In un’epoca in cui le notizie sempre più clamorose e sempre più incredibili si accavallano senza più avere tempo per una dovuta verifica, è difficile tenere saldo il timone del metodo scientifico per riuscire a navigare senza incidenti nel procelloso mare della disinformazione.

Queste riflessioni sono il pane quotidiano soprattutto per gli scienziati e le scienziate che hanno dedicato la loro intera carriera allo sviluppo di tecniche affidabili, verificabili e ripetibili per la ricerca scientifica della vita al di fuori del nostro Pianeta. La sfida è fenomenale: si tratta senza dubbio alcuno di uno degli obiettivi filosoficamente affascinanti ed ambiziosi che l’essere umano si sia mai posto.

Abbiamo avuto la fortuna di poter intervistare una figura determinante nello sviluppo di questo ambito di ricerca: Jill Tarter, classe 1944, una delle protagoniste delle iniziative SETI, acronimo di “Search for Extra Terrestrial Intelligence”. Grande amica di Carl Sagan, lo scienziato che permise di compiere enormi passi avanti nella definizione del problema dell’esobiologia in termini scientifici ed oggettivi, la professoressa Tarter ottenne un dottorato in Astronomia alla Cornell University di New York con una tesi sugli oggetti celesti che per via della mancanza di una massa sufficiente non riescono ad avviare i processi di fusione nucleare, e pertanto non riescono a diventare stelle. La Tarter coniò per questi oggetti il termine di “nana bruna”, in seguito scoperti da Rafael Rebolo dell’IAC nel 1995.

Jill Tarter è un mito ed un simbolo per le donne che si dedicano alla scienza: a quanto pare Sagan si inspirò a lei per il personaggio di Ellie Arroway, protagonista del romanzo “Contact” del 1985, da cui fu poi tratto il film omonimo del 1997, con protagonista Jodie Foster e regia di Robert Zemeckis. Nel 1989 l’organizzazione Women in Aerospace le tributò un Lifetime Achievement Award e nel 2004 fu nominata dal prestigioso Time Magazine come una delle cento personalità più influenti al Mondo.
Proprio mentre realizzavamo gli ultimi ritocchi all’intervista oggetto di questo servizio, dagli Stati Uniti è giunta la notizia che il 23 ottobre 2025 la prestigiosa California Academy of Science, con sede presso il Golden Gate Park di San Francisco, ha conferito il premio annuale della Fellows Medal alla scienziata Jill Tarter, co-fondatrice dell’Istituto SETI e Bernard M. Oliver Chair Emerita del SETI Institute.

Intervista a cura di Thomas Villa

Thomas Villa — Professoressa Jill Tarter, che cos’è in poche parole il progetto SETI?

Jill Tarter — Nell’Istituto SETI cerchiamo intelligenze extraterrestri in grado di emettere un segnale rilevabile, cioè cerchiamo tracce della tecnologia di qualcun altro.

Dovremmo dire “SETT”, cioè “Search for Extra Terrestrial Technology”, ma il marchio “SETI” è ormai consolidato, quindi lo teniamo, ricordando però che ciò che cerchiamo è, di fatto, la tecnologia di altriChe cosa non è il SETI: non è un’indagine sugli UFO, non è una religione o, peggio, una setta. Non sempre siamo “politicamente corretti”, e questo talvolta complica le cose. In sostanza, il SETI è un insieme di esplorazioni scientifiche che provano a rispondere con esperimenti a una domanda antichissima. È un progetto realizzato da persone molto pragmatiche — no, non siamo “mistici”: siamo scienziati “tosti”. Dobbiamo capire che potenzialmente è un impegno multigenerazionale. L’universo è vasto, e se pensiamo a quanto potremmo dover esplorare — quante bande, polarizzazioni, frequenze, direzioni in cielo — c’è davvero un’enormità da cercare. Potremmo non portare mai a termine il compito: la risposta potrebbe essere che siamo soli, oppure potrebbero volerci più generazioni.
Ma soprattutto è importantissimo ricordare che si tratta di una domanda antica. Ci riguarda, e riguarda l’Universo, come siamo venuti all’esistenza e come potremmo evolvere. Dobbiamo fare esperimenti per rispondere a questa domanda. Qual è l’esperimento giusto? Possiamo provare il “SETI andando a verificare di persona”: va bene nel Sistema Solare, e in parte lo facciamo — analizziamo superfici di corpi del Sistema Solare per cercare prove di geoingegneria. Ma per lo spazio lontano è presto per andare “là fuori”. Dunque restano approcci passivi: telerilevamento di corpi molto distanti. In pratica, la nostra definizione di intelligenza è la capacità di costruire un trasmettitore.
Anche accettando questa definizione ristretta, quanto è probabile che le ricerche che possiamo condurre abbiano successo?

TV — Il progetto SETI è nato da alcune iniziative precedenti: per esempio ricordiamo l’idea di Frank Drake con l’esperimento Ozma del 1960, ossia l’osservazione di due stelle vicine simili al sole: Tau Ceti ed Epsilon Eridani con il radiotelescopio di Green Bank nella Virginia Occidentale.
C’è stato anche, ad esempio, il Rapporto Cyclops della NASA nel 1971, che fu l’occasione che le permise di iniziare a sviluppare le sue idee…

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L’articolo è pubblicato in COELUM 277 VERSIONE CARTACEA