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Dopo la Luna Nuova del 29 Gennaio prosegue la fase di Luna Crescente fino a portare la superficie del nostro satellite nelle migliori condizioni di osservazione che saranno raggiunte nella prima settimana del mese appena iniziato con la fase di Primo Quarto prevista per le ore 09:02 del 5 Febbraio 2025. Nel caso specifico la Luna si troverà a -15° sotto l’orizzonte in attesa di sorgere alle ore 10:41, mentre per osservazioni al telescopio basterà attendere nel tardo pomeriggio quando culminerà in meridiano alle ore 18:17 ad un’altezza di +69° in fase di 7 giorni rendendosi pertanto visibile almeno per tutta la serata. A prescindere dall’incredibile quantità di strutture crateriformi che sarà possibile andare a scandagliare lungo il terminatore, segnalo che nella medesima serata la librazione favorevole coinciderà con l’area del bacino da impatto noto come “mare Australe” situato nel settore sudorientale della Luna: occasione da non perdere per andare alla ricerca di dettagli situati poco oltre il confine fra i due emisferi lunari.
Al capolinea della fase crescente, alle ore 14:53 del 12 Febbraio il Plenilunio segnerà l’inizio della contestuale fase calante, col nostro satellite alla distanza di 344963 km dalla Terra, con diametro apparente di 30.25’ e in fase di 14 giorni. Anche in questo caso basterà attendere con un poco di pazienza ed alle ore 17:36 sorgerà il meraviglioso pallone illuminato della Luna Piena che si renderà visibile fin verso l’alba del mattino seguente quando scenderà sotto l’orizzonte contestualmente al sorgere del Sole. Per l’occasione torno a consigliare (o a suggerire….) l’osservazione al telescopio dei grandi bacini da impatto (comunemente noti come “mari”) unitamente agli imponenti sistemi radiali che si dipartono da determinati crateri (Copernicus, Tycho, Kepler, Aristarchus, ecc) per la cui migliore individuazione sulla superficie del nostro satellite viene indicata proprio la fase di Plenilunio dove il Sole alto sull’orizzonte esalta le aree ricoperte dalle scure rocce basaltiche così come pone in più evidente risalto i materiali a maggiore riflettività di cui sono costituiti i citati grandi sistemi di raggiere ed i vasti altipiani ricoperti da chiare rocce anortositiche sparsi sulla superficie lunare.
Tornando alla fase calante, alle ore 18:33 del 20 Febbraio la Luna sarà in Ultimo Quarto ma a ben -72° sotto l’orizzonte. Pertanto chi intendesse impegnarsi in osservazioni notturne col proprio telescopio avrà due possibilità: a) la notte del 20 Febbraio con la Luna che sorge alle ore 01:02 oppure la notte seguente, il 21 Febbraio, con la Luna che sorge alle ore 02:07. L’occasione potrà rivelarsi interessante visto che proprio in Ultimo Quarto la massima librazione in entrambe le nottate coinciderà con la regione lunare ad ovest del cratere Pythagoras nel settore nordovest della Luna.
Alle ore 01:45 del 28 Febbraio la fase di Novilunio mostrerà al nostro pianeta il disco lunare completamente buio essendo, in questo caso, allineato fra il Sole e la Terra con l’opposto emisfero lunare completamente illuminato. Così si chiude il mese di Febbraio in attesa di un nuovo ciclo lunare, ma ne riparleremo il mese prossimo.
Congiunzioni Notevoli
Congiunzione Luna-Venere
Alle ore 21:25 dell’1 Febbraio una falce lunare di 3,6 giorni sarà in congiunzione col pianeta Venere mentre la Luna sarà già tramontata alle ore 21:02, pertanto con i due corpi celesti ormai sotto l’orizzonte (a -4°31’ la Luna e a -1°13’ Venere).
Congiunzione Luna-Urano
Alle ore 22:10 del 5 Febbraio il pianeta Urano sarà in congiunzione con la Luna in fase di 8 giorni ad un’altezza di +39° ma con una separazione piuttosto larga pari a 4,7°.
Congiunzione Luna-Marte
Alle ore 20:35 del 9 Febbraio potremo assistere alla spettacolare congiunzione ravvicinata fra il pianeta Marte ed il nostro satellite in fase di 12 giorni ad un’altezza di +64/65°, pertanto nelle migliori condizioni osservative. La separazione fra i due corpi celesti sarà di soli 0°34/0°36 circa, quanto basta per godersi lo spettacolo e anche per interessanti riprese fotografiche.
Congiunzione Luna-Regolo
Altra bella congiunzione alle ore 01:01 del 13 Febbraio fra la doppia Regolo, stella di mag. 1.35, e la Luna in fase di 15 giorni ad un’altezza di +61° con una separazione di 1,4° pertanto ancora in ottime condizioni osservative.
Le FALCI lunari di FEBBRAIO
Appuntamento per gli appassionati di falci lunari per la tarda nottata del 24 Febbraio con una falce di 25,6 giorni che sorgerà alle ore 04:57. Non ci sarà molto margine per effettuare osservazioni col telescopio ma segnalo che la massima librazione coinciderà con l’area ad ovest del cratere Repsold nel settore nordovest della Luna. La successiva nottata, il 25 Febbraio, alle ore 05:38 sorgerà una ancora più problematica falce lunare a causa della sua vicinanza al sorgere del Sole. Per questa tipologia di osservazioni, oltre agli ormai noti parametri osservativi, risulterà determinante disporre di un orizzonte il più possibile libero da ostacoli. Sarà inoltre di fondamentale importanza evitare nel modo più assoluto di intercettare la luce solare al fine di prevenire gravi danni, anche irreversibili, alla propria vista.
TABELLA DEGLI EVENTI LUNARI DI FEBBRAIO
Fase
Data
Ore
Sorge
Culmina
Tramonta
Distanza dalla Terra
Diam App
Separ.
Primo Quarto
05-feb
09:02
10:41
14:56
21:02
372936km
32.04’
Luna Piena
12-feb
14:53
17:36
07:21
394963 km
30.25’
Ultimo Quarto
20-feb
18:33
01:02
05:41
10:14
406322 km
29.41’
Luna Nuova
28-feb
gen-45
Luna Crescente
dal 01 al 12
Luna Calante
dal 12 al 28
Perigeo
02-feb
02:42
367460 km
32’31”
Apogeo
18-feb
01:10
404883 km
29’30”
Congiunzione Luna Venere
01-feb
21:25
21:02
2,3°
Congiunzione Luna Urano
05-feb
22:10
4,7°
Congiunzione Luna Marte
09-feb
20:35
0,8°
Congiunzione Luna Regolo
13-feb
01:01
1,4°
LIBRAZIONI di FEBBRAIO
Si precisa che, per ovvi motivi, non vengono indicati i giorni in cui i punti di massima Librazione si discostano dalla superficie lunare illuminata dal Sole.
03 Febbraio: Massima Librazione Regione Polare meridionale.
04 Febbraio: Massima Librazione Regione Polare Meridionale.
05 Febbraio: Massima Librazione a sud dei crateri Boussingault, Helmholtz.
06 Febbraio: Massima Librazione Regione mare Australe.
07 Febbraio: Massima Librazione Regione Mare Australe.
08 Febbraio: Massima Librazione Regione Mare Australe.
09 Febbraio: Massima Librazione Regione Mare Australe.
10 Febbraio: Massima Librazione Mare Australe.
11 Febbraio: Massima Librazione Mare Australe.
12 Febbraio: Massima Librazione a est del cratere Petavius.
18 Febbraio: Massima Librazione Regione Polare Settentrionale (Anaximander).
19 Febbraio: Massima Librazione a nord del cratere Pythagoras.
20 Febbraio: Massima Librazione a nord nordovest del cratere Pythagoras.
21 Febbraio: Massima Librazione a nord del cratere Xenophanes.
22 Febbraio: Massima Librazione a nord del cratere Repsold.
23 Febbraio: Massima Librazione a nord del cratere Repsold.
24 Febbraio: Massima Librazione a nord nordovest del cratere Repsold.
Note:
– Dati e visibilità delle strutture lunari: Software “Stellarium” e “Virtual Moon Atlas”
– Ogni fenomeno lunare e rispettivi orari sono rapportati alla città di Roma, dati rilevati tramite software “Stellarium” e dal sito http://www.marcomenichelli.it/luna.asp
16 Febbraio 2025, Oss. Astronomico Capodimonte – Napoli
L’astronomia rappresenta una porta d’accesso unica al mondo della scienza. Ci invita a riflettere sulle nostre radici cosmiche e sul nostro posto nel tempo e nello spazio, offrendo una prospettiva rara che unisce scienza, filosofia, arte e letteratura.
Dalle antiche civiltà che scrutavano il cielo alle grandi scoperte che hanno rivoluzionato la nostra comprensione del cosmo, l’astronomia ha sempre avuto un ruolo centrale e fondamentale nella nostra evoluzione culturale e intellettuale. Anche per questo motivo, studiare l’astronomia non solo ci aiuta a comprendere il passato, ma ci invita anche a esplorare le questioni filosofiche fondamentali riguardanti la nostra esistenza e il nostro futuro.
Per tutte queste ragioni, l’astronomia merita un posto di rilievo nell’educazione scolastica. Integrare l’astronomia nei programmi educativi può stimolare l’interesse degli studenti per le scienze, incoraggiare il pensiero critico e promuovere una mentalità aperta e curiosa.
A tal proposito, la Sezione “Didattica” dell’Unione Astrofili Italiani (UAI) in collaborazione con l’Unione Astrofili Napoletani (UAN) organizza il Convegno nazionale di Didattica dell’Astronomia 2025 che si terrà domenica 16 febbraio a Napoli, presso l’Osservatorio Astronomico di Capodimonte, Napoli, un’opportunità unica per docenti e appassionati di astronomia di discutere tematiche rilevanti nel campo.
Per l’occasione abbiamo intervistato Matteo Montemaggi, referente delle Sezione “Didattica” dell’Unione Astrofili Italiani.
Qual è, nella tua esperienza di docente e astrofilo, il contributo dell’Astronomia alla Didattica Laboratoriale?”
L’astronomia è sicuramente la scienza che meglio si presta all’applicazione del metodo scientifico in ogni sua forma. Questo la rende adatta ad una didattica laboratoriale, nella quale lo studente si appropria della conoscenza nel contesto del suo utilizzo. Infatti, non si tratta solo di utilizzare strumenti e fare misure, ma di costruire il sapere a partire da osservazioni ed esigenze di carattere pratico. Solo per fare un esempio, la misura del tempo coinvolge i moti del nostro pianeta e della Luna e i risvolti associati sono sia diurni che notturni, sia assoluti che stagionali.
La didattica in generale non può essere un elenco di definizioni e regole, quanto piuttosto una scoperta continua, a partire dalle osservazioni dirette dei fenomeni, elaborando delle interpretazioni sulla base delle conoscenze di base; in pratica una serie di “problem-solving” per comprendere il mondo che ci circonda.
In che modo l’Astronomia può contribuire allo sviluppo delle soft skills nei bambini e nei ragazzi?
Sicuramente occuparsi di astronomia con un certo approccio favorisce lo sviluppo di un pensiero critico e migliora la capacità di comunicazione. Essendo una disciplina scientifica, di per sé promuove la collaborazione e la cooperazione, mai la competizione; questo stimola negli allievi un atteggiamento generalmente positivo, che educa alla collaborazione, alla pazienza e al rispetto degli altri. La capacità di lavorare in gruppo può così stimolare anche l’intelligenza emotiva, espressa nell’apertura ad “ambienti di lavoro” multiculturali e nel saper interagire con chi è diversamente abile.
Come contribuisce la Didattica dell’astronomia a sviluppare le Competenze chiave di Cittadinanza Europea?
Sappiamo benissimo quanto oggi sia difficile destreggiarsi nel mondo dell’informazione dei media e dei social. Lo è per gli adulti, figuriamoci per dei giovani studenti. Una sana didattica dell’astronomia, anche attraverso lo studio delle scienziate e degli scienziati che si sono succeduti nel corso della storia, può sicuramente contribuire a molteplici scopi didatti. Prima di tutto, a migliorare la competenza alfabetica funzionale, anche allo scopo di discernere tra informazioni corrette e notizia false. Inoltre, può favorire l’acquisizione e lo sviluppo delle competenze matematiche e nelle scienze tecnologiche e incrementare quelle digitali, ad esempio attraverso l’utilizzo di software specifici. E più in generale, può rivelarsi utile per sviluppare competenza personale sociale e capacità di imparare ad imparare e acquisire consapevolezza ed espressione culturali.
Con Messier 20 o M20 torniamo alle nebulose, e all’affascinante Nebulosa Trifida nel Sagittario, la quale deve il suo nome alle oscure nubi di polvere che la dividono in tre parti, visibili (come vedremo tra qualche paragrafo) anche con telescopi di 20 cm.
Storia delle osservazioni
La Nebulosa Trifida è stata ufficialmente scoperta il 5 giugno 1764 da Charles Messier, che la descrisse inizialmente come un “ammasso di stelle, poco sopra l’Eclittica, tra l’arco del Sagittario e il piede destro di Ofiuco”. Tuttavia, alcuni storici attribuiscono una scoperta precedente all’astronomo francese Guillaume Le Gentil, basandosi su una possibile confusione con la Nebulosa Laguna (Messier 8), osservata nel 1747. Messier, utilizzando il suo rifrattore cromatico, non riuscì a distinguere la nebulosa nelle sue componenti ma percepì solo un ammasso indistinto di stelle, caratteristica comune delle sue osservazioni.
