASP-43 b sia troppo piccolo, fioco e vicino alla sua stella per essere visto direttamente da un telescopio, il suo breve periodo orbitale di sole 19,5 ore lo rende ideale per la spettroscopia con curva di fase, una tecnica che prevede la misurazione di piccoli cambiamenti nella luminosità della stella.
Poiché la quantità di luce nel medio infrarosso emessa da un oggetto dipende in gran parte da quanto è caldo, i dati sulla luminosità catturati da Webb possono essere utilizzati per calcolare la temperatura del pianeta.
Il team ha utilizzato il MIRI (strumento del medio infrarosso) di Webb per misurare la luce proveniente dal sistema WASP-43 ogni 10 secondi per più di 24 ore. “Osservando un’intera orbita, siamo stati in grado di calcolare la temperatura dei diversi lati del pianeta mentre ruotano e diventano visibili”, ha spiegato Taylor Bell, ricercatore del Bay Area Environmental Research Institute. “Da ciò, potremmo costruire una mappa approssimativa della temperatura in tutto il pianeta”.
Le misurazioni mostrano che il lato diurno ha una temperatura media di quasi 2.300 gradi Fahrenheit (1.250 gradi Celsius), abbastanza calda da forgiare il ferro. Nel frattempo, il lato notturno è significativamente più fresco a 1.100 gradi Fahrenheit (600 gradi Celsius). I dati aiutano anche a localizzare il punto più caldo del pianeta (l’“hotspot”), che è leggermente spostato verso est dal punto che riceve la maggior quantità di radiazione stellare, dove la stella è più alta nel cielo del pianeta. Questo spostamento avviene a causa dei venti supersonici, che spostano l’aria calda verso est.
Studio sul brillamento X8.2 del 10 settembre 2017 per valutare l’impatto del campo magnetico sull’accelerazione delle particelle
I brillamenti solari sono potenti esplosioni di radiazione elettromagnetica e particelle cariche che hanno luogo nell’atmosfera solare. In base al modello standard CSHKP, i brillamenti accompagnati da eiezioni di massa coronale sarebbero caratterizzati dall’emissione di raggi X di tipo hard da parte di elettroni nel plasma solare accelerati fino a velocità relativistiche. Un recente studio discute il meccanismo di accelerazione degli elettroni proposto dal modello CSHKP applicando le formule della magnetoidrodinamica ai dati relativi al brillamento X8.2, avvenuto il 10 settembre 2017. Il risultato è una teoria che sottolinea il ruolo del campo magnetico solare durante il processo di urto terminale piuttosto che le proprietà dinamiche del plasma magnetizzato.
I brillamenti solari (i.e., solar flares) sono eruzioni con durata variabile da minuti ad ore che si verificano localmente e periodicamente nell’atmosfera solare. La loro comparsa è infatti di norma associata al punto di massima attività magnetica di zone della superficie del Sole chiamate macchie solari (i.e., solar spots), il quale si ripete ogni 11 anni, ovvero dopo un intervallo di tempo detto ciclo solare. I brillamenti solari sono spesso accompagnati da altri fenomeni altamente energetici come le eiezioni di massa coronale (i.e., coronal mass ejections), enormi esplosioni di gas ionizzato e plasma provenienti dalla corona, che rappresenta la parte più esterna ed estesa dell’atmosfera solare. Secondo il modello CSHKP, acronimo di Carmichael, Sturrock, Hirayama, Kopp e Pneumann, i brillamenti solari con eiezione di massa coronale sono causati da una rapida riorganizzazione delle linee di campo magnetico all’interno delle regioni attive; ciò implica il ricongiungimento dei flussi magnetici e il conseguente rilascio di una grande quantità di energia sotto forma di radiazione elettromagnetica e di particelle cariche, soprattutto elettroni. La regione in cui avviene tale processo di ricombinazione prende il nome di regione di diffusione, e il plasma magnetizzato che si allontana da essa fuoriesce nella cosiddetta regione di deflusso. Se il plasma ha un alto numero di Alfvén-Mach, (i.e., la sua velocità è elevata rispetto all’intensità del campo magnetico), si genera un’onda d’urto in grado di accelerare gli elettroni al suo interno. Tale meccanismo di accelerazione è noto come accelerazione per deriva degli urti (i.e., shock drift acceleration, SDA), in quanto associato alla regione di urto terminale (i.e., termination shock, TS) in cui l’onda d’urto si propaga.
