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IL SUONO DELL’UNIVERSO- III FESTIVAL DI ASTRONOMIA 2025

Torna il Festival di Astronomia, un appuntamento imperdibile per gli appassionati di scienza e per i curiosi del cielo, ma anche per chi ci si avvicina per la prima volta.

Dal 6 all’8 giugno, la Fortezza Nuova di Livorno ospiterà tre giorni di eventi gratuiti tra mostre, osservazioni astronomiche, laboratori, realtà virtuale e conferenze, all’insegna del tema “Il Suono dell’Universo”.

La prima serata inizia con due appuntamenti d’eccezione i per gli amanti del cielo. Dalle 19:00 potrete immergervi nella splendida Mostra di Astrofotografia dei soci ALSA e assistere alle affascinanti videoproiezioni astronomiche e stampe 3D. Il vero clou della serata sarà alle 21:30 con “La più folle delle imprese”, un evento speciale a cura dell’Osservatorio Gravitazionale Europeo (EGO), che ospita il rivelatore di onde gravitazionali Virgo nella campagna vicino Pisa, per celebrare i 10 anni dalla rivoluzionaria scoperta delle onde gravitazionali. Sul palco Barbara Patricelli (INFN Pisa) e Fiodor Sorrentino (INFN Genova), protagonisti di questa avventura scientifica, che sono pronti a guidarci attraverso i dieci anni di questa straordinaria scoperta. Con loro, le suggestive letture teatralizzate di Giulia Perelli tratte da “La musica nascosta dell’universo” e gli intermezzi musicali del sassofonista Dimitri Grechi Espinoza, che trasformerà in note l’emozione della scoperta. A controllare la rotta, Vincenzo Napolano di EGO per un viaggio tra scienza e arte che ci lascerà senza fiato. Prima di tornare a casa, non perdete l’occasione di osservare le stelle attraverso i telescopi dell’ALSA, disponibili fino alle 23:00.

Non mancherà lo spazio per le nuove generazioni: sabato e domenica, Michele Scardigli presenta “Mini Talk, Maxi Curiosità”, un intervento giovane e appassionato tra una conferenza e l’altra. Sabato tantissime attività per tutti i gusti. Dalle 10:00 aprirà la visita alla mostra fotografica e sarà possibile sperimentare la realtà virtuale con Cultura Immersiva e assistere alle proiezioni curate da Damiano Esposito (ALSA).
Del pomeriggio, spazio alla scienza con l’osservazione del Sole (15:00-18:00) e un curioso incontro su “La fisica del sax” con l’Università di Pavia. Laboratorio astronomico per bambini (17:00-19:00)

con Manifattura Lizard (prenotazioni: manifatturalizard@gmail.com).Un’occasione unica da non perdere, adatta a grandi e piccini è nella serata, dalle 18.00 alle 23.00: salite a bordo della “Big Bang Machine”, un’installazione immersiva che vi farà viaggiare indietro nel tempo fino agli eventi più catastrofici dell’universo. Grazie a EGO (e al supporto di IVECO Italia e Fondazione Pisa), vivrete in prima persona le fusioni di buchi neri, le esplosioni di stelle di neutroni e persino i primi istanti dopo il Big Bang. La serata non è ancora finita e prosegue con le osservazioni astronomiche e alle 21:30 con “Polvere di Stelle”, dove il fotografo e divulgatore Luca Fornaciari svelerà i segreti dell’astrofotografia. L’ultima giornata del festival è dedicata all’ascolto dell’universo. Saranno ancora a disposizione le mostre e i telescopi di ALSA, inoltre i più piccoli potranno diventare ricercatori per un giorno con “A caccia di suoni cosmici” (17:30-18:30), un laboratorio per imparare a riconoscere le onde gravitazionali tra i rumori terrestri (prenotazioni: info@alsaweb.it).Alle 18:00 l’astronomo Gianni Comoretto (INAF e ALSA) ci parlerà del nostro satellite con l’affascinante “La Luna Storta”. A seguire un gran finale con lo spettacolo “Cosa significa ascoltare il cosmo?” (21:30-22:30). Un dialogo suggestivo tra scienza e musica, con brani originali di Mario Salvucci, che ci farà scoprire come “suona” l’universo attraverso invisibili segnali cosmici. Questo il programma nel dettaglio:


Venerdì 6 Giugno 19:00-24:00

Mostra di Astrofotografia (ALSA) Videoproiezioni (ALSA)
21:00-23:00Osservazioni al telescopio (ALSA)
21:30-22:30″La più folle delle imprese” – Conferenza a cura di EGO-VIRGO


Sabato 7 Giugno

10:00-24:00 Mostra di Astrofotografia (ALSA) Videoproiezioni (ALSA) Realtà virtuale (Cultura Immersiva)
15:00-18:00 Osservazione del Sole (ALSA)16:00-17:00 “La fisica del sax” – Università di Pavia
17:00-19:00 Laboratorio astronomico per bambini (Manifattura Lizard)
18:00-23.00 “Big Bang Machine” – EGO-VIRGO
21:00-23:00 Osservazioni al telescopio (ALSA)
21:30-22:30″Polvere di Stelle, l’arte dell’astrofotografia” – Con Luca Fornaciari


Domenica 8 Giugno

10:00-24:00 Mostra di Astrofotografia (ALSA)Videoproiezioni (ALSA)Realtà virtuale (Cultura Immersiva)
15:00-18:00 Osservazione del Sole (ALSA)
17:30-18:30 “A caccia di suoni cosmici” – Laboratorio per bambini (EGO-VIRGO)
18:00-19:00 “La Luna Storta” – Con Gianni Comoretto (INAF e ALSA)
21:00-23:00 Osservazioni al telescopio (ALSA)
21:30-22:30 “Cosa significa ascoltare il cosmo?” – EGO-VIRGO

Il PDF del programma completo è disponibile QUI per il download

Una Fortezza tutta nuova

Voluta dai Medici alla fine del ‘500, Fortezza Nuova è il polmone verde del centro storico livornese. Icona del quartiere Venezia, spicca come un’isola fortificata, circondata dal Fosso Reale. 44 mila metri quadrati di parco pubblico, disseminato di locali completamente restaurati, ospitano tutto l’anno eventi artistici, didattici, scientifici. La città si riappropria di uno spazio nevralgico grazie a un progetto di riqualificazione, destinato a restituire un gioiello dal valore straordinario.

Per info e prenotazioni segui l’evento su FB

Droni a Lunga Autonomia per Marte: l’Ala Perfetta

Progettare le ali per Marte: come ottimizzare i droni a lunga autonomia per volare sul Pianeta Rosso

Negli ultimi venticinque anni, l’esplorazione del Pianeta Rosso ha fatto affidamento quasi esclusivamente su orbiter e rover. Tuttavia, con l’evoluzione delle tecnologie aerospaziali, sta emergendo una nuova generazione di veicoli: i droni, o più precisamente, i velivoli a pilotaggio remoto (UAV). Un esempio pionieristico è l’elicottero Ingenuity della NASA, che dal 2021 ha dimostrato la fattibilità del volo in un’atmosfera estremamente rarefatta come quella marziana. Ma la sua autonomia ridotta limita fortemente le capacità esplorative.

Per superare questo limite, l’attenzione si sta spostando sui droni ad ala fissa, potenzialmente in grado di offrire maggiore autonomia e copertura del suolo. Il problema? Progettare velivoli capaci di volare in condizioni aerodinamiche radicalmente diverse da quelle terrestri.

Le sfide del volo in atmosfera marziana

L’atmosfera di Marte ha una densità circa 100 volte inferiore a quella terrestre. In questo contesto, un drone di piccole dimensioni opera a numeri di Reynolds estremamente bassi, condizione in cui la viscosità domina sull’inerzia. Questo porta a fenomeni di separazione del flusso laminare e alla formazione di Laminar Separation Bubble (LSB), che compromettono l’efficienza del volo.

Inoltre, a causa della bassa velocità del suono su Marte, i flussi diventano compressibili anche a velocità moderate, con effetti negativi sull’aerodinamica. L’ottimizzazione della forma dell’ala e della sua geometria generale diventa quindi una questione cruciale.

L’ottimizzazione secondo il Politecnico di Milano

Sede del Dipartimento di Scienze e Tecnologie Aerospaziali del Politecnico di Milano

In questo contesto si inserisce la ricerca di Francesco Corcione, Giuseppe Quaranta e Pierangelo Masarati, del Dipartimento di Scienze e Tecnologie Aerospaziali del Politecnico di Milano (Italia), pubblicata nel 2025 su Aerospace Science and Technology.

Gli autori propongono un processo di ottimizzazione aerodinamica avanzata per un drone marziano ad ala fissa, concepito per il volo livellato a bassa quota. Il metodo impiega:

  • Free-Form Deformation (FFD) per modellare con precisione i profili alari.
  • Un modello parametrico della geometria del piano alare.
  • Algoritmi genetici, supportati da tecniche di Design of Experiments (DoE) e response surface modeling, per identificare le soluzioni ottimali.
  • Il software XFoil per calcolare la resistenza da attrito e AVL per la resistenza indotta.
  • Una rete neurale addestrata con i dati aerodinamici per accelerare le valutazioni preliminari.

Le configurazioni ottenute sono state infine validate tramite OpenVSP, uno strumento open-source di modellazione parametrica aerodinamica, calibrato con simulazioni CFD ad alta fedeltà.

Risultati e prospettive

L’ottimizzazione ha portato all’identificazione di due ali ottimali, entrambe in grado di massimizzare l’efficienza aerodinamica entro i limiti di massa, Mach critico e stabilità longitudinale. Le soluzioni evidenziano la necessità di:

  • Profili a bordo d’attacco affilato,
  • Bassa curvatura (camber),
  • Spessore ridotto per minimizzare la separazione del flusso in regime a basso Reynolds.

L’efficacia delle soluzioni proposte conferma quanto sia fondamentale adottare strategie progettuali specifiche per il volo marziano, distanti dalle configurazioni impiegate per i droni terrestri.

Un panorama di ricerca internazionale

Lo studio si inserisce in un ampio contesto internazionale che vede coinvolti istituti di primo piano come:

NASA Ames Research Center, con studi di Koning et al. su profili a basso Reynolds,

JAXA (Giappone), dove Anyoji e Sasaki hanno validato airfoil per droni marziani con test in quota,

Stanford University, con tesi sulle configurazioni aerodinamiche a bordo affilato e volo a bassissimo numero di Reynolds

Università cinesi e gruppi di ricerca come quelli di Zhang e Li, che impiegano reti neurali e superfici surrogate per l’ottimizzazione dei profili.

Fonte: Science Direct

Astronomia in Tempo di Guerra

Celebre dipinto Gassed (1919) di John Singer Sargent, un’opera emblematica della Prima Guerra Mondiale. Vista laterale di una fila di soldati guidati lungo una passerella da un infermiere militare. Hanno tutti gli occhi bendati, a causa dell’esposizione ai gas. Di John Singer Sargent - Collezione del Museo Imperiale della Guerra.
Un Faro di Pace Durante il Primo Conflitto Mondiale (1914-1918)

Il fragore assordante dei cannoni, il cupo presagio delle trincee che si estendevano come cicatrici sulla terra d’Europa, l’ombra opprimente della Grande Guerra (28 luglio 1914 – 11 novembre 1918): questi furono gli anni che sconvolsero il mondo, seminando divisione e dolore tra le nazioni. Eppure, in questo scenario di conflitto globale, dove l’umanità sembrava essersi smarrita nell’odio reciproco, un’altra storia, silenziosa e tenace, continuava a dispiegarsi. Lontano dai campi di battaglia, un “esercito” di scienziati, animati da una curiosità insaziabile e da una fede incrollabile nel potere della conoscenza, manteneva lo sguardo rivolto verso l’alto. Mentre le potenze terrestri si scontravano con una ferocia inaudita, gli astronomi, custodi della notte e interpreti del linguaggio delle stelle, proseguivano la loro esplorazione del cosmo. Armati della tecnologia ottica pionieristica dell’epoca, con la pazienza certosina che contraddistingue la loro disciplina, scrutavano l’immensità del cielo notturno, portando alla luce nuovi, silenziosi viaggiatori del nostro sistema solare. In quegli anni bui la comunità Astronomica catalogò ben 110 asteroidi. Queste scoperte testimoniano la capacità intrinseca dell’astronomia di unire gli animi e il cielo stellato divenne un inatteso faro di pace al di là delle contese terrene.


La cronologia di queste scoperte, meticolosamente registrate dagli osservatori di diverse nazioni, ci offre uno sguardo singolare sulla persistenza della ricerca astronomica durante gli anni del Primo Conflitto Mondiale. Ogni data segna un piccolo trionfo della scienza, una luce accesa nell’oscurità del conflitto, con astronomi che, nonostante le avversità, continuavano a scrutare il cielo, rivelando nuovi corpi celesti (vedi tabella).

Numero Nome Data Scoperta Scopritore Nazione
794 Irenaea 27-ago-14 Johann Palisa Austria
795 Fini 26-set-14 Johann Palisa Austria
796 Sarita 15-ott-14 Karl Wilhelm Reinmuth Germania
797 Montana 17-nov-14 Holger Thiele Germania
799 Gudula 09-mar-15 Karl Wilhelm Reinmuth Germania
800 Kressmannia 20-mar-15 Max Wolf Germania
801 Helwerthia 20-mar-15 Max Wolf Germania
802 Epyaxa 20-mar-15 Max Wolf Germania
803 Picka 21-mar-15 Johann Palisa Austria
804 Hispania 20-mar-15 Josep Comas i Solà Spagna
805 Hormuthia 17-apr-15 max wolf Germania
806 Gyldénia 18-apr-15 Max wolf Germania
807 Ceraskia 18-apr-15 max wolf Germania
916 America 07-ago-15 Grigorij Nikolaevič Neujmin Russia
809 Lundia 11-ago-15 Max Wolf Germania
847 Agnia 02-set-15 Grigorij Nikolaevič Neujmin Russia
848 Inna 05-set-15 Grigorij Nikolaevič Neujmin Russia
917 Lyka 05-set-15 Grigorij Nikolaevič Neujmin Russia
810 Atossa 08-set-15 Max Wolf Germania
811 Nauheima 08-set-15 Max Wolf Germania
812 Adele 08-set-15 Sergej Ivanovič Beljavskij Russia
877 Walküre 13-set-15 Grigorij Nikolaevič Neujmin Russia
1847 Stobbe 01-feb-16 Holger Thiele Germania
814 Tauris 02-gen-16 Grigorij Nikolaevič Neujmin Russia
815 Coppelia 02-feb-16 Max Wolf Germania
816 Juliana 08-feb-16 Max Wolf Germania
817 Annika 06-feb-16 Max Wolf Germania
818 Kapteynia 21-feb-16 Max Wolf Germania
867 Kovacia 25-feb-17 Johann Palisa Austria
819 Barnardiana 03-mar-16 Max Wolf Germania
824 Anastasia 25-mar-16 Grigorij Nikolaevič Neujmin Russia
850 Altona 27-mar-16 Sergej Ivanovič Beljavskij Russia
820 Adriana 30-mar-16 Max Wolf Germania
821 Fanny 31-mar-16 Max Wolf Germania
822 Lalage 31-mar-16 Max Wolf Germania
823 Sisigambis 31-mar-16 Max Wolf Germania
851 Zeissia 02-apr-16 Sergej Ivanovič Beljavskij Russia
852 Wladilena 02-apr-16 Sergej Ivanovič Beljavskij Russia
853 Nansenia 02-apr-16 Sergej Ivanovič Beljavskij Russia
854 Frostia 03-apr-16 Sergej Ivanovič Beljavskij Russia
855 Newcombia 03-apr-16 Sergej Ivanovič Beljavskij Russia
856 Backlunda 03-apr-16 Sergej Ivanovič Beljavskij Russia
857 Glasenappia 06-apr-16 Sergej Ivanovič Beljavskij Russia
826 Henrika 28-apr-16 Max Wolf Germania
858 El Djezaïr 26-mag-16 Frédéric Sy Francia
876 Scott 20-giu-17 Johann Palisa Austria
951 Gaspra 30-lug-16 Grigorij Nikolaevič Neujmin Russia
3229 Solnhofen 09-ago-16 Holger Thiele Germania
829 Academia 25-ago-16 Grigorij Nikolaevič Neujmin Russia
830 Petropolitana 25-ago-16 Grigorij Nikolaevič Neujmin Russia
827 Wolfiana 29-ago-16 Johann Palisa Austria
828 Lindemannia 29-ago-16 Johann Palisa Austria
847 Agnia 02-set-15 Grigorij Nikolaevič Neujmin Russia
848 Inna 05-set-15 Grigorij Nikolaevič Neujmin Russia
810 Atossa 08-set-15 Max Wolf Germania
811 Nauheima 08-set-15 Max Wolf Germania
812 Adele 08-set-15 Sergej Ivanovič Beljavskij Russia
877 Walküre 13-set-15 Grigorij Nikolaevič Neujmin Russia
831 Stateira 20-set-16 Max Wolf Germania
832 Karin 20-set-16 Max Wolf Germania
833 Monica 20-set-16 Max Wolf Germania
834 Burnhamia 20-set-16 Max Wolf Germania
835 Olivia 23-set-16 Max Wolf Germania
836 Jole 23-set-16 Max Wolf Germania
837 Schwarzschilda 23-set-16 Max Wolf Germania
838 Seraphina 24-set-16 Max Wolf Germania
839 Valborg 24-set-16 Max Wolf Germania
840 Zenobia 25-set-16 Max Wolf Germania
843 Nicolaia 30-set-16 Holger Thiele Germania
841 Arabella 01-ott-16 Max Wolf Germania
842 Kerstin 01-ott-16 Max Wolf Germania
859 Bouzaréah 02-ott-16 Frédéric Sy Francia
952 Caia 27-ott-16 Grigorij Nikolaevič Neujmin Russia
845 Naëma 16-nov-16 Max Wolf Germania
846 Lipperta 26-nov-16 Knut Anton Walter Gyllenberg Germania
860 Ursina 22-gen-17 Max Wolf Germania
861 Aïda 22-gen-17 Max Wolf Germania
862 Franzia 28-gen-17 Max Wolf Germania
863 Benkoela 09-feb-17 Max Wolf Germania
865 Zubaida 15-feb-17 Max Wolf Germania
866 Fatme 25-feb-17 Max Wolf Germania
867 Kovacia 25-feb-17 Johann Palisa Austria
868 Lova 26-apr-17 Max Wolf Germania
870 Manto 12-mag-17 Max Wolf Germania
871 Amneris 14-mag-17 Max Wolf Germania
872 Holda 21-mag-17 Max Wolf Germania
873 Mechthild 21-mag-17 Max Wolf Germania
874 Rotraut 25-mag-17 Max Wolf Germania
875 Nymphe 19-mag-17 Max Wolf Germania
876 Scott 20-giu-17 Johann Palisa Austria
879 Ricarda 22-lug-17 Max Wolf Germania
880 Herba 22-lug-17 Max Wolf Germania
881 Athene 22-lug-17 Max Wolf Germania
882 Swetlana 15-ago-17 Grigorij Nikolaevič Neujmin Russia
883 Matterania 14-set-17 Max Wolf Germania
884 Priamus 22-set-17 Max Wolf Germania
885 Ulrike 23-set-17 Sergej Ivanovič Beljavskij Russia
981 Martina 23-set-17 Sergej Ivanovič Beljavskij Russia
887 Alinda 03-gen-18 Max Wolf Germania
888 Parysatis 02-feb-18 Max Wolf Germania
889 Erynia 05-mar-18 max wolf Germania
890 Waltraut 11-mar-18 Max wolf Germania
891 Gunhild 17-mag-18 max wolf Germania
892 Seeligeria 31-mag-18 Max Wolf Germania
893 Leopoldina 31-mag-18 Max Wolf Germania
894 Erda 04-giu-18 Max Wolf Germania
895 Helio 11-lug-18 Max Wolf Germania
896 Sphinx 01-ago-16 Max Wolf Germania
897 Lysistrata 03-ago-18 Max Wolf Germania
898 Hildegard 03-ago-18 Max Wolf Germania
899 Jokaste 03-ago-18 Max Wolf Germania
900 Rosalinde 10-ago-18 Max Wolf Germania
901 Brunsia 30-ago-18 Max Wolf Germania
902 Probitas 03-set-18 Johann Palisa Austria
903 Nealley 13-set-18 Johann Palisa Austria
904 Rockefellia 29-ott-18 Max Wolf Germania

Elenco degli asteroidi scoperti durante la prima guerra mondiale ordinati per data di individuazione, con l’indicazione del nome, dello scopritore e della nazione dove avvenne la scoperta.

Potrebbe apparire controintuitivo che l’ordine in cui gli asteroidi vengono scoperti non corrisponda alla sequenza numerica con cui sono ufficialmente catalogati. Questa apparente anomalia affonda le radici nel rigoroso processo di determinazione orbitale definitiva.
Quando un astronomo individua un nuovo asteroide, la sua scoperta è contrassegnata da una designazione provvisoria. Questa sorta di nome in codice è composto dall’anno della scoperta e da una combinazione di lettere che ne indicano l’ordine di ritrovamento all’interno di quell’anno. Pensate a “1916 AA”, dove “AA” segnala che è stato il primo asteroide scoperto nel 1916, “1916 AB” il secondo, e così via.
Tuttavia, per elevare un asteroide al rango di membro numerato del sistema solare, è necessario un lavoro di precisione molto più complesso. Gli astronomi di tutto il mondo devono dedicare tempo e risorse per effettuare osservazioni di follow-up dell’oggetto nel corso di diverse notti, settimane, mesi, o persino anni fornendo i dati necessari per calcolare con accuratezza della sua orbita.
Solo quando questa orbita è ritenuta sufficientemente precisa e stabile – ovvero, quando gli scienziati sono in grado di prevedere con un buon grado di certezza il percorso futuro dell’asteroide – l’Unione Astronomica Internazionale (IAU) interviene per assegnare un numero definitivo. Si tratta di un numero progressivo che riflette l’ordine in cui le orbite degli asteroidi vengono determinate e ufficialmente riconosciute dalla comunità scientifica internazionale.
Di conseguenza, un asteroide scoperto in un dato momento potrebbe avere un’orbita particolarmente complessa da definire, oppure potrebbe essere stato osservato meno frequentemente a causa della sua debole luminosità o di condizioni osservative sfavorevoli. In questi casi, potrebbe dover attendere ulteriori osservazioni per consentire un calcolo orbitale affidabile, ricevendo il suo numero definitivo solo dopo asteroidi scoperti successivamente.

La Distribuzione Geografica delle Scoperte

La provenienza degli astronomi coinvolti nelle nuove scoperte, e i luoghi dove operavano – i loro osservatori – sono testimoni di una ricerca continua, alimentata dalla dedizione di individui provenienti da nazioni in conflitto e neutrali.

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LUNA PIENA DEL LUNISTIZIO – EVENTO DI ARCHEOASTRONOMIA


Corfinio l’11 giugno 2025, alle ore 21,00 presso i “Morroni”

A intervalli di circa 18.6 anni, la Luna compie un movimento orbitale straordinario: il lunistizio meridionale maggiore, un raro evento astronomico durante il quale il nostro satellite, visto dall’emisfero boreale fino a certe latitudini, sorge da una delle posizioni più meridionali possibili rispetto all’orizzonte montuoso, apparendo insolitamente basso nel cielo.

Nella serata dell’11 giugno, uno dei lunistizi meridionali del 2025, coinciderà con la fase del plenilunio: il disco lunare si mostrerà luminoso e visibile dai luoghi simbolici dell’antica Corfinium. Nei pressi dei Morroni, nuclei di imponenti mausolei funerari a torre risalenti al I–II secolo d.C., sarà possibile osservare la Luna levarsi dalla vetta del Monte Pizzalto in asse con questi monumenti, intorno alle ore 22,00.

Dopo l’osservazione della levata della Luna, seguirà una visita guidata al museo Lapidarium, dove è conservata un’interessante collezione di epigrafi dell’antica Corfinium.

La serata, ideata dal prof. Salvatore Marinucci, offrirà un’occasione speciale per coniugare narrazione e osservazione astronomica, alla riscoperta delle antiche connessioni tra cultura, paesaggio e cicli celesti.


Narratori: Dott. Francesco Di Nisio; Prof. Enzo Presutti e Prof. Salvatore Marinucci.

Per informazioni e prenotazioni: Tel. 350 1392252

Evento sostenuto da COELUM Astronomia

Si ringrazia il Comune di Corfinio per il gentile patrocinio

Il MULTIVERSO quali chiavi di lettura?

Istruzioni, ad usum Delphini, sul concetto di multiverso, le sue diverse versioni e le sue implicazioni riguardo all’interpretazione della vita nella nostra regione di universo.

Nel corso della storia, la nostra concezione dell’universo si è progressivamente modificata e perfezionata, passando da un oggetto finito, di volume fisso e abbastanza ordinato, apparso in un momento ben preciso – il fatidico big bang – a una profusione disordinata ed eterna, l’idea di un universo uniforme che si espande e si evolve e che, agli albori, avrebbe subìto per breve tempo un’espansione rapida e accelerata, chiamata inflazione, in grado di generare regioni “pulite”, a bassa entropia, di favorire la comparsa di strutture come galassie, stelle, rocce. La teoria dell’inflazione, originariamente introdotta da Alan Guth nel 1980 e successivamente sviluppata in uno schema fecondo da Andrei Linde, ha mostrato che l’universo può essere visto come un sistema che si autoriproduce, caratterizzato non da un unico big bang ma da un insieme di big bang multipli.
Una proprietà cruciale dell’inflazione sta nel fatto che il campo che la genera deve evolvere in modo che a un certo punto la sua densità di energia del vuoto possa sparire, o trasformarsi in un altro tipo di energia. Come conseguenza di questo, risulta molto improbabile che l’inflazione si fermi dappertutto nello stesso istante ed è possibile, per esempio, che nel tempo necessario a raddoppiare il volume, se il processo in grado di fermare l’inflazione agisce solo in metà di spazio, globalmente l’inflazione può non finire mai. A questo proposito, molti cosmologi invocano l’idea di bolle di non-inflazione, ovvero di strutture che possono formarsi spontaneamente per via quantistica e che poi crescerebbero a spese del volume esterno che subisce l’inflazione ma che, pur espandendosi, consumano solo una frazione fissa dello spazio che subisce l’inflazione. In questo quadro, ne deriva così che, col passare del tempo, le regioni soggette o meno all’inflazione danno luogo a una distribuzione complessa di tipo frattale di stati diversi dello spazio-tempo e l’inflazione non esaurisce mai lo spazio da espandere in quanto genera di volta in volta il proprio spazio. Questo processo, denominato originariamente da Linde inflazione eterna, comporta che abbiamo a che fare con la formazione di infinite chiazze post-inflazionarie simili a palle di fuoco, generate da regioni che subiscono l’inflazione eterna, ciascuna delle quali è più grande del nostro universo osservabile. In virtù di questo processo infinito di creazione e autoriproduzione di chiazze post-inflazionarie, per usare delle parole di Linde, si può dire che “nella Sua saggezza Dio ha creato un universo che non ha mai smesso di generare universi di tutti i tipi possibili”1 . L’idea dell’inflazione eterna implica cioè che l’intero universo sia enormemente più grande e complesso – non solo per dimensioni ma anche per diversità di caratteristiche – rispetto all’universo che siamo in grado di osservare con i nostri strumenti.

Le due prospettive generali e il principio antropico

Basandosi su un pugno di teorie fondamentali, vale a dire meccanica quantistica, relatività generale e inflazione, la fisica arriva all’esistenza di un “multiverso” che si estende all’infinito nel futuro (e magari nel passato), non ha confini nello spazio e magari, se è valida una teoria simile a quella delle stringhe (la quale invoca sei-sette dimensioni addizionali dello spazio, piccole, arrotolate, nascoste, la cui geometria è definita da centinaia di parametri che possono variare con continuità da un punto a un altro e da cui derivano le varie costanti della natura che figurano nel Modello Standard della fisica delle particelle) esibisce proprietà sorprendentemente variegate nel senso che avremmo tanti universi paralleli, caratterizzati da diversi valori delle costanti fondamentali e da un diverso contenuto di campi e particelle. In questo quadro, sembra del tutto ragionevole ipotizzare che solo qualche universo generato dall’inflazione eterna contenga esseri senzienti e forme di vita basate sulle interazioni chimiche tra molecole tenute insieme dalle forze elettromagnetiche.
Ma l’esistenza del multiverso può anche essere vista da un prospettiva diversa. Si può supporre che l’inflazione non sia eterna, che dopo l’origine dell’universo l’inflazione agisca per un po’ e poi si interrompa. Allora, sotto queste ipotesi, lo stato iniziale dell’universo evolverà in una sovrapposizione di numerose possibilità e questi universi sovrapposti avrebbero proprietà classiche abbastanza diverse. Si avrebbe cioè un multiverso quantistico in cui la fisica può ammettere diversi valori di proprietà come le costanti fondamentali, ecc…

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Il Cielo del Mese

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La Luna del Mese – Giugno 2025

LA LUNA DI GIUGNO 2025

Superato ormai il Novilunio del 27 Maggio, il Sole illumina porzioni sempre più ampie del suolo lunare col nostro satellite che in fase crescente di 4,8 giorni la prima notte del mese scenderà sotto l’orizzonte alle ore 01:00 circa dell’1 Giugno, ben visibile fin dalla sera precedente. Saranno pertanto già possibili interessanti osservazioni sulle imponenti e spettacolari strutture situate in prossimità del bordo lunare orientale, dal settore nordest fino al mare Crisium con gli adiacenti mari Marginis, Undarum, Spumans e Smythii, per proseguire poi lungo il lato est del mare Fecunditatis con i quattro vasti crateri Langrenus, Vendelinus, Petavius, Furnerius inoltrandoci poi nel settore sudest del nostro satellite. Per l’occasione la massima librazione coinciderà con l’area ad est del cratere Humboldt, diametro di 207 km e con pareti alte circa 5000mt.

cratere LANGRENUS lato est mare Fecunditatis – NOTTE fra 31 maggio 01 giugno

PANORAMICA crateri lato est mare Fecunditatis – NOTTE fra 31 maggio e 01 giugno

cratere PETAVIUS lato est mare Fecunditatis – NOTTE fra 31 maggio e 01 giugno

Alle ore 05:41 del 03 Giugno 2025 la Luna sarà in Primo Quarto ma a -36° sotto l’orizzonte in attesa di sorgere alle ore 13:10. Per effettuare osservazioni col telescopio, considerando la stagione estiva, basterà attendere almeno intorno alle ore 21:30 quando il disco lunare illuminato a metà si troverà ancora ad un’altezza di +44°, più che sufficiente per una piacevole serata osservativa che potrà essere estesa fin verso le prime ore della notte successiva. La fase crescente proseguirà fino alle ore 09:44 dell’11 Giugno 2025 con la Luna in Plenilunio a ben -47° sotto l’orizzonte, in fase di 15 giorni, alla distanza di 403805 km dalla Terra e con diametro apparente di 29,59’. Anche in questo caso basterà attendere che sorga (alle ore 21:33) per dedicarsi alle osservazioni di un’immensa quantità di strutture geologiche che, nonostante il Sole alto sull’orizzonte del nostro satellite e i tanti (forse troppi….) luoghi comuni che dipingono erroneamente la “Luna Piena” come un gran pallone abbagliante su cui non si vede nulla di interessante, farà bella mostra di sé in cielo per tutta la notte fin verso l’alba quando scenderà sotto l’orizzonte contestualmente al sorgere del Sole. Da qui inizierà la fase calante col nostro satellite che vedrà progressivamente ridursi di sera in sera la porzione illuminata dal Sole spostando sempre più la propria osservabilità verso orari tardo serali e poi notturni. Infatti alle ore 21:19 del 18 Giugno 2025 sarà in fase di Ultimo Quarto, ma anche in questo caso a ben -40° sotto l’orizzonte. Chi intendesse ammirare panoramiche o dettagli di questa particolare fase lunare dovrà attendere circa 4 ore o poco più, quando alle ore 01:21 della notte seguente (il 19 Giugno) la Luna sorgerà in fase di 22,8 giorni. Ormai non è più una novità che in Ultimo Quarto il principale target sia costituito dall’enorme estensione dell’oceanus Procellarum (circa 2 milioni 102.000 kmq di superficie), immediatamente individuabile dalle scure rocce basaltiche che ne ricoprono il fondo, in netto contrasto con la più elevata albedo degli altipiani in cui prevalgono le chiare rocce anortositiche. Si rendono visibili inoltre il mare Humorum e vaste porzioni dei mari Nubium e Imbrium. Al termine della fase calante, alle ore 12:31 del 25 Giugno 2025 la Luna sarà in Novilunio, completamente invisibile con l’altrettanto contestuale completa illuminazione dell’opposto emisfero. Da qui avrà inizio un ulteriore ciclo lunare che, come ormai avviene da oltre 4,5 miliardi di anni, riporterà gradualmente il nostro satellite verso le migliori condizioni osservative, andando pertanto a chiudere questo mese nella serata del 30 Giugno perfettamente osservabile fino a pochi minuti dopo la mezzanotte. Nell’occasione la massima librazione sarà in corrispondenza del mare Smythii, una zona relativamente pianeggiante di 370 km di larghezza sul confine fra i due emisferi della Luna.

Congiunzioni e Occultazioni Notevoli

La seconda parte dell’articolo di Francesco Badalotti, dedicato alla Luna di Giugno, con la descrizione delle Congiunzioni e Occultazioni notevoli, le Falci Lunari, e la tabella delle effemeridi è disponibile per i lettori abbonati alla versione digitale o al cartaceo.

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La Luna del Mese di Giugno è pubblicata in Coelum 274

–  Ogni fenomeno lunare e rispettivi orari sono rapportati alla Città di Roma, dati rilevati dai siti https://theskylive.com/http://www.marcomenichelli.it/luna.asp


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SUPERNOVAE aggiornamenti del mese

a cura di Fabio Briganti e Riccardo Mancini

RUBRICA SUPERNOVAE COELUM   N. 133

Dal marzo 2012 abbiamo raccontato tutte le supernovae scoperte da astrofili italiani e quelle più significative a livello internazionale. Negli ultimi quattro/cinque anni, a causa della sempre maggiore concorrenza dei programmi professionali di ricerca supernovae, il numero delle scoperte amatoriali italiane sono andate sempre più a scemare e pertanto abbiamo preso in considerazione quasi tutte le scoperte amatoriali a livello mondiale.

Nello scorso mese di aprile, per una nostra mancanza, non abbiamo dato evidenza ad una scoperta amatoriale realizzata da un nuovo gruppo di astrofili cinesi, che hanno iniziato una sistematica ricerca di supernovae. La supernova in questione è la SN2025gmc scoperta nella notte del 1° aprile dagli astrofili cinesi del nuovo programma denominato JIST capitanati da Winson Tsai e Tao Chen. Il nuovo transiente è stato individuato nella galassia lenticolare NGC2407 posta nella costellazione dei Gemelli a circa 370 milioni di anni luce di distanza. La galassia ospite è immersa in una campo ricco di galassie fra cui spiccano NGC2406 e MCG+03-20-002 oltre a galassie più piccole come LEDA213399, LEDA1557488 e LEDA1556254. Al momento della scoperta il nuovo oggetto mostrava una luminosità molto debole pari alla mag.+19,4 per poi aumentare progressivamente fino a raggiungere il massimo intorno alla metà di aprile con una luminosità che ha superato al mag.+16.

Immagine della SN2025gmc in NGC2407 ripresa dall’astrofilo cinese Wilson Tsai con un telescopio Takahashi Merlow da 300mm F.7 posa di 60 secondi con la supernova intorno al massimo di luminosità.

Immagine della SN2025gmc in NGC2407 realizzata dall’astrofilo spagnolo Carlos Segarra con un telescopio da 200mm F.4 somma di 25 immagini da 120 secondi.

I primi a riprendere lo spettro di conferma nella notte del 7 aprile sono stati gli astronomi dell’Osservatorio del Roque de los Muchachos nelle Isole Canarie con il Liverpool Telescope da 2 metri. La SN2025gmc è una supernova di tipo Ia scoperta circa due settimane prima del massimo di luminosità. Abbiamo pertanto contattato Wilson Tsai per avere delle notizie sulla loro attività di ricerca. La sigla JIST è l’abbreviazione di Jiama’erdengTianwentai/ICQ Search and Tracking Program un programma amatoriale avviato nel 2019 focalizzato sulla ricerca di comete e pianetini. Il loro osservatorio è situato a 5100 metri di altitudine sulla montagna chiamata Jiama’erdeng a Ngari, Tibet, Cina, utilizzando telescopi e altre attrezzature finanziate dalla società cinese Tencent. Grazie all’impressionante altitudine, si tratta dell’osservatorio astronomico più alto al mondo. L’osservatorio è di proprietà di Tao Chen ed insieme a Wilson Tsai, Zhangwei Jin, Jie-lin Yang, Yu-Hsing Lee, Hung-Yi Yen e Po-Liang Cheng, da circa due anni è stato avviato un programma di ricerca supernovae, che ha portato a questo primo importante successo. Lo strumento utilizzato per la ricerca è un telescopio Takahashi Merlow da 300mm F.7 e con un’esposizione di 60 secondi ad immagine, vengono riprese circa 300 galassie per notte. L’osservatorio è controllato in remoto e per riprendere le immagini viene utilizzato il programma ACP software. Le immagini vengono invece controllate con il programma SN Search Tool. Dobbiamo pertanto fare i nostri sinceri complimenti a questo nuovo gruppo per il successo ottenuto, oltre alla strumentazione e alla location davvero di prim’ordine. Vogliamo anche soffermarci anche su una curiosità: Winson Tsai e Tao Chen nel 2009 hanno scoperto insieme otto pianetini, mentre per Wilson Tsai la SN2025gmc rappresenta la sua seconda scoperta. La prima fu infatti la SN2006ds scoperta nella galassia MCG-06-50-011 ed a dimostrazione di quanto grande sia la sua passione per questo tipo di ricerca e quanto grande sia stata la gioia per la prima supernova scoperta, si è fatto tatuare sulla sua spalla il disegno della galassia con la supernova, il nome della galassia e la sigla della supernova…..davvero straordinario!!!

Tao Chen a sinistra e Wilson Tsai a destra nel 2008 all’aeroporto di Shanghai.

L’osservatorio del Jiama’erdengTianwentai/ICQ Search and Tracking Program situato a 5100 metri di altitudine sulla montagna chiamata Jiama’erdeng a Ngari, in Tibet, Cina.

Il telescopio Takahashi Merlow da 300mm F.7 posto all’interno dell’osservatorio ed utilizzato per la ricerca di supernovae.

Particolare della spalla di Wilson Tsai con il tatuaggio che riporta il disegno della galassia con la supernova, il nome della galassia e la sigla della supernova scoperta nel 2006.

Da un nuovo gruppo che riesce ad ottenere la sua prima scoperta, passiamo invece ad un veterano ricercatore dell’emisfero meridionale: il neozelandese Stuart Parker numero 4 della Top Ten mondiale amatoriale, che raggiunge quota 170 scoperte. Fino al 2021 Parker rivaleggiava a suon di scoperte con il grande Itagaki per contendersi la terza posizione della Top Ten mondiale amatoriale. Purtroppo nell’agosto del 2021 una grande tempesta distrusse irreparabilmente il suo osservatorio posto ad Oxford, piccola cittadina a circa 60 km dalla città di Christchurch, costringendolo a sospendere la sua grande passione di cercare supernovae. Nel 2023 è tornato operativo e ha ripreso a mettere a segno nuove scoperte. Nella notte del 5 maggio ha individuato una nuova stella di mag.+17 nella galassia a spirale PGC68615 posta nella costellazione della Gru a circa 250 milioni di distanza e accompagnata dalla galassia a spirale PGC68627. Il nuovo transiente ha aumentato la sua luminosità fino a raggiungere il massimo a mag.+15,5 intorno alla metà del mese di maggio. I primi a riprendere lo spettro di conferma sono stati gli astronomi del SAAO South African Astronomical Observatory con il Lesedi Telescope da un metro di diametro.

Immagine di scoperta della SN2025jyk in PGC68615 realizzata da Stuart Parker con un telescopio C11 Edge HD.

La SN2025jyk, questa la sigla definitiva assegnata, è una supernova di tipo Ia scoperta circa 10 giorni prima del massimo di luminosità. Abbiamo contattato anche Stuart Parker per avere un aggiornamento sulla sua attività di ricerca. Attualmente dispone di tre osservatori con cinque telescopi, ma in questo periodo sta concentrando le sue energie principalmente sulla fotografia astronomica. Non sta pertanto portando avanti una sistematica ricerca di supernovae come ha fatto in passato, ma ogni tanto utilizza la sua strumentazione per riprendere galassie, arrivando a fotografarne circa 800 a notte. Questa ultima scoperta è stata ottenuta in un modo un po’ fortuito, perché stata testando il suo ultimo telescopio un C11 Edge HD. Ci confessa che potrebbe tornare presto a ricercare supernovae in maniera più sistematica e noi aggiungiamo che con questa strumentazione e con questi numeri di immagini riprese per notte, la sfida con Itagaki per il terzo posto della Top Ten mondiale diventerebbe davvero entusiasmante.

Immagine di qualche anno fa con Stuart Parker accanto al telescopio all’interno del suo osservatorio, che fu distrutto dalla grande tempesta dell’agosto 2021.

RUBRICA SUPERNOVAE COELUM   N. 132

Nella rubrica dello scorso mese avevamo fatto appena in tempo ad inserire la notizia della nuova scoperta realizzata dal grande astrofilo giapponese Koichi Itagaki, preannunciando che il nuovo transiente aveva tutte le carte in regola per diventare una supernova molto luminosa. Per nostra fortuna le previsioni non sono state smentite e la SN2025fvw ha raggiunto la notevole mag.+13,5 diventando attualmente la supernova più luminosa del 2025. È stata scoperta nella notte del 26 marzo nella galassia a spirale barrata NGC 5957 posta nella costellazione del Serpente a circa 100 milioni di anni luce di distanza. Al momento della scoperta il nuovo transiente mostrava una luminosità pari alla mag.+17,4 ed il grande Itagaki è stato bravo ad inserire velocemente la scoperta nel TNS battendo sul tempo i due programmi professionali di ricerca supernovae denominati ATLAS e Pan-STARRS che avevano entrambi immortalato il nuovo oggetto circa 7 ore prima del giapponese. Nella notte del 27 marzo, i primi a riprendere lo spettro di conferma sono stati gli astronomi americani del DLT40 con il Southern Astrophysical Research Telescope, un moderno telescopio da 4,1 metri posto sulle Ande cilene a 2700 metri di altitudine sul Cerro Pachon. Si tratta di una supernova di tipo Ia scoperta circa due settimane prima del massimo di luminosità, con i gas iettati dall’esplosione che viaggiano ad una velocità di circa 17.000 km/s. La supernova ha infatti aumentato costantemente la sua luminosità fino a raggiungere il suo massimo alla mag.+13,5 intorno al 12 aprile, per poi ridiscendere lentamente. A fine mese di aprile è comunque sempre molto luminosa intorno alla mag.+15 ed è pertanto un facile oggetto, anche perché posizionato nella parte periferica della galassia ospite NGC 5957. Con questa scoperta l’incredibile giapponese, che continua a stupirci, ottiene il secondo successo del 2025 raggiungendo un totale di 188 scoperte e consolidando la terza posizione nella Top Ten mondiale amatoriale.

La posizione della galassia NGC 5957 nella Costellazione del Serpente.

Immagine della SN2025fvw in NGC5957 realizzata dall’astrofilo spagnolo Carlos Segarra con un telescopio da 200mm F.4 somma di 25 immagini da 240 secondi.

Immagine della SN2025fvw in NGC5957 realizzata dall’astrofilo spagnolo Rafael Ferrando con un telescopio Meade LX200 da 400mm F.7.

Immagine della SN2025fvw in NGC5957 realizzata Rolando Ligustri in remoto dal Cile con un telescopio Dall-Kirkam da 500mm F.6,8 BVR: 180 secondi per canale – L: somma di tre immagini da 180 secondi.

RUBRICA SUPERNOVAE COELUM   N. 131

Non avevamo fatto in tempo ad inserirla nella rubrica dello scorso mese, perché arrivata negli ultimi giorni di febbraio, ma il vecchio leone giapponese Koichi Itagaki ha sferrato la prima zampata del 2025 individuando nella notte del 24 febbraio una nuova supernova nella galassia a spirale NGC3277 posta nella costellazione del Leone Minore a circa 65 milioni di anni luce di distanza. In un primo momento il nuovo oggetto, che mostrava una luminosità pari alla mag.+17,4 non dava la certezza di essere di fronte ad un evento di supernova perché situato ad una distanza veramente elevata dal centro della galassia ospite NGC3277. Questa caratteristica faceva infatti pensare che si trattasse di una Variabile Cataclismica della nostra galassia. Invece nella notte del 25 febbraio dal Haleakala Observatory nelle Isole Hawaii con il Faulkes Telescope North di 2 metri di diametro è stato ripreso lo spettro di conferma che ha classificato il nuovo transiente come una supernova di tipo II, anche se posizionata a grande distanza dalla galassia ospite. Alla nuova supernova è stata perciò assegnata la sigla definitiva SN2025coe. Nella notte del 7 marzo sempre dal Haleakala Observatory nelle Isole Hawaii con il Faulkes Telescope North di 2 metri di diametro è stato ripreso un nuovo spettro e le caratteristiche nel nuovo transiente erano cambiate. Non era più una supernova di tipo II, ma si era evoluta in una supernova di tipo Ib-pec. L’Idrogeno H ben visibile nel primo spettro aveva lasciato spazio all’Elio He, tipico delle supernovae di tipo Ib, mentre la peculiarità era evidenziata dalla presenza del calcio Ca II ionizzato. Vista questa peculiarità, sempre dal Haleakala Observatory, è stato ripreso un terzo spettro nella notte del 18 marzo. La classificazione è stata ulteriormente modificata in una supernova di tipo Ib-Ca-rich. Classificazione molto inusuale che specifica meglio la peculiarità di questa supernova caratterizzata da una forte presenza di calcio Ca II ionizzato. Anche la curva di luce ha mostrato un andamento molto particolare. Nei giorni seguenti la scoperta la luminosità è aumentata fino a sfiorare la mag.+16 intorno al 7 marzo, per poi calare molto rapidamente oltre la mag.+18,5 già dopo il 19 marzo. Possiamo perciò affermare che si è trattato di una supernova molto particolare e singolare, sia per la classificazione, che per l’evoluzione della curva di luce.

Immagine della SN2025coe in NGC3277 realizzata dall’astrofilo tedesco Manfred Mrotzek con un telescopio da 140mm F.5,4 somma di 24 immagini da 180 secondi.

Immagine della SN2025coe in NGC3277 realizzata dall’astrofilo spagnolo Carlo Segarra con un telescopio da 200mm F.4 somma di 30 immagini da 180 secondi.

Ma la notizia che ci riempie di gioia, verificatasi nei primi giorni di marzo, è stata la stupenda doppia scoperta di Novae Extragalattiche messa a segno dal team dell’Osservatorio di Monte Baldo, formato da Flavio Castellani, Vittorio Andreoli e Raffaele Belligoli, che per fortuna in questi ultimi anni ci ha abituati a simili performance. Entrambe le scoperte sono state messe a segno nella stupenda galassia a spirale Messier 81. La prima è stata ottenuta nella notte del 4 marzo con una luminosità pari alla mag.+19,2. Al nuovo debole transiente è stata assegnata la sigla provvisoria AT2025dih. La seconda è stata invece realizzata la notte successiva. Anche questa molto debole con una luminosità pari alla mag.+18,8 e con la sigla provvisoria AT2025dkp. In entrambi i casi sono stati rapidissimi a comunicare la scoperta, battendo sul tempo l’astrofilo cieco Kamil Hornoch, il leader indiscusso a livello mondiale in fatto di Novae Extragalattiche, che però questa volta si è dovuto accontentare di due scoperte indipendenti.

Immagine di scoperta della AT2025dih in M81 realizzata dal team dell’Osservatorio di Monte Baldo con un telescopio Dall-Kirkham da 400mm F.7 somma di 24 immagini da 180 secondi.

Immagine di scoperta della AT2025dkp in M81 realizzata dal team dell’Osservatorio di Monte Baldo con un telescopio Dall-Kirkham da 400mm F.7 somma di 24 immagini da 180 secondi.

E’ giusto spendere alcune parole di elogio per gli amici di Monte Baldo per lo stupendo lavoro che stanno portando avanti da anni. La strumentazione di cui dispongono è di tutto rispetto, con un ottimo telescopio Dall-Kirkham da 40cm F.7 accoppiato ad una CCD KAF Moravian G4-9000. La loro attività di ricerca in ambito ISSP iniziò nel lontano 2012 quando ottennero la loro prima scoperta con la supernova SN2012fm nella galassia UGC3528, a cui seguì un’altra supernova l’anno successivo la SN2013ff nella galassia NGC2748. Le supernovae nel palmares dell’Osservatorio di Monte Baldo sono in realtà tre, ottennero infatti nel 2020 anche la SN2020gpe nella galassia NGC6214. Dal 2016 però il loro campo di ricerca preferito è virato verso le Novae Extragalattiche, concentrando i loro sforzi principalmente sulle tre galassie più vicine M31, M33 e M81. I successi ottenuti, diciotto Novae in M31 e sette Novae in M81, hanno permesso all’Osservatorio di Monte Baldo di diventare una delle realtà amatoriali più importanti a livello mondiale nella campo della ricerca di Novae Extragalattiche, secondi solo al grande Kamil Hornoch e agli incredibili cinesi del programma XOSS. Per fare i complimenti agli amici di Monte Baldo per questi numerosi successi e con la speranza che la strada intrapresa porti ancora a grandi soddisfazioni, pubblichiamo una foto che ritrae tutti i membri del team, che in questi anni hanno contribuito a questi importanti successi: da destra Vittorio Andreoli, Claudio Marangoni, Raffaele Belligoli, Flavio Castellani e Fernando Marziali.

Team dell’Osservatorio di Monte Baldo: da destra Vittorio Andreoli, Claudio Marangoni, Raffaele Belligoli, Flavio Castellani e Fernando Marziali.

Ultima ora: nella notte del 26 marzo Koichi Itagaki ottiene una nuova scoperta nella galassia NGC5957. La supernova dovrebbe diventare molto luminosa. Ne parleremo in maniera più approfondita nella rubrica del prossimo numero.

RUBRICA SUPERNOVAE COELUM   N. 130

L’esperta coppia Mirco Villi e Michele Mazzucato rompe il ghiaccio nel 2025 e mette a segno una doppia scoperta sempre nell’ambito della collaborazione con i professionisti del CRTS Catalina, che utilizza il telescopio Cassegrain di 1,5 metri di diametro dell’osservatorio americano sul Mount Lemmon in Arizona. La prima scoperta è stata ottenuta la notte del 2 febbraio nella galassia a spirale barrata NGC180 posta nella costellazione dei Pesci a circa 230 milioni di anni luce di distanza. Al momento della scoperta il nuovo oggetto appariva molto debole, pari alla mag.+19. Il CRTS Catalina è stato molto rapido ad inserire la scoperta nel TNS battendo sul tempo gli americani di un altro programma professionale di ricerca supernovae denominato ZTF Zwicky Transient Facility, che avevano immortalato due giorni prima questo transiente con una luminosità pari alla mag.+19,7. Da un follow-up del 5 febbraio sempre di ZTF la luminosità era salita intorno alla mag.+18. La posizione della galassia ospite NGC180 in questo periodo dell’anno però è purtroppo molto sfavorevole, essendo visibile bassa sull’orizzonte Ovest subito dopo il tramonto. Per questo motivo non è stato possibile riprendere uno spettro di conferma e pertanto al nuovo transiente è rimasta la sigla provvisoria AT2025arw.

1) Immagine di scoperta della AT2025arw in NGC180 ripresa dal Catalina con il telescopio Cassegrain da 1,5 metri.

La seconda scoperta è invece più interessante e da seguire in maniera più accurata. È stata ottenuta nella notte del 7 febbraio nella galassia a spirale NGC5602 posta nella costellazione del Bootes a circa 120 milioni di anni luce di distanza. Al momento della scoperta il nuovo transiente mostrava una luminosità pari alla mag.+18,9. Nei giorni successivi la scoperta la luminosità è aumentata fino alla mag.+17 ma stranamente troppo debole per una supernova esplosa in una galassia relativamente vicina come NGC5602 (120 milioni a.l.). Una tipo Ia normale infatti avrebbe dovuto raggiungere la mag.+14. L’ottenimento dello spettro ha poi svelato questa stranezza. I primi ad ottenerlo sono stati gli astronomi dell’Osservatorio del Roque de los Muchachos nelle Isole Canarie con il Liverpool Telescope da 2 metri. La SN2025baq è una supernova di tipo Iax 02cx-like. Le supernovae di tipo Iax sono transienti rari e peculiari, che prendono il nome dal prototipo di questo gruppo di oggetti, cioè la SN2002cx. Sono supernovae di solito più deboli e con righe nello spettro molto più strette rispetto ad una normale supernova di tipo Ia e sono associate a popolazione stellare giovane. La loro interpretazione fisica è ancora in fase di approfondimento e sono perciò seguite con molto interesse dalla comunità astronomica internazionale.

2) Immagine della SN2025baq in NGC5602 realizzata dall’astrofilo spagnolo Carlo Segarra con un telescopio da 200mm F.4 somma di 8 immagini da 180 secondi.

I veri protagonisti di questo inizio 2025 sono però sicuramente gli astrofili cinesi del programma XOSS capitanati da Xing Gao e Mi Zhang, che nei primi due mesi del 2025 hanno già messo a segno ben 10 scoperte. Si tratta di supernovae molto deboli, a volte oltre la mag.+18 e collocate in piccole galassie, anche anonime. Soffermiamo adesso la nostra attenzione su quella che ha raggiunto una discreta luminosità, individuata nella notte del 3 febbraio nella galassia a spirale barrata UGC3007 posta nella costellazione del Perseo a circa 250 milioni di anni luce di distanza e situata non lontano (circa 4°) dalla famosa Nebulosa California. Al momento della scoperta il nuovo transiente mostrava una luminosità pari alla mag.+17,2 che è aumentata fino a raggiungere il massimo alla mag.+15,5 intorno al 20 febbraio. Nell’inserimento della scoperta nel TNS i cinesi hanno battuto sul tempo il programma professionale americano denominato ATLAS che aveva immortalato il nuovo oggetto il giorno prima, quando mostrava una luminosità pari alla mag.+18,5. I primi a riprendere lo spettro di conferma sono stati ancora una volta gli astronomi dell’Osservatorio del Roque de los Muchachos nella notte del 5 febbraio sempre con il Liverpool Telescope da 2 metri. La SN2025aue, questa la sigla definitiva assegnata, è una supernova di tipo Ia-91T con un forte assorbimento del Fe III e la quasi assenza del Si II. Le supernovae di tipo Ia-91T sono una sottoclasse delle tradizionali Ia caratterizzate da righe più larghe nello spettro e perciò da velocità di espansione e temperature più alte dei materiali espulsi dall’esplosione (eject). Hanno un’evoluzione fotometrica più lenta e sono associate a popolazione stellare giovane. La capostipite di questa sottoclasse è la SN1991T scoperta il 13 aprile 1991 dai nostri Mirko Villi e Giancarlo Cortini insieme a Bob Evans, nella bella galassia a spirale NGC4527.

3) Immagine della SN2025aue in UGC3007 realizzata dall’astrofilo spagnolo Carlo Segarra con un telescopio da 200mm F.4 somma di 25 immagini da 180 secondi

4) Immagine della SN2025aue in UGC3007 realizzata dall’astrofilo spagnolo Rafael Ferrando con un telescopio Meade LX200 da 400mm F.7

Il solito Koichi Itagaki mette a segno la sua prima scoperta del 2025 individuando un nuovo transiente nella parte periferica della galassia NGC3277. Ne parleremo in maniera più approfondita nella rubrica del prossimo mese.

RUBRICA SUPERNOVAE COELUM   N. 129

Non avevamo fatto in tempo ad inserirla nella rubrica dello scorso mese, perché avvenuta il 30 dicembre, ma per l’ISSP il 2024 si è chiuso con una interessante e difficile scoperta. Il team dell’Osservatorio di Monte Baldo, formato da Flavio Castellani, Raffaele Belligoli e Vittorio Andreoli ha infatti individuato un debole transiente di mag.+19,3 nella bella galassia di Andromeda M31. Si tratta molto probabilmente di una Nova Extragalattica che però non ha ricevuto la conferma spettroscopica ed alla quale è rimasta assegnata la sigla provvisoria AT2024agal. La mancata conferma spettroscopica è forse da imputare al fatto che il nuovo oggetto è rimasto molto debole oltre la mag.+19. In un follow-up del 2 gennaio da parte dell’astrofilo Giuseppe Pappa era appena visibile alla proibitiva mag.+19,5. Agli amici di Monte baldo vanno comunque i nostri complimenti per aver tenuto alto il nome dell’ISSP con la scoperta di due Novae Extragalattiche nella galassia M31 ottenute nel 2024.

Immagine di scoperta della AT2024agal in M31 realizzata dal team dell’Osservatorio di Monte Baldo con il telescopio Ritchey-Chretien da 400mm F.8

Venendo alle supernovae questo nuovo anno è iniziato benissimo per i cinesi del programma XOSS capitanati da Xing Gao e Mi Zhang che nel mese di gennaio hanno già messo a segno la scoperta di tre supernovae, purtroppo molto deboli intorno alla mag.+19 e collocate in piccole galassie anonime. Negli ultimi tre anni gli astrofili cinesi si sono dimostrati senza ombra di dubbio i leader indiscussi in fatto di ricerca amatoriale di supernova. Nel 2024 hanno occupato il gradino più del podio con 22 scoperte. Per capire la portata dell’enorme lavoro svolto dai cinesi basta pensare che il secondo gradino del podio è occupato dal mitico Koichi Itagaki con solo, si fa per dire, 7 scoperte. Dobbiamo perciò constatare che in fatto di ricerca di supernovae amatoriali l’Oriente non ha rivali. Come abbiamo visto nei mesi scorsi in Giappone non abbiamo solo il grande Itagaki e adesso anche in Cina non abbiamo solo il gruppo XOSS. Esiste infatti un nuovo gruppo ben equipaggiato, che è ancora in fase di allestimento, ma che è già riuscito a mettere a segno la sua prima scoperta. Li abbiamo contattati, ma prima di svelarci come si svolge la loro attività di ricerca preferiscono aspettare di ultimare la messa a punto del loro osservatorio e dei loro programmi di ricerca. Questa prima scoperta è stata infatti ottenuta non grazie all’avvio del loro programma di ricerca, ma casualmente durante i lavori di settaggio e messa a punto della strumentazione. Ziyang Mai e Jiaze Fu, che fanno parte di questo gruppo, hanno individuato nella notte del 12 gennaio un nuovo oggetto di mag.+17,9 in una piccola galassia anonima posta nella costellazione dell’Orsa Minore a circa 530 milioni di anni luce di distanza e posizionata a soli 8° dal Polo Nord Celeste.  Se dall’Oriente arrivano le scoperte amatoriali, dall’Italia arrivano le classificazioni amatoriali grazie al bravissimo Claudio Balcon, che nella notte del 18 gennaio ha ottenuto lo spettro di conferma, classificando la SN2025kw come una supernova di tipo Ia. Possiamo considerare Claudio Balcon come il fiore all’occhiello dell’ISSP con ben 170 classificazioni inserite per primo nel TNS, che lo pone come leader indiscusso a livello mondiale in fatto di classificazioni amatoriali di supernovae. La SN2025kw anche se relativamente debole, ha raggiunto infatti la mag.+17,5 intorno al 20 gennaio e posizionata in una piccola galassia vista di taglio, ha comunque un valore importante per noi astrofili perché rappresenta l’ennesima supernova tutta amatoriale dalla scoperta alla classificazione.

Immagine della SN2025kw in Anonima realizzata dall’astrofilo spagnolo Carlo Segarra con un telescopio da 200mm F.4 somma di 25 immagini da 240 secondi.

Chiudiamo la rubrica di questo mese passando da una supernova molto debole e collocata in una piccola e poco fotogenica galassia, ad una che invece rappresenta la supernova più luminosa di questo periodo avendo raggiunto l’interessante mag.+13,5 nella seconda metà di gennaio. Stiamo parlando della SN2025gj individuata nella notte dell’8 gennaio dal programma professionale americano di ricerca supernovae denominato DLT40 che utilizza una batteria di sei telescopi Ritchey-Chrétien da 41cm chiamati PROMPT e situati sul Cerro Tololo in Cile. La galassia ospite è la NGC2986, un’ellittica posta nella costellazione meridionale dell’Hydra a circa 110 milioni di anni luce di distanza e accompagnata in cielo dalla galassia a spirale PGC27873 situata grosso modo alla solita distanza. Nella stessa notte della scoperta, con il Southern African Large Telescope da 10 metri di diametro, in Sudafrica, è stato ripreso lo spettro di conferma che ha permesso di classificare il nuovo transiente come una supernova di tipo Ia scoperta circa due settimane prima del massimo di luminosità e con i gas eiettati dall’esplosione che viaggiano alla velocità di circa 13.700 km/s. Questa supernova è comunque un facile oggetto da immortalare, situato in un fotogenico campo ricco di galassie. L’unico inconveniente è la declinazione a -21°, che penalizza leggermente gli osservatori del Nord Italia. La SN2025gj rappresenta la seconda supernova conosciuta esplosa in NGC2986. La prima fu la SN1999gh scoperta il 3 dicembre 1999 dall’astrofilo giapponese Kesao Takamizawa, anch’essa di tipo Ia.

Immagine della SN2025gj in NGC2986 realizzata dall’astrofilo spagnolo Rafael Ferrando con un telescopio Meade LX200 da 400mm F.7 somma di 12 immagini da 180 secondi.

Immagine della SN2025gj in NGC2986 realizzata dall’astrofilo spagnolo Carlo Segarra con un telescopio da 200mm F.4 somma di 25 immagini da 120 secondi.

Immagine della SN202gj in NGC2986 realizzata dall’astrofilo spagnolo Jordi Camarasa con un riflettore da 500mm F.6,9 somma di 3 immagini da 120 secondi.

RUBRICA SUPERNOVAE COELUM   N. 128

Chiudiamo questo anno 2024 nel migliore dei modi con diverse scoperte amatoriali, iniziando da quella che ci riguarda più da vicino.

Nella notte del 16 dicembre Giancarlo Cortini torna a fare centro, dopo due anni di digiuno, individuando una debole stellina di mag.+18 nella galassia a spirale IC1231 situata nella costellazione del Drago a circa 240 milioni di anni luce di distanza. Dopo la coppia Ciabattari e Mazzoni, Giancarlo Cortini è il terzo italiano con il maggior numero di scoperte amatoriali, raggiungendo quota 33. Agli inizi degli anni ’90, insieme all’amico Mirco Villi, Giancarlo Cortini ha dato vita alla ricerca di supernovae amatoriale italiana e rappresenta perciò un’icona indiscussa per questo tipo di ricerca. Adesso è in pensione e ci ha confidato che avendo più tempo a disposizione ha aumentato la sua attività di ricerca. Speriamo che questo possa portare ad un incremento in termini di scoperte, che purtroppo scarseggiano per la ricerca amatoriale italiana di supernovae in questi ultimi anni. Il nuovo transiente non ha ancora ricevuto la classificazione spettroscopica e pertanto mantiene la sigla provvisoria AT2024aeds. Il motivo della mancanza dello spettro va forse ricercato nella scomoda posizione in cui si trova la galassia, che sarebbe circumpolare (32° dal Polo Nord Celeste) ma in questo periodo è visibile per poco tempo subito dopo il tramonto a Nord-Ovest, scendendo verso l’orizzonte, per poi risalire dalla parte opposta a Nord-Est poco prima dell’alba. Abbiamo comunque dei follow-up nei giorni seguenti la scoperta, sia dello stesso Cortini, che dell’astrofilo spagnolo Carlos Segarra con l’oggetto in aumento di luminosità alla mag.+17.

Immagine della SN2024aeds in IC1231 realizzata da Giancarlo Cortini con un telescopio C14 somma di quattro immagini da 60 secondi.

Immagine della SN2024aeds in IC1231 realizzata dall’astrofilo spagnolo Carlo Segarra con un telescopio da 200mm F.4 somma di 25 immagini da 180 secondi.

Intanto la coppia Mirco Villi e Michele Mazzucato continuano a sfornare scoperte nell’ambito della loro collaborazione con i professionisti del CRTS Catalina che utilizza il telescopio Cassegrain di 1,5 metri di diametro dell’osservatorio americano sul Mount Lemmon in Arizona. La nuova scoperta è stata individuata nella piccola galassia PGC1530 nella costellazione dei Pesci, al confine con quella della Balena, a circa 500 milioni di anni luce di distanza. Al momento della scoperta il nuovo oggetto mostrava una luminosità pari alla mag.+19,5 e nei giorni seguenti è leggermente aumentata fino alla mag.+18,7. Anche questo oggetto non ha ancora ricevuto una classificazione spettroscopica e pertanto mantiene la sigla provvisoria AT2024aeaj.

Immagine di scoperta della AT2024aeaj in PGC1530 ripresa dal Catalina con il telescopio Cassegrain da 1,5 metri.

Immagine della SN2024aduf in NGC5945 realizzata dall’astrofilo spagnolo Carlo Segarra con un telescopio da 200mm F.4 somma di 20 immagini da 180 secondi.

Arriviamo adesso ad una scoperta tutta amatoriale il top per il 2024 in fatto a ricerca, scoperte e classificazioni amatoriali di supernovae. Ci riferiamo all’eccezionale giapponese Koichi Itagaki ed al nostro bravissimo Claudio Balcon (ISSP). Nella notte del 9 dicembre il bravo ed esperto astrofilo giapponese ha individuato una nuova supernova di mag.+16 nella galassia a spirale barrata NGC5945 nella costellazione del Bootes a circa 220 milioni di anni luce di distanza. Il primo a riprendere lo spettro di questo nuovo transiente è stato il nostro Claudio Balcon giunto all’incredibile numero di 164 supernovae classificate per primo nel TNS Transient Name Server. Si tratta di una classica supernova di tipo Ia scoperta pochi giorni prima del massimo di luminosità, raggiunto 2-3 giorni dopo la scoperta intorno alla mag.+15,5. Grazie allo spettro del bellunese alla supernova è stata assegnata la sigla definitiva SN2024aduf.

Shinichi Ono nel cortile di casa, accanto al suo telescopio Celestron 9.25 da 235mm.

Dal Giappone però non arrivano solo le scoperte del grande Itagaki. Già nel gennaio 2023 Hiroshi Okuno aveva individuato la SN2023fu nella galassia IC1874, poi nel gennaio del 2024 era stato il turno di Hidehiko Okoshi che aveva individuato la SN2024ahv nella galassia NGC6106 e adesso con grande soddisfazione abbiamo un’altra new entry di nome Shinichi Ono che mette a segno la sua prima scoperta. Questi astrofili giapponesi seguono le gesta del grande Itagaki riuscendo nel loro piccolo ad ottenere dei risultati di grande prestigio. Abbiamo perciò contattato anche Shinichi Ono per avere delle informazioni sulla sua attività di ricerca.

Nato il 2 gennaio del 1958, tra pochi giorni compirà 67 anni. Abita nella prefettura di Shizuoka, vicino al famoso Monte Fuji. Ha iniziato ad essere attratto dal cielo stellato già ai tempi dell’asilo. Da quattro anni si dedica in maniera assidua alla ricerca di supernovae riprendendo circa 30 campi di galassie ogni notte che è sereno, con il suo telescopio Celestron 9.25 da 235mm F.10 ridotto a F.6,3. Non possiede un vero e proprio osservatorio e il suo strumento è installato in giardino e gestito dall’interno della sua casa. Nella notte del 17 dicembre ha coronato un suo grande sogno individuando una nuova stella di mag.+16,5 nella galassia a spirale barrata NGC2523 nella costellazione della Giraffa al confine con quella dell’Orsa Minore a circa 150 milioni di anni luce di distanza.

Immagine della SN2024aeee in NGC2523 realizzata da Riccardo Mancini con un telescopio Newton da 250mm F.5 esposizione di 90 minuti.

Immagine della SN2024aeee in NGC2523 realizzata dall’astrofilo spagnolo Carlo Segarra con un telescopio da 200mm F.4 somma di 20 immagini da 180 secondi.

Situata a soli 17° dal Polo Nord Celeste, NGC2523 è visibile per tutta la notte. Il programma professionale di ricerca supernovae denominato ZTF possiede un’immagine di questa supernova realizzata circa 7 ore prima di Shinichi Ono, che però per fortuna è stato più rapido nel comunicare la scoperta nel TNS. I primi a riprendere lo spettro di conferma sono stati gli astronomi dell’osservatorio del Roque de los Muchachos nella notte del 19 dicembre con il Liverpool Telescope da 2 metri di diametro. La SN2024aeee, questa la sigla definitiva assegnata, è una supernova di tipo II molto giovane, ricca di idrogeno, ma è ancora troppo presto per stabilire adesso la sottoclasse precisa. Facciamo comunque i nostri sinceri complimenti ad Shinichi Ono per la bella scoperta, con la speranza che sia di incentivo a proseguire ancor di più in questo tipo di ricerca ed ottenere presto altri splendidi successi.

Immagine della SN2024aeee in NGC2523 realizzata da Luca Lacara con un telescopio Celestron 9.25 da 235mm F.10 ridotto a F.6,3 esposizione di 80 minuti.

RUBRICA SUPERNOVAE COELUM   N. 127

SUPERNOVAE AGGIORNAMENTI di Fabio Briganti e Riccardo Mancini

Non sappiamo più quali aggettivi usare per descrivere l’incredibile lavoro portato avanti dal grande ricercatore amatoriale di supernovae Koichi Itagaki, che mette a segno la sesta scoperta del 2024, consolidando la terza posizione nella Top Ten mondiale amatoriale e raggiungendo quota 185 scoperte. Vedere un astrofilo che riesce ripetutamente a battere sul tempo i programmi professionali dedicati a questo tipo di ricerca, ci riempie di gioia. Bisogna però puntualizzare, per non scoraggiare gli altri astrofili, che Itagaki possiede due osservatori controllati in remoto con un numero impressionante di strumenti, superiori a tutti quelli dell’ISSP messi insieme. Inoltre, essendo in pensione, dedica tutto il suo tempo a riprendere e controllare immagini di galassie. E dobbiamo aggiungere che lo fa molto bene.

Nella notte del 15 novembre ha individuato un nuovo transiente di mag.+17,5 nei pressi della bella galassia a spirale barrata peculiare NGC2146 posta nella costellazione della Giraffa a circa 60 milioni di anni luce di distanza ed accompagnata in cielo da una più piccola galassia a spirale barrata denominata NGC2146A. Situate a soli 12° dal Polo Nord Celeste, queste due galassie sono circumpolare e perciò visibili tutta la notte. La caratteristica principale di NGC2146 è la struttura irregolare, con presenza di un immenso braccio di polveri posizionato vicino al nucleo, deformato da un probabile incontro ravvicinato o da una fusione con un’altra galassia più piccola. Questa situazione sembra essere testimoniata anche dall’alta formazione stellare all’interno della galassia, così elevata da far inserire l’oggetto nel novero delle galassie “starburst”.

In tempo di record, dopo solo sei ore dalla scoperta, gli astronomi dell’Indian Astronomical Observatory, situato nell’Himalaya occidentale ad un’altitudine di 4500 metri, uno degli osservatori più alti al mondo, utilizzando l’Himalaya Chandra Telescope da 2,01 metri hanno ottenuto lo spettro di conferma. La SN2024abfl è una supernova di tipo II molto giovane, scoperta circa 3/4 giorni dopo l’esplosione. Un secondo spettro, ripreso due giorni dopo il primo dagli astronomi americani del DLT40, ha confermato il tipo II per questa supernova, con un leggero assorbimento di polveri dovuto alla nostra galassia, che toglie alla luminosità della supernova circa mezza magnitudine. Il nuovo transiente non si è infatti distinto per la sua luminosità, raggiungendo il massimo intorno alla fine del mese di novembre con una luminosità che non è andata oltre alla mag.+16,5. E’ comunque situato in una bella e particolare galassia, oltre che comoda come posizione per gli osservatori dell’emisfero settentrionale. Per chi possiede una strumentazione con un buon campo, può riprendere nel solito scatto la coppia NGC2146 e NGC2146A con la supernova, che appare come un facile oggetto perché posto nella parte periferica della galassia ospite, anche se con una luminosità non elevata. Questa è la terza supernova conosciuta esplosa in NGC2146. La precedente fu la SN2018zd scoperta il 3 marzo 2018 proprio dall’astrofilo giapponesi Koichi Itagaki, che quindi ha un feeling particolare con questa galassia. Inoltre la posizione della SN2018zd è incredibilmente quasi coincidente con quella dell’attuale SN2024abfl. La prima supernova fu invece la SN2005V scoperta il 30 gennaio 2005 dal Nuclear Supernova Search.

1) Immagine della SN2024abfl in NGC2146 ripresa da Riccardo Mancini con un Newton da 250mm F.5 somma di 40 immagini da 180 secondi.

2) Immagine della SN2024abfl in NGC2146 ripresa dall’astrofilo tedesco Manfred Mrotzek con un telescopio da 140mm F.5,4 somma di 27 immagini da 180 secondi.

3) Immagine della SN2024abfl in NGC2146 ripresa dall’astrofilo spagnolo Carlos Segarra con un telescopio da 200mm F.4 somma di 35 immagini da 120 secondi.

RUBRICA SUPERNOVAE COELUM   N. 126

SUPERNOVAE AGGIORNAMENTI di Fabio Briganti e Riccardo Mancini

Questo mese soffermiamo la nostra attenzione su tre supernovae, che ci riguardano da vicino e che possiamo definire come semi-amatoriali. Sono state infatti scoperte da una coppia di astrofili italiani, controllando però immagini ottenute con strumentazione professionale. I due bravi ed esperti astrofili sono: Mirco Villi e Michele Mazzucato, mentre la strumentazione professionale è quella del CRTS Catalina che utilizza il telescopio Cassegrain di 1,5 metri di diametro dell’osservatorio americano sul Mount Lemmon in Arizona. Le tre supernovae sono oltre la mag.+20 e sono state scoperte in ordine cronologico: la prima AT2024wpa individuata la notte del 12 settembre nella galassia a spirale barrata PGC71752 posta nella costellazione dei Pesci a circa 180 milioni di anni luce di distanza; la seconda AT2024ycq individuata la notte del 13 ottobre nella galassia irregolare UGC4882 nella costellazione della Lince a circa 130 milioni di anni luce di distanza; infine la terza SN2024yhg della notte del 15 ottobre nella galassia lenticolare UGC1596 costellazione del Triangolo a circa 210 milioni di anni luce di distanza. Nota: La galassia UGC 1596 accompagnata in cielo dalla galassia a spirale vista di taglio UGC1591, posta anche lei a circa 210 milioni di anni luce di distanza ed entrambe vicine (circa 6°) alla più bella e famosa galassia a spirale M33.

1) Immagine di scoperta della AT2024wap in PGC71752 ripresa dal Catalina con il telescopio Cassegrain da 1,5 metri.

2) Immagine di scoperta della AT2024ycq in UGC4882 ripresa dal Catalina con il telescopio Cassegrain da 1,5 metri.

3) Immagine di scoperta della SN2024yhg in UGC1596 ripresa dal Catalina con il telescopio Cassegrain da 1,5 metri.


Se per le prime due supernovae non è stato ad oggi ripreso uno spettro di conferma, forse anche a causa della debole luminosità, per la terza (SN2024yhg) la situazione è ben diversa.

4) Immagine della SN2024yhg in UGC1596 ripresa da Claudio Balcon con un Newton da 410mm F.5 somma di sei immagini da 60 secondi.

5) Immagine della SN2024yhg in UGC1596 ripresa dall’astrofilo spagnolo Jordi Camarasa in remoto dalla Namibia con un riflettore da 360mm F.8,4 somma di due immagini da 60 secondi.


Scoperta quando mostrava una luminosità pari alla mag.+20,3 nei giorni la sua luminosità è aumentata fino a raggiungere intorno al 25 ottobre la mag.+17,5. Nella notte del 22 ottobre dall’Osservatorio di Mauna Kea nelle Isole Hawaii, con il telescopio UH88 da 2,2 metri di diametro, è stato ripreso lo spettro di conferma. Si tratta di una supernova di tipo Ia-91bg-like, una sottoclasse di supernova di tipo Ia che i cui soggetti si mostrano leggermente più deboli ed evolvono più rapidamente. Hanno gli spettri con righe più strette e presentano le righe del Calcio e del Titanio più intense e meno quelle del Ferro, rispetto ad una tradizionale supernova di tipo Ia. La galassia UGC1596 ha un modulo di distanza di pari a 34, se questa supernova fosse stata una normale tipo Ia, la sua luminosità sarebbe salita fino alla mag.+15 (34-19=15). Comunque  la posizione della galassia ospite in questo periodo dell’anno è ottimale trovandosi quasi allo Zenit già in prima serata. Non sarà perciò difficile ottenere una buona immagine di questa supernova italo-americana insieme a questa interessante coppia di piccole galassie.

Immagine della SN2024yhg in UGC1596 ripresa da Riccardo Mancini con un Newton da 250mm F.5 somma di 20 immagini da 180 secondi.

RUBRICA SUPERNOVAE COELUM   N. 125

SUPERNOVAE AGGIORNAMENTI di Fabio Briganti e Riccardo Mancini

Questo mese soffermiamo la nostra attenzione su due supernovae che non sono molto luminose e poste in galassie neanche molto fotogeniche, però hanno una caratteristica molto importante: sono due supernovae amatoriali. E chi poteva essere l’astrofilo che ha messo a segno questa bella doppietta? Naturalmente il solito veterano ricercatore giapponese Koichi Itagaki che raggiunge così quota 184 scoperte, consolidando la terza posizione della Top Ten mondiale amatoriale. La prima supernova è stata individuata la notte dell’11 settembre nella galassia a spirale UGC690 posta nella costellazione di Andromeda a circa 260 milioni di anni luce di distanza e situata non lontano (circa 5°) dalla famosa galassia di Andromeda M31. Al momento della scoperta il nuovo transiente mostrava una luminosità molto debole pari alla mag.+18,8. Il bravo Itagaki è riuscito a battere sul tempo, per poche ore, i due programmi professionali americani denominati GOTO e ZTF.

1)Immagine della SN2024vfo ripresa dall’astrofilo giapponese Yasuo Sano con un telescopio Schmidt-Cassegrain da 360mm F.11 ed esposizione di 90 secondi.
1) Immagine della SN2024vfo ripresa dall’astrofilo giapponese Yasuo Sano con un telescopio Schmidt-Cassegrain da 360mm F.11 ed esposizione di 90 secondi.


Un primo spettro è stato ripreso la notte seguente la scoperta dagli astronomi americani dell’Haleakala Observatory con il Faulkes Telescope North da 2 metri di diametro, posto a quota 3000 metri nelle Isole Hawaii. La fase ancora troppo giovane ha permesso di evidenziare soltanto che eravamo davanti ad una supernova, ma senza riuscire a decifrarne il tipo. Al nuovo oggetto è stata comunque assegnata la sigla definitiva SN2024vfo. Nella notte successiva del 13 settembre, anche gli astronomi dell’Osservatorio del Roque de los Muchachos nelle Isole Canarie con il Nordic Optical Telescope da 2,56 metri hanno ripreso un nuovo spettro. A distanza di circa 24 ore rispetto al primo spettro la situazione era già molto più chiara, permettendo di classificare la supernova di tipo II con i gas eiettati dall’esplosione che viaggiano ad una velocità di circa 13.000 km/s. Negli ultimi giorni di settembre la luminosità della supernova è leggermente aumentata raggiungendo la mag.+18 e intorno a questo valore sembrerebbe stazionare facendo pensare di essere di fronte ad una supernova di tipo IIP. Se così fosse per altri 100 giorni la luminosità rimarrà invariata intorno a questo valore. Per le nostre latitudini l’oggetto è facilmente osservabile e in prima serata, peccato per la luminosità un po’ bassa.