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Nebulosa al di sopra del corno meridionale della costellazione del Toro, non contiene alcuna stella; possiede una luce biancastra, elongata nella forma di una fiamma di candela, scoperta durante le osservazioni della Cometa del 1758.
(Traduzione dal Catalogo Messier – 3a versione del 1781, pubblicata nel 1784).
Un brillante astro nel cielo diurno
Siamo agli inizi dell’anno mille, 1054 per la precisione, quando osservatori in Italia, Armenia, Cina, Nord America, Iraq e Giappone notano, vicino al Sole, una nuova stella.
Questo oggetto insolito – che ora sappiamo essere la supernova SN 1054 – è visibile a occhio nudo anche nel cielo diurno e ha una magnitudine stimata tra -4 e -7.5. L’astro luminoso suscita subito grande interesse e astronomi cinesi proseguono le osservazioni diurne a fino alla fine di luglio di quello stesso anno, e notturne fino all’aprile di due anni dopo.
Pittura rupestre degli indios Anasazi nel Chaco Canyon, ora Stati Uniti d’America, ritraente la Luna insieme alla supernova SN 1054 – Foto a cura di Alex Marentes
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Dopo la Nebulosa del Granchio, rappresentante tipica dei residui di supernova, il secondo oggetto del Catalogo compilato dall’astronomo francese (“Messier 2”) inaugura una nuova tipologia di corpi celesti, quella degli ammassi globulari: un insieme sferico di centinaia di migliaia o anche milioni di stelle, tutte concentrate in un volume di decine di anni luce di diametro.
Gli ammassi globulari sono fra i più antichi, compatti e densi sistemi stellari oggi conosciuti. La loro lunghissima storia inizia all’alba dell’universo e ci racconta come il processo di formazione di questi gruppi di stelle si sia già completato un miliardo di anni dopo il Big Bang. Purtroppo non esiste ancora una spiegazione convincente di come tutto questo sia avvenuto. Le teorie sono tante e la più intuitiva è quella che li considera i mattoni costitutivi delle galassie.
Se così fosse, i 161 globulari che orbitano ancora intorno alla Via Lattea a distanze di decine di migliaia di anni luce, dovrebbero essere interpretati come i superstiti di uno sciame che doveva un tempo comprenderne milioni.
Gli ammassi globulari ruotano attorno al nucleo di una galassia su orbite di elevata eccentricità e alta inclinazione rispetto al piano galattico, con tempi di rivoluzioni dell’ordine del centinaio di milioni di anni.
Sebbene il più grande e luminoso dei globulari, Omega Centauri, sia stato osservato a occhio nudo fin dall’antichità, per secoli fu creduto soltanto una stella un po’ strana, e nemmeno l’avvento del telescopio riuscì a chiarire la vera natura dei numerosi altri che vennero scoperti in seguito. Nelle prime osservazioni telescopiche, infatti, gli ammassi apparivano come macchie sfocate, definite dagli astronomi “stelle nebulose”… il che portò Charles Messier a includere i più luminosi – addirittura 28! – nel suo catalogo, visto che potevano essere scambiati facilmente per piccole comete.
A partire dalla fine del 18° secolo, soprattutto grazie ai grandi e luminosi telescopi riflettori di William Herschel (1738-1822), quei piccoli fiocchi di luce furono finalmente risolti in stelle. Quando Herschel iniziò la sua ricognizione completa del cielo nel 1782, c’erano 34 ammassi globulari conosciuti. Herschel ne scoprì altri 36 e fu il primo a risolverli praticamente tutti in stelle. In più, si deve proprio al più straordinario osservatore di tutti i tempi (di cui il prossimo 25 agosto ricorrerà il secondo centenario della morte) il termine “ammasso globulare”, che comparve per la prima volta nel suo Catalogue of Nebulae and Clusters of Stars, pubblicato nel 1789.
Bene. Se questo che abbiamo appena esposto può essere considerato il biglietto da visita dei globulari, adesso diventa però necessario andare nello specifico e parlare di Messier 2, ovvero del primo ammasso globulare citato nel Catalogo.
Prima di tutto… chi l’ha scoperto?
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Messier 3 rappresenta una pietra miliare nell’astronomia osservativa, essendo stato il primo vero oggetto scoperto da Charles Messier nel 1764. Questo ammasso globulare, inizialmente classificato come nebulosa, ha stimolato l’interesse dell’astronomo francese per la catalogazione di oggetti celesti, dando origine al celebre Catalogo Messier. Situato nella costellazione dei Canes Venatici, M3 è un capolavoro del cielo primaverile, caratterizzato da una densità impressionante di stelle e da peculiarità uniche come le Blue Stragglers e un numero straordinario di stelle variabili.
Storia delle osservazioni
M3 nel 1974 fu la prima vera scoperta di Messier, che erroneamente ma giustificato dai limiti del suo strumento, lo classificò come nebulosa. Un primato che di certo al tempo contribuì a stimolare l’interesse dell’astronomo nell’osservazione e a rafforzare l’intento di costruire un preciso catalogo di oggetti celesti.
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Messier 4, uno degli ammassi globulari più vicini alla Terra, rappresenta una meraviglia del cielo estivo. Situato nella costellazione dello Scorpione, a soli 7.200 anni luce di distanza, questo ammasso antico offre agli osservatori e agli studiosi una finestra sull’evoluzione stellare e galattica. Con le sue caratteristiche uniche, come la “linea di stelle” individuata da Herschel e la presenza del pianeta “Matusalemme”, M4 è un oggetto celeste straordinario, ricco di storia e scoperte che spaziano dall’antichità ai più moderni studi astrofisici.
Storia delle osservazioni
Già queste parole fanno immaginare l’emozione della scoperta e l’interesse a voler investigare maggiormente questo nuovo (per l’epoca) oggetto celeste nella costellazione dello Scorpione. Tuttavia, le annotazioni di de Chéseaux non vennero mai pubblicate, e questo rese l’astronomo e geodeta francese Nicolas Louis de Lacaille uno scopritore indipendente, con le sue osservazioni da Cittá del Capo, nell’attuale Repubblica del Sud Africa, nel 1752. De Lacaille annotò: “Nebulosa senza stelle, rassomigliante ad un piccolo nucleo di una debole cometa.”
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Messier 5 (M5) è un magnifico ammasso globulare situato a circa 24.500 anni luce dalla Terra, nell’alone galattico della Via Lattea. Scoperto nel 1702 da Gottfried Kirch, questo ammasso è noto per la sua densità stellare, contenendo oltre 100.000 stelle, con stime che arrivano fino a mezzo milione. È uno degli ammassi globulari più antichi, con un’età stimata di 13 miliardi di anni. Osservabile al meglio da aprile a settembre, M5 offre agli astronomi un laboratorio naturale per lo studio dell’evoluzione stellare, ospitando fenomeni come le Blue Stragglers, stelle variabili RR Lyrae e due pulsar millisecondi.
Storia delle osservazioni
Continuando la serie degli ammassi globulari che apre il Catalogo Messier (eccetto per Messier 1, come abbiamo visto qualche mese fa) arriviamo a Messier 5. L’ammasso fu scoperto dall’astronomo tedesco Gottfried Kirch e dalla moglie Maria Margarethe Winckelmann il 5 Maggio 1702, annotandolo come “stella nebulosa”. Charles Messier riscoprí l’ammasso nel 1764, descrivendolo nel suo catalogo come una: “Bella nebulosa tra la Bilancia e il Serpente, vicino alla stella n° 5 del Serpente (secondo il Catalogo di Flamsteed), di sesta magnitudine; non contiene stelle e, con un buon cielo, si vede bene in un ordinario strumento da un piede …rivista il 5 sett. 1780, e il 30 genn. e il 22 marzo 1781.”
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MESSIER 6, o anche NGC6405, a differenza degli ammassi visti fino ad ora non è un ammasso globulare ma un ammasso aperto. Questa tipologia di oggetti celesti é composto da un gruppo numeroso di stelle, fino a qualche migliaio, nate nello stesso periodo da una nube molecolare gigante. L’esempio più famoso a cui fare riferimento per questa categoria é l’ammasso delle Pleiadi (M45) nella costellazione del Toro.
Sono stati scoperti piú di mille oggetti simili solo nella nostra galassia. Oggetti molto interessanti da un punto di vista scientifico in grado di mostrare una visione chiave nello studio dell’evoluzione stellare. In genere, un ammasso aperto appare come un oggetto celeste giovane (in termini astronomici), che riesce a mantenere la sua coesione per almeno mezzo miliardo di anni. Superata tale soglia di età però, interferenze gravitazionali esterne galassia per lo più generate dalla rivoluzione intorno al centro galattico, causano che continue trazioni che, con il passare del tempo, finiscono per sfaldare l’ammasso aperto stesso.
Storia delle osservazioni
Il primo astronomo a lasciare una testimonianza scritta di M6 fu l’italiano Giovanni Battista Hodierna, il quale ne registrò l’osservazione nel, o prima, del 1654, contando solo 18 stelle.
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Messier 7 o M7, come Messier 6 nell’articolo precedente, é un oggetto celeste che appartiene alla categoria degli ammassi aperti. Questa tipologia di ammassi é formata da un gruppo di stelle (anche migliaia) che sono nate nello stesso periodo da una nube molecolare gigante.
Storia delle osservazioni
M7 é un ammasso conosciuto sin dall’antichitá. La prima testimonianza scritta ci arriva dall’astronomo, astrologo e geografo greco Claudio Tolomeo (che gli da anche il nome), che lo documentó annotandolo nel suo catalogo (l’Almagesto) come un oggetto nebuloso “successivo alla coda dello Scorpione” con il numero 567. Circa mille anni dopo, nel Medioevo, l’astronomo persiano Abd al-Rahman al-Sufi impegnato nella revisione e aggiornamento del trattato di Tolomeo, lo classificó come avente una magnitudine di 4.5.
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Dopo molti ammassi stellari, sia aperti che globulari, torniamo alle nebulose, con l’estesa Laguna, una delle inseguite ed affascinanti del cielo notturno estivo.
Storia delle osservazioni
La prima annotazione su Messier 8 fu dell’italiano Giovanni Battista Hodierna, che ne registrò l’osservazione nel o prima del 1654, classificandola come No. II.6 nel suo catalogo. Poche decadi dopo, venne individuata nuovamente dall’astronomo inglese John Flamsteed, e successivamente, anche dall’astronomo svizzero Jean-Philippe Loys de Chéseaux che la classificò tuttavia come ammasso stellare, dopo aver risolto alcuni degli astri presenti all’interno della nebulosa.
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Rimanendo sempre nella costellazione dell’Ofiuco (dove si trovava anche il precedente oggetto Messier 9) andiamo ad osservare l’ammasso globulare Messier 10 o M10.
Storia delle osservazioni
Questo ammasso globulare fu scoperto da Charles Messier nel 1764. L’astronomo, non riconoscendolo come ammasso, lo descrisse come una “nebulosa priva di stelle nella cintura di Ofiuco, vicino alla 30ª stella di questa costellazione… Questa nebulosa è bella e rotonda, può essere vista solo con difficoltà in un ordinario telescopio da tre piedi.”
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Dopo l’estesa Nebulosa della Laguna, torniamo agli ammassi globulari con Messier 9 o M9, nella costellazione dell’Ofiuco.
Storia delle osservazioni
La prima testimonianza scritta di questo ammasso stellare risale a Charles Messier, che lo osservò prima o nel 1764. Messier scrisse, al riguardo che l’ammasso appariva come una “nebulosa senza stelle, nella gamba destra di Ofiuco; è rotonda, e la sua luce è debole.” L’astronomo inglese William Herschel, nel 1783, fu il primo in grado di risolvere la sua natura stellare descrivendolo come avente “stelle piccolissime ed estremamente compresse”.
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Dopo Messier 6 e 7, torniamo negli ammassi aperti con Messier 11 o M11. A differenza degli ammassi globulari, questa tipologia di oggetti celesti è formata da un gruppo (che può essere anche di migliaia) di stelle nate nello stesso periodo da una nube molecolare gigante. Ne rappresenta un esempio facile da richiamare proprio l’ammasso delle Pleiadi (M45) nella costellazione del Toro.
Nel corso dei secoli ne sono stati scoperti più di mille solo nella nostra galassia e rimangono oggetti molto interessanti da un punto di vista scientifico, dato che offrono una visione chiave nello studio dell’evoluzione stellare. In media, un ammasso aperto risulta essere un oggetto celeste giovane (in termini astronomici), che riesce a mantenere la sua coesione per almeno mezzo miliardo di anni. Passata questa soglia, interferenze gravitazionali esterne causate dall’orbitare intorno al centro della galassia, causano disturbi che, con il passare del tempo, sono in grado di sfaldare l’ammasso aperto stesso.
Storia delle osservazioni
Questo ammasso aperto fu scoperto dall’astronomo tedesco e direttore dell’Osservatorio di Berlino Gottfried Kirch il 1° settembre 1681 mentre si trovava a Lipsia, utilizzando il suo “tubusopticus” di circa 1.2 metri di lunghezza focale. Inizialmente, Kirch pensò che l’oggetto fosse una stella nebulosa, simile al nucleo di una cometa, ed infatti successive osservazioni lo classificarono come la “Nebulosa di Kirch”.
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Si ritorna con M12 agli ammassi globulari dopo aver ammirato l’aperto Messier 11. Per ricordare, gli ammassi globulari sono insiemi di stelle che orbitano come satelliti intorno al centro di una galassia. Assumono una forma per lo più sferica data la forte gravità che li caratterizza, mantenendo al loro centro una densità di stelle elevata. Questa tipologia di ammassi è generalmente composta da centinaia di migliaia di stelle antiche (a differenza degli ammassi aperti, che sono invece “giovani”, in termini astronomici) e sono abbastanza numerosi, con 158 esemplari individuati nella Via Lattea. Altre galassie più grandi, come quella di Andromeda, potrebbero averne fino a 500, mentre galassie giganti, come l’enorme M87, possono averne migliaia e migliaia.
