di Denise Sammartino

Un esempio di studio complesso

ABSTRACT

NGC 1068 è una galassia a spirale a 45 milioni di anni luce, che ospita un nucleo galattico attivo dominato da un buco nero supermassiccio di circa dieci milioni di masse solari. La materia che vi accresce genera un disco estremamente energetico, circondato da gas e polveri dalla struttura ancora discussa, insieme a una corona caldissima e piccoli jet.

Particolarmente rilevante è la sua duplice emissione di raggi gamma e neutrini, tra le poche conosciute nell’universo. I neutrini, quasi privi di massa e capaci di attraversare la materia, rivelano fenomeni cosmici molto energetici. La loro rilevazione da parte di IceCube, l’osservatorio immerso nel ghiaccio antartico, ha reso NGC 1068 una sorgente chiave per la fisica astroparticellare.

I telescopi Cherenkov come LST-1, parte del futuro osservatorio CTAO, studiano invece i raggi gamma ricostruendo energia e direzione per capire i meccanismi di emissione. Nel caso di NGC 1068, la forte produzione di neutrini accompagnata da un debole segnale gamma indica probabile assorbimento delle radiazioni ad alta energia nelle regioni interne attorno al buco nero, con la corona come possibile origine.

NGC 1068 resta così un enigma del cosmo estremo, che richiede osservazioni sempre più accurate per essere compreso.

 

A14 megaparsec da noi, circa 45 milioni di anni luce, si trova uno degli oggetti più misteriosi del cosmo e che ultimamente è fonte di particolare attenzione da parte degli astrofisici: la galassia NGC 1068 (nel New General Catalogue), anche classificata come M77 nel Catalogo Messier. Si tratta di una galassia a spirale, visibile nella costellazione della Balena, che nasconde una serie di interessanti processi all’interno di essa.
Nel centro della galassia NGC 1068 è presente un AGN (Active Galactic Nuclei, nucleo galattico attivo), ovvero un buco nero supermassiccio, con una massa uguale a circa 107M⊙, che accresce materia in un disco che ruota attorno ad esso, chiamato tecnicamente disco di accrescimento. La materia, attraverso l’attrito, si riscalda ed emette un’enorme quantità di energia, caratteristica di questi oggetti.

Altre componenti importanti che costituiscono gli AGN sono:

  • Una struttura di polvere e gas, che circonda il buco nero e il disco. Attualmente non è ancora chiara la sua forma esatta: la teoria più diffusa è che abbia la forma di una ciambella, detta anche tecnicamente un toro. Altri studi però suggeriscono che sia una regione formata da tante nubi di polvere, e che quindi sia più frammentato e non semplicemente un’unica grossa struttura;
  • La corona: è una regione che si trova al di sopra del disco, composta da gas estremamente caldo;
  • I jet di materia, i.e. flussi di materia che fuoriescono da una regione vicino al buco nero, il cui punto esatto di origine è sconosciuto, perpendicolarmente al disco di accrescimento. Nel caso di NGC1068 però, i jet sono piccoli e poco veloci rispetto alla media degli AGN.

Perché la comunità scientifica si dedica a studiare questo oggetto? La galassia NGC 1068 è interessante perché rappresenta una delle pochissime sorgenti osservate in grado di emettere sia raggi gamma che neutrini.

Basti pensare che la sorgente di neutrini emessa dall’AGN di NGC 1068, è la seconda sorgente rilevata dal progetto IceCube nel 2010 (vedi seguente sezione), dopo quella del quasar TXS 0506+0561, e la quarta sorgente nota in assoluto, oltre quelle della supernova SN1987A e quella relativa ai neutrini solari.

In astrofisica, ogni particella, come appunto i raggi gamma ed i neutrini, nasconde dietro di sé un vero e proprio universo di conoscenze. Quindi, per comprendere davvero i fenomeni che vengono svelati da queste osservazioni, è necessario fare una breve “mini-lezione” di fisica delle particelle: solo così possiamo iniziare a decifrare il linguaggio dell’universo più estremo.

Rappresentazione grafica di un AGN, con tutte le sue componenti: il toro di polvere e gas (Clumpy Gas and Dust Torus), i Jet, il buco nero supermassiccio (Supermassive Black Hole) e il disco di accrescimento (Accretion Disk). Fonte: https://public.nrao.edu/gallery/a-unified-agn-model/.

Sapevi che esistono diversi tipi di buchi neri?

1. I buchi neri stellari – con una massa tra le 3 e le 100 volte quella del sole. Sono formati a seguito del collasso gravitazionale di una stella massiccia, quando quest’ultima si trova negli stadi finali della sua vita, ovvero quando ha terminato tutto il “combustibile” che l’alimenta.

2. I buchi neri supermassicci – con masse milioni di volte quella solare, ordine 106M⊙ – si trovano solitamente al centro delle galassie. Allo stato attuale dell’arte non c’è una perfetta comprensione sui meccanismi che li hanno generati, ma si pensa che i buchi neri supermassicci possano avere origine da diversi buchi neri stellari che nel corso del tempo si sono fusi insieme.


La Fisica delle Alte Energie

Molte volte, nell’universo, protoni ed elettroni si trovano in forma libera, non organizzati in legami atomici, come nella materia che ci circonda sulla terra: questa condizione prende il nome di plasma.

