Cassiopeia A (Cas A) is a supernova remnant located about 11,000 light-years from Earth in the constellation Cassiopeia. It spans approximately 10 light-years. This image combines various filters with the colour red assigned to 25.5 microns (F2550W), orange-red to 21 microns (F2100W), orange to 18 microns (F1800W), yellow to 12.8 microns (F1280W), green to 11.3 microns (F1130W), cyan to 10 microns (F1000W), light blue to 7.7 microns (F770W), and blue to 5.6 microns (F560W).[credit NASA]
L’esplosione di una stella è un evento drammatico, ma i resti che la stella lascia dietro di sé possono essere ancora più drammatici.
Una nuova immagine nel medio infrarosso dal telescopio spaziale James Webb della NASA/ESA/CSA fornisce un esempio straordinario di ciò che intendiamo dire. Mostra il residuo di supernova Cassiopea A (Cas A), creato da un’esplosione stellare di 340 anni fa. L’immagine mostra colori vividi e strutture intricate che richiederanno un ulteriore approfondimento. Cas A è il residuo più giovane conosciuto di una stella massiccia che esplose nella nostra galassia ed offre agli astronomi l’opportunità di eseguire analisi forensi stellari per comprendere meglio il meccanismo di morte di una stella.
Cassiopea A è un residuo di supernova prototipo, ampiamente studiato da numerosi osservatori terrestri e spaziali. Le osservazioni a più lunghezze d’onda possono essere combinate per fornire agli scienziati una comprensione più completa del residuo.
I colori sorprendenti della nuova immagine Cas A, in cui la luce infrarossa viene tradotta in lunghezze d’onda della luce visibile, contengono una tale ricchezza di informazioni scientifiche che i ricercatori solo ora hanno appena iniziando a svelare. All’esterno della bolla, in particolare in alto e a sinistra, giacciono cortine di materiale dall’aspetto arancione e rosso dovute all’emissione di polvere calda. Il confine tra il materiale espulso dalla stella esplosa che poi viene spinto dal gas e dalla polvere circumstellare circostante.
All’interno di questo guscio esterno giacciono filamenti disomogenei di rosa brillante tempestati di ciuffi e nodi composto dal materiale della stella stessa, che risplende grazie alla luce prodotta da un mix di elementi pesanti, come ossigeno, argon e neon, oltre all’emissione di polvere.
Tra le domande scientifiche a cui Cas A può aiutare a rispondere c’è: da dove viene la polvere cosmica? Le osservazioni hanno scoperto che anche le galassie molto giovani nell’Universo primordiale sono pervase da enormi quantità di polvere. È difficile spiegare le origini di questa polvere senza invocare le supernove, che espellono grandi quantità di elementi pesanti (i mattoni della polvere) nello spazio.
Tuttavia, le osservazioni esistenti di supernove non sono state in grado di spiegare in modo definitivo la quantità di polvere che vediamo in quelle prime galassie. Studiando Cas A con Webb, gli astronomi sperano di ottenere una migliore comprensione del suo contenuto di polvere, che può aiutare a capire dove vengono creati gli elementi costitutivi dei pianeti e noi stessi.
Le supernove come quella che ha formato Cas A sono cruciali per la vita così come la conosciamo. Diffondono elementi come il calcio che troviamo nelle nostre ossa e il ferro nel nostro sangue attraverso lo spazio interstellare, seminando nuove generazioni di stelle e pianeti.
Il resto di Cas A si estende per circa 10 anni luce e si trova a 11.000 anni luce di distanza da noi nella costellazione di Cassiopea.
Il GLOBAL CTC MOSAIC OF MARS consente agli scienziati e al pubblico di esplorare il pianeta. Include anche diversi livelli di dati e offre bottoni per raggiungere velocemente le zone di interesse
Praticamente Google Earth applicato a Marte, un lavoro immenso ma divertente ed intuitivo da usare.
Grazie alle immagini catturate dal Mars Reconnaissance Orbiter MRO e ad un lavoro importante di assemblaggio di 110.000 immagini catturate dalla camera Context Camera in bianco in nero, oggi è disponibile al pubblico un applicativo in browers con cui navigare sulla superficie del pianeta rosso scorgendone subito i dettagli.
Le immagini sono talmente tante che se si volesse esplodere il montaggio in un formato flat con i suoi 5,7 trilioni di pixel coprirebbe un’area pari al Rose Bowl Stadium di Pasadena, in California, ciò rende il GLOBAL CTC MOSAIC OF MARS l’immagine globale a più alta risoluzione di Marte mai creata.
Il servizio del Bruce Murray Laboratory for Planetary Visualization del Caltech, ha impiegato sei anni e decine di migliaia di ore di sviluppo. In parte autocostruito grazie ad un algoritmo, in parte completato a mano, ma alla fine il risultato è ottimale perchè facilissimo da usare per chiunque
“Volevo qualcosa che fosse accessibile a tutti”, ha detto Jay Dickson, lo scienziato che ha guidato il progetto e gestisce il Murray Lab. “Gli scolari e persino mia madre, che ha appena compiuto 78 anni, possono usufruirne raggiungendo l’obiettivo di abbattere le barriere di accesso alle informazioni per favorire l’interesse”
Global CTX Mosaic of Mars schermata home
CTX è tra le tre telecamere a bordo di MRO, che è guidato dal Jet Propulsion Laboratory della NASA nel sud della California. Una di queste fotocamere, la High-Resolution Imaging Science Experiment (HiRISE), fornisce immagini a colori di caratteristiche superficiali fino alle dimensioni di un tavolo da pranzo. Il CTX invece fornisce una visione più ampia del terreno. La sua capacità di catturare vaste distese del paesaggio ha reso CTX particolarmente utile per individuare i crateri da impatto sulla superficie. Una terza telecamera, il Mars Color Imager (MARCI), guidata dallo stesso team che gestisce CTX, produce una mappa globale giornaliera del tempo su Marte con una risoluzione spaziale molto inferiore.
Marte da vicino
Scattando da quando MRO è arrivato su Marte nel 2006, CTX ha documentato quasi tutto il Pianeta Rosso, rendendo le sue immagini una base ottimale per gli scienziati per sviluppare una mappa. Un po’ come cercare un ago in un pagliaio e allo stesso tempo mettere insieme un puzzle, la creazione di mappe richiede il download e il setacciamento di un’ampia selezione di immagini per trovare quelle con le stesse condizioni di illuminazione e cieli sereni.
Per creare il nuovo mosaico, Dickson ha sviluppato un algoritmo per abbinare le immagini in base alle caratteristiche catturate. Ha unito manualmente le restanti 13.000 immagini che l’algoritmo non poteva abbinare. Le lacune rimanenti nel mosaico rappresentano parti di Marte che non erano state riprese dal CTX quando Dickson ha iniziato a lavorare a questo progetto, o aree oscurate da nuvole o polvere.
Laura Kerber, una scienziata marziana del JPL, ha fornito un feedback sul nuovo mosaico mentre prendeva forma. “Ho sognato uno strumento simile per molto tempo”, ha detto Kerber. “Alla fine è un bellissimo prodotto artistico anche utile per la scienza.”
Kerber ha recentemente utilizzato l’applicativo per visitare il suo posto preferito su Marte: Medusae Fossae, una regione polverosa delle dimensioni della Mongolia. Gli scienziati non sono sicuri di come si sia formato; Kerber ha proposto che potrebbe essere un mucchio di cenere di un vulcano vicino. Con un clic di un pulsante sul mosaico CTX , può ingrandire e ammirare antichi canali fluviali, ora prosciugati, che si snodano attraverso il paesaggio lì.
Gli utenti possono anche saltare in regioni come Gale Crater e Jezero Crater – aree esplorate dai rover Curiosity e Perseverance della NASA – o visitare Olympus Mons, il vulcano più alto del sistema solare, aggiungendo dati topografici dalla missione Mars Global Surveyor della NASA . Una delle caratteristiche più interessanti del mosaico è che evidenzia i crateri da impatto in tutto il pianeta, consentendo agli spettatori di vedere quanto sia sfregiato Marte.
“Per 17 anni, MRO ci ha rivelato Marte come nessuno l’aveva mai visto prima”, ha detto lo scienziato del progetto della missione, Rich Zurek del JPL. “Questo mosaico è un modo nuovo e meraviglioso per condividere alcune delle immagini che abbiamo raccolto.”
Il mosaico è stato finanziato come parte del programma Planetary Data Archiving, Restoration and Tools (PDART) della NASA, destinato a sviluppare nuovi modi per fruire i dati NASA esistenti.
Luna Piena poco prima dell’alba ma nella serata non mancherà lo spettacolo.
Al culmine della fase crescente alle ore 06:35 del 6 Aprile la Luna sarà in Plenilunio alla distanza di 390135 km dalla Terra, con un diametro apparente di 30,63’ ma ad un’altezza di soli +3°23’ avviandosi verso il tramonto previsto per le ore 06:57 contestualmente al sorgere del Sole. Per eventuali osservazioni della Luna Piena basterà attendere la medesima serata del 6 Aprile quando sorgerà alle ore 20:10 rendendosi visibile fino alle prime luci dell’alba. Ripresa contestualmente la fase calante, il nostro satellite sposterà sempre più la propria finestra osservativa dalle comode ore tardo pomeridiane e serali fino alle più lontane ore della notte passando dalla fase di Ultimo Quarto previsto per le ore 11:11 del 13 Aprile.
Nel frattempo ci stiamo dirigendo verso la massima ELONGAZIONE EST di Mercurio che culminerà il giorno 11 aprile, ma anche questa sera, 6 aprile, sarà possibile scorgerlo dopo il tramonto del Sole.
Ma tornando alla Luna, ecco alcuni suggerimenti su cosa osservare nello specifico.
Librazioni di Aprile
(In ordine di calendario, per i dettagli vedere le rispettive immagini).
Si precisa che, per ovvi motivi, non vengono indicati i giorni in cui i punti di massima Librazione si discostano dalla superficie lunare illuminata dal Sole.
Librazioni Regione Sudovest-Nordovest:
Librazioni Regione Sudovest-Nordovest:
06 Aprile. Fase calante 16,03 giorni – Librazione nord mare Orientale
Nei prossimi giorni:
07 Aprile. Fase crescente 17,08 giorni – Librazione ovest cratere Kepler
08 Aprile. Fase calante 18,13 giorni – Librazione ovest Aristarchus Plateau
09 Aprile. Fase calante 19,18 giorni – Librazione ovest Sinus Iridum
10 Aprile. Fase calante 19,20 giorni – Librazione ovest Sinus Iridum
11 Aprile. Fase calante 20,23 giorni – Librazione ovest cratere Babbage
– Immagini “Librazioni “: Su immagini tratte dal globo di “Virtual Moon Atlas”.
– Dati e visibilità delle strutture lunari: Software “Stellarium” e “Virtual Moon Atlas”.
– Ogni fenomeno lunare e rispettivi orari sono rapportati alla Città di Roma, dati rilevati tramite software “Stellarium” e dal sito http://www.marcomenichelli.it/luna.asp
Il concetto di questo artista mostra il bagliore brillante di due quasar che risiedono nei nuclei di due galassie che sono nel caotico processo di fusione. Il tiro alla fune gravitazionale tra le due galassie innesca una tempesta di nascita stellare. I quasar sono brillanti fari di luce intensa provenienti dai centri di galassie lontane. Sono alimentati da buchi neri supermassicci che si nutrono voracemente di materia in caduta. Questa frenesia alimentare scatena un torrente di radiazioni che può eclissare la luce collettiva di miliardi di stelle nella galassia ospite. In poche decine di milioni di anni, i buchi neri e le loro galassie si fonderanno, così come la coppia di quasar, formando un buco nero ancora più massiccio. Crediti: NASA, ESA, Joseph Olmsted (STScI).
Affascinante l’immagine artistica che vuole rappresentare due Quasar generati da due buchi neri talmente tanto vicini da impatto inevitabile.
Ma vediamo in dettaglio la scoperta.
Utilizzando una suite di telescopi spaziali e terrestri , tra cui due osservatori Maunakea alle Hawaii, il WM Keck Observatory e il Gemini North, i ricercatori hanno scoperto la coppia di buchi neri incorporati in due galassie che si sono fuse quando l’Universo aveva appena 3 miliardi di anni.
Lo studio, condotto dall’Università dell’Illinois a Urbana-Champaign, è pubblicato nel numero di oggi della rivista Nature.
Trovare un tale sistema è difficile a causa dell’enorme distanza che limita la capacità di distinguere individualmente due buchi neri così vicini tra loro. Ma in questa particolare combinazione, chiamato J0749+2255, entrambi i buchi neri sono in preda a una frenesia alimentare, divorando gas e polvere che si sono riscaldati a temperature così elevate che il duo ha prodotto un enorme spettacolo pirotecnico. Questa attività è chiamata quasar, un fenomeno che si verifica quando i buchi neri emettono un’enorme quantità di luce attraverso lo spettro elettromagnetico mentre festeggiano.
J0749+2255 è molto insolito perché il sistema non ha uno, ma due quasar che sono attivi contemporaneamente e sono abbastanza vicini da fondersi.
“Non vediamo molti doppi quasar in un’epoca così primordiale nell’Universo ed è eccitante”, ha detto lo studente laureato Yu-Ching Chen dell’Università dell’Illinois a Urbana-Champaign, autore principale dello studio.
L’osservatorio spaziale Gaia dell’ESA (Agenzia spaziale europea) ha rilevato per primo il doppio quasar irrisolto, catturando immagini che indicano due fari di luce strettamente allineati nel giovane Universo. Chen e il suo team hanno quindi utilizzato il telescopio spaziale Hubble della NASA per verificare che i punti di luce provenissero effettivamente da una coppia di buchi neri supermassicci .
Il telescopio spaziale Hubble ha recentemente scattato queste immagini di due diverse coppie di doppi quasar nell’universo distante. All’interno di ciascuna coppia, i quasar distano solo 10.000 anni luce. Alla fine si uniranno a spirale e creeranno un unico buco nero supermassiccio. NASA, ESA, Hsiang-Chih Hwang (JHU), Nadia Zakamska (JHU), Yue Shen (UIUC)
Alle prime osservazioni sono seguite altre a più lunghezze d’onda; utilizzando la seconda generazione di Keck Observatory Near-Infrared Camera (NIRC2) abbinata al suo sistema di ottica adattiva, così come Gemini North, l’Osservatorio a raggi X Chandra della NASA e la rete di radiotelescopi Very Large Array nel New Mexico, i ricercatori hanno escluso che il doppio quasar fosse il frutto di un’illusione ottica prodotta dalla lente gravitazionale.
Poiché i telescopi scrutano nel lontano passato, questo doppio quasar probabilmente non esiste più. Negli ultimi 10 miliardi di anni, le loro galassie ospiti si saranno probabilmente fuse in una gigantesca galassia ellittica, come quelle viste oggi nell’Universo locale mentre dei buchi neri non ci sarà più traccia, forse inghiottiti in un enorme buco nero ancora supermassiccio.
Così potrebbe essere accaduto alla vicina galassia ellittica gigante, M87, che ha un mostruoso buco nero che pesa 6,5 miliardi di volte la massa del nostro Sole. Forse questo buco nero è cresciuto da una o più fusioni di galassie negli ultimi miliardi di anni.
Ci sono prove crescenti che le grandi galassie si formano attraverso fusioni. Sistemi più piccoli si uniscono per formare sistemi più grandi e strutture sempre più estese. Un processo che dovrebbe favorire la fusione dei rispettivi buchi neri.
“Conoscere la popolazione progenitrice dei buchi neri alla fine ci parlerà dell’emergere di buchi neri supermassicci nell’universo primordiale e di quanto frequenti potrebbero essere queste fusioni”, ha detto Chen.
“Stiamo iniziando a scoprire la punta dell’iceberg della prima popolazione binaria di quasar”, ha detto il coautore Xin Liu dell’Università dell’Illinois a Urbana-Champaign. “Questa è l’unicità di questo studio. Ora sappiamo che questa popolazione esiste, ed abbiamo sperimentato un metodo per identificare i doppi quasar che sono separati da dimensioni inferiori a quelle di una singola galassia”.
Un primo piano della luce rossa che attraversa il cielo notturno. (Credito immagine: Ruslan Merzlyakov)
Un fiume di nebbiosa luce rossa si è allungato nel cielo notturno sopra la Danimarca dopo che la più potente tempesta solare degli ultimi sei anni si è abbattuta sul nostro pianeta. Il raro fenomeno però non è un’aurora.
Una striscia di luce rossa brillante è apparsa nel cielo sopra la Scandinavia la scorsa settimana dopo che una tempesta solare a sorpresa si è abbattuta sulla Terra e ha innescato aurore mozzafiato in tutto il pianeta. Ma la fascia rosso vivo non era un’aurora: era qualcosa di molto più raro.
La striscia, che appariva come un fiume di luce rossa nebbiosa che si estendeva per tutto il cielo notturno, è stata ben visibile sopra la Danimarca. L’astrofotografo Ruslan Merzlyakovha catturato uno scatto spettacolare dell’insolito spettacolo di luci del 23 marzo sopra Møns Klint, una serie di scogliere calcaree sull’isola danese di Møn nel Mar Baltico.
L’insolito fenomeno è noto come stable auroral red arc (arco rosso aurorale stabile SAR), tuttavia nonostante il nome, non si tratta di un’aurora, quanto invece di un fenomeno prodotto dalla luce che viene emessa dalle molecole di ossigeno nell’atmosfera superiore surriscaldate dalla corrente dell’anello terrestre, un enorme anello carico che circonda il nostro pianeta.
Il SAR ha coinciso con la più potente tempesta geomagnetica che ha colpito la Terra negli ultimi sei anni, innescata da un’espulsione di massa coronale a sorpresa – una massa gigantesca e in rapido movimento di plasma e campo magnetico rilasciata dal sole – che è stata espulsa da un enorme buco nel Sole.
Durante le aurore, le particelle altamente energetiche delle tempeste solari e del vento solare aggirano il campo magnetico terrestre , o magnetosfera, ed eccitano le molecole di gas nell’alta atmosfera. Questo crea luci vorticose e multicolori che fluiscono e rifluiscono nel tempo. I vari colori della luce provengono da diversi atomi, che emettono colori specifici quando sono eccitati.
Durante i SAR, l’energia del sistema di corrente ad anello, che circonda la magnetosfera, riscalda il gas nell’atmosfera superiore e lo fa risplendere come un’aurora. Per ragioni sconosciute, solo l’ossigeno viene riscaldato durante un SAR, il che significa che questi fenomeni emettono sempre la stessa identica tonalità di rosso.
I SAR in realtà si verificano abbastanza frequentemente, ma sono normalmente invisibili agli esseri umani perché sono troppo deboli e i nostri occhi sono scarsamente in sintonia con la lunghezza d’onda della luce rossa emessa dai SAR. Enormi strisce come quella sopra la Danimarca diventano visibili solo quando forti tempeste solari indeboliscono la magnetosfera, il che consente a più calore del sistema di correnti ad anello di entrare nell’atmosfera superiore.
Il SAR sulla Danimarca non è stato l’unico insolito spettacolo di luci osservato durante la recente tempesta solare. Il fenomeno simile all’aurora STEVE, un grande nastro di luce colorata che rimane sospeso nel cielo per un massimo di un’ora, è stato avvistato anche negli Stati Uniti e in parti del Regno Unito.
Un'illustrazione di un buco nero circondato da materia agitata. Una nuova ricerca suggerisce che le informazioni sulla creazione del buco nero potrebbero essere trovate come radiazioni in questa regione. (CC0 Public Domain)
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Il famoso paradosso del buco nero di Stephen Hawking potrebbe finalmente avere una soluzione
così titolano oggi alcune ricerche internazionali pubblicate da poche ore per i quali sembra che la “radiazione di Hawking” emessa dai buchi neri potrebbe essere in grado di trasportare informazioni nascoste nelle strutture note come “capelli quantici“.
Il paradosso sostiene infatti che essendo la radiazione emessa dai buchi neri termica essa non è in grado di conservare le informazioni sull’origine degli oggetti e su quali stelle l’hanno generato in contrapposizione con le leggi della meccanica quantistica che affermano che l’informazione non può essere distrutta e che lo stato finale di un oggetto può rivelare indizi sul suo stato iniziale.