Storia delle osservazioni
Charles Messier fu il primo ad osservare questo oggetto celeste, che descrisse così nel 1764: “Nebulosa scoperta nel Serpente, tra il braccio e il lato sinistro di Ofiuco: questa nebulosa non contiene alcuna stella, è rotonda e la sua luce è debole; vicino a questa nebulosa c’è una stella di nona magnitudine.” Solo qualche anno dopo (1774) lo stesso oggetto venne osservato dall’astronomo tedesco Johann Elert Bode, che lo classificò in modo analogo, come una piccola nebulosa. Messier poi rivisitò lo stesso ammasso globulare nel 1781, ma senza modificarne la categorizzazione. Il primo a risolvere le componenti stellari dell’ammasso fu l’astronomo, fisico, e compositore tedesco naturalizzato inglese William Herschel, che nel 1783 lo descrisse come “un ammasso brillante, con una porzione molto più densa verso il suo centro.” Anche John Herschel, suo figlio, annotò che l’ammasso era “molto ricco”, aggiungendo “ci sono stelle che appaiono separate, e vari filari che si estendono dalla porzione centrale fino ai suoi bordi.”
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In questa edizione della rubrica, arriviamo finalmente ad uno dei gioielli più affascinanti del cielo notturno, Messier 13 o M13, il Grande Ammasso Globulare in Ercole. Si tratta dell’ammasso globulare (insiemi di stelle che orbitano come satelliti intorno al centro di una galassia, assumendo una forma perlopiù sferica e mantenendo al loro centro una densità di stelle elevata) più luminoso dell’emisfero boreale, ed è visibile ad occhio nudo in condizioni ottimali (cieli bui e tersi, lontano da fonti di inquinamento luminoso).
Storia delle osservazioni
M13 fu osservato per la prima volta dall’astronomo, matematico, e fisico inglese Edmond (o Edmund) Halley. Un nome famoso in tutto il mondo per aver apportato grandi contributi allo studio del magnetismo terrestre, osservazioni lunari e solari (tra cui l’Eclisse Totale di Sole del 3 Maggio 1715), e, soprattutto, il suo calcolo riguardante gli avvistamenti cometari del 1456, 1531, 1607, e 1682. Halley, sopportato dalle teorie di Giovanni Domenico Cassini sul fatto che le comete fossero in realtà oggetti orbitanti, riuscì a determinare che tutte le comete avvistate in quegli anni corrispondevano di fatto ad una singola cometa con un tempo di ritorno di circa 75-79 anni. L’astronomo inglese predisse che la stessa cometa sarebbe riapparsa nel 1758, e quando questo avvenne, l’astro divenne noto come Cometa di Halley. L’ultimo suo passaggio al perielio è stato nel 1986, e il prossimo avverrà nel 2061.
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Dopo lo stupendo Messier 13, continuiamo lungo la scia degli ammassi globulari con il prossimo oggetto celeste del Catalogo Messier, M14. Per ricordare, gli ammassi globulari sono insiemi di stelle che orbitano come satelliti intorno al centro di una galassia, assumendo una forma perlopiù sferica e mantenendo al loro centro una densità di stelle elevata. Oggetti affascinanti ai confini galattici.
Storia delle osservazioni
M14 fu scoperto nella notte tra il primo ed il 2 giugno 1764 proprio da Charles Messier, che annotò: “[…] ho scoperto una nuova nebulosa nel drappeggio che passa sul braccio destro dell’Ophiucus, sulle carte di Flamsteed si trova sul parallelo della zeta Serpentis; questa nebulosa non è evidente, è debole e tuttavia la si vede bene con un rifrattore ordinario da 3 piedi e mezzo. È tonda ed il suo diametro può essere di 2′ d’arco: poco sopra si trova una stella di nona magnitudine.[…]”. Questa scoperta arrivò solo pochi giorni dopo aver osservato altri ammassi globulari nella costellazione dell’Ofiuco, M9, M10, ed M12, trattati negli scorsi numeri della rivista. Nel 1783, l’astronomo e fisico tedesco naturalizzato inglese William Herschel fu il primo che riuscì a risolvere le caratteristiche stellari dell’ammasso globulare ad un ingrandimento di 300x, trovandolo “estremamente luminoso, facilmente risolvibile”. Cinquanta anni dopo, il figlio John riuscì ad osservare M14 senza problemi, descrivendolo come “molto grande in diametro, con stelle così minute da essere difficili da risolvere completamente”.
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Un team di ricercatori ha scoperto venti supersonici nell’atmosfera di WASP-127b, un gigante gassoso situato a circa 520 anni luce dalla Terra. Questi venti, che si muovono a una velocità record di 33.000 km/h (9 km/s) lungo l’equatore, rappresentano il jet stream più veloce mai misurato nell’Universo. Utilizzando lo strumento CRIRES+ sul Very Large Telescope dell’ESO, gli scienziati hanno osservato che un lato dell’atmosfera del pianeta si avvicina alla Terra mentre l’altro si allontana, confermando l’esistenza di potenti correnti atmosferiche. Credit:
ESO/L. Calçada
Un team di astronomi, utilizzando il Very Large Telescope (VLT) dell’European Southern Observatory (ESO) in Cile, ha scoperto venti equatoriali straordinariamente veloci che attraversano l’atmosfera di WASP-127b, un gigantesco esopianeta situato a circa 525 anni luce dalla Terra. Questa scoperta rappresenta una pietra miliare nello studio delle dinamiche atmosferiche dei pianeti extrasolari.
WASP-127b: Un gigante di gas unico nel suo genere
WASP-127b è un esopianeta peculiare, noto per la sua densità insolitamente bassa e per un’atmosfera ricca di metalli pesanti. Questo pianeta appartiene alla classe dei “giganti gassosi”, ma presenta caratteristiche che lo rendono unico rispetto a mondi come Giove o Saturno nel nostro Sistema Solare. Ad esempio, la sua atmosfera è straordinariamente estesa, rendendolo un soggetto ideale per osservazioni spettroscopiche dettagliate.
Grazie allo spettrografo ESPRESSO, uno strumento di altissima precisione montato sul VLT, gli astronomi sono riusciti a rilevare e misurare i venti nell’atmosfera del pianeta con un livello di dettaglio senza precedenti. Questi venti raggiungono velocità di circa 33.000 km/h, una cifra che supera di gran lunga qualsiasi fenomeno atmosferico osservato sulla Terra o su altri pianeti del nostro Sistema Solare.
Come sono stati osservati i venti?
La tecnica utilizzata per rilevare i venti si basa sulla spettroscopia ad alta risoluzione. Quando la luce della stella ospite del pianeta passa attraverso la sua atmosfera, alcune lunghezze d’onda vengono assorbite da specifici elementi chimici presenti nei gas atmosferici. Questo processo crea una sorta di “impronta digitale” che gli scienziati possono analizzare per determinare la composizione chimica, la temperatura e i movimenti nell’atmosfera del pianeta.
Nel caso di WASP-127b, le osservazioni hanno rivelato la presenza di un jet stream equatoriale — un flusso di venti estremamente veloce — che domina la circolazione atmosferica. Questi venti rappresentano il jet stream più veloce mai misurato su un pianeta, dimostrando la straordinaria complessità delle condizioni meteorologiche su mondi lontani.
Perché questi venti sono importanti?
La scoperta dei venti di WASP-127b apre nuove prospettive nello studio degli esopianeti. Analizzare i modelli meteorologici di mondi come questo non solo aiuta a comprendere meglio la loro natura, ma contribuisce anche a svelare i processi fondamentali che governano la formazione e l’evoluzione dei pianeti in generale.
In particolare, i venti atmosferici possono fornire indizi preziosi sulla composizione chimica e sulla struttura interna di un pianeta. Ad esempio, possono indicare la presenza di elementi come l’idrogeno, l’elio o metalli più pesanti, che a loro volta raccontano la storia della formazione del pianeta.
Inoltre, la comprensione delle dinamiche atmosferiche è essenziale per interpretare le osservazioni che saranno effettuate con telescopi di prossima generazione, come il telescopio spaziale James Webb (JWST) e il futuro Extremely Large Telescope (ELT) dell’ESO. Questi strumenti promettono di rivoluzionare lo studio degli esopianeti, permettendo di indagare atmosfere sempre più sottili e complesse, fino a valutare la potenziale abitabilità di alcuni di essi.
Cosa ci riserva il futuro?
Le osservazioni condotte su WASP-127b rappresentano solo l’inizio di una nuova era di studi atmosferici ad alta precisione. Gli astronomi sperano di applicare tecniche simili per studiare un numero crescente di esopianeti, in particolare quelli che orbitano attorno a stelle più vicine al nostro Sistema Solare.
“Ogni nuovo dato ci permette di raffinare i nostri modelli e di porci nuove domande”, ha dichiarato uno dei ricercatori coinvolti nello studio. “La scoperta di venti così veloci su WASP-127b dimostra quanto siano diversi e affascinanti i mondi al di fuori del nostro Sistema Solare.”
Questa ricerca non solo ci avvicina alla comprensione dei giganti gassosi, ma pone anche le basi per future indagini su pianeti rocciosi simili alla Terra, dove le dinamiche atmosferiche potrebbero avere un impatto diretto sulla possibilità di ospitare forme di vita.
Con l’avanzare della tecnologia e delle capacità osservative, scoperte come questa continueranno a espandere i nostri orizzonti, portandoci sempre più vicini alla risposta a una delle domande più antiche dell’umanità: siamo soli nell’Universo?
In genere, gli asteroidi, come quello raffigurato in questo concept artistico, hanno origine dalla fascia principale degli asteroidi tra le orbite di Marte e Giove, ma una piccola popolazione di oggetti vicini alla Terra potrebbe provenire anche dalla superficie della Luna dopo essere stati espulsi nello spazio a causa di un impatto. Credito: NASA/JPL-Caltech
Il 22 gennaio 2025, il Jet Propulsion Laboratory (JPL) della NASA ha annunciato che l’oggetto near-Earth 2024 PT5, scoperto nell’agosto 2024, è probabilmente un frammento della superficie lunare espulso nello spazio a seguito di un impatto avvenuto migliaia di anni fa.
Scoperta e Caratteristiche Orbitali
2024 PT5, con un diametro di circa 10 metri, è stato individuato il 7 agosto 2024 dal telescopio ATLAS (Asteroid Terrestrial-impact Last Alert System) finanziato dalla NASA e situato a Sutherland, in Sudafrica. L’asteroide ha attirato l’attenzione degli astronomi per la sua orbita attorno al Sole, che coincide strettamente con quella terrestre, suggerendo una possibile origine nelle vicinanze del nostro pianeta.
Analisi Spettrale e Composizione
Un team di ricercatori guidato da Teddy Kareta, astronomo presso il Lowell Observatory in Arizona, ha condotto osservazioni utilizzando il Lowell Discovery Telescope e il NASA Infrared Telescope Facility (IRTF) presso l’Osservatorio di Mauna Kea, nelle Hawaii. L’analisi spettrale della luce riflessa dalla superficie di 2024 PT5 ha rivelato una composizione ricca di minerali silicatici, tipici delle rocce lunari, ma non comuni negli asteroidi. Kareta ha sottolineato che “sembra che non sia nello spazio da molto tempo, forse solo da poche migliaia di anni, poiché manca l’alterazione spaziale che avrebbe causato un arrossamento del suo spettro“.
Origine e Dinamica Orbitale
Per determinare l’origine naturale di 2024 PT5, gli scienziati del Center for Near Earth Object Studies (CNEOS) della NASA, gestito dal JPL, hanno analizzato il suo movimento. Le loro precise misurazioni hanno indicato che l’oggetto non è significativamente influenzato dalla pressione delle radiazioni solari, a differenza dei detriti spaziali artificiali più leggeri. Oscar Fuentes-Muñoz, coautore dello studio e borsista post-dottorato della NASA presso il JPL, ha dichiarato: “I detriti spaziali e le rocce spaziali si muovono in modo leggermente diverso nello spazio. I detriti di origine umana sono solitamente relativamente leggeri e vengono spinti dalla pressione della luce solare. Il fatto che 2024 PT5 non si muova in questo modo indica che è molto più denso dei detriti spaziali, suggerendo una composizione rocciosa naturale“.
I ricercatori che studiano l’asteroide 2024 PT5 hanno tracciato il suo moto ciclico su due grafici. A un occhio allenato, mostrano che l’oggetto non viene mai catturato dalla gravità terrestre, ma, al contrario, indugia nelle vicinanze prima di continuare la sua orbita attorno al Sole. Credito: NASA/JPL-Caltech
Implicazioni Scientifiche
La scoperta di 2024 PT5 come possibile frammento lunare offre un’opportunità unica per approfondire la nostra comprensione sia degli asteroidi near-Earth che della storia geologica della Luna. L’analisi di tali oggetti può fornire informazioni preziose sui processi di impatto che hanno modellato la superficie lunare e sulle dinamiche che permettono a questi frammenti di raggiungere orbite vicine alla Terra. Inoltre, lo studio di 2024 PT5 potrebbe contribuire a migliorare le nostre conoscenze sulla formazione e l’evoluzione degli oggetti near-Earth, nonché sulle potenziali minacce che questi possono rappresentare per il nostro pianeta.
Questa scoperta sottolinea l’importanza di programmi di monitoraggio come ATLAS e di collaborazioni internazionali nella sorveglianza e nello studio degli oggetti near-Earth, contribuendo alla sicurezza planetaria e all’avanzamento delle conoscenze astronomiche.