La seconda supernova di Itagaki è stata invece individuata nella notte del 19 settembre nella galassia lenticolare vista di taglio NGC2830 posta nella costellazione della Lince a circa 310 milioni di anni luce di distanza e situata a circa un grado dalla stella Alpha Elvashak di mag.+3,13. NGC2830 forma un terzetto di galassie con le vicine NGC2831 e NGC2832 che trova menzione nell’atlante di Halton Arp sotto il nome di Arp 315. Non c’è però certezza che le tre galassie siano effettivamente legate fisicamente. Infatti mentre NGC2831 e NGC2832 risultano essere ad una distanza molto simile intorno ai 250 milioni di anni luce, NGC2830 è situata sicuramente più lontano. A differenza della precedente, questa possibile supernova è stata individuata a mag.+17,5 ma in una situazione scomoda, visibile bassa sull’orizzonte Est poco prima dell’alba.


Per questo motivo ad oggi non è stato ancora ripreso lo spettro di conferma e perciò al nuovo transiente è stata assegnata la sigla provvisoria AT2024vsu. Abbiamo però due follow-up di conferma realizzati nella notte seguente la scoperta dagli astrofili giapponesi Toshihide Noguchi e Katsumi Yoshimoto. Il nuovo transiente è stato rilevato a mag.+17,7 quindi leggermente in calo. Se la stima è corretta possiamo ipotizzare che il massimo di luminosità è già avvenuto e forse proprio durante la congiunzione con il Sole. Aspettiamo comunque i prossimi giorni quando la galassia si allontanerà dal Sole permettendo l’ottenimento di una spettro di conferma, che svelerà la reale natura e fase del transiente.

2)Immagine della AT2024vsu ripresa dall’astrofilo giapponese Katsumi Yoshimoto con un riflettore da 510mm F.4,5 somma di 4 immagini da 60 secondi.
2) Immagine della AT2024vsu ripresa dall’astrofilo giapponese Katsumi Yoshimoto con un riflettore da 510mm F.4,5 somma di 4 immagini da 60 secondi.


RUBRICA SUPERNOVAE COELUM   N. 124

SUPERNOVAE AGGIORNAMENTI di Fabio Briganti e Riccardo Mancini

In questo mese non abbiamo nessuna scoperta amatoriale di supernovae da raccontare, ma ci possiamo consolare con un successo targato ISSP relativamente ad una Nova Extragalattica. Nella notte del 24 agosto, utilizzando il telescopio Ritchey Chretien da 400mm F.8, il team dell’Osservatorio di Monte Baldo, formato da Flavio Castellani, Vittorio Andreoli e Raffaele Belligoli è riuscito ad individuare un nuovo transiente di mag.+17,1 nella famosa galassia di Andromeda M31.

Immagine di scoperta della AT2024ssq in M31 ottenuta dal team dell’Osservatorio di Monte Baldo con un telescopio Ritchey Chretien da 400mm F.8 e 100 minuti di posa.
Immagine di scoperta della AT2024ssq in M31 ottenuta dal team dell’Osservatorio di Monte Baldo con un telescopio Ritchey Chretien da 400mm F.8 e 100 minuti di posa.

Gli amici di Monte Baldo nell’acquisizione della prima immagine della nuova stella hanno preceduto il programma professionale americano ZTF per circa 8 ore ed incredibilmente anche l’altro programma professionale americano ATLAS per soli 17secondi! Le buone notizie però non finisco qui: nella notte seguente la scoperta, con la Nova calata leggermente verso la mag.+18 il nostro Claudio Balcon è riuscito a classificarla per primo nel TNS come una classica Nova. Nel suo spettro infatti era ben visibile la linea H-Alpha intorno ai 6500 Armstrong, tipico delle Novae Extragalattiche. Abbiamo pertanto una Nova Extragalattica scoperta e classificata tutto in casa ISSP. Alla Nova è stata assegnata la sigla provvisoria AT2024ssq, ma presto dovrebbe prendere la sigla definitiva, che molto probabilmente sarà M31N-2024-08e con il nome della galassia ospite seguita dalla lettera N (Nova), l’anno, il mese e la lettera “e” che in questo caso rappresenta la quinta Nova scoperta e confermata nel mese di agosto del 2024 in M31. L’Osservatorio di Monte Baldo, insieme ai cinesi del programma XOSS capitanati da Xing Gao e all’astrofilo ceco Kamil Hornoch, sono leader indiscussi a livello mondiale nel campo della ricerca di Novae Extragalattiche.

Elaborazione dello spettro della AT2024ssq in M31 ottenuto da Claudio Balcon con un telescopio Newton da 410mm F.5,5 dove è evidenziata la linea H-Alpha intorno ai 6500 Armstrong, tipico delle Novae Extragalattiche.
Elaborazione dello spettro della AT2024ssq in M31 ottenuto da Claudio Balcon con un telescopio Newton da 410mm F.5,5 dove è evidenziata la linea H-Alpha intorno ai 6500 Armstrong, tipico delle Novae Extragalattiche.

Concludiamo la rubrica soffermando la nostra attenzione su due supernovae scoperte entrambe nella notte del 23 luglio ed esplose in due galassie esteticamente molto fotogeniche. Una di queste due supernovae è risultata anche molto luminosa, peccato che sia visibile solo dall’emisfero australe.

La prima ad essere stata scoperta è stata proprio la supernova individuata dal programma professionale americano denominato DTL40 nella galassia a spirale barrata NGC6221 posta nella costellazione dell’Ara a circa 65 milioni di anni luce di distanza. Al momento della scoperta il nuovo transiente mostrava una luminosità pari alla mag.+15,1.

Nella stessa notte, gli astronomi americani dal Cerro Tololo Observatory con il SOAR Souther Astrophysical Research Telescope, un moderno telescopio da 4,10 metri con ottiche attive posto a 2.700 metri di altitudine sul Cerro Pachon in Cile, hanno ottenuto lo spettro di conferma. La SN2024pxg, questa la sigla definitiva assegnata, è una giovane supernova di tipo II scoperta 4 giorni dopo l’esplosione. Nei giorni seguenti la sua luminosità è aumentata leggermente fino a raggiungere la mag.+14,5. Questa è la seconda supernova conosciuta esplosa in NGC6221, la prima fu la SN1990W scoperta il 16 agosto 1990 dal famoso astrofilo australiano Robert Evans, che purtroppo ci ha lasciato nel novembre del 2022.

Immagine della SN2024pxg in NGC6221 ottenuta dall’astrofilo spagnolo Jordi Camarasa con un riflettore da 360mm F.8,4 somma di 7 immagini da 60 secondi.
Immagine della SN2024pxg in NGC6221 ottenuta dall’astrofilo spagnolo Jordi Camarasa con un riflettore da 360mm F.8,4 somma di 7 immagini da 60 secondi.

La seconda supernova del 23 luglio è stata invece scoperta dal programma professionale americano di ricerca supernovae Zwicky Transient Facility (ZTF) nella galassia a spirale barrata NGC6384 nella costellazione di Ofiuco a circa 80 milioni di anni luce di distanza. Nella notte seguente la scoperta, dal Siding Spring Observatory con l’ANU Telescope da 2,3 metri è stato ripreso lo spettro di conferma che ha permesso di classificare la SN2024pxl come una supernova di tipo Iax 02cx-like scoperta circa una settimana prima del massimo, che si è verificato nei primi giorni del mese di agosto intorno alla mag.+15,5. Le supernovae di tipo Iax sono transienti rari e peculiari, che prendono il nome dal prototipo di questo gruppo di oggetti, cioè la SN2002cx. Sono supernovae di solito più deboli e con righe nello spettro molto più strette rispetto ad una normale supernova di tipo Ia e sono associate a popolazioni stellari giovani. La loro interpretazione fisica è ancora in fase di approfondimento e sono perciò seguite con molto interesse dalla comunità astronomica internazionale. Questa è la terza supernova conosciuta esplosa in NGC6384. Le altre due sono state la SN2017drh scoperta il 3 maggio del 2017 dal programma professionale DTL40 di tipo Ia e la SN1971L scoperta il 24 giugno del 1971 da Logan di tipo I, che raggiunse la notevole mag.+12,8.

Immagine della SN2024pxl in NGC6384 ottenuta dall’astrofilo spagnolo Rafael Ferrando con un telescopio Meade LX200 da 400mm F.7
Immagine della SN2024pxl in NGC6384 ottenuta dall’astrofilo spagnolo Rafael Ferrando con un telescopio Meade LX200 da 400mm F.7

RUBRICA SUPERNOVAE COELUM   N. 123

SUPERNOVAE AGGIORNAMENTI

Questo mese torniamo a parlare di scoperte amatoriali con una vecchia conoscenza dell’emisfero meridionale: il neozelandese Stuart Parker. Fino al 2021 Parker rivaleggiava a suon di scoperte con il grande Itagaki per contendersi la terza posizione della Top Ten mondiale amatoriale. Purtroppo nell’agosto del 2021 una grande tempesta danneggiò irreparabilmente il suo osservatorio posto ad Oxford, piccola cittadina a circa 60 km dalla città di Christchurch e per un paio di anni ha dovuto sospendere la sua grande passione di cercare supernovae. Finalmente nel febbraio 2023 e tornato al successo con la SN2023pbx nella galassia NGC3557 ed adesso mette a segno una nuova e luminosa scoperta ottenuta la notte del  10 luglio nella galassia lenticolare NGC3706 posta nella costellazione del Centauro a circa 130 milioni di anni luce di distanza. Al momento della scoperta il nuovo transiente mostrava una luminosità pari alla mag.+16 e anche se molto luminoso era situato vicino al nucleo della galassia ospite. Stranamente nessun osservatorio professionale ad oggi ha ripreso lo spettro di conferma e pertanto il nuovo oggetto ha ancora la sigla provvisoria AT2024pfn. Fortunatamente abbiamo un’immagine di follow-up ottenuta cinque giorni dopo la scoperta dall’astrofilo spagnolo Jordi Camarasa, che perciò ha confermato la presenza della supernova con una luminosità in aumento a mag.+14,5. Purtroppo dalle nostre latitudini la galassia NGC3706 non è facile da osservare trovandosi alla declinazione di -36°. Sono avvantaggiati gli astrofili del Sud Italia con la galassia che a Catania culmina a circa 16° sopra l’orizzonte.

Immagine della AT2024pfn in NGC3706 ripresa dall’astrofilo neozelandese Stuart Parker in remoto con un telescopio da 400mm.

Immagine della AT2024pfn in NGC3706 ripresa dall’astrofilo spagnolo Jordi Camarasa con un riflettore da 360mm F.8,4 somma di 12 immagini sa 60 secondi.

Anche gli astrofili cinesi del programma XOSS, capitanati da Xing Gao, sono tornati al successo, proprio nella notte del 10 luglio, individuando una debole stellina di mag.+18,7 nella piccola galassia a spirale UGC11499 posta nella costellazione del Cigno a circa 340 milioni di anni luce di distanza. In questi ultimi anni i cinesi sono stati sicuramente i più prolifici in fatto di scoperte, ben 11 nel 2024, raggiungendo la quota di 98 scoperte e occupando in maniera stabile la settima posizione del Top Ten mondiale. A breve raggiungeranno quota 100, un traguardo che solo un ristretto numero di grandi astrofili è riuscito a raggiungere: Puckett 385, Newton 202, Itagaki 182, Parker 167, Boles 155 e Monard 150. I primi a riprendere lo spettro di conferma della supernova cinese sono stati gli astronomi americani dell’Osservatorio di Mauna Kea nelle Isole Hawaii con il telescopio da 2,2 metri. La SN2024pgy, questa la sigla definitiva assegnata, è una supernova di Tipo Ia scoperta circa due settimane prima del massimo di luminosità, con i gas eiettati dall’esplosione che viaggiano alla velocità di circa 14.000 km/s. Intorno al 25 luglio la supernova ha infatti raggiunto il suo massimo di luminosità, sfiorando la mag.+16. I cinese sono stati rapidi nell’inserire la scoperta nel TNS bruciando sul tempo due programmi professionali denominati GOTO e ZTF che avevano immortalato questa supernova alla mag.+19,6 il giorno prima dei cinesi. Questa è la seconda supernova conosciuta esplosa nella galassia UGC11499. La prima fu la SN2009hz, di tipo II, scoperta il 3 agosto del 2009 dal programma professionale di ricerca supernovae denominato LOSS.

Immagine della SN2024pgy in UGC11499 ripresa da Riccardo Mancini con un Newton 250mm F.5 somma di 36 immagini da 120 secondi.

Immagine della SN2024pgy in UGC11499 ripresa dall’astrofilo spagnolo Carlos Segarra con un telescopio da 200mm F.4

RUBRICA SUPERNOVAE COELUM   N. 122

SUPERNOVAE AGGIORNAMENTI

Anche questo mese, come il precedente, purtroppo non abbiamo da segnalare nessuna scoperta amatoriale. Sta diventando sempre più difficile la vita per gli astrofili che portano avanti la ricerca amatoriale di supernovae extragalattiche. Soffermiamo comunque la nostra attenzione su una interessante nonché peculiare supernova, degna di un approfondimento. Nella notte del 2 giugno il programma professionale americano di ricerca supernovae denominato Zwicky Transient Facility (ZTF) ha inserito per primo nel Transient Name Server (TNS) la comunicazione di scoperta di una nuova stella di mag.+17,5 in una piccola galassia Anonima molto vicina alla grande galassia ellittica M49, poste entrambe nella costellazione della Vergine.

In realtà il primo a riprendere questo nuovo transiente, quando mostrava una luminosità pari alla mag.+18,2 è stato il programma professionale americano di ricerca supernovae e pianetini denominato ATLAS Asteroid Terrestrial-impact Last Alert System, tre ore prima di ZTF. Lo spettro di conferma di conferma invece è arrivato dagli astronomi americani del Lick Observatory in California con il telescopio Shane da 3 metri di diametro.

Aggiornamenti Supernovae
1) Immagine della SN2024kce, vicina alla galassia M49, ripresa dall’astrofilo spagnolo Calors Segarra con un telescopio da 200mm F.4, confrontata con una sua immagine d’archivio che permette di evidenziare la piccola galassia nana oscurata, nell’immagine attuale, dalla luce della supernova. Un altro chiaro esempio di una supernova che diventa più luminosa dell’intera galassia che la ospita.

La SN2024kce, questa la sigla definitiva assegnata, è una giovane supernova di tipo Ia-pec, dove la peculiarità si evidenzia nella bassa luminosità e nella forte presenza di Calcio. I gas eiettati dall’esplosione viaggiano ad una velocità di circa 15.600 Km/s. Vista la posizione del nuovo transiente, la domanda è sorta subito spontanea: si trattava di una supernova esplosa in Messier 49 oppure nella piccola galassia nana situata a circa 13’ a Nord dal centro di M49? In realtà anche se M49 è una galassia ellittica molto estesa con un diametro di circa 160.000 anni luce, è molto improbabile che il suo alone più esterno possa arrivare così lontano. Inoltre il redshift della supernova riporta un valore di 0,003 che corrisponde ad una distanza di circa 40 milioni di anni luce. M49 si trova invece ad una distanza di circa 55 milioni di anni luce. Alla luce di questi dati, la supernova è quasi sicuramente esplosa nella parte meridionale della piccola galassia nana situata solo prospetticamente vicino ad M49 ed anche se più vicina in termini di distanza (quasi 15 milioni di anni luce), risulta molto poco appariscente e quasi scompare, sovrastata dalla grande estensione del gigante M49.

Aggiornamenti Supernovae
2) Immagine della SN2024kce ripresa da Enrico Prosperi con un rifrattore da 70mm F.6, il campo più largo permette di evidenziare le numerose galassie che circondano M49 all’interno dell’Ammasso della Vergine.

Nei giorni successivi alla scoperta, la supernova ha comunque incrementato la sua luminosità, raggiungendo il massimo il 13 giugno alla discreta mag.+13,6 per poi iniziare la discesa. A fine giugno la luminosità è calata intorno la mag.+15 ma permette ancora di ottenere delle belle immagini di una campo stellare ricco di galassie (siamo infatti all’interno dell’Ammasso della Vergine) dove troneggia M49.

RUBRICA SUPERNOVAE COELUM   N. 121

SUPERNOVAE AGGIORNAMENTI

Questo mese purtroppo non abbiamo da segnalare nessuna scoperta amatoriale. Ci possiamo però consolare con un nuovo successo messo a segno dall’esperta coppia di astrofili Mirco Villi e Michele Mazzucato, che collaborano ormai da diversi anni con i professionisti americani del CRTS Catalina.

Nella notte del 15 maggio hanno individuato una debole stellina di mag.+19,7 analizzando immagini professionali realizzate con il telescopio Cassegrain di 1,5 metri di diametro dell’osservatorio americano sul Mount Lemmon in Arizona. La galassia ospite è la NGC7312, una spirale barrata posta nella costellazione di Pegaso a circa 450 milioni di anni luce di distanza.

Nei giorni seguenti la scoperta, il nuovo transiente è aumentato leggermente di luminosità raggiungendo la mag.+19 e facendo ipotizzare di essere di fronte ad una supernova di tipo II, però ad oggi nessun osservatorio professionale ha ripreso uno spettro di conferma e pertanto al nuovo oggetto rimane assegnata la sigla provvisoria AT2024ixe.

supernovae aggiornamenti
1) Immagine di scoperta della AT2022ixe in NGC7312 ripresa dal Catalina con il telescopio Cassegrain da 1,5 metri.

Da un transiente molto debole e quindi difficile da seguire, passiamo adesso alle due supernova più luminose del periodo. La prima è stata scoperta la notte del 10 maggio dal programma professionale americano denominato Automatic Learning for the Rapid Classification of Events (ALeRCE) nella galassia lenticolare NGC3524 posta nella costellazione del Leone a circa 70 milioni di anni luce di distanza. Al momento della scoperta il nuovo transiente appariva come una debole stellina di mag.+18,3 ma nei giorni seguenti ha aumentato costantemente la sua luminosità fino a raggiungere il massimo intorno al 27 maggio sfiorando la notevole mag.+12,5.

SUPERNOVAE AGGIORNAMENTI

I primi a riprendere lo spettro di conferma sono stati gli astronomi americani del Palomar Observatory con il telescopio da 1,5 metri. La SN2024inv, questa la sigla definitiva assegnata, è una giovane supernova di tipo Ia. Ci teniamo a sottolineare una particolarità: il bravissimo e famoso astrofilo giapponese Koichi Itagaki questa volta è arrivato leggermente in ritardo. Ha inserito infatti nel TNS la sua scoperta appena 7 minuti dopo i professioni americani, perdendo così la possibilità di inanellare una nuova scoperta. Gli va comunque riconosciuto che anche questa volta si trovava nel posto giusto ed al momento giusto!

Supernovae aggiornamenti
2) Immagine della SN2024inv ripresa da Riccardo Mancini con un telescopio Newton da 250mm F.5 esposizione di 60 minuti.

La seconda supernova più luminosa di questo periodo è stata invece scoperta nella notte del 12 maggio dal programma professionale denominato Gravitational-ware Optical Transient Observer (GOTO) nella piccola galassia nana PGC1846725, poco appariscente ma abbastanza vicina. Si trova infatti nella costellazione della Chioma di Berenice a circa 60 milioni di anni luce di distanza.

Al momento della scoperta il transiente appariva già molto luminoso a mag.+14,6 e nei giorni seguenti ha aumentato ulteriormente la sua luminosità fino a raggiungere il massimo intorno al 25 maggio superando leggermente la mag.+13. Ci è capitato spesso in passato di imbatterci in supernovae che con la loro luminosità hanno raggiunto ed a volte anche superato quella della galassia che le ospitava.

Questa volta però siamo di fronte ad un caso davvero eclatante

con la supernova che ha letteralmente surclassato in luminosità la piccola galassia ospite nana, che rimane pertanto invisibile, nascosta dall’immensa luce dell’esplosione della supernova.

Supernovae aggiornamenti
3) Immagine della SN2024iss ripresa da Gianluca Masi con un telescopio C14 somma di 8 immagini da 120 secondi.

SUPERNOVAE AGGIORNAMENTI

Il primo spettro di conferma è stato ripreso il 14 maggio dall’Osservatorio del Roque de los Muchachos con il Liverpool Telescope da 2 metri, confermando che eravamo di fronte ad una supernova, ma la fase era ancora troppo giovane per poterne distinguere il tipo. La notte seguente gli astronomi americani del Palomar Observatory con il telescopio da 1,5 metri hanno ottenuto a loro volta un nuovo spettro e stavolta è comparsa la linea dell’Idrogeno tipico delle supernovae di tipo II. Al transiente è stata perciò assegnata la sigla definitiva SN2024iss, con i gas eiettati dall’esplosione che viaggiano alla velocità di circa 20.000 km/s. L’oggetto è facile da seguire perché molto luminoso, peccato che la piccola galassia ospite è praticamente invisibile.

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Coelum Astronomia 274 III/2025 Digitale

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Le Costellazioni del Mese

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Le costellazioni del mese di Giugno 2025

Con l’arrivo dell’estate boreale, le notti di giugno si trasformano in una finestra privilegiata sul cielo profondo, rivelando figure leggendarie e gioielli astronomici alla portata di occhi curiosi e telescopi appassionati. In questo mese, due protagonisti dominano la volta celeste: l’eroico Ercole, con le sue fatiche scolpite tra le stelle, e il misterioso Serpente, che avvolge con eleganza la figura del guaritore Ofiuco. Tra ammassi globulari luminosissimi, nebulose scolpite dalla nascita stellare e galassie dalla forma insolita, il cielo di giugno offre un percorso affascinante tra scienza e mitologia, invitandoci a osservare, comprendere e lasciarci stupire.

LA COSTELLAZIONE DI ERCOLE

Nelle notti di giugno e per tutta l’estate dell’emisfero boreale, possiamo godere della visione di una delle figure più note nell’astronomia e nella mitologia, ovvero Ercole.

Posta tra il Boote e la Lira, la costellazione è molto estesa (1225 gradi quadrati) ma non gode di astri particolarmente luminosi; la sua sagoma è individuabile grazie a un quadrilatero di stelle noto come Chiave di Volta, nella parte occidentale di Ercole, la cui stella più luminosa è ζ Hercules (Ruticulus), una stella gialla di magnitudine 2,81.

La costellazione non possiede stelle di prima magnitudine, la più luminosa è β Herculis, nota come Kornephoros, di magnitudine 2,78.

α Hercules (Ras Algethi) dall’arabo “la testa dell’inginocchiato” è una supergigante rossa variabile di magnitudine media 3,51, accompagnata da una stella di quinta, anch’essa doppia.

È una delle stelle doppie più conosciute e per poterla osservare occorre comunque un telescopio di media potenza mentre, ad occhio nudo o con un buon binocolo, ci si può rendere conto delle sue variazioni.

HR Number(*) Star designation Proper name Visual magnitude Notes  
HR6148 β Herculis Kornephoros 2.77 Variable; Double;
HR6212 ζ Herculis   2.81 Variable; Double;
HR6410 δ Herculis Sarin 3.14 Variable; Multiple;
HR6418 π Herculis   3.16 Variable;  
HR6623 μ Herculis   3.42 Multiple;  
HR6406 α1 Herculis Rasalgethi 3.48 Variable; Multiple;
HR6220 η Herculis   3.53 Variable; Double;
HR6703 ξ Herculis   3.7 Variable;  
HR6095 γ Herculis   3.75 Variable; Multiple;
HR6588 ι Herculis   3.8 Variable; Double;
HR6779 ο Herculis   3.83 Variable;  
HR6895 109 Herculis   3.84 Variable; Double;
HR6695 θ Herculis   3.86 Variable;  
HR6092 τ Herculis   3.89 Variable; Double;
HR6324 ε Herculis   3.92    
HR7061 110 Herculis   4.19 Variable; Multiple;
HR6168 σ Herculis   4.2 Variable; Double;
HR6023 φ Herculis   4.26 Variable;  
HR6787 102 Herculis   4.36 Double;  
HR7069 111 Herculis   4.36 Multiple;  
           

OGGETTI DEL PROFONDO CIELO IN ERCOLE

La costellazione giace lontata dalla porzione di cielo attraversata dalla Via Lattea, in una regione povera di galassie luminose; quelle osservabili sono tutte molto lontane ed estremamente deboli.

LUCA BALESTRIERI COSIMELLI DALLA GALLERY DI PHOTOCOELUM

M13 E IL MESSAGGIO ARECIBO

Ma in compenso Ercole ci offre uno degli oggetti più luminosi, conosciuto dagli astrofili esperti e da quelli alle prime armi, ovvero M13.

IMMAGINE CAMPO LARGO M13 E GALASSIA A SPIRALE NGC 6207 CREDITI: FABIO DAMONTE DALLA GALLERY DI PHOTOCOELUM

L’Ammasso Globulare di Ercole è il più luminoso dell’emisfero boreale e il terzo della volta celeste: è un oggetto ben visibile con un binocolo e persino ad occhio nudo. Ha una magnitudine apparente pari a 5,8 e conta al suo interno centinaia di migliaia di stelle.

All’oggetto M13 è correlato il famoso “messaggio Arecibo”, ovvero il segnale radio in codice binario trasmesso nello spazio dal radiotelescopio di Arecibo, a Porto Rico, il 16 novembre del 1974 e indirizzato proprio verso l’Ammasso Globulare di Ercole, a 25000 anni luce di distanza.

Il radiotelescopio, ormai tristemente smantellato nel 2020 per irreversibili danni ambientali, aveva preso parte al progetto SETI per la ricerca di vita intelligente extraterrestre.

Un altro ammasso luminoso presente nella costellazione è M92, meno facile da individuare rispetto ad M13, ma comunque approcciabile con un binocolo di apertura 10×50, attraverso il quale l’ammasso appare come una macchia biancastra diffusa, mentre sarà possibile risolverlo mediante l’impiego di un telescopio di almeno 200 mm di apertura.

Oltre agli ammassi in Ercole risiede una delle nebulose planetarie più grandi della Via Lattea, Abell 39, un oggetto che possiede un diametro di ben 5 anni luce e la cui forma, circolare e trasparente, ricorda una bolla di sapone.

IMMAGINE ABELL 39 CREDITI: ANDREA ARBIZZI DALLA GALLERY DI PHOTOCOELUM

ERCOLE NELLA MITOLOGIA

Quella di Ercole è senza dubbio una delle figure più note della mitologia: la sua fama è legata alle 12 fatiche che l’eroe dovette affrontare e che e gli valsero la sua eterna gloria.

Le prove che Ercole doveva portare a compimento erano le seguenti:

  • Uccidere l’immortale idra di Lerna
  • Catturare la cerva di Cerinea
  • Catturare il cinghiale di Erimanto
  • Ripulire in un giorno le stalle di Augia
  • Disperdere gli uccelli del lago Stinfalo
  • Catturare il toro di Creta
  • Rubare le cavalle di Diomede
  • Impossessarsi della cintura di Ippolita, regina delle Amazzoni
  • Rubare i buoi di Gerione
  • Rubare i pomi d’oro dal giardino delle Esperidi
  • Portare vivo Cerbero, il cane a tre teste guardiano degli inferi, a Micene
IMMAGINE OPERA ERCOLE E L’IDRA CREDITI: ANTONIO DEL POLLAIOLO

In origine gli antichi greci associavano la figura di Ercole a quella dell’Inginocchiato, senza però attribuirgli un significato specifico; solo successivamente venne ribattezzata definitivamente con il nome di Ercole l’immagine dell’eroe nell’atto di inginocchiarsi, probabilmente comesegno di riposo dopo aver affrontato le dodici fatiche.

Ercole era venerato come simbolo di forza e abilità sia dai greci che dai romani, ed era ritenuto protettore degli sport e delle palestre. Fu onorato in numerosi santuari sparsi in tutta la Grecia e le sue tante imprese, espressione dell’altruismo e della forza fisica, lo fecero credere il fondatore dei Giochi Olimpici.

Sia greci che romani lo ritenevano un eroe sí valoroso e possente ma anche simbolo di generosità e altruismo: egli infatti conquistó la fama di grandezza morale oltre che fisica, e per tale motivo meritava un posto tra le stelle.

Grazie alla mano di Ercole
regna la Pace fra l’Aurora e il Vespero,
e nel luogo in cui il sole a mezzogiorno nega le ombre ai corpi;
tutta la terra bagnata dal lungo circuito di Teti è stata sottomessa alla fatica di Alcide.
Seneca, La follia di Ercole 883-888

Ma la parte più affascinate del mito di Ercole è quella legata alla Via Lattea: per i Greci Ercole era il figlio di Zeus e di Alcmena, una fanciulla vittima dei capricci del padre degli dei: narra la leggenda che Zeus si trasformò nel marito della giovane per possederla e da questa unione nacque l’eroe mitologico, che fu abbandonato ancora in fasce dalla sua mamma.

Zeus però teneva molto a quel figlio, per metà immortale, e fece in modo che sua moglie Era lo trovasse e lo allattasse: accadde che il bambino fu trovato e preso in braccio da Era, che lo portò al seno nel tentativo di allattarlo (secondo altre versioni fu Zeus ad avvicinarlo al seno di Era mentre la dea dormiva); il piccolo Ercole però si mosse bruscamente (o fu proprio Era ad allontanarlo) e così nacque una delle più belle storie della mitologia: il movimento, involontario oppure voluto, provocó uno schizzo di latte che raggiunse il cielo, creando il fiume di stelle che diede vita alla Via Lattea.

LA COSTELLAZIONE DEL SERPENTE


Nel cielo di giugno incontriamo un’altra costellazione tipica del periodo estivo, quella del Serpente, l’unica delle moderne costellazioni ad essere divisa in due parti, Testa del Serpente (ad Ovest) e Coda del Serpente (ad Est); nel mezzo si trova collocata la costellazione di Ofiuco, “colui che porta il serpente”.

La parte della Testa è quasi completamente a Nord dell’Equatore celeste, mentre la Coda è a cavallo di esso, lungo la parte terminale della Fenditura del Cigno.

Alfa Serpentis (Unukalhai) è la stella più brillante della costellazione: essa si trova nella Testa del Serpente ed è una stella arancione di magnitudine 2,63, distante 73 anni luce.

Età Serpentis è la seconda stella più luminosa della costellazione, una gigante o subgigante arancione con una magnitudine apparente di 3,26 e distante 60,5 anni luce dal Sistema Solare, situata nella Coda del Serpente.

 

HR Number(*) Star designation Proper name Visual magnitude Notes
HR5854 α Serpentis Unukalhai 2.65 Multiple;
HR6869 η Serpentis   3.26 Variable; Double;
HR5881 μ Serpentis   3.53  
HR6561 ξ Serpentis   3.54 Variable; Double;
HR5867 β Serpentis   3.67 Multiple;
HR5892 ε Serpentis   3.71  
HR5789 δ Serpentis   3.8 Variable; Multiple;
HR5933 γ Serpentis   3.85 Variable; Multiple;
HR5879 κ Serpentis Gudja 4.09 Variable;
HR6581 ο Serpentis   4.26 Variable;
HR6446 ν Serpentis   4.33 Double;
HR5868 λ Serpentis   4.43 Variable;
HR5842 ι Serpentis   4.52 Multiple;
HR6710 ζ Serpentis   4.62  
HR7141 θ1 Serpentis Alya 4.62 Variable; Multiple;
HR5899 ρ Serpentis   4.76 Variable;
HR6093 σ Serpentis   4.82  
HR5972 π Serpentis   4.83  
HR7142 θ2 Serpentis   4.98 Multiple;
HR5694 5 Serpentis   5.06 Variable; Multiple;

OGGETTI DEL PROFONDO CIELO NEL SERPENTE

Mentre la parte della Testa giace lontano dalla Via Lattea, quella della Coda è invece adagiata sulla regione della nostra galassia che più a Nord è nota come Fenditura del Cigno e dell’Aquila, un complesso di polveri interstellari che offuscano stelle e oggetti.

IMMAGINE M5 CREDITI: FERNANDO OLIVEIRA DE MENEZES DALLA GALLERY DI PHOTOCOELUM

Nella Testa del Serpente si trova l’ammasso globulare M5, uno dei più brillanti del cielo: esso contiene più di 100.000 stelle ed è situato a un distanza di 24.500 anni luce dalla Terra.

Tra le nebulose situate nella costellazione, la più famosa è certamente la Nebulosa Aquila, M16.

IMMAGINE M16 CREDITI: Sh2-54 E M16 CREDITI: CRISTINA CELLINI DALLA GALLERY DI PHOTOCOELUM

 

La Nebulosa Aquila è una grande regione H II visibile nella Coda del Serpente: è uno degli oggetti più ripresi e fotografati, formato da un giovane ammasso aperto di stelle associato a una nebulosa a emissione composta da idrogeno ionizzato, catalogata come IC 4703.

M16 dista dalla Terra circa 7000 anni luce e contiene uno dei capolavori dell’Universo, il re degli oggetti deepsky, noto come I Pilastri della Creazione.

Il telescopio spaziale James Webb della NASA ha catturato un paesaggio lussureggiante e ricchissimo di dettagli: gli iconici Pilastri della Creazione, dove nuove stelle si stanno formando all’interno di dense nubi di gas e polvere. I pilastri tridimensionali sembrano maestose formazioni rocciose, ma sono molto più permeabili. Queste colonne sono composte da gas interstellare freddo e polvere che appaiono, a volte, semitrasparenti alla luce del vicino infrarosso.

IMMAGINE IC 4756 CREDITI: CRISTINA CELLINI DALLA GALLERY DI PHOTOCOELUM

Sull’estremità settentrionale della Coda del Serpente spicca l’ammasso IC 4756, formato da diverse decine di componenti. Nel Serpente c’è anche una galassia di aspetto molto singolare, nota come Oggetto di Hoag.

IMMAGINE OGGETTO DI HOAG CREDITI: NASA e Hubble Heritage Team (STScI/AURA); Ringraziamenti: Ray A. Lucas (STScI/AURA)

Un anello quasi perfetto di stelle blu calde volteggia attorno al nucleo giallo di una galassia insolita, nota come Oggetto di Hoag, in questa immagine della Wide Field and Planetary Camera 2 di Hubble. L’anello blu, dominato da ammassi di stelle giovani e massicce, contrasta nettamente con il nucleo giallo, composto per lo più da stelle più vecchie. Quella che sembra una “lacuna” che separa le due popolazioni stellari potrebbe in realtà contenere ammassi stellari quasi troppo deboli per essere visti.

IL SERPENTE NELLA MITOLOGIA

Nella mitologia il serpente è il rettile associato alla figura di Ofiuco, che per i Greci rappresenta a sua volta Asclepio, guaritore e figlio di Apollo; il motivo per il qualesulla volta celesteOfiuco regga tra le mani un serpente non è ben chiaro, ma è probabile che ciò derivi dal fatto che una volta Asclepio ne uccise un esemplare, il quale riprese vita grazie ad un’erba miracolosa portata in bocca da un altro serpente e, successivamente, impiegata da Asclepio per resuscitare i morti.

Il serpente era l’emblema della rinascita, per via della sua caratteristica di mutare pelle ogni anno.

Ofiuco e Serpente sono dunque uniti e brillano insieme sulla volta celeste.

Le costellazioni del mese di Maggio 2025

Mentre le costellazioni invernali sono oramai tramontate, nel cielo di maggio, ponendo lo sguardo ad Est, ci imbattiamo nelle figure che ci accompagneranno durante l’estate. Tra queste in prima serata fanno il loro ingresso il Boote, la Corona Boreale e la Chioma di Berenice.

Sono asterismi non particolarmente appariscenti ma degni di attenzione poiché, come la Chioma di Berenice, ricchi di oggetti del profondo cielo e di aneddoti che intrecciano la scienza al mito.

LA COSTELLAZIONE DI CHIOMA DI BERENICE

Un groviglio di stelle sparse sui sentieri celesti del mese di maggio,ma all’apparenza vicine, danno forma a una figura nota come la Chioma di Berenice.

“E ancora umida di pianto la dea mi pose nel firmamento, nuova stella fra quelle antiche. Io, sfiorando le costellazioni della Vergine e dell’ardente Leone, insieme con Callisto volgo ad occidente guidando il lento Boòte, che solo all’alba s’immerge nel profondo Oceano”.

Catullo, Carme 66

Situata tra il Boote e il Leone, come narrano i versi di Catullo, la costellazione è ben visibile nel cielo di maggio e sino alla fine di luglio, quando la vedremo declinare gradualmente verso Ovest.

La costellazione non spicca per luminosità poiché molte delle stelle che la compongono fanno parte di un ammasso aperto, situato a 250 anni luce e noto come Mel 111 o Ammasso della Chioma di Berenice.

La sua stella principale β Comae Berenices, di magnitudine apparente 4,23, ha una magnitudine assoluta  di poco più luminosa del Sole; α Comae Berenices è la seconda stella più luminosa della costellazione è possiede il nome di Diadem: si tratta di una stella binaria con una magnitudine +4,32 e si trova a 60 anni luce.

A comporre la costellazione c’è anche la stella binaria Al Dafirah, che dall’arabo significa “treccia”.

HR Number(*) Star designation Proper name Visual magnitude
HR4983 β Comae Berenices   4.26
HR4737 γ Comae Berenices   4.36
HR4697 11 Comae Berenices   4.74
HR4920 36 Comae Berenices   4.78
HR4954 41 Comae Berenices   4.8
HR4707 12 Comae Berenices   4.81
HR4789 23 Comae Berenices   4.81
HR4894 35 Comae Berenices   4.9
HR4924 37 Comae Berenices   4.9
HR4883 31 Comae Berenices   4.94
HR4733 14 Comae Berenices   4.95
HR4667 7 Comae Berenices   4.95
HR4668     5
HR4738 16 Comae Berenices   5
HR4792 24 Comae Berenices   5.02
HR4663 6 Comae Berenices   5.1
HR4851 27 Comae Berenices   5.12
HR4717 13 Comae Berenices   5.18
HR4969 α Comae Berenices   5.22
HR4968 α Comae Berenices Diadem 5.22

OGGETTI NON STELLARI NELLA CHIOMA DI BERENICE

Tra ammassi e galassie, la costellazione è davvero ricca di oggetti del profondo cielo.

Uno di questi è M53, che appare visibile con un telescopio anche di piccole dimensioni: si tratta di un ammasso di grande interesse scientifico, che sappiamo abbondare di elementi chimici quali Ferro, Calcio, Titanio, Sodio e Ossigeno grazie alle rilevazioni dello spettrografo Hydra, montato nel telescopio Wisconsin- Indiana – Yale di 3,5 metri del National Optical Astronomy Observatory.

M53 CREDITI: LINO BENZ DEL GRUPPO ASTROFILI DEL SALENTO

Per quanto riguarda le galassie presenti nella costellazione, una delle più note e riprese dagli astrofili è M64, conosciuta come Galassia Occhio Nero o Galassia Occhio del Diavolo: è una galassia a spirale che ha di fronte al suo  luminoso centro galattico una vistosa banda scura di polveri.

M64 CREDITI: LORENZO BUSILACCHI

Particolare è l’oggetto che possiamo ammirare nell’immagine realizzata da Lorenzo Busilacchi, che mostra l’oggetto Arp242 o Galassie dei Topi, una coppia di galassie interagenti scoperta da William Herschel nel 1785, che venne catalogato come NGC 4676; l’oggetto è situato a 300 anni luce dalla Terra. 

ARP 242 CREDITI: LORENZO BUSILACCHI

Un altro interessante oggetto deepsky che si trova nella Chioma di Berenice, a 40 milioni di anni luce, è la galassia a spirale barrata NGC 4725: con un telescopio di almeno 200 mm di apertura di riesce a individuare il suo luminoso nucleo e i suoi bracci esterni.

NGC 4725 CREDITI: LINO BENZ DEL GRUPPO ASTROFILI DEL SALENTO

A 350 milioni di anni luce da noi c’è l’Ammasso della Chioma (Abell 1656), un ricco ammasso che comprende circa 1000 grandi galassie e migliaia di altre galassie più piccole: la mappatura completa è stata realizzata sono negli anni ’50 dagli astronomi dell’Osservatorio del Monte Palomar, che hanno stabilito come la maggior parte delle componenti dell’ammasso siano galassie ellittiche e lenticolari.

LA CHIOMA DI BERENICE NELLA MITOLOGIA

Regina cirenaica di rara bellezza, Berenice era la sposa del re egizio Tolomeo III: la devozione per il suo sposo era tale da spingere Berenice a consacrare la sua splendida chioma come pegno d’amore alla dea Afrodite, affinché favorisse il ritorno incolume di suo marito dalla guerra.

Quando il re tornò dalla sua amata regina, ad ella non rimase che tenere fede alla sua promessa, è così agghindó i suoi capelli in un raccolto, probabilmente una treccia, che poi tagliò, portandolo al tempio dedicato ad Afrodite.

Ma il giorno dopo di quel pegno d’amore non vi era  traccia, qualcuno lo aveva trafugato, gettando i sovrani nella rabbia e nella sconforto: a placare le ire ci pensò Conone di Samo, un matematico e astronomo dell’epoca, che tranquillizzó i sovrani asserendo di aver trovato lui la chioma della regina, in un posto speciale, ovvero di averla individuata sulla volta celeste: come ci suggeriscono i versi di Catullo, citati sopra, fu la stessa dea Afrodite a suggellare il gesto d’amore di Berenice per suo marito, trasformando la chioma in luminose stelle e ponendola nel cielo come eterno simbolo di devozione.

LA COSTELLAZIONE DEL BOOTE

Il Boote è una costellazione riconoscibile grazie ad una delle stelle più luminose del cielo notturno dopo Sirio, Canopo e Alfa Centauri, ovvero Arturo.

La stella alfa del Boote è una gigante rossa con un diametro di 35 milioni di kilometri,  grande circa 25 volte il Sole e luminosa circa 113 volte la nostra stella, ma se teniamo conto di tutte le bande dello spettro elettromagnetico allora possiamo affermare che Arturo arriva ad una luminosità totale circa 200 volte quella della nostra stella.

Alfa Boo è situata a una distanza di 36,7 anni luce da noi e, pur appartenendo all’emisfero boreale, la sua posizione 19° a Nord dell’equatore celeste, fa sì che Arturo sia visibile da tutte le aree popolate della Terra.

Nella costellazione sono presenti stelle variabili come W Bootis, molto luminosa, e stelle doppie come v1 – v2 Bootis e risolvibili anche con un binocolo.

Tabella delle stelle della Costellazione del Bootes

HR Number(*) Star designation Proper name Visual magnitude Notes
HR5340 α Boötis Arcturus -0.04 Variable;
HR5235 η Boötis Muphrid 2.68 Double;
HR5506 ε Boötis Izar 2.7 Multiple;
HR5435 γ Boötis Seginus 3.03 Variable; Multiple;
HR5681 δ Boötis   3.47 Variable; Double;
HR5602 β Boötis Nekkar 3.5 Variable;
HR5429 ρ Boötis   3.58 Variable; Double;
HR5404 θ Boötis   4.05 Variable; Double;
HR5200 υ Boötis   4.07 Variable;
HR5351 λ Boötis Xuange 4.18 Variable;
HR5733 μ1 Boötis Alkalurops 4.31 Variable; Multiple;
HR5478 ζ Boötis   4.43 Variable; Multiple;
HR5447 σ Boötis   4.46 Variable; Multiple;
HR5185 τ Boötis   4.5 Variable; Double;
HR5329 κ2 Boötis   4.54 Variable; Double;
HR5616 ψ Boötis   4.54  
HR5544 ξ Boötis   4.55 Variable; Multiple;
HR5502 ο Boötis   4.6  
HR5350 ι Boötis   4.75 Variable; Multiple;
HR5618 44 Boötis   4.76 Variable; Double;

OGGETTI NON STELLARI NELLA COSTELLAZIONE DEL BOOTES

Il Boote non ospita molti oggetti del profondo cielo e il più noto è l’ammasso globulare NGC 5466, distante50.000 anni luce e risolvibile con telescopi di almeno 250 mm di diametro.

NGC 5466 Crediti: ESA/Hubble

IL BOOTE NELLA MITOLOGIA

La mitologia greca narra del Boote in relazione all’Orsa Maggiore, nella vicenda che vede coinvolta la ninfa Callisto, figlia del re di Arcadia, Licaone, e ancella di Artemide.

La fanciulla era un’abile cacciatrice e, come tutte le ninfe al seguito di seguito di Artemide, aveva fatto voto di castità.

Vi sono diverse versioni che narrano di Callisto e dalla sua triste storia:  la bellissima ninfa era divenuta l’oggetto (ennesimo) del desiderio di Zeus che la trasformò in un’orsa per sottrarla all’ira funesta di Era, dopo che Zeus aveva giaciuto con lei.

Un’altra legenda narra che fu proprio Artemide a trasformare Callisto in un’orsa, come punizione, dopo aver scoperto lo stato di gravidanza della sua ancella che, ricordiamo, aveva fatto voto di castità.

In ogni caso la metamorfosi di Callisto avvenne dopo aver dato alla luce Arcade, un bellissimo bambino che venne allevato da Artemide e le altre sue ancelle.

Una volta diventato un giovane uomo, Arcade venne a conoscenza di un’ orsa che si aggirava nel bosco, e si mise sulle tracce per ucciderla.

Dopo essere riuscito a scovarla, Arcade si preparò ad ucciderla, ignorando che in realtà l’animale incarnasse la sua mamma: mentre il giovane era sul punto di colpire la povera orsa con una lancia, Zeus, impietosito, fermò il tempo e trasformò sia l’orsa che Arcade in stelle, collocandoli sulla volta celeste.

Nel cielo madre e figlio brillano vicini, prolungando infatti la “coda”dell’Orsa Maggiore, costellazione che rappresenterebbe Callisto, si arriva alla stella Arturo del Boote, che rappresenta invece Arcade; il nome dell’astro significa proprio “inseguitore dell’orsa”.

LA COSTELLAZIONE DELLA CORONA BOREALE

Dal mese di maggio e per tutta l’estate possiamo ammirare la Corona Boreale, un piccolo diadema di stelle posto tra Ercole e Boote.

La stella principale della costellazione è Alphecca o Gemma, una binaria a eclisse con magnitudine 2,2 e distante dalla Terra 75 anni luce.

CORONA BOREALE CREDITI: GIUSEPPE J. DONATIELLO

Le altre stelle più luminose che compongono la Corona Boreale sono Nusakan (Beta Corona Borealis) e Gamma Corona Borealis.

Tabella delle stelle della Costellazione del Bootes

HR Number(*) Star designation Proper name Visual magnitude Notes
HR5958     2 Variable; Double;
HR5793 α Coronae Borealis Alphecca 2.23 Variable;
HR5747 β Coronae Borealis Nusakan 3.68 Variable; Double;
HR5849 γ Coronae Borealis 3.84 Variable; Double;
HR5778 θ Coronae Borealis 4.14 Variable; Double;
HR5947 ε Coronae Borealis 4.15 Multiple;
HR5889 δ Coronae Borealis 4.63 Variable;
HR6018 τ Coronae Borealis 4.76 Variable; Double;
HR5901 κ Coronae Borealis 4.82 Double;
HR6103 ξ Coronae Borealis 4.85 Double;
HR5971 ι Coronae Borealis 4.99 Variable;
HR5834 ζ2 Coronae Borealis 5.07 Double;
HR5800 μ Coronae Borealis 5.11  
HR6107 ν1 Coronae Borealis 5.2 Variable; Multiple;
HR6108 ν2 Coronae Borealis 5.39  
HR5968 ρ Coronae Borealis 5.41 Double;
HR5936 λ Coronae Borealis 5.45 Double;
HR5709 ο Coronae Borealis 5.51 Variable; Double;
HR5855 π Coronae Borealis 5.56  
HR5957     5.62  

OGGETTI NON STELLARI NELLA CORONA BOREALE

La piccola costellazione ospita un ammasso di galassie, Abell2065, situato a un miliardo di anni luce dal nostro Sistema Solare, con magnitudine 15.

L’ammasso fa parte di uno dei più grandi e particolari superammassi di galassie dell’emisfero boreale, ovvero il Superammasso della corona Boreale.

Esso si trova a 946 milioni di anni luce e contiene sette ammassi, di cui Abell 2056, 2061, 2065, 2067 e 2089 sono legati gravitazionalmente e sono nella fase di collasso per formare un grosso ammasso.

LA CORONA BOREALE NELLA MITOLOGIA

Una corona di stelle, un dono di nozze e il legame tra mitologia e volta celeste: pare infatti che il dio Dioniso si innamoròperdutamente di Arianna,figlia di Minossee promessa sposadi Teseo; la giovane fanciulla però fu lasciatada Teseo prima del matrimonio, sull’isola di Nasso: dall’evento pare sia nata la  locuzione  “piantare in Nasso”.

Quando il dio la vide piangere, inconsolabile per l’abbandono subito, decise di regalarle una meravigliosa e brillante corona come dono di nozze.

Il diadema donato ad Arianna si trasformò in stelle dopo che il dio Efesto lo ebbe lanciato in cielo e lì rimase a brillare per l’eternità.

Le costellazioni del mese di Aprile 2025

Tutte le sere, quando si apre il sipario della notte, nel cielo nero si accendono le stelle e inizia lo spettacolo che da millenni mette in scena storie in cui si muovono eroi dotati di superpoteri, mostri e ibridi da fantascienza, fanciulle più divine che terrestri: tutti impegnati in un repertorio d’amori e d’avventure ai confini della realtà.

Margherita Hack

Nel cielo di aprile incontriamo le costellazioni della Vergine e dei Cani da Caccia, ricche di oggetti molto amati dagli astrofili e circondate da storie e leggende mitologiche.

LA COSTELLAZIONE DELLA VERGINE

Quella della Vergine è una costellazione molto estesa (circa 1300 gradi quadrati) la seconda più ampia della volta celeste dopo l’Hydra; l’asterismo è posto tra quello del Leone e quello della Bilancia ed è facilmente individuabile grazie alla sua stella più brillante Spica (alfa Virginis), un astro di colore bianco-azzurro che con la sua magnitudine di 1.04 si colloca al quindicesimo posto tra le stelle più brillanti del cielo notturno.

Spica è situata a una distanza di 262 anni luce e si trova in direzione della mano della fanciulla che la costellazione della Vergine rappresenta, indicando una spiga di grano stretta tra le dita.

Insieme alle stelle Arturo del Boote e Denebola del Leone, Spica costituisce uno dei vertici del Triangolo primaverile.

Tra gli astri che compongono la costellazione della Vergine la seconda più luminosa è Porrima (gamma Virginis), una stella doppia di magnitudine apparente di 2.74, le cui componenti sono di pari colore (giallastro); il sistema binario è posto a una distanza di 39 anni luce.

Al terzo posto per luminosità brilla la stella gigante gialla Vindemiatrix (epsilon Virginis) o Vendemmiatrice, che possiede una magnitudine di 2.85, distante 102 anni luce: le origini del nome di questa stella risalgono a più di 2.000 anni fa quando epsilon Virginis sorgeva alle prime luci dell’alba a inizio settembre, periodo in cui si svolgeva la vendemmia.

A causa della Precessione degli Equinozi, le cose ad oggi sono un po’ variate, e Vindemiatrix ha lasciato il posto agli astri della costellazione del Leone.

Tabella delle stelle della Costellazione della Vergine

HR Number(*) Star designation Proper name Visual magnitude Notes  
HR5056 α Virginis Spica 0.98 Variable; Multiple;  
HR4932 ε Virginis Vindemiatrix 2.83 Variable; Double;  
HR5107 ζ Virginis Heze 3.37    
HR4910 δ Virginis Minelauva 3.38 Variable; Double;  
HR4540 β Virginis Zavijava 3.61 Multiple;  
HR4825 γ Virginis Porrima 3.65 Variable; Multiple;  
HR4826 γ Virginis   3.68 Variable; Multiple;  
HR5511 109 Virginis   3.72 Variable;  
HR5487 μ Virginis   3.88    
HR4689 η Virginis Zaniah 3.89 Variable; Multiple;  
HR4517 ν Virginis   4.03 Variable;  
HR5338 ι Virginis Syrma 4.08 Variable;  
HR4608 ο Virginis   4.12    
HR5315 κ Virginis Kang 4.19    
HR5264 τ Virginis   4.26 Multiple;  
HR4963 θ Virginis   4.38 Multiple;  
HR5601 110 Virginis   4.4    
HR5359 λ Virginis Khambalia 4.52 Variable;  
HR4589 π Virginis   4.66    
HR4813 χ Virginis   4.66 Multiple;  

OGGETTI NON STELLARI NELLA COSTELLAZIONE DELLA VERGINE

Nella costellazione della Vergine risiedono oggi del profondo cielo davvero affascinanti: uno dei più importanti è l’ammasso di galassie della Vergine, composto da circa

2. 500 membri e che a sua volta fa parte del Superammasso della Vergine, di cui fa parte anche il Gruppo Locale, ovvero il gruppo di galassie a cui appartiene la nostra Via Lattea.

IMMAGINE CATENA DI MARKARIAN CREDITI: GIANNI MELIS

Parte dell’Ammasso della Vergine è composto dall’oggetto deep sky noto come Catena di Markarian: si tratta di una striscia di galassie disposta lungo una linea vagamente incurvata, che prende il nome dall’astrofisico armeno Benjamin Markarian, il quale scoprì il moto comune della galassie nei primi anni 60.

Tra gli altri oggetti non stellari nella Vergine come non citare uno dei più noti del profondo cielo, ovvero M87, la galassia che con il suo getto relativistico e l’emissione di raggi X e gamma rappresenta un importante oggetto di studio nell’ambito dell’astronomia e radio astronomia.

IMMAGINE M87 CREDITI: NASA, ESA e Hubble Heritage Team (STScI/AURA); Riconoscimenti: P. Cote (Herzberg Institute of Astrophysics) ed E. Baltz (Stanford University)

La galassia ospita un buco nero supermassiccio e una famiglia di circa 15.000 ammassi globulari: il getto rilasciato dal centro galattico è un flusso di materiale alimentato dal buco nero che viene espulso dal nucleo di M87. Mentre il materiale gassoso dal centro della galassia si accumula sul buco nero, l’energia rilasciata produce un flusso di particelle subatomiche che vengono accelerate a velocità prossime a quella della luce.

La Vergine ospita una scenografica coppia di galassie nota come Arp 240, composta da galassie a spirale di massa e dimensioni simili, NGC 5257 e NGC 5258. Le galassie interagiscono visibilmente tra loro tramite un ponte di stelle fioche che le collega.

IMMAGINE ARP 240 CREDITI: Hubble Collaboration e A. Evans (University of Virginia, Charlottesville/NRAO/Stony Brook University)

Infine un ultimo sguardo su un’altra galassia molto conosciuta, ovvero M104, nota come Galassia Sombrero

M104 CREDITI: GIANNI MELIS

LA VERGINE NELLA MITOLOGIA

La costellazione della Vergine viene rappresentata come una fanciulla con in mano delle spighe: l figura è da sempre associata al chicco di grano che muore e rinasce, al periodo dei raccolti, alla mietitura, da cui deriva proprio il nome della Stella alfa della costellazione, ovvero Spica, che è visibile dopo il tramonto proprio durante i mesi primaverili ed estivi.

Nella mitologia la figura della Vergine mette d’accordo un po’ tutte le antiche popolazioni, dai Sumeri agli Egizi, ai greci: ad essa si associa l’alternarsi delle stagioni e del ciclo della vita.

La mitologia greca ci porta in Sicilia, sulle rive del Lago di Pergusa, nell’entroterra ennese, dove una giovane fanciulla di nome Proserpina, figlia di Demetra, (dea dell’agricoltura e della fertilità) , era intenta a raccogliere dei fiori quando, da una fenditura del terreno, uscì fuori un cocchio trainato da quattro cavalli e condotto dal dio dell’oltretomba Plutone, che rapí la giovane (il famoso ratto di Proserpina) facendone la sua sposa e trascinandola con sé negli inferi.

Demetra, dopo averla cercata ovunque, fu mossa da una disperazione tale da lasciar calare un lungo e freddo inverno sulla campagna siciliana, provocando devastazione e terreni non più fertili.

Dopo qualche tempo la dea interpelló il dio del Sole Elio, testimone del rapimento di Proserpina: fu allora che Demetra si recò da Giove minacciando di far morire ogni forma di vita esistente se non le fosse restituita sua figlia.

Plutone a quel punto, incalzato da Giove, acconsentí a rendere la fanciulla a sua madre, ma bleffando: egli infatti offrì a Proserpina un melograno avvelenato di cui ella però mangiò solo pochi semi.

Gli dei, mossi dalla pena e dalle minacce di Demetra, stabilirono un compromesso: Proserpina avrebbe vissuto per sei mesi negli inferi con Plutone e sei mesi sulla Terra con sua madre.

Questo alternarsi tra l’ombra e la luce è il simbolo del chicco che muore e rinasce e del continuo incedere delle stagioni e della vita stessa.

LA COSTELLAZIONE DEI CANI DA CACCIA

Alta sull’orizzonte orientale, nel mese di aprile, possiamo osservare la costellazione dei Cani di Cacci.

Posta accanto alla Chioma di Berenice, tra il Boote e l’Orsa Maggiore, questa costellazione appare visibile nel cielo primaverile ed estivo.

La sua stella principale, alfa Canum Venaticorum, è nota anche come Cor Caroli, ed è una stella doppia di magnitudine 2,89 distante 110 anni luce, risolvibile già attraverso l’impiego di un buon telescopio.

HR Number(*) Star designation Proper name Visual magnitude Notes
HR4915 α2 Canum Venaticorum Cor Caroli 2.9 Variable; Double;
HR4785 β Canum Venaticorum Chara 4.26 Variable;
HR5112 24 Canum Venaticorum   4.7 Variable;
HR5017 20 Canum Venaticorum   4.73 Variable;
HR5219     4.74 Variable;
HR4716 5 Canum Venaticorum   4.8 Variable;
HR5127 25 Canum Venaticorum   4.82 Multiple;
HR4997     4.92  
HR5110     4.98 Variable;
HR4846   La Superba 4.99 Variable;
HR4728 6 Canum Venaticorum   5.02  
HR5023 21 Canum Venaticorum   5.15 Variable;
HR4943 14 Canum Venaticorum   5.25 Variable;
HR4690 3 Canum Venaticorum   5.29  
HR4783     5.42  
HR5186     5.5 Double;
HR5032 23 Canum Venaticorum   5.6  
HR4914 α1 Canum Venaticorum   5.6 Double;
HR5195     5.62  
HR4945     5.63 Double;

OGGETTI NON STELLARI NELLA COSTELLAZIONE DEI CANI DA CACCIA

Questa è una costellazione che ospita davvero molti interessanti oggetti del profondo cielo, ripresi facilmente anche in maniera amatoriale.

Uno di questi è senza dubbio Messier 106, una galassia a spirale relativamente vicina, a poco più di 20 milioni di anni luce di distanza.

A 100 milioni di anni luce da noi è presente un ammasso di una ventina di galassie, il cosiddetto ammasso Hickson Compact Group 68, uno dei più luminosi ed appariscenti gruppi del catalogo Hickson.

HGC 68 CREDITI: GIUSEPPE LIVRIERI

Nella costellazione è presente anche un luminoso ammasso globulare noto come M3, uno dei più brillanti del cielo.

L’ammasso è visibile già all’oculare di un buon binocolo, per rivelarsi al meglio attraverso l’utilizzo di un telescopio anche amatoriale.

Le notti di primavera sono l’ideale per accingersi all’osservazione di M3.

I CANI DA CACCIA TRA MITO E STORIA

Nel 1687 l’astronomo polacco Johannes Hevelius formò la costellazione dei Cani da Caccia, inserendola tra il Boote e l’Orsa Maggiore, in una regione di cielo a suo dire troppo vuota e che bisognava integrare con un oggetto che comprendesse anche la stella Cor Caroli, Cuore di Carlo (ll d’Inghilterra).

Perché la scelta fosse ricaduta proprio su due cani da caccia non è ben chiaro: essi venivano attribuiti ora al Boote ora all’Orsa Maggiore.

Un’altra storia ci porta tra gli intrighi della corona inglese, dove il medico di corte Charles Scarborough denominó una stella con l’appellativo di Cor Caroli, in onore di Carlo l, in seguito alla sua decapitazione durante la guerra civile inglese.

Successivamente Edmund Halley associó l’astro a Carlo ll, salito al trono dopo la morte del padre: il monarca accolse con entusiasmo che il suo nome fosse tra le stelle e, mosso forse da una certa riconoscenza nei confronti di Halley, decise di dare il via alla realizzazione di uno dei più illustri osservatori del mondo: l’osservatorio Astronomico di Greenwich.

Le costellazioni del mese di Marzo 2025

Nel cielo di Marzo troveremo costellazioni sia facili che meno note e luminose: la Costellazione del Leone, la Costellazione del Leone Minore e la Costellazione della Giraffa.

LA COSTELLAZIONE DEL LEONE

Una delle costellazioni protagoniste del cielo primaverile, che transita al meridiano intorno al  15 di aprile, è indubbiamente la Costellazione del Leone: essa è posta tra il Cancro e la Vergine ed è osservabile già dalla prima serata; per riconoscerla sarà sufficiente individuare la tipica forma trapezoidale che la identifica, di cui la stella Regolo (alfa Leonis) costituisce uno dei suoi vertici (quello orientato a Sud-Ovest).

Regolo è un sistema stellare composto da quattro stelle divise in due coppie; con la sua magnitudine +1,40 è la ventunesima stella più luminosa del cielo notturno. Dista circa 79 anni luce da noi e la sua vicinanza all’Equatore celeste fa sì che possa essere osservata da tutte le aree popolate della Terra.

Con il suo colore bianco-azzurro, Regolo si rende facilmente visibile nelle serate primaverili e, insieme ad altre stelle della costellazione del Leone, va a comporre un asterismo chiamato Falce.

Si tratta di un oggetto molto brillante, noto anche come Falce Leonina, la cui forma richiama appunto quella dell’oggetto di cui porta il nome.

Il vertice Sud-Orientale della figura del Leone è costituito dalla stella Denebola, che rappresenta la coda dell’animale: è una delle stelle più vicine a noi, trovandosi a 36 anni luce di distanza; con la sua luce bianca è circa 17 volte più luminosa del Sole.

Denebola è una stella variabile della tipologia Delta Scuti, con una luminosità che varia leggermente nel giro di poche ore.

Da studi cinematici risulta che Denebola potrebbe essere una componente di un’associazione stellare di cui fanno parte anche Alpha Pictoris, Beta CanisMinoris e l’ammasso aperto IC 2391.

Numero HR(*) Designazione della stella Nome proprio Magnitudine visiva Appunti
HR3982 Un leone Regolo 1.35 Variabile; Multiplo;
HR4534 ß Leone Denebola 2.14 Variabile; Multiplo;
HR4357 dLeoni Zosma 2.56 Variabile; Multiplo;
HR4057 ?1 Leone Algieba 2.61 Variabile; Multiplo;
HR3873 E Leonis   2,98 Variabile;
HR4359 ? Leoni Certan 3.34 Variabile;
HR4031 ? Leoni Adhafera 3.44 Variabile; Doppio;
HR3975 E Leonide   3.52 Variabile; Doppio;
HR3852 o Leonis Subra 3.52 Multiplo;
HR4058 ?2 Leoni   3.8 Variabile; Multiplo;
HR4133 ? Leonis   3,85 Variabile;
HR3905 µ Leonis Rasala 3.88  
HR4399 Io Leonis   3.94 Variabile; Doppio;
HR4386 s Leonis   4.05  
HR4471 di Leonis   4.3 Raddoppiare;
HR3773 ? Leoni Alterf 4.31 Variabile;
HR3980 31 Leoni   4.37 Raddoppiare;
HR4300 60 Leoni   4.42  
HR3731 e Leonis   4.46 Variabile; Multiplo;
HR4368 f Leoni   4.47 Raddoppiare;

OGGETTI NON STELLARI NELLA COSTELLAZIONE DEL LEONE

GALASSIA A SPIRALE NGC 2903 CREDITI: ESA/Hubble, NASA e L. Ho, J. Lee e il team PHANGS-HST

La costellazione del Leone ospita diversi oggetti non stellari come le galassie M65M66M105 e NGC 2903: quest’ultima, oltre ad essere una galassia a spirale barrata, è anche l’oggetto più brillante della costellazione e possiamo ammirarne i dettagli nell’incredibile immagine ad alta risoluzione catturata dal Telescopio Spaziale HUBBLE, attraverso l’utilizzo della Advanced Camera for Surveys (ACS) e la Wide Field Camera 3 (WFC3).

TRIPLETTO DEL LEONE CREDITI: MASSIMO DI FUSCO

Le Galassie M66, M65 e NGC 3628 formano il famigeratoTripletto del Leone, che si trova a 35 milioni di anni luce dalla Terra. Entro i confini della costellazione sono stati scoperti anche diversi sistemi planetari: attorno alla nana rossa Gliese 436, posta a 33 anni luce dal Sole, orbita un pianeta la cui massa è simile a quella di Nettuno; vi è poi la stella HD 102272 attorno alla quale orbitano due pianeti di tipo giovano.

IL LEONE NELLA MITOLOGIA

Nota già sin dai tempi dei Babilonesi per la sua identificazione con il Sole, poiché ospitava il Solstizio d’Estate, la costellazione del Leone è mitologicamente legata alla figura di Ercole.

Secondo il mito, la dea Era possedeva un famelico leone che tormentava il popolo di Nemea: l’animale, dotato di una spessa e invulnerabile pelliccia, sembrava essere immune a qualsiasi arma.

Nell’impresa di cacciarlo e ucciderlo vi riuscì solamente Ercole, che dopo aver sconfitto la feroce bestia, la scuoiò, indossando da quel momento la pelliccia impenetrabile del leone. La fierezza dell’animale fu tramutata in stelle da Zeus, che collocò la sua figura sulla volta celeste.

LA COSTELLAZIONE DEL LEONE MINORE

Nel cielo serale di marzo possiamo cercare la piccola costellazione del Leone Minore: essa raffigura un cucciolo di leone e fu introdotta nel 1687dall’astronomo polacco Johannes Hevelius.

La costellazione è situata tra quella del Leone e dell’Orsa Maggiore, composta da debole stelli che non appartenevano a nessun’altra figura celeste.

Una curiosità riguardo a questo asterismo è che nonostante abbia una stella beta, non possegga una stella alfa: pare che proprio il fautore della costellazione non si preoccupò di classificare le stelle che aveva raggruppato nel Leone Minore e così circa 150 anni dopo, l’astronomo inglese Francis Baily, assegnò la lettera Beta alla seconda stella in ordine di brillantezza del Leone Minore, ma lasciò senza denominazione la più brillante!

Si tratta di Praecipua, una stella gigante di classe spettraleK0 situata ad una distanza di circa 98 anni luce, che ha una magnitudine apparente di 3,83.

La stella beta del Leone Minore è una binaria di magnitudine 4,2 e le sue componenti orbitano tra loro in un periodo di 37 anni.

Numero HR(*) Designazione della stella Nome proprio Magnitudine visiva Appunti
HR4247 46 Leone Minore Precipuo 3.83 Variabile;
HR4100 ß Leone Minore 4.21 Raddoppiare;
HR3974 21 Leoni Minori 4.48 Variabile;
HR3800 10 Leoni Minori 4.55 Variabile;
HR4166 37 Leone Minore 4.71  
HR4090 30 Leoni Minori 4.74  
HR4192 41 Leone Minore 5.08  
HR3928 19 Leoni Minori 5.14  
HR4203 42 Leone Minore 5.24 Raddoppiare;
HR4024 23 Leoni Minori 5.35  
HR3951 20 Leoni Minori 5.36 Raddoppiare;
HR3769 8 Leoni Minori 5.37 Variabile;
HR3815 11 Leone Minore 5.41 Variabile; Doppio;
HR4081 28 Leone Minore 5.5  
HR4189 40 Leoni Minori 5.51 Multiplo;
HR4137 34 Leone Minore 5.58  
HR4113 32 Leoni Minori 5.77  
HR3993     5,85 Variabile;
HR4168 38 Leone Minore 5,85  
HR3764 7 Leoni Minori 5,85 Multiplo;

OGGETTI NON STELLARI NELLA COSTELLAZIONE DEL LEONE MINORE

Uno degli oggetti non stellari più brillanti della costellazione è la galassia NGC 3344, ben visibile con un telescopio di 150 mm di apertura.

NGC 3344 CREDITI: CRISTINA CELLINI

Vi sono poi altre galassie di facile osservazione come NGC 3486 e NGC 2859, anche se l’oggetto più misterioso presente nella costellazione è quello denominato come Hanny’s Voorwerp: dall’olandese “Oggetto di Hanny”,  si tratta di un bizzarro oggetto che il telescopio della NASA/ESA, ha immortalato come  un’insolita e spettrale macchia di gas verde che sembra fluttuare vicino a una galassia a spirale dall’aspetto normale, chiamata IC 2497.

HANNY’S VOORWERP CREDITI: NASA, ESA, William Keel (Università dell’Alabama, Tuscaloosa) e il team del Galaxy Zoo

L’oggetto  verdastro è visibile perché è stato illuminato da un fascio di luce proveniente dal nucleo della galassia. Questo fascio proveniva da un quasar, un oggetto luminoso ed energetico alimentato da un buco nero.

Il quasar potrebbe essersi spento negli ultimi 200.000 anni.

LA COSTELLAZIONE DELLA GIRAFFA

In una remota area di cielo compresa tra Orsa Maggiore, Cassiopea e Auriga, è posta la costellazione della Giraffa, nota anche come Camelopardalis.

Si tratta di una costellazione circumpolare difficilmente riconoscibile ad occhio nudo, soprattutto da un cielo urbano, proprio perché è collocata in una regione buia della volta celeste ed è composta da stelle molto deboli.

La più luminosa della Giraffa è Beta Camelopardalis, una supergigante gialla di magnitudine +4,03 distante circa 900 anni luce.

Alfa Camelopardalis è invece una stella supergigante blu con magnitudine apparente di +4,29, distante 5240 anni luce.

Numero HR(*) Designazione della stella Nome proprio Magnitudine visiva Appunti
HR1603 ß Giraffa   4.03 Multiplo;
HR1035     4.21 Variabile; Doppio;
HR1542 a Giraffa   4.29  
HR1155     4.47 Variabile;
HR1568 7 Giraffe   4.47 Multiplo;
HR1040     4.54  
HR2527     4.55  
HR1148 ? Giraffa   4.63 Multiplo;
HR1129     4.8 Raddoppiare;
HR2209     4.8  
HR985     4.84 Variabile; Doppio;
HR2742     4,96 Variabile;
HR1205     5 Raddoppiare;
HR1204     5.03  
HR1686     5.05 Multiplo;
HR1467 3 Giraffe   5.05 Variabile; Doppio;
HR1242     5.06  
HR1622 11 Giraffe 5.08 Variabile; Multiplo;
HR1046     5.09 Variabile; Multiplo;
HR1105     5.1 Variabile;

OGGETTI NON STELLARI NELLA COSTELLAZIONE DELLA GIRAFFA

Questa costellazione è tuttavia ricca di vari oggetti del profondo cielo: tra questi c’è l’ammasso 1502, composto da una cinquantina di stelle osservabile già con un buon binocolo.

NGC 1502 CREDITI: LINO BENZ DEL GRUPPO ASTROFILI DEL SALENTO

Nei pressi dell’ammasso si trova un oggetto davvero affascinante, la cosiddetta Cascata di Kemble, un asterismo che appare come una sequenza di stelle di diversi colori e luminosità, disposte e allineate sono per un effetto prospettico.

Addentrandoci ancora nel profondo cielo in direzione della Giraffa, incontriamo la galassia a spirale intermedia NGC 2403, un oggetto molto amato dagli astrofili.

NGC 2403 CREDITI: MASSIMO DI FUSCO

Nell’immagine di seguito, realizzata da Lino Benz del Gruppo Astrofili del Salento, possiamo apprezzare una serie di oggetti nella Giraffa: si tratta di vdB 14,vdB 15, Sh2-202 e Stock 23.

VDB14, VDB 15, SH2-202, STOCK 23 CREDITI: LINO BENZ DEL GRUPPO ASTROFILI DEL SALENTO

vdB 14  e vdB 15 sono rispettivamente una piccola nebulosa a riflessione e una brillante nebulosa a riflessione, che si trova a circa 2600 anni luce da noi all’interno della nostra galassia.

Sh2-202 è un’estesa nebulosa diffusa visibile al confine fra le costellazioni di Cassiopea e della Giraffa. Èindividuabile ad  est del Complesso delle nebulose Cuore e Anima, nel punto in cui la scia luminosa della Via Lattea sembra interrompersi bruscamentea causa di grossi banchi di polveri oscure.

L’altro oggetto presente nell’immagine è Stock 23, classificato talvolta come ammasso aperto e talvolta come un semplice asterismo.

Trattandosi di una costellazione creata da PetrusPlancius nel 1612, quella della Giraffa non possiede riferimenti mitologici.

Le costellazioni del mese di Febbraio 2025

Nel cielo di febbraio troveremo le costellazioni che caratterizzano l’inverno boreale: in prima serata brillano inconfondibili le figure di Orione, Toro, Auriga, Gemelli e il Cane Maggiore con la sua luminosa Sirio.

LA COSTELLAZIONE DEI GEMELLI

In questo mese la volta celeste ci offre la visione delle stelle Castore e Polluce, simbolo della costellazione dei Gemelli, che transita al meridiano intorno al 20 febbraio: con una magnitudine di 1,6 e distante circa 52 anni luce da noi, Castore è composta da tre coppie di stelle aventi una complessa interazione gravitazionale tra di loro; sebbene Castore venga indicata come la stella alfa della costellazione, è in realtà meno luminosa di Polluce.

Beta Geminorum, ovvero Polluce, è una gigante  di colore arancione con una magnitudine di 1,15 ed è situata a 34 anni luce da noi.

La classificazione delle stelle alfa e beta dei Gemelli è un po’ controversa: benché Polluce sia più brillante di Castore, tanto da occupare il 17° posto nella lista delle 20 stelle più luminose del cielo notturno, come già accennato è Castore a rivestire il ruolo di stella principale della costellazione.

Johann Bayer, autore del primo atlante celeste, decise di assegnare il ruolo di stella alfa dei Gemelli a Castore, ma Polluce in realtà detiene un premio di consolazione molto importante: è una delle poche stelle visibili attorno a cui ruota un pianeta.

Circa 10 anni fa infatti è stato scoperto un pianeta gigante gassoso simile a Giove, che compia un’orbita completa attorno alla sua stella in 590 giorni, a cui è stato dato il nome di Polluce b.

Nella costellazione si trovano anche altre stelle molto più luminose di Castore e Polluce, ma più distanti, quindi meno brillanti, come Alhena e Mebsuta: la prima è un subgigante bianca di magnitudine 1,93 e distante 105 anni luce da noi.

La seconda è una supergigante gialla di magnitudine assoluta – 4,15 e distante 903 anni luce.

HR Number(*) Star designation Proper name Visual magnitude Notes
HR2990 β Geminorum Pollux 1.14 Variable; Multiple;
HR2421 γ Geminorum Alhena 1.93 Multiple;
HR2891 α Geminorum Castor 1.98 Variable; Multiple;
HR2890 α Geminorum   2.88 Multiple;
HR2286 μ Geminorum Tejat 2.88 Variable; Multiple;
HR2473 ε Geminorum Mebsuta 2.98 Variable; Double;
HR2216 η Geminorum Propus 3.28 Variable; Multiple;
HR2484 ξ Geminorum Alzirr 3.36 Variable;
HR2777 δ Geminorum Wasat 3.53 Multiple;
HR2985 κ Geminorum   3.57 Double;
HR2763 λ Geminorum   3.58 Variable; Multiple;
HR2540 θ Geminorum   3.6 Multiple;
HR2650 ζ Geminorum Mekbuda 3.79 Variable; Multiple;
HR2821 ι Geminorum   3.79  
HR2905 υ Geminorum   4.06 Variable; Double;
HR2343 ν Geminorum   4.15 Multiple;
HR2134 1 Geminorum   4.16 Variable; Multiple;
HR2852 ρ Geminorum   4.18 Multiple;
HR2973 σ Geminorum   4.28 Variable; Double;
HR2697 τ Geminorum   4.41 Variable; Multiple;

OGGETTI NON STELLARI NELLA COSTELLAZIONE DEI GEMELLI

Tra gli oggetti del profondo cielo presenti nei Gemelli troviamo IC443, nota come Nebulosa Medusa, una nebulosa planetaria a circa 5000 anni luce di distanza, soggetto molto amato dagli astrofili.

Ripresa di IC443. Crediti di Lorenzo Busilacchi

Sempre a proposito di nebulose vale la pena citare NGC2392, ovvero la scenografica Nebulosa Eskimo, a 6500 anni luce di distanza.

NGC 2392 Nebulosa Eskimo CREDITI: LORENZO BUSILACCHI

Nella costellazione sono presentigli ammassi M35 e NGC 2158, entrambi prospetticamente vicini e individuabili già con un buon binocolo.

IMMAGINE M35 E NGC 2158 CREDITI: MASSIMILIANO PEDERSOLI

I GEMELLI NELLA MITOLOGIA

I due gemelli per antonomasia sono protagonisti di varie pagine di mitologia greca: al centro delle vicende c’è anche (come sempre!) Zeus, che sappiamo essere molto determinato quando si tratta di sedurre una delle sue vittime prescelte, e di ricorrere alle sue note metamorfosi in animali per riuscirci.

Avendo perso la testa per Leda, nipote di Ares e regina di Sparta, Zeus si trasformò in cigno e possedette la giovane mentre passeggiava sulla riva del fiume: dall’uovo concepito (o forse erano due) vennero alla luce quattro bambini, ma poiché quella stessa notte Leda giacque con suo marito Tindaro, non v’è certezza sulla reale paternità dei nascituri.

A Zeus furono attribuiti i gemelli immortali Polluce ed Elena (di Troia), mentre il re Tindaro riconobbe la paternità di Castore e Clitennestra.

Nonostante questa classificazione, Castore e Polluce ebbero l’appellativo di Dioscuri, è quindi riconosciuti sia come figli di Zeus che di Tindaro.

Castore era un domatore di cavalli mentre Polluce si distingueva come un pugile formidabile; entrambi nutrivano un forte sentimento fraterno l’uno per l’altro ed erano inseparabili, tanto da prendere insieme parte anche alla famosa spedizione degli Argonauti e, tra le tante avventure, sfidarono addirittura Teseo.

Un evento fatale li vide però coinvolti, segnando il loro destino: per una storia di donne e bestiame, i due gemelli mitologici si trovarono a battersi in duello con un’altra coppia di gemelli, Ida e Linceo.

Nella sfida fu Castore ad avere la peggio tanto che Polluce, dilaniato dal dolore per la perdita dell’amato fratello, implorò Zeus affinché potesse lasciare la terra insieme a lui.

Zeus fu impietosito dalle lacrime di suo figlio e concesse a Polluce di poter condividere con Castore un abbraccio eterno impresso sul manto celeste, brillando nelle stelle a cui danno il nome.

LA COSTELLAZIONE DEL CANE MAGGIORE

Nel pieno dell’inverno boreale possiamo ammirare nel cielo la brillante stella Sirio.

L’astro fa parte della costellazione del Cane Maggiore, rappresentando la sua stella principale e componendo uno dei vertici del Triangolo Invernale.

La costellazione è poco appariscente ed è composta, oltre a Sirio, dalle stelle Mizam, Adhara, Wezen, Aludra e Furud.

In questi anni la compagna di Sirio, la nana bianca Sirio B si sta avvicinando al suo punto di massima distanza, rendendo più facile riuscire a osservarla anche con telescopi amatoriali. In questa ripresa effettuata la mattina del 28 ottobre 2020 sono riuscito a fotografarla al fuoco diretto con un Celestron C11 e Zwo Asi 224MC. In alcuni vecchi libri letti quando ancora ero bambino, si racconta che abitanti di un pianeta orbitante intorno a Sirio B abbiano visitato la Terra in tempi lontani. Anche questo aiuta a rendere ancora più affascinate e nostalgica la sua osservazione…. Crediti: Fabrizio Guasconi

Con il suo freddo bagliore bianco-azzurro, Sirio è una vera regina del cielo, riconoscibile anche dai meno esperti: l’astro è posto a 8,6 anni luce e ha una magnitudine apparente – 1,47.

