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Raggio Laser nello Spazio fino a 16 milioni di km

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Ricevuto un messaggio (da 16 milioni di chilometri) trasmesso da un raggio laser nello spazio ed il SETI sorride.

La NASA ha inviato e ricevuto con successo un messaggio trasmesso con un raggio laser dallo spazio profondo (da 16 milioni di chilometri) : un passo enorme verso il futuro delle comunicazioni spaziali.  Si tratta di circa 40 volte più lontano della Luna dalla Terra.

A cosa è servito il test

Tradizionalmente, utilizziamo le onde radio per comunicare con veicoli spaziali distanti , anche se frequenze di luce più elevate, come il vicino infrarosso, offrono un aumento della larghezza di banda e quindi un enorme aumento della velocità dei dati. Il test del laser fa parte dell’esperimento Deep Space Optical Communications (DSOC) della NASA e il successo del collegamento di comunicazione è noto come “prima luce”. Se consideriamo la luce infrarossa, è possibile facilmente tramutare le sue onde in forma laser. Ciò non farà muovere la luce più velocemente, ma riordina e vincola il suo raggio a un canale stretto. Ciò richiede molta meno energia di una dispersione di onde radio ed è più difficile da intercettare.

Lo strumento LaserSETI

L’utilizzo della tecnologia laser è da poco tempo balzata anche agli onori delle cronache SETI.

Un nuovo strumento di indagine chiamato appunto LaserSETI e sviluppato da Eliot Gillum del SETI Institute da un nuovo alla ricerca SETI affiancando la radiostronomia.

(https://www.youtube.com/watch?v=Ch3FENZKt0s)

LaserSETI è uno strumento particolarmente sensibile agli impulsi singoli di millisecondi che potrebbero essere stati trascurati in precedenti rilevamenti astronomici con tecniche simili. Sfruttando la monocromaticità  come una caratteristica intrinseca dei laser, è possibile per questo tipo di analisi utilizzare sensori a stato solido e lenti bidimensionali. Tali sensori sono di facile reperibilità infatti disponibili commercialmente come sensori per telecamere video. Su questa Il dispositivo di Gillum utilizza tali telecamere con una lente commerciale ad apertura grandangolare  per la copertura di 75 gradi di cielo. Dietro la lente c’è una griglia che trasforma qualsiasi sorgente luminosa nel campo visivo della telecamera in uno spettro simile a un arcobaleno doppio. Mentre le stelle produrranno uno spettro completo dal blu al rosso, un laser si presenterà solo alla sua lunghezza d’onda caratteristica. Il dispositivo LaserSETI dispone di due telecamere identiche, ruotate di 90 gradi l’una rispetto all’altra lungo l’asse di visualizzazione, che permette la risposta dell’arcobaleno doppio ed  aiuta ad eliminare falsi allarmi dovuti ai raggi cosmici ed altre possibili inteferenze. Attualmente sono due gli strumenti installati presso il Haleakala Observatory alle Hawaii, ma il progetto prevede l’installazione di almeno 11 o 12 strumenti in location strategiche nel mondo.

L’Italia, già partner attivo dell’Università di Berkeley con il radiotelescopio da 65 metri dell’osservatorio di Cagliari, potrebbe diventare partner anche del progetto LaserSETI, dato che INAF può  offrire una delle più ambite location per le osservazioni astronomiche. Le osservazioni laser sono del tipo notturno, quindi l’importanza di un cielo pulito e notti prive di intemperie sono condizioni fondamentali per la buona riuscita della ricerca. L’Italia dispone di due siti interessanti alle isole Canarie. Il primo sull’isola di La Palma ospita il telescopio Galileo ( https://www.youtube.com/watch?v=c-z-R6ZC1Tk) , il secondo nell’isola di Tenerife ospita le postazioni dei nuovi telelescopi Cherenkov appartenenti al network di CTA.  Le isole Canarie hanno un cielo estremamente sereno con non più di 20 giorni all’anno di pioggia, un paradiso per gli astronomi.

Completato il programma per DONNE fra le STELLE 2024

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Dopo il grande successo delle scorse edizioni sarà Abano Terme (PD), cittadina termale del padovano, ad ospitare la terza edizione di “Donne fra le stelle” nelle giornate del 22-23-24 marzo 2024, con un ricco calendario di convegni e iniziative collaterali.

Anche Francesco Veltri e Molisella Lattanzi (rispettivamente autore e direttrice di COELUM) fra i relatori.

Ad Abano Terme, dal 22 al 24 marzo 2024, si terrà la

DONNE TRA LE STELLE

Ventidue  scienziate e ricercatrici provenienti dai principali istituti e centri di ricerca europei nel campo della fisica, astronomia, astronautica, astrofisica e ingegneria aerospaziale si racconteranno, come donne e come professioniste, attraverso un linguaggio accessibile e coinvolgente, il 22, 23 e 24 marzo prossimo in quel di Abano Terme, cittadina termale della provincia di Padova che si candida a diventare la capitale dell’aerospazio in rosa per la terza edizione di “Donne fra le stelle”

Ad accompagnarle, durante tutta la tre giorni, l’attore e cantante Riccardo Mei, voce narrante di numerosi programmi Rai (Superquark, Kilimangiaro, Voyager, Rai Storia, Freedom oltre il confine…) e di documentari del National Geographic.

“Donne fra le stelle” è un’associazione nata dal desiderio di illustrare le meraviglie del cosmo al grande pubblico attraverso la voce di astronaute, astrofisiche, ingegnere aerospaziali e ricercatrici, per rendere protagoniste le donne sottolineandone l’impegno e i risultati in ambito scientifico, dove è ancora nettamente prevalente la presenza maschile.

L’obiettivo dell’associazione è stimolare i giovani, soprattutto le ragazze, a scegliere le materie STEM nel loro percorso di studi e lo fa organizzando simposi itineranti su tutto il territorio nazionale e con la collaborazione dei più importanti centri di ricerca a livello mondiale (ASI Agenzia Spaziale Italiana, ESA European Space Agency, NASA National Aeronautics Space Administration).

STEM è un acronimo inglese che racchiude gli indirizzi di studio degli ambiti accademici e lavorativi di Science, Technology, Engineering e Mathematics e alcuni dati tratti dagli elaborati dal Consorzio Inte runiversitario Alma Laurea hanno dimostrato che le donne hanno performance più brillanti degli uomini: le donne STEM sono caratterizzate da un voto medio di laurea lievemente più alto (103,6 su 110 contro 101,6 degli uomini) e da una maggiore regolarità negli studi (tra le donne il 46,1% ha concluso gli studi nei tempi previsti contro il 42,7% degli uomini).

Il simposio di quest’anno si svolgerà principalmente presso il prestigioso Teatro Marconi di Abano Terme , mentre saranno tante e coinvolgenti le attività collaterali alla parte più scientifica e divulgativa.

Nella piazza del Sole e della Pace, antistante il Teatro Marconi, chiunque avrà l’opportunità di osservare il cielo notturno e diurno con i telescopi messi a disposizione gratuitamente dal Gruppo Astrofili di Padova, partner dell’evento. Vi saranno anche workshop gratuiti per i bambini con attività laboratoriali di disegni e osservazione al telescopio, fino al rilascio di un attestato di partecipazione con la foto sulla riproduzione dell’Apollo 11.

Nella piazza sarà infatti presente anche l’installazione in riproduzione 1:1 del modulo di allunaggio dell’Apollo 11 realizzato da Y40 The Deep Joy, oltre che un’esposizione di astrofotografie davvero suggestive: nebulose, galassie…tutto quello che serve per trasportare visitatori e passanti “dentro” le meraviglie del cosmo.

Tra gli altri eventi collaterali da segnalare, la sera del 23 marzo ci sarà il concerto di Riccardo Mei che, con la sua voce calda e avvolgente, si esibirà in un meraviglioso viaggio tra i classici del Jazz, accompagnato dalla Young Art Jazz Ensemble (biglietti disponibili su Eventbrite https://www.eventbrite.com/e/biglietti-riccardo-mei-in-concerto-798769760857?aff=ebdsoporgprofile).

Ulteriore novità di questa edizione aponense è anche il prestigioso Premio nazionale per la divulgazione scientifica spaziale dedicato a Rossella Panarese, giornalista di Radio3Tre scienza.

IL Premio è patrocinato da Confindustria Veneto Est ed è aperto alla partecipazione di ricercatori, giornalisti, studiosi, autori, registi, blogger che con il loro impegno e attraverso la loro arte di comunicatori hanno contribuito a divulgare la scienza spaziale e con l’obiettivo di contribuire a declinare la divulgazione scientifica riguardante lo Spazio a più voci rendendola accessibile, fruibile e di interesse comune attribuendo alla cultura scientifica un ruolo centrale nella società. Sei saranno i vincitori finali per le due categorie in concorso, Under 30 e Over 30.

La giuria del Premio è costituita da esponenti del mondo scientifico, accademico, della ricerca, della comunicazione, delle tv, del cinema e della società.

Questi i nomi: Leila Zoia, responsabile comunicazione Dipartimento Astronomia Università di Padova, Antonella Attili, Attrice,  Cristiana Ruggeri, giornalista televisiva Rai TG 2, Giampaolo Colletti, Presidente WebTv Italia, il Sole 24 Ore, Cristina Borile, Imprenditrice e Vice Presidente Confindustria Turismo Veneto, Riccardo Mei, attore e doppiatore programmi televisivi Rai Mediaset, Elena Rigon imprenditrice marchio Eledor, Romina Gobbo, giornalista, Alessandra Turco, autrice.

Inclusività è sicuramente tra le parole d’ordine di questo evento che, per essere accessibile a tutti e a tutte, verrà trasmesso anche in diretta streaming dalla pagina Facebook di Donne fra le stelle ( https://www.facebook.com/donnefralestelle2024) . Un collegamento fruibile da chiunque e fortemente raccomandato soprattutto alle scuole secondarie che potranno così offrire ai propri studenti e alle proprie studentesse l’opportunità di aprire dei dialoghi di valore e, soprattutto, d’ispirazione per le future generazioni.

Donne fra le stelle ha il patrocinio della città di Abano Terme, Comune di Padova, Provincia di Padova, Regione Veneto, Federalberghi Terme Abano Montegrotto, Therme Abano Montegrotto, Confindustria Veneto Est, Parco Regionale dei Colli Euganei, Università degli Studi di Padova, Ascom Confcommercio Padova, Fondazione Marisa Bellisario, Associazione Donne Scienza

Info: https://donnefralestelle.it/

L’evento ospiterà anche la presentazione del libro “”500 e uno quiz di astronomia per imparare e divertirsi” di Francesco Veltri (autore di Coelum). L’appuntamento è per il sabato 10 ore 10:00 presso il Teatro Marconi Abano Terme. Interverranno Luigi Bignami e Molisella Lattanzi (direttrice di Coelum Astronomia)

 

 

Nuova teoria post-quantistica della gravità rigetta l’esistenza della materia oscura

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È stata annunciata la nascita di una nuova teoria post-quantistica della gravità, che tratta quest’ultima in modo classico preservando però gli effetti quantistici (come i pattern a cerchi concentrici generati dal fenomeno dell’interferenza in alcuni esperimenti). Crediti: Isaac Young.
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Da anni gli scienziati cercano di conciliare la relatività generale di Einstein e la meccanica quantistica in una teoria unificata, la gravità quantistica, nella speranza di individuare un unico formalismo matematico capace di spiegare i fenomeni fisici sia su larga che su piccola scala. L’insuccesso degli innumerevoli tentativi finora effettuati ha indotto il fisico inglese Jonathan Oppenheim a domandarsi se quantizzare la gravità sia realmente la mossa giusta: perché, al contrario, non concentrarsi soltanto sulla gravità, modificando la relatività generale? Da qui la proposta di una nuova teoria post-quantistica della gravità, che sembra escludere l’esistenza della materia oscura.

Le due teorie pilastro della fisica moderna sono la relatività generale di Einstein, che delinea la geometria dello spazio-tempo impressa dalla gravità, e la meccanica quantistica, che invece si occupa della fenomenologia relativa alla materia e alla radiazione a scale atomiche e subatomiche. Poiché le equazioni di Einstein mettono in relazione lo spazio-tempo dominato dalla gravità con la materia, presente sotto forma di masse che ne deformano la struttura, notevole sforzo è stato messo nel cercare di combinare questi due aspetti in un’unica trattazione matematica: nasce così l’ipotesi della gravità quantistica. 

Equazioni di Einstein per la gravità quantistica. Il termine di sinistra rappresenta la gravità (tensore di Einstein), mentre quello di destra la materia (tensore energia impulso). In particolare, i simboli delle parentesi (brackets) e del cappelletto in cima al tensore energia impulso indicano che esso viene trattato come un operatore quantistico. Crediti: Oppenheim.

In un recente studio su tale tematica il ricercatore inglese Jonathan Oppenheim si è chiesto se sia però davvero indispensabile quantizzare la gravità per ottenere un quadro fisico unitario. A tal  proposito, nella sua teoria post-quantistica della gravità Oppenheim sembra propendere per una risposta negativa. Egli sostiene infatti che lo spazio-tempo possa essere inteso come un fluido continuo dal punto di vista non solo macroscopico, ma anche microscopico: esso dovrebbe dunque essere modellizzato interamente nel modo classico, ovvero come prescritto dalla relatività generale, mentre il formalismo quantistico verrebbe riservato esclusivamente alla materia. Tuttavia, eliminare la discretizzazione (i.e., quantizzazione) dello spazio-tempo alle piccole dimensioni implica ammettere che esso, al pari della metrica che lo descrive, sia soggetto a fluttuazioni stocastiche (i.e., casuali), che lo renderebbero “traballante” anziché liscio. Ma, soprattutto, questo comportamento stocastico sarebbe responsabile di una modifica della stessa relatività generale a bassi valori di accelerazione gravitazionale, ossia nel cosiddetto “regime diffusivo”, perché qui le fluttuazioni stocastiche risulterebbero non trascurabili. Invero, esse avrebbero l’effetto di una forza entropica: stimolando il moto browniano (i.e., il moto casuale delle particelle del fluido cosmico), esse fornirebbero cioè alle stelle con minore velocità una quantità di energia aggiuntiva, accelerandole. Dal momento che tali stelle sono situate nelle zone più esterne delle galassie, dove appunto vale il regime diffusivo per via della più bassa gravità, esse andrebbero a giustificare il tratto piatto delle curve di rotazione, che ci aspetterebbe fosse anzi kepleriano (i.e., declinante) proprio per il rallentamento del moto stellare a grandi raggi. Ergo, le fluttuazioni stocastiche sostituirebbero l’attrazione gravitazionale esercitata dagli aloni di materia oscura che circondano le galassie sulle stelle ai loro margini: in altre parole, in questo scenario l’esistenza della materia oscura non sarebbe più necessaria.

Curva di rotazione di una galassia, che mostra l’andamento della velocità delle stelle in funzione del raggio, ovvero della distanza dal centro galattico. La linea rossa indica la predizione teorica (tratto kepleriano a grandi raggi), mentre quella verde ciò che viene osservato (tratto piatto a grandi raggi). Crediti: R. Pogge.

D’altronde, nota Oppenheim, la sua non è la prima teoria alternativa della gravità a giungere a tale conclusione: per esempio, già nel 1983 la teoria della gravità modificata di Milgrom (i.e.,  MOND,  Modified Newtonian Dynamics), era riuscita a spiegare l’appiattimento delle curve di rotazione delle galassie attraverso una revisione del valore della gravità alle basse accelerazioni, senza pertanto chiamare in causa la materia oscura. Il rinnovato interesse nei confronti della MOND a seguito dei risultati emersi nelle ultime simulazioni dinamiche di ammassi di galassie e supportati da evidenze osservative costituisce un punto di forza del ragionamento di Oppenheim. Ciononostante, la neonata teoria gravitazionale post-quantistica dello scienziato è ancora giudicata piuttosto controversa a causa dell’attuale mancanza di test: la formulazione matematica, per quanto rigorosa e dettagliata, certo non basta a dissolvere lo scetticismo del mondo astrofisico. Ciò è tanto più vero se si considera che numerose e svariate sono ad oggi le prove a favore della materia oscura, prima fra tutte la formazione delle strutture nell’Universo primordiale. Ma, come scrive Oppenheim, “la gravità è famosa per essere truffatrice”: meglio  insomma non lasciarsi ingannare, scartando a priori delle congetture che potrebbero infine non rivelarsi poi così improbabili. Ad ogni modo, il fisico inglese assicura che, prima di compiere affermazioni azzardate, saranno realizzate simulazioni numeriche e posti vincoli basati sui dati osservativi. Tutto fa quindi pensare che ne sapremo presto di più.

Fonte: arXiv.

L’asteoride (6086) Vrchlicky è binario: uno straordinario successo per gli astrofili italiani

Rappresentazioine artistica dell'asteroide
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(6086) Vrchlicky è binario è arrivata la conferma dopo il lavoro di analisi e studio svolto dalla sezione asteroidi UAI e i numerosi osservatori affiliatiuno straordinario successo per gli astrofili italiani

Gli asteroidi binari rappresentano un’ affascinante classe di corpi celesti. Costituiti da due corpi che orbitano attorno ad un comune centro di massa, questi sistemi offrono una finestra unica sulla natura e sulla formazione stessa degli asteroidi, nonché sui processi dinamici che plasmano il nostro sistema solare. La scoperta di asteroidi binari è una pagina relativamente recente nella storia dell’astronomia rispetto alla lunga tradizione di osservazione degli asteroidi singoli, ma rappresenta un campo di studio di grande importanza per approfondire le nostre conoscenze sulle forze gravitazionali in gioco, sull’evoluzione del sistema solare e sui processi collisionali che hanno contribuito a modellare l’ambiente spaziale attorno a noi.

Nel panorama dell’astronomia moderna, la scoperta di questi fenomeni accende l’immaginazione di scienziati e appassionati allo stesso modo. La recentissima scoperta della natura binaria dell’asteroide (6086) Vrchlicky, come riportato nel Circular del Central Bureau for Astronomical Telegrams (CBET 5366), è una di queste ed ha segnato un significativo successo per la sezione di ricerca asteroidi dell’Unione Astrofili Italiani (UAI).

L’asteroide 6086 Vrchlicky era stato identificato come uno dei target fotometrici principali per la sezione di ricerca e già le prime osservazioni avevano rivelato piccole attenuazioni nella sua luminosità. Queste variazioni hanno subito acceso il sospetto che potessero essere il risultato di eventi di eclisse o occultazione causati da un satellite naturale, ipotesi che ovviamente richiedeva ulteriori osservazioni per essere confermata. A causa delle condizioni meteorologiche avverse e per scongiurare il rischio di perdere la conferma di questa scoperta è quindi stata richiesta la collaborazione del gruppo BinAst, coordinato dall’astronomo P. Pravec. Questo sforzo congiunto ha portato a osservazioni decisive nel mese di dicembre, che hanno confermato, senza ombra di dubbio, la natura binaria dell’asteroide (6086) Vrchlicky.

I dati raccolti hanno rivelato che il periodo di rotazione del corpo principale dell’asteroide è di 2.7674 ± 0.0001 ore, mentre il periodo orbitale del suo satellite è di 22.61 ± 0.01 ore. Gli eventi di eclisse e occultazione rilevati hanno mostrato una variazione di luminosità di 0.05 e 0.08 magnitudini, permettendo di stimare il rapporto inferiore dei diametri tra il satellite e l’asteroide principale pari a 0.22. Questo significa che, mentre il corpo principale dell’asteroide ha un diametro approssimativo di 10 km, il satellite misura poco più di 2 km.

Questo prestigioso risultato è stato possibile anche grazie al prezioso contributo di numerosi osservatori affiliati alla sezione asteroidi UAI tra i quali L. Buzzi e M. Calabrò (Schiaparelli Observatory), G. Galli (GiaGa Observatory), P. Bacci e M. Maestripieri (San Marcello Pistoiese Observatory), N. Montigiani e M. Mannucci (Osservatorio Astronomico Margherita Hack), A. Marchini e R. Papini (Siena University Astronomical Observatory), N. Ruocco (Osservatorio Astronomico Nastro Verde), M. Tombelli, M. Iozzi e M. Lombardo (Beppe Forti Astronomical Observatory),  G. Scarfi (Iota Scorpii Observatory), G. Baj (M57 Observatory), con una menzione speciale per il coordinamento e l’analisi dei dati condotti da L. Franco (Osservatorio Balzaretto) e P. Pravec (Osservatorio di Ondrejov).