Una celebrazione dell’Istituto Nazionale di Astrofisica, che ripercorrerà i traguardi raggiunti dalla sua istituzione nel 1999, guardando avanti, verso nuove sfide scientifiche e tecnologiche
23 e 24 gennaio
Osservatorio Astronomico di Capodimonte
Il 23 e 24 gennaio l’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) celebra i 25 anni dalla sua fondazione con un workshop dal titolo “INAF +25” presso l’Auditorium Nazionale “Ernesto Capocci” dell’INAF-Osservatorio Astronomico di Capodimonte, una delle sedi storiche di maggior prestigio dell’Ente. La due giorni vuole celebrare i 25 anni della fondazione dell’Istituto e discutere sul futuro scientifico e tecnologico dell’Ente.
Era il 26 agosto 1999 quando sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana veniva pubblicato il decreto n. 296, che sanciva la nascita dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), ente di ricerca italiano, controllato dal Ministero dell’Università e della Ricerca (MUR), con interessi e attività in campo astronomico, astrofisico e planetologico.
“L’INAF è l’Ente di Ricerca italiano per lo studio dell’Universo, è coinvolto nell’esplorazione del cosmo a tutte le lunghezze d’onda e con tutti i messaggeri celesti, dal nostro Sistema solare, attraverso il tempo e lo spazio, fino alle origini dell’universo. Una comunità di donne e uomini che contribuiscono ogni giorno a rendere più grande la nostra comprensione dell’universo in cui viviamo” dice Roberto Ragazzoni, Presidente dell’Istituto dal 5 aprile 2024, e prosegue: “Ci troviamo a Napoli non solo per celebrare il passato, ma soprattutto per discutere degli scenari nei prossimi 25 anni: un incontro proiettato nel futuro”.
Da 25 anni l’INAF si impegna a studiare l’universo in tutti i suoi aspetti, sviluppa strumentazione all’avanguardia per osservazioni e ricerche sia da Terra sia dallo Spazio, diffonde la cultura in campo astronomico e preserva il patrimonio storico nazionale nel campo.
“Forniamo alla ricerca un contributo che la comunità internazionale riconosce essere di elevata qualità. Utilizziamo prestigiose infrastrutture osservative a terra e nello spazio e metodologie e infrastrutture di calcolo avanzato. Sviluppiamo tecnologie di punta funzionali alla nostra ricerca e che trovano spesso applicazione in altri settori della società civile. Formiamo le nuove generazioni di studiosi a essere pronti per competere sullo scenario internazionale guardando con grande attenzione alle novità di metodi e tecnologie che possono facilitare l’accesso a nuove finestre di conoscenza. Siamo attenti alla valorizzazione e diffusione della conoscenza impegnandoci in iniziative che prevalentemente sono indirizzate a veicolare passione e bellezza verso bambini e ragazzi”, dice Isabella Pagano, Direttrice Scientifica dell’INAF dal 1 novembre 2024.
IL PROGRAMMA – Il pomeriggio del 23 gennaio sarà dedicato a interventi che descrivono l’origine del concetto di INAF, la sua fondazione, la crescita nel corso degli anni e le molte imprese e realizzazioni. Sarà inoltre presentato il volume “INAF25”, ideato e curato da Roberto della Ceca e Giampaolo Vettolani, realizzato grazie al coordinamento editoriale di Cecilia Toso e la direzione artistica di Davide Coero Borga. Un volume pensato e strutturato per raccontare cronologicamente gli eventi principali che hanno dato all’INAF e all’Italia intera la possibilità di avanzare in modo decisivo nell’esplorazione e nella conoscenza del cosmo.
Nella giornata del 24 gennaio sono previsti interventi e una tavola rotonda sul futuro dell’INAF nei prossimi 25 anni dedicata allo sviluppo delle prossime attività scientifiche e tecnologiche dell’Ente. La tavola rotonda vedrà la partecipazione, tra gli altri, di Tom Herbst dell’Istituto Max Planck per l’astronomia (Germania), Antonella Nota dello Space Telescope Science Institute (Stati Uniti), Phil Diamond (direttore generale dell’Osservatorio SKA), Roberta Zanin (project scientist dell’Osservatorio CTA), Monica Colpi (Professore Ordinario in Astrofisica presso l’Università Milano Bicocca), Ester Antonucci (già direttrice dell’INAF-Osservatorio Astrofisico di Torino).
Alcuni giorni fa la cometa C/2024 G3 ATLAS è passata al Perielio transitando a soli 14 milioni di chilometri di distanza dal Sole. L’oggetto sembrava destinato alla disintegrazione proprio per la piccola distanza del passaggio ma invece ha resistito. Le condizioni di visibilità erano estreme con l’oggetto a soli 5° dal Sole. Data la luminosità raggiunta però qualcuno ha voluto tentare l’osservazione.
Il 16 gennaio 2025, Marte raggiungerà l’opposizione, un evento astronomico che offre condizioni ideali per l’osservazione del Pianeta Rosso. Durante l’opposizione, Marte si trova direttamente opposto al Sole rispetto alla Terra, risultando completamente illuminato e particolarmente luminoso nel cielo notturno.
Indice dei contenuti
Dettagli dell’evento
Data e ora dell’opposizione: 16 gennaio 2025 alle 03:32 CET (02:32 UTC).
Costellazione: Gemelli
Magnitudine apparente: -1,4, comparabile alla luminosità di Sirio, la stella più brillante del cielo notturno.
Dimensione angolare: 14,6 secondi d’arco, circa 2,5 volte maggiore rispetto all’agosto 2024.
Distanza dalla Terra: Circa 0,64 UA (Unità Astronomiche), equivalenti a circa 96 milioni di chilometri.
Osservazione di Marte da Roma
Marte sarà visibile per gran parte della notte, sorgendo alle 17:32 e tramontando alle 07:11. Raggiungerà il punto più alto nel cielo alle 00:22, a un’altitudine di 73° sopra l’orizzonte meridionale. Nella costellazione dei Gemelli, apparirà come un punto rosso brillante, allineato con le stelle Castore e Polluce. Sarà osservabile a occhio nudo, ma l’uso di binocoli o telescopi permetterà di apprezzare dettagli come il colore rosso-arancio e, con strumenti più potenti, persino le calotte polari.
La posizione di Marte rispetto all’orizzonte al sorgere e rispetto alle teste della Costellazioni dei Gemelli Castore e Polluce. Per tutta la notte Marte non si modificherà al propria posizione rispetto alle due stelle luminose. Crediti: theskylive.com
Marte al Perigeo
12 gennaio 2025: Marte ha raggiunto il perigeo, ossia la minima distanza dalla Terra, risultando particolarmente luminoso. La concomitanza a pochi giorni di distanza dei due eventi, opposizione e perigeo, faranno si che Marte di mostri abbastanza grande con dimensioni angolari pari a 14,6”. Buona ma niente se paragonata alla dimensione angolare raggiunta da Marte nel 2018 quando arrivò a mostrarsi con un disco addirittura pari a 24,2 secondi d’arco.
Prossime opposizioni di Marte
La prossima opposizione di Marte avverrà il 19 febbraio 2027, ma sarà meno favorevole, con una magnitudine di -1,2 e una dimensione angolare di 13,8 secondi d’arco. Pertanto, l’evento del 16 gennaio 2025 rappresenta un’opportunità imperdibile per osservare Marte nelle migliori condizioni possibili.
Ricordiamo i consigli per le osservazioni già pubblicati in occasione di altre opposizioni di Marte
La calotta polareAttualmente, Marte si trova vicino al suo equinozio di primavera nell’emisfero settentrionale. Questo significa che:
L’immagine mostra Marte subito dopo la mezzanotte del giorno 16 gennaio (17 gennaio ore 00:15). Si nota come la colotta nord sia solo parzialmente visibile in alto mentre la calotta sud rimane totalmente nascosta.
Nell’emisfero settentrionale di Marte è inizio primavera.
Nell’emisfero meridionale è inizio autunno
non è certo il periodo migliore per osservare le calotte ma in compenso la quiete atmosferica può favorire la ripresa dei dettagli moderando la presenza di venti e quindi spostamenti di sabbia.
La visione delle brine e dei ghiacci superficiali viene in genere rafforzata dall’uso di un filtro verde, ma se vogliamo determinare esattamente le dimensioni e la forma della calotta quello più consigliabile è il rosso, che permette di eliminare il disturbo causato da eventuali nubi chiare altrimenti difficilmente distinguibili al telescopio dai ghiacci polari veri e propri.
Le tempeste di polvereCon la sublimazione dei ghiacci vengono immesse nell’atmosfera marziana delle grandi quantità di gas, specialmente anidride carbonica insieme a una piccola quantità di vapore acqueo. La prima è la principale responsabile dei grandi venti, che si generano per differenza di pressione atmosferica tra le regioni polari e quelle a latitudini minori; un ingrediente necessario per la formazione di tempeste di sabbia che possono essere facilmente seguite anche da Terra. L’osservazione di questo fenomeno è una delle dimostrazioni più tipiche dell’estrema utilità dei filtri colorati nell’osservazione di Marte: in luce neutra esso si manifesta inizialmente come una macchiolina gialla che oscura particolari della superficie prima ben visibili, ma se davvero si tratta di una tempesta di polvere dovrà invariabilmente apparire molto brillante con un filtro rosso, e pressoché invisibile (o quasi) con uno blu o azzurro. Per l’opposizione di Marte del 2025 non sono previste tempeste globali e ciò faciliterà la caccia ai dettagli sulla superficie.
Le nubi sul disco Il vapore acqueo emesso dalla sublimazione della calotta è invece l’elemento fondamentale per lo sviluppo delle nubi marziane, la cui attività dovrebbe aumentare dal locale equinozio di primavera in poi generando ingenti sistemi nuvolosi in tutto il pianeta; nubi così evidenti che anche un osservatore poco esperto potrà riuscire a cogliere come macchie biancastre. Strisce sottili e allungate presso i lembi est e ovest indicano invece la formazione di nebbie e foschie serali o mattutine, destinate a dissolversi rapidamente non appena il Sole si alza sull’orizzonte. Nell’emisfero sud, tuttavia, possono permanere anche tutto il giorno aiutate dalla particolare conformazione del suolo: è il caso di Hellas, l’enorme depressione circolare prodotta nell’emisfero sud da un antico impatto meteorico.
La tabella spiega la funzione dei filtri Wratten più comuni nell’osservazione planetaria. In genere, su Marte, i filtri interferenziali rossi e arancioni aumentano il contrasto dei dettagli di superficie mentre quelli i tendenti al verde ed al blu diminuiscono i dettagli della superficie e aumentano l’osservabilità di particolari atmosferici come nubi, foschie, ecc.
Per finire, è necessario menzionare anche i complessi di nubi orografiche, associate ai grandi vulcani, che si elevano nelle regioni di Tharsis ed Elysium. Le nubi orografiche – comunissime anche sulla Terra – si formano quando una massa d’aria spinta contro la parete di una montagna è costretta a salire in quota, raffreddandosi rapidamente e provocando la condensazione del vapor d’acqua che vi è contenuto. Quelle marziane sono osservabili in genere dal primo pomeriggio locale e raggiungono la massima estensione e brillantezza verso il tramonto. Così, non di rado, un punto brillante si potrebbe accendere in corrispondenza della posizione occupata dal monte Olympus, il più grande vulcano del sistema solare. La visibilità di questi fenomeni viene rafforzata dall’uso di un filtro blu o azzurro.
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Phobos e Deimos
Configurazione Marte- Phobos-Deimos prevista per le ore 04:14 del 17 gennaio. Phobos è quasi in occultazione.
Marte sarà visibile per tutta la notte. Per un’osservatore posto al centro Italia, Marte sorgerà alle 16:36 del 16 gennaio per tramontare il 17 gennaio alle 07:32 del mattino. Parecchie ore a disposizione quindi per riprendere il pianeta. Fra le sfide all’osservazione che potremo cogliere c’è quella di fotografare anche i due satelliti di Marte: Phobos e Deimos. I due satelliti hanno periodo orbitale rispettivamente di 7 ore e 39 minuti e poco più di 30 ore, avendo a disposizione quindi circa 16 ore di osservazione non sarà difficile immortale diverse configurazioni. A titolo di esempio nell’immagine a fianco i due satelliti molto vicini al pianeta, configurazione prevista per le ore 04:00 circa del 17 gennaio.
Phobos Nome: Deriva dal greco antico “Paura”, in riferimento al figlio di Ares (Marte nella mitologia romana) e Afrodite. Dimensioni: Circa 27 x 22 x 18 km. Distanza media da Marte: 6.000 km. Periodo di rivoluzione: Circa 7 ore e 39 minuti. Particolarità: Fobos si trova così vicino a Marte che orbita più velocemente rispetto alla rotazione del pianeta. Questo significa che sorge a ovest e tramonta a est, completando più di due orbite al giorno marziano. Deimos Nome: Deriva dal greco antico “Terrore”, anch’esso figlio di Ares e Afrodite. Dimensioni: Circa 15 x 12 x 11 km. Distanza media da Marte: 23.460 km. Periodo di rivoluzione: Circa 30,3 ore. Particolarità: Deimos è più distante e impiega più tempo per orbitare attorno a Marte. Sorge a est e tramonta a ovest, come i satelliti tradizionali.
Rappresentazione di un treno di specchi che riflettono la luce solare verso un impianto solare sulla Terra: vista in orbita. Le dimensioni dello specchio non sono in scala. Crediti: Andrea Viale, NASA (texture della Terra).