In realtà si tratta di un sistema binario, composto da Sirio A e Sirio B, quest’ultima difficile da immortalare, ma non impossibile, a patto che si disponga di un’ottima attrezzatura e tanta pazienza.

La difficoltà è data dall’importante luminosità della componente principale che offusca la componente secondaria.

HR Number(*) Star designation Proper name Visual magnitude Notes
HR2491 α Canis Majoris Sirius -1.46 Multiple;
HR2618 ε Canis Majoris Adhara 1.5 Double;
HR2693 δ Canis Majoris Wezen 1.84 Variable;
HR2294 β Canis Majoris Mirzam 1.98 Variable; Double;
HR2827 η Canis Majoris Aludra 2.45 Double;
HR2282 ζ Canis Majoris Furud 3.02 Variable; Double;
HR2653 ο2 Canis Majoris   3.02  
HR2646 σ Canis Majoris Unurgunite 3.47 Variable; Double;
HR2749 ω Canis Majoris   3.85 Variable;
HR2580 ο1 Canis Majoris   3.87 Variable;
HR2429 ν2 Canis Majoris   3.95 Variable;
HR2538 κ Canis Majoris   3.96 Variable;
HR2574 θ Canis Majoris   4.07  
HR2657 γ Canis Majoris Muliphein 4.12  
HR2387 ξ1 Canis Majoris   4.33 Variable; Multiple;
HR2596 ι Canis Majoris   4.37 Variable;
HR2782 τ Canis Majoris   4.4 Variable; Multiple;
HR2443 ν3 Canis Majoris   4.43  
HR2361 λ Canis Majoris   4.48  
HR2414 ξ2 Canis Majoris   4.54  

OGGETTI NON STELLARI NELLA COSTELLAZIONE DEL CANE MAGGIORE

Trovandosi in una porzione di cielo attraversata dalla Via Lattea, la costellazione ospita diversi oggetti del profondo cielo: tra le nebulose spicca IC 2177, nota come Nebulosa Gabbiano, situata a 3260 anni luce.

IC 2177 CREDITI: LINO BENZ

Un altro oggetto molto amato e ripreso dagli astrofili è la Nebulosa Elmetto di Thor, NGC 2359, visibile con telescopi di almeno 120mm di diametro.

NEBULOSA ELMETTO DI THOR CREDITI: EGIDIO VERGANI

IL CANE MAGGIORE NELLA MITOLOGIA

Il Cane Maggiore trova posto nella mitologia in riferimento al fedele cane da caccia di Orione, ovvero Sirio.

Della luminosa stella si narra nel mito greco anche in riferimento al suo sorgere all’alba, che indicava l’arrivo dei giorni più roventi dell’estate, della canicola, ovvero i giorni del Cane.

“Abbaiando lancia fiamme e raddoppia il caldo ardente del Sole” scriveva Manlio, “la torrida Stella del Cane spacca i campi” narrava invece Virgilio nelle Georgiche; è chiaro che a Sirio veniva attribuita la causa del caldo torrido che infuocava i campi, rinsecchendo i raccolti.

Le costellazioni del mese di Gennaio 2025

Ora era onde ‘l salir non volea storpio chè il Sole avea il cerchio di merigge lasciato al Tauro e la notte a lo Scorpio…

Dante, Divina Commedia

Nel cuore dell’inverno boreale possiamo ammirare un cielo sfavillante di costellazioni luminose e ricche di oggetti e storie mitologiche. Due delle figure caratteristiche del cielo di gennaio sono quelle del Toro e dell’Auriga.

LA COSTELLAZIONE DEL TORO

Riconoscibile grazie alla sua stella Aldebaran, quella del Toro è una delle costellazioni della fascia dello Zodiaco, compresa tra Ariete e Gemelli; la figura si estende a Est/Sud-Est, dove la sua stella principale brilla con il suo inconfondibile colore rosso-arancio.

La Costellazione del Toro a cura di https://theskylive.com/

Aldebaran è una gigante arancione grande 40 volte il Sole e che con la sua magnitudine +0,95 rappresenta la, quattordicesima stella più luminosa del cielo notturno.

L’astro rappresenta l’occhio del Toro mentre le stelle Elnath e Alheka costituiscono le corna dell’animale; beta Tauri, ovvero Elnath, brilla al confine con l’Auriga e infatti ha la peculiarità di essere attribuita ora al Toro ora all’Auriga.

M45: UN AMMASSO APERTO NEL CUORE DELL’INVERNO

Oltre ai vari interessanti oggetti del profondo cielo presenti nel Toro, quello più noto e facilmente riconoscibile da tutti gli amanti del cielo, è senza ombra di dubbio M45, meglio conosciuto con il nome di Pleiadi.

M45 CREDITI Davide De Martin & the ESA/ESO/NASA Photoshop FITS Liberator

Si tratta di un ammasso aperto situato nella spalla del Toro, distante 440 anni luce dalla Terra. Da un luogo buio sono visibili già sette delle stelle che lo compongono, per le quali l’ammasso viene anche comunemente denominato con l’appellativo di “le sette sorelle”; in realtà con un binocolo e soprattutto con un telescopio si scopre che l’ammasso è composto da centinaia di stelle, in prevalenza giganti blu e bianche, legate da un’origine comune e da reciproche forze gravitazionali. Attraverso l’oculare di un telescopio di apertura considerevole non sarà difficile osservare dei piccoli aloni che circondano le singole stelle: si tratta di nubi di polveri, ovvero nebulose a riflessione, illuminare dalle stelle. Le Pleiadi rappresentano uno degli oggetti più amati del cielo invernale, spesso protagoniste di suggestive congiunzioni con la Luna e pianeti.

L’ammasso trova numerosi riferimenti nella  mitologia, in cui vengono identificate con le ninfe della montagna, figlie di Atlante e dell’oceanina Pleione: i loro nomi sono Alcione, Asterope, Celeno, Elettra, Maia, Merope e Taigeta.

Nella letteratura italiana troviamo un significativo riferimento alle Pleiadi nella poesia di Pascoli, il Gelsomino Notturno: “La Chioccetta per l’aia azzurra va col suo pigolìo di stelle”. Il poeta paragona le Pleiadi a una chioccia che trascinai suoi pulcini intenti a pigolare.

OGGETTI DEL PROFONDO CIELO NEL TORO

In direzione della Stella Alheka si  trova uno degli oggetti più importanti in campo astronomico e nell’astronomia a raggi X, nonché il primo oggetto del Catalogo Messier ovvero la Nebulosa del Granchio, distante 6500 anni luce dal Sistema Solare.

M1 Crab Nevula di Lorenzo Busilacchi PHOTOCOELUM
M1 Crab Nevula di Gianni Melis PHOTOCOELUM

Durante la fase finale della sua vita la Supernova 1054 ha espulso una quantità enorme di materiali ferroso e gas, generando un’esplosione in grado di proiettare tutti i propri frammenti a una grande distanza e che ancora oggi viaggiano a una velocità che sfiora i 1500 km/s.

Oggi il centro della nebulosa ospita ciò che resta della stella esplosa, una potente stella di neutroni che ruotando su sé stessa crea l’effetto pulsar.

L’esplosione della Supernova 1054 non rimase inosservata: il 4 luglio del 1054 gli astronomi cinesi furono i primi ad accorgersi di un nuovo astro che brillava sulla volta celeste: la sua luminosità fu tale da essere visibile anche in pieno giorno, la sua magnitudine era infatti compresa tra – 7 e –4,5.

Il Toro vanta anche altri variegati oggetti deepsky, molto amati dagli astrofili, come ad esempio la Nebulosa Falchetto (LBN 777) e la Nebulosa Spaghetti (SH2-240), quest’ultima situata al confine con l’Auriga.

NEBULOSA FALCHETTO E NEBULOSA SPAGHETTI CREDITI: CRISTINA CELLINI

IL TORO NELLA MITOLOGIA

La figura del Toro è una delle più antiche di cui si trovi traccia: ben 5.000 anni fa, nei pressi di Aldebaran, era collocato il punto Gamma, che indica l’equinozio di primavera.

Già in alcuni scritti dei Sumeri compaiono riferimenti al Toro, come protagonista di storie d’amore conflittuali.

Presso gli antichi Egizi invece tali animali erano figure mitologiche da venerare.

Nell’antica Grecia il mito del Toro era associato alla figura del Minotauro, frutto del tradimento consumato da Pasifa con il sacro Toro di Creta, alle spalle del marito Minosse.

Vi sono poi le solite vicende legate alle metamorfosi di Zeus che in questo caso, innamoratosi della principessa fenicia Europa, decise di ricorrere alla trasformazione in un toro per poterla rapire e sedurre.

E fu così che un giorno Europa, mentre si trovava in compagnia delle sue ancelle sulla spiaggia, fu attirata dalla presenza di un bellissimo toro bianco; completamente ammaliata da esso, vi salì in groppa lasciandosi condurre fino all’isola di Creta, dopo aver galoppato attraverso il mare.

Ma l’idillio durò poco, poiché una volta giunti a destinazione, l’ingenua principessa scoprì  l’inganno: Zeus le rivelò la, sua identità, abusando di lei. Dall’infelice unione nacquero Minosse, Radamanto e Serpedonte.

Elenco delle Stelle Principali della Costellazione del Toro

HR Number(*) Star designation Proper name Visual magnitude Tipo
HR1457 α Tauri Aldebaran 0.85 Variable; Multiple;
HR1791 β Tauri Elnath 1.65 Double;
HR1165 η Tauri Alcyone 2.87 Multiple;
HR1910 ζ Tauri Tianguan 3 Variable;
HR1412 θ2 Tauri Chamukuy 3.4 Variable; Multiple;
HR1239 λ Tauri   3.47 Variable;
HR1409 ε Tauri Ain 3.53 Double;
HR1030 ο Tauri   3.6 Variable;
HR1178 27 Tauri Atlas 3.63 Variable; Multiple;
HR1346 γ Tauri Prima Hyadum 3.65 Variable;
HR1142 17 Tauri Electra 3.7  
HR1038 ξ Tauri   3.74  
HR1373 δ1 Tauri Secunda Hyadum 3.76 Variable; Multiple;
HR1411 θ1 Tauri   3.84 Multiple;
HR1149 20 Tauri Maia 3.87 Variable;
HR1251 ν Tauri   3.91  
HR1066 5 Tauri   4.11  
HR1156 23 Tauri Merope 4.18 Variable;
HR1387 κ1 Tauri   4.22 Variable; Multiple;
HR1458 88 Tauri   4.25 Variable; Double;

LA COSTELLAZIONE DELL’AURIGA

Nel mese di gennaio possiamo osservare la costellazione dell’Auriga, figura facile da individuare per via della sua forma a pentagono, che va ad unirsi alla schiera delle costellazioni che dominano l’inverno boreale.

La costellazione dell’Auriga. Cortesia di https://theskylive.com/

La stella principale della costellazione (α Aurigae) è Capella, un sistema multiplo costituito da ben quattro stelle, distante 42,2 anni luce da noi; l’astro è situato nella parte settentrionale dell’Auriga ed è ben visibile nel cielo serale con il suo luccichio di colore giallo, e rappresenta la sesta stella più luminosa del cielo notturno.

Le altre stelle che compongono la costellazione dell’Auriga sono Menkalinan, Mahasim, Hassaleh eAlmaaz.

Elenco delle Stelle principali della Costellazione dell’Auriga

Star designation Proper name Visual magnitude Color Tipo
HR1708 α Aurigae Capella 0.08 Variable; Multiple;
HR2088 β Aurigae Menkalinan 1.9 Variable; Multiple;
HR2095 θ Aurigae Mahasim 2.62 Variable; Multiple;
HR1577 ι Aurigae Hassaleh 2.69 Variable;
HR1605 ε Aurigae Almaaz 2.99 Variable; Multiple;
HR1641 η Aurigae Haedus 3.17 Variable;
HR2077 δ Aurigae   3.72 Multiple;
HR1612 ζ Aurigae Saclateni 3.75 Variable;
HR2012 ν Aurigae   3.97 Double;
HR2091 π Aurigae   4.26 Variable;
HR2219 κ Aurigae   4.35 Variable;
HR1995 τ Aurigae   4.52 Multiple;
HR1726 16 Aurigae 4.54 Variable; Double;
HR1729 λ Aurigae   4.71 Multiple;
HR2011 υ Aurigae   4.74 Variable;
HR1843 χ Aurigae   4.76  
HR1551 2 Aurigae   4.78  
HR2427 ψ2 Aurigae 4.79 Multiple;
HR1689 μ Aurigae   4.86  
HR2696 63 Aurigae 4.9  

OGGETTI NON STELLARI NELL’AURIGA

La costellazione ospita diversi oggetti del catalogo Messier, come gli ammassi aperti M36, M37 ed M38.

M37 CREDITI CRISTINA CELLINI

IMMAGINE M37 CREDITI CRISTINA CELLINI

Altri oggetti del profondo cielo molto interessanti sono le nebulose IC405 e IC410.

LA COSTELLAZIONE DELL’AURIGA NELLA MITOLOGIA

L’Auriga trova diversi riferimenti nella mitologia: una delle storie più diffuse è quella che associa Capella alla capra Amaltea, animale che secondo la mitologia greca allattó Zeus quando, ancora in fasce, venne abbandonato sull’isola di Creta.

Per tale motivo, in segno di gratitudine, l’animale fu collocato sulla volta celeste, accompagnato dai suoi due capretti partoriti proprio mentre allattava Zeus, associati alle stelle Eta e Zeta dell’Auriga.

Per le rappresentazioni delle costellazioni e altri dettagli visitare https://theskylive.com/

Le costellazioni del mese di Dicembre 2024

Nel mese che introduce all’inverno boreale, il cielo si arricchisce di oggetti brillanti e inconfondibili, tra cui spiccano quelli che compongono la celebre costellazione di Orione.

La figura di Orione è così caratteristica da essere riconoscibile anche dai meno esperti di astronomia ed è facilmente individuabile ad occhio nudo, persino dai cieli delle aree urbane.

Questa costellazione fa il suo ingresso nel cielo già a fine estate, quando appare bassa a Sud-Est nelle ore più profonde della notte, fino alle prime luci dell’alba. Con l’arrivo dell’autunno, Orione si mostra in orario serale, per poi dominare le nostre serate invernali, emergendo subito dopo il tramonto e culminando al meridiano verso metà gennaio.

La stella più luminosa della costellazione è Rigel, una supergigante blu che brilla con una magnitudine di 0,2, indicando il ginocchio del mitico Cacciatore celeste. Tuttavia, la stella Alfa di Orione è Betelgeuse, celebre per il suo colore rosso-arancio. Betelgeuse è una supergigante rossa dalla magnitudine di 0,5, situata a circa 600 anni luce dalla Terra.

Questa stella occupa il vertice nord-orientale della costellazione di Orione ed è anche uno dei tre punti che formano il Triangolo Invernale, un asterismo che include anche Sirio (nel Cane Maggiore) e Procione (nel Cane Minore).

Betelgeuse è da sempre al centro dell’interesse astronomico. La sua natura instabile e la fase avanzata della sua evoluzione stellare fanno supporre che, al termine del suo ciclo vitale, potrebbe esplodere in una spettacolare supernova.

OGGETTI DEL PROFONDO CIELO IN ORIONE

La Cintura di Orione è circondata da un imponente anello di nebulosità noto come Anello di Barnard, situato a circa 1600 anni luce dalla Terra e con un diametro di 300 anni luce. Questo straordinario oggetto è ciò che resta di una supernova esplosa probabilmente circa 2 milioni di anni fa.

La costellazione di Orione, tuttavia, è un autentico scrigno di meraviglie del profondo cielo. Tra queste, la più celebre e fotografata dagli astrofili, esperti o alle prime armi, è senza dubbio la Nebulosa di Orione (M42). Questo spettacolare complesso nebuloso molecolare, situato tra la Cintura e la Spada di Orione, è una delle regioni di formazione stellare più attive della nostra galassia, una vera incubatrice di nuove stelle.

Un altro gioiello di Orione, accessibile anche con un semplice binocolo 10×50, è M78, conosciuta anche come Nebulosa Casper. Si tratta di una brillante nebulosa a riflessione situata sopra la Cintura di Orione, a una distanza di circa 1300 anni luce. Questo oggetto, visibile già da luoghi bui con strumenti di piccole dimensioni, fu scoperto da Pierre Méchain all’inizio del 1780 e successivamente catalogato da Charles Messier il 17 dicembre dello stesso anno.

Nella parte settentrionale della costellazione, troviamo un altro oggetto interessante: Sh2-261, noto come Nebulosa di Lower. Questa nebulosa a emissione, sebbene meno famosa, è visibile anche nelle riprese amatoriali a lunga posa, regalando ulteriori spunti di osservazione per chi si avventura alla scoperta delle meraviglie celesti di Orione.

IMMAGINE NEBULOSA FIAMMA E NEBULOSA TESTA DI CAVALLO CREDITI DI RIPRESA E ELABORAZIONE DI MIRKO TONDINELLI E RICCARDO PACINI

 

IMMAGINE M78 CREDITI: LINO BENZ DEL GRUPPO ASTROFILI DEL SALENTO

 

IMMAGINE Sh2-261/ Sh2-268 e NGC 2169 CREDITI: LINO BENZ DEL GRUPPO ASTROFILI DEL SALENTO

ORIONE NELLA MITOLOGIA

Orione è una delle figure mitologiche più antiche, presente nelle leggende di numerose civiltà, a partire dai Sumeri.
Nel mito greco, Orione era figlio di Euriale e Poseidone e possedeva l’incredibile dono di camminare sull’acqua. Nell’Odissea, Omero lo descrive come un abilissimo cacciatore, sempre accompagnato dai suoi fedeli cani, tra cui il prediletto Sirio, oggi la stella più luminosa del cielo.

Le sue vicende mitologiche sono spesso legate a storie d’amore e di passione, che lo portarono a scontrarsi con rivali agguerriti e persino a perdere temporaneamente la vista durante una delle sue avventure.

Tra i numerosi racconti che lo riguardano, il più celebre è quello del suo amore per Artemide, la dea della caccia e sorella gemella di Apollo. Secondo la leggenda, Orione giunse sull’isola sacra di Delo in compagnia della sua amante Eos, ma fu lì che incontrò Artemide, con la quale condivideva la passione per il tiro con l’arco. I due si innamorarono perdutamente, un amore che però suscitò l’ira di Apollo, il quale considerava l’unione una profanazione della sua isola.

Apollo, deciso a liberarsi di Orione, chiese aiuto alla Madre Terra, che scatenò contro il cacciatore un gigantesco scorpione velenoso. Questo episodio è immortalato nel cielo: la figura dello Scorpione continua a inseguire Orione nella volta celeste. Nonostante la forza e l’abilità di Orione, il cacciatore si rifugiò in mare, ma lì trovò il suo destino segnato da Apollo.

Mentre Orione nuotava al largo in una notte senza luna, Apollo convinse Artemide a scagliare una freccia contro un bersaglio distante, visibile appena tra le onde. Ignara che il bersaglio fosse il suo amato, Artemide colpì Orione con precisione letale. Quando scoprì la verità, la dea, distrutta dal dolore, implorò Zeus di concedere al cacciatore l’immortalità.

Zeus, commosso, trasformò Orione in una brillante costellazione, affinché Artemide potesse contemplarlo ogni notte nel cielo, eternamente luminoso come simbolo del loro amore tragico.

LA COSTELLAZIONE DEL TRIANGOLO

A sud delle costellazioni di Andromeda e Perseo, troviamo il Triangolo, una piccola costellazione visibile nei cieli autunnali e invernali dell’emisfero boreale, che culmina al meridiano nel mese di dicembre.

Pur essendo una costellazione di dimensioni ridotte e poco luminosa, il Triangolo è facilmente riconoscibile grazie alla sua caratteristica forma geometrica.

La stella principale, Alfa Trianguli, nota anche con il nome arabo Mothallah, che significa “la testa del Triangolo,” è una gigante bianco-azzurra con una magnitudine di 3,42, situata a 124 anni luce dalla Terra. Si tratta di una stella binaria che, sebbene porti la designazione di stella alfa, è solo la seconda più luminosa della costellazione.

La stella più brillante del Triangolo è infatti Beta Trianguli, conosciuta anche come Deltotum, una subgigante gialla con una magnitudine di 3,00 e distante 64 anni luce.

Il terzo vertice che completa la figura è rappresentato da Gamma Trianguli, formando così il caratteristico disegno della costellazione.

LA GALASSIA M33 NEL TRIANGOLO

Nota come Galassia del Triangolo, questo oggetto si trova a una distanza  stimata sui 2,59 milioni di anni luce, ed essendo membro del Gruppo Locale è una delle galassie più vicine alla Via Lattea. Da un luogo perfettamente buio e privo di qualsiasi tipo di inquinamento, si può tentare l’osservazione di M33 anche con un buon binocolo.

IMMAGINE M33 CREDITI DI RIPRESA E ELABORAZIONE: EMANUELE NERI E MIRKO TONDINELLI

Ricordiamo anche le galassie barrata NGC 672 e NGC 925 presenti nella costellazione del Triangolo.

IL TRIANGOLO NELLA MITOLOGIA

Per i greci la costellazione del Triangolo rappresentava la lettera Delta, mentre gli Egizi la identificavano come il Delta del fiume Nilo; secondo lo scrittore latino Igino il Triangolo rappresentava la Trinacria, ovvero la Sicilia, isola sacra a Cerere, dove è avvenuto, secondo il mito, il ratto di Persefone e la sua discesa agli inferi.

La figura del Triangolo trova riferimenti nelle antiche tradizioni marinare e, sempre secondo Igino, viene associato ad una sorta di segnale collocato sulla volta celeste ed utile a Mercurio per individuare la costellazione dell’Ariete.

Le costellazioni del mese di Novembre 2024

Nel cielo di novembre incontriamo le costellazioni di Andromeda e Perseo, due figure mitologicamente legate, ricche di oggetti interessanti per l’osservazione e la fotografia astronomica.

LA COSTELLAZIONE DI ANDROMEDA

La costellazione di Andromeda è una delle figure tipiche del cielo autunnale e la si può osservare agevolmente guardando a Nord della volta celeste: pur essendo molto estesa è poco luminosa, e arriva a lambire la Via Lattea settentrionale.

La stella principale della costellazione è nota con i nomi di Alpheratz e Sirrah e insieme alle stelle α, β e λ Pegasi forma un noto asterismo chiamato Quadrato di Pegaso.

Un tempo questa stella faceva parte della costellazione di Pegaso, con la sigla δ Pegasi: essa si trova a 97 anni luce dalla Terra ed è in realtà un sistema binario, con una magnitudine apparente di +2,06.

Fra le altre stelle della costellazione, va segnalata υ Andromedae: la stella possiede un sistema planetario con tre pianeti, con masse di 0,71, 2,11 e 4,64 volte quella di Giove.

OGGETTI NON STELLARI NELLA COSTELLAZIONE DI ANDROMEDA

La costellazione è ricca di stelle doppie e di sistemi multipli, come ad esempio Pi Andromedae (π And / π Andromedae), un sistema distante 656 anni luce dal sistema solare.

Tuttavia, la fama di oggetto del profondo cielo più noto e interessante della costellazione di Andromeda è, indubbiamente, M31 ovvero la famigerata Galassia di Andromeda.

M31 di Salvo Semilia
M31 di Salvo Semilia

Si tratta dell’oggetto più lontano visibile ad occhio nudo e rappresenta una galassia a spirale barrata distante più di due milioni e mezzo di anni luce.

È di certo la galassia più amata dagli astrofili: per individuare M31 ad occhio nudo è sufficiente recarsi in luoghi idonei dall’osservazione celeste, partendo da β Andromeda e e proseguendo in direzione Nord-Ovest; immersa nello sfondo stellato, la Galassia di Andromeda apparirà come un batuffolino di luce, sufficiente a farci fermare a riflettere sull’ infinita grandezza dell’universo.

Chiaramente con l’ausilio di binocoli e telescopi potremo ottenere un’immagine più dettagliata, e con la fotografia a lunga esposizione riusciremo a dare forma a quel batuffolo celeste.

Arp 273 di Lorenzo Busilacchi
Arp 273 di Lorenzo Busilacchi

Ma la costellazione di Andromeda ospita anche un altro spettacolare oggetto del profondo cielo, molto scenografico: si tratta di Arp273, un coppia di galassie interagenti che sembra dar vita a una bellissima rosa cosmica, a 345 milioni di anni luce dalla Terra.

ANDROMEDA NELLA MITOLOGIA

Bellissima e giovane fanciulla, Andromeda viene identificata come la principessa di Etiopia, figlia dei sovrani Cefeo e Cassiopea: la leggenda è ben nota, e intreccia diverse figure mitologiche.

Andromeda stava per pagare con la propria vita le colpe di sua madre Cassiopea, presuntuosa e vanitosa come poche, la quale osò definire lei e sua figlia più belle persino delle Nereidi, ninfe marine alla corte di Poseidone.

Come è noto, per placare la furia del dio mare, l’unica soluzione pareva essere quella di dare in pasto Andromeda al mostro marino Ceto.

Ma la storia ebbe un lieto fine, perché a salvare la principessa ci pensò Perseo, in sella al cavallo alato Pegaso e successivamente ne fece la sua sposa.

Come la vide con le braccia legate a una rigida rupe,
Perseo di marmo l’avrebbe creduta se l’aria leggera non avesse
mosso le chiome e le lacrime dagli occhi stilate non fossero,
inconsapevole ne ardeva stupito. Rapito alla vista di
quella bellezza, quasi di battere l’ali si scordava.
Come fu sceso a terra, disse “non meriti codesti ceppi ma quelli che legano amanti tra loro;
dimmi il tuo nome e la patria e perché sei legata”.

Ovidio, Le Metamorfosi – Libro IV

Quando Andromeda morì, la dea Atena la trasformò in stelle, ponendola in cielo proprio accanto al suo amato sposo Perseo.

LA COSTELLAZIONE DI PERSEO

Nel cielo autunnale di novembre incontriamo anche la costellazione di Perseo: la celebre figura si estende tra Andromeda e l’Auriga, e diventa favorevole all’ osservazione proprio nei mesi autunnali e invernali.

Mirphak (α Persei) è la stella più luminosa della costellazione, ed è una supergigante gialla di tipo spettrale F5 Ib, posta a 510 anni luce: l’astro è circumpolare, facilmente osservabile  all’emisfero boreale e con la sua magnitudine pari a +1,79 si può scorgere anche dalle aree urbane.

La stella più famosa della costellazione è Algol (la stella del Diavolo in arabo),che rappresenta l’occhio della gorgone Medusa; La sua luminosità apparente varia tra le magnitudini 2,12 e 3,39 in poco meno di tre giorni, e la stella rappresenta il prototipo di una classe di variabili, ovvero le variabili a eclisse.

OGGETTI NON STELLARI NELLA COSTELLAZIONE DI PERSEO

Uno degli eventi astronomici più noti, correlati a Perseo, è il famigerato sciame di meteore, le Persei di, che si manifesta in piena estate (fine luglio/metà agosto) e che ha come radiante proprio la costellazione da cui prende il nome.

In Perseo è presente un ricco numero di stelle doppie e variabili, sistemi spesso risolvibili anche con piccoli telescopi comeζ Persei .

Pur attraversando la costellazione di Perseo da NW a SE , la Via Lattea settentrionale appare poco evidente in questo tratto di cielo, ma ciononostante la costellazione contiene numerosi oggetti del profondo cielo.

AMMASSO DOPPIO di MASSIMILIANO PEDERSOLI
AMMASSO DOPPIO di MASSIMILIANO PEDERSOLI

Uno dei più noti oggetti deepsky, osservato e fotografato da principianti ed esperti, è certamente l’Ammasso Doppio, un coppia di ammassi aperti molto brillanti, NGC 869 (h); NGC 884 (χ), visibili anche ad occhio nudo, che insieme formano una sorta di “8” rovesciato.

Sono due ammassi molto giovani, distanti 800 anni luce tra loro e 7000 dal sistema solare.

Con un telescopio di 200 mm di apertura lo spettacolo che ne deriva è assicurato, poiché è possibile ammirare molti dettagli, come il contrasto dato dalle stelle di colore azzurro con le supergiganti rosse che costituiscono gli ammassi.

Un altro ammasso interessante in Perseo è l’ammasso di Alfa Persei, noto anche con il nome di Mel 20, un oggetto molto luminoso situato nella parte settentrionale della costellazione, dove spicca la stella Mirphak.

Degno di nota è anche l’ammasso di Perseo o Abell 426,un ammasso di galassie posto a circa 240 milioni di anni luce dalla Terra, la cui componente più brillante è NGC 1275, una radiogalassia che domina il centro dell’ammasso.

Ammasso di Galassie in Perseo di Lorenzo Busilacchi
Ammasso di Galassie in Perseo di Lorenzo Busilacchi

Interessante anche la Piccola Nebulosa Manubrio, M76: si tratta di un oggetto poco luminoso e difficile nelle riprese astrofotografiche, ma comunque sono molti gli astrofili che vi si cimentano, producendo ottime immagini.

M76 di Lorenzo Busilacchi
M76 di Lorenzo Busilacchi

PERSEO EROE MITOLOGICO

Il personaggio di Perseo è uno dei più celebri della mitologia: egli era il figlio mortale di Giove e Danae, a cui venne affidato l’arduo compito di uccidere il mostro Medusa, una Gorgone avente serpenti al posto dei capelli e il potere di pietrificare all’istante chiunque avesse fatalmente incrociato il suo sguardo.

«Volgiti ‘n dietro e tien lo viso chiuso;/ ché se ‘l Gorgon si mostra e tu ‘l vedessi,/ nulla sarebbe di tornar mai suso»

Dante, Inferno canto I (vv. 55-57).

Medusa viveva su di un’isola situata oltreoceano, insieme alle altre due Gorgoni, Stelo e Eurialo, entrambi mortali a differenza di Medusa.

Perseo giunse nel loro nascondiglio dopo aver ricevuto in sogno una spada da Minerva, con la quale decapitare il mostro e uno scudo riflettente, affinché Medusa non riuscisse a pietrificarlo.

Infine, l’eroe incontrò le tre ninfe del Nord, che gli consegnarono un elmo speciale per essere invisibile e una sacca in cui  Perseo avrebbe dovuto riporre la testa della Gorgone.

Attraverso rocce sperdute e impervie, attraverso orride forre,
giunse alla casa della Gorgone, e qua e là per i campi e per le strade
vedeva figure di uomini e di animali
tramutati da esseri veri in statue per aver visto Medusa.
Ovidio, Metamorfosi, IV, 778-781

Alla fine, Perseo uccise Medusa, dal cui sangue nacque Pegaso, il cavallo alato attraverso cui l’aitante eroe riuscì a salvare Andromeda, incontrata proprio nel suo viaggio di ritorno.

Per la sua nobiltà e per il fatto di essere nato da un connubio eccezionale, si racconta, fu collocato tra le stelle.

Igino- PoeticonAstronomicon


Le costellazioni del mese di Ottobre 2024

Nel cielo autunnale di ottobre incontriamo due costellazioni che costituiscono una coppia mitologica, l’unica ad essere collocata sulla volta celeste: si tratta di Cassiopea e Cefeo.

LA COSTELLAZIONE DI CASSIOPEA

Asterismo tipico del cielo boreale, Cassiopea è una figura visibile tutto l’anno e raggiunge la massima altezza proprio nel periodo autunnale.

Poiché è molto vicina al polo nord celeste, Cassiopea rimane visibile per tutta la notte e per questo viene classificata come una costellazione circumpolare.

La sua peculiare forma a W o M, a seconda delle stagioni, la rende facilmente individuabile a Nord, nei pressi della Stella Polare.

Shedir (alfa Cassiopeiae) è l’astro principale della costellazione: si tratta di una gigante arancione di magnitudine apparente +2,25, situata a 229 anni luce dalla Terra.

Il suo nome deriva dall’arabo(صدر, şadr) e significa busto: essa infatti è collocata nel cuore della costellazione che, mitologicamente, rappresenta la regina di Etiopia.

Interessante  γ Cassiopeiae, la stella binaria a raggi X più brillante del cielo e l’unica ad essere visibile ad occhio nudo.

SUPERNOVAE IN CASSIOPEA

Nel 1572 nella costellazione di Cassiopea apparve improvvisamente un stella tanto luminosa quanto ci appare il pianeta Venere: essa venne denominata “nova di Tycho Brahe” dal nome dell’astronomo danese che condusse per oltre un anno osservazioni di questo oggetto, ad occhio nudo, riportando dati dettagliati; in conclusione, ciò che aveva osservato era una supernova.

Ma non è l’unico episodio di questo tipo quello che riguarda la costellazione di Cassiopea: nel 1680 è stata osservata una forte radiosorgente situata a 11 mila anni luce da noi, Cassiopea A.

Nel 2004 il telescopio spaziale Chandra ha scoperto anche una sorgente molto compatta di raggi X proprio al centro di Cassiopea A, le cui caratteristiche confermano che si tratta di una stella di neutroni che, con ogni probabilità, rappresenta il resto della Stella esplosa più di 300 anni fa.

OGGETTI NON STELLARI NELLA COSTELLAZIONE DI CASSIOPEA

Nel tratto di Via Lattea boreale in cui è situata Cassiopea vi è un gran numero di nebulose e ammassi: due oggetti  molto amati e ripresi dagli astrofili sono certamente la Nebulosa Cuore ( IC1805), distante7500 anni luce, e la nebulosa a emissione e riflessione nota come Fantasma di Cassiopea (Sh2-185).

IMMAGINE AMMASSI NGC 654 e 663 CREDITI: MASSIMILIANO PEDERSOLI
IMMAGINE AMMASSI NGC 654 e 663 CREDITI: MASSIMILIANO PEDERSOLI

Seppur meno appariscenti e scenografici delle suddette nebulose, in Cassiopea sono apprezzabili diversi ammassi: nell’immagine possiamo ammirare NGC 654 e NGC 663.

Si tratta di due ammassi aperti: il primo contiene circa 60 stelle e si trova a una distanza di 7800 anni luce dal sistema solare, nel Braccio di Perseo, ed è stato scoperto nel 1787 da William Herschel; sempre all’astronomo tedesco è attribuita la scoperta di NGC 663, l’altro ammasso aperto che contiene un centinaio di stelle ed è distante 7900 anni luce.

IMMAGINE M52 CREDITI: MASSIMILIANO PEDERSOLI
IMMAGINE M52 CREDITI: MASSIMILIANO PEDERSOLI

Un altro ammasso aperto presente nella costellazione di Cassiopea è M52, o NGC 7654. L’oggetto si trova nella parte occidentale della costellazione, al confine con quella di Cefeo: è un ammasso piuttosto ricco e compatto, uno dei più osservati durante il periodo autunnale. Si può tentare di individuali con un binocolo 10×50, anche se vi si potranno scorgere poche delle sue stelle,mentre con un telescopio da 150mm di apertura sarà possibile scorgere una cinquantina di stelle che diventano 150 con un’apertura di 250 mm.

CASSIOPEA NELLA MITOLOGIA

Nella mitologia greca Cassiopea rappresenta la regina di Etiopia, moglie di Cefeo e madre di Andromeda: vanitosa e presuntuosa come poche, la sovrana era dedita principalmente a vantarsi e a spazzolare i suoi capelli; un giorno però commise un errore che portò all’intreccio di una serie di vicende ampiamente narrate nella mitologia.

Cassiopea si vantava di essere la più bella de reame e sosteneva che, insieme a sua figlia Andromeda, fosse persino più bella delle ninfe marine al seguito di Poseidone, le Nereidi.

Il dio del mare, venuto a conoscenza di tali affermazioni, non mandò giù tale oltraggio, e decise di vendicarsi di Cassiopea, di Cefeo e del regno intero.

Poseidone decise di scatenare la sua ira verso il punto debole dei sovrani, ovvero la loro splendida e giovane figlia, Andromeda.

Il mito è piuttosto celebre e narra della giovane principessa che, per colpa di sua madre, fu rapita e legata su di una rupe infernale, preda del mostro marino Ceto; a salvarla dalle sue grinfie giunse l’eroe Perseo, in sella al cavallo alato Pegaso.

A Cassiopea toccò la sorte di essere collocata sul suo trono celeste ma a testa in giù, nell’atto di specchiarsi o accarezzarsi i capelli e condannata a roteare per sempre attorno al polo celeste.

LA COSTELLAZIONE DI CEFEO

Nella porzione di cielo tra l’Orsa Minore e Cassiopea, incontriamo Cefeo: si tratta di una costellazione circumpolare, composta da stelle non molto luminose che conferiscono a Cefeo la figura di una casetta con il tetto verso il Nord e la base che poggia sulla Via Lattea settentrionale.

La stella principale della costellazione è Alderamin (alfa Cephei), una stella bianca di magnitudine 2,45, che dista solo 49 anni luce.

Cefeo possiede un oggetto molto interessante, Mu Cephei, noto anche come Granatum Sidus ovvero Stella Granata: si tratta di una supergigante rossa multipla di quarta magnitudine, inserita all’astronomo e matematico Giuseppe Piazzi nel suo “Catalogo di Palermo”.

Il nome deriva da un’affermazione di William Herschel riportata nel suo “Philosophical Transaction”, riguardo ad alcune stelle non registrate nel British Catalogue di John Flamsteed.

Herschel, riferendosi a Mu Cephei, disse che «Ha un bellissimo e profondo colore granata, simile a quello della stella periodica Omicron Ceti>>.

L’astro appare di questo colore per via della sua  bassa temperatura superficiale, che corrisponde a circa 3000 K.

Osservando da un punto privo di qualsiasi tipo di disturbo, la Stella Granata può anche essere individuata ad occhio nudo poco più a Sud di Alderamin, con il suo caratteristico colore rosso/arancio.

Ma Cefeo ospita anche un’altra stella, di certo più importante per l’astronomia, ovvero Delta Cephei: si tratta di una supergigante gialla posta a 890 anni luce, che rappresenta il prototipo di una classe delle cefeidi, una classe di stelle variabili molto importanti, oltre ad essere una delle cefeidi più vicine al Sole.

Delta Cephei contribuisce significativamente alla misurazione delle distanze cosmiche.

OGGETTI NON STELLARI NELLA COSTELLAZIONE DI CEFEO

Poiché giace sul piano della Via Lattea settentrionale, la costellazione di Cefeo vanta numerosi oggetti del profondo cielo: una di questi è la Nebulosa oscura IC1396, meglio nota come Nebulosa Proboscide d’Elefante; molto appariscente anche la Galassia Fuochi d’Artificio (NGC 6946), una galassia a spirale che vanta un gran numero di supernovae osservate al suo interno.

In Cefeo troviamo anche un’estesa nebulosa a emissione, che si trova a 10.400 anni luce, ed è nominata come Sh2-132: l’oggetto deepsky è visibile nella parte meridionale di Cefeo, e si colloca all’interno del Braccio di Perseo.

IMMAGINE SH2-132 CREDITI: DAVIDE NARDULLI
IMMAGINE SH2-132 CREDITI: DAVIDE NARDULLI

Nell’immagine a largo campo possiamo ammirare due oggetti del profondo cielo che formano una “coppia” molto suggestiva e molto amata dagli astrofili: si tratta della nebulosa a riflessione NGC 7129 e dell’ammasso aperto NGC 7142, distanti rispettivamente 3000 e 6000 anni luce.

IMMAGINE NGC 7129 e NGC 7142 CREDITI: DAVIDE NARDULLI
IMMAGINE NGC 7129 e NGC 7142 CREDITI: DAVIDE NARDULLI

CEFEO NELLA MITOLOGIA

Come già citato sopra, nella mitologia Cefeo, figlio di Belo, rappresenta il sovrano di Etiopia, marito di Cassiopea e padre di Andromeda, che rischiò di perdere l’amata figlia per colpa della presunzione di sua moglie.

In seguito all’ira e alle minacce di Poseidone, Cefeo si rivolse a un oracolo per chiedergli come salvare la sua famiglia e il suo regno.

Ma egli non si aspettava come risposta quella di dover immolare la sua adorata principessa Andromeda; un padre disperato, che nonostante il suo dolore decise di sacrificare sua figlia. Ma il fato volle che Perseo, passando dalla rupe su cui era legata Andromeda, minacciata dal mostro marino Ceto, la salvasse, portando il lieto fine a questa brutta vicenda.

Per piangere potrete avere tutto il tempo che vorrete;

per portare soccorso, ci sono pochi attimi.

Se io chiedessi la sua mano, io, Perseo, figlio di Giove

e di colei che quand’era imprigionata fu ingravidata da Giove con oro fecondo,

Perseo vincitore della Gorgone dalla chioma di serpi, che oso andarmene

per l’aria del cielo battendo le ali, non sarei forse preferito come genero a chiunque altro?

A così grandi doti, solo che mi assistano gli dèi,

cercherò comunque di aggiungere un merito.

Facciamo un patto: che sia mia se la salvo col mio valore!

(Ovidio, Metamorfosi, IV, 695-703)

Cefeo si è guadagnato un posto sulla volta celeste e brilla insieme alla sua regina e alla sua adorata e unica figlia.

Le costellazioni del mese di Settembre 2024

Settembre: l’estate che sfuma nell’autunno, il giorno che indietreggia a favor della notte e il cielo che palpita di astri, miti e leggende.

Dopo le grandi costellazioni protagoniste dell’estate boreale, il cielo di settembre ci offre una rosa di asterismi interessanti, anche se meno appariscenti: il punto sulle costellazioni di Acquario, Pesce Australe e Delfino.

LA COSTELLAZIONE DELL’ACQUARIO

Posta tra le costellazioni del Capricorno e dei Pesci, quella dell’Acquario è una figura estesa ma poco luminosa: la parte più settentrionale giace sull’equatore celeste, mentre la figura si estende per la maggior parte  nell’emisfero australe.

Dai cieli urbani le stelle che compongono la costellazione non risultano visibili, mentre sono apprezzabili dai luoghi bui, dove sarà possibile individuarne la loro disposizione nel cielo, che sembra comporre una sorta di brocca da cui viene rovesciata dell’acqua.

La stella più brillante della costellazione è Sadalsuud (Beta Aquarii – β Aqr), dall’arabo “fortuna delle fortune” : si tratta di una stella gialla avente una magnitudine 2,90 e una distanza di 612 anni luce.

Vi è poi α Aquarii, Sadalmelik“ il fortunato del re”, una stella gialla di magnitudine 2,95, mentre ad Est a di Delta Aquarii c’è un interessante sistema stellare triplo, Ez Aquarii, composto da tre nane rosse.

La costellazione dell’Acquario vanta un gran numero di stelle doppie e anche triple: con l’ausilio di un piccolo telescopio è possibile risolvere β Aquarii , un sistema a tre astri in cui la componente primaria è una gigante arancione di magnitudine 2,91, mentre le altre due componenti sono di decima e undicesima grandezza.

In direzione della stella η Aquarii si trova il radiante dello sciame di meteore originato dalla Cometa di Halley e che prende proprio il nome di Eta Aquaridi, visibile da metà aprile a fine maggio, con un picco di attività generalmente intorno al 6 maggio.

OGGETTI DEL PROFONDO CIELO NELL’ACQUARIO

Uno degli oggetti del profondo cielo più noti che l’Acquario ospita è la Nebulosa Elica, NGC 7293.

La Nebulosa Elica nella Costellazione dell'Acquario di Lino Benz
La Nebulosa Elica di Lino Benz

Questo magnifico oggetto si trova a 650 anni luce dalla Terra, ed è l’esempio di  nebulosa planetaria formatasi alla fine della vita di una stella di tipo solare. L’oggetto, molto amato dagli astrofili, è anche noto con il nome di Occhio di Dio.

L’Acquario ospita anche altri oggetti deepsky come la Nebulosa Saturno e gli ammassi globulari M2 ed M72, oltre all’ammasso aperto M73.

Nebulosa Saturno nella Costellazione dell'Acquario di Lorenzo Busilacchi
NEBULOSA SATURNO CREDITI: LORENZO BUSILACCHI

La Nebulosa Saturno, nota anche come NGC 7009 e C55, è una nebulosa planetaria scoperta da William Herschel nel 1782: la stella nel cuore della nebulosa è una nana bianca di magnitudine 11,5, molto brillante.

Tra gli ammassi nell’Acquario va sottolineato che M2 è il primo ammasso globulare ad aver preso posto nel celebre Catalogo Messier.

LA COSTELLAZIONE DELL’ACQUARIO NELLA MITOLOGIA

Il mito dell’Acquario attraversa vari popoli e leggende: rappresentato come un giovane nell’atto di versare dell’acqua da una brocca, questa figura trova riferimenti dai Babilonesi agli Egizi, che lo identificano rispettivamente come il dio dell’acqua e del Nilo.

Alcune varianti del mito greco collegano la figura dell’Acquario a un giovane che versa l’acqua nella bocca di un pesce (Australe), mentre secondo un altro dei miti greci, il più diffuso, l’Acquario rappresenterebbe Ganimede, giovane e bellissimo ragazzo troiano, per il quale Zeus perse la testa: un giorno infatti, mentre Ganimede si trovava a pascolare le pecore del padre, il dio pensò bene di inviare un’aquila a rapire il giovane e portarlo sull’Olimpo, dove divenne il coppiere degli dei.

Che fosse vino o fosse acqua ciò che il giovane è raffigurato a versare non ci è dato sapere, ma di certo gli è valso un posto tra le stelle.

LA COSTELLAZIONE DEL PESCE AUSTRALE

Tra la fine dell’estate e l’inizio dell’autunno è possibile scorgere sulla volta celeste la costellazione del Pesce Australe: l’asterismo è individuabile esclusivamente grazie alla sua stella principale, la luminosa Fomalhaut.

Si tratta di una stella bianca di magnitudine 1,16, che rappresenta la diciottesima stella più brillante della volta celeste.

La luminosità di Fomalhaut nel cielo è accentuata dal fatto che l’astro si trovi un una regione povera di stelle.

Il nome della stella alfa del Pesce Australe viene dall’arabo “fom – al – hut” e significa “la bocca del pesce”.

La si può scorgere già in estate, bassa sull’orizzonte in direzione Sud-Est.

La costellazione del Pesce Australe non contiene oggetti del profondo cielo, tuttavia a 25 anni luce da essa è situato uno degli oggetti più interessanti di cui si è parlato negli ultimi tempi.

Il James Webb Telescope, grazie al Mid-Infrared Instrument (Miri), ha rivelato che Fomalhaut è circondata da un disco di detriti, fotografando tre fasce concentriche che si estendono fino a 23 miliardi di chilometri dalla stella.

Link di approfondimento https://www.coelum.com/news/cintura-di-asteroidi-di-fomalhaut

IL PESCE AUSTRALE NELLA MITOLOGIA

Come si accennava nella parte mitologica dedicata alla costellazione dell’Acquario, il Pesce Australe è raffigurato nel tentativo (inusuale) di bere l’acqua che sgorga dalla brocca del suddetto; il mito e la leggenda lo collocano in varie vicende: una su tutte, la più ricorrente, narra di Derceto, sorella di Afrodite, che per la vergogna di aver concepito una bambina con un mortale, in seguito al parto decise di uccidersi lasciandosi annegare nelle acque di un lago nei pressi dell’Eufrate.

Il destino di Derceto fu però cambiato dall’intervento di un grosso pesce che, nuotando nelle acque del lago, si apprestò a salvare la dea che, come gesto di eterna gratitudine, lo trasformò in stelle e lo pose sulla volta celeste.

LA COSTELLAZIONE DEL DELFINO

Una costellazione che transita al meridiano nel cielo di settembre è quella del Delfino: la figura  è individuabile10° a Nord-Est della brillante Altair e, nonostante la costellazione sia molto piccola, le stelle che la compongono (circa una ventina) appaiono ravvicinate e ben visibili ad occhio nudo.

Due sono sostanzialmente le stelle più luminose della costellazione: si tratta del sistema binario B Delphini (Rotane), una stella subgigante gialla di magnitudine 3,6, distante 97 anni luce e il sistema binario a Delphini (Sualocin), una stella azzurra di magnitudine 3,77, distante 241 anni luce.

IL CURIOSO CASO DEI NOMI DELLE STELLE DEL DELFINO

Sualocin e Rotanev apparvero per la prima volta nel catalogo stellare del Reale Osservatorio di Palermo nel 1814: in quel periodo il Direttore era padre Giuseppe Piazzi, grande astronomo e matematico, fondatore dell’Osservatorio e fautore della scoperta di Cerere proprio dal cielo di Palermo, il 1 gennaio 1801.

Nel 1800 Piazzi fece l’incontro di Niccolò Cacciatore, astronomo che condusse i suoi studi proprio all’Osservatorio di Palermo, assumendone la direzione nel 1817.

Nella stesura dei cataloghi stellari del 1814, che tra l’altro vinsero il premio dell’Académie des Sciences di Parigi, comparvero i nomi di due stelle, Sualocin e Rotanev, gli astri principali della costellazione del Delfino.

Queste diciture suonarono bizzarre alle orecchie dell’astronomo britannico Thomas Webb che, dopo un’accurata analisi, arrivò a comprendere che i due nomi letti al contrario altro non erano che il nome e cognome latinizzato dell’astronomo siciliano Niccolò Cacciatore: Nicolaus Venator. Sulla base dell’amicizia e della collaborazione che li legava, Giuseppe Piazzi volle dedicare il nome delle due stelle al suo assistente Niccolò Cacciatore.

Un approfondimento sul Reale Osservatorio Astronomico di Palermo a cura di Teresa Molinaro e Walter Leonardi è disponibile qui

OGGETTI NON STELLARI NEL DELFINO

Fra i pochi oggetti del profondo cielo nel Delfino ci sono gli ammassi globulari NGC7006, NGC 6934 e la nebulosa planetaria NGC 6891.

NGC 6934 CREDITI: ESA/Hubble e NASA
NGC 6934 CREDITI: ESA/Hubble e NASA
NGC 6891 catturata da Hubble.
NGC 6891 catturata da Hubble.

NGC 6891 è una nebulosa planetaria luminosa e asimmetrica che grazie alle immagini di Hubble è stato possibile studiare “più da vicino”: l’immagine rilasciata nel 2021rivela filamenti e nodi all’interno della nebulosa, che circondano la stella nana bianca; dai loro movimenti, gli astronomi stimano che uno dei gusci abbia 4.800 anni mentre l’alone esterno ne ha circa 28.000, ciò indica una serie di esplosioni dalla stella morente in momenti diversi.

Nel cielo serale di settembre è possibile osservare la stella 18 Delphini (o Musica), una gigante gialla situata appunto nella costellazione del Delfino, la cui peculiarità è quella di avere un pianeta che ruota intorno ad essa.

Si tratta di Arion, un gigante gassoso scoperto nel 2018,che completa un’orbita quasi circolare in circa 993 giorni terrestri, aduna distanza media dalla stella di 2,6 UA.

Il nome è stato scelto dai partecipanti al concorso Name Exo Worlds.

IL DELFINO NELLA MITOLOGIA

Incontrare un delfino in mare aperto era una consuetudine per gli antichi marinai greci e le leggende ci raccontano diverse versioni di  cui queste creature sono protagoniste.

Secondo Eratostene il delfino era il messaggero d’amore del dio del mare, Poseidone, che invaghitosi di una delle ninfe marine Nereidi, decise che doveva averla a tutti i costi, nonostante il suo rifiuto.

Un giorno Poseidone inviò un delfino a prelevare la fanciulla dal suo nascondiglio e a portarla nel suo castello sottomarino, dove ne fece la sua sposa.

Pieno di gratitudine il dio del mare pose la figura del delfino tra le stelle.

Un’altra leggenda si ricollega al nome dell’esopianeta Arion che prende il nome dal cantore greco Arione il quale, di ritorno in Grecia dalla Sicilia, dove si era esibito con la sua cetra, fu minacciato da un gruppo di marinai che volevo sottrargli il denaro; preso dalla paura di morire chiese come ultimo desiderio di poter suonare ancora una volta la sua amata cetra, il cui suono armonioso attirò un delfino che lo prese sul groppone e lo trasse in salvo.

Arrivati in Grecia, il dio della musica Apollo collocò il delfino tra le stelle.

 

Le costellazioni del mese di Agosto 2024

La Grande Orsa si distende quasi ad accucciarsi sulle chiome degli alberi a nord-ovest; Arturo cala a picco sul profilo della collina trascinando tutto l’aquilone di Boote; esattamente a ovest è Vega, alta e solitaria; se Vega è quella, questa sopra il mare è Altair e quella è Deneb che manda un freddo raggio allo zenit.

Palomar, Calvino

Le sere di agosto sono pervase da storie di stelle e miti da scorgere sulla volta celeste, attraversata dalla bellezza della Via Lattea estiva. Proprio in questa regione di cielo possiamo contemplare le costellazioni più interessati dell’estate boreale, tra cui la Lira e il Cigno.

LA COSTELLAZIONE DELLA LIRA

Seppur di piccole dimensioni, la costellazione della Lira è una figura facilmente riconoscibile grazie alla luminosità della sua stella principale, Vega: alfa Lyrae è una stella colorbianco-azzurro multipla, costituita d 5 componenti e situata a una distanza di 25,3 anni luce.

La sua magnitudine apparente di 0,03 la rende la seconda stella più luminosa dell’emisfero settentrionale e la quinta di tutto ilfirmamento.

Circa 14.000 anni fa il Polo Nord celeste si trovava proprio nei pressi della Lira, e Vegain quell’epoca era la Stella Polaree tornerà ad esserlo fra 13.000 anni quando, l’asse di rotazione terrestre, tornerà nuovamente in direzione della Lira.

VEGA NELLA STORIA DELL’ASTROFOTOGRAFIA

Vega è stata la prima stella del cielo notturno ad essere fotografata: l’astro infatti è stato immortalato la notte tra il 16 e il 17 luglio del 1850, dall’astronomo statunitense William Cranch Bond, e da uno dei pionieri del dagherrotipo John Adams Whipple: Vega venne ripresa dall’Harvard College Observatory, in Massachusetts, utilizzando un telescopio rifrattore da 38 cm di apertura.

Più tardi, nel 1872, Henry Draper ne fotografò lo spettro, utilizzando un prisma collegato a un telescopio riflettore da 70 cm.

OGGETTI NON STELLARI NELLA LIRA

La costellazione contiene diverse stelle doppie risolvibili già con l’ausilio di un binocolo, come nel caso di  ε Lyrae, la doppiaper eccellenza, distante 162 anni luce dalla Terra.

Entrambe le stelle che compongonoil sistema possono essere separate in due sistemi binari distinti; il sistema binario contiene dunque due stelle binarie che orbitano una sull’altra. 

Tra gli oggetti del profondo cielo presenti nella costellazioneestiva di certo il più noto è M 57, ovvero la Nebulosa Anello, molto amata dagli astrofili.Si tratta di una nebulosa planetaria posta a circa2000 anni luce dalla Terra, individuabile a Sud della luminosa Vega.

Il periodo migliore per osservarla è proprio quello che abbraccia l’estate, tramite l’utilizzo di telescopi di apertura considerevole.

Costellazione della Lira
M57 rirpesa da Andrea Iorio

Altri oggetti deepsky da menzionare sono l’ammasso globulare M56 e l’ammasso NGC 6791, composto da diverse centinaia di stelle.

Alla costellazione della Lira fa riferimento anche un noto sciame di meteoriti, ovvero le Liridi, visibile nel periodo di aprile e così chiamato per via del radiante situato appunto nei pressi della costellazione.

LA LIRA NELLA MITOLOGIA

Questa costellazione è piena di significato mitologico, che si tramanda attraverso le culture di varie antiche popolazioni.

Una delle leggende più romantiche proviene dall’oriente e narra la storia di due giovani innamorati, Vega e Altair, separati da un fiume di stelle ( la Via Lattea); pare che i due riuscissero a ricongiungersi grazie ad un volo di gazze che solo per un giorno all’anno riusciva a dar vita ad un ponte stellato, consentendo agli innamorati di potersi ritrovare.

Il mito greco invece identifica la Lira come lo strumento musicale del dio Ermes, che ne fece dono a suo fratello Apollo per poi passare nelle mani di Orfeo, eccellente musicista del suo tempo.

Qui la trama si fa più profonda e rappresenta una delle più belle storie d’amore del mito greco.

Dopo l’uccisione della sua sposa, Euridice, Orfeo scese negli Inferi nel tentativo di riprendersi la sua amata.

Arrivato nel regno dei morti iniziò a intonare struggenti melodie attraverso la sua lira, suscitando la commozione di Ade, dio dell’oltretomba, il quale decise di consentire a Orfeo di riprendersi sua moglie, a patto però di camminare davanti ad Euridice senza mai voltarsi indietro.

Orfeo però non riuscì a rispettare il patto e si voltò poco prima di uscire dall’oltretomba, condannando la sua amata (e sé stesso) al buio eterno.

Costellazione del Cigno
Carl Goos Orpheus and Eurydice States Museum for Kunst

“E ormai non erano lontani dalla superficie della terra,
quando, nel timore che lei non lo seguisse, ansioso di guardarla,
l’innamorato Orfeo si volse: sùbito lei svanì nell’Averno;
cercò, sì, tendendo le braccia, d’afferrarlo ed essere afferrata,
ma null’altro strinse, ahimè, che l’aria sfuggente.
Morendo di nuovo non ebbe per Orfeo parole di rimprovero
(di cosa avrebbe dovuto lamentarsi, se non d’essere amata?);
per l’ultima volta gli disse ‘addio’, un addio che alle sue orecchie
giunse appena, e ripiombò nell’abisso dal quale saliva.”

(Metamorfosi, X libro, vv. 55-63)

Da quel momento Orfeo prese ad errare per il mondo aggrappato al suo dolore e alla sua inseparabile lira, e fino alla fine dei suoi giorni il ricordo di Euridice rimase vivo in lui, tanto da non concedere più il suo cuore a nessun’altra donna. Accadde però che proprio una delle sue contendenti, vedendosi rifiutata da Orfeo, decise di vendicarsi uccidendolo, colpendolo alle spalle a colpi di pietre, mentre suonava ignaro in un bosco.

Orfeo poté finalmente ricongiungersi con la sua amata Euridice.

La leggenda narra che le Muse, impietosite, raccolsero la lira e la adagiarono sulla volta celeste in un eterno scintillío di stelle.

Anche la Lira attraverso il cielo si scorge con i bracci
divaricati tra le stelle, con la quale una volta Orfeo catturava
tutto quello che con la sua musica raggiungesse, e volse il passo
perfino tra le anime dei trapassati e ruppe col canto le leggi d’abisso.
Donde la dignità del cielo e un potere simile a quel dell’origine:
allora alberi e rupi trascinava, ora di astri è guida
e attira dietro sé il cielo infinito dell’orbitante cosmo.
(Manilio, PoeticonAstronomicon, I, 324-330)

LA COSTELLAZIONE DEL CIGNO

Rappresentata come un l’uccello in volo verso il Sud della volta celeste, quella del Cigno è una delle costellazioni più interessanti dell’estate boreale.

La costellazione del Cigno
La costellazione del Cigno

È individuabile grazie alla stella alfa Deneb, una supergigante bianca che con la sua magnitudine apparente +1,25 rappresenta la diciannovesima stella più brillante del cielo notturno.

Insieme a Vega ed Altair, Deneb costituisce uno dei vertici del Triangolo estivo.

Nelle sere d’estate possiamo dedicarci dall’osservazione di Albireo (il becco del Cigno) un interessante sistema stellare, noto anche ai semplici appassionati di astronomia: il sistema è composto da due astri di colore diverso, la componente principale è di colore arancio mentre la secondaria è di colore bianco-azzurro. Le due possono essere risolte già con un piccolo telescopio.

Albireo, insieme a Deneb,dà vita all’asterismo della Croce del Nord, il cui asse maggiore è attraversato dalla Via Lattea.

OGGETTI NON STELLARI NELLA COSTELLAZIONE DEL CIGNO

La costellazione ospita un gran numero di stelle variabili, ammassi aperti e nebulose: uno dei più noti oggetti deepsky è la Fenditura del Cigno, un vastissimo complesso di nebulose oscure e polveri interstellari a Sud di Deneb, che taglia in due la Via Lattea e include oggetti come la Nebulosa Nord America (NGC 7000) e la Nebulosa Pellicano, soggetti molto amati dagli astrofili.

La Costellazione del Cigno
NEBULOSA NORD AMERICA CREDITI: MIRKO TONDINELLI

Nella parte sudorientale del Cigno è presente la Nebulosa Velo, un antico resto di supernova: la stella che ha originato l’oggetto è esplosa diversi millenni fa e ora ciòne che resta sono dei sottili filamenti ancora in espansione.

La parte più orientale del complesso nebulare della Velo è nota come Nebulosa Velo Est o NGC 6992/6995 mentre la parte più occidentale, NGC 6960, è nota appunto come Nebulosa Velo Ovest.

Costellazione del Cigno
NEBULOSA VELO EST E OVEST CREDITI: MIRKO TONDINELLI

IL CIGNO NELLA MITOLOGIA

Osservando la costellazione del Cigno vengono in mente le innumerevoli storie legate alla mitologia, molte di queste identificano la figura del Cigno con quella di Zeus.

Tra le tante, prevale la vicenda della trasformazione di Zeus in un bellissimo e innocente cigno con lo scopo di sedurre Leda, nipote di Ares e regina di Sparta: mentre Leda passeggiava sulle rive del fiume Eurota, Zeus la possedette sotto le sembianze di un cigno.

Dall’uovo concepito (o forse erano due) vennero alla luce quattro bambini, ma poiché quella stessa notte la regina di Sparta giacque con suo marito, il re Tindaro, non fu certa la reale paternità dei bambini, anche se le uova da cui nacquero Elena di Troia e Polluce, vennero attribuite  a Zeus.

Il Cigno brilla dunque tra le stelle come omaggio ad una delle tante metamorfosi di Zeus.

Costellazione del Cigno
Jacopo Pontormo, Leda e il cigno, 1512-13, Galleria Uffizi

Le costellazioni del mese di luglio 2024

Nel cielo di luglio ci troviamo tra le costellazioni tipiche dell’estate: lo Scorpione, protagonista assoluto, incanta la volta celeste con la sua stella rosso-arancio Antares, e poi l’Ofiuco e ancora l’Aquila con la sua luminosa Altair.

Scopriamo dunque stelle e miti delle figure dominanti del cielo estivo!

COSTELLAZIONE DELLO SCORPIONE

Costellazione tipica del cielo australe, lo Scorpione è facilmente osservabile durante l’estate boreale, grazie alla sua tipica sagoma e alla stella Antares (Alfa Scorpii), che è l’emblema della costellazione: anti-Ares, “rivale di Marte” per via del suo colore inconfondibile, essa è una supergigante rossa di magnitudine apparente 1,06, situata a 600 anni luce dal sistema solare.

Con un raggio di circa 850 volte quello del Sole, Antares è classificata come una delle stelle più grandi conosciute.

Tra le altre stelle che compongono la costellazione dello Scorpione merita una certa considerazione anche  Shaula (Lambda Scorpii), una stella azzurra di magnitudine 1,62: si tratta dell’astro più luminoso del gruppo di stelle che insieme a U Scorpii compone la coda e quindi il pungiglione dello scorpione stesso.

Costellazioni del mese - Scorpione
La costellazione dello Scorpione

OGGETTI NON STELLARI NELLO SCORPIONE: ANTARES E LA NUBE DI RHO OPHIUCHI

La costellazione ospita un gran numero di stelle variabili oltre che diversi interessanti oggetti del cielo profondo.

Insieme alle stelle di colore azzurro β Scorpii, δ Scorpiie π Scorpii, Antares è una componente dell’asterismo del Grande Uncino ma non solo: la stella principale dello Scorpione è pervasa dalla nube molecolare gigante nota come Nube di Rho Ophiuchi, che prende il nome da ρ Ophiuchi, stella situata nella costellazione  dell’Ofiuco e che domina la regione composta da idrogeno ionizzato luminoso e polveri oscure; Rho Ophiuchi è forse uno dei soggetti del profondo cielo più fotografati e ammirati, che può essere individuato con le apposite strumentazioni nella regione di stelle che compongono la testa dello Scorpione.

Parte dei gas della nube viene illuminata proprio da Antares, che le conferisce la tipica colorazione  rosso-arancio.

le costellazioni del mese - scorpione
NUBE DI RHO OPHIUCHI CREDITI: CRISTINA CELLINI

Proseguendo tra gli oggetti del profondo cielo troviamo anche diversi ammassi globulari come M 4, poco concentrato ma molto luminoso e distinguibile già con un buon binocolo, ad Ovest di Antares.

Vi è poi l’ammasso aperto M 7 o Ammasso di Tolomeo che, se osservato da un  luogo appropriato, risulta  essere ben visibile  anche ad occhio nudo, mentre  sarà risolvibile in dettagli maggiori con l’ausilio di un binocolo.

Le costellazioni del mese - scorpione
IMMAGINE DI UN CAMPO NELLA CODA DELLO SCORPIONE CREDITI: MARCELLA BOTTI

 

Costellazioni del mese - Scorpione
VIA LATTEA TRA LO SCORPIONE E IL SAGITTARIO CREDITI: CRISTINA CELLINI

Altri oggetti interessanti per gli astrofili sono la Nebulosa  Zampa di Gatto, NGC 6334, appartenente  al Braccio del  Sagittario  della Via Lattea e la Nebulosa Guerra e Pace, NGC 6357, che si trova nella parte meridionale della costellazione dello Scorpione, a declinazioni australi.

Costellazioni del mese - Scorpione
NEBULOSA ZAMPA DI GATTO E GUERRA E PACE CREDITI: MARCELLA BOTTI

LO SCORPIONE NELLA MITOLOGIA

Come ogni oggetto celeste anche la figura dello Scorpione trova posto tra i miti e le leggende: esso è strettamente legato ad Orione, in diverse storie che  li vedono protagonisti.

Secondo una delle vicende più note pare che lo Scorpione avesse punto fatalmente il cacciatore Orione dopo che  quest’ultimo si era vantato con Artemide di essere in grado di poter uccidere qualsiasi animale gli fosse capitato a tiro; questa sua spavalderia non fu gradita a Gea, la madre Terra, che scagliò contro Orione il velenoso scorpione, uccidendolo.

Zeus, vedendo a terra Orione con accanto lo scorpione, decise di trasformarli entrambi in stelle e di porli sulla volta celeste, destinati a non incontrarsi mai perché quando lo Scorpione sorge Orione tramonta, in un ciclico scorrere del tempo e delle stagioni.

LA COSTELLAZIONE DI OFIUCO

In una regione di cielo molto ricca di oggetti interessanti, a Nord-Ovest  del centro della Via Lattea, è posta la costellazione dell’Ofiuco, una figura che interseca la fascia dello Zodiaco: essa si trova a cavallo dell’equatore celeste e la usa posizione lo rende osservabile da quasi tutte le aree del pianeta, tranne  le regioni polari.

Le stelle più luminose dell’Ofiuco sono alfa Ophiuchi, nota anche come Ras Alhague, che rappresenta  la testa dell’uomo che “tiene il serpente” e poi la stella η Ophiuchi, nota con il nome di Sabik, che si trova nella parte meridionale dell’asterismo.

Alfa Ophiuchi è una stella di magnitudine 2,08: si tratta di una delle stelle più brillanti vicine a noi, posta a 47 anni luce, mentre η Ophiuchi è  una stella bianca di magnitudine 2, 43  posta a 84 anni luce.

La Costellazione dell'Ofiuco
La Costellazione dell’Ofiuco

OGGETTI NON STELLARI NELLA COSTELLAZIONE DELL’OFIUCO

La costellazione contiene di verse stelle variabili oltre ad ammassi e nebulose: con un binocolo è già possibile individuare ad esempio il brillante ammasso globulare M5, ma vi sono anche gli ammassi M9, M10, M12, che si prestano all’osservazione e alle riprese con telescopi di discreta apertura.

In direzione del centro galattico, al confine  con il Sagittario, troviamo la Nebulosa Pipa, una nebulosa oscura che appare legata a Nord con un  altro sistema di nubi oscure.

Le costellazioni del mese - Ofiuco
NEBULOSA PIPA CREDITI: LAURA PULVIRENTI

OFIUCO NELLA MITOLOGIA

L’Ofiuco è rappresentato come un uomo che tiene con le mani con un enorme serpente, attorcigliato a sua volta intorno alla vita e che trova collocazione nella costellazione del Serpente.

Tra i miti che aleggiano intorno alla costellazione dell’Ofiuco di certo il più noto è il mito greco che si rifà al dio greco della medicina Asclepio, figlio di Apollo e Coronide, anche se sull’identità della madre non vi è certezza.

Costellazioni del mese - Ophiuco
Asclepio Marie-Lan Nguyen (settembre 2009) musei vaticani

Secondo la leggenda Coronide, con in grembo il figlio di Apollo, tradì quest’ultimo con un mortale: a rendere il dio a conoscenza del misfatto ci pensò un corvo che, anziché ricevere da Apollo la giusta gratitudine per averlo informato dei fatti, venne trasformato da candido uccello qual era in un corvo nero.

Apollo dunque, accecato dall’ira, scagliò la sua freccia mortale contro Coronide, portando a compimento il suo folle gesto con un’azione ancor più malvagia: egli infatti strappò dal grembo materno il bambino, consegnandolo al centauro Chirone, che  lo allevò come figlio suo e lo indottrinò alla conoscenza e all’applicazione  delle  tecniche di guarigione.

Asclepio acquisì tutto il sapere possibile, divenendo abile nel salvare le vite umane  e anche nel resuscitare i morti: ciò però  mosse la preoccupazione di Ade, il dio dell’oltretomba, che si rivolse a Zeus il quale punì Asclepio, fulminandolo.

Nonostante tutto, Apollo non fu in grado di mandare giù un simile oltraggio, era pur sempre suo figlio e, anche al fine di placare le ire di Zeus, rese Asclepio immortale, trasformandolo in una costellazione e collocandolo sulla  volta celeste per l’eternità.

Nel tempo il simbolo dei medici chirurghi è diventato proprio dal bastone di Asclepio, un semplice bastone con avvolto un serpente, logo che ritroviamo anche nella bandiera dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità).

LA COSTELLAZIONE DELL’AQUILA

Alla corte celeste dei mesi estivi spicca l’astro luminoso Altair, stella principale dell’Aquila, una costellazione tipica dell’estate boreale che si trova a cavallo dell’equatore celeste e che viene attraversata dalla Via Lattea.

Altair è una stella bianca con magnitudine apparente di 0,77 e ciò la classifica come dodicesima stella più brillante del cielo, posta a una distanza di soli 17 anni luce da noi.

Insieme a Vega della Lira e Deneb  del Cigno, Altair costituisce uno dei vertici del Triangolo estivo, un  brillante asterismo da ammirare nel mese di luglio e per tutta l’estate.

Le Costellazioni del mese - Aquila
Costellazione dell’Aquila

OGGETTI NON STELLARI NELL’AQUILA

La costellazione dell’Aquila non contiene oggetti del catalogo Messier, ma ospita al suo interno due ammassi aperti come NGC6709 e NGC 6755, l’ammasso globulare NGC 6760,  la nebulosa Phantom Streak,  la Galassia a spirale NGC6814.

Ma c’è un oggetto poco noto, che possiamo ammirare in un’immagine davvero rara, realizzata da Cristina Cellini, che rappresenta una nebulosa planetaria denominata SH2-78 o nota anche come CTSS3.

Costellazioni del mese - Aquila
SH2-78 CREDITI: CRISTINA CELLINI

Ricordiamo  anche  che nell’Aquila è presente la Nebulosa oscura E, composta da due sistemi nebulosi separati tra loro e visibili con un telescopio anche  amatoriale: B142  e B143.

L’AQUILA NELLA MITOLOGIA

Rapimento di ganimede da parte di giove Eustache Le Sueur

Rappresentata come l’uccello mitologico caro a Zeus, nella mitologia greca e romana l’Aquila è protagonista di molte leggende.

Una delle  storie più diffuse narra che il rapace fosse utilizzato da Zeus per riportare indietro i fulmini una volta scagliati contro chi osasse disobbedirgli.

In un’altra vicenda scopriamo che Zeus si trasformò in un’aquila, ricorrendo alle sue consuete metamorfosi in animali e uccelli di ogni genere e questa volta lo fece per rapire Ganimede e portarlo nell’Olimpo affinchè  svolgesse il ruolo di coppiere degli dei; secondo un’altra conturbante storia, l’inguaribile seduttore Zeus  s’incapricciò della bellissima dea Nemesi  e per riuscire a  possederla messe a punto un piano con l’aiuto di Afrodite, la quale venne trasformata lei stessa in un’aquila per simulare una caccia  al bellissimo cigno in cui si era a sua volta trasformato il padre degli dei.

Zeus finse di essere braccato dal rapace e cercò rifugio tra le braccia della dolce e ingenua Nemesi, riuscendo nell’intento di sedurla con l’inganno.

A memoria del buon esito del folle piano,  Zeus pose il Cigno e l’Aquila a brillare tra le stelle in eterno.

Le costellazioni del mese di giugno 2024

Quando c’è una bella notte stellata, il signor Palomar dice:  – Devo andare a guardare le stelle -. Dice proprio: – Devo, – perchè odia gli sprechi e pensa che non sia giusto sprecare tutta quella quantità di stelle che gli viene messa a disposizione.

Palomar, I.Calvino

Nel mese che conduce all’estate incontriamo sulla volta celeste le costellazioni di Ercole e la costellazione del Drago.

LA COSTELLAZIONE DI ERCOLE

Posta tra il Boote e la Lira, fra le costellazioni del mese troviamo quella di Ercole che è una costellazione tipica dell’estate boreale, che culmina a mezzanotte verso metà giugno; per via della sua ampia estensione (1225 gradi quadrati) è classificata come la quinta più grande del firmamento.

Nonostante le sue vaste dimensioni, Ercole non vanta stelle particolarmente brillanti: la più luminosa è Beta Herculis, nota anche come Kornephoros, stella di magnitudine 2,78; vi è poi Zeta Herculis, conosciuta anche come Ruticulus, una stella gialla di magnitudine 2.81 distante 35 anni luce da noi.

le costellazioni del mese

OGGETTI NON STELLARI IN ERCOLE

La costellazione contiene in compenso un gran numero di stelle doppie e stelle variabili, alcune osservabili già con piccoli strumenti e telescopi, come Alpha Herculis, detta anche Ras Algethi: si tratta di una stella doppia situata nella parte meridionale della costellazione di Ercole, la cui componente principale è una gigante rossa variabile di magnitudine 3.51.

Ercole giace lontano dalla porzione di cielo attraversata dalla Via Lattea, in una regione priva di galassie luminose; tuttavia l’asterismo ospita uno dei più conosciuti ammassi globulari: M13 o Ammasso Globulare di Ercole.

le costellazioni del mese
M13 ripresa da Massimiliano Pedersoli

Si tratta dell’ammasso più luminoso dell’emisfero boreale, visibile già ad occhio nudo da luoghi bui, e in maniera ancor più nitida e ben dettagliata se si osserva il cielo attraverso un binocolo o telescopio.

Con la sua magnitudine apparente pari a 5,8 l’ammasso contiene migliaia di stelle ed è uno degli oggetti più fotografati da dilettanti e professionisti.

L’Ammasso Globulare di Ercole rimane altresì famoso per il “messaggio Arecibo”: un messaggio radio trasmesso nello spazio dal radiotelescopio di Arecibo, a Porto Rico, (purtroppo ormai smantellato dopo gravi danneggiamenti ambientali) il 16 novembre 1974 e indirizzato verso M13, a 25 000 anni luce di distanza.

Nella costellazione è presente anche l’ammasso globulare M 92, uno degliammassi più settentrionali della volta celeste, che risulta essere meno facile da individuare rispetto ad M13, ma non impossibile: si può tentare l’osservazione con un binocolo 10×50, attraverso il quale l’ammasso appare come una macchia biancastra diffusamentre, con un telescopio da almeno 200mm di apertura, sarà possibile risolverlo in stelle.

le costellazioni del mese
L’ammasso M92 di Massimiliano Pedersoli

Nella costellazione di Ercole è situata una delle nebulose planetarie più grandi della nostra Via Lattea, Abell 39, che possiede un diametro di ben 5 anni luce e la cui forma, circolare e trasparente, ricorda una bolla di sapone.

le costellazioni del mese
IMMAGINE ABELL 39 CREDITI: CRISTINA CELLINI

IL MITO DI ERCOLE fra le costellazioni del mese

Quella di Ercole è certamente una delle figure più note della mitologia: la sua fama è legata alle 12 fatiche che l’eroe dovette affrontare e chi gli valsero la sua eterna gloria, di seguito citate:


Uccidere l’invulnerabile leone di Nemea e portare la sua pelle come trofeo;
Uccidere l’immortale idra di Lerna;
Catturare la cerva di Cerinea;
Catturare il cinghiale di Erimanto;
Ripulire in un giorno le stalle di Augia;
Disperdere gli uccelli del lago Stinfalo;
Catturare il toro di Creta;
Rubare le cavalle di Diomede;
Impossessarsi della cintura di Ippolita, regina delle Amazzoni;
Rubare i buoi di Gerione;
Rubare i pomi d’oro del giardino delle Esperidi;
Portare vivo Cerbero, il cane a tre teste guardiano degli Inferi, a Micene.

In origine i greci associavano alla figura di Ercole quella dell’Inginocchiato senza però attribuirgli un significato specifico; solo successivamente, in seguito alle 12 fatiche attribuite all’eroe, la figura venne ribattezzata con il nome che oggi conosciamo, e l’atto di inginocchiarsi è da ricondurre al riposo di Ercole dopo le sue gesta.

Ercole era venerato come simbolo di forza e abilità, ma anche come eroe generoso, che per il suo altruismo divenne esempio anche di grandezza morale oltre che fisica e proprio per queste sue virtù gli fu donato un posto sulla volta celeste.

Grazie alla mano di Ercole,
regna la Pace fra l’Aurora e il Vespero,
e nel luogo in cui il sole a mezzogiorno
nega le ombre ai corpi;
tutta la terra bagnata dal lungo circuito di Teti
è stata sottomessa dalla fatica di Alcide.
(Seneca, La follia di Ercole, 883-888)

Ma ad Ercole è legato anche un altro affascinante mito dove la protagonista è la nostra galassia, la Via Lattea: Ercole era figlio di Zeus e di Alcmena, una fanciulla, ennesima vittima degli inganni del padre degli dei: narra la mitologia che Zeus si trasformò nel marito della giovane per poterla possedere e proprio da questa unione nacque l’eroe mitologico, che però fu abbandonato dalla sua mamma.

Zeus teneva molto a quel figlio, per metà dio, e fece in modo che sua moglie Era lo trovasse e lo allattasse: accadde che Ercole fu preso in braccio da Era nel tentativo di attaccarlo al suo seno, ma il piccolo si mosse bruscamente (o fu Era stessa ad allontanarlo, secondo altre versioni) e lo schizzo di latte arrivò fino in cielo creando così il fiume di stelle che scorre sulla volta celeste e che dà vita alla Via Lattea.

LA COSTELLAZIONE DEL DRAGO fra le costellazioni del mese

Proseguendo il nostro percorso attraverso i sentieri celesti dell’estate, ci imbattiamo nella costellazione del Drago: si tratta di una figura situata tra l’Orsa Maggiore, l’Orsa Minore e Cefeo e risulta essere una delle più estese della volta celeste.

La parte immediatamente visibile della costellazione è il quadrato dato dalle stelle che ne formano la testa, le cui due più brillanti sono Eltanin e Rastaban, rispettivamente Gamma Draconis e β Draconis; quest’ultima deriva dall’arabo (Al Rās al Thuʽbān) e significa “la testa del serpente”.

le costellazioni del mese

OGGETTI NON STELLARI NELLA COSTELLAZIONE DEL DRAGO

Il Drago non spicca certo per grande luminosità, ma in compenso vanta un buon numero di stelle doppie come ν Draconis e ο Draconis, risolvibili già con un discreto telescopio.

Per quanto riguarda gli oggetti del profondo cielo c’è da dire che il Drago offre numerosi e interessanti spunti di osservazione, poiché ospita nebulose e galassie dalle caratteristiche decisamente scenografiche.