Oggi invece il ricercatore Xavier Calmet, professore di fisica all’Università del Sussex studio, suggerisce una modifica alla radiazione di Hawking che la renda “non termica” e quindi in grado di portare con sé informazioni lontano dal destino finale del buco nero.
I buchi neri sono oggetti così massicci che nulla può sfuggire all’attrazione della loro gravità, nemmeno la luce. Si formano quando enormi stelle esauriscono il carburante e collassano su se stesse.
Nella fisica classica, i buchi neri sono “oggetti molto semplici”, ha detto Calmet. “Così semplici che possono essere caratterizzati da tre numeri: la loro massa, il momento angolare e la carica elettrica”.
Il famoso fisico John Wheeler descrisse questa mancanza di caratteristiche distintive dicendo” i buchi neri non hanno capelli (si apre in una nuova scheda).” Ma, ha spiegato Calmet, mentre il buco nero finale è molto semplice, la stella originale che lo ha generato è un oggetto astrofisico complesso, costituito da un complicato amalgama di protoni, elettroni e neutroni che si uniscono per formare gli elementi che costruiscono il composizione chimica di quella stella.
Mentre i buchi neri non portano “memoria” delle stelle che erano una volta, le regole della fisica quantistica dicono che le informazioni non possono essere semplicemente cancellate dall’universo . Nel 1976, Hawking introdusse una mosca in questo unguento cosmico, mostrando che questa informazione non poteva risiedere indefinitamente all’interno di buchi neri sigillati dall’universo esterno. Applicando le regole della meccanica quantistica ai buchi neri, Hawking suggerì che emettessero un tipo di radiazione termica, in seguito chiamata radiazione di Hawking. Per immensi periodi di tempo, la fuoriuscita di questa radiazione fa evaporare completamente i buchi neri, lasciando dietro di sé solo un vuoto. In questo modo, le informazioni vengono irrimediabilmente perse.
“Questo tuttavia non è consentito dalla fisica quantistica, che ipotizza che il film della ‘vita’ di questo buco nero possa essere riavvolto”, ha detto Calmet. “A partire dalla radiazione dovremmo essere in grado di ricostruire il buco nero originale e poi alla fine la stella”.
Alla ricerca dei “capelli” del buco nero
Insieme al suo collega Steve Hsu, professore di fisica teorica alla Michigan State University, Calmet lavora dal 2021 per risolvere il paradosso di Hawking. In uno studio precedente, pubblicato nel marzo 2022, il team ha sostenuto che i buchi neri hanno effettivamente “peli quantici, (si apre in una nuova scheda)” sotto forma di un’impronta quantistica unica nei campi gravitazionali che li circondano
Nella loro nuova ricerca, il team ha rivalutato i calcoli di Hawking del 1976, ma questa volta ha tenuto conto degli effetti della ” gravità quantistica ” – la descrizione della gravità secondo i principi della meccanica quantistica – qualcosa che Hawking non aveva fatto.
“Sebbene queste correzioni gravitazionali quantistiche siano minuscole, sono cruciali per l’evaporazione dei buchi neri”, ha detto Calmet. “Siamo stati in grado di dimostrare che questi effetti modificano la radiazione di Hawking in modo tale che questa radiazione diventi non termica. In altre parole, tenendo conto della gravità quantistica, la radiazione può contenere informazioni”.
Mentre i capelli quantici suggeriti nel precedente lavoro di Calmet e Hsu erano un concetto matematico astratto, il team ha ora identificato l’esatto fenomeno fisico attraverso il quale le informazioni sfuggono al buco nero attraverso la radiazione di Hawking e come potrebbero essere recuperate da un osservatore esterno .(si apre in una nuova scheda). Questo al momento non è possibile, in quanto richiederebbe uno strumento sufficientemente sensibile per misurare la radiazione di Hawking, che attualmente è puramente teorica.
Attualmente non esiste un vero modo per gli astrofisici di misurare l’effetto proposto dai ricercatori, poiché è minuscolo, ha riconosciuto Calmet. Invece, suggerisce che un modo per far progredire questa teoria sarebbe studiare simulazioni di buchi neri nei laboratori sulla Terra. La modellazione matematica del team della radiazione di Hawking e dei buchi neri potrebbe rivelarsi preziosa in queste simulazioni.
Lo studio è stato pubblicato il 6 marzo sulla rivista Physics Letters B.
PHOTO DATE: March 29, 2023. LOCATION: Bldg. 8, Room 183 - Photo Studio. SUBJECT: Official crew portrait for Artemis II, from left: NASA Astronauts Christina Koch, Victor Glover, Reid Wiseman, Canadian Space Agency Astronaut Jeremy Hansen. PHOTOGRAPHER: Josh Valcarcel
Lo diciamo subito, non sono i primi astronauti a tornare sulla Luna, e non sembra ma è un grand risultato anche questo, è da un pò che non succede.
L’equipaggio preparerà la strada per ArtemisIII la missione destinata all’allunaggio.
A seguire il comunicato ufficiale di NASA e CSA.
La NASA e la Canadian Space Agency (CSA) hanno annunciato i quattro astronauti che si avventureranno intorno alla Luna su Artemis II, la prima missione con equipaggio con obiettivo stabilire una presenza a lungo termine sulla Luna per la scienza e l’esplorazione attraverso Artemis.
“L’equipaggio di Artemis II rappresenta migliaia di persone che lavorano instancabilmente per portarci alle stelle”, ha dichiarato l’amministratore della NASA Bill Nelson. “Gli astronauti della NASA Reid Wiseman, Victor Glover e Christina Hammock Koch, e l’astronauta del CSA Jeremy Hansen, ognuno ha la propria storia, ma, insieme, rappresentano il nostro credo: E pluribus unum – tra tanti, uno. Insieme, stiamo inaugurando una nuova era di esplorazione per una nuova generazione di velisti stellari e sognatori: la Generazione Artemis”.
Date: 03-29-2023 Location: Bldg 5, Orion Mockup Subject: Artemis II Crew Announcement products and still images of crew in Building 5s Orion Simulator. Photographer: James Blair
Il test di volo Artemis II della durata di circa 10 giorni verrà lanciato sul razzo Space Launch System dell’agenzia, testerà i sistemi di supporto vitale della navicella Orion e convaliderà le capacità e le tecniche necessarie agli esseri umani per vivere e lavorare nello spazio profondo.
“Stiamo tornando sulla Luna e il Canada è al centro di questo entusiasmante viaggio”, ha dichiarato l’onorevole François-Philippe Champagne, ministro responsabile dell’Agenzia spaziale canadese. “Grazie alla nostra collaborazione di lunga data con la NASA, un astronauta canadese volerà in questa storica missione. A nome di tutti i canadesi, voglio congratularmi con Jeremy per essere stato in prima linea in uno degli sforzi umani più ambiziosi mai intrapresi. La partecipazione del Canada al programma Artemis non è solo un capitolo determinante della nostra storia nello spazio, ma anche una testimonianza dell’amicizia e della stretta collaborazione tra le nostre due nazioni”.
Il volo, che si basa sul successo della missione Artemis I senza equipaggio completata a dicembre, porrà le basi per la prima donna e la prima persona di colore sulla Luna attraverso il programma Artemis, aprendo la strada al futuro per missioni di esplorazione umana a lungo termine. sulla Luna e infine su Marte. Questo è l’approccio di esplorazione Moon to Mars dell’agenzia.
“Per la prima volta in più di 50 anni, questi individui – l’equipaggio di Artemis II – saranno i primi esseri umani a volare nelle vicinanze della Luna. Tra l’equipaggio ci sono la prima donna, la prima persona di colore e il primo canadese in missione lunare, e tutti e quattro gli astronauti rappresenteranno il meglio dell’umanità mentre esplorano a beneficio di tutti”, ha dichiarato la direttrice Vanessa Wyche, NASA Johnson. “Questa missione apre la strada all’espansione dell’esplorazione umana dello spazio profondo e presenta nuove opportunità per scoperte scientifiche, partnership commerciali, industriali e accademiche e per la generazione Artemis”.
Incontra gli astronauti di Artemis II
Questo sarà il secondo viaggio nello spazio di Wiseman, che ha prestato servizio in precedenza come ingegnere di volo a bordo della Stazione Internazionale per Expedition 41 da maggio a novembre 2014. Wiseman ha registrato più di 165 giorni nello spazio, di cui quasi 13 ore come guida spaziale durante due viaggi al di fuori del complesso orbitale. Prima del suo incarico, Wiseman è stato capo dell’ufficio astronauti da dicembre 2020 a novembre 2022.
La missione sarà il secondo volo spaziale di Glover, in precedenza come pilota sulla SpaceX Crew-1 della NASA, che è atterrata il 2 maggio 2021, dopo 168 giorni nello spazio. In qualità di ingegnere di volo a bordo della stazione spaziale per Expedition 64, ha contribuito a indagini scientifiche, dimostrazioni tecnologiche e ha partecipato a quattro passeggiate spaziali.
Koch effettuerà anche il suo secondo volo nello spazio con la missione Artemis II. Ha servito come ingegnere di volo a bordo della stazione spaziale per Expedition 59, 60 e 61. Koch ha stabilito un record per il volo spaziale singolo più lungo di una donna con un totale di 328 giorni nello spazio e ha partecipato alle prime passeggiate spaziali di sole donne.
In rappresentanza del Canada, Hansen sta effettuando il suo primo volo nello spazio. Colonnello delle forze armate canadesi ed ex pilota di caccia, Hansen ha conseguito una laurea in scienze spaziali presso il Royal Military College of Canada a Kingston, Ontario, e un master in fisica presso la stessa istituzione nel 2000, con un focus sulla ricerca sul monitoraggio satellitare con ampio campo visivo. È stato una delle due reclute selezionate dalla CSA nel maggio 2009 attraverso la terza Canadian Astronaut Recruitment Campaign e ha servito come Capcom nel Mission Control Center della NASA a Johnson e, nel 2017, è diventato il primo canadese a cui è stato affidato il compito di guidare una classe di astronauti della NASA, guidando la formazione di candidati astronauti provenienti da Stati Uniti e Canada.
Attraverso le missioni Artemis , la NASA utilizzerà tecnologie innovative per esplorare più superficie lunare che mai. Collaboreremo con partner commerciali e internazionali e stabiliremo la prima presenza a lungo termine sulla Luna. Quindi, utilizzeremo ciò che apprendiamo sulla Luna e intorno alla Luna per fare il prossimo balzo da gigante: inviare i primi astronauti su Marte.
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Mercurio
01/04 Sorge: h 06:24 Tramonta: h 19:53
30/04 Sorge: h 05:11 Tramonta: h 19:19
Mercurio è sempre ostico all’osservazione a causa delle sua vicinanza al Sole, tuttavia se proprio vogliamo metterci in caccia il periodo migliore è sempre quello che coincide con le massime elongazioni. Cioè i giorni del periodo di rivoluzione del pianeta intorno alla stella in cui esso arriva alla massima distanza. Per aprile la massima elongazione Est sarà il giorno 11 quando il pianeta tarderà a tramontare rispetto al Sole di circa 1h e 40 minuti. Come sempre tempi minimi perciò massima preparazione. Il 21 Mercurio apparirà stazionario in moto retrogrado
Venere
01/04 Sorge: h 07:23 Tramonta: h 21:49
30/04 Sorge: h 07:17 Tramonta: h 22:48
Niente da fare per Venere all’alba, per tutto il mese sorgerà a sole già molto alto rendendone impossibile l’osservazione a tutto vantaggio però di una finestra molto più ampia al tramonto. Nei primi giorni del mese infatti ritarderà il suo tramontare di ben 3 ore, non sono moltissime ma dopo le ore 21 Venere apparirà ancora molto splendente nelle serate primaverili. Da segnalare il giorno 10 una bella congiunzione con le Pleiadi. Il giorno 17 Venere sarà al perielio
Marte
01/04 Sorge: h 10:02 Tramonta: h 01:33
30/04 Sorge: h 09:23 Tramonta: h 00:37
Marte continua ad essere ben alto sopra alle nostre teste per tutto l’arco della giornata. Sorgendo però con qualche ora di ritardo ci concederà al tramonto qualche ora di osservazione in più tutte nella prima parte della notte. In aprile sarà il pianeta rosso a dominare la costellazione dei Gemelli. Il giorno 26 molto molto basso sull’orizzonte una lieve falce di Luna apparirà proprio vicino al pianeta. Condizioni di osservazione piuttosto difficili.
Giove
01/04 Sorge: h 06:18 Tramonta: h 19:10
30/04 Sorge: h 04:41 Tramonta: h 17:52
Giove oramai sempre più prossimo al Sole non ci offrirà spettacoli unici come il “bacio” consumato con Venere sul finire del mese di Marzo, tuttavia sarà protagonista di alcuni passaggi interessanti. Il giorno 11 infatti, terminando il suo viaggio di avvicinamento al sole sarà in congiunzione con la stella. Il massimo ci sarà a notte iniziata quindi con entrambi gli astri al di sotto dell’orizzonte ma durante la giornata saranno separati da solo un grado. Nei giorni successivi e precedenti tuttavia la situazione muterà di poco e le distanze non aumenteranno considerevolmente. Il giorno 19, sul tramontare il pianeta di avvicinerà ad un’invisibile Luna Nuova, il Sole però non sarà ancora tramontato.
Saturno
01/04 Sorge: h 04:33 Tramonta: h 15:13
30/04 Sorge: h 02:46 Tramonta: h 13:52
Per fortuna le temperature stanno migliorando ed anche se non ancora in periodo di ferie tali da poter optare per una “notte in bianco” per i più nottambuli sarà possibile scorgere un Saturno nelle tarde ore della notte, inizialmente poco prima dell’alba ma già verso la fine del mese intorno alle 03:00 quando lo vedremo salire ad Est. La mattina del 16, intorno alle 05:00 con il Sole non ancora sorto sarà Il pianeta dai grandi anelli si avvicinerà ad una lieve falce di Luna Calante, con poco più di 4° di distanza.
Urano
01/04 Sorge: h 07:25 Tramonta: h 21:34
30/04 Sorge: h 05:36 Tramonta: h 19:48
Urano già difficile da riprendere per la sua lontananza dal nostro pianeta, se nei primi giorni del mese ci lascia ancora qualche spiraglio di visibilità entro la fine di Aprile completerà il suo ciclo di sorgere e tramontare praticamente in contemporanea con il Sole rendendo vano ogni tentativo di ripresa. Il 21 del mese, tuttavia, poco dopo il tramonto fino alle 21:00 circa assisteremo ad una bella triangolazione fra Mercurio, Urano e una lievissima falce di Luna Crescente.
Nettuno
01/04 Sorge: h 05:26 Tramonta: h 17:10
30/04 Sorge: h 03:34 Tramonta: h 15:21
Nettuno sorge prima e tramonta prima del Sole, nel mese di Aprile anticiperà di ben due ore il suo sorgere anche se il distacco dalla stella sarà minimo continuando anche quest’ultima ad anticare velocemente il momento dell’apparizione sull’orizzonte. Il giorno 17 per circa un’ora prima di scomparire nella luce diurna il pianeta sarà vicino ad una gentile falce di Luna Calante. Se solo Nettuno fosse più vicino…
LUNA
Il nostro satellite sempre ricco di dettagli!
Questo mese inizia col nostro satellite in un crescendo di serate estremamente favorevoli per l’osservazione lunare, trovandosi infatti alle ore 00:00 della prima notte di Aprile in fase di 10 giorni ad un’altezza di +53° e visibile fin verso l’alba quando poco dopo le ore 05:00 scenderà sotto l’orizzonte. E’ opportuno segnalare che nel caso specifico il punto di massima librazione verrà a trovarsi proprio in corrispondenza della Regione Polare meridionale, con la concreta possibilità di individuare con relativa facilità (seeing e meteo permettendo) strutture geologiche situate oltre il confine fra i due emisferi lunari in prossimità del Polo Sud, un target a cui non si può rinunciare tanto facilmente.
Al culmine della fase crescente alle ore 06:35 del 6 Aprile la Luna sarà in Plenilunio
Gli approfondimenti sull’osservazione e i fenomeni celesti legati al nostro satellite per il mese di Aprile 2023, continua nell’articolo di Francesco Badalotti.
La ISS – Stazione Spaziale Internazionale sarà rintracciabile nei nostri cieli sia ad orari mattutini che serali. Avremo molti transiti notevoli con magnitudini elevate durante il primo mese della Primavera, auspicando come sempre in cieli sereni.
La ISS – Stazione Spaziale Internazionale sarà rintracciabile nei nostri cieli in orari serali e mattutini (nell’ultima settimana). Avremo cinque transiti notevoli con magnitudini elevate durante il mese, auspicando come sempre in cieli sereni.
02 Aprile
Si inizierà il giorno 2Aprile, dalle 20:32alle 20:40, osservando da ONO a SE. La ISS sarà ben visibile da tutta Italia, in particolare dalle isole maggiori, con una magnitudine massima che si attesterà su un valore di -3.5. Sperando come sempre in cieli sereni per il miglior transito serale del mese.
25 Aprile
Saltando direttamente a fine mese, il25Aprile, dalle 05:10 verso SO alle 05:18 verso ENE. Visibilità migliore dal Centro Sud Italia per questa occasione, con magnitudine di picco a -3.7.
26 Aprile
Il giorno dopo, 26 Aprile, dalle 04:23 in direzione SSE alle 04:29 in direzione ENE. Osservabile al meglio dal Sud Italia, il transito avrà una magnitudine di -3.2.
27 Aprile
Il penultimo transito si avrà il giorno 27 Aprile, dalle 05:09 da O alle 05:17 a NE, con magnitudine massima a -3.3. Visibilità ottimale dal Centro Nord Italia, meteo permettendo.
28 Aprile
L’ultimo transito del mese sarà meglio apprezzabile da tutto il paese, il 28 Aprile. Dalle 04:22 alle 04:28, da O a NE. Magnitudine di picco a -3.8.Transito parziale, con la ISS che avrà la massima luminosità appena uscita dall’ombra della Terra.
N.B. Le direzioni visibili per ogni transito sono riferite ad un punto centrato sulla penisola, nel centro Italia, costa tirrenica. Considerate uno scarto ± 1-5 minuti dagli orari sopra scritti, a causa del grande anticipo con il quale sono stati calcolati.
L’aspettavamo da quasi tre anni, l’ultima era stata infatti la SN2020nlb scoperta il 25 giugno 2020 nella galassia M85. Stiamo parlando di una supernova esplosa in una galassia del catalogo di Messier. Queste supernovae sono solitamente la più luminose e le più spettacolari, quelle che per vari motivi sono ricordate per molti anni e tutto questo è dovuto naturalmente al fatto che le galassie del catalogo di Messier sono le più vicine a noi in termini di distanza. Adesso è toccato alla galassia M108, ma purtroppo questa supernova sarà ricordata per essere una delle più deboli e poco appariscenti fra tutte le 69 supernova scoperte ad oggi nelle galassie Messier. Nella notte del 13 marzo il programma professionale americano di ricerca supernovae denominato Zwicky Transient Facility (ZTF) individua una debole stellina di mag.+19,47 nella galassia M108.
1) Immagine della SN2023dbc in M108 ripresa dall’astrofilo inglese David Strange con un telescopio Ritchey-Chretien da 254mm F.8 somma di 20 immagini da 120 secondi
Scoprire una supernova oltre la mag.+19 in una piccola galassia non è una cosa difficile, ma scoprirla in una galassia luminosa come M108 e riuscire a staccarla dalla luminosità dei bracci della galassia non è per niente una cosa facile e dimostra la qualità delle immagini e l’efficacia dei controlli che questi programmi professionali dispongono. Questo ci fa capire bene come sia sempre più difficile la vita per gli astrofili, che si dedicano alla ricerca di supernova, nel cercare di competere con queste realtà professionali.
La galassia ospite M108 è una spirale barrata posta nella costellazione dell’Orsa Maggiore a circa 30 milioni di anni luce di distanza ed è accompagnata in cielo, naturalmente solo prospetticamente, da un altro oggetto del catalogo di Messier, M97 la famosa nebulosa planetaria Gufo, posta a soli 39’ a Sud di M108 formando un fotogenico quadretto nelle immagini a campo largo.
