Intro

Gli ultimi due mesi hanno visto l’uscita di tante ricerche e notizie che hanno riguardato il Pianeta Rosso, la prima delle quali è la rivelazione, da prendere con cautela, della scoperta di potenziali firme biologiche di antichi batteri. Un recente studio ha poi analizzato i dust devil dall’orbita marziana e adesso sappiamo un po’ meglio come si comportano questi mini tornado. E poi c’è una cometa interstellare che ha “sfiorato” il pianeta a 30 milioni di km di distanza osservata da satelliti e anche da un rover… Ma prima di tutto questo, riprendiamo il filo delle cronache dell’esplorazione del Cratere Jezero, si parte!

Paesaggio in direzione di Kerrlaguna osservato da Perseverance nel Sol 1593. In primo piano le formazioni chiamate megaripple. NASA/JPL-Caltech/Piras.

Megaripple e Megabrecce aavanti a Perseverance

Abbiamo lasciato il nostro rover impegnato nel tentativo di scavalcare il bordo est di Krokodillen, l’unità geologica che ha esplorato negli scorsi mesi, così da raggiungere l’affioramento roccioso chiamato Midtoya. Tuttavia il confine si era rivelato troppo ripido per il rover che ha dovuto rinunciare a quella via per dirigersi invece verso sud.
Il 13 agosto è così giunto nelle vicinanze della località Kerrlaguna. Il nome è mutuato da quello di un lago situato nell’isola Prins Karls Forland delle Svalbard, il cui parco nazionale Forlandet ospita anche la montagna Krokodillen, in effetti gli scienziati della NASA stanno attingendo proprio da questa area i toponimi utilizzati per la geografia marziana dell’attuale quadrante.

In Kerrlaguna il rover ha incontrato un campo di megaripple. Il termine, generalmente non tradotto in italiano, viene utilizzato in riferimento al paesaggio marziano per indicare le creste di sabbia modellate dal vento che sul Pianeta Rosso raggiungono fino a un metro di altezza. A differenza delle simili formazioni studiate da Curiosity quasi 10 anni fa nella località Bagnold Dune Field, capaci di spostarsi di un metro ogni anno terrestre a causa del vento, i megaripple di Kerrlaguna sono dune non più attive, molto probabilmente a causa della lenta formazione di una crosta di sali. Lo studio di questi megaripple tramite fotografie, nonché l’analisi dell’ambiente circostante con i sensori meteorologici della suite MEDA, ci aiuterà a comprendere il ruolo del vento e dell’acqua nel sagomare il paesaggio marziano.

Quattro Sol più tardi e 430 metri a sud-ovest, Perseverance raggiunge un differente bordo dell’unità Krokodillen. Si tratta del lungo affioramento Soroya, selezionato da tempo come obiettivo a causa del suo colore molto più chiaro rispetto alle zone circostanti. La navigazione autonoma che a quanto pare funziona alla perfezione, porta il rover su un’area pianeggiante con rocce esposte.

Mappa con gli spostamenti di Perseverance aggiornata al 10 ottobre. NASA/JPL-Caltech/Piras.

 

Megaripple di Kerrlaguna in una foto della Right MastCam-Z, Sol 1593. NASA/JPL-Caltech/ASU/Piras.

I basamenti di quest’area, a prima vista tutti piatti e levigati, a un’osservazione più attenta rivelano alcuni massi con superfici ruvide ricchissime di piccoli granelli inclusi nella roccia. Uno di questi massi viene “spazzato” in superficie dalla polvere per mezzo dei getti supersonici di azoto e poi osservato da vicino con la camera WATSON. Le foto documentano una trama grossolana e irregolare, composta da granuli di dimensioni variabili e da una sottile patina violacea diffusa sulla superficie.

Le immagini notturne, illuminate dai LED della camera, mettono in evidenza riflessi iridescenti: è un segnale tipico della presenza di olivina, un minerale vulcanico già identificato in altre zone del margine di Krokodillen. Queste caratteristiche, insieme alla distribuzione dei materiali e al contesto geologico, portano il team a ipotizzare che si tratti di depositi formatisi da colate di cenere vulcanica esplosiva, il prodotto di eruzioni catastrofiche che hanno distribuito ceneri e frammenti fusi sul terreno che si sono poi consolidati nel tempo.

Terminate le analisi sulle rocce di Soroya, a fine agosto Perseverance si sposta verso nord-est per circa 180 metri ed entra in quella che si ritiene possa essere una megabreccia. Con questo termine, identico in inglese e italiano in quanto derivato dal latino, si intendono campi costituiti da blocchi di roccia più grandi di un metro, fratturati e rimescolati da violenti eventi dimpatto. Questi eventi, che riportano in superficie materiale proveniente dagli strati interni della crosta marziana, offrono l’opportunità di esaminare alcune delle rocce più antiche a cui il rover potrà mai accedere.

Sol 1597, visuale NavCam dell’affioramento Soroya che in questa fotografia si sviluppa verso sud-ovest. NASA/JPL-Caltech/Piras.

L’esplorazione di quest’area è documentata nella porzione più a est della mappa dai ripetuti zigzag e impegna il rover per tutto il mese di settembre e l’inizio di ottobre, toccando le rocce (o “megablocchi”) Scotiafjellet e Monacofjellet. “Peachflya” e “Klorne”, i nomi di due abrasioni che Perseverance esegue qui, raccontano delle storie differenti tra loro e forniscono uno spaccato della complessità geologica di Marte.

Uno dei massi di Soroya fotografato dalla Left MastCam-Z, Sol 1599. NASA/JPL-Caltech/ASU/Piras.

La prima, “Peachflya”, si è rivelata un mosaico di frammenti minerali differenti. Ciò confermerebbe che la roccia analizzata sia effettivamente una breccia, formata dall’unione di pezzi più antichi cementati insieme dopo un evento altamente energetico. Peachflya racconta una storia di distruzione e ricomposizione: frammenti dell’antica crosta marziana spezzati, trasportati e poi saldati in un nuovo insieme.

A pochi metri di distanza la seconda abrasione, “Klorne”, ha un racconto dicevamo differente. La sua superficie, di un verde tenue punteggiato da venature bianche, rivela un processo opposto: non fratture e violenza, ma trasformazione chimica lenta e profonda. Il colore verde è tipico del minerale serpentino, che si forma quando l’acqua interagisce con rocce ricche di ferro e magnesio.
Così, in un breve tratto di terreno, Perseverance ha osservato due facce della storia marziana: una segnata dagli impatti che plasmarono la crosta primordiale, l’altra modellata dall’azione dell’acqua che, almeno per un tempo, ne modificò la composizione chimica.

Immagini macro di WATSON in diurna (a sinistra) e in notturna. La dimensione orizzontale dell’inquadratura è di circa 2 cm. Sol 1600. NASA/JPL-Caltech/Piras.

 

 

 

 

 

Peachflya (in alto) e Klorne, le abrasioni eseguite nei Sol 1620 e 1623 (10 e 13 settembre). Il diametro delle incisioni è di 5 cm. NASA/JPL-Caltech/Piras.

 

Più di 1000 Dust Devil ci raccontano il clima Marziano

L’ARTICOLO COMPLETO è riservato agli abbonati alla versione digitale. Per sottoscrivere l’abbonamento Clicca qui. Se sei già abbonato accedi al tuo account dall’Area Riservata

Questo contenuto non è accessibile al tuo livello di iscrizione.

L’ARTICOLO E’ PUBBLICATO IN COELUM 277