La scoperta della natura binaria dell’asteroide (6086) Vrchlicky rappresenta un bellissimo esempio di come la collaborazione e la condivisione delle competenze possano portare a risultati straordinari in campo astronomico. Questo successo non solo aggiunge una nuova pagina alla nostra comprensione degli asteroidi e dei sistemi binari asteroidali, ma sottolinea anche l’importanza della collaborazione internazionale nella ricerca astronomica.

Il telegramma astronomico completo può essere letto qui: http://www.cbat.eps.harvard.edu/iau/cbet/005300/CBET005366.txt

 


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Webb scruta i viticci di NGC 604

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Immagine della NIRCam (Near-Infrared Camera) del James Webb Space Telescope della NASA/ESA/CSA della regione di formazione stellare NGC 604 che mostra come i venti stellari provenienti da giovani stelle calde e luminose scavano cavità nel gas e nella polvere circostanti. NASA, ESA, CSA, STScI
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NGC 604 ripresa dalle due camere JWST: Miri e NIRCam

Due nuove immagini ottenute dalla NIRCam (Near-Infrared Camera) e dal MIRI (Mid-Infrared Instrument) del James Webb Space Telescope della NASA/ESA/CSA mostrano la regione di formazione stellare NGC 604, situata nella Galassia del Triangolo (M33), 2,73 milioni di luci -anni di distanza dalla Terra. In queste immagini, bolle cavernose e filamenti di gas estesi disegnano un arazzo di nascita stellare.

Al riparo tra gli involucri polverosi di gas di NGC 604 ci sono più di 200 tra i tipi di stelle più caldi e massicci, tutti nelle prime fasi della loro vita. Questi tipi di stelle sono conosciuti come tipi B e tipi O, le ultime delle quali possono avere più di 100 volte la massa del nostro Sole. È abbastanza raro trovarne una tale concentrazione nell’Universo vicino. In effetti, non esiste una regione simile all’interno della nostra galassia, la Via Lattea.

Questa concentrazione di stelle massicce, combinata con la sua distanza relativamente ravvicinata, fa sì che NGC 604 offra agli astronomi l’opportunità di studiare questi oggetti in un momento affascinante, all’inizio della loro vita.

Nell’immagine NIRCam nel vicino infrarosso di Webb, le caratteristiche più evidenti sono viticci e grumi di emissione che appaiono di colore rosso vivo, che si estendono da aree che sembrano radure o grandi bolle nella nebulosa. I venti stellari provenienti dalle giovani stelle più luminose e calde hanno scavato queste cavità, mentre la radiazione ultravioletta ionizza il gas circostante. L’idrogeno ionizzato appare come un bagliore spettrale bianco e blu.

Le strisce arancioni brillanti nell’immagine nel vicino infrarosso di Webb indicano la presenza di molecole a base di carbonio note come idrocarburi policiclici aromatici o IPA. Questo materiale svolge un ruolo importante nel mezzo interstellare e nella formazione di stelle e pianeti, ma la sua origine è un mistero. Man mano che ci si allontana dalle immediate schiarite di polvere, il rosso più profondo indica l’idrogeno molecolare. Questo gas più freddo è un ambiente privilegiato per la formazione stellare.

La straordinaria risoluzione di Webb fornisce anche approfondimenti su funzionalità che in precedenza apparivano non correlate al cloud principale. Ad esempio, nell’immagine di Webb, ci sono due stelle giovani e luminose che scavano buchi nella polvere sopra la nebulosa centrale, collegate attraverso il gas rosso diffuso. Nelle immagini in luce visibile del telescopio spaziale Hubble della NASA/ESA , queste apparivano come macchie separate.

Immagine del MIRI (strumento per il medio infrarosso) del James Webb Space Telescope della NASA/ESA/CSA della regione di formazione stellare NGC 604 mostra come grandi nubi di gas e polvere più freddi brillano alle lunghezze d’onda del medio infrarosso. Questa regione è un focolaio di formazione stellare e ospita più di 200 tra le stelle più calde e massicce, tutte nelle prime fasi della loro vita.
Al centro dell’immagine c’è una nebulosa sullo sfondo nero dello spazio. La nebulosa è composta da sottili filamenti di nubi azzurre. Al centro-destra delle nuvole blu c’è una grande bolla cavernosa. Il bordo inferiore sinistro di questa bolla cavernosa è pieno di sfumature di gas rosa e bianco. Centinaia di stelle fioche riempiono l’area circostante la nebulosa.
Credito:
NASA, ESA, CSA, STScI

La visione di Webb sulle lunghezze d’onda del medio infrarosso illustra anche una nuova prospettiva sull’attività diversificata e dinamica di questa regione. Nella vista MIRI di NGC 604, ci sono notevolmente meno stelle. Questo perché le stelle calde emettono molta meno luce a queste lunghezze d’onda, mentre le nubi più grandi di gas e polvere più freddi brillano. Alcune delle stelle viste in questa immagine dalla galassia circostante sono supergiganti rosse: stelle fredde ma molto grandi, centinaia di volte il diametro del nostro Sole. Inoltre, anche alcune delle galassie di sfondo apparse nell’immagine NIRCam svaniscono. Nell’immagine MIRI, i viticci blu del materiale indicano la presenza di IPA (idrocarburi policiclici aromatici).

Si stima che NGC 604 abbia circa 3,5 milioni di anni. La nube di gas incandescenti si estende per circa 1300 anni luce.

Webb è una partnership internazionale tra NASA, ESA e l’Agenzia spaziale canadese (CSA).

Antenne astrometriche per onde gravitazionali

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Mariateresa Crosta, ricercatrice all’Osservatorio astrofisico dell’Inaf di Torino e prima autrice dello studio sulle antenne astrometriche per onde gravitazionali pubblicato su Scientific Reports. Crediti: Federica Santucci/Inaf Torino
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UN’INTUIZIONE NATA ALL’INAF E DERIVATA DAI MODELLI DI RELATIVITÀ GENERALE

Un nuovo principio di rilevazione delle onde gravitazionali, basato sulla misura delle variazioni da esse indotte sulle distanze angolari fra le stelle, promette di fornire un approccio complementare a quello degli interferometri lineari. Ne parliamo con Mariateresa Crosta dell’Istituto nazionale di astrofisica, prima autrice dell’articolo che descrive l’idea, pubblicato la settimana scorsa su Scientific Reports

La recente conferma sperimentale delle onde gravitazionali con le grandi antenne lineari Ligo e Virgo ha dato grande impulso alla ricerca e caratterizzazione fisica di candidate sorgenti di onde gravitazionali, aggiungendo un tassello fondamentale all’astrofisica multi-messaggera. Nuovi esperimenti da Terra sono in procinto di unirsi agli sforzi di rivelazione e la missione Lisa implementerà modalità simili ma specializzate per lo spazio. L’obiettivo primario di tali imprese – e di quelle a venire, come l’Einstein Telescope – è la completa caratterizzazione delle onde gravitazionali, ovvero la determinazione in ampiezza e frequenza della deformazione spazio-temporale associata, insieme all’individuazione della direzione delle possibili sorgenti, al fine di scoprire la natura fisica delle stesse attraverso campagne osservative multi-lunghezza d’onda e multi-messaggere, nonché l’astrofisica di oggetti compatti e il loro ruolo nella cosmologia.

Un nuovo approccio sperimentale, illustrato in un articolo a guida Inaf pubblicato la settimana scorsa su Scientific Reports, promette ora una rivoluzione nel settore: usare le stelle – e in particolare le variazioni della loro distanza angolare indotte dalla perturbazione dello spaziotempo – come rivelatori di onde gravitazionali. Alternativo alle altre tecniche, unito all’utilizzo di configurazioni ottiche a più linee di vista “convogliate” su un piano focale comune, il rilevamento astrometrico di onde gravitazionali consentirebbe di misurare contemporaneamente all’ampiezza, e con un’accuratezza senza precedenti, anche la direzione di arrivo dei segnali gravitazionali: un’informazione, quest’ultima,  fondamentale per le campagne di caratterizzazione fisica multi-frequenza e multi-messaggera. E rappresenterebbe uno strumento ad altissima efficienza: consentirebbe non solo una verifica indipendente e complementare delle altre tecniche, ma anche di rilevare onde gravitazionali a frequenze per le quali non sono attualmente previsti altri rivelatori.

«L’idea nasce da un’intuizione derivata dai modelli di relatività generale per le misure astrometriche al micro-arcosecondo del satellite Gaia», spiega la prima autrice dello studio, Mariateresa Crosta dell’Inaf di Torino. «La sua originalità sta nella sua impostazione tutta differenziale. L’antenna astrometrica da noi proposta utilizza direttamente l’angolo tra una coppia stretta (anche solo prospettica) di due sorgenti puntiformi otticamente risolte. Infatti, come formalizzato nel lavoro pubblicato, la perturbazione angolare indotta da un’onda gravitazionale risulta direttamente proporzionale alla distorsione spaziotemporale a essa associata e inversamente proporzionale all’angolo (risolto) tra la coppia di stelle, pertanto amplificata dalla risoluzione del telescopio, aumentando la quale si risolvono separazioni sempre più strette. In perfetta analogia “duale” con le antenne  lineari, l’angolo della coppia di stelle materializza un braccio angolare: così come aumentando la lunghezza ‘L’ del braccio di un’antenna lineare l’effetto della perturbazione diventa più facile da misurare, è risolvendo angoli sempre più piccoli che possiamo aumentare la misurabilità dell’effetto dell’onda gravitazionale indotto su un braccio (angolare)».

Facendo ricorso a sorgenti in cielo, il principio ricorda per alcuni aspetti quello alla base del Pulsar Timing Array (Pta), grazie al quale è stato possibile rivelare per la prima volta un brusio di fondo dovuto a onde gravitazionali a bassissima frequenza. Mentre il Pulsar Timing Array misura i residui degli intervalli di tempo di arrivo del segnale nella rete di pulsar riconducibili a variazioni dello spazio-tempo indotte da un’onda gravitazionale, l’antenna astrometrica misura, in pratica, la parte spaziale del segnale. Il vantaggio della formulazione differenziale, ovvero in termini di angoli tra le sorgenti in cielo, consente di riscrivere una funzione di correlazione, di costruire una “rete” tra i vari punti del cielo, in tutto simile a quella del Pulsar Timing Array. «Difatti stiamo approntando una versione digitale di questo nostro nuovo principio di osservazione astrometrico per le onde gravitazionali in modo da sfruttare le misure astrometriche di Gaia, accumulate in dieci anni e più di osservazioni, per confrontarci, e complementarci, proprio con il Pta e vedere coincidenze per onde gravitazionali con periodi di anni», dice Crosta.

Insomma, l’idea – sostengono gli autori dello studio – promette di essere un punto di svolta nella scienza delle onde gravitazionali, che è appena agli inizi e resterà alla frontiera della ricerca scientifica per molti decenni. Certo, oggigiorno non esiste un telescopio capace di misurare variazioni angolari originate da onde gravitazionali prodotte da oggetti compatti in fase di coalescenza alle distanze extragalattiche. «Tuttavia», osserva Crosta, «una prima simulazione nel caso di buchi neri stellari massicci binari (per esempio, tra 20 e 80 masse solari) in pre-coalescenza che emettono segnali (quasi) periodici con frequenze dai centesimi ai decimi di Hz, ovvero con periodi dai 100 ai 10 secondi, indica che la variazione angolare indotta dall’onda gravitazionale potrebbe essere oltre la soglia delle decine di milionesimi di arcosecondo fino a distanze di cinquemila parsec dal Sole. E una facility come il Very Large Telescope Interferometer (Vlti) dell’Eso ha già una risoluzione angolare dell’ordine del millesimo di arcosecondo, equivalente – come riportato nel sito dell’Eso – a distinguere i due fari di un’automobile alla distanza della Luna. Stiamo di fatto valutando di testare il principio dell’antenna astrometrica gravitazionale. Va stabilito ovviamente un tempo di puntamento sufficiente a garantire la copertura di più periodi dell’onda, auspicando che oggetti così massicci esistano in numero sufficiente nella nostra galassia».

Vai alla notizia originale: Media INAF

 


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Immagini straordinarie del processo di formazione dei pianeti catturate dal Very Large Telescope (VLT)

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Le immagini mostrate sono state catturate utilizzando lo strumento Spettro-Polarimetrico High-contrast Exoplanet REsearch ( SPHERE ) montato sul Very Large Telescope ( VLT ) dell'ESO. Crediti: ESO/C. Ginski, A. Garufi, P.-G. Valegard et al.
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Un’indagine innovativa rivela i segreti della nascita del pianeta attorno a dozzine di stelle

In una serie di studi, un team di astronomi ha gettato nuova luce sull’affascinante e complesso processo di formazione dei pianeti. Le straordinarie immagini, catturate utilizzando il Very Large Telescope dell’Osservatorio Europeo Australe (VLT) in Cile, rappresentano una delle più grandi indagini mai effettuate sui dischi di formazione dei pianeti. La ricerca riunisce le osservazioni di oltre 80 giovani stelle che potrebbero avere pianeti in formazione attorno a loro, fornendo agli astronomi una ricchezza di dati e approfondimenti unici su come nascono i pianeti in diverse regioni della nostra galassia.

” Si tratta davvero di un cambiamento nel nostro campo di studi “, afferma Christian Ginski, docente presso l’Università di Galway, in Irlanda, e autore principale di uno dei tre nuovi articoli pubblicati il 05 marzo su Astronomy & Astrophysics . “ Siamo passati dallo studio approfondito dei singoli sistemi stellari a questa vasta panoramica di intere regioni di formazione stellare. 

Ad oggi sono stati scoperti più di 5000 pianeti orbitanti attorno a stelle diverse dal Sole, spesso all’interno di sistemi nettamente diversi dal nostro Sistema Solare. Per capire dove e come nasce questa diversità, gli astronomi devono osservare i dischi ricchi di polvere e gas che avvolgono le giovani stelle, le culle stesse della formazione dei pianeti.

Proprio come i sistemi planetari maturi, le nuove immagini mostrano la straordinaria diversità dei dischi che formano i pianeti. ” Alcuni di questi dischi mostrano enormi bracci a spirale, presumibilmente guidati dall’intricato balletto dei pianeti in orbita “, afferma Ginski. ” Altri mostrano anelli e grandi cavità scavate dalla formazione dei pianeti, mentre altri ancora sembrano lisci e quasi dormienti“, aggiunge Antonio Garufi, astronomo dell’Osservatorio Astrofisico di Arcetri, Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), e autore principale di uno degli articoli.

Il team ha studiato un totale di 86 stelle in tre diverse regioni di formazione stellare della nostra galassia: Taurus e Chamaeleon I, entrambi a circa 600 anni luce dalla Terra, e Orion, una nube ricca di gas a circa 1600 anni luce da noi noto per essere il luogo di nascita di numerose stelle più massicce del Sole. Le osservazioni sono state raccolte da un grande team internazionale, composto da scienziati provenienti da più di 10 paesi.

Il team è stato in grado di raccogliere diverse informazioni chiave dal set di dati. Ad esempio, in Orione hanno scoperto che le stelle in gruppi di due o più avevano meno probabilità di avere grandi dischi di formazione planetaria. Questo è un risultato significativo dato che, a differenza del nostro Sole, la maggior parte delle stelle della nostra galassia hanno delle compagne. Oltre a ciò, l’aspetto irregolare dei dischi in questa regione suggerisce la possibilità che vi siano pianeti massicci incorporati al loro interno, il che potrebbe causare la deformazione e il disallineamento dei dischi.

Dischi che formano pianeti attorno a giovani stelle e la loro posizione all’interno della nube ricca di gas del Toro, a circa 600 anni luce dalla Terra. ESO/A.Garufi et al.; RABBIA

 

Dischi che formano pianeti attorno a giovani stelle e la loro posizione all’interno della nube ricca di gas di Camaleonte I, a circa 600 anni luce dalla Terra. Crediti:
IT/C. Ginski et al.; ESA/Herschel

Sebbene i dischi che formano i pianeti possano estendersi per distanze centinaia di volte maggiori della distanza tra la Terra e il Sole, la loro posizione a diverse centinaia di anni luce da noi li fa apparire come minuscoli punte di spillo nel cielo notturno. Per osservare i dischi, il team ha utilizzato il sofisticato strumento spettro-polarimetrico ad alto contrasto Exoplanet REsearch ( SPHERE ) montato sul VLT dell’ESO . Il sistema di ottica adattiva estrema all’avanguardia di SPHERE corregge gli effetti turbolenti dell’atmosfera terrestre, producendo immagini nitide dei dischi. Ciò significa che il team è stato in grado di acquisire immagini di dischi attorno a stelle con masse pari alla metà della massa del Sole, che in genere sono troppo deboli per la maggior parte degli altri strumenti oggi disponibili. Ulteriori dati per l’indagine sono stati ottenuti utilizzando lo strumento X-shooter del VLT , che ha permesso agli astronomi di determinare quanto siano giovani e massicce le stelle. L’Atacama Large Millimeter/submillimeter ArrayALMA ), di cui l’ESO è partner, d’altro canto, ha aiutato il team a comprendere meglio la quantità di polvere che circonda alcune stelle.

Con l’avanzare della tecnologia, il team spera di scavare ancora più a fondo nel cuore dei sistemi di formazione dei pianeti. Il grande specchio da 39 metri del prossimo Extremely Large Telescope ( ELT ) dell’ESO , ad esempio, consentirà al team di studiare le regioni più interne attorno alle giovani stelle, dove potrebbero formarsi pianeti rocciosi come il nostro.

Per ora, queste immagini spettacolari forniscono ai ricercatori un tesoro di dati per aiutare a svelare i misteri della formazione dei pianeti. “ È quasi poetico che i processi che segnano l’inizio del viaggio verso la formazione dei pianeti e, in definitiva, la vita nel nostro Sistema Solare siano così belli ”, conclude Per-Gunnar Valegård, uno studente di dottorato presso l’Università di Amsterdam, Paesi Bassi, che ha condotto lo studio Orion. Valegård, che è anche insegnante part-time presso la Scuola Internazionale Hilversum nei Paesi Bassi, spera che le immagini ispirino i suoi alunni a diventare scienziati in futuro.

 

Fonti: ESO 

Feedback Stellare e Formazione Stellare: Il Ruolo delle Regioni HII nelle Galassie

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Regione HII con formazione stellare attiva S235. Crediti: NASA/JPL-Caltech/UCLA.
Tempo di lettura: 5 minuti

 

Impatto del feedback stellare pre-supernova sulle regioni HII nelle galassie nane starburst

 

Le regioni HII sono nubi di idrogeno ionizzato prodotte dalla radiazione UV emessa dalle stelle giovani e massicce. Esse sono dunque direttamente collegate alle zone di formazione stellare, dove tali stelle nascono ed evolvono rapidamente: questo veloce sviluppo porta però con sé una serie di effetti sull’ambiente circostante che va sotto il nome di feedback stellare. La difficoltà nello stabilire una relazione tra formazione stellare, regioni HII e associato feedback nei vari tipi di galassie ha incentivato la realizzazione di uno studio sui diversi meccanismi di feedback stellare pre-supernova nelle galassie nane starburst, tipicamente escluse dai cataloghi spettroscopici. Grazie ai promettenti risultati ottenuti dai ricercatori si ricavano importanti informazioni per implementare una modellistica più completa e accurata della formazione stellare nelle galassie in funzione delle proprietà delle regioni HII in esse presenti.