4) Immagine a largo campo della SN2023dbc in M108 insieme alla nebula planetaria “Gufo” M97 ripresa dall’astrofilo spagnolo Rafael Ferrando con un telescopio da 150mm F.4 somma di 10 immagini da 180 secondi.
La supernova a cui è stata assegnata la sigla definitiva SN2021dbc è aumentata di luminosità nei giorni seguenti la scoperta, raggiungendo la mag.+16,50-17,00 ma rimanendo un oggetto non facile da evidenziare a causa delle debole luminosità e della posizione fra le condensazioni della galassia. Anche dallo spettro si è intuito subito che questa era una supernova Messier un po’ anomala. Di solito quando esplode una supernova in una galassia del catalogo di Messier gli osservatori professionali fanno a gara a riprendere per primi lo spettro di conferma, che a volte viene ottenuto anche solo poche ore dopo la scoperta. Per questa supernova invece lo spettro di conferma tardava ad essere caricato nel TNS a causa della difficoltà a chiarirne la natura.
2) Immagine della SN2023dbc in M108 ripresa dall’astrofilo francese Robert Cazilhac con un telescopio C14 F.11 somma di 500 immagini da 5 secondi.
I primi a pubblicare l’analisi dello spettro, il16 marzo, tre giorni dopo la scoperta, sono stati gli astronomi cinesi del Yunnan Observatory, con il Lijiang Telescope da 2,4 metri. La SN2023dbc risultava (erroneamente) come una giovane supernova di tipo II molto arrossata, cioè con una forte estinzione dovuta alle polveri della galassia. Dal 14 marzo fino al 17 marzo vari osservatori professionali avevano provato a riprenderne lo spettro con vari strumenti di qualità, come per esempio il Liverpool Telescope di 2 metri o il Nordic Optical Telescope di 2,56 metri, ma i risultati ottenuti erano incerti e poco chiari.
Il 20 marzo però è stato messo in campo il “gigante” Kerck I da 10 metri di diametro e la situazione è apparsa subito più chiara. La linea dell’Idrogeno tipica delle supernovae di tipo II, che aveva tratto in inganno gli astronomi cinesi non era emessa dalla supernova, ma bensì dalla regione HII della galassia, situata appena sotto la supernova. La SN2023dbc è in realtà una supernova molto giovane di tipo Ic con i gas eiettati dall’esplosione che viaggiano ad una velocità di circa 15.000 km/s. Molto probabilmente siamo di fronte alla supernova di tipo Ic più vicina a noi, scoperta ad oggi.
3) Immagine della SN2023dbc in M108 ripresa dall’astrofilo spagnolo Rafael Ferrando con un telescopio Meade LX200 da 400mm F.7 somma di 10 immagini da 60 secondi.
A differenza di altre galassie del catalogo di Messier come M51, M61, M100 e M101 cioè stupende galassie a spirale viste di faccia, M108 è appunto una galassia a spirale, ma con un’inclinazione rispetto al nostro punto di vista di circa 80 gradi, pertanto la luce di una supernova deve attraversare molti strati della galassia. M108 ha un modulo di distanza di circa 30, quindi una supernova di tipo Ia potrebbe raggiungere la mag.+11 (30-19=11) mentre una supernova di tipo II si posizionerebbe un paio di magnitudini più in basso a mag.+13. In questo caso purtroppo il forte assorbimento di polveri toglie almeno tre magnitudini alla luminosità della supernova, che difficilmente riuscirà a raggiungere la mag.+16 e più probabilmente rimarrà ferma intorno alla mag.+17. Questa è la seconda supernova conosciuta esplosa nella galassia M108. La prima fu la SN1969B scoperta il 6 febbraio 1969 dall’astronomo svizzero Paul Wild, di tipo II che raggiunse la mag.+14.
Chiudiamo questa carrellata con la ripresa dell’astrofilo italiano, autore anche di questa rubrica, Riccardo Mancini
5) Immagine a largo campo della SN2023dbc in M108 insieme alla nebula planetaria “Gufo” M97 ripresa da Riccardo Mancini con un telescopio Newton da 250mm F.5 mosaico di due immagini da 30 minuti.
Trovi tutti gli eventi osservabili e dell’ultimo mese nella sezione: Il Cielo del Mese
O graziosa luna, io mi rammento Che, or volge l’anno, sovra questo colle Io venia pien d’angoscia a rimirarti: E tu pendevi allor su quella selva Siccome or fai, che tutta la rischiari. Ma nebuloso e tremulo dal pianto Che mi sorgea sul ciglio, alle mie luci Il tuo volto apparia, che travagliosa Era mia vita: ed è, né cangia stile, 0 mia diletta luna. E pur mi giova La ricordanza, e il noverar l’etate Del mio dolore. Oh come grato occorre Nel tempo giovanil, quando ancor lungo La speme e breve ha la memoria il corso, Il rimembrar delle passate cose, Ancor che triste, e che l’affanno duri!
Giacomo Leopardi
Questo mese inizia col nostro satellite in un crescendo di serate estremamente favorevoli per l’osservazione lunare, trovandosi infatti alle ore 00:00 della prima notte di Aprile in fase di 10 giorni ad un’altezza di +53° e visibile fin verso l’alba quando poco dopo le ore 05:00 scenderà sotto l’orizzonte. E’ opportuno segnalare che nel caso specifico il punto di massima librazione verrà a trovarsi proprio in corrispondenza della Regione Polare meridionale, con la concreta possibilità di individuare con relativa facilità (seeing e meteo permettendo) strutture geologiche situate oltre il confine fra i due emisferi lunari in prossimità del Polo Sud, un target a cui non si può rinunciare tanto facilmente.
Al culmine della fase crescente alle ore 06:35 del 6 Aprile la Luna sarà in Plenilunio alla distanza di 390135 km dalla Terra, con un diametro apparente di 30,63’ ma ad un’altezza di soli +3°23’ avviandosi verso il tramonto previsto per le ore 06:57 contestualmente al sorgere del Sole. Per eventuali osservazioni della Luna Piena basterà attendere la medesima serata del 6 Aprile quando sorgerà alle ore 20:10 rendendosi visibile fino alle prime luci dell’alba. Ripresa contestualmente la fase calante, il nostro satellite sposterà sempre più la propria finestra osservativa dalle comode ore tardo pomeridiane e serali fino alle più lontane ore della notte passando dalla fase di Ultimo Quarto previsto per le ore 11:11 del 13 Aprile.
Nell’occasione sarà sufficiente anticipare di alcune ore la propria attività osservativa considerando che alle ore 03:04 la Luna sorgerà in fase di 21,8 giorni a nostra disposizione fino all’alba. Il procedere della fase calante porterà il nostro satellite al Novilunio del 20 Aprile alle ore 06:12, quando questo verrà a trovarsi fra la Terra ed il Sole presentando l’emisfero rivolto al nostro pianeta completamente in ombra. Contestualmente al Novilunio ripartirà un ulteriore nuovo ciclo lunare di Luna crescente riportando progressivamente il nostro satellite di sera in sera nelle migliori condizioni osservative. Il Primo Quarto è previsto alle ore 23:20 del 27 Aprile con la Luna in fase di 7,7 giorni e ad un’altezza di +39°, rendendosi visibile fino alla notte seguente quando alle ore 03:07 scenderà sotto l’orizzonte. Nelle ultime tre serate di questo mese il nostro satellite si presenterà ai nostri telescopi sempre nelle migliori condizioni per potere scandagliare le innumerevoli formazioni geologiche situate sulla sua variegata superficie, fino alla sera del 30 Aprile quando si troverà in fase di 10,7 giorni esattamente come avevamo iniziato.
Le Falci lunari di Aprile
Primo appuntamento per chi insegue le falci di Luna per la tarda nottata del 17 Aprile con una bella falce di 26,4 giorni che sorgerà alle ore 05:23 preceduta dal pianeta Saturno. Il breve tempo a disposizione prima che la luce solare prevalga su tutto consentirà solamente qualche rapida occhiata nell’oculare o veloci foto per non rischiare danni permanenti alla propria vista. Andrà ancora peggio la notte successiva, il 18 Aprile, con una falce di 27,4 giorni che sorgerà alle ore 05:46 per la cui osservazione sarà di fondamentale importanza attuare ogni precauzione per evitare di intercettare la luce solare, fonte di danni irreversibili alla vista.
Passando alle falci di Luna crescente appuntamento per la serata del 22 Aprile con una falce di 2,7 giorni che alle ore 22:51 scenderà sotto l’orizzonte fra le stelle della costellazione del Toro. In questo caso ci sarà il tempo per passare in rassegna le numerose strutture già individuabili sul suolo lunare lungo il bordo orientale del nostro satellite. Ovviamente rimane inteso che per questa tipologia di osservazioni, oltre agli ormai noti parametri osservativi, risulterà determinante disporre di un orizzonte il più possibile libero da ostacoli.
Librazioni di Aprile
(In ordine di calendario, per i dettagli vedere le rispettive immagini).
Si precisa che, per ovvi motivi, non vengono indicati i giorni in cui i punti di massima Librazione si discostano dalla superficie lunare illuminata dal Sole.
Librazioni Regione Sudovest-Nordovest:
Librazioni Regione Sudovest-Nordovest:
05 Aprile. Fase calante 14,99 giorni – Librazione ovest mare Humorum
06 Aprile. Fase calante 16,03 giorni – Librazione nord mare Orientale
07 Aprile. Fase crescente 17,08 giorni – Librazione ovest cratere Kepler
08 Aprile. Fase calante 18,13 giorni – Librazione ovest Aristarchus Plateau
09 Aprile. Fase calante 19,18 giorni – Librazione ovest Sinus Iridum
10 Aprile. Fase calante 19,20 giorni – Librazione ovest Sinus Iridum
11 Aprile. Fase calante 20,23 giorni – Librazione ovest cratere Babbage
Librazioni Regione Nord e Regione Polare Settentrionale:
Librazioni Regione Nord e Regione Polare Settentrionale:
12 Aprile. Fase calante 21,28 giorni – Librazione ovest crateri Pythagoras, Anaximander
13 Aprile. Fase calante 22,32 giorni – Librazione nord cratere Anaximander
14 Aprile. Fase calante 23,35 giorni – Librazione nord cratere Philolaus
15 Aprile. Fase calante 24,38 giorni – Librazione cratere Peary
Librazioni Regione Sudest-Sud:
Librazioni Regione Sudest-Sud
23 Aprile. Fase crescente 03,74 giorni – Librazione mare Australe
24 Aprile. Fase crescente 04,44 giorni – Librazione mare Australe
25 Aprile. Fase crescente 05,48 giorni – Librazione sud mare Australe
26 Aprile. Fase crescente 06,51 giorni – Librazione sud cratere Boussingault
27 Aprile. Fase crescente 07,55 giorni – Librazione sud cratere Demonax
Note:
– Immagini “Librazioni “: Su immagini tratte dal globo di “Virtual Moon Atlas”.
– Dati e visibilità delle strutture lunari: Software “Stellarium” e “Virtual Moon Atlas”.
– Ogni fenomeno lunare e rispettivi orari sono rapportati alla Città di Roma, dati rilevati tramite software “Stellarium” e dal sito http://www.marcomenichelli.it/luna.asp
Eccoci ai saluti. Ad aprile scompare dai nostri cieli la C/2022 E3 ZTF, che tanta compagnia ci ha fatto nei mesi scorsi. Per salutarla definitivamente occorrerà sfruttare la prima parte di aprile dato che poi scomparirà tra la luce del Sole. La cometa è ormai ridotta ad un oggetto di decima magnitudine posizionato piuttosto basso sull’orizzonte. Un’ osservazione non proprio agevole quindi. Chi vorrà darle un’ultima occhiata la dovrà cercare nell’Eridano, non distante da Rigel, la stella più luminosa di Orione, non appena fa buio.
La cartina riporta la posizione della C/2022 E3 ZTF alle 21.30 ora legale. Le stelle più deboli sono di decima magnitudine.
C/2022 A2 PanSTAR
Pur passata da tempo al perielio la A2 PanSTARRSè ancora discretamente luminosa. Si muoverà in Andromeda nei pressi di M31, sufficientemente alta sull’orizzonte. Sarà meglio osservabile al termine della notte astronomica brillando inizialmente attorno alla decima magnitudine. A fine aprile sarà vicina alla Grande Galassia di Andromeda dal cui centro la separeranno meno di tre gradi.
La cartina riporta la posizione della C/2022 A2PanSTARRS alle 4.00 ora legale. Le stelle più deboli sono di magnitudine 9,5.
Nel nuovo numero di Coelum, nella rubrica di mia competenza, riferendomi alla E3 ZTF ho scritto: “Quando una cometa luminosa se ne va e all’orizzonte, nel futuro prossimo, non si profilano nuovi arrivi in grado di rimpiazzarla, lascia sempre un grande vuoto. Ma chi segue questi splendidi oggetti sa bene che tutto può improvvisamente cambiare con l’arrivo inaspettato di un nuovo astro chiomato in grado di riaccendere sogni e passione”. Ebbene, sono stato un buon profeta dato che una nuova promettentissima cometa si affaccia all’orizzonte. Un orizzonte piuttosto esteso dato che passerà al perielio a fine settembre del 2024. Il suo nome è C/2023 A3 Tsuchinshan-ATLAS, scoperta, anzi, ri-scoperta il 22 febbraio di quest’anno dal sistema di ricerca ATLAS (AsteroidTerrestrial-Impact Last Alert System) considerato che per primo l’aveva scovata e segnalata l’osservatorio cinese Purple Mountain Observatory in immagini risalenti al 9 gennaio, quando l’oggetto era di mag. 18,7.
Prima di una conferma ufficiale però è andata perduta ma poi ritrovata appunto dal sistema ATLAS. Ecco dunque il perché del doppio nome. Secondo le prime stime potrebbe davvero farci sognare raggiungendo un picco di luminosità attorno allo zero. Ovviamente tutti ci auguriamo che ciò avvenga ed anzi, che la magnitudine possa essere anche migliore, ma la prudenza è d’obbligo, come ci hanno insegnato diversi casi. Di certo la Tsuchinshan-Atlas ha già messo in fermento amatori e professionisti ed il conto alla rovescia è cominciato.
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(22) Kalliope è un grande asteroide di fascia principale che compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.810 giorni (4.96 anni) ad una distanza compresa tra le 2.62 e le 3.20 unità astronomiche (rispettivamente, 391.946.421 Km al perielio e 478.713.186 Km all’afelio). Deve il suo nome a Calliope musa della poesia, in particolare di quella epica. Scoperto dall’astronomo John Russell Hind il 16 Novembre 1852, questo imponente asteroide (circa 170 Km di diametro) è binario, ha infatti un satellite (Linus) di 28 Kilometri di diametro.
(22) Kalliope sarà in opposizione il 3 di Aprile, momento nel quale raggiungerà la magnitudine 11.1. Il suo moto sarà di 0,55 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (22) Kalliope trasformarsi in una bella striscia luminosa di 22 secondi d’arco.
(17) Thetis è un asteroide di fascia principale che compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.420 giorni (3.89 anni) ad una distanza compresa tra le 2.14 e le 2.80 unità astronomiche (rispettivamente, 320.139.443 Km al perielio e 418.874.038 Km all’afelio). Deve il suo nome a Teti , divinità marina figlia di Nereo e di Doris. Scoperto da Robert Luther il 17 Aprile 1852, (17) Thetis sarà in opposizione l’8 di Aprile quando raggiungerà magnitudine 10.6. Il suo moto sarà di 0,63 secondi d’arco al minuto, quindi per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle nostre immagini, anche in questo caso potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (17) Thetis trasformarsi in una bella striscia luminosa di 25 secondi d’arco.
(7) Iris è un asteroide di fascia principale, il quarto in ordine di luminosità, che compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.350 giorni (3.70 anni) ad una distanza compresa tra le 1.84 e le 2.94 unità astronomiche (rispettivamente, 275.260.082 Km al perielio e 439.817.740 Km all’afelio). Deve il suo nome al personaggio mitologico Iride, figlia di Taumante e di Elettra, personificazione dell’arcobaleno e messaggera degli dei. Scoperto dall’astronomo John Russell Hind il 13 Agosto 1847, questo imponente asteroide (circa 200 Km di diametro) sarà in opposizione il 30 di Aprile, momento nel quale raggiungerà la magnitudine 9.6. Il suo moto sarà di 0,63 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (7) Iris trasformarsi in una bella striscia luminosa di 25 secondi d’arco.
Marzo Iozzi è membri di GRAM Gruppo Astrofili Montelupo Fiorentino
Tutte le sere, quando si apre il sipario della notte, nel cielo nero si accendono le stelle e inizia lo spettacolo che da millenni mette in scena storie in cui si muovono eroi dotati di superpoteri, mostri e ibridi da fantascienza, fanciulle più divine che terrestri: tutti impegnati in un repertorio d’amori e d’avventure ai confini della realtà.
Margherita Hack
Tra le costellazioni che interessano il cielo di aprile partiamo dalla Vergine, che culmina a mezzanotte verso metà mese.
Si tratta di una costellazione molto estesa, (circa 1300 gradi quadrati) la seconda più ampia della volta celeste (il primato lo detiene l’Hydra): una figura ricca di oggetti non stellari.
La Vergine è posta tra il Leone e la Bilancia ed è facilmente individuabile grazie alla sua stella più brillante, Spica (alfa Virginis), un astro di colore bianco-azzurro che con la sua magnitudine di 1.04 si colloca al quindicesimo posto tra le stelle più brillanti del cielo notturno.
Spica, situata in direzione della mano della fanciulla (o meglio della spiga di grano che stringe tra le dita) si trova a una distanza di 262 anni luce da noi e insieme alle stelle Arturo del Boote e Denebola del Leone, costituisce uno dei vertici dell’asterismo del Triangolo primaverile.
Tra gli astri che compongono la costellazione, la seconda più luminosa è Porrima (gamma Virginis), una stella doppia di magnitudine apparente di 2.74, le cui componenti sono di pari colore (giallastro); il sistema binario è posto a una distanza di 39 anni luce.
Al terzo posto per luminosità, brilla la stella gigante gialla Vindemiatrix (Epsilon Virginis) o Vendemmiatrice, con magnitudine 2.85 e distante 102 anni luce.
Le origini del suo nome risalgono a più di 2.000 anni fa, quando la stella sorgeva alle prime luci dell’alba a inizio settembre, periodo in cui si svolgeva la vendemmia.
A causa della Precessione degli equinozi, le cose ad oggi sono un po’ cambiate e la stella Vendemmiatrice ha lasciato il posto agli astri della costellazione del Leone.
OGGETTI NON STELLARI NELLA COSTELLAZIONE DELLA VERGINE
Gli oggetti del cielo profondo siti nella costellazione della Vergine sono vari ma affascinanti: uno fra tutti l’ammasso di galassie della Vergine, composto da circa 2.500 membri, facente parte a sua volta del Superammasso della Vergine di cui fa parte anche il Gruppo Locale, ovvero il gruppo di galassie a cui appartiene la nostra Via Lattea; come non citare poi la galassia ellittica M87 e la galassia Sombrero.
M87 (o Virgo A) è una grande galassia ellittica oltre ad essere una forte sorgente radio: la sua caratteristica principale è il Buco Nero Supermassiccio situato al centro della galassia di cui, il 10 aprile 2019, è stata rivelata al mondo l’immagine dell’orizzonte degli eventi.
Con il suo getto relativistico e l’emissione di raggi X e gamma, la galassia M87 rappresenta un importante oggetto di studio nell’ambito dell’astronomia e radio astronomia.
La Galassia Sombrero (M104) è invece una galassia spirale vista di taglio, con un grosso rigonfiamento centrale, situata a 31 milioni di anni luce da noi e posta alla periferia dell’Ammasso della Vergine, la cui appartenenza sembra essere dubbia.