L’Università di Glasgow sta conducendo il progetto SOLSPACE (Enhancing Global Clean Energy Services Using Orbiting Solar Reflectors), mirato a incrementare la produzione di energia solare attraverso l’utilizzo di riflettori solari orbitanti.
Guidato dal Professor Colin McInnes e finanziato con un contributo di 2,5 milioni di euro dal Consiglio Europeo della Ricerca (ERC), il progetto si propone di sviluppare strategie innovative per aumentare l’energia prodotta da futuri impianti solari su larga scala.
L’idea centrale consiste nella creazione di una costellazione di satelliti dotati di riflettori sottilissimi, capaci di reindirizzare la luce solare verso la Terra durante le prime ore del mattino e al crepuscolo. Questi sono i momenti in cui la domanda energetica è elevata, ma la produzione solare è limitata.
Rappresentazione di un treno di specchi che riflettono la luce solare verso un impianto fotovoltaico sulla Terra: vista da terra. Le dimensioni dello specchio non sono in scala. Crediti: Andrea Viale.
Il team di ricerca sta analizzando le orbite più efficienti e le strategie di controllo per i riflettori, al fine di massimizzare l’energia aggiuntiva generata e ridurre al minimo la luce dispersa che potrebbe raggiungere la Terra. Inoltre, sono in corso studi sul design, la produzione e l’assemblaggio dei riflettori, nonché sull’impatto economico dell’energia supplementare fornita.
Il Professor McInnes sottolinea che, mentre i servizi spaziali tradizionali si concentrano su navigazione satellitare, telecomunicazioni e osservazione della Terra, la possibilità di fornire energia dallo spazio apre nuove opportunità per il futuro. Affrontare la sfida globale dell’energia pulita è cruciale nel XXI secolo, e SOLSPACE mira a dimostrare come la tecnologia spaziale possa contribuire significativamente a questo obiettivo.
Per ulteriori dettagli, è possibile visitare la pagina ufficiale del progetto sul sito dell’Università di Glasgow.
*Significato di Sostenibilità Ambientale: Riferito a pratiche o sistemi che preservano l’equilibrio ecologico, minimizzando l’impatto ambientale.
Confidiamo nella corretta valutazione dell’impatto sull’equilibrio ecologico sia da parte dei promotori del progetto che dell’Unione Europea.
Il documento “Indirizzi del Governo in materia spaziale e aerospaziale” delinea le priorità strategiche dell’Italia per il settore spaziale e aerospaziale, riconoscendolo come un ambito di importanza cruciale sia per la sicurezza nazionale che per lo sviluppo economico e tecnologico del Paese. Il settore spaziale non rappresenta solo una frontiera per l’innovazione scientifica e tecnologica, ma anche un asset fondamentale per la competitività industriale, la sostenibilità ambientale, e la crescita economica a lungo termine.
L’Italia, con una solida tradizione nel settore aerospaziale, punta a consolidare il proprio ruolo di protagonista a livello internazionale, rafforzando le collaborazioni europee e globali, supportando l’evoluzione delle capacità tecnologiche nazionali e garantendo un utilizzo responsabile e sostenibile delle risorse spaziali. Per raggiungere tali obiettivi, il governo ha articolato le sue strategie in quattro assi principali, che definiscono le linee guida per le politiche e le azioni future.
I quattro assi principali
Competitività industriale e tecnologica Questo asse mira a rafforzare l’industria spaziale e aerospaziale italiana, promuovendo l’innovazione tecnologica e incentivando investimenti pubblici e privati nel settore. L’obiettivo è creare un ecosistema industriale competitivo e resiliente, in grado di sviluppare prodotti e servizi avanzati per il mercato globale.
Sviluppo di capacità strategiche nazionali Viene data priorità alla realizzazione di infrastrutture e programmi spaziali nazionali che rafforzino la sovranità tecnologica dell’Italia. Questo include satelliti, sistemi di osservazione della Terra, comunicazioni sicure e iniziative per garantire la sicurezza e l’indipendenza tecnologica del Paese.
Cooperazione internazionale e ruolo europeo L’Italia intende consolidare la sua presenza nelle principali organizzazioni internazionali e nei programmi spaziali europei, come l’Agenzia Spaziale Europea (ESA). La cooperazione con partner globali e regionali è considerata fondamentale per ampliare l’accesso alle risorse spaziali, condividere conoscenze e promuovere la stabilità geopolitica.
Sostenibilità e responsabilità nell’uso dello spazio Questo asse pone l’accento sull’importanza di un utilizzo sostenibile e responsabile delle risorse spaziali. Si punta a sviluppare soluzioni innovative per ridurre i detriti spaziali, garantire la sicurezza delle missioni e promuovere l’adozione di standard internazionali per un uso etico dello spazio.
Il documento sottolinea l’importanza di un approccio integrato che coinvolga tutti gli attori del settore, tra cui istituzioni pubbliche, industria privata, università e centri di ricerca. Il governo si impegna a promuovere politiche di lungo termine, garantendo continuità e prevedibilità nelle azioni strategiche, essenziali per attrarre investimenti e stimolare l’innovazione.
Un altro elemento centrale è l’attenzione alla formazione e alla valorizzazione del capitale umano. Il governo intende supportare la creazione di programmi educativi specifici e percorsi formativi avanzati per preparare le nuove generazioni alle sfide del settore spaziale e aerospaziale, consolidando la leadership scientifica e tecnica italiana.
Infine, si riconosce il potenziale trasformativo dello spazio come leva per affrontare sfide globali, quali il cambiamento climatico, la sicurezza alimentare e lo sviluppo sostenibile. In questo contesto, l’Italia mira a posizionarsi come un partner di riferimento per soluzioni innovative e tecnologiche che favoriscano un futuro più sostenibile e sicuro per tutti.
Credito:
NASA, ESA, CSA, STScI, E. Lieb (Università di Denver), R. Lau (NSF NOIRLab), J. Hoffman (Università di Denver)
Gli astronomi, utilizzando il Telescopio Spaziale James Webb (NASA/ESA/CSA), hanno identificato due stelle responsabili della generazione di polvere ricca di carbonio a soli 5000 anni luce di distanza nella nostra galassia, la Via Lattea. Nel sistema Wolf-Rayet 140, quando le due stelle massicce si avvicinano nelle loro orbite allungate, i loro venti stellari collidono producendo polvere ricca di carbonio. Ogni otto anni, per alcuni mesi, le stelle formano un nuovo guscio di polvere che si espande verso l’esterno, potenzialmente contribuendo alla formazione di nuove stelle in altre parti della galassia.
Gli astronomi hanno a lungo cercato di comprendere come elementi come il carbonio, essenziale per la vita, si distribuiscano nell’Universo. Ora, il James Webb ha esaminato in dettaglio una fonte attiva di polvere ricca di carbonio nella Via Lattea: Wolf-Rayet 140, un sistema di due stelle massicce con un’orbita stretta ed ellittica. Quando le stelle si avvicinano (visibili come un punto bianco centrale nelle immagini del Webb), i loro venti stellari si scontrano, comprimendo il materiale e formando polvere ricca di carbonio. Le osservazioni del Webb mostrano 17 gusci di polvere che brillano nella luce del medio infrarosso, espandendosi a intervalli regolari nello spazio circostante.
Confrontate le due immagini nel medio infrarosso, scattate dal telescopio spaziale James Webb, di Wolf-Rayet 140, un sistema di gusci di polvere espulsi da due stelle massicce che si trovano in un’orbita allungata. Due triangoli sono abbinati per mostrare quanta differenza facciano 14 mesi: la polvere si allontana dalle stelle centrali a quasi l’1% della velocità della luce e non si allinea più nella terza immagine. Quando i venti delle stelle massicce, che sono sepolte nella regione centrale bianca nella prima e nella seconda immagine, si scontrano e quel materiale si comprime, forma polvere ricca di carbonio che si allontana dalle stelle. Ciò avviene per alcuni mesi durante ogni orbita di otto anni, il che è uno dei motivi per cui la polvere non viene “spruzzata” in modo uniforme attorno alle stelle per formare gusci completi. Wolf-Rayet 140 si trova a poco più di 5000 anni luce di distanza nella nostra galassia, la Via Lattea. Descrizione dell’immagine: Un grafico in tre parti che mostra le osservazioni di Wolf-Rayet 140, due stelle massicce con 17 gusci di polvere attorno a loro. Credito: NASA, ESA, CSA, STScI, E. Lieb (Università di Denver), R. Lau (NSF NOIRLab), J. Hoffman (Università di Denver)
“Il telescopio ha confermato che questi gusci di polvere sono reali, e i suoi dati hanno mostrato che si stanno muovendo verso l’esterno a velocità costanti, rivelando cambiamenti visibili in periodi di tempo incredibilmente brevi“, ha affermato Emma Lieb, autrice principale del nuovo studio e dottoranda presso l’Università di Denver in Colorado.
Ogni guscio si allontana dalle stelle a oltre 2600 chilometri al secondo, quasi l’1% della velocità della luce. “Siamo abituati a pensare che gli eventi nello spazio avvengano lentamente, su milioni o miliardi di anni“, ha aggiunto Jennifer Hoffman, coautrice e professoressa all’Università di Denver. “In questo sistema, l’osservatorio mostra che i gusci di polvere si stanno espandendo da un anno all’altro.“
“Vedere il movimento reale di questi gusci tra le osservazioni del Webb, effettuate a soli 13 mesi di distanza, è davvero notevole“, ha dichiarato Olivia Jones, coautrice presso l’UK Astronomy Technology Centre di Edimburgo. “Questi nuovi risultati ci offrono una prima visione del potenziale ruolo di tali binarie massicce come fabbriche di polvere nell’Universo.“
Come un orologio, i venti delle stelle generano polvere per diversi mesi ogni otto anni, quando la coppia si avvicina maggiormente durante la loro ampia orbita ellittica. Il JWST mostra anche dove la polvere si raffredda e si disperde nello spazio interstellare. La polvere prodotta da sistemi come Wolf-Rayet 140 potrebbe contribuire alla formazione di nuove stelle e pianeti, arricchendo il mezzo interstellare con elementi pesanti.
Queste osservazioni forniscono una comprensione più profonda dei processi che distribuiscono elementi essenziali per la vita nell’Universo e sottolineano l’importanza di sistemi binari massicci nella produzione di polvere cosmica.
Oggi giunge al Perielio la C/2024 G3 ATLAS transitando a soli 14 milioni di chilometri di distanza dal Sole. L’oggetto sembrava destinato alla disintegrazione proprio per la piccola distanza del passaggio ma invece sembra resistere. Le immagini della camera LASCO 3 installata sulla sonda solare SOHO la mostrano in queste ore luminosissima e con una notevole coda. Purtroppo le condizioni di visibilità sono attualmente estreme con l’ oggetto a soli 5° dal Sole. Per l’ emisfero boreale rimarranno difficilissime mentre miglioreranno nei prossimi giorni in quello australe. Data la luminosità raggiunta vale comunque la pena tentare l’osservazione da stasera e per le prossime due-tre serate appena dopo il tramonto del Sole quando, pur tra l’intensa luce ancora presente, la ATLAS dovrebbe mostrarsi in binocoli e telescopi. Addirittura è potenzialmente visibile in pieno giorno usando opportuni accorgimenti. Io ci sono riuscito nella mattinata del 13/1 alle 10.35.
La cometa ripresa nelle vicinanze del Sole dalla camera LASCO 3 della sonda SOHO. Crediti: NASA. Software https://www.jhelioviewer.org/
Di seguito il report dell’autore:
Oggi 13/1 alle 10.35 ho tentato l’osservazione di questa cometa posta a nemmeno 5° dal Sole con i binocoli 20×90 e 25×100. Da calcoli sapevo quando e dove avrebbe scavalcato la cresta rocciosa che domina il mio paese, anticipando il Sole di qualche minuto. Sono riuscito a vederla prima con il binocolo più grande è poi anche con l’altro, ben staccata dal fondo cielo. Visibile anche un accenno di coda cortissima. L’ho seguita per pochi minuti prima che dalla cresta comparisse il sole. Credo la sua luminosità possa essere attorno alla -4 mag.
“Il 24 dicembre, AES Andes, una sussidiaria della società elettrica statunitense AES Corporation, ha presentato il progetto di un enorme complesso industriale per la valutazione dell’impatto ambientale. Questo complesso minaccia i cieli incontaminati sopra l’Osservatorio Paranal dell’ESO nel deserto di Atacama in Cile, il più buio e limpido di tutti gli osservatori astronomici al mondo [1]. Il megaprogetto industriale dovrebbe essere installato a soli 5-11 chilometri dai telescopi di Paranal, il che causerebbe danni irreparabili alle osservazioni astronomiche, in particolare a causa dell’inquinamento luminoso emesso durante il periodo di funzionamento del progetto. Il ricollocamento del complesso salverebbe uno degli ultimi cieli oscuri veramente incontaminati della Terra.”
Con queste parole l’Osservatorio Europeo Australe (ESO) ha espresso la forte preoccupazione per un progetto industriale pianificato nelle immediate vicinanze dei suoi osservatori situati nel deserto di Atacama, in Cile, una regione riconosciuta a livello internazionale come uno dei migliori siti al mondo per l’osservazione astronomica, grazie alla straordinaria qualità dei suoi cieli notturni, caratterizzati da un’eccezionale limpidezza e oscurità.
Il progetto in questione potrebbe avere un impatto significativo sulla qualità dell’ambiente notturno, compromettendo la capacità degli astronomi di effettuare osservazioni di alta precisione. Le attività industriali possono generare inquinamento luminoso, atmosferico e acustico, tutti fattori che rappresentano una minaccia per le sofisticate operazioni astronomiche condotte dagli osservatori dell’ESO. La riduzione della qualità dei cieli notturni potrebbe limitare la capacità di raccogliere dati preziosi per la comprensione dell’universo e ostacolare la realizzazione di scoperte fondamentali.