Partiamo dalla nebulosa planetaria NGC 6543, comunemente nota come Nebulosa Occhio di Gatto: questo oggetto, posto a 4.000 anni luce da noi, risultaessere davvero molto ambito tra gli astrofili. Si tratta di una nebulosa scoperta da William Herschel nel 1786 che è diventata oggetto di interesse e di studio dettagliato grazie al Telescopio Spaziale Hubble, il quale ha rivelato informazioni di grande rilevanza riguardo la sua struttura.

le costellazioni del mese
La nebulosa NGC 6543 di Loris Ferrini

Un altro degli oggetti del profondo cielo, ospite nella costellazione del Drago, è la Galassia Fuso, NGC 5866, una galassia lenticolare vista di taglio, con un diametro di 60.000 anni luce, posta a una distanza di 40 milioni di anni luce.

Le immagini rilasciate dal Telescopio Spaziale HUBBLE rivelano una striscia di polveri che divide la galassia in due metà, e un sottile rigonfiamento rossastro che circonda un nucleo luminoso, un disco blu di stelle che corre parallelo alla fascia di polvere, oltre ad un alone esterno trasparente.

le costellazioni del mese
IMMAGINE NGC 5866 CREDITI: NASA, ESA, THE HUBBLE HERITAGE TEAM (STSCL/AURA)

Infine va citata la Galassia Girino, UGC 10214, una spettacolare galassia a spirale barrata, che si trova a 400 milioni di anni luce dalla Terra.

Il suo tratto distintivo è una coda di stelle lunga circa 280.000 anni luce,arricchita da luminosi ammassi stellari blu, la cui forma distorta derivadallo scontro con una piccola ecompatta galassia blu: durante l’impatto le forze di marea galattiche hanno espulso una grande quantità di gas,stelle e detriti, generando la coda.Dopo aver causato questo imponente (e suggestivo) incidente, pare  che la piccola galassia compatta (e colpevole) si stia allontanando dal luogo dell’impatto.

le costellazioni del mese
IMMAGINE GALASSIA GIRINOCREDITI: Credit: NASA, H. Ford (JHU), G. Illingworth (UCSC/LO), M.Clampin (STScI), G. Hartig (STScI), the ACS Science Team, and ESA

ILDRAGO NELLA MITOLOGIA

Il Drago trova riferimenti sia negli antichi popoli Sumeri e Babilonesi che nella mitologia greca, dove veniva configurato con Ladone, il guardiano delle mele d’oro.

Tutto ebbe inizio con il matrimonio di Giove e Giunone, i quali ricevettero come regalo di nozze dalla dea Gea (la Terra) un albero speciale, in grado di produrre mele d’oro.

Giunone lo fece piantare in giardino, ma l’albero era così prezioso che serviva qualcuno che lo sorvegliasse: così Giunone incaricò un terribile mostro, Ladone, con sembianze metà di donna e metà di serpente.

E qui entra in scena Ercole che venne convocato dal re di Micene, Euriseo, il quale gli affidò il compito di uccidere il mostro e trafugare l’albero dal giardino di Giunone; l’eroe prese alla lettera l’incarico e, giunto nel giardino e individuato il temibile mostro, scagliò una delle sue fatali frecce contro Ladone, che stramazzò a terra esanime.

Il Drago venne posto in cielo in ricordo di quell’impresa e fu sistemato attorno all’albero dai frutti d’oro, rappresentato dall’asse terrestre.

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Indice dei contenuti

Asteroidi del mese – (5) Astraea

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Asteroidi del mese di Giuno 2025 – (5) Astraea

Scoperta e nomenclatura

L’asteroide (5) Astraea fu individuato l’8 dicembre 1845 da Karl Ludwig Hencke, un impiegato postale prussiano che, per puro diletto, passava le nottate al telescopio installato sul tetto della propria abitazione a Driesen. Per quasi quarant’anni, dopo la scoperta di 4 Vesta, la comunità astronomica si era convinta che la “serie dei pianetini” fosse chiusa; l’apparizione di Astraea colse quindi di sorpresa gli osservatori professionisti e rilanciò la caccia nella fascia principale. Hencke battezzò il nuovo corpo con il nome della vergine simbolo della Giustizia, Astraea (vergine delle stelle), segnando la ripresa della tradizione mitologica inaugurata da Piazzi. L’astronomo dilettante ricevette perfino una piccola pensione da Federico Guglielmo IV di Prussia: un riconoscimento pubblico raro, che fece rapidamente il giro delle accademie europee.

Parametri orbitali

Astraea si colloca su di un’orbita con semiasse maggiore di 2,576 UA, eccentricità 0,187 e inclinazione 5,35 gradi sul piano dell’eclitica. Il perielio raggiunge 2,093 UA, mentre l’afelio tocca 3,060 UA; il periodo siderale è pari a 4,14 anni. La traiettoria resta al di fuori delle principali lacune di Kirkwood, ma è lambita da risonanze di ordine superiore che modulano lentamente eccentricità e inclinazione senza compromettere la stabilità dell’orbita.

Caratteristiche fisiche e composizione

Le misure indicano un diametro medio di circa 125 km e un’albedo geometrica compresa fra 0,23 e 0,24, valore elevato per un asteroide di tipo roccioso. L’analisi delle perturbazioni gravitazionali su piccole masse vicine fornisce una densità attorno a 3,1 g  cm³, coerente con un interno silicatico scarsamente poroso e una modesta frazione metallica. Lo spettro di riflettanza, dominato dalle bande di olivina e pirosseno a 1 e 2 µm, colloca Astraea nella classe tassonomica S. La mineralogia ricorda le condriti ordinarie di tipo H, suggerendo una crosta basaltica moderatamente evoluta.

Analisi fotometrica e periodo di rotazione

Oltre seimila osservazioni fissano un periodo rotazionale di 16,801 ore. L’ampiezza media della curva di luce, compresa fra 0,24 e 0,30 magnitudini, implica un rapporto assiale di circa 1,25:1 e quindi una forma poco allungata; l’inversione delle curve di luce individua un polo eclittico vicino a λ = 115 °, β = 55 °, segno che l’asse di rotazione è inclinato di circa 33 gradi, il che conferisce all’asteroide stagioni non particolarmente pronunciate.

Dinamica orbitale e contesto collisivo

Astraea non possiede una vera famiglia collisionale. Gli algoritmi di clustering mostrano soltanto un lieve addensamento di piccoli corpi, la spiegazione più plausibile è che quegli oggetti non derivino da una sola collisione su Astraea; piuttosto, si sono avvicinati progressivamente alla sua orbita spinti dall’effetto Yarkovsky che li ha fatti scivolare in risonanze di ordine elevato con Giove. Queste risonanze, a loro volta, hanno “catturato” gli asteroidi rallentandone la deriva e creando un addensamento intorno ai parametri orbitali di Astraea.

Come e quando osservarlo

(5 Astraea) sarà in opposizione il 5 di Giugno, momento nel quale raggiungerà la magnitudine 10.6. Il suo moto sarà di 0,60 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle  nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere  una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo Astraea  trasformarsi in una bella striscia luminosa di 24 secondi d’arco.

Asteroidi del mese di Maggio 2025 – (3) Juno (pt.02)

Scoperta e nomenclatura

(3) Juno fu scoperto il 1 settembre 1804 dall’astronomo tedesco Karl Ludwig Harding nell’osservatorio privato di Lilienthal, appena fuori Brema. L’annuncio arrivò in un momento di fervente attività: Pallas era stato scoperto soltanto pochi anni prima, e l’idea che tra Marte e Giove potesse orbitare un’intera “famiglia” di piccoli pianeti stava prendendo forma. Harding scelse il nome della regina degli dèi dell’olimpo, inaugurando così la consuetudine di attingere alla mitologia classica per la nomenclatura dei pianetini.

Parametri orbitali

Il semiasse maggiore di Juno misura 2,67 UA, con un’eccentricità insolitamente elevata di 0,256 che porta il perielio a 1,98 UA e l’afelio a 3,36 UA. L’inclinazione orbitale raggiunge 12,97 gradi, valore che lo colloca appena al di fuori dei più popolati piani mediani della fascia principale interna. L’evoluzione secolare del perielio è modulata da risonanze di ordine elevato con Giove, mentre piccole variazioni nell’eccentricità suggeriscono passaggi ripetuti in prossimità dello “stiramento” ν6 di Saturno,  una risonanza secolare  che agisce come un lungo “tirante gravitazionale” amplificandone lentamente l’eccentricità.

Caratteristiche fisiche

Le dimensioni di Juno sono state determinate combinando fotometria nel vicino infrarosso con misurazioni nell’infrarosso termico medio, la banda spettrale (circa 5–25 µm) in cui l’asteroide non riflette la luce solare ma la riemette come calore, permettendo di stimarne direttamente temperatura ed emissione termica. Le osservazioni convergono su di un diametro medio di 248 ± 5 km e su un’albedo geometrica intorno a 0,24, sostanzialmente più alta della media degli asteroidi di tipo S. La densità oscilla fra 3,0 e 3,3 g cm³: valori compatibili con un corpo parzialmente metallico o, più verosimilmente, con un interno ricco in silicati a grana fine ma scarsamente poroso. Gli spettri di riflettanza indicano la presenza di olivina e pirosseni ferrosi, inquadrando Juno nella classe tassonomica S, con mineralogia simile alle condriti H poco alterate.

Curve di luce, periodo di rotazione e forma

Le prime curve di luce di Juno, pubblicate da H. Russell già nel 1904, indicavano un periodo vicino a sette ore; l’analisi moderna  evidenzia un periodo di rotazione di 7,209 ± 0,000005 h e un’ampiezza media di 0,90 magnitudini. Una variazione così ampia comporta un rapporto assiale di circa 1,5:1 e suggerisce un profilo irregolare con un grande rilievo su uno dei due emisferi. Inversioni delle curve di luce fissano il polo eclittico approssimativamente a longitudine 122° e latitudine 28°, una configurazione che comporta stagioni insolitamente accentuate per un corpo di medie dimensioni.

Appartenenza a una famiglia asteroidale

Pur essendo un oggetto di grandi dimensioni e con un’eccentricità insolitamente alta, Juno non è circondato da un insieme consistente di frammenti che ne condividano l’origine; in altre parole non forma una vera famiglia genetica.

Con questa espressione si indica un gruppo di corpi che presenta semiasse maggiore, eccentricità e inclinazione molto simili perché deriva dalla frammentazione di un unico corpo progenitore. Gli asteroidi “consanguinei” condividono quindi la stessa orbita di base e, a distanza di milioni di anni, continuano a rimanere raggruppati nello spazio dei parametri orbitali. Quando un oggetto massiccio viene distrutto, i suoi frammenti si allontanano con velocità relative di poche decine o centinaia di metri al secondo: questo valore è piccolo rispetto alle velocità orbitali (chilometri al secondo), perciò l’insieme dei frammenti resta concentrato e riconoscibile; se l’addensamento osservato è debole o spiegabile con altri meccanismi dinamici, non si parla di famiglia genetica vera e propria.

Nel caso di Juno l’analisi dei cluster mostra solo un modesto addensamento di piccoli asteroidi nelle vicinanze dei suoi parametri orbitali, e le integrazioni orbitali retrograde indicano che tali oggetti sono probabilmente entrati a far parte di quella regione perché intrappolati in risonanze di ordine elevato con i pianeti, e non perché siano schegge prodotte da un singolo impatto catastrofico.

Come e quando osservarlo

(3 Juno) sarà in opposizione il 14 Maggio, momento nel quale raggiungerà la magnitudine 10.1. Il suo moto sarà di 0,55 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle  nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere  una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo Juno  trasformarsi in una bella striscia luminosa di 22 secondi d’arco.

Il percorso dell’asteroide Juno in opposizione il 14 maggio.

(4) Vesta (pt.01)

Scoperta e nomenclatura

Il 29 marzo 1807 Heinrich Wilhelm Olbers, già celebre per la scoperta di (2) Pallas, riconobbe un oggetto insolitamente brillante nel cielo di Brema: lo battezzò Vesta in onore della dea romana del focolare. L’asteroide fu il quarto scoperto e, per luminosità, destò immediatamente l’interesse della comunità scientifica; Gauss – che in quell’epoca stava perfezionando i metodi di calcolo orbitale – ne predisse con grande accuratezza la posizione, aiutando Olbers a confermarne la natura di corpo appartenente alla fascia principale.

Parametri orbitali

Vesta percorre un’orbita compresa fra 2,15 UA al perielio e 2,57 UA all’afelio, con semiasse maggiore di 2,36 UA, eccentricità di 0,089 e inclinazione di 7,14 gradi sull’eclittica; completa una rivoluzione in 3,63 anni terrestri, muovendosi a una velocità media di 19,3 km s.  Questi valori la collocano nella fascia principale interna, fuori dalle risonanze maggiori con Giove, in una regione dinamicamente stabile. L’asteroide è troppo massiccio perché l’effetto Yarkovsky ne alteri sensibilmente il semiasse maggiore, mentre i membri più piccoli della sua famiglia migrano di qualche centesimo di UA per milione di anni, spiegando l’allineamento dei vestoidi con le “porte” dinamiche che alimentano la popolazione near-Earth.  Il momento d’inerzia basso e la regolazione mareale interna hanno mantenuto l’assetto rotazionale in equilibrio: non si registrano drift YORP misurabili sul periodo di 5,34 h, in accordo con le previsioni teoriche per corpi di centinaia di chilometri.

Caratteristiche fisiche

Le misure della sonda Dawn hanno fissato il diametro medio a 525 km, con assi principali di 572 × 557 × 446 km e massa di 2,59 × 10²⁰ kg; la densità di 3,46 g cm³ conferma la presenza di un nucleo metallico di Fe-Ni del raggio di circa 110 km, sovrastato da mantello silicatico e crosta basaltica.  Vesta rappresenta quindi un protopianeta differenziato rimasto quasi intatto sin dalle prime fasi di formazione dei pianeti terrestri. Le immagini ad alta risoluzione di Dawn hanno inoltre rivelato il gigantesco bacino polare Rheasilvia, largo 505 km e profondo oltre 20 km, la cui vetta centrale di 22 km figura fra i rilievi più alti del Sistema Solare. L’impatto che lo generò espulse circa l’1 per cento del volume dell’asteroide, aprendo squarci sul mantello e lasciando cicatrici tettoniche come il sistema di Divalia Fossa. Analisi geologiche mostrano inoltre che le colate basaltiche originali sono state coperte da sottili strati di materiale carbonioso scuro, depositato da impattanti primitivi.

Connessione coi meteoriti HED

Lo spettro di riflettanza, dominato da bande di pirosseno–olivina, colloca Vesta nella rara classe tassonomica V-type.  Già dagli anni Settanta si era notato che tale spettro coincide con quello dei meteoriti eucriti, diogeniti e howarditi, i cosiddetti HED.  Le analisi isotopiche effettuate su questi meteoriti, corroborate dai dati ricavati dalla sonda Dawn, confermano che essi provengono dalla crosta e dal mantello di Vesta, rendendo l’asteroide l’unico corpo progenitore noto di un’intera classe meteoritica basaltica.  Studi del 2024 hanno mostrato come le variazioni di zinco e sodio negli HED riflettano la perdita primordiale di elementi volatili durante la solidificazione del magma vestiano, rafforzando l’interpretazione di Vesta quale “pianeta interno in miniatura”.

Curve di luce, periodo di rotazione e forma

Le curve di luce ricavate da osservazioni telescopiche e dalla stessa sonda Dawn definiscono un periodo di rotazione di 5,342 ± 0,001 ore; l’ampiezza fotometrica varia fra 0,10 e 0,30 magnitudini a seconda della geometria di fase, con un valore medio di circa 0,26 mag alle lunghezze d’onda visibili.  La modulazione doppia (bimodale, due massimi e due minimi) indica una forma triassiale.  L’asse di rotazione è inclinato di 29 gradi, generando un alternarsi di “stagioni” particolarmente pronunciate.

La famiglia dei Vestoidi

L’impatto che formò il cratere Rheasilvia – e quello precedente di Veneneia – ha espulso milioni di frammenti oggi noti come famiglia Vesta o Vestoidi.  Questa popolazione, che supera i 15 000 membri identificati, riempie la regione 2,26–2,48 UA con inclinazioni di 5–8 gradi; la maggioranza della massa è dominata da Vesta stessa (circa il 98 %), seguita da alcuni corpi di decine di chilometri come 63 Ausonia, mentre la stragrande maggioranza misura meno di 10 km. I vestoidi presentano spettri di tipo V-type o, per i frammenti più profondi, J-type ricchi di diogenite, confermando l’origine comune dal mantello e dalla crosta di Vesta.  I frammenti più piccoli derivano progressivamente verso semiassi maggiori più piccoli o più grandi per effetto Yarkovsky; quando raggiungono specifiche risonanze, alcuni vengono proiettati verso il sistema solare interno, molti divengono NEA e alcui finiscono per cadere sulla Terra sotto forma di meteoriti HED.

Come e quando osservarlo

(4 Vesta) sarà in opposizione il 1 Maggio, momento nel quale raggiungerà la magnitudine 5,7. Il suo moto sarà di 0,63 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle  nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere  una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (4) Vesta trasformarsi in una bella striscia luminosa di 25 secondi d’arco.

Il percorso di Vesta nel mese di Maggio. Opposizione 1 Maggio 2025.

Asteroidi del mese di Aprile 2025 – (113) Amalthea

Scoperta e nomenclatura

L’asteroide (113) Amalthea fu scoperto il 12 marzo 1871 dall’astronomo tedesco Robert Luther presso l’Osservatorio di Bilk a Düsseldorf. Fu il 113º asteroide identificato, in un’epoca in cui la fascia principale andava popolandosi rapidamente grazie alle frequenti scoperte. Luther scelse di battezzarlo “Amalthea” in onore della ninfa della mitologia greca Amaltea, nota per aver allattato con il proprio latte di capra il neonato Zeus (Giove).

Parametri orbitali

Amalthea orbita attorno al Sole in circa 3,66 anni. La sua orbita lo colloca nella regione interna della fascia asteroidale (la cosiddetta fascia principale interna), leggermente oltre il gruppo della famiglia Flora. In particolare, Amalthea percorre un’orbita relativamente poco eccentrica e lievemente inclinata sull’eclittica. I suoi elementi orbitali indicano un’orbita stabile lontana da risonanze maggiori: il semi-asse maggiore è di circa 2,376 UA, ben al di sotto della lacuna di Kirkwood del 3:1 con Giove (circa 2,50 UA), mentre il perielio si mantiene a 2,17 UA, dunque non penetra nella regione delle risonanze secolari interne. Alcune analisi più datate l’avevano incluso come membro appartenente alla famiglia di Flora, ma studi successivi hanno evidenziato una diversa origine (come vedremo tra breve) e attualmente Amalthea viene considerato al di fuori delle grandi famiglie classiche.

Il percorso dell’asteroide (113) Amalthea nel mese di aprile nella Costellazione della Vergine. Crediti: in-the-sky.org

Caratteristiche fisiche

Osservazioni effettuate nell’infrarosso e nel visibile hanno permesso di determinare con buona precisione le dimensioni e la natura della superficie di Amalthea. L’asteroide ha un diametro medio di circa 50 km. Si tratta dunque di un corpo di dimensioni intermedie, più grande del 99% circa degli asteroidi noti ma comunque molto più piccolo dei maggiori pianeti nani o degli asteroidi giganti come Cerere o Vesta.

Amalthea ha una superficie insolitamente riflettente, con un albedo intorno a 0,24–0,27, valore  che suggerisce una composizione di tipo silicaceo (asteroidi di tipo S), indicando che Amalthea riflette oltre un quarto della luce solare incidente; un indice di superficie relativamente brillante, per confronto, asteroidi di tipo carbonaceo, hanno un albedo intorno a 0,05–0,10. La massa di (113) Amalthea non è nota con precisione perché non esistono misurazioni dirette (ad esemepio satelliti stabili o perturbazioni orbitali significative su altri corpi). Tuttavia, ipotizzando una densità coerente con rocce silicacee poco porose, la massa di un sferoide di circa 50 km di diametro risulta dell’ordine di circa 100 trilioni di tonnellate. Si tratta di un valore approssimativo ma utile per inquadrare Amalthea come un corpo in grado di esercitare piccole perturbazioni gravitazionali locali, ma non sufficiente ad assumere forma sferica sotto la propria gravità.

Analisi spettroscopiche dettagliate hanno rivelato una caratteristica peculiare: Amalthea è ricco di olivina. In particolare, studi nella banda 0,3–2,5 µm indicano che il materiale superficiale è composto quasi interamente da olivina, con solo una piccola frazione di pirosseno e pochissimo metallo. Questa composizione suggerisce fortemente che Amalthea non sia un asteroide primitivo monolitico, ma un frammento proveniente dagli strati interni (mantello) di un grande corpo progenitore differenziato.

Curve di luce, periodo di rotazione e forma

Le osservazioni fotometriche di Amalthea – tramite la tecnica delle curve di luce – hanno permesso di determinarne il periodo di rotazione e la forma approssimativa. L’asteroide mostra una variazione periodica della luminosità mentre ruota su se stesso, dovuta alla sua forma non sferica. Le prime misure risalgono alla metà del ’900, ma è soprattutto con osservazioni moderne che si è consolidato il risultato: Amalthea ruota in circa 9,95 ore attorno al proprio asse. Questo valore indica una rotazione relativamente lenta rispetto ai piccoli asteroidi (che spesso ruotano in poche ore), ma abbastanza tipica per un corpo di circa 50 km. L’ampiezza della curva di luce – ossia la differenza tra la magnitudine massima e minima durante una rotazione – è di circa 0,2 magnitudini. Ciò significa che la brillantezza varia di circa il 20% tra i lati più luminosi e più deboli, suggerendo che Amalthea abbia una forma allungata ma non estremamente irregolare. Un’ampiezza di 0,20 mag è consistente con un rapporto tra gli assi del corpo di circa 1,2:1 (ipotizzando un ellissoide triaxiale); in altre parole, Amalthea potrebbe avere una forma oblunga con un asse lungo forse il 20% in più del corto. Effettivamente, osservazioni effettuate durante occultazioni stellari indicherebbero una sagoma ellissoidale marcata. Ad esempio, durante l’occultazione di una stella di magnitudine 10 avvenuta il 14 marzo 2017, varie stazioni osservative registrarono una durata d’occultazione coerente con un profilo molto allungato (rapporto assi di circa 1,5). La direzione dell’asse di rotazione (polo) non è al momento nota con precisione.

Appartenenza a una famiglia asteroidale

Per molto tempo Amalthea fu catalogato genericamente come un asteroide della fascia interna, potenzialmente associato alla numerosa famiglia Flora (data la similitudine dei parametri orbitali). Tuttavia, studi dettagliati della composizione e della dinamica orbitale hanno rivelato uno scenario diverso e Amalthea sembra essere strettamente legato all’asteroide (9) Metis. Metis e Amalthea condividono proprietà orbitali e spettroscopiche che suggeriscono l’origine da un comune evento di frammentazione: entrambi sono asteroidi di tipo S insolitamente ricchi di olivina, cosa rara nella fascia principale, e le loro orbite sono molto simili. Si è quindi ipotizzato che Metis (diametro di circa 190 km) e Amalthea (circa 50 km) siano i due maggiori superstiti di un antico corpo progenitore andato poi distrutto. Secondo questi studi, circa 1 miliardo di anni fa un grande asteroide di dimensioni stimabili tra 300 e 600 km (paragonabile a 4 Vesta in scala) sarebbe stato oggetto di una collisionme catastrofica dalla quale sarebbero nati una miriade di frammenti; col trascorrere del tempo, la grande maggioranza della massa di quel corpo originale è andata perduta, dispersa o ulteriormente frammentata. Gli unici oggetti riconoscibili rimasti sarebbero proprio (9) Metis e (113) Amalthea. Questa possibile famiglia Metis-Amalthea è però talmente erosa ed i membri minori sopravvissuti sono così pochi e di piccola taglia, che nelle analisi di clustering orbitale la coppia non emerge chiaramente come famiglia a sé (viene infatti classificata come “background”). Si tratta di un caso estremo di famiglia “condensata” in pochi oggetti, definita anche coppia asteroidale genetica poiché solo i due maggiori frammenti sono identificabili come correlati.

Le implicazioni dinamiche di questa potenziale appartenenza sono rilevanti. Innanzitutto, la composizione olivinica di Amalthea troverebbe spiegazione naturale se si trattasse di un frammento del mantello del corpo progenitore, mentre Metis potrebbe rappresentare una porzione più interna (mantello profondo o addirittura parte del nucleo, data la presenza di più metallo nel suo spettro). La similarità spettrale indica la possibile provenienza dallo stesso corpo differenziato originario. In secondo luogo, il fatto che la famiglia sia oggi praticamente ridotta a due soli membri principali suggerisce che i frammenti minori siano stati progressivamente eliminati nel tempo, probabilmente da processi dinamici di cui parleremo tra breve.

Dinamica orbitale: risonanze, effetti Yarkovsky-YORP e migrazione

Dal punto di vista dinamico a lungo termine, (113) Amalthea occupa un’orbita stabile nella fascia principale interna. Non si trova in risonanza orbitale significativa con alcun pianeta maggiore: le principali risonanze di Giove in zona (ad esempio la 3:1 a 2,50 UA o la 5:2 a 2,82 UA) sono lontane dalla sua posizione (2,38 UA). Anche le risonanze secolari (che destabilizzano gli asteroidi portandoli in orbite che intersecano quella di Marte) agiscono più vicino, a 2,1 UA e a inclinazioni differenti, quindi Amalthea rimane fuori anche dalla loro portata. Questo significa che Amalthea manterrà un’orbita stabile per centinaia di milioni di anni. Tuttavia, per i piccoli frammenti  originatisi dalla sua famiglia collisionale entrano in gioco forze non gravitazionali che possono aver alterato le orbite nel tempo, in particolare l’effetto Yarkovsky. L’effetto Yarkovsky è una debole forza propulsiva prodotta dall’emissione di radiazione termica da parte di un corpo in rotazione: in pratica un asteroide assorbe luce solare e la ri-emette come calore con un leggero ritardo rotazionale. Questo fenomeno, nel corso di milioni di anni, causa una lenta deriva del semiasse maggiore, dipendente dal senso di rotazione, dalle dimensioni del corpo e dalle sue proprietà termiche. Per asteroidi di dimensioni inferiori ai 20 km, la deriva indotta dall’effetto Yarkovsky può essere abbastanza significativa da spostarli gradualmente e farli entrare in zone di risonanza che poi li rimuovono dalla fascia. Nel caso della famiglia di Amalthea, è probabile che dopo la frammentazione iniziale molti piccoli pezzi siano migrati lentamente sotto l’azione dell’effetto Yarkovsky, finendo per entrare in risonanze per poi essere espulsi dalla fascia principale. Questo spiegherebbe perché oggi restano solo Metis e Amalthea: i membri minori potrebbero essere stati dispersi dinamicamente dal combinarsi dell’effetto Yarkovsky e delle risonanze, mente i corpi più grandi come Amalthea stesso, avendo  una deriva generata dall’effetto Yarkovsky trascurabile ed essendo distanti dalle risonanze, sarebbero rimasti vicino alla loro posizione originaria.

Un altro effetto correlato è l’effetto YORP (acronimo di Yarkovsky-O’Keefe-Radzievskii-Paddack): una variante dell’effetto Yarkovsky che modifica il periodo di rotazione di un piccolo corpo tramite il momento torcente esercitato dall’emissione termica. L’effetto YORP può accelerare o rallentare la rotazione degli asteroidi di pochi chilometri in tempi geologici, portando alcuni a ruotare molto rapidamente o molto lentamente. Nel caso di Amalthea, date le sue dimensioni, l’effetto YORP è estremamente debole – la sua massa e inerzia sono troppo grandi perché la flebile spinta termica alteri sensibilmente il periodo di 9,95 h in tempi osservabili. Tuttavia, per i frammenti minori della famiglia originaria, l’effetto YORP può aver giocato un ruolo: asteroidi di 1–5 km potrebbero aver subito cambiamenti di spin significativi, portando magari a stati rotazionali caotici o alla frammentazione secondaria se superavano il limite di stabilità, fenomeno noto ad esempio per gli asteroidi formati da blocchi e materiale poco coeso, i cosiddetti asteroidi “rubble pile”.

Come e quando osservarlo

(113 Amalthea) sarà in opposizione il 18 Aprile, momento nel quale raggiungerà la magnitudine 11. Il suo moto sarà di 0,61 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle  nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere  una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo 113 Amalthea  trasformarsi in una bella striscia luminosa di 25 secondi d’arco.

Mondi in miniatura – Asteroidi del mese di Marzo 2025

(8) Flora

Scoperta e nomenclatura

L’asteroide (8) Flora fu scoperto il 18 ottobre 1847 dall’astronomo britannico John Russell Hind presso l’osservatorio privato di George Bishop, situato a Regent’s Park, Londra. L’oggetto deve il suo nome alla dea romana dei fiori, in accordo con la convenzione ottocentesca di denominare gli asteroidi con riferimenti alla mitologia classica. La scoperta di Flora si inserisce in un periodo di intensa attività nello studio dei corpi minori del Sistema Solare, durante il quale Hind e i suoi contemporanei contribuirono significativamente alla caratterizzazione della fascia principale. Il loro lavoro permise di ampliare la conoscenza sulla distribuzione e sulla natura di questi oggetti, fornendo le prime basi per una classificazione sistematica degli asteroidi.

Parametri orbitali

L’asteroide (8) Flora percorre un’orbita attorno al Sole con un semiasse maggiore di circa 2,2 UA, completando una rivoluzione in 3,26 anni terrestri. L’eccentricità orbitale è pari a 0,15, mentre l’inclinazione rispetto al piano dell’eclittica è compresa tra 5° e 6°, posizionandolo stabilmente nella regione interna della fascia principale. L’analisi dei parametri orbitali di Flora è rilevante anche per il suo ruolo di corpo principale della famiglia asteroidale di Flora, un gruppo di asteroidi che condividono elementi orbitali simili e che si ritiene derivino dalla frammentazione di un progenitore comune. Le dinamiche di questa famiglia risultano di particolare interesse per la correlazione ipotizzata con alcune tipologie di meteoriti condritiche ordinarie rinvenute sulla Terra.

Caratteristiche fisiche

Le osservazioni spettroscopiche e fotometriche indicano che Flora appartiene alla classe degli asteroidi di tipo S, caratterizzati da una composizione ricca di silicati di ferro e magnesio, in particolare olivina e pirosseni, con una frazione di metalli ferrosi. La sua albedo, stimata tra 0,20 e 0,24, è coerente con quella di altri asteroidi di tipo S e risulta significativamente superiore rispetto agli asteroidi di tipo C, caratterizzati da una composizione prevalentemente carbonacea. Questa elevata riflettività consente a Flora di raggiungere magnitudini che ne facilitano l’osservazione, rendendolo uno degli oggetti più luminosi della fascia principale interna. La correlazione tra la composizione di Flora e quella della sua famiglia asteroidale supporta l’ipotesi che questa popolazione derivi dalla disgregazione di un corpo progenitore con analoghe caratteristiche mineralogiche.

Curve di luce, periodo di rotazione e forma

L’analisi delle curve di luce di (8) Flora ha permesso di determinare un periodo di rotazione di circa 12,86 ore. Studi fotometrici condotti nel corso di diverse campagne osservative hanno confermato con buona precisione questo valore, pur evidenziando variazioni minime dovute a differenti condizioni osservative e metodologie di riduzione dei dati.

L’ampiezza della curva di luce suggerisce che Flora possieda una forma irregolare, ma non eccessivamente allungata. Le variazioni periodiche di luminosità sono attribuibili a disomogeneità superficiali, probabilmente riconducibili a crateri, rilievi e altre strutture morfologiche risultanti da impatti avvenuti nel corso della sua storia evolutiva.

Come e quando osservarlo

(8 Flora) sarà in opposizione il 12 Marzo, momento nel quale raggiungerà la magnitudine 9,7. Il suo moto sarà di 0,71 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle  nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere  una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (8) Flora trasformarsi in una bella striscia luminosa di 28 secondi d’arco.

(18) Melpomene

Scoperta e nomenclatura

La scoperta di (18) Melpomene si colloca nello stesso fervente contesto scientifico che, pochi anni prima, aveva portato all’individuazione di (8) Flora. Come quest’ultimo, anche Melpomene fu individuato dall’astronomo britannico John Russell Hind presso l’osservatorio privato di George Bishop a Regent’s Park, Londra. L’oggetto venne identificato il 24 giugno 1852, in un periodo in cui la catalogazione sistematica degli asteroidi stava prendendo forma, grazie ai progressi nella strumentazione astronomica e alla crescente attenzione verso i corpi minori del Sistema Solare.

Il nome Melpomene, assegnato secondo la consolidata tradizione ottocentesca di ispirarsi alla mitologia classica, fa riferimento alla musa greca della tragedia e questa scelta si inserisce nella stessa logica culturale che aveva portato alla denominazione di (8) Flora, dedicato alla dea romana dei fiori.

La scoperta di Melpomene contribuì ulteriormente alla comprensione della fascia principale, che stava emergendo come una struttura dinamicamente complessa e scientificamente rilevante.

Parametri orbitali

I dati orbitali attuali descrivono un’orbita con semiasse maggiore di circa 2,30 UA, collocando stabilmente (18) Melpomene nella regione centrale della fascia principale. Il periodo di rivoluzione attorno al Sole è di circa 3,5 anni terrestri (pari a circa 1280 giorni).

L’eccentricità orbitale, compresa tra 0,20 e 0,25, indica un’orbita moderatamente ellittica, mentre l’inclinazione di circa 10° rispetto all’eclittica è relativamente elevata per un asteroide della fascia principale. L’analisi orbitale di (18) Melpomene è di particolare interesse per lo studio della distribuzione e dell’evoluzione delle popolazioni asteroidali, nonché per la caratterizzazione delle interazioni gravitazionali all’interno della fascia principale.

Caratteristiche fisiche

Dal punto di vista tassonomico, (18) Melpomene appartiene alla classe S, caratterizzata da una composizione dominata da silicati di ferro e magnesio, come olivina e pirosseni, con una frazione di metalli ferrosi. Le analisi spettroscopiche nel visibile e nel vicino infrarosso confermano la presenza delle tipiche bande di assorbimento associate a questi minerali, rafforzando l’ipotesi che gli asteroidi di tipo S siano i progenitori di una parte significativa dei meteoriti condritici ordinari rinvenuti sulla Terra.

Il diametro medio dell’asteroide è stimato in circa 140 km, un valore che lo colloca nella categoria degli asteroidi di medie dimensioni della fascia principale. L’albedo geometrica, coerentemente con altri oggetti della classe S, varia tra 0,20 e 0,26, a seconda della lunghezza d’onda considerata nelle osservazioni fotometriche. Questa elevata riflettività, rispetto agli asteroidi carbonacei di tipo C, contribuisce alla relativa brillantezza di Melpomene durante le opposizioni più favorevoli.

Curve di luce, periodo di rotazione e forma

L’ampio database di osservazioni fotometriche raccolte tra il XX e il XXI secolo consente di determinare con buona precisione il periodo di rotazione di (18) Melpomene, stimato in 11,57 ore. I dati, pubblicati in diverse edizioni del Minor Planet Bulletin e registrati nell’Asteroid Lightcurve Database (LCDB), indicano un’ampiezza della curva di luce compresa tra 0,4 e 0,5 magnitudini.

Queste variazioni di luminosità suggeriscono che l’asteroide abbia una forma irregolare, riconducibile a un ellissoide triaxiale, con asperità e strutture superficiali quali crateri e rilievi. L’interpretazione delle curve di luce, supportata da tecniche di inversione fotometrica, permette di delineare un quadro morfologico coerente con la storia collisionale degli asteroidi della fascia principale. Sebbene questi metodi non possano sostituire un’osservazione diretta, forniscono comunque informazioni fondamentali sulla rotazione e sulla distribuzione delle irregolarità superficiali di Melpomene e più in generale sugli asteroidi.

Come e quando osservarlo

Grazie alla sua elevata albedo e alla posizione orbitale, (18) Melpomene raggiunge, nelle opposizioni più favorevoli, luminosità tali da renderlo visibile anche con telescopi di piccola apertura. Melpomene sarà in opposizione il 24 di Marzo, momento nel quale raggiungerà la massima luminosità brillando di magnitudine di 7.9. Il suo moto sarà di 0,68 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle  nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere  una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (18) Melpomene trasformarsi in una bella striscia luminosa di quasi 27 secondi d’arco.

Febbraio 2025

L’asteroide (29) Amphitrite: storia, caratteristiche e curiosità

Un’illustre scoperta nell’Inghilterra vittoriana

(29) Amphitrite fu individuato il 1º marzo 1854 da Albert Marth dall’osservatorio privato di George Bishop a Regent’s Park, Londra. All’epoca, l’Osservatorio di Bishop era già noto per alcune rilevanti scoperte, fra le quali (7) Iris nel 1847, individuato da John Russell Hind. Il nome “Amphitrite” (in italiano “Anfitrite”) richiama la figura mitologica della ninfa marina sposa di Poseidone, in linea con la tradizione ottocentesca di associare gli asteroidi a divinità greco-romane. Scoprire asteroidi nell’Inghilterra vittoriana era tutt’altro che semplice, a causa dello smog tipico della rivoluzione industriale e del clima spesso nuvoloso. L’osservatorio di George Bishop, tuttavia, disponeva di attrezzature per il tempo all’avanguardia e di un gruppo di astronomi, che riuscirono a ottenere risultati di grande rilievo.

Parametri orbitali: un’orbita quasi circolare

Le osservazioni e i dati raccolti dal Minor Planet Center e dal JPL Small-Body Database della NASA mostrano che Amphitrite si muove attorno al Sole con un semiasse maggiore di circa 2,55 UA, descrivendo un’orbita completata in circa 4,36 anni terrestri. L’eccentricità è di circa 0,07, un valore basso che evidenzia un’orbita quasi circolare. L’inclinazione del piano orbitale, di circa 6,1° rispetto all’eclittica, è relativamente modesta.

Caratteristiche fisiche: Un grande S-type

Amphitrite appartiene alla categoria degli asteroidi di tipo S, composti prevalentemente da silicati di ferro e magnesio e dotati di un’albedo media intorno allo 0,20, valore superiore rispetto a quello tipico degli asteroidi di tipo C (carbonacei). Il diametro medio di (29) Amphitrite è stato stimato in circa 212 km, mentre la magnitudine assoluta (H) si aggira intorno a 7,9, valori che ne fanno uno degli oggetti più luminosi e massicci fra i rocciosi presenti nella fascia principale. Queste caratteristiche lo rendono interessante sia sotto il profilo astronomico sia sotto quello planetologico, poiché gli asteroidi di notevoli dimensioni possono fornire informazioni preziose sulla composizione e sull’evoluzione primordiale del Sistema Solare. A differenza dei frammenti più piccoli, che possono essere stati distrutti o profondamente alterati da collisioni e processi termici, gli asteroidi massicci sono in grado di conservare al loro interno tracce dei processi di accrezione e differenziazione avvenuti miliardi di anni fa.

Un esempio notevole è (4) Vesta, uno degli asteroidi più grandi della fascia principale, il cui studio (anche grazie alla missione Dawn della NASA) ha rivelato prove di una parziale fusione interna e della formazione di un nucleo ferroso. Tali evidenze suggeriscono che, quando un corpo raggiunge certe dimensioni, può trattenere abbastanza calore da innescare processi di differenziazione (separazione di materiali più pesanti verso l’interno e di quelli leggeri verso la superficie). Gli strati così formati—nucleo, mantello e crosta—rimangono come “registro geologico” di eventi verificatisi nelle prime fasi di vita del Sistema Solare.

Confrontando la composizione chimica, la mineralogia e le firme isotopiche dei grandi asteroidi, con quelle riscontrate nei meteoriti (molti dei quali sono frammenti distaccatisi nel tempo proprio da corpi maggiori), diventa possibile ricostruire i meccanismi di formazione planetaria, i tempi in cui si sono verificati i diversi processi termici e la sequenza degli impatti che ha caratterizzato la fascia principale e questo fornisce indizi fondamentali sulla distribuzione iniziale degli elementi e sul graduale assemblaggio dei protopianeti, facendo luce sull’evoluzione complessiva del nostro Sistema Solare.

Curve di luce, periodo di rotazione e forma

Dalle molteplici campagne osservative emerge che (29) Amphitrite possiede un periodo di rotazione di circa 5,39 ore. Le curve di luce indicano un’ampiezza di variazione compresa in genere fra 0,2 e 0,4 magnitudini, a seconda dell’angolo di fase e delle condizioni di osservazione. Tale regolarità suggerisce che l’asteroide ruoti in maniera abbastanza uniforme, pur lasciando spazio a possibili irregolarità superficiali. L’analisi fotometrica, infatti, da sola non è sufficiente a definire con esattezza la morfologia del corpo, tuttavia può fornire buoni indizi su forma e orientamento dell’asse di rotazione attraverso il processo di inversione delle curve di luce.

L’inversione delle curve di luce è una tecnica di analisi fotometrica che permette di ricostruire la forma tridimensionale e l’orientamento dell’asse di rotazione di un asteroide utilizzando una serie di misurazioni di luminosità raccolte in differenti apparizioni e da diversi osservatori. Come ben sappiamo, quando un asteroide ruota, la quantità di luce che riflette (ossia la sua magnitudine apparente) varia leggermente in funzione dell’angolo di visione e della geometria lluminazione/osservatore. Registrando queste variazioni (le “curve di luce”) e combinandole con un appropriato modello matematico, si riesce a risalire alla geometria della rotazione ed alla forma generale del corpo. Per ottenere un modello accurato servono osservazioni fotometriche in più fasi orbitali (idealmente anche distribuite su diverse opposizioni), in modo che l’asteroide venga “visto” sotto molteplici angoli. Le procedure di inversione consentono di stimare gli assi principali di un eventuale ellissoide (o poliedro) che meglio approssima il corpo reale e di individuare il polo di rotazione in coordinate eclittiche.

Nel caso di (29) Amphitrite, la forma ricostruita non risulta eccessivamente irregolare; i modelli attuali descrivono Amphitrite come un solido triaxiale con rapporto fra gli assi abbastanza vicino a 1: in altre parole, non è un corpo estremamente “piatto” o “allungato”, ma presenta comunque differenze di dimensione misurabili fra un asse e l’altro. Le soluzioni di inversione, disponibili in database come il DAMIT (Database of Asteroid Models from Inversion Techniques) e citate in articoli pubblicati sul Minor Planet Bulletin, indicano inoltre che l’asse di rotazione di Amphitrite è inclinato di diversi gradi rispetto all’eclittica, con un valore di longitudine e latitudine del polo che rientra in un range di soluzioni molto simili tra loro.

Come e quando osservarlo

In occasione di opposizioni particolarmente favorevoli, Amphitrite può arrivare a magnitudini di circa 8, valore sufficiente per consentire l’osservazione con telescopi di piccola o media apertura e, a volte, persino con binocoli di buona qualità.

(29) Amphitrite sarà in opposizione il 12 Febbraio. In questo frangente raggiungerà la massima brillantezza con una magnitudine di 9.2. Il suo moto sarà di 0,63 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle  nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere  una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (29) Amphitrite trasformarsi in una bella striscia luminosa di 25 secondi d’arco.

Riferimenti bibliografici

Le informazioni citate derivano dai dati ufficiali riportati dal Minor Planet Center (https://minorplanetcenter.net/), dal JPL Small-Body Database (https://ssd.jpl.nasa.gov/tools/sbdb_lookup.html#/) e dai lavori di fotometria pubblicati sul Minor Planet Bulletin. Dati relativi alle composizioni e alle classificazioni degli asteroidi di tipo S e dei meteoriti condriti ci sono disponibili presso i database della NASA (PDS) e della USGS.

Mondi in miniatura – Asteroidi del mese di Gennaio 2025

Il mese di gennaio 2025 offre un’opportunità unica per osservare alcuni dei più affascinanti asteroidi visibili nel nostro cielo. Con condizioni favorevoli e momenti di opposizione ideali, diversi corpi celesti si mostrano al massimo della loro brillantezza, rendendosi accessibili anche agli astrofili dotati di strumentazione amatoriale. Tra i protagonisti del mese troviamo il carbonaceo (79) Eurynome, il massiccio (14) Irene e l’interessante NEA (887) Alinda, che effettuerà un passaggio ravvicinato alla Terra. Questo articolo ti guiderà alla scoperta delle loro caratteristiche e dei momenti migliori per osservarli, con utili suggerimenti tecnici per ottimizzare le tue osservazioni. Prepara il telescopio e scopri insieme a noi il fascino di questi piccoli giganti del sistema solare.

(79) Eurynome

Asteroide di fascia principale che compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.400 giorni (3.83 anni) ad una distanza compresa tra le 1.98 e le 2.91 unità astronomiche (rispettivamente, 296.203.784 Km al perielio e 435.329.804 Km all’afelio). Deve il suo nome Eurinome, spesso identificata come una divinità o una ninfa che, unendosi a Zeus, generò le Cariti (o Grazie). Scoperto il 14 settembre 1863 dall’astronomo James Craig Watson presso l’Osservatorio di Ann Arbor (Michigan, USA), (79) Eurynome misura all’incirca 70 Kilometri di diametro ed  è classificato come un asteroide di tipo C (carbonaceo) o X, a seconda delle diverse classificazioni: ciò indica probabilmente una composizione ricca di carbonio e/o di composti metallici. (79) Eurynome sarà in opposizione il 7 di Gennaio. In questo frangente raggiungerà la massima brillantezza con una magnitudine di 10.3, il suo moto sarà di 0,65 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle  nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere  una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (79) Eurynome trasformarsi in una bella striscia luminosa di 26 secondi d’arco.

(79) Eurynome Crediti: https://in-the-sky.org/

(675) Ludmilla

Sempre il 7 di gennaio avremo in opposizione (675) Ludmilla, un asteroide di fascia principale di circa 70 Km che compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.680 giorni (4.60 anni) ad una distanza compresa tra le 2.20 e le 3.33 unità astronomiche (rispettivamente, 329.115.316 Km al perielio e 498.160.909 Km all’afelio). L’origine del nome non è certa, ma “Ludmilla” (o “Ljudmila”, “Ludmila”) è un nome femminile slavo piuttosto diffuso. Potrebbe riferirsi a Santa Ludmilla di Boemia (una santa ceca del IX-X secolo) o semplicemente al significato del nome slavo (spesso tradotto come “cara al popolo”). E’ stato scoperto da J. H. Metcalf il 30 Agosto del 1908. Al momento dell’opposizione  raggiungerà la massima luminosità brillando di magnitudine di 11.2. Il suo moto sarà di 0,64 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle  nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere  una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (675) Ludmilla trasformarsi in una bella striscia luminosa di 26 secondi d’arco.

(675) Ludmilla Crediti: https://in-the-sky.org/

(14) Irene

(14) Irene è un asteroide di fascia principale che compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.520 giorni (4.16 anni) ad una distanza compresa tra le 2.16 e le 3.02 unità astronomiche (rispettivamente, 323.131.401 Km al perielio e 451.785.570 Km all’afelio). Deve il suo nome a Eirene, Divinità personificazione della pace. Scoperto da John Russel Hind il 19 Maggio 1851, questo grande asteroide (all’incirca 152 Kilometri di diametro) è classificato come asteroide di tipo S, caratterizzato da una composizione ricca di silicati ferrosi, nichel e ferro metallico. Sarà in opposizione il 10 di Gennaio. In questo frangente raggiungerà la massima brillantezza con una magnitudine di 9.7.  Il suo moto sarà di 0,66 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle  nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere  una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (14) Irene trasformarsi in una bella striscia luminosa di 26 secondi d’arco.

(14) Irene Crediti: https://in-the-sky.org/

(51) Nemausa

(51) Nemausa è un grande asteroide di fascia principale di circa 150Km che compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.330 giorni (3.64 anni) ad una distanza compresa tra le 2.21 e le 2.52 unità astronomiche (rispettivamente, 330.611.294 Km al perielio e 376.986.634 Km all’afelio). Deve il suo nome alla città francese di Nîmes. E’ stato scoperto da Joseph Jean Pierre Laurent il 22 Gennaio 1858. Studi fotometrici e spettroscopici suggeriscono che possa rientrare tra i tipi carbonacei (C/G), con un albedo piuttosto basso tipico di questo tipo di asteroidi. (51) Nemausa raggiungerà l’opposizione il 17 Gennaio, momento nel quale raggiungerà magnitudine 10.7. Il suo moto sarà di 0,67 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle  nostre immagini, anche in questo caso, potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 4/5 minuti. Per ottenere  una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (51) Nemausa trasformarsi in una bella striscia luminosa di 27 secondi d’arco.

(51) Nemausa Crediti: https://in-the-sky.org/

(887) Alinda

(887) Alinda è un asteroide NEA (Near Earth Asteroid) appartenente al gruppo Amor, scoperto il 3 gennaio 1918 dall’astronomo tedesco Max Wolf presso l’Osservatorio di Heidelberg, in Germania. Deve il suo nome all’antica città di Alinda, situata nella storica regione della Caria, nell’odierna Turchia. È noto  per aver dato il nome al gruppo Alinda, un insieme di asteroidi accomunati da specifiche caratteristiche orbitali legate a una risonanza orbitale con Giove. L’orbita di (887) Alinda ha un semiasse maggiore di circa 2,5 unità astronomiche e un’eccentricità piuttosto elevata. Questo lo pone vicino alla risonanza 3:1 con Giove, un fenomeno per cui il rapporto fra i tempi di rivoluzione di Alinda e del pianeta gigante è pari a tre a uno. Tale risonanza tende a far aumentare l’eccentricità dell’asteroide nel tempo, portandolo progressivamente a intersecare le orbite dei pianeti interni, compresa quella della Terra. Sebbene ciò non lo classifichi come un oggetto immediatamente pericoloso, rappresenta comunque un interessante esempio di come l’influenza gravitazionale di Giove possa modificare l’orbita di un corpo minore con il passare dei millenni. Dal punto di vista della composizione, Alinda è considerato un asteroide di tipo S,  prevalentemente roccioso, composto da silicati ferrosi e nichel-ferro. Il suo diametro stimato è di circa 4.2 chilometri, abbastanza grande da renderlo osservabile anche con strumentazione amatoriale nei periodi di migliore visibilità.

(887) Alinda Crediti: https://in-the-sky.org/

L’8 di gennaio (887) Alinda effettuerà un passaggio ravvicinato transitando a 0.082 unità astronomiche dalla terra, poco più di 12 milioni di kilometri, raggiungendo la nona magnitudine e rimanendo osservabile anche nei giorni successivi. I giorni precedenti il passaggio il NEA viaggerà intorno ai 6 secondi d’arco al minuto, per poi accellerare fino a raggiungere gli 8.4 arcosecondi al minuto. Per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle  nostre immagini, dovremo quindi utilizzare utilizzare tempi di esposizione non superiori ai 20 secondi.

Le effemeridi per il proprio sito osservativo potranno essere calcolate utilizzando il Minor Planet Ephemeris Service:

https://minorplanetcenter.net/iau/MPEph/MPEph.html

Mondi in miniatura – Asteroidi del mese di Dicembre 2024

Con l’arrivo di dicembre, il cielo ci regala un’opportunità imperdibile per osservare alcuni tra gli asteroidi più affascinanti della fascia principale, che raggiungono la loro opposizione durante questo mese quindi si trovano, rispetto alla Terra, nel punto opposto al Sole che può così illuminarli per l’interezza.

La rubrica “Asteroidi” vi guida attraverso gli appuntamenti del mese, fornendo dettagli sulle caratteristiche e le curiosità di questi corpi celesti. Con mappe stellari, consigli per le osservazioni e specifiche tecniche di ripresa, potrete seguire il moto degli asteroidi e, magari, catturare la loro traccia luminosa con una lunga esposizione.

Di seguito, il calendario degli asteroidi in opposizione a dicembre, ognuno con una storia affascinante e caratteristiche uniche. Preparate telescopi e fotocamere per vivere un viaggio attraverso il Sistema Solare, restando seduti comodamente sotto il cielo invernale. Buone osservazioni!

(13) Egeria

Asteroide di fascia principale che compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.510 giorni (4.13 anni) ad una distanza compresa tra le 2.36 e le 2.80 unità astronomiche (rispettivamente, 535.050.973 Km al perielio e 418.874.036 Km all’afelio). Deve il suo nome a Egeria, Divinità protettrice delle nascite e delle acque sorgive. Scoperto da Annibale de Gasparis il 2 Novembre 1850, questo grande asteroide, che misura all’incirca 220 Kilometri di diametro, appartiene alla classe spettrale G. Gli asteroidi di questo tipo sono ricchi di materiali carboniosi e silicati idrati, indicando una possibile presenza di acqua. (13) Egeria sarà in opposizione il 4 di Dicembre. In questo frangente raggiungerà la massima brillantezza con una magnitudine di 10.1.  Il suo moto sarà di 0,71 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle  nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere  una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (13) Egeria trasformarsi in una bella striscia luminosa di 28 secondi d’arco.

Il percorso e la posizione dell’asteroide (13) Egeria in dicembre nella Costellazione di Perseo. Mappa https://in-the-sky.org/

(15) Eunomia

Asteroide di fascia principale che compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.570 giorni (4.30 anni) ad una distanza compresa tra le 2.15 e le 3.14 unità astronomiche (rispettivamente, 321.635.421 Km al perielio e 469.737.312 Km all’afelio). E’ il membro più grande dell’omonima famiglia di Asteoridi e deve il suo nome a Eunomia, antica divinità Greca. Una delle Ore, Figlia di Zeus e di Temi, Eunomia era la personificazione della legalità e del buon governo. Scoperto da Annibale de Gasparis il 29 Luglio 1851, questo imponente asteroide misura circa 250 Km di diametro ed appartiene al tipo S, composto principalmente da silicati, nichel e ferro. (15) Eunomia sarà in opposizione l’8 Dicembre, momento nel quale raggiungerà la massima luminosità brillando di magnitudine di 8.2. Il suo moto sarà di 0,66 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle  nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5/6 minuti. Per ottenere  una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (15) Eumonia trasformarsi in una bella striscia luminosa di 26 secondi d’arco.

La posizione e la traiettoria dell’asteroide (15) Eunomia nel mese di dicembre nella Costellazione dell’Auriga. Mappa https://in-the-sky.org/

(69) Hesperia

Asteroide di fascia principale che compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.880 giorni (5.15 anni) ad una distanza compresa tra le 2.47 e le 3.48 unità astronomiche (rispettivamente, 369.506.741 Km al perielio e 520.600.590 Km all’afelio). Deve il suo nome a Esperia, antico nome dell’Italia datole originariamente dai Greci per via della sua posizione occidentale. Scoperto da Giovanni Schiapparelli il 29 Aprile 1861, questo grande asteroide (110 Kilometri di diametro) appartiene al tipo M, una classificazione che suggerisce una composizione ricca di metalli, come nichel e ferro, e talvolta anche di silicati. La sua natura metallica lo rende un interessante oggetto per gli studi sulla differenziazione planetaria, suggerendo che potrebbe essere un frammento del nucleo di un antico protopianeta. (69) Hesperia sarà in opposizione il 15 Dicembre brillando di magnitudine 10.7.  Il suo moto sarà di 0,56 secondi d’arco al minuto, quindi, utilizzando tempi di esposizione fino a 5 minuti manterremo l’oggetto di aspetto puntiforme. Per ottenere una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (69) Hesperia trasformarsi in una bella striscia luminosa di 22 secondi d’arco.

La posizione e la traiettoria dell’asteroide (69) Hesperia nel mese di dicembre nella Costellazione di Orione. Mappa https://in-the-sky.org/

(116) Sirona

Asteroide di fascia principale che compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.680 giorni (4.60 anni) ad una distanza compresa tra le 2.38 e le 3.16 unità astronomiche (rispettivamente, 356.042.932 Km al perielio e 472.729.271 Km all’afelio). Prende il nome da una dea celtica della salute, della guarigione e delle sorgenti. Nella mitologia celtica, Sirona era spesso associata a pozzi e fonti sacre, simboli di purificazione e rinnovamento. Scoperto l’8 settembre 1871 dall’astronomo canadese-americano Christian Heinrich Friedrich Peters, con i suoi “soli” 71 Kilometri di diametro non è certamente tra i più grandi asteroidi ad oggi conosciuti. E’ un asteroide di tipo S, con una composizione prevalentemente rocciosa e silicatica con presenza di nichel e ferro, caratterizzato da una superficie di medio albedo. (116) Sirona sarà in opposizione il 24 di Dicembre brillando ad una magnitudine di 11.2.  Il suo moto sarà di 0,60 secondi d’arco al minuto, quindi, con tempi di esposizione fino a 5 minuti ne preserveremo l’aspetto puntiforme. Volendo ottenere  una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (116) Sirona  trasformarsi in una bella striscia luminosa di 24 secondi d’arco.

La posizione e la traiettoria dell’asteroide (116) Sirona nel mese di dicembre nella Costellazione dei Gemelli. Mappa https://in-the-sky.org/

 

Mondi in miniatura – Asteroidi del mese di Novembre 2024

(11) Parthenope

Asteroide di fascia principale che compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.400 giorni (3.83 anni) ad una distanza compresa tra le 2.21 e le 2.70 unità astronomiche (rispettivamente, 330.611.293 Km al perielio e 403.914.249 Km all’afelio). Deve il suo nome a Parthenope, una delle Sirene nella mitologia Greca che, si narra in una tarda leggenda, morì gettandosi in mare assieme alle sorelle per l’insensibilità del prode Ulisse al loro Canto. Fu scoperto l’11 maggio 1850 dall’astronomo italiano Annibale de Gasparis presso l’Osservatorio Astronomico di Capodimonte a Napoli. Si tratta dell’undicesimo asteroide catalogato, da cui deriva il numero 11 nel suo nome. Dal punto di vista fisico Parthenope misura 149 kilometri di diametro ed è composto prevalentemente da silicati di ferro e magnesio, con un albedo relativamente alto tipico degli asteroidi di tipo S. Quest’anno sarà in opposizione il 13 Novembre brillando di magnitudine 9.8.  Il suo moto sarà di 0,65 secondi d’arco al minuto, quindi, con tempi di esposizione fino a 5 minuti ne preserveremo l’aspetto puntiforme. Per ottenere invece una traccia di movimento dovremo esporre (od integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (11) Parthenope trasformarsi in una bella striscia luminosa di 26 secondi d’arco.

Il percorso dell’asteroide (11) Parthenope nella Costellazione del Toro nel mese di novembre. Crediti in-the-sky.org

(36183) 1999 TX16

Asteroide Near Earth di classe Amor scoperto dal progetto LINEAR (Lincoln Near-Earth Asteroid Research), un programma gestito dal Laboratorio Lincoln del MIT, in collaborazione con l’Aeronautica degli Stati Uniti e la NASA. La scoperta è avvenuta presso il sito di Socorro, New Mexico, nel 1999. LINEAR è uno dei principali contributori alla ricerca sugli asteroidi, responsabile dell’identificazione di una grande quantità di asteroidi NEA-EARTH dagli anni ’90 in poi. Questo asteroide di circa 2,3 chilometri di diametro completa un’orbita attorno al Sole in 706 giorni, con una distanza minima di 1.04 unità astronomiche ed una massima di 2.07 (rispettivamente, 155.581.786 Km al perielio e 309.667.592 Km all’afelio). Il suo periodo di rotazione è di circa 5,61 ore. Ha un’albedo relativamente bassa, con una superficie scura e scarsamente riflettente. La classe spettrale a cui appartiene suggerisce la presenza di materiali organici e possibili composti primitivi. (36183) 1999 TX16 effettuerà un passaggio ravvicinato il 13 novembre 2024 alle ore 12:57 UT, a una distanza di circa 20 milioni di chilometri dalla terra raggiungendo magnitudine 13.2. Il suo moto angolare sarà di 12,95 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto risulti puntiforme nelle  nostre immagini, dovremo utilizzare tempi di esposizione non superiori a 15 secondi.

Il percorso dell’asteroide (36183) 1999 TX16 nella Costellazione del Toro nel mese di novembre. Crediti in-the-sky.org

Mondi in miniatura – Asteroidi del mese di Ottobre 2024

(39) Laetitia

Asteroide di fascia principale che compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.680 giorni (4.60 anni) ad una distanza compresa tra le 2.46 e le 3.08 unità astronomiche (rispettivamente, 368.010.760 Km al perielio e 460.761.440 Km all’afelio). Deve il suo nome alla divinità Romana Laetitia, personificazione della gioia. Scoperto da Jean Chacornac l’8 Febbraio 1856, (39) Laetitia misura 179 Kilometri di diametro ed ha un’albedo relativamente alto, consueto negli asteroidi di tipo S composti principalmente da silicati di ferro e magnesio, con una possibile presenza di metalli.  Quest’anno sarà in opposizione il 7 Ottobre raggiungendo la magnitudine di 9.1. Il suo moto sarà di 0,60 secondi d’arco al minuto, quindi, utilizzando tempi di esposizione fino a 5 minuti manterremo l’oggetto di aspetto puntiforme. Per ottenere una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (39) Laetitia trasformarsi in una bella striscia luminosa di 24 secondi d’arco.

Il percorso dell'asteroide (39) Laetitia nel mese di ottobre fra la costellazione dei Pesci e quella della Balena
Il percorso dell’asteroide (39) Laetitia nel mese di ottobre fra la costellazione dei Pesci e quella della Balena


(19) Fortuna

Asteroide di fascia principale che compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.390 giorni (3.81 anni) ad una distanza compresa tra le 2.06 e le 2.83 unità astronomiche (rispettivamente, 308.171.612 Km al perielio e 423.361.972 Km all’afelio). Deve il suo nome alla divinità Romana Fortuna, dea del caso e del destino. Scoperto da John Russell Hind il 22 Agosto 1852, con i suoi 225 Kilometri di diametro è più tra i più grandi asteroidi ad oggi conosciuti. È un asteroide di tipo C, composto principalmente da carbonio e materiali primitivi, caratterizzato da una superficie scura dal basso albedo. Sarà in opposizione il 16 di Ottobre brillando ad una magnitudine di 9.3.  Il suo moto sarà di 0,61 secondi d’arco al minuto, quindi, con tempi di esposizione fino a 5 minuti ne preserveremo l’aspetto puntiforme. Volendo ottenere  una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (19) Fortuna trasformarsi in una bella striscia luminosa di 24secondi d’arco.

Il percorso dell'asteroide Fortuna nel mese di Ottobre nella costellazione dei Pesci
Il percorso dell’asteroide Fortuna nel mese di Ottobre nella costellazione dei Pesci


(10) Hygiea

Quarto asteroide per massa e volume e con i suoi di 434 KM di diametro si stima che  da solo contenga  il 3 % della massa complessiva dell’intera fascia principale.  Deve il suo nome alla divinità Greca Hygiea, personificazione della sanità fisica e intellettuale. Scoperto da Annibale Gasparis il 12 Aprile 1849, Hygiea è il quarto Asteoroide della fascia in ordine di grandezza ed il progenitore dell’omonima famiglia che si ritiene nata dall’impatto con un oggetto di grandi dimensioni, avvenuto all’incirca 2 miliardi di fa. La sua superfcie è molto scura, caratteristica questa tipica dei corpi asteoridali di tipo C composti da materiali carbonacei e primitivi. Questo suo basso albedo comporta che nonostante le sue considerevoli dimensioni Hygiea risulti sempre piuttosto debole, raggiungendo la nona magnitudine esclusivemente durante le opposizione più favorevoli. Alcune immagini della sua superficie riprese nel 2017 dal Very Large Telescope hanno rivelato la presenza di due grandi crateri, rispettivamente di 180 e 90 KM di diametro, e di un’area sensibilmente più chiara risultante dell’esposizione di materiale sub-superficiale, probabilmente emerso a seguito di un’impatto. (10) Hygiea sarà in opposizione il 21 Ottobre, brillando ad una magnitudine di 10.5. Il suo moto sarà di 0,51 secondi d’arco al minuto, quindi, anche in nel suo caso, con tempi di esposizione fino a 5 minuti ne preserveremo l’aspetto puntiforme. Volendo ottenere  una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (10) Hygiea trasformarsi in una bella striscia luminosa di 21 secondi d’arco.

Il percorso dell'asteroide Hygiea nel mese di ottobre fra le costellazioni dei Gemelli e Ariete
Il percorso dell’asteroide Hygiea nel mese di ottobre fra le costellazioni dei Gemelli e Ariete


(511) Davida

Il più grande e il più massiccio asteroide della fascia principale ad oggi noti. Compie un’orbita intorno al Sole ogni 2.050 giorni (5.61 anni) ad una distanza compresa tra le 2.56 e le 3.76 unità astronomiche (rispettivamente, 382.970.549 Km al perielio e 562.487.994 Km all’afelio). E’ stato così chiamato in onore di David Peck Todd, astronomo che ha guidato numerose spedizioni internazionali per osservare e documentare le eclissi solari negli anni che vanno dal 1878 al 1919. Scoperto il 30 maggio 1903 dall’astronomo Raymond Smith Dugan, questo imponente asteroide (misura all’incirca 300 Kilometri di diametro) presenta anch’esso una superficie scura, ricca di carbonio, con l’albedo molto basso tipico degli asteroidi di tipo C. (511) Davida sarà in opposizione il 31 di ottobre, momento in cui raggiungerà la magnitudine di 10.4. Il suo moto sarà di 0,53 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto risulti puntiforme nelle  nostre immagini, potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere  una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (511) Davida trasformarsi in una bella striscia luminosa di 21 secondi d’arco.

Il percorso dell'asteroide Davida nel mese di ottobre sotto la costellazione della Balena
Il percorso dell’asteroide Davida nel mese di ottobre sotto la costellazione della Balena


Mondi in miniatura – Asteroidi del mese di Settembre 2024

(194) Prokne

Asteroide di fascia principale compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.550 giorni (4.24 anni) ad una distanza compresa tra le 2.00 e le 3.24 unità astronomiche (rispettivamente, 299.195.741 Km al perielio e 411.394.144 Km all’afelio). Deve il suo nome a Prokne, mitica figlia di Pandione re di Atene, sorella di Filomela. Scoperto il 21 marzo 1879 da Christian Heinrich Friedrich Peters, (194) Prokne è un asteroide con un diametro stimato di circa 150 chilometri ed è classificato come un asteroide di tipo C. Gli asteroidi di tipo C sono noti per avere una bassa albedo (riflettività), il che significa che riflettono solo una piccola frazione della luce solare che ricevono a causa della loro superficie scura, ricca di materiali carboniosi. (194) Prokne sarà in opposizione il 2 di Settembre, quando raggiungerà magnitudine 9.5. Il suo moto sarà di 0,88 secondi d’arco al minuto, quindi, con tempi di esposizione fino a 4 minuti ne preserveremo l’aspetto puntiforme. Volendo ottenere  una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (194) Prokne trasformarsi in una bella striscia luminosa di 35 secondi d’arco.

(20) Massalia

Asteroide di fascia principale che compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.370 giorni (3.75 anni) ad una distanza compresa tra le 2.06 e le 2.75 unità astronomiche (rispettivamente, 308.171.612 Km al perielio e 411.394.143 Km all’afelio). Massalia è un asteroide di tipo S, a composizione prevalentemente silicatica. Gli asteroidi di tipo S sono composti principalmente da silicati ferrosi e nichel-ferro ed hanno una superficie relativamente brillante con un’albedo (riflettività) relativamente alta. (20) Massalia è membro della famiglia di asteroidi Masssalia che popola le regioni interne della fascia principale. Si ritiene che la famiglia asteroidale sia nata a seguito di una antica collisione che ha frammentato un corpo progenitore più grande. L’evento catastrofico ha generato numerosi pezzi che hanno poi assunto tutti caratteristiche orbitali simili, e Massalia,  con i sui 145 Km di diametro, è il resto più grande. Scoperto da Annibale Gasparis il 19 Settembre 1852, questo grande asteroide raggiungerà l’opposizione il 29 Settembre, momento nel quale raggiungerà magnitudine 9.2. Il suo moto sarà di 0,65 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle  nostre immagini, anche in questo caso, potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere  una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (20) Massalia trasformarsi in una bella striscia luminosa di 26 secondi d’arco.

Il percorso durante il mese di settembre dei due asteroidi: Massalia (traccia arancione in alto a sinistra) e Prokne (traccia in basso a destra).
Il percorso durante il mese di settembre dei due asteroidi: Massalia (traccia arancione in alto a sinistra) e Prokne (traccia in basso a destra).

Mondi in miniatura – Asteroidi del mese di Agosto 2024

(16) Psyche

Asteroide di fascia principale che compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.830 giorni (5.01 anni) ad una distanza compresa tra le 2.53 e le 3.32 unità astronomiche (rispettivamente, 378.482.611 Km al perielio e 496.664.928 Km all’afelio). Deve il suo nome alla mitologica figura di Psyche. Scoperto da Annibale Gasparis il 17 Marzo 1852, questo grande asteroide che misura 226 Kilometri di diametro è composto principalmente da ferro e nichel, con piccole quantità di silicio e altri elementi (Tipo M). il 13 Ottobre 2023 è stata lanciata una sonda robotica che avrà il compito di esplorare (16) Psyche, con arrivo previsto nel 2029. La missione, denominata “Psyche”, ha l’obiettivo di studiare la composizione, la topografia, la gravità e il magnetismo dell’asteroide. (16) Psyche sarà in opposizione il 5 di agosto, momento in cui raggiungerà la magnitudine di 9.7. Il suo moto sarà di 0,54 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto risulti puntiforme nelle  nostre immagini, potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere  una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (16) Psyche trasformarsi in una bella striscia luminosa di 22 secondi d’arco.

(7) Iris

Asteroide di fascia principale, il quarto in ordine di luminosità, che compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.350 giorni (3.70 anni) ad una distanza compresa tra le 1.84 e le 2.94 unità astronomiche (rispettivamente, 275.260.082 Km al perielio e 439.817.740 Km all’afelio). Deve il suo nome al personaggio mitologico Iride, figlia di Taumante e di Elettra, personificazione dell’arcobaleno e messaggera degli dei. Scoperto dall’astronomo John Russell Hind il 13 Agosto 1847, questo imponente asteroide di circa 200 Km di diametro ha un’albedo relativamente alta e si ritiene che sia composto principalmente da silicati di ferro e magnesio, con una possibile presenza di metalli (Tipo S). L’alta riflettività della sua superficie lo rende il quarto oggetto più luminoso nella fascia degli asteroidi dopo Vesta, Cerere e Pallade, e nelle opposizioni vicino al perielio, Iris può raggiungere una magnitudine di 6.7, brillando quanto Cerere nei suoi momenti di massima luminosità. (7) Iris sarà in opposizione il 6 Agosto, momento nel quale raggiungerà magnitudine 8.3. Il suo moto sarà di 0,66 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle  nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere  una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (7) Iris trasformarsi in una bella striscia luminosa di 26 secondi d’arco.

(737) Arequipa

Asteroide di fascia principale che compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.520 giorni (4.16 anni) ad una distanza compresa tra le 1.96 e le 3.22 unità astronomiche (rispettivamente, 293.211.827 Km al perielio e 481.705.144 Km all’afelio). Deve il suo nome in onore della città peruviana di Arequipa, sede dell’Osservatorio Boyden di Harvard fino al 1927. La sua superficie è composta principalmente da silicati e metalli (Tipo S), simile a quella di molti altri asteroidi della fascia principale. Scoperto dall’astronomo americano Joel Hastings Metcalf il 7 dicembre 1912, questo grande asteroide di circa 47 km sarà in opposizione il 7 di Agosto, e in questo frangente raggiungerà la magnitudine 11. Il suo moto angolare sarà modesto, 0,59 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle  nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere  una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (737) Arequipa trasformarsi in una bella striscia luminosa di 24 secondi d’arco.

(44) Nysa

Asteroide di fascia principale che compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.380 giorni (3.78 anni) ad una distanza compresa tra le 2.06 e le 2.78 unità astronomiche (rispettivamente, 308.171.614 Km al perielio e 415.882.081 Km all’afelio).

Deve il suo nome alla mitica montagna di Nysa alle cui Ninfe fu affidato il compito di allevare il piccolo Dioniso. Scoperto dall’astronomo Hermann Goldschmidt il 27 Maggio 1857, questo grande asteoride classificato di tipo E (la sua superficie mostra la presenza di enstatite) é il membro principale della famiglia Nysa ed è stato oggetto di studio da parte della missione Hayabusa nel 2003 e della missione Dawn nel 2018. (44) Nysa sarà in opposizione il 27 Agosto, momento nel quale raggiungerà la magnitudine 10.1. Il suo moto sarà di 0,63 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle  nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere  una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (44) Nysa trasformarsi in una bella striscia luminosa di 25 secondi d’arco.

Il percorso seguito dagli asteroidi (16) Psyche, (7) Iris, (737) Arequipa e (44) Nysa nel mese di Agosto. Crediti inthesky.org

Mondi in miniatura – Asteroidi del mese di Luglio 2024

(1) Ceres

(1) Ceres è il più grande asteroide della fascia principale tanto che da solo costituisce il 40% della massa stimata dell’intera cintura degli asteroidi. Compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.680 giorni (4.60 anni) ad una distanza compresa tra le 2.55 e le 2.99 unità astronomiche (rispettivamente, 381.474.570 Km al perielio e 447.297.633 Km all’afelio). La sua superficie è composta principalmente da silicati con la presenza di minerali carbonati e argille e di significative quantità di ghiaccio d’acqua, specialmente nelle regioni più ombreggiate e nei crateri profondi. Una delle scoperte più sorprendenti della missione Dawn è stata la presenza di depositi di sali, in particolare solfati di sodio, come l’hexahidrite, e cloruri. Questi sali sono particolarmente visibili nelle macchie luminose del cratere Occator, che sono interpretate come depositi di materiale salino lasciato dall’evaporazione di acqua salmastra che si è sublimata o evaporata. La missione Dawn ha inoltre rilevato la presenza di materiali organici, molecole a base di carbonio, i costituenti fondamentali della vita sulla Terra. Ceres ha un un diametro medio di 939 km ed una ha una superficie tormentata e fortemente craterizzata dove il più grande cratere è costituito dal bacino di Kerwan, che si estende in larghezza per oltre 280 km. La regione polare nord presenta un numero maggiore di crateri rispetto alla regione equatoriale e si conoscono almeno tre grandi bacini poco profondi che si pensa siano i resti di antichi crateri da impatto, dei quali il più esteso, la Vendimia Planitia, con i suoi 800 km di diametro, rappresenta la più grande struttura geografica ad oggi conosciuta. (1) Ceres sarà in opposizione il 5 di Luglio, di certo l’ateroide le mese più interessante In questo frangente raggiungerà la  magnitudine di 7.3, il suo moto sarà di 0,58 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle  nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere  una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (1) Ceres trasformarsi in una bella striscia luminosa di 23 secondi d’arco.

Asteroidi del mese – Il percorso di (68) Leto in Giugno. Crediti: in-the-sky.org.

(40) Harmonia

(40) Harmonia è un asteroide di fascia principale che compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.250 giorni (3.42 anni) ad una distanza compresa tra le 2.16 e le 2.37 unità astronomiche (rispettivamente, 323.131.401 Km al perielio e 354.546.954 Km all’afelio). E’ stato scoperto dall’astronomo e pittore Hermann Mayer Salomon Goldschmidt il 31 Marzo 1856 e deve il suo nome a Armonia figlia di Ares e Afrodite, Dea della concordia e personificazione  dell’ordine morale e sociale. Questo grande asteroide ha un diametro di circa 107 Km ed una superficie composta in prevalenza da silicati e metalli (Tipo S). (40) Harmonia sarà in opposizione il 20 Luglio, momento nel quale raggiungerà la massima luminosità brillando di magnitudine di 8.9. Il suo moto sarà di 0,66 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle  nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere  una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (40) Harmonia trasformarsi in una bella striscia luminosa di 26 secondi d’arco.

Mondi in miniatura – Asteroidi del mese di Giugno 2024

(68) Leto

(68) Leto è un asteroide di fascia principale che compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.700 giorni (4.65 anni) ad una distanza compresa tra le 2.27 e le 3.30 unità astronomiche (rispettivamente, 339.587.165 Km al perielio e 493.672.971 Km all’afelio). E’ stato scoperto il 29 Aprile 1861 dall’astronomo tedesco Karl Theodor Robert Luther. Deve il suo nome a Leto, madre di Apollo e di Artemide. Questo grande asteroide ha un diametro di circa 122 Km con una superficie che riflette relativamente bene la luce solare, indicando una composizione di silicati e metalli (Tipo S). (68) Leto sarà in opposizione il 19 Giugno, momento nel quale raggiungerà la massima luminosità brillando di magnitudine di 10.3. Il suo moto sarà di 0,58 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle  nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere  una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (68) Leto trasformarsi in una bella striscia luminosa di 23 secondi d’arco.

Asteroidi del mese
Asteroidi del mese – Il percorso di (68) Leto in Giugno. Crediti: in-the-sky.org.

(42) Isis

(42) Isis è un asteroide di fascia principale che compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.390 giorni (3.81 anni) ad una distanza compresa tra le 1.90 e le 2.99 unità astronomiche (rispettivamente, 284.235.954 Km al perielio e 447.297.633 Km all’afelio). Scoperto dall’astronomo inglese Norman Robert Pogson il 23 maggio 1856 presso l’Osservatorio Radcliffe a Oxford, prende il nome dalla dea egizia Iside, ma anche dalla figlia di Pogson, Elizabeth Isis Pogson. Questo grande asteroide di circa 100 Km di diametro ha una composizione superficiale di silicati e metalli (Tipo S) ed il suo spettro rivela una forte presenza del minerale olivina, una rarità nella fascia degli asteroidi. (42) Isis sarà in opposizione il 27, momento nel quale raggiungerà la massima luminosità brillando di magnitudine di 9.4. Il suo moto sarà di 0,67 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle  nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere  una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (42) Isis trasformarsi in una bella striscia luminosa di quasi 27 secondi d’arco.

(471) Papagena

(471) Papagena è un asteroide di fascia principale che compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.790 giorni (4.90 anni) ad una distanza compresa tra le 2.23 e le 3.55 unità astronomiche (rispettivamente, 333.603.252 Km al perielio e 531.072.441 Km all’afelio). E’ stato così chiamato in onore di Papagena, un personaggio dell’opera “Il flauto magico” di Mozart. La sua superficie è composta prevalentemente di rocce silicatiche e metalli (Tipo S) il che lo rende simile a molti altri corpi della fascia principale. Scoperto da  Max Wolf il 7 di Giugno del 1901, questo grande asteroide di circa 149 Km di diametro sarà in opposizione il 30, momento nel quale raggiungerà la massima luminosità brillando di magnitudine di 10.6. Il suo moto sarà di 0,59 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle  nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere  una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (471) Papagena trasformarsi in una bella striscia luminosa di quasi 24 secondi d’arco.

asteroidi del mese
Asteroidi del mese – Il percorso di (42) Isis e (471) Papagena in Giugno. Crediti: in-the-sky.org.


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Le Comete del Mese: UN ULTIMO SGUARDO ALLA TSUCHINSHAN-ATLAS

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Le Comete del Mese di Giugno

Anche giugno sarà un mese di attesa per gli appassionati di comete, che dovranno attendere ancora un po’ per poter tornare ad osservare qualche “astro chiomato” discretamente luminoso, ovviamente al netto di novità inattese. Propongo quindi l’osservazione di una vecchia conoscenza che l’autunno scorso ha dato spettacolo prima di sparire tra l’intensa luce solare.

C/2023 A3 Tsuchinshan-ATLAS

Ad ottobre 2024 si rese facilmente visibile ad occhio nudo risultando la più bella cometa dell’anno ed una delle migliori del nuovo millennio.La ritroviamoormai lontana quasi 4 U.A. dal dalla Terra, ridotta a un debolissimo batuffolo di magnitudine 13, che ne fa comunque uno degli oggetti più luminosi del periodo. A inizio mese si troverà non distante daAlbireo, la celebre stella doppia del Cigno, da cui si muoverà verso la Lira. Per osservarla e darle l’ultimo saluto avremo a disposizione l’intera seppur corta notte astronomica.

La cartina riporta il percorso della C/2023 A3 Tsuchinshan-ATLASin giugno. Le stelle più deboli sono di magnitudine 11.

Le Comete del Mese di Maggio

Il quinto mese dell’anno ci riserva il passaggio al perielio di quel che resta di cometa promettente che, prima di andare in frantumi, sembrava poter movimentare le nottate degli appassionati.