Con feedback stellare si fa riferimento all’insieme degli effetti che le stelle giovani e massicce hanno sull’ambiente circostante quando emettono radiazione ionizzante UV e generano onde di pressione che spazzano il mezzo interstellare. I meccanismi di feedback stellare possono essere quindi di tipo radiativo o meccanico e governare fenomeni astrofisici diversi, come l’espansione delle regioni HII, la formazione stellare e la distribuzione della materia oscura nelle galassie nane. In particolare, recenti indagini hanno mostrato che il feedback stellare pre-supernova (i.e., relativo al periodo precedente l’esplosione di supernova) delle stelle con massa ≳8 M⊙, ricopre un ruolo sostanziale nella regolazione della formazione stellare nelle galassie a spirale, ma poco chiaro in quella nelle galassie nane. Ciononostante, codeste si configurano come laboratori ideali per testare questo genere di feedback per via della loro minore densità di gas e stelle, che contrasta la schermatura del fronte d’onda fotonico. Utilizzando degli strumenti chiamati IFUs (integral field units, i.e., unità a campo integrale) per costruire immagini spettroscopiche in 2D, è possibile risolvere in dettaglio le regioni HII esito dell’azione del feedback stellare, definendo in tal modo le proprietà sia del gas ionizzato costituente sia delle stelle ionizzanti. L’applicazione della spettroscopia IFU alle regioni di formazione stellare nella Via Lattea e ad altre galassie vicine con formazione stellare attiva ha permesso la creazione di un vasto database di regioni HII, da poco ampliato proprio con l’inclusione delle galassie nane. In un recente lavoro di ricerca sono state infatti campionate dall’archivio dati della survey DWALIN tre galassie nane starburst (i.e., J0921, KKH046 e Leo P), osservate con l’IFU MUSE montato sul telescopio VLT, per analizzare la dipendenza del feedback stellare pre-supernova dalle caratteristiche del mezzo interstellare in esse presente. Dopo aver determinato i confini di 30 regioni HII attraverso mappe di emissione della riga Hα, ne sono stati selezionati gli spettri integrati e si è proceduto al fit delle loro principali righe di emissione con profili gaussiani allo scopo di derivare i valori della densità elettronica, della luminosità e dell’abbondanza di ossigeno (indicatore della metallicità) del gas ionizzato.

Immagini spettroscopiche in 2D delle regioni HII nelle galassie nane campionate J0921, KKH046 e Leo P
ricavate dalle seguenti righe di emissione: [SII]λ6716 (colore rosso), Hα (colore verde) e [OIII]λ5007 (colore
blu). Crediti: arXiv.
Mappe di emissione della riga Hα realizzate per le regioni HII delle galassie nane campionate J0921,
KKH046 e Leo P, corrispondenti alle immagini precedenti. Crediti: arXiv.

In virtù di queste informazioni si è potuto allora esaminare il contributo di due diverse specificazioni del feedback stellare pre-supernova, ovvero la fotoionizzazione e la pressione diretta di radiazione, al variare della regione HII scelta. Esse possono essere quantificate mediante i corrispettivi termini di pressione: la pressione termica del gas ionizzato dai singoli fotoni della radiazione stellare Pion e la pressione meccanica generata dal momento trasmesso dalla radiazione stessa nel suo complesso all’ambiente Pdir. Il successivo confronto con studi simili condotti in galassie più massicce, come quelle oggetto della survey PHANGS, ha consentito non solo di verificare, ma anche di generalizzare i risultati ottenuti.

Porzione dello spettro della regione HII 1 nella galassia nana KKH046 estratta dal database MUSE. Essa
contiene le righe di emissione più importanti studiate dai ricercatori e mostra i profili di riga gaussiani con cui
sono state modellizzate (in rosso). La finestra blu evidenzia invece la riga dell’idrogeno Hβ e il doppietto
dell’ossigeno terzo [OIII]λ4959,5007. Crediti: arXiv.
Ora, le regioni HII si espandono spinte da Pion o da Pdir: ergo, si può assumere che la loro dimensione sia indice del loro stato evolutivo. Poiché sia Pion che Pdir decrescono nel tempo, ma la prima è maggiore della seconda nelle regioni HII larghe circa 10−100 pc, si deduce che entrambi i meccanismi di feedback perdono progressivamente potere e che la pressione diretta di radiazione diventa meno importante della fotoionizzazione. Inoltre, le regioni HII nelle tre galassie campionate appaiono più estese rispetto a quelle della survey PHANGS in quanto le galassie nane contengono solitamente stelle povere di metalli. Tali stelle emettono un’aumentata quantità di fotoni ionizzanti responsabile dell’incremento di Pion: ciò comporta dunque una più rapida espansione delle regioni HII. Si individua, infine, un’ulteriore correlazione con il contenuto di polveri di suddette regioni: bassa metallicità significa ridotto contenuto di polveri e, di conseguenza, minor inibizione dell’effetto ionizzante della radiazione stellare UV. Per converso, insomma, regioni HII ricche di metalli si presentano più compatte e dominate da Pdir.

Mappe di emissione della riga Hα realizzate per le regioni HII delle galassie nane campionate J0921,
KKH046 e Leo P, corrispondenti alle immagini precedenti. Crediti: arXiv.

Ricapitolando, dall’indagine sulle tre galassie nane J0921, KKH046 e Leo P emerge che il feedback stellare pre-supernova dipende dallo stato evolutivo (i.e., dall’estensione), dalla metallicità e dal contenuto di polveri delle regioni HII originate dalla radiazione UV proveniente da stelle giovani e massicce. I meccanismi di fotoionizzazione e di pressione diretta di radiazione tendono ad essere mutuamente esclusivi e a prevalere l’uno in regioni HII più evolute (i.e., più estese), meno metalliche e con scarso contenuto di polveri, e l’altro in regioni HII meno evolute (i.e., meno estese), più metalliche e con elevato contenuto di polveri. Tuttavia, la forza dei relativi termini di pressione Pion e Pdir diminuisce a mano a mano che l’espansione delle regioni HII procede, a dispetto della configurazione fisica di queste. Si tratta, in definitiva, di risultati notevoli, che facilitano l’esplorazione degli effetti del feedback stellare anche in sistemi meno massivi e ricchi di metalli come le galassie nane starburst, andando pertanto a delineare una precisa relazione con le proprietà dell’associato mezzo interstellare. Una conclusione felice per la modellistica teorica, che potrà d’ora in avanti disporre di nuovi strumenti per simulare in maniera più completa e realistica la formazione stellare all’interno delle galassie.

 

Fonte: arXiv.


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Il Cielo di Marzo 2024

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Tempo di lettura: 7 minuti

IL CIELO DI MARZO 2024

Inizio Ora Legale 31 marzo 02:00 -> 03:00 TU+1-> TU+2

Eq. Primavera 20 Marzo ore 06:21

Mappa from https://in-the-sky.org/

Mappa del cielo alle ore (TMEC): 01 Mar > 23:00   15 Mar > 22:00  31 Mar > 21:00

 

COSTELLAZIONI DI MARZO 2024

DOMINA IL CIELO L’ORSA MAGGIORE

Il cielo di marzo è ancora popolato dagli asterismi che hanno dominato l’inverno, ma che ormai declinano lentamente verso Ovest, mentre diventano sempre più protagoniste le figure tipiche del cielo primaverile.

Tra le tante costellazioni osservabili sulla volta celeste di certo non mancherà di notare quella  dell’Orsa MaggioreUrsa Major, che deve la sua fama all’asterismo del Grande Carro che, con le sue sette stelle principali visibili ad occhio nudo, compone solo una piccola parte della molto più estesa costellazione: si tratta di Dubhe, Merak, Phecda, Megrez, Alioth, Mizar e Alkaid.

Tutte le descrizioni sono in Le Costellazioni del mese di Marzo

a cura di @teresamolinaro

I principali eventi di Marzo 2024 (pubblicati nell’Almanacco 2024 distribuito in omaggio a tutti gli abbonati)

Data Ora Cosa Come

03/03/2024 16:23 Ultimo Quarto
08/03/2024 06:00 Congiunzione Luna-Marte
08/03/2024 18:00 Congiunzione Luna-Venere
09/03/2024 18:27 Congiunzione Luna-Saturno
10/03/2024 08:05 Luna Perigeo
10/03/2024 10:00 Luna Nuova
10/03/2024 20:24 Congiunzione Luna-Nettuno
11/03/2024 03:29 Congiunzione Luna-Mercurio
12/03/2024 02:17 Luna Nodo Ascendente
14/03/2024 02:02 Congiunzione Luna-Giove
15/03/2024 04:30 Congiunzione Luna-Pleiadi
17/03/2024 05:10 Primo Quarto
17/03/2024 11:30 Nettuno Congiunzione Sole
17/03/2024 17:35 Mercurio Perielio
19/03/2024 18:07 Venere Afelio
20/03/2024 04:06 Equinozio Primavera
20/03/2024 09:43 Congiunzione Luna-Presepe
22/03/2024 02:59 Congiunzione Venere-Saturno
22/03/2024 06:26 Congiunzione Luna-Regolo
23/03/2024 16:44 Luna Apogeo
24/03/2024 23:27 Mercurio Max Elong. Est
25/03/2024 08:00 Luna Piena
25/03/2024 08:13 Eclisse Lunare
26/03/2024 05:06 Luna Nodo Discendente
26/03/2024 21:21 Congiunzione Luna-Spica
30/03/2024 16:03 Congiunzione Luna-Antares

Tutte le effemeridi del mese di Marzo 2024 sono disponibili in file csv

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ATTENZIONE la parte centrale dell’articolo con la descrizione del moto dei pianeti ed equazione del tempo è riservata agli abbonati a COELUM


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LUNA

Simpatica configurazione il 14 marzo con Pleiadi-Luna-Urano-Giove allineati in verticale ad ovest. Il 25 eclissi di Luna di penombra ma dall’Italia non sarà visibile

Tutto nella rubrica Luna di Marzo 2024

COMETE

UNO SPETTACOLO DA NON PERDERE: PONS-BROOKS

Ormai prossima al picco luminoso la Pons-Brooks è alle prove generali prima del passaggio al perielio.

Per approfondire: le comete di Marzo 2024 a cura di @claudiopra

ASTEROIDI

GLI ASTEROIDI IN OPPOSIZIONE
a MARZO

e consigli per le riprese

(3) Juno, (23) Thalia 

Trovi tutto qui: Mondi in miniatura – Asteroidi, Marzo 2024 a cura di @mioxzy

TRANSITI NOTEVOLI ISS

La ISS – Stazione Spaziale Internazionale sarà rintracciabile nei nostri cieli sia ad orari mattutini che serali. Avremo molti transiti notevoli con magnitudini elevate durante il primo mese della Primavera, auspicando come sempre in cieli sereni.

Non perdere la rubrica Transiti notevoli ISS per il mese di Marzo 2024 a cura di @stormchaser

SUPERNOVAE – AGGIORNAMENTI

Grandi scoperte nel mese di gennaio, @fabio-briganti e Riccardo Mancini ce le raccontano sapientemente qui!

Cieli sereni a tutti!


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Le Costellazioni di Marzo 2024

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COSTELLAZIONI DI MARZO 2024

DOMINA IL CIELO L’ORSA MAGGIORE

Il cielo di marzo è ancora popolato dagli asterismi che hanno dominato l’inverno, ma che ormai declinano lentamente verso Ovest, mentre diventano sempre più protagoniste le figure tipiche del cielo primaverile.

Tra le tante costellazioni osservabili sulla volta celeste di certo non mancherà di notare quella  dell’Orsa Maggiore, Ursa Major, che deve la sua fama all’asterismo del Grande Carro che, con le sue sette stelle principali visibili ad occhio nudo, compone solo una piccola parte della molto più estesa costellazione: si tratta di Dubhe, Merak, Phecda, Megrez, Alioth, Mizar e Alkaid.

Alioth (ε Ursae Majoris) è la stella principale della costellazione, avente colore bianco e una magnitudine 1,76.

Dubhe (α Ursae Majoris), è un sistema quadruplo che dista 124 anni luce dalla Terra: attorno alla componente principale ruotano Dubhe B e Dubhe C che a sua volta è una stella binaria.

Degna di nota anche Mizar: i più acuti osservatori avranno di certo notato accanto ad essa un’altra stella che, seppur meno brillante, fa coppia con la compagna di cielo e porta il nome di Alcor: i due oggetti sono separati da una distanza compresa tra 0,28 e 2 anni luce circa e insieme formano la stella binaria visuale più famosa del cielo, visibile ad occhio nudo.

E’ un asterismo davvero importante quello del Grande Carro, utilizzato per l’orientamento stellare: tracciando infatti una linea immaginaria tra Dubhe e Merak e prolungandola di circa 5 volte, si giungerà alla Stella Polare.

OGGETTI NON STELLARI NELLA COSTELLAZIONE

Tra gli oggetti del profondo cielo presenti nell’Orsa Maggiore, uno dei più celebri è certamente la Galassia Girandola, nota anche come M101, scoperta nel 1781 da Charles Messier  e  da Pierre Méchain.

La  galassia a spirale M101 dista 21.000.000 anni luce dalla Terra, ed è uno degli oggetti più brillanti del cielo, molto amato dagli astrofili che con le dovute tecniche e attrezzature riescono a ricavare dettagli davvero eccezionali.

IMMAGINE M101 – CREDITI: DAVIDE NARDULLI

Ma non è finita qui, perché vi sono altri sorprendenti oggetti nell’Orsa Maggiore che ispirano gli astrofili a realizzare immagini davvero interessanti: uno di questi è la coppia di galassie formata da M81 e M82

IMMAGINE M81 E M82 – CREDITI: DAVIDE NARDULLI

I due oggetti appartengono al gruppo di galassie dell’Orsa Maggiore, che è uno dei più vicini al nostro Gruppo Locale: M81, conosciuta come la Galassia di Bode, è una galassia a spirale situata a circa 12 milioni di anni luce dalla Terra, individuabile con l’ausilio di un buon binocolo se si osserva il cielo in condizioni adeguate; chiaramente è attraverso telescopi di aperture considerevoli che si è in grado di scorgere le strutture della spirale.

L’altra galassia che compone la coppia è M82, meglio nota come Galassia Sigaro: anch’essa rappresenta un oggetto del profondo cielo molto amato dagli astrofili e la sua caratteristica è quella di generare nuove stelle in numero dieci volte maggiore rispetto alla nostra Via Lattea.

M82 subisce gli effetti gravitazionali della sua compagna più grande, M81, e queste continue interazioni hanno favorito l’incremento di fenomeni di formazione stellare.

L’ORSA MAGGIORE NELLA MITOLOGIA

Secondo la mitologia greca Callisto era una ninfa, una bellissima fanciulla figlia del Re di Arcadia Licaone e ancella di Artemide; divenuta l’ennesimo oggetto del desiderio di Zeus, fu tramutata in orso dallo stesso padre degli dei.

Le versioni della storia sono diverse: secondo una prima la prima leggenda, fu proprio Zeus a trasformare la giovane fanciulla in un’orsa per sottrarla alle ire di Era; mentre, la seconda versione, sostiene che fu Artemide a trasformare Callisto dopo aver scoperto lo stato di gravidanza della giovane ancella, votata alla castità.

La metamorfosi di Callisto avvenne dopo aver dato alla luce Arcade. Questi, allevato da Artemide e le sue ancelle e venuto a conoscenza della presenza di un orso nel bosco dove abitavano le ninfe, si mise sulle sue tracce per ucciderlo.

Dopo aver scovato Callisto, si preparò a colpire l’animale con una lancia, ignorando chi fosse in realtà. Zeus, impietosito, fermò il tempo, trasformò sia l’orsa che Arcade in stelle e li collocò per sempre sulla volta celeste.

Ah, quante volte, temendo di riposare nella solitudine dei boschi, torna a vagare davanti alla casa e nei campi che un tempo erano suoi!

Ah, quante volte, inseguita tra le rocce dal latrato dei cani, fugge atterrita, lei, la cacciatrice, per fobia dei cacciatori!

Spesso, vedendo delle belve, si nasconde scordandosi chi era, e pur essendo un’orsa, si spaventa se scorge un orso sui monti, ha terrore dei lupi, sebbene un lupo fosse suo padre [Licaone].

Ovidio, Metamorfosi, 2: 401-495

LA COSTELLAZIONE DELL’ORSA MINORE

Un’altra costellazione visibile nel cielo di marzo è quella  dell’Orsa Minore: anch’essa deve la sua notorietà all’asterismo che custodisce, quello del Piccolo Carro, oltre al fatto che la stella più luminosa e più nota della costellazione, ovvero Polaris, α Ursae Minoris, o per meglio dire la Stella Polare, rappresenta il Polo Nord celeste.

Polaris è una stella gialla di magnitudine 1,97 ed è un sistema stellare triplo, dominato da stella supergigante gialla variabile cefeide (Polaris A), e da due meno luminose compagne di classe F, poco più massicce del Sole.

Le altre stelle che compongono l’asterismo del Piccolo Carro sono Kochab (β Ursae Minoris), una stella di colore arancione di magnitudine 2,07, che si trova nella posizione della costellazione opposta alla Stella Polare,  e la cui distanza è stimata sui 126 anni luce, e Pherkad (γ Ursae Minoris), una stella bianca di magnitudine 3,00, variabile Delta Scuti distante 480 anni luce.

Poiché il piano galattico passa lontano dalla costellazione, non vi sono oggetti del profondo cielo appartenenti all’Orsa Minore.

OGGETTI NON STELLARI NELLA COSTELLAZIONE

La costellazione dell’Orsa Minore non è particolarmente ricca di oggetti. Essa è totalmente priva di oggetti del catalogo Messier ma mancano anche oggetti deep-sky notevoli.

Fra i pochi soggetti estesi suggeriamo NGC 6217, una galassia spirale barrata con un alto tasso di formazione stellare e la piccola galassia NGC5452 nello scatto sotto catturata dall’abile Cristina Cellini vicino alla cometa C/2023 E1.

Credit: NASA /ESA HUBBLE SM4 HERO team

 

Piccola galassia NGC5452 con accanto la cometa C/2023 E1 Crediti :Cristina Cellini Gruppo Astrofile

L’ORSA MINORE NELLA MITOLOGIA

Anche in questo caso ci ricolleghiamo al mito dall’Orsa Maggiore, arrivando alla parte in cui Zeus  trasformò Arcade e Callisto in stelle: secondo alcune versioni, che trovano un certo riscontro negli scritti di Eratostene, Artemide  si sentì tuttavia in dovere di rendere omaggio alla sua ancella prediletta, collocando sulla volta celeste una mini versione di Callisto, già tramutata in orsa (maggiore), a proclamarne l’onore e a renderle doppio valore.

Federico Cervelli. Diana e Callisto 1625

Artemide dette fama [a Callisto] ponendone in cielo una seconda immagine di fronte alla prima, così che ne ricevesse doppio onore.

Eratostene, Epitome dei Catasterismi

 

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La Luna di Marzo 2024

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Tempo di lettura: 2 minuti

Simpatica configurazione il 14 marzo con Pleiadi-Luna-Urano-Giove allineati in verticale ad ovest. Il 25 eclissi di Luna di penombra ma dall’Italia non sarà visibile

In marzo saltiamo i primi giorni e arriviamo direttamente all’08 marzo quando, come anticipato, ci attende un incontro fra Luna e Venere leggermente più favorevole rispetto al mese precedente.

La distanza minima pari a 3.3°S è prevista per le 19:53 quando entrambi saranno sotto l’orizzonte precedendo il Sole del tramonto. Meglio tentare la mattina dello stesso giorno, intorno alle 06:00 quando una finestra di circa 20 minuti ci consentirà di catturare la Luna all’8.8% in un triangolo coinvolgendo anche Marte.

Triangolo Luna-Venere-Marte il giorno 08 marzo alle poco dopo le ore 06 nella luce del crepuscolo. Falce di Luna a 8,8%. Immagine https://theskylive.com/

Il 14 marzo intorno alle 22:00 sarà interessante osservare quasi in linea verticale ad Ovest in ordine dall’alto verso il basso: le Pleiadi, la Luna 17.8%, Urano e vicino all’orizzonte Giove a più o meno sei gradi di distanza l’uno dall’altro.

Curiosa configurazione ad ovest il giorno 14 marzo alle ore 22. Con Giove in basso primo della fila a seguire Urano, Luna e Pleiadi. Distanza media circa 06 gradi. Immagine https://theskylive.com/

Il 20 marzo l’equinozio di primavera ci avrà donato giornate più lunghe ma anche notti più corte. Nulla di particolare da segnalare fino a saltare direttamente al giorno 25 marzo che vedrà la Luna interessata da un’Eclisse Parziale di Penombra. Purtroppo come mostrato anche nell’immagine, l’eclisse non sarà visibile dall’Italia se non per qualche minuto prima del tramonto del satellite e giorno oramai fatto.
L’inizio dell’ingresso della Luna nella sezione di penombra della Terra è previsto per le 5:53 UTC+1 mentre il satellite scomparirà sotto l’orizzonte ad Ovest, quindi subito dopo già alle 06:10 UTC+1.