LA VERGINE NELLA MITOLOGIA
La costellazione della Vergine viene rappresentata come una ragazza con in mano delle spighe: la figura è da sempre associata al chicco di grano che muore e rinasce, al periodo dei raccolti, alla mietitura, da cui deriva il nome della stella alfa della costellazione, Spica, che è visibile dopo il tramonto verso Ovest proprio durante i mesi primaverili ed estivi.
In ambito mitologico quella della Vergine è una figura che mette d’accordo un po’ tutte le antiche popolazioni, dai sumeri agli egizi, ai greci: essa simboleggia la rinascita, la natura, la fertilità ed è l’emblema dell’incessante ciclo della stagioni e quindi della vita.
Il mito greco ci porta in Sicilia, sulle rive del Lago di Pergusa nella campagna di Enna, dove una giovane fanciulla di nome Proserpina, figlia della dea del frumento Demetra (a cui si associa la Vergine) era intenta a raccogliere dei fiori quando, da una fenditura del terreno, uscì fuori un cocchio trainato da quattro cavalli e condotto dal dio dell’oltretomba Plutone, che rapì la giovane (il famoso ratto di Proserpina) facendone la sua sposa e trascinandola con sé negli inferi, di cui divenne regina.
Demetra, dopo averla cercata ovunque, fu mossa da una disperazione tale da lasciar calare un lungo inverno sulla campagna siciliana, che devastò i raccolti e rese i terreni non più fertili.
Dopo qualche tempo la dea interpellò il dio del Sole, Elio, che era stato testimone del rapimento di Proserpina; fu allora che Demetra si recò da Giove minacciando di far morire ogni forma di vita presente in natura se non le fosse stata restituita sua figlia.
Plutone, incalzato da Giove, acconsentì a rendere la fanciulla a sua madre, bluffando: egli infatti offrì a Proserpina un melograno avvelenato di cui ne mangiò però solo pochi semi; così gli dei, mossi dalle minacce di Demetra, stabilirono un compromesso: Proserpina avrebbe vissuto per sei mesi negli inferi con Plutone e per sei mesi con sua madre sulla Terra. Questo entrare ed uscire dalla luce simboleggia il ciclo della natura, del seme che muore e rinasce, senza mai una fine.
CANI DA CACCIA
Alta sull’orizzonte nei primi di aprile si trova la costellazione boreale dei Cani da Caccia.
Posta tra il Boote e l’Orsa Maggiore, la costellazione è ben visibile durante i mesi primaverili ed estivi; la sua stella principale, α Canum Venaticorum, è nota come Cor Caroli ed è una stella doppia bianca di magnitudine 2,89, distante 110 anni luce, risolvibile già con un piccolo telescopio.
crediti: stellarium
OGGETTI NON STELLARI
Di certo l’oggetto del cielo profondo più bello della costellazione dei Cani da Caccia è la galassia spirale M51, detta anche Galassia Vortice: si tratta di una delle galassie più brillanti, la cui luminosità è dovuta alla presenza di giovani stelle brillanti azzurre che popolano i bracci; è un oggetto molto amato dagli astrofili e nell’osservazione si presenta di fronte, rendendosi visibile con un buon binocolo e un discreto telescopio.
M51 possiede una piccola galassia satellite, NGC 5195, che rappresenta quasi la continuazione di uno dei bracci della spirale. Questo sistema dista da noi circa 20 milioni di anni luce.
Un gruppo di ricercatori del Center for Astrophysics di Harvard (Stati Uniti), ha scoperto, attraverso i telescopi spaziali Chandra e Xmm-Newton per raggi X, un possibile pianeta extragalattico grande come Saturno, che orbita ogni 70 anni attorno a una binaria X (M51-ULS-1) a 28 milioni di anni luce da noi, proprio nella Galassia Vortice.
I CANI DA CACCIA TRA MITO E STORIA
Nel 1687 l’astronomo polacco Johannes Hevelius formò la costellazione dei Cani da Caccia, inserendola tra il Boote e l’Orsa Maggiore, una regione di cielo a suo dire troppo vuota che bisognava integrare con un oggetto che comprendesse anche la stella Cor Caroli, Cuore di Carlo ( II d’Inghilterra).
Perché la scelta fosse ricaduta proprio su due cani da caccia non è ben chiaro: essi vengono attribuiti ora al Boote che li tiene al guinzaglio e ora all’Orsa maggiore, minacciata da essi.
Un’altra storia ci porta negli intrighi della corona inglese, dove il medico di corte Charles Scarborough, denominò una stella Cor Caroli, in onore di Carlo I, in seguito alla sua decapitazione durante la guerra civile inglese.
Successivamente Edmund Halley associò l’astro a Carlo II, salito al trono dopo la morte del padre; egli accolse con entusiasmo che il suo nome fosse tra le stelle e, mosso forse da una certa riconoscenza nei confronti di Halley, decise di dare il via alla realizzazione di uno dei più illustri osservatori: l’Osservatorio Astronomico di Greenwich.
Bentornati su Marte! Oggi riprendiamo il filo delle attività di Perseverance e Ingenuity nel cratere Jezero. Un mese fa (News da Marte #11) abbiamo lasciato i due impegnati nelle prime fasi dell’avanzamento nelle regioni del Delta.
Communication breakdown: confirmed Ma prima un aggiornamento su una questione che, a distanza di oltre un mese dalla formulazione delle ipotesi, consideravo ancora aperta: l’analisi sui potenziali problemi di comunicazione tra rover ed elicottero. Ricorderete i due fotogrammi del volo 42 di Ingenuity che mostravano evidenti segni di corruzione dei dati.
Una coppia di frame del volo 42, relativi agli ultimi istanti di acquisizione con Ingenuity ormai posato al suolo. Crediti: NASA/JPL-Caltech
Come si suole dire meglio tardi che mai, è stato recentemente rilasciato un aggiornamento sullo stato dell’elicottero che ha menzionato la questione e confermato che in quei Sol si sono effettivamente sperimentati problemi di download dei dati da Ingenuity.
Da allora altri fotogrammi del volo 42 sono stati resi disponibili, e sono finalmente in grado di mostrarvi parte di questo spostamento che ha avuto luogo nell’ormai lontano 4 febbraio. Il video è qui velocizzato di 4 volte.
Percorso del volo 42 sulla mappa.
La NASA è stata avara di fotogrammi per il volo successivo del 16 febbraio (Sol 708), il 43esimo, di cui ha reso disponibili solo 10 immagini. Documentano la sequenza di atterraggio e ve le mostro qui di seguito. Si era trattato di spostamento considerevole, 390 metri in 146 secondi, che aveva dimostrato quanto Ingenuity stesse giovando dell’incremento di ore di luce per ricaricare le proprie batterie e aumentare così tempi e distanze di spostamento.
Percorso del volo 43 con le posizioni di Ingenuity e Perseverance.
Panoramica scattata da Perseverance nel Sol 708. NASA/JPL-Caltech/Piras
Appena tre giorni dopo, il 19 febbraio, Ingenuity si è alzato per la 44esima volta. Appena cinque le immagini rese disponibili, probabilmente a causa del terreno pianeggiante e privo di ostacoli di rilievo da analizzare nei fotogrammi. Non dimentichiamo infatti che la missione primaria dell’elicottero è avanzare per studiare il terreno e fornire informazioni ai controllori di Perseverance per programmare in modo migliore i percorsi.
Fotogrammi del volo 44.
Percorso del volo 44 con le posizioni di Ingenuity e Perseverance.
Grazie ancora una volta alle visuali catturate da Perseverance riusciamo ad orientarci in questa regione, riconoscendo in esse i vari rilievi dell’area. Nei due mosaici sottostanti la camera è orientata verso est (foto superiore) e verso sud (foto inferiore). L’aumento di contrasto per evidenziare le caratteristiche del terreno hanno accentuato l’indesiderata vignettatura della Right MastCam-Z.
Panoramiche fotografate dal rover tra i Sol 710 e 711. NASA/JPL-Caltech/Piras
Ora che abbiamo un po’ di contesto con i voli già accennati nella puntata #11 di News da Marte, possiamo ripartire!
Il gatto e il topo Sembra questo il gioco che ha tenuto impegnata la coppia robotica nelle ultime settimane. Il ritmo di avanzamento del rover è stato serratissimo, con centinaia di metri percorsi giornalmente e l’elicottero che non poteva permettersi di restare indietro.
La missione principale di Mars 2020 coinvolge il rover, le cui attività hanno priorità assoluta. In pratica non ci si può permettere di perdere Sol per dar tempo a Ingenuity di tenere il passo nel caso in cui si trovasse a venire sorpassato da Perseverance. In tutto questo vanno considerate anche le condizioni del terreno che nella regione del delta presenta frequenti strettoie. Per ragioni di sicurezza non è ammesso che Ingenuity voli troppo vicino al rover, rendendo quindi un potenziale controsorpasso praticamente impossibile nei canyon del delta. A complicare ulteriormente le cose contribuisce poi il range di comunicazione tra i due robot che, come visto, non è affatto un fattore trascurabile.
Insomma, per Ingenuity avanzare rapidamente era praticamente una questione di vita o di morte.
Altri voli molto significativi in questo senso sono stati il 45 e il 46 che, insieme ai due precedenti, sono stati svolti in un arco di tempo di appena 9 Sol.
Un’animazione estremamente utile è stata prodotta dal JPL e mostra come gli spostamenti via terra e i voli si siano alternati in queste passate settimane di avanzamento.
Andiamo di vederli un po’ nel dettaglio.
Si vola… I voli più recenti sono stati meno avari di fotogrammi, e se siete anche voi appassionati del lavoro svolto dal nostro elicotterino non potrete che esserne lieti.
Nel Sol 714 (22 febbraio) Ingenuity ha eseguito il volo numero 45. Il drone ha percorso 496 metri (attuale record di distanza in questa stagione di voli) in 144 secondi.
Pochi frame di navigazione ma ben 13 a colori sono le immagini al momento disponibili che vi presento in questo video velocizzato di 4 volte che attraversa le aree denominate Ashbys Corner e Crosswell.
Il Sol 717 (25 febbraio) è già tempo di un nuovo volo, con Ingenuity che percorrre 445 metri in 136 secondi. 10 frame di navigazione e altrettanti a colori ci mostrano così il volo 46 qui velocizzato di quattro volte.
Mentre Ingenuity riposava dopo questa frenetica serie di voli che gli hanno fatto percorrere complessivamente ben 1665 metri, Perseverance si è dato altrettanto da fare.
…e si marcia
Tra il Sol 712 e il 719 si è spostato quotidianamente macinando un totale di 1337 metri. Possiamo ammirare la lunga traversata nel video seguente dove ho condensato in un minuto 10 Sol di guida su Marte. Occhio al finale perché c’è una bella sorpresa…
Dopo oltre un mese e mezzo dall’ultima volta Perseverance riesce a rivedere Ingenuity! La posizione dell’elicottero è quella all’Airfield Theta dove è atterrato due giorni prima, il 25 febbraio. L’osservazione riesce grazie alle camere di navigazione, le quali però hanno un campo inquadrato molto ampio e una risoluzione non troppo elevata.
Dobbiamo aspettare qualche giorno in più per ricevere delle immagini migliori. Ce le forniscono le MastCam-Z al massimo livello di zoom, che dalla distanza di circa 100 metri, producono queste foto.
Ingenuity! Ripreso da Perseverance il 4 marzo (Sol 728). NASA/JPL-Caltech/Piras
Combinando le immagini delle due camere possiamo anche elaborare una ripresa stereo osservabile con gli occhialini per anaglifi.
Left e Right MastCam-Z, Sol 728. NASA/JPL-Caltech/Piras
Qualche elaboratore si è spinto oltre sfruttando algoritmi che si basano sull’intelligenza artificiale. Questo il risultato impressionante prodotto da Simeon Schmauß.
Crediti: NASA/JPL-Caltech/Schmauß
Ma sono solo le prove generali per qualcosa di spettacolare.
Il Sol successivo, 729, Ingenuity prende il volo per lo spostamento numero 47. E stavolta Perseverance è là vicino pronto a riprenderlo. Era dal volo 13 del 4 settembre 2021 che non avevamo delle riprese di un decollo di Ingenuity!
Combinando le immagini delle due MastCam del rover e delle due camere dell’elicottero ho elaborato questo video.
Come sempre i flussi video sono perfettamente sincronizzati tra loro anche se generati da camere differenti. La ripresa da parte del rover è mostrata in tempo reale, mentre la sequenza del volo è tagliata (a causa di frame mancanti) e velocizzata per non annoiarvi troppo.
Saltiamo infine al Sol 741, 21 marzo e convenzionale inizio di primavera sulla Terra.
In questa giornata si è svolto il volo più recente di Ingenuity, che ha percorso 398 metri in 150 secondi. Con mia piacevole sorpresa sono stati già rilasciati ben 124 frame con i quali possiamo ricostruire l’intero volo da decollo ad atterraggio. Il risultato, velocizzato di 3 volte, è questo.
Le ultime righe di questo imponente aggiornamento le spendiamo su Perseverance che, dopo la traversata chilometrica e le migliaia di foto scattate durante questo viaggio, riassaggia finalmente un po’ di roccia.
L’occasione è l’arrivo nel punto più a sud sinora visitato dall’arrivo in questa regione. Qui, nell’area battezzata Tenby, Perseverance ha eseguito osservazioni su una roccia, compiuto un’abrasione superficiale e a breve potremo probabilmente assistere al prelievodi un nuovo campione.
Camera Watson in azione su una lastra di roccia, Sol 741. NASA/JPL-Caltech/Piras
Fresa al lavoro nel Sol 742 (22 marzo). NASA/JPL-Caltech/Piras
Osservazioni della fresa successivamente all’abrasione. NASA/JPL-Caltech/Piras
Osservazioni della fresa successivamente all’abrasione. NASA/JPL-Caltech/Piras
Il frutto di tanto duro lavoro: il sottile scavo mette a nudo roccia antichissima che può ora essere analizzata dagli strumenti di Perseverance. NASA/JPL-Caltech/Piras
Anche per oggi è tutto, grazie se siete arrivati sino a qui senza esservi fatti spaventare dai tanti video! Al prossimo aggiornamento!
Con il Sole tramontato da poco alle 18 e 30 circa, guardando verso ovest si potrà ammirare uno splendido allineamento fra (partendo dal basso): Mercurio, Giove, Venere, Urano, Luna e Pleiadi.
Credit: The Sky Live Planetarium
Fra gli oggetti elencati solo Urano non è visibile ad occhio nudo, gli altri invece saranno facili da individuare ma ricordiamo che: Mercurio viaggia sempre molto vicino al Sole e quindi sarà difficile da osservare ancora avvolto dalla luce del tramonto, ultimo tentativo poco prima del suo passare sotto l’orizzonte (poco prima delle 19:00).
Nel cielo resteranno gli altri pianeti ed oggetti celesti finché anche Giove non scomparirà sotto l’orizzonte, circa mezz’ora dopo.
Ma infine l’allineamento Venere-Luna-Pleiadi sarà bene visibile fino alle 21 e 15 quando sarà oramai buio. Amanti degli scatti pronti perché la falce di Luna sottile renderà lo spettacolo molto piacevole!
Le Pleiadi sono abbastanza luminose ed anche in cieli non perfetti sono facilmente visibili, certo meglio essere lontani da lampioni o illuminazioni cittadine. Fermatevi ed abituate l’occhio al buio (niente schermi del telefonino se non in notturna) e dopo qualche minuto le vedrete apparire.
Le Pleiadi M45: UN AMMASSO APERTO NEL CUORE DELL’INVERNO
Ma alla costellazione del Toro è inevitabilmente associato un altro oggetto, uno dei più interessanti e conosciuti, quello delle Pleiadi o, dal catalogo Messier, M45.
Si tratta di un ammasso stellare aperto distante 440 anni luce da noi, collocato nella spalla del Toro.
Senza l’ausilio di telescopi sono ben visibili, lontani da cieli urbani e troppo luminosi, già sette fra le stelle più luminose dell’ammasso, assumendo una forma che rimanda al piccolo carro. Aiutandosi invece con un binocolo o con un telescopio si scopre che l’ammasso è molto più esteso, sono centinaia le stelle, in prevalenza giganti blu e bianche che compongono l’ammasso. Stelle che sono legate da un’origine comune e da reciproche forze gravitazionali.
Nelle fotografie a lunghe esposizioni o all’oculare di un telescopio di apertura considerevole, non è difficile notare dei piccoli aloni a circondare i singoli oggetti luminosi. Sono nubi di polvere, dette nebulose a riflessione, illuminate dalle stelle.
M45 prende parte alla sfilata degli oggetti più belli e suggestivi del cielo invernale, attirando sempre molta curiosità negli amanti del cielo, poiché l’ammasso è spesso protagonista di congiunzioni con la Luna o pianeti come Marte e Venere.
LE PLEIADI NELLA MITOLOGIA
Interessanti dal punto di vista astronomico, la Pleiadi sono anche circondate da numerosi riferimenti mitologici. Chiamate sovente le “sette sorelle”, sono rappresentate come ninfe della montagna, figlie di Atlante e l’oceanina Pleione: Alcione, Asterope, Celeno, Elettra, Maia, Merope e Taigeta.
Il nome dell’ammasso Pleiadi, sembra avere diverse etimologie. La più nota associa il termine al verbo navigare “plain”, giacché l’apparizione dell’ammasso nel cielo rappresentava, per i marinai dell’antichità, un preciso e favorevole punto di riferimento.
Un’altra interpretazione lega il nome Pleiadi al sostantivo colombe in cui le sette sorelle si trasformarono per sfuggire all’inseguimento del cacciatore Orione. Ma qui la storia si complica! Un altro mito infatti attribuisce la trasformazione in colombe delle Pleiadi non tanto al tentativo di sottrarsi dalle attenzioni del valoroso cacciatore, ma più alla disperazione delle sorelle dovuta alla punizione inflitta da Zeus al loro padre, Atlante, condannato a portare sulle sue spalle il peso del mondo.
Più attuale e dei nostri giorni invece il verso di Pascoli che decantava: “La Chioccetta per l’aia azzurra va col suo pigolìo di stelle” nel Gelsomino Notturno. Anche il poeta quindi volle dare la sua personale interpretazione a quel gruppetto di luminosi astri, paragonandolo a una chioccia che si trascina dietro una covata di pulcini intenti a pigolare. Immagine curiosa ma d’effetto, in una bella notte stellata infatti può sembrare di udir riecheggiarne il suono.
COSA OSSERVARE SULLA SUPERFICIE LUNARE
Una falce non proprio stretta (3,1 giorni) ma pur sempre spettacolare si potrà osservare la sera del 24 Marzo tenendo presente che alle ore 21:51 scenderà sotto l’orizzonte preceduta dal pianeta Venere (separazione di 4°) e seguita dal pianeta Urano (separazione di 3°). Altro fotogenico quadretto di cui attendiamo i vostri riscontri fotografici mentre chi fosse interessato ad osservare la superficie lunare potrà spaziare lungo tutto il bordo orientale, dal mare Humboldtianum a nordest fino al settore est del mare Crisium con i mari Marginis e Smythii, spostandosi poi lungo il bordo est del mare Fecounditatis fino al mare Australe a sudest. Ovviamente rimane inteso che per questa tipologia di osservazioni, oltre agli ormai noti parametri osservativi, risulterà determinante disporre di un orizzonte il più possibile libero da ostacoli.
Come promesso abbiamo anticipato i tempi di spedizione: appena ricevuto dalla tipografia i primi pacchi sono partiti già ieri, oggi la seconda trance e lunedì tutto il resto (accidenti al fine settimana!). Corri postino! 📨📨
Ve lo dobbiamo proprio dire, è stupendo! Colori fantastici al dettaglio e contenuti sempre orginali.
Avete già preso la vostra copia? Occhio che poi finisce 👀👀
Pubblichiamo il contributo che la bravissima Rossana Miani ci ha inviato in redazione. Il testo che segue sono le sue parole.
“Sono parecchi anni che osservo il Sole ma non mi era mai capitato di osservare una protuberanza di durata così breve (circa un’ora), il seguirla dietro uno schermo è stato molto emozionante, probabilmente attraverso l’oculare mi avrebbe lasciato un ricordo indelebile che però non avrei potuto condividere con tutti.