Ma la condizione di plasma super-alfvénico imposta dal modello CSHKP è davvero indispensabile per accelerare gli elettroni fino a velocità relativistiche e a renderli così in grado di riscaldare il mezzo attraversato mediante l’emissione di raggi X di tipo hard? La risposta giunge da un gruppo di astronomi austro-tedesco, sulla base dei dati relativi al brillamento X8.2, datato 10 settembre 2017, il più energetico finora osservato. Assumendo come riferimento le misure estremamente precise di campo magnetico, temperatura e densità numerica di elettroni, relativistici e non, fornite dall’Expanded Owens Valley Solar Array (EOVSA) per tale evento, costoro hanno determinato i parametri del TS utilizzando le relazioni di Rankine-Hugoniot. Si tratta di equazioni che descrivono il comportamento di un plasma in presenza di una discontinuità, ossia di un repentino cambiamento delle grandezze fisiche che lo caratterizzano a causa, per esempio, di un’onda d’urto. Esse vengono pertanto definite anche “condizioni di salto” dallo stato precedente a quello successivo allo shock. Nello specifico, dalle relazioni di Rankine-Hugoniot emerge che il plasma in X8.2 entri nella regione di deflusso con una velocità di circa 8342 km/s, trascurabile rispetto al valore del campo magnetico solare: ciò si traduce in un basso numero di Alfvén-Mach, ad indicare quindi la predominanza del campo magnetico rispetto alla velocità del plasma magnetizzato. Ora, il fatto che il plasma giunga con una simile velocità nella regione di urto terminale e provochi un notevole salto nella temperatura nel momento d’interazione con lo shock contraddice la predizione del modello CSHKP. Infatti, tale brusco aumento di temperatura sarebbe sufficiente a fornire agli elettroni del plasma confluito nella regione di deflusso l’energia cinetica necessaria per portarli in regime relativistico all’arrivo nella regione di urto terminale. Stando alle stime degli scienziati, un’energia pari a circa 641 keV sarebbe allora attribuita a ciascun elettrone. Questo risultato ben si accorda con le misure di EOVSA, il quale riporta un numero di circa 1.6 x 10^4 elettroni con energie maggiori di 300 keV nella regione di deflusso per l’evento X8.2. Ciò dimostra dunque che basta un campo magnetico particolarmente forte nella regione di urto terminale per ottenere degli elettroni relativistici, nonostante il plasma magnetizzato non nasca con un alto numero di Alfvén-Mach. Tali elettroni, che costituiscono approssimativamente il 58% del totale uscente dalla regione di urto terminale dopo aver acquisito un’energia minima pari a 20 KeV nel caso del brillamento X8.2, giustificherebbero la potente emissione di raggi X di tipo hard rilevata a seguito dell’esplosione.
In conclusione, la generazione di elettroni relativistici in un plasma magnetizzato sembra poter avvenire anche attraverso il riscaldamento di questo durante il TS, senza bisogno di ricorrere al meccanismo di SDA ipotizzato dal modello CSHKP. Questa nuova teoria trova conferma nei dati sperimentali riguardanti il brillamento solare X8.2 del 10 settembre 2017, che suggeriscono l’esistenza di elettroni altamente energetici come fonte di raggi X di tipo hard, ed evidenzia l’importanza del campo magnetico nell’accelerazione di particelle cariche.
Dopo la sparizione dai nostri cieli della 12P/Pons-Brooks (per un bilancio della sua apparizione vi rimando al prossimo numero 267 di COELUM ASTRONOMIA) si impongono all’attenzione un paio di “astri chiomati” non ancora granché luminosi ma in crescita, che meritano di essere monitorati, uno dei quali è l’attesissimo protagonista del 2024.
