La data di lancio per il telescopio spaziale James Webb è stata rinviata.
La partenza non avverrà prima del 22 dicembre prossimo, per consentire altri check a seguito di un recente incidente verificatosi durante i preparativi della missione.
La NASA riporta che l’incidente è avvenuto presso l’impianto di preparazione del satellite a Kourou nella Guinea francese, sotto la direzione di Arianespace. I tecnici si stavano preparando ad agganciare Webb (costato 10 miliardi di dollari) ad un adattatore per il veicolo di lancio, quando un distacco improvviso di una fascetta – che fissa il telescopio all’adattatore – ha provocato una vibrazione in tutta la struttura.
E’ stato subito convocato un comitato di revisione per valutare con assoluta sicurezza che l’incidente non abbia danneggiato alcun componente. La NASA e i partner della missione forniranno aggiornamenti non appena i test saranno completati.
Il lancio di Webb era stato precedentemente programmato per il 18 dicembre sul razzo Ariane 5 dell’Arianespace (società di lancio francese responsabile della missione).
Il Webb Space Telescope è una collaborazione internazionale tra le agenzie spaziali americane, europee e canadesi. Il telescopio, dotato di uno specchio primario di circa 6,5 metri, aprirà nuovi orizzonti per l’astronomia a raggi infrarossi. Sfruttando questo metodo d’indagine, il progetto vuole esplorare le origini del cosmo, dall’interno del nostro Sistema Solare alle galassie osservabili più lontane.
Non è la prima volta che la data di lancio viene rimandata. Pandemia, problemi tecnici e nuovi test sulla strumentazione hanno fatto slittare la partenza – inizialmente prevista a marzo 2021 – al 31 ottobre, poi nuovamente al 18 dicembre. Questo nuovo e imprevisto cambio di programma non fa che accrescere il fermento e le aspettative legate a questo degno successore del famoso Hubble.
È possibile deviare un asteroide che rischia di impattare il nostro pianeta?
È in programma il 24 novembre alle 7:20 (ora italiana) il lancio del Double Asteroid Redirection Test (DART), la prima missione per la difesa planetaria che vuole fornire una risposta a questa domanda.
La sonda, targata NASA, vede la collaborazione dei principali centri di ricerca dell’agenzia spaziale americana: il Johns Hopkins Applied Physics Laboratory (APL), il Jet Propulsion Laboratory (JPL), il Goddard Space Flight Center (GSFC), il Johnson Space Center (JSC), il Glenn Research Center (GRC) e il Langley Research Center (LaRC).
DART è un cosiddetto impattore cinetico, il cui scopo principale è quello di modificare l’orbita di un asteroide così da evitare che questo incontri il nostro pianeta lungo la sua traiettoria.
L’obiettivo della missione è l’asteroide lunare Dimorphos (160 m di diametro), che ruota attorno all’asteroide più grande Didymos (che ha un diametro di 780 m).
La sonda raggiungerà Dimorphos nell’autunno del 2022. DART avrà un impatto quasi frontale su Dimorphos, riducendo di diversi minuti il tempo necessario al piccolo asteroide per orbitare attorno a Didymos. L’impatto sarà monitorato dai telescopi di tutto il mondo, ma soprattutto da LICIACube, un cubesat tutto italiano, finanziato e coordinato dall’Agenzia Spaziale Italiana (ASI).
«LICIACube avrà il compito principale di acquisire tutte le immagini possibili che descrivano la scena di impatto di DART e l’evoluzione dei detriti che si solleveranno per via dell’impatto, e lo farà con le sue due camere, Leia e Luke» dice Angelo Zinzi, tecnologo ASI e responsabile dello Science Operations Center «Leia, grazie alla sua alta risoluzione, sarà in grado di mostrarci nel dettaglio il punto di impatto, mentre Luke, avendo un campo di vista più ampio, avrà modo di inquadrare la gran parte del materiale espulso e raccontarci la sua evoluzione».
Specifichiamo che l’asteroide bersaglio di DART non è una minaccia per la Terra. Questo sistema binario di asteroidi è però il banco di prova perfetto per verificare se lo schianto intenzionale di un veicolo spaziale contro un asteroide sia un modo efficace per cambiarne la rotta, nel caso in cui rischi di impattare il nostro pianeta.
La NASA sottolinea che per i prossimi 100 anni nessun asteroide noto di dimensioni superiori a 140 metri si trovi in rotta di collisione con la Terra. Ma – precisano – solo il 40% circa di questi asteroidi è stato finora identificato (dati aggiornati a ottobre 2021).
Monitorare i NEOs (Near-Earth objects) è fondamentale per tracciare e rilevare questi oggetti potenzialmente pericolosi, proprio per questo la NASA ha istituito il Planetary Defense Coordination Office (PDCO), in modo tale da coordinare i suoi sforzi di difesa planetaria. Inoltre, dal 2015 si celebra la Giornata Mondiale degli Asteroidi (International Asteroid Day), nata con lo scopo di aumentare la conoscenza degli asteroidi e di cosa si può fare per evitare eventi catastrofici che coinvolgano la Terra. La data scelta per la ricorrenza è il 30 giugno con riferimento all’evento di Tunguska (30 giugno 1908), il maggior evento di impatto accaduto sulla Terra e di cui sia accertata la data di accadimento.
Sappiamo bene quanto sia disastroso un evento simile a quello di Tunguska, oppure pensiamo all’impatto che 65 milioni di anni fa ha contribuito all’estinzione del 75 % delle specie viventi. Campagne di informazione e importanti progetti scientifici sono quindi senz’altro i primi importanti passi per la difesa della nostra Terra.
Con la sapienza di chi sa usare molto bene gli strumenti del mestiere, Balbi in quest’opera da prova non solo della sua assoluta conoscenza dei temi trattati ma si dimostra un abile divulgatore quale è.
L’idea vincente è una trama tessuta con argomenti caldi e di generale interesse spesso richiamati dalla fantascienza, disciplina a cui lo stesso autore si rivolge di frequente per spezzare un ritmo che può risultare pesante martellando su temi troppo complessi. Il testo in sé offre un momento rigenerante e rinfrescante per le menti dei lettori.
Lo spunto e il filo conduttore è la teoria della relatività di Einstein, da quella ristretta alla generale. Un dialogo a doppio filo con la natura della luce e la sua intrinseca velocità.
La teoria di Einstein, che ad oggi non ha mai mancato un appuntamento con la conferma della sua validità, è l’appiglio da cui partire per affrontare temi su cui speculare è facile; ma quando poi si decide di attenersi alle “regole” di interpretazione e rimanere nei confini segnati dalla teoria, vede ridurre sostanzialmente il numero delle opzioni valide.
Così funziona con i viaggi nello spazio/tempo, come per il limite invalicabile della velocità della luce, così per i wormhole e i buchi neri o bianchi, o ancora per l’accoppiamento meccanica quantistica/relatività generale.
Balbi in questo libro indica, fra tutte le soluzioni di fantasia pubblicate a queste ipotesi, solo quelle realistiche e realizzabili. Quelle che in termini tecnici la ricerca considera come ammissibili.
Il linguaggio è vivace e tutti i capitoli scorrono davvero piacevolmente. Sono evitate le dimostrazioni matematiche e ciò vale anche per le formule. Le uniche davvero citate, sono quelle che godono di un’incidenza fondamentale nella descrizione del funzionamento del cosmo così come ora ci appare.
Come ci appare infatti e non come realmente è, poiché l’autore non trascura i passaggi poco chiari e i dubbi ancora irrisolti, con il voluto intento di lasciare respiro e porte aperte a nuove ipotesi.
Il testo è un’ottima introduzione a chi è neofita sul tema della relatività e delle sue implicazioni. Una buona sintesi da un lato ed anche una buona selezione dall’altro, non tutte le molteplici intuizioni che ne possono derivare infatti meritano veramente attenzione.
Stimolare una sana curiosità a cimentarsi in specifici approfondimenti è un obiettivo ampiamente raggiunto.
E se poi i temi e i concetti affrontati sono familiari, lo consigliamo per un buon ripasso, reso piacevole da simpatici aneddoti fantascientifici.
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Biografia
Amedeo Balbi (Roma 1971), astrofisico, è professore associato all’Università di Roma “Tor Vergata”. Sul fronte della divulgazione, cura da anni una rubrica sul mensile «Le Scienze», ha collaborato con programmi radio e tv e scritto per diverse testate, tra cui «il Post», «La Stampa» e «la Repubblica». Fra i suoi libri: Cercatori di meraviglia (Rizzoli 2014; Premio Nazionale di Divulgazione Scientifica 2015), Dove sono tutti quanti? (Rizzoli 2016) e L’ultimo orizzonte (UTET 2019; Premio Asimov 2021). Ha un canale YouTube molto seguito, dove spiega in modo semplice e coinvolgente concetti di fisica e astrofisica.
Nella serata del 19 novembre, un’eclissi lunare parziale ricompenserà i pazienti osservatori del cielo con la vista di una Luna insolita e da una tonalità rossastra.
L’eclissi di Luna si verifica quando il nostro satellite passa nel cono d’ombra della Terra. Questa volta, la fase d’eclissi durerà 3 ore, 28 minuti e 24 secondi, rendendola l’eclissi parziale più lunga degli ultimi 580 anni.
L’Osservatorio di Holcomb dell’Indiana afferma: «All’apice dell’eclissi, la faccia della Luna sarà coperta per il 97% dall’ombra terrestre, con molta probabilità potremo ammirare un colore rosso intenso».
Tradizionalmente la Luna di novembre è detta come Beaver Moon, quando, come afferma il detto comune, “i castori si preparano per l’inverno”. La sua visibilità sarà buona in tutte le Americhe, gran parte dell’Asia, parti dell’Europa e dell’Africa Occidentale. Come ricorda l’autore dell’articolo sul sito NASA «Questa eclissi, proprio perché parziale, potrebbe non essere spettacolare come quelle totali, ma esse si verificano più frequentemente e garantiscono comunque un’osservazione entusiasmante e l’occasione per ammirare anche i più piccoli cambiamenti del nostro Sistema Solare.
ORA E DURATA DELL’ECLISSI
Il picco del fenomeno è previsto per le 04:02 EST – 09:02 GMT. L’evento sarà visibile dal Nord e Sud America, dall’Australia e da parti dell’Europa e dell’Asia. Ricordiamo che EST è il fuso orario della costa orientale degli Stati Uniti.
Quattro come sempre le fasi principali. All’01:02 EST (06:02 GMT) la Luna entrerà nella penombra, o la parte più chiara dell’ombra lunare. Un passaggio difficile da individuare senza un’attrezzatura idonea perché l’oscuramento sarà molto leggero.
La Luna entrerà quindi nel cono d’ombra, la zona più scura, alle 02:18 EST (07:18 GMT). E questo il momento dello spettacolo maggiore quando il satellite sarà inondato da rosso scuro o marrone, con una copertura del 97% della superficie visibile. Il restante 3% sarà nella parte sud del suolo lunare, ancora esposto ai raggi solari.
Lo spettacolo durerà circa 3 ore e 30 minuti, fino a quando il satellite non uscirà dall’ombra alle 05:47 del mattino (10:47 GMT). L’eclissi terminerà alle 06:03 EST (12:03 GMT).
I momenti di avvicinamento alla fase di oscurazione potrebbero risultare difficili all’osservazione non solo per l’esiguità dell’ombra, un velo molto leggero sul nostro satellite, ma anche a causa di fattori esterni quali ad esempio l’inquinamento luminoso o presenza di troppa umidità nell’aria. Senza dimenticare che bisogna sempre sperare in un fattore meteo favorevole.
LUOGHI DELL’ECLISSI
L’eclissi sarà visibile a seconda della località, i più fortunati saranno gli osservatori dell’America Settentrionale e dell’Asia Orientale.
Mappa che mostra la visibilità dell’eclissi lunare parziale del 18-19 novembre. Le aree più scure indicano una maggiore visibilità. (Fonte: NASA)
Il Sud America vedrà la maggior parte dell’eclissi prima del tramonto della Luna. L’Europa e l’Africa occidentale vedranno parte dell’inizio dell’eclissi, mentre l’Asia centrale e l’Australia vedranno l’evento quando la Luna starà per sorgere.
SUGGERIMENTI PER UNA BUONA OSSERVAZIONE
La visione di un’eclissi lunare non richiede attrezzature speciali. Anzi, anche ad occhio nudo ogni dettaglio sarà ben visibile. Per migliorare l’osservazione tuttavia, si può usare un binocolo o un piccolo telescopio. Quest’ultimo in particolare offrirà la vista accurata dei crateri si un inusuale colore.
L’abbigliamento deve essere consono al periodo dell’anno, non è ancora inverno è vero ma le temperature basse anche a novembre si fanno sentire, inoltre per evitare problemi di condensa, è consigliabile portare qualsiasi attrezzatura all’esterno almeno mezz’ora prima dell’uso previsto.
Bisogna assicurarsi che gli occhi si adattino all’oscurità, il che richiederà almeno 20-30 minuti. La Luna è un bersaglio così luminoso che l’inquinamento luminoso probabilmente non sarà un problema, ma se si vuole guardare altri oggetti, è necessario stare il più lontano possibile dalle fonti di luce.
Teniamo a ricordare che in questi giorni, sarà possibile guardare anche altri eventi celesti. Venere, Giove e Saturno sono molto visibili nel cielo notturno e se, si rimane fuori abbastanza a lungo, si vedrà Marte sorgere al mattino. Avremo inoltre lo sciame delle Leonidi, anche se la Luna piena potrebbe minacciarne la visibilità coprendo con la sua luce le scie meno significative.
Si chiama TOLIMAN – come l’antico nome arabo di Alpha Centauri – il progetto guidato da Peter Tuthill dell’University of Sydney, destinato a seguire scrupolosamente le analisi sui dati raccolti dal Toliman telescope. Questa la nuova missione appena annunciata per scoprire pianeti potenzialmente in grado di ospitare la vita. Una collaborazione con le Breakthrough Initiatives, il Jet Propulsion Laboratory della NASA e la Sabre Astronautics.
La ricerca si concentrerà intorno al più prossimo sistema stellare della Terra a soli quattro anni luce da noi, ovvero quello di Alpha Centauri, in particolare nella fascia abitabile denominata Goldilocks (“riccioli d’oro”) dove le temperature sembrano adatte a permettere all’acqua di mantenersi stato liquido.
Gli studi sono incominciati nell’aprile di quest’anno e Peter Tuthill afferma di essere entusiasta dei nuovi dati: «Gli astronomi hanno accesso a tecnologie straordinarie che consentono di trovare migliaia di pianeti in orbita intorno alle stelle, in vaste aree della nostra galassia. Eppure non sappiamo quasi nulla del nostro vicinato celeste».
Tuthill e il suo team sostengono che questo è un punto cieco dell’astronomia e indagini più approfondite meritano di essere intraprese.
«Conoscere “i pianeti della porta accanto” è estremamente importante. Studiandone l’atmosfera e i processi chimici della superficie, si possono individuare le condizioni necessarie per una biosfera in grado di ospitare delle forme di vita».
Alpha Centauri è il sistema stellare più vicino alla Terra, collocato nella costellazione del Centauro. Ed è attorno alla terza stella di questo sistema stellare triplo, la nana rossa Proxima Centauri, che si trova un pianeta ipoteticamente abitabile.
Immagine simulata della binaria di Alpha Centauri attraverso la pupilla diffrattiva del Toliman telescope. (Fonte: Peter Tuthill)
Pete Klupar, ingegnere capo del programma astronomico Breakthrough Watch dichiara: «Questi pianeti vicini sono i luoghi nello spazio interstellare dove l’umanità potrebbe fare i primi passi, utilizzando da principio sonde robotiche».
Le Breakthrough Initiatives sono una serie di programmi di scienze spaziali mirati ad indagare sulle questioni fondamentali della vita nell’Universo ed alla ricerca di segnali provenienti dallo spazio inviati da eventuali civiltà extraterrestri. La missione TOLIMAN ha ricevuto il sostegno economico delle Breakthrough Initiatives e la Sabre Astronautics, compagnia di ingegneria spaziale che opera in Australia e Stati Uniti. Una sovvenzione in totale di 788.000 dollari destinati a sostenere lo sviluppo di tecnologie utili per la ricerca di mondi abitabili.
«Il segnale che stiamo cercando richiede una tecnologia nuova che faccia fare un salto di qualità!»ndice Klupar.
La missione TOLIMAN metterà in campo un telescopio spaziale progettato per effettuare misurazioni estremamente precise e che permetterà di rilevare le perturbazioni dei movimenti stellari: una delle tecniche più note e di successo per la rilevazione di esopianeti. La vera sfida sarà analizzare con precisione le caratteristiche di questi esopianeti così vicini a noi. Una sfida che con le nuove tecnologie i ricercatori e gli ingegneri spaziali non hanno timore di cogliere. Se c’è un pianeta idoneo alla vita intorno a Proxima Centauri, lo sapremo!
La ricerca di forme di vita su Marte si complica: le rocce del pianeta rosso potrebbero contenere numerosi tipi di depositi non biologici che appaiono simili a fossili.
È quanto emerge da una ricerca dell’University of Edinburgh, pubblicata recentemente sul Journal of the Geological Society.
Distinguere falsi fossili da quelle che potrebbero essere prove di vita antica sulla superficie marziana – forse abitata in passato – è la chiave per il successo delle missioni attuali e future.
Per identificare la causa della formazione di depositi così simili a composti organici, gli astrobiologi hanno testato diversi processi chimici conosciuti. Hanno identificato dozzine di processi – e chissà quanti altri ancora da scoprire! – che possono produrre strutture che imitano quelle di forme di vita microscopiche e semplici, come si evince dall’immagine qui sopra.
Tra i campioni realistici che questi processi possono creare ci sono depositi che sembrano cellule batteriche e molecole a base di carbonio che assomigliano molto ai mattoni di tutta la vita conosciuta. Poiché le biofirme possono essere imitate da processi non viventi, è probabile che l’origine di qualsiasi esemplare simile a un fossile trovato finora su Marte sia molto ambigua. Il team responsabile dello studio sta progettando un’analisi di ricerca interdisciplinare per far luce su come potrebbero formarsi questi depositi e quindi contribuire a migliorare i metodi di ricerca di forme di vita antica nel Sistema Solare.