Il plasma, spesso definito “quarto stato della materia”, è un gas portato a temperature ed energie così elevate da spezzare gli atomi, liberando elettroni e lasciando i nuclei carichi muoversi liberamente. È lo stato più comune della materia nell’universo: lo troviamo nel Sole, in generale nell’interno di tutte le stelle, nelle nebulose e nei getti cosmici che viaggiano quasi alla velocità della luce. In ambienti estremi, come le esplosioni di supernova, i venti stellari violenti o le regioni intorno ai buchi neri, il plasma raggiunge energie tali che le particelle al suo interno possono muoversi a velocità prossime a quella della luce.

Quando queste particelle si scontrano o vengono improvvisamente deviate da qualche campo magnetico, rilasciano enormi quantità di energia sotto forma di radiazione, fino alla banda di frequenza dei raggi gamma, la più intensa dell’intero spettro elettromagnetico.
Per quanto riguarda i protoni, il fenomeno più frequente è la collisione tra queste particelle. Il loro scontro fa sì che vengano prodotti pioni, un tipo di particelle che si indica con il simbolo π, caratterizzate da una vita molto breve (circa 0,00000000000000001 secondi o 10 attosecondi). Passato questo tempo infinitamente piccolo, la particella π decade e si trasforma in un altro tipo di particella: a volte si trasforma in raggi gamma, ovvero particelle senza massa ad altissima energia (simili alle particelle che costituiscono la luce visibile, ma con energie e frequenze molto più alte), altre volte in neutrini.

Un raggio di luce con poca energia può incontrare un elettrone e, dopo lo scontro, “rubargli” un po’ di energia, diventando così molto più energetico — fino a trasformarsi in un raggio gamma, come nello scontro tra due palle da biliardo, quella piú lenta riparte con una maggiore velocita, che ha ‘acquisito’ da quella piú rapida.
Un protone e un elettrone slegati hanno un incontro ravvicinato, senza toccarsi: si produce un raggio gamma e la traiettoria dell’elettrone viene deviata.
 

I neutrini sono delle particelle leggerissime, che hanno una proprietà molto particolare, cioè quella di passare attraverso la materia. Per fare un paragone, immaginate una casa infestata dai fantasmi. Loro non hanno bisogno di aprire le porte, o di fare le scale… Ma vanno da una stanza ad un’altra passando attraverso le pareti. Ecco, i neutrini possiamo vederli così, come i fantasmi dell’universo.
Anche gli elettroni possono generare raggi gamma (ma non neutrini), sebbene i processi che portano a questa emissione siano più complessi. Possiamo comunque descriverli in modo qualitativo.

IceCube nel ghiaccio a caccia di Neutrini

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Bibliografia

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Fiorillo, Damiano F. G.; Comisso, Luca; Peretti, Enrico; Petropoulou, Maria; Sironi, Lorenzo (1 October 2024). “A Magnetized Strongly Turbulent Corona as the Source of Neutrinos from NGC 1068”. The Astrophysical Journal. 974 (1): 75.

  • I quasar sono definiti nell’articolo di COELUM n.273 “Una tazza di thè caldo al buco nero
  • Padovani, P., Resconi, E., Ajello, M. et al. High-energy neutrinos from the vicinity of the supermassive black hole in NGC 1068. Nat Astron 8, 1077–1087 (2024).
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  • 151005 6 Herrera, Gonzalo. “Plausible Indication of Gamma-Ray Absorption by Dark Matter in NGC 1068.” arXiv preprint arXiv:2504.21560 (2025).

Instituto de Astrofísica de Andalucía

L’Instituto de Astrofisica de Andalucia (IAA) è un centro di ricerca di eccellenza facente parte del Consejo Superior de Investigaciones Científicas. Al suo interno ci sono quasi 200 tra astronomi, astrofisici ed ingegneri che portano avanti l’obiettivo di approfondire la conoscenza del Cosmo.
All’interno dell’IAA, il gruppo VHEGA (Very High Energy Group for Astrophysics) si occupa dello studio dell’astrofisica delle alte energie e dell’astronomia gamma. I ricercatori di VHEGA sono attivi sia sul lato teorico/osservativo che su quello sperimentale. Per quanto riguarda l’astrofisica teorica/osservativa, studiano ed interpretano le osservazioni gamma provenienti da varie sorgenti, i.e. dagli ammassi stellari a giovani stelle in formazione, fino ad arrivare a sorgenti più esotiche come le stelle di neutroni e le loro nebulose. Gli astrofisici di VHEGA studiano anche l’emissione di raggi gamma da sorgenti extragalattiche, come i nuclei galattici attivi: mastodontici buchi neri al centro di remote galassie che lanciano potenti getti, possibili fonti di raggi cosmici. Per quanto riguarda invece l’aspetto sperimentale, legato alle tecniche di ricostruzione delle immagini dei telescopi Cherenkov, il gruppo VHEGA si occupa di sviluppare e mantenere software open source che gestiscono sia la ricostruzione delle immagini dei telescopi IACT (algoritmi basati su tecniche innovative di machine learning), che l’analisi di dati ad alto livello per l’astronomia gamma. Questi software sono una delle colonne portanti del futuro CTAO, un osservatorio di raggi gamma composto da due array di telescopi IACT: uno posizionato nell’emisfero nord nell’isola di La Palma (e attualmente in costruzione) e l’altro nell’emisfero sud presso l’osservatorio del Paranal in Cile.

L’articolo è pubblicato in COELUM 276 VERSIONE CARTACEA