C/2025 F2 SWAN

La C/2025 F2 SWAN, come si deduce dal nome, è una scoperta recentissima avvenuta il 23marzograzie alle riprese della camera SWAN montata a bordo della sonda solare SOHO. La cometa, che finalmente sembrava poter interrompe un periodo poverissimo di oggetti anche solo deboli, sarà al perielio il primo maggio quando transiterà a circa 50 milioni di chilometri dal Sole. In quel momento gli esperti prevedevano un picco di luminosità tra la quarta e la quinta magnitudine, valore che l’avrebbe teoricamente resa visibile ad occhio nudo. Considerando le sfavorevoli condizioni prospettiche però ben difficilmente ciò sarebbe avvenuto. In ogni caso uno strumento modesto avrebbe reso possibile la sua osservazione. Invece a metà aprile, dopo che nei giorni precedenti la luminosità era aumentata grazie ad un outburst, la SWAN ha cominciato a perdere luminosità, oltre che la coda, ed a mostrare un nucleo allungato, segno del disgregamento in atto. A questo punto quel che si osserverà al perielio è ben lontano dalle iniziali aspettative ed anzi, sarà quasi sicuramente molto difficile poter individuare i frammenti della cometa.

Chi vuol comunque provare ad osservarla tra la fine di aprile e l’inizio di maggio dovrà indirizzare i propri strumenti verso l’orizzonte di nord ovest non appena il cielo è sufficientemente buio. l’”astro chiomato” si troverà ad una manciata di gradi dall’orizzonte ed in procinto di tramontare. Il 2 maggio transiterà un grado e mezzo a nord delle Pleiadi. Con il trascorrere dei giorni la sua scomparsa sotto l’orizzonte sarà sempre più anticipata tanto che dopo i primissimi giorni di maggio, a meno di exploit imprevedibili, l’oggetto è da considerare perso tra le luci del crepuscolo serale.

La cartina riporta il percorso della C/2025 F2 SWAN in maggio. Le stelle più deboli sono di magnitudine 7,5.

Dati dello scatto sulla foto.

C/2021 G2 ATLAS

Dopo una cometa luminosa passiamo ad una debolissima, già proposta il mese scorso, da puntare con strumenti obbligatoriamente di grosse dimensioni. Stiamo parlando della C/2021 G2 ATLAS, di passaggio tra le stelle della Bilancia appena più in alto di Zubenel Shamali, la stella Beta della costellazione. L’orario più appropriato per l’osservazione coincide con il suo passaggio al meridiano, in piena notte a inizio mese ed attorno a mezzanotte a fine periodo. La luminosità continuerà ad essere molto bassa, vicina alla quattordicesima magnitudine. Per sperare di percepirla in visuale, oltre ad avere sopra la testa un cielo molto buio, dovremo forzare gli ingrandimenti, specie in caso il bersaglio si presenti sufficientemente puntiforme.

La cartina riporta il percorso della C/2021 G2 ATLAS tra la fine di aprile e inizio maggio. Le stelle più deboli sono di magnitudine 13,5.

Finiamo con la notizia di un’altra scoperta, quella della C/2025 A6 Lemmon che allieterà l’autunno degli appassionati dato che ad ottobre, secondo le previsioni, raggiungerà l’ottava magnitudine. Di quest’oggetto avremo ovviamente modo di riparlarne in maniera approfondita più avanti.

Le Comete del Mese di Aprile

NESSUNA NUOVA DA OORT

Continua il periodo di magra in campo cometario, in cui occorre letteralmente inventarsi qualche obbiettivo. La proposta mensile, una sfida davvero tosta, è dunque rivolta ai cacciatori di comete molto determinati che possiedono uno strumento di grande diametro e un cielo molto buio.

C/2021 G2 ATLAS

La scoperta della C/2021 G2 ATLAS risale all’aprile del 2021 da parte del sistema ATLAS (Asteroid Terrestrial-Impact Last Alert System). Da tempo transitata al perielio non è di certo un oggetto esaltante, soprattutto considerando la sua debolissima luminosità che si attesta tra la tredicesima e la quattordicesima magnitudine. Purtroppo la mancanza di “astri chiomati” luminosi ci costringe a ripiegare su comete estreme, che però hanno il fascino della sfida osservativa. Chi l’accetta dovrà puntare il suo strumento tra le stelle della Bilancia poco prima che il cielo schiarisca, non distante da Beta Librae, stella di 2,61 magnitudini. L’obbiettivo risulterà un osso molto duro in visuale, mentre risulterà più abbordabile per degli astrofotografi.

La cartina riporta il percorso della C/2021 G2 ATLAS in aprile. Le stelle più deboli sono di magnitudine 14.

Le Comete del Mese di Marzo

OCCHIO ALL’OUTBURST

In attesa di auspicabili novità dedichiamo anche questo mese lo spazio comete alla 29/P Schwassmann-Wachmann, la “cometa degli outburst”. Nome confermato dall’ennesimo “botto” di febbraio.

29P/Schwassmann-Wachmann

Come il mese scorso si trova nel Leone vicina a Subra, magnitudine 3,5, stella Omicron della costellazione. La sessione osservativa potrà essere anticipata rispetto a febbraio, dato che già dopo cena potremo trovarla piuttosto alta in cielo. Resterà comunque visibile per molte ore. Ricordo che l’”astro chiomato, nei momenti di normalità, brilla attorno alla quindicesima magnitudine mentre nei suoi frequenti outburst raggiunge spesso l’undicesima/dodicesima magnitudine. Verso metà febbraio l’ultimo dei tanti eventi l’ha portata a brillare un po’ sopra l’undicesima magnitudine. Va quindi osservata da subito per monitorare l’evolversi di quest’ultimo episodio e chissà, magari seguirne uno nuovo. Ribadisco infine che anche un’osservazione negativa è utile, testimoniando che la cometa è in un momento tranquillo.

La cartina riporta il percorso della 29Pinmarzo. Le stelle più deboli sono di magnitudine 12,5.

La Cometa

Un oggetto piuttosto enigmatico del nostro Sistema Solare, la cometa 29P/Schwassmann-Wachmann si distingue per il suo comportamento insolito. Scoperta nel 1927 dagli astronomi Arnold Schwassmann e Arno Arthur Wachmann, questa cometa è un membro della famiglia delle centaure, corpi ghiacciati in orbita tra Giove e Saturno. A differenza delle comete periodiche classiche, la 29P non sviluppa una coda spettacolare avvicinandosi al Sole, ma manifesta improvvisi e violenti outburst, eruzioni di gas e polveri che la rendono un oggetto di grande interesse per gli astronomi.

Le Comete del Mese di Febbraio

C/2024 G3 ATLAS, LA COMETA “DIURNA”

Oltre alla proposta mensile, una debole ma interessantissima cometa davvero peculiare, tracciamo un bilancio sul passaggio di una cometa sorprendente, che in gennaio ha messo in fibrillazione gli appassionati.

29P/Schwassmann-Wachmann

In mancanza di soggetti più luminosi concentriamoci su una vecchia conoscenza che periodicamente (almeno una volta all’anno ma spesso più volte) è interessata da outburst che portano spesso la sua luminosità dalla quindicesima all’undicesima/dodicesima grandezza. Si tratta dunque di un target non semplice in visuale, ma nemmeno impossibile nei momenti di maggior luminosità, a patto di possedere un telescopio di almeno 15/20 cm di diametro e di osservare sotto un cielo preservato dall’inquinamento luminoso. Ovviamente gli outburst avvengono inaspettatamente e quindi, a meno di non esserne anticipatamente informati consultando ad esempio il sito seiichiyoshida’s homepage, l’osservazione potrebbe rivelarsi infruttuosa. Non del tutto però, perché tenere monitorata una cometa è sempre utile per la comunità di appassionati. E poi chissà, potremo magari essere i primi a diffondere la notizia di un nuovo outburst. L’ultimo evento si è verificato abbastanza recentemente, nei primi giorni di gennaio 2025. La 29P si muoverà entro i confini del leone, poco sotto Regolo, raggiungendo la massima altezza in piena notte. Sarà però osservabile anche qualche ora prima o dopo. Chi vuole intraprendere la sfida?

La cartina riporta il percorso della 29P in febbraio. Le stelle più deboli sono di magnitudine
12,5.

C/2024 G3 ATLAS

In chiusura parliamo del notevole exploit della C/2024 G3 ATLAS, passata al perielio il 13 gennaio transitando a soli 14 milioni di chilometri dal Sole. Un po’ snobbata dagli esperti sia per le pessime condizioni prospettiche previste che per la sua probabile disgregazione, si è invece rivelata un notevolissimo oggetto osservato da alcuni astrofili in pieno giorno a una manciata di gradi di distanza dalla nostra stella. Io stesso, nella tarda mattinata del giorno del transito al perielio, sono riuscito a scovarla a soli 6° dall’astro diurno con un binocolo 25×100 poco prima che il sole comparisse da dietro la montagna che schermava la sua luce. Testa minuscola e accenno di codina, risaltava comunque bene nel piccolo strumento. L’ho riosservata in circostanze leggermente migliori un paio di giorni dopo nel cielo aranciato del tramonto. Successivamente, dall’ Emisfero Australe, è risultata visibile in condizioni migliori trasformandosi in uno splendido oggetto che sembrerebbe in fase di disgregazione. Quel che gli esperti temevano succedesse al perielio si sarebbe dunque verificato leggermente in ritardo. Pur mettendocela tutta la G3 ATLAS sembrerebbe quindi non avercela fatta. In eredità, se ciò fosse confermato, lascerà il bellissimo ricordo della sua visione diurna, cosa assai rara.

Le Comete del Mese di Gennaio

ADDIO ALLA COMETA INCOMPIUTA

 Primo mese dell’anno in cui daremo l’addio alla più bella cometa del 2024, che per qualche mese ci ha tenuto compagnia dando spettacolo lo scorso ottobre. Una cometa però incompiuta, vuoi per il meteo sfavorevole che per la presenza della Luna nel momento del suo massimo splendore, che ricorderemo con qualche rimpianto per quello che poteva essere e non è stato. Gli osservatori australi sonoinvece in allerta per il passaggio al perielio della C/2024 G3 ATLAS, che avverrà il 13 gennaio circa 13 milioni di chilometri circa dal Sole. In molti, a causa della piccola distanza dalla nostra stella, predicono la sua disintegrazione. Se però dovesse passare indenne potrebbe regalare emozioni a noi purtroppo precluse.

C/2023 A3 Tsuchinshan-ATLAS

La Tsuchinshan-ATLAS sarà rintracciabile nell’Aquila, non distante da Altair, la stella Alfa della costellazione. Osservabile inizialmente meglio non appena fa buio, da metà mese sarà posizionata più favorevolmente al mattino un po’ prima dell’alba. Dalla decima magnitudine di inizio gennaio il suo ulteriore allontanamento la porterà ben presto su valori superiori, ponendo fine alle osservazioni con piccoli strumenti. Chi dispone invece di telescopi più importanti potrà continuare a seguirla ancora per un po’.

La cartina riporta il percorso della C/2023 A3 Tsuchinshan-ATLASingennaio. Le stelle più deboli sono di magnitudine 9,5.

Le Comete del Mese di Dicembre

NATALE SENZA UNA COMETA LUMINOSA

Fine anno senza grandi brividi, con la C/2023 Tsuchinshan-ATLAS ormai ai confini dell’anonimato e il ritorno di una modesta periodica.

C/2023 A3 Tsuchinshan-ATLAS

Sempre più lontana e ormai un pallido ricordo dello splendido aggetto che ad ottobre ha calamitato su di sé tutta su l’attenzione, a inizio mese sarà comunque ancora la cometa più luminosa del cielo brillando di una discreta ottava magnitudine, che scenderà alla decima a fine mese. Sarà rintracciabile entro i confini dell’Aquila, non troppo distante da Altair, la stella alfa della costellazione, osservabile in prima serata inizialmente ancora piuttosto alta in cielo ma gradualmente sempre più bassa con il passare dei giorni.

La cartina riporta il percorso della C/2023 A3 Tsuchinshan-ATLAS in dicembre. Le stelle più deboli sono di magnitudine 9.

333P/LINEAR

Periodica piuttosto recente, (la sua scoperta risale al novembre del 2007da parte del progetto LINEAR, Lincoln Near Earth Asteroid Research), con un periodo di circa otto anni e mezzo. Il 29 novembre è transitata al perielio ma raggiungerà la massima luminosità il 9 dicembre, quando passerà nel punto più vicino alla Terra brillando attorno alla nona magnitudine. Il suo calo nel periodo seguente sarà piuttosto rapido portandola a fine mese già oltre la decima grandezza. Dai Cani da Caccia raggiungerà il Cigno, “percorrendo” circa 90° in cielo. Per gran parte del mese sarà circumpolare, inizialmente osservabile alta in cielo prima dell’alba. Ben presto occorrerà però cercarla dopo il tramonto all’inizio della notte astronomica.

La cartina riporta il percorso della 333P/LINEAR in dicembre. Le stelle più deboli sono di magnitudine 7,5.

Le Comete del Mese di Novembre

C/2024 S1 ATLAS si è disintegrata

L’oggetto, una cometa appartenente alla famiglia Kreuz Sungrazer scoperto a fine settembre, ha dato segni di sofferenza nel suo avvicinamento al Sole ed è sembrato già in fase di disgregazione ancora prima di raggiungere il perielio il 28 ottobre, quando sarebbe transitato ad una distanza di appena 1,2 milioni di km. Dopo alcuni outburst che ne hanno innalzato la luminosità (segnali dell’instabilità del nucleo) arrivata vicina al sole si è disgregata completamente come hanno testimoniato le immagini della Camera Lasco a bordo della Sonda Soho. Niente da fare dunque per una possibile cometa luminosissima una volta uscita dalla congiunzione solare. Ricordo che le Kreuz Sungrazer, comete originatesi dalla frammentazione di un corpo più grande con un’orbita che le porta a sfiorare il Sole, molto spesso, come in questo caso, vengono disintegrate dalla nostra stella. Se però sopravvivono possono rivelarsi luminosissime offrendo spettacoli indimenticabili.

LA TSUCHINSHAN-ATLAS SE NE VA

Dopo il perielio di fine settembre e il passaggio nel punto più vicino alla Terra il 12 ottobre la C/2023 A3 Tsuchinshan-ATLAS prende decisamente la via dell’abisso dalla quale è venuta, affievolendosi sempre più. Una seconda cometa luminosa, su cui si riponeva qualche speranza, si è invece uscita disintegrata dall’incontro con il Sole.

Nell’immagine catturata dalla Sonda Soho della NASA la coda della cometa C/2023 A3 Tsuchinshan-ATLAS ha occupato la visuale dell’Osservatorio solare ed eliosferico il 10 ottobre 2024. Crediti: ESA/NASA

C/2023 A3 Tsuchinshan-ATLAS

Dopo essere risultata la grande protagonista di ottobre, mese in cui ha attirato su di sé tutte le attenzioni, in novembre, pur in allontanamento, sarà ancora un oggetto molto interessante e sicuramente da seguire. Dall’Ofiuco si sposterà verso l’Aquila, risultando osservabile comodamente in prima serata ad una buona altezza. La sua luminosità varierà da un’ancora ottima quinta magnitudine a inizio mese fino attorno all’ottava a fine novembre. Insomma, sarà sostanzialmente l’ultimo mese in cui dovrebbe mostrarsi facilmente, con le osservazioni che dovranno essere condotte soprattutto nella prima parte del mese e poi nell’ ultima decade, quando la Luna non disturberà con la sua ingombrante presenza.

Pur tra tante avversità (meteo sfavorevole, presenza della Luna e modesta elongazione dal Sole nel momento topico) la Tsuchinshan-ATLAS ha dato un bello spettacolo e rimarrà nei ricordi di quanti l’anno osservata. Per un bilancio più approfondito sulla sua apparizione vi rimandiamo alla rubrica pubblicata sul prossimo numero di Coelum.

La cartina riporta il percorso della C/2023 A3 Tsuchinshan-ATLAS in novembre. Le stelle più deboli sono di magnitudine 7.

La Cometa del Mese di Ottobre

Ottobre è il mese della C/2023 A3 Tsuchinshan-ATLAS, che avrà tutti gli occhi addosso nella speranza che ci possa regalare un grande spettacolo.

Le ultime notizie e le prime foto, soprattutto quelle provenienti dall’emisfero australe, fanno ben sperare e descrivono un oggetto in salute che da metà mese non dovrebbe mancare di attirare l’attenzione di tutti, appassionati e non. Non sappiamo se sarà la “cometa del secolo”, come è stata frettolosamente soprannominata da stampa, TV e social, che come sempre cercano di attirare l’attenzione sulla pelle della corretta informazione astronomica.


Noi restiamo cauti preferendo osservare gli eventi prima di dare giudizi. Nei primi giorni del mese la situazione prospettica ricalcherà quella di settembre, volgendo però al peggioramento, con l’elongazione cometa-Sole in diminuzione. Sarà quindi difficile poter scorgere la Tsuchinshan-ATLAS nel chiarore dell’alba, a meno che non raggiunga una magnitudine negativa davvero notevole. Pur monitorando attentamente la situazione e contando su una coda molto sviluppata (che sorgendo prima potrebbe fare capolino in un cielo più buio), occorrerà aspettare la seconda decade di ottobre perché la situazione migliori. Il rapido allontanamento della cometa dalla nostra stella ci permetterà infatti di scrutarla in condizioni decisamente migliori, disturbata però dal chiarore lunare.


Dopo essere transitata al perielio il 29 settembre il giorno 12 passerà alla minima distanza dalla Terra (meno di settanta milioni di chilometri) raggiungendo probabilmente la massima luminosità, con la magnitudine picco che rimane però molto incerta. Nel peggiore dei casi dovrebbe comunque brillare di prima/seconda grandezza, ma qualche previsione è molto più ottimistica ed è a questo che le nostre speranze si legano. Se fino al giorno 10 le osservazioni andranno programmate a ridosso dell’alba, dopo questa data sarà invece visibile dopo il tramonto, sempre più alta in cielo. Da metà mese dovrebbe gradualmente cominciare ad affievolirsi, mantenendosi però anche a fine periodo attorno alla quinta magnitudine e dunque visibile ad occhio nudo. Nell’ultima decade di ottobre la Luna toglierà finalmente il disturbo permettendoci di osservarla finalmente in condizioni ideali.


L’ “astro chiomato”, il giorno 15, verrà a trovarsi a metà strada tra il luminoso ammasso globulare del Serpente M 5 e la cometa 13P/Olbers, con i tre oggetti contenuti in circa tre gradi.  Purtroppo la Luna disturberà alquanto le osservazioni. Il giorno 27, in condizioni ideali, la Tsuchinshan-ATLAS passerà invece molto vicina a NGC 6426, un debole globulare di mag. 11,1.

La cartina riporta il percorso della C/2023 A3 Tsuchinshan-ATLAS in ottobre. Le stelle più deboli sono di magnitudine 6.
La cartina riporta il percorso della C/2023 A3 Tsuchinshan-ATLAS in ottobre. Le stelle più deboli sono di magnitudine 6.

Per finire vi riporto una mia osservazione del 29 settembre, quando all’alba ho raggiunto i 2239 metri di Passo Pordoi. In condizioni ideali di trasparenza ma davvero molto critiche sotto l’aspetto della prospettiva (oggetto alto un paio di gradi ed osservabile con cielo ormai molto chiaro), l’ho avvistata in un binocolo 20×90. Testa stellare attorno alla seconda mag. e accenno di coda leggermente allargata.

Tsuchinshan-ATLAS il 29 settembre. Crediti dell'autore Claudio Pra
Tsuchinshan-ATLAS il 29 settembre. Crediti dell’autore Claudio Pra

La Tsuchinshan-ATLAS negli scatti dei lettori in PHOTOCOELUM

La cometa Tsuchinshan-ATLAS di Filippo Galati
La cometa Tsuchinshan-ATLAS di Filippo Galati

Cometa Tsuchinshan-ATLAS tra le nuvole di Paolo Bardelli
Cometa Tsuchinshan-ATLAS tra le nuvole di Paolo Bardelli

La Cometa C/2023 A3 Tsuchinshan-ATLAS dall'Emilia di Alessandro Carrozzi
La Cometa C/2023 A3 Tsuchinshan-ATLAS dall’Emilia di Alessandro Carrozzi

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Le Comete del Mese di Settembre

ARRIVA LA C/2023 A3 TSUCHINSHAN-ATLAS

 Dopo tanta attesa eccoci al momento della verità. A fine settembre, nel chiarore dell’alba, fa capolino sull’orizzonte orientale laC/2023 A3 Tsuchinshan-ATLAS. In quei giorni il Sole tenterà di nascondercela, “liberandola” dalla sua luce solo verso metà ottobre. Pur in condizioni critiche la situazione andrà comunque monitorata.

C/2023 A3 Tsuchinshan-ATLAS

L’appuntamento tanto atteso è arrivato. Pur essendo ottobre il mese nel quale potremo seguirla al meglio, già gli ultimi giorni di settembre (pur tra tanti limiti prospettici) ci lasciano qualche speranza di poter “sbirciare” la C/2023 A3 Tsuchinshan-ATLAS immersa tra le luci del crepuscolo nautico mattutino, meglio osservabile dalle regioni meridionali, che raggiungerà il perielio il giorno 27 per poi cominciare l’allontanamento dal Sole avvicinandosi però nel contempo alla Terra. La sua luminosità, quella rivista dopo il primaverile calo di attività che potrebbe ridimensionarla (ma sul tema non tutti gli esperti sono concordi) la indica in quei giorni attorno alla seconda/terza grandezza, mentre la coda, ma solo se ben sviluppata, anticipando la levata della chioma potrebbe essere rilevabile in un cielo più buio. Tenendo in considerazione l’imprevedibilità delle comete e i disaccordi sulla curva di luce la situazione merita di essere tenuta sotto stretto controllo. Monitoriamo dunque l’orizzonte orientale, che dovrà obbligatoriamente presentare un cielo limpidissimo ed un’estensione molto ampia, prima del sorgere del Sole. Potremo essere ripagati della levataccia con uno spettacolo imprevedibile.

A3 Tsuchinshan-ATLAS in settembre
La cartina riporta il percorso dellaC/2023 A3 Tsuchinshan-ATLAS negli ultimi cinque giorni si settembre. Le stelle più deboli sono di magnitudine 7.

13P/Olbers

Di fronte alla Tsuchinshan-ATLAS la povera 13P passa in secondo piano, sia per la modesta luminosità che per il lungo periodo nel quale abbiamo seguito la sua evoluzione. Ormai in allontanamento e sempre piuttosto bassa in cielo, risulterà osservabile all’inizio della notte astronomica in spostamento dalla chioma di Berenice alla Vergine “brillando inizialmente di nona magnitudine, che si trasformerà in decima a fine mese. Settembre sarà il mese dei saluti in attesa del prossimo appuntamento fissato tra circa settant’anni.

13P Olbers in settembre
Cartina della 13P Olbers. Le stelle più deboli sono di magnitudine 10

Cartina della 13P Olbers. Le stelle più deboli sono di magnitudine 10

Le Comete del Mese di Agosto

OLBERS IN ALLONTANAMENTO

Agosto ci propone solo la modesta 13P/Olbers, in attesa che settembre ci porti l’attesissima C/2023 A3 Tsuchinshan-ATLAS.

13P/Olbers

Ormai in deciso allontanamento con conseguente calo di luminosità, a inizio mese dovrebbe ancora brillare di una non disprezzabile ottava magnitudine, che diventerà nona a fine agosto. Dall’Orsa Maggiore la cometa si trasferirà nella Chioma di Berenice, osservabile all’inizio della notte astronomica piuttosto bassa sull’orizzonte. Notevoli alcuni suoi incontri con oggetti deep-sky, a cominciare dal giorno 18 quando si troverà tra la galassia ellittica NGC 4494 (mag. 9,8) e la magnifica galassia a spirale vista esattamente di taglio NGC 4565 (mag. 9,7).La Luna quasi piena renderà però l’osservazione praticamente impossibile. Il 25, in condizioni migliori, la 13P passerà a circa mezzo grado dalla Galassia “Occhio Nero”, ovvero M 64 (Mag. 8,4). Infine il 31, finalmente senza disturbo lunare, si troverà a passare a meno di un grado o mezzo dai due globulari M 53 (mag. 7,5) e NGC 5053 (mag. 9,9).

Comete di Agosto
Cartina della 13P Olbers. Le stelle più deboli sono di magnitudine 10

Infine ancora due parole sulla C/2023 A3 Tsuchinshan-ATLAS, ormai scomparsa dai nostri cieli in attesa di ricomparire in autunno. Del suo calo di attività abbiamo già ampiamente parlato. Di nuovo c’è l’ipotesi che il nucleo si sia spezzato. Di questo hanno parlato alcuni esperti che però hanno subìto pronte repliche di altri colleghi assolutamente contrari alla tesi, che non vedono invece segni di cedimento. Ovviamente una frammentazione del nucleo metterebbe fine ad ogni speranza di assistere ad ottobre a quello spettacolo che stavamo pregustando da tempo, già messo in parte in discussione dal ridursi dell’emissione di polveri. Ormai scomparsa tra la luce del Sole dovremo obbligatoriamente attendere per capire la reale evoluzione di questo oggetto, già impropriamente battezzato dalla stampa non specializzata e dai media come “la cometa del secolo”. La nostra speranza, purtroppo un po’ al ribasso e sperando di essere smentiti, è di poter almeno assistere al passaggio di un bel “astro chiomato”, magari non indimenticabile ma che sappia regalare qualche fremito.

Le Comete del Mese di Luglio

SOLO LA 13P/OLBERS

Ne resterà soltanto una…Dopo che la C/2023 A3 Tsuchinshan-ATLAS è stata momentaneamente “inghiottita” dalla luce solare non rimane che concentrarsi sulla 13P/Olbers, che a luglio risulta l’unica cometa a sfoggiare una interessante luminosità.

13P/Olbers

Reduce dal passaggio al perielio avvenuto il 30 giugno, a inizio luglio la Olbers brillerà ancora su valori prossimi alla settima magnitudine, per poi cominciare a calare gradualmente fino attorno all’ottava grandezza. Dalla Lince raggiungerà la parte meridionale dell’Orsa Maggiore, rimanendo bassa in cielo. La sua ricerca dovrà cominciare non appena il cielo si fa completamente buio.

comete del mese - luglio
Cartina della 13P Olbers. Le stelle più deboli sono di magnitudine 10

C/2023 A3 Tsuchinshan-Atlas

Per completare questa breve rubrica spendiamo due parole sulla C/2023 A3 Tsuchinshan-Atlas, ormai sparita tra la luce solare, che tornerà visibile in autunno. Purtroppo non ci sono buone nuove dato che la sua attività, fino a qualche mese fa in linea con la promettente curva di luce prevista, sembra da qualche tempo essersi ridotta. L’emissione di polveri è drasticamente diminuita tanto che qualche dubbio sull’effettiva luminosità che l’oggetto raggiungerà al perielio comincia a insinuarsi tra gli esperti. Ricordo chele previsioni parlavano del raggiungimento della magnitudine zero. Questa “pausa” non è ovviamente un verdetto definitivo, ma sicuramente qualcosa di cui tener conto. Con l’ulteriore avvicinamento al Sole il nucleo sarà maggiormente sollecitato e l’emissione di materiale potrebbe riprendere abbondante, cosa che tutti sperano. Solo così potremo sperare di osservare fra qualche mese una grande cometa.

Le Comete del Mese di Giugno

13P/OLBERS AL PERIELIO, C/2023 A3 TSUCHINSHAN-ATLAS AI (MOMENTANEI) SALUTI

Giugno ci propone due le comete al di sotto della decima magnitudine, la 13P/Olbers, che a fine mese raggiunge il perielio e la C/2023 A3 Tsuchinshan-ATLAS che ci saluterà per poi tornare in autunno.

Comete del mese: 13P/Olbers

Il 30 giugno la 13P/Olbers transita al perielio raggiungendo secondo le previsioni un valore interessante, non distante dalla settima magnitudine. Purtroppo la sua altezza sull’orizzonte migliorerà solo leggermente rispetto a maggio, mantenendosi molto contenuta, cosa che non agevola le osservazioni. Dall’Auriga si trasferirà nella Lince, con la sessione osservativa che dovrà cominciare obbligatoriamente all’inizio della notte astronomica. Sicuramente non risulterà un oggetto vistoso ma meritevole di essere seguito dato il suo periodo orbitale di quasi settant’anni.

comete del mese giugno
Cartina della 13P Olbers. Le stelle più deboli sono di magnitudine 8

Comete del mese: C/2023 A3 Tsuchinshan-ATLAS

Continua il suo avvicinamento al perielio e la sua crescita luminosa che dovrebbe portarla nel corso del mese dalla decima fino attorno alla nona magnitudine. Dobbiamo però segnalare un calo di attività nell’ultimo periodo dopo che precedentemente l’oggetto aveva dato segni di ottima salute. Speriamo sia solo una momentanea pausa e che le grandi speranze rivolte a questa cometa non vadano deluse. Dalla Vergine la Tsuchinshan-ATLAS si dirigerà verso il Leone, rendendosi osservabile come la Olbers all’inizio della notte astronomica. Inizialmente la troveremo ancora abbastanza alta in cielo ma le condizioni peggioreranno gradualmente ed a fine mese, regioni meridionali a parte, il periodo osservativo potrà dirsi momentaneamente concluso. La ritroveremo in autunno, speriamo trasformata in una grande cometa visibile ad occhio nudo.

Comete del mese giugno
Cartina della C/2023 A3 Tsuchinshan-Atlas. Le stelle più deboli sono di magnitudine 10


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Un Ascensore Spaziale tra Phobos e Marte

Uno degli obiettivi più ambiziosi dell’ingegneria spaziale moderna è realizzare infrastrutture che permettano di superare i limiti imposti dalla propulsione a razzo. Tra queste, l’idea di un ascensore spaziale affascina da oltre un secolo. Il progetto studiato recentemente da un gruppo di ricercatori si concentra su una versione “ridotta”, ma sorprendentemente realistica: un ascensore spaziale ancorato a Phobos, la più interna delle due lune di Marte, che si estende verso il pianeta rosso.

Il fine del progetto è dimostrare che, grazie alle condizioni gravitazionali favorevoli del sistema Marte–Phobos, è possibile costruire un’infrastruttura capace di collegare la luna alla superficie marziana. Per fare ciò, gli scienziati hanno sviluppato un modello fisico-matematico sofisticato che simula il comportamento dinamico di un sistema formato da una stazione spaziale, un cavo e un veicolo mobile detto “climber”.

Il modello considera la dinamica del sistema nel contesto del cosiddetto problema ellittico dei tre corpi, una rappresentazione matematica che tiene conto delle forze gravitazionali di Marte e Phobos. L’ascensore viene trattato come un doppio pendolo: un primo braccio collega la superficie di Phobos a una stazione posizionata oltre il punto di equilibrio gravitazionale tra i due corpi celesti (il punto L1), mentre il secondo può estendersi dalla stazione verso Marte.

Due sono le configurazioni principali analizzate. Nella prima, più tradizionale, il climber si muove lungo un cavo teso tra la superficie di Phobos e la stazione sospesa nello spazio. Questa struttura potrebbe servire come mezzo per trasportare strumenti scientifici o materiali da e verso Phobos, senza la necessità di lanciare razzi. La seconda configurazione è più audace: il cavo si estende dalla stazione verso Marte, permettendo al climber di muoversi in direzione del pianeta. Una volta raggiunta l’estremità, il veicolo può sganciarsi dal cavo e, sfruttando la gravità marziana, scendere direttamente verso la superficie.

Le simulazioni numeriche hanno confermato che il sistema può rimanere stabile, purché il baricentro dell’ascensore sia mantenuto oltre il punto L1. Inoltre, è possibile evitare che il cavo si rilassi o diventi instabile durante le operazioni, progettando con attenzione le fasi di accelerazione e decelerazione del climber.

Ciò che rende questo progetto particolarmente interessante è la concreta fattibilità tecnica. A differenza della Terra, dove un ascensore spaziale richiederebbe un cavo lungo circa 100.000 chilometri, la distanza tra Phobos e la superficie di Marte è di soli 6.000 chilometri. Inoltre, Phobos ha una gravità estremamente debole e un’orbita sincrona che la tiene sempre rivolta verso Marte, fattori che semplificano notevolmente la costruzione e la stabilità dell’infrastruttura.

Un ascensore spaziale tra Phobos e Marte avrebbe implicazioni enormi per l’esplorazione del pianeta rosso. Potrebbe abbattere drasticamente i costi delle missioni, permettere il trasporto continuo di materiali e strumenti scientifici, fungere da piattaforma per esperimenti in orbita stabile e persino rendere possibile il lancio di sonde verso altre destinazioni nel Sistema Solare.

In definitiva, il sogno dell’ascensore spaziale potrebbe non essere poi così lontano. Non sulla Terra, ma su una piccola luna che orbita silenziosamente attorno a Marte, dove la scienza e l’immaginazione si incontrano per tracciare una nuova via verso il futuro dell’esplorazione spaziale.

News da Marte #40: le notti marziane di Perseverance tra aurore e lune brillanti

Riprendiamo due news recentemente pubblicate dalla NASA nei suoi canali d’informazione. Queste notizie riguardano alcune rilevazioni fotografiche eseguite dal rover Perseverance, il gioiello tecnologico che dal 2021 guida il programma di esplorazione del Pianeta Rosso. Tuttavia una delle pubblicazioni non è una novità assoluta, ma ne approfittiamo per espandere e analizzare ulteriormente l’argomento. Iniziamo proprio con questa prima notizia, si parte!

La prima osservazione di un’aurora marziana nello spettro visibile

I lettori e le lettrici più assidue di Coelum potrebbero ricordare un paragrafo intitolato in modo simile in News da Marte #30 o nel numero 269 della nostra rivista. Al tempo avevamo documentato la rilevazione di cui nel titolo grazie ai risultati presentati nel lavoro intitolato First Detection Of Visible-Wavelength Aurora On Mars (Knutsen, McConnochie, Lemmon et al., 2024) presentato alla decima International Conference on Mars. Il 15 maggio l’articolo è stato finalmente pubblicato e grazie a questa versione estesa possiamo aggiungere alcuni elementi.

A sinistra la prima foto di un’aurora verde osservata su Marte, Sol 1094 di Mars 2020. A destra è riportata un’immagine di confronto del cielo notturno in cui il fenomeno è assente. La notte è illuminata dal satellite Deimos e dall’ancor più luminoso Fobos, fuori dall’inquadratura. Le tonalità rosse del cielo sono dovute all’abbondante polvere in sospensione nell’atmosfera. Foto eseguite con MastCam-Z. Crediti: NASA/JPL-Caltech/ASU/MSSS/SSI

Il 15 marzo 2024, in seguito a un flare di intensità C4.9 originato dalla macchia solare AR3599, si è generata una potente espulsione di massa coronale che dal Sole ha viaggiato sino a Marte. Qui un’intera flotta di apparati era pronta a intercettare un fenomeno sino a quel momento solo teorizzato: l’emissione alla lunghezza d’onda di 557.7 nm, legata all’ossigeno atomico eccitato che anche sulla Terra produce il colore verde associato alle aurore.

Attraverso modelli matematici, il gruppo di lavoro guidato da Elise W. Knutsen (prima autrice dell’articolo) ha calcolato l’angolo ottimale con cui tentare l’osservazione dell’aurora dovuta alle SEP (solar energetic particle) in arrivo e massimizzare così la possibilità di rilevazione con lo spettrometro della SuperCam e le camere MastCam-Z.

La collaborazione tra team diversi è stata cruciale, garantendo l’opportunità di selezionare un fenomeno con intensità sufficiente a produrre l’emissione verde ricercata. Il Moon to Mars (M2M) Space Weather Analysis Office e il Community Coordinated Modeling Center (CCMC) hanno contribuito fornendo e analizzando in tempo reale i dati sulle eruzioni solari, producendo le simulazioni di CME (coronal mass ejection) e stimando i tempi d’impatto.

Quando è stata diramata l’allerta per la CME di metà marzo 2024 e “ne abbiamo visto l’intensità” – commenta Knutsen – “abbiamo stimato potesse generare un’aurora sufficientemente luminosa per essere rilevata dai nostri strumenti.”

Alcuni giorni dopo l’espulsione di massa coronale è giunta su Marte dove ha prodotto il fenomeno atteso e splendidamente documentato da Perseverance: un debolissimo bagliore verde presente quasi uniformemente in tutto il cielo esattamente alla lunghezza d’onda di 557.7 nm. L’arrivo della CME è stato confermato indipendentemente dagli strumenti a bordo dei satelliti MAVEN della NASA e da Mars Express dell’ESA.

“Le osservazioni dell’aurora nella luce visibile effettuate da Perseverance confermano un nuovo modo di studiare questi fenomeni, complementare a quanto possiamo osservare con i nostri orbiter marziani”, ha dichiarato Katie Stack Morgan, Project Scientist ad interim di Perseverance presso il Jet Propulsion Laboratory della NASA. “Una comprensione più approfondita delle aurore e delle condizioni attorno a Marte che ne determinano la formazione è particolarmente importante mentre ci prepariamo a inviare lì, in sicurezza, degli esploratori umani”.

Questa rilevazione di successo, eseguita nel Sol 1094 della missione Mars 2020, è stata solo una di quattro complessive simili osservazioni che hanno tentato di rilevare il fenomeno dell’aurora nel cielo di Marte. Gli altri tentativi (eseguiti nei Sol 790, 900 e 1108) sono falliti ma hanno fornito dei profili di segnale medio indispensabili per discriminare l’eccesso nel canale verde dovuto all’aurora.

Profili del segnale in eccesso nel verde per tutti e quattro i tentativi di rilevamento dell’aurora. Il segnale medio in eccesso nel verde è espresso in funzione dell’angolo di elevazione. I profili Mastcam-Z e il modello sono mostrati come linee, mentre le misurazioni della radianza da parte di SuperCam sono indicate con rombi. I colori rappresentano diversi sol della missione. Solo il sol 1094 (linea verde continua) ha prodotto un rilevamento positivo. Le aree ombreggiate in verde e grigio rappresentano, rispettivamente, l’incertezza strumentale di Mastcam-Z per il miglior adattamento e l’intervallo di confidenza al 95% comprensivo delle incertezze dovute alle correzioni per la luce diffusa di Phobos. La linea tratteggiata arancione mostra il risultato di un modello di trasferimento radiativo per la riga aurorale adattato alla misurazione di SuperCam del sol 1094. (Knutsen EW, McConnochie TH, Lemmon M et al., Detection of visible-wavelength aurora on Mars. Sci Adv. 2025 May 16)

Alba marziana con Deimos e il Leone

Il rover Perseverance ci regala un’altra splendida immagine catturata prima dell’alba del Sol 1433 (1 marzo) all’ora locale 4:27. Sull’orizzonte est viene immortalata la piccola luna marziana Deimos, lunga appena 12 km e in quel momento distante circa 22000 km dal rover.

Alba marziana fotografata da Perseverance, Sol 1433. NASA/JPL-Caltech

Gli esperti elaboratori del JPL dichiarano che la foto è il risultato di 16 singole acquisizioni eseguite con la Left NavCam e combinate direttamente dal computer di bordo prima del loro invio. Per ciascuno scatto la camera di navigazione è stata impostata sul tempo massimo di acquisizione di 3.28 secondi, producendo così un’immagine che copre un intervallo complessivo di poco più di 52 secondi. Il campo inquadrato è di 90°x70°.

L’aspetto nebbioso dell’immagine è dovuto alla bassissima luminosità della scena che ha richiesto pesanti interventi di elaborazione. È presente un grande disturbo digitale legato sia al rumore elettronico del sensore che a qualche raggio cosmico che di tanto in tanto ha raggiunto il dispositivo di acquisizione. Quest’ultimo disturbo è visibile come brevi scie di pixel luminosi, non è difficile trovarne degli esempi quando si visiona l’immagine a piena risoluzione (disponibile a questo link).

Uno zoom spinto dell’immagine (reso possibile dal fatto che questa acquisizione non ha subito downscaling  ed è stata inviata alla massima risoluzione permessa dalla NavCam, 5120×3840 pixel) è in grado di rivelare dettagli aggiuntivi.

Andando a indagare nelle vicinanze di Deimos si individuano due corte scie stellari non dovute a raggi cosmici. Si tratta di Regolo e Algieba, due tra gli astri più luminosi della costellazione del Leone.

Vale la pena notare che Deimos, a differenza delle due stelle che hanno prodotto una scia di circa 0.2°, appare invece immobile. Questo è dovuto al periodo dell’orbita del satellite attorno al suo pianeta esattamente di 30,312 ore. È un tempo comparabile a quello del giorno marziano (24 ore e 39 minuti) e il risultato è che, visto da Marte, Deimos impiega circa 5,34 giorni marziani per tornare allo stesso punto nel cielo. Durante questo tempo il suo moto apparente, in direzione concorde con quello delle stelle, è estremamente lento e ciò fa sì che in lunghe esposizioni come quella qui analizzata sembri praticamente immobile.

Per questo aggiornamento da Marte è tutto, alla prossima!

News da Marte #39: il ciclo del carbonio marziano svelato da Curiosity

Grazie ai dati del rover Curiosity sono stati scoperti minerali che raccontano una storia affascinante: miliardi di anni fa su Marte era attivo un ciclo del carbonio.

È stato a lungo ritenuto che Marte possedesse un’atmosfera molto più densa di quella attuale e ricca di anidride carbonica. Le ricerche portate avanti sino a questo momento fallivano però nel trovare le evidenze fossili nelle rocce di questo composto. Lo studio pubblicato su Science il 17 aprile (Carbonates identified by the Curiosity rover indicate a carbon cycle operated on ancient Mars, Tutolo et al.) segna un punto di svolta nella comprensione della storia del clima e della geochimica del pianeta rosso.

Le tracce del passato in una roccia marziana

Se Marte avesse posseduto un’atmosfera con abbondanza di CO2, le prove sarebbero nelle rocce: l’anidride carbonica e l’acqua reagiscono e formano minerali carbonati. Le cronache delle attività dei rover marziani abbondano di rinvenimenti di questi minerali, ma sino a questo momento le rivelazioni spettrali compiute dagli orbiter e quelle in situ con gli strumenti in dotazione ai robot non avevano mai rilevato quantità di carbonati sufficienti a confermare le teorie.

Tra la fine del 2022 e l’autunno del 2023 Curiosity ha affrontato un’avanzata verso sud in direzione di Aeolis Mons che ha visto il rover risalire un centinaio di metri di quota. Durante la sua esplorazione della formazione sedimentaria denominata Mirador, Curiosity ha analizzato quattro campioni prelevati da diverse profondità con il suo strumento CheMin, in grado di identificare i minerali attraverso la diffrazione a raggi X.

Nella sua ricerca di carbonati alla base della formazione, il rover ha prelevato il primo campione il 19 ottobre 2022. Canaima, questo il suo nome, mostrava la presenza di cristalli di starkeyite.

Curiosity ha proseguito il suo spostamento entrando nella formazione geologica denominata Marker Band. In questa regione, tra i Sol 3752 e 3980 (marzo-ottobre 2023), il rover ha analizzato tre campioni: Tapo Caparo, Ubajara e Sequoia. Se tali nomi vi risultano familiari siete evidentemente assidui lettori e lettrici di questa rubrica perché in passato sono comparsi nelle pagine di News da Marte (ai relativi link potete comunque rinfrescarvi la memoria).

Foto del foro relativo al campione “Sequoia”, Sol 3980. NASA/JPL-Caltech

Ma torniamo ai nostri campioni.
In essi i ricercatori hanno individuato abbondanza di siderite (FeCO₃), un minerale carbonatico ferroso presente in concentrazioni fino al 10% in peso rispetto alla roccia. È la prima volta che questo tipo di carbonato viene trovato in quantità così elevate su Marte, e prima d’ora la sua rilevazione così abbondante era sfuggita alle osservazioni orbitali perché ricoperta superficialmente da differenti minerali.

(A) Colonna stratigrafica che mostra le altezze e le interpretazioni sedimentologiche della sezione verticale di 89 m attraversata dal rover. I gruppi, formazioni e membri rappresentano le unità sedimentarie, con stili di tratteggio indicanti la litologia. I cerchi neri segnano i luoghi di campionamento: CA (Canaima), TC (Tapo Caparo), UB (Ubajara) e SQ (Sequoia). Le linee verticali spesse segnano le elevazioni dove sono stati rilevati minerali di Mg-solfato (linea continua) e siderite (linea tratteggiata). (B) Mosaico di immagini ottiche orbitali del cratere Gale, con il percorso del rover Curiosity (linea bianca) su Mt. Sharp. I confini dei membri corrispondono alla sezione in (A). I punti di osservazione ChemCam sono riportati come cerchi colorati, indicanti la differenza rispetto alla composizione media del letto roccioso Chenapau. Tutolo et al.(2025)

Cosa racconta la siderite?

La siderite si forma in ambienti poveri d’acqua ma ricchi di anidride carbonica e con condizioni chimiche riducenti, cioè in assenza di ossigeno. Le analisi suggeriscono che questi carbonati si sono depositati attraverso l’evaporazione di acque sotterranee, in una fase in cui l’ambiente era abbastanza alcalino da permetterne la precipitazione.

Questa scoperta dimostra che, miliardi di anni fa, su Marte esistevano fluidi che reagivano con le rocce del sottosuolo in modo simile a quanto avviene sulla Terra. Ma soprattutto, la presenza di questi minerali implica che una parte dell’atmosfera marziana fu sequestrata nelle rocce attraverso reazioni chimiche.
Le stime, basate su analisi spettrografiche orbitali, ipotizzano che i carbonati abbiano trattenuto tra 0,01 e 1 bar di anidride carbonica.

(A) I dati di diffrazione a raggi X ottenuti dallo strumento CheMin per tre campioni marziani. I picchi indicano la presenza di minerali specifici, come siderite, gesso, pirosseno e altri. (B) I diagrammi a torta mostrano le percentuali dei minerali (e delle componenti amorfe) presenti nei campioni Tapo Caparo, Ubajara e Sequoia. La quantità di siderite è evidenziata in ciascuno. (C) Il diagramma triangolare confronta la composizione dei carbonati trovati nei campioni con quella di carbonati già noti da meteoriti marziani e da Comanche, un sito precedentemente studiato nel cratere Gusev. Tutolo et al.(2025)

Nelle descrizioni dei ricercatori, miliardi di anni fa il pianeta rosso era molto diverso da Marte come lo conosciamo ora. L’attuale atmosfera contiene soli 6 mbar di CO2, ma in passato si stima che le sole eruzioni vulcaniche possano averne fornito sino a 10 bar. Anche tenendo conto del gas disperso nello spazio (circa 3 bar) ci sarebbe comunque stata sufficiente pressione affinché l’acqua potesse essere presente stabilmente allo stato liquido.

Un ciclo del carbonio marziano

Ma la storia non finisce qui. I ricercatori hanno anche identificato minerali come ematite, goethite e akaganeite che, detto in termini estremamente specialistici, sono derivati dalla diagenesi della siderite in condizioni ossidanti.
Per i non specialisti: con diagenesi si intendono i processi che trasformano i sedimenti in rocce compatte successivamente alla loro deposizione.

Questo indica che una parte del carbonio, inizialmente intrappolata nei carbonati, fu successivamente rilasciata nell’atmosfera marziana chiudendo così un ciclo del carbonio parzialmente simile a quello terrestre.

Lo schema illustra il ciclo del carbonio proposto per l’antico Marte. L’evaporazione delle acque sotterranee porta inizialmente alla formazione di siderite, che intrappola CO₂ atmosferica. Con l’aumento dell’evaporazione si depositano solfati di calcio e magnesio. I sedimenti trasportati dal vento fanno salire nel tempo la zona di evaporazione. In una fase successiva, fluidi poveri di siderite infiltrano i sedimenti, distruggendo parte della siderite formata e liberando nuovamente CO₂ nell’atmosfera. Tutolo et al.(2025)

Implicazioni globali

Anche se queste scoperte provengono da un’unica area del cratere Gale, i ricercatori ipotizzano che sedimenti simili possano essere presenti in molte altre regioni del pianeta. Se confermata, la presenza diffusa di siderite potrebbe significare che Marte ha sequestrato (e in parte rilasciato) quantità di CO₂ comparabili a quelle dell’atmosfera odierna del pianeta, offrendo nuove chiavi di lettura sulla sua evoluzione climatica.

“Perforare la superficie stratificata marziana è come sfogliare un libro di storia” ha enfatizzato il ricercatore Thomas Bristow, coautore dello studio. “Bastano pochi centimetri di profondità per darci un’ottima idea dei minerali che si sono formati sulla superficie o nelle sue immediate vicinanze circa 3,5 miliardi di anni fa.”

Questa scoperta rafforza l’idea che Marte non sia sempre stato il deserto gelido che conosciamo oggi. La sua storia geologica rivela un mondo dinamico, con acqua liquida, reazioni chimiche attive e un’atmosfera capace di trasformarsi. E chissà: dove c’è un ciclo del carbonio, potrebbe esserci stata anche una nicchia abitabile.

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News da Marte #38 – Curiosity trova lunghissime molecole organiche

Bentornati su Marte!
Il rover Curiosity della NASA ha colpito ancora. Stavolta (o per meglio dire nel 2013), frugando tra le polveri di un antico lago marziano, ha scovato le più grandi molecole organiche mai trovate sul Pianeta Rosso. La scoperta è stata pubblicata lunedì 24 marzo sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences e alimenta l’ipotesi che la chimica prebiotica su Marte possa essere stata più complessa di quanto immaginassimo.

Grandi molecole, domande ancora più grandi

Gli scienziati hanno analizzato un campione di roccia chiamato Cumberland e prelevato nel 2013 da Curiosity nella zona di Yellowknife Bay, all’interno del cratere Gale. A distanza di anni nuove analisi hanno rivelato la presenza di decano, undecano e dodecano, catene molecolari costituite rispettivamente da 10, 11 e 12 atomi di carbonio. Questi composti sembrano essere frammenti di acidi grassi, molecole fondamentali sulla Terra per la costruzione delle membrane cellulari. Questo però non implica necessariamente un’origine biologica: gli acidi grassi possono anche formarsi senza la presenza di vita, grazie a reazioni chimiche come quelle che avvengono nelle bocche idrotermali.

Il rover Curiosity della NASA ha perforato questa roccia, chiamata “Cumberland”, durante il 279° giorno marziano (o sol) della sua missione su Marte, il 19 maggio 2013, raccogliendo un campione di polvere dall’interno della roccia. Situata nella regione di Yellowknife Bay, all’interno del cratere Gale, questa zona era un tempo il fondo di un antico lago, offrendo condizioni ideali per la conservazione di molecole organiche. Le analisi successive hanno rivelato la presenza di composti organici complessi, tra cui decano, undecano e dodecano, le molecole organiche più grandi mai scoperte su Marte. Crediti: NASA/JPL-Caltech/MSSS

Un passo avanti verso la vita?

La cosa esaltante è che finora su Marte erano stati individuati solo composti organici piuttosto semplici. Questi nuovi ritrovamenti dimostrano che la chimica organica su Marte potrebbe essersi spinta più in là, forse fino a livelli compatibili con l’origine della vita. Inoltre, la scoperta dà una speranza concreta di trovare anche quelle molecole biologiche che possono essere considerate vere “firme” della vita passata, le cosiddette biosignature.

Questa grafica mostra le molecole organiche a catena lunga decano, undecano e dodecano. Si tratta delle molecole organiche più grandi scoperte su Marte fino a oggi. Crediti: NASA/Dan Gallagher

La ricerca fornisce un’altra buona notizia, ovvero che questi composti hanno resistito per miliardi di anni nonostante le difficili condizioni marziane. Significa che, se su Marte è mai esistita la vita, potremmo ancora avere una chance di trovarne le tracce.

Il fascino di Yellowknife Bay

La zona di Yellowknife Bay era risultata già molto interessante per gli scienziati. Si tratta di un’area che un tempo ospitava un lago, offrendo le condizioni ideali per preservare molecole organiche nel fango sedimentario. Le analisi precedenti su Cumberland avevano già rivelato un mix di argille (formatesi in acqua), zolfo (perfetto per conservare le molecole organiche), nitrati (importanti per la vita sulla Terra) e perfino metano con un tipo di carbonio che sulla Terra è associato ai processi biologici. Insomma, se dovessimo scegliere un posto su Marte dove un giorno scovare prove di vita passata, Yellowknife Bay sarebbe un candidato ideale.

Un aspetto esplorato dagli autori dello studio è la possibilità di trovare catene organiche ancora più lunghe di 13 atomi di carbonio. Questo rappresenterebbe una prova estremamente potente che potrebbe persino escludere per questi composti l’origine non biologica in quanto tali processi tipicamente generano catene più corte di 12 atomi. Purtroppo gli strumenti in possesso di Curiosity, in particolare il Sample Analysis at Mars (SAM) impiegato per queste analisi, non sono ottimizzati per rilevare moleecole più lunghe di quelle già individuate.

La scoperta del rover non fa che confermare l’importante di portare sulla Terra campioni marziani, per analizzarli con strumenti avanzati impossibili da spedire sul Pianeta Rosso. Non a caso NASA e ESA stanno lavorando a Mars Sample Return, la missione di recupero dei materiali raccolti da Perseverance che mira a risolvere una volta per tutte il mistero della vita su Marte.

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News da Marte #37: nubi crepuscolari e nuovi crateri

Le attività di ricerca svolte sul Pianeta Rosso non riguardano solo le prove che possano indicare l’esistenza di una passata vita batterica marziana. Ci sono anche tanti altri aspetti affascinanti che vengono indagati, come l’atmosfera e l’interno del pianeta come testimoniano due recenti ricerche: il primo analizzato è stato analizzato dal rover Curiosity e il secondo dal lander Insight con un aiuto…dall’alto.

Nubi crepuscolari nel video di Curiosity

Non è la prima volta che il rover Curiosity osserva il fenomeno delle nubi crepuscolari (chiamate anche nottilucenti) nel cielo di Marte. Un esempio a riguardo si trova in questa stessa rubrica nell’uscita di marzo del 2023.

La rilevazione più recente risale a meno di un mese fa, il 17 gennaio, quando la Left MastCam ha immortalato in 33 fotogrammi il transito ad alta quota di questa particolare formazione nuvolosa. La ripresa è durata circa 16 minuti e le immagini sono state acquisite a intervalli di 30 secondi.

NASA/JPL-Caltech/MSSS/SSI

Nel video, ricomposto dagli specialisti del JPL e proposto velocizzato di 480 volte, si notano le nuvole transitare nella parte alta del fotogramma. Le nubi crepuscolari su Marte sono costituite da cristalli di anidride carbonica che, alle gelide temperature presenti a 60/80 km di quota, forma del ghiaccio. L’aggettivo “crepuscolare” fa riferimento al fatto che questo tipo di nube è troppo evanescente per essere visibile di giorno, e così la sua osservazione è possibile solo a ridosso dell’alba o del tramonto quando al suolo è buio ma gli alti strati dell’atmosfera vengono raggiunti dalla luce del Sole. A temperature superiori e quote leggermente inferiori, attorno ai 50 km, anche il debole vapore acqueo in atmosfera ghiaccia. Questo seconda tipologia di nubi si manifesta come pennacchi bianchi, anch’essi visibili nel video di Curiosity: sono le debolissime formazioni che compaiono nella parte inferiore dell’inquadratura e che si muovono in direzione opposta alle nubi crepuscolari.

Un secondo dettaglio del video riguarda non tanto il soggetto dell’acquisizione ma la visuale che risulta parzialmente oscurata da un cerchio. Non è un errore di elaborazione ma il modo con cui i tecnici di Curiosity stanno affrontando il problema alla ruota portafiltri della Left MastCam. Potreste ricordare da un vecchio articolo (News da Marte #23) che, dall’autunno 2023, la visuale della camera grandangolare del rover è parzialmente oscurata a causa della ruota che è rimasta bloccata a metà del filtro RGB. Questo intoppo sta tutt’ora privando il rover di oltre metà del campo permesso dalla camera a 34 mm oltre che della possibilità di eseguire osservazioni in alcune bande spettrali d’interesse per i geologi.
In ogni caso, per non sprecare bit nella trasmissione delle immagini dalla superficie di Marte verso la Terra, la porzione nera nella parte destra del frame viene esclusa già in fase di acquisizione. È una procedura di crop dell’area utile del sensore, ben familiare a chi si occupa di acquisizione di immagini planetarie al telescopio.

Entità del problema alla ruota portafiltri della Left MastCam di Curiosity, Sol 3998. NASA/JPL-Caltech

Un nuovo cratere ci aiuta a capire l’interno di Marte

Le rilevazioni del sismometro di InSight, il lander della NASA con cui si sono persi i contatti il 15 dicembre 2022, continua a produrre nuova scienza. In un articolo pubblicato il 3 febbraio sulla rivista Geophysical Research Letters si descrivono i dettagli relativi alla correlazione tra un cratere individuato dal Mars Reconnaissance Orbiter e una scossa rilevata da InSight.

Immagine del cratere acquisita dalla camera HiRise di MRO il 4 marzo 2021. NASA/JPL-Caltech/University of Arizona

Non solo i terremoti, ma anche gli impatti meteorici di significativa potenza, producono un concerto di onde sismiche che si propagano nella crosta e nel mantello dei pianeti rocciosi. L’analisi spettrale di queste onde e i differenti tempi di propagazione in base alle loro frequenze permette di approssimare un modello dell’interno del pianeta.

Proprio il cratere in oggetto, largo 21.5 metri e individuato a 1640 km da InSight nella regione di Cerberus Fossae, ha fornito spunti interessanti ai ricercatori. Nonostante la notevole distanza, le onde sismiche sono stato rilevate dal sismometro del lander con livelli di intensità significativi. Tali livelli non sarebbero stati possibili se le onde avessero viaggiato prevalentemente in superficie, in quanto la crosta marziana agisce come uno smorzatore. La spiegazione è che le vibrazioni abbiano quindi preso una via differente penetrando attraverso il mantello di Marte e trasmettendosi così sino alla posizione di InSight. Attraverso quella che i ricercatori hanno definito “autostrada sismica” le vibrazioni causate dagli eventi di impatto riescono a insinuarsi nell’interno del pianeta e propagarsi più facilmente di quanto sinora stimato.

Tra gli strumenti che negli ultimi anni stanno aiutando i ricercatori a individuare nuove caratteristiche su Marte, che siano crateri o diavoli di polvere, ci sono gli algoritmi di intelligenza artificiale. Dal 2021 il lavoro di analisi di centinaia di migliaia di immagini, pesante ed estremamente lento, è supportato da tecniche di machine learning che riescono a filtrare le acquisizioni eseguite dai satelliti in orbita marziana. L’analisi di una singola immagine della Context Camera (che possiamo vedere come la camera grandangolare di MRO), che richiedeva sino a 40 minuti di lavoro da parte di un operatore umano, adesso viene eseguita in meno di 5 secondi da un supercalcolatore. Anche il cratere individuato nella regione di Cerberus Fossae è stato scoperto nelle immagini grazie a questo nuovo strumento di elaborazione: un primo filtraggio ha rilevato 123 crateri recenti e un’analisi successiva a ridotto a 49 i potenziali match con i dati di InSight. L’intervento umano finale da parte di sismologi e ricercatori coinvolti nella stesura del paper scientifico ha poi individuato il cratere di interesse permettendo le successive analisi.

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Bentornati su Marte! Nella serata italiana di martedì 7 gennaio la NASA ha annunciato un’importante revisione del programma Mars Sample Return, destinato a riportare sulla Terra campioni raccolti dal rover Perseverance. Con un focus su costi, complessità e tempistiche, l’agenzia spaziale americana sta valutando due nuove opzioni per semplificare e accelerare il progetto.

Il contesto della missione

Dal 2021, il rover Perseverance sta esplorando il cratere Jezero su Marte. Fino ad oggi, il rover ha raccolto 28 campioni sigillati in tubi di titanio, rappresentativi di rocce, regolite e atmosfera. L’obiettivo del programma è recuperare questi campioni e riportarli sulla Terra per analisi che potrebbero rivoluzionare la comprensione del Pianeta Rosso e della sua evoluzione geologica.

Collage con le foto delle dieci fiale che Perseverance ha rilasciato al suolo tra dicembre 2022 e gennaio 2023 per la raccolta da parte di un futuro lander. NASA/JPL-Caltech

Tuttavia, il progetto originale, che prevedeva l’uso di diverse missioni e un approccio molto complesso, ha incontrato ostacoli significativi che abbiamo raccontato in numerosi appuntamenti di questa rubrica. I costi stimati avevano superato gli 11 miliardi di dollari e la data prevista per il recupero era slittata fino al 2040.

Nuova strategia: riduzione dei costi e maggiore efficienza

Nel briefing Bill Nelson, amministratore della NASA, ha spiegato come sia stato necessario “staccare la spina” al progetto originale e ripensare l’architettura della missione. Da aprile 2024 il team ha lavorato su due approcci principali:

  • Utilizzo della “Sky Crane”
    Questa opzione si basa sulla tecnologia già impiegata con successo per l’atterraggio dei rover Curiosity e Perseverance. Il sistema prevede l’uso di un lander dotato di un braccio robotico per trasferire i campioni su un veicolo di ascesa marziano (Mars Ascent Vehicle), che li trasporterà nell’orbita di Marte. Da lì, un orbiter dell’Agenzia Spaziale Europea, li raccoglierà e li riporterà sulla Terra. Questa opzione offre un costo stimato di 6,6-7,7 miliardi di dollari e riduce la complessità del sistema.
Rappresentazione della Sky Crane in azione mentre depone Perseverance sul suolo marziano. NASA/JPL-Caltech
  • Coinvolgimento di partner commerciali
    L’altra opzione esplora l’uso di un grande lander commerciale fornito da aziende come SpaceX o Blue Origin. Questo approccio mira a sfruttare le capacità di carico elevate offerte dai veicoli commerciali. I costi stimati vanno dai 5,8 ai 7,1 miliardi di dollari.

Un focus su semplicità e rapidità

Indipendentemente dall’opzione scelta, il nuovo approccio mira a ridurre la complessità della missione e i rischi associati. È stato confermato un ruolo prioritario per il braccio robotico di Perseverance al fine di trasferire o comunque avvicinare i campioni direttamente al lander, riducendo la necessità di componenti aggiuntivi. A riguardo sembra accantonata l’idea di ricorrere a due piccoli elicotteri, sviluppati sul progetto di Ingenuity e dotati di un piccolo braccio robotico, per recuperare le dieci fiale rilasciate dal rover due anni fa.
Tra le innovazioni chiave discusse c’è l’introduzione di un sistema di alimentazione a radioisotopi che sostituiranno i pannelli solari, garantendo operatività anche durante le stagioni di tempeste di polvere marziane. A livello di trasferimento orbitale è stato poi scartata l’idea di un passaggio intermedio nell’orbita cis-lunare, che avrebbe comportato costi e complessità aggiuntivi, preferendo il ritorno diretto verso la Terra.

La NASA prevede di scegliere definitivamente l’architettura della missione entro la metà del 2026. Le prime missioni di lancio potrebbero avvenire già nel 2030 (orbiter di ritorno) e nel 2031 (lander e sistema di ascesa). Questo permetterebbe di recuperare i campioni entro la metà degli anni 2030, in anticipo rispetto alle previsioni più recenti piano originale. L’amministratore Nelson evidenzia che già a partire dal 2025 sarà necessario uno stanziamento di almeno 300 milioni di dollari da parte del Congresso per evitare ulteriori ritardi.

Concorrenza internazionale: la pressione della Cina

Un tema cruciale emerso durante il briefing è la competizione con la Cina, che ha annunciato piani per una propria missione di ritorno di campioni marziani entro la fine del decennio. Sebbene la NASA sottolinei la superiorità scientifica del proprio approccio, la pressione per accelerare il progetto è evidente. “Non possiamo lasciare che il primo ritorno di campioni avvenga su una navicella cinese” ha dichiarato Nelson, evidenziando l’importanza scientifica e politica del programma.

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News da Marte #35

Bentornati su Marte! Questo nuovo aggiornamento dal Pianeta Rosso è interamente dedicato un rapporto preliminare presentato dalla NASA che fa luce sulla dinamica dell’incidente fatale che ha messo fine ai quasi 1000 giorni di operazioni di volo dell’elicotterino Ingenuity. Si parte!

L’ultimo volo di Ingenuity

È passato quasi un anno dal 18 gennaio 2024, il giorno in cui l’elicottero Ingenuity eseguì il suo ultimo volo. Si trattò della sua 72esima attività, programmata dagli ingegneri del Jet Propulsion Laboratory con lo scopo di confermare la posizione dell’elicottero che nel precedente volo si era, diciamo così, smarrito. Il volo 71 era stato interrotto bruscamente con un atterraggio di emergenza perché, dopo 35 secondi dal decollo, il sistema di navigazione ottica non riusciva più a calcolare lo spostamento rispetto al terreno a causa dell’assenza di dettagli al suolo. Per verificare con precisione la posizione di atterraggio di Ingenuity viene così programmata una breve attività aerea della durata di 32 secondi.

Come detto, l’elicottero si trovava a operare in una zona con un suolo privo di caratteristiche superficiali significative e con in più la presenza di importanti variazioni nel livello del terreno a causa delle dune di sabbia. Un ambiente estremamente diverso da quello che aveva ospitato i primi 5 voli di test di Ingenuity, pianeggiante e ricco di piccoli sassi.

La programmazione del volo 72 consisteva in una rapida ascesa alla quota di 12 metri, lo stazionamento di alcuni secondi per catturare le immagini aeree e l’inizio della discesa 19 secondi dopo il decollo. Al 32esimo secondo, ad atterraggio quasi completato, la telemetria però si interruppe improvvisamente. Nei giorni che seguirono la NASA riuscì a riprendere contatto con l’elicottero e scattare alcune foto che documentavano lo stato dell’apparato: con grande delusione si scoprì che le punte delle quattro eliche erano spezzate. Terminava così la missione di esplorazione di Ingenuity.

Ingenuity sulla destra dell’immagine, adagiato su un crinale sabbioso. Sul lato opposto una delle sue eliche, scagliata a 15 metri di distanza. NASA/JPL-Caltech/LANL/CNES/CNRS

Cos’è successo quel giorno

Ci aiuta a ricostruire i fatti un’indagine dell’incidente, la prima a riguardare un velivolo su un altro pianeta. L’ha eseguita dalla NASA in collaborazione con AeroVironment, la compagnia che ha collaborato alla progettazione di Ingenuity. Il dettagliato rapporto sull’incidente sarà rilasciato nelle prossime settimane ma una news pubblicata dall’agenzia spaziale statunitense l’11 dicembre ci dà una prima interessante panoramica.

La catena di eventi che ha portato al danneggiamento dell’elicottero inizia probabilmente dal problema con il sistema di navigazione, basato sulla camera in bianco e nero puntata verso il basso, che non è riuscito a tracciare lo spostamento di Ingenuity nel corso del volo. Combinando l’informazione dell’altitudine con lo spostamento relativo dei sassi che riusciva a individuare, il sistema calcolava lo spostamento reale dell’elicottero e ne permetteva anche la stabilizzazione.

I dati di volo inviati da Ingenuity mostrano che dopo 20 secondi dal decollo l’apparato non riusciva più a trovare dei punti di riferimento e questo potrebbe aver causato una decisa deriva nello spostamento laterale mentre l’elicottero stava ancora discendendo al suolo.

Infografica con la sequenza dell’incidente occorso a Ingenuity. NASA/JPL-Caltech, traduzione Piras

Lo scenario più plausibile suggerisce un impatto violento sulla duna che combinato con la traslazione orizzontale ha portato Ingenuity a inclinarsi su un lato. Le eliche in rapidissima rotazione avrebbero quindi toccato il terreno spezzandosi tutte e quattro nel punto strutturalmente più fragile (a circa un terzo della loro lunghezza a partire dalla punta). Le eliche in queste condizioni, molto sbilanciate, avrebbero indotto forti vibrazioni nel sistema a doppio rotore comportando il distacco completo di una delle quattro eliche che è stata così scagliata a circa 15 metri di distanza. Durante questa sequenza di eventi un eccessivo assorbimento di corrente ha probabilmente portato al riavvio del computer di bordo e con esso alla perdita delle comunicazioni e delle immagini acquisite sino a quel momento.

NASA/JPL-Caltech/LANL/CNES/IRAP/Piras
Uno dei fotogrammi acquisiti da Ingenuity nel Sol 1059 (11 febbraio) durante le fasi di indagine sull’incidente. L’ombra delle due eliche mostra chiaramente le punte spezzate. NASA/JPL-Caltech

Ingenuity non vola più ma lavora ancora da terra

Evidentemente impossibilitato nel proseguire le sue attività aeree, alcuni mesi fa l’elicotterino è stato riprogrammato dai tecnici NASA per svolgere dei compiti di monitoraggio meteorologico. Nel dare aggiornamenti sull’indagine relativa all’incidente di Ingenuity è stato anche rivelato che i contatti radio con il rover Perseverance stanno proseguendo al ritmo di circa uno alla settimana, il che permette di scaricare dati meteo e di avionica (non è chiaro in cosa consistano). Ogni minima informazione sarà preziosa per lo sviluppo dei futuri esploratori aerei che voleranno nei cieli di Marte, il primo dei quali potrebbe essere Mars Chopper. Si tratterà di un apparato con sei motori quasi 20 volte più pesante di Ingenuity (quindi oltre 35 kg!) pensato per eseguire voli giornalieri di 3 chilometri trasportando un carico scientifico significativo.

Rendering del futuro Mars Chopper. NASA/JPL-Caltech

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News da Marte #34

Siamo di nuovo sul Pianeta Rosso! In queste ultime settimane Perseverance ha proseguito il suo spostamento verso ovest che stiamo documentando ormai da fine settembre. Tra spettacolari panorami e un insolito campo di candide rocce, vediamo quali sono state le sue attività più recenti. Partiamo!

Un panorama per la missione

Riguardo appunto alle immagini, un nuovo mosaico è stato recentemente diffuso nei canali NASA e in un colpo solo ci permette di osservare quasi tutte le regioni di Marte che Perseverance ha attraversato nei suoi anni sul Pianeta Rosso. Quest’ultima non è un’iperbole perché, grazie alle annotazioni, siamo in grado di individuare persino il sito di atterraggio dove il 18 febbraio 2021 il rover toccò la polvere marziana per la prima volta.

Panorama composto da 44 immagini acquisite il 27 settembre (Sol 1282) che spazia per decine di km. NASA/JPL-Caltech
Piccolissimo ritaglio di una porzione dell’immagine. Al centro, distante 8.7 km, c’è persino il sito di atterraggio di Mars 2020. NASA/JPL-Caltech

In questa immagine, e più precisamente la versione annotata con quasi 50 punti di interesse, riconosciamo alcune delle caratteristiche che ci hanno accompagnato in questi anni in cui abbiamo affiancato il rover nel corso della sua esplorazione di Marte. Per esempio la piana sopraelevata Kodiak, vista da vicino nell’aprile 2021, l’affioramento roccioso Enchanted Lake toccato nell’aprile 2022, o la regione di South Seitah sorvolata a 12 metri di altezza dall’elicottero Ingenuity il 5 agosto 2021.

Il panorama a piena risoluzione è grande 164 MB ma vale la pena perdersi al suo interno, lo trovate sul sito della NASA a questo link.

Nuove rocce a Pico Turquino

Sembra di  aver fatto un viaggio nel tempo, ma torniamo ora a cronache ben più recenti.

Per esempio alla foto di una roccia osservata nel Sol 1302 (18 ottobre) a cui viene assegnato il nome Observation Rock. Ci troviamo nella località Curtis Ridge, circa 200 metri a nord-est della posizione attuale individuata dalla mappa sottostante. Pico Turquino è invece il nome della più ampia regione in cui il rover sta transitando.

Mappa aggiornata al 13 novembre (Sol 1326). NASA/JPL-Caltech
Immagine di Observation Rock nell’elaborazione prodotta dagli esperti grafici. NASA/JPL-Caltech

Le tonalità apparentemente anomale sono dovute all’elaborazione, finalizzata ad aumentare il contrasto ed esaltare le deboli variazioni cromatiche. Insomma, non si tratta affatto di “rocce blu” scoperte da Perseverance come titolato in modo decisamente improprio da alcune testate qualche settimana fa riguardo a simili immagini marziane.

Strani ciottoli chiari

Dieci giorni dopo la ripresa di Observation Rock, e a meno di 80 metri di distanza in linea d’aria, Perseverance si trova impegnato in nuovi rilievi fotografici: alla base dell’area sopraelevata denominata Mist Park le camere del rover inquadrano un campo di sassi brillanti il cui colore molto chiaro risalta rispetto al rosso della polvere marziana e degli altri massi.

Non è la prima volta che queste regioni mostrano di ospitare delle rocce particolari, oseremmo dire fuori posto rispetto al resto delle caratteristiche geologiche. E questo è un piccolo mistero per gli scienziati.

Campo di rocce chiare catturato dalla Right NavCam nel Sol 1311 (27 ottobre)

Sulla Terra siamo abituati alla diversità geologica perché questa è perfettamente giustificata dai complessi processi indotti dall’attività tettonica, che “mescolando” i materiali che costituiscono la crosta sono in grado di produrre minerali dall’ampia varietà chimica e cromatica. Ma su Marte, con tettonica a placche fondamentalmente inesistente e una chimica della crosta dominata dal basalto, abbondano minerali scuri come olivina e pirosseni mentre i materiali chiari sono estremamente più rari.

Panoramica della regione di Mist Park. Left MastCam-Z, Sol 1311. NASA/JPL-Caltech/Piras

Questa chicca inattesa ha portato gli scienziati a richiedere al rover ulteriori investigazioni fotografiche (la cosiddetta remote science) con i filtri spettrali delle MastCam-Z e con il laser vaporizzatore della SuperCam. Purtroppo la scienza di prossimità non è stata possibile perché i sassolini sono troppo piccoli per essere ispezionati in sicurezza dagli strumenti montati sopra il braccio robotico di Perseverance. L’auspicio è che rocce più grandi ma con analoga composizione saranno trovate più avanti lungo il tragitto programmato così da poter procedere con analisi di maggior dettaglio anche del loro interno.

Un secondo mistero legato a queste rocce riguarda le modalità con cui sono arrivate qui venendo sparpagliate in un’area di soli pochi metri quadrati. Anche in questo caso, come per recenti ritrovamenti fuori posto, una delle ipotesi è che questi sassi siano arrivati qui per rotolamento da regioni a maggior altitudine esposte a un materiale bianco di qualche tipo. Un’altra possibile spiegazione è che siano ciò che resta di un’erosione che ha interessato una vena rocciosa, con i materiali più deboli che sarebbero stati dissolti portando alla luce queste rocce più solide.

Dettaglio su alcune delle rocce di Mist Park fotografate con la MastCam-Z di sinistra impostata a 110 mm di focale. NASA/JPL-Caltech/Piras

Per questo aggiornamento è tutto, alla prossima.

Trovate tutti gli aggiornamenti più recenti di News da Marte qui sotto espandendo le relative sezioni.

News da Marte #33

Facciamo di nuovo tappa sul Pianeta Rosso con nuove notizie sui rover Perseverance e Curiosity. Si parte!

Un panorama

Terreno scivoloso

Nel Sol 1285 (30 settembre) Perseverance è impegnato ad aggirare un promontorio e sta cercando una via verso ovest dopo la faticosa ascesa raccontata in News da Marte #32. I piloti della NASA programmano il rover per una salita ma qualcosa sembra non vada per il verso giusto. La telemetria e le foto scattate dalle camere di navigazione tracciano un quadro chiaro dimostrando che il nostro robot non sia riuscito a completare il percorso previsto e che abbia slittato alcune volte durante i tentativi di avanzamento. Queste perdite di trazione sono visibili nella mappa dello spostamento come delle apparenti lievi correzioni di rotta.

Le due tracce gialle mostrano il percorso di Perseverance nei Sol 1285 e 1286 (rispettivamente la porzione a destra e a sinistra). NASA/JPL-Caltech

La sabbia di questa regione dimostra delle proprietà particolari e si comporta in modo imprevisto, quasi come se fosse umida. Incastrandosi tra le righe trasversali del battistrada delle ruote genera un corpo compatto che slitta al suolo rallentando l’avanzamento del rover.
La soluzione più semplice sarebbe stata quella di prendere atto delle complicazioni, fare “inversione” e cercare un’altra strada. Ma questo avrebbe voluto dire allungare i tempi di spostamento e rinunciare a degli obiettivi scientifici che il team di geologi aveva evidentemente molto a cuore.

Quindi i piloti non si sono persi d’animo ed escogitano una soluzione brillante che consiste nel far procedere Perseverance…in retromarcia. Possiamo ipotizzare che si sia trattato di un discorso di bilanciamento, sfruttando magari il peso del generatore a radioisotopi (45 kg) che in questa inedita configurazione di spostamento si trovava quindi a generare una significativa leva sulle ruote posizionate più in alto. Sta di fatto che la mossa, eseguita nel Sol 1288, ha successo e permette al rover di risalire il crinale quanto basta prima di compiere una rotazione su sé stesso e proseguire verso ovest in assetto più convenzionale.

Sol 1287, dettaglio della ruota posteriore destra di Perseverance. La sabbia si è compattata in mezzo agli inserti in titanio del battistrada, compromettendo la trazione. Anche le tracce delle ruote sono estremamente confuse rispetto a quelle molto precise a cui siamo abituati. NASA/JPL-Caltech/Piras
Sol 1288, la ripresa con la Left NavCam mostra la parte posteriore del rover. Alle sue spalle mancano le consuete tracce nella sabbia o almeno i segni di una rotazione sul posto, a dimostrazione che Perseverance ha percorso questo tratto in retromarcia. NASA/JPL-Caltech/Piras
Foto del Sol 1288. Con la freccia gialla è indicata la posizione da cui l’immagine è stata acquisita al termine della giornata di spostamenti. In evidenza anche (marcato con la freccia rossa) lo stesso dettaglio nella sabbia con riferimento sia alla foto che alla mappa. Quello è presumibilmente il punto da cui Perseverance ha iniziato lo spostamento in retromarcia. NASA/JPL-Caltech/Piras

La Terra e Fobos osservati da Curiosity

Non è raro che i rover marziani vengano usati per fotografare il cielo del Pianeta Rosso. Questo avviene spesso di giorno per misurare il tau (il tasso di oscuramento legato alle polveri, rilevato quasi quotidianamente) o riprendere i transiti dei due satelliti di fronte al disco solare.

L’ultima osservazione di questo tipo risale al 30 settembre ad opera di Perseverance che ha ripreso un passaggio della luna maggiore di Marte, Fobos. Il video che vi propongo qui sotto consiste di 64 frame acquisiti in 47 secondi ed è velocizzato di 4 volte. I fotogrammi sono stati ripuliti dal rumore digitale e le transizioni interpolate per ottenere un risultato più fluido.

Video del transito di Fobos di fronte al Sole. Sol 1285 (NASA/JPL-Caltech/MSSS/Piras)

Sono più rare, e forse per questo parecchio più affascinanti, le riprese del cielo notturno di Marte.

Una di queste occasioni è capitata di recente a Curiosity che il 5 settembre (Sol 4295 di missione) è stato programmato per puntare il suo “sguardo” verso l’alto dopo il tramonto del Sole. Dalla sua posizione su Texoli, una collina isolata alle pendici del Monte Sharp, il rover ha eseguito una serie di scatti che hanno spaziato dall’orizzonte fino a circa 15° di elevazione. E in un piccolo angolo di cielo, grande appena mezzo grado, Curiosity ha eseguito la prima osservazione in assoluto di Fobos insieme alla Terra. I due corpi sono visibili nella parte alta dell’immagine, processata dagli esperti della NASA a partire da 17 foto. E qui si svela un piccolo “trucco” perché 5 di queste foto sono state eseguite di giorno mentre le restanti 12 sono esposizioni lunghe (comunque solo pochi secondi per evitare l’effetto scia) acquisite otto ore dopo, di notte, quando il Sole era tramontato da svariate ore e a più di 20° sotto l’orizzonte.

Le due immagini così come processate magistralmente dai grafici del JPL. NASA/JPL-Caltech

Però vediamo di aggiungere qualcosa alle cronache della NASA sin qui riportate, nello spirito di questa rubrica che spesso indaga dettagli nascosti ma (spero) di grande fascino.