Tabelle delle fasi e distanze Luna-Terra

FASE DATA ORE SORGE CULMINA TRAMONTA DISTANZA DIAM. APP.
Ultimo Quarto 03-mar 16:23 01:16 05:49 10:09 390254 km 1831.0
Luna Nuova 10-mar 12:57 06:42 12:32 18:28 357007 km 1978.1
Primo Quarto 17-mar 05:10 10:32 17:54 02:03 386947 km 1862.8
Luna Piena 25-mar 08:00 18:48 06:11 07:44 405717 km 1788.0
FASE DATA
Luna Calante dal 01 al 10
Luna Crescente dal 11 al 25
Luna Calante dal 26 al 31

 

FASE DATA ORE DISTANZA DIAM. APP.
Perigeo 10-mar 08:05 356894 km 1978.1
Apogeo 23-mar 16:15 406295 km 1788.4

–  Ogni fenomeno lunare e rispettivi orari sono rapportati alla Città di Roma, dati rilevati dai siti https://theskylive.com/http://www.marcomenichelli.it/luna.asp


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News da Marte #26

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Tempo di lettura: 9 minuti

 

Bentornati su Marte!
In questa puntata riprendiamo la ricostruzione degli eventi che hanno portato al termine della missione di Ingenuity con nuove immagini e nuovi video. Vediamo anche un problema di Perseverance con il tappo della camera SHERLOC e recenti osservazioni solari eseguite dal rover. Si parte!

Tre eliche spezzate, una assente

Come descritto brevemente in chiusura di News da Marte #25, a fine gennaio i tecnici NASA hanno avviato i test di movimentazione delle eliche di Ingenuity. Le prime verifiche hanno riguardato l’azionamento dei motori che svolgono la funzione di regolatore di passo, vale a dire il dispositivo che sugli elicotteri varia l’angolo di attacco delle eliche consentendo di gestire le fasi di volo. I motori coinvolti sono sei in tutto, tre per ciascun rotore separati di 120° (due di questi sono indicati con i numeri 6 e 10 nell’immagine sottostante). Questi motori sono impiegati anche per direzionare l’elicottero.

Crediti: Charlie Layton basato su immagini NASA

Il test dell’angolo di attacco, almeno a giudicare dai fotogrammi ricevuti, sembra dare esito positivo. A meno di fare una chiacchierata con i tecnici NASA coinvolti non possiamo conoscere nel dettaglio quale fosse l’entità dello spostamento desiderato, ma è perlomeno confermata la funzionalità dei motori dedicati. Ingenuity esegue tre verifiche a questo riguardo che vengono documentate con acquisizioni video ad alto frame rate con la sua NavCam. 

Test dell’angolo di inclinazione delle eliche nel Sol 1048. NASA/JPL-Caltech/Piras

Ho racchiuso i vari test sui regolatori di passo in un video che condensa qualche migliaio di fotogrammi.

Dopo queste verifiche è stato il momento di azionare i rotori (indicati con i numeri 1 e 7 nel disegno precedente). 

Il Sol 1059 (11 febbraio) le eliche vengono ruotate per la prima volta eseguendo all’incirca un quarto di rotazione in senso orario. Questo test aggiunge un elemento importante nella ricostruzione dell’incidente perché per la prima volta si riescono ad osservare le quattro pale. O almeno questo era l’obiettivo, perché ne vengono rilevate solo tre.

Favorita da un angolo propizio del Sole, la camera di Ingenuity riprende l’esecuzione della rotazione e rivela così che una delle quattro eliche è totalmente assente. È a questo punto chiaro che si sia spezzata vicino alla base.

Test dei rotori, Sol 1059. NASA/JPL-Caltech/Piras
Probabile stato di Ingenuity in una ricostruzione domestica basata sulle immagini ricevute. Il modellino fotografato è quello incluso nel set Lego “NASA Mars Rover Perseverance”. Crediti: Piras

Così come per i test dell’angolo di attacco, numerosi fotogrammi sono stati acquisiti anche nel corso della movimentazione dei rotori. Ve li propongo in un altro video, sempre mostrati rispettando fedelmente i timestamp di esecuzione così come riportati nei nomi dei singoli frame.

 

Altre investigazioni di Perseverance

Nelle precedente puntata della rubrica avevo mostrato una prima osservazione che il rover aveva eseguito a inizio febbraio con il supporto dei 110 mm di focale offerti dalle MastCam-Z, le potenti camere zoom a sua disposizione.

Ho lavorato ancora a quelle immagini e vale la pena che ve ne proponga una rielaborazione.

Mosaico di sei immagini acquisite dalle MastCam-Z nel Sol 1052. Il contrasto è stato accentuato per esaltare le deboli variazioni nelle tonalità. NASA/JPL-Caltech/MSSS/Piras

Oltre all’elicottero e ai suoi dettagli già analizzati, ben evidente circa 15 metri a sinistra anch’essa evidenziata e ingrandita, rinveniamo l’elica mancante che è stata proiettata verso sud dall’impatto.

Ma la migliore foto di Ingenuity danneggiato viene realizzata dal rover nella notte italiana del 25 febbraio. Lo scorcio marziano che vi mostro, catturato da 415 metri di distanza, è stato reso possibile dalla SuperCam, il piccolo telescopio montato nella “testa” di Perseverance che combina le funzioni di osservazione con l’uso di un laser per analisi spettrali. 

Immagine originale così come pubblicata nei siti ufficiali. NASA/JPL-Caltech/LANL/CNES/IRAPAmmiriamo Valinor Hills, il nome che è stato dato al luogo dove Ingenuity ha toccato terra per l’ultima volta. Il riferimento è al luogo inserito da J. R. R. Tolkien nel suo universo immaginario.

Le immagini, qui sotto elaborate e interpolate per cercare di esaltare i più piccoli dettagli, confermano parte delle ipotesi fatte sino a questo momento. Due macchie scure sulla sinistra del velivolo sono i punti dove l’elicottero è atterrato con violenza nel corso del suo 72esimo e ultimo volo. I rotori sono posizionati in modo diverso rispetto alla foto della MastCam-Z vista in precedenza: quello inferiore è orientato quasi verticalmente nell’immagine, il superiore è invece orizzontale ma mostra solo una delle due pale. Rinveniamo quella mancante nella seconda ripresa in cui si nota anche la traccia lasciata dall’elica sulla sabbia mentre veniva proiettata tangenzialmente.

NASA/JPL-Caltech/LANL/CNES/IRAP/Piras

Interpolando e ingrandendo ulteriormente la foto dell’elica scorgiamo il piccolo sistema di bilanciamento integrato nelle quattro pale di Ingenuity che prende il nome di Chinese weight. È quello spuntone alla base delle eliche progettato per bilanciare il peso dei rotori e ridurre lo sforzo dei motori che gestiscono il direzionamento dell’elicottero. Anche da oltre 400 metri di distanza si riesce a distinguere questo minuscolo particolare. Le varie peculiarità nella forma asimmetrica della pala parrebbero supportare questa ipotesi del vostro autore.

NASA/JPL-Caltech/LANL/CNES/IRAP/Piras

Queste nuove immagini danno supporto alla ricostruzione che un’elica possa essersi staccata dal rotore nelle fasi finali del volo e non, come ritenuto in precedenza, per un impatto col terreno. Sarebbe poi stata colpita dalle altre pale le cui punte si sono così danneggiate. In questo caso si tratterebbe quindi di un problema causato dall’usura meccanica subita da Ingenuity. Ma non si possono davvero muovere rimproveri ai progettisti di questo velivolo straordinario che ha volato per 72 volte (invece di 5 previste) accumulando poco meno di 129 minuti di volo nel corso dei quali si è spostato per complessivi 17 km.

Un intoppo anche per Perseverance

Oltre a Ingenuity, anche il rover sta trascorrendo un po’ di tempo a documentare la situazione di un suo problema. Fortunatamente non catastrofico, ma che potrebbe limitare le capacità di analisi a disposizione degli scienziati.

Tutto è iniziato il 6 gennaio, con Perseverance che in quei giorni stava eseguendo delle analisi di una lastra rocciosa. I programmi prevedevano di dare una soffiata alla superficie e procedere poi con le foto di PIXL, WATSON e SHERLOC.

Tutto bene con i primi due strumenti che acquisiscono complessivamente 90 immagini ma non con lo spettrometro SHERLOC (acronimo di Scanning Habitable Environments with Raman & Luminescence for Organics & Chemicals). Quest’ultimo restituisce solo due immagini nere di calibrazione, scattate con il tappo. Quello che sarebbe considerato un errore marchiano per un fotografo, per SHERLOC fa in realtà parte della normale routine di esecuzione delle attività. La lente frontale dello strumento è infatti protetta da uno sportellino anti-polvere azionato elettricamente che integra al suo interno un bersaglio composto di una lega di alluminio, gallio e azoto con proprietà di semiconduttore. Le linee di assorbimento di questo target permettono agli scienziati di valutare variazioni nelle prestazioni del laser di SHERLOC.

SHERLOC fotografato nei laboratori del JPL durante i test. Attorno alla lente si vedono 6 LED, usati per illuminare i soggetti in luce naturale e luce UV. NASA/JPL-Caltech

Il problema è che, oltre alle due foto di calibrazione, lo strumento non restituisce altre immagini. L’indomani alcune rilevazioni delle HazCam frontali iniziano a delineare l’intoppo: lo sportellino non si è aperto. Nei giorni che seguono i tecnici NASA alternano le operazioni scientifiche a ispezioni visuali della camera problematica, inviando anche comandi per aumentare progressivamente la potenza del piccolo motore dedicato all’apertura dello sportello.

Documentazione delle tentate operazioni da parte di SHERLOC nel Sol 1025. Lo strumento è puntato verso il basso ma con lo sportellino chiuso. NASA/JPL-Caltech/Piras
Prime ispezioni con la MastCam tra i Sol 1027 e 1034. NASA/JPL-Caltech/MSSS/Piras

Passano due settimane dalla prima manifestazione del problema e nel Sol 1037 (19 gennaio) sembra che qualcosa si sia mosso, sebbene solo in parte. Il tappo viene schiuso leggermente e SHERLOC rivede la luce del Sole, ma non è un grande risultato. La parziale apertura dello sportello combinata con la riflettività del suo interno agisce come uno specchio e ciò che si intravede è parte della struttura della camera stessa.

Immagine confusa catturata da SHERLOC che mostra, tramite il riflesso sull’interno del tappo, il bordo dello strumento stesso. Sol 1042. NASA/JPL-Caltech/Piras
Evoluzione della parziale apertura dello sportello di SHERLOC, Sol 1040 (sopra) e Sol 1065. NASA/JPL-Caltech/MSSS/Piras

Nuovi tentativi di azionamento dello sportello avvengono il 2 e 17 febbraio ottenendo qualche grado in più di apertura ma senza avvicinarsi ancora alla risoluzione del problema. Nel caso SHERLOC non fosse recuperabile la missione di Perseverance perderebbe uno strumento molto utile per individuare i composti organici ma non totalmente insostituibile. Nella progettazione della suite scientifica è stato deciso di operare delle sovrapposizioni tra ciò che i vari strumenti possono osservare, e così parte delle specializzazioni in spettroscopia di SHERLOC possono essere coperte dallo strumento PIXL e dal laser della SuperCam. Si andrebbe tuttavia a perdere, delle 23 camere a bordo del rover, quella con la più alta risoluzione spaziale (30 micron/pixel).

Un’ultima curiosità riguarda un’acquisizione fotografica molto particolare che Perseverance ha eseguito il 27 gennaio (Sol 1044) mentre movimentava il braccio robotico e la torretta nell’ambito di alcune verifiche per cercare di sbloccare lo sportellino. Una delle MastCam-Z ha ripreso l’operazione della durata di circa tre minuti, ve la propongo velocizzata a 6x con l’aggiunta di etichette per indicare i vari strumenti. Nel corso di queste cronache marziane credo di averli nominati tutti, ma vale come ripasso!

Il video originale ha un discreto frame rate, ma l’incredibile fluidità è frutto di interpolazione dei fotogrammi.

***
A pochi minuti dalla pubblicazione dell’articolo scopro il rilascio di nuove immagini della camera SHERLOC comparse in serata sul sito NASA. E sembra ci siano buone notizie.

29 febbraio, lo sportellino di SHERLOC sembra sia finalmente aperto quasi del tutto. NASA/JPL-Caltech/Piras

I tentativi dei tecnici parrebbero aver avuto successo, sebbene l’apertura documentata non sia ancora completa (il tappo dovrebbe aprirsi di oltre 180°). Seguiranno aggiornamenti nella prossima puntata della rubrica.

Due satelliti per un pianeta

Il 20 gennaio e l’8 febbraio Perseverance ha compiuto osservazioni del Sole in corrispondenza di transiti indipendenti dei suoi due satelliti, Fobos e Deimos, catturandoli in movimento con delle acquisizioni video. 

Il transito del 20 gennaio ha riguardato il minore dei due satelliti, con la luna Deimos che è apparsa transitare davanti al disco solare in circa 120 secondi. O per essere più precisi, in considerazione della velocità in cielo dei due corpi, è stato il Sole a sembrare muoversi dietro Deimos “sorpassandolo”. Il fenomeno è evidente in video, e ve lo mostro con questo confronto della reale acquisizione affiancata con la simulazione del fenomeno tramite il noto software astronomico Stellarium.

Il fenomeno dell’8 febbraio ha invece coinvolto Fobos. Data la maggiore velocità orbitale, frutto di una minore distanza da Marte, il satellite ha compiuto il transito in soli 36 secondi

 

La visuale composita, frutto di un’evidente elaborazione ma che combina due frame reali delle rispettive riprese, mostra l’enorme differenza nelle dimensioni apparenti dei due satelliti irregolari del Pianeta Rosso. Si nota anche una piccola macchia solare appartenente alla ripresa di Deimos.

Le riprese in oggetto sono state effettuate con la MastCam-Z di sinistra a 110 millimetri di focale. Su questa camera è disponibile un filtro ND6, usato quasi quotidianamente per fotografare il Sole e condurre analisi sull’oscuramento atmosferico (il cosiddetto tau) legato alla presenza di polveri.

Visuale composita dei transiti di Fobos e Deimos rispettivamente l’8 febbraio e il 20 gennaio 2024, Sol 1056 e 1037. NASA/JPL-Caltech/MSSS/Piras

Anche per questo aggiornamento da Marte è tutto, alla prossima!

Mondi in miniatura – Asteroidi, Marzo 2024

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GLI ASTEROIDI IN OPPOSIZIONE
a MARZO

e consigli per le riprese

(3) Juno, (23) Thalia 

(3) Juno è un grande asteroide di fascia principale che compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.590 giorni (4.35 anni) ad una distanza compresa tra le 1.99 e le 3.35 unità astronomiche (rispettivamente, 297.699.763 Km al perielio e 501.152.867 Km all’afelio). Deve il suo nome alla alla dea romana Giunone. Scoperto il 2 Settembre 1804 da JKarl Ludwig Harding, (3) Juno è un asteroide con un diametro stimato di circa 240 chilometri ed appartiene alla classe tassonomica degli asteroidi di tipo S. Gli asteroidi di tipo S sono caratterizzati da una composizione ricca di silicati e minerali ferrosi. Nonostante sia stato uno dei primi asteroidi scoperti, Juno non ha ricevuto tanta attenzione quanto altri corpi come Ceres o Vesta, in parte a causa della sua relativa inaccessibilità per le missioni spaziali. (3) Juno sarà in opposizione il 3 Marzo, momento nel quale raggiungerà la massima luminosità brillando di magnitudine di 8.6. Il suo moto sarà di 0,67 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga l’aspetto puntiforme nelle  nostre immagini utilizzeremo tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere  una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (3) Juno trasformarsi in una bella striscia luminosa di 27 secondi d’arco.

Traccia del percorso di (3) Juno nel mese di marzo. Crediti https://in-the-sky.org/

 

(23) Thalia è un asteroide di fascia principale che compie un’orbita intorno al Sole ogni  1.560 giorni (4.27 anni) ad una distanza compresa tra le 2.02 e le 3.23 unità astronomiche (rispettivamente, 302.187.699 Km al perielio e 483.201.122 Km all’afelio). Deve il suo nome Talia, musa della commedia e della poesia. Scoperto  il 15 dicembre 1852 da John Russell Hind, (23) Thalia è un asteroide con un diametro stimato di circa 107 chilometri ed è classificato come un asteroide di tipo S, simile a (3) Juno. Gli asteroidi di tipo S (silicacei) sono tra gli oggetti più comuni nella fascia principale interna e sono noti per avere superfici relativamente luminose con un’albedo (riflettività) relativamente alta. (23) Thalia sarà in opposizione l’11 Marzo, quando raggiungerà magnitudine 8.0. Il suo moto sarà di 0,60 secondi d’arco al minuto, quindi, con tempi di esposizione fino a 5 minuti ne preserveremo l’aspetto puntiforme. Volendo ottenere  una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (23) Thalia trasformarsi in una bella striscia luminosa di 24 secondi d’arco.

Il percorso dell’asteroide (23) Thalia nel mese di marzo. Crediti: https://in-the-sky.org/

 

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Le Comete di Marzo 2024

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UNO SPETTACOLO DA NON PERDERE: PONS-BROOKS

Ormai prossima al picco luminoso la Pons-Brooks è alle prove generali prima del passaggio al perielio.

12P/Pons-Brooks

Mese che precede il perielio, in cui capiremo se la 12/P sarà una cometa da ricordare. L’”astro chiomato” da Andromeda si trasferirà nell’Ariete. A inizio mese la troveremo ancora abbastanza alta in cielo ma in abbassamento, tanto che a fine marzo risulterà ormai piuttosto bassa sull’orizzonte. Inizialmente si mostrerà nelle migliori condizioni in alto all’arrivo della notte astronomica e più bassa poco prima dell’alba. Con il procedere dei giorni rimarrà però osservabile solo alla sera. La sua luminosità dovrebbe raggiungere la sesta magnitudine a fine mese, con l’oggetto che sarà facilmente alla portata di piccoli binocoli sotto cieli degni. Bellissimo incontro prospettico il giorno 22, quando la cometa transiterà a circa tre gradi dalla Grande Galassia del Triangolo M33, momento da immortalare con un’immagine a largo campo. Il 31 sarà invece rintracciabile a ridosso di Hamal, la stella Alfa dell’Ariete.

Cartina della 12P in marzo. Le stelle più deboli sono di magnitudine 8.

C/2021 S3 PanSTARRS

Cometa molto deludente, tanto che la sesta magnitudine prevista dalle curve di luce di tempo fa non sarà neanche avvicinata. Dal Serpente si sposterà nella Volpetta, “percorrendo “un buon tratto di volta celeste. A inizio mese la cercheremo nell’ultima parte della notte mentre, con il progredire di marzo, sarà osservabile anche prima. A metà mese, in concomitanza con il passaggio alla minima distanza dalla Terra, raggiungerà la magnitudine picco che dovrebbe aggirarsi attorno ad una modestissima decima grandezza.

Cartina della S3 in marzo. Le stelle più deboli sono di magnitudine 9.

Se vuoi seguire l’evoluzione della 12p/Pons-Brooks leggi:

Comete di Febbraio
Comete di Gennaio
Comete di Dicembre

 


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SUPERNOVAE: aggiornamenti Marzo 2024

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RUBRICA SUPERNOVAE COELUM   N. 118

Non avevamo fatto in tempo ad inserirla nella precedente rubrica perché giunta alla fine del mese di gennaio, ma la lista di supernovae amatoriali di questo inizio 2024 si allunga con una nuova scoperta che arriva dagli Stati Uniti.

A metterla  a segno è stato un veterano della ricerca di supernovae amatoriali che vanta al suo attivo non molte supernova, nove per la precisione, ma quasi tutte molto luminose, fra cui spicca la famosa SN2017aew nella bella galassia a spirale NGC6946, che raggiunse la notevole mag.+12,5. Stiamo parlando dell’astrofilo americano Patrick Wiggins che nella notte del 29 gennaio ha individuato una stella nuova di mag.+15,5 nella galassia a spirale barrata NGC3206 posta nella costellazione dell’Orsa Maggiore a circa 60 milioni di anni luce di distanza.

Il nostro Claudio Balcon non si è lasciato sfuggire questa ghiotta occasione ed infatti, nella stessa notte del 29 gennaio a soli 15 ore dalla scoperta, ha classificato per primo nel TNS il nuovo transiente. La SN2024bch è una giovane supernova di tipo II scoperta pochi giorni dopo l’esplosione. Inizialmente le righe dell’Idrogeno erano strette (narrow) e pertanto con i primi spettri la classificazione volgeva verso il tipo IIn, dove la “n” sta per narrow cioè stretto. Successivamente con il passare dei giorni e delle settimane, le righe si sono allargate portando la classificazione finale verso una supernova di tipo II normale.