L’ESO ha ribadito l’importanza di preservare l’integrità dei cieli notturni del deserto di Atacama, un patrimonio naturale che non solo serve la scienza, ma rappresenta anche un valore inestimabile per l’umanità. La ricerca astronomica condotta in questa regione ha portato a scoperte rivoluzionarie, inclusi importanti contributi alla comprensione della formazione delle galassie, dei pianeti extrasolari e della materia oscura.
La Via Lattea segna un arco evidente nel Cielo del deserto di Atacama. Lo scatto evidenzia la qualità del cielo in questa zona dell’America Meridionale. Crediti: @ESO
L’organizzazione ha invitato tutte le parti coinvolte a considerare attentamente l’impatto ambientale di qualsiasi attività industriale nella zona. È essenziale che lo sviluppo economico e industriale sia bilanciato con la necessità di proteggere il patrimonio scientifico e naturale rappresentato dai cieli di Atacama. L’ESO ha inoltre auspicato un dialogo costruttivo tra governi, aziende e comunità scientifica, al fine di individuare soluzioni che consentano di conciliare lo sviluppo economico con la tutela delle risorse naturali fondamentali per la scienza astronomica.
In un contesto globale in cui la protezione dell’ambiente e delle risorse naturali è sempre più centrale, l’ESO ha sottolineato che la salvaguardia dei cieli notturni del deserto di Atacama deve diventare una priorità per tutte le parti coinvolte. Questo approccio non solo garantirebbe il proseguimento delle scoperte scientifiche, ma rappresenterebbe anche un esempio virtuoso di come lo sviluppo sostenibile possa essere realizzato in armonia con la conservazione dell’ambiente.
La Redazione di Coelum Astronomia condivide pienamente le preoccupazioni espresse dall’Osservatorio Europeo Australe (ESO). Compromettere l’accesso da terra ai cieli limpidi del deserto di Atacama significa limitare fortemente la capacità dell’astronomia di indagare l’universo e svelarne i misteri. Questo rischio si aggiunge alle già difficili sfide che la comunità scientifica deve affrontare per contrastare la proliferazione incontrollata di satelliti in orbita, spesso lanciati per scopi discutibili o non strettamente giustificati. Preservare l’oscurità e la qualità dei cieli notturni è fondamentale non solo per il progresso della conoscenza scientifica, ma anche per tutelare un patrimonio unico che appartiene all’intera umanità.
Nel pieno della pandemia, l’astrofilo Alessandro Ravagnin ha trasformato le restrizioni in un’opportunità, dando vita al FOTONICOntest, un progetto di astrofotografia condivisa. Da iniziative locali a collaborazioni globali, il progetto ha permesso ad astrofili di ogni livello di unire le forze per catturare immagini straordinarie di oggetti celesti, persino con l’ausilio di telescopi remoti in Cile. Questo articolo racconta come la passione per l’universo e la condivisione abbiano reso possibile un’esperienza unica e innovativa.
Il Target #1
NGC6188 – i Dragoni Belligeranti.
Il Target #2
Elaborazione finale di M83 vincitrice risutlato della fusione delle immagini di Ravagnin, Tiano, Bertocco e Privitera
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Archiviata la foto dei Dragoni di ARA, ci si è quindi concentrati sul soggetto principale del FOTONICOntest#4, quello che ha assorbito la maggior parte del budget raccolto: la galassia M83.
M83 è una galassia a spirale barrata intermedia, locata nella costellazione dell’Idra, ricca di nubi molecolari di idrogeno e zone di formazione stellare. Viene soprannominata “La Girandola del Sud” ed è una delle galassie più luminose ed estese del cielo intero.
Per riprenderla abbiamo usato il telescopio RC da 1 metro di diametro operante a focale piena (6.8 metri) con le pose a seguire:
17 pose da 300s bin 1 con filtro Luminanza
6 pose da 600s bin1 con filtro R
6 pose da 600s bin1 con filtro G
10 pose da 600s bin1 con filtro B
4 pose da 1200s bin1 in H-alpha
2 pose da 1200s bin1 in Oiii
Purtroppo le sessioni R e G dovevano bilanciare le 10 pose del canale Blu, ma a causa di una forte tempesta di neve sopraggiunta nella settimana scelta per le riprese (alla nostra torrida estate, corrisponde infatti normalmente un “tiepido” inverno cileno, cosa che quest’anno ovviamente non è accaduta), non son state completate correttamente e ci siamo fermati a soli 6 sub.
I risultati delle elaborazioni sono stati ovviamente più omogenei rispetto a quanto fatto coi Dragoni: la sfida questa volta è stato il bilanciamento dei colori della galassia e delle stelle nel campo di ripresa, nonché l’evidenziazione delle braccia esterne della spirale e delle fantastiche nubi molecolari di colore rosso fiammante.
E’ stato fatto anche un test di ripresa con un paio di pose da 1200s con filtro OIII, per chi volesse provare una composizione tendenzialmente inusuale per una galassia, ossia una HOO starless, volta ad evidenziare le nubi molecolari presenti sulle braccia della spirale.
Anche qui i vari partecipanti hanno interpretato in modo differente le varie elaborazioni, producendo risultati molto differenti gli uni dagli altri!
Epilogo
Giungiamo spediti alla conclusione di questo articolo, ringraziando sentitamente ogni singolo membro del gruppo, composto sia da vecchi amici che da nuovi simpatici conoscenti. Spero di aver trasmesso al lettore almeno in parte l’entusiasmo ed il divertimento che ha albergato per un paio di mesi all’interno del gruppo, creato ad hoc per l’evento e frequentato per due interi mesi da 15 persone che non si erano mai viste prima. Perché lo spirito del FOTONICOntest è proprio questo: non tanto gareggiare per fare la foto del secolo, ma divertirsi tutti assieme condividendo qualche ora del nostro prezioso tempo libero, cogliendo l’occasione per conoscere nuove persone attraverso i più moderni strumenti digitali.
Evento che verrà sicuramente ripetuto in futuro, sia con strumentazione propria che con la strumentazione remota sperduta in qualche angolo recondito del nostro pianeta e chi lo sa, in futuro, con qualche strumento ancora più grande del metro cileno.
Nel progetto ShaRA, l’astrofotografia condivisa si unisce alla collaborazione tra appassionati per esplorare l’universo attraverso telescopi remoti di classe professionale. Nato durante il periodo del COVID-19, il progetto offre una nuova prospettiva sull’astrofotografia, permettendo di catturare immagini straordinarie di oggetti celesti dell’emisfero australe. Questo articolo racconta come il team ShaRA sia cresciuto, superando sfide tecniche e condividendo la passione per la scoperta del cosmo.
Il Target
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Nel mosaico si possono ammirare tutte le foto elaborate dai 12 partecipanti, in ordine dall’alto al basso, da sinistra a destra: VikasChander, Marcella Botti, Antonio Loro, Andrea Bertocco, Egidio Vergani, Antonio Grizzuti, Massimo Di Fusco, Cristiano Trabuio, Giampaolo Michieletto, Rolando Ligustri, Alessandro Ravagnin, Vincenzo Fermo.
Commento di Marcella Botti
“Ho aderito a questo progetto perché fotografo con reflex e volevo cimentarmi nell’elaborazione di frame monocromatici. Sono entrata nel team ShaRA per pura curiosità e inizialmente volevo stare a guardare e non mi aspettavo certo tutta la professionalità, l’entusiasmo e la condivisione dei partecipanti e alla fine, travolta, ho partecipato attivamente. Un team veramente armonico dove le foto vengono fuse insieme per dar vita ad una mega elaborazione che tiene conto dei migliori risultati di ognuno.”
Commento di Egidio Vergani
“Sono sempre stato appassionato di fotografia, sopra e sotto il mare, ma durante il lock down per il Covid 19 mi sono messo a guardare le foto su internet del nostro Universo. Perché non provarci? Ho acquistato un telescopio di seconda mano (che non sapevo usare ma pian piano ho imparato), ho letto molti libri e riviste ed ho provato a collegarci una reflex per fotografare Saturno. Da li è esplosa la mia passione, ho migliorato l’attrezzatura e la pratica dal mio balcone di Milano. Curiosando su internet qualche anno fa mi sono imbattuto nel progetto di osservazione condivisa di nome FOTONICOntest, ho contattato Alessandro Ravagnin e gli ho mandato la mia foto di Orione. Da allora ho partecipato a tutte le edizioni del FOTONICOntest. Quando Alessandro mi ha chiesto se volevo partecipare alla condivisione di un telescopio remoto in Cile sono rimasto all’inizio perplesso, ma sapendo che nel gruppo, oltre a lui, c’erano anche altri validissimi astrofotografi e qualche neofita come me, ho accettato di buon grado la sua proposta. Subito dopo è nato il progetto ShaRA che ha portato ad una collaborazione sempre maggiore. Nessuno si è mai tirato indietro e devo molto a loro per gli insegnamenti che generosamente hanno dato ai meno esperti. Umiltà e passione sono i punti di forza di questo progetto. Forza ShaRA”
Nel quarto progetto del team ShaRA, “Bubbles & Bubble”, il gruppo esplora il complesso nebulare GUM14/15, due straordinarie nebulose a forma di bolla nella costellazione delle Vele. Durante il lavoro, viene scoperta la Spin Nebula (He 2-11), una nebulosa planetaria bipolare mai osservata prima in alta risoluzione da astrofili amatoriali. Questo articolo unisce scienza, tecnica e passione, mostrando come l’astrofotografia sia non solo arte, ma anche esplorazione e conoscenza.
Il Target
Immagine finale di GUM 14/15 ottenuta con la tecnica del Superstacking
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In questa seconda parte del progetto ShaRA#4, il team esplora il fascino oscuro di CG4, conosciuta come “Sandworm galattico”. La nebulosa, con la sua forma peculiare e inquietante, è un perfetto connubio di mistero e bellezza celeste. Attraverso immagini straordinarie e approfondimenti scientifici, scopriamo le peculiarità di questo globulo cometario e della galassia ESO 257-19, prospetticamente vicina. Un viaggio tra tecniche avanzate, curiosità astronomiche e il grande lavoro di squadra del team ShaRA.
Il Target
L’immagine finale di CG4 detto anche SandWorm galattico ottenuta con la tecnica del SuperStacking
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In questa quinta edizione di ShaRA, il team ci conduce alla scoperta della nebulosa Bat (LDN 43), esplora le sfide affrontate, dalla scelta dei target alle difficoltà tecniche, tra cui un difetto sul sensore che ha richiesto soluzioni creative. Il progetto dimostra ancora una volta come la collaborazione e la condivisione di esperienze possano trasformare ostacoli in opportunità di crescita. Un viaggio nell’astrofotografia che unisce tecnologia, passione e spirito di squadra.
Il Target
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In questo nuovo numero di ShaRA, il team ci conduce in un viaggio straordinario attraverso i segreti celati della costellazione di Orione. Un concentrato di meraviglie cosmiche, Orione è uno dei soggetti più iconici del cielo invernale, ma anche uno scrigno di tesori nascosti, come la peculiare nebulosa NGC 1999, soprannominata “La serratura”.
Con la consueta passione e competenza, Andrea Iorio, Alessandro Ravagnin e il team ShaRA ci raccontano le sfide e le soddisfazioni di catturare e processare immagini di questo straordinario oggetto celeste. Tra aloni fastidiosi, gradienti luminosi e dettagli intricati da enfatizzare, il risultato finale è frutto di un lavoro corale e di un’esperienza tecnica affinata nel tempo.
Se siete curiosi di scoprire come si combinano tecnologia, astrofotografia e spirito di squadra per rivelare la bellezza nascosta del nostro universo, questo articolo fa per voi. Buona lettura e cieli sereni!
Il Target
Il target della puntata n°6 di ShaRA team è NGC 1999, conosciuta anche come “Keyhole” (buco della serratura) per la sua peculiare morfologia.
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Il 4 gennaio 2025, si ripete la magia dello spettacolo a cui abbiamo assistito anche nel 2024, la Luna occulterà il pianeta Saturno investendolo a partire dal lato in ombra. In un evento di rara bellezza, la Luna, in fase di 5 giorni, occulterà il maestoso Saturno, creando uno dei momenti più suggestivi per gli appassionati di astronomia.
Un Concerto Celeste di Luce e Ombra
Nel tardo pomeriggio occhi rivolti a Sud-Ovest, alle ore 18:31, l’ombra della Luna inizierà a coprire Saturno. Sarà un fenomeno visibile in Italia fino alle 19:37, con il pianeta che sparirà dietro il disco lunare a partire dalla parte ovest-sudovest. L’altezza della Luna sarà di circa +30°, offrendo una visibilità ottimale per l’osservazione dell’occultazione.
Configurazione dell’inizio dell’occultazione sabato 4 gennaio a partire dalle ore 17:31 (Roma)
Il primo contatto tra la Luna e Saturno avverrà alle 18:43, quando Saturno, nascosto alla vista, sparirà nella parte oscura del nostro satellite. Questo momento misterioso, affascinante ed effimero durerà circa 47 minuti, e vedrà la riapparizione del pianeta intorno alle 19:30, quando Saturno emergerà dal bordo sud-est della Luna, situato a un’altezza di +24°, a poco a sud del cratere Janssen, uno dei più grandi e visibili sulla superficie lunare.
Configurazione dell’uscita di Saturno da dietro la Luna intorno alle 19:40 circa
La Luna sarà in fase 5 giorni vicina quindi al primo quarto con luminosità apparente mag -11.3 mentre Saturno brillerà a mag. +0.9.