La ripresa, qui in formato GIF, è composta da 20 riprese della durata di 20 sec ciascuna. Il tempo tra una ripresa e l’altra non è preciso, è di circa 4/5 minuti, incertezza dovuta al passaggio di nuvole piuttosto consistenti che non hanno permesso riprese costanti. Le 20 immagini sono state riprese dalle 11:06 alle 11:57 ora locale, da Maserà di Padova il 16.03.2023″
Strumentazione: Daystar Quark cromosfera, 80ED Skywatcher, Player One Filtro ERF 1.25″ serie S, ASI174MM, Skywatcher AZEQ5, Filtro ERF Baader.
Questa illustrazione mostra le nuvole vorticose identificate dal James Webb Space Telescope nell'atmosfera dell'esopianeta VHS 1256 b. Il pianeta dista circa 40 anni luce e orbita attorno a due stelle. Le nuvole del pianeta, che sono piene di polvere di silicato, si alzano, si mescolano e si muovono costantemente. Credito: NASA, ESA, CSA, Joseph Olmsted (STScI)
La potenza di Webb non si attesta solo con le immagini spettacolari a cui ci sta abituando. Webb ha una capacità di raccolta dati impressionante, non sempre “visibili” (ricordiamo che il telescopio JWST lavora nell’infrarosso) e non sempre quindi “accattivanti”. Tuttavia le ricerche e le informazioni che si possono trarre dai dati che costantemente i team ricevono forniscono nuove conoscenze su elementi che prima sembravano inaccessibili.
E’ il caso di questa indagine il cui soggetto è il pianeta VHS 1256b, che dista 40 anni luce da noi. Grazie ai dati raccolti dal JWST gli scienziati hanno putto riconoscere nell’atmosfera nuvole di silicato e un movimento costante durante tutte le 22 ore della sua giornata. Evidenze di correnti ascensionali. Un oggetto la cui luminosità cambia velocemente, come nessun altro pianeta studiato sin ora.
Il team, guidato da Brittany Miles dell’Università dell’Arizona, ha anche effettuato rilevamenti straordinariamente chiari di acqua, metano e monossido di carbonio con i dati di Webb e ha trovato prove di anidride carbonica. Questo è il maggior numero di molecole mai identificate tutte in una volta su un pianeta al di fuori del nostro sistema solare.
Catalogato come VHS 1256 b, il pianeta si trova a circa 40 anni luce di distanza e orbita non una, ma due stelle per un periodo di 10.000 anni. “VHS 1256 b è circa quattro volte più lontano dalle sue stelle di quanto Plutone lo sia dal nostro Sole, il che lo rende un ottimo obiettivo per Webb”, ha detto Miles. “Ciò significa che la luce del pianeta non è mescolata con la luce delle sue stelle.” Più in alto nella sua atmosfera, dove le nuvole di silicato si agitano, le temperature raggiungono gli 830 gradi Celsius.
Usando il VLT (Very Large Telescope) dell’ESO, due diversi gruppi di astronomi hanno osservato le conseguenze della collisione tra il veicolo spaziale DART (Double Asteroid Redirection Test) della NASA e l’asteroide Dimorphos. L’impatto controllato è stato un test di difesa planetaria, ma ha anche offerto agli astronomi un’opportunità unica per conoscere meglio la composizione dell’asteroide analizzando il materiale espulso.
Il 26 settembre 2022 il veicolo spaziale DART si è scontrato con l’asteroide Dimorphos per effettuare un test controllato delle nostre capacità di deflessione degli asteroidi. L’impatto è avvenuto a 11 milioni di chilometri dalla Terra, abbastanza vicino da poter essere osservato in dettaglio con molti telescopi. Tutti e quattro i telescopi da 8,2 metri del VLT dell’ESO in Cile hanno osservato le conseguenze dell’impatto e i primi risultati di queste osservazioni del VLT sono stati pubblicati in due articoli.
“Gli asteroidi sono tra i resti più essenziali del materiale da cui sono stati creati tutti i pianeti e le lune del Sistema Solare“, afferma Brian Murphy, studente di dottorato presso l’Università di Edimburgo nel Regno Unito e coautore di uno dei lavori. Studiare la nube di materiale espulso dopo l’impatto di DART può quindi dirci come si è formato il Sistema Solare. “Gli impatti tra asteroidi avvengono naturalmente, ma non lo si sa mai in anticipo“, continua Cyrielle Opitom, astronoma all’Università di Edimburgo e autrice principale di uno degli articoli. “DART è davvero una grande opportunità per studiare un impatto controllato, quasi come in laboratorio.”
Opitom e il suo gruppo hanno seguito l’evoluzione della nube di detriti per un mese con lo strumento MUSE (Multi Unit Spectroscopic Explorer) installato sul VLT dell’ESO. Hanno scoperto che la nube espulsa era più blu dell’asteroide stesso prima dell’impatto, indicando che avrebbe potuto essere composta da particelle molto fini. Nelle ore e nei giorni che seguirono l’impatto si svilupparono altre strutture: ciuffi, spirali e una lunga coda allontanata dalla radiazione solare. Le spirali e la coda erano più rosse della nube iniziale e quindi avrebbero potuto essere costituite da particelle più grandi.
MUSE ha permesso al team di Opitom di scomporre la luce della nube come fosse un arcobaleno e di cercare le impronte chimiche di diversi gas. In particolare, hanno cercato ossigeno e acqua provenienti dal ghiaccio esposto dall’impatto. Ma non hanno trovato niente. “Non ci si aspetta che gli asteroidi contengano quantità significative di ghiaccio, quindi anche rilevare una qualsiasi traccia di acqua sarebbe stata una vera sorpresa“, spiega Opitom. Hanno anche cercato tracce del propellente della navicella DART, ma non ne hanno trovate. “Sapevamo che fosse un azzardo”, aggiunge, “poiché la quantità di gas rimasta nei serbatoi dal sistema di propulsione non avrebbe dovuto essere enorme. Inoltre, una parte di questo avrebbe potuto arrivare troppo lontano per essere rilevata con MUSE quando abbiamo iniziato a osservare”.
Un altro gruppo, guidato da Stefano Bagnulo, astronomo dell’Armagh Observatory and Planetarium nel Regno Unito, ha studiato come l’impatto di DART abbia alterato la superficie dell’asteroide.
“Quando osserviamo gli oggetti nel Sistema Solare, stiamo osservando la luce solare diffusa dalla loro superficie o dalla loro atmosfera, che diventa parzialmente polarizzata”, spiega Bagnulo. Ciò significa che le onde luminose oscillano lungo una direzione preferita piuttosto che in modo casuale. “Tracciare come cambia la polarizzazione con l’orientamento dell’asteroide rispetto a noi e al Sole ne rivela la struttura e la composizione della superficie“.
Bagnulo e i suoi colleghi hanno utilizzato lo strumento FORS2 (FOcal Reducer/low dispersion Spectrograph 2) installato sul VLT per monitorare l’asteroide e hanno scoperto che il livello di polarizzazione è sceso improvvisamente dopo l’impatto. Allo stesso tempo, la luminosità complessiva del sistema è aumentata. Una possibile spiegazione è che l’impatto abbia esposto più materiale incontaminato dall’interno dell’asteroide. “Forse il materiale scavato dall’impatto era intrinsecamente più luminoso e meno polarizzante del materiale in superficie, perché non è mai stato esposto al vento e alla radiazione solari”, dice Bagnulo.
Un’altra possibilità è che l’impatto abbia distrutto le particelle sulla superficie, espellendo così quelle molto più piccole nella nube di detriti. “Sappiamo che, in determinate circostanze, i frammenti più piccoli sono più efficienti nel riflettere la luce e meno efficienti nel polarizzarla“, spiega Zuri Gray, altro studente di dottorato all’Armagh Observatory and Planetarium.
Gli studi dei gruppi guidati da Bagnulo e Opitom mostrano le potenzialità del VLT quando i suoi diversi strumenti lavorano insieme. Infatti, oltre a MUSE e FORS2, le conseguenze dell’impatto sono state osservate con altri due strumenti del VLT e l’analisi di questi dati è ancora in corso. “Questa ricerca ha sfruttato un’opportunità unica, quando la NASA ha colpito un asteroide”, conclude Opitom, “quindi non può essere ripetuta da nessuna struttura futura. Questo rende i dati ottenuti con il VLT nel momento dell’impatto estremamente preziosi quando si tratta di comprendere meglio la natura degli asteroidi”.
Messo online nella nuova veste circa 18 mesi fa, il sito di Coelum è lontano dall’essere un luogo statico e blindato. Si dimostra invece uno spazio interattivo, in cui lo spirito collaborativo è fortemente sostenuto con interventi relazionali ma anche tecnici.
E’ di poche settimane fa l’operatività della funzione che consente a TUTTI gli utenti del sito di inserire in maniera autonoma (con gli stessi comandi dei post notizie) avvisi su eventi ed incontri. L’immagine in anteprima di conseguenze verràin automatico integrata della slide show di apertura. La funzione è disponibile nella propria area personale alla voce “BLOG” e poi “NEW POST”.
👉👉Invitiamo tutte le associazioni e divulgatori a provare l’esperienza e a restituirci un proprio feedback di valutazione.🆗🆗
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Nei prossimi giorni continueremo ad aggiornarlo collegando gli autori attualmente più attivi.
Rappresentazione artistica di un vulcano in eruzione su Venere. Crediti: ESA / AOES Medialab.
Venere è il secondo pianeta del Sistema Solare in quanto a distanza dal Sole ed ha quasi le stesse dimensioni e massa della Terra.
Il pianeta Venere, assieme a Marte, è stato teatro delle più bizzarre teorie sulla presenza di vita nel secolo scorso. Le analisi successive, tuttavia, hanno limitato queste ipotesi, anche in favore delle avverse condizioni che il pianeta offre.
Si pensa infatti che il pianeta abbia subito un evento di rimodellamento quasi globale della superficie circa 300-600 milioni di anni fa e che l’attività vulcanica sia andata successivamente scemando. Per ora, la crosta di Venere è ferma e non c’è nulla che possa degradare i crateri, dal momento che questo pianeta non ha una tettonica a placche attiva come la Terra, che mantiene la crosta terrestre in costante movimento, rimodellando la sua superficie.
Il processo di rimodellamento della superficie parte da piccole instabilità che degenerano verso grandi creste e che spiegano l’abbondanza di corone negli altopiani e la loro scarsità nelle pianure di Venere. Durante un evento di questo tipo avvengono variazioni su larga scala nella topografia del pianeta.
Anche le abbondanze di elementi radioattivi sono simili al nostro pianeta e tali elementi rilasciano calore che potrebbe guidare l’attività vulcanica.
L’analisi dei crateri di Venere mostra morfologie che sembrano però essere state modificate da processi vulcanici e questo potrebbe significare che l’età media della superficie è solo di decine di milioni di anni, comparabile ai bacini oceanici della Terra.
Il problema è che, come detto, Venere non ha la tettonica a placche attuale e la stragrande maggioranza del vulcanismo terrestre è associato alla formazione di crosta nelle dorsali medio-oceaniche o negli archi vulcanici sopra le zone di subduzione.
Su Venere ci sono diverse dozzine di vulcani con dimensioni ragguardevoli e indizi di attività con temperature più calde dei vulcani più attivi sulla Terra come la Big Island delle Hawaii.
Si stima che in un giorno siderale venusiano, pari a 243 giorni terrestri, potrebbero aver luogo diverse eruzioni basaltiche, comprendendo diverse decine di chilometri attorno al punto di eruzione.
Una recente ricerca condotta esaminando le immagini radar della superficie di Venere raccolte dalla sonda Magellan della NASA tra il 1990 e il 1992 relativamente all’area contenente due dei più grandi vulcani di Venere, Ozza e Maat Mons, paragonabili in volume ai più grandi vulcani della Terra, ha mostrato un cambiamento nella morfologia e dimensioni delle bocche, specialmente nella bocca sul lato nord di un vulcano a scudo a cupola che fa parte del vulcano Maat Mons.
Topografia dell’area di studio su Venere; il colore indica le elevazioni, misurate rispetto al raggio planetario medio dall’altimetro di Magellan. Crediti: Robert Herrick & Scott Hensley
E’ stato evidenziato che la bocca era cresciuta da una formazione circolare di 2, km^2 ad una forma irregolare di circa 4 km^2.
I ricercatori ipotizzano che si sia formato un lago di lava nella bocca durante gli otto mesi intercorse tra le immagini. Secondo lo studio, un collasso non vulcanico, ma innescato da un crollo delle pareti della bocca potrebbe aver causato l’espansione. Ma crolli di queste dimensioni sui vulcani terrestri sono sempre stati accompagnati da eruzioni vulcaniche nelle vicinanze.
Ovviamente, dal momento che la superficie di Venere è geologicamente giovane, soprattutto rispetto a tutti gli altri corpi rocciosi tranne la Terra e la luna di Giove Io, si stima che potrebbero verificarsi su Venere eruzioni che vanno da diversi grandi eventi all’anno a una ogni diversi o addirittura decine di anni.
Per approfondire:
Robert R. Herrick & Scott Hensley. Surface changes observed on a Venusian volcano during the Magellan mission. Science, published online March 15, 2023; doi: 10.1126/science.abm7735
Oggi, 20 marzo, è l’equinozio di primavera. Oggi il Sole sorge esattamente a Est e tramonta esattamente a Ovest, e il giorno è diviso esattamente a metà tra 12 ore di luce e 12 ore di buio.
Dal punto di vista geometrico, questo significa che oggi i raggi del Sole sono perfettamente paralleli all’equatore terrestre. O, stessa cosa detta in modo diverso, oggi il terminatore (ossia la linea sulla superfice terrestre che divide il giorno dalla notte) passa esattamente per il Polo Nord e per il Polo Sud.
Per questo, oggi vedrete un sacco di foto della Terra, esattamente divisa a metà tra luce e buio, perfettamente “verticale” come una trottola che gira a piena velocità.
Ovviamente, “verticale” nello spazio tridimensionale non significa assolutamente niente, e comunque vale solo quando ci poniamo nel sistema di riferimento del nostro Sistema Solare, in particolare il piano dell’eclittica, ossia il piano su cui si muovono (grado più, grado meno) le orbite dei pianeti.
Ma questo non è ovviamente l’unico sistema di riferimento, né tantomeno l’unico piano orbitale privilegiato. Quella che vedete qui ad esempio è come apparirebbe oggi la Terra all’equinozio di primavera osservata prendendo come riferimento il piano della nostra Galassia. Rispetto a questo, infatti, il piano orbitale del nostro Sistema Solare risulta inclinato di circa 62°. (Sì, rispetto all’equatore della nostra Galassia, il Sistema Solare è “storto”: e a pensarci bene, sarebbe strano il contrario!)
Quindi qual è quello giusto? Il riferimento al piano dell’equatore terrestre? Il riferimento al piano dell’eclittica? Il riferimento al piano della Galassia? Ovviamente, tutti sono giusti, e nessuno lo è. Alcuni sono più utili di altri in alcuni momenti, e basta. E alla fine, non solo questa è l’unica cosa che conta, è l’unica cosa che c’è.
Credits immagine (https://apod.nasa.gov/apod/image/1809/CallanishAnalemma_Petricca_1280.jpg): Giuseppe Petricca
Oggi alle 22:24 cade l’equinozio di primavera per quest’anno, il momento in cui inizia la stagione in cui la vita si riprende i suoi spazi dopo il freddo e l’oscurità invernale.
Non penso ci sia modo migliore di visualizzare la ciclicità di questi periodi che chiamiamo stagioni che non sia l’analemma solare.
📝 DISCLAIMER: questo post potrebbe annoiarvi, ma allo stesso tempo potrebbe essere una chicca per i nerd che amano incastrarsi sui dettagli che per tutti gli altri risultano poco interessanti.
Unendo i punti coperti dal Sole allo stesso orario per un anno intero emerge questa traiettoria a otto un po’ schiacciato che chiamiamo appunto analemma solare. Ecco, questa figura è il riflesso dei moti del nostro pianeta attorno al Sole.
Ci sono due punti intuitivi nell’analemma: il punto più in basso è quello coperto dal Sole al solstizio d’inverno. Del resto è quello il giorno in cui raggiunge la sua minima altezza sull’orizzonte, l’arco che disegna nel cielo è il più breve e il numero di ore di luce è il più piccolo di tutto l’anno. Il punto simmetrico, opposto, è quello del solstizio d’estate, il giorno in cui il Sole raggiunge la sua massima altezza sull’orizzonte e il numero di ore di luce è massimo.
La variazione di massima altezza, che determina l’estensione nord-sud dell’analemma, è semplicemente il riflesso dell’inclinazione dell’asse terrestre. Ossia, le stagioni esistono perché la Terra ha un’inclinazione, e in alcune parti dell’orbita mostra quindi maggiormente l’emisfero boreale verso il Sole, in altre l’emisfero australe. Dipende, insomma, dal fatto che sia il nord o il sud a trovarsi più vicino al Sole.
Ma l’analemma non è solo una linea che va dal basso verso l’alto, ha anche un’estensione in larghezza, in direzione est-ovest, e questa è di natura un po’ più complessa per l’intuizione. Infatti questo allargamento è conseguenza di una combinazione della stessa inclinazione dell’asse e del fatto che l’orbita della Terra è un’ellisse e non un cerchio.
Se guardiamo l’analemma dall’emisfero australe, noteremo che i due lobi sono scambiati, con il più grande in alto e il più piccolo in basso. In effetti scendendo da nord a sud ma prendendo l’analemma allo stesso orario, lo vedremo piano piano “sdraiarsi” sull’orizzonte. All’equatore è orizzontale, al polo sud risulta capovolto. Questa foto qui in basso è stata ottenuta dal sito megalitico di Callanish Stones, sull’isola scozzese di Lewis e Harris a circa 58° di latitudine nord.
Ma oggi è appunto l’equinozio di primavera, e insieme a quello d’autunno non è così semplice da identificare sull’analemma. Perché può sembrare intuitivo che gli equinozi si trovino proprio nel nodo centrale tra i due lobi, e invece si trovano un po’ più in basso, che sono i punti dell’orbita terrestre in cui il Sole passa dove si intersecano il piano dell’eclittica e l’equatore celeste.
Gli equinozi sono gli unici giorni dell’anno in cui i raggi solari arrivano perpendicolari all’asse terrestre e proprio per questo il numero di ore di luce e di buio si equivale in tutto il mondo. Rappresentano in un certo senso il passaggio di testimone tra il periodo in cui la luce è maggiore in un emisfero a quello in cui la luce è maggiore nell’altro emisfero.
Sempre insieme, eternamente divisi. Finché il sole sorgerà e tramonterà. Finché ci saranno il giorno e la notte.
Ve la ricordate? E’ una delle frasi più potenti del film Ladyhawke. Sempre insieme, eternamente divisi, come due facce della stessa medaglia, o come due lati di uno stesso pianeta.
Nell’universo esistono pianeti molto vicini alla loro stella, e a causa di ciò, la gravità li lega ad essa a tal punto che sono costretti a guardarla sempre in volto, sempre uno negli occhi dell’altra. Come in una storia d’amore tormentata. E quando si parla di stelle, non si va tanto per il sottile. Questo fenomeno si chiama risonanza mareale. Una parte sempre in ombra, l’altra sempre in luce. Pianeti di questo tipo sono particolarmente comuni perché esistono attorno a stelle che costituiscono circa il 70% delle stelle viste nel cielo notturno, le cosiddette stelle nane M, che sono relativamente più deboli del nostro sole. Esiste però una zona di equilibrio, come un porto franco fra due fazioni in guerra, un’area speciale chiamata terminatore, che è un anello circa a metà, dove le condizioni sono più accettabili. Né troppo caldo, né troppo freddo. Né troppa luce, né solo ombra. E queste condizioni sono essenziali se si ricerca uno degli ingredienti essenziali per la vita: la presenza di acqua allo stato liquido. Infatti, nel lato oscuro dei pianeti in risonanza mareale, la notte perpetua produrrebbe temperature molto basse che causerebbero il congelamento dell’acqua mentre il lato del pianeta sempre rivolto verso la stella potrebbe essere troppo caldo perché l’acqua rimanga a lungo prima di divenire vapore. In queste condizioni, la vita è difficile che si riesca a sviluppare. Non impossibile, ma difficile. In un nuovo studio, Ana Lobo, ricercatrice di post-dottorato presso il Dipartimento di Fisica e Astronomia dell’UCI e Aomawa Shields,professore associato di fisica e astronomia dell’UCI, hanno condotto delle simulazioni per comprendere meglio il comportamento del clima dei pianeti in risonanza utilizzando un software specifico per modellare il clima del nostro pianeta, ma con alcuni aggiustamenti, come, ad esempio, il fatto che la rotazione del pianeta è rallentata dalla vicinanza della stella madre. Il risultato è stato che, effettivamente, questi pianeti possono sostenere climi abitabili confinati in questa regione terminatore.