1) Immagine della SN2024bch in NGC3206 ripresa da Rolando Ligustri in remoto dalla Spagna con un telescopio Dall-Kirkam da 500mm F.6,8.
2) Immagine della SN2024bch in NGC3206 ripresa dall’astrofilo spagnolo Jordi Camarasa con un telescopio riflettore da 500mm F.6,9.
3) Immagine della SN2024bch in NGC3206 ripresa dall’astrofilo francese Robert Cazilhac con un telescopio C14 F.11 somma di 50 immagini da 10 secondi.

Abbiamo perciò contattato il bravo astrofilo americano per avere delle informazioni sulla sua attuale attività di ricerca. Patrick ha 74 anni e vive vicino a Salt Lake City nello Utah. Collabora con il Dipartimento di Fisica e Astronomia dell’Università dello Utak e questo lo porta a presentare programmi di fisica ed astronomia nelle scuole locali. Ha iniziato a fare ricerca di supernovae il 24 gennaio 2011 ed in questi tredici anni ha trascorso 2354 notti a “caccia di stelle che esplodono” ottenendo la scoperta di nove supernovae. Dispone di un piccolo osservatorio con tetto apribile costruito sul resto della sua abitazione e utilizza un telescopio Celestron Schmidt/Cassegrain da 35 cm con CCD ST-10 SBIG. Entrambi sono vecchi, così come il software Software Bisque e Paramount che utilizza, ma funzionano molto bene. Con questa strumentazione Patrick segue una lista selezionata di circa 300 galassie ed ogni sera che è sereno cerca di riprenderne e controllarne il maggior numero possibile. Queste realtà amatoriali, dal Giappone e dagli Stati Uniti, come anche dalla Cina con il cinesi del programma Xoss, sono la dimostrazione che con costanza, rapidità e target appropriati, è ancora possibile ottenere delle preziose e gratificanti scoperte, riuscendo a battere sul tempo i programmi professionali dedicati a questo tipo di ricerca.

4) Immagine della SN2024bch in NGC3206 ripresa Massimo Marchini con un rifrattore da 151mm F.7 somma di 69 immagini da 180 secondi.
5) Immagine della SN2024bch in NGC3206 ripresa da Gianluca Masi con un telescopio C14 somma di 8 immagini da 180 secondi.

 

Patrick Wiggins accanto al suo telescopio Celestron.

 

Transiti ISS notevoli per il mese di Marzo 2024

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Transiti ISS notevoli per il mese di Marzo 2024

La ISSStazione Spaziale Internazionale sarà rintracciabile nei nostri cieli sia ad orari mattutini che serali. Avremo molti transiti notevoli con magnitudini elevate durante il primo mese della Primavera, auspicando come sempre in cieli sereni.

 

04 Marzo

Si inizierà il giorno 4 Marzo, dalle 06:01 alle 06:10, osservando da NO a SE. Visibilità perfetta da tutto il paese per uno dei migliori transiti del mese con una magnitudine massima che si attesterà su un valore di -3.8.

05 Marzo

Si replica il 5 Marzo, dalle 05:14verso NO alle 05:21 verso ESE. La ISS sarà nuovamente ben visibile da tutta Italia, con magnitudine di picco a -3.3. Osservabile senza problemi, meteo permettendo.

07 Marzo

Passando al 7 Marzo, dalle 05:13 alle 05:19, da O a SE, la ISS sarà osservabile al meglio dalle isole maggiori per questo transito parziale. Magnitudine massima a -3.7 non appena la Stazione Spaziale uscirà dall’ombra della Terra.

14 Marzo

Saltando una settimana, ed iniziando con i transiti serali, il 14 Marzo avremo un nuovo transito parziale dalle 19:20in direzione SO alle 19:27 in direzione ENE. Visibilità migliore dal Centro-Sud Italia, con magnitudine massima di -3.6.

16 Marzo

Il 16 Marzo, la Stazione Spaziale transiterà dalle19:18 alle 19:26, da OSO a NE. Visibilità ottima dal Centro Nord Italia per questo passaggio. Magnitudine massima a -3.5.

29 Marzo

Arrivando a fine mese, avremo il miglior transito serale del mese il 29 Marzo, dalle 19:52alle 19:58, da NO a SE, osservabile al meglio da tutta la nazione, con magnitudine massima a -3.7.

30 Marzo

L’ultimo transito notevole del mese sarà osservabile al meglio dal Nord Est e regioni Adriatiche, il 30 Marzo. Dalle 19:02 alle 19:11, da NO ad ESE. Magnitudine di picco a -3.5.

N.B. Le direzioni visibili per ogni transito sono riferite ad un punto centrato sulla penisola, nel centro Italia, costa tirrenica. Considerate uno scarto ± 1-5 minuti dagli orari sopra scritti, a causa del grande anticipo con il quale sono stati calcolati.

In caso di Booster della ISS eseguiti nei giorni successivi alla pubblicazione dell’articolo gli orari possono differire anche in maniera significativa. Vi invitiamo a controllare sempre il sito https://www.heavens-above.com/ soprattutto in caso di programmazione di una sezione di osservazione.


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Odysseus mantiene le comunicazione con la terra

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Il 22 febbraio 2024, il lander lunare Odysseus di Intuitive Machines cattura un'immagine ad ampio campo visivo del cratere Schomberger sulla Luna a circa 125 miglia (200 km) sopra il sito di atterraggio previsto, a circa 6 miglia (10 km) di altitudine.
Tempo di lettura: 2 minuti

Il lander lunare “Odysseus” della società americana Intuitive Machines atterrato con successo sulla Luna nella notte tra il 22 e il 23 febbraio ha iniziato ad inviare scatti dal sito di atterraggio

Odysseus continua a comunicare con i controllori di volo di Nova Control dalla superficie lunare. Dopo aver testato ed avviato i requisiti di comunicazione end-to-end, la sonda aveva inviato immagini dalla superficie lunare durante la sua discesa verticale fino a Malapert A sito di atterraggio, ad oggi il punto più a sud del nostro satellite in cui qualsiasi missione sia mai atterrata.

Odysseus ha catturato l’immagine circa 35 secondi dopo essersi ribaltato durante il suo avvicinamento al luogo di atterraggio. In questa fase la telecamera si trova a poppa del lander.

Gli algoritmi di navigazione avevano rilevato ben nove siti di atterraggio sicuri intorno al polo sud preso di mira, un’area che contiene regioni permanentemente in ombra probabilmente ricche di risorse, compreso il ghiaccio d’acqua che potrebbe essere utilizzato per la futura propulsione e supporto vitale sulla Luna.

Il 24 febbraio, la navicella spaziale Lunar Reconnaissance Orbiter (LRO) della NASA è passata sopra il sito di atterraggio a un’altitudine di circa 90 km e ha fotografato Ulisse.

Il Lunar Reconnaissance Orbiter della NASA ha catturato questa immagine del lander Nova-C delle Intuitive Machines, Odysseus, sulla superficie della Luna il 24 febbraio 2024, alle 13:57 EST). Ulisse è atterrato a 80,13 gradi di latitudine sud, 1,44 gradi di longitudine est, ad un’altitudine di 8.461 piedi (2.579 metri). L’immagine è larga 3.192 piedi (973 metri) e il nord lunare è in alto. (Telaio LROC NAC M1463440322L)
NASA/Goddard/Università statale dell’Arizona

I controllori di volo intendono raccogliere quanti più dati possibili finché i pannelli solari del lander saranno esposti alla luce, prevedibilmente fino alla mattina di martedì 27 febbraio.

Fonti: Space.com, Nasa, Intuitive Machine

Il problema dei tre corpi: una nuova speranza per la dinamica stellare

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Stella binaria interagente HD101584. Crediti: ALMA (ESO/NAOJ/NRAO), Olofsson et al.
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La complessa questione della formazione binaria a tre corpi

 

Il problema dei tre corpi, nato con la teoria della gravitazione newtoniana, rimane ad oggi una delle questioni aperte più complesse in dinamica stellare, la branca dell’astrofisica che studia gli effetti generati dal moto delle stelle e la loro influenza sull’ambiente circostante. La difficoltà nell’individuare una trattazione matematica ad hoc che sia al contempo efficace e poco dispendiosa dal punto di vista computazionale ha sempre introdotto forti limitazioni nell’analisi di certi fenomeni, come la formazione binaria a tre corpi. Ma, se in passato ciò ha costituito un ostacolo quasi insormontabile, ora un ritrovato spirito combattivo sembra diffondersi nel mondo della ricerca grazie alla pubblicazione di un nuovo codice simulativo basato su un metodo d’integrazione diretta all’avanguardia.

 

La maggioranza delle stelle nell’Universo è parte di sistemi binari: alcune di esse nascono già legate tra loro nella nube molecolare originaria (i.e., binarie primordiali), mentre altre si uniscono nel corso della loro vita per interazione di tipo gravitazionale, soprattutto in ambienti densi come gli ammassi globulari (i.e., binarie dinamiche). A questo proposito, svariati sono i meccanismi che intervengono a vincolare due stelle inizialmente isolate: la frizione dinamica all’interno di un mezzo gassoso, la dissipazione di energia orbitale per effetto delle forze di marea con conseguente restringimento dell’orbita stessa (i.e., cattura mareale), e l’emissione di onde gravitazionali durante il passaggio ravvicinato di due oggetti compatti (i.e, cattura gravitazionale). Inoltre, si riscontra la generazione di sistemi binari anche a seguito dell’incontro fra tre corpi interagenti che subiscono una deflessione delle rispettive orbite e sono perciò indotti ad entrare in contatto tra loro: di essi, uno agisce da catalizzatore trasferendo la propria energia potenziale gravitazionale agli altri due, che la convertono in energia cinetica per associarsi, e venendo espulso al termine del processo. Tale fenomeno, chiamato formazione binaria a tre corpi (i.e., three-body binary formation, 3BBF), è però generalmente poco indagato rispetto a quelli summenzionati. La mancanza d’interesse per la 3BBF si deve alla storica credenza che il suo tasso di produzione di sistemi binari sia globalmente trascurabile, ovvero non rilevante nell’arco dell’intera esistenza dinamica degli ammassi stellari. Questo finché non si scoprì che essa era accresciuta dalla presenza dei buchi neri, molto comune in contesti stellari simili. Ulteriore motivo di passata indifferenza verso la 3BBF è rappresentato dalla convinzione che essa tenda ad avere come esito binarie “soft”, destinate cioè ad essere facilmente distrutte da successivi eventi perturbativi a causa della notevole distanza tracomponenti, contrariamente a quelle “hard”. Tuttavia, nonostante la scarsa longevità, le binarie soft si formerebbero così frequentemente che la probabilità che una piccola frazione di esse riesca a sopravvivere grazie ad un restringimento dell’orbita risulterebbe piuttosto elevata.

Schema del problema a tre corpi. Crediti: Rhett Allain.

Ergo, ignorare il contributo della 3BBF nella realizzazione di modelli teorici sul ruolo dinamico della binarietà è sconsigliabile, benché obiettivamente vantaggioso in quanto limitante la complessità di calcolo e il dispendio computazionale. Infatti, le simulazioni a N-corpi richiedono algoritmi troppo elaborati per risolvere le interazioni a tre corpi in tempi accettabili e, viceversa, le tecniche Monte Carlo adottano semplificazioni spesso eccessive in vista di un’ottimizzazione della relativa performance. Un nuovo metodo di integrazione diretta sembra nondimeno in grado di superare tali difficoltà attraverso una rivisitazione del duplice lavoro di ricerca denominato AH76, il quale, basandosi su uno schema di campionamento Monte Carlo poco accurato, assumeva che la 3BBF avvenisse fra tre corpi inizialmente slegati (i.e., three unbound bodies, 3UB) di uguale massa e in modo non ricorrente. Mediante l’utilizzo dell’integratore TSUNAMI e del pacchetto Python CUSPBUILDING, il modello AH76 è stato quindi modificato correggendo le inconsistenze dell’inerente schema Monte Carlo e aumentando significativamente il numero di scattering 3UB per ottenere una più solida statistica. L’aggiunta delle espansioni post-newtoniane (i.e., metodi matematici per trovare delle soluzioni approssimate alle equazioni della relatività generale di Einstein) consente di includere nella trattazione della 3BBF pure i buchi neri e l’associata fenomenologia.

Formule per la trattazione semplificata di un sistema binario all’interno di un
tipico codice simulativo a N-corpi: grazie alla riduzione al riferimento del centro
di massa (CoM), il sistema viene visto come un unico oggetto in dinamica
stellare. Crediti: Michela Mapelli.

Il primo evidente risultato dell’applicazione del così revisionato codice simulativo è che la 3BBF favorisce l’accoppiamento dei due corpi interagenti meno massivi nel caso delle binarie soft, e di quello più massivo con quello meno massivo nel caso delle binarie hard. Da notare, poi, che le prime, prodotte in percentuale molto più alta rispetto alle seconde, sono caratterizzate per lo più da orbite larghe ed eccentriche come quelle osservate dalla missione Gaia. Ciò conferma allora che, sebbene aventi un tempo di vita generalmente breve, alcune binarie soft comunque esistono: pertanto, ometterle dalla descrizione dello stato dinamico di un sistema stellare condurrebbe ad una visione parzialmente errata. Per converso, l’inserimento degli effetti post-newtoniani nella 3BBF stimola la generazione di binarie hard di buchi neri tramite l’emissione di onde gravitazionali che si verifica nel corso dell’interazione con il terzo corpo. Poiché questo canale di formazione acquista rilievo soltanto negli ammassi nucleari per via della loro notevole densità, si può tenere conto di questa declinazione della 3BBF in maniera selettiva. Qualora invece la 3BBF avvenga in ammassi globulari, con la sua tipica combinazione di due stelle di sequenza principale e un buco nero, si trova che le collisioni con altre stelle vicine non impattano fortemente sul processo purché esso abbia come frutto una binaria hard. Infine, si constata che il meccanismo della 3BBF promuove l’espulsione ad alta velocità del corpo catalizzatore, che può riuscire addirittura a scappare dall’ammasso ospite, divenendo perciò una stella fuggitiva (i.e., runaway star) all’interno dell’alone galattico. Ciò sembra valere specialmente per stelle catalizzatrici di sequenza principale, che lasciano di norma un neonato sistema binario hard composto o da una stella analoga e da un buco nero o da due buchi neri.

Riassumendo, questo studio dettagliato sulla 3BBF dimostra, in accordo con le premesse, l’importanza di non dare per scontato che fenomeni considerati meno probabili non incidano sulla determinazione dello stato fisico di un sistema stellare. Invero, a discapito dei vecchi pregiudizi scientifici, si conclude che una frazione di binarie soft non viene sciolta, essendo tuttora osservabile con i telescopi spaziali, che l’emergenza degli effetti post-newtoniani e delle collisioni dipende dalle proprietà ambientali, e che parte della popolazione di runaway stars nella Via Lattea risulta naturalmente spiegata. Eppure, questo non è altro che un mero punto di partenza: molto lavoro resta ancora da fare per esplorare tutte le sfaccettature del problema 3UB, che si configura come centrale per la comprensione della dinamica stellare. Si attendono dunque future e più sofisticate implementazioni di tale nuovo, promettente approccio simulativo per immergersi a fondo in questo affascinante settore fisico-matematico dell’odierna astrofisica teorica.

Fonte: arXiv.


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Allunaggio di successo per il lander lunare privato “Odysseus” di Intuitive Machines

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Odysseus passa sopra il lato vicino della Luna dopo l'inserimento nell'orbita lunare il 21 febbraio. Il lander fino al 21 febbraio ha goduto di ottima salute. Crediti: Intuitive Machine
Odysseus passa sopra il lato vicino della Luna dopo l'inserimento nell'orbita lunare il 21 febbraio. Il lander fino al 21 febbraio ha goduto di ottima salute. Crediti: Intuitive Machine
Tempo di lettura: 4 minuti

Il lander lunare “Odysseus” della società americana Intuitive Machines è atterrato con successo sulla Luna nella notte tra il 22 e il 23 febbraio, diventando il primo lander commerciale a raggiungere la superficie lunare.

Lancio e viaggio

Odysseus è stato lanciato il 15 febbraio 2024 da un razzo Falcon 9 di SpaceX dalla base di Cape Canaveral in Florida. Dopo quindi circa una settimana di viaggio il lander ha compiuto e completato tutte le manovre di atterraggio. Intorno alle 03:00 ora italiana del 23 febbraio 2024 la società Intuitive Machine ha dichiarato che il modulo lunare Odysseus è posizionato in verticale e pronto a trasmettere dati.

Si tratta di uno storico risultato per la NASA che mancava dal suolo lunare da ben 52 anni, cioè da quando il nostro satellite è stato visitato per l’ultima volta dall’apollo 17 nel dicembre 1972.

Il lander lunare Odysseus di Intuitive Machines è atterrato sulla superficie lunare.
Macchine intuitive / NASA

La Missione dall’assegnazione al Lancio

Nel 2019, CLPS ha selezionato Intuitive Machines a cui affidare la realizzazione di un lotto di strumenti scientifici della NASA destinati a studiare la Luna atterrando su essa con il lander Nova-C della stessa azienda. 

Dopo alcune modifiche, l’ordine di missione si è rivelato valere 118 milioni di dollari e coperto il trasporto di esperimenti di ben sei agenzie differenti un ottimo risultato per la missione IM-1 di Intuitive Machines. La missione prevede il lancio di un robot Nova-C chiamato Odysseus, dal nome del famoso eroe viaggiatore della mitologia greca.

Gli strumenti della NASA, il cui sviluppo è costato all’agenzia altri 11 milioni di dollari, sono progettati per condurre una serie di indagini. Ad esempio, uno di essi, chiamato NDL (“Navigation Doppler Lidar for Precise Velocity and Range Sensing”) utilizza la tecnologia LIDAR (light Detection and Range) per raccogliere dati durante la discesa e l’atterraggio. E’ proprio questo ultimo strumento che poi si è rivelato fondamentamentale per la ruscita della missione. 

Un altro strumento è stato progettato per studiare come lo scarico del motore della navicella interagisce con le polveri e la roccia lunare. Un altro ancora dimostrerà la tecnologia di posizionamento autonomo, che potrebbe eventualmente diventare parte di un ampio sistema di navigazione simile al GPS sulla Luna e nei suoi dintorni.

Intuitive Machines ha anche messo sei carichi utili commerciali su Odysseus per IM-1. Uno di questi viene dalla Columbia Sportswear , che ha voluto testare il suo materiale isolante “Omni-Heat Infinity” nello spazio profondo. Un altro è composto da una serie di sculture dell’artista Jeff Koons, e c’è anche un “deposito lunare sicuro” che mira a preservare il magazzino della conoscenza accumulata dall’umanità.

Su Odysseus opera anche EagleCam, un sistema di telecamere costruito dagli studenti della Embry-Riddle Aeronautical University. EagleCam è stata progettata per essere posizionata dall’Odysseus a circa 30 metri sopra la superficie lunare e scattare foto dell’epico atterraggio del lander dal basso. Puoi saperne di più su tutti i 12 payload dell’IM-1 qui.

Allunaggio

Ulisse è arrivato in orbita lunare il 21 febbraio come previsto. il 22, durante il tentativo di atterraggio, gli assistenti del lander hanno scoperto che i telemetri laser di Odysseus, che gli consentivano di determinare la sua altitudine e velocità orizzontale, non funzionavano correttamente. Il team ha avuto la brillante idea di mettere in servizio il carico utile sperimentale NDL della NASA per questa funzione vitale, posticipando il tentativo di atterraggio di due ore.

Un tentativo disperato, ma forse già considerato fra i vari piani di emergenza, che ha richiesto al team di progettare una patch software a terra e trasmetterla su Odysseus, per fortuna il tutto ha funzionato. Alle 18:11 EST (23:11 GMT) del 22 febbraio, Odysseus ha acceso il suo motore principale per 11 minuti per rallentare la discesa del velivolo verso la superficie lunare. Quindi, alle 18:23 EST (2353 GMT), Ulisse è atterrato dolcemente vicino al bordo del cratere Malapert A, a circa 190 miglia (300 chilometri) dal polo sud lunare.

Ci sono voluti circa 15 minuti di tensione perché la squadra dell’IM-1 si agganciasse al segnale di Odysseus e ne confermasse il successo.

I dipendenti di Intuitive Machines festeggiano dopo il riuscito atterraggio del lander lunare Odysseus dell’azienda il 22 febbraio 2024. (Credito immagine: NASA TV)

 

Attività sulla Luna

Dopo l’atterraggio, Odysseus ha dispiegato i suoi quattro piedi e ha iniziato a trasmettere immagini e dati dalla superficie lunare. Il lander rimarrà sulla Luna per almeno 14 giorni, durante i quali condurrà una serie di esperimenti scientifici e tecnologici.