Il Dr. Sean McMahon, membro del Rettorato in Astrobiologia presso la School of Physics and Astronomy dell’University of Edinburgh, ha dichiarato: «Ad un certo punto un rover su Marte troverà quasi sicuramente qualcosa che assomiglia molto a un fossile, quindi essere in grado di distinguerli con sicurezza dalle strutture e dalle sostanze prodotte dalle reazioni chimiche è vitale. Per ogni tipo di fossile là fuori, esiste almeno un processo non biologico che crea cose molto simili, quindi c’è un reale bisogno di migliorare la nostra comprensione di come si formano».
Il perché infatti si verificano tali fenomeni chimici è ancora poco compreso. La formazione di queste false biofirme potrebbe essere guidata da processi cinetici in presenza di acqua allo stato liquido e materia organica, ovvero le condizioni necessarie che potrebbero effettivamente dare origine e sostenere la vita.
Julie Cosmidis, professoressa associata di Geobiologia presso l’University of Oxford, ha dichiarato: «In passato siamo stati ingannati da processi che imitano la vita. In molte occasioni, oggetti che sembravano microbi fossili sono stati descritti in antiche rocce sulla Terra e persino in meteoriti di Marte, ma dopo un esame più approfondito si è scoperto che avevano origini non biologiche. Questo articolo è un ammonimento in cui chiediamo ulteriori ricerche sui processi che imitano la vita nel contesto di Marte, in modo da evitare di cadere nelle stesse trappole più e più volte».
Ieri mattina sulla ISS è stata attivata la procedura di emergenza da detriti spaziali. L’equipaggio a bordo della Stazione è stato portato nelle relative capsule per una ragione di sicurezza. I due cosmonauti Pyotr Dubrov, Anton Shkaplerov e l’astronauta Mark Vande Hei sono entrati nella capsula Soyuz MS-19, mentre l’equipaggio di Crew-3 è salito a bordo della capsula Dragon.
Si tratta di un’azione precauzionale standard quando una nube di detriti interseca l’orbita della ISS. Dai primi rilevamenti, anche se la ISS si è avvicinata ai detriti in più occasioni durante le diverse orbite, non è mai stato superato un limite critico di distanza. Alle 15:39 di ieri Roscosmos ha dichiarato che la ISS si trovava in Green Zone, e quindi non più in situazione di emergenza. Gli astronauti e cosmonauti inoltre sono rimasti a bordo delle rispettive capsule solo durante il primo passaggio dei detriti, avvenuto alle 9:30 di mattina, orario italiano. Il controllo missione della NASA tuttavia ha confermato che alcuni moduli della ISS sono rimasti isolati per diverse ore con lo scopo di garantire la sicurezza della Stazione.
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L’origine dei detriti
Non è la prima volta che la ISS deve effettuare un cambio di orbita per evitare detriti. Già lo scorso 10 novembre infatti la ISS ha dovuto evitare frammenti del Fengyun-1C: il satellite distrutto dalla Cina nel 2007 per dimostrare la sua capacità di possedere armi antisatellite. Notizia inizialmente poco chiara ma poi successivamente confermata dalle stesse autorità cinesi.
La dinamica di questo nuovo sventato incidente già nel weekend sembrava simile giacché alcune fonti militari americane hanno confermato che nel weekend la Russia ha tenuto un test ASAT di distruzione di un satellite. Stiamo parlando del Kosmos-1408 non più attivo dagli anni ’80. Altra conferma è arrivata dal tracciamento indipendente dell’azienda LeoLabs, specializzata nell’osservazione di oggetti in orbita. L’azienda ha rilevato detriti nella vicinanza del satellite in questione.
Tweet di Jonathan McDowell che rappresenta l’orbita del satellite russo Kosmos-1408, in viola, e quella della ISS, in blu. La parte rossa è invece il periodo in cui è stata attivata l’emergenza sulla ISS, che quindi coincide con l’intersezione con l’orbita del satellite russo.
La conferma ufficiale
Inizialmente, a partire dallo spostamento degli astronauti nelle capsule, la NASA e lo US Space Command non hanno fornito nessuna dichiarazione ufficiale. Nella serata del 15 novembre però il Dipartimento di Stato USA ha confermato che la Russia ha condotto un test antisatellite sparando nello spazio oltre 1500 detriti già tracciati e migliaia di altri frammenti più piccoli. La nube di detriti è attualmente sotto controllo sia da Terra che dagli astronauti sulla ISS.
Aggiornamento 16 novembre ore 00:20
Rilasciata la dichiarazione ufficiale dell’amministratore della NASA Nelson sull’emergenza da detriti spaziali scatenata dal test russo avvenuto ieri mattina. Nelson ha per la prima volta confermato ufficialmente che i detriti spaziali originati dal test sono gli stessi che hanno minacciato la ISS per tutta la giornata di oggi.
Nelson ha inoltre criticato pesantemente il test antisatellite russo, con parole piuttosto pesanti, affermando di esserci stata una insensatezza nell’aver generato dei detriti che hanno messo in pericolo sia gli astronauti americani e internazionali, ma anche quelli russi.
L’asteroide Kamo’oalewa potrebbe essere un frammento della Luna. Usando il Large Binocular Telescope (LBT) sul Monte Graham, gli astronomi dell’Università dell’Arizona hanno analizzato lo spettro della luce riflessa dell’oggetto celeste ed hanno trovato correlazioni molto strette con i silicati delle rocce lunari.
Poco si sa riguardo i “quasi-satelliti della Terra”, una classe di piccoli oggetti del Sistema solare che orbitano intorno al Sole, ma rimangono vicini al nostro pianeta. Solitamente hanno una debole luce riflessa, e sono difficili da osservare.
Kamo’oalewa è stato scoperto nel 2016. Fino ad oggi si sapeva ben poco riguardo la sua origine e la sua composizione rocciosa. Le nuove osservazioni suggeriscono che potrebbe essere un frammento lunare, lanciato nello spazio da un’antica collisione. L’asteroide ha le dimensioni di una ruota panoramica ed è difficilissimo da osservare ad occhio nudo. Di conseguenza, sono necessari i più potenti telescopi a nostra disposizione per carpirne i segreti.
Ben Sharkey, dottorando dell’Università dell’Arizona e principale autore della ricerca, dice: «Inizialmente, nonostante le tante osservazioni, non riuscivamo a trovare alcuna corrispondenza. Poi sfruttando i potenti telescopi dell’Arizona, siamo riusciti ad ottenere uno spettro di luce riflessa da 0,4 a 2,2 micron. Quando abbiamo riconosciuto delle analogie con il materiale lunare, è stato incredibile. Non potevamo crederci.».
I risultati degli spettrogrammi sono molti simili a quelli dei campioni di materiali lunare raccolti durante le missioni Apollo della NASA degli anni ’60 e ’70.
«Possono sicuramente esserci altri asteroidi con spettri simili, ma fino ad oggi non abbiamo trovato nulla che gli assomigli», conclude Sharkey.
Questa somiglianza e la prossimità alla Terra non sembra essere una coincidenza. «L’asteroide potrebbe essere stato espulso dai numerosi impatti che ci sono stati durante la formazione del nostro satellite», afferma Vishnu Reddy, professore associato di astronomia planetaria.
Per scoprire se le ipotesi degli astronomi dell’Università dell’Arizona sono fondate, la Cina prevede di lanciare una missione per raccogliere un campione di roccia da Kamo’oalewa nel 2024 e poi farlo analizzare sulla Terra. Questo asteroide suscita così tanto interesse anche perché è il più stabile dei cinque “quasi – satelliti” terrestri attualmente conosciuti. L’orbita di Kamoʻoalewa è molto simile a quella della Terra e, poiché orbita attorno al Sole con un periodo di circa 1 anno, segue di fatto un percorso quasi satellitare rispetto al nostro pianeta. Una volta l’anno, intorno ad aprile, l’asteroide si trova in una posizione favorevole per le osservazioni con i grandi telescopi terrestri: queste finestre di osservazione regolari permetteranno uno studio continuo di questo plausibile frammento lunare.
L’amministrazione Biden-Harris lo scorso martedì ha delineato la leadership della NASA per i prossimi anni, discutendo gli ultimi aggiornamenti sul progetto Artemis riguardo le future esplorazioni sulla Luna e Marte.
E’ stato deciso di sviluppare un nuovo lander lunare per ripotare gli astronauti sul nostro bianco satellite per la prima volta in oltre 50 anni.
Bill Nelson, amministratore della NASA, ha guidato la conservazione, tracciando il percorso per le prime missioni di Artemis. «Siamo soddisfatti della valutazione approfondita della Corte dei reclami federali degli Stati Uniti sul processo di selezione della fonte della NASA per il sistema di atterraggio umano (HLS) e abbiamo già ripreso le conversazioni con SpaceX. È chiaro che siamo entrambi ansiosi di tornare a lavorare insieme e stabilire una nuova cronologia per le nostre missioni dimostrative lunari iniziali.», ha detto Nelson, «Tornare sulla Luna nel modo più rapido e sicuro possibile è una priorità dell’agenzia. Tuttavia, con la recente causa e altri fattori, il primo atterraggio umano sotto Artemis probabilmente non sarà prima del 2025».
La speranza di un ritorno sul suolo lunare dovrebbe essere garantita da Artemis II e III, dove si include una missione dimostrativa di lander senza equipaggio, per poi procedere con l’atterraggio vero e proprio degli astronauti. Infine, dalla Luna si prevede l’invio di astronauti verso lo spazio profondo (circa 40.000 miglia dal nostro satellite) tramite Orion.
Nelson ha sottolineato che un atterraggio lunare è sempre stato ritardato in primo luogo da una mancanza di fondi, aggravatasi dalla pandemia da COVID-19. «In futuro, la NASA sta pianificando almeno dieci allunaggi, l’agenzia ha bisogno di aumenti significativi dei finanziamenti per la futura competizione dei lander, almeno a partire dal 2023».
La NASA sta riorganizzando i suoi programmi di volo spaziale umano. In cantiere non solo Artemis ma anche Gateway, un avamposto orbitante lunare che fornirà infrastrutture e funzionalità critiche per l’esplorazione a lungo termine sia della Luna che di Marte. Progetti condivisi con partner commerciali che la stessa NASA vuole incoraggiare.
«Quello che stiamo facendo è una delle grandi imprese dell’umanità», ha dichiarato il vice amministratore della NASA Pam Melroy «La sua portata da Orion a Gateway, sistemi di atterraggio umano, sistemi di terra, comunicazioni, tute spaziali e altro ancora – è sbalorditivo. Prima sulla Luna e poi su Marte. Siamo la NASA e dobbiamo accettare la sfida».
Verso la mezzanotte si avvicinerà al “mezzocielo superiore” (il punto in cui l’equatore celeste taglia il meridiano, che alle nostre latitudini è situato a circa 48° di altezza) l’inconfondibile Orione, accompagnato dal Toro, con la bella Aldebaran e le Pleiadi, Gemelli e Cane Maggiore con la lucente Sirio. Più in basso, il meridiano sarà attraversato dalla estesa ma debole costellazione dell’Eridano. Cigno e Pegaso si staranno dirigendo verso il tramonto sull’orizzonte ovest, mentre dalla parte opposta del cielo starà sorgendo il grande Leone, con Regolo.
Venere si trova nel suo miglior periodo di visibilità. Domina la nostra prima serata tramontando quasi tre ore dopo il Sole nelle vesti di Vespero stella della sera.
Giove popola il cielo della prima serata, inseguendo Venere, accompagnato da Saturno. Li vedremo bassi sull’orizzonte sudovest, fino alle 22 circa, quando tramonteranno.
Mercurio inosservabile in congiunzione con il Sole il 29 novembre lo ritroveremo nel cielo di Dicembre. Allo stesso modo Marte ancora inosservabile dopo la congiunzione eliaca dello scorso ottobre (rinchiuso nella botte dei Giganti Aloadi) tornerà visibile solo a dicembre inoltrato, poco prima delle luci dell’alba sull’orizzonte sudest.
Per quanto riguarda invece i lontani giganti ghiacciati Urano e Nettuno, in questa seconda metà del mese di Novembre attraversano il cielo della notte dopo aver superato l’opposizione a Sole. Un periodo favorevole per l’osservazione e le riprese in alta risoluzione (sempre tenendo conto della presenza ingombrante della Luna, in particolare per Urano), ma come sempre per osservare questi lontanissimi abitanti del nostro Sistema Solare è necessario l’uso di uno strumento.
Dalla sezione Photo Coelum. Scatto di Roberto Ortu
La notte del 19 Novembre, la Luna si troverà nella cornice della Costellazione del Toro, proprio a metà strada tra Aldebaran e le Pleiadi. Purtroppo la sua luminosità, in fase di Luna Piena, renderà difficile l’osservazione ma soprattutto la ripresa dei più deboli astri… ma tentar non nuoce! Potreste comunque rubare qualche scatto davvero suggestivo, se non altro del nostro satellite nel “pieno” della sua bellezza.
Il giorno 19 Novembre, inoltre, avremo un’eclissi parziale di Luna, purtroppo non sarà molto visibile dall’Italia, in particolare potrà essere osservata solamente nelle nostre regioni più settentrionali.
Per altri importanti eventi astronomici rimandiamo al Cielo del 2021
Per quanto riguarda invece luce cinerea e le sottili falci l’appuntamento è nella seconda parte della notte e prima dell’alba dal 12 al 14 Novembre e, dopo il Novilunio, le sere del 16 e 17 Novembre.
LA COMETA DI ROSETTA
Sicuramente degno di nota è il passaggio della 67P/ Churyumov-Gerasimenko ovvero la famosa cometa della sonda Rosetta. Ne abbiamo già parlato questo mese, ricordiamo che il 2 Novembre ha raggiunto il perielio e oggi, 12 Novembre, il punto più vicino al nostro pianeta.
This artist’s impression shows a compact black hole 11 times as massive as the Sun and the five-solar-mass star orbiting it. The two objects are located in NGC 1850, a cluster of thousands of stars roughly 160 000 light-years away in the Large Magellanic Cloud, a Milky Way neighbour. The distortion of the star’s shape is due to the strong gravitational force exerted by the black hole. Not only does the black hole’s gravitational force distort the shape of the star, but it also influences its orbit. By looking at these subtle orbital effects, a team of astronomers were able to infer the presence of the black hole, making it the first small black hole outside of our galaxy to be found this way. For this discovery, the team used the Multi Unit Spectroscopic Explorer (MUSE) instrument at ESO’s Very Large Telescope in Chile.
Un nuovo metodo per scovare la presenza di buchi neri all’interno e fuori della nostra galassia: grazie al VLT (Very Large Telescope) dell’ESO, i ricercatori ne hanno infatti rilevato uno osservandone l’influenza sul moto di una stella nelle sue immediate vicinanze.
Stiamo parlando di un buco nero nascosto all’interno di NGC 1850, un ammasso di migliaia di stelle collocato nella famosa Grande Nube di Magellano, una galassia vicina alla Via Lattea.
This artist’s impression shows a compact black hole 11 times as massive as the Sun and the five-solar-mass star orbiting it. The two objects are located in NGC 1850, a cluster of thousands of stars roughly 160 000 light-years away in the Large Magellanic Cloud, a Milky Way neighbour. The distortion of the star’s shape is due to the strong gravitational force exerted by the black hole. Not only does the black hole’s gravitational force distort the shape of the star, but it also influences its orbit. By looking at these subtle orbital effects, a team of astronomers were able to infer the presence of the black hole, making it the first small black hole outside of our galaxy to be found this way. For this discovery, the team used the Multi Unit Spectroscopic Explorer (MUSE) instrument at ESO’s Very Large Telescope in Chile.
«Come Sherlock Holmes che rintraccia una banda criminale sfruttandone i passi falsi, esaminiamo ogni singola stella di questo ammasso con una lente d’ingrandimento in mano, cercando di trovare qualche prova della presenza di buchi neri senza vederli direttamente», spiega Sara Saracino, astronoma dell’Astrophysics Research Institute della Liverpool John Moores University nel Regno Unito «Il risultato mostrato qui è solo uno dei criminali ricercati, ma quando ne hai trovato uno sai di essere sulla buona strada per scoprirne molti altri, in diversi ammassi».
Questo nuovo metodo potrebbe essere la chiave per svelare buchi neri nascosti nella Via Lattea e nelle galassie vicine e per aiutare a far luce su come questi misteriosi oggetti si formano ed evolvono.
Il primo “criminale” rintracciato dall’equipe si è rivelato essere un oggetto circa 11 volte più massiccio del nostro Sole. La prova schiacciante che ha fatto intuire la sua presenza è stata la sua influenza gravitazionale sulla stella di cinque masse solari che gli orbita intorno.
Un tipo d’indagine davvero innovativa, dato che, finora, buchi neri così piccoli (parliamo sempre in relazione ai grandi numeri dell’Universo!) erano stati individuati in altre galassie solamente per mezzo del bagliore di raggi X emesso mentre “ingoiano materia“, oppure mediante onde gravitazionali generate dai loro scontri. Questo tipo di rilevazione è però incompleta, in quanto la maggior parte dei buchi neri di massa stellare (ovvero non molto grandi) non rivela la propria presenza attraverso i raggi X o le onde gravitazionali.
Il nuovo metodo dinamico adottato dal team di Sara Saracino potrebbe quindi consentire agli astronomi di trovare molti altri buchi neri e aiutare a svelarne i misteri.
«Ogni singolo rilevamento sarà importante per la nostra futura comprensione degli ammassi stellari e dei buchi neri al loro interno», afferma il coautore dello studio Mark Gieles dell’Università di Barcellona.
La scoperta in NGC 1850 rappresenta infatti la prima volta in cui un buco nero è stato trovato in un giovane ammasso stellare (l’ammasso ha circa 100 milioni di anni, un battito di ciglia su scale astronomiche!). Confrontare questi “giovani” buchi neri con altri più grandi e maturi presenti in ammassi stellari più vecchi, aiuterà gli astronomi a capire come crescono questi oggetti: si nutrono di stelle oppure si fondono con altri buchi neri?