Questo studio ci racconta che non sono soltanto i pianeti con oceani a poter ospitare la vita, ma anche i pianeti le cui condizioni medie non sono proprio ottimali, ma che nascondono al loro interno, delle vere e proprie oasi. Anche se non possiedono oceani diffusi, potrebbero avere laghi o altri specchi più piccoli di acqua allo stato liquido.
Acqua. Si torna sempre all’acqua. Ovviamente, se il pianeta è per lo più coperto d’acqua, allora l’acqua rivolta verso la stella probabilmente evaporerebbe e coprirebbe l’intero pianeta in uno spesso strato di vapore mentre se c’è molta terra sul pianeta, lo scenario è proprio quello descritto in precedenza. Ed il clima adatto alla vita, nella zona del terminatore, potrebbe anche essere stabile.
Questo però significa che la vita, non essendo distribuita sulla loro intera superficie, si concentrerebbe in una ristretta fascia, con la conseguente presenza di biofirme solo in parti specifiche dell’atmosfera del pianeta.
Quello che è certo è che questo lavoro aiuterà anche a selezionare i target futuri per i telescopi come il James Webb Space Telescope o il Large Ultraviolet Optical Infrared Surveyor telescope, attualmente in fase di sviluppo alla NASA, ed aumentare le possibilità di trovare e identificare correttamente un pianeta abitabile.
Per approfondire: Ana H. Lobo et al, “Terminator Habitability: The Case for Limited Water Availability on M-dwarf Planets”, The Astrophysical Journal (2023).
Siamo alle porte della bella stagione e con l’alzarsi delle temperature le abitudini degli astrofili inevitabilmente si modificano con un aumento sistematico delle trasferte, verso luoghi più o meno lontani e remoti, ma che dimostrino di avere quel quid in più da agGiungere ad uno scatto speciale.
Purtroppo, non tutti sono favoriti dal vivere in territori al riparo dall’invasione dell’inquinamento luminoso ma le tanto agognate ferie sono l’occasione giusta per programmare una “scappata” lontano e unire utile e dilettevole godendosi un pò di relax sotto cieli favolosi.
Da questo numero inizia la carrellata dei luoghi più suggestivi da visitare e da raggiungere proprio se si è a caccia di quel contesto in grado di rendere uno scatto indimentibile e abbiamo scelto di partire in grande. Grazie all’aiuto di Emanuele Azteni gireremo la Sardegna alla scoperta dei luoghi più preservati per catturare la Via Lattea.
INTRO
“Non ho mai considerato la fotografia come parte della mia vena artistica, neanche dopo la nascita di mio figlio Thomas che l’ha fatta letteralmente esplodere.
Ho acquistato la prima mirrorless nel gennaio 2020 per documentare con dei video le mie creazioni; dalle magie con mio figlio, al presepe in movimento; dalle riproduzioni nuragiche al pane e la pizza nel forno a legna. Tutte mie grandissime passioni.
E’ stata la lunga esposizione ed i successivi esperimenti di (lightpainting) a spingermi alla fotografia notturna. Ricordo ancora la prima volta che trascinai mia moglie Daniela e mio Figlio Thomas dopo il tramonto, fin sopra il Castello di Monreale (posizionato in cima ad un colle che domina i paesi circostanti a quello in cui risiedo).
Una forte emozione si mescolava con la paura del buio squarciato dal fascio delle torce.
Ricordo ancora quella foto che postai sui social e che qualcuno commentò: “ è ben visibile la Via Lattea”. Ora quasi mi vergogno nell’ammettere che allora non sapevo di cosa parlasse. Qualche istante dopo seguivo già dei tutorial su YouTube per fotografarla.
L’estate 2020 volgeva ormai al termine e su una montagna coperta dalle luci, acquisivo la mia prima sequenza in cavalletto per elaborare uno “stack”, con moglie e figlio che dormivano in auto. La post produzione è stata illuminante perché, mentre chiunque vedeva tante immagini tutte uguali, io ci vedevo la spettacolare magia della rotazione terrestre ed il moto stellare apparente in un video dall’aspetto scenico di vero impatto.
Trascorsi tutto l’inverno studiando la fotografia astronomica per prepararmi alla successiva stagione della Via Lattea con la mia piccola Canon M50 APS-C alla quale avevo già abbinato un economicissimo 7Artisan 7,5 mm e un Samyang 14mm usato.
Scoprire dopo 40 anni suonati, di avere un Universo al di sopra di me, ha letteralmente svoltato la mia vita. L’interesse verso l’Astronomia cresceva in misura esponenziale rispetto al tempo stesso che dedicavo al suo studio. Avevo ben chiaro il mio prossimo progetto di Timelapse in giro per la Sardegna, e quando, per un colpo di fortuna, acquistai un furgoncino usato Volkswagen modello T5 (un vero affare) per trasformarlo in mini-camper, cambiai per sempre vita e abitudini dell’intera famiglia.
LA VIA LATTEA in SARDEGNA
Una nota prima di iniziare, chiamerò sempre al nostra galassia con il suo nome “Via Lattea” precisando che il mio tour fotografico notturno di due anni, ha sempre avuto come “target” il centro galattico o comunque tutto il suo arco, facendo in modo di catturare anche un paesaggio per ottenere una composizione fotografica d’effetto.
Mi riesce difficile contare tutti i siti che ho visitato in Sardegna alla ricerca di una foto o di un bel timelapse, anche perché numerarli significherebbe poi quantificare sia l’aspetto economico che il tempo speso, semplicemente preferisco non sapere. Credo comunque al di là di questi aspetti psicologici, di aver acquisito abbastanza esperienza per presentare la mia Isola come “BEST PLACE” per la fotografia notturna di paesaggio dedicata alla Via Lattea, accompagnare nella scelta dei siti migliori, nella pianificazione delle uscite, e dare quei piccoli consigli che possano agevolare gli appassionati come me.
QUANDO cercare la Via Lattea
Il periodo di osservazione del centro galattico, che va da marzo a novembre, è in realtà molto corto se si considerano le ore di visibilità nella notte astronomica.
Già a FEBBRAIO durante le prime luci si comincia a scorgere Antares, la stella rossa della costellazione dello Scorpione, che precede in levata quella del Sagittario, ma è impossibile catturare qualsiasi scatto a lunga esposizione per via del chiarore dell’alba.
A MARZO, è visibile dalle 3:00 del mattino, distesa verso est, e prosegue anticipando la sua levata, fino ad APRILE verso le 2:00 con un discreto margine di acquisizione ma poco consono come orario per i lavoratori come me che mediamente svegliano alle 6:00 per recarsi a lavoro.
MAGGIO e GIUGNO sono senza dubbio i mesi migliori di tutta la stagione, in primis perché via via che le settimane avanzano, è possibile osservare il centro galattico in orari più affini alla routine quotidiana di un lavoratore, poi perché il tempo di acquisizione copre quasi interamente la nottata. Il 20 maggio il centro galattico è visibile per ben 5 ore, andando poi a diminuire! In questo periodo possiamo ancora scorgere l’arco galattico nella sua levata da est verso l’azimut.
Nei mesi di LUGLIO e AGOSTO già dal tramonto si scorge di nuovo Antares bella alta in cielo e la costellazione del sagittario completamente fuori dall’orizzonte. La Via Lattea è ora in verticale ed in una composizione fotografica dovremo accontentarci di centrare soloil cuore pulsante. SETTEMBRE è un altro periodo d’oro per osservarla tramontare, mentre si adagia sull’orizzonte verso Ovest, mentre ad OTTOBRE potremo salutare le ultime nebulose visibili.
Molto spesso le copertine delle riviste astronomiche, italiane e non, sono riservate ad immagini accattivanti, scatti spettacolari di oggetti molto lontani ma dal sicuro impatto visivo e anche emotivo. L’imperativo è stupire, catturare lo sguardo e invitare all’acquisto. E’ difficile che si sfugga a questa logica ma per il numero 261 di Coelum Astronomia abbiamo scelto di ribellarci e ne è un’uscita una rarità.
Breve narrazione:
Da qualche mese in redazione siamo stati travolti dall’entusiamo e dalla maestria dell’autocostruzione. Per essere dei buoni visualisti o astrofotografi non c’è bisogno di essere piccoli ingegneri, in genere i nuovi strumenti sono perfettamente adattabili alle mille esigenze, eppure qualcosa avolte manca e li entrano in gioco fantasia, abilità e ingegnosità. Doti non rare ma che spesso asfaltate dalla comodità del “click to buy”.
Fra le tante testimonianze ci siamo imbattuti nell’impresa di Stefano Tognaccini, astrofilo piuttosto conosciuto nella comunità, e il suo progetto ci ha rapiti. Mai detto più fu più azzeccato “Pensare in grande” e Stefano evidentemente non si lascia spaventare dalle scale di misura. Quando insieme all’articolo è arrivata lo scatto che lo vede immortalato vicino al suo binoscopio non potevamo crederci. In una singola immagine c’era l’essenza dell’autocostruzione: orgoglio, personalizzazione, passione. La copertina di questo numero rimarrà nei nostri cuori, grazie Stefano, ci hai regalato una meravigliosa nota di serenità.
Ecco l’intro della testimonianza…
“Un saluto a tutti i lettori di Coelum, mi chiamo Stefano Tognaccini sono nato a Montevarchi (AR) nel 1982 e sono appassionato di Astronomia dall’età di 7 anni.
La mia passione per l’astronomia iniziò quando a mio nonno venne la meravigliosa idea di farmi osservare i crateri lunari con il binocolo (ancora in mio possesso) che usava per andare a caccia: uno Zenith 10×50. Lo stupore che in me generò questa visione fu evidente anche per i miei genitori, a tal punto che mio padre decise di regalarmi un piccolo rifrattore marchiato Antares. Con il passare degli anni la mia passione è costantemente cresciuta e ancora oggi quando mi trovo di fronte alla strumentazione attuale non posso fare a meno di ripensare a quei dolci momenti di me bambino, con quel binocolo che sembrava così enorme e una meravigliosa Luna piena estiva che illuminava i luoghi della mia infanzia.
Binoscopio a confronto con un Zenith 10×50
Ho sempre avuto un debole per la visione binoculare, la mia è una vera e propria binomania. Qualche anno fa ebbi la fortuna di provare il fenomenale e luminosissimo Fujinon 25x150mm MT di produzione Giapponese, dal peso di 26 kg, forse il binocolo monoblocco più grande al mondo. Questo strumento nasce per un uso operativo militare: l’osservazione dal ponte delle navi della Marina in situazioni di scarsa luminosità, grazie alla grande apertura e bassi ingrandimenti. Caratteristiche che lo rendono perfetto anche per l’osservazione astronomica, soprattutto per se a caccia di comete. Rimasi talmente impressionato che promisi a me stesso che un giorno ne avrei comprato uno.
Dopo un rapido consulto del listino prezzi (cifre da paura e disponibilità solo su ordinazione) persi subito le speranze, vista anche la scarsa reperibilità nel mercato dell’usato.
Unica alternativa? Tentare di riprodurlo. La mia passione per l’autocostruzione era già solida, decisi di tentare.
L’unica via percorribile per riprodurre un simile strumento è costruire un binoscopio di simile rapporto focale e diametro.
La scelta ricadde velocemente sul rifrattore acromatico 150/750, un f5 con un cromatismo importante ma tollerabile visto l’intenzione di utilizzarlo a bassi ingrandimenti (circa 25x); d’altronde anche il Fujinon 25×150 MT è composto da due doppietti acromatici.
Iniziai la ricerca e non fu difficile recuperare in tempi brevi nel mercatino dell’usato un modello marchiato Skywatcher colore blu.
Dopo vari test rimasi stupito (sferica a parte) dalla nitidezza capace di offrire questo, passatemi il termine, “spazzolone” del cielo. Il cromatismo, inoltre, a differenza di quello che si può pensare per un acro f5, è a malapena percepibile a bassi ingrandimenti e il colore delle stelle ne esce abbastanza fedele.
Una partenza motivante per la ricerca del “doppione” ma, la possibilità di trovare due ottiche lavorate più o meno allo stesso modo vi garantisco non è per niente semplice. L’ideale sarebbe stato reperire uno strumento fabbricato nello stesso periodo: non mi sentivo infatti di acquistarli nuovi entrambi, sarebbe stata una spesa forse eccessiva per un esperimento del quale ancora non potevo prevederne l’esito.
Per fortuna il colore ma soprattutto la tonalità della verniciatura del tubo Skywatcher dice molto sul periodo di fabbricazione.
Chi, come me, ha avuto modo di avere tra le mani tubi di tale produzione, concorderà che solo della versione blu esistono almeno due tonalità: una chiara, tendente al violetto ed una blu elettrico più scuro, entrambi metallizzati; il mio è quello più chiaro. Insomma per farla breve, per soddisfare tutte le variabili la ricerca del secondo tubo è durata quasi un anno. Stavo quasi per rinunciare al progetto….
La linea in rosso riflette il sistema di valli e catene montuose che gli scienziati pensano siano migrate dall'equatore di Plutone alle loro attuali posizioni vicino ai suoi poli.(Credito immagine: James Tuttle Keane (JPL/Caltech)/NASA/Johns Hopkins APL/SwRI)
No, non si tratta di un errore o un vecchio articolo. Le immagini ricevute in passato dalle sonde sono, a distanza di anni, ancora frutto di indagine ed approfondimento, e anche se già “viste” le informazioni che se ne recuperano sono sorprendeti come quelle rese note dai ricercatori impegnati nello studio delle immagini che la sonda New Horizons passando vicino a Plutone ha inviato alla Terra nell’ormai lontano 2015.
New Horizons ha dato all’umanità i suoi primi sguardi ravvicinati su Plutone il 14 luglio 2015, quando la sonda è passata solo 12.500 chilometri sopra la superficie gelida del pianeta nano.
I ricercatori di New Horizons hanno condiviso le loro ultime scoperte martedì 14 marzo alla Lunar and Planetary Science Conference (LPSC) in Texas. Tra le scoperte presentate, una ha legato lo sconcertante capovolgimento di Plutone al suo bacino pieno di ghiaccio, un’altra ha trovato paesaggi interessanti ma esotici sulla superficie del pianeta nano e una terza ha svelato gli elementi costitutivi che formano l’oggetto simile a un pupazzo di neve Arrokoth, che New Horizons è volato il 1 gennaio 2019.
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Il flip di Plutone legato allo Sputnik Planitia
Mentre gli scienziati sanno che Plutone, come la Terra , si è più di una volta ribaltato su un fianco nel suo passato, l’attuale orientamento di Plutone e il grado finale resta un mistero.
Ora, un gruppo di ricercatori sta dimostrando che ha attribuire al capovolgimento di Plutone è stata la formazione di Sputnik Planitia , un bacino largo 1.000 km che costituisce metà dell’iconica regione a forma di cuore su Plutone.
Probabilmente è stato l’oceano sotterraneo di Plutone a fornire una spinta allo Sputnik e a spostare gran parte della massa del pianeta nano verso il suo equatore. Tanto che le catene montuose parallele e le profonde vallate che sono state individuate sono state probabilmente il frutto del movimento di una globale tettonica.
“Non possiamo davvero spiegare definitivamente l’attuale configurazione di Plutone”, ha detto Oliver White, un co-investigatore di New Horizons presso il SETI (Search for Extraterrestrial Intelligence) Institute in California, durante una presentazione martedì all’LPSC. “le caratteristiche territoriali probabilmente esistevano presto lungo l’equatore di Plutone e sono migrate verso le loro attuali posizioni più vicine ai poli a causa del capovolgimento, ha detto.”
Enormi depositi di ghiaccio di metano simili a coltelli si estendono fino al lato opposto di Plutone
Oltre ad aiutare gli scienziati a studiare i paesaggi antichi su Plutone, i dati di New Horizons stanno fornendo indizi sulle sue caratteristiche più recenti.
Il veicolo spaziale aveva precedentemente individuato enormi depositi di metano vicino all’equatore di Plutone, alti quasi quanto i grattacieli della Terra. Gli scienziati hanno annunciato martedì di avere nuove prove le quali suggeriscono che queste morfologie simili a coltelli si estendono anche al lato più lontano di Plutone, oltre ciò che New Horizons è stato in grado di vedere durante il suo sorvolo del 2015.
“La scoperta di queste caratteristiche mette in luce la complessità, la natura dinamica e la diversità delle superfici planetarie come quella di Plutone”, ha detto Ishan Mishra, ricercatore post-dottorato presso il Jet della NASA. Propulsion Laboratory in California.
Sulla Terra, tali colonne sono chiamate penitentes ; sono fatte di ghiaccio d’acqua e si estendono per pochi metri. Su Plutone, tuttavia, queste caratteristiche esistono principalmente nei punti più alti della sua superficie e si librano per centinaia di metri. A tali altezze, il metano si congela nell’atmosfera esile di Plutone quando fa freddo ed evapora tornando al suo stato gassoso durante periodi più caldi.
Il team dietro l’ultimo studio ha utilizzato immagini scattate dal Long Range Reconnaissance Imager (LORRI) a bordo di New Horizons e notato come la luce riflessa dalle superfici cambia con diversi angoli di visione.
In tal modo, hanno trovato simili caratteristiche di assorbimento del metano sul lato opposto di Plutone, grazie alle superfici “più ruvide della rugosità media di Plutone”, ha detto Mishra durante la sua presentazione. Tali terreni “a lame” sono probabilmente una delle morfologie più comuni su Plutone, ha aggiunto.
Insomma non c’è dubbio che New Horizons ha ancora molto da raccontare del suo straordinario viaggio ai confini del Sistema Solare!
The luminous, hot star Wolf-Rayet 124 (WR 124) is prominent at the centre of the NASA/ESA/CSA James Webb Space Telescope’s composite image combining near-infrared and mid-infrared wavelengths of light. The star displays the characteristic diffraction spikes of Webb’s Near-infrared Camera (NIRCam), caused by the physical structure of the telescope itself. NIRCam effectively balances the brightness of the star with the fainter gas and dust surrounding it, while Webb’s Mid-Infrared Instrument (MIRI) reveals the nebula’s structure. Background stars and galaxies populate the field of view and peek through the nebula of gas and dust that has been ejected from the ageing massive star to span 10 light-years across space. A history of the star’s past episodes of mass loss can be read in the nebula’s structure. Rather than smooth shells, the nebula is formed from random, asymmetric ejections. Bright clumps of gas and dust appear like tadpoles swimming toward the star, their tails streaming out behind them, blown back by the stellar wind. This image combines various filters from both Webb imaging instruments, with the colour red assigned to wavelengths of 4.44, 4.7, 12.8, and 18 microns (F444W, F470N, F1280W, F1800W), green to 2.1, 3.35, and 11.3 microns (F210M, F335M, F1130W), and blue to 0.9, 1.5, and 7.7 microns (F090W, F150W, F770W). [Image Description: A large, bright star shines from the centre with smaller stars scattered throughout the image. A clumpy cloud of material surrounds the central star, with more material above and below than on the sides, in some places allowing background stars to peek through. The cloud material is yellow closer to the star.]
Una stella di Wolf-Rayet è un raro preludio al famoso atto finale di una stella massiccia: la supernova. Come una delle sue prime osservazioni nel 2022, il telescopio spaziale James Webb della NASA/ESA/CSA ha catturato la stella Wolf-Rayet WR 124 con dettagli senza precedenti.