Missioni atterrate sulla Luna dal 2000 

Nonostante l’attenzione mediatica verso il programma Artemis e le mire statunitensi sul territorio lunare ricordiamo le ultime missioni promosse da altre agenzie spaziale che dal 2000 in poi hanno puntato e in alcuni casi conquistato con successo la Luna. Ricordiamo che ad oggi gli stati che hanno raggiunto il suolo lunare sono in ordine: Unione Sovietica, Stati Uniti, Cina e India.

2003: Chang’e 1 (Cina): Prima sonda cinese ad orbitare la Luna.

2007: SELENE (Giappone): Orbiter e lander che hanno rilasciato un rover sulla superficie lunare.

2008: Chandrayaan-1 (India): Orbiter in ordita appunto intorno alla Luna che ha lanciato sulla superficie del satellite un impattatore

2013: Chang’e 3 (Cina): Seconda sonda cinese ad atterrare sulla Luna, con un rover a bordo.

2019: Chang’e 4 (Cina): Prima sonda ad atterrare sul lato nascosto della Luna, con un rover a bordo

2020: Chang’e 5 (Cina): Missione di prelievo di campioni lunari, che ha riportato sulla Terra circa 2 kg di rocce

2023: Chandrayaan-3 sonda lunare indiana lanciata il 14 luglio 2023 alle 09:05 UTC (14:30 locali) e allunata con successo il 23 agosto 2023

 

Fonti: Space.com, Nasa, Intuitive Machine

Neutrino sterile e materia oscura: un nuovo modello per il centro galattico

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Neutrini attivi (i.e., elettronico, muonico e tauonico), parte del Modello Standard delle particelle, e neutrino sterile, ipotetico componente della materia oscura, non predetti da esso. Crediti: IceCube - University of Wisconsin.
Tempo di lettura: 4 minuti

 

Decadimento di neutrini sterili: un nuovo modo per rivelare la materia oscura?

 

La natura elusiva della materia oscura rende difficile ottenere prove della sua esistenza e determinarne la composizione sfruttando le sue manifestazioni gravitazionali: per questo motivo metodi di rilevamento di tipo indiretto, tipici della fisica astroparticellare, stanno acquisendo sempre maggiore importanza. Essi si basano sull’individuazione di fenomeni che interesserebbero le ipotetiche particelle costituenti la materia oscura, come decadimenti e annichilazioni: tra questi, il decadimento a due corpi dei neutrini sterili sembra essere responsabile dell’aumentata emissione X osservata sia nell’alone che attorno al centro galattico. Uno studio, che combina l’utilizzo di vari modelli teorici per riprodurre il profilo di densità della materia oscura nella Via Lattea e le predizioni sugli esiti delle future osservazioni con il nuovo telescopio XRISM, fornisce predizioni sul flusso di decadimento di neutrini sterili nella Galassia che ci si aspetta di misurare entro i prossimi 15 anni.

 

Determinare la composizione della materia oscura rappresenta una delle più ardue sfide che il mondo dell’astrofisica ha dovuto affrontare negli ultimi decenni per via della natura elusiva di questa. Considerata la mancanza di flusso luminoso, sembra che la sua presenza si manifesti sia attraverso effetti gravitazionali su larga scala sia attraverso decadimenti particellari: per questa ragione, i metodi di rilevamento indiretto hanno acquisito particolare importanza nel fornire stime ed effettuare misure. Essi, infatti, si basano sull’individuazione dei rari casi in cui le ipotetiche particelle di materia oscura, decadendo o annichilendosi, emetterebbero radiazione elettromagnetica, poiché questa risulta facilmente distinguibile da quella inerente i processi astrofisici. Un simile segnale è stato osservato nel range dei keV: si tratta di un eccesso di emissione di raggi X al preciso valore di energia 3.55 keV presente in ambienti diversi, come negli ammassi di galassie Virgo e Perseo, ma, soprattutto, come il centro e l’alone della Via Lattea. La riga spettrale di emissione così prodotta sarebbe compatibile con il decadimento a due corpi (i.e., con formazione di due nuove particelle) di una particella di materia oscura con massa-energia pari a 7.1 keV. Si identifica un possibile candidato nel neutrino sterile, cosiddetto perché interagente solo con la gravità al contrario dei suoi fratelli attivi (i.e., i neutrini elettronico, muonico e tauonico del Modello Standard), che subiscono la forza debole. Per poter caratterizzare tale riga e associarla ad una simile sorgente è necessario disporre di uno spettrometro di raggi X ad alta risoluzione, come Resolve della missione XRISM lanciata dalla NASA lo scorso settembre. Nello specifico, il centro galattico si configura come il luogo ideale per l’utilizzo di Resolve dato il suo legame diretto con l’alone, dominato dalla materia oscura: il segnale prodotto dal decadimento di un neutrino sterile sarebbe pertanto il medesimo in questo e nel centro galattico.

Tuttavia, una delle maggiori fonti di incertezza nell’identificazione del detto segnale all’interno della Via Lattea è costituita dalla forma del profilo di densità della materia oscura, che mostra come essa si distribuisce in funzione del raggio. Il profilo di densità più frequentemente adottato per modellizzare l’alone della Galassia allo scopo di studiarne l’emissione X è il Navarro–Frenk–White (NFW), dipendente da un parametro chiamato raggio scala e valido nell’ipotesi di simmetria sferica. Esistono però delle alternative per facilitare tale operazione, come ad esempio un profilo di densità contratto per valori del raggio superiori a 1 kpc e piatto per valori inferiori, che estende i limiti della zona d’indagine imposti dal profilo NFW fino al centro galattico.

Profili di densità per gli aloni di materia oscura: i modelli
NFW (linee colorate) sono confrontati con i modelli NFW
Mc17 (linea grigia), contratto Ca20 (linea nera) e piatto
(linea tratteggiata). Crediti: arXiv.

Un recente lavoro di ricerca illustra proprio come la scelta del profilo di densità influenzi la ricezione del flusso di decadimento delle particelle di materia oscura in banda X. Quattordici diversi modelli sono stati messi pertanto a confronto: 10 profili NFW, differenti per valore del raggio scala, 1 profilo piatto entro 3 kpc dal centro galattico, 2 noti profili in letteratura, ovvero il profilo contratto Ca20 e il profilo NFW Mc17, e 1 profilo misto contratto-piatto Ca20c. Riassumendo, si hanno complessivamente 11 profili a simmetria sferica (i.e, Mc17 e i 10 aloni NFW), 1 profilo contratto (i.e., Ca20), 1 profilo piatto e un profilo dato dall’intersezione tra i profili contratto e piatto a 2 kpc (i.e., Ca20c). Per ciascun profilo è stata poi calcolata l’intensità dell’emissione X relativa al supposto decadimento di un neutrino sterile in funzione dell’angolo d’inclinazione rispetto al centro galattico 𝜃GC. Si trova quindi che il profilo contratto aumenta fortemente l’intensità del flusso di neutrini sterili ad angoli 𝜃GC<20◦, sopprimendola invece ad angoli maggiori, e che il profilo piatto la diminuisce ad angoli 𝜃GC< 10◦. Combinati insieme, i due risultati indicano allora che l’assunzione di un profilo contratto inibisce la radiazione X nelle parti più esterne della Galassia e la alimenta attorno al centro galattico, dove però viene ulteriormente bloccata dalla presenza del profilo piatto.

Andamento dell’intensità dell’emissione X in funzione
dell’angolo rispetto al centro galattico 𝜃GC per i vari modelli
analizzati. In particolare, il profilo Ca20 (linea nera solida) mostra
un aumento dell’intensità per angoli 𝜃GC < 10◦, mentre il profilo
Ca20c (linea nera tratteggiata) una diminuzione di questa. Ciò
accade per l’effetto smorzante del profilo piatto con cui Ca20 è
combinato per formare Ca20c. Crediti: arXiv.

Il modello realizzato assumendo il profilo Ca20c pare dare giustificazione dell’intensa emissione X proveniente dal centro galattico, ma per verificarne la correttezza è necessario convalidarlo effettuando un controllo incrociato con i dati osservativi. Invero, il flusso di decadimento di neutrini sterili che ci si aspetta di ottenere da XRISM secondo il modello Ca20c deve essere consistente con quello atteso in ambienti diversi dal centro galattico a seguito di misure con il medesimo strumento. Tale flusso atteso è stato perciò calcolato anche per gli ammassi di galassie Virgo e Perseo, rivelandosi però compatibile con quello relativo al centro galattico solo nel caso di Virgo a causa delle difficoltà osservative concrete che si incontrerebbero in Perseo. Espandendo il campione di sistemi stellari di test ad oggetti con proprietà fisiche non esattamente analoghe, come la galassia nana sferoidale Draco e il famoso Bullet cluster, grazie alle nuove tecnologie si potrebbero infine ricavare prove a favore dell’esistenza dei neutrini sterili come particelle costitutive della materia oscura entro i prossimi 15 anni.

Fonte: arXiv.


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25^ Mostra di Astronomia e Astronautica: Stelle, pianeti e misteri dell’universo a Villa Farsetti

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Tempo di lettura: 2 minuti

A Villa Farsetti di Santa Maria di Sala un nuovo appuntamento con le stelle

25^ edizione della Mostra di Astronomia e Astronautica

 

La manifestazione, organizzata dal Gruppo Astrofili Salese “G. Galilei”, si svolgerà dal 3 al 10 Marzo 2024 e offrirà nuove sezioni tematiche, osservazione del cielo, visite al Planetario e un concerto. Inaugurazione il giorno 2 Marzo alle ore 16.00.

“Quest’anno celebriamo il venticinquesimo appuntamento con la Mostra di Astronomia e Astronautica, un evento che è iniziato tanti anni fa come una scommessa, e che nel tempo è cresciuto sempre più, coinvolgendo grandi nomi della fisica e dell’astronomia, e portando a santa Maria di Sala migliaia di appassionati da tutta Italia”.

Lo ha detto Tino Testolina, presidente del Gruppo Astrofili Salese “G. Galilei”, illustrando il programma e le novità della “25^ Mostra di Astronomia e Astronautica”, che si terrà a Villa Farsetti di Santa Maria di Sala dal 3 al 10 Marzo 2024, con inaugurazione il giorno 2 Marzo alle ore 16.00.

La mostra conterà 22 sezioni tematiche nei due piani della monumentale villa, mentre nel giardino esterno si potrà osservare il cielo con i telescopi e passeggiare tra i pianeti nella ricostruzione del sistema solare in scala di riduzione. Sarà inoltre possibile godere degli spettacoli del Planetario, situato nei pressi della villa, presso l’Osservatorio di viale Ferraris 1.

Infine, per celebrare i 25 anni della mostra, Sabato 9 Marzo alle ore 18.00 in Sala Teatro a villa Farsetti sarà offerto un “Concerto Musicale Spaziale” con Franco Guidetti, ad entrata libera.

“L’edizione 2024 presenterà una serie di nuove sezioni espositive – ha aggiunto Testolina – imperdibili per tutti gli appassionati di Astronomia, sulla Missione Gaia e JWST, su peso, massa, gravità, buchi neri e buchi bianchi, sui personaggi dell’Astronomia e sulle costellazioni tra storia e mito. A Villa Farsetti sono già attesi un migliaio di ragazzi, provenienti da istituti scolastici di tutto il Veneto, che hanno già prenotato la propria presenza”.

La manifestazione è patrocinata da Regione Veneto, Città Metropolitana di Venezia, Comune di Santa Maria di Sala, INAF-Osservatorio Astronomico di Padova e dalla società EIE GROUP.

Orario apertura Mostra:
Da Lunedì a Venerdì: 9:00-13:00
Sabato e Domenica: 9:00-20:00

 

Prezzi:
Intero: € 10,00 + € 2,00 con visita Planetario
Ridotto (da 11 anni a 26 anni e oltre 65 anni): € 6,00 + € 2,00 con visita Planetario

L’intero incasso verrà utilizzato per sostenere le spese della mostra e per finanziare l’opera di divulgazione dell’associazione no profit Gruppo Astrofili Salese.

Santa Maria di Sala, 22/02/2024.

Per ulteriori informazioni:

Tel. 3280662486

Web: www.astrosalese.it – Facebook: https://www.facebook.com/GruppoAstrofiliSalese interstellare.

L’Oggetto più Luminoso mai Osservato

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Questa rappresentazione artistica mostra il quasar da record J059-4351, il nucleo luminoso di una galassia lontana alimentato da un buco nero supermassiccio. Credit: ESO/M. Kornmesser
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Scoperto il buco nero con la crescita più rapida: 17 miliardi di masse solari e 500 trilioni di volte più luminoso del Sole

VLT dell’ESO trova il quasar più luminoso: un buco nero che inghiotte un Sole al giorno

Sintesi

Utilizzando il VLT (Very Large Telescope) dell’ESO (l’Osservatorio Europeo Australe), alcuni astronomi hanno caratterizzato un quasar brillante, trovando che non solo è il più brillante della sua classe, ma anche l’oggetto più luminoso mai osservato. I quasar sono i nuclei luminosi di galassie distanti e sono alimentati da buchi neri supermassicci. La massa del buco nero di questo quasar da record cresce dell’equivalente di un Sole al giorno, rendendolo il buco nero con la crescita più rapida trovato fino a oggi.

I buchi neri che alimentano i quasars raccolgono la materia dall’ambiente circostante in un processo energetico in grado di emettere grandi quantità di luce, così che i quasar diventano di fatto gli oggetti più luminosi nel cielo, visibili anche quando molto distanti dalla Terra. Come regola generale, i quasar più luminosi indicano i buchi neri supermassicci che crescono più rapidamente.

Abbiamo scoperto il buco nero con la crescita più rapida finora conosciuto. Ha una massa di 17 miliardi di volte quella del nostro Sole e si nutre con poco più di un Sole al giorno. Questo lo rende l’oggetto più luminoso dell’Universo conosciuto”, afferma Christian Wolf, astronomo dell’Università Nazionale Australiana (ANU) e autore principale dello studio pubblicato su Nature Astronomy. Il quasar, chiamato J0529-4351, è così lontano dalla Terra che la sua luce ha impiegato oltre 12 miliardi di anni per raggiungerci.

La materia attirata verso questo buco nero, sotto forma di disco, emette così tanta energia che J0529-4351 è oltre 500 trilioni di volte più luminoso del Sole [1]. “Tutta questa luce proviene da un disco di accrescimento caldo che misura sette anni luce di diametro: deve essere il disco di accrescimento più grande dell’Universo“, afferma Samuel Lai, dottorando all’ANU e coautore dell’articolo. Sette anni luce equivalgono a circa 15.000 volte la distanza dal Sole all’orbita di Nettuno.

E, cosa sorprendente, questo quasar da record era solo apparentemente nascosto. “È una sorpresa che sia rimasto sconosciuto fino a oggi, quando conosciamo già un milione circa di quasar meno notevoli. Finora ci ha guardato letteralmente negli occhi!”, dice il coautore Christopher Onken, astronomo dell’ANU, sottolineando che compare già nelle immagini della Schmidt Southern Sky Survey dell’ESO risalente al 1980, eppure non è stato riconosciuto come quasar fino a decenni dopo.

Trovare quasar richiede dati osservativi precisi da vaste aree del cielo. La mole dei dati può risultare così grande che i ricercatori spesso utilizzano modelli di apprendimento automatico (machine-learning) per analizzare e distinguere i quasar da altri oggetti celesti. Tuttavia, questi modelli vengono addestrati su dati esistenti, il che limita i potenziali candidati a oggetti simili a quelli già noti. Se un nuovo quasar fosse più luminoso di tutti quelli osservati in precedenza, il programma potrebbe rifiutarlo e classificarlo invece come una stella non troppo distante dalla Terra.

Un’analisi automatizzata dei dati del satellite Gaia dell’Agenzia Spaziale Europea ha escluso J0529-4351 perchè troppo luminoso per essere un quasar, suggerendo invece che si trattasse di una stella. I ricercatori lo hanno identificato come quasar soltanto nello scorso anno, utilizzando le osservazioni del telescopio ANU da 2,3 metri di diametro, presso l’Osservatorio di Siding Spring in Australia. Scoprire che si trattava del quasar più luminoso mai osservato, tuttavia, richiese un telescopio più grande e misure effettuate con uno strumento più preciso. Lo spettrografo X-shooter installato sul VLT dell’ESO nel deserto cileno di Atacama ha fornito i dati cruciali.

Il buco nero con la crescita più rapida mai osservato sarà anche un obiettivo perfetto per quando l’aggiornamento di GRAVITY+ installato sull’VLTI (l’interferometro del VLT) dell’ESO, progettato per misurare con accuratezze la massa dei buchi neri, compresi quelli lontani dalla Terra. Inoltre, l’ELT (Extremely Large Telescope) dell’ESO, il telescopio di 39 metri di diametro in costruzione nel deserto cileno di Atacama, renderà ancora più fattibile l’identificazione e la caratterizzazione di tali oggetti così sfuggenti.

Trovare e studiare i buchi neri supermassicci distanti potrebbe far luce su alcuni dei misteri dell’Universo primordiale, tra cui il modo in cui essi e le galassie che li ospitano si sono formati ed evoluti. Ma non è l’unico motivo per cui Wolf li cerca. “Personalmente, mi piace semplicemente la caccia“, dice. “Per qualche minuto al giorno mi sento di nuovo un bambino, mentre gioco alla caccia al tesoro.”

Note

[1] Alcuni anni fa, la NASA e l’Agenzia spaziale europea riferirono che il telescopio spaziale Hubble aveva scoperto un quasar, J043947.08+163415.7, luminoso quanto 600 trilioni di Soli. Tuttavia, la luminosità di quel quasar era amplificata da una galassia “lente”, situata tra noi e l’oggetto. Si stima che la luminosità effettiva di J043947.08+163415.7 equivalga a circa 11 trilioni di Soli (1 trilione è un milione di milioni: 1 000 000 000 000 o 1012).

Fonte: ESO

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Williamina Fleming la Signora delle Stelle

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Williamina la prima “computatrice di Harvard” (Harvard Computers)

Williamina Fleming nacque a Dundee, il 15 maggio 1857 e fu un’astronoma inglese. Come spesso accadeva alle giovani donne a quel tempo si sposò giovane, all’età di 21 anni, con James Orr Fleming, che la portò oltre oceano, fino negli Stati Uniti stabilendosi a Boston, Massachusettsfino ad abbandonarla una volta incinta quando fu costretta a cercare lavoro per mantenere la sua famiglia. Fortunatamente l’emancipazione ed i diritti delle donne hanno fatto passi da gigante, ma a tutt’oggi siamo soltanto arrivati al livello “accettabile”. Comunque, ritorniamo a Williamina.

Dovendosi rimboccare le maniche, trovò occupazione come cameriera in casa dell’astronomo Edward Charles Pickering, all’epoca direttore dell’Harvard College Observatory. Si narra che, deluso dai propri collaboratori, un giorno affermò, orlando: “La mia domestica scozzese farebbe un lavoro migliore!”. Tenendo fede alla sua parola, nel 1881 Pickering assunse la Fleming come impiegata negli uffici. Fu così che Williamina divenne la prima delle “computatrici di Harvard” (Harvard Computers), le donne che avrebbero studiato le stelle attraverso le lastre fotografiche dell’università. Una volta si faceva a mano e, siccome era un lavoro noioso, veniva fatto fare alle donne.

Ma vista la bravura di Williamina, Pickering assunse dunque altre donne per il progetto, e il gruppo sarebbe poi stato chiamato “harem di Pickering”. Inutile dire che la loro bravura e scrupolosità era innegabile. La Fleming diede un forte aiuto nella classificazione delle stelle ed assegnò delle lettere in base alla quantità di idrogeno riscontrabile nel loro spettro in maniera che le stelle classificate come A erano le più ricche di idrogeno, quelle di classe B meno ricche, e così via. Fu questo il punto di partenza che portò, in seguito, Annie Jump Cannon, a sviluppare la sua classificazione in base alla temperatura superficiale. Su questo blog tempo fa abbiamo parlato di questa altra grandissima donna. Le stelle della Fleming vennero poi organizzate in un catalogo, il Catalogo Henry Draper. Pensate, in nove anni catalogò oltre 10 mila (DIECIMILA) stelle, scoprendo en passant, 59 nebulose, oltre 310 stelle variabili e 10 novae. Fu lei, inoltre, che scoprì, nel 1888, la celeberrima la Nebulosa Testa di Cavallo, descrivendola e fornendone le coordinate esatte.