La ISS – Stazione Spaziale Internazionale sarà rintracciabile nei nostri cieli sia ad orari mattutini che serali. Avremo molti transiti notevoli con magnitudini elevate durante il primo mese della Primavera, auspicando come sempre in cieli sereni.
Luna nuova nei primi giorni del mese di maggio favorirà le riprese
3 Maggio
Iniziamo Maggio con la Luna che sorge a sud-est all’ultimo quarto oramai dopo le 3 di notte, nella costellazione del Capricorno, e ritardando sempre più il suo sorgere finiremo già il giorno 3 per scorgerla solo per qualche minuto nelle prime luci del mattino quando sarà vicino a Saturno, tuttavia entrambi troppo vicini al Sole per consentire qualsiasi osservazione. Trascorreranno così delle piacevoli notti “senza Luna” perfette per le osservazioni più impegnative ma a discapito di perdere una congiunzione stretta fra Luna e Marte nell’alba del giorno 5 maggio.
12 Maggio
Torneremo a scorgere la Luna ad ovest nelle luci del tramonto il giorno 9 maggio mostrandosi con una sottilissima falce. Le ore di buio con la presenza dell’astro andranno via via aumentando fino al giorno 12 quando la Luna si farà trovare alta nel cielo, a sud-ovest, già al tramonto e molto vicina a Polluce (2° 30′), stella dei Gemelli.
15 Maggio
Passano i giorni e il 15 maggio la luna al Primo Quarto si mostrerà al tramonto del Sole sopra alla stella Regolo della costellazione del Leone fino a scomparire sotto l’orizzonte ad ovest intorno alle 2 della notte.
Nei giorni successivi il nostro satellite ripercorrerà più o meno lo stesso scenario attraversato in aprile fino a raggiungere e superare Spica nella Vergine il giorno 20 già nelle prime ore della sera e spostando lo sguardo stavolta verso sud est.
23 Maggio
La Luna Piena si potrà ammirare nella sera del 23 maggio quando sorgerà a Sud Est molto vicina ad Antares (2°50′), stella dello Scorpione.
I pianeti ancora tutti posizionati molto vicino al Sole non favoriranno l’osservazione di alcuna congiunzione. Un vero peccato che si pensa che il satellite nelle prime ore dell’alba transiterà molto vicino a Saturno, Marte e Mercurio rispettivamente il 4,5 e 6 maggio ma come abbiamo anticipato, il Sole non sarà purtroppo molto distante e il tutto avverrà nella luce, seppur tenue, dell’alba.
Nella precedente rubrica avevamo anticipato con una breve notizia di “ultima ora” l’interessante scoperta messa a segno a fine marzo dal solito giapponese Koichi Itagaki. Torniamo oggi sull’argomento per analizzare in maniera più dettagliata il risultato che merita un adeguato approfondimento.
Nella notte del 24 marzo, con la Luna praticamente piena a soli 20°, l’eccezionale ricercatore del Sol Levante, per il quale abbiamo consumato tutti gli aggettivi utili a riconoscerne l’incredibile bravura, ha individuato una stella nuova di mag.+15,9 nella galassia a spirale NGC4192A nella costellazione della Chioma di Berenice a circa 93 milioni di anni luce di distanza. La particolarità di questa scoperta sta nel fatto che la galassia ospite, NGC4192A appunto, appare prospettica molto vicina alla stupenda galassia a spirale M98 che in realtà è a soli 45 milioni di anni luce circa di distanza da noi. A completare il fotogenico quadretto troviamo anche la galassia a spirale NGC4186, un oggetto decisamente più lontano fino a circa 370 milioni di anni luce.