Un caratteristico alone di gas e polvere incornicia la stella che brilla nella luce infrarossa rilevata da Webb, mostrando una struttura intricata e una storia di espulsioni episodiche. Nonostante sia la scena di un’imminente “morte” stellare, gli astronomi rivolgono spesso lo sguardo verso le stelle di Wolf-Rayet per avere un’idea di nuovi inizi, prestando attenzione alla polvere cosmica che si forma nelle nebulose turbolente e che circanda le stelle. Si tratta di polvere composta dagli elementi costitutivi degli elementi pesanti dell’Universo moderno, compresa la vita sulla Terra.
La rara vista di una stella Wolf-Rayet – tra le stelle più luminose, più massicce e più rilevabili conosciute – è stata una delle prime osservazioni catturate dal telescopio spaziale James Webb della NASA/ESA/ CSA . Webb mostra la stella WR 124 con dettagli senza precedenti con i suoi potenti strumenti a infrarossi. La stella si trova a 15.000 anni luce di distanza nella costellazione del Sagittario.
Non tutte le stelle massicce, attraversanso i loro cicli di vita passano per la fase di Wolf-Rayet prima di diventare una supernova, rendendo tali osservazioni quindi molto preziose. Le stelle di Wolf-Rayet sono in procinto di liberarsi dei loro strati esterni, dando luogo ai loro caratteristici aloni di gas e polvere. La stella WR 124 è 30 volte la massa del Sole e finora ha perso materiale per un valore di 10 Soli. Mentre il gas espulso si allontana dalla stella e si raffredda, la polvere cosmica si forma e brilla nella luce infrarossa rilevabile da Webb.
L’origine della polvere cosmica che può sopravvivere a un’esplosione di supernova e contribuire al “bilancio della polvere” complessivo dell’Universo è di grande interesse per gli astronomi per molte ragioni. La polvere è parte integrante del funzionamento dell’Universo: protegge le stelle in formazione, si riunisce per aiutare a formare i pianeti e funge da piattaforma per l’aggregazione delle molecole, compresi gli elementi costitutivi della vita sulla Terra. Molti sono ancora i misteri a cui dare risposta. Nonostante infatti i molti ruoli essenziali svolti dalla polvere ce n’è ancora moltissima nell’Universo, più di quanto le attuali teorie sulla formazione della polvere degli astronomi possano spiegare. L’Universo sta operando con un surplus di budget di polvere.
Webb apre nuove possibilità per lo studio dei dettagli nella polvere cosmica, che si osserva meglio nelle lunghezze d’onda infrarosse della luce. La NIRCam (Near-Infrared Camera ) di Webb bilancia la luminosità del nucleo stellare di WR 124 e i dettagli intricati nel gas circostante più debole. L’innovativo strumento nel medio infrarosso del telescopio (MIRI), metà del quale è stato fornito dall’Europa, rivela la struttura grumosa della nebulosa di gas e polvere che circonda la stella con dettagli senza precedenti. Prima di Webb, gli astronomi non avevano informazioni abbastanza dettagliate per esplorare le questioni sulla produzione di polvere in ambienti come WR 124 e se tale polvere fosse di dimensioni e quantità sufficienti per sopravvivere e dare un contributo significativo al budget complessivo della polvere. Ora a queste domande si possono cercare più dettagliate e con dati reali.
L’immagine dettagliata di Webb di WR 124 immortala un breve ma turbolento momento di trasformazione di una stella e promette scoperte future che riveleranno i misteri a lungo celati sulla polvere cosmica.
Ancora 108 pagine tutte fitte fitte fitte di contenuti
e come sempre MOLTE novità!
In questo numero due principali approfondimenti.
Il primo, lo aveva anticipato nel numero scorso, “spazio al nulla”, una contraddizione? Forse ma anche il frutto di accurati ragionamenti promossi dall’uomo nella ricerca di risposte alle domande fondamentali e motrici della ricerca scientifica ed astronomica. Accompagnati da alcune grandi menti del panorama italiano, Vaila Allori, Marco Salvati, Federico Onoranti e Tiziano Cantalupi, lasciamoci introdurre nelle logiche più attuali inerenti la filosofia della scienza.
Il secondo grande approndimento, nella rubrica La Tecnica ci Salverà per questa speciale uscita dedicata all’AUTOCOSTRUZIONE. Tre testimonianze di appassionati che hanno accettato la sfida di realizzare in proprio strumenti o accessori performanti. Ce ne parlano Emiliano Maramonte, Maurizio Prezioso e Stefano Tognaccini protagonista della foto in copertina.
Continuano le consuete rubriche a cura di Barbara Bubbi e le Meraviglie del Cosmo, Giuseppe Petricca per il catalogo Messier, Pierdomenico Memeo per didattica e divulgazione, Paola Giorgini per Hanc Marginis e Il Tratto Corsivo a cura di Stefano Marcellini (avete presente l’equazione dell’amore…).
Alla seconda e quarta puntata rispettivamente Antonio Piras con le sue News da Marte e Cristian Fattinnanzi nel suo racconto da “Vita da Astrofilo“. Leggeremo di problemi di trasmissione fra l’elicottero Ingenuity e Perseverance, mentre sono disponibili consigli utilissimi per la scelta dell’autoguida migliore per catturare immagini corrette.
Le novità di questo numero: 👉 Radioastronomia: dopo il successo dell’articolo comparso nel numero 260 di Coelum, la dott.ssa Silvia Casu di INAF parte con un nuovo servizio di aggiornamento dedicato appunto alla ricerca nelle onde radio e ai nuovi scenari che si stanno palesando, iniziamo da “SpaceWeather“!
👉 Puntata zero per uno nuovo spazio dedicato all’Astrofotografia: Top10 Scenari perfetti, in ogni uscita un’esperta/o del proprio territorio ci guiderà alla scoperta dei luoghi migliori da cui immortalare scatti con panorami unici. Si parte con una meta di prestigio, la Sardegna, con Emanuele Atzeni.
👉 Torna su cartaceo, dopo il saluto nel primo numero dello scorso anno, la sezione dedicata alle Supernovae, campo di esplorazione in cui gli appassionati italiani sanno regalare grandi soddisfazioni! Testi e immagini di Fabio Briganti e Riccardo Mancini.
👉 Nascono due nuovi appuntamenti più leggeri: AstroQuiz per mettersi alla prova sulle nostre conoscenze di Astronomia a cura di Francesco Veltri e AstroMiao, micio e razzo, amici di esplorazione da condividere con i più piccoli, un’idea di Laura Saba.
Non sono terminati gli articoli di approfondimento (non sembrano ma 108 pagine sono davvero molte e ci sta tantissimo!). Stacchiamo la spina con una piacevole lettura di ArteAstronomia a cura di Paolo Colona e arriva l’aggiornamento di Alessandro Ravagnin su FOTONIContest con lo spin-off @ShaRA.
Ultima puntata per l’Esplorazione del Sistema Solare, giunti alla volta di Titano, interessante luna di Saturno, Gabriele Cremonese, John Robert Brucato e Lucia Marinangeli passano il testimone a nuovi autori (o quasi) ma non smetteremo di parlare di Missioni, Astrobiologia e Geologia Planetaria.
Facciamo il punto sui fatti più importanti delle ultime settimane grazie e Luca Nardi e, un consiglio, perdete qualche minuto a valutare la proposta dell’Unione Astrofili Napoletani, sembra davvero interessante!
🎁🎁 C’è una sorpresa a pagina 3 nell’editoriale.. ve la lasciamo scoprire!🎁🎁
Non perdete il Cielo del Bimestre per tutti gli eventi dei prossimi due mesi. Nota Bene: il cielo del bimestre è un’ottima traccia da seguire per programmare le attività e le osservazioni con largo anticipo, completando il set di informazioni con i dettagli che verranno pubblicati di volta in volta sul sito in occasione dei fenomeni principali.
Ben 12 pagine in più anche questa volta!
In ultimo ma non di certo per importanza gli autori degli scatti più affascinanti 📸📸 e difficili le cui segnalazioni sono giunte alla nostra redazione e pubblicati in PHOTOCOELUM (in ordine di pubblicazione): Umberto Zecchini, Giuseppe Conzo, Mauro Venturi, Massimo Marchini, Andrea Demarchi, Carlo Dellarole, Angelo Francesco Gambino, Giuseppe De Pace, Egidio Maria Vergani, Luciano Milianti, Rocco Scarnecchia, Luca Lacara, Salvo Lauricella, Simone Lochi, Soumyadeep Mukherjee, Vincenzo Mirabella.
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Bel passaggio questa sera alle 20:01 poco sopra Roma della ISS Stazione Spaziale Internazionale.
Il satellite sarà visibile da tutta Italia sorgendo da Ovest per vederla tramontare verso mare. Favorite le regioni centrali.
Il 16 Marzo avremo un nuovo transito parziale dalle 20:01 in direzione OSO alle 20:07 in direzione ONO. Visibilità migliore dal Centro Italia, con magnitudine massima di -3.7.
ATTENZIONE alla puntalità! i transiti della ISS non durano mai molto, già i 6 minuti di questo transito sono sostanziosi.
Come riconoscere al ISS:
il moto apparente è più rapido di quello di un aereo
la sua luce tende ad essere fredda (blu) di contro quella dei pianeti è più calda (e i pianeti in una serata appaiono come immobili)
non ha la scia, è facile escludere che sia un meteorite o un oggetto celeste proprio perchè non è accompagnato da nessuno dei fenomeni tipici che notiamo ad esempio d’estate durante il periodo delle stelle cadenti.
ha una traiettoria estremamente rettilinea
in genere la sua velocità di moto può paragonarsi a quella degli aerei più vicini al suolo, tuttavia a differenza di questi ultimi, mancano totalmente le luci di segnalazione (lampeggianti o fisse rosso e verde)
in genere c’è un astronauta a bordo che sta scattando una foto alla Terra (ah ma si.. quello non potremmo scorgerlo!)
La ISS è difficile da seguire con un telescopio, anche se piccolo e quindi maneggevole, tuttavia un binocolo potrà dare delle soddisfazioni usando l’accortezza di scegliere un buon punto di appoggio per mantenere la massima stabilità possibile.
Dopo la tanta cusiosità suscitata dai “titoloni” da prima pagina dei giorni scorsi e calmate le acque parliamo dell’Asteroide 2023DW, si quello oramai noto come “Asteroide di San Valentino”.
Strana abitudine quella di accrescere la portata di un evento astronomico, che già di per se dovrebbe essere sufficientemente aclatante, abbinandolo ad un evento o nome noto, così come accaduto per la cometa di Neanderthal. Un’associazione certo si può sempre trovare ma occhio che “Don’t look up!” è sempre dietro l’angolo..
In tanto per rimanere sul concreto partiamo con qualche dato mappe alla mano.
2023 DW è un piccolo asteroide di circa 50 metri appartenente alla famiglia degli Aten, con un’orbita eliocentrica caratterizzata da un semiasse maggiore che si estende fino a 0.81 UA, un eccentricità di 0.39 ed un’inclinazione sull’eclittica di 5.8 gradi, che lo porta a stazionare per lo più all’interno dell’orbita terrestre.
Ad oggi 14 marzo, l’asteroide dispone di un arco osservativo di 15 giorni con 91 osservazioni pervenute e la sua orbita risulta essere delineata con maggiore precisione rispetto a quanto non lo fosse nei momenti immediatamente successivi la sua scoperta.
La posizione attuale di 2023DW
Il suo MOID* è pari a 0,0005 UA (74.700 KM) e le probablità di impatto stimate per il 14 febbraio 2046 sono di 1 su 670, vale a dire che l’asteroide ha il 99,85 % di probabilità di mancare il suo bersaglio.
L’attuale incertezza nella definizione dell’orbita potrà essere ridotta dalle misure di posizione che saranno effettuate grazie alle finestre osservative del 2026, 2029 e del 2032, oppure con un’auspicabile precovery, il ritrovamento dell’oggetto all’interno di immagini di repertorio che consentirebbe di estendere nel passato l’arco osservativo. Superato il punto di massimo avvicinamento avvenuto il 18 di febbraio, 7 giorni prima della sua scoperta, 2023 DW è adesso in rapido allontanamento e tra pochi giorni risulterà inosservabile anche per i grossi diametri.
il momento di massimo avvicinamento prima della scoperta
*MOID = Minimum Orbital Intersection Distance, il valore (tipicamente in AU) che assume la minima distanza possibile tra l’orbita terrestre (nel nostro caso) ed il NEA
Stringendo quindi non sono molte le notizie certe sull’asteroide che dovrà senz’altro essere ancora oggetto di indagini accurate. La redazione di Coelum, con l’aiuto dei suoi collaboratori sarà pronta a comunicare ogni aggiornamento davvero rilevante.
Nell'immagine il probabile sito di atterraggio. Crediti: Physics Department and Space Sciences Lab
University of California, Berkeley
Tra qualche anno, un piccolo radiotelescopio sul lato nascosto saràdi aiuto agli scienziati per scrutare nel passato dell’Universo.
Lo strumento lunare Lunar Surface Electromagnetics Experiment-Night (LuSEE-Night), è un esploratore sviluppato dai Brookhaven and Lawrence Berkeley National Laboratories del Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti, dallo Space Science Laboratory dell’Università della California, Berkeley, e dalla NASA, direzione della missione scientifica.
LuSEE-Night è attualmente programmato per il lancio su un lander lunare robotico privato alla fine del 2025 per atterrare sul lato nascosto della Luna, con l’obiettivo di raccogliere misurazioni uniche nel loro genere dai “secoli bui” dell’Universo.
Schema semplificato di come dovrebbe essere fatto il lander. Crediti: Physics Department and Space Sciences Lab University of California, Berkeley
Il Medioevo si riferisce a un periodo nell’Universo primordiale, tra circa 400.000 e 400 milioni di anni dopo il Big Bang , prima che le stelle e le galassie iniziassero a formarsi completamente. Dal lato più lontano della luna, LuSEE-Night utilizzerà antenne di bordo, ricevitori radio e uno spettrometro per misurare le deboli onde radio del Medioevo, alla ricerca di quello che gli scienziati chiamano il segnale del Medioevo.
LuSEE-Night non dovrebbe necessariamente fare già da solo grandi progressi posizionato appunto sul lato buio della Luna e affaciato ad un silenzio profondo. Il costante bombardamento radio attraverso il nostro pianeta crea un ambiente troppo rumoroso per gli strumenti supersensibili che LuSEE-Night utilizzerà. Tuttavia, una posizione così lontana presenta delle sfide.
Sopravvivere lì richiede un’impresa di ingegneria. Sebbene a volte sia etichettato erroneamente come “il lato oscuro” della luna, la parte del satellite naturale della Terra che è rivolta verso di noi nel cielo notturno ha in realtà un ciclo giorno/notte, ciascuna delle quali dura circa 14 giorni terrestri. Le temperature sul lato più lontano della luna oscillano tra circa 250 e meno 280 gradi Fahrenheit (121 e meno 173 gradi Celsius).
Quindi LuSEE-Night dovrà essere progettato per resistere a due settimane di Sole del giorno lunare intensamente spietato e non-stop, oltre a rimanere alimentato per due settimane di oscurità rigidamente fredda per quasi due anni.
“Oltre al significativo potenziale ritorno della scienza, la dimostrazione della tecnologia di sopravvivenza notturna lunare LuSEE-Night è fondamentale per eseguire indagini scientifiche a lungo termine e ad alta priorità dalla superficie lunare”, Joel Kearns, vice amministratore associato per l’esplorazione della NASA Science Direzione della missione, ha detto nella stessa dichiarazione.
Torna l’appuntamento annuale con l’Associazione dei Planetari Italiani. Un momento di confronto e apprendimento guidato attraverso lo scambio di nozioni ed esperienze fra i professionisti del settore.
L’incontro è aperto anche ai non soci e una valida opportunità per entrare in contatto con un ambito della divulgazione specifico e consolidato.
Il convegno avrà luogo presso il Planetario di Ravenna da venerdì 14 a domenica 16 aprile
Il convegno avrà inizio alle ore 14:00 di venerdì (ore 13:30 ritrovo) con il workshop in programma “Divulgazione scientifica e gestione del pubblico“ o in alternativa Tour di Ravenna. Nella giornata di sabato sia la mattina che nei pomeriggi sono in scaletta gli interventi e le testimonianze degli intervenuti che hanno riservato uno spazio per raccontare la propria esperienze. Seguiranno le premiazioni e la cena sociale.
Domenica mattina tavola rotonda libera per un dibattito su temi utili ai più e si chiude con l’assemblea soci. La fine del convegno è prevista per le ore 13:00
Indice dei contenuti
WORKSHOP
Venerdì 14 aprile è in programma il workshop “Divulgazione scientifica
e gestione del pubblico”, organizzato da PLANit e dedicato all’arricchimento delle competenze divulgative e alla gestione del pubblico in cupola.
Il workshop è composto da due moduli di 2 ore ciascuno:
14:00 – 16:00: Lo smarting up ci salverà dal dumbing down: si può essere chiari parlando di cose incomprensibili?
relatore: Luca Perri, astrofisico e divulgatore.
16:30 – 18.30: Spontaneità, narrazione creativa, gioco e rapporto con il pubblico.
relatore: Graziano Garavini, attore e formatore.
La presentazione dettagliata dei contenuti e delle finalità del workshop è riportata nella parte finale del programma del meeting.
Il workshop non è incluso nella quota di iscrizione al meeting e richiede un’iscrizione separata e indipendente. Il costo di partecipazione al workshop di 4 ore è di € 40 per i soci, € 80 per i non-soci.
PRE-MEETING TOUR
Per coloro che non fossero interessati a partecipare al workshop di venerdì 14 aprile, PLANit, in collaborazione con gli amici e colleghi del Planetario di Ravenna, propone un tour della città.
Ravenna è una città di grande interesse turistico che vanta ben 8 monumenti patrimonio dell’umanità. Molte di queste tappe sono anche di interesse astronomico e costituiscono i passaggi di questa visita guidata, che si svolgerà a piedi. Il ritrovo è fissato alle 14:00, presso il Planetario di Ravenna. L’escursione porterà verso la vicina Sant’Apollinare Nuovo, spostandoci poi in Piazza del Popolo e San Vitale, presso il mausoleo di Galla Placidia. Concluderemo la visita tornando al Planetario alle 18:30.
Il costo dell’uscita è di € 20 a partecipante e include i costi di accesso ai musei che saranno visitati durante la visita.
SEDE DEL MEETING
Il Planetario di Ravenna si trova all’interno dei Giardini Pubblici della città, immerso nel verde e collocato fra il viale che conduce alla stazione ferroviaria e la Loggetta Lombardesca, a 950 m dal centro storico.
Il planetario è facilmente raggiungibile anche dalla stazione ferroviaria, che dista meno di 10 minuti a piedi. In auto, i parcheggi limitrofi sono: Viale Santi Baldini (€ 1,50/giorno, domenica gratuito), Parcheggio Piazzale delle Blacherne (gratuito), Parcheggio XIII Giugno (gratuito), Parcheggio Serra (gratuito) e Parcheggio Segurini (a pagamento, max. 250 minuti).
Il Planetario di Ravenna è dotato del sistema opto-meccanico ZPK2 della ZEISS, installato sotto una cupola di 8 m di diametro che accoglie fino a 54 spettatori.
Il programma in via di definizione e i dettagli sulle modalità di partecipazione sono disponibili a questo link: https://www.planetari.org/meeting-dei-planetari-2023/
La scheda dettagliata del WorkShop con gli interventi a cura di Luca Perri e Graziano Garavini è disponibile qui: https://www.planetari.org/download/20230215-Bozza-programma-PLANit-Meeting-2023.pdf
Bentornati su Marte!
Dopo alcuni mesi di assenza da queste cronache è il momento di raccontare cosa sta facendo Curiosity, impegnato nell’esplorazione di nuove regioni e autore di importanti scoperte.
Nuvole su Marte
Il più anziano rover ancora in servizio sta portando avanti, per il secondo inverno marziano, l’osservazione delle nuvole. Già nel 2021 Curiosity studiò il movimento di queste formazioni nell’alta atmosfera impiegando principalmente le camere di navigazione in bianco e nero. Per questa nuova campagna osservativa i ricercatori hanno deciso di utilizzare in modo intensivo anche le MastCam a colori.