L’uscita del pianeta dal bordo lunare sarà preceduta di circa 1 minuto dalla stella “85 Aqr”.
Preparati a Contemplare un Magico Incontro Cosmico
Se il tempo lo permetterà, armati di binocoli, telescopi o anche semplicemente a occhio nudo, si potrà osservare l’evento tuttavia il meteo non sembra essere clemente anche se delle zone di apertura ci saranno.
Le posizioni relative di Terra e Saturno rispetto al Sole sabato 4 gennaio alle ore 19:00. Manca la Luna per evidenti motivi di scala.
La mappa delle regioni in cui l’occultazione sarà visibile
Siamo alla prima notte del 2025 che allo scoccare della fatidica “mezzanotte” si apre con la ripartenza di un nuovo ciclo lunare mentre, una volta riacquistata la necessaria lucidità dopo una notte insonne, per vedere la prima Luna del nuovo anno dovremo attendere fin verso le ore 18:00 circa dell’1Gennaio quando nel gelido cielo invernale una bella falce di 1,8 giorni si appresterà a scendere sotto l’orizzonte tramontando alle ore 18:19. La Luna crescente porterà di sera in sera il nostro satellite a rendersi sempre meglio osservabile sia con una frazione illuminata sempre più estesa sia per la sua presenza nelle più comode ore della sera.
Alle ore 00:56 del 7 Gennaio il nostro satellite sarà in Primo Quarto alla distanza di 370031 km dalla Terra mentre per effettuare osservazioni al telescopio basterà attendere fin verso le ore 18:00 circa quando si troverà ad un’altezza di +58° poco prima del transito in meridiano (ore 18:37 a +60°), rendendosi visibile fino alle prime ore della notte seguente. Molto interessante orientare il telescopio sul settore meridionale della Luna avendo così a disposizione innumerevoli strutture crateriformi di qualsiasi dimensione in cui sarà possibile individuare una incredibile varietà di dettagli in modo particolare nella regione densamente craterizzata fra il terminatore sud e il bordo sud-sudest.
Al capolinea della fase crescente, alle ore 23:27 del 13 Gennaio, il nostro satellite sarà in Plenilunio alla distanza di 375891 km dal nostro pianeta, in fase di 14 giorni e con diametro apparente di 31.79’. Nessun timore a portare il telescopio sul balcone nonostante la Luna Piena, infatti, a prescindere dalle probabili condizioni meteo decisamente invernali, non è detto che uno splendente e quasi abbagliante globo lunare completamente illuminato non possa offrire l’occasione per qualche interessante osservazione. Nel caso specifico sul fondo del cratere Alphonsus sarà possibile individuare una serie di macchie nettamente più scure rispetto alla platea, quali testimonianze dell’antichissima ed anche indelebile attività vulcanica all’origine della formazione di questi depositi di materiali piroclastici. Inoltre nella medesima serata l’area del bacino da impatto Australe (settore lunare di sudest) si troverà in librazione decisamente favorevole. Dal Plenilunio ha inizio la fase calante in cui la Luna trasferisce progressivamente la sua osservabilità dalle ore serali fino alle più profonde ore della notte riducendo sempre più la porzione di suolo illuminato dal Sole.
In questo modo alle ore 21:31 del 21 Gennaio si ha l’Ultimo Quarto in fase di 21,9 giorni ma a -37° sotto l’orizzonte, mentre per osservare col telescopio basterà attendere la notte seguente quando sorgerà alle ore 01:07 e perfettamente visibile fin verso l’alba. Come semplice proposta osservativa posso consigliare di puntare il telescopio sui crateri Aristarchus e Grimaldi per individuare il notevole contrasto di luminosità esistente fra il picco centrale di Aristarchus rispetto alle parti più scure di Grimaldi, posti alle due estremità della specifica Scala di Elger con valori di 1 e 10 rispettivamente. Alle ore 13:36 del 29 Gennaio, al termine della fase calante, il nostro satellite sarà in Novilunio con la sua superfice completamente in ombra. Con la contestuale ripartenza di un ulteriore ciclo lunare, così come avviene ormai da circa 4/5 miliardi di anni, questo mese terminerà con la Luna che nella serata del 31 Gennaio esibirà una bella falce in fase di 2,2 giorni.
Congiunzioni Notevoli
Congiunzione Luna Venere
Alle ore 19:22 del 3 Gennaio 2025 la Luna in fase di 4 giorni ad un’altezza di +13° ed il pianeta Venere si avvicineranno fino ad una separazione di 1,4°. La Luna scenderà sotto l’orizzonte alle ore 20:47.
Occultazione Luna Saturno
Il 4 Gennaio 2025 nel tardo pomeriggio la Luna in fase di 5 giorni ad un’altezza di +30° occulterà il pianeta Saturno. Il primo contatto avverrà alle ore 18:43 dalla parte del settore ovest-sudovest ancora in ombra mentre Saturno riapparirà alle ore 19:30 in corrispondenza dell’estremo settore sudest della Luna (altezza +24°), poco a sud del vasto cratere Janssen. L’uscita del pianeta dal bordo lunare sarà preceduta di circa 1 minuto dalla stella “85 Aqr”.
Occultazione Luna Pleiadi
Nella nottata del 10 Gennaio 2025 alle ore 02:36 la Luna in fase di 10,7 giorni ad un’altezza di +15° andrà ad occultare l’ammasso aperto delle Pleiadi (M45), mentre alle ore 04:18 scenderà sotto l’orizzonte.
Congiunzione Luna Giove
Poco dopo la mezzanotte dell’11 Gennaio 2025 (ore 00:11) la Luna in fase di 11,6 giorni ad un’altezza di +56° ed il pianeta Giove andranno in congiunzione (piuttosto larga) avvicinandosi fino alla separazione di 5,4°.
Congiunzione Luna Marte
Nella tarda nottata del 14 Gennaio 2025 alle ore 05:42 la Luna in fase di 15 giorni ad un’altezza di +25° ed il pianeta Marte saranno in congiunzione fino ad una separazione minima di 0°27’.
Le FALCI lunari di Gennaio
Per questa tipologia di osservazioni primo appuntamento per il tardo pomeriggio dell’1 Gennaio con una sottile falce che alle ore 18:19 scenderà sotto l’orizzonte seguita dai pianeti Venere e Saturno. Considerata la vicinanza al tramonto del Sole ci sarà solo il tempo per qualche veloce foto.
La successiva serata, il 2 Gennaio, alle ore 19:33 tramonterà una più comoda falce di 2,8 giorni sulla cui superficie saranno possibili osservazioni lungo gran parte del bordo orientale su vaste porzioni dei bacini da impatto Crisium e Fecunditatis unitamente alle rispettive cuspidi nord e sud.
Per la Luna in fase calante appuntamento per la tarda nottata del 26 Gennaio con una falce lunare che sorgerà alle ore 05:23 in fase di 26 giorni e per il 27 Gennaio alle ore 06:18 con una falce di 27,3 giorni, esibendo entrambe vaste porzioni del settore più occidentale del nostro satellite. Per questa tipologia di osservazioni, oltre agli ormai noti parametri osservativi, risulterà determinante disporre di un orizzonte il più possibile libero da ostacoli. Sarà inoltre di fondamentale importanza evitare nel modo più assoluto di intercettare la luce solare al fine di evitare gravi danni, anche irreversibili, alla propria vista.
TABELLA DEGLI EVENTI LUNARI DI GENNAIO
Fase
Data
Ore
Sorge
Culmina
Tramonta
Distanza dalla Terra
Diam App
Separ.
Primo Quarto
07-gen
00:56
11:43
18:35
00:26
370031 km
32.29’
Luna Piena
13-gen
23:27
16:19
07:37
375891 km
31.79’
Ultimo Quarto
21-gen
21:31
00:05
05:36
10:58
408261 km
29.27’
Luna Nuova
29-gen
13:36
07:42
12:25
17:16
372178 km
32.11’
Luna Crescente
dal 01 al 13
Luna Calante
dal 14 al 29
Luna Crescente
Dal 30 al 31
Perigeo
07-gen
23:34
370174 km
32’16”
Apogeo
21-gen
04:54
404298 km
29’33”
Congiunzione Luna Venere
03-gen
19:22
20:47
1,4°
Occultazione Luna Saturno
04-gen
18:43
Occultazione Luna Pleiadi
10-gen
02:36
Congiunzione Luna Giove
11-gen
00:11
5,4°
Congiunzione Luna Polluce Marte
13-gen
23:21
Congiunzione Luna Marte
14-gen
05:42
0,27°
Congiunzione Luna Presepe
14-gen
22:49
2,8°
Congiunzione Luna Spica
21-gen
03:37
0,40°
Congiunzione Marte Polluce
21-gen
18:11
2,24°
LIBRAZIONI di Gennaio
Si precisa che, per ovvi motivi, non vengono indicati i giorni in cui i punti di massima Librazione si discostano dalla superficie lunare illuminata dal Sole.
08 Gennaio: Massima Librazione sud cratere Boussingault.
09 Gennaio: Massima Librazione sud cratere Boussingault.
10 Gennaio: Massima Librazione sud cratere Petrov (Sud bacino da impatto Australe).
11 Gennaio: Massima Librazione bacino da impatto Australe.
12 Gennaio: Massima Librazione bacino da impatto Australe.
13 Gennaio: Massima Librazione bacino da impatto Australe.
14 Gennaio: Massima Librazione bacino da impatto Australe.
22 Gennaio: Massima Librazione a nord cratere Anaximenes, Regione polare settentrionale.
23 Gennaio: Massima Librazione a nord cratere Pythagoras.
24 Gennaio: Massima Librazione a nord cratere Cleostratus.
25 Gennaio: Massima Librazione a nord cratere Xenophanes.
26 Gennaio: Massima Librazione a nord cratere Xenophanes.
27 Gennaio: Massima Librazione a ovest cratere Xenophanes.
Note:
– Dati e visibilità delle strutture lunari: Software “Stellarium” e “Virtual Moon Atlas”
– Ogni fenomeno lunare e rispettivi orari sono rapportati alla città di Roma, dati rilevati tramite software “Stellarium” e dal sito http://www.marcomenichelli.it/luna.asp
Il 2024 ci ha regalato un susseguirsi di eventi e traguardi straordinari, suscitando meraviglia e curiosità tanto tra gli studiosi quanto tra gli appassionati. Dai confini del nostro Sistema Solare fino alle profondità del cosmo, ripercorriamo insieme in questo fine anno le scoperte e le missioni che hanno arricchito e ridefinito la nostra comprensione dell’Universo.
25 anni di Gemini North e del Chandra X-ray Observatory
Quest’anno abbiamo celebrato due anniversari che hanno segnato la storia dell’astronomia moderna. Il telescopio Gemini North, situato sulle vette vulcaniche delle Hawaii, ha raggiunto il suo 25° anno di attività, offrendoci immagini eccezionali e nuove conoscenze cosmiche. Parallelamente, anche il Chandra X-ray Observatory ha festeggiato un quarto di secolo di servizio, fornendo dati fondamentali sulle sorgenti di raggi X, dai resti di stelle ai buchi neri, e offrendoci una nuova prospettiva sul lato più energetico e violento dell’universo.
Conquiste lunari e successi oltre la Terra.
La Cina, con la missione Chang’e-6, ha consolidato la sua presenza nella ricerca lunare, estendendo la sua esplorazione fino alla faccia nascosta del nostro satellite. Anche Intuitive Machines, con il lander lunare Odysseus, ha portato a termine un atterraggio senza intoppi sulla superficie lunare. Questi successi sono stati un segno tangibile dell’intensa attività che ha caratterizzato il ritorno alla Luna, sia per finalità scientifiche sia come preparazione a missioni interplanetarie.
Voyager 1: un messaggio dal profondo dello spazio.
In un momento toccante, Voyager 1 è riuscita a riprendere le comunicazioni con la Terra, un evento che ha ricordato l’incredibile portata della tecnologia umana, capace di mantenere un contatto con una delle sonde più lontane nello spazio interstellare. Dopo decenni di silenzio, il messaggio di Voyager è stato simbolo di continuità e resilienza per tutti coloro che guardano al di là del nostro mondo.
Il Sole e il cielo notturno in primo piano.
Il team di ricerca impegnato nella misurazione del raggio solare ha raggiunto risultati importanti, offrendo nuovi dettagli sulla struttura e i processi che animano la nostra stella. E gli appassionati di osservazione celeste hanno assistito a spettacolari aurore boreali nel mese di maggio, un fenomeno reso più intenso dall’attività solare in aumento, che ha illuminato i cieli con giochi di luce visibili a latitudini insolite.
Strumenti per il futuro dell’astronomia.
Nel campo della ricerca astronomica, il 2024 è stato anche l’anno delle grandi innovazioni tecnologiche. Il Vera C. Rubin Observatory, dotato della più grande fotocamera digitale mai costruita, ha iniziato a scrutare il cielo con dettagli senza precedenti. L’Agenzia Spaziale Europea ha poi approvato il progetto LISA (Laser Interferometer Space Antenna), una nuova missione che permetterà di osservare le onde gravitazionali, aprendo una finestra su fenomeni cosmici finora inesplorati. Il Congresso IAC a Milano: incontri e collaborazioni internazionali. A ottobre, Milano ha ospitato l’International Astronautical Congress (IAC), un’occasione unica di incontro per le menti più brillanti della scienza e della tecnologia spaziale. Coelum Astronomia ha documentato gli incontri, le collaborazioni internazionali e le proposte innovative che hanno delineato il futuro dell’esplorazione spaziale, catturando lo spirito pionieristico che ha pervaso il congresso.