L’elaborazione dell’immagine con lo zoom su Fobos e la Terra, in mezzo al notevole disturbo che emerge schiarendo le aree buie, rivela un piccolo “grumo” di pixel sospetto. Si tratta di distribuzione casuale del rumore digitale o c’è dell’altro?

Una possibile risposta viene dalla simulazione della scena immortalata da Curiosity tramite il software Stellarium. I dati della posizione possono essere ricavati dalla mappa messa a disposizione dalla NASA con la posizione del rover, le informazioni di scatto (con la data e l’ora in formato UTC) sono invece incluse nei metadati che corredano ogni singola immagine raw.

Il simulatore fornisce una risposta insperata: quel piccolo gruppo di pixel potrebbe essere la nostra Luna terrestre che brillava con magnitudine 2.8. Gli altri corpi erano invece estremamente più luminosi, con la Terra stimata a -1.7 e Fobos -4.1. Queste misure non tengono però conto dell’estinzione dovuta alla presenza di polveri nell’atmosfera di Marte, attualmente causa di un significativo oscuramento dovuto alle temperature in aumento.

Stellarium si conferma uno strumento di simulazione astronomica di notevole fedeltà. L’immagine qui mostrata è stata ottenuta modificando solo di una decina di arcominuti (corrispondenti all’incirca ad altrettanti km) la latitudine ricavata dalla mappa in modo da avvicinarsi quanto più possibile alla foto reale. L’ora di scatto è stata inserita esattamente come riportata nei metadati.

Sopra: elaborazione dell’immagine NASA con in evidenza l’area più chiara descritta. Sotto: simulazione da Stellarium. NASA/JPL-Caltech/Stellarium-Fabien Chereau/Piras

Anche per questo aggiornamento da Marte è tutto, alla prossima!

Bentornati su Marte nella sezione News da Marte #32!

Gli ultimissimi aggiornamenti da Perseverance e un po’ di notizie relative a missioni spaziali del presente e del futuro. Si parte!

La scalata di Perseverance e una strana roccia con le strisce

Il rover della NASA ha iniziato circa un mese fa la sua ascesa verso sud che rappresenta l’inizio del quinto capitolo della sua esplorazione di Marte, la Crater Rim Campaign.
Perseverance sta affrontando alcune delle sue salite più ripide di sempre e ha già guadagnato decine di metri in altezza nell’arco di poche settimane. Lungo la strada è stata anche eseguita l’abrasione di una roccia sedimentaria in modo da dare agli scienziati elementi per valutare come la geologia muti mentre il rover si allontana dagli scenari familiari che ha frequentato i mesi passati tra Neretva Vallis e Bright Angel (l’area in cui tra le altre cose ha eseguito il suo ultimo prelievo, individuata dal piccolo marker rosso nella mappa sottostante).

Mappa con la posizione di Perseverance aggiornata al 26 settembre (sol 1280 di missione). NASA/JPL-Caltech
Filmato con l’operazione di abrasione eseguita dal rover nel Sol 1257. NASA/JPL-Caltech/Piras
Foto della camera WATSON che documenta l’abrasione eseguita nel Sol 1257 (2 settembre). NASA/JPL-Caltech
Foto simile alla precedente ma scattata da due punti di vista distanti pochi cm l’uno dall’altro ed elaborata in modo da generare un’immagine stereografica chiamata anaglifo. Per ammirarne l’effetto di profondità sono necessari i comuni occhialini 3D rosso/ciano. NASA/JPL-Caltech/Piras

Grazie alle posizioni sopraelevate che sta raggiungendo possiamo godere di spettacolari paesaggi attorno al rover acquisiti per mezzo delle NavCam e delle MastCam-Z. Le montagne più lontane risultano oscurate a causa delle tempeste di sabbia che stanno attualmente affliggendo questa a zona di Marte. Vi propongo una breve selezione di immagini della regione.

Visuale verso sud nel Sol 1264 (9 settembre). C’è un moderato effetto fisheye in questa foto della NavCam, ma quella che si vede è la montagna che Perseverance sta scalando. NASA/JPL-Caltech/Piras
Mosaico di immagini della Left MastCam-Z scattate nel Sol 1266 (11 settembre), la camera era puntata verso est. L’inquadratura inclinata non è un errore di processamento ma testimonia la reale inclinazione del rover che in quel momento era impegnato nella salita in direzione sud (verso destra rispetto all’immagine). NASA/JPL-Caltech/MSSS/Piras

La navigazione non procede a grande velocità, come intuibile nei tratti a nord della mappa dove si vede un’alta densità di pallini bianchi (ogni pallino rappresenta la posizione in un determinato Sol. La distanza di un pallino da quello che lo precede indica quasi sempre lo spostamento compiuto in quella giornata). Possiamo ragionevolmente supporre che la ragione dell’apparente lentezza non sia dovuta agli ostacoli del terreno che il rover si è trovato a dover evitare, poiché le immagini panoramiche non ne mostrano, ma piuttosto alle precauzioni adottate dai piloti che hanno fatto avanzare il robot su una collina parecchio scoscesa.

Intorno al Sol 1264 (9 settembre) Perseverance arriva in un’area più pianeggiante e può così aumentare considerevolmente le distanze percorse giornalmente superando i 150 metri per Sol. Ma dopo alcuni giorni di terreni abbastanza monotoni c’è qualcosa che cattura l’attenzione dei geologi: una roccia molto particolare, come mai ne erano state osservate prima su Marte, che viene battezzata Freya Castle.

Freya Castle osservata dalla Right MastCam-Z nel sol 1268 (13 settembre). NASA/JPL-Caltech/Piras
Un’altra immagine di Freya Castle, ma stavolta è un anaglifo. NASA/JPL-Caltech/Piras

Gli appassionati su internet vanno in estasi per questa roccia grande circa 20 cm che iniziano a chiamare amichevolmente “roccia zebrata”. I geologi formulano alcune ipotesi sulla sua origine e sulla ragione per cui si trovi qui. Si pensa che possa essere di formazione magmatica, oppure metamorfica, oppure una combinazione dei due processi. Ciò che è quasi certo è che, date le profonde differenze con il terreno circostante, non si è formata nella zona in cui è stata individuata da Perseverance. Potrebbe piuttosto essere rotolata qua da regioni a quota maggiore. È una spiegazione elettrizzante perché significa che il rover potrebbe rinvenire interi campi di rocce simili mentre continuerà la salita verso il bordo del cratere.

Poco è noto della chimica di Freya Castle e, in attesa di poter analizzare più nel dettaglio rocce simili, il team scientifico ha programmato Perseverance per una serie di acquisizioni in banda stretta per mezzo delle due MastCam-Z. Le camere montate sulla “testa” del rover integrano dei filtri e con ciascuno di essi è possibile isolare bande molto strette dello spettro. A noi queste foto potrebbero sembrare tutte uguali, al massimo con alcune variazioni di luminosità, ma per i geologi sono la chiave per individuare le specie chimiche che compongono le rocce.

Raccolta delle immagini acquisite da Perseverance con tutti i filtri a banda stretta a sua disposizione. Sol 1268. NASA/JPL-Caltech/MSSS/Piras

In questa raccolta mancano quattro filtri: si tratta dei due RGB con cui le camere realizzano le foto normali e i due filtri solari.

Mentre Perseverance continua la sua avanzata gli scienziati si tengono pronti per la prossima tappa molto attesa: Dox Castle. Sarà quasi certamente un argomento per le prossime cronache.

La Cina vuole fortissimamente Marte

Sono trascorsi solo pochi mesi dalla conclusione della missione Chang’e-6 (se n’è parlato in questo articolo), con la quale l’agenzia spaziale cinese CNSA è riuscita nell’obiettivo di portare sulla Terra della regolite lunare (per la precisione 1935 grammi) raccolta per la prima volta sul lato lontano del nostro satellite. Ma i piani spaziali del gigante asiatico non si fermano: i progetti di espansione passano inevitabilmente anche per la prossima frontiera, Marte, e le possibilità di ricerca scientifica offerte dal pianeta rosso. Possiamo affermare che la NASA sia attualmente leader mondiale dell’esplorazione spaziale ma le cose potrebbero cambiare nell’arco di pochi anni e stavolta non per colpa delle compagnie private.

All’inizio di settembre la CNSA ha presentato dei piani di modifica alla sua missione Tianwen-3 che, secondo i programmi diffusi nell’autunno 2023, sarebbe dovuta partire nel 2030 per svolgere dei compiti di raccolta di materiale dalla superficie di Marte per poi portarlo sulla Terra.

Il concetto è il medesimo a cui NASA ed ESA (Agenzia Spaziale Europea) mirano con la loro Mars Sample Return. Con la differenza che mentre la missione occidentale sta soffrendo un’enorme complessità e un budget richiesto crescente che ne stanno causando gravi ritardi, l’agenzia spaziale cinese sembra si potrà permettere persino di anticipare i tempi.

Nel corso della seconda International Deep Space Exploration Conference tenutasi il 5 e 6 settembre a Huangshan, Liu Jizhong, progettista capo della missione, ha rilasciato un aggiornamento che vede la data di lancio di Tianwen-3 spostata dal 2030 al 2028. L’anticipo di circa due anni non è casuale ma dipende com’è noto dai periodi orbitali della Terra e di Marte. Le finestre ottimali con il massimo avvicinamento tra i due pianeti si aprono ogni circa 26 mesi e durano poche settimane, frangenti nei quali si trovano usualmente concentrati tutti i lanci diretti verso il pianeta rosso.

La missione cinese impiegherà due razzi Lunga Marcia 5. Essi porteranno verso Marte un orbiter (che includerà il veicolo di ritorno verso la Terra) e il lander dotato del razzo di ascesa. La raccolta di materiale sarà eseguita dallo stesso lander che metterà al sicuro circa 500 grammi di regolite e piccoli sassi. Liu ha aggiunto che la CNSA intende collaborare con partner internazionali e i veicoli spaziali cinesi ospiteranno anche carichi scientifici per conto di altre nazioni. Ci sarà inoltre condivisione di dati e persino di campioni di materiale, il tutto nell’ottica di stabilire un’aperta cooperazione globale.

L’importante obiettivo scientifico di Tianwen-3 è la ricerca di tracce di vita passata su Marte (suona familiare?) ma il suo successo, soprattutto nei tempi stimati, candiderebbe fortemente la Cina al ruolo di nuovo leader mondiale nell’esplorazione spaziale realizzando, per usare le parole del capo di stato Xi Jinping, il “sogno eterno” cinese. Grazie a enormi investimenti e piani lungimiranti il paese del dragone intende inoltre proseguire le missioni lunari robotiche ma non solo (il primo astronauta cinese è atteso sulla Luna entro il 2030), la raccolta di roccia da una cometa con Tianwen-2 e l’esplorazione del sistema satellitare gioviano con Tianwen-4.

A proposito del programma Tianwen, potreste ricordare la missione capostipite che nel 2021 portò attorno e su Marte per conto della Cina il suo primo orbiter, il primo lander e il primo rover (Zhurong). La missione riuscì in ogni aspetto, con uno dei risultati più notevoli legato all’atterraggio che i cinesi hanno azzeccato al loro primo tentativo.

Il rover Zhurong insieme al lander con cui è atterrato su Marte. Questa foto storica è stata scattata da una piccola camera indipendente che il rover ha deposto al suolo. CNSA

MAVEN e Hubble scoprono il destino dell’acqua marziana

Nonostante decenni di ricerca sono ancora molti i dubbi su quale sia stato il destino dell’acqua un tempo ospitata sulla superficie di Marte. Parte di essa è presumibilmente finita nel sottosuolo (a riguardo si vedano Coelum Astronomia 270 e News da Marte #31), ma che fine ha fatto il resto? Un nuovo tassello nella nostra comprensione della storia del pianeta viene da uno studio pubblicato a luglio sulla rivista Science Advances e a prima firma di John T. Clarke della Boston University.

Clarke e colleghi hanno utilizzato i dati della sonda MAVEN (Mars Atmosphere and Volatile Evolution) e del telescopio spaziale Hubble per cercare di quantificare il tasso di fuga dell’idrogeno marziano nello spazio.
Il meccanismo con cui l’acqua di Marte evapora viene indotto dalla radiazione solare che scinde le molecole di H2O nelle sue componenti ossigeno e idrogeno. Quest’ultimo atomo è molto leggero e tende a disperdersi nello spazio con facilità, ma in mezzo agli atomi di idrogeno è presente una certa quantità di deuterio. Si tratta di un isotopo più pesante perché nel suo nucleo ospita anche un neutrone. Con il doppio del peso atomico il deuterio fugge dall’atmosfera a un tasso estremamente inferiore e così, confrontando la sua percentuale in atmosfera rispetto all’idrogeno, gli scienziati hanno uno strumento per stimare quanta acqua fosse presente su Marte in passato.

Gran parte dei dati impiegati nello studio derivano da misurazioni della sonda MAVEN la quale però non è abbastanza sensibile da poter rilevare le emissioni dovute al deuterio durante un intero anno marziano. Questa impossibilità è legata alla distanza mutevole di Marte dal Sole in quanto, a causa della marcata ellitticità della sua orbita, la variazione di distanza tra afelio e perielio è addirittura del 40%. MAVEN può eseguire le sue rilevazioni solo quando Marte è più vicino al Sole e l’atmosfera si espande a causa del maggior calore ricevuto.
Il buco nei dati relativo all’afelio è stato colmato dal telescopio Hubble che produce osservazioni utili allo scopo fin dagli anni ‘90 e ha così permesso di coprire tre interi cicli annuali marziali, ciascuno composto di 687 giorni terrestri.

Foto nel profondo infrarosso realizzate da Hubble durante il afelio (sopra) e perielio marziani. NASA, ESA, STScI, John T. Clarke (Boston University); Processing: Joseph DePasquale (STScI)

Insieme all’analisi del rapporto D/H (deuterio/idrogeno) allo scopo di stimare quanta acqua Marte abbia posseduto, i ricercatori hanno anche affinato i modelli matematici usati per descrivere l’atmosfera del pianeta. Il team autore dello studio ha scoperto che Marte è molto più dinamico di quanto ritenuto in precedenza e presenta cicli termici che, pur all’interno della loro annualità, variano anche su tempi molto più brevi, persino poche ore.

Il nuovo modello messo a punto dagli scienziati mostra come le molecole di acqua tendano a salire in alta quota durante le fasi di riscaldamento ed è in questi momenti che avviene la “fuga atomica”. Tuttavia le temperature dell’alta atmosfera da sole non sono sufficienti per dare agli atomi abbastanza energia da abbandonare la gravità marziana ed è qui che intervengono altri fenomeni quali collisioni con i protoni del vento solare e reazioni chimiche indotte dalla radiazione luminosa.

Lo studio dell’evoluzione del clima di Marte attraverso la storia della sua acqua aggiungerà elementi alla comprensione del passato degli altri due mondi all’interno della fascia abitabile del Sole, la Terra e Venere, ma anche di molti esopianeti che è impossibile osservare con analogo dettaglio.

Le sonde ESCAPADE partiranno l’anno prossimo (forse)

Il via libera era arrivato a fine agosto ma il 6 settembre c’è stato un improvviso dietro-front. La NASA ha annunciato che i due satelliti gemelli ESCAPADE (Escape and Plasma Acceleration and Dynamics Explorers) non decolleranno verso Marte il 13 ottobre. La data sarebbe stata anche quella del primo volo del vettore pesante incaricato del lancio, il lungamente atteso New Glenn costruito da Blue Origin, compagnia spaziale fondata dal magnate e imprenditore Jeff Bezos.

Nonostante le rassicurazioni di Blue Origin la NASA non è parsa totalmente fiduciosa che il razzo sarebbe stato pronto per la data stabilita e che l’ultimo flusso di verifiche, integrazioni e lo static fire (prova di accensione dei motori) sarebbero andati lisci.

La ragione per rinunciare al lancio a più di un mese dall’apertura della finestra del 13-21 ottobre verso Marte si spiega con la necessità per la NASA di avviare le procedure di preparazione al lancio tra le quali la più critica è il caricamento del propellente nei serbatoi dei due satelliti. I composti utilizzati sono idrazina e tetrossido di azoto, rispettivamente combustibile e ossidante, che vengono fatti venire in contatto per generare una violenta reazione senza l’uso di altri inneschi. È un tipo di miscela usata fin dagli anni ‘50 per la sua affidabilità ma è altamente tossica e richiede particolari cautele nella sua gestione.
Attraverso la dichiarazione diffusa nei suoi canali la NASA ha affermato che nel caso di annullamento del lancio l’operazione di svuotamento dei serbatoi delle sonde avrebbe rappresentato una complicazione tecnica e di programmazione delle attività, nonché una grossa spesa aggiuntiva. Un’eventualità troppo azzardata che ha fatto decidere per rimandare il lancio a non prima della primavera 2025. Questo significa che le sonde ESCAPADE perderanno la finestra per arrivare verso il Pianeta Rosso lungo la traiettoria più rapida, rischiando che il viaggio si allunghi di svariati mesi rispetto ai 6/7 che sono necessari in condizioni ideali.

Non sono stati rilasciati dettagli su traiettorie alternative in fase di studio ma c’è una possibilità non trascurabile che il lancio venga persino rimandato di due anni in attesa del prossimo avvicinamento tra la Terra e Marte.

Rappresentazione artistica dei satelliti ESCAPADE. James Rattray/Rocket Lab USA

La missione ESCAPADE utilizzerà due veicoli spaziali identici per studiare come il vento solare interagisce con l’ambiente magnetico di Marte provocando la fuga dell’atmosfera del pianeta.

“Questa missione può aiutarci a studiare l’atmosfera di Marte, un’informazione chiave mentre esploriamo sempre più lontano nel nostro sistema solare e abbiamo bisogno di proteggere astronauti e veicoli spaziali dal meteo spaziale,” ha dichiarato Nicky Fox, amministratrice associata per la scienza presso il quartier generale della NASA a Washington. “Siamo impegnati a portare ESCAPADE in sicurezza nello spazio, e non vedo l’ora di vederla partire per il suo viaggio verso Marte”. E noi con lei!

Anche per questo aggiornamento dal Pianeta Rosso è tutto, alla prossima!

Bentornati su Marte nella sezione News da Marte #31!

Bentornati su Marte! In questo nuovo appuntamento della rubrica ci sono aggiornamenti che interessano i due rover NASA Perseverance e Curiosity. Il primo sta esplorando delle aree a ovest del cratere Jezero e ha scoperto dei materiali di estremo interesse mentre il secondo, in modo decisamente fortuito, ha trovato dei materiali molto particolari all’interno di una roccia. Iniziamo le nostre cronache proprio con Curiosity, si parte!

Il primo zolfo puro rinvenuto su Marte

È stato con grande stupore che gli scienziati hanno rilevato una scoperta fatta dal veterano dei rover marziani (a proposito, il 5 agosto è ricorso il 12esimo anniversario dell’atterraggio di Curiosity sul Pianeta Rosso). Il 30 maggio il robot si stava spostando quando una delle sue ruote è passata sopra una roccia che si è frantumata mettendo in evidenza dei particolari cristalli gialli. La roccia è stata denominata “Convict Lake”, e le successive analisi sui cristalli eseguite con lo spettrometro APXS hanno rivelato qualcosa di mai osservato prima su Marte: zolfo puro.

 La roccia sbriciolata da Curiosity porta alla luce cristalli di zolfo puro. Foto del 7 giugno (Sol 4208). NASA/JPL-Caltech/MSSS
Questa roccia, battezzata “Snow Lake” e fotografata l’8 giugno, è molto simile a quella frantumata da Curiosity nove Sol prima. Un intero campo di rocce come questa circonda il rover e tutte presumibilmente inglobano zolfo. NASA/JPL-Caltech/MSSS

Da ottobre 2023, ovvero da quando ha iniziato la sua avanzata all’interno del canale chiamato Gediz Vallis, Curiosity ha incontrato spesso dei composti chiamati solfati. La regione abbonda di questi sali (costituiti da zolfo legato con altri elementi) i quali si sono formati quando l’acqua che li ospitava è evaporata. La formazione di cristalli di zolfo puro richiede invece condizioni differenti e molto particolari che gli scienziati non ritenevano potessero essersi verificate in questa regione. Sulla Terra sono per esempio coinvolti processi vulcanici e attività idrotermale.

Di zolfo sembra essercene davvero parecchio qui in quanto Curiosity ha documentato un intero campo di rocce brillanti analoghe a quella frantumata. “Scoprire cose strane e inaspettate è ciò che rende emozionante l’esplorazione planetaria” ha commentato Ashwin Vasavada, scienziata che lavora alla missione. “Un campo di pietre fatte di puro zolfo non dovrebbe trovarsi là, perciò ora dobbiamo trovare una spiegazione”.

Gediz Vallis è uno dei principali motivi per cui il team scientifico ha scelto di atterrare in questa zona di Marte. Si pensa che il canale sia stato scavato da flussi di acqua liquida e detriti che hanno lasciato creste di massi e sedimenti che si estendono per quasi tre km e mezzo lungo il versante della montagna al di sotto del canale. L’obiettivo attuale è comprendere meglio come questo paesaggio sia cambiato miliardi di anni fa e, sebbene le recenti scoperte abbiano aiutato, c’è ancora molto da svelare. Le ultime osservazioni di Curiosity sembrano indicare che due fenomeni abbiano alternativamente plasmato la regione. Da una parte violenti flussi alluvionali, testimoniati da rocce smussate e arrotondate portate dall’acqua, dall’altra frane avvenute in un ambiente asciutto le cui prove sono rocce dai bordi netti e angolati. Le reazioni chimiche avvenute in ambiente umido hanno modificato la chimica delle rocce e infine l’azione di vento e sabbia ha continuato a sagomare il paesaggio.

 

Mappa con la posizione di Curiosity aggiornata al 18 agosto. In evidenza il canale denominato Gediz Vallis e al centro sulla sinistra, per confronto, Piazza San Pietro nella Città del Vaticano: la porzione qui sovraimposta è lunga 565 metri. NASA/JPL-Caltech/Piras

Un prelievo di roccia, il 41esimo per Curiosity, è stato eseguito il 18 giugno sulla roccia “Mammoth Lakes”. Le rocce di zolfo sono estremamente fragili per lo strumento di campionamento del rover, perciò l’operazione ha richiesto qualche attenzione extra sia nella ricerca di una roccia con caratteristiche adatte che nell’operazione di “parcheggio” di Curiosity in modo che esso risultasse stabile e non a rischio di scivolare. I materiali sono stati poi depositati negli strumenti del rover per analisi dettagliate e i risultati aiuteranno gli scienziati a decifrare la storia geologica di questa regione.

Da giugno il rover si è ormai allontanato dall’area del prelievo su “Mammoth Lakes” e si è spostato verso sud percorrendo poco più di 100 metri. Tante nuove foto e anche un ulteriore campionamento di roccia stanno tenendo impegnato Curiosity mentre procede nell’ascesa verso Aeolis Mons, il rilievo di 5500 metri che svetta all’interno del Cratere Gale, con ogni strato della montagna che rappresenta un diverso periodo nella storia di Marte.

Foto della roccia “Mammoth Lakes” scattata nel Sol 4234. In basso è inquadrato il foro del trapano mentre in alto si nota l’abrasione superficiale eseguita tramite lo spazzolino metallico con il quale Curiosity pulisce le rocce da analizzare. NASA/JPL-Caltech/MSSS

 

Macchie di leopardo per Perseverance

A circa 3700 km di distanza dal Cratere Gale continuano le investigazioni dell’altro rover messo in campo dalla NASA e che sta esplorando il bordo ovest del Cratere Jezero. Nel numero 269 di Coelum Astronomia avevamo lasciato Perseverance poco dopo il suo arrivo a “Bright Angel”, la località caratterizzata da rocce chiare situata a nord di Neretva Vallis. Quest’ultimo è il canale sabbioso largo 400 metri dove un tempo scorreva un impetuoso fiume che alimentava il lago all’interno di Jezero.

L’abrasione del Sol 1179 (13 giugno), come ipotizzato, ha preceduto un prelievo vero e proprio che è stato eseguito a metà luglio nel punto più a nord raggiunto dal rover, dove l’argine del canale si eleva diventando quasi invalicabile. È qui che, nelle settimane antecedenti il momento del prelievo, una serie di osservazioni ha prodotto uno dei più importanti risultati della missione fino a questo momento. Facciamo un passo indietro e vediamo con ordine le scoperte fatte dal rover a “Bright Angel”.

Il 23 giugno, durante un breve spostamento all’interno dell’area, Perseverance incontra una formazione molto interessante sopra una roccia con dimensioni 100×60 cm che viene battezzata Cheyava Falls.

 

Dettaglio di Cheyava Fall con delle annotazioni che indicano i dettagli di interesse del masso: le “macchie di leopardo” e un grosso cristallo di olivina. NASA/JPL-Caltech/MSSS

La roccia è percorsa da vene bianche parallele tra loro composte da solfato di calcio con inglobati qua e là cristalli di olivina, un minerale dalle tonalità verdi che si forma nelle rocce magmatiche. In mezzo alle vene bianche viene individuato del materiale rossastro che indica la presenza di ematite, uno dei composti che conferiscono alla superficie a Marte il suo caratteristico colore. La porzione di ematite è costellata di piccoli puntini con dimensioni nell’ordine di pochi millimetri, con contorni scuri e irregolari che racchiudono zone di colore chiaro. Questa conformazione e colorazione è ciò che ha ispirato gli scienziati che li hanno denominati “macchie di leopardo”.

Una serie di scansioni con lo strumento SHERLOC (ebbene sì, ha ripreso a funzionare ma lo vediamo dopo) ha dimostrato in modo molto convincente che le rocce di Cheyava Falls contengono composti organici. Questa rilevazione si aggiunge a due dati importanti: il primo è il fatto, praticamente assodato vista la quantità di indicazioni in questo senso, che qui anticamente scorreva abbondante acqua. Il secondo dato è fornito dalle “macchie di leopardo”.

Dettaglio delle particolari formazioni rinvenute su Cheyava Falls, macro della camera WATSON del 23 giugno (Sol 1188). NASA/JPL-Caltech

Si ritiene che siano state delle reazioni chimiche a trasformare l’ematite da rossa a bianca con il rilascio di ferro e fosfati che sono andati a formare l’alone scuro documentato nelle immagini della camera WATSON. Tali reazioni chimiche sono ben note sulla Terra, ed è appurato che possono essere usate come fonte di energia da forme di vita batterica fornendo una correlazione molto forte tra la presenza di microbi e questo tipo di formazioni nelle rocce sedimentarie. In un colpo solo quindi Cheyava Falls si è rivelata essere la scoperta più importante eseguita fino a questo momento da Perseverance.

Inizia la scienza di contatto

Le investigazioni proseguono con un’abrasione che viene eseguita nel Sol 1191 (26 giugno). Il masso investigato non è però quello interessato dalle precedenti analisi ma uno collocato a fianco a Cheyava Falls, poco più in alto rispetto alla prospettiva del rover, che viene denominato Steamboat Mountain.

La zona brillante al centro della foto è il punto dell’abrasione eseguita il 26 giugno. La grande roccia sedimentaria in basso è Cheyava Falls. NASA/JPL-Caltech/Piras

Una documentazione fotografica di grande dettaglio viene acquisita dalla camera WATSON sia di giorno che di notte. Questo strumento fotografico è infatti dotato di sei illuminatori a LED che producono luce bianca e negli ultravioletti. Lunghezze d’onda ad alta energia quali gli UV sono usate per rilevare i fenomeni di fluorescenza propri di alcuni minerali.

 

Parte frontale della camera WATSON fotografata l’8 marzo 2021 (Sol 17). Il coperchio frontale della camera è chiuso ma quattro aperture mostrano i LED bianchi (sopra e sotto) e quelli UV (a sinistra). NASA/JPL-Caltech/MSSS

 

 

Osservazione notturna dell’abrasione larga 5 cm acquisita da WATSON. La scena è illuminata dai LED della camera. Sol 1191. NASA/JPL-Caltech

Dopo una breve deviazione alcuni metri verso est che lo impegna per non più di cinque giorni, il rover torna sui suoi passi il 17 luglio (Sol 1211) ed è pronto per proseguire le indagini sul masso Cheyava Falls. Si inizia con una fresatura della roccia che espone il materiale interno e in corrispondenza della porzione abrasa permette agli scienziati di continuare a comprendere le caratteristiche eccezionali illustrate nel paragrafo precedente. Gli strumenti impiegati sono le MastCam-Z, SuperCam, WATSON, SHERLOC e PIXL. Ciascuno di essi indaga un diverso aspetto del materiale per fornire una visione d’insieme ma, inevitabilmente, limitata. Tale limite è dettato dalla dimensione e dal peso degli strumenti che il rover ha potuto portare con sé sul Pianeta Rosso. Per andare oltre servirebbe portare queste rocce in laboratori specializzati, ma per fortuna Perseverance è attrezzato per questo obiettivo.

Il trapano di cui è dotato, in combinazione con un set di particolari punte che ormai conosciamo bene, permette al rover di estrarre piccoli carotaggi di roccia. Dopo l’interesse suscitato da questo masso era inevitabile che gli scienziati intendessero prelevarne un campione, e il rover è stato messo in azione il 21 luglio (Sol 1215). Il campione viene sigillato nella sua fiala lo stesso giorno del prelievo, misura 62 mm e viene denominato “Sapphire Canyon”. Si tratta del 22esimo campione di roccia raccolto sinora dal rover e quello appena chiuso è il 25esimo contenitore impiegato. Infatti, oltre a quelli rocciosi, Perseverance ha raccolto due campioni di sabbia a dicembre 2022 e un campione di aria ad agosto 2021.

 

Mosaico di foto della Left MastCam-Z che mostra il foro e l’abrasione su Cheyava Falls, la roccia a sinistra dell’immagine. Sol 1217 (23 luglio), NASA/JPL-Caltech/MSSS/Piras

 

Cambia la prospettiva ma le due rocce sono ben riconoscibili: Cheyava Falls sulla sinistra, con in mostra la fresatura appena eseguita, e Steamboat Mountain a destra con l’abrasione di qualche Sol più vecchia. Left NavCam, Sol 1211. NASA/JPL-Caltech/Piras

 

 

Lo stato di Mars Sample Return e la scala CoLD

Come ben sanno i lettori di questa rubrica, il prelievo di campioni per il loro invio verso la Terra è una delle parti più importanti della missione Mars 2020 e costituisce il primo passaggio nell’ambito del progetto ampio (e molto più complesso) chiamato ‘Mars Sample Return’. I campioni di sabbia e roccia che Perseverance sta raccogliendo durante la sua esplorazione del Cratere Jezero vengono sigillati all’interno di piccole fiale di titanio. Questi contenitori saranno poi affidati nell’ordine: a un lander per raccolta e manipolazione; a un piccolo razzo che li porterà in orbita marziana; infine a un orbiter che da Marte tornerà verso la Terra con il contenitore dei campioni, affidando agli scienziati attuali e alle future generazioni il compito di svelare i segreti del Pianeta Rosso. Data prevista di fine missione circa entro metà del prossimo decennio, a patto che la NASA riesca nell’obiettivo di revisione della missione per ridurre i costi e velocizzare il termine delle operazioni (questa fase è descritta in maggior dettaglio in ‘Bentornati su Marte’ del numero 268 di Coelum Astronomia). L’agenzia statunitense ha terminato da alcuni mesi la fase in cui attendeva input da privati e centri NASA per modificare gli aspetti più critici della Mars Sample Return, e un resoconto è atteso per l’inizio dell’autunno. In quel momento comprenderemo meglio il futuro della missione e capiremo se davvero, come auspichiamo da anni con fiducia, i ricercatori potranno mettere le mani sui campioni per svelare eventuali tracce di passata vita batterica su Marte.

Del resto Cheyava Falls, il masso oggetto della cronaca che state leggendo, si è rivelato sinora il più promettente e tantissimi scienziati sono elettrizzati dai risultati preliminari delle sue analisi. Ma, al momento, quanto è probabile la rilevazione di possibile vita microbica extraterrestre sulla base delle informazioni disponibili?

Gli astrobiologi hanno sviluppato la scala CoLD (Confidence of Life Detection) per indicare con quanta probabilità un determinato campione possa essere associato a forme di vita, passata o presente. La scala si compone di sette gradini che vanno dalla ‘rilevazione del possibile segnale’ allo step finale che è la ‘conferma indipendente’. Ci sono passaggi intermedi come per esempio ‘esclusione di contaminazioni’, ‘esclusione di processi non biologici’ o ‘segnali aggiuntivi indipendenti’, tutti pensati in accordo con il metodo scientifico con lo scopo di non dare nulla per scontato. Data l’eco che la loro scoperta ha generato, potremmo essere portati a pensare che le rilevazioni su Cheyava Falls si collochino su una posizione di rilevo della scala CoLD, ma sono stati gli stessi scienziati che lavorano con Perseverance a stemperare gli entusiasmi. Siamo infatti ancora sul primo gradino, vale a dire il semplice rilevamento di un elemento d’interesse. Esistono alcuni processi non biologici che potrebbero aver generato queste ‘macchie di leopardo’ osservate sull’ematite tra i quali l’esposizione a temperature elevatissime, incompatibili con la vita, e che fornirebbero una spiegazione alla presenza dell’olivina la quale ha appunto origine magmatica.

Perseverance si scatta un nuovo selfie

Forse grazie all’agenda di attività un po’ più libera del solito o forse per celebrare la scoperta di questo masso così interessante e il successo del campionamento, il 24 luglio Perseverance si scatta un selfie. Per la maggior parte di noi umani si tratta ormai di un’operazione quasi banale ma su Marte, a centinaia di milioni di km di distanza e con un robot di una complessità spaventosa, non esistono operazioni semplici.

Perseverance impiega 46 minuti per scattare 62 immagini con la camera WATSON installata sul braccio robotico. Seguendo una sequenza di dettagliate istruzioni stilate dai tecnici del Jet Propulsion Laboratory, il rover muove il suo arto come in una precisissima coreografia nel corso della quale orienta lo stretto campo visivo della camera in tutte le direzioni attorno a sé. La finezza migliore è riservata per i momenti in cui il braccio rischierebbe di finire all’interno dell’inquadratura: con ulteriori acrobazie permesse dai cinque snodi di cui esso è dotato, Perseverance riesce a portare a termine una panoramica di 180° nella quale sembra che la foto sia stata fatta da qualcuno là su Marte a fianco al rover. Con una piccola variazione di appena tre foto è stata elaborata una versione alternativa dell’immagine riportata su queste pagine, dove sembra che il rover, invece di guardare in camera, stia ammirando con compiacimento il lavoro che ha eseguito sulla roccia al suolo.

Il più recente autoscatto di Perseverance. Sol 1218. NASA/JPL-Caltech/MSSS
Uno degli scatti alternativi nei quali la “Mast” del rover guarda verso il basso. NASA/JPL-Caltech/Piras

Combinando i singoli scatti nel modo opportuno, e soprattutto posizionandoli nel punto corretto del mosaico finale, possiamo anche renderci conto dell’ordine nel quale il rover abbia “scansionato” il paesaggio attorno a sé. Ve lo mostro in questo video che ho realizzato. La proiezione è diversa da quella usata dalla NASA perché le opzioni sono numerose quando si desidera di passare da una ripresa panoramica a una rappresentazione su un piano, ciascuna con i suoi pro e contro.

Dopo il prelievo e questo simpatico selfie sembra che per Perseverance non ci sia altro da studiare in questa regione, Bright Angel, che ha rispettato appieno le attese degli scienziati. Il rover può così tornare indietro verso il centro di Neretva Vallis e riprendere la sua strada verso sud-ovest dove inizierà la prossima parte della sua missione.

Sol 1224 (30 luglio), Perseverance si lascia alle spalle Bright Angel. NASA/JPL-Caltech
Posizione di Perseverance aggiornata al 20 agosto. La larga striscia chiara in alto è la regione Bright Angel con il marker relativo al prelievo lì eseguito. NASA/JPL-Caltech.

 

Un nuovo capitolo di esplorazione a Jezero

Quattro campagne scientifiche completate, tre anni e mezzo di esplorazione del fondo di Jezero e del delta del fiume, quasi 28 km percorsi e 22 campioni di roccia raccolti. Con questi numeri e i suoi strumenti scientifici in eccellenti condizioni operative Perseverance ha iniziato a fine agosto il quinto capitolo di esplorazione, la Crater Rim Campaign, che lo vedrà raggiungere il bordo occidentale del cratere. Lo attendono probabilmente i terreni più ripidi affrontati finora, con pendenze che arriveranno a 23° di inclinazione richiedendo la massima attenzione da parte dei piloti e ottime prestazioni dell’autonavigatore. Le regioni di maggiore interesse che il team scientifico intende esplorare sono state individuate in “Pico Turquino” e “Witch Hazel Hill”.

Mappa con il percorso elaborato dai piloti di Perseverance attraverso il bordo ovest del cratere Jezero. NASA/JPL-Caltech/University of Arizona

 

Il percorso verso la prima di queste regioni dista 1.8 km da “Serpentine Rapids”, l’area dove Perseverance si trovava a metà agosto, e richiederà al rover di risalire un primo dislivello di 300 metri. Nelle immagini satellitari “Pico Turquino” mostra fratture che potrebbe essere state causate da un’antica attività idrotermale. Le osservazioni orbitali di “Witch Hazel Hill” documentano invece possibili stratificazioni di materiali risalenti a un’epoca molto antica, quando il clima marziano era profondamente diverso rispetto a quello attuale. Questa zona, situata circa 1700 metri a ovest di “Pico Turquino” e ulteriori 250 metri più in alto, presenta un substrato roccioso chiaro simile a quello incontrato a “Bright Angel”, il che fa ipotizzare che anche qui potrebbero venir rilevate strutture e biosignature chimiche analoghe, generate forse miliardi di anni fa da batteri in presenza di acqua corrente.

 

Mosaico di 59 scatti che mostra la visuale verso sud delle zone che Perseverance si accinge a raggiungere. La prima di esse, “Dox Castle”, si trova poco a sinistra del rilievo di destra a 750 metri dalla posizione dell’immagine. Foto del 4 agosto (Sol 1229), NASA/JPL-Caltech/ASU/MSSS

I campioni finora raccolti da Perseverance hanno già offerto informazioni scientifiche di grande valore, ma la missione intravede altre scoperte all’orizzonte. “I campioni attuali rappresentano una raccolta di enorme interesse scientifico, ma esplorare il bordo del cratere ci offrirà l’opportunità di ottenere ulteriori campioni che potrebbero rivelarsi cruciali per comprendere la storia geologica di Marte,” ha dichiarato la scienziata Eleni Ravanis, membro del team Mastcam-Z di Perseverance e uno dei leader scientifici della Crater Rim Campaign. “In particolare ci aspettiamo di analizzare rocce provenienti dalla crosta marziana più antica. Queste rocce si sono formate attraverso una moltitudine di processi geologici, e alcune potrebbero rappresentare ambienti antichi, potenzialmente abitabili, che non sono mai stati esaminati da vicino prima d’ora.”

Ma raggiungere la cima del cratere non sarà un’impresa semplice. Perseverance dovrà seguire un percorso studiato dai tecnici per ridurre al minimo i rischi, pur offrendo al team scientifico delle opportunità di ricerca. Durante la prima parte dell’ascesa il rover guadagnerà circa 300 metri di altitudine raggiungendo la sommità in un’area che il team scientifico ha battezzato “Aurora Park”.

Da lì, a centinaia di metri sopra un vasto cratere di 45 chilometri di diametro, Perseverance sarà pronto per iniziare il prossimo capitolo della sua esplorazione.

Un oceano di acqua sotterranea all’interno di Marte?

Impiegando i dati acquisiti dal lander InSight della NASA, nel corso dei quali ha rilevato e misurato migliaia di piccoli sismi, un gruppo di ricercatori delle Università di San Diego e Berkley sono giunti alla conclusione che l’interno della crosta marziana potrebbe ospitare quantità enormi di acqua a profondità comprese tra 11.5 e 20 km. Fratture e porosità delle rocce ignee all’interno del pianeta, saturate di acqua, fornirebbero la migliore giustificazione ai dati rilevati dalla sonda. La quantità d’acqua che permea le rocce sarebbe tale da poter ricoprire l’intero pianeta con un immenso oceano profondo circa 1.5 km. Questa scoperta non solo arricchisce la nostra comprensione del ciclo dell’acqua marziano, ma offre anche nuove prospettive su come il clima di Marte sia cambiato drasticamente. La possibilità che parte dell’acqua marziana sia rimasta intrappolata nella crosta, piuttosto che evaporare completamente nello spazio, potrebbe aiutare a risolvere il mistero di come il pianeta abbia perso la sua atmosfera e si sia trasformato da un mondo potenzialmente abitabile a un deserto gelido. Sebbene l’accesso a queste riserve d’acqua sia attualmente fuori dalla nostra portata, lo studio apre la possibilità che tali ambienti profondi possano ospitare forme di vita microbica, analogamente a quanto osservato nelle miniere e negli oceani profondi sulla Terra. I risultati della ricerca potrebbero influenzare la pianificazione delle future missioni su Marte, indirizzando l’attenzione verso l’esplorazione del sottosuolo. La possibilità di trovare acqua liquida a grandi profondità potrebbe portare a missioni mirate a sondare queste zone e, in futuro, a sviluppare tecnologie in grado di sfruttare queste risorse che potrebbero rivelarsi cruciali per la colonizzazione del pianeta.

Rappresentazione artistica dell’interno di Marte in base allo studio in oggetto. James Tuttle Keane e Aaron Rodriquez, Scripps Institute of Oceanography

 

 

Bentornati su Marte nella sezione News da Marte #30!

Riprendiamo l’esplorazione del Pianeta Rosso con Perseverance che si trovava a un passo da Neretva Vallis, il greto sabbioso dell’antico fiume che miliardi di anni fa scorreva verso est confluendo nel Cratere Jezero. C’è anche qualche interessante integrazione riguardante le aurore marziane catturate direttamente dalla superficie e per finire eccellenti conferme sullo stato della camera SHERLOC. Si parte!

Dove eravamo

Nel precedente appuntamento della rubrica abbiamo lasciato il rover Perseverance impegnato nell’analisi di un’abrasione eseguita su una roccia depositata al suolo. Grazie agli aggiornamenti NASA abbiamo nel frattempo scoperto che la roccia viene battezzata Old Faithful Geyser, ma ci sono dettagli geologici molto più interessanti del suo nome.

Avvio dell’operazione di fresatura catturato dalla Front Left HazCam, Sol 1051. NASA/JPL-Caltech/Piras
Una delle fotografie diurne eseguite dalla camera WATSON successivamente alla fresatura, Sol 1051. NASA/JPL-Caltech

La roccia Old Faithful Geyser, così come i tre prelievi che l’hanno preceduta eseguiti lungo la Marginal Unit (Pelican Point, Lefroy Bay e il più recente Comer Geyser), si conferma ricca di carbonati. Ma ci sono alcune differenze nel modo in cui i grani sono cementati all’interno che rendono ciascuna roccia, in un certo senso, unica. La spiegazione potrebbe risiedere nei meccanismi di formazione o in differenti processi di alterazione. Lo studio di questa nuova roccia è stato pensato per integrare le analisi sinora a disposizione degli scienziati in modo da espandere i campionamenti man mano che Perseverance si muove verso ovest e servirà a comprendere se le rocce carbonatiche lungo il percorso siano formate tramite processi sedimentari, vulcanoclastici o ignei.

L’osservazione di Old Faithful Geyser non si è fermata all’imaging esterno ma ha impiegato anche lo strumento PIXL, lo spettrometro a raggi X installato sul braccio robotico, che ha analizzato l’interno della roccia per mappare la dimensione e distribuzione dei grani della roccia. Anche questo rilievo sarà confrontato con quelli analoghi eseguiti nelle settimane passate.

Confronto fra le tre rocce da cui Perseverance ha estratto gli ultimi tre campioni. NASA/JPL-Caltech/Piras

Perseverance mette il turbo

Dopo aver completato il percorso a ostacoli schivando massi e sabbia lungo l’Unità Marginale e procedendo per questa ragione a rilento, i piloti della NASA vedono finalmente tra le dune uno spiraglio verso nord che permetta al rover di accedere all’interno di Neretva Vallis senza pericoli. Il rischio di insabbiarsi era prima d’ora talmente concreto che è stato accettato di perdere tempo con la lenta traversata sulle rocce della West Marginal Unit.

Visuale verso nord nel Sol 1158 (23 maggio). NASA/JPL-Caltech/Piras
Spostamenti di Perseverance dal Sol 1159 al 1176

Il Sol 1162 (27 maggio) Perseverance si è così potuto insinuare verso nord attraverso Dunraven Pass, muovendosi per la notevole distanza di 200 metri e ricordandoci delle sue vere potenzialità messe in ombra nelle precedenti settimane: la tratta unica più lunga era stata di 90 metri, ma mediamente ogni spostamento (o drive, come li chiamano i tecnici) non ha superato i 30.

Il rover giunge al centro dalla valle sabbiosa un tempo costituente il letto del fiume che fluiva verso est in direzione del cratere Jezero. Dalla posizione indicata con il marker rosso a destra nella mappa numero 2 Perseverance esegue una serie di scatti con le MastCam-Z per comporre un mosaico di Mount Washburn, il rilievo che si erge all’interno di Neretva Vallis ben visibile nelle immagini satellitari e che il rover inquadra guardando verso est. Gli scienziati avevano già osservato la regione da lontano cogliendo alcune peculiarità nella composizione e trama delle rocce e appena l’occasione si presenta decidono di indagare ulteriormente.

Il risultato è indubbiamente un bel panorama ma c’è qualcosa di più che salta all’occhio anche ai meno esperti: al centro dell’immagine si staglia un masso alto circa 40 cm eccezionalmente brillante con delle macchie scure. Viene battezzato “Atoko Point” dal nome di un rilievo a est del Grand Canyon in Arizona.

Panorama del Sol 1162. NASA/JPL-Caltech

È noto che impetuosi fiumi, su Marte come sulla Terra, siano stati in grado di trasportare materiale verso valle anche per lunghe distanze, e il masso qui inquadrato sembra provenire davvero da molto lontano. Peraltro non è l’unico con una superficie così chiara in quanto ingrandendo l’immagine se ne scorgono anche altri. Potrebbe essere una piccola anteprima di ciò che attende il rover nei prossimi mesi e anni di missione, o addirittura provenire da regioni che Perseverance non raggiungerà mai. I tecnici non si fanno sfuggire l’occasione di investigare più nel dettaglio “Atoka Point” e lo fanno con ulteriori zoom della MastCam-Z e con la SuperCam, quest’ultima impiegata anche con il suo laser vaporizzatore per indagare la chimica del masso.

Atoko Point nel dettaglio catturato dalla Left MastCam-Z, Sol 1162. NASA/JPL-Caltech/ASU/Piras
Unione di tre immagini di SuperCam RMI, Sol 1162. NASA/JPL-Caltech/LANL/CNES/IRAP/Piras

Finalmente Bright Angel!

Dopo l’osservazione di Mount Washburn Perseverance non ha fatto altre tappe e ha proceduto spedito prima leggermente verso nord a toccare “Tuff Cliff” e poi verso ovest attraversando “Cedar Ridge” fino all’arrivo alla destinazione finale: Bright Angel.

Immagine NavCam del Sol 1172. Ci troviamo all’interno di Neretva Vallis e guardiamo verso ovest. A destra si intuisce Bright Angel appena alle pendici del rilievo. NASA/JPL-Caltech

È questo il nome che gli scienziati hanno dato all’area al confine ovest dell’Unità Marginale e parzialmente inglobata in Neretva Vallis. Ben visibile anche dalle immagini satellitari grazie al suo colore chiaro che spicca rispetto alle zone circostanti, era nel mirino dei ricercatori ancora prima che la missione del rover iniziasse nel 2021. Le rocce chiare che costituiscono Bright Angel potrebbero essere sedimenti che nel tempo si sono accumulato e hanno formato il canale o materiale ancora più antico, esposto dall’azione erosiva dell’acqua.

Perseverance arriva alla base dell’affioramento intorno al 10 giugno. Le prime immagini stupiscono i geologi e l’intero team scientifico: le rocce presentano strutture stratificate con bordi taglienti che richiamano alla mente vene minerali, simili a quelle osservate mesi fa alla base del cono alluvionale con la differenza che qui sono molto più abbondanti. Ci sono anche alcuni piccoli sassi raggruppati tra loro che presentano delle piccole sfere in superficie. Il team ci mette poco a inventare un’analogia per queste strutture che vengono scherzosamente definite “simili a popcorn”. La visione d’insieme suggerisce che in questa regione scorresse acqua di falda.

Le strutture a “popcorn” di Bright Angel osservate da Perseverance nel Sol 1175, Left MastCam-Z. NASA/JPL-Caltech/ASU/Piras
Sottilissimi scaglie di roccia emergono dalla sabbia e proiettano al suolo le proprie ombre frastagliate. Right MastCam-Z nel Sol 1182. NASA/JPL-Caltech/ASU/Piras

Nei Sol successivi Perseverance è risalito verso nord di qualche decina di metri documentando il paesaggio circostante e la chimica delle rocce con analisi spettrali. Nei Sol 1179 e 1191 (13 e 26 giugno) si è poi proceduto a due distinte fresature di basamenti al suolo, a non troppa distanza l’uno dall’altro.

Fresatura eseguita da Perseverance nel Sol 1191. NASA/JPL-Caltech/Piras
Osservazione dell’abrasione con la camera WATSON, Sol 1191. NASA/JPL-Caltech/Piras

Vedremo se prima di proseguire le esplorazioni il rover, che nel frattempo è praticamente stazionario da alcune settimane, verrà programmato anche per un nuovo prelievo. La regione attualmente in esplorazione è un tesoro per i geologi tra lastre erose dall’acqua, concrezioni di olivina e vene minerali che tagliano in due i massi al suolo.

Credo che siamo in tanti a non vedere l’ora di leggere le analisi degli scienziati al lavoro nella missione del rover non appena saranno disponibil! E come sempre troverete sulle pagine di Coelum Astronomia una completa e rigorosa sintesi delle evidenze risultanti, perciò continuate a seguire questa rubrica web e la sua gemella sulla rivista cartacea.

Riguardo a Perseverance, una volta terminati i lavori in quest’area tornerà sul versante sud del canale in direzione di “Serpentine Rapids” per poi continuare a percorrere Neretva Vallis verso ovest.

Breve avanzamento di Perseverance all’interno di Bright Angel e posizione aggiornata al Sol 2104 (9 luglio)

La CME di maggio: i risultati scientifici

Nel precedente appuntamento della rubrica avevamo visto che l’orbiter MAVEN e il rover Curiosity si stessero preparando all’analisi delle espulsioni di massa coronale originate dalla macchia solare AR3664.

Le rilevazioni più importanti dei due apparati statunitensi non hanno però riguardato le CME legate al brillamento di classe X3.8 dell’11 maggio (quello direttamente responsabile delle aurore documentate sulla Terra sino a latitudini tropicali) e neppure il brillamento X8.79 del 14 maggio.

Un terzo brillamento di intensità ancora maggiore è avvenuto il 20 maggio quando la macchia AR3664 era ormai sparita dal disco solare visibile dalla Terra ma è stata rilevata e misurata nella sua intensità dal satellite NASA-ESA Solar Orbiter. La potenza stimata è stata X12, rendendo questo l’evento più energetico misurato dal novembre 2003.

Sulla superficie di Marte i tecnici di Curiosity si sono fatti trovare pronti con lo strumento Radiation Assessment Detector (RAD), ma non solo. Il rilevatore di particelle del rover ha misurato una quantità di radiazioni al suolo pari a 8.1 millisievert, equivalenti all’incirca a 30 radiografie al torace. Pur non rappresentando una dose letale per un astronauta che si fosse trovato senza adeguate schermature su Marte, è tuttavia la massima rilevazione mai misurata da Curiosity nei suoi 12 anni di operazioni.

Altre analisi di Curiosity hanno impiegato degli strumenti ottici, ovvero MastCam e NavCam. Queste ultime hanno monitorato il paesaggio marziano e documentano l’interazione delle particelle cariche con i fotorilevatori del sensore CCD. Il risultato è rumore digitale che dà luogo a una specie di “neve”. Nelle immagini acquisite si notano persino intere strisciate, generate da singole particelle che hanno percorso il piano del sensore eccitando molteplici pixel.

Immagine NavCam del 20 maggio, Sol 4190. NASA/JPL-Caltech

Le osservazioni con le MastCam sono state invece un po’ diverse a partire dal fatto che si sono svolte durante la notte e hanno cercato di rilevare l’emissione ottica del vento solare, ovvero l’aurora. La ricerca di questa debolissima traccia giustifica le acquisizioni descritte in News da Marte #29 che, a una prima occhiata, poteva sembrare avessero poco senso. Ma abbiamo fatto bene a non giungere a conclusioni affrettate e riservarci di tornare in seguito sulla loro analisi.

Le aurore su Marte

Sul Pianeta Rosso, a causa dell’assenza di un campo magnetico globale, l’interazione tra le particelle cariche e l’atmosfera non è concentrata sui poli come sulla Terra ma genera fenomeni differenti. Uno tra questi è noto con il nome di aurora diffusa e si manifesta a livello planetario come un bagliore nell’emisfero al buio in specifiche linee di emissione nell’ultravioletto a cavallo tra 130.4 e 297.2 nanometri dovute ad anidride carbonica, monossido di carbonio e ossigeno atomico. Le lunghezze d’onda interessate sarebbero perciò esterne alle bande passanti dei filtri di Curiosity che arrivano al massimo a circa 420 nm, corrispondenti al limite inferiore della banda del colore blu. Recentissimi studi hanno però confermato l’esistenza finora solo teorizzata di un’emissione aggiuntiva legata all’ossigeno localizzata a 557.7 nm, nella lunghezza d’onda del colore verde e perciò in piena banda visibile. È un risultato attualmente ancora in fase di pre-print e che dovrebbe venir presentato tra un paio di settimane alla decima International Conference on Mars a Pasadena, California, e che sfrutta le rilevazioni eseguite con le camere di Perseverance. Le tecniche di analisi sono estremamente interessanti e meritano una descrizione nel paragrafo finale di questo articolo.

In orbita marziana era contemporaneamente al lavoro MAVEN che ha rilevato il fenomeno già menzionato delle aurore diffuse nell’intero emisfero in ombra mentre il pianeta veniva investito dalle particelle solari. Durante le osservazioni, eseguite dal 14 al 20 maggio, la sonda parrebbe aver rilevato anche un’altra tipologia di fenomeno chiamato aurora discreta. Queste ultime sono generate dall’interazione del vento solare con le aree, piccole e sparpagliate soprattutto nell’emisfero sud di Marte, in cui si conserva un intenso magnetismo crostale. Si tratta di regioni di crosta raffreddatesi quando ancora il pianeta aveva un magnetismo globale che si è così conservato nelle rocce. Queste regioni non sono state in seguito bersagliate da grandi impatti meteorici che, alzando la temperatura oltre la soglia per cui la roccia perde le proprietà magnetiche (temperatura di Curie), hanno fatto sì che gran parte della superficie di Marte perdesse anche questo magnetismo residuo. Ma nelle aree dove ancora si conserva è talmente intenso da guidare la formazione di aurore estremamente localizzate.

Rilevazione del 20 maggio di MAVEN nell’emisfero notturno di Marte con lo strumento sensibile all’ultravioletto. NASA/University of Colorado/LASP

Per completare la trattazione vale la pena menzionare un ulteriore tipo di aurora marziana: a quelle diffuse e quelle discrete si aggiungono le aurore protoniche (scoperte da MAVEN nel 2018) che riguardano l’emisfero illuminato.

Nel 2022 la sonda emiratina Hope ha invece rilevato per la prima volta un potenziale quarto tipo di aurora (definito come sinuosa discreta) la cui emissione osservata nell’ultravioletto si distendeva per una grande porzione dell’emisfero marziano in ombra. La spiegazione per questo nuovo fenomeno non è al momento chiara perché mostra caratteristiche simili a quelle delle aurore discrete, ovvero una precisa localizzazione, sebbene sia apparentemente generata dagli stessi meccanismi delle aurore globali. I prossimi mesi di attività solare e le osservazioni che seguiranno aiuteranno a far chiarezza.

Emirates Mars Mission

L’aurora nel visibile di Perseverance

Il 15 marzo un flare di intensità C4.9 (quindi circa 90 volte inferiore rispetto al fenomeno X3.8 legato alle aurore terrestri di maggio) originato dalla macchia solare AR3599 ha generato un’espulsione di massa coronale interplanetaria che ha viaggiato sino a Marte. Nel paper intitolato First Detection Of Visible-Wavelength Aurora On Mars (Knutsen, McConnochie, Lemmon et al., 2024) vengono riportati i risultati del quarto tentativo, stavolta riuscito, di rilevare un’aurora diffusa direttamente dalla superficie di Marte e, per la prima volta in assoluto, dell’emissione a 557.7 nm dell’ossigeno atomico responsabile della tinta verde comune anche alle aurore terrestri. Per farlo gli scienziati sono ricorsi a Perseverance e allo spettrometro della SuperCam, dotato tra le altre cose di un amplificatore ottico nell’intervallo 535-853 nm utile per aumentare l’intensità della debole emissione d’interesse. 

L’ora di arrivo della tempesta solare ha rispettato le previsioni e l’impatto con Marte è stato confermato anche da un incremento di errori nella memoria della sonda Mars Express di un fattore 4. Le osservazioni spettrali di Perseverance sono partite alle 00:34 del Sol 1094 e, dopo aver compensato il rumore di fondo e applicato gli opportuni filtraggi, mostra in modo eloquente il picco di luce alla lunghezza d’onda attesa.

In nero la media delle acquisizioni spettrali della SuperCam e in verde la curva di miglior adattamento. In basso in rosso il rumore residuo. Knutsen, McConnochie, Lemmon et al.

Al termine delle rilevazioni con la SuperCam, Perseverance ha eseguito acquisizioni anche con le MastCam-Z utilizzando i filtri RBG con cui produce le immagini nello spettro visibile. Nonostante la presenza in cielo del luminoso Fobos che ha aggiunto una tinta giallo-arancio alle immagini, al termine delle compensazioni anche le immagini della MastCam-Z hanno mostrato un eccesso di radiazione nel canale verde. 

I ricercatori hanno concluso che l’evento CME studiato ha prodotto un’emissione con intensità stimata di 93 Rayleigh (unità di misura per il flusso luminoso). Le rilevazioni oggetto di studio sono state parzialmente degradate dalla presenza di polveri in sospensione nell’atmosfera che hanno ridotto la luminosità dell’evento, ma si ritiene che in condizioni atmosferiche migliori o nel caso di CME di poco più potenti si potrebbe raggiungere la soglia di visibilità umana. Quindi, un giorno, astronauti e astronaute potrebbero vedere con i loro occhi aurore su Marte.

SHERLOC è di nuovo operativa

La comunicazione ufficiale è arrivata il 17 giugno attraverso gli aggiornamenti resi disponibili dalla NASA e conferma ciò che su queste pagine avevamo già ipotizzato a metà maggio in News da Marte #28. Succede spesso che nelle immagini grezze si nascondano piccole anticipazioni su ciò che verrà narrato più tardi nelle cronache dei rover…

Sono state proprio le immagini acquisite l’11 maggio che hanno confermato la ripresa funzionalità della camera SHERLOC che a inizio gennaio era rimasta con lo sportellino di protezione della lente bloccato in posizione socchiusa.

Posizione della camera SHERLOC ACI sulla torretta del braccio robotico, Sol 1044. NASA/JPL-Caltech/MSSS/Piras

I tentativi di ripristinare la funzionalità del piccolo motore che aziona lo sportellino, che permette inoltre il fondamentale controllo della messa a fuoco, hanno avuto parziale successo nel corso dei mesi di lavoro. I tecnici hanno scaldato l’attuatore coinvolto, hanno azionato il trapano nel tentativo di smuovere granelli di polvere che potessero ostacolare il movimento di apertura, eseguito particolari acrobazie con il braccio robotico…

Non si sa di preciso quale di queste azioni sia stata risolutiva, ma alla fine i tecnici sono riusciti ad aprire lo sportellino quanto bastava per non ostruire più la lente di SHERLOC che è sia una camera che uno spettrometro. Il motore non era però in grado di muoversi liberamente e perciò una precisa messa a fuoco era ancora impossibile da ottenere. È servito un piano B.

Se l’obiettivo fotografico non può agire sulla messa a fuoco allora si può intervenire avvicinando o allontanando la camera al soggetto. Sfruttando l’estrema precisione dei movimenti del braccio robotico, capace di spostamenti minimi di 0.25 millimetri, i tecnici hanno eseguito un test sul target di calibrazione di SHERLOC individuando in 40 mm la distanza dal soggetto per ottenere una precisa messa a fuoco.

La prima immagine nuovamente a fuoco di SHERLOC viene acquisita nel Sol 1047. NASA/JPL-Caltech/Piras

Per il primo test vero e proprio su una roccia bisogna aspettare qualche giorno marziano, il Sol 1153. Il risultato dà esito positivo.

18 maggio, Perseverance fotografa di nuovo una roccia con SHERLOC ACI. NASA/JPL-Caltech

Quasi un mese dopo, il 17 giugno, si presenta l’occasione di testare anche lo spettrometro di SHERLOC. Anche questo test ha successo, e la NASA può così dichiarare ufficialmente riuscito un debug hardware eseguito su un apparato distante centinaia di milioni di km. Pur con la limitazione di non poter agire sulla messa a fuoco diretta tramite l’obiettivo, Perseverance continuerà a produrre dati di immutata qualità scientifica con SHERLOC. Avanti tutta!

Anche per questo appuntamento è tutto, alla prossima!

Bentornati su Marte nella sezione News da Marte #29!

Questo aggiornamento sulle attività dei rover NASA sarà un po’ più mirato del solito e si focalizzerà principalmente su due tipi di tempeste, di sabbia e solari, e le loro conseguenze. Nella seconda parte ci divertiremo poi a indagare il Sole grazie all’occhio acutissimo di Perseverance. Si parte!

Il massimo del ciclo solare

Maggio è stato un mese di grandissimo interesse per chi si occupa di scienza del Sole. Ci avviciniamo al picco di attività della nostra stella all’interno del ciclo di 11 anni, e gli strepitosi fenomeni di aurore e SAR osservati sulla Terra sino a latitudini tropicali ne sono stati la prova. Su Marte la NASA non si farà trovare impreparata in quanto ha due apparati pronti non solo per rilevare ma anche misurare l’intensità delle eruzioni solari e i fenomeni che ne conseguono.

MAVEN

Il primo di questi apparati si trova in orbita ed è la sonda MAVEN, acronimo di Mars Atmosphere and Volatile Evolution. La missione del satellite, iniziata nel settembre 2014, è focalizzata sulla misurazione della fuga dell’atmosfera di Marte, cercare di comprenderne l’evoluzione nel tempo e da qui dedurre quale fosse il clima del pianeta nel suo passato.

NASA/GFSC

Non è poi un caso che MAVEN sia progettata anche per rilevare radiazioni e influenza del vento solare; infatti i picchi di attività della nostra stella, su un pianeta privo di campo magnetico globale come Marte, riescono a soffiare via l’atmosfera durante tempeste solari particolarmente violente. I modelli climatici prevedono che le stagioni marziane più calde, oltre a produrre le celebri tempeste di sabbia che talvolta arrivano ad avvolgere l’interno pianeta, riscaldino e “gonfino” significativamente l’atmosfera. In essa si trova miscelato anche il vapore acqueo che sublima dai ghiacci e che viene così investito dal vento solare e disperso nello spazio. Questo processo, ripetuto nel corso di miliardi di anni, potrebbe aver avuto il potenziale di trasformare un mondo umido nell’attuale deserto arido che è Marte. Un cruciale fattore di riscaldamento globale del pianeta giunge dal suo posizionamento in perielio, punto di massima vicinanza al Sole. L’orbita di Marte ha una marcata eccentricità e questo fa sì che nel punto di perielio il pianeta riceva quasi il 50% di radiazione e calore in più rispetto all’afelio. La stagione delle tempeste di sabbia è attualmente in corso. Siamo infatti a ridosso del perielio (avvenuto l’8 maggio) e quest’anno in concomitanza, come detto, di un periodo di intensa attività solare. MAVEN sta sfruttando questa sovrapposizione di eventi per compiere studi alla ricerca di conferme sperimentali sulla validità delle teorie attuali sulla fuga dell’atmosfera.

Curiosity

Il secondo apparato messo in campo dalla NASA per studiare gli attuali picchi di attività solare è il rover Curiosity. Insieme agli strumenti per l’analisi chimica delle rocce e le numerose camere, il robot monta sulla propria plancia uno strumento chiamato RAD. Il nome è l’acronimo di Radiation Assessment Detector e si tratta di un rilevatore di particelle altamente energetiche.

NASA/JPL-Caltech/MSSS

RAD studia la radiazione solare che filtra nell’atmosfera e colpisce la superficie di Marte. Queste particelle hanno sufficiente energia per spezzare le molecole organiche, inducendo dei processi che danneggiano le eventuali tracce fossili di vita batterica che rappresentano gli attuali obiettivi di studio sul Pianeta Rosso. Ma gli scopi di RAD non si fermano qui: lo strumento sta fornendo indicazioni sulle schermature di cui i futuri habitat umani dovranno essere dotati per fornire un sufficiente livello di sicurezza ai primi astronauti che metteranno piede su Marte. Prima ancora dell’atterraggio sul pianeta nel 2012 a bordo di Curiosity, RAD ha misurato la radiazione nello spazio interplanetario, anche in questo caso con lo scopo di quantificare la pericolosità di un viaggio spaziale per un equipaggio. Gli strumenti di MAVEN e il RAD di Curiosity si completano a vicenda, potremmo dire: i detector del satellite sono sensibili alle radiazioni a bassa energia mentre RAD rileva quelle estremamente più energetiche che riescono a penetrare l’atmosfera e arrivare sino alla superficie. Per questa ragione capita che i team del rover e della sonda lavorino fianco a fianco per caratterizzare da prospettive differenti un medesimo evento solare. Vedremo probabilmente in uscita nei prossimi mesi qualche news o paper scientifico basato sulle rilevazioni che questi due apparati stanno portando avanti.

A caccia dell’aurora

Il 14 maggio la macchia solare AR3664, balzata ai proverbiali onori delle cronache in quanto responsabile pochi giorni prima delle aurore più potenti dal 2003 a oggi, era ormai sul bordo orientale del Sole. Forse intenzionata a dare un saluto memorabile alla Terra, quel giorno ha prodotto un flare di classe X8.79, il più potente del Ciclo Solare 25.

news da marte
Immagine a 131 Å del satellite Solar Dynamics Observatory. NASA/SDO/AIA team

Ma mentre la conseguente espulsione di massa coronale non ha interessato la Terra a causa della posizione al confine del disco solare, AR3664 era orientata in direzione di Marte. Sul Pianeta Rosso, a causa dell’assenza di un campo magnetico, l’interazione tra le particelle cariche del vento solare e l’atmosfera non è concentrata sui poli come sulla Terra ma appare come un’aurora diffusa globale. Gli aggiornamenti NASA sulle attività del rover Curiosity riportano che i tecnici abbiano deciso qualche giorno dopo la CME di svolgere un’osservazione notturna del cielo con le MastCam del rover alla ricerca dell’elusivo bagliore aurorale. L’attività è stata eseguita nella tarda serata del Sol 4189, producendo complessivamente 24 immagini a lunga esposizione (12 per ciascuna camera) a intervalli di 105 secondi che sono state rese disponibili nelle pagine dedicate alle foto grezze. Nel database NASA non ho purtroppo trovato disponibili dei dark frame per rimuovere il rumore digitale dei sensori e provare così a ripulire le immagini. Ogni tentativo di elaborazione di queste foto è stato inutile e tutto ciò che si vede è il disturbo di acquisizione che sovrasta anche l’eventuale segnale prodotto dalle stelle. Da parte mia non posso fare assunzioni se queste riprese abbiano avuto successo, vedremo in future news ufficiali quali siano stati i risultati.

News da Marte
Una delle 24 immagini notturne acquisite da Curiosity nel Sol 4189. Right MastCam. NASA/JPL-Caltech/MSSS

C’è da aggiungere che, nonostante queste foto siano state scattate sia dalla MastCam di destra che da quella di sinistra, probabilmente solo la Left ci avrebbe permesso di apprezzare il fenomeno astronomico dell’aurora grazie alla lunghezza focale di 34 mm opposta al 100 mm della Right. Dal punto di vista della tecnica fotografica un teleobiettivo è estremamente limitante qualora si vogliano osservare ampie parti del cielo come sarebbe stato opportuno in questo caso. Ma da settembre 2023 la Left MastCam continua a presentare il problema della ruota portafiltri bloccata a metà del filtro trasparente L0 (problema descritto per la prima volta in News da Marte #23). Attualmente i tecnici stanno continuando a impiegare la camera con l’accorgimento di scaricare perlopiù solo dei ritagli delle foto per non sprecare risorse con le porzioni oscurate delle immagini.

Foto del Sol 4191 della Left MastCam di Curiosity. NASA/JPL-Caltech/MSSS  
Simulazione del ritaglio a cui le immagini della Left MastCam vengono attualmente sottoposte. NASA/JPL-Caltech/MSSS/Piras
News da Marte
Recente immagine della Left MastCam con il ritaglio descritto. NASA/JPL-Caltech/MSSS

Nuove osservazioni solari di Perseverance

Curiosity non è stato l’unico rover che a maggio ha guardato il cielo di Marte. Anche Perseverance è stato impegnato in osservazioni con il naso all’insù, sia solari che stellari. Come visto in passato su queste pagine, le rilevazioni solari sono permesse dalle MastCam-Z, la coppia di camere montate sulla testa (da qui il termine Mast) del rover e dotate di uno zoom (da qui la lettera Z) con escursione 26-110 mm che si differenziano dalle focali fisse di Curiosity. Ciascuna camera monta una ruota di filtri con cui isolare specifiche lunghezze d’onda nello spettro, in modo da capire esattamente quali specie minerali siano più abbondanti in determinate rocce. Tra questi filtri ce ne sono anche due solari, con i quali il rover osserva quasi quotidianamente il Sole per studiare quante polveri siano presenti in sospensione nell’atmosfera e di conseguenza stimare il parametro dello spessore ottico indicato con la lettera greca tau. Alle migliaia di foto scattate da scienziati e semplici appassionati alla macchia AR3664 menzionata nelle cronache di Curiosity, è doveroso per noi esploratori marziani aggiungere le riprese eseguite da Perseverance. Questa macchia, talmente grande da essere stata visibile persino a occhio nudo (ma sempre, ricordo, con gli opportuni filtri), alla sua massima dimensione si è estesa su una lunghezza pari a quasi 18 Terre una a fianco all’altra.

Il Sole visto da Marte il 12 maggio

Tra le immagini che ho selezionato per l’articolo la prima è stata acquisita il 12 maggio (Sol 1147) quindi all’indomani dei fenomeni aurorali estremi. Quando ormai sulla Terra AR3664 si accingeva a tramontare sul lato orientale del disco solare (come illustrato nell’immagine di SDO) su Marte la macchia aveva da poco iniziato a dare bella mostra di sé.

News da Marte
Foto della Left MastCam-Z del 12 maggio, Sol 1147. NASA/JPL-Caltech/ASU/MSSS/Piras  
Il Sole del 12 maggio visto dallo strumento Helioseismic Magnetic Imager a bordo del satellite SDO. NASA/SDO/HMI team/SpaceWeatherLive

Vale la pena tornare un po’ indietro nel tempo con le immagini del satellite SDO della NASA e ripescare un’acquisizione dello strumento Helioseismic Magnetic Imager datata 4 maggio. In essa si riconosce quasi perfettamente la configurazione di macchie solari che 8 giorni dopo, in seguito alla rotazione della superficie della nostra stella, era rivolta verso Marte.

Immagine del 4 maggio. NASA/SDO/HMI team/SpaceWeatherLive

Il Sole visto da Marte il 14 maggio

11 ore prima che AR3664 producesse l’impressionante brillamento con intensità X8.79 menzionato a inizio articolo, Perseverance aveva fotografato ancora una volta il Sole. L’immagine risultante conferma l’ottimo allineamento della macchia solare in direzione di Marte e ci lascia a fantasticare su quali aurore l’eruzione avrebbe potuto produrre sulla Terra se fosse avvenuta pochi giorni prima!

NASA/JPL-Caltech/ASU/MSSS/Piras

Rotazione solare: animazione

Le ultime immagini sul tema che desidero mostrarvi sono due animazioni realizzate a partire dalle foto solari di Perseverance dal 30 aprile al 22 maggio. I frame della prima gif sono quelli originali così come scaricati dalle pagine NASA, con l’unico accorgimento di aver centrato l’inquadratura sul Sole. Si notano i pixel colorati dovuti al rumore digitale del sensore, l’inclinazione variabile del Sole in base all’ora a cui le foto sono state scattate e soprattutto la mutevole luminosità legata a quanta polvere fosse presente in atmosfera.

NASA/JPL-Caltech/MSSS/Piras

Ho quindi sottoposto i frame alla pulizia dagli hot pixel, uniformato l’esposizione e corretto l’inclinazione del disco in modo da rendere fluida la rotazione. Questo è il ben più gradevole risultato.

NASA/JPL-Caltech/MSSS/Piras

Ma questa polvere nell’aria che la sta facendo da padrona…si riesce a vedere? Come spesso avviene, un’immagine vale più di mille parole. Ecco una foto realizzata dalla camera di navigazione di Perseverance che illustra come i rilievi all’orizzonte quasi svaniscano a causa dell’oscuramento atmosferico.

Ripresa con la Left NavCam nel Sol 1158, 23 maggio. In basso c’è un ritaglio della porzione superiore della stessa foto. NASA/JPL-Caltech/Piras

Astrofotografia da Marte

Apparentemente non legato all’osservazione di particolari fenomeni nei cieli marziani, nella notte del Sol 1153 Perseverance ha eseguito uno scatto a lunga esposizione con la MastCam-Z di sinistra. Stavolta, a differenza delle immagini notturne di Curiosity, i tecnici hanno prodotto anche dei rudimentali dark frame eseguendo preliminarmente degli scatti con il filtro solare che, grazie all’oscuramento estremo che fornisce, ha bloccato a sufficienza ogni potenziale luce in ingresso alla camera. Ho potuto utilizzare queste particolari immagini per provare a migliorare il light frame, ovvero la foto notturna vera e propria. L’immagine è rimasta comunque rumorosa perché ho aumentato molto il contrasto con lo scopo di evidenziare sia la scia delle stelle che parte del paesaggio. Ebbene sì, Perseverance ha osservato delle stelle all’orizzonte.

Left MastCam-Z, Sol 1153. NASA/JPL-Caltech/ASU/MSSS/Piras

I metadati dell’immagine grezza ci aiutano a collocare lo scatto esattamente in direzione ovest e questo è coerente con l’inclinazione delle stelle le quali, viste dall’emisfero nord di Marte, stanno tramontando. Con l’ausilio del software di simulazione Stellarium possiamo ricostruire il cielo visto da Perseverance inserendo data e ora della foto (le 2:49 italiane del 18 maggio). Se con un po’ di pazienza inseriamo anche le specifiche del sensore, la lunghezza focale impiegata per quest’acquisizione e inseriamo un correttivo che tenga conto dell’inclinazione del rover rispetto al terreno, troviamo un’ottima corrispondenza con il campo inquadrato dalla MastCam-Z e scopriamo l’esatta zona di cielo puntata.

Simulazione della foto notturna di Perseverance. Stellarium/Piras
Costellazione australe della Gru vista da Marte

Andando a indagare nelle immagini diurne delle NavCam acquisite in quei giorni Sol (quando Perseverance è rimasto fermo alcuni giorni nella stessa posizione) troviamo il rilievo che compare nella foto e che, dopo un’opportuna compensazione della distorsione della lente, si sovrappone abbastanza bene con lo scatto notturno.
 

La foto notturna del Sol 1153 è qui sovrapposta a un’immagine della Right NavCam del Sol 1151. NASA/JPL-Caltech/MSSS/Piras

Tutte le news su Marte sono disponibili QUI.

Transiti della ISS International Space Station

Transiti della ISS International Space Station per il mese di Giugno 2025 considerati notevoli

La ISSStazione Spaziale Internazionale sarà rintracciabile nei nostri cieli in orari mattutini, prima dell’alba. Avremo cinque transiti notevoli con magnitudini elevate durante gli ultimi giorni del mese, auspicando come sempre in cieli sereni.

22 Giugno

Si inizierà il giorno 22 Giugno, dalle 04:35 alle 04:43, osservando da SO ad ENE. La ISS sarà ben visibile dal CentroSud Italia, con una magnitudine massima che si attesterà su -3.5.

24 Giugno

Il 24 Giugno, la ISS transiterà dalle 04:34 verso OSO alle 04:43 verso NE. Visibilità ottimale dal CentroNord, con magnitudine di picco a -3.2.

25 Giugno

Il giorno successivo, 25 Giugno, avremo il miglior transito del mese: dalle 03:47 alle 03:54, da OSO a NE. Osservabile da tutta la nazione, con una magnitudine massima di -3.8.Un ottimo transito mattutino per iniziare la giornata con lo sguardo al cielo.

26 Giugno

Il 26 Giugno, nuovo transito (questa volta parziale) dalle 03:00 in direzione ESE alle 03:05 verso ENE. Visibile al meglio dal CentroSud, con magnitudine massima a -3.3, poco dopo l’uscita dall’ombra della Terra.

28 Giugno

L’ultimo transito notevole del mese sarà il 28 Giugno, dalle 02:59 alle 03:05, da NO a NE. Un nuovo passaggio parziale osservabile dal CentroNord, con magnitudine di picco a -3.4.

Transiti della ISS International Space Station per il mese di Maggio 2025 considerati notevoli

La ISSStazione Spaziale Internazionale sarà rintracciabile nei nostri cieli sia ad orari mattutini che serali. Avremo molti transiti notevoli con magnitudini elevate durante l’ultimo mese della primavera, auspicando come sempre in cieli sereni.

07 Maggio

Si inizierà il giorno 7 Maggio, dalle 05:14 alle 05:24, osservando da ONO a SE. Visibilità perfetta da tutta Italia, con magnitudine di picco a -3.9. Uno dei migliori transiti mattutini del mese, meteo permettendo.

08 Maggio

Il giorno successivo, 8 Maggio, la ISS sarà nuovamente visibile dalle 04:25 verso NO alle 04:35 verso ESE. Anche questo transito sarà osservabile da tutta la nazione, con una magnitudine massima di -3.4.

09 Maggio

Alla sera del 9 Maggio, nuovo spettacolare transito da SO ad ENE, dalle 21:54 alle 22:04. La ISS attraverserà il cielo da orizzonte a orizzonte, visibile perfettamente da tutta Italia, con magnitudine massima a -3.9.

10 Maggio

Il 10 Maggio, nuovo transito mattutino dalle 04:25 alle 04:34, da ONO a SE. Sarà osservabile in particolare dalle Isole Maggiori, con magnitudine di picco a -3.6.

10 Maggio


Sempre il 10 Maggio, ma alla sera, la ISS transiterà dalle 21:06 alle 21:16, da SO a ENE. Visibilità ottimale dal Sud Italia, con magnitudine massima di -3.5.

12 Maggio

Il 12 Maggio, nuovo transito serale dalle 21:19 alle 21:29, da OSO a NE. Visibile al meglio dal Centro-Nord Italia, con una magnitudine di picco di -3.4.

22 Maggio

Saltando di alcuni giorni, il 22 Maggio, nuovo transito parziale serale, dalle 22:33 alle 22:39, da NO a ENE. Visibilità migliore dal Centro-Nord, con magnitudine massima a -3.6.

24 Maggio

Il 24 Maggio, la ISS attraverserà il cielo delle Isole Maggiori dalle 22:31 alle 22:36, da ONO a SSO. Magnitudine di picco a -3.4 per questo transito breve ma brillante.

25 Maggio

Infine, il 25 Maggio, dalle 21:41 alle 21:49, da NO a SE, si avrà il miglior transito serale del mese. Osservabile da tutta Italia, con magnitudine massima a -3.8.