Le immagini prese da William Pickering, che scattò una foto dell’oggetto, sembravano mostrare che si trattasse di una nube di polveri oscure e le pubblicazioni successive fecero in modo di celare la reale maternità della scoperta. Quel furbacchione di John Dreyer, il primo autore dell’Index Catalogue su cui la nebulosa era descritta, eliminò infatti il nome della Fleming dalla lista di oggetti, che risultavano così scoperti da altri. Fortunatamente , nella seconda edizione del 1908, il nome della Fleming riapparve e la Fleming fu finalmente messa alla testa di un gruppo di decine di donne incaricate di eseguire delle classificazioni matematiche, riservandosi di editare le pubblicazioni dell’osservatorio.

Nella sua carriera fu socia onoraria della Royal Astronomical Society di Londra dal 1906, la prima donna americana a ricevere tale riconoscimento, membro onorario del Wellesley College, medaglia Guadalupe Almendaro dalla Società astronomica del Messico per la sua scoperta di nuove stelle e le venne anche dedicato il nome di un cratere, il cratere Fleming sulla Luna, che divide assieme al biologo Alexander Fleming.

Il 1998, l’anno più lussurioso

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Il 1998, l’anno più lussurioso

 

Ciao a tutti ragazzi degli anni 90! Come va’?

Oggi parliamo del 1998, l’anno più lussurioso di questo decennio. Perché nonostante tutte le cose interessanti e magnifiche che questo anno ha portato, tutti lo ricorderanno per una cosa: IL VIAGRA. Proprio nel 1998 infatti, la FDA statunitense approvò la commercializzazione della “pillolina blu” come cura dell’impotenza. Poi la cosa sfuggì, diciamo, di mano. Nello stesso anno, vuoi il caso, partirono due delle serie tv più famose del decennio: Will & Grace e Sex and the City. Nel 1998 vi ricordo che Paula Jones accusò anche il presidente statunitense Bill Clinton di molestie sessuali. Il cinema non era da meno, con colossal del calibro di Godzilla e Armageddon che sfondavano i botteghini facendo incassi da record.

Lo stesso anno, Titanic di James Cameron vinse  undici premi Oscar su 14 candidature, eguagliando Ben-Hur, che durava dal 1960. Il record, non il film.

Nel 1998 ci fu anche il primo trapianto di arto, precisamente il 23 settembre, a Lione. La mano destra di un uomo morto in un incidente stradale venne trapiantata con successo a un cinquantenne da una équipe medica internazionale guidata dal professor Jean-Michel Dubernard.

Il 1998 era quell’età di mezzo in cu ci si avvicinava al 2000, e le ansie del nuovo millennio si fondevano con la nostalgia dei pantaloni che, piano piano, stavano diventando a vita sempre più bassa e, grazie all’euro, costavano il doppio.

Per l’astronomia fu un anno decisamente denso, che vide, fra le altre cose, una eclissi solare totale, una eclissi solare anulare e ben tre eclissi lunari penombrali. Le missioni spaziali la fecero da padrone. Nel 1998 infatti, i dati inviati dalla sonda spaziale Galileo indicarono che la luna di Giove Europa aveva un oceano liquido sotto una spessa crosta di ghiaccio. Per rimanere in tema di acqua, la sonda Lunar Prospector, lanciata in orbita attorno alla Luna, trovò successivamente le prove del prezioso fluido ghiacciato sulla sua superficie e La NASA annuncia che la sonda Clementine, in orbita attorno alla Luna, trovò abbastanza acqua nei crateri polari da sostenere una colonia umana e una stazione di rifornimento di razzi. La corsa allo spazio vide il Giappone lanciare una sonda su Marte, salendo sul carro dei big assieme agli Stati Uniti e alla Russia per quanto riguarda l’esplorazione al di fuori della Terra. Nello stesso anno venne anche lanciato Zarja, il primo modulo della Stazione Spaziale Internazionale.

Zarja (o Zarya) il primo modulo della Stazione Spaziale Internazionale ISS. Crediti Nasa

Nel 1998 nacque anche il primo programma spaziale della NASA con lo scopo di sperimentare una serie di tecniche per future esplorazioni a grandissima distanza dalla Terra, al di là del Sistema solare, nel cosiddetto spazio profondo.

John Glenn at age 77. Credit: NASA.

Il 1998 vide ritornare nello spazio John Glenn a bordo dello Space Shuttle Discovery, lanciandolo, alla tenera età di 77 anni, nell’olimpo degli astronauti come la persona più anziana ad andare nello spazio fino a quel momento. Da lì poteva vedere una nuova stella che si era appena accesa nel firmamento: Lucio Battisti lasciava la Terra per brillare di luce eterna.

La tecnologia non fu da meno, accendendo il primo dei quattro telescopi riflettenti da 8,4 m del programma Very Large Telescope dell’European Southern Observatory a Cerro Paranal in Cile.

Il sole al tramonto scende sotto l’orizzonte dell’Oceano Pacifico, inondando di luce la piattaforma del Paranal in questa straordinaria immagine aerea del deserto di Atacama, nel nord del Cile. La cima del monte Cerro Paranal ospita la struttura astronomica terrestre più avanzata al mondo, con i quattro telescopi unitari da 8,2 metri del Very Large Telescope, quattro telescopi ausiliari da 1,8 metri e il VLT Survey Telescope (VST), tutti che sono visibili in questa immagine. Il Visible and Infrared Survey Telescope for Astronomy (VISTA) da 4,1 metri, anch’esso ospitato sul Cerro Paranal, è nascosto fuori dall’inquadratura.

Dal lato cosmologico infine, gli astronomi Saul Perlmutter, Adam Riess e Brian Schmidt pubblicarono la prima evidenza che l’universo sta aumentando la sua velocità di espansione. E lo fecero utilizzando come indicatori di distanza le supernovae del tipo Ia. In questo modo fu possibile affermare che le galassie più lontane si muovono a una velocità maggiore di quanto ci si aspettava. Sempre nel campo della cosmologia, ci fu il famoso Progetto Boomerang. Chi di voi se lo ricorda? Consisteva nella ripresa di immagini del cielo con un telescopio riflettore di 1,2 m montato a bordo di un pallone aerostatico che volava sull’Antartide a 35 km di altezza. Grazie ai dati raccolti da questo strumento in solo un anno, fu possibile ricavare informazioni sulla temperatura dell’Universo primordiale dopo il big bang. Anche la fisica disse la sua nel 1998. Ci fu infatti la prova del fatto che i neutrini hanno una massa. Fu dedotta dal fatto che il numero dei neutrini osservabili sulla Terra dopo averla attraversata è molto inferiore rispetto a quello che ci si aspetterebbe a partire dai processi nei quali essi si originano, ovvero dal Sole. Dovete sapere che ci sono tre tipi di neutrino: il neutrino elettronico, quello muonico e quello tauonico. Tuttavia, soltanto uno proviene dal Sole ed è quello elettronico, oltre che ad essere il solo che interagisce con la materia. Quando lo fa produce altre particelle come quali elettroni e neutroni. Assumendo questo per vero fu possibile dare una risposta alla diminuzione dei neutrini solari quando attraversavano la Terra. Fu possibile inoltre stimare la loro massa in un decimilionesimo di quella dell’elettrone. Insomma, anche il 1998 fu un anno bello corposo.

Ci sentiamo presto per l’ultima puntata dei mitici anni ’90. Quella del 1999.

Quella dell’ultimo anno prima del nuovo millennio. Ciao belli!

Il vostro Sergio di Cieli Lontani.

Non solo stelle! Oggetti binari a contatto nel Sistema Solare

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This very detailed view shows the strange peanut-shaped asteroid Itokawa. By making exquisitely precise timing measurements using ESO’s New Technology Telescope a team of astronomers has found that different parts of this asteroid have different densities. As well as revealing secrets about the asteroid’s formation, finding out what lies below the surface of asteroids may also shed light on what happens when bodies collide in the Solar System, and provide clues about how planets form. This picture comes from the Japanese spacecraft Hayabusa during its close approach in 2005.
Tempo di lettura: 5 minuti

Fra gli oggetti binari più diffusi a contatto con il Sistema Solare ci sono gli asteroidi

 

In astrofisica la binarietà è tipicamente associata alle stelle… ma in realtà non è così! Oggetti di natura binaria esistono invero anche all’interno del Sistema Solare: si tratta dei cosiddetti oggetti binari a contatto. Essi sono asteroidi, comete e corpi appartenenti alla fascia di Kuiper formati da due agglomerati di detriti distinti che finiscono per fondersi a causa della reciproca attrazione gravitazionale, senza però perdere la loro forma caratteristica. Uno studio teorico prova dunque a fare chiarezza sulle proprietà fisiche che tali oggetti devono avere per sopravvivere al processo di fusione in forma binaria.

 

Gli oggetti peragèi (i.e., Near-Earth Objects, NEOs) sono corpi minori del Sistema Solare la cui orbita interseca quella della Terra e degli altri pianeti a distanza molto ravvicinata. Essi subiscono quindi l’azione delle forze mareali planetarie, che ne provocano la deformazione o la disgregazione in base alle caratteristiche della struttura interna. Infatti, i NEOs sarebbero non monoliti (i.e., composti da un unico blocco massiccio di roccia o roccia mista a ghiaccio), bensì agglomerati di detriti rocciosi tenuti insieme dalla forza di gravità. Anche le forze di coesione, tuttavia, giocano un ruolo fondamentale nell’incremento del carico di rottura, ovvero il limite di resistenza meccanica che un corpo può raggiungere, per prevenirne la distruzione ad opera della forze centrifughe e del momento torcente esercitato dalla radiazione solare (i.e., effetto YORP). In altri termini, la coesione si manifesta nei solidi come la proprietà di compattezza, che si oppone agli stress esterni che tentano di separare le molecole stesse. Tra i NEOs, quelli binari a contatto sono piuttosto comuni nel Sistema Solare: si tratta di asteroidi, comete e corpi appartenenti alla fascia di Kuiper (i.e., Kuiper-Belt objects, KBOs) formati da due lobi distinti, resti di agglomerati di detriti più piccoli ma della medesima natura, venuti a contatto e poi fusisi a causa del decadimento dell’orbita comune per attrazione gravitazionale reciproca. Sebbene il preciso meccanismo di formazione rimanga ancora oscuro, tale fenomeno sembra essere favorito dalla bassa coesione del materiale e da un ampio angolo di attrito interno, con i quali si misurano, rispettivamente, la resistenza allo sforzo di compressione e di taglio. Per comprendere cosa si intende per angolo di attrito interno, si consideri la seguente situazione. Un corpo appoggiato su un piano inclinato di un certo angolo rispetto all’orizzontale contrasta il movimento indotto da una spinta parallela al piano con una forza che ne ostacola lo slittamento, l’attrito: l’angolo d’inclinazione del piano per cui l’attrito mantiene la condizione di equilibrio del corpo contro la forza motrice è pertanto chiamato angolo di attrito. Se, anziché su un piano, si immagina che un corpo scorra su un altro corpo, come nel caso delle molecole dei solidi, si parla di attrito interno e di angolo di attrito interno.

Gli oggetti binari a contatto del Sistema Solare per cui esistono attualmente sia dati osservativi sia studi teorici sono però soltanto 11: 7 asteroidi ((25143) Itokawa, (4179) Toutatis, (8567) 1996HW1, (85990) 1999JV6, (4769) Castalia, (4486) Mithra e (2063) Bacchus), 3 comete (67P/Churyumov-Gerasimenko, 103P/Hartley e 8P/Tuttle) e 1 KBO ((486958) Arrokoth). Sfruttando le informazioni tabulate su questi, due ricercatori dello Smead Department of Aerospace Engineering Sciences in Colorado hanno determinato le proprietà fisiche necessarie al lobo secondario (i.e., più piccolo) per sopravvivere alla forza gravitazionale di quello primario (i.e., più grande) senza perdere la sua forma originaria durante la fusione.

In particolare, costoro hanno adottato il criterio di Drucker-Prager, altrimenti detto modello DP, per definire il limite oltre il quale un materiale si deforma o cede, spezzandosi, se sottoposto ad una sollecitazione esterna. In particolare, esso dipende da due parametri, la coesione ke l’angolo di attrito interno φ, secondo l’analisi del campione legati da proporzionalità inversa: kaumentaal diminuire di φ, ossia per valori abbastanza elevati di coesione non è richiesto attrito interno, e viceversa. Ciò significa che, se le molecole di un corpo sono fortemente legate tra loro, viene inibito lo sviluppo di un importante attrito interno che impedisca a queste di slittare le une sulle altre per resistere al moto di allontanamento relativo. Si ottiene così una stima della forza dei lobi secondari contro la tendenza a disgregarsi esercitata dalle influenze mareali gravitazionali dei lobi primari; specificamente, un valore di coesione pari a 1-100 Pa (Pa = pascal) pare sia mediamente sufficiente a formare un oggetto binario a contatto.

Grafico che mostra la relazione di proporzionalità inversa fra
la coesione k misurata in Pa (in ascissa) e l’angolo di attrito
interno φ misurato in gradi (in ordinata) per gli 11 oggetti
binari a contatto del campione. Crediti: arXiv.

D’altro canto, tale valore dipende anche dalla forma e dalla grandezza del lobo secondario. Assumendo una forma sferica per il lobo primario, i ricercatori hanno perciò modellizzato quello secondario mediante due tipi di ellissoide, quello oblato (i.e., derivato dalla rotazione di un ellisse attorno all’asse maggiore) e quello prolato (i.e., derivato dalla rotazione di un ellisse attorno all’asse minore), trovando che la coesione cresce a mano a mano che ci si avvicina alla condizione di sfericità dell’ellissoide (i.e., di rapporto degli assi uguale a 1). Questo trend risulta più marcato nel caso di ellissoide prolato, piuttosto che oblato, a dimostrazione che i lobi secondari aventi forma più allungata lungo l’asse minore debbano essere maggiormente coesi per  far fronte al processo di fusione.

Ellissoide oblato (a sinistra) e prolato (a destra). Crediti:
Matteo Tordi

L’ipotesi di sfericità del lobo primario costituisce un pesante vincolo per il calcolo del range di coesione e di angolo di attrito interno utili alla formazione di oggetti binari a contatto, ma, volendo questo studio fornire semplicemente un ordine di grandezza di siffatti parametri, si può ritenere che esso sia veritiero entro la barra d’errore. Invero, il modello realizzato ha permesso di individuare non solo gli strumenti adatti ad una futura e più accurata analisi del complesso meccanismo di fusione degli agglomerati di detriti, ma anche le relazioni tra i parametri che entrano in scena nell’intero processo.

Andamento della coesione per un ellissoide di forma prolata (grafico di sinistra) e per un ellissoide di forma
oblata (grafico di destra). In entrambi i grafici le linee colorate rappresentano i vari gradi di deformazione
prolata e oblata, mentre i simboli neri gli 11 oggetti binari a contatto del campione. Si nota come sia
necessaria una coesione maggiore nel caso prolato rispetto a quello oblato. Crediti: arXiv.

Fonte:arXiv


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Congiunzione Luna Pleiadi Molto Molto Stretta

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Congiunzione Luna Pleiadi 16 febbraio. https://theskylive.com/
Tempo di lettura: 2 minuti

La sera del 16 febbraio a partire dalle prime ore della sera sarà possibile ammirare la Congiunzione fra le Regine del Cielo

Il 16 febbraio con una Luna al Primo Quarto, potremo assistere alla congiunzione strettissima fra il nostro satellite e le splendide PLEIADI

Congiunzione Luna Pleiadi 16 febbraio. https://theskylive.com/

A partire dalle prime ore di buio, intorno alle 18 e 30 oramai con le giornate che si stanno allungando sarà possibile scorgere la configurazione ben in alto nel cielo in direzione OSO.

Il satellite al primo quarto, quindi ben luminoso, “costeggerà” l’ammasso M45 non allontanandosi mai troppo neanche nelle ore successive quando in coppia staranno scendendo verso ovest. Il tramonto sotto l’orizzonte è previsto subito dopo le 01:00 del giorno successivo.

Ricordiamo che le Pleiadi sono facilmente individuabili anche con un piccolo telescopio, quando non a occhio nudo, nella Costellazione del Toro a circa 10° Nord dalla altrettanto famosa Alfa Tauri Albedaran.

La distanza, quasi impercettibile visto le dimensioni estese dell’ammasso, si attesta intorno ai 0.6°.

LE PLEIADI

Le Pleiadi, conosciute anche come la “Chioccetta”, sono un ammasso aperto di stelle visibile ad occhio nudo nella costellazione del Toro. L’ammasso si trova a circa 444 anni luce dalla Terra e conta circa 500 stelle, di cui sette sono le più luminose e facilmente visibili in un cielo buio.

Le stelle più brillanti dell’ammasso sono Alcyone, Elettra, Atlante, Merope, Maia, Taigete e Asterope. La loro disposizione ha dato origine a diverse leggende e miti in molte culture del mondo.

Le Pleiadi sono un ammasso relativamente giovane, con un’età stimata di circa 100 milioni di anni. Le stelle dell’ammasso sono tutte nate dallo stesso gas e polvere, e si muovono insieme nello spazio. L’ammasso è destinato a dissolversi nel tempo, a causa delle interazioni gravitazionali con altre stelle e con la polvere interstellare.

1° IAA SYMPOSIUM ON MOON FARSIDE PROTECTION

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Tempo di lettura: 2 minuti

1° IAA SYMPOSIUM ON

moon farside
PROTECTION

Torino, Italy – Marzo 21-22, 2024

1° convegno internazionale

sulla Moon Farside Protection:
un evento rivoluzionario nel settore spaziale

Torino, 29/01/2024 – Il mondo si prepara a un evento senza precedenti nel campo dell’esplorazione spaziale: il 1° convegno internazionale sulla Moon Farside Protection, che si terrà il 21-22 marzo 2024 a Torino. Organizzato dall’International Academy of Astronautics (IAA) e ideato dal rinomato matematico e fisico spaziale, il prof. Claudio Maccone, il convegno rappresenta un’occasione unica per discutere e approfondire le sfide e le opportunità legate alla protezione del lato nascosto della Luna.

Un convegno di portata mondiale
Il convegno vede la partecipazione di relatori, agenzie spaziali, organizzazioni e società di rilevanza internazionale, rendendolo un evento di portata mondiale. Esperti di diversi settori condivideranno le loro conoscenze e discuteranno temi cruciali legati alla difesa planetaria, alla cosmologia, alla ricerca di vita nello spazio, e a un approccio scientificamente sostenibile della nuova corsa alla Luna.Sul sito ufficiale www.moonfarsideprotection.org è possibile leggere il programma completo.

 


La Moon Farside Protection: una prospettiva globale.

L’iniziativa pionieristica del prof. Maccone mira a esplorare l’importante tema della protezione del lato oscuro della Luna, aprendo nuove prospettive nel nostro approccio alla colonizzazione lunare e oltre. Attraverso sessioni di presentazione e tavole rotonde, il convegno offrirà un quadro completo delle sfide e delle opportunità connesse a questa affascinante sfida.

Il prof. Claudio Maccone: un Visionario nell’esplorazione spaziale
Il prof. Claudio Maccone, figura di spicco nel settore spaziale, ha concepito l’idea di questo convegno, segnando un passo significativo verso la comprensione e la protezione della Moon Farside. La sua visione e la sua leadership scientifica nel campo hanno contribuito a rendere questo evento possibile.

Patrocini importanti
Il convegno è orgogliosamente patrocinato da enti di prestigio, tra cui l’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) e la International Telecommunication Union (ITU). Questo riconoscimento testimonia l’importanza e il valore dell’evento nel panorama internazionale.

Per ulteriori informazioni, contattare:
Comitato Organizzatore Locale
Referente: Luca Derosa
E-mail: desk@moonfarsideprotection.org
Mobile: 348-9219345

Locandina dell’evento Moon Farside Protection

 

Novae rosse luminose, esplosioni di colore nello spazio

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Nova rossa luminosa V838 Monocerotis. Crediti: NASA/Hubble Heritage Team (AURA/STScI).
Tempo di lettura: 4 minuti

Novae rosse luminose, esplosioni di colore nello spazio

Le novae rosse luminose sono esplosioni di luce visibile rossa generate dalla fusione di sistemi binari coalescenti. Determinare la connessione fra tali fenomeni e la fase di inviluppo comune in cui si trovavano le stelle progenitrici è fondamentale per lo studio dell’evoluzione binaria, ma molto complesso in termini simulativi.  Un nuovo modello idrodinamico che combina fisica della radiazione e della materia sembra però in grado di spiegare le diverse proprietà delle curve di luce delle novae luminose osservate.