Il 2024 è stato un anno di successi e crescita anche per Coelum Astronomia.
Il numero degli autori ha continuato ad aumentare, con oltre 40 collaboratori in ogni numero, che hanno contribuito con articoli su ricerca scientifica, strumentazione, osservazione e informazione astronomica. Anche il sito web ha registrato un successo straordinario, arricchendosi di una nuova funzione responsive per una lettura ottimizzata su dispositivi mobili, che ha portato a un’impennata di visite con picchi record. Il sito risponde ora agli standard di velocità più elevati, e i contenuti riservati agli iscritti sono stati incrementati per valorizzare l’esperienza degli utenti più affezionati.
È stato inoltre implementato un nuovo servizio di abbonamento, che integra la versione digitale e cartacea della rivista in una gestione unificata, con un servizio di spedizione più accurato per i lettori più esigenti. Tra le novità del 2024 spicca anche il rinnovo di PhotoCoelum, con una piattaforma più snella e partecipata, che ha visto oltre 50 caricamenti settimanali, consolidandosi come uno spazio di riferimento per l’astrofotografia.
Sul fronte editoriale, nuove rubriche come Science Citizen, dedicata alla scienza partecipativa, una sezione di Cosmologia e una collaborazione con Latitude 44.5 hanno arricchito ulteriormente i contenuti anche sui social. Nonostante alcune difficoltà logistiche, un sondaggio condotto ad agosto ha confermato l’alto gradimento dei lettori per la qualità della rivista, il suo stile grafico e il servizio clienti. Arrivano anche i progetti per il 2025: più pagine, nuovi servizi e un’attenzione maggiore alla scuola.
Guardando al futuro, Coelum ha già annunciato ambiziosi obiettivi per il 2025. La rivista aumenterà il numero di pagine per offrire contenuti ancora più approfonditi e si specializzerà nel settore della didattica, con una nuova area dedicata all’insegnamento delle discipline STEM. Il progetto, pensato per studenti e insegnanti, comprenderà servizi e contenuti esclusivi volti a promuovere l’educazione astronomica e scientifica.
Tra i progetti più sfidanti vi è il ritorno della sezione “Test”, per fornire ai lettori recensioni dettagliate su strumentazioni astronomiche e accessori, un traguardo che richiederà un notevole impegno ma che siamo determinati a raggiungere.
Infine, il 2024 ha visto l’avvio di un progetto rivolto al pubblico ispanofono, che ha gettato le basi per collaborazioni con istituti di ricerca spagnoli. Nel 2025, questo progetto si concretizzerà con la creazione di una sezione specifica del sito dedicata ai lettori di lingua spagnola, ampliando ulteriormente il raggio d’azione di Coelum.
Grazie a questi sviluppi e ai progetti in cantiere, Coelum Astronomia continuerà a innovare e a crescere fornendo sempre un’informazione selezionata sugli eventi astronomici e delle ricerca effettivamente determinanti, confermandosi un punto di riferimento nel panorama astronomico e scientifico, sempre attento a rispondere alle esigenze di un pubblico internazionale e appassionato.
Cari lettori, concludendo questo viaggio tra gli eventi più importanti del 2024, desidero ringraziarvi per aver condiviso con noi la vostra passione e curiosità per l’Universo. Auguro a tutti voi un sereno 2025, ricco di soddisfazioni personali, nuove scoperte e ispirazione, continuando a guardare al cielo con meraviglia.
Era l’autunno del 1604 quando l’astronomo tedesco Johannes Kepler (Keplero, per noi italiani) avanzò l’idea che la Stella di Betlemme potesse essere stata una supernova e da allora questa teoria ha avuto molti sostenitori.
La storia inizia tra il 16 e il 18 dicembre del 1603 quando Keplero aveva previsto la congiunzione di Giove con Saturno nel Sagittario.
La mattina del 16 dicembre l’astronomo era pronto a osservare ma i pianeti erano troppo vicini al Sole, pertanto, le cose non andarono alla meglio. Il giorno dopo, il 17 dicembre, quando i pianeti erano separati uno dall’altro di un solo grado, il tempo non fu clemente e così fino al giorno di Natale. Ma la mattina del 25 dicembre Keplero riuscì finalmente ad osservare Giove, Saturno e anche Mercurio formare un triangolo nel cielo. Keplero sapeva, in base ai calcoli effettuati, che anche Marte si sarebbe avvicinato a breve. E così quando Giove e Saturno si erano spostati di circa 8,5 gradi l’uno dall’altro, Marte si congiunse con Giove.
Poi all’improvviso la notte stessa in cui Giove e Marte si unirono, una supernova divampò nel mezzo di questo raggruppamento di pianeti. L’astronomo Kepler fu avvisato non appena apparve la supernova perché, con sua grande frustrazione, non fu in grado di vedere questa nuova luce fino a quando il cielo nuvoloso non si schiarì.
Keplero osservò questo straordinario incontro di pianeti e la nuova stella il 17 ottobre 1604 – a quel punto la supernova aveva una magnitudine negativa di 2,25, più luminosa anche di Giove.
La stella, oggi nota come stella di Keplero, brillava intensamente la sera ed era persino visibile di giorno, era situata ai piedi della costellazione di Ofiuco. Per diverso tempo rimase uno degli oggetti più luminosi del cielo notturno.
Disegno di Keplero raffigurante la stella nova (lettera N)
Keplero pubblicò i suoi risultati nel libro “De stella nova in pede Serpentarii”
Diagramma in “De stella nova in pede Serpentarii“. La Nova del 1604 è indicata in alto come un’esplosione. (Biblioteca Linda Hall)
Lo spettacolare incontro tra i pianeti, seguito dall’esplosione di una nuova stella, intrigarono Keplero e sollevarono domande nella sua mente.
Applicando la matematica dei moti planetari, fece i calcoli a ritroso nel corso dei secoli e giunse a una conclusione sorprendente. I suoi calcoli mostrarono che Giove e Saturno si erano uniti in una congiunzione nell’anno 7 a. C. e che anche Marte si era spostato nella stessa regione del cielo. Keplero affermò che la stella seguita dai Magi era l’equivalente della stella nova del 1604-5 e che era sorta durante una serie di congiunzioni planetarie correlate negli anni 7-5 a.C., che egli considerò come il periodo del concepimento di Cristo e del viaggio dei Magi a Betlemme. Keplero era affascinato dalla possibilità che la congiunzione planetaria fosse in qualche modo legata all’apparizione della nuova stella e che una sequenza simile di eventi fosse stata all’origine del fenomeno celeste raccontato nel vangelo secondo Matteo 2:9-10:
9 “Essi dunque, udito il re, partirono; ed ecco la stella che avevano veduta in Oriente, andava dinanzi a loro, finché, giunta al luogo dov’era il fanciullino, vi si fermò sopra”
10 “Ed essi, veduta la stella, si rallegrarono di grandissima allegrezza.”
L’interpretazione di Keplero della Stella Nova del 1604 intrecciò la scienza dell’astronomia con l’astrologia e la teologia nel tentativo di determinare la data di nascita corretta di Gesù.
La sua opera definitiva sulla data della nascita di Cristo fu descritta nel libro “De vero anno quo aeternus Dei Filius humanam naturam in utero benedictae Virginis Mariae assumpsit” (Francoforte, 1614).
In questo libro, quando arriva a considerare la Stella dei Magi, dice: ” Quella stella non era una normale cometa o una normale nuova stella, ma uno speciale miracolo passato nello strato più basso dell’atmosfera“.
La stella di Betlemme è un argomento che tocca scienza e religione e l’indagine di Keplero mostra quanto sia un campo problematico e insidioso quello in cui la scienza e le Scritture si incontrano.
La cometa C/2023 A3 Tsuchinshan-Atlas tramonta vicino alla bella chiesa di San Martino di Valle di Cadore creando un’atmosfera mistica richiamando alla mente uno dei simboli incontrastati del Natale con la sua caratteristica lunga coda, simbolo di salvezza, luce e speranza: ma qual è la sua vera storia?
L’unico Vangelo a parlare di un evento astronomico associato alla nascita di Gesù è quello di Matteo che racconta di una stella avvistata da alcuni Magi che la seguirono fino a raggiungere la casa del bambino, dove si fermarono ad adorarlo.
È nel 1303 che Giotto comincia a dipingere a Padova (Italia) la Cappella degli Scrovegni che comprende la raffigurazione dell’Adorazione dei Magi con la stella dotata di coda che arricchisce di un significato simbolico, poiché la chioma scintillante dell’astro indicherebbe ai Magi la direzione da prendere.
E’ da allora che la stella con la coda, così come la conosciamo anche oggi, entrò a pieno titolo nell’iconografia tradizionale della Natività.
Alcuni studiosi sostengono che ad ispirare Giotto potesse essere stato il passaggio della cometa di Halley che nel 1301 lasciò un ricordo indelebile.
E fu proprio il nome di Giotto che il mondo della scienza ha dato alla Missione con cui l’Agenzia Spaziale Europea che nel 1986 si avvicinò alla cometa di Halley per fotografarne il nucleo.
La gran parte degli studiosi, però, è propensa a credere che ‘la stella’ che guidò i Magi non fosse un singolo oggetto celeste, ma una congiunzione di pianeti.
Nel 1603 Keplero rimase ammaliato da una congiunzione tra Giove e Saturno, un fenomeno noto come Grande Congiunzione: l’astronomo, incuriosito, calcolò che un tale evento, dovuto all’allineamento in prospettiva dei due pianeti, si era già verificato in passato e in quel caso Giove e Saturno si sarebbero avvicinati per ben tre volte in otto mesi, tra l’aprile del 7 a.C. e il gennaio del 6 a.C., un periodo adatto per percorrere il tragitto dalla Persia alla Giudea.
L’evento carico di un complesso simbolismo regale per i sacerdoti dell’epoca poteva essere interpretato dai ministri di culto, astronomi e astrologi quali erano i Magi.
Dopo duemila anni si susseguono ancora interpretazioni e studi per la stella di Betlemme che permettano di dire se la stella dei Magi sia esistita davvero,
di certo ha un grande valore simbolico, mostrando quanto i cieli abbiano influito ed influiscano sulla vita terrena.
a cura di Alessandra Masi
Cari Lettori di Coelum Astronomia,
con l’arrivo delle festività, desideriamo dedicarvi un pensiero speciale di gratitudine e di augurio. Il vostro entusiasmo e la vostra passione per l’astronomia e la scienza sono per noi una costante fonte di ispirazione.
Grazie per aver condiviso con noi un altro anno ricco di scoperte, eventi astronomici e curiosità dal cosmo. Siete voi a rendere ogni edizione di Coelum un viaggio straordinario tra le stelle.
Vi auguriamo di trascorrere delle festività serene e luminose, con la speranza che il cielo stellato di queste notti invernali vi regali emozioni e meraviglia.
Che il 2025 porti con sé nuovi sogni, scoperte e cieli sempre più limpidi da osservare. Noi continueremo a essere al vostro fianco, esplorando insieme l’universo.
Buone Feste e Felice Anno Nuovo!
In questo momento speciale, non dimentichiamo l’importanza della solidarietà. Con la nostra iniziativa “Coelum per la Scuola”, il prossimo anno ben 80 scuole riceveranno un abbonamento alla rivista, portando la meraviglia del cielo e della scienza a tanti giovani studenti. Vi invitiamo a contribuire a questa iniziativa: insieme possiamo fare ancora di più per avvicinare le nuove generazioni alla bellezza dell’astronomia.
Con affetto, La Redazione di Coelum Astronomia
Quest’anno, Coelum Astronomia sceglie di celebrare il Natale con un gesto concreto di solidarietà e supporto alla formazione scolastica. Dal 1° dicembre 2024 al 6 gennaio 2025, per ogni abbonamento sottoscritto o rinnovato, Coelum attiverà due abbonamenti gratuiti a favore di istituti scolastici di secondo grado.
Perché lo facciamo?
Crediamo che la divulgazione scientifica debba raggiungere anche i più giovani e che le scuole siano il terreno fertile per seminare curiosità, passione e conoscenza. Con questa iniziativa, vogliamo contribuire a portare più scienza nelle aule, arricchendo il percorso educativo degli studenti.
Come funziona l’iniziativa?
1️⃣ Ogni abbonamento, due omaggi scolastici Per ogni abbonamento sottoscritto o rinnovato durante il periodo natalizio, due istituti scolastici di secondo grado riceveranno un abbonamento gratuito a Coelum Astronomia, valido per un anno.
2️⃣ Una lettera speciale nel primo numero Gli istituti selezionati riceveranno il primo numero dell’abbonamento accompagnato da una lettera che presenterà l’iniziativa e il valore educativo della rivista.
3️⃣ Il tuo contributo conta! Gli abbonati potranno segnalare le scuole che desiderano includere nell’iniziativa. Inoltre, sarà possibile scegliere se essere citati nella lettera inviata all’istituto oppure mantenere l’anonimato. Se non ci sono segnalazioni, Coelum sceglierà le scuole beneficiarie in base a criteri di necessità e interesse.
Un impegno a lungo termine per le scuole
Questa iniziativa si inserisce in un programma più ampio che Coelum dedicherà agli istituti scolastici per tutto il 2025. Con la nostra rubrica didattica già esistente e nuovi servizi in arrivo, puntiamo a supportare sempre di più gli insegnanti di materie scientifiche (STEM) e a promuovere l’astronomia e l’aerospazio come strumenti per ispirare gli studenti.
Unisciti a noi e fai la differenza!
Con un semplice abbonamento, puoi regalare conoscenza e ispirazione a centinaia di studenti in tutta Italia. Non è solo un dono per te, ma un contributo tangibile alla crescita educativa delle nuove generazioni.
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