Il primo ad ottenere lo spettro e a caricarlo nel TNS è stato il nostro Claudio Balcon, appena sei ore dopo la scoperta. Questo primissimo spettro mostrava il tipico blu continuo proprio di molte supernovae giovani di tipo II tuttavia la contemporanea mancanza della riga dell’idrogeno, non permetteva di classificarla con sicurezza. L’astrofilo bellunese grazie alla sua esperienza ha deciso quindi di attendere con prudenza prima di procedere alla classificazione, scelta che si è rivelata saggia perché qualche giorno dopo la riga dell’Idrogeno è finalmente comparsa e così, con il nuovo spettro ripreso 27 marzo dal Siding Spring Observatory in Australia con il Faukes Telescope South da 2 metri, il transiente è stato classificato come una giovane supernova di tipo II, con i gas eiettati dall’esplosione che viaggiano ad una velocità di circa 13000 km/s. La sigla definitiva assegnata è SN2024exw. Il massimo di luminosità si è verificato nei primi giorni del mese di aprile con valori di mag.+14,5/+15,0. Dopodiché la luminosità ha iniziato il suo lento declino portandola a perdere circa una magnitudine in tutto il mese di aprile ma poco abbastanza da renderla ancora visibile, e chi non l’avesse già fatto, è ancora in tempo a riprendere questo fotogenico campo di galassie.
Puntiamo adesso la nostra attenzione su un’altra interessante e “vicina” supernova che purtroppo non è facilissima da osservare dall’Italia, perché posta a declinazione -32°. Nella notte dell’11 aprile il programma professionale americano di ricerca supernovae e pianetini denominato ATLAS Asteroid Terrestrial-impact Last Alert System ha individuato una debole stellina di mag.+18,9 nella galassia a spirale barrata NGC3621 nella costellazione dell’Idra a “soli” 22 milioni di anni luce di distanza. Una supernova esplosa in una galassia così “vicina”, a distanze paragonabili con quelle degli oggetti del catalogo Messier, ha attratto l’attenzione di osservatori professionali di tutto il mondo che hanno iniziato a seguirla in maniera accurata. Piccola nota sulla galassia in questione, forse Messier non la inserì nel suo catalogo perché rispetto all’Europa la sua declinazione è troppo meridionale (-32°) dal suo osservatorio di Parigi infatti la galassia culminava a soli 9° sopra l’orizzonte. La galassia più meridionale del catalogo di Messier M83 è situata appena 3° più in alto rispetto ad NGC3621, ma essa presenta un’estensione superficiale più elevata rispetto a NGC3621, la prima venne quindi catalogata come oggetto non stellare mentre la seconda potrebbe essere stata confusa con una stella.
I primi ad inserire nel TNS lo spettro di conferma (11 ore dopo la scoperta) sono stati gli astronomi cinesi del Yunnan Observatory con il telescopio Lijiang di 2,4 metri. La SN2024ggi è una giovane supernovae di tipo II con flash ionizzato causato dall’eccitazione dei gas espulsi dalla stella nelle varie fasi che hanno preceduto l’esplosione. Per onor di cronaca, i primissimi a riprendere lo spettro di conferma, pochi minuti prima dei cinesi, sono stati gli astronomi americani dell’Università delle Hawaii, utilizzando il telescopio di 2,3 metri dell’Australian National University presso il Siding Spring Observatory. La luminosità della supernova ha mostrato subito un rapido incremento, che nel giro di pochi giorni ha permesso al transiente di raggiungere la notevole mag.+11,9 intorno al giorno 18 aprile, diventando oggi la supernova più luminosa del 2024 e una delle più luminose degli ultimi anni. Analizzando le immagini dei vari telescopi spaziali è stato possibile risalire alla stella progenitrice, una supergigante rossa con una luminosità intorno alla mag.+23. Come abbiamo già detto, dall’Italia non sarà facile riprendere questa importante supernova. Naturalmente gli astrofili del Sud Italia saranno avvantaggiati. A Milano la galassia NGC3621 culminerà ad un’altezza di soli 12°. Leggermente meglio la situazione per gli astrofili di Roma che avranno la galassia alla massima altezza di 15°. Molto meglio la situazione per gli astrofili di Catania che vedranno NGC3621 culminare a 20° sopra l’orizzonte Sud.
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