Grazie a questa scelta tecnica le nuove acquisizioni hanno guadagnato fascino e valore scientifico rispetto alle precedenti, regalando a Curiosity splendide viste di nubi nottilucenti.
Nubi nottilucenti osservate da Curiosity il 27 gennaio, Sol 3724 di missione. Crediti: NASA/JPL-Caltech/MSSS
È noto che le nuvole su Marte si formano ad altitudini sino a 60 km, più in alto che sulla Terra a causa della gravità ridotta, e sono costituite principalmente da cristalli di acqua. A quote maggiori, dove le temperature si riducono ulteriormente, anche l’anidride carbonica congela, formando quello informalmente noto come ghiaccio secco.
Studiare le tonalità cromatiche delle nuvole e le mutazioni nella loro iridescenza consente agli scienziati di dedurre informazioni sulle dimensioni dei cristalli che le costituiscono valutandone il ritmo di crescita.
Pochi Sol dopo la ripresa di queste nubi iridescenti, Curiosity ha posato i suoi occhi elettronici sul tramonto del 2 febbraio, regalandoci così la prima osservazione in assoluto dei raggi crepuscolari.
Raggi crepuscolari da Marte. Foto del 2 febbraio, Sol 3730. Crediti: NASA/JPL-Caltech/MSSS
Il giorno in cui ha scattato le immagini ai raggi solari, Sol 3730, il rover si trovava sulla sinuosa piana battezzata Marker Band. L’esplorazione di questa regione era iniziata già a dicembre e le osservazioni compiute sono risultate, una volta di più, incredibili.
Acqua inattesa
Con il nome Marker Band gli scienziati hanno denominato un’ampia area osservata nelle immagini satellitari prima ancora del lancio del rover nel 2011. Visibilmente più scura rispetto al terreno circostante, era fissata ormai da anni nell’itinerario di viaggio di Curiosity.
La Marker Band evidenziata con un colore più chiaro in un frame di un video divulgativo prodotto dalla NASA. Crediti: NASA/JPL-Caltech/MSSS/University of Arizona
Posizione di Curiosity al momento dello scatto dell’immagine, il 16 dicembre. La traccia bianca mostra altri spostamenti compiuti dal rover tra i quali quelli più recenti verso sud (immagine aggiornata al 9 marzo).
Dall’analisi delle immagini di questa regione è emersa una delle prove più schiaccianti mai rinvenute da Curiosity dell’antica presenza di acqua. Paradossalmente ciò è avvenuto in una zona che si riteneva fosse sempre rimasta asciutta.
Il suolo qui è costituito da ampie lastre di roccia con delle strutture ondulate, riconducibili al fondale di un lago non troppo profondo smosso da onde leggere. Il sedimento andò progressivamente a solidificarsi producendo le increspature che oggi, miliardi di anni più tardi, possiamo ammirare.
Antico movimento ondoso su Marte, reso immortale nella roccia. Crediti: NASA/JPL-Caltech/MSSS
Altre rocce, fotografate circa 50 metri più a ovest, mostrano invece delle linee che sembrano essere progressive stratificazioni, prodotte presumibilmente dai cicli meteorologici che si alternavano in passato mentre erano in atto i processi di sedimentazione.
L’immagine è un mosaico di 17 singole immagini catturate il 7 novembre 2022, Sol 3646 della missione. Crediti: NASA/JPL-Caltech/MSSS
Una maestosa panoramica a 360° della regione ci è offerta grazie a un mosaico composto da ben 137 immagini, Curiosity le ha catturate con la MastCam Left da 34 mm di focale il 16 dicembre dello scorso anno. La successiva elaborazione è stata eseguita con l’intento di restituire il più fedelmente possibile quello che vedrebbe l’occhio umano. Per ragioni di fruibilità questa che vi presento è una versione fortemente ridotta della panoramica, potete visionare e navigare quella a massima risoluzione a questo link.
Panoramica da Marker Band. Crediti: NASA/JPL-Caltech/MSSS
Molto interessante anche uno scorcio di quella che è stata denominata Gediz Valley ripresa qui con la MastCam Right che offre un ingrandimento maggiore grazie alla focale di 100 mm.
Nel caso ve lo steste domandando, Curiosity non monta delle camere zoom identiche come Perseverance ma bensì due MastCam con focale fissa e diversa tra loro. La ragione di questo era una semplificazione del progetto decisa durante il design del rover. Successivamente, grazie alla dimostrata affidabilità delle MastCam e una semplificazione della meccanica, i progettisti hanno potuto riproporre un design con camere zoom e stavolta vederselo approvato. Sono così nate le MastCam-Z di Perseverance.
Al centro dell’immagine sono inquadrati i depositi di materiale sul fondo della valle. Crediti: NASA/JPL-Caltech/MSSS
In questa foto stiamo allungando il nostro sguardo verso sud, in direzione dei rilievi che si fanno progressivamente più alti nel nostro avanzare verso Aeolis Mons, il promontorio al centro del cratere Gale. Sul pavimento della valle si notano dei cumuli grandi decine di metri costituiti da detriti, presumibilmente portati qui da flussi impetuosi d’acqua che li hanno staccati da regioni a quote maggiori. La presenza di questo materiale è un’ottima scoperta perché permetterà a Curiosity di analizzare rocce molto giovani che diversamente non avrebbe potuto raggiungere. Infatti la formazione di queste regioni è proceduta per strati, con le rocce più antiche che si trovano sul fondo e quelle più recenti progressivamente più in alto.
Le dure rocce della gelosa Marker Band
Nel frattempo il rover sta svolgendo anche delle analisi più dirette della regione, impiegando in questo il suo trapano e gli strumenti CheMin e SAM. Il primo serve a studiare i minerali nelle rocce grazie alla diffrazione a raggi-X, il secondo è il più importante strumento scientifico a bordo e serve a eseguire un’ampia serie di analisi tra spettrografia, gascromatografia e spettrometria laser.
C’è stato qualche intoppo iniziale nel prelievo dei campioni da studiare perché il pavimento della regione si è rivelato più duro del previsto. Questo ha messo in allerta i tecnici che sono alle prese già da alcuni anni con dei problemi di avanzamento della punta del trapano e più di recente con l’usura di alcuni meccanismi di blocco degli snodi del braccio robotico. Sembrava che queste rocce non volessero proprio svelarci i loro segreti…
Curiosity prova per la quarta volta a perforare il duro pavimento del Marker Band, qui siamo al sito Dinira. Purtroppo neanche questo tentativo andrà a buon fine, con la punta che non riuscirà a penetrare a sufficienza per prelevare il materiale necessario alle analisi. I tecnici decideranno di desistere e cercare altrove una roccia più clemente. Era il 15 febbraio, Sol 3742. Crediti: NASA/JPL-Caltech
Dopo alcuni tentativi di assaggio di tre rocce (Amapari, Encanto e Dinira) alla ricerca di quella ideale, Curiosity ha finalmente prelevato dei campioni da analizzare e dare in pasto agli strumenti con un prelievo dal sito Tapo Caparo che ha avuto successo il 26 febbraio.
Il prelievo a Tapo Caparo, Sol 3753. Crediti: NASA/JPL-Caltech
Due porzioni di questo campione sono già state analizzate da CheMin, e a breve una terza porzione sarà depositata all’interno di SAM per altre analisi. In preparazione a questa attività lo strumento, qualche notte fa, è stato attivato nella “modalità di pulizia” con cui per 4 ore e mezza ha scaldato ad altissima temperatura i propri vani così da rimuovere eventuali contaminanti.
Particolarmente interessante il fatto che le analisi con SAM siano da programmare con molta attenzione e condizionino le attività di Curiosity per tre Sol. Lo strumento è il più oneroso in termini di alimentazione in quanto richiede mediamente 175W per circa 6 ore raggiungendo picchi di assorbimento che sfiorano i 350W. Il generatore di Curiosity produce solo poco più di 100W, quindi è necessario che il rover non svolga attività per un certo tempo prima dell’accensione di SAM in modo da dare tempo alle batterie di caricarsi a sufficienza.
Profilo di consumo di SAM, ogni linea indica l’apporto dei tre bus di alimentazione del rover. Crediti: NASA/JPL/GSFC
Dopo l’operazione di pulizia SAM è ora pronto per accogliere il campione, con la deposizione all’interno dello strumento e successiva analisi che dovrebbero avvenire entro questo fine settimana.
Anche per questo aggiornamento marziano è tutto, alla prossima!
Los Angeles, nella foto, è al centro della prossima missione MAIA. Una partnership tra la NASA e l'Agenzia Spaziale Italiana, la missione osserverà la prevalenza, le dimensioni e la composizione delle particelle sospese nell'aria che inquinano 11 grandi città e collegherà tali misurazioni ai dati sulla salute della popolazione. Credito: Trekandphoto/Adobe Stock
Le due agenzie stanno collaborando ad un satellite destinato a comprendere gli effetti di diversi tipi di inquinamento da particelle sulla salute umana.
La NASA e l’agenzia spaziale italiana Agenzia Spaziale Italiana (ASI) stanno collaborando per costruire e lanciare la missione Multi-Angle Imager for Aerosols ( MAIA ), uno sforzo per studiare gli impatti sulla salute delle minuscole particelle sospese nell’aria che inquinano alcune delle città più popolose del mondo. MAIA segna la prima missione della NASA il cui obiettivo principale è favorire la salute della società, nonché la prima volta che epidemiologi e ricercatori di sanità pubblica sono stati direttamente coinvolti nello sviluppo di una missione satellitare.
Al monento del lancio, previsto entro la fine del 2024, l’osservatorio MAIA sarà composto da un satellite noto come PLATiNO-2 fornito dall’ASI e da uno strumento scientifico costruito presso il Jet Propulsion Laboratory della NASA nel sud della California. La missione raccoglierà e analizzerà dati dall’osservatorio, sensori a terra e modelli atmosferici.
Questi risultati saranno quindi correlati ai registri di nascita, morte e ospedalizzazione umana per rispondere a domande urgenti sugli impatti sulla salute delle particelle solide e liquide che contaminano l’aria che respiriamo. Queste particelle, chiamate aerosol, sono state collegate a malattie respiratorie come l’asma e il cancro ai polmoni, malattie cardiovascolari come infarto e ictus e esiti riproduttivi e alla nascita avversi, tra cui parto prematuro e basso peso alla nascita del bambino.
“L’iniziezione nei nostri polmoni di particelle inquinanti nell’aria è stata associata a molti problemi di salute, ma la tossicità di diverse miscele di particelle è stata completamente compresa”, ha affermato David Diner, ricercatore principale della NASA per MAIA. “Lavorando insieme ai colleghi in Italia e in tutto il mondo, ci aspettiamo che MAIA ci aiuti a capire in che modo l’inquinamento da particelle sospese nell’aria mette a rischio la nostra salute e potenzialmente fornisca approfondimenti che informeranno le decisioni dei funzionari della sanità pubblica e di altri responsabili politici”.
Lo strumento scientifico dell’osservatorio contiene una telecamera spettropolarimetrica orientabile, che cattura immagini digitali da più angolazioni nelle porzioni dell’ultravioletto, del visibile, del vicino infrarosso e dell’infrarosso a onde corte dello spettro elettromagnetico. Questi dati aiuteranno il team scientifico MAIA a esplorare le dimensioni, la distribuzione geografica, la composizione e l’abbondanza delle particelle sospese nell’aria e a indagare su come si relazionano ai modelli e alla prevalenza dei problemi di salute derivanti dalla scarsa qualità dell’aria.
“MAIA segna un momento importante nella lunga storia della cooperazione tra NASA e ASI, e simboleggia il meglio che le nostre due agenzie possono mettere in campo in termini di competenza, conoscenza e tecnologia di osservazione della Terra”, ha affermato Francesco Longo, responsabile dell’Earth Observation e Divisione Operazioni dell’ASI. “La scienza prodotta da questa missione congiunta fornirà benefici all’umanità per gli anni a venire”.
Le misurazioni di MAIA della luce solare riflessa dalle particelle sospese nell’aria aiuteranno i ricercatori a determinare l’abbondanza, le dimensioni e le proprietà ottiche di alcuni inquinanti nell’atmosfera. L’utilizzo di tali dati insieme a misurazioni basate sulla superficie aiuterà i ricercatori a decifrare la composizione chimica delle particelle.
Le particelle di diametro pari o inferiore a 10 micrometri (PM10) sono abbastanza piccole da poter essere inalate, causando potenzialmente danni ai tessuti e infiammazioni a naso, gola e polmoni. Le particelle inferiori a 2,5 micrometri (PM2,5) possono penetrare più in profondità nei polmoni ed essere assorbite nel flusso sanguigno, dove possono causare problemi di salute più gravi.
La composizione di tali particelle dipende da come si sono formate. Ad esempio, il nerofumo deriva dalla combustione di combustibili fossili e alberi, mentre la polvere minerale proviene dal suolo e dalla sabbia. Altre particelle – carbonio organico, solfati e nitrati – possono formarsi attraverso reazioni chimiche tra i gas nell’atmosfera. L’obiettivo principale di MAIA è studiare se le esposizioni a questi diversi tipi di inquinamento da particelle hanno impatti diversi sulla salute.
Nel corso della sua missione triennale, MAIA si concentrerà su 11 aree target primarie che coprono i principali centri urbani di tutto il mondo: Los Angeles, Atlanta e Boston negli Stati Uniti; Roma; Addis Abeba, Etiopia; Barcellona, Spagna; Pechino; Johannesburg; Nuova Delhi; Taipei, Taiwan; e Tel Aviv, Israele. Orbitando a 740 chilometri sopra la superficie terrestre, la missione raccoglierà anche alcuni dati su 30 aree target secondarie in tutto il mondo.
Gli epidemiologi del team scientifico intendono studiare gli effetti dell’esposizione a breve termine all’inquinamento da particolato nel corso dei giorni, così come l’esposizione cronica, che può durare molti anni. Interessante è anche l’esposizione “subcronica”, come l’inalazione di sostanze inquinanti per mesi che potrebbe verificarsi durante la gravidanza, che può portare a effetti negativi sulla salute di madre e bambino.
Maggiori informazioni sulla missione
MAIA è una missione congiunta di osservazione della Terra tra NASA e ASI. JPL, che è gestito per la NASA dal Caltech di Pasadena, guiderà la componente statunitense del progetto e fornisce lo strumento scientifico dell’osservatorio e ospita il centro operativo dello strumento. Il programma SCaN (Space Communications and Navigation) della NASA fornirà servizi di uplink e downlink per comandi e dati, e l’Atmospheric Science Data Center della NASA fornirà risorse computazionali per generare e archiviare prodotti scientifici. L’ASI fornirà il veicolo spaziale PLATiNO-2, contribuirà ai servizi di lancio e ospiterà il centro operativo della missione.
Per quanto tragico sia, l’inghiottimento di un oggetto planetario da parte del suo genitore stellare è uno scenario comune in tutto l’universo. Ma non deve per forza finire in rovina. Un team di astrofisici ha utilizzato simulazioni al computer per scoprire che i pianeti non solo possono sopravvivere quando la loro stella li divora, ma possono anche guidarne l’evoluzione futura.
I modelli di formazione dei sistemi planetari hanno dimostrato che molti pianeti spesso finiscono per essere consumati dalla loro stella madre. È semplicemente una questione di dinamica orbitale. Le interazioni casuali tra i pianeti di nuova formazione e il disco protoplanetario che circonda una giovane stella possono inviare i pianeti su traiettorie caotiche. Alcune di queste traiettorie finiscono per far uscire del tutto il pianeta dal sistema, mentre altre traiettorie lo attirano alla stella.
Un’altra possibilità di inghiottimento si verifica verso la fine della vita di una stella, quando diventa una gigante rossa. Anche questo influisce sulla dinamica gravitazionale del sistema e può finire per catturare alcuni grandi pianeti nell’atmosfera della sua stella madre.
Tuttavia la grande sorpresa è che il pianeta non necessariamente è destinato a morire. Gli astronomi hanno trovato molti strani sistemi in tutta la galassia in cui i pianeti sembrano essere sopravvissuti al loro viaggio verso la stella. Ad esempio, ci sono sistemi di nane bianche in orbita molto vicino a un pianeta gigante, troppo vicino perché quel pianeta si sia formato naturalmente. Ci sono stelle con una quantità sorprendente di metalli più pesanti nelle loro atmosfere, segno che un oggetto roccioso vi è precipitato dentro. E ci sono stelle che ruotano troppo velocemente, la loro velocità di rotazione potrebbe essere stata amplificata da un pianeta in esse cadute.
Tutti questi sistemi potrebbero essere il risultato dell’ingorgo planetario con il pianeta che influenza l’ulteriore evoluzione della stella. Ma un pianeta può davvero sopravvivere nell’intensa atmosfera di una stella? Un team di astrofisici ha deciso di affrontare questa domanda utilizzando simulazioni al computer dell’interno di una stella, monitorando l’evoluzione e il destino di vari tipi di pianeti che potrebbero cadere al suo interno. Nelle loro simulazioni hanno studiato pianeti di varie masse e anche nane brune. Le loro simulazioni rafforzano l’idea che i pianeti possano sopravvivere all’ingorgo.
Ad esempio, in alcuni casi il pianeta può vivere per migliaia di anni, ruotando attorno al centro della stella all’interno della sua atmosfera. Questa azione orbitale può espellere materiale dalla stella, assottigliando i bordi esterni dell’atmosfera. In altri casi lo scambio di energia orbitale fa aumentare la temperatura dell’atmosfera stellare, facendola apparire molto più luminosa di quanto sarebbe normalmente.
Ma per sopravvivere all’ingorgo il pianeta stesso deve essere relativamente grande, almeno la massa di Giove. Piccoli pianeti come la Terra non possono durare a lungo in quelle condizioni. Ma se il pianeta è abbastanza grande e dipende dalla precisa evoluzione, il pianeta può sopravvivere al suo passaggio attraverso la stella e di fatto accelerare l’evoluzione della stella in modo che termini rapidamente la sua vita, liberando il pianeta dal suo abbraccio mortale.
Mentre tutti puntavamo gli occhi verso Giove, in congiunzione con Venere, proprio laggiù la sonda Juno sorvolava una delle sue lune principali, Io.
Il 1 marzo la sonda gioviana della Nasa si è infatti avvicinata ad appena 50mila chilometri di distanza da Io, la distanza minima raggiunta fin da quando, nel 2006, la sonda New Horizons passò nei pressi del gigante gassoso prima di proseguire verso Plutone. Proprio in quest’occasione, Juno ha raccolto dati e immagini di Io (come questa qui sotto).
Io è il satellite con maggiore attività vulcanica in tutto il sistema planetario. È la più interna delle quattro lune galileiane, e proprio per questo interagisce con così tanta veemenza gravitazionale con Giove, che le sue enormi forze mareali innescano la fusione della roccia. Le varie osservazioni da Terra e dallo spazio hanno mostrato che la sua superficie è costellata da almeno 400 vulcani attivi.
Nelle immagini di questo flyby di Juno, si notano alcune piccole ma chiare variazioni sulla superficie di Io rispetto a quanto osservato dalla New Horizons. A riportarlo è Jason Perry, fotografo che lavora su varie missioni Nasa. Per esempio un cratere, Chors Patera, risulta arrossato a causa della deposizione di un composto vulcanico a base di zolfo durante le eruzioni avvenute in questi 17 anni. Oppure nei pressi di East Girru si nota un piccolo flusso di materiale che appariva diverso nelle immagini della New Horizons.
Ma la storia non finisce qui. Nel pieno della fase estesa della sua missione, Juno ha ormai orbitato 49 volte attorno a Giove, e ha approfittato numerose volte di orbite adatte per dare un’occhiata alle lune di Giove. E con Io non ha di certo terminato il lavoro: quello del 1 marzo era solo il terzo di nove flyby della luna. Il 3 febbraio 2024 si avvicinerà a 1500 chilometri e potremo vedere Io e i suoi vulcani con un dettaglio veramente da record.
Scatto del 05 marzo NASA/JPL-Caltech/SwRI/MSSS/Kevin M. Gill
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