Transiti della ISS International Space Station per il mese di Aprile 2025 considerati notevoli

La ISSStazione Spaziale Internazionale sarà rintracciabile nei nostri cieli in orari mattutini. Avremo cinque transiti notevoli con magnitudini elevate durante il mese, auspicando come sempre in cieli sereni.

20 Aprile

Si inizierà il giorno 20 Aprile, dalle 05:34 verso SO alle 05:43 verso ENE. La ISS sarà ben visibile da tutta Italia, con una magnitudine massima che si attesterà su -3.5.

21 Aprile

Il giorno successivo, 21 Aprile, la Stazione Spaziale transiterà dalle 04:46 in direzione S alle 04:53 in direzione ENE. Transito osservabile al meglio dal Sud Italia, con magnitudine di picco a -3.1.

22 Aprile

Si prosegue il 22 Aprile, dalle 05:31 alle 05:39, da OSO a NE. Un passaggio ben visibile dal Centro-Nord del paese, con magnitudine massima di -3.3.

23 Aprile

Il 23 Aprile, nuovo transito da non perdere: dalle 04:43 verso OSO alle 04:49 verso NE. Osservabile da tutta la nazione, con magnitudine di picco a -3.9, sarà uno dei più luminosi del mese.

25 Aprile

L’ultimo transito notevole sarà il 25 Aprile, visibile al meglio dal Nord Italia. Dalle 04:38 alle 04:45, la ISS attraverserà il cielo da ONO a NE, con una magnitudine massima di -3.0.

Transiti della ISS International Space Station per il mese di Marzo 2025 considerati notevoli

La ISSStazione Spaziale Internazionale sarà rintracciabile nei nostri cieli sia ad orari mattutini che serali. Avremo molti transiti notevoli con magnitudini elevate durante il primo mese della Primavera, auspicando come sempre in cieli sereni.

03 Marzo

Si inizierà il giorno 3 Marzo, dalle 05:55 alle 06:04, osservando da ONO a SE. Visibilità perfetta da tutta Italia per uno dei migliori transiti del mese, con una magnitudine massima che si attesterà su un valore di -3.8.

04 Marzo

Si replica il 4 Marzo, dalle 05:09 verso NO alle 05:16 verso ESE. La ISS sarà nuovamente ben visibile da tutta la nazione, con magnitudine di picco a -3.4. Osservabile senza problemi, meteo permettendo.

06 Marzo

Due giorni dopo, il 6 Marzo dalle 05:10 alle 05:16, da OSO a SE, la ISS sarà osservabile al meglio dalle isole maggiori. Transito parziale con magnitudine massima a -3.5.

13 Marzo

Saltando una settimana ed iniziando con i transiti serali, il 13 Marzo avremo un transito dalle 19:23 in direzione SO alle 19:30 in direzione ENE. Visibilità ottimale dal Centro Sud, con magnitudine massima di -3.9.

14 Marzo

Il giorno successivo, 14 Marzo, dalle 18:34 alle 18:44, la ISS transiterà da SO a ENE. Questo passaggio sarà visibile al meglio dal Sud Italia, con magnitudine massima a -3.3.

26 Marzo

Passiamo al 26 Marzo, dalle 20:07 in direzione NO alle 20:13 in direzione NNE. Un passaggio ottimale, seppur parziale, per il Centro Nord, con magnitudine massima di -3.7.

27 Marzo

Il giorno dopo, 27 Marzo, dalle 19:18 verso NO alle 19:26 verso E, la ISS sarà visibile al meglio dal Nord Est del paese, raggiungendo una magnitudine massima di -3.2.

28 Marzo

Il 28 Marzo, dalle 20:06 alle28 Marzo 20:11, la Stazione Spaziale Internazionale attraverserà il cielo da ONO a S. Questo transito sarà osservabile al meglio dalle isole maggiori, con magnitudine di picco a -3.2. Se osservata dal Centro Italia, la ISS transiterà vicina alle Pleiadi e Giove.

29 Marzo

L’ultimo transito del mese avverrà il 29 Marzo, dalle 19:16 alle 19:25, da NO a SE. Un passaggio facilmente osservabile da tutta la nazione, con magnitudine massima a -3.8.

Transiti della ISS International Space Station per il mese di Febbraio 2025 considerati notevoli

La ISSStazione Spaziale Internazionale sarà rintracciabile nei nostri cieli prima dell’alba durante il secondo mese del 2025. Avremo cinque transiti notevoli con magnitudini elevate, auspicando come sempre in cieli sereni.

14 Febbraio

Si inizierà il giorno 14 Febbraio, dalle 06:27 alle 06:37, osservando da SO a NE. La ISS sarà ben visibile da tutta Italia, con una magnitudine di picco a -3.7. Un transito mattutino che vale la pena osservare.

15 Febbraio

Il giorno successivo, 15 Febbraio, dalle 05:41 verso SSO alle 05:48 in direzione ENE, il transito sarà visibile al meglio dal Sud Italia, con una magnitudine massima di -3.0.

16 Febbraio

Passiamo al 16 Febbraio, dalle 06:27 in direzione O alle 06:35 verso NE. Questo transito sarà particolarmente adatto per il Nord Italia, con una magnitudine di picco a -3.2.

17 Febbraio

Il giorno successivo, 17 Febbraio, dalle 05:40 in direzione O alle 05:46 verso NE, la ISS sarà visibile da tutta Italia. Questo transito, con magnitudine massima a -3.8, sarà uno dei più luminosi del mese.

19 Febbraio

L’ultimo transito notevole del mese sarà il 19 Febbraio, dalle 05:38 alle 05:44, da NO a NE. Questo passaggio sarà osservabile al meglio dal Nord Italia, con una magnitudine di picco a -3.1.

Transiti della ISS International Space Station per il mese di Gennaio 2025 considerati notevoli

La ISSStazione Spaziale Internazionale sarà rintracciabile nei nostri cieli sia ad orari mattutini che serali. Avremo molti transiti notevoli con magnitudini elevate durante il primo mese del nuovo anno, auspicando come sempre in cieli sereni.

01 Gennaio

Si inizierà il giorno 1 Gennaio, dalle 06:12 alle 06:18, osservando da ONO a SE. La ISS sarà ben visibile da tutta Italia, con una magnitudine massima che si attesterà su un valore di -3.8.

14 Gennaio

Saltando ai passaggi serali, il 14 Gennaio, la Stazione Spaziale transiterà dalle 18:30 alle 18:37, da SO ad ENE. Questo sarà uno dei due transiti migliori del mese, visibile senza problemi da tutta Italia, con magnitudine di picco a -3.9. Da alcune località del centro Italia la ISS transiterà nel mezzo della (o molto vicino alla) congiunzione tra Venere e Saturno, un’ottima occasione fotografica.

15 Gennaio

Il giorno successivo, 15 Gennaio, dalle 17:41 verso SSO alle 17:49 in direzione ENE, il transito sarà visibile al meglio dal Sud Italia. La ISS raggiungerà una magnitudine massima di -3.2.

17 Gennaio

Passiamo al 17 Gennaio, dalle 17:37 in direzione OSO alle 17:46 verso NE. Questo sarà un transito ideale per il Centro Nord Italia, con magnitudine di picco a -3.6.

28 Gennaio

Il 28 Gennaio, dalle 18:09 alle 18:16, da NO a E, la ISS sarà visibile al meglio dal Nord Est, raggiungendo una magnitudine di -3.2.

29 Gennaio

Il giorno successivo, 29 Gennaio, dalle 18:55 alle 19:02, da ONO a SSE, il transito sarà osservabile al meglio da Sardegna e Sicilia. La magnitudine massima sarà di -3.4.

30 Gennaio

L’ultimo transito notevole del mese, il 30 Gennaio, dalle 18:05 alle 18:14, da NO a ESE, sarà nuovamente visibile da tutta Italia (il secondo migliore del mese), con magnitudine di picco a -3.9.

Transiti della ISS International Space Station per il mese di Dicembre 2024 considerati notevoli

La ISSStazione Spaziale Internazionale sarà rintracciabile nei cieli della nazione ad orari tardo pomeridiani nella prima parte del mese, e al mattino, prima dell’alba, nella seconda. Avremo sette transiti notevoli con magnitudini elevate, auspicando come sempre in cieli sereni.

02 Dicembre

Si inizierà il giorno 2 Dicembre, dalle 17:43 verso NO alle 17:52 verso SE. La ISS sarà ben visibile da tutta Italia, con una magnitudine di picco a -3.7.

16 Dicembre

Si passa ai transiti mattutini, prima dell’alba. Il 16 Dicembre, dalle 06:19 in direzione SO alle 06:28 in direzione NE. Un classico transito visibile senza alcun problema da ogni parte d’Italia, meteo permettendo. Magnitudine di -3.9.

17 Dicembre

Il giorno successivo, 17 Dicembre, la Stazione Spaziale Internazionale sarà visibile al meglio dal Sud Italia dalle 05:33 alle 05:39, da S ad ENE. Questo transito avrà una magnitudine massima di -3.1.

18 Dicembre

Il 18 Dicembre, dalle 06:20 in direzione O alle 06:27 in direzione NE, la ISS sarà particolarmente visibile dal Nord Italia, raggiungendo una magnitudine di -3.2.

29 Dicembre

Passiamo al 29 Dicembre, dalle 06:56 verso NO alle 07:05 verso ESE. Questo transito sarà nuovamente visibile da tutta Italia, con una magnitudine di picco a -3.6.

30 Dicembre

Il giorno dopo, 30 Dicembre, dalle 06:08 in direzione NNO alle 06:15 in direzione ESE, il transito sarà osservabile al meglio dal Nord-Est e dalle regioni Adriatiche, con magnitudine massima a -3.1.

31 Dicembre

L’ultimo transito notevole del mese, il 31 Dicembre, sarà visibile al meglio da Sardegna e Sicilia. Dalle 06:53 alle 07:02, da ONO a SE, la ISS raggiungerà una magnitudine di -3.3.

Transiti della ISS International Space Station per il mese di Novembre 2024 considerati notevoli

La ISSStazione Spaziale Internazionale sarà rintracciabile nei nostri cieli sia ad orari mattutini che serali. Avremo molti transiti notevoli con magnitudini elevate durante l’ultimo mese autunnale, auspicando come sempre in cieli sereni.

02 Novembre

Si inizierà il giorno 2 Novembre, dalle 06:05 alle 06:14, osservando da ONO a SE. La ISS sarà ben visibile dalle Isole Maggiori, con una magnitudine massima che si attesterà su un valore di -3.6.

03 Novembre

Il prossimo transito sarà il 3 Novembre, dalle 05:19 in direzione NO alle 05:25 in direzione ESE. Visibilità eccellente da tutta Italia, con una magnitudine di picco a -3.8.

05 Novembre

Il giorno 5 Novembre, dalle 05:18 verso SO alle 05:23 in direzione SE, sarà un transito osservabile al meglio da Sardegna e Sicilia, con una magnitudine massima di -3.1.

15 Novembre

Saltando di dieci giorni, arriviamo al 15 Novembre, dalle 18:31 in direzione OSO alle 18:37 in direzione NNO, con magnitudine di picco a -3.8. Questo sarà un transito ideale per il Centro-Nord.

16 Novembre

Il giorno successivo, 16 Novembre, dalle 17:42 verso SO alle 17:49 verso ENE. Visibilità migliore dal Centro-Sud Italia, con magnitudine massima a -3.7.

18 Novembre

Il 18 Novembre, dalle 17:39 alle 17:47, la ISS attraverserà il cielo da OSO a NE. Un transito ottimale per il Centro-Nord, con magnitudine di picco a -3.2.

29 Novembre

L’ultimo transito del mese, il 29 Novembre, sarà visibile al meglio dal Nord Italia. Dalle 18:12 alle 18:17, da NO a NNE. La ISS raggiungerà una magnitudine massima di -3.4.

Transiti della ISS International Space Station per il mese di Ottobre 2024 considerati notevoli

La ISSStazione Spaziale Internazionale sarà rintracciabile nei nostri cieli sia ad orari serali che mattutini. Avremo quattro transiti notevoli con magnitudini elevate ad inizio e a fine mese, auspicando come sempre in cieli sereni.

02 Ottobre

Si inizierà il giorno 2 Ottobre, dalle 19:09 alle 19:20, osservando da ONO a SE. La ISS sarà ben visibile dalle Isole Maggiori e regioni occidentali, con una magnitudine massima che si attesterà su un valore di -3.1.

17 Ottobre

Il prossimo transito sarà il 17 Ottobre, dalle 06:52 verso SO alle 07:03 verso ENE. Visibilità eccellente da tutta Italia, con un transito che attraverserà il cielo da orizzonte a orizzonte. Magnitudine di picco a -3.5.

19 Ottobre

Saltiamo di un paio di giorni, andando al 19 Ottobre, dalle 06:51 in direzione OSO alle 07:00 in direzione NE. Transito ottimale per il Centro Nord, con magnitudine massima a -3.4.

20 Ottobre

L’ultimo passaggio sarà visibile al meglio da tutta Italia il 20 Ottobre. Dalle 06:04 alle 06:11, da OSO a NE, con magnitudine di picco a -3.9. Vale la pena mettere la sveglia per il miglior transito antelucano del mese.


Transiti della ISS International Space Station per il mese di Settembre 2024 considerati notevoli

La ISSStazione Spaziale Internazionale sarà rintracciabile nei nostri cieli sia ad orari mattutini che serali. Avremo molti transiti notevoli con magnitudini elevate durante il primo mese d’autunno, sperando come sempre in cieli sereni.

05 Settembre

Si inizierà il giorno 5 Settembre, dalle 06:00 verso ONO alle 06:10 verso SE. Visibilità perfetta da tutta la nazione, con magnitudine di picco a -3.7. Osservabile senza problemi, meteo permettendo.

06 Settembre

Si replica il 6 Settembre, dalle 05:14 in direzione NO alle 05:21 in direzione ESE. Questo sarà un transito ottimale per tutto il paese. Magnitudine massima nuovamente a -3.7.

11 Settembre

Il transito successivo si avrà l’11 Settembre, con la Stazione Spaziale che transiterà dalle 21:02 alle 21:08, da SO ad ENE. Un transito ottimale per tutta Italia, con magnitudine massima a -3.9. Il miglior transito serale del mese, anche se parziale.

12 Settembre

Un nuovo transito della ISS il 12 Settembre, dalle 20:14 verso SO alle 20:22 verso ENE, con magnitudine di picco a -3.6. Questo passaggio sarà particolarmente visibile nel Centro-Sud.

14 Settembre

Il giorno 14 Settembre, nuovo transito ottimale per il Centro-Nord, dalle 20:13 alle 20:22, da OSO a NE, la ISS avrà una magnitudine massima di -3.3.

28 Settembre

Il penultimo passaggio sarà il 28 Settembre, dalle 20:09 verso NO alle 20:16 verso ESE. Transito osservabile da tutta la nazione, con la ISS che raggiungerà una magnitudine di picco di -3.8.

29 Settembre

L’ultimo transito notevole si avrà il 29 Settembre, osservabile al meglio dal Nord Italia, dalle 19:21 alle 19:29, da NO ad ESE. La ISS avrà una magnitudine massima a -3.2.

Transiti della ISS International Space Station per il mese di Agosto 2024 considerati notevoli

La ISSStazione Spaziale Internazionale sarà rintracciabile nei nostri cieli in orari mattutini, prima dell’alba. Avremo quattro transiti notevoli con magnitudini elevate durante l’ultimo mese estivo, auspicando come sempre in cieli sereni.

20 Agosto

Transiti ISS

Si inizierà il giorno 20 Agosto, dalle 05:46alle 05:55, osservando da SO ad ENE. La ISS sarà visibile da tutta la nazione per uno dei due migliori transiti del mese con una magnitudine massima di -3.7.Se osservata dal Centro, la ISS sarà vicina alla coppia Marte-Giove.

21 Agosto

Transiti ISS

Si replica il 21 Agosto, dalle 04:58 verso S alle 05:05 verso ENE. Visibilità migliore per il Sud Italia, con magnitudine di picco a -3.1.

22 Agosto

Transiti ISS

Passiamo al giorno 22 Agosto con un nuovo transito dalle 05:44 in direzione OSO alle 05:52 in direzione NE. Osservabile al meglio dal Centro Nord Italia con una magnitudine massima di -3.3.

23 Agosto

L’ultimo transito del mese si avrà il 23 Agosto, dalle 04:56 alle 05:03, da OSO a NE. Magnitudine di picco a -3.9per il miglior transito del mese, osservabile da tutta la nazione.

Transiti della ISS International Space Station per il mese di Luglio 2024 considerati notevoli

La ISSStazione Spaziale Internazionale sarà rintracciabile nei nostri cieli sia ad orari mattutini che serali. Avremo molti transiti notevoli con magnitudini elevatedurante il secondo mese estivo, auspicando come sempre in cieli sereni.

08 Luglio

Transiti della ISS International Space Station 08 Luglio

Si inizierà il giorno 8 Luglio, dalle 22:54 verso OSO alle 23:05 verso NE. Visibilità perfetta da tutta la nazione, con magnitudine di picco a -3.9. Osservabile senza problemi, meteo permettendo.

09 Luglio

Transiti della ISS International Space Station 09 Luglio

Si replica il 9 Luglio, dalle 22:06 alle 22:16, osservando da SO a ENE. La ISS sarà nuovamente ben visibile da tutta Italia, in particolare dal Centro Sud, con una magnitudine massima si attesterà su un valore di -3.7.

10 Luglio mattina

Transiti della ISS International Space Station 10 Luglio

Il 10 Luglio avremo una giornata con un transito al mattino ed uno alla sera. Il primo si avrà dalle 04:35 alle 04:45, da ONO a SE, con una magnitudine massima di -3.8. Osservabile al meglio dall’occidente italiano.

10 Luglio sera

Transiti della ISS International Space Station 10 Luglio sera

Sempre il 10 Luglio, ma alla sera, dalle 21:17 alle 21:28, vi sarà il secondo transito con magnitudine di picco a -3.2, visibile al meglio dal Sud Italia, da SSO a ENE.

11 Luglio

Transiti della ISS International Space Station 11 Luglio

L’11 Luglio avremo un nuovo transito mattutino osservabile da tutta la nazione. Dalle 03:46 verso NO alle 03:57 verso ESE, con magnitudine massima a -3.7. Vale la pena di mettere la sveglia.

12 Luglio

Transiti della ISS International Space Station 12 Luglio

Il 12 Luglio, alla sera, si avrà un nuovo passaggio delle ISS dalle 21:16 verso SO alle 21:27 verso NE, con visibilità perfetta (meteo permettendo) da tutta la nazione con magnitudine massima a -3.7.

22 Luglio

Transiti della ISS International Space Station 22 Luglio

Saltando di una decina di giorni, il 22 Luglio, con magnitudine a -3.5 dalle 22:50 verso NO alle 22:56 verso NE, la ISS effettuerà un transito parziale osservabile al meglio dal Centro Nord del paese.

24 Luglio

Transiti della ISS International Space Station 24 Luglio

Due giorni dopo, il 24 Luglio, la Stazione Spaziale effettuerà un altro transito parziale, osservabile al meglio dalla Sardegna, dalle22:49 alle 22:54, da ONO a OSO. Magnitudine massima a -3.3.

25 Luglio

Transiti della ISS International Space Station 25 Luglio

Passando al 25 Luglio, dalle 22:00 verso NO alle 22:07 verso ESE, la Stazione Spaziale Internazionale sarà osservabile nuovamente da tutto il paese, con magnitudine massima a -3.9.

26 Luglio

Transiti della ISS International Space Station 26 Luglio

Il 26 Luglio, con magnitudine a -3.4 dalle 21:11 verso NO alle 21:20 verso ESE, la ISS effettuerà il penultimo transito notevole del mese, osservabile al meglio dal Nord Est e regioni Adriatiche.

28 Luglio

Transiti della ISS International Space Station 28 Luglio

L’ultimo transito notevole del mese si avrà il 28Luglio, osservabile al meglio dall’occidente italiano, dalle 21:09 alle 21:18, da ONO a SE. La ISS avrà una magnitudine massima a -3.5.

Transiti della ISS International Space Station per il mese di Giugno 2024 considerati notevoli

La ISSStazione Spaziale Internazionale sarà rintracciabile nei nostri cieli in orari mattutini, prima dell’alba. Avremo sei transiti notevoli con magnitudini elevate ma solo durante gli ultimi giorni del mese di giugno, auspicando come sempre in cieli sereni.

23 Giugno

Transiti della ISS International Space Station
Transiti della ISS International Space Station 23 giugno

Si inizierà il giorno 23 Giugno, dalle 04:54alle 05:03, osservando da SO ad ENE. La ISS International Space Station sarà ben visibile da tutta la nazione con una magnitudine massima si attesterà su un valore di -3.8. Vale la pena di puntare la sveglia per questo passaggio.

24 Giugno

Transiti della ISS International Space Station
Transiti della ISS International Space Station 24 giugno

Il 24 Giugno, dalle 04:05 verso SSO alle 04:15 verso ENE, la Stazione Spaziale sarà osservabile al meglio dal Sud Italia con magnitudine di picco a -3.3.

25 Giugno

Transiti della ISS International Space Station
Transiti della ISS International Space Station 25 giugno

Il giorno dopo, 25 Giugno, la ISS transiterà dalle 04:50 alle 04:58, da OSO a NE, con una magnitudine massima di -3.1. Un passaggio perfetto per il Nord Italia questa volta.

26 Giugno

Transiti ISS International Space Station
Transiti della ISS International Space Station 26 giugno

Continuando, il 26 Giugno avremo un nuovo passaggio della ISS International Space Station dalle 04:00 verso OSO alle 04:08 verso NE. Visibile nuovamente da tutto il paese con magnitudine di picco a -3.8. Sperando come sempre in cieli sereni.

27 Giugno

Transiti ISS International Space Station
Transiti della ISS International Space Station 27 giugno

Arriviamo al penultimo transito, il 27 Giugno, dalle 03:11 in direzione SE alle 03:17 in direzione ENE. Un transito parziale, osservabile al meglio dal Centro Sud del paese, con una magnitudine massima di -3.6.

29 Giugno

Transiti ISS International Space Station
Transiti della ISS International Space Station 29 giugno

L’ultimo transito del mese si avrà il giorno 29 Giugno, dalle 03:06 da ONO alle 03:12 a NE, con magnitudine massima a -3.4. Osservabile al meglio dal Centro Nord Italia.

Transiti ISS International Space Station

N.B. Le direzioni visibili per ogni transito sono riferite ad un punto centrato sulla penisola, nel centro Italia, costa tirrenica. Considerate uno scarto ± 1-5 minuti dagli orari sopra scritti, a causa del grande anticipo con il quale sono stati calcolati.

ATTENZIONE

In caso di Booster della ISS eseguiti nei giorni successivi alla pubblicazione dell’articolo gli orari possono differire anche in maniera significativa. Vi invitiamo a controllare sempre il sito https://www.heavens-above.com/ soprattutto in caso di programmazione di una sezione di osservazione.


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Space Debries Viaggiare nello Spazio senza Scontrarsi

Nell’immaginario collettivo, lo spazio appare come un ambiente sconfinato e deserto. Tuttavia, la realtà dell’orbita terrestre è ben diversa: sempre più affollata, trafficata e caotica. Con quasi 40.000 oggetti spaziali catalogati secondo l’Agenzia Spaziale Europea (ESA), il rischio di collisioni tra satelliti è in continuo aumento, specialmente a causa del lancio di megacostellazioni come Starlink e della miniaturizzazione dei satelliti.

Per garantire la sicurezza delle missioni spaziali e l’integrità dei satelliti in orbita, è fondamentale poter eseguire manovre di evitamento delle collisioni, note come CAM (Collision Avoidance Manoeuvres). Ma progettare queste manovre in modo rapido, preciso e con il minimo consumo di carburante è una sfida tecnica complessa.

Il problema delle collisioni orbitali

Quando due oggetti nello spazio si avvicinano troppo, gli operatori ricevono un messaggio di allerta chiamato CDM (Conjunction Data Message), che indica l’istante previsto di massimo avvicinamento (TCA) e la probabilità di collisione (PoC). Se questa probabilità supera una certa soglia (spesso fissata a 1 su 10.000), è necessario intervenire.

Le manovre correttive devono non solo ridurre il rischio di impatto, ma anche preservare carburante e mantenere il satellite sulla sua traiettoria prevista. Inoltre, l’incremento del numero di congiunzioni simultanee e ravvicinate richiede strumenti sempre più sofisticati e automatizzati per gestire le emergenze in tempo reale.

Un nuovo approccio matematico: le manovre sotto vincoli polinomiali

Nel lavoro pubblicato su Acta Astronautica, i ricercatori propongono un nuovo metodo per la progettazione automatizzata di CAM che combina efficienza computazionale e precisione. L’idea centrale è rappresentare tutti i vincoli della manovra (come la probabilità di collisione, la distanza minima di passaggio, e il ritorno all’orbita nominale) mediante polinomi di ordine arbitrario.

Questo approccio si basa su una branca avanzata della matematica chiamata algebra differenziale, che permette di approssimare le variabili coinvolte in modo estremamente accurato. I vincoli polinomiali vengono poi “linearizzati” iterativamente, creando una sequenza di programmi quadratici (cioè problemi di ottimizzazione con funzione obiettivo quadratica e vincoli lineari) sempre più precisi. In questo modo si riesce a trovare una soluzione ottima in tempi rapidissimi (spesso inferiori a mezzo secondo).

Efficienza e versatilità: manovre impulsive e a bassa spinta

Il metodo è flessibile e può gestire sia manovre impulsive (che simulano “colpi” di propulsione istantanei), sia a bassa spinta (tipiche dei satelliti con propulsione elettrica). Inoltre, consente di includere più congiunzioni consecutive, considerando i vincoli di mantenimento della posizione orbitale (station keeping).

Uno degli aspetti più innovativi è la possibilità di gestire più vincoli contemporaneamente, ad esempio:

  • Ridurre la probabilità di collisione con diversi oggetti.
  • Garantire che la traiettoria finale del satellite rispetti i parametri previsti, come semiasse maggiore ed eccentricità.
  • Minimizzare il consumo totale di carburante (espresso come somma dei Δv richiesti).

Risultati sperimentali: accuratezza e rapidità

Per testare il metodo, i ricercatori hanno utilizzato database reali di potenziali collisioni in orbita bassa terrestre (LEO), eseguendo oltre 2000 simulazioni. In tutti i casi, le manovre generate rispettavano i vincoli imposti con precisione sub-millimetrica e consumi di carburante ridotti (nella maggior parte dei casi inferiori a 50 mm/s di Δv totale).

I tempi di calcolo sono stati anch’essi impressionanti: il 95% delle soluzioni è stato calcolato in meno di 0,15 secondi. Inoltre, il metodo proposto è risultato in media il 30–40% più veloce rispetto a solutori commerciali come l’interior-point solver di MATLAB.

Un futuro sempre più automatico e autonomo

Il metodo presentato ha un enorme potenziale per l’adozione in sistemi autonomi a bordo dei satelliti, consentendo loro di valutare situazioni di rischio e prendere decisioni indipendenti in pochi istanti. Questo è particolarmente rilevante in un contesto operativo in cui i tempi di reazione sono cruciali, e l’intervento umano potrebbe non essere sufficientemente tempestivo.

Conclusione

Il futuro della gestione del traffico spaziale dipenderà sempre più da algoritmi intelligenti e ottimizzati. Il lavoro di Zeno Pavanello, Laura Pirovano e Roberto Armellin rappresenta un importante passo avanti verso manovre di evitamento delle collisioni sempre più affidabili, automatiche ed efficienti. In un cielo sempre più affollato, la matematica diventa lo strumento fondamentale per evitare che le nostre tecnologie si scontrino nello spazio, garantendo sicurezza, efficienza e sostenibilità alle attività spaziali.

Fonte: Science Direct

Quando un quasar spegne la nascita delle stelle: un’eccezionale fusione galattica a 11 miliardi di anni luce

Crediti: ALMA (ESO/NAOJ/NRAO) / S. Balashev e P. Noterdaeme et al.

 

Un gruppo internazionale di astronomi ha osservato, per la prima volta, l’effetto diretto delle radiazioni di un quasar sull’ambiente gassoso di una galassia vicina in fase di fusione. La scoperta, pubblicata da Sergei Balashev e Pasquier Noterdaeme insieme a ricercatori provenienti da diversi istituti di ricerca, getta nuova luce su come i quasar — tra gli oggetti più luminosi dell’Universo — possano interrompere la formazione stellare all’interno di galassie interagenti.

Una fusione galattica a redshift z ≈ 2.66

Le osservazioni, effettuate con i telescopi VLT (Very Large Telescope) e ALMA (Atacama Large Millimeter/submillimeter Array), hanno analizzato un quasar chiamato J012555.11−012925.00 e una galassia compagna in via di fusione. Le due galassie, separate da una distanza proiettata di appena 5 kpc (circa 16.000 anni luce), stanno convergendo con una velocità relativa di circa 550 km/s.

Entrambe le galassie sono molto massicce, con masse stellari intorno a 10¹¹ masse solari. Il buco nero supermassiccio al centro del quasar ha una massa stimata in 10⁸,3 masse solari e sta accrescendo materiale a un ritmo vicino al limite di Eddington, sprigionando una potenza di (5–10) × 10⁴⁶ erg/s.

L’effetto distruttivo della radiazione del quasar

Un aspetto chiave dello studio è l’osservazione, unica nel suo genere, di gas molecolare altamente eccitato e densissimo (fino a 10⁶ cm⁻³) nella galassia compagna. Questo gas, esposto alla potente radiazione UV del quasar, è stato trasformato in piccole “goccioline” di dimensioni inferiori a 0,02 parsec (circa 1200 volte la distanza Terra-Sole), troppo compatte per formare nuove stelle.

Questo fenomeno rappresenta un esempio di “feedback negativo” locale: la radiazione del quasar distrugge le nubi molecolari diffuse e impedisce la nascita stellare nei pressi del suo campo d’influenza, mentre il resto della galassia continua a formare stelle a un ritmo elevato, stimato in circa 250 masse solari all’anno.

Questa immagine, ottenuta con il radiotelescopio ALMA (Atacama Large Millimeter/submillimeter Array), mostra il contenuto di gas molecolare di due galassie coinvolte in una collisione cosmica. La galassia a destra ospita un quasar — un buco nero supermassiccio che, mentre inghiotte materia, emette una radiazione intensa diretta verso l’altra galassia.
Gli astronomi, utilizzando lo spettrografo X-shooter al Very Large Telescope (VLT) dell’ESO, hanno analizzato la luce del quasar mentre attraversava un alone invisibile di gas attorno alla galassia a sinistra. Questo ha permesso loro di osservare gli effetti devastanti della radiazione: le nubi di gas della galassia colpita vengono disturbate, ostacolando la formazione di nuove stelle.
Crediti:
ALMA (ESO/NAOJ/NRAO) / S. Balashev e P. Noterdaeme et al.

Dati straordinari e tecniche avanzate

Colonna di idrogeno neutro: N(H I) ≈ 10²¹.8 cm⁻²
Colonna di H₂: N(H₂) ≈ 10²¹.2 cm⁻², tra le più alte mai rilevate nei quasar
Densità del gas molecolare: n_H ≈ 10⁵–10⁶ cm⁻³
Temperatura di eccitazione: oltre 4000 cm⁻¹, mai vista in osservazioni a redshift così elevato

Grazie all’uso di tecniche spettroscopiche avanzate e all’elaborazione di immagini ottiche e radio millimetriche, gli scienziati hanno potuto rivelare dettagli finissimi — 100.000 volte più piccoli rispetto a quanto normalmente risolvibile nei sistemi galattici lontani.

Implicazioni

La scoperta rappresenta una prova osservativa che le fusioni galattiche possono non solo innescare l’accensione dei quasar, ma anche alterare profondamente la struttura interna del gas galattico, con conseguenze drammatiche per la formazione stellare. Questo supporta l’idea che i quasar possano giocare un ruolo attivo nel plasmare l’evoluzione delle galassie.

Lo studio è frutto di una collaborazione tra:

Ioffe Institute, San Pietroburgo, Russia

Institut d’Astrophysique de Paris (IAP), CNRS-SU, Francia

Universidad de Chile

Inter-University Centre for Astronomy and Astrophysics (IUCAA), India

ENS de Lyon / Centre de Recherche Astrophysique de Lyon

Collège de France, Parigi

Departamento de Astronomía, Universidad de Chile

Fonte: ESO

Produzione di Alluminio sulla Luna: Il Progetto LISAP-MSE

Il progetto “Lunar In-Situ Aluminum Production through Molten Salt Electrolysis” (LISAP-MSE), sviluppato dalla Missouri University of Science and Technology, propone un metodo all’avanguardia per la produzione di alluminio direttamente sulla superficie lunare. Utilizzando l’anortite, un minerale ricco di alluminio abbondante negli altopiani lunari, il processo ha recentemente dimostrato la sua efficacia producendo sferoidi metallici con una purezza dell’85% di alluminio in massa, un risultato sperimentale significativo che conferma la validità concettuale e tecnica dell’approccio.

Contesto e Obiettivi

Con il programma Artemis della NASA volto a stabilire una presenza umana permanente sulla Luna, è essenziale sviluppare tecnologie per sfruttare le risorse locali (ISRU – In-Situ Resource Utilization). LISAP-MSE risponde a questa esigenza permettendo la produzione di materiali critici come l’alluminio e l’ossigeno direttamente dal suolo lunare.

Il Processo LISAP-MSE

Il cuore del processo è l’elettrolisi dell’ossido di alluminio (Al2O3) in un bagno di sale fuso di cloruro di calcio (CaCl2) a circa 900°C, secondo il metodo FFC Cambridge. Questo permette di ottenere alluminio metallico e ossigeno gassoso. La reazione avviene con un potenziale elettrico di circa 3 volt.

L’anortite viene inizialmente trattata con acido cloridrico (HCl), generando cloruro di alluminio esaidrato (AlCl3·6H2O), cloruro di calcio e silice. I composti di alluminio vengono trasformati in ossido di alluminio tramite riscaldamento progressivo fino a 400°C. Successivamente, l’ossido di alluminio viene ridotto elettrochimicamente.

Risultati Sperimentali Recenti

Le prove condotte con una cella elettrolitica sviluppata internamente hanno prodotto sferoidi metallici con l’85% di alluminio in massa, un traguardo importante che dimostra l’efficacia del processo end-to-end. Questi risultati indicano che LISAP-MSE è in grado di produrre alluminio di elevata purezza utilizzabile per la costruzione di infrastrutture lunari.

Risorse Derivate

Oltre all’alluminio, il processo produce anche:

  • Ossigeno, utile per la respirazione e la propulsione;
  • Acqua, essenziale per il supporto vitale;
  • Silice, con potenziale uso edilizio;
  • Cloruro di calcio, che può essere riciclato nel processo.

Importanza Strategica

Il LISAP-MSE è progettato per essere scalabile e sostenibile. Dopo un’iniziale fornitura di acqua e HCl, il sistema è in grado di auto-rigenerarsi, riducendo la necessità di rifornimenti terrestri. Questo rende il processo altamente adatto per missioni a lungo termine.

Prospettive Future

Attualmente il progetto sta finalizzando la raccolta fondi e l’acquisizione dei materiali. Sono previste ulteriori prove in laboratorio atmosferico e in camere a vuoto presso il campus della Missouri S&T, che mirano a confermare la stabilità e l’efficienza del sistema in condizioni analoghe a quelle lunari.

Distribuzione della produzione di Alluminio nel mondo. Fonte MineraliRari.com

Fonte: Science Direct

 

Completata la Struttura della Cupola dell’ELT

Durante la cerimonia del Tijerales, il Governatore Ricardo Díaz, in rappresentanza della Regione di Antofagasta, posa insieme al personale dell’ESO davanti all’ELT. Da sinistra a destra: Guido Vecchia (Responsabile del sito ELT), Ricardo Díaz (Governatore di Antofagasta), Bárbara Núñez (Responsabile delle relazioni regionali ESO) e Steffen Mieske (Responsabile delle operazioni scientifiche di Paranal). Crediti foto: I. Adell/CHEPOX/ESO

Il Extremely Large Telescope dell’ESO (ELT), destinato a diventare il più potente al mondo, ha recentemente raggiunto un traguardo simbolico nella sua costruzione: il punto più alto della sua imponente cupola. Con l’installazione completa della struttura di una delle gigantesche porte scorrevoli e gran parte dell’altra già montata, l’ELT ha ora raggiunto un’altezza vertiginosa di 80 metri.

Per celebrare questo momento chiave, conosciuto come “Topping Out” — o “Tijerales” in Cile — l’ESO ha organizzato una cerimonia sia nella sua sede centrale di Garching, in Germania, sia direttamente sul sito di costruzione, sul Cerro Armazones nel deserto cileno di Atacama. In entrambe le sedi, la giornata è stata dedicata al riconoscimento del lavoro straordinario di tutti coloro che stanno rendendo possibile questo ambizioso progetto.

Sul sito cileno, la cerimonia ha incluso il tradizionale innalzamento delle bandiere cilena e dell’ESO sulla sommità della cupola e un barbecue per il personale in loco. Tra i partecipanti c’era anche il Governatore Ricardo Díaz, rappresentante della Regione di Antofagasta, dove si trova l’ELT. A Garching, l’evento ha riunito rappresentanti di industrie, partner istituzionali e numerosi collaboratori, offrendo presentazioni, momenti di networking e un pranzo a buffet. Le due celebrazioni sono state unite da un collegamento in diretta, che ha permesso a tutti di condividere il successo raggiunto.

Il progetto dell’ELT, ormai oltre il 60% del completamento, rappresenta una straordinaria impresa ingegneristica e scientifica resa possibile grazie al contributo costante degli Stati Membri e Partner dell’ESO, delle industrie coinvolte nella progettazione e costruzione dei componenti, e del personale dell’ESO impegnato nel progetto.

Il rito del Topping Out ha origini antichissime, risalenti alla Scandinavia, e viene celebrato in tutto il mondo. Mentre in Cile si issa una bandiera sul punto più alto della struttura, in Germania — dove l’evento è noto come Richtfest — si utilizzano corone, rami d’albero o ghirlande sempreverdi. Un elemento comune? Un pasto meritato per i lavoratori che hanno contribuito alla costruzione.

Il cammino verso il primo sguardo dell’ELT sull’Universo prosegue, e ogni traguardo è un passo in più verso una nuova era dell’astronomia. Grazie alla sua straordinaria tecnologia e ai cieli bui del Cerro Armazones, l’ELT rivoluzionerà la nostra comprensione del cosmo, diventando davvero il più grande occhio del mondo rivolto al cielo.

Fonte: ESO

CARMELO METEOR: Bollettino Mensile delle Radiometeore

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A cura della rete CARMELO
(Cheap Amatorial Radio Meteor Echoes LOgger)

Mariasole Maglione (GAV, Gruppo Astrofili Vicentini)
Lorenzo Barbieri (Rete CARMELO e AAB, Associazione Astrofili Bolognesi)

Bollettino di Aprile

Introduzione

Aprile è il primo mese primaverile a mostrare degli sciami meteorici prevalenti, come quello antico delle Liridi (LYR). Il picco di attività per il 2025 era previsto tra il 21 e il 22 aprile. La rete CARMELO ha osservato un’attività moderata, con un lieve aumento nella notte tra il 22 e il 23 aprile, all’orario in cui la Lira si trovava circa in meridiano.

I dati del mese di Aprile

I grafici che seguono sono tratti da questa pagina: nelle ascisse è rappresentato il tempo, che è espresso in UT (Universal Time, Tempo Universale) oppure in longitudine solare (Solar Longitude) e le ordinate rappresentano il tasso orario (hourly rate), calcolato come il numero totale di eventi registrati dalla rete nell’ora diviso per il numero di ricevitori in funzione.

In fig.1, l’andamento dei segnali rilevati dai ricevitori per il mese di aprile.

Fig. 1: Andamento nel mese di aprile 2025.

Le Liridi

Le Liridi sono uno sciame meteorico attivo ogni anno in aprile, con un picco solitamente attorno al 22 del mese. Si tratta di uno degli sciami più antichi mai osservati, e dello sciame con la più lunga documentazione storica continua, con osservazioni che risalgono almeno al 687 a.C. (1).

Il corpo progenitore è stato identificato nel XIX secolo nella cometa C/1861 G1 (Thatcher), che impiega circa 415 anni per compiere un’orbita attorno al Sole. Le meteore di questo sciame hanno come radiante la costellazione della Lira, vicino alla brillante stella Vega. Le Liridi si distinguono per la loro velocità (circa 49 km/s) e per la possibilità di produrre scie brillanti e persistenti in cielo.

Solitamente si possono vedere attorno alle 15–20 meteore all’ora, ma occasionalmente si sono registrati picchi molto più elevati, che si riteneva fossero associati alla vicinanza della cometa madre alla Terra. Tuttavia, studi condotti alla fine del XX secolo hanno smentito questa correlazione diretta e indicano che gli outburst potrebbero essere invece legati a risonanze dinamiche o a dense regioni di materiale all’interno della scia cometaria (1).

Uno degli eventi più intensi fu l’outburst del 1803, con un tasso orario stimato di circa 860, che suscitò grande interesse astronomico. Uno più recente avvenne nel 1982, quando si registrarono fino a 90 meteore/h (2).

Nel 2025 il picco delle Liridi era atteso nelle ore notturne tra il 21 e il 22 aprile. La rete CARMELO ha registrato un’attività moderata tra il 21 e il 23 aprile, con un tasso orario di rilevazioni maggiori il 23, e un picco massimo alle 01:00 UT del 23 aprile, alla longitudine solare 32.80°.

Fig. 2: Tasso orario tra il 21 e il 24 aprile 2025, con picco di attività meteorica il 23 aprile alla longitudine solare 32.80°.

La lacuna delle 6

Un’anomalia ricorrente nei dati raccolti dalla rete CARMELO, già riscontrata in passato con il sistema RAMBO, è il sistematico calo di meteore registrate attorno alle ore 6 locali in primavera, proprio quando ci si attenderebbe il massimo giornaliero teorico della frequenza meteorica.

Fig. 3: Tasso orario di meteore in funzione dell’ora del giorno, in prossimità dell’equinozio di primavera, che ci si aspetterebbe di osservare.

Questo fenomeno, da noi definito “la lacuna delle 6” (vedi fig. 4), rappresenta un apparente paradosso osservativo che trova una spiegazione interessante.

Fig. 4: A sinistra, andamento del tasso orario di eventi registrato da CARMELO nell’aprile 2025, con evidente la “lacuna delle 6”; in inverno; a destra, dati raccolti in inverno.

Secondo il modello sviluppato da Giovanni Schiaparelli nel 1867 (3), la quantità di meteore osservata non è costante nel corso della giornata né dell’anno, ma segue delle variazioni regolari. Questo accade per via del movimento combinato della Terra, che ruota su sé stessa e orbita attorno al Sole. Anche se le meteore arrivassero da tutte le direzioni dello spazio in modo uniforme (cioè con una distribuzione isotropa dei radianti), l’effetto combinato tra la velocità della Terra e quella delle particelle meteoritiche crea un’illusione di concentrazione: le meteore sembrano arrivare in numero maggiore da una direzione specifica nel cielo, detta apice del moto terrestre (vedi fig.5).

Questo punto attraversa ogni giorno la volta celeste con un movimento analogo a quello del Sole e raggiunge il meridiano locale attorno alle 6 del mattino (tempo solare vero), generando così un massimo giornaliero della frequenza osservata. Simmetricamente, il minimo si verifica attorno alle 18.

Fig. 5: Rappresentazione dell’apice del moto terrestre rispetto all’eclittica e alla posizione di un osservatore sulla Terra.

Nel corso dell’anno, l’apice percorre l’eclittica, oscillando in declinazione: raggiunge valori massimi in primavera e minimi in autunno. Proprio in primavera, quindi, l’apice si trova a quote elevate (70–80° sull’orizzonte) durante il suo transito meridiano mattutino.

Fig. 6: Andamento dell’altezza del radiante sopra l’orizzonte nel corso dell’anno.

Le antenne utilizzate nella rete CARMELO sono caratterizzate da una discreta direttività, ed essendo fisse hanno un guadagno massimo concentrato in una specifica porzione di cielo. In particolare, la zona in cui l’antenna ha più guadagno nel ricevere i segnali radio riflessi dalle meteore è generalmente su declinazioni comprese tra 30° e +40° rispetto all’orizzonte. Questo comporta il fatto che le antenne della rete hanno meno sensibilità per meteore che si verificano ad altezze molto elevate nel cielo. E di conseguenza, quando l’apice del moto terrestre culmina in cielo ad alte declinazioni (vedi fig.7), come in primavera ed alle ore 6, le meteore che arrivano da quella direzione vengono intercettate con meno efficacia, con una conseguente riduzione delle rilevazioni proprio nel momento in cui, secondo la geometria, ci si attenderebbe il massimo di attività.

L’effetto risulta più evidente in primavera per due motivi principali:

  1. L’apice ha declinazioni più elevate.
  2. Il contributo meteorico è dominato dalle sporadiche, che rendono più “pulito” l’andamento sinusoidale.

Fig. 7: Posizione dell’apice del moto terrestre in primavera e in autunno.

Bibliografia:

Bollettino di Marzo

Introduzione

Marzo, come febbraio, è uno dei mesi meno attivi per quanto riguarda il passaggio di grossi sciami meteorici. In attesa del picco delle Liridi, previsto per la seconda metà di aprile, questo mese abbiamo concentrato la nostra attenzione su alcune considerazioni riguardanti il rumore radioelettrico.

I dati del mese di marzo

I grafici che seguono sono tratti da questa pagina: nelle ascisse è rappresentato il tempo, che è espresso in UT (Universal Time, Tempo Universale) oppure in longitudine solare (Solar Longitude) e le ordinate rappresentano il tasso orario (hourly rate), calcolato come il numero totale di eventi registrati dalla rete nell’ora diviso per il numero di ricevitori in funzione.
In fig.1, l’andamento dei segnali rilevati dai ricevitori per il mese di marzo.

Fig. 1: Andamento nel mese di marzo 2025.

Bollettino di Febbraio

Introduzione

Febbraio è uno dei mesi meno attivi dal punto di vista degli sciami meteorici. A differenza di gennaio, caratterizzato dal picco delle Quadrantidi, e di altri mesi con eventi più marcati, il periodo invernale centrale non presenta sciami di particolare rilievo. Tuttavia, l’osservazione radar permette di rilevare fenomeni altrimenti inosservabili, come i Daytime Showers, sciami meteorici il cui radiante è talmente vicino al Sole da non poter essere osservato con metodi ottici tradizionali. I dati raccolti dalla rete CARMELO nel mese di febbraio mostrano segnali compatibili con la presenza dello sciame delle χ-Capricornids (114 DXC).

I dati del mese di febbraio

I grafici che seguono sono tratti da questa pagina: nelle ascisse è rappresentato il tempo, che è espresso in UT (Universal Time, Tempo Universale) oppure in longitudine solare (Solar Longitude) e le ordinate rappresentano il tasso orario (hourly rate), calcolato come il numero totale di eventi registrati dalla rete nell’ora diviso per il numero di ricevitori in funzione.

In fig.1, l’andamento dei segnali rilevati dai ricevitori per il mese di febbraio.

Fig. 1: Andamento nel mese di febbraio 2025.

I Daytime Showers

I Daytime Showers sono sciami meteorici i cui radianti si trovano molto vicini alla posizione del Sole nel cielo, rendendoli impossibili da osservare con strumenti ottici. A differenza degli sciami notturni, che presentano radianti ben visibili sopra l’orizzonte nelle ore serali o notturne, i Daytime Showers possono essere rilevati quasi esclusivamente attraverso osservazioni radar (1, 2). I loro radianti si trovano tipicamente tra i 20° e i 30° a ovest del Sole e vengono identificati grazie alle tecniche di radio-forward scatter e radar.
L’assenza di osservazioni ottiche implica che le informazioni su questi sciami sono spesso limitate. Mentre gli sciami notturni più noti, come le Perseidi o le Geminidi, hanno tassi di attività ben documentati e parametri ben definiti, molti Daytime Showers restano ancora poco studiati. Alcuni di essi mostrano attività più elevate e sono stati rilevati anche da reti di video osservazioni, mentre altri hanno un’attività così debole da rendere difficile una loro caratterizzazione precisa.
Le osservazioni radar degli ultimi decenni hanno comunque permesso di mappare i principali sciami diurni e di riconoscerne l’attività in periodi specifici dell’anno. Tra i più noti (2) vi sono quello delle Arietids (171 ARI), attivo tra maggio e giugno (3), e quello delle Sextantids (221 DSX), attivo tra settembre e ottobre. Nel periodo invernale, invece, l’attività dei Daytime Showers è generalmente più bassa, con sciami minori che mostrano un’attività difficilmente distinguibile dal rumore di fondo.
L’analisi di questi sciami è però importante per comprendere meglio la distribuzione e le caratteristiche della popolazione di meteoroidi nel Sistema Solare. Sebbene la loro attività sia spesso inferiore rispetto agli sciami principali, il loro studio permette di affinare i modelli di flusso meteorico e migliorare la nostra comprensione della dinamica delle particelle interplanetarie.

Le χ-Capricornids (114 DXC)

Le χ-Capricornids (114 DXC) sono uno sciame meteorico diurno attivo tra il 29 gennaio e il 28 febbraio, con un massimo previsto intorno al 13 febbraio alla longitudine solare 324.5° (2). Questo sciame è stato individuato grazie a osservazioni radar, poiché la vicinanza del suo radiante al Sole ne impedisce la rilevazione ottica tradizionale. L’attività dello sciame è classificata come bassa, con una distribuzione di meteoroidi caratterizzata da masse ridotte e velocità relativamente basse.
Il radiante delle χ-Capricornids sorge intorno alle 6:30 e tramonta intorno alle 14:30 (ora locale in Italia), limitando così la finestra temporale utile per la loro osservazione radar. A causa della loro bassa attività, non si registrano aumenti significativi nell’intensità dei segnali radio né variazioni rilevanti nella durata degli echi rilevati. Tuttavia, le osservazioni condotte nel corso degli anni hanno mostrato che questo sciame è compatibile con i dati raccolti, suggerendo che una frazione delle meteore rilevate possa effettivamente appartenere alle χ-Capricornids.
Studi precedenti, tra cui quelli riportati da Jürgen Rendtel nel 2014 (2), indicano che la popolazione di meteoroidi appartenente alle χ-Capricornids potrebbe derivare da una sorgente progenitrice non ancora identificata con certezza. Il fatto che le meteore osservate abbiano una scarsa intensità e brevi echi radio suggerisce che i frammenti siano il risultato di un processo di erosione prolungato, piuttosto che di un evento di frammentazione recente.
I dati raccolti dalla rete CARMELO nel mese di febbraio mostrano segnali compatibili con la presenza del χ-Capricornids. Tuttavia, l’assenza di picchi significativi di intensità del segnale e di variazioni nella durata degli echi suggerisce che lo sciame, se effettivamente il segnale è presente, sia composto prevalentemente da meteoroidi di piccola massa e bassa velocità.
In fig.2, il rettangolo grigio evidenzia la finestra di visibilità del radiante sopra l’orizzonte in Italia.
Analizzando il tasso orario di eventi e la potenza massima del segnale (Max Power), si nota un’assenza di fluttuazioni marcate attorno al massimo atteso. Questo comportamento conferma la bassa attività dello sciame, ma la compatibilità dei dati con le previsioni suggerisce comunque che una parte delle meteore rilevate possa effettivamente appartenere al χ-Capricornids.

Fig. 2: Compatibilità delle osservazioni CARMELO con la presenza dello sciame delle χ-Capricornids.

Il Bollettino di Gennaio

Introduzione

Il mese di gennaio si apre con il picco delle Quadrantidi, che è lo sciame principale e dominante di tutto il mese, per il resto interessato solo dal passaggio di piogge minori. Il picco delle Quadrantidi si è verificato il 3 gennaio.

I dati del mese di gennaio

I grafici che seguono sono tratti da questa pagina: nelle ascisse è rappresentato il tempo, che è espresso in UT (Universal Time, Tempo Universale) oppure in longitudine solare (Solar Longitude) e le ordinate rappresentano il tasso orario (hourly rate), calcolato come il numero totale di eventi registrati dalla rete nell’ora diviso per il numero di ricevitori in funzione.
In fig.1, l’andamento dei segnali rilevati dai ricevitori per il mese di gennaio.

Fig. 1: Andamento nel mese di gennaio 2025.

Le Quadrantidi

Tra le piogge meteoriche annuali, le Quadrantidi di gennaio si distinguono solitamente per la loro intensità, raggiungendo picchi di attività compresi tra 60 e 200 meteore all’ora. Nonostante ciò, rimangono meno conosciute rispetto ad altri sciami più celebri, come le Perseidi o le Geminidi. La loro minore notorietà è dovuta anche al brevissimo picco di attività, che dura circa 24 ore.

Il radiante delle Quadrantidi si trova nella costellazione di Boote, in una posizione piuttosto bassa nel cielo settentrionale, tra la testa del Dragone e il timone del Grande Carro. Il nome deriva da Quadrans Muralis, un’antica costellazione creata nel 1795 dall’astronomo francese Jérôme Lalande che includeva parti del Boote e del Dragone, e che non rientra nella lista delle 88 costellazioni stilata dall’Unione Astronomica Internazionale (IAU) nel 1922 e pubblicata nel 1930 (1).

L’origine di questo sciame resta un argomento dibattuto. Nel 2003, a seguito di una campagna osservativa sui corpi minori del Sistema Solare, l’astronomo Peter Jenniskens trovò un possibile corpo progenitore delle Quadrantidi nell’asteroide Near Earth (196256) 2003 EH1, un’ipotesi che le renderebbe uno dei pochi sciami meteorici derivanti da un asteroide e non da una cometa, analogamente alle Geminidi di dicembre (2). Da allora, 2003 E1 è considerato il corpo progenitore più probabile delle Quadrantidi. Esso potrebbe essere a sua volta un frammento della cometa C/1490 Y1 , che è stata osservata da astronomi cinesi, giapponesi e coreani poco più di 500 anni fa, nel 1490 (3).

Quest’anno, il picco massimo delle Quadrantidi era previsto il 3 gennaio alla longitudine solare 283.2°, corrispondente alle 17 UT. A quell’ora tuttavia il radiante dello sciame si trovava troppo basso sull’orizzonte per un corretto rilevamento. La rete CARMELO ha rilevato la massima attività alle 3 UT del 3 gennaio alla longitudine solare 286.6°, quando il tasso orario è stato di 224, e il radiante delle Quadrantidi era alto in cielo a Nord-Est (fig.2, con evidenziate con i tratti neri in basso le ore del giorno in cui il radiante si trovava sufficientemente in alto sopra l’orizzonte per l’osservazione).

Fig. 2: Picco di massima attività dello sciame delle Quadrantidi il 3 gennaio rilevato alla longitudine solare 282.6°, e picco atteso a 283.2° quando il radiante era troppo basso sull’orizzonte.

La composizione delle Quadrantidi

Il grafico che segue in fig.3 è un confronto tra il tasso orario e la durata media degli echi meteorici nei giorni intorno al picco di attività delle Quadrantidi.

Si noti come i tre picchi del 3 e 4 gennaio nei due grafici siano molto diversi: il picco centrale, intorno alla longitudine solare 283° corrispondente alle ore 13 UT del 3 gennaio, ha echi molto più lunghi; la durata media raggiunge anche il mezzo secondo.

Fig. 3: Confronto tra il tasso orario e la durata media degli echi meteorici tra l’1 e il 6 gennaio.

Questa osservazione ci dice molto sulla composizione di questo sciame. Infatti, la durata di un’eco radio dipende dal tempo impiegato dalla meteora a dissolversi: quanto maggiore è il numero degli atomi ionizzati (ioni ed elettroni liberi), tanto più tempo dura il processo di deionizzazione. Il numero degli atomi ionizzati, o densità del plasma, è proporzionale all’energia cinetica dei corpi impattanti contro le prime molecole della ionosfera: più lo scontro è energetico, più atomi si disintegrano, e quindi più la radiometeora è densa.

Noi sappiamo che l’energia cinetica è data da: E = mv*v/2

e sappiamo che tutte le meteore appartenenti a uno stesso sciame viaggiano tutte alla stessa velocità v. Se ne deduce quindi che l’unico parametro che varia è m, cioè la massa.

Il grafico mostra quindi che lo sciame delle Quadrantidi può essere descritto come un cilindro avente all’esterno un “guscio” di meteore più piccole, e all’interno un filamento di meteore più grosse. Questa caratteristica è tipica degli sciami relativamente giovani (in tempi astronomici, ovviamente). Col trascorrere del tempo, infatti, questa composizione tende a cambiare, sia per l’effetto delle interazioni gravitazionali con i pianeti maggiori del Sistema Solare, sia per la pressione della radiazione solare che tende a spostare le particelle più massicce verso l’esterno dello sciame, generando quindi una conformazione non più simmetrica.

Da notare come nel grafico in basso in fig.3, il picco di aumento di densità verso la longitudine solare 284° (tra il 4 e il 5 gennaio) non sia un falso positivo, o un errore del sistema. Era presente anche al passaggio delle Quadrantidi nel gennaio 2023 e rilevato da CARMELO (4).

La strumentazione

La rete CARMELO è costituita da ricevitori radio SDR. In essi un microprocessore (Raspberry) svolge simultaneamente tre funzioni:
1) Pilotando un dongle, sintonizza la frequenza su cui trasmette il trasmettitore e si sintonizza come una radio, campiona il segnale radioelettrico e tramite la FFT (Fast Fourier Trasform) misura frequenza e potenza ricevuta.
2) Analizzando il dato ricevuto per ogni pacchetto, individua gli echi meteorici e scarta falsi positivi e interferenze.
3) Compila un file contenente il log dell’evento e lo spedisce ad un server.
I dati sono tutti generati da un medesimo standard, e sono pertanto omogenei e confrontabili. Un singolo ricevitore può essere assemblato con pochi dispositivi il cui costo attuale complessivo è di circa 210 euro.
Per partecipare alla rete leggi le istruzioni a questa pagina.

La rete CARMELO

La rete è attualmente composta da 14 ricevitori di cui 13 funzionanti, dislocati in Italia, Regno Unito, Croazia e USA. I ricevitori europei sono sintonizzati sulla frequenza della stazione radar Graves in Francia, pari a 143.050 MHz. Partecipano alla rete:
• Lorenzo Barbieri, Budrio (BO) ITA
• Associazione Astrofili Bolognesi, Bologna ITA
• Associazione Astrofili Bolognesi, Medelana (BO) ITA
• Paolo Fontana, Castenaso (BO) ITA
• Paolo Fontana, Belluno (BL) ITA
• Associazione Astrofili Pisani, Orciatico (PI) ITA
• Gruppo Astrofili Persicetani, San Giovanni in Persiceto (BO) ITA
• Roberto Nesci, Foligno (PG) ITA
• MarSEC, Marana di Crespadoro (VI) ITA
• Gruppo Astrofili Vicentini, Arcugnano (VI) ITA
• Associazione Ravennate Astrofili Theyta, Ravenna (RA) ITA
• Akademsko Astronomsko Društvo, Rijeka CRO
• Mike German a Hayfield, Derbyshire UK
• Mike Otte, Pearl City, Illinois USA
L’auspicio degli autori è che la rete possa espandersi sia quantitativamente che geograficamente, permettendo così la produzione di dati di miglior qualità.

Bibliografia:

  1. Eugène Delporte (1930), IAU: “Délimitation Scientifique des Constellations”. At the University Press
  2. Peter Jenniskens (2004): “2003 EH_1 and the Quadrantid shower”. WGN, Journal of the International Meteor Organization, vol. 32, no.1, p.7-10
  3. Ki-Won Lee et al. (2009): “Orbital Elements of Comet C/1490 Y1 and the Quadrantid shower”. Monthly Notices of the Royal Astronomical Society, vol. 400
  4. Lorenzo Barbieri (2023): “The 2023 Quadrantidis”. eMeteorNews

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L’Asteroide 2025 KF transiterà in sicurezza tra la Terra e la Luna

Il 21 maggio 2025, un asteroide delle dimensioni di una casa, denominato 2025 KF, effettuerà un passaggio ravvicinato alla Terra, transitando tra il nostro pianeta e la Luna. Secondo la NASA, l’asteroide passerà a circa 115.000 chilometri dalla Terra, ovvero meno di un terzo della distanza media tra la Terra e la Luna

Caratteristiche dell’asteroide 2025 KF

  • Dimensioni: tra 10 e 23 metri di diametro, paragonabili a quelle di una casa
  • Velocità: circa 41.650 km/h
  • Distanza minima dalla Terra: 115.000 km
  • Distanza minima dalla Luna: circa 226.666 km
  • Data e ora del passaggio: 21 maggio 2025 alle 19:30 ora italiana (17:30 GMT)
  • Scoperta: 19 maggio 2025 dagli astronomi del progetto MAP nel deserto di Atacama, Cile

Nonostante la sua vicinanza, 2025 KF non rappresenta una minaccia per la Terra o la Luna. Anche in caso di impatto, la sua piccola dimensione lo farebbe disintegrare nell’atmosfera terrestre, senza causare danni al suolo

Osservazione dell’evento

Sebbene l’asteroide sia troppo piccolo e veloce per essere visibile a occhio nudo, gli appassionati di astronomia possono tentare di osservarlo con telescopi adeguati. Per chi desidera approfondire l’osservazione del cielo, esistono diverse opzioni di telescopi disponibili sul mercato.


Importanza del monitoraggio degli asteroidi

Eventi come il passaggio di 2025 KF evidenziano l’importanza del monitoraggio continuo degli oggetti vicini alla Terra (NEO). La scoperta dell’asteroide solo due giorni prima del suo passaggio sottolinea la necessità di migliorare le capacità di rilevamento e tracciamento di questi corpi celesti. Attualmente, la NASA e altre agenzie spaziali monitorano migliaia di NEO per valutare potenziali rischi e sviluppare strategie di difesa planetaria.

Il passaggio è descritto qui

Fonte: Space.com

CAMPIONATI ITALIANI DI ASTRONOMIA: I VINCITORI E LA SQUADRA AZZURRA

I componenti della squadra italiana che parteciperà alle IV IOAA JUNIOR (𝐼𝑛𝑡𝑒𝑟𝑛𝑎𝑡𝑖𝑜𝑛𝑎𝑙 𝑂𝑙𝑦𝑚𝑝𝑖𝑎𝑑 𝑜𝑛 𝐴𝑠𝑡𝑟𝑜𝑛𝑜𝑚𝑦 𝑎𝑛𝑑 𝐴𝑠𝑡𝑟𝑜𝑝ℎ𝑦𝑠𝑖𝑐𝑠) a Piatra Neamt, (Romania) dal 18 al 25 ottobre, sono: Palumbo Gaia, Costantini Ettore, Fabi Alessandro, Rucco Luca, Barberi Davide. I componenti della squadra italiana che parteciperà alle XVIII IOAA (𝐼𝑛𝑡𝑒𝑟𝑛𝑎𝑡𝑖𝑜𝑛𝑎𝑙 𝑂𝑙𝑦𝑚𝑝𝑖𝑎𝑑 𝑜𝑛 𝐴𝑠𝑡𝑟𝑜𝑛𝑜𝑚𝑦 𝑎𝑛𝑑 𝐴𝑠𝑡𝑟𝑜𝑝ℎ𝑦𝑠𝑖𝑐𝑠) a Mumbai (india) dal 11 al 21 agosto, sono: Lambertini Gabriele, Leccese Francesco, Trunfio Ilenia, Brunetta Riccardo, Cusimano Andrea. Crediti INAF

Diciotto giovani studenti e studentesse premiati con la Medaglia Margherita Hack dopo la Finale che si è svolta in Abruzzo dal 6 all’8 maggio. Dieci di loro sono stati convocati a rappresentare l’Italia alle due competizioni delle Olimpiadi Internazionali di Astronomia e Astrofisica 2025, in India e Romania.

TERAMO, 09 maggio 2025 – Si è chiusa, con la cerimonia di premiazione a Giulianova (TE), la Finale della XXIII edizione dei Campionati Italiani di Astronomia, che dal 6 all’8 maggio ha coinvolto in Abruzzo 90 finalisti selezionati da un totale di 9754 studenti provenienti da 326 scuole (comprese cinque scuole italiane all’estero). Dopo intense prove pratiche e teoriche, sono stati proclamati i diciotto vincitori nazionali e selezionati poi i dieci membri delle due rappresentanze azzurre (divise per età) che parteciperanno alle Olimpiadi Internazionali di Astronomia e Astrofisica 2025, appuntamento prestigioso che riunisce i migliori giovani studenti del mondo: la competizione si terrà a Mumbai, in India, dall’11 al 21 agosto, mentre per la categoria Junior l’evento è in programma dal 18 al 25 ottobre a Piatra Neamț, in Romania. 

Promossa dal Ministero dell’Istruzione e del Merito, la competizione è organizzata dalla Società Astronomica Italiana (SAIt) e dall’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF). La fase di preselezione si è svolta il 18 dicembre 2024, la gara interregionale il 26 e 27 febbraio 2025. A seguito dei risultati della gara interregionale sono stati selezionati i finalisti (22 nella categoria Junior 1, 22 nella categoria Junior 2, 32 nella categoria Senior e 14 nella categoria Master). Le prove si sono svolte il 7 maggio presso il Liceo Statale “A. Einstein” di Teramo in Abruzzo e hanno previsto una sessione teorica e una pratica, con quesiti su astronomia, astrofisica, cosmologia, fisica moderna e analisi dati. Tutti problemi di difficoltà e contenuti diversi a seconda della categoria.

I 90 finalisti durante la prova teorica della Finale Nazionale dei XXIII Campionati Italiani di Astronomia, che si è svolta lo scorso 7 maggio presso il Liceo Scientifico Statale “A. Crediti: INAF

Patrizia Caraveo, presidente della Società Astronomica Italiana, afferma: “Questa edizione ha confermato l’entusiasmo con cui i giovani si avvicinano all’astronomia, affrontando con passione e competenza prove complesse e multidisciplinari. È la dimostrazione che la scienza, quando proposta in modo coinvolgente, sa accendere curiosità autentica. I Campionati Italiani di Astronomia continuano a essere un’occasione preziosa per far emergere talenti e stimolare il pensiero critico. Noto con piacere che sono numerosi i partecipanti che ‘ritornano’ a cimentarsi nei campionati in categorie superiori, segno che l’esperienza nelle passate edizioni ha acceso il loro interesse nonostante l’astronomia non sia parte del curriculum scolastico. Il successo della manifestazione conferma il  potenziale formativo e culturale dell’astronomia, una scienza antichissima ma estremamente attuale che è  in grado di connettere il cielo alle sfide del futuro”.

Al termine della Finale sono stati premiati cinque studenti e studentesse per ciascuna delle categorie Junior 1, Junior 2 e Senior, e tre per la categoria Master. A tutti è stata conferita la “Medaglia Margherita Hack” per l’edizione 2025 e i loro nomi saranno inseriti nell’Albo Nazionale delle Eccellenze. Inoltre, ai diciotto studenti che si sono classificati immediatamente dopo i vincitori è stato assegnato un diploma di merito, in riconoscimento dei risultati di rilievo conseguiti durante la competizione. La giuria ha infine assegnato due menzioni speciali.

Le valutazioni sono state affidate a una giuria composta da esperti INAF e SAIt: Gaetano Valentini (Presidente), INAF – Osservatorio Astronomico d’Abruzzo, Giuseppe Cutispoto (Segretario), INAF – Osservatorio Astrofisico di Catania, Silvia Galleti, INAF – Osservatorio di Astrofisica e Scienza dello Spazio di Bologna, Giulia Iafrate, INAF – Osservatorio Astronomico di Trieste, Marco Lucente, INAF – Istituto di Astrofisica e Planetologia Spaziali di Roma, Angela Misiano, SAIt – Planetario di Reggio Calabria, Agatino Rifatto, INAF – Osservatorio Astronomico di Capodimonte di Napoli, Daniele Spiga, INAF – Osservatorio Astronomico di Brera – Milano

Questa XXIII edizione si conferma tra le più partecipate degli ultimi anni, e Teramo – con il suo storico Osservatorio Astronomico D’Abruzzo e le sue scuole – ha saputo accogliere con entusiasmo e competenza questa grande sfida scientifica e formativa.

Vincitori dei XXIII Campionati Italiani di Astronomia – medaglia M. Hack

I diciotto vincitori della Finale Nazionale dei XXIII Campionati Italiani di Astronomia, che si sono svolti dal 6 all’8 maggio 2025 a Teramo-Giulianova (Abruzzo). Da sinistra in piedi: Palumbo Gaia, Trunfio Ilenia, Bortoluzzi Nicola, Lambertini Gabriele, Leccese Francesco, Di Maria Luca, Dandrea Giulio, Costantini Ettore, Fabi Alessandro, Barberi Davide. Da sinistra davanti: Cerrano Matteo, Matarazzi Rachele Pia, Di Egidio Irene, Di Silvestro Andrea, De Paoli Chiara. Nella foto sono assenti Rucco Luca, Brunetta Riccardo, Cusimano Andrea.
Crediti: INAF

Categoria Junior 1

  • Cerrano Matteo, Istituto Comprensivo Statale “Biancheri” – Ventimiglia (IM);
  • Di Silvestro Andrea, Istituto Compr. Statale “De Amicis – Don Milani” – Randazzo (CT);
  • De Paoli Chiara, Istituto Comprensivo Statale “Torre” – Pordenone;
  • Di Egidio Irene, Ist. Comp. Statale “Savini – San Giuseppe – San Giorgio” – Teramo;
  • Matarazzi Rachele Pia, Istit. Compr. Statale “F. Jerace – Capoluogo Brogna” – Polistena (RC).

Categoria Junior 2

  • Palumbo Gaia, Liceo Scientifico Statale “Leonardo da Vinci” – Reggio Calabria;
  • Costantini Ettore, Licei “Ampezzo e Cadore” – Cortina d’Ampezzo (BL);
  • Fabi Alessandro, Liceo Scientifico e delle S.A. Statale “P. Ruffini” – Viterbo;
  • Rucco Luca, Liceo Scientifico e delle S.A. Statale “E. Fermi” – Aversa (CE);
  • Barberi Davide, Liceo Scientifico Statale “Leonardo da Vinci” – Reggio Calabria.

Categoria Senior

  • Lambertini Gabriele, Liceo Scientifico e delle S.A. Statale “G. Bruno” – Budrio (BO);
  • Leccese Francesco, Liceo Scientifico Statale “G. Banzi Bazoli” – Lecce;
  • Bortoluzzi Nicola, Liceo Scientifico e delle S.A. Statale “Galilei – Tiziano” – Belluno;
  • Dandrea Giulio, Liceo Scientifico Statale “E. Fermi” – Pieve di Cadore (BL);
  • Di Maria Luca, Liceo Scientifico e delle S.A. Statale “E. Fermi” – Arona (NO).

Categoria Master

  • Trunfio Ilenia, Liceo Scientifico Statale “Leonardo da Vinci” – Reggio Calabria;
  • Brunetta Riccardo, Liceo Scientifico Statale “Leopardi – Majorana” – Pordenone;
  • Cusimano Andrea, Liceo Scientifico Statale “T. Levi Civita” – Roma.

Diplomi di Merito

Categoria Junior 1

  • Chemello Samuele, Istituto Comprensivo Statale di Vergiate – Vergiate (VA);
  • Bascià Gabriele, Ist. Compr. Statale “Carducci – Vittorino da Feltre” – Reggio Calabria;
  • Ciccone Thomas, Istituto Comprensivo Statale “Centro” – Casalecchio di Reno (BO);
  • Danaro Antonio, Istituto Compr. Statale “Giovanni XXIII” – Villa San Giovanni (RC);
  • Morgese Cristina, Istituto Comprensivo Statale “Poggiofranco -T. Fiore” – Bari.

Categoria Junior 2

  • Iorfida Andrea, Liceo Scientifico Statale “Aristotele” – Roma;
  • Tropenscovino Francesco, Liceo Scientifico Statale “T. Mamiani” – Roma;
  • Rosiello Marco, Liceo Scientifico Statale “A. Righi” – Roma;
  • Montalto Alessio, Liceo Scientifico Statale “P. Ruggieri” – Marsala (TP);
  • D’Argento Giovanni, Liceo Scientifico Statale “E. Fermi” – Bari.

Categoria Senior

  • Dolcin Matteo, Liceo Scientifico e delle S.A. Statale “A. Zanelli” – Reggio Emilia;
  • Pampersi Gianni, Liceo Scientifico Statale “G. Galilei” – Civitavecchia (RM);
  • Di Cicco Riccardo, Liceo Scientifico Statale “Galileo Ferraris” – Torino;
  • Manetti Francesco, Liceo Scientifico e delle S.A. Statale “G. Marconi” – Carrara;
  • Wang Andrea Zihan, Liceo Scientifico e delle S.A. Statale “P. Frisi” – Monza.

Categoria Master

  • Grillo Tiziano, Liceo Scientifico Statale “A. Moro” – Reggio Emilia;
  • Cerulli Alessandro, Liceo Scientifico e delle S.A. Statale “A. Gatto” – Agropoli (SA);
  • Paganelli Damiano, Liceo Scientifico Statale “Wiligelmo” – Modena.

Menzioni Speciali

  • Leccese Francesco, per la miglior prova teorica;
  • Liotta Vittorio, per la miglior prova pratica.

Squadra Italiana alle Olimpiadi Internazionali di Astronomia e Astrofisica 2025

IV IOAA Junior, Piatra Neamț (Romania) dal 18 al 25 ottobre 2025

  • Palumbo Gaia (Junior 2), Liceo Scientifico Statale “Leonardo da Vinci” – Reggio Calabria;
  • Costantini Ettore (Junior 2), Licei “Ampezzo e Cadore” – Cortina d’Ampezzo (BL);
  • Fabi Alessandro (Junior 2), Liceo Scientifico e delle S.A. Statale “P. Ruffini” – Viterbo;
  • Rucco Luca (Junior 2), Liceo Scientifico e delle S.A. Statale “E. Fermi” – Aversa (CE);
  • Barberi Davide (Junior 2), Liceo Scientifico Statale “Leonardo da Vinci” – Reggio Calabria.

XVIII IOAA, Mumbai (India) dal 11 al 21 agosto 2025

  • Lambertini Gabriele (Senior), Liceo Scientifico e delle S.A. Statale “G. Bruno” – Budrio (BO);
  • Leccese Francesco (Senior), Liceo Scientifico Statale “G. Banzi Bazoli” – Lecce;
  • Trunfio Ilenia (Master), Liceo Scientifico Statale “Leonardo da Vinci” – Reggio Calabria;
  • Brunetta Riccardo (Master), Liceo Scientifico Statale “Leopardi – Majorana” – Pordenone;
  • Cusimano Andrea (Master), Liceo Scientifico Statale “T. Levi Civita” – Roma.

Fonte: MEDIA INAF

EINSTEIN TELESCOPE: INAUGURATO A FIRENZE IL LABORATORIO DI OTTICA ADATTIVA ADONI-ET

Crediti: INAF / INFN / ET Italy

Firenze, 13 maggio 2025 – Nel quadro del progetto PNRR ETIC è stato inaugurato, martedì 13 maggio, il laboratorio di ottica adattiva ADONI-ET all’Osservatorio Astrofisico di Arcetri, la sede fiorentina dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF). L’evento inaugurale è stato aperto dai saluti istituzionali di Simone Esposito, direttore dell’INAF di Arcetri, e Giovanni Passaleva, direttore della sezione di Firenze dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN). A seguire, prima del tradizionale taglio del nastro, Michele Punturo, coordinatore scientifico del progetto ETIC e responsabile internazionale di Einstein Telescope, e Armando Riccardi, responsabile di ADONI-ET, hanno illustrato rispettivamente le sfide del progetto ET e del nuovo laboratorio di ottica adattiva.

Crediti: INAF / INFN / ET Italy

La realizzazione del laboratorio ADONI-ET rientra nel progetto Einstein Telescope Infrastructure Consortium (ETIC), finanziato dal Ministero dell’Università e della Ricerca (MUR), nell’ambito della Missione 4 del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), di cui l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) è capofila. 

INAF partecipa al progetto PNRR ETIC attraverso il laboratorio nazionale per ottiche adattive ADONI, che ha nella propria missione il trasferimento delle tecnologie adattive sviluppate per i telescopi ottici in altri campi scientifici.

Nel campo degli interferometri gravitazionali come l’Einstein Telescope, l’obiettivo del laboratorio ADONI-ET è studiare un concetto innovativo per la correzione degli specchi di ET, che utilizza fasci infrarossi per controllare la forma di un elemento correttore mediante il riscaldamento locale. È previsto che il sistema funzioni in ciclo chiuso, regolando il riscaldamento locale utilizzando le informazioni di un canale di misura che verifica la forma effettiva degli specchi da controllare.

Crediti: INAF / INFN / ET Italy

«Il laboratorio, progettato e realizzato grazie ai fondi del PNRR-ETIC, nasce dall’esperienza consolidata dell’Istituto Nazionale di Astrofisica e del suo laboratorio ADONI, punto di riferimento a livello nazionale e internazionale nel campo dell’ottica adattiva per applicazioni astronomiche», sottolinea il direttore di INAF Arcetri Simone Esposito. «Le tecniche sviluppate in questo ambito trovano nuova applicazione nel controllo dei fasci ottici degli interferometri gravitazionali. Il programma PNRR-ETIC ha quindi offerto un impulso molto importante allo sviluppo multidisciplinare dell’ottica adattiva, estendendone l’uso a strumenti scientifici d’avanguardia come gli interferometri gravitazionali».

«Come direttore della Sezione INFN di Firenze, sono particolarmente felice e orgoglioso dell’inizio delle attività del laboratorio ETIC-ADONI, presso l’Osservatorio di Arcetri. ETIC-ADONI è stato finanziato nell’ambito del progetto PNRR ETIC, con capofila l’INFN, che si occupa dello studio di fattibilità e della caratterizzazione del sito italiano candidato a ospitare Einstein Telescope e della creazione di una rete di laboratori di ricerca per lo sviluppo delle tecnologie che saranno adottate dal nuovo osservatorio gravitazionale, coinvolgendo molte università ed enti di ricerca italiani, tra cui l’INAF», aggiunge il direttore di INFN Firenze Giovanni Passaleva. «L’INAF è un partner fondamentale per ETIC e con il laboratorio ETIC-ADONI giocherà un ruolo chiave, trasferendo le proprie competenze di eccellenza nell’ottica adattiva nell’ambito della ricerca sulle onde gravitazionali. Si aggiunge così un altro tassello all’eccellenza della ricerca fiorentina, che vede INFN e INAF collaborare insieme a uno dei progetti scientifici più importanti e rivoluzionari dei prossimi decenni, sulla storica collina di Arcetri che ospitò giganti della scienza come Galileo, Fermi, Occhialini, Hack e Pacini».

«I segnali generati dalle onde gravitazionali sono talmente deboli da richiedere strumenti perfettamente isolati e privi di distorsioni ottiche, per evitare che gli effetti di tali “imperfezioni” riducano drasticamente la sensibilità della detezione. Questo è particolarmente vero per l’Einstein Telescope, che si propone di aumentare di un ordine di grandezza la sensibilità rispetto all’attuale generazione di telescopi gravitazionali (LIGO, Virgo), richiedendo soluzioni innovative per il controllo del sistema. In particolare ogni differenza delle ottiche del fascio di misura dalla loro forma ideale, che sia un inevitabile residuo di fabbricazione o una deformazione dovuta alla variazione della loro temperatura, deve essere compensata. L’ottica adattiva ha esattamente questo scopo: agire con un elemento correttore all’interno del sistema per compensare gli effetti delle deformazioni delle ottiche in tempo reale», spiega il responsabile di ADONI-ET Armando Riccardi. «Il laboratorio ADONI-ET, presso l’Osservatorio Astrofisico di Arcetri, ha lo scopo di trasferire l’esperienza acquisita in INAF con le tecniche di ottica adattiva, per la correzione degli effetti della turbolenza atmosferica sulle immagini astronomiche, a Einstein Telescope. In particolare, nel laboratorio stiamo sviluppando e verificheremo la capacità di uno specchio deformabile di modulare la luce di un laser di potenza, per variare la mappa di temperatura di un’ottica da utilizzare come elemento correttore dei fasci di misura di ET (compensation plate) e verificare che le distorsioni del fronte d’onda ottenute siano in accordo con le accuratezze richieste da questo formidabile strumento per la detezione delle onde gravitazionali».