Lo studio è stato presentato in un articolo pubblicato sulla rivista Monthly Notices of the Royal Astronomical Society.
Uno studio pubblicato su Science Advances e presentato in occasione della COP26 (la conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici) di Glasgow, e guidato da Brad Weir, ricercatore presso il Goddard Space Flight Center della NASA e l’Universities Space Research Association, mostra come la riduzione dell’attività antropica a causa della pandemia da Covid-19 abbia comportato diminuzioni senza precedenti delle emissioni di anidride carbonica (CO2).
Il team di scienziati ha utilizzato un nuovo modello di analisi statistica, sfruttando i dati dei satelliti Goddard Earth Observing System (GEOS) della NASA e Orbiting Carbon Observatory-2 (OCO-2), altro satellite americano. OCO-2 fornisce dati ad alta risoluzione: lanciato nel 2014, con lo scopo appunto di misurare i livelli di CO2 nell’atmosfera con una precisione temporale di 24 volte al secondo, permette di vedere quale sia la fonte di emissione dei gas e dove poi questi vengono rimossi nella biosfera (ufficialmente sono conosciute le “sorgenti” e i “pozzi”).
«Questo nuova strategia di campionamento ha migliorato la copertura, l’accuratezza e la precisione rispetto alle tecniche già esistenti.», afferma Brad Weir assieme ai suoi colleghi, «I dati tengono conto della variabilità dell’anidride carbonica di anno in anno, che deriva dai cambiamenti nella circolazione atmosferica, e produce aggiornamenti regolari quasi in tempo reale».
Simili passi in avanti non sono mai stati raggiunti prima. È noto, infatti, che misurare i livelli dei gas serra in atmosfera è molto difficile, ma monitorare accuratamente il loro trend sarà la chiave per calibrare la riposta umana al riscaldamento globale.
I lockdown e i blocchi temporanei delle emissioni durante la pandemia, hanno permesso un vero e proprio collaudo di questa nuova tecnologia satellitare. Sono stati osservati cambiamenti regionali a breve termine nelle emissioni di combustibili, soprattutto nell’area dell’Oceano Indiano tra il febbraio e maggio 2020 (si stimano cali da 0,14 a 0,62 parti per milione di CO2, rispetto ad uno scenario senza la pandemia). Numeri davvero incoraggianti, ma non dimentichiamo che sono – per così dire – viziati, in quanto dovuti a un evento straordinario quale la pandemia da Covid-19.
I risultati della ricerca sono stati ben accolti durante la United Nations Climate Change Conference, che si concluderà domani, 12 Novembre. È chiaro oramai come un accurato sistema satellitare rappresenti uno strumento fondamentale per la lotta ai cambiamenti climatici, fornendo un quadro chiaro e ampio della situazione. In ogni caso, però, per supportare lo sviluppo e il perfezionamento di una simile tecnica, nonché auspicare dei cambi di rotta importanti nelle emissioni degli inquinanti, serve ulteriore supporto e collaborazione da parte di tutte le nazioni coinvolte negli accordi internazionali sul clima.
Per approfondimenti:
Science Advances (2021): “Regional impacts of COVID-19 on carbon dioxide detected worldwide from space”. Brad Wier, David Crisp, Christopher W. O’Dell, Sourish Basu, Abhishek Chatterjee, Jana Kolassa, Tomohiro Oda, Steven Pawson, Benjamin Poulter, Zhen Zhang, Philippe Ciais, Steven J. Davis, Zhu Liu, and Lesley E. Ott.
Grandi novità per la cittadina di Camerino e per il suo prestigio. Oggi infatti è stato approvato e così ufficializzato l’accordo fra l’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) e l’Università degli Studi di Camerino (UNICAM) per l’apertura di una nuova sede. Il nuovo dipartimento sarà situato presso la Sezione di Geologia della Scuola di Scienze e Tecnologie.
«La nuova collaborazione è una grande opportunità per il nostro Ateneo», ha espresso con soddisfazione il Rettore di UNICAM, prof. Claudio Pettinari, «Abbiamo previsto programmi di ricerca e di supporto didattico co-finanziati dai due Enti con lo scopo di promuovere un’offerta didattica su tematiche comuni, con un occhio di riguardo al dottorato di ricerca, per formare figure professionali altamente qualificate».
Il Rettore e il Presidente INAF prof. Marco Tavani hanno lavorato duramente per il rafforzamento e l’ufficialità della collaborazione tra i due Enti, per favorire attività di ricerca nei settori dell’astrofisica, dell’astronomia e delle scienze dello spazio, dove sono coinvolti numerosi docenti e ricercatori della Scuola di Scienze e Tecnologie.
Nella nuova sezione, di cui il Responsabile sarà il prof. Gabriele Giuli, è prevista l’apertura e la condivisione di laboratori e strumentazioni scientifiche e tecniche, per raggiungere gli obiettivi di ricerca prefissati nel piano triennale della sezione e garantire nuovi sbocchi lavorativi.
La nuova sede si aggiungerà all’elenco di quelle già esistenti distribuite in tutta Italia. Si colma così un vuoto che vedeva nella regione Marche l’assenza di un punto di riferimento per l’INAF che ricordiamo di pone oggi ai massimi livelli mondiali nella ricerca Astrofisica con un importante contributo apportato alle principali missioni di indagini operative nel Sistema Solare.
Anche da Coelum Astronomia i complimenti all’ateneo e all’INAF per l’ottimo traguardo raggiunto.
La sonda Parker Solar Probe è in pericolo!
Immaginate un veicolo che viaggia così veloce che anche l’impatto con i più fini granelli di polvere possono danneggiarlo: è questo che sta accadendo alla sonda NASA.
Gli scienziati del Laboratory for Atmspheric and Space Physics (LASP) dell’Università del Colorado, e del Johns Hopkins University Applied Physics Laboratory (APL) stanno esaminando queste collisioni per stimarne l’entità dei danni.
Parker Solar Probe è il progetto di punta della NASA per lo studio del Sole, il più veloce manufatto che l’uomo abbia mai creato e quello che più si è avvicinato alla nostra stella, ma è proprio l’elevata velocità il fattore che rischia di compromettere tutta la missione. Un nuovo studio guidato da David Malaspina, ricercatore del LASP e assistant professor presso il Dipartimento di Scienze Astrofisiche e Planetarie dell’Università del Colorado, ha analizzato le osservazioni ottiche ed elettromagnetiche della navicella per avere una visione completa dell’ambiente circostante la sonda e prevedere come eventuali impatti con granelli iperveloci, in grado di danneggiare il veicolo spaziale, possano disturbarne le operazioni.
Nei pressi del Sole infatti la Parker Solar Probe solca una regione permeata da una spessa nube a forma di pancake, detta nube zodiacale, che si estende in tutto il Sistema Solare composta principalmente da minuscoli granelli di polvere rilasciati da asteroidi e comete. Attraversando questa zona la polvere (con grani da circa 2 a 20 micron di diametro, meno di un quarto della larghezza di un capello umano) impatta sullo scafo del velivolo all’ipervelocità di circa 6.700 miglia all’ora. L’urto è così violento che i granelli vaporizzano e poi ionizzano.
Il fenomeno in esame, chiamato ionizzazione, è un processo in cui gli atomi del materiale vaporizzato vengono separati nei loro costituenti (ioni ed elettroni), producendo uno stato della materia chiamato plasma. Un processo così rapido – la vaporizzazione e poi la successiva ionizzazione – da generare persino delle esplosioni di plasma!
L’idea di Malaspina e colleghi è stata usare le antenne e i sensori di campo magnetico per misurare il livello di disturbo generato nell’ambiente elettromagnetico attorno alla sonda proprio da queste ultime esplosioni, per valutarne le conseguenze. I risultati ottenuti conducono anche a nuove intuizioni sulla meteorologia spaziale del Sole, oltre che contribuire alla sicurezza dei futuri veicoli spaziali.
«Studiare il processo di ionizzazione su piccola scala, può aiutare a comprendere il comportamento di nubi di plasma più gradi, come quelle presenti nelle atmosfere superiori di Venere e Marte, ove il materiale ionizzato viene spazzato via dal vento solare» afferma Malaspina.
Oltre al plasma il team ha rilevato scaglie metalliche e trucioli di vernice staccati dallo scafo durante l’impatto con i detriti più grandi. Residui che hanno compromesso anche alcune immagini scattate delle telecamere scientifiche a bordo, marcandole con delle strisce radiali che sembrano provenire dallo scudo termico. Altri residui hanno invece comportato un malfunzionamento per le telecamere di navigazione, impedendo temporaneamente alla sonda di determinare come era orientata nello spazio. Questa può essere una prospettiva pericolosa per un veicolo spaziale che si affida al puntamento preciso del suo scudo termico per sopravvivere.
Parker Solar Probe è stata lanciato nel 2018, e fino ad oggi ha completato nove orbite complete intorno al Sole. La sua missione finirà nel 2025: chissà per allora quante sorprese potrà ancora regalarci!
Il suo viaggio di esplorazione nel cuore del Sistema Solare continua.
Torna il Global Moon Village Workshop & Symposium, quinta edizione ospitata dal 6 all’8 dicembre presso Cipro e coordinata online da Nicosia (EN).
La Moon Village Association (MVA) è nata nel 2017 come organizzazione non governativa (ONG) con sede a Vienna, in Austria, con lo scopo di promuove la cooperazione tra enti pubblici o privati impegnati nello sviluppo dei programmi di esplorazione globale della luna. Comprende più di 600 partecipanti e 33 membri istituzionali provenienti da più di 50 paesi che rappresentano una vasta gamma di settori tecnici, scientifici, culturali e interdisciplinari.
L’associazione si impegna a coinvolgere e stabilire relazioni con coloro che sono protagonisti attivi nell’esplorazione e nello sviluppo del prossimo insediamento sulla Luna, incluse le principali agenzie spaziali che lavorano in cooperazione sui vari programmi specifici per l’esplorazione lunare (es. ISECG, ISEF, ILEWG), nonché società private che investono nella tecnologia lunare.
Il Symposium si svolgerà in tre giornate e si concentrerà sulla diffusione degli obiettivi di MVA, mirando ad espandere la comunità internazionale e nazionale per discussione future. Inoltre, sarà predisposto un focus sul coinvolgimento e lo sviluppo dell’industria spaziale nei paesi africani e mediorientali.
Più nel dettaglio il tema preciso affrontato per singolo giorno:
6 dicembre, Ritorno sulla Luna: la grande visione. Illustrazione del programma di un nuovo allunaggio;
7 dicembre, Implementazione del Villaggio lunare. Descrizione della costruzione del primo insediamento umano sulla Luna;
8 dicembre, Discussioni e scambio di opinioni sul congresso appena conclusi e gli obiettivi futuri del progetto.
Ulteriori informazioni e le modalità di iscrizioni sono disponibili qui:
Segnaliamo che l’Associazione Nemesis Planetarium è coordinatore nazionale per l’Italia della Moon Village Association. Per informazioni su come partecipare alle attività promosse sul territorio italiano ed entrare nel gruppo MVA Italia potete scrivere all’indirizzo info@nemesisplanetarium.org.
Tra il 2 e il 4 novembre sono state registrate dal National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA) una serie di esplosioni solari, che hanno scatenato una potente tempesta geomagnetica che ha colpito la Terra negli ultimi sette giorni.
«Negli ultimi anni abbiamo avuto una bassissima attività solare. Ma ora questa sta aumentando e accelerando abbastanza velocemente, dando inizio ad nuovo ciclo solare, che raggiungerà il suo massimo per il 2025», afferma Bill Murtagh, coordinatore del programma presso lo Space Weather Prediction Center (SWPC) del NOAA.
Le esplosioni sono legate alle macchie solari, tempeste magnetiche sulla superficie del Sole, che si generano e rimangono attive per un periodo che si ripete all’incirca ogni 11 anni.
Murtagh dice: «E’ come se il Sole si stesse risvegliando dopo un lungo periodo di letargo».
Questa intensa attività, quando raggiunge il nostro pianeta, causa una serie di fenomeni chiamati “meteo spaziale”.
credit Andrea Cuozzo
La tempesta geomagnetica di questa settimana ha avuto origine da una serie di espulsioni di massa coronale, Coronal Mass Ejection (CME), ovvero bolle di materiale solare che delle volte il sole erutta. «Un CME è essenzialmente una nuvola di miliardi di tonnellate di gas plasma polarizzato magneticamente», spiega Murtagh, «Quindi il Sole ha lanciato delle nubi di particelle di cariche magnetiche nello spazio, che hanno raggiunto la Terra».
Ma anche il nostro pianeta ha un campo magnetico, e quando quest’ultimo s’incontra con le particelle solari, si generano delle intese tempeste geomagnetiche. La potenza di simili tempeste dipende sia dalle dimensioni della CME che dall’allineamento dei due campi magnetici. Nell’ultima settimana la Terra è stata colpita da CME di medie dimensioni: un grado di forza difficile da prevedere.
«A meno che una bolla di particelle non colpisce direttamente la nostra navicella spaziale, Deep Space Climate Observatory (DSCOVR), non possiamo affermare se una tempesta geomagnetica è o meno imminente», conclude Murtagh.
La previsione di tali fenomeni è di estrema importanza. Se la potenza delle CME fosse ancora più grande di quella attualmente emessa dal Sole, sulla Terra potremmo avere ingenti danni alle reti elettriche, ai satelliti e agli strumenti di comunicazioni radio per i trasporti. Monitorare il “meteo spaziale” sta diventando sempre più rilevante e allo stesso tempo apre opportunità di ricerca per comprendere meglio i meccanismi della nostra stella.
In una galassia distante da noi circa 12,88 miliardi di anni luce (non proprio dietro l’angolo!), denominata SPT0311-58, gli scienziati hanno trovato molecole d’acqua in abbondanza, insieme al monossido di carbonio.
La nuova ricerca comprende lo studio più dettagliato del contenuto di gas molecolare di una galassia nell’Universo primordiale e il rilevamento più distante di molecole di acqua. Inoltre, ci dà un’informazione importante: queste molecole, importanti per la vita sulla Terra, si formano non appena possono!
«Questa galassia è la galassia più massiccia attualmente conosciuta ad alto redshift, ovvero il tempo in cui l’Universo era ancora molto giovane» racconta Sreevani Jarugula, astronoma dell’Università dell’Illinois e prima autrice dell’articolo, pubblicato su The Astrophysical Journal “Molecular Line Observations in Two Dusty Star-Forming Galaxies at z = 6.9”. «Questa ha più gas e polvere rispetto ad altre galassie nell’Universo primordiale, il che ci offre molte potenziali opportunità per osservare molecole abbondanti e per capire meglio come questi elementi che hanno creato la vita hanno influenzato lo sviluppo dell’Universo primordiale».
SPT0311-58 è in realtà costituita da due galassie ed è stata osservata per la prima volta dagli scienziati di ALMA (l’Atacama Large Millimeter/submillimeter Array in Cile) nel 2017.
SPT0311-58 si colloca nell’Epoca della Reionizzazione, ovvero in un momento in cui l’Universo aveva solo 780 milioni di anni – circa il 5% della sua età attuale – e stavano nascendo le prime stelle e galassie.
L’acqua è la terza molecola più abbondante nell’Universo dopo l’idrogeno molecolare e il monossido di carbonio. In studi passati di galassie, sia nell’Universo primordiale che in quello locale, era stata analizzata la correlazione tra la radiazione emessa dalle molecole di acqua e quella rilasciata dai grani di polvere sparsi nel gas interstellare.
«La polvere assorbe la radiazione ultravioletta proveniente dalle stelle della galassia e la riemette sotto forma di fotoni nel lontano infrarosso» spiega Jarugula «Questo processo eccita ulteriormente le molecole d’acqua, dando origine all’emissione d’acqua che gli scienziati sono in grado di osservare. In questo caso ci ha aiutato a rilevare l’emissione di acqua in questa enorme galassia». In futuro, sottolinea la ricercatrice, questa correlazione potrebbe essere usata per tracciare la formazione stellare sulla base della presenza di acqua nelle galassie su scala cosmologica.
Rappresentazione artistica della coppia di galassie Spt0311-58. Credit: ALMA (ESO/NAOJ/NRAO)/S. Dagnello (NRAO)
Lo studio delle prime galassie che si sono formate nell’Universo aiuta gli scienziati a comprendere meglio la nascita, la crescita e l’evoluzione dell’Universo e di tutto ciò che contiene, inclusi il Sistema Solare e la Terra. Lo studio del contenuto di gas e polvere di queste prime galassie ci informa delle loro proprietà, come il numero di stelle che si stanno formando, la velocità con cui il gas viene convertito in stelle, come le galassie interagiscono tra loro e con il mezzo interstellare e molto altro ancora.
Da questa rilevazione è stata sollevata anche una grande domanda: come è stato possibile assemblare così tanto gas e polvere per formare stelle e galassie così presto nell’universo? La risposta richiede ulteriori studi su queste e altre galassie per ottenere una migliore comprensione della formazione strutturale e dell’evoluzione dell’Universo primordiale.
Sfuma la possibilità di svolgere in presenza le Olimpiadi Internazionali di Astronomia 2021, ma l’organizzazione e la gestione delle International Remote Astronomical Olympiad IRAO rimangono a carico dell’Italia. Viene scelta Milano come sede principale del comitato organizzatore, presso l’Osservatorio Astronomico di Brera dell’INAF, uno degli enti nazionali che patrocinano la competizione insieme alla SAiT (Società Astronomica Italiana).
Nei locali dell’Osservatorio di Brera si svolgeranno le prove della Squadra Italiana, che ricordiamo è formata dalla Categoria Alpha (equivalente alla categoria italiana Junior 2) e dalla Categoria Beta (equivalente alla categoria italiana Senior). Per l’edizione di quest’anno, in via eccezionale, viene istituita una nuova categoria denominata Gamma che permette la partecipazione di studenti con particolari requisiti che non hanno potuto partecipare all’edizione 2020, annullata causa emergenza covid-19.
