La nuova frontiera per accelerare la trasmissione dati con i satelliti

 

Cosa ha a che vedere una delle piazze più belle d’Italia con un geniale polimata spagnolo e la crittografia quantistica? Ad una prima vista molto poco, ma un collegamento c’è, e per scoprirlo dovremo immergerci negli affascinanti progetti che proprio in questi anni si stanno sviluppando per connettere due isole nel mezzo dell’Atlantico, Tenerife e La Palma, con una rete di comunicazione ottica tra telescopi chiamata “IACLink”.

Ma procediamo con ordine: la nostra avventura inizia nell’anno 2000, quando viene inaugurata l’Optical Ground Station (OGS), un telescopio costruito per iniziativa dell’Agenzia Spaziale Europea con uno specchio da un metro nato con un obiettivo estremamente ambizioso. L’idea di fondo dell’ESA era quella di riuscire a dimostrare che era possibile sviluppare un innovativo sistema di comunicazione con i satelliti modulando un raggio laser. L’obiettivo ce lo spiega in dettaglio Iciar Montilla, ricercatrice dell’IAC, l’Instituto Astrofisico de Canarias: “Perché ci interessa la comunicazione ottica? Perché con i laser si ottiene una maggiore velocità di trasmissione: hanno più larghezza di banda e quindi si può passare da velocità nell’ordine dei megabit al secondo delle radiofrequenze a velocità di gigabit al secondo con i laser. Inoltre – ed è qualcosa che oggi è molto di tendenza – il segnale laser è meno divergente del segnale radio. Dunque, da un lato si richiede meno potenza per trasmettere i dati e, dall’altro – ed è questo l’aspetto oggi sulla cresta dell’onda – la comunicazione è punto-a-punto.

L’Optical Ground Station OGS della ESA a Tenerife.

In effetti, la trasmissione di dati di un satellite o di una sonda interplanetaria utilizzando semplicemente segnali radio può durare mesi o addirittura anni. Un recente esempio eclatante? La sonda New Horizons, che ha potuto per la prima volta studiare con grande dettaglio il pianeta nano Plutone e il suo satellite Caronte, ha impiegato la bellezza di 15 mesi per inviare 50 gigabit riguardanti i dati raccolti durante il flyby del corpo celeste. Con comunicazioni laser la durata richiesta per le trasmissioni potrebbe essere enormemente minore.

La questione della velocità non è una mania”, chiarisce Iciar. “È che il fattore, per le missioni spaziali ad esempio, è critico. Stiamo costruendo sonde e satelliti che montano fotocamere con risoluzione sempre migliore e quindi che producono una grande mole di informazioni, ma il problema è che continuiamo a trasmettere via radiofrequenza. Quindi i dati impiegano tantissimo tempo ad arrivare.”

Per esempio, tra il 1963 e il 1973 furono lanciate le sonde della NASA Mariner dirette verso Venere, Mercurio e Marte. Ebbene, le loro fotocamere all’inizio avevano una risoluzione di 25 chilometri per pixel. Circa dieci anni dopo erano già a 230 metri per pixel. Poi, nel XXI secolo, per esempio, abbiamo risoluzioni di 25,17 metri.

Una delle ultime è stata la fotocamera HiRISE (High Resolution Imaging Science Experiment), installata sulla sonda Mars Reconnaissance Orbiter (MRO) lanciata nel 2005. Questa fotocamera ha 50 centimetri per pixel. Allora qual è il problema? Se prendi HiRISE, la sua intenzione era mappare l’intera superficie di Marte. Il problema è che si produce una tale quantità di informazione che, alla velocità della radiofrequenza, un’immagine dell’intera superficie di Marte impiega quattro anni e mezzo. Usando i laser sarebbero bastate una settimana e mezza. Per le missioni spaziali, la differenza è drammatica, perciò la NASA è molto interessata alle comunicazioni ottiche e se vogliamo aumentare ancora di più la velocità e superare la barriera dei 10 gigabit al secondo, allora abbiamo bisogno dell’ottica, ma soprattutto dell’ottica adattiva”.