Con questo progetto del laboratorio ADONIINAF si candida concretamente a contribuire allo sviluppo di un sistema adattivo per ET anche attraverso la formazione di giovani ricercatrici e ricercatori.

Il consorzio ETIC è composto da quattordici università ed enti di ricerca italiani, con l’obiettivo di sostenere la candidatura italiana a ospitare il futuro osservatorio di onde gravitazionali di nuova generazione Einstein Telescope (ET), una delle più grandi e ambiziose infrastrutture di ricerca che saranno costruite in Europa nei prossimi decenni, incluso nella roadmap di ESFRI (European Strategy Forum on Research Infrastructure), l’organismo che indica su quali infrastrutture scientifiche è decisivo investire in Europa.

A fronte di un investimento totale di 50 milioni di euro, le attività di ETIC si stanno concentrando, da un lato, sulla caratterizzazione del sito candidato a ospitare ET, nell’area intorno alla miniera dismessa di Sos Enattos, nel Nuorese, in Sardegna, e dall’altro sulla realizzazione o potenziamento di una rete di laboratori di ricerca per lo sviluppo delle tecnologie che saranno adottate dal nuovo osservatorio gravitazionale.

Fonte: MEDIA INAF

Venti Estremi dal Quasar PDS 456: Nuovi Dati da XRISM

Grazie al satellite XRISM e allo spettrometro ad alta risoluzione Resolve, un team internazionale di scienziati – con il contributo dell’Università di Roma Tor Vergata  e dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) – ha osservato per la prima volta una tempesta cosmica generata da un buco nero supermassiccio, rivelando cinque distinti flussi di plasma espulsi a velocità pari al 20–30% della velocità della luce. La scoperta è stata pubblicata oggi su Nature.

Roma, 14 maggio 2025 – Immaginate una tempesta colossale che si scatena appena al di fuori di un buco nero supermassiccio: è proprio ciò che ha rivelato Resolve, il nuovo spettrometro ad altissima risoluzione nei raggi X a bordo del satellite XRISM, nel contesto di una missione spaziale guidata dall’agenzia spaziale JAXA (Giappone), con la partecipazione di NASA (Stati Uniti) ed ESA (Europa).

Grazie ai dati ad altissima precisione di XRISM, è stato possibile – per la prima volta – identificare cinque componenti distinte di questo vento nel cuore del quasar PDS 456, ognuna espulsa dal buco nero centrale a velocità relativistiche, comprese tra il 20% e il 30% della velocità della luce. Per fare un confronto, basti pensare che le tempeste più violente sulla Terra – come un uragano di categoria 5 – raggiungono al massimo 300 km/h. Questa “tempesta cosmica” è milioni di volte più veloce.

Lo studio nato da questa collaborazione internazionale (JAXA, NASA, ESA) nell’ambito della missione XRISM, a cui partecipano anche ricercatrici e ricercatori dell’Università di Roma Tor Vergata e dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), è pubblicato oggi sulla rivista internazionale Nature, con un articolo dal titolo “Structured ionized winds shooting out from a quasar at relativistic speeds”, che evidenzia la scoperta di cinque distinti flussi di plasma che fuoriescono dal disco di accrescimento del buco nero centrale a velocità estreme, pari al 20–30% di quella della luce.
 
“Il nostro gruppo ha giocato un ruolo chiave nell’interpretazione di questi dati, grazie a tecniche spettroscopiche avanzate nei raggi X e a modelli teorici innovativi per la fisica dei venti prodotti dai buchi neri.  Questi risultati aprono una nuova finestra sullo studio dell’universo estremo, e gettano le basi per comprendere meglio come i buchi neri influenzano l’evoluzione delle galassie”.  Commenta così
Francesco Tombesi, professore associato di Astrofisica presso il dipartimento di Fisica dell’università di Roma Tor Vergata e associato INAF. In qualità di XRISM Guest Scientist selezionato dall’ESA (uno dei soli due in Italia insieme a James Reeves, associato INAF), Tombesi ha partecipato alla pianificazione e all’analisi dell’osservazione del quasar PDS 456, il più luminoso dell’universo locale, utilizzando il nuovo spettrometro ad alta risoluzione Resolve.

Roma Tor Vergata ha avuto un ruolo di primo piano – prosegue Tombesi – anche grazie al contributo di due giovani ricercatori cresciuti all’interno del nostro Ateneo: Pierpaolo Condò, dottorando al secondo anno del PhD in Astronomy, Astrophysics and Space Science (AASS), e Alfredo Luminari, ricercatore post-doc presso INAF ed ex dottorando AASS”.

Un’energia così enorme e una struttura così complessa rivoluzionano la nostra comprensione dell’ambiente estremo intorno ai buchi neri supermassicci e mettono in seria discussione i modelli attuali di feedback tra buco nero e galassia. “Le teorie finora accettate – conclude Tombesi – non riescono a spiegare una simile combinazione di forza e frammentazione: è chiaro che serviranno nuovi modelli per descrivere questi mostri cosmici”.

PDS456 è un laboratorio prezioso per studiare nell’universo locale i potentissimi venti prodotti dai buchi neri supermassivi. Questa nuova osservazione ci ha permesso di misurare la geometria e distribuzione in velocità del vento con un livello di dettagli impensabile prima dell’avvento di XRISM”, aggiunge Valentina Braito, ricercatrice INAF a Milano.

Un ruolo vincente all’interno della campagna osservativa di PDS456 lo ha avuto ancora una volta l’osservatorio spaziale Neil Gehrels Swift, satellite NASA con una importante partecipazione dell’INAF con l’Agenzia Spaziale Italiana (ASI). È stato infatti grazie a un programma osservativo Swift – ottenuto da Valentina Braito – che il team è riuscito a costruire i modelli specifici per PDS456 utilizzati nell’analisi dei dati XRISM. 

Fonte: MEDIA INAF



Nuove Mappe Gravitazionali della Luna e di Vesta

In questa illustrazione artistica è rappresentato l’interno caldo della Luna e l’intensa attività vulcanica che si ritiene abbia avuto luogo tra 2 e 3 miliardi di anni fa. Secondo gli studiosi, le eruzioni sul lato vicino della Luna (quello rivolto verso la Terra) avrebbero contribuito a creare un paesaggio dominato da vaste pianure basaltiche, note come maria.

Due recenti studi condotti dalla NASA offrono un’affascinante visione delle strutture interne della Luna e dell’asteroide Vesta, utilizzando una tecnica sorprendente: l’analisi dei dati gravitazionali raccolti da sonde in orbita, senza la necessità di atterrare sulla superficie dei corpi celesti.

Pubblicati su Nature e Nature Astronomy, questi lavori segnano un passo decisivo nella comprensione della formazione e dell’evoluzione dei corpi del Sistema Solare.

La Luna: Un Interno Asimmetrico e Caldo sul Lato Vicino

Nel primo studio, pubblicato il 14 maggio su Nature, i ricercatori hanno elaborato il più dettagliato modello gravitazionale della Luna mai realizzato. Questa nuova mappa è il risultato dell’analisi dei dati della missione GRAIL (Gravity Recovery and Interior Laboratory), che ha visto le due sonde gemelle Ebb e Flow orbitare il nostro satellite tra la fine del 2011 e il 2012.

Il team ha rilevato sottili variazioni nel campo gravitazionale lunare legate alla sua orbita ellittica intorno alla Terra. Queste variazioni provocano una lieve deformazione mareale del satellite, causata dall’attrazione gravitazionale terrestre, che a sua volta fornisce indizi preziosi sulla struttura interna profonda della Luna.

Una delle scoperte più sorprendenti riguarda l’asimmetria tra il lato vicino e quello lontano della Luna. Mentre il lato vicino è dominato da vasti mari di roccia solidificata, testimoni di un’intensa attività vulcanica avvenuta tra 2 e 3 miliardi di anni fa, il lato lontano appare più aspro e privo di ampie pianure.

Secondo Ryan Park, supervisore del Solar System Dynamics Group al Jet Propulsion Laboratory (JPL) della NASA, «abbiamo scoperto che il lato vicino della Luna si flette di più rispetto al lato lontano, il che indica una differenza fondamentale nella loro struttura interna». Questo maggiore “cedimento” suggerisce la presenza di una regione mantellare più calda sul lato vicino, arricchita da elementi radioattivi capaci di generare calore.

Questa scoperta non solo fornisce la prova più solida finora della teoria secondo cui l’attività vulcanica ha modellato la faccia visibile della Luna, ma permetterà anche di migliorare i sistemi di navigazione e di determinazione del tempo per le future missioni lunari.

Vesta: Un Asteroide Diverso da Come lo Immaginavamo

Nel secondo studio, pubblicato il 23 aprile su Nature Astronomy, gli scienziati hanno applicato la stessa tecnica di analisi gravitazionale a Vesta, uno dei più grandi asteroidi della fascia principale tra Marte e Giove.

La missione Dawn della NASA ha ottenuto questa immagine del grande asteroide Vesta il 24 luglio 2011. La sonda ha trascorso 14 mesi in orbita attorno a Vesta, acquisendo oltre 30.000 immagini e realizzando la mappatura completa della sua superficie.
Crediti: NASA/JPL-Caltech/UCLA/MPS/DLR/IDA

Utilizzando i dati radiometrici del Deep Space Network e le immagini raccolte dalla sonda Dawn, che ha orbitato Vesta tra il 2011 e il 2012, il team ha ottenuto risultati inaspettati: contrariamente a quanto previsto, l’interno di Vesta appare sorprendentemente uniforme, con un nucleo ferroso molto piccolo o forse addirittura assente.

Attraverso la misurazione delle oscillazioni di Vesta mentre ruota, il team ha calcolato il suo momento d’inerzia, una proprietà strettamente legata alla distribuzione interna della massa. «La nostra tecnica è estremamente sensibile ai cambiamenti del campo gravitazionale, che si manifestano sia nel tempo, come nel caso delle maree lunari, sia nello spazio, come nel moto oscillatorio di un asteroide», ha spiegato Park.

Questa analisi porta a rivedere le teorie finora accettate sull’evoluzione di Vesta e, più in generale, su come si formano e si differenziano i corpi rocciosi nel Sistema Solare.

Un Nuovo Futuro per l’Esplorazione Planetaria

Gli studi guidati da Ryan Park, frutto di oltre un decennio di lavoro e dell’impiego dei supercomputer della NASA, dimostrano come l’analisi dei dati gravitazionali possa svelare i misteri più profondi dei corpi celesti senza bisogno di costose e complesse missioni di atterraggio.

«La gravità è una proprietà fondamentale e unica che possiamo usare per esplorare l’interno di un corpo planetario», ha sottolineato Park. «Non abbiamo bisogno di dati raccolti sulla superficie: è sufficiente seguire con grande precisione il movimento delle sonde per ottenere una visione globale di ciò che si cela all’interno».

Fonte: ESA

Nel silenzio del cosmo, Voyager 1 risveglia i suoi vecchi motori: un atto di coraggio prima del lungo silenzio

Lontana, in una regione dello spazio dove il Sole è solo una stella tra le altre e il vento solare è ormai un sussurro impercettibile, la sonda Voyager 1 continua il suo viaggio solitario. Lanciata nel 1977, è oggi l’oggetto costruito dall’uomo più distante dalla Terra, una messaggera silenziosa che da quasi cinquant’anni attraversa l’oscurità dell’infinito. E proprio quando sembrava che il tempo avesse ormai relegato alcune delle sue funzioni all’oblio, la sonda ha compiuto un piccolo grande miracolo: ha riattivato dei propulsori considerati inutilizzabili da oltre vent’anni.

È successo nelle scorse settimane, grazie al lavoro degli ingegneri del Jet Propulsion Laboratory (JPL) della NASA, in California. Una manovra tanto ardita quanto rischiosa, che ha richiesto ingegno e una buona dose di coraggio. L’obiettivo? Riportare in vita quei vecchi propulsori, messi da parte nel 2004, per far fronte a un problema ben più urgente: l’invecchiamento dei sistemi di spinta ancora attivi.

Il problema dei propulsori ostruiti

Nel cuore delle Voyager, che oggi sfrecciano nello spazio interstellare a una velocità vertiginosa di circa 56.000 km/h, si trovano i piccoli motori di orientamento. Sono loro a mantenere l’antenna puntata verso la Terra, permettendo il fragile filo di comunicazione che ci unisce a queste sonde così lontane. Ogni lieve rotazione, ogni delicato aggiustamento serve a far sì che Voyager possa continuare a inviare dati preziosi e ricevere i pochi, sempre più radi comandi da casa.

Ma il tempo, come sempre, presenta il conto. I tubi del carburante dei propulsori principali stanno accumulando residui. Se questa ostruzione dovesse peggiorare, le Voyager potrebbero perdere la capacità di orientarsi e quindi di comunicare. Gli ingegneri hanno calcolato che questo rischio potrebbe diventare realtà già nell’autunno di quest’anno.

Ecco perché, nonostante le difficoltà, si è deciso di tentare l’impossibile: rianimare i propulsori di riserva. Quegli stessi motori che non venivano utilizzati da oltre due decenni e che molti davano ormai per persi.

Una corsa contro il tempo (e il silenzio)

La missione aveva anche un’altra scadenza imminente: il 4 maggio, data in cui l’antenna terrestre responsabile di inviare comandi alla Voyager 1 (e alla sua gemella, Voyager 2) è stata messa offline per importanti lavori di aggiornamento. Una volta spenta, sarebbe rimasta silenziosa per mesi. Se i propulsori di backup non fossero stati riattivati in tempo, la finestra per intervenire si sarebbe chiusa irrimediabilmente.

Con una serie di comandi complessi, inviati a una distanza di oltre 24 miliardi di chilometri, gli ingegneri hanno trasmesso le istruzioni per far ripartire i vecchi propulsori. E contro ogni previsione, la risposta è arrivata: i motori si sono accesi. Un sussurro di vita meccanica nel grande vuoto cosmico.

Un ultimo gesto di resilienza

Questo intervento rappresenta molto più di una semplice manovra tecnica. È la testimonianza della resilienza di un progetto nato in un’altra epoca, quando i computer erano grandi come stanze e le missioni spaziali si affidavano ancora a calcoli fatti a mano. È il simbolo di come, anche nell’estremo silenzio dello spazio profondo, la mano dell’uomo riesca ancora a farsi sentire.

Oggi Voyager 1 continua a viaggiare, portando con sé il Golden Record, quel disco d’oro che racchiude i suoni e le immagini della Terra, nel caso qualche civiltà aliena dovesse mai trovarla. E anche se il silenzio radio è ora inevitabile per qualche mese, sappiamo che laggiù, oltre i confini del nostro Sistema Solare, c’è ancora una piccola nave solitaria che continua a puntare la sua fragile antenna verso casa.

E finché quella flebile voce continuerà a parlarci, anche solo con un battito meccanico di propulsori ritrovati, non saremo mai davvero soli nell’Universo.

Fonte: NASA JPL

Titano sotto la lente di Webb: nuvole di metano

Le immagini di Titano sono state riprese dal James Webb Space Telescope l’11 luglio 2023 (in alto) e dal telescopio terrestre Keck il 14 luglio 2023 (in basso). Mostrano nuvole di metano (indicate dalle frecce bianche) a diverse altitudini nell’emisfero nord. A sinistra, le immagini a colori mostrano l’atmosfera e la superficie. I colori rappresentano diverse lunghezze d’onda dell’infrarosso: Webb ha evidenziato luce a 1.4 µm (blu), 1.5 µm (verde) e 2.0 µm (rosso), mentre Keck ha utilizzato rispettivamente 2.13 µm, 2.12 µm e 2.06 µm. Al centro, le immagini a 2.12 µm rivelano emissioni dalla bassa troposfera, dove si formano le nubi più basse. A destra, le immagini a lunghezze d’onda più sensibili agli strati superiori (Webb a 1.64 µm, Keck a 2.17 µm) mostrano nubi più alte nella troposfera superiore e nella stratosfera. Il confronto dimostra che, tra l’11 e il 14 luglio, le nubi si sono spostate verso altitudini più elevate, segno di un moto ascensionale nell’atmosfera di Titano. Crediti immagine: NASA, ESA, CSA, STScI, Keck Observatory.

Un team internazionale di scienziati ha recentemente gettato nuova luce sull’affascinante atmosfera di Titano, la più grande luna di Saturno. Grazie ai dati combinati del telescopio spaziale James Webb (NASA/ESA/CSA James Webb Space Telescope) e del telescopio terrestre Keck II (W. M. Keck Observatory), gli astronomi hanno osservato per la prima volta fenomeni di convezione nuvolosa nell’emisfero nord di Titano, proprio dove si concentrano la maggior parte dei suoi laghi e mari di idrocarburi.

Un meteo alieno, ma sorprendentemente familiare

Titano è l’unico altro luogo del Sistema Solare che presenta un clima simile a quello terrestre, nel senso che ha nuvole e precipitazioni che raggiungono la superficie,” ha spiegato Conor Nixon del Goddard Space Flight Center della NASA, autore principale dello studio.

A differenza della Terra, dove il ciclo climatico è dominato dall’acqua, su Titano l’elemento chiave è il metano (CH₄). A temperature prossime ai -180 °C, il metano evapora dalle superfici liquide, si condensa in atmosfera e cade sotto forma di una pioggia fredda e oleosa su un terreno in cui il ghiaccio d’acqua è duro come la roccia.

Le osservazioni, condotte nel novembre 2022 e nel luglio 2023, hanno mostrato formazioni nuvolose alle medie e alte latitudini settentrionali, proprio nell’estate boreale di Titano. I dati suggeriscono che le nuvole si stiano sollevando verso altitudini maggiori nel corso dei giorni, segno di attività convettiva. Questa è una scoperta cruciale, poiché i laghi e i mari del nord, ricchi di metano ed etano, rappresentano una potenziale fonte di rifornimento per l’atmosfera.

La troposfera di Titano: un mondo espanso

Mentre sulla Terra la troposfera si estende fino a circa 12 km di altitudine, su Titano, grazie alla sua bassa gravità, questa fascia atmosferica raggiunge i 45 km. Usando filtri infrarossi differenti, Webb e Keck sono riusciti a sondare vari strati dell’atmosfera e a stimare l’altitudine delle nubi osservate. Tuttavia, non sono state rilevate precipitazioni dirette durante le osservazioni.

Le osservazioni del Webb sono state effettuate alla fine dell’estate boreale di Titano, una stagione che non abbiamo potuto studiare durante la missione Cassini-Huygens,” ha sottolineato Thomas Cornet dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA), co-autore dello studio. “Insieme alle osservazioni da Terra, Webb ci sta offrendo preziose nuove informazioni sull’atmosfera di Titano, che speriamo di esplorare più da vicino con una futura missione ESA nel sistema di Saturno.

Le immagini di Titano sono state riprese dal James Webb Space Telescope l’11 luglio 2023 (in alto) e dal telescopio terrestre Keck il 14 luglio 2023 (in basso). Mostrano nuvole di metano (indicate dalle frecce bianche) a diverse altitudini nell’emisfero nord.
A sinistra, le immagini a colori mostrano l’atmosfera e la superficie. I colori rappresentano diverse lunghezze d’onda dell’infrarosso: Webb ha evidenziato luce a 1.4 µm (blu), 1.5 µm (verde) e 2.0 µm (rosso), mentre Keck ha utilizzato rispettivamente 2.13 µm, 2.12 µm e 2.06 µm.
Al centro, le immagini a 2.12 µm rivelano emissioni dalla bassa troposfera, dove si formano le nubi più basse.
A destra, le immagini a lunghezze d’onda più sensibili agli strati superiori (Webb a 1.64 µm, Keck a 2.17 µm) mostrano nubi più alte nella troposfera superiore e nella stratosfera.
Il confronto dimostra che, tra l’11 e il 14 luglio, le nubi si sono spostate verso altitudini più elevate, segno di un moto ascensionale nell’atmosfera di Titano.
Crediti immagine: NASA, ESA, CSA, STScI, Keck Observatory.
Il James Webb Space Telescope (11 luglio 2023) e il telescopio Keck (14 luglio 2023) hanno ripreso nuvole di metano a diverse altitudini nell’emisfero nord di Titano (frecce bianche). Sinistra: immagini a colori combinati mostrano atmosfera e superficie. Centro: immagini a 2.12 µm evidenziano nubi nella bassa troposfera. Destra: emissioni a 1.64 µm (Webb) e 2.17 µm (Keck) rivelano nubi a quote più alte, salite nei tre giorni tra le osservazioni. Crediti: NASA, ESA, CSA, STScI, Keck Observatory.

I segreti chimici di Titano

Titano continua a suscitare grande interesse astrobiologico per la sua complessa chimica organica. Nonostante il gelo estremo, la sua atmosfera è un laboratorio naturale di reazioni che coinvolgono molecole contenenti carbonio, le stesse alla base della vita sulla Terra.

Il metano, in particolare, gioca un ruolo centrale: viene scomposto dalla luce solare o dagli elettroni energetici intrappolati nella magnetosfera di Saturno, producendo etano (C₂H₆) e molecole più complesse.

Per la prima volta, il telescopio Webb ha rilevato con certezza la presenza del radicale metile (CH₃), un elemento chiave di queste reazioni. Questo radicale, dotato di un elettrone libero, si forma proprio quando il metano si rompe.

È come vedere la torta mentre sta ancora cuocendo nel forno, invece di limitarsi a osservare solo la farina e lo zucchero all’inizio e la torta decorata alla fine,” ha commentato Stefanie Milam del Goddard Space Flight Center, co-autrice dello studio.

Il destino atmosferico di Titano

Questa intensa attività chimica ha conseguenze importanti sul lungo termine. Una parte dell’idrogeno prodotto dalla dissociazione del metano si perde nello spazio, riducendo progressivamente la quantità di metano disponibile. Se non esistono fonti interne in grado di rifornire l’atmosfera, come emissioni dalla crosta o dall’interno del satellite, Titano è destinato a diventare un mondo secco e polveroso, non troppo dissimile da ciò che è accaduto a Marte con la perdita di gran parte della sua acqua.

Su Titano il metano è un consumabile. È possibile che venga costantemente rifornito e risalga dalla crosta e dall’interno del satellite nel corso di miliardi di anni. Altrimenti, un giorno scomparirà del tutto e Titano diventerà un mondo per lo più privo di atmosfera, dominato da polveri e dune,” ha concluso Nixon.

Le osservazioni fanno parte del programma Guaranteed Time Observations guidato da Heidi Hammel e sono state pubblicate sulla rivista Nature Astronomy.

Addio a GSAT0104: il primo satellite Galileo a concludere la sua missione

Galileo è la più grande costellazione satellitare europea e il sistema di navigazione satellitare più preciso al mondo, in grado di fornire una precisione di posizionamento al livello del metro a circa quattro miliardi di utenti in tutto il pianeta. Attualmente è composta da 28 satelliti distribuiti su tre piani orbitali, garantendo che almeno quattro satelliti siano sempre visibili da qualsiasi punto della Terra. Credito immagine: ESA – F. Zonno
Ogni anno, i partner del programma Galileo valutano lo stato e l’efficacia dei satelliti più anziani, decidendo se prolungarne l’operatività di un ulteriore anno o procedere alla dismissione, trasferendoli su un’orbita più alta e sicura e spegnendoli definitivamente. Questo processo contribuisce a mantenere l’orbita pulita, in linea con l’impegno dell’ESA per la riduzione dei detriti spaziali.
Credito immagine: ESA

Il 12 marzo 2013, il satellite GSAT0104, insieme ai suoi compagni della fase di Validazione in Orbita (In-Orbit Validation, IOV), segnava un momento storico: per la prima volta, una posizione terrestre veniva determinata utilizzando esclusivamente il sistema di navigazione satellitare europeo Galileo. Oggi, dopo 12 anni di onorato servizio, GSAT0104 entra nuovamente nella storia diventando il primo satellite della costellazione Galileo a essere ufficialmente dismesso.

Una costellazione in continua evoluzione

Galileo rappresenta un’infrastruttura pubblica cruciale per l’Europa e il mondo, progettata per offrire servizi di navigazione affidabili e continui per decenni. In questo contesto, il decommissioning — ovvero la dismissione controllata dei satelliti giunti a fine vita — è tanto importante quanto il lancio di nuovi veicoli spaziali.

Nel 2023, per la prima volta, l’Agenzia dell’Unione Europea per il Programma Spaziale (EUSPA), l’Agenzia Spaziale Europea (ESA) e la Commissione Europea hanno stabilito il ritiro di un satellite Galileo. Le operazioni per GSAT0104 sono iniziate a marzo 2024 e si sono concluse ad aprile 2025.

Attualmente, la costellazione continua a garantire prestazioni elevate con satelliti operativi in tutte le posizioni principali, supportati da tre satelliti di riserva attivi. Inoltre, sei nuovi satelliti di Prima Generazione sono pronti al lancio, mentre dodici satelliti di Seconda Generazione sono in fase di sviluppo, a testimonianza di un sistema in costante aggiornamento.

Spazio sostenibile: una priorità per l’ESA

L’ESA ha fatto della sostenibilità spaziale una delle sue missioni centrali, impegnandosi a ridurre l’inquinamento orbitale e a prevenire la formazione di nuovi detriti. Questo obiettivo si traduce in pratiche di progettazione sostenibile, rigorose politiche di mitigazione dei detriti e protocolli di fine vita per i satelliti.

Quando un satellite Galileo termina il suo servizio operativo, viene trasferito in un’orbita sicura più elevata, chiamata “orbita cimitero”, situata almeno 300 km sopra la costellazione attiva. Qui, il satellite viene “passivato”, ovvero vengono eliminate tutte le fonti di energia residue per garantire la sua stabilità a lungo termine.

Nel caso di GSAT0104, grazie alle riserve di propellente ancora disponibili, è stato possibile posizionarlo ben 700 km sopra la costellazione operativa, su un’orbita altamente stabile. Successivamente, il serbatoio è stato svuotato e le batterie completamente scaricate. Le future dismissioni seguiranno la stessa procedura, variando leggermente le altitudini per mantenere distanze di sicurezza tra i satelliti non più operativi.

Perché è importante fare “ordine” nello spazio

La gestione accurata della costellazione Galileo non è solo una questione di sostenibilità ambientale, ma anche di efficienza operativa. “Abbiamo bisogno di mantenere le orbite libere e sicure per supportare il continuo rinnovamento della flotta. Solo una costellazione sana può garantire prestazioni ottimali e servizi affidabili per miliardi di utenti in tutto il mondo”, spiega Riccardo Di Corato, responsabile dell’Unità Analisi della Costellazione Galileo.

Ogni satellite ha una vita operativa prevista: 12 anni per quelli di Prima Generazione e 15 anni per quelli di Seconda Generazione. Ogni anno, i partner del programma valutano lo stato dei satelliti più anziani, decidendo se estenderne l’operatività o procedere alla dismissione.

“È fondamentale rimuovere i satelliti prima che i sistemi critici — come il controllo dell’assetto, i propulsori e le comunicazioni — smettano di funzionare correttamente. Se siamo sicuri che la dismissione potrà avvenire in sicurezza in un secondo momento, ne estendiamo l’uso il più possibile”, aggiunge Di Corato.

L’ultimo servizio di GSAT0104

Lanciato il 12 ottobre 2012 dalla base europea di Kourou, nella Guyana Francese, GSAT0104 è stato il quarto e ultimo satellite della fase IOV. Proprio grazie a lui, è stato possibile determinare per la prima volta una posizione a terra usando esclusivamente i satelliti Galileo.

Dopo anni di servizio nella navigazione, un guasto all’antenna L-band lo ha portato a essere assegnato principalmente alle attività di Ricerca e Soccorso (Search and Rescue). Nel 2021, è stato spostato da una posizione primaria a una di riserva per fare spazio ai nuovi satelliti entrati in funzione nell’aprile 2024.

Ancora una volta, GSAT0104 ha svolto un ruolo pionieristico: la sua dismissione ha stabilito un modello di riferimento per le future operazioni di fine vita della costellazione, offrendo un prezioso bagaglio di esperienza che sarà fondamentale negli anni a venire.

Gli altri tre satelliti IOV continueranno a operare almeno fino a ottobre 2025, con due di essi già oltre la vita operativa prevista, ma ancora perfettamente funzionanti. Le prestazioni del sistema Galileo sono monitorate in modo indipendente dal Galileo Reference Centre (GRC) e consultabili tramite il GNSS Service Centre (GSC).

Galileo: il sistema di navigazione più preciso al mondo

Dal 2017, Galileo è ufficialmente in Open Service e serve oltre quattro miliardi di utenti nel mondo. Tutti gli smartphone venduti nell’Unione Europea sono compatibili con il sistema, che fornisce servizi essenziali anche nei settori del trasporto ferroviario e marittimo, nell’agricoltura di precisione, nei servizi finanziari e nelle operazioni di emergenza e soccorso.

Galileo è un programma di punta dell’Unione Europea, gestito e finanziato dalla Commissione Europea. L’ESA ne cura lo sviluppo e la progettazione, mentre EUSPA coordina la gestione operativa e la fornitura dei servizi. Con un occhio sempre rivolto al futuro, le attività di ricerca e sviluppo proseguono nell’ambito del programma Horizon Europe, per garantire che Galileo continui a rappresentare l’eccellenza europea nella navigazione satellitare.

Fonte: ESA

LUGO: Esplorare i Misteri Geologici della Luna

Nuove Prospettive sulla Geologia Lunare per l’Esplorazione Umana

Nonostante decenni di esplorazioni spaziali e missioni robotiche, la Luna continua a custodire misteri geologici irrisolti. Due tra i più affascinanti sono gli Irregular Mare Patches (IMPs) e i presunti tunnel di lava sotterranei, strutture che potrebbero rivoluzionare la nostra comprensione dell’evoluzione termica del nostro satellite e aprire nuove prospettive per la futura colonizzazione umana. È con questi obiettivi che nasce il progetto LUnar Geology Orbiter (LUGO), un’iniziativa proposta nell’ambito del programma Open Space Innovation Platform (OSIP) dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA) (esa.int).

IMPs: Le Enigmatiche Formazioni Vulcaniche

Gli IMPs sono tra le strutture vulcaniche più misteriose della superficie lunare, localizzate principalmente sul lato visibile del nostro satellite. Scoperte per la prima volta nel 1971 dall’astronomo E.A. Whitaker durante l’analisi delle immagini della missione Apollo 15, queste formazioni presentano depressioni di forma irregolare, caratterizzate da colline lisce e circondate da terreni accidentati e rocciosi.

Nonostante siano noti da oltre cinquant’anni, l’origine e l’età di queste strutture restano oggetto di dibattito. Alcuni studi ne collocano la formazione circa 3,5 miliardi di anni fa, mentre altri suggeriscono che siano sorprendentemente giovani, con meno di 100 milioni di anni. Se quest’ultima ipotesi fosse confermata, metterebbe seriamente in discussione le attuali teorie sull’evoluzione termica della Luna.

I Tunnel di Lava: Rifugi Naturali per la Vita Umana sulla Luna?

Un altro tema centrale del progetto LUGO è la ricerca di tunnel di lava sotterranei, strutture vuote formatesi durante antichi episodi di attività vulcanica. Queste cavità potrebbero rappresentare rifugi naturali per future basi lunari, offrendo protezione da radiazioni cosmiche, micrometeoriti e sbalzi termici estremi. Inoltre, potrebbero nascondere risorse preziose, come riserve d’acqua sotto forma di ghiaccio.

Sebbene la loro esistenza sia stata ipotizzata per decenni e alcuni crolli superficiali sembrino confermare la loro presenza, le dimensioni, la frequenza e le caratteristiche fisiche di questi tunnel restano largamente sconosciute.

Gli Strumenti di LUGO

Per affrontare queste sfide scientifiche, la missione LUGO prevede un carico strumentale altamente tecnologico, comprendente:

  • Radar Penetrante (GPR): Operante tra 15 e 30 MHz, permetterà di indagare la struttura stratigrafica del sottosuolo fino a diversi metri di profondità.
  • Telecamera a Stretta Angolazione (NAC): Con una risoluzione superiore ai 25 cm per pixel, offrirà immagini dettagliate delle superfici degli IMPs e delle aree candidate alla presenza di tunnel di lava.
  • Telecamera Iperspettrale (HSC): Coprendo uno spettro da 500 a 1650 nm, aiuterà a determinare la composizione mineralogica delle aree osservate.
  • LiDAR a Singolo Fotone: Operante a 1550 nm, sarà fondamentale per la creazione di mappe tridimensionali ad altissima precisione delle superfici osservate.

Prospettive Future

I dati ottenuti da LUGO supporteranno progetti di esplorazione più ambiziosi, come la missione DIMPLE della NASA (nasa.gov), destinata a sbarcare direttamente su un IMP per datare con precisione queste affascinanti strutture.

Fonte: ScienceDirect

AT2024tvd: Il Primo TDE Off-Nuclear Scoperto da Indagini Ottiche

Crediti: Zwicky Transient Facility (ZTF)

Un team internazionale di astronomi ha recentemente annunciato la scoperta di AT2024tvd, il primo evento di distruzione mareale (Tidal Disruption Event, TDE) off-nuclear rilevato grazie a survey ottiche di ampio campo. L’evento è stato inizialmente identificato dalla Zwicky Transient Facility (ZTF) presso il Palomar Observatory e successivamente confermato tramite osservazioni multi-banda, tra cui i telescopi spaziali Hubble Space Telescope (HST), Chandra X-ray Observatory, e il radiotelescopio Very Large Array (VLA).

Un TDE Lontano dal Nucleo Galattico

AT2024tvd è stato rilevato per la prima volta il 25 agosto 2024 con una magnitudine gZTF = 19.68 ± 0.23, nell’ambito del programma ad alta cadenza della ZTF. Ma ciò che ha destato l’interesse della comunità scientifica è stata la sua posizione: l’evento si trova a 0.914 ± 0.010 arcosecondi dal centro del bulge galattico della sua galassia ospite, una distanza proiettata di circa 0.808 ± 0.009 kiloparsec.

Questo offset è stato confermato con precisione dal Hubble Space Telescope, mentre osservazioni radio del VLA hanno identificato un’emissione radio coincidente con la posizione del TDE, consolidando l’interpretazione di un evento realmente fuori dal centro galattico.

Caratteristiche Spettrali e Osservazioni Multi-Banda

L’evento è stato successivamente classificato come TDE da S. Faris et al. (2024), grazie alla presenza di ampie linee di idrogeno e possibili tracce di elio nello spettro, oltre a una persistente emissione ultravioletta. Tuttavia, un’analisi più approfondita ha messo in dubbio la presenza chiara delle linee di elio.

Lo spettro UV ottenuto con HST presenta forti somiglianze con quello del noto TDE ASASSN-14li, con linee larghe di Lyα, N V, Si IV, C IV, He II e N III], che confermano l’origine del fenomeno.

In banda X, le osservazioni con Swift/XRT e Chandra hanno mostrato un’emissione soffice con temperature del disco comprese tra 0.1 e 0.2 keV e luminosità X intorno a 10⁴³ erg/s, tipiche dei TDE. È stata osservata anche una significativa variabilità su scale temporali di ore, simile a quella di TDE noti come AT2022lri.

Al tempo t = 105 giorni dalla scoperta, l’emissione radio misurata dal VLA a 10 GHz ha mostrato una luminosità di L₁₀GHz ≈ 3 × 10³⁸ erg/s, compatibile con TDE radio-brillanti non associati a getti, come ASASSN-15oi e AT2019dsg.

La Galassia Ospite e la Massa dei Buchi Neri Coinvolti

La galassia ospite è una galassia lenticolare di massa elevata, con una massa stellare stimata in log(M_gal/M_☉) = 10.93 ± 0.02 e una dispersione stellare σ = 192.74 ± 5.11 km/s, misurata dallo Sloan Digital Sky Survey (SDSS).

Applicando la relazione M-σ di J. E. Greene et al. (2020), la massa del buco nero centrale è stata stimata in log(M_BH/M_☉) ≈ 8.37 ± 0.08 (stat) ± 0.43 (sys), ovvero circa 2 × 10⁸ M_☉. Tuttavia, il buco nero associato a AT2024tvd è molto meno massivo. L’analisi dei dati con il modello MOSFiT suggerisce una massa compresa tra 10⁵ e 10⁷ M_☉, con un valore più probabile attorno a 10⁶ M_☉.

Origine dell’Evento: Merger Minori o Interazioni Gravitazionali?

Due sono le ipotesi principali per spiegare la posizione off-nuclear di AT2024tvd:

  1. Residuo di un Merger Minore: Il buco nero associato a AT2024tvd potrebbe provenire dal centro di una galassia nana cannibalizzata. In questo scenario, il buco nero secondario non è ancora spiralizzato verso il centro a causa di un lungo tempo scala associato alla frizione dinamica. Simulazioni cosmologiche (Ricarte et al., 2021b) suggeriscono che nei grandi aloni galattici (con masse fino a 10¹³ M_☉) si possono trovare decine di questi buchi neri vaganti.

  2. Slingshot Gravitazionale da un Sistema Triplo: In questo scenario, il buco nero è stato espulso da interazioni dinamiche tra tre MBH, ricevendo una “spinta” gravitazionale che lo ha collocato nella posizione osservata.

La terza ipotesi, quella di un recoil gravitazionale successivo alla fusione di due MBH, è stata esclusa per l’evidenza della presenza di un MBH ancora attivo nel nucleo galattico.

AT2024tvd: Un Caso Unico tra i TDE Off-Nuclear

Finora, solo due altri eventi TDE off-nuclear sono stati documentati: 3XMM J2150 e EP240222a, entrambi scoperti nei raggi X. A differenza di questi casi, AT2024tvd è stato identificato grazie a survey ottiche e si trova all’interno del bulge della galassia, non nei suoi esterni.

La posizione ravvicinata al centro galattico e la massa stimata del buco nero coinvolto suggeriscono che questo evento rappresenti una popolazione distinta di buchi neri erranti, meno massicci e localizzati più vicino ai centri delle galassie ospiti.

Prospettive Future

La scoperta di AT2024tvd apre nuovi orizzonti nello studio dei buchi neri erranti e nella comprensione delle dinamiche di fusione galattica. Con l’arrivo dell’Osservatorio Vera C. Rubin e la sua Legacy Survey of Space and Time (LSST), dotata di una precisione astrometrica di 10 milliarcosecondi e una profondità fino a r ≈ 24.5 mag, si prevede la scoperta di molti nuovi TDE off-nuclear.

Questi eventi forniranno importanti vincoli sui tassi di fusione dei buchi neri supermassicci e sull’efficienza dei meccanismi di frizione dinamica, contribuendo in modo significativo alla nostra comprensione dell’evoluzione delle galassie e delle loro componenti più enigmatiche.

Fonte: ArXiv

Roman Space Telescope alla Scoperta dei Pianeti Erranti

Roman Space Telescope. Crediti: NASA

I pianeti liberi, o free-floating planets (FFPs), rappresentano una delle popolazioni più misteriose di esopianeti nella nostra Galassia. Questi mondi vagano nello spazio interstellare senza essere legati a una stella, rendendoli difficili da osservare. Tuttavia, grazie alla prossima missione della NASA, il Nancy Grace Roman Space Telescope, questa situazione è destinata a cambiare.

Un Censimento dei Mondi Perduti

Secondo lo studio di Scott Perkins, William DeRocco e colleghi, il telescopio Roman, con il suo programma Galactic Bulge Time Domain Survey (GBTDS), potrebbe rilevare centinaia, se non migliaia, di questi oggetti durante i suoi cinque anni di missione. Roman sfrutterà la tecnica del microlensing gravitazionale, l’unica in grado di individuare pianeti che non emettono luce propria.

Le simulazioni indicano che Roman sarà in grado di migliorare le attuali stime sulla quantità di FFP di sei ordini di grandezza per masse inferiori a quella terrestre. Questo significa che i dati raccolti permetteranno per la prima volta di ricostruire la distribuzione delle masse di questi oggetti, fornendo preziose informazioni sulla loro origine.

Come Nascono i Pianeti Erranti?

Le teorie principali suggeriscono due meccanismi di formazione:

  • Collasso diretto delle nubi di gas, tipico degli oggetti più massicci (oltre 300 masse terrestri).
  • Espulsione dinamica dai sistemi planetari durante le prime fasi di formazione, un fenomeno che riguarda in particolare i pianeti con massa inferiore a 10 masse terrestri.

Misurare la distribuzione delle masse degli FFP aiuterà a capire quale di questi processi sia prevalente e in quale fase della storia della Galassia si siano verificati.

I Numeri del Censimento Roman

Lo studio, basandosi su diverse ipotesi di distribuzione delle masse, ha stimato il numero di FFP che Roman potrà rilevare:

Massa del pianeta (in masse terrestri) N. eventi attesi (MOA) N. eventi attesi (Coleman & DeRocco) N. eventi attesi (Distribuzione uniforme)
< 0.1 266 1 2
1 1537 6 13
10 1497 22 58
100 526 136 214
1000 87 10 2799
Totale 4184 272 6197

Le differenze fra i modelli evidenziano quanto sia ancora incerta la nostra comprensione di questa popolazione. Il modello MOA prevede una netta predominanza di FFP di massa terrestre, mentre i modelli teorici di Coleman & DeRocco (2025) suggeriscono un picco di eventi attorno a 8 masse terrestri, legato ai meccanismi di migrazione planetaria nei sistemi binari.

Una Sfida Osservativa Senza Precedenti

La tecnica del microlensing pone notevoli difficoltà: i segnali durano poche ore e spesso mancano di informazioni sufficienti per stimare direttamente la massa dei pianeti. Tuttavia, come spiegano gli autori, “l’analisi statistica su vasta scala permetterà comunque di distinguere tra diverse ipotesi sulla distribuzione delle masse con elevata significatività statistica”.

Il team ha sviluppato un innovativo metodo di analisi basato su simulazioni avanzate e tecniche bayesiane, sfruttando anche le risorse del centro di calcolo Advanced Research Computing at Hopkins (ARCH).

Il Futuro della Ricerca sui Mondi Vaganti

Il telescopio Roman rappresenta una vera svolta: per la prima volta sarà possibile studiare i pianeti erranti in modo sistematico e comprendere il loro ruolo nell’evoluzione dei sistemi planetari. Come sottolinea il team, “questi dati permetteranno di aprire una nuova finestra sull’origine di questi mondi solitari e sui processi che governano la formazione planetaria nell’intera Galassia”.

Fonte: ArXiv

Quanto è Spessa la Crosta di Venere?

Un recente studio guidato da Alexandra Plesa e colleghi, pubblicato nel 2024, ha finalmente posto nuovi vincoli sulla composizione e lo spessore massimo della crosta di Venere, uno dei pianeti più enigmatici del Sistema Solare. Il lavoro è frutto di una collaborazione tra il German Aerospace Center (DLR), l’Università di Münster, e l’ETH di Zurigo.

Un Pianeta di Fuoco e Mistero

Venere è avvolto da una densa atmosfera (circa 92 bar) che mantiene la sua superficie a temperature estreme, superiori ai 460 °C. Le sue vaste pianure vulcaniche, datate a meno di un miliardo di anni, e i segnali di attività vulcanica in corso, sollevano interrogativi cruciali sulla struttura della sua crosta e sulle dinamiche interne.

Quanto può Crescere la Crosta di Venere?

Utilizzando modelli petrologici basati su transizioni metamorfiche e condizioni di fusione parziale, il team ha stimato che lo spessore massimo della crosta di Venere è fortemente legato al gradiente termico:

  • Con un basso gradiente termico di 5 °C/km (tipico di un regime tettonico stagnante), la crosta può raggiungere al massimo 40 km di spessore prima che l’elevata densità inneschi un processo di delaminazione, ovvero il distacco e l’affondamento degli strati più profondi nel mantello.
  • Con un alto gradiente termico di 25 °C/km (associato a un regime tettonico più mobile), lo spessore massimo scende a circa 20 km a causa dell’avvio della fusione parziale che favorisce l’attività vulcanica.
  • Il valore massimo assoluto di spessore per una crosta basaltica si raggiunge con un gradiente intermedio di 10 °C/km, arrivando fino a 65 km.

Secondo gli autori, “la crosta basaltica venusiana non può superare uno spessore compreso tra 20 e 65 km senza innescare processi di delaminazione o fusione, con conseguente riciclo crostale o eruzioni vulcaniche”.

Un Pianeta in Equilibrio Instabile

Le simulazioni mostrano che le variazioni nella composizione della crosta e nella quantità di volatili (acqua e CO₂) giocano un ruolo marginale, poiché l’attuale litosfera venusiana è considerata prevalentemente secca. Le transizioni mineralogiche verso assemblaggi più densi (dominati da granato e pirosseni) causano un rapido aumento della densità con la profondità, limitando la possibilità di sostenere croste più spesse.

Il team ha anche confrontato le proprie stime con i dati di missioni storiche come Venera e Vega, che indicano la presenza di basalti tholeiitici e alcalini sulla superficie. Tuttavia, non sono state rilevate prove definitive di rocce più leggere e ricche di silice (simili ai graniti terrestri), che potrebbero giustificare spessori maggiori in alcune aree.

Cosa Significa per la Tectonica di Venere?

Questo studio fornisce forti indizi sul fatto che Venere non sia mai stato dominato da una tettonica a placche simile a quella terrestre, ma piuttosto da cicli intermittenti di attività geologica intensificata, con lunghi periodi di quiete. I risultati sono compatibili con un regime definito come episodic-lid, dove la litosfera passa ciclicamente da fasi stabili a eventi catastrofici di riciclo crostale.

Prospettive Future

Le missioni di prossima generazione, come NASA VERITAS e ESA EnVision, forniranno nuovi dati geofisici e spettroscopici per testare le previsioni di questo modello. Come sottolineano gli autori, “comprendere la storia termica e geodinamica di Venere è essenziale per svelare le condizioni che distinguono un pianeta vulcanicamente attivo da uno potenzialmente abitabile come la Terra”.

Fonte: Nature

58º Congresso Nazionale dell’Unione Astrofili Italiani

Nei giorni 9 – 10 – 11 maggio, sotto il cielo stellato partenopeo, gli appassionati di astronomia si riuniranno come costellazioni in un firmamento di sapere e passione per il 58º Congresso Nazionale dell’Unione Astrofili Italiani (UAI).

Questo evento di rara bellezza è un faro splendente per la comunità astronomica, un’occasione per abbracciarsi, condividere esperienze celestiali, e intrecciare nuove idee come fili d’oro nel tessuto dell’universo. Il congresso avrà luogo presso l’Osservatorio Astronomico di Capodimonte a Napoli, un tempio di scienza e meraviglia sotto il manto azzurro del cielo partenopeo.

La scelta di questa cornice prestigiosa è un tributo alla grandezza dell’evento e offre l’opportunità di attingere alle fonti di sapere di una delle istituzioni scientifiche più illustri d’Italia. L’evento si arricchirà della collaborazione dell’Unione Astrofili Napoletani (UAN), una delle gemme tra le delegazioni dell’UAI. Il loro contributo sarà il vento sotto le ali di questo incontro, grazie alla loro esperienza e alla loro intima conoscenza del territorio. La collaborazione tra l’Unione Astrofili Napoletani e l’Unione Astrofili Italiani è un esempio di come le organizzazioni locali e nazionali possano lavorare insieme per raggiungere obiettivi comuni, promuovendo la cultura scientifica e l’amore per l’astronomia in tutta Italia.

Il Congresso Nazionale dell’UAI si conferma, anche in questa edizione, come un appuntamento irrinunciabile per chi sogna di contribuire all’evoluzione dell’astronomia in Italia. Non mancare a questo viaggio tra le stelle!

In bocca al lupo a tutti!

ShaRA@ Team Party #2

A due anni dal primo ritrovo fisico del Team ShaRA, la storia si ripete! Il prolifico ed attivissimo gruppo di astrofotografi remoti capitanati dall’astrofilo Alessandro Ravagnin, si ritroverà ai piedi del grande telescopio nazionale Galileo, dell’Osservatorio Astrofisico di Asiago, per il secondo meeting in presenza. Sarà un’occasione per incontrarsi dal vivo e ripercorrere tutti assieme la strada percorsa finora, confrontandosi su temi di interesse comune e parlando coi professionisti dell’astronomia.
Il programma prevede una visita guidata all’Osservatorio, un workshop dove interverranno Luca Fornaciari, Molisella Lattanzi e Stefano Ciroi (Professore Associato presso il Dipartimento di Fisica e Astronomia “Galileo Galilei” dell’Università di Padova), la cena a base di prodotti locali dell’Altopiano e quindi una chiusura in bellezza sotto la cupola del Galileo per una sessione di riprese spettroscopiche.
 
Sarà una bellissima occasione per darsi nuovamente la mano nonché conoscere i nuovi entrati nel gruppo!

Kepler-10: un sistema planetario antico che potrebbe ospitare un mondo d’acqua

Autori principali: A. S. Bonomo, L. Malavolta, V. Nascimbeni, R. F. Díaz, M. Damasso e collaboratori.
Istituti coinvolti: INAF – Osservatorio Astrofisico di Torino, Telescopio Nazionale Galileo.


Situato a circa 186 parsec di distanza nella costellazione del Drago, il sistema planetario Kepler-10 orbita attorno a una stella vecchia di oltre 10 miliardi di anni. Grazie a un’osservazione paziente durata 11 anni e condotta principalmente con lo spettrografo HARPS-N montato sul Telescopio Nazionale Galileo, un team internazionale ha potuto ottenere nuove misure di massa e densità per i pianeti noti del sistema, e ha identificato un nuovo candidato non in transito, Kepler-10d. I risultati arricchiscono la nostra comprensione della formazione ed evoluzione dei piccoli pianeti intorno alle stelle di tipo solare.

Un pianeta roccioso e un potenziale mondo d’acqua

Kepler-10b, il pianeta più interno, completa un’orbita in meno di un giorno terrestre. Con un raggio di 1,47 raggi terrestri e una massa di 3,24 ± 0,32 masse terrestri, si conferma come una super-Terra rocciosa, simile per densità alla Terra, ma priva di un grande nucleo ferroso. Il suo ambiente è estremamente ostile: l’equilibrio termico di superficie supera i 2000 K, rendendo improbabile la presenza di atmosfera.

Kepler-10c, invece, ha attirato particolare attenzione: con un raggio di 2,35 raggi terrestri e una massa di 11,29 ± 1,24 masse terrestri, presenta una densità di 4,75 g/cm³. Questa combinazione di massa e volume non si adatta a un pianeta roccioso puro né a un gigante gassoso, ma suggerisce la presenza di una quantità significativa di acqua o ghiaccio. Kepler-10c potrebbe quindi rappresentare uno dei rari “mondi d’acqua” identificati fino a oggi, con una percentuale d’acqua stimata tra il 40% e il 70% della sua massa.

La posizione orbitale di Kepler-10c, ben al di fuori dalla “valle dei raggi” che separa i pianeti rocciosi da quelli dominati da volatili, rafforza l’ipotesi di una formazione oltre la linea del ghiaccio, con successiva migrazione verso l’interno del sistema.

Un nuovo pianeta: Kepler-10d

Oltre ai due pianeti già noti, i ricercatori hanno individuato prove convincenti della presenza di un terzo corpo, Kepler-10d, grazie a un’analisi combinata delle variazioni nei tempi di transito di Kepler-10c (Transit Timing Variations, TTVs) e delle velocità radiali. Questo nuovo pianeta avrebbe una massa minima di 12,00 ± 2,15 masse terrestri e un periodo orbitale di circa 151 giorni.

Anche se Kepler-10d non è stato osservato in transito, la sua massa suggerisce che potrebbe essere simile a Kepler-10c, forse anch’esso ricco d’acqua o dotato di un’atmosfera più densa. L’assenza di un transito è compatibile con una piccola inclinazione orbitale differente rispetto a quella degli altri pianeti, sufficiente a evitare l’allineamento con il nostro punto di osservazione.

Un sistema senza giganti

Un altro aspetto fondamentale dello studio è l’assenza di pianeti giganti nel sistema. L’analisi della sensibilità delle osservazioni ha escluso la presenza di pianeti simili a Giove entro 10 unità astronomiche dalla stella madre. Questa caratteristica è significativa: l’assenza di giganti gassosi suggerisce che i pianeti più piccoli di Kepler-10 abbiano potuto migrare verso le loro orbite attuali senza essere disturbati da masse gravitazionali maggiori, un comportamento coerente con diversi modelli di formazione planetaria.

Un risultato di alta precisione

Gli autori hanno utilizzato diverse tecniche di analisi statistica avanzata, tra cui:

  •  Analisi delle velocità radiali con diversi modelli di rumore;
  • Modellizzazione con algoritmi MCMC e Nested Sampling;
  • Analisi combinata delle TTVs e delle RVs con il codice dinamico TRADES.

Queste metodologie hanno permesso di raggiungere una precisione del 9-10% nella determinazione delle masse planetarie, un risultato raro per pianeti di così piccole dimensioni e periodi orbitali relativamente lunghi.

Implicazioni future

Questo studio non solo migliora la nostra comprensione di Kepler-10, ma dimostra anche l’importanza delle campagne di osservazione a lungo termine per caratterizzare mondi di dimensioni terrestri attorno a stelle simili al Sole. In particolare, sistemi come Kepler-10 rappresentano obiettivi ideali per missioni future come PLATO dell’ESA, che si concentrerà sulla ricerca di pianeti abitabili intorno a stelle solari.

La presenza di un possibile mondo d’acqua nel sistema Kepler-10, a basse temperature rispetto a molti sub-Netuniani noti, fornisce un importante laboratorio naturale per lo studio della diversità planetaria e dei processi di formazione planetaria in ambienti relativamente tranquilli e stabili.

Fonte: arxiv.org

Juno svela cicloni polari ed eruzioni vulcaniche

Questa immagine composita, ottenuta dai dati raccolti nel 2017 dallo strumento JIRAM a bordo della sonda Juno della NASA, mostra il ciclone centrale situato al polo nord di Giove, circondato da otto cicloni più piccoli. I dati della missione indicano che queste tempeste sono strutture persistenti. Crediti: Dati immagine: NASA/JPL-Caltech/SwRI/MSSS – Elaborazione immagine: Jackie Branc (CC BY)

Nuovi dati raccolti dalla missione Juno della NASA offrono uno sguardo più approfondito sui venti impetuosi e sui cicloni che imperversano nelle regioni settentrionali di Giove, oltre a rivelare dettagli inediti sull’attività vulcanica della sua luna infuocata, Io.

Le scoperte sono state presentate durante la conferenza stampa a Vienna, il 29 aprile, in occasione dell’Assemblea Generale dell’Unione Europea di Geoscienze.

Tutto su Giove è estremo. Il pianeta ospita cicloni polari giganti più grandi dell’Australia, correnti a getto violente, il corpo più vulcanico del nostro sistema solare, le aurore più potenti e le cinture di radiazioni più intense,” ha dichiarato Scott Bolton, principal investigator di Juno presso il Southwest Research Institute a San Antonio. “Man mano che l’orbita di Juno ci porta in nuove regioni del complesso sistema di Giove, otteniamo una visione sempre più ravvicinata dell’immensa energia che questo gigante gassoso sprigiona.

Il “radiatore” lunare

Sebbene il radiometro a microonde (MWR) di Juno sia stato progettato per esplorare sotto le nuvole di Giove, il team ha utilizzato anche questo strumento per osservare Io, integrando i dati con quelli del Jovian Infrared Auroral Mapper (JIRAM), fornito dall’Agenzia Spaziale Italiana.

Il team scientifico di Juno ama combinare set di dati molto diversi tra loro e vedere cosa possiamo scoprire,” ha spiegato Shannon Brown, scienziata di Juno al Jet Propulsion Laboratory della NASA in California. “Quando abbiamo combinato i dati MWR con le immagini infrarosse di JIRAM, siamo rimasti sorpresi da ciò che abbiamo visto: prove di magma ancora caldo, non ancora solidificato, sotto la crosta raffreddata di Io. A ogni latitudine e longitudine, c’erano flussi di lava in fase di raffreddamento.

I dati indicano che circa il 10% della superficie di Io è caratterizzato da questi residui di lava in lento raffreddamento sotto la superficie, offrendo nuovi spunti su come la luna rinnovi rapidamente la sua superficie e su come il calore si muova dal suo interno profondo verso l’esterno.

I vulcani, i campi di lava e i flussi sotterranei di Io funzionano come un radiatore d’auto,” ha aggiunto Brown, “trasportando efficacemente il calore dall’interno alla superficie e raffreddandosi poi nello spazio.

Inoltre, analizzando solo i dati JIRAM, il team ha stabilito che la più energetica eruzione vulcanica della storia di Io, osservata durante il sorvolo del 27 dicembre 2024, risultava ancora attiva fino al 2 marzo 2025. Si prevede che l’attività continui, con ulteriori osservazioni programmate per il 6 maggio, quando Juno sorvolerà Io a una distanza di circa 89.000 chilometri.

Questa immagine composita, ottenuta dai dati raccolti nel 2017 dallo strumento JIRAM a bordo della sonda Juno della NASA, mostra il ciclone centrale al polo nord di Giove e gli otto cicloni che lo circondano. I dati della missione indicano che queste tempeste sono strutture persistenti.
Crediti: NASA/JPL-Caltech/SwRI/ASI/INAF/JIRAM

Temperature polari estreme

Durante il suo 53° orbitale (18 febbraio 2023), Juno ha avviato esperimenti di occultazione radio per analizzare la struttura termica dell’atmosfera di Giove. Utilizzando segnali radio trasmessi dalla Terra verso la sonda e viceversa, attraversando l’atmosfera gioviana, gli scienziati riescono a misurare dettagliatamente la temperatura e la densità.

Finora, Juno ha completato 26 rilevazioni di occultazione radio, rivelando per la prima volta che la calotta stratosferica del polo nord di Giove è circa 11°C più fredda rispetto alle aree circostanti, ed è circondata da venti che superano i 160 km/h.

Cicloni polari in movimento

Anni di osservazioni grazie alla fotocamera visibile JunoCam e a JIRAM hanno permesso agli scienziati di seguire i movimenti a lungo termine del gigantesco ciclone polare nord e degli otto cicloni che lo circondano. A differenza degli uragani terrestri, confinati a latitudini più basse, i cicloni di Giove restano intrappolati nelle regioni polari.

Monitorando i loro movimenti, i ricercatori hanno osservato che ogni ciclone tende a spostarsi lentamente verso il polo attraverso un processo chiamato “beta drift”, che coinvolge l’interazione tra la forza di Coriolis e il pattern circolare dei venti.

Queste forze concorrenti fanno sì che i cicloni rimbalzino l’uno contro l’altro in un modo che ricorda le molle in un sistema meccanico,” ha spiegato Yohai Kaspi, co-investigatore della missione presso il Weizmann Institute of Science in Israele. “Questa interazione non solo stabilizza l’intera configurazione, ma causa anche oscillazioni cicliche attorno alle loro posizioni centrali, mentre lentamente derivano in senso orario attorno al polo.

Il nuovo modello atmosferico sviluppato aiuterà non solo a comprendere meglio i cicloni di Giove, ma potenzialmente anche quelli su altri pianeti, inclusa la Terra.

Una delle grandi qualità di Juno è che la sua orbita è sempre in evoluzione, permettendoci ogni volta un nuovo punto di vista,” ha concluso Bolton. “Nella missione estesa, significa che stiamo esplorando regioni mai raggiunte da altre sonde, attraversando anche le cinture di radiazione più intense del sistema solare. È un po’ spaventoso, ma abbiamo costruito Juno come un carro armato e impariamo di più su questo ambiente estremo a ogni passaggio.

L’articolo completo è pubblicato su Coelum 254


Maggiori informazioni su Juno:

NASA Testa i Guanti di una futura Tuta Spaziale in una Camera Criogenica

Un guanto spaziale progettato per le passeggiate spaziali sulla Stazione Spaziale Internazionale (ISS) è pronto per essere testato all'interno di una camera chiamata CITADEL, presso il Jet Propulsion Laboratory (JPL) della NASA. I test, condotti a temperature estremamente fredde simili a quelle che gli astronauti della missione Artemis III incontreranno al Polo Sud Lunare, supportano lo sviluppo delle tute spaziali di nuova generazione. Credito: NASA/JPL-Caltech.

 

Preparazione per le Missioni Luna e Marte

Quando gli astronauti della NASA torneranno sulla Luna sotto la campagna Artemis e si spingeranno oltre nel sistema solare, affronteranno condizioni mai sperimentate prima dagli esseri umani. Per garantire che le tute spaziali di nuova generazione proteggano adeguatamente gli astronauti, sono necessari test innovativi. Una camera unica nel suo genere, chiamata CITADEL (Cryogenic Ice Testing, Acquisition Development, and Excavation Laboratory), presso il Jet Propulsion Laboratory (JPL) della NASA in California, è diventata un punto di riferimento per questi esperimenti.

Costruita per preparare i potenziali esploratori robotici alle condizioni di basse temperature e bassa pressione degli oceani ghiacciati di mondi come Europa, una delle lune di Giove, la CITADEL è anche utilizzata per valutare come i guanti e gli stivali delle tute spaziali resistano al freddo estremo. Il test dei guanti, promosso dal NASA Engineering and Safety Center, si è svolto dal ottobre 2023 al marzo 2024, mentre il test degli stivali, iniziato dal programma Extravehicular Activity e Human Surface Mobility del Johnson Space Center della NASA a Houston, ha avuto luogo tra ottobre 2024 e gennaio 2025.

Un altro aspetto cruciale per la missione Artemis III è l’esplorazione del Polo Sud Lunare, una regione con condizioni ben più estreme rispetto ai siti equatoriali visitati dalle missioni Apollo. Gli astronauti trascorreranno fino a due ore alla volta all’interno di crateri che potrebbero contenere depositi di ghiaccio, fondamentali per garantire una presenza umana a lungo termine sulla Luna. Queste regioni, chiamate “zone permanentemente in ombra”, sono tra i luoghi più freddi del sistema solare, con temperature che raggiungono i -248°C.

Due ingegneri esaminano un guanto spaziale bianco all’interno di una camera a vuoto etichettata “CITADEL”, in un laboratorio pieno di attrezzature, cavi e pannelli di controllo. Un ingegnere è seduto, regolando il guanto, mentre l’altro osserva da vicino.

Simulazione del Freddo Estremo

La camera CITADEL è progettata per simulare temperature estremamente basse. Utilizzando elio compresso, la camera può raggiungere temperature fino a -223°C, più basse rispetto a quelle delle strutture criogeniche tradizionali che si basano principalmente sull’azoto liquido. Con un’altezza di 1,2 metri e un diametro di 1,5 metri, la camera è abbastanza grande da permettere a una persona di entrarvi.

Uno degli aspetti innovativi della CITADEL sono le “lock chambers”, che consentono di inserire i materiali da testare nel vuoto della camera senza interrompere lo stato criogenico. Questo sistema ha permesso agli ingegneri di fare aggiustamenti rapidi durante i test degli stivali e dei guanti.

Al suo interno, sono presenti anche “Cryocoolers” che raffreddano la camera, e blocchi di alluminio che simulano gli attrezzi che gli astronauti potrebbero afferrare, o la superficie lunare fredda su cui camminerebbero. Inoltre, la camera è dotata di un braccio robotico per interagire con i materiali da testare e di diverse telecamere a luce visibile e infrarossa per monitorare le operazioni.

Uno stivale spaziale per astronauti, parte di un prototipo di tuta lunare della NASA, l’xEMU, è preparato per i test nella CITADEL del JPL. Una spessa lastra di alluminio simula la superficie gelida del Polo Sud Lunare, dove gli astronauti della missione Artemis III affronteranno condizioni più estreme di quelle che gli esseri umani hanno mai sperimentato. Credito: NASA/JPL-Caltech.

Test degli Estremi

Un ingegnere raccoglie campioni simulati di suolo lunare mentre indossa la tuta spaziale Axiom Extravehicular Mobility Unit durante i test al NASA Johnson Space Center alla fine del 2023. I recenti test sui design esistenti delle tute spaziali NASA nella camera CITADEL del JPL supporteranno lo sviluppo delle tute di nuova generazione in costruzione da Axiom Space. Credito: Axiom Space.

I guanti testati nella CITADEL sono la sesta versione di un guanto utilizzato dalla NASA sin dagli anni ’80, parte di una tuta spaziale chiamata “Extravehicular Mobility Unit”. Ottimizzata per le passeggiate spaziali alla ISS, questa tuta è così complessa da essere considerata una sorta di “astronave personale”. I test nella CITADEL a -213°C hanno mostrato che il guanto esistente non soddisfa i requisiti termici necessari per affrontare l’ambiente più impegnativo del Polo Sud Lunare. I risultati del test sugli stivali, che utilizzavano un prototipo di tuta spaziale chiamato “Exploration Extravehicular Mobility Unit”, non sono ancora stati completamente analizzati.

Oltre a individuare le vulnerabilità nelle tute esistenti, gli esperimenti condotti nella CITADEL aiuteranno la NASA a preparare i criteri per metodi di test standardizzati, ripetibili ed economici per la tuta lunare di nuova generazione, costruita dalla Axiom Space. Questo sarà il modello che gli astronauti della NASA indosseranno durante la missione Artemis III.

Sostenibilità a Lungo Periodo

Questo test serve per identificare quali sono i limiti: per quanto tempo un guanto o uno stivale possono resistere nell’ambiente lunare?” afferma Shane McFarland, responsabile dello sviluppo tecnologico del team Advanced Suit presso la NASA Johnson. “Vogliamo quantificare il divario nelle capacità dell’attuale hardware per fornire queste informazioni al fornitore della tuta per Artemis e, allo stesso tempo, sviluppare questa capacità unica di testare i futuri design delle tute spaziali.

I test realizzati con l’ausilio della CITADEL, quindi, non solo forniscono dati cruciali per il miglioramento delle tute spaziali, ma permetteranno di garantire la sicurezza degli astronauti nelle missioni future, affrontando ambienti estremi come quelli che li attendono sulla Luna e, un giorno, su Marte.

Fonti e Link Utili:

La Luna del Mese – Maggio 2025

LA LUNA DI MAGGIO 2025

Analogamente al mese appena trascorso, Maggio si apre con la fase di Primo Quarto che alle ore 15:52 del giorno 4 vedrà il ritorno del nostro satellite nelle migliori condizioni osservative rendendosi ormai visibile nelle più comode ore serali, anche se con l’avanzare della primavera il Sole ritarda sempre più il suo tramonto. Basterà attendere qualche ora e dalle ore 21:00 circa con la Luna ad un’altezza sull’orizzonte intorno ai 60° sarà possibile andare alla ricerca di una immensa varietà di dettagli con crateri di qualsiasi dimensione, scarpate, solchi e vastissimi altipiani alternati ad estese aree solo apparentemente pianeggianti dove, osservando anche ad elevati ingrandimenti, ci si renderà conto che sulla Luna il termine “pianeggiante” assume un significato estremamente relativo. Nella serata ad attirare l’attenzione saranno i monti Caucasus fra i mari Serenitatis e Imbrium unitamente alla parte più settentrionale degli Appennini, i lunghi solchi noti come Hyginus e Ariadaeus e le imponenti e spettacolari strutture crateriformi del settore S-SE dell’altopiano meridionale. Tutte queste, ma oltre a tante altre, verranno a trovarsi in prossimità della linea del terminatore con la concreta possibilità di osservazioni in alta risoluzione in caso di seeing stabile. Infine per completare la serata segnalo che la zona di massima librazione si troverà ad est del grande cratere Humboldt, alla medesima latitudine del vicino Petavius.

Monti lunari Caucasus, visibili in maggio durante il primo quarto.

Solchi Rimae Hyginus e Ariadaeus visibili durante il primo quarto nella mese di maggio.

Giunta la fase crescente al suo capolinea alle ore 18:56 del 12 Maggio col nostro satellite in Plenilunio alla distanza di 407923 km dalla Terra, diametro apparente 29,29’ ma a -16° sotto l’orizzonte, sarà sufficiente attendere le ore 20:35 della medesima serata quando sorgerà in fase di 15 giorni in tutto il suo splendore e pronto a farsi ammirare dagli appassionati con i loro binocoli e/o telescopi fino all’alba del mattino seguente quando scenderà sotto l’orizzonte contestualmente al sorgere del Sole.

Ripartita la fase calante, la Luna traslerà la propria presenza nel cielo progressivamente di sera in sera dalle comode ore tardo pomeridiane e serali fino alle più lontane ore della notte, portandosi di sera in sera prima in Ultimo Quarto alle ore 13:59 del 20 Maggio, successivamente fino al Novilunio delle ore 05:02 del 27 Maggio quando ci apparirà nuovamente in ombra. A proposito di Ultimo Quarto, alle ore 02:09 del 20 Maggio la Luna sorgerà in fase di 22 giorni. Nel caso specifico, anche se mancheranno circa 12 ore all’Ultimo Quarto, potrebbe risultare molto interessante ed anche stimolante l’osservazione al telescopio di strutture quali i crateri Eratosthenes, Copernicus, Kepler e, più a nordovest, lo spettacolare altopiano noto come Aristarchus Plateau. Ripartita dal Novilunio del 27 Maggio la fase crescente, contestualmente ad un ulteriore nuovo ciclo lunare, il mese in corso andrà a terminare con la Luna che intorno alle ore 21:30 del 31 Maggio sarà in fase di 4,7 giorni ad un’altezza di +36°, con alcune ore a disposizione prima che scenda sotto l’orizzonte poco dopo la mezzanotte.

Struttura lunare Aristarchus Plateau
ben visibile nel mese di maggio durante l’ultimo quarto.

Congiunzioni e Occultazioni Notevoli

La seconda parte dell’articolo di Francesco Badalotti, dedicato alla Luna di Maggio, con la descrizione delle Congiunzioni e Occultazioni notevoli, le Falci Lunari, e la tabella delle effemeridi è disponibile per i lettori abbonati alla versione digitale o al cartaceo.

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–  Ogni fenomeno lunare e rispettivi orari sono rapportati alla Città di Roma, dati rilevati dai siti https://theskylive.com/http://www.marcomenichelli.it/luna.asp


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Circinus West: Una Nebulosa Oscura che Ospita un Nido di Nuove Stelle

Alcune delle caratteristiche interessanti scoperte nell'ombra celeste conosciuta come la nube molecolare Circinus West. Questa immagine è stata catturata con la Dark Energy Camera (DECam) da 570 megapixel, realizzata dal Dipartimento dell'Energia, una delle fotocamere digitali più potenti al mondo. All'interno dei confini opachi di questa culla stellare, le stelle neonate si accendono dal gas e dalla polvere freddi e densi, mentre i getti espellono il materiale residuo nello spazio.Credito: CTIO/NOIRLab/DOE/NSF/AURA Elaborazione dell'immagine: T.A. Rector (University of Alaska Anchorage/NSF NOIRLab), D. de Martin & M. Kosari (NSF NOIRLab).

La nube molecolare Circinus West, una zona oscura celeste recentemente catturata dalla potente Dark Energy Camera (DECam), rappresenta uno degli obiettivi più interessanti per gli astronomi impegnati a esplorare i misteri della formazione stellare. Situata a circa 2.500 anni luce dalla Terra, nella costellazione del Circinus (Compasso), questa culla stellare offre uno sguardo affascinante sulla nascita e l’evoluzione delle stelle, avvolte in dense nubi di gas e polveri interstellari.

Un’ombra celeste conosciuta come la nube molecolare Circinus West attraversa questa immagine, catturata con la Dark Energy Camera (DECam) da 570 megapixel, realizzata dal Dipartimento dell’Energia, una delle fotocamere digitali più potenti al mondo. All’interno di questa culla stellare, stelle neonate si accendono da gas e polvere freddi e densi, mentre i getti espellono il materiale residuo nello spazio. Credito: CTIO/NOIRLab/DOE/NSF/AURA Elaborazione dell’immagine: T.A. Rector (University of Alaska Anchorage/NSF NOIRLab), D. de Martin & M. Kosari (NSF NOIRLab)

Il Ruolo delle Nebulose Oscure nella Formazione delle Stelle

Le nubi molecolari, come Circinus West, sono ambienti cruciali per la formazione delle stelle. Queste nubi, caratterizzate da temperature estremamente basse e densità elevatissime, creano un ambiente ideale per la formazione di molecole, poiché gli atomi all’interno di esse si legano per formare composti più complessi. A causa della loro densità, queste nubi sono opache alla luce, il che conferisce loro un aspetto scuro e maculato, da cui il nome nebulose oscure. Sono proprio queste aree che offrono importanti informazioni sui processi alla base della nascita delle stelle e sull’evoluzione delle nubi molecolari.

Circinus West, una parte della più grande nube molecolare Circinus, si estende su 180 anni luce e possiede una massa pari a 250.000 volte quella del nostro Sole. Nonostante la densità del gas e della polvere che oscurano gran parte della regione, gli astronomi sono riusciti a rilevare la formazione di nuove stelle al suo interno. L’immagine catturata dalla DECam, montata sul telescopio Víctor M. Blanco da 4 metri della National Science Foundation, presso l’Osservatorio Interamericano Cerro Tololo in Cile, mostra una forma scura e tortuosa, ricca di gas e polveri, con diverse stelle neonate sparse nella sua vastità.

La Nascita delle Stelle e i Loro Getti Molecolari

In Circinus West, le stelle appena formate emergono dalla nube oscura, la loro presenza segnalata da esplosioni di luce che penetrano attraverso il materiale che le circonda. Queste emissioni provengono da stelle in formazione attiva, e le cavità attorno a esse sono create da potenti getti di gas—i cosiddetti getti molecolari—che vengono espulsi dalle protostelle mentre si formano. Questi getti, oltre ad essere più facili da osservare rispetto alle stelle stesse, forniscono strumenti molto utili per lo studio dei processi di formazione stellare.

L’immagine DECam mostra numerosi segni di questi getti, inclusi punti luminosi dove le stelle stanno espellendo materiale nello spazio. Una delle aree più significative, la regione Cir-MMS, presenta una forma che ricorda una mano con lunghe dita ombrose, dove la radiazione intensa delle stelle neonate sta creando cavità all’interno della nube oscura. Questi getti molecolari forniscono informazioni fondamentali sui meccanismi che regolano la formazione delle stelle e sull’impatto che le stelle giovani esercitano sull’ambiente circostante.

Un primo piano di due oggetti Herbig-Haro (HH) trovati nella nube molecolare Circinus West: HH 76 (al centro in alto dell’immagine) e HH 77 (in basso a sinistra). Gli oggetti HH sono macchie rosse luminose di nebulosità che si trovano comunemente vicino a stelle neonate. Si formano quando il gas ad alta velocità espulso dalle stelle collide con il gas a bassa velocità presente nella nube molecolare circostante o nel mezzo interstellare. Questa immagine è stata catturata con la Dark Energy Camera (DECam) da 570 megapixel, realizzata dal Dipartimento dell’Energia, una delle fotocamere digitali più potenti al mondo, montata sul telescopio Víctor M. Blanco da 4 metri della National Science Foundation presso l’Osservatorio Interamericano Cerro Tololo in Cile, un programma del NSF NOIRLab. Credito: CTIO/NOIRLab/DOE/NSF/AURA Elaborazione dell’immagine: T.A. Rector (University of Alaska Anchorage/NSF NOIRLab), D. de Martin & M. Kosari (NSF NOIRLab)
Una nebulosa planetaria trovata nella nube molecolare Circinus West. Le nebulose planetarie sono gli strati esterni delle stelle giganti rosse in fase di invecchiamento, espulsi nello spazio al termine della vita di una stella. Questa immagine è stata catturata con la Dark Energy Camera (DECam) da 570 megapixel, realizzata dal Dipartimento dell’Energia, una delle fotocamere digitali più potenti al mondo, montata sul telescopio Víctor M. Blanco da 4 metri della National Science Foundation presso l’Osservatorio Interamericano Cerro Tololo in Cile, un programma del NSF NOIRLab.
Credito:
CTIO/NOIRLab/DOE/NSF/AURA
Elaborazione dell’immagine: T.A. Rector (University of Alaska Anchorage/NSF NOIRLab), D. de Martin & M. Kosari (NSF NOIRLab)

 

Oggetti Herbig-Haro: Un Indicatore della Nascita Stellare

Oltre ai getti, un altro segno distintivo della formazione stellare in Circinus West è la presenza di oggetti Herbig-Haro (HH). Questi oggetti appaiono come macchie rosse e luminose di gas, che si formano quando il gas ad alta velocità espulso dalle stelle collide con il gas a bassa velocità presente nella nube molecolare circostante. L’immagine DECam rivela numerosi oggetti HH sparsi per Circinus West, tra cui tre recentemente scoperti vicino alla regione Cir-MMS.

Gli oggetti HH offrono agli astronomi una comprensione più dettagliata di come le stelle interagiscano con il loro ambiente. Non solo rivelano le prime fasi della nascita stellare, ma permettono anche di studiare i meccanismi che guidano l’evoluzione delle nubi molecolari e delle galassie. Analizzando questi oggetti e i relativi getti, gli scienziati possono raccogliere informazioni vitali sui processi che regolano la formazione delle stelle e su come tali meccanismi potrebbero aver influenzato la nascita del nostro Sistema Solare.

FONTE: NOIRLab

Missione Shenzhou-20: La Cina Vuole un Ruolo nello Spazio

La Cina ha inviato giovedì un nuovo equipaggio di astronauti verso la sua stazione spaziale, segnando un altro audace passo nel suo impegno incessante per diventare una potenza spaziale globale. Crediti: AFP

Il 24 aprile 2025, la Cina ha lanciato con successo la missione Shenzhou-20, un passo decisivo nel suo ambizioso programma spaziale. Il razzo è decollato dal Centro di Lancio Satellitare di Jiuquan, nel deserto del Gobi, alle 17:17 ora locale, segnando un’altra tappa fondamentale nel cammino del Paese verso il rafforzamento della sua presenza nello spazio.

La missione Shenzhou-20 è parte di una visione più ampia voluta dal presidente Xi Jinping, che ha definito l’esplorazione spaziale come una componente essenziale per il “sogno spaziale del popolo cinese“. Con investimenti che ammontano a miliardi di dollari negli ultimi dieci anni, il programma spaziale cinese ha fatto enormi progressi, dal landing di rover sulla Luna e su Marte alla costruzione della propria stazione spaziale orbitante, Tiangong, che significa “Palazzo Celeste”.

La missione è guidata da Chen Dong, astronauta esperto e ex pilota di caccia, che sarà affiancato da Chen Zhongrui e Wang Jie, entrambi al loro primo volo nello spazio. I tre astronauti trascorreranno sei mesi a bordo della stazione spaziale Tiangong, impegnandosi in esperimenti scientifici e attività di manutenzione, tra cui passeggiate spaziali e l’installazione di schermature contro i detriti spaziali. Un’importante novità sarà l’introduzione dei planari, vermi acquatici noti per le loro straordinarie capacità rigenerative, nell’ambiente a microgravità.

La Cina, che ora ha la terza capacità al mondo di inviare esseri umani in orbita, dopo Stati Uniti e Russia, sta accelerando i suoi progetti spaziali. La stazione Tiangong è al centro della strategia spaziale cinese e, con la fine dell’era della Stazione Spaziale Internazionale (ISS), si propone come un’alternativa autonoma e sovrana in orbita terrestre bassa.

Non solo un traguardo scientifico, la missione rappresenta anche un’occasione per la Cina di espandere la sua influenza diplomatica. A febbraio 2025, infatti, la Cina ha siglato un accordo con il Pakistan per l’inserimento di astronauti pakistani nella sua stazione spaziale.

La missione Shenzhou-20 non è un caso isolato. La Cina ha già in programma una missione lunare con equipaggio entro la fine di questo decennio, con l’obiettivo di costruire una base permanente sulla Luna, in collaborazione con la Russia, segnando un ulteriore passo nella sua ascesa come potenza spaziale globale.

Secondo Lin Xiqiang, direttore della CMSA (China Manned Space Agency), “Ogni lancio è un passo più vicino alle stelle e una testimonianza di ciò che la nostra nazione può raggiungere quando è unita in uno scopo comune.

La missione Shenzhou-20 rappresenta non solo un obiettivo scientifico, ma anche un messaggio di determinazione e indipendenza tecnologica della Cina, che si prepara a scrivere un nuovo capitolo nell’esplorazione spaziale.

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