La Squadra Italiana risulta così composta:
Categoria Alpha
Luppino Chiara – Liceo Scientifico e delle S.A. Statale “L. da Vinci”, Reggio Calabria
Trunfio Ilenia – Liceo Scientifico e delle S.A. Statale “L. da Vinci”, Reggio Calabria
Caggese Alessandra – Liceo Scientifico Statale “E. Fermi” – Bari
Carbone Marco – Liceo Scientifico e delle S. A. Statale “L. da Vinci” – Reggio Calabria
Categoria Gamma
Altomonte Vittoria – Liceo Scientifico Statale “Euclide” – Bova Marina (RC)
La Cerimonia di Apertura è prevista sabato 6 novembre in modalità on-line e le 15 squadre partecipanti saranno collegate dai loro auditorium nazionali.
Il 3 novembre scorso nell’ambito della Giornata dell’informazione della Terra, l’ESA ha lanciato la notizia del TRUTHS (Traceable Radiometry Underpinning Terrestrial and Helio-Studies), un sistema di riferimento per i satelliti che osservano la Terra, la Luna e il Sole. Il progetto è stato concepito dal National Physical Laboratory (NPL) del Regno Unito e sviluppato in collaborazione con altri partner europei, tra cui Grecia, Svizzera, Romania e Repubblica Ceca.
Beth Greenaway, responsabile dell’osservazione della Terra e del clima presso la UK Space Agency ha dichiarato: «La missione svolgerà un ruolo fondamentale nel migliorare il modo in cui monitoriamo i cambiamenti climatici utilizzando i dati satellitari e sosterrà l’azione decisiva per il clima che le nazioni globali stanno negoziando alla COP26». Lo scopo è quello di creare un “osservatorio spaziale” che ridurrà l’incertezza dei dati sul clima e la Terra.
Tutto ciò rientra nella tecnica del telerilevamento, un metodo di scienza applicata, già molto usato in passato, che permette di ricavare informazioni sull’ambiente a distanza, mediante misure di radiazioni elettromagnetica. TRUTHS permetterà di ottenere informazioni con una precisione radiometrica senza precedenti.
A causa, infatti, di dati sempre molto incerti, è difficile prendere decisioni sul trend del clima. Sono necessarie risoluzioni molto dettagliate e registrazioni a lungo termine per valutare la variabilità dei fenomeni naturali nel tempo e nello spazio. Il nuovo sistema di riferimento garantirà questa affidabilità e fornirà dettagli utili per comprendere l’impatti dei cambiamenti climatici sulla nostra società.
Sempre in linea con gli obiettivi della COP26, TRUTHS ricaverà informazioni di particolare importanza per i Paesi in via di sviluppo; aree dove le infrastrutture non riescono a valutare l’impatto dei cambiamenti climatici, e quindi, il telerilevamento sarà una tecnica fondamentale per avere una risposta rapida ed efficiente. «TRUTHS soddisferà la richiesta della comunità globale sul clima. Serve una tecnologia ad alta precisione che possa affiancare le urgenti azioni politiche che bisogna intraprendere», afferma il prof. Nigel Fox, scienziato dell’Agenzia spaziale inglese.
Quindi, sebbene il nuovo sistema di rilevamento sia guidato dal Regno Unito, i suoi obiettivi hanno una natura globale. Inoltre, questa nuova tecnologia svilupperà nuove capacità industriali che potranno essere sfruttate dagli enti di ricerca per aprire nuovi mercati di lavoro. Così, anche la ricerca spaziale si affianca alla risoluzione dei cambiamenti climatici, i quali necessitano una chiara risposta in tempi molto brevi.
This artist’s impression shows NGP–190387, a star-forming, dusty galaxy that is so far away its light has taken over 12 billion years to reach us. ALMA observations have revealed the presence of fluorine in the gas clouds of NGP–190387. To date, this is the most distant detection of the element in a star-forming galaxy, one that we see as it was only 1.4 billion years after the Big Bang — about 10% of the current age of the Universe. The discovery sheds a new light on how stars forge fluorine, suggesting short-lived stars known as Wolf–Rayet are its most likely birthplace.
We are made of starstuff ovvero “siamo fatti della stessa materia di cui sono fatte le stelle” per citare l’astronomo Carl E. Sagan, ed effettivamente è così: come la maggior parte degli elementi intorno a noi, anche il fluoro viene creato all’interno delle stelle, ma finora non sapevamo esattamente come fosse prodotto.
«Non sapevamo nemmeno quale tipo di stelle producesse la maggior parte del fluoro nell’Universo!» afferma Maximilien Franco dell’Università dell’Hertfordshire nel Regno Unito che ha guidato il nuovo studio, pubblicato su Nature Astronomy.
This artist’s impression shows NGP–190387, a star-forming, dusty galaxy that is so far away its light has taken over 12 billion years to reach us. ALMA observations have revealed the presence of fluorine in the gas clouds of NGP–190387. To date, this is the most distant detection of the element in a star-forming galaxy, one that we see as it was only 1.4 billion years after the Big Bang — about 10% of the current age of the Universe. The discovery sheds a new light on how stars forge fluorine, suggesting short-lived stars known as Wolf–Rayet are its most likely birthplace.
I ricercatori hanno individuato il fluoro (sotto forma di acido fluoridrico) nelle grandi nubi di gas della galassia NGP–190387. Una galassia così lontana che quanto possiamo osservare è lo stato in cui si trovava quando l’universo aveva solo 1,4 miliardi di anni, circa il 10% della sua età attuale. Questo fattore è importante perché implica che le stelle che hanno creato il fluoro devono essere vissute e morte rapidamente, poiché le stelle espellono gli elementi che si formano nel nucleo quando raggiungono la fine della loro vita.
La scoperta nella galassia NGP-190387 segna una delle prime rilevazioni di fluoro oltre la Via Lattea e le sue galassie vicine. In precedenza questo elemento era stato individuato in quasar lontani, oggetti luminosi alimentati da buchi neri supermassicci al centro di alcune galassie. Mai prima d’ora questo elemento era stato osservato in una galassia con formazione stellare così “giovane”.
Il team di ricerca ha indicato le stelle di tipo Wolf–Rayet come possibile officina di produzione del fluoro; queste stelle molto massicce vivono solo pochi milioni di anni: un battito di ciglia nella storia dell’Universo!
Le stelle di tipo Wolf-Rayet erano già state suggerite come possibili fonti di fluoro cosmico, ma gli astronomi finora non sapevano quanto fossero importanti nella produzione di questo elemento nell’Universo primordiale.
Oltre alle Wolf-Rayet, in passato sono stati proposti diversi scenari su come può essere prodotto ed espulso il fluoro. Per esempio si ipotizzava si generasse dalle pulsazioni di stelle giganti ed evolute, con masse fino a poche volte quella del nostro Sole (chiamate stelle del ramo asintotico delle giganti), ma l’equipe ritiene che questi scenari, alcuni dei quali richiedono miliardi di anni per realizzare il fluoro, non sarebbero in grado di spiegare appieno la quantità di fluoro in NGP–190387.
«Per questa galassia sono bastate alcune decine o centinaia di milioni di anni per avere livelli di fluoro paragonabili a quelli trovati nelle stelle della Via Lattea, che ha 13,5 miliardi di anni. Questo è stato un risultato completamente inaspettato», afferma Chiaki Kobayashi, professore all’Università dell’Hertfordshire «La nostra misurazione aggiunge un vincolo completamente nuovo all’origine del fluoro, che è stato studiato per due decenni».
Il rilevamento del fluoro da parte dell’equipe è stata una scoperta casuale resa possibile dall’uso di osservatori dallo spazio e da terra. NGP–190387, straordinariamente luminosa per la sua distanza, originariamente scoperta dall’Herschel Space Observatory dell’Agenzia spaziale europea (ESA), è stata successivamente osservata con ALMA, il telescopio ubicato in Cile.
Fonti
https://www.eso.org
Questo risultato è stato presentato nell’articolo “The ramp-up of interstellar medium enrichment at z > 4” pubblicato dalla rivista Nature Astronomy
Un team internazionale di ricercatori spaziali che lavorano con il Goddard Space Flight Center della NASA ha trovato molecole organiche precedentemente sconosciute su Marte utilizzando un nuovo esperimento a bordo di Curiosity. I risultati sono pubblicati sulla rivista Nature Astronomy.
Il rover americano, mentre testava una nuova tecnica d’indagine, ha prelevato un campione di suolo dalle Dune di Bagnold. Il materiale è stato analizzato tramite un metodo basato sulla chimica umida. Le analisi sono state compiute tramite uno strumento chiamato Sam (Sample Analisys at Mars), il quale deve esaminare sostanze organiche ed elementi leggeri che potrebbero essere associati alla presenza di vita passata su Marte.
Sam è composto di 74 “tazze” che contengono i campioni, di cui 65 sono vuote e mantengono riscaldato il campione per studiarlo, e altre 9 includono solventi per analizzare i campioni in maniera differente. I ricercatori hanno così individuato nuovi amminoacidi mai scoperti prima sul suolo marziano. Si trattano di acido benzonico ed ammoniaca, nuove molecole organiche, che non confermano la presenza della vita su Marte, ma allungano l’inventario di sostanze prebiotiche già analizzate, e favoriscono l’uso di nuovi metodi per esaminare sostanze sconosciute sul Pianeta Rosso. E’ stata preferita questa tecnica rispetto ad altre, perché durante l’indagine Curiosity ha subito un leggero malfunzionamento, con la conseguente rottura di un trapano. Testare la chimica umida è stata una scelta necessaria.
«Questo esperimento è certamente un successo», spiega in un’intervista Maëva Millan, coordinatrice del progetto e ricercatrice della NASA, «anche se non abbiamo trovato quello che cercavamo, cioè le biofirme, abbiamo dimostrato che Sam e il metodo della chimica umida sono una tecnica davvero promettente».
Si apre così un nuovo importante capitolo nella ricerca alle firme biologiche sul suolo marziano. Il materiale prelevato sembra essere molto ricco dei componenti individuati, e forse la zona delle Dune di Bagnold potrebbe essere un nuovo punto di partenza per trovare finalmente la prova di vita extraterrestre.
Per ulteriori approfondimenti:
Nature Astronomy (2021), “Organici molecules revealed in Mars’s Bagnold Dunes by Curiosity’s derivatization experiment”, M. Millan, S. Teinturier, C.A. Malespin, J.Y. Bonnet, A. Buch, J.P. Dworkin, J.L. Eigenbrode, C. Freissinet, D.P. Glavin, R. Navarro-Gonzàlez, A. Srivastava, J.C. Stern, B. Sutter, C. Szopa, A.J. Williams, R.H. Williams, G.M. Wong, S.S. Johnson & P.R. Mahaffy
Alle ore 02:20 la Luna è sorta in fase di 25,6 giorni rendendosi visibile per alcune ore fino alle prime luci dell’alba. Sulla sua superficie si potrà individuare la netta distinzione fra la scura distesa basaltica dell’oceanus Procellarum di cui ne vediamo solo il settore occidentale in evidente contrasto con le più chiare rocce anortositiche degli altipiani sudoccidentali, mentre una volta giunto al capolinea della fase calante il nostro satellite sarà in Novilunio alle ore 22.15 del 4 Novembre venendosi a trovare fra la Terra e il Sole rivolgendo pertanto a noi il suo emisfero non illuminato dal Sole.
Da qui ripartirà la fase di Luna crescente che progressivamente di sera in sera si renderà sempre più visibile fino a raggiungere le migliori condizioni osservative nelle fasi prossime al Primo Quarto previsto per le ore 13:46 dell’11 Novembre. Per l’osservazione al telescopio basterà attendere le 17:30 circa della medesima serata col nostro satellite ad un’altezza di +23° e perfettamente visibile fino alle 23.30 circa quando scenderà sotto l’orizzonte. A prescindere da tutto quanto si è detto e scritto su questa fase lunare, ad una semplice osservazione non sfuggirà certamente che le aree scure ricoperte da rocce basaltiche e chiamate impropriamente “mari”, non sono altro che gigantesche strutture crateriformi che videro la loro formazione dai 4 ai 4,5 miliardi di anni fa nel Periodo Geologico Nectariano. Non solo attraverso il telescopio, ma anche in un binocolo sarà possibile percepire chiaramente la forma indicativamente circolare tipica dei bacini da impatto ormai ricolmi di materiali di frantumazione della crosta lunare originale, sia del corpo meteoritico impattante oltre alle rocce effusive di origine vulcanica note come basalti. Potrà risultare molto interessante ed anche stimolante andare a scandagliare le strutture situate in prossimità delle regioni polari settentrionale e meridionale, dove si consiglia di effettuare l’osservazione con differenti poteri di ingrandimento, al fine di percepirne i minimi dettagli compatibilmente con le condizioni osservative.
Nell’avanzare della fase crescente la Luna sarà in Plenilunio alle ore 09:58 del 19 Novembre mentre anche in questo caso, sorgendo alle 16:52, basterà attendere le ore 17:30 circa per intraprendere le osservazioni al telescopio. Nel caso specifico, dopo il transito in meridiano delle 00:33 ad un’altezza di +66°, avremo a nostra disposizione l’intero emisfero lunare rivolto verso la Terra fino alle prime luci dell’alba del mattino seguente. Questo Plenilunio si verificherà con la Luna alla distanza di 407.490 km dalla Terra e con un diametro apparente di 29,32′ in fase di 14,5 giorni.
Al capolinea della fase crescente, il nostro satellite riprenderà la fase di segno opposto, cioè quella calante passando per la fase di Ultimo Quarto alle ore 13:28 del 27 Novembre, pochissimi minuti prima del suo tramonto. Mentre per chi fosse interessato ad osservazioni col telescopio la notte successiva, il 28 Novembre, sorgerà intorno alla mezzanotte e splenderà nel cielo ad est – sudest fino all’alba, quando alle ore 07:00 culminerà in meridiano ad un’altezza di +54°. La peculiarità di questa fase lunare consiste nella possibilità di ammirare il settore occidentale del nostro satellite con l’immensa distesa basaltica dell’oceanus Procellarum oltre a porzioni dei mari Frigoris, Imbrium e Nubium fino all’inconfondibile area circolare del mare Humorum. Non mi stancherò mai di segnalare il notevole contrasto dei crateri Aristarchus e Grimaldi in relazione ai materiali che ricoprono le rispettive aree. Infatti l’elevatissima albedo del cratere Aristarchus rispetto agli scuri basalti circostanti ne rende praticamente immediata l’individuazione, così come le scure rocce basaltiche che ricoprono il fondo del cratere Grimaldi ne fanno una vera e propria “isola nera” rispetto alle più chiare rocce anortositiche degli altipiani. Nelle ultime notti del mese la Luna si ridurrà ad una falce sempre più sottile relegata alle ore notturne in attesa di una nuova ripartenza.
Le FALCI lunari di NOVEMBRE:
Il 2 Novembre alle ore 03:35 è sorta una falce di 26,6 giorni fra le stelle della Vergine. Trattandosi di Luna calante la porzione illuminata riguarda il settore più occidentale dell’oceanus Procellarum e dell’altipiano sudoccidentale con le rispettive cuspidi nord e sud. E’ stato quindi possibile osservare, con un evidenza molto netta, la scura platea basaltica del cratere Grimaldi.
La notte successiva, il 3 Novembre, una falce ancora più sottile è apparsa alle ore 04:52 in fase di 27,7 giorni ma la breve finestra osservativa ha permesso solo una rapida occhiata e qualche foto prima che le luci dell’alba abbiano il sopravvento. Una osservazione decisamente problematica sarà quella del 4 Novembre con una falce di 28,7 giorni che sorgerà alle ore 06:12 e che segnalo unicamente per informazione.
Considerata la vicinanza al sorgere del Sole e la necessità di attuare ogni precauzione per non intercettare la luce solare, eventuali foto dovranno essere effettuate con la Luna in corrispondenza dell’orizzonte. Nel caso specifico sarà preceduta dal pianeta Mercurio (distanza 6°) mentre Marte la affiancherà a soli 2°.
Per quanto riguarda le falci in Luna crescente, alle ore 18:09 del 6 Novembre tramonterà una bella falce di 1,8 giorni sulla cui superficie sarà possibile individuare varie strutture crateriformi ristrette fra il bordo lunare orientale ed il vicino terminatore, tenendo ben presente la breve finestra osservativa. Una più comoda falce lunare sarà quella che tramonterà alle ore 18:57 del 7 Novembre.
Nel caso specifico sarà possibile l’osservazione di numerose strutture geologiche tra cui il mare Humboldtianum a nordest oltre al settore orientale dei mari Crisium e Fecounditatis unitamente ai quattro grandi crateri Langrenus, Vendelinus, Petavius, Furnerius senza dimenticare le regioni polari nord e sud. Per questa tipologia di osservazioni, oltre agli ormai noti parametri osservativi, risulterà determinante disporre di un orizzonte il più possibile libero da ostacoli.
LIBRAZIONI di NOVEMBRE:
(In ordine di calendario, per i dettagli vedere le rispettive immagini). Si precisa che, per ovvi motivi, non vengono indicati i giorni in cui i punti di massima Librazione si discostano dalla superficie lunare illuminata dal Sole.
– Librazioni Regione Sudovest: (a)
01 Novembre: Fase 26 giorni, sorge 02:20 – tramonta 15:51
02 Novembre: Fase 27 giorni, sorge 03:35 – tramonta 16:12
03 Novembre: Fase 28 giorni, sorge 04:52 – tramonta 16:35
04 Novembre: Fase 26 giorni, sorge 02:20 – tramonta 15:51
Librazioni Regione Nordest-Est:
06 Novembre: Fase 1,8 giorni, sorge 08:59 – tramonta 18:09
07 Novembre: Fase 2,8 giorni, sorge 10:20 – tramonta 18:57
08 Novembre: Fase 3,8 giorni, sorge 11:34 – tramonta 19:56
09 Novembre: Fase 4,8 giorni, sorge 12.33 – tramonta 21:05
10 Novembre: Fase 5,8 giorni, sorge 13:21 – tramonta 22:19
11 Novembre: Fase 6,8 giorni, sorge 13:56 – tramonta 23:34
12 Novembre: Fase 7,8 giorni, sorge 14:24 – tramonta ——
13 Novembre: Fase 8,8 giorni, sorge 14:47 – tramonta 00:45
14 Novembre: Fase 9,8 giorni, sorge 15:08 – tramonta 01:54
15 Novembre: Fase 10,8 giorni, sorge 15:27 – tramonta 03:01
16 Novembre: Fase 11,8 giorni, sorge 15:46 – tramonta 04:06
17 Novembre: Fase 12,8 giorni, sorge 16:05 – tramonta 05:11
18 Novembre: Fase 13,8 giorni, sorge 16:27 – tramonta 06:15
Librazioni Regione Sudovest:
22 Novembre: Fase 17,8 giorni, sorge 18:45 – tramonta 10:24
23 Novembre: Fase 18,8 giorni, sorge 19:38 – tramonta 11:15
24 Novembre: Fase 19,8 giorni, sorge 20:38 – tramonta 11:58
25 Novembre: Fase 20,8 giorni, sorge 21:43 – tramonta 12:34
26 Novembre: Fase 21,8 giorni, sorge 22:51 – tramonta 13:04
27 Novembre: Fase 22,8 giorni, sorge —— – tramonta 13:30
28 Novembre: Fase 23,8 giorni, sorge 00:01 – tramonta 13:53
29 Novembre: Fase 24,8 giorni, sorge 01:12 – tramonta 14:14
30 Novembre: Fase 25,8 giorni, sorge 02:25 – tramonta 14:35
Immagine 2Librazione di Novembre”: Mappe di F. Badalotti su immagini dal globo di “Atlante Lunare Virtuale”
Domani 3 novembre prende il via il primo incontro organizzato congiuntamente da ICRANet e IUT dal titolo “ICRANet – Isfahan Astronomy Meeting. Dall’antica astronomia persiana ai recenti sviluppi della fisica teorica e sperimentale, dell’astrofisica e della relatività generale”.
L’incontro sarà ospitato in maniera ufficiale nella meravigliosa città di ISFAHAN, situata nel centro dell’Iran, presso la Isfahan University of Technology (IUT) ma sarà disponibile anche in maniera virtuale sul canale ufficiale Youtube dell’ICRANet
L’evento della durata di 3 giorni, dal 3 al 5 novembre 2021 fornirà una grande opportunità per discutere di argomenti che vanno dall’antica astronomia persiana ai recenti sviluppi dell’astronomia osservativa, ai fenomeni astrofisici ad alta energia come i Gamma-Ray Bursts (GRB) e i nuclei galattici attivi ( AGN), teorie della gravità, relatività generale e suoi fondamenti matematici, buchi neri, materia oscura e cosmologia dell’universo primordiale. Inoltre durante l’incontro si terrà anche un workshop sulla Data Science in Astrofisica.
A darne comunicazione lo stesso direttore dell’ICRANet, Remo Ruffini, titolare della cattedra in fisica teorica presso il dipartimento di Fisica dell’Università “La Sapienza” di Roma e presidente dell’International Centre for Relativistic Astrophysics e molti saranno i ricercatori italiani coinvolti.
ICRANet, International Center for Relativistic Astrophysics Network, è un’organizzazione internazionale il cui scopo è promuove l’attività di ricerca nel campo dell’Astrofisica Relativistica e di aree affini. Membri dell’ICRANet sono quattro stati e tre università e centri di ricerca: la Repubblica dell’Armenia, la Repubblica Federale del Brasile, la Repubblica Italiana, lo Stato Vaticano, l’Università di Arizona (USA), l’Università Stanford (USA) e l’ICRA. Attualmente la sede del coordinamento centrale è sita a Pescara, presso la storica stazione centrale.
Il discorso di apertura sarà presentato da S.E. Mohammad Ali Zolfigol, Ministro della Scienza, della Ricerca e della Tecnologia (MSRT) della Repubblica Islamica dell’Iran.
Per ulteriori informazioni sull’incontro, consultare il sito Web ufficiale: https://indico.icranet.org/event/2/overview
Oggi, 2 novembre, la cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko (67 P) raggiungerà il perielio e, tra soli dieci giorni, il punto più vicino al nostro pianeta: occasioni imperdibili per osservarla e immortalarla.
La cometa, di circa 4 km di diametro, completa un giro attorno al Sole ogni sei anni e mezzo e, come ci ricorda Albino Carbogani, astronomo INAF di Bologna: «Il prossimo flyby della 67P con la Terra ci sarà solo il 29 novembre 2034, fra ben 13 anni: meglio quindi approfittare di questo momento, per parecchio tempo non la vedremo più così bene».
La 67 P venne scoperta nel 1969 da Klim Ivanovich Churyumov dell’Osservatorio Astronomico dell’Università di Kiev. L’oggetto celeste divenne celebre nel 2014, quando la sonda dell’ESA Rosetta si è inserita in orbita intorno alla cometa stessa dopo un viaggio durato dieci anni. Un’appassionante missione – all’avventura di Rosetta e Philae l’ESA dedicò anche video e animazioni didattiche – durante la quale sono stati raccolti una grandissima quantità di dati che i ricercatori continuano ancora ad analizzare.
Osservare e fotografare la cometa di Rosetta non è complicato, l’importante è avere la possibilità di trovare un luogo particolarmente buio: la magnitudine massima di 67P sarà +8.5 e quindi le luci delle città possono creare un notevole disturbo. In questi giorni, la cometa sorgerà in tarda serata in prossimità della costellazione dei Gemelli, verso nord-est, e resterà visibile fino a notte inoltrata.
«I neofiti dotati di un buon binocolo o un piccolo telescopio, confrontando la 67P con le stelle del campo di vista si renderanno conto dell’aspetto nebuloso della cometa, mentre le stelle restano puntiformi», spiega Carbognani «Se il cielo è sufficientemente buio si potrà apprezzare anche la coda che, partendo dalla chioma, si troverà approssimativamente in direzione opposta al Sole. Con un po’ di pazienza, facendo attenzione alle stelle di sfondo, nel campo di un’ora ci si renderà conto che la cometa si sta spostando in cielo sia per effetto del suo moto di rivoluzione attorno al Sole, sia per lo spostamento della Terra lunga la propria orbita».
Per i più esperti e per chi è alle prime armi, ricordiamo che è possibileinviare le proprie foto a coelumastro@coelum.com oppure caricarle direttamente sulla sezione Photo Coelum del nostro sito www.coelum.com
Condivideremo con piacere i vostri lavori anche sui nostri canali social.
Cieli sereni a tutti!
Durante la diretta da Dubai, trasmessa sui nostri canali, dove da poco si è chiusa l’edizione 2021 dello IAC, grazie alle riprese e la racconto di Antonino Salmeri avevamo intravisto fra i numerosi stand della fiera proprio quello della candidatura di Milano per opistare una delle future tappe di questo congresso mondiale. In quel momento l’assegnazione non era stata ancora ufficializzata ma proprio in concomitanza con la chiusura, il 29 ottobre scorso dell’evento a Dubai, il Comitato promotore della candidatura del capoluogo lombardo, costituito dall’Agenzia Spaziale Italiana (ASI), dall’Associazione Italiana di Aeronautica e Astronautica (A.I.D.A.A.) quale rappresentante del mondo accademico e da Leonardo in qualità di campione dell’industria aerospaziale italiana hanno comunicato l’importante notizia.
Ricordiamo che lo IAC è promosso dalla Federazione Astronautica Internazionale IAF a cui aderiscono oggi ben 73 paesi e che si tratta di un’occasione importante di visibilità per la Space Economomy italiana.
Queste le parole di soddisfazione del presidente dell’Agenzia Spaziale Italiana Giorgio Saccoccia “Il percorso di vari mesi che ci ha portato a questa prestigiosa vittoria è stato un bellissimo esempio di come il sistema Italia funzioni con grande efficacia nel settore spaziale. Il Comitato di selezione ha premiato la rigorosità ed accuratezza della nostra candidatura, riconoscendo indirettamente la leadership italiana nell’attuale scenario spaziale internazionale. L’Agenzia Spaziale Italiana ha deciso con entusiasmo di supportare e contribuire alla candidatura del “Team Italia” con la proposta di Milano, mettendo a frutto l’importante rete di relazioni internazionali e la propria visione sul futuro delle attività spaziali, per attrarre consenso. Non possiamo essere più soddisfatti del risultato ottenuto per l’Italia!”. Un coro di soddisfazioni a cui si uniscono le voci di Alessandro Profumo, amministratore delegato di Leonardo, e Erasmo Carrera presidente AIDAA.
Il tema dell’edizione per IAC75, la 75esima edizione del congresso, sarà “Responsible Space for Sustainability” espandendo l’attualissimo tema della sostenibilità ambientale anche allo spazio che circonda il pianeta Terra.
In attesa che vengano pubblicati i primi risultati delle nuove indagini condotte dalla sonda Juno su Giove, vi invitiamo alla lettura di questo arretrato di Coelum Astronomia, n° 202 del 2016, ben 50 pagine di Speciale Juno in cui sono state raccolte tutte le informazioni relative alla missione. Lancio, strumenti, orbita, obiettivi e curiosità. Sarà divertente fare il confronto con i dati che in questi mesi verranno ulteriormente rilasciati dalla NASA.
A proposito restate collegati. I nostri collaboratori sono già all’opera per gli approfondimenti accurati che pubblicheremo a breve!
Speciale Juno da pag. 54 a pag. 99.
NOTA BENE: al momento della pubblicazione dell’articolo la missione non era stata ancora estesa fino al 2025 come invece comunicato dall’ASI Agenzia Spaziale Italiana il 13 gennaio 2021.
JUNO IN PILLOLE
Di cosa si tratta?
Juno è una sonda spaziale robotizzata della NASA, concepita come parte del progetto di esplorazione spaziale New Frontiers. La sua destinazione è il re dei pianeti del Sistema Solare, Giove.
Perché Juno?
Nella mitologia gerco-romana Juno è il nome in latino della dea Giunone, moglie di Giove, che grazie ai suoi poteri fu in grado di scoprire i segreti del marito riuscendo a dissipare la fitta coltre di nubi in cui il dio era solito celarsi.
Allo stesso modo, la speranza degli scienziati è che la sonda Juno sia in grado di penetrare le nubi del pianeta per carpirne i segreti.
Juno è anche l’acronimo di JUpiter Near-polar Orbiter, ossia “Sonda orbitale della zona polare di Giove”.
Quanto durerà la missione?
La sonda è stata lanciata il 5 agosto 2011 a bordo di un razzo Atlas V dalla Cape Canaveral Air Force Station, in Florida e la notte tra il 4 e il 5 luglio 2016 raggiungerà la sua destinazione, dopo un viaggio di ben 5 anni nello spazio interplanetario.
La missione scientifica della sonda si articola in 37 orbite a distanza sempre più ravvicinata al pianeta.
Qual è lo scopo?
Lo scopo della missione è quello di studiare Giove raccogliendo il maggior numero di informazioni relativamente al suo campo magnetico, la sua struttura interna e la composizione dell’atmosfera. Queste informazioni permetteranno di far finalmente luce sul pianeta e sulle sue caratteristiche ma saranno cruciali anche per chiarire i meccanismi di formazione del Sistema Solare stesso.
Qual è il ruolo dell’Italia?
Il nostro paese è protagonista con due degli strumenti a bordo: JIRAM (Jupiter InfraRed Auroral Mapper) per le studio delle aurore e dell’atmosfera e lo strumento di radioscienza KaT, un transponder in banda Ka per studi gravitazionali. JIRAM è stato fornito dall’Agenzia spaziale Italiana e sviluppato con il supporto scientifico dell’INAF.
Energia Solare
Particolarità della sonda è che è alimentata da pannelli solari fotovoltaici che generano l’energia necessaria al suo funzionamento: Juno è l’esploratore a energia solare che si è spinto più lontano nel Sistema Solare, togliendo il primato alla sonda Rosetta, che lo ha detenuto fino al gennaio 2016. (Vedi le infografiche all’interno del numero 202 di Coelum).
Curiosità: Passeggeri… speciali!
Oltre al carico di strumenti scientifici e sistemi di bordo, Juno trasporta con sé un carico particolare: una placca in alluminio fornita da ASI in ricordo di Galileo Galilei, che per primo compì numerose osservazioni di Giove, e tre piccole figure LEGO che rappresentano Galileo, Giove e Giunone.
Lo speciale storico della Missione Juno è pubblicato su Coelum n°202 LEGGI ONLINE
Il numero completo è disponibile per il download in formato pdf.
Illustrazione della fusione di due buchi neri (Science Photo Library/AGF)
Una nuova ricerca dell’European Pulsar Timing Array (EPTA), che include scienziati Institute of Gravitational Wave Astronomy dell’Università di Birmingham, riporta un’analisi dettagliata di un segnale che si classifica come ottimo candidato nella ricerca delle onde gravitazionali a bassa frequenza (GWB). I risultati dello studio sono stati resi pubblici due giorni fa, il 27 ottobre, nel Monthly Notices della Royal Astronomical Society.
Le onde gravitazionali possono essere generate a frequenze molto basse, dette GBW (gravitational wave background), dell’ordine di un miliardesimo di Hertz, da raggruppamenti cosmici di giganteschi buchi neri binari al centro della maggior parte delle galassie. Questo sottofondo/rumore in nanohertz dell’universo è stato ricercato dagli scienziati per diversi decenni.
Illustrazione della fusione di due buchi neri (Science Photo Library/AGF)
Il segnale candidato, rilevato da reti di pulsar rotanti molto stabili (Pulsar Timing Arrays – PTA), è emerso da un’analisi dettagliata senza precedenti e i risultati sono stati ottenuti grazie ai dati raccolti in 24 anni con cinque radiotelescopi europei a grande apertura.
«Possiamo misurare piccole fluttuazioni nei tempi di arrivo del segnale radio delle pulsar sulla Terra, causate dalla deformazione dello spazio-tempo dovuta al passaggio delle onde gravitazionali. In pratica queste deformazioni si manifestano come sorgenti di irregolarità a bassissima frequenza nella serie dei tempi di arrivo degli impulsi, irregolarità che sono condivise da tutte le pulsar di una PTA» spiega Alberto Vecchio dell’Università di Birmingham.
Tuttavia, la dimensione di queste fluttuazioni è incredibilmente piccola (stimata da decine a un paio di centinaia di miliardesimo di secondo) e non semplice da definire e rilevare.
Il Dr. Siyuan Chen, ricercatore presso il CNRS di Orleans, co-autore principale dello studio, osserva: «Al momento, le incertezze statistiche nelle nostre misurazioni non ci consentono ancora di identificare la presenza di correlazione spaziale prevista per segnali di onde gravitazionali di fondo. Per ulteriori conferme dobbiamo includere più dati di pulsar nell’analisi, tuttavia i risultati attuali sono molto incoraggianti».
Le proprietà spettrali del segnale candidato (cioè come l’ampiezza del rumore osservato e come varia con la sua frequenza) rimangono all’interno delle aspettative teoriche per le fluttuazioni attribuibili alle onde gravitazionali.
Il dott. Nicolas Caballero, ricercatore presso il Kavli Institute for Astronomy and Astrophysics di Pechino e co-autore principale, spiega: «L’EPTA ha trovato per la prima volta indicazioni di questo segnale nel set di dati precedentemente pubblicato nel 2015, ma, poiché i risultati avevano maggiori incertezze statistiche, sono stati discussi rigorosamente solo come limiti superiori. I nostri nuovi dati ora confermano chiaramente la presenza di questo segnale, rendendolo un candidato per un GWB».
L’EPTA è un membro fondatore dell’International Pulsar Timing Array (IPTA). Poiché anche le analisi dei dati indipendenti eseguite dagli altri partner IPTA (cioè gli esperimenti NANOGrav e PPTA) hanno indicato segnali comuni simili, è diventato fondamentale applicare più algoritmi di analisi per aumentare la possibilità di rilevare GWB. I membri dell’IPTA stanno lavorando insieme, traendo conclusioni dal confronto dei loro dati e analisi per prepararsi meglio per i prossimi passi.
Alberto Vecchio afferma: «Il rilevamento di onde gravitazionali da una popolazione di sistemi binari di buchi neri supermassicci o da un’altra fonte cosmica ci darà informazioni senza precedenti su come si formano e crescono le galassie, o sui processi cosmologici che si verificano nell’universo primordiale. I prossimi anni potrebbero essere un periodo d’oro per questo tipo di misurazioni e stiamo intensificando i nostri sforzi utilizzando set di dati migliori, più lunghi e più ricchi».
Illustrazione di una possibile binaria a raggi X con pianeta in transito (Fonte: ESA)
Individuare un pianeta in un’altra galassia non è un’impresa facile. Poiché la luce di un’altra galassia è racchiusa in una piccola area del cielo, è molto difficile per i telescopi distinguere una stella da un’altra, perciò finora nessun sistema planetario al di fuori della Via Lattea è stato confermato.
La questione cambia quando, per ricercare esopianeti, vengono impiegati i raggi X, invece che la luce visibile. Infatti, un telescopio a raggi X come l’XMM dell’ESA può distinguere più facilmente gli oggetti quando si osserva una galassia. Questi oggetti sono quindi più facili da identificare e studiare e potrebbe essere possibile trovare un pianeta intorno a loro.
Illustrazione di una possibile binaria a raggi X con pianeta in transito (Fonte: ESA)
Alcuni degli oggetti più luminosi che vengono studiati nelle galassie esterne sono le cosiddette binarie a raggi X. Questi corpi celesti sono costituiti da una struttura molto compatta – una stella di neutroni o un buco nero – che sta mangiando materiale da una stella compagna – o donatrice – che gli orbita attorno. Il materiale in caduta viene accelerato dall’intenso campo gravitazionale della stella di neutroni o buco nero e riscaldato a milioni di gradi, producendo molti raggi X luminosi. Gli astronomi sfruttano questi oggetti per intercettare pianeti in transito, che passano in prossimità a tale sorgente di luce.
«Le binarie a raggi X possono essere luoghi ideali per cercare pianeti perché, sebbene siano un milione di volte più luminosi del nostro Sole, i raggi X provengono da una regione molto piccola. In effetti, la sorgente che abbiamo studiato è più piccola di Giove, quindi un pianeta in transito potrebbe bloccare completamente la luce dalla binaria di raggi X» spiega Rosanne Di Stefano del Center for Astrophysics, Harvard & Smithsonian negli Stati Uniti, e prima autrice di un nuovo studio pubblicato oggi su Nature Astronomy.
Rosanne e colleghi hanno cercato nei dati di Chandra e XMM-Newton di tre galassie tali transiti di raggi X e cali di luce, che potrebbero essere spiegati dai pianeti. Hanno allora individuato un segnale molto speciale nella Galassia Whirlpool (M51). Il calo si è verificato nel binario a raggi X M51-ULS-1 e ha bloccato completamente il segnale per alcune ore, prima che tornasse di nuovo.
«In un primo momento, ci siamo assicurati che il segnale non fosse causato da nient’altro» afferma Rosanne, il cui team si oppone a una serie di possibilità nella loro nuova pubblicazione «Lo abbiamo fatto con un’analisi approfondita del calo dei raggi X nei dati di Chandra analizzando altri cali e segnali nei dati XMM e anche modellando i cali causati da altri possibili eventi, incluso un pianeta».
Gli autori del paper spiegano che il calo potrebbe essere spiegato da variazioni di luminosità della sorgente stessa. Infatti, la luce dalla sorgente è completamente scomparsa per alcune ore prima di tornare, mentre la temperatura e i colori della luce sono rimasti gli stessi. Un pianeta in transito potrebbe essere quindi la causa dell’interruzione di emissioni luminose.
«Abbiamo fatto delle simulazioni al computer per vedere se il tuffo ha le caratteristiche di un pianeta in transito e abbiamo scoperto che si adatta perfettamente. Siamo abbastanza fiduciosi che abbiamo trovato il nostro primo pianeta candidato al di fuori della Via Lattea» aggiunge Rosanne.
Il team specula anche sulle caratteristiche del pianeta in base alle loro osservazioni: sarebbe delle dimensioni di Saturno, in orbita attorno al sistema stellare binario da decine di volte la distanza Terra-Sole. Farebbe un’orbita completa all’incirca ogni 70 anni e sarebbe bombardato da quantità estreme di radiazioni, rendendola inabitabile per la vita, come la conosciamo sulla Terra.
Questa lunga orbita del pianeta candidato è però un limite agli studi intrapresi, poiché il suo passaggio in prossimità della fonte luminosa non può ripetersi in tempi brevi. Ecco perché il team è titubante nell’affermare con certezza che sia un nuovo pianeta esterno alla nostra galassia, per evitare di conseguenza immediate smentite da parte di altri laboratori di ricerca.
«Possiamo solo affermare che il fenomeno osservato trova una spiegazione nella presenza di un pianeta in transito» chiarisce Rosanne.
Tuttavia, questo è un entusiasmante passo avanti per la ricerca di pianeti al di fuori della Via Lattea. Quanto è stato osservato dal XMM-Newton per l’ESA potrebbe essere il primo pianeta che orbiterebbe attorno a un sistema ospite noto con una binaria a raggi X. Inoltre, lo studio dei raggi X permetterà di ampliare le ricerche e favorire la scoperta di altri pianeti al di là della Via Lattea.
“A possible planet candidate in an external galaxy detected through X-ray transit”, by Rosanne Di Stefano et al. is planned for publication in Nature Astronomy on 25 October 2021.
L'anno scorso la startup missilistica britannica Skyrora ha testato il suo razzo suborbitale Skylark Micro. In futuro, i razzi dell'azienda saranno alimentati da un carburante rinnovabile ottenuto da plastica non riciclabile. (Fonte: Skyrora)
I viaggi spaziali hanno un impatto significativo sull’ambiente: a seconda del tipo di carburante, a ogni lancio si iniettano quantità variabili di fuliggine negli strati più alti dell’atmosfera terrestre, contribuendo al cambiamento climatico.
Due startup inglesi (Skyrora e Orbex) puntano a una svolta green, utilizzando per i propri razzi dei carburanti derivanti da plastica non riciclabile e del bio-propano, un gas naturale ottenuto come sottoprodotto durante la produzione di biodiesel.
L'anno scorso la startup missilistica britannica Skyrora ha testato il suo razzo suborbitale Skylark Micro. In futuro, i razzi dell'azienda saranno alimentati da un carburante rinnovabile ottenuto da plastica non riciclabile. (Fonte: Skyrora)
Una settimana fa, Orbex ha pubblicato i risultati di uno studio sul razzo Prime (un micro-lanciatore alimentato a bio-propano) che sembra produrre l’86% in meno di emissioni rispetto a un lanciatore a combustile fossile di dimensioni simili.
Solitamente come carburante si utilizza il Rocket Propellant 1 (RP-1), una forma raffinata di cherosene per aerei. Questo tipo di propellente, durante il lancio di missili, crea molta fuliggine, con importanti conseguenze sugli equilibri atmosferici. I razzi ne iniettano enormi quantità negli strati superiori dell’atmosfera, dove possono innescare cambiamenti di ampia portata.
È qui che la tecnologia del razzo Prime può fare la differenza. L’Università di Exeter, la quale si è occupata di testare il missile, afferma che questo nuovo veicolo emetterà molta meno fuliggine, eliminandola quasi completamente.
Orbex prevede di far volare per la prima volta Prime il prossimo anno dallo Space Hub Sutherland, sulla costa settentrionale della Scozia.
La sua controparte, Skyrora, non ha ancora lanciato il suo razzo orbitale ecologico, ma ha eseguito con successo diversi voli di prova del suo missile suborbitale Skylark Micro. Nel 2020 l’azienda ha testato un piccolo prototipo del suo motore, che funziona con carburante ricavato da plastica non riciclabile. Secondo il loro sito web, il nuovo carburante (Ecosene), ha mostrato un profilo energetico migliore dell’1-3 % rispetto a RP-1.
Derek Harris, CEO della divisione Ecosene di Skyrora, ha affermato: «La plastica che utilizziamo in realtà proviene dallo smaltimento dei rifiuti. La produzione di biocarburanti potrebbe essere un modo per ridurre la produzione della plastica sulla Terra».
Skyrora spera di concludere i suoi studi sui biofuels entro la fine del 2022, per poi lanciare il proprio prototipo di razzo orbitale dallo spazioporto delle isole Shetland.
Orbex e Skyrora non sono le uniche startup a lavorare sui biocarburanti. Nel febbraio di quest’anno l’americana BluShift Aerospace ha lanciato il suo prototipo di razzo (Stardust 1.0) con biocarburante ottenuto dai rifiuti agricoli.
Illustrazione della Stazione Spaziale Axiom. Credit: Axiom Space
Si è tenuto oggi al Senato americano un dibattito sul futuro della Stazione Spaziale Internazionale (ISS), coinvolti la NASA e i rappresentanti delle aziende private.
Avviata dal presidente Ronald Reagan nel 1984 e oggi considerata una testimonianza della cooperazione internazionale, la Stazione Spaziale Internazionale è ampiamente considerata una meraviglia dell’ingegneria aerospaziale, anche se alcuni si chiedono se sia stata una spesa utile.
Illustrazione della Stazione Spaziale Axiom. Credit: Axiom Space
Il più recente atto di autorizzazione della NASA, emanato nel 2017, impegna gli Stati Uniti a sostenere la stazione spaziale “almeno fino al 2024” e c’è aspettativa diffusa che il sostegno degli USA sia esteso fino al 2030, ma l’amministratore Jim Bridenstine ha escluso questa idea: «Vorrei anche dirvi che non c’è alcuna garanzia che arriveremo al 2030».
Di tutt’altra opinione è Mike Gold, rappresentante degli interessi commerciali privati, che ha detto: «Estendere la presenza degli Stati Uniti per legge al 2030 invierebbe un messaggio chiaro ed inequivocabile ai nostri partner rivali».
Dello stesso avviso è Mary Lynne Dittmar, vice presidente per i rapporti con le istituzioni della Axiom Space. La Axiom Space sta lavorando ad un progetto per un modulo, ora agganciato alla ISS, ma che nel 2028 dovrebbe staccarsi per diventare una base commerciale autonoma, quindi ben oltre il 2024 prospettato dalla NASA. È naturale che la Dittman si stia preoccupando per il futuro della ISS, ma la stessa è intervenuta ribadendo come gli Stati Uniti dovrebbero mantenere il controllo dell’orbita bassa terrestre, di fatto il naturale passaggio per tutta l’esplorazione spaziale del futuro.
Al centro del dibattito c’è proprio l’aspettativa di vita della Stazione Spaziale Internazionale. Mentre da un lato la NASA sostiene di non voler mantenere due stazioni spaziali in orbita a spese del governo (l’altra sarebbe il pioneristico progetto Artemis), dall’altra il Congresso risponde con la richiesta di argomentazioni valide, mal celando la preoccupazione non del tutto infondata di dover cedere la leadership dell’orbita bassa proprio alla Cina che ha appena inviato un secondo equipaggio alla sua nuova stazione spaziale.
Il tutto inevitabilmente verte intorno ad interessi economici e finanziari. La NASA spende 3-4 miliardi di dollari del suo budget annuale per far funzionale la ISS, un drenaggio significativo alle sue risorse che verrebbe parzialmente contenuto dal passaggio a partnership più strutturate fra pubblico e privato. Se sarà la NASA a dover mantenere operativa la ISS fino al 2030, da dove otterrà i fondi per sostenere altri progetti come Artemis Moon/Mars?
Alla fine il Senato ha approvato una nuova legge che autorizzerebbe la Nasa ad operare con la ISS fino al 2030.
Il Congresso e l’amministrazione dovranno decidere per quanto tempo la NASA potrà fare affidamento sulla stazione spaziale cinese per i suoi progetti essenziali. Bridenstine, ex amministratore della NASA, ha concluso il comitato dicendo senza mezzi termini: «Il tempo è scaduto. Bisogna decidere ora».
Il 16 ottobre alle 11:34 (ora italiana) da Cape Canaveral è partita la prima sonda NASA diretta verso gli asteroidi troiani di Giove. Una missione che andrà ad approfondire le origini del nostro sistema planetario. Lucy impiegherà 12 anni a incontrare gli asteroidi della fascia principale dei Troiani di Giove. Una missione lunga e non priva di difficoltà, la prima delle quali subito dopo il lancio con il malfunzionamento di uno dei pannelli solari.
LA MISSIONE
«Lucy incarna lo spirito della NASA volto a spingersi nel cosmo per il puro amore dell’esplorazione e della scienza, per comprendere meglio l’universo e ruolo dell’uomo», ha affermato l’amministratore della NASA Bill Nelson «Non vedo l’ora di vedere quali misteri svelerà la missione!»
Gli asteroidi Troiani di Giove orbitano attorno al Sole sulla stessa traiettoria del gigante gassoso e si ipotizza siano gli “avanzi” della formazione planetaria. Se fosse vero, studiandoli otterremmo importanti indizi sulla nascita del Sistema Solare, insomma dei veri e propri “fossili cosmici”.
La missione ha i suoi esordi nel 2014 e la sonda impiegherà ancora diversi anni per raggiungere il primo asteroide troiano, incrociando le dita e problemi tecnici permettendo! Dopo il successo del lancio infatti, la NASA ha comunicato che uno dei due pannelli solari non è riuscito a bloccarsi nella giusta posizione dopo il dispiegamento; la fortuna assiste la sonda ed entrambi stanno producendo energia caricando la batteria.
Un viaggio lungo e difficoltoso, è vero, ma il responsabile scientifico della missione Hal Levison assicura che questi oggetti, per il loro immenso valore scientifico, valgono l’attesa e lo sforzo richiesto e sono come diamanti nel cielo.
Non sfugge la citazione della famosa canzone dei Beatles Lucy in the Sky with Diamonds che dà il nome al fossile della più celebre antenata dell’uomo, Lucy, a cui è stata dedicata la sonda NASA.
Nel team di ricerca anche un italiano, Simone Marchi, deputy project scientist della missione e ideatore del logo che ricorda proprio un diamante nella forma, fondamentale il contributo del figlio di sette anni.
PICCOLA CURIOSITA’ STORICA
da Coelum n. 9-10, Volume XXIII Settembre-Ottobre 1955
Gli asteroidi sono da sempre oggetti di grande interesse scientifico e questa della NASA è una missione senza precedenti.
Oggi si apre un incredibile nuovo capitolo che approfondirà la nostra conoscenza del Sistema Solare, mentre, in questo stesso periodo esattamente 66 anni fa, nel n. di Settembre-Ottobre 1955 della rivista Coelum si metteva in luce il metodo di ricerca sui “minuscoli pianetini” che circolano tra le orbite di Marte e Giove. Uno studio complesso guidato da G.P. Kuiper (1905-1973), astronomo olandese autore di un accurato lavoro di osservazione sugli asteroidi, un pioniere nello studio di questi oggetti così interessanti.
Partendo da “Un eccellente astrografo di Ross-Fecker” (cit.) per fotografare questi minuscoli pianetini fino ad arrivare ai sofisticati sistemi di bordo di Lucy: cambiano i metodi e gli strumenti, ma il fascino degli asteroidi rimane immutato.
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"Eruzioni vulcaniche" da buco nero nello spazio intergalattico
I risultati provengono dagli studi di Nest200047, un gruppo di galassie altrimenti innocuo a circa 200 milioni di anni luce di distanza che ospita uno spettacolare buco nero nella galassia al suo centro. Il buco nero sta attivamente accrescendo qualsiasi materia circostante e di conseguenza rilascia potenti flussi di particelle. Queste particelle hanno formato coppie di bolle e filamenti di gas caldo che si sono gradualmente allontanati dal buco nero, raggiungendo distanze di centinaia di migliaia di anni luce e impattando su tutto ciò che si trova sulla loro strada. Queste strutture ora osservabili ricordano fortemente i flussi di fumo prodotti nell’atmosfera terrestre dalle eruzioni vulcaniche.
"Eruzioni vulcaniche" da buco nero nello spazio intergalattico
I buchi neri assorbono materia dall’ambiente circostante a causa della loro potente attrazione gravitazionale, materia che successivamente fuoriesce sotto forma di getti di particelle cariche che lanciate alla velocità della luce.
Questo recentissimo studio mostra in dettaglio come si diffonde tutta la materia così espulsa nello spazio intergalattico e da quel che appare il processo è simile al modo in cui le nuvole di cenere vulcaniche vengono propagate in atmosfera sul pianeta Terra.
“La nostra indagine mostra come le bolle di gas accelerate dal buco nero si espandano e si trasformino nel tempo. In effetti, creano spettacolari strutture a forma di fungo, anelli e filamenti simili a quelli originati da una potente eruzione vulcanica sul pianeta Terra” sostiene Marisa Brienza, ricercatrice presso il dipartimento di fisica e astronomia dell’Università di Bologna ha affermato e direttrice dell’indagine.
Timothy Shimwell (Netherlands Institute for Radio Astronomy, ASTRON), coautore dello studio, è entusiasta del risultato. “Per molti anni i ricercatori hanno cercato di capire quanta parte dell’area circostante può influenzare un buco nero. Le immagini che abbiamo creato di questo incredibile sistema mostrano che la risposta è sorprendentemente ampia. Il buco nero non influenza solo la galassia ospite, ma ha un impatto su un vasto ambiente intergalattico che può contenere centinaia di altre galassie e influenzerà aspetti come la velocità con cui le stelle si formano in quelle galassie”.
Le osservazioni che hanno reso possibile questa ricerca sono state condotte dal Low Frequency Array (LOFAR) e dall’esteso Roentgen Survey with an Imaging Telescope Array (eROSITA). LOFAR, che ha sede nei Paesi Bassi, è il più grande radiotelescopio a bassa frequenza del mondo, ed eROSITA, è un telescopio spaziale all’avanguardia.
LOFAR si sta dimostrando tra i radiotelescopi più prolifici al mondo. “Questa è un’altra fantastica scoperta scientifica che LOFAR ha facilitato e ha aperto una nuova strada di ricerca che sarà attivamente perseguita”, afferma Huub Rottgering (Università di Leiden). Ciò avviene dopo sforzi di sviluppo sostanziali e sostenuti, con Reinout van Weeren (Università di Leiden) che osserva che “le tecniche necessarie per sfruttare appieno un telescopio pionieristico come LOFAR richiedono anni per essere sviluppate e fanno affidamento su alcune delle più grandi strutture di calcolo della nazione per funzionare, quindi ottenere questo tipo di risultato è uno sforzo mastodontico, ma è molto gratificante farne parte.
Nature Astronomy“A snapshot of the oldest active galactic nuclei feedback phases” M. Brienza, T. W. Shimwell, F. de Gasperin, I. Bikmaev, A. Bonafede, A. Botteon, M. Brüggen, G. Brunetti, R. Burenin, A. Capetti, E. Churazov, M. J. Hardcastle, I. Khabibullin, N. Lyskova, H. J. A. Röttgering , R. Sunyaev, R. J. van Weeren, F. Gastaldello, S. Mandal, S. J. D. Purser, A. Simionescu and C. Tasse.
Fotografie, videoproiezioni e sale multisensoriali danno vita a un viaggio contemplativo nel tempo, nella notte e oltre il visibile nel percorso espositivo ideato da Alessia Scarso, regista di formazione e con la passione per la fotografia astronomica. Dal 2019 è membro del gruppo di astrofotografi Pictores Caeli con cui condivide il piacere di restituire il senso di meraviglia che si prova al momento dell’osservazione e dello scatto.
IL PERCORSO ESPOSITIVO
“Ad Sidera. C’era una volta celeste” è un viaggio che conduce fino al sé più intimo, allontanandosi dalla quotidianità rumorosa, caotica e luminosamente inquinata ed inquinante per trovare luoghi di silenzio e calma. La mostra-evento, inaugurata ad agosto e accompagnata dalle musiche originali del compositore Marco Cascone, è promossa dalla Fondazione Teatro Garibaldi presso l’ex Convento del Carmine di Modica ed è stata prorogata fino al 14 novembre 2021.
«Tutto è iniziato dal disagio di guardare ad altezza uomo. Ciò che percepivo non mi nutriva, e ho sentito il bisogno di alzare lo sguardo alla ricerca di qualcosa di più pulito. Potrei chiuderla qui, perché a un visitatore non servirebbe altro: la relazione tra spettatore e opera è un momento intimo» così racconta Alessia Scarso «Non è uno sguardo inedito per me quello verso l’alto. Ne ho avuto esperienza già da curiosa adolescente durante le veglie alle stelle e i fuochi di Bivacco e durante le notti di pesca in spiaggia. Non passò molto tempo che accanto alla canna da pesca ci fu una fotocamera che mi aiutasse a esplorare oltre ciò che l’occhio umano è in grado di percepire».
Da notti passate a fotografare il cielo e realizzare opere fotografiche nasce “Ad Sidera”, con video e anche un’installazione multimediale che dà il titolo al percorso espositivo: in una sala si gioca con l’invisibile e l’impercettibile scoperchiando la volta di una chiesa per rivelare la vera Volta Celeste. Il termine “C’era una volta” rievoca proprio l’inizio di una fiaba, una storia passata che attraverso il racconto ritorna presente.
Durante il percorso, inoltre, è disponibile uno spettacolare timelapse con protagonista il vulcano Etna. Il video è il vincitore del PNA di Parigi (Photo Nightscape Awards); una collaborazione a più mani tra la regista, Dario Giannobile e Marcella Giulia Pace, anche loro membri di Pictores Caeli.
Per maggiori informazioni sulla mostra: www.alessiascarso.it/adsidera
Coelum Astronomia non molla mai. Cerca strade, si rinnova, inventa soluzioni, guarda a quanto è possibile, pesa ogni opzione, valuta ogni strada, e rimane fedele alla missione principale: raccontare l’Astronomia a tutti gli appassionati.
Oggi Coelum, una rivista a cui noi tutti siamo profondamente affezionati, affronta un’altra sfida, una risposta reattiva ai cambiamenti imposti dalle regole della comunicazione, che mai come ora introduce costantemente nuovi strumenti e nuove tecniche. Cambia ed evolve anche il pubblico che sviluppa ed alimenta nuove abitudini nella fruizione delle notizie. Un pubblico interessato, mai come ora, ad un’informazione assolutamente attenta ed accurata, vuoi anche complice il periodo difficile e funesto attraversato (tutti con le dita incrociate!) che ha alzato l’asticella della qualità.
A noi dello staff della Visione Futuro, l’onore di condurre la rivista attraverso questo passaggio cruciale. Saremo responsabili di un prestigioso bagaglio storico da conservare e valorizzare, mentre con lungimiranza dovremo saper guardare a nuovi servizi e, ove necessario, valutare nuove collaborazioni anche e soprattutto fra i tantissimi giovani che oggi contribuiscono alla diffusione della cultura scientifica nei modi più originali.
Sarà questa la vera sfida, fare da collante fra tradizione e novità, ma è una sfida che vogliamo cogliere con entusiasmo. Un impegno per un lavoro sereno, costante e duraturo negli anni.
Il nostro più grande grazie a chi nel tempo ha contribuito a rendere Coelum Astronomia un gioiello fra i progetti di diffusione delle Scienze. Un ringraziamento speciale va al precedente editore e alla sua redazione per la fiducia riposta nelle nostre potenzialità e nei nostri progetti.
Dal 1997 Coelum accompagna la nostra passione per l’Astronomia.. e continuerà a farlo ancora per molto tempo!
Immagine di un'aurora boreale da satellite in orbita
Nella serata dell’11 Ottobre spettacolari aurore boreali sono apparse nel cielo di New York e in altre aree a sud della costa orientale degli Stati Uniti. Uno spettacolo insolito a così alte latitudini.
Immagine di un’aurora boreale dalla Stazione Spaziale Internazionale
Il National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA) ha registrato quasi contemporaneamente una tempesta solare di categoria G2, causata da un’intesa attività del Sole. Un tale brillamento solare, classificato dal NOAA come moderatamente forte, è in grado di distorcere il campo magnetico terrestre disturbando la magnetosfera per un breve periodo.
Tempeste magnetiche di simili caratteristiche in passato hanno provato una serie di complicazioni a strumentazioni e altri sistemi:
– le reti elettriche possono presentare allarmi di tensioni, che vanno ad arrecare danni ai trasformatori
– si verifica una perdita del controllo di satelliti in orbita,
– si hanno delle interruzioni della propagazione delle emissioni radio
Per altro tuttavia questi fenomeni sono eventi meteorologici spaziali abbastanza comuni, poiché il Sole rilascia con regolarità i CME. I CME (Coronal Mass Ejection) o espulsione di massa coronale, sono un’emissione di materiale proveniente dalla corona solare, costituito da plasma caricato elettricamente, che quando raggiunge la magnetosfera terrestre tende a comprimerla nell’emisfero illuminato per espanderla in quello non illuminato. A questo punto nella zona notturna della Terra le particelle del plasma migrano verso i poli, rilasciando energia sotto forma di luce colorata: è così che si verificano aurore intese come quelle avvistate nei cieli di Manhattan.
Il NOAA ha pubblicato un orologio geomagnetico per registrare la durata del fenomeno e l’impatto della tempesta sui sistemi elettrici e satellitari. Una tecnologia questa in grado di controllare la quantità di energia che viene rilasciata dalle tempeste nelle 22 ore successive al manifestarsi del fenomeno, e quindi permettere previsioni sempre più precise ed istantanee.
Gli studi sulla meteorologia spaziale sono importanti poiché hanno già ed avranno sempre più in futuro un notevole impatto sulle missioni umane fuori dall’orbita terrestre, oltre che permetterci di essere avvisati in tempo per assistere a questi spettacolari eventi luminosi.
A partire dalla serata di martedì 12 Ottobre, l’energia della tempesta solare è andata diminuendo. Tuttavia il centro di climatologia americano ha dichiarato che alcune aurore boreali saranno visibili anche nei prossimi giorni nei cieli del Canada e dell’Alaska.
Immagine della categoria G2 (Moderata) Tempesta Geomagnetica NOAA
Chiunque desideri recarsi negli Stati Uniti d’America, sia che si tratti di un viaggio a New York o un’altra destinazione negli USA, deve richiedere un visto o un ESTA USA. I viaggiatori italiani possono richiedere l’ESTA USA online. L’ESTA è più facile, veloce e economico da richiedere rispetto al visto USA e la richiesta può essere presentata comodamente da casa.
Immagine della SN2021vaz in NGC1961 ripresa da Paolo Campaner con un riflettore da 400mm F.5,5 somma di 13 immagini da 75 secondi.
ABSTRACT
Con l’inizio della nuova Rubrica Supernovae dall’anno 2012 abbiamo raccontato tutte le supernovae (compreso le Novae Extragalattiche) scoperte da astrofili italiani, oltre alle supernovae più importanti cioè quelle più luminose scoperte nelle più belle e fotogeniche galassie, come per esempio quelle del catalogo di Messier. Abbiamo inoltre stilato la Top Ten mondiale dei 10 maggiori scopritori amatoriali al mondo di supernovae ed uno ad uno li abbiamo intervistati tutti. Nel numero 249 di novembre 2020 abbiamo iniziato a raccontare anche le 10 supernovae scoperte da italiani nelle galassie Messier partendo dalla prima cioè la SN1957B scoperta dal professor Giuliano Romano nella galassia M84 ed in ordine cronologico analizzeremo tutte le altre. A causa della spietata concorrenza dei programmi professionali di ricerca supernovae, il numero delle scoperte amatoriali, comprese quelle italiane, è andato progressivamente a diminuire e pertanto dal gennaio di quest’anno la Rubrica Supernovae ha preso in esame tutte le scoperte amatoriali a livello mondiale. Abbiamo infine dato spazio anche ad un nuovo campo di ricerca, emerso in questi ultimi anni, rappresentato dalla spettroscopia amatoriale di supernovae che vede l’Italia leader assoluto grazie principalmente all’astrofilo bellunese Claudio Balcon.
UNA GARA ALL’ULTIMO RESPIRO
Continua l’entusiasmante testa a testa tra il giapponese Koichi Itagaki e il neozelandese Stuart Parker, che si contendono, a suon di scoperte, il terzo gradino della Top Ten mondiale amatoriale di scopritori di supernovae. Il 3 luglio Stuart Parker, con la scoperta della AT2021skl nella galassia a spirale barrata ESO 297-G16 (PGC6044), aveva riconquistato in solitario la terza posizione della Top Ten a quota 165 scoperte. Koichi Itagaki risponde però prontamente mettendo a segno la sua sesta scoperta del 2021 e raggiungendo a sua volta il neozelandese a quota 165 scoperte. Nella notte del 5 agosto individua infatti una debole stellina di mag.+17,5 nella galassia a spirale NGC1961 posta nella costellazione della Giraffa a circa 170 milioni di anni luce di distanza. La notte seguente la scoperta, dal Heleakala Observatory nelle Isole Hawaii, con il Faulkes Telescope North di 2 metri di diametro, viene ripreso lo spettro di conferma. La SN2021vaz, questa la sigla definitiva assegnata, è una supernova di tipo II scoperta circa una settimana prima del massimo di luminosità con i gas eiettati dall’esplosione che viaggiano ad una velocità di circa 15.000 km/s. Intorno al 12 di agosto la supernova dovrebbe aver raggiunto il suo massimo a mag.+16,5.
Immagine della SN2021vaz in NGC1961 ripresa da Paolo Campaner con un riflettore da 400mm F.5,5 somma di 13 immagini da 75 secondi.
Koichi Itagaki nella sala controllo del suo osservatorio.
UN ITALIANO IN CLASSIFICA
Proseguiamo adesso con un’altra supernova amatoriale scoperta da astrofili cinesi, che interrompe l’egemonia nipponico-neozelandese e che ci riguarda molto da vicino. Nella notte dell’11 agosto Mi Zhang e Xing Gao del Xingming Observatory, che portano avanti il programma amatoriale di ricerca supernovae denominato XOSS, individuano la loro prima supernova del 2021. Per Xing Gao si tratta della scoperta numero 52 che gli permette di occupare la decima posizione nella Top Ten mondiale amatoriale (Coelum Astronomia 246). Il nuovo oggetto è stato individuato a mag.+17,3 nella galassia lenticolare NGC940 posta nella costellazione del Triangolo a circa 230 milioni di anni luce di distanza. Il primo a riprendere lo spettro di questa supernova, nella notte del 13 agosto, è stato il nostro Claudio Balcon, giunto alla sua classificazione n. 36 con ben 17 supernovae classificate per primo nel TNS in questo per lui stupendo 2021. Grazie allo spettro del bellunese, a questa supernova è stata assegnata la sigla definitiva SN2021vtl. Si tratta di una supernova di tipo Ia scoperta circa 10 giorni prima del massimo di luminosità, che si è verificato intorno al 21-22 agosto a mag.+15,5.
Immagine della SN2021vtl in NGC940 ripresa da Paolo Campaner con un riflettore da 400mm F.5,5 somma di 50 immagini da 15 secondi.
Xing Gao all’interno dell’Osservatorio Xingming.
NUOVE SCOPERTE
Concludiamo la rubrica con una interessante e luminosa supernova scoperta la notte del 23 agosto dal programma professionale americano di ricerca supernovae e pianetini denominato ATLAS Asteroid Terrestrial-Impact Last Alert System, nella galassia a spirale NGC6500 posta nella costellazione di Ercole a circa 140 milioni di anni luce di distanza. NGC6500 è accompagnata in cielo dalla compagna NGC6501, situata alla medesima distanza, di forma circolare e classificata in alcuni cataloghi come lenticolare ed in altri come spirale. La supernova che al momento della scoperta brillava di mag.+16,9 è situata proprio a metà strada fra le due galassie, ma leggermente più vicina ad NGC6500 che pertanto ha ottenuto il titolo di galassia ospite, ma non è da escludere che possa appartenere alla vicina NGC6501. Nella notte del 25 agosto dall’osservatorio di Mauna Kea nelle Isole Hawaii, con il UH88 Telescope da 2,2 metri è stato ripreso lo spettro di conferma. La SN2021wuf, questa la sigla definitiva assegnata, è una supernova di tipo Ia scoperta circa due settimane prima del massimo di luminosità. Nei giorni seguenti la luminosità della supernova è andata sempre più ad aumentare fino a raggiungere l’interessante mag.+14 intorno al 7 settembre. Abbiamo perciò la possibilità di riprendere una luminosa supernova situata nel bel mezzo di una fotogenica coppia di galassie, visibile già in prima serata.
Immagine della SN2021wuf in NGC6500 nei giorni del massimo di luminosità, vicina alla mag.+14, ripresa da Paolo Campaner con un riflettore da 400mm F.5,5 somma di 13 immagini da 75 secondi.
Immagine delle Librazioni Regione Sudovest dal 01 - 04 al 26 -31 Ottobre
ABSTRACT
Come ogni anno dal 2010, tra Settembre e Ottobre “International Observe the Moon Night” viene a costituire una imperdibile occasione per ritrovarsi davanti ad un telescopio o un binocolo ad osservare il satellite della Terra: la Luna. Questo per la serata del 16 Ottobre 2021, si tratta di un evento pubblico sponsorizzato dalla “Missione Lunar Reconnaisance Orbiter“, dalla Divisione di esplorazione del Sistema Solare presso il “Goddard Space Center” della NASA, oltre ad altre organizzazioni impegnate ad incoraggiare l’osservazione e la comprensione di tutto quanto riguarda la nostra Luna. In Italia tale iniziativa viene promossa da INAF – Istituto Nazionale di Astrofisica oltre che dall’UAI – Unione Astrofili Italiani, divenuta partner ufficiale di questo evento.
L’invito è rivolto praticamente a tutti gli appassionati a livello planetario, celebrando questo importante evento con la propria partecipazione come osservatori lunari, oppure impegnandosi nell’organizzazione della serata del 16 Ottobre. Nel caso specifico il nostro satellite si troverà in una delle migliori condizioni osservative in fase di 10,3 giorni e, dopo essere sorto alle ore 17:19, si renderà perfettamente visibile culminando in meridiano alle ore 22:31 ad un’altezza di +31° per poi andare a tramontare a notte inoltrata. Anche in questa fase lunare, tre giorni dopo il Primo Quarto, sarà possibile ammirare un’infinita quantità di dettagli e panorami mozzafiato, antichissime testimonianze della tumultuosa storia geologica del nostro satellite.
Ma “guardare la Luna” dovrà avere anche un significato ben oltre la semplice “osservazione al telescopio“. Infatti tra gli obiettivi dell'”International Observe the Moon Night” vi è anche quello di unire le persone di tutto il mondo nella consapevolezza in merito ai programmi della NASA riguardo l’esplorazione lunare e dello spazio in generale.
Fasi della Luna
A chiunque osservi il nostro satellite naturale, anche senza l’ausilio degli appositi strumenti ottici, non sarà certamente sfuggito un fenomeno dovuto alla differente collocazione che il nostro pianeta e la Luna acquisiscono rispetto al Sole durante i loro moti: sono le Fasi Lunari. Quando il nostro satellite viene a trovarsi in una posizione fra il Sole e la Terra rivolge verso il nostro pianeta il suo lato buio risultando quindi invisibile. In questa fase, detta appunto Luna Nuova, la nostra stella e la Luna sorgono e tramontano praticamente insieme. Quando invece siamo in presenza di un allineamento in cui il nostro pianeta viene a trovarsi tra il Sole ed il nostro satellite naturale siamo in Luna Piena. In questo caso l’emisfero lunare rivolto verso di noi ci appare completamente illuminato.
Quando la Luna è a metà del suo percorso e l’angolo formato da Sole – Terra – Luna risulta essere di 90° il nostro satellite ci consente di osservare metà del suo emisfero illuminato dalla luce del Sole: ci troviamo in questo caso al Primo o all’Ultimo Quarto. La Luna per compiere un giro completo di 360° intorno al nostro pianeta nel corso del mese siderale impiega 27 giorni – 7 ore – 43′ – 11″. Per mese sinodico (o lunare) si intende l’arco di tempo intercorso tra una LUNA NUOVA e l’altra, mediamente 29 giorni – 12 ore – 44′, durata variabile a causa delle irregolarità del moto lunare. La rotazione del nostro satellite intorno alla Terra ed il contestuale spostamento a causa del suo moto di rivoluzione intorno al Sole sono all’origine delle differenze tra mese siderale e mese sinodico.
Osservazioni Luna di Ottobre
Alle ore 00:00 dei primi giorni di ottobre il nostro satellite si è trovato pochi gradi sotto l’orizzonte, mentre un’ora più tardi, alle 01:01, è sorto in età di 24 giorni, già pronto a farsi ammirare nella sua fase calante. In genere, basta attendere circa due ore per poi orientare il proprio telescopio sulle innumerevoli strutture situate lungo la linea del terminatore, tra cui le regioni del Sinus Iridum, Aristarchus Plateau, Kepler, Mare Humorum, fino alle rispettive cuspidi nord e sud, tenendo presente che in luna calante è possibile scandagliare in dettaglio, tra l’altro, anche l’enorme e scura distesa basaltica dell’Oceanus Procellarum.
Alle ore 13:05 del 6 Ottobre è stato possibile osservare la Luna Nuova con la rituale ripartenza di un nuovo ciclo lunare, e con la fase crescente che di sera in sera porterà progressivamente il nostro satellite nelle migliori condizioni osservative delle ore serali.
Luna Nuova:Siamo all’inizio del nuovo ciclo lunare col Sole e la Luna in congiunzione. In questo caso il lato della Luna rivolto verso la Terra ci appare completamente buio, mentre l’altro emisfero lunare è completamente illuminato. Luna fra Terra e Sole, sorge al mattino e tramonta la sera.
Mentre dal 13 Ottobre, la fase di Primo Quarto si avrà alle ore 05:25, ma con la Luna a -60° sotto all’orizzonte, mentre per osservare al telescopio questa spettacolare fase lunare sarà sufficiente attendere le ore 19:30 circa della medesima serata, con transito in meridiano alle ore 19:56 a +19°. Nel caso specifico avremo tutta la serata per scorrere col telescopio in lungo e in largo sulla superficie lunare, andando alla ricerca di una infinita quantità di strutture geologiche delle più svariate dimensioni, situate in prossimità del terminatore, oltre alle vaste e scure aree basaltiche dei mari Frigoris (lato est), Serenitatis, Tranquillitatis, Fecounditatis, Crisium, Nectaris, senza dimenticare che anche lungo l’estremo bordo lunare è possibile effettuare dettagliate osservazioni.