Ruben Sánchez dell’IACtec (il centro dell’IAC destinato allo sviluppo tecnologico degli strumenti per la ricerca), è uno dei ricercatori che sta portando avanti lo studio sulle tecnologie Free Space Optical Communications (FSOC) nel laboratorio dell’IACtec a Tenerife e mette in evidenza un altro aspetto vantaggioso essendo la tecnologia che utilizza comunicazione ottica nello spazio libero molto più leggera e meno ingombrante di quella tradizionale. Questo concetto prende il nome di “carico utile”: ogni chilo messo in orbita ha un costo enorme, e non c’è spazio per il superfluo.

Per dimostrare la fattibilità dell’uso di questa innovativa tecnica, l’ESA nel 2001 lanciò, con un Ariane 5, il satellite Artemis, che rimase operativo per 16 anni. Il satellite doveva riuscire a realizzare delle comunicazioni via laser con il telescopio dell’Optical Ground Station di Tenerife.

Fino a quel momento l’impresa non era mai stata tentata. Ma l’ESA non si arrese e, effettivamente, la missione fu un successo. Funzionò molto bene e, di fatto, oggi le comunicazioni ottiche sono decisamente di moda. Ma il primo passo avvenne qui all’OGS, con la collaborazione dell’IAC.

Una delle sfide che furono affrontate (e brillantemente risolte) nel caso della comunicazione tra l’OGS a terra e Artemis in orbita fu il problema di correggere i problemi legati alla densa atmosfera terrestre, che inevitabilmente portava a distorcere il segnale laser, rendendo difficile la trasmissione.

Esperimento del 2012 usando il JKT di La Palma e il OGS di Tenerife Nell’immagine il raggio laser trasmesso con l’informazione necessaria.

L’obiettivo della comunicazione laser, però, non è solamente una comunicazione tra satelliti e la base terrestre. L’interesse economico principale del progetto risiede anche sul fatto di implementare questa comunicazione all’interno di una rete di comunicazione che copra la superficie terrestre, sostituendo i cavi di comunicazione (fibra ottica) che attualmente sono collocati in fondo al mare.

La difficoltà delle comunicazioni ottiche via laser risiede nello sviluppare sistemi di ottica adattiva così raffinati da correggere l’effetto indotto dalla densa atmosfera terrestre. Se nell’invio di segnali ottici dai satelliti la turbolenza atmosferica risulta problematica solo per i primi chilometri, nell’adozione di questo sistema per le comunicazioni terrestri (cioè tra emettitore e ricevitore basati a terra) l’effetto si mostra molto più marcato.

Un altro problema da risolvere oltre alla distorsione atmosferica, prima di poter sostituire con la comunicazione laser i cavi sottomarini tra Europa e Stati Uniti o tra Asia e America su cui attualmente viaggiano i dati di internet, è quello della sicurezza: dobbiamo essere sicuri che le comunicazioni non vengano intercettate ed essere coscienti nel caso ci sia qualche soggetto terzo che stia ricevendo i dati. Anche per questo problema, la soluzione è particolarmente innovativa, e proviene nientedimeno che dalla fisica quantistica.

Il setup dell’esperimento che valse a Anton Zeilinger il premio Nobel del 2022 sul cosiddetto teletrasporto quantistico.

Prendiamo l’esperimento che fu realizzato nel 2012 con Anton Zeilinger”, dice Ruben Sanchez “in quel caso si riuscì ad inviare un segnale laser tra il Jacobus Kapteyn Telescope (JKT) di La Palma e l’OGS di Tenerife. Si tratta di circa 143 chilometri di distanza. Normalmente, a fini di calcolo, si suole considerare che l’atmosfera sia alta circa 20 chilometri quindi una volta raggiunta tale soglia sopra le nostre teste il resto si può approssimare allo spazio vuoto ma La Palma-Tenerife è una distanza sette volte maggiore!”.
Ruben si riferisce all’esperimento che nel 2012 venne eseguito tra il JKT di La Palma e l’OGS di Tenerife, e che ottenne il record di distanza nella tecnologia del cosiddetto “teletrasporto quantistico”.
Al di là dell’esotico nome, forse un po’ fuorviante, quello che si osservò con l’esperimento che è valso ad Anton Zeilinger il premio Nobel nel 2022 è stata la diretta conseguenza delle leggi della meccanica quantistica in azione.

Il set-up dell’Esperimento e la sicurezza spiegati da Socas Negrín

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L’articolo è pubblicato in COELUM 276 VERSIONE CARTACEA