Le novae rosse luminose (i.e., luminous red novae, LRNe) sono esplosioni stellari con luminosità intermedia tra le supernovae e le novae standard generate dalla fusione di sistemi binari coalescenti. Esse derivano il loro nome dal peculiare colore rosso con cui appaiono visibili in banda ottica per settimane o mesi, prima di transire in banda infrarossa. Dal punto di vista osservativo, le LRNe si distinguono per alcune specifiche caratteristiche: l’esteso plateau o il picco molto pronunciato della curva di luce e l’intensa emissione della riga spettrale dell’idrogeno Hα.

La teoria ad ora più accreditata per spiegare l’origine delle LRNe implica che i progenitori di queste siano stelle binarie che hanno attraversato la fase di inviluppo comune, in cui gli strati esterni delle componenti vengono condivisi formando un involucro contenente entrambi i nuclei. La successiva fusione in un unico oggetto, causa dell’esplosione, determinerebbe l’espulsione dell’inviluppo a grande velocità, come confermato dalla scoperta della LRN V1309 Sco. Benché la connessione tra LRNe e fase di inviluppo comune sia dunque innegabilmente importante, la complessità dei processi fisici riguardanti l’evoluzione delle stelle binarie pone un freno all’ottenimento di risultati sostanziali in tal senso. Infatti, le simulazioni 3D tipicamente usate per studiare la fase di inviluppo comune mancano di una modellistica ad hoc per la radiazione emessa durante la fusione, perché più facile da inserire in 1D. Oltre a ciò, il costo computazionale per la risoluzione delle equazioni dell’idrodinamica per la radiazione è elevato rispetto al caso delle analoghe equazioni per la materia. Ciononostante si tratta di un aspetto non trascurabile, dato che l’energia relativa alla fusione viene convertita in uno shock termico capace di accelerare il gas fino a che l’eiezione dell’inviluppo si trasforma in un vero e proprio fenomeno esplosivo. Per questo motivo è stato recentemente introdotto un nuovo modello che incorpora le equazioni dell’idrodinamica per materia e radiazione, permettendo quindi di riprodurre con maggior precisione le curve di luce che descrivono l’espansione dei resti dell’inviluppo comune espulso. Come primo passo, si è deciso di mantenere il problema in 1D con simmetria sferica al fine di comprendere appieno la microfisica dell’esplosione, prevedendo invero una sua futura rivisitazione in 2D anche in configurazione assisimmetrica. In particolare, il modello è stato testato sia mediante simulazioni semplici e basilari di LRNe fittizie, sia attraverso l’applicazione alla reale LRN AT2019zhd in quanto avente proprietà simili alla già ampiamente analizzata V1309 Sco.

Curve di luce delle LRNe fittizie simulate. Crediti: arXiv.

Sette le LRNe fittizie simulate, con i nomi rispettivamente di m01a18, m01a09, m05a18, m05a09, m25a18, m25a09 e m02a045v2: se le curve di luce di m01a18 e m02a045v2 presentano dei picchi molto evidenti dovuti prima all’ascesa e poi al declino esponenziali della luminosità, quelle di m25a18 e m25a09 mostrano anzi dei vasti plateau per via dell’aumentata quantità di materiale espulso, mentre tutte le altre hanno carattere intermedio. Tali differenze si spiegano considerando che più cospicui sono i resti dell’inviluppo espulso, più lenta sarà la loro espansione nel mezzo interstellare e, di conseguenza, più lungo il loro tempo di raffreddamento. Pertanto, si deduce che la formazione del picco di luminosità sia propria delle LRNe dominate dalla radiazione, laddove quella del plateau delle LRNe dominate dalla materia.

Per quanto riguarda la reale LRN AT2019zhd, invece, si è cercato di riprodurne la curva di luce attraverso due diverse applicazioni del nuovo modello, uno con e l’altro senza shock: ciò significa che la velocità di espansione dei resti dell’inviluppo sarà in un caso crescente e nell’altro decrescente nel tempo. Il risultato è una coppia di curve di luce tra loro comparabili, poiché gli shocks hanno l’effetto di prolungare il plateau della curva di luce al pari di una maggiorazione della massa del materiale eiettato nell’esplosione. Ergo, bisognerebbe disporre di un’ulteriore osservabile per discernere quale sia lo scenario corretto, come ad esempio la comparsa della riga Hα nello spettro luminoso. Ad ogni modo, però, entrambi i sotto-modelli riescono ad emulare la curva di luce di AT2019zhd, a comprova dell’accuratezza dell’approccio simulativo utilizzato.

Curve di luce per l’applicazione con shock (linea rossa) e senza shock
(linea blu) del modello. La curva di luce osservata della LRN
AT2019zhd (linea grigia) è ben riprodotta dal modello (punti neri
sovrapposti alla linea grigia). Crediti: arXiv.

In conclusione, il nuovo modello idrodinamico 1D che combina fisica della radiazione e della materia per determinare la connessione tra LRNe e fase di inviluppo comune in sistemi binari compatti sembra, a valle dei test effettuati, adeguato e affidabile. Difatti, esso dà giustificazione dei vari tratti delle curve di luce delle LRNe a seconda della natura dell’esplosione e dei resti dell’inviluppo espulso, coprendo una pluralità di casistiche degne di nota. Si attende perciò il preannunciato sviluppo della versione 2D del modello affinché altri dettagli sulla complessa evoluzione delle stelle binarie vengano definitivamente svelati.

 

Fonte:arXiv.

Missione Ax-3: un successo per l’Italia e l’esplorazione spaziale

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Ammaraggio della Missione Ax-3. Foto: NASA
Tempo di lettura: 2 minuti

La missione Ax-3 è stata un successo per l’Italia e per l’esplorazione spaziale.  L’equipaggio a bordo ha condotto una serie di esperimenti scientifici in microgravità.

9 Febbraio 2024 – La navetta Crew Dragon Freedom della SpaceX, con a bordo l’equipaggio della missione Ax-3, è ammarata con successo al largo delle coste della Florida alle 14:30 (ora italiana) del 9 febbraio 2024. La missione, iniziata il 19 gennaio con il lancio da Cape Canaveral, è durata 21 giorni, 17 ore e 58 minuti.

Dati tecnici e tipologia di missione

Ax-3 è stata la terza missione privata di Axiom Space verso la Stazione Spaziale Internazionale (ISS). Si è trattata di una missione di tipo “astronauta-privato”, con un equipaggio composto da quattro astronauti:

  • Michael López-Alegría (comandante), veterano di cinque missioni spaziali
  • Walter Villadei (pilota), dell’Aeronautica Militare Italiana
  • Alper Uzun (specialista di missione), primo astronauta turco
  • Larry Connor (specialista di missione), imprenditore e filantropo

L’astronauta Walter Villadei

Il colonnello Walter Villadei, 45 anni, è pilota collaudatore dell’Aeronautica Militare Italiana. Ha conseguito la laurea in Ingegneria Aeronautica presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II e ha frequentato la Scuola di Volo Sperimentale di Edwards Air Force Base in California. Nel giugno 2023 ha partecipato alla missione suborbitale di Virgin Galactic Unity 22. La sua partecipazione alla missione Ax-3 ha segnato la seconda volta di un italiano a bordo della ISS dopo Samantha Cristoforetti.

L’astronauta Walter Villadei. Foto Axiom Space

Esperimenti a bordo

Durante la sua permanenza sulla ISS, l’equipaggio di Ax-3 ha condotto una serie di esperimenti scientifici in diversi campi, tra cui:

  • Biologia e medicina:
    • Bioprinting 3D in microgravità: per testare la stampa di tessuti umani in microgravità, con l’obiettivo di sviluppare nuove tecnologie per la rigenerazione di organi e tessuti.
    • Studio degli effetti della microgravità sul sistema immunitario: per comprendere meglio come l’assenza di gravità influenzi le difese immunitarie degli astronauti e sviluppare contromisure per future missioni di lunga durata.
  • Fisica e tecnologia:
    • Sviluppo di nuovi materiali per l’esplorazione spaziale: per testare la resistenza di nuovi materiali in condizioni di microgravità e radiazioni spaziali.
    • Dimostrazione di tecnologie per la robotica spaziale: per testare nuove tecnologie per la robotica collaborativa in orbita.
  • Educazione e divulgazione:
    • Realizzazione di video e foto per scopi educativi: per ispirare le nuove generazioni all’esplorazione spaziale e alla scienza.
    • Interazione con studenti e cittadini da terra: per promuovere la conoscenza dello spazio e delle sue meraviglie.

I dettagli degli esperimenti Italiani a Bordo della Missione sono su axiomspace.com

Il rientro

L’ammaraggio della Crew Dragon Freedom è avvenuto senza problemi. La navetta ha toccato l’acqua con il paracadute e gli astronauti sono stati recuperati da un team di soccorso della SpaceX.

Un successo per l’Italia e l’esplorazione spaziale

La missione Ax-3 è stata un successo per l’Italia e per l’esplorazione spaziale. Ha dimostrato la capacità del nostro paese di contribuire a missioni spaziali complesse e di alto livello. Ha inoltre aperto la strada a future missioni private verso la ISS e oltre. La partecipazione di Walter Villadei ha rafforzato il ruolo dell’Italia nel panorama internazionale dell’esplorazione spaziale.

Fonti: Aereonautica

QuasiCristallo naturale scoperto in Sicilia

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La micrometeorite paragonata alla dimensione di una mano. Crediti ASI Agenzia Spaziale Italiana
Tempo di lettura: 3 minuti

Un quasicristallo Al-Cu-Fe-Si presente in natura in un micrometeorite dell’Italia meridionale

Introduzione

I quasicristalli sono solidi con simmetrie rotazionali vietate per i cristalli perciò essi vengono solitamente sintetizzati in laboratorio miscelando rapporti specifici di componenti elementari selezionati secondo protocolli rigorosamente controllati. La scoperta di quasicristalli naturali di Al-Cu-Fe nel meteorite Khatyrka (trovato nel 2011) ha mostrato che queste “elementi” esotici potrebbero formarsi anche in maniera naturale magari come frutto di impatti ad alta velocità. Oggi riportiamo la scoperta di un quasicristallo icosaedrico extraterrestre con una composizione insolita Al51.7(6) Cu 30.8(9) Fe 10.3(4) Si 7.2(9) , idealmente Al 52 Cu 31 Fe 10 Si 7 , trovato in una micrometeorite scoriacea , denominato FB-A1, recuperata in vetta al Monte Gariglione (Italia). La chimica della fase icosaedrica è stata caratterizzata mediante microsonda elettronica e la simmetria rotazionale è stata confermata mediante diffrazione di retrodiffusione di elettroni. Il micrometeorite FB-A1 rappresenta la terza scoperta indipendente di leghe intermetalliche Al-Cu-Fe-(Si) presenti in natura in corpi extraterrestri e il secondo caso di materiale extraterrestre contenente un quasicristallo naturale, dopo il meteorite Khatyrka.

Risultati e discussione

Il campione, etichettato FB-A1, è costituito da una microsferula allungata di circa 500 μm di diametro massimo. È grigio scuro con porzioni visibili che mostrano lucentezza metallica e una singolare struttura scoriacea con vescicole e alcune particelle metalliche sferiche sporgenti.

La figura a) uno scatto in bianco e nero della micrometeorite che ne mostra la conformazione, b) un rendering del volume

Per ottimizzare l’indagine, preservando innanzitutto l’integrità della microsferula per non perdere preziose informazioni, le analisi sono state effettuate in modo non distruttivo sul campione integro, mediante microtomografia a raggi X computerizzata (μ-CT) e Scanning Microscopia elettronica (SEM) dotata di uno spettrometro a dispersione di energia (EDS). Analisi preliminari SEM-EDS sulla superficie esterna hanno rivelato che la maggior parte delle porzioni metalliche (segnale di retrodiffusione grigio chiaro in Fig.  1a ) corrispondono a leghe Al-Cu disseminate in una matrice porosa di vetro silicato contenente anche cristalli di olivina forsteritica, goccioline di Fe-Ni , solfuri di Fe-Ni e ossidi. Le analisi μ-CT rivelano che le leghe Al-Cu sono disperse non solo sulla superficie di FB-A1 ma anche nella sua parte interna (Fig.  1b ). La ricostruzione 3D ottenuta mediante μ-CT, che rappresenta un approccio molto utile per ottenere informazioni sulla distribuzione spaziale e sui rapporti delle fasi mineralogiche 18 , ha evidenziato che l’interno della sferula è arricchito di leghe Al-Cu e Fe-Ni mescolate con silicati. La morfologia delle leghe Al-Cu varia da una forma subsferica, che in alcuni casi sporge sulla superficie della micrometeorite, ad una forma irregolare ed allungata che intrusione nella parte interna della microsferula (Fig.  1b ).

Maggiori dettagli sulla composizione sono disponibili nell’articolo originale pubblicato su Nature

A caccia di micrometeoriti: metodi 

Il micrometeorite è stato fornito da un collezionista amatoriale italiano ai tre autori dell’articolo, ricordiamo tutti italiani, (Giovanna Agrosì, Paola Manzari ,Daniela Melè , Gioacchino Tempesta, Floriana Rizzo, Tiziano Catelani e Luca Bindi).

La micrometeorite foto a colori. Crediti ASI Agenzia Spaziale Italiana

Si tratta di un frammento rinvenuto durante una raccolta di micrometeoriti effettuata mediante imbuti di acciaio installati in zone isolate, lontane da qualsiasi forma di contaminazione industriale. Il metodo di raccolta consiste nel dotare il fondo degli imbuti di appositi filtri in grado di trattenere materiale fino a 10 μm. I filtri vengono cambiati ogni due giorni e il materiale caduto dal cielo e depositato sul fondo degli imbuti di acciaio viene raccolto. I filtri vengono poi attentamente controllati al microscopio binoculare.

Il micrometeorite oggetto del presente studio ha attirato l’attenzione degli astrofili per l’insolita lucentezza delle fasi metalliche presenti sulla superficie della sferula. Il micrometeorite è rimasto in archivio fino a qualche mese fa fino a quando è stato inviato per ulteriori indagini. FB-A1 è ora depositato nelle collezioni del Museo di Scienze della Terra dell’Università di Bari (Italia), numero di registrazione 19/nm.

Dopo un controllo preliminare al SEM ed uno studio μ-CT, il campione è stato incorporato in resina epossidica e lucidato (utilizzando paste diamantate) per le successive indagini al SEM ed EPMA.

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Astrosismologia per stelle ZZ Ceti, nane bianche pulsanti

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Stella nana bianca. Crediti: NASA/ESA.
Tempo di lettura: 3 minuti

L’astrosismologia studia le pulsazioni delle stelle ZZ Ceti, nane bianche pulsanti, per svelare la loro struttura interna, i meccanismi di pulsazione e l’evoluzione.

 

L’astrosismologia studia la struttura delle stelle pulsanti attraverso l’analisi delle onde sismiche che si propagano dal nucleo alla superficie, risultando dunque visibili nella fotosfera sotto forma di variazioni periodiche di luminosità. Essendo la frequenza e l’ampiezza di tali oscillazioni direttamente collegate alle caratteristiche del mezzo di diffusione, l’astrosismologia fornisce importanti informazioni sulle proprietà fisiche dei vari strati dell’interno stellare. Tra i numerosi fenomeni ondulatori osservati, i cosiddetti “breathing pulses” (BPs; letteralmente, “impulsi respiratori”) rappresentano la manifestazione di episodi di mescolamento degli elementi presenti nelle stelle di massa piccola o intermedia. Si tratta di pulsazioni che hanno luogo al confine tra la zona convettiva centrale, responsabile del mescolamento, e quella non convettiva ad essa circostante durante la fase di bruciamento nucleare dell’elio (i.e., core helium burning, CHeB). In particolare, si ritiene che i BPs possano alterare l’assetto chimico del nucleo al punto da influenzare lo stadio evolutivo stellare finale di nana bianca, poiché capaci di spostare il confine tra le due zone: in questo modo, parte dell’elio accumulato nella zona non convettiva rientra in quella convettiva e viene utilizzato come nuovo combustibile per prolungare la fase di CHeB. Ciò comporta l’aumento non solo della massa della zona convettiva, ma anche dell’abbondanza centrale di ossigeno, l’elemento derivante dalla sintesi dell’elio. Il cambiamento di dimensione e composizione chimica del nucleo si ripercuote allora inevitabilmente sul restante percorso evolutivo della stella.

Una recente indagine astrosismologica sulle stelle nane bianche con progenitori di 1M⊙e 2.5M⊙ha rivelato che la loro struttura interna dipende dal verificarsi o meno dei BPs attraverso un confronto tra i periodi di oscillazione osservati e quelli ricavati da opportuni modelli teorici. Più specificamente, l’attenzione è stata concentrata sulle nane bianche pulsanti con atmosfere ricche di idrogeno, chiamate stelle ZZ Ceti. Due quindi i modelli realizzati per ciascun valore di massa iniziale di una stella nana bianca appartenente alla categoria ZZ Ceti: uno con e uno senza BPs (caso BP e caso non-BP, rispettivamente).

Abbondanza di elio nel nucleo in funzione della durata della fase di
CHeB per il modello con progenitore di 1 M⊙. Nel caso BP (linea blu)
la durata della fase di CHeB è maggiore rispetto al caso non-BP
(linea rossa). Crediti: arXiv.

La ricerca ha in primis confermato che la presenza dei BPs ha il netto effetto di allungare la fase di CHeB a discapito della successiva fase di ramo asintotico delle giganti (i.e., asymptotic giant branch, AGB) a causa del minor quantitativo di elio rimasto per alimentarla. Tuttavia, la diversa durata della fase di AGB sembra non avere un impatto considerevole sulla nana bianca da essa emergente. Inoltre, il calcolo dei profili chimici dell’ossigeno 16O evidenzia l’esistenza di un nucleo con estensione e concentrazione centrale di 16O maggiori nel caso BP anziché nel caso non-BP. Tale differenza si traduce, in termini astrosismologici, in uno sfasamento di circa 30 secondi del periodo di pulsazione relativo al caso BP in confronto al canonico caso non-BP, a dimostrazione di come lo spettro di oscillazione e la composizione chimica del nucleo siano legati in modo diretto.

Abbondanza di 16O in funzione della massa del nucleo,
maggiore nel caso BP (linea nera solida) rispetto al caso non-BP
(linea nera tratteggiata) per il modello di 1 M⊙ (pannello
superiore) e per il modello di 2.5 M⊙ (pannello inferiore). Crediti:
arXiv.

Segnatamente, i risultati finora esposti valgono per entrambi i valori di massa iniziale presi in esame. Nondimeno, sembra vi sia una lieve discrepanza tra questi e le predizioni di altri modelli, che prevedono una maggiore incidenza dei BPs sull’abbondanza di ossigeno e la grandezza del nucleo delle nane bianche ZZ Ceti. Servirà pertanto ulteriore lavoro per affinare le tecniche simulative astrosismologiche così da ottenere una migliore compatibilità fra gli innumerevoli modelli proposti.

Fonte:arXiv.

MOND vs Materia Oscura: Nuove Prove Sostengono la Gravità Modificata

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Anello di materia oscura attorno ad un ammasso di galassie. Crediti: ESA/Hubble.
Tempo di lettura: 4 minuti

Gravità modificata per rimuovere la materia oscura: nuove prove a favore della MOND

Galassie con massa superiore a 1011 𝑀⊙ esistevano già 10 Gyr fa, ma solo una minima frazione di esse (circa 0.1%) è sopravvissuta inalterata sino ad oggi perché non interessata da lunghe e ripetute fasi di formazione stellare né da fusioni con galassie limitrofe: si tratta delle cosiddette galassie fossili compatte e massicce. Seguendo il diagramma a diapason di Hubble, tali galassie ricadono nella categoria “early-type” (i.e., tipo primitivo) e possono essere classificate come ellittiche (E0-E7, a seconda del grado di ellitticità) o lenticolari (S0). Il modello cosmologico standard (i.e., ΛCDM) suggerisce che la formazione galattica obbedisca allo schema dell’assemblamento gerarchico: in tale scenario, quasi tutte le attuali galassie early-type (i.e., early