Primo QUARTO: Siamo al punto in cui la Luna è a 1/4 della sua orbita e dal nostro emisfero vediamo metà del disco lunare illuminato, precisamente quello a destra. Al contrario, nell’emisfero australe in questa fase la metà illuminata sarà quella di sinistra.
Pochi minuti dopo la mezzanotte il nostro satellite scenderà sotto l’orizzonte. Al culmine della fase crescente, alle ore 16:57 del 20 Ottobre si avrà il Plenilunio con la Luna a -17° sotto l’orizzonte ma pronta a sorgere alle ore 18:39 per mostrarsi in tutto il suo controverso splendore a partire dalle 19:30 circa fino all’alba del mattino seguente. Segnalo che il punto di massima librazione corrisponderà alla regione intorno al mare Humboldtianum, in prossimità del bordo nordest. Nel caso specifico la Luna sarà a 401300 km dalla Terra e con un diametro apparente di 29.78′.
Luna PIENA:In questo caso Sole e Luna vengono a trovarsi in opposizione. In determinate occasioni, in presenza di un corretto allineamento fra Luna Piena, Sole e Terra, la Luna entrerà nell’ombra del nostro pianeta ed avremo un’eclissi lunare. Terra fra Luna e Sole, sorge la sera e tramonta al mattino.
A metà strada del percorso discendente fra Plenilunio e Novilunio, alle ore 22:05 del 28 Ottobre il nostro satellite sarà in Ultimo Quarto a -13° sotto l’orizzonte ma pronto a sorgere qualche ora più tardi, alle ore 23:50, quando si renderà visibile per tutta la notte fino ad avvicinarsi al meridiano alle prime luci dell’alba. Nelle ultime notti del mese la Luna ritarderà sempre più il suo sorgere limitando la sua osservabilità alle più profonde ore della notte, in attesa del successivo Novilunio che vedremo nel prossimo mese di Novembre.
Ultimo Quarto:Giunta ormai a 3/4 della sua orbita alla Luna manca infatti proprio l’ultimo quarto per completare il suo moto di rivoluzione. Nel caso specifico vediamo illuminata la metà opposta del disco lunare rispetto al primo quarto, cioè il lato alla nostra sinistra, al contrario di quanto accade nell’emisfero australe dove la metà illuminata è quella a destra.
Le Falci lunari di Ottobre
Per chi segue le falci di Luna si inizia subito una bella falce di 26 giorni che è sorta alle ore 03:18 del 3 Ottobre fa le stelle del Leone. Tipica fase questa con la Luna letteralmente “tagliata in due”, in cui si nota la parte nord con la scura distesa basaltica del settore più occidentale di Procellarum in netto contrasto con la parte sud in cui vi è una netta prevalenza delle più chiare rocce anortositiche degli altipiani, ma con l’immancabile “isola nera” del cratere Grimaldi.
La notte successiva, il 4 Ottobre, alle ore 04:31 invece è sorta una più sottile falce di 27 giorni, ma con meno tempo a disposizione per eventuali osservazioni col telescopio. La notte del 5 Ottobre solitamente si ha la solita e immancabile “falce problematica” (età di 28.1 giorni) in quanto sorge intorno alle ore 05:47. In questo caso, al fine di operare in condizioni di sicurezza evitando di intercettare la luce solare, è opportuno effettuare eventuali foto con la Luna sulla linea dell’orizzonte. Passando ora alle falci in Luna Crescente, l’8 Ottobre è stato possibile osservare una falce (anche questa “problematica”) di 2,3 giorni, tramontata poi alle 20:04. In caso di eventuali riprese fotografiche, è stato importante operare in condizioni di sicurezza per non intercettare la luce del Sole.
La sera successiva, il 9 Ottobre, è stato visibile per circa un’ora una comoda e larga “falce” di 3,3 giorni, che alle 20:36 è scesa sotto l’orizzonte. Nel caso specifico si renderanno visibili l’area del mare Crisium e gran parte del mare Fecounditatis, oltre alle rispettive cuspidi nord e sud. Infatti, per questa tipologia di osservazioni, oltre agli ormai noti parametri osservativi, è determinante disporre di un orizzonte il più possibile libero da ostacoli.
Librazioni di Ottobre: (In ordine di calendario, per i dettagli vedere le rispettive immagini). Si precisa che, per ovvi motivi, non vengono indicati i giorni in cui i punti di massima Librazione si discostano dalla superficie lunare illuminata dal Sole.
Come sapete abbiamo sospeso la pubblicazione della rivista (ma non le attività su sito e social, anche se a marce ridotte) ormai qualche mese fa. Questa primavera ci siamo trovati infatti ad un punto in cui l’assetto che avevamo non poteva continuare a garantire la cura e la qualità d’informazione che Coelum Astronomia ha sempre offerto, e soprattutto quella sua crescita al passo coi tempi che abbiamo sempre cercato di garantire.
Abbiamo raccolto tutti i vostri preziosi suggerimenti ma anche i vostri appelli (a molti abbiamo risposto, ad altri non siamo proprio riusciti, perdonateci, ma li abbiamo letti tutti: un grande grazie!) perché Coelum tornasse a occupare il suo posto nella divulgazione di queste grandi passioni che ci accomunano: l’astronomia amatoriale, tra osservazione del cielo e astrofotografia, ma anche l’approfondimento professionale delle notizie e delle scoperte che riguardano il Cosmo e l’esplorazione dello Spazio.
Abbiamo quindi cercato nuove soluzioni e abbiamo trovato nuove forze fidate a cui passare il testimone sia per la redazione dei contenuti, sia per la gestione dell’intero e impegnativo processo che porta alla pubblicazione di una rivista (anche solo in formato digitale) di alta qualità alla quale Coelum Astronomia vi ha abituati.
Siamo quindi lieti di annunciare che la redazione verrà presa in mano dal team di Visione Futuro, un appassionato gruppo che ha già esperienza nella divulgazione e nella gestione di eventi legati all’astronomia, ma non solo… In particolare la presidente ha già lavorato in passato nella squadra di Coelum Astronomia, occupandosi sia di contenuti che del dietro le quinte della redazione, e può garantire quindi quella continuità che volevamo in primo luogo mantenere! E molte delle firme che siete abituati a leggere continuerete a leggerle anche in futuro.
Ci saranno certo dei cambiamenti, da subito ma anche più sostanziali nei prossimi mesi, che porteranno la rivista ad adattarsi allo spirito e al carattere della nuova squadra, come sempre accade nei passaggi di consegne, ma sappiamo per certo che non verranno a mancare le due caratteristiche più importanti di Coelum: la qualità e l’approfondimento. Auguriamo fin da subito buon lavoro alla nuova squadra!
Consegnamo quindi Coelum Astronomia nella mani di Visione Futuro e, dalla vecchia Redazione, non vogliamo dirvi addio, ma un arrivederci a presto, magari saltuariamente proprio tra le pagine del prossimo Coelum!
Buon lavoro e un caro saluto a tutti. Cieli sereni!
Sorvolando Giove. E niente... solo una nuova straordinaria immagine dell'atmosfera gioviana elaborate da Kevin M. Gill. NASA/JPL-Caltech/SwRI/MSSS/Kevin M. Gill
Non è la prima volta, ma è sempre suggestivo osservare qualche evento improvviso in quello che, solo in apparenza, sembra essere un ambiente quieto in cui qualsiasi movimento appare lento e continuo.
Così, attorno alle 22:39 TU, della sera del 13 settembre (le 00:39 del 14 per noi italiani), è stato osservato un bagliore su Giove, della durata di pochissimi istanti, forse un paio di secondi (per quanto da Terra si possa vedere). Il bagliore potrebbe essere stato causato da un impatto di un asteroide nell’atmosfera del pianeta.
La prima segnalazione viene dal brasiliano José Luis Pereira, che da anni monitora il pianeta con il suo newtoniano da 275mm (f/5.3), proprio nella speranza di cogliere questo tipo di eventi. Dopo aver notato qualcosa in un suo video, nonostante le condizioni metereologiche non fossero delle migliori, ha ottenuto una conferma della presenza di un transiente grazie al software DeTeCt – un utile strumento open source a disposizione degli astrofili, ideato da Marc Delcroix per un progetto di ricerca di transienti di questo tipo nelle riprese video di Giove e Saturno.
In un secondo momento è arrivata anche voce della segnalazione di Harald Paleske, astrofilo tedesco che ha ripreso una sequenza di immagini con il suo telescopio da 41 cm.
Resta il dubbio che possa trattarsi di qualcosa di esterno, ma sovrapposto visualmente, all’atmosfera del pianeta (o addirittura interno all’atmosfera terrestre) ma, se confermato, si tratterebbe dell’ottavo impatto individuato da quando, nel 1994, venne osservata la sequenza di impatti della cometa Shoemaker-Levey 9. In quel caso l’impatto in realtà non fu direttamente visibile, essendo avvenuto nel lato in quel momento nascosto del volto di Giove, ma venne preannunciato dagli scopritori stessi e i frammenti che impattarono l’atmosfera di Giove la segnarono per diversi mesi, prima che le tracce venissero assorbite dalle nubi stesse.
Al momento quindi la comunità di astronomi amatoriali è impegnata non solo a visionare immagini e video di quei momenti per trovare traccia del bagliore, ma è anche invitata alla ricerca di segni lasciati dal presunto impatto, che potrebbero essere apparsi, o apparire in queste notti, per confermare la natura del bagliore.
Giove è infatti a meno di un mese dalla sua opposizione al Sole, e l’impatto è avvenuto nel momento di un passaggio della luna Io sul disco di Giove, che normalmente attira gli astrofotografi sempre pronti a riprendere questo tipo di eventi nel periodo di miglior osservabilità del pianeta. Tutti particolari che aumentano la probabilità di avere immagini proprio di quell’istante. State già cercando?! Sorvolando Giove. E niente... solo una nuova straordinaria immagine dell'atmosfera gioviana elaborate da Kevin M. Gill. NASA/JPL-Caltech/SwRI/MSSS/Kevin M. Gill
Non è però facile indicare l’esatto punto in cui cercare. Poiché l’atmosfera gioviana non è, ovviamente, un corpo rigido, nella rotazione del pianeta (più del doppio di quella terrestre, il giorno gioviano dura circa 10 ore) le nubi vengono “trascinate” a velocità diverse in base alla latitudine. Le regioni equatoriali infatti ruotano più velocemente di quelle polari, tanto che per le longitudini gioviane si utilizzano ben tre diversi sistemi di coordinate: il primo (Sistema I) per punti all’interno di una fascia di 10° sopra e sotto l’equatore, il secondo per latitudini maggiori e il terzo basato sulla rotazione del pianeta e della sua magnetosfera. Generalmente però vengono indicate tutte e tre le longitudini.
Nel caso dell’impatto ripreso da Pereira le indicazioni sono per la latitudine –5,5° mentre per le longitudini, rispettivamente L1, L2 e L3: 105,7° nel Sistema I; 83,3° nel Sistema II; e 273,4° nel Sistema III. Per rintracciare il punto di impatto a giorni di distanza (il “segno” potrebbe rendersi visibile anche qualche giorno dopo) si dovrà valutare un margine di errore nella posizione.
Se un segno sarà presente non dovrebbe comunque essere difficile individuarlo, si tratta infatti di osservare uno spot scuro in una fascia fortunatamente di colore chiaro nei pressi dell’equatore del pianeta.
Maura Tombelli durante l'inaugurazione dell'Osservatorio Beppe Forti Mpc Code K83
Maura Tombelli ha lavorato per 33 anni alla Cassa di Risparmio di Firenze, ma la sua passione per il cielo l’ha portata a essere la scopritrice di asteroidi più prolifica in Italia e al primo posto al mondo tra le astronome donne amatoriali. Come ogni esploratrice che si rispetti, a lei l’onore di battezzare alcuni degli oggetti scoperti. Due tra gli ultimi sono quelli che portano il nome di Albino Carbognani e Oberto Citterio, ricercatore Inaf il primo e chief science officer di Media Lario, nonché fra i massimi esperti a livello internazionale di tecnologie per l’astronomia, il secondo. Abbiamo chiesto a Tombelli qual è stato il motivo che l’ha spinta a sceglierli, ed è stata questa anche l’occasione per farci raccontare qualcosa di sé.
«Una sera stavo preparando il programma osservativo e volevo trovare alcuni asteroidi di amici, cercai quello di Albino e non lo trovai. Mi meravigliai che non lo avesse e lo chiamai al telefono per domandargli il numero del suo asteroide e, giustamente, lui mi rispose che non lo aveva… Subito gli annunciai che lo avrebbe avuto, perché l’indomani avrei proposto il suo nome per uno dei miei. Per Oberto Citterio, che ancora non ho conosciuto, il suo nome mi è stato suggerito da Giovanni Pareschi (dirigente di ricerca Inaf), che conobbi al Parco delle Madonie quando mi fu assegnato il premio Gal Hassin. Leggendo il curriculum di Oberto, mi convinsi che era un nome ben assegnato, e così mandai la proposta anche per lui».
Quanti asteroidi ha scoperto e quanti ne ha battezzati?
«Ho scoperto centinaia di asteroidi, molti li ho persi perché non seguiti e sono stati poi identificati da altri. Ho comunque al mio attivo la scoperta di 198 asteroidi che hanno il mio nome fra gli scopritori, molti altri sono in collaborazione con Cineos, scoperti con il telescopio di Campo Imperatore. Tutti i 198 sono stati assegnati e di quasi 150 sono già state approvate le nomination».
Come sceglie i nomi dei suoi asteroidi?
«Il primo asteroide fu dedicato a Giuseppe Forti e a seguire a tutti i personaggi che mi hanno dato la possibilità di crescere nello studio dell’astronomia: i miei figli, Sandro e Duccio, Piero Angela – che è diventato poi il padrino della costruzione dell’osservatorio qui nel mio paese di Montelupo Fiorentino – i luoghi a me cari e anche grandi nomi suggeriti da amici».
Osservatorio Beppe Forti (Montelupo Fiorentino). Crediti: gruppoastrofilimontelupo.it
Com’è nata la passione per l’astronomia?
«Il primo ricordo che ho di me che guardo il cielo risale alla primissima infanzia, complice mio padre. Il dieci agosto era il giorno delle lacrime di San Lorenzo ed era usanza nella nostra famiglia andare sul prato vicino a casa per cercare di vedere le stelle cadenti. Ricordo che ero affascinata da questo ma non riuscivo mai a vedere qualcosa. Dissi allora una cosa che fece ridere tutti: “quella stella tentenna, fra poco casca!”. Ignara del perché gli altri stessero ridendo, con i lucciconi agli occhi, promisi a me stessa che da grande avrei fatto di tutto per capire. Un altro evento simile successe nella primavera del 1957, quando mia madre, indicandomi il cielo per farmi vedere una cometa, mi disse che da grande me ne sarei ricordata. Ma non riuscivo a capire cosa dovevo vedere, e alla fine le dissi di averla vista. Il ricordo di quella cometa persa mi tornava spesso in mente. Nel 1988 incontrai per la prima volta l’astronomo Giuseppe Forti ad Arcetri e quando mi disse che si occupava di comete, mi feci coraggio e gli raccontai quell’episodio. Lui subito rispose: “la Arend-Roland!!!” – rimasi di stucco quando seppi che quella cometa era stata scoperta il giorno del mio compleanno, l’8 novembre 1956. La passione per l’astronomia forse è nel mio Dna».
E poi?
«Leggevo tutto quello che potevo trovare sull’astronomia, e finalmente a 37 anni ho potuto comprare il mio primo telescopio, un Celestron C8. Sentivo che volevo fare di più e la mia amica Antonella Bartolini mi spinse a prendere un appuntamento con Franco Pacini, il direttore dell’Osservatorio astronomico di Arcetri. Fu lui a portarmi nello studio di Beppe Forti, che mi introdusse nel mondo dell’astronomia, un mondo che credevo a me precluso. La fortuna ha voluto che incontrassi anche uno studente di astronomia, Andrea Boattini. Mi misi subito a disposizione di tutti e due e, facendo da manovale, piano piano ho imparato anch’io».
Come hanno reagito i colleghi bancari e la sua famiglia alle prime scoperte? È riuscita a trasmettere loro un po’ della sua passione?
«Durante le ore di lavoro cercavo di non parlare troppo di quello che facevo nel tempo libero. I miei colleghi erano curiosi di venire da me per osservare il cielo dal telescopio, ma non capivano la mia passione per quei puntini che si muovevano sullo sfondo delle stelle fisse. Ho avuto invece un grande aiuto dai miei figli, che erano già grandi e mi supportavano per la parte informatica e meccanica della strumentazione. Più volte mi hanno detto che a loro andava bene anche una mamma così diversa dalle altre. Sono riuscita a creare il Gruppo Astrofili Montelupo, grazie al quale abbiamo iniziato la costruzione di un osservatorio pubblico. Eravamo solo sette all’inizio, di cui quattro erano componenti della mia famiglia. Ora il gruppo è composto da 105 soci, molti dei quali sono giovani studenti di materie scientifiche. Mi piace dire che del nostro gruppo si sono laureati in astronomia sette giovani. Quindi sì, sono riuscita a trasmettere il mio entusiasmo e mi sento realizzata».
C’è un asteroide al quale è particolarmente affezionata?
«Oltre al primo scoperto, Mp6876 Beppeforti, c’è un asteroide a me molto caro: (14659) Gregoriana (o 1992 Of8, o 1999 Af24), scoperto a Montelupo il 15 gennaio 1999, in collaborazione con Forti. Il nome fu suggerito da un astronomo gesuita del Vaticano, Guy Consolmagno, in occasione dell’incontro della Meteoritical Society a Roma nel 2001. Questa nomination mi ha permesso di incontrare Papa Giovanni Paolo II».
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