Editoriale – Coelum n.190 – 2015

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È la mente il telescopio più potente

Avevo più o meno dieci anni quando passeggiando per una via del centro scorsi nella vetrina di una libreria che oggi non c’è più la copertina argentata di un libro di fantascienza, “La memoria dello spazio”. Riuscii alla fine a farmelo regalare e ricordo ancora l’ansia con cui mi accingevo a leggere per la prima volta una storia che mi avrebbe portato – così speravo – tra pianeti alieni, astronavi e guerre interplanetarie. Quel libro mi consentiva di fare ciò che a quell’età mi riusciva meglio: perdermi nei voli della fantasia.

Della trama del libro, che ho perso da molti anni e mai più ricomprato, ricordo molto poco: solo i due personaggi principali e l’espressione “un ciangottìo di oche”, che ricorreva spesso e mi lasciava interdetto perché nel mio lessico di decenne la parola “ciangottìo” non era mai comparsa prima (né sarebbe riapparsa dopo).
Ricordo ancora bene il turbinio di pensieri che quel libro aveva contribuito a creare in me: un fantasticare su altre stelle, altri pianeti, altre forme di vita e di intelligenza… Un continuo cercare di placare con la fantasia la sete di conoscenza che nasceva probabilmente dal richiamo di quel vuoto infinito che “stava lì fuori”…
E la passione per l’astronomia fu l’ovvia conseguenza del desiderio di coniugare l’inclinazione al volo pindarico con la scienza, cioè con il desiderio di imparare ciò che realmente sappiamo, o possiamo sperare di sapere, della gran varietà di oggetti – pianeti, comete, asteroidi, stelle vive e stelle morte, buchi neri, nebulose, galassie, quasar – che affollano il cielo in tutte le direzioni, fin là dove l’occhio dei telescopi è in grado di spingersi.

Lo confesso, non sono mai stato un cultore dell’osservazione sul campo. Dell’astronomia mi attira soprattutto il piacere di provare a immaginare quei mondi infinitamente lontani, e la capacità della scienza di tradurre in informazione i valori di ogni singolo fotone che arriva sulla Terra. Così, i freddi numeri su un nuovo sistema planetario scoperto con il metodo del transito mi permettono ad esempio di rappresentarmi mentalmente quei pianeti in orbita intorno alla loro stella… pianeti che nessun astronomo ha mai visto, ma che pure sappiamo che sono lì, a migliaia di anni luce da noi.
I grandi telescopi terrestri e spaziali fanno a gara per sorprenderci di continuo con immagini meravigliose di nebulose e ammassi globulari, di galassie a spirale, di oggetti esotici. Sonde lunari e marziane ci mostrano la superficie della Luna e di Marte con un livello di dettaglio senza precedenti. Abbiamo immagini di prima mano da Saturno, da Mercurio, da Vesta, tra poco le avremo persino da Cerere e da Plutone. Ma, in ultima analisi, neppure Hubble con la sua squisita risoluzione è in grado di mostrarci i dettagli fisici di un pianeta extrasolare, di una stella di neutroni, di un lontano quasar.
E allora, quando nessun telescopio può aiutarci, dobbiamo supplire con la fantasia, e usare l’immaginazione. Come in fondo si faceva da bambini attraverso le pagine di un libro.

Tratto dal Blog Memoria dello spazio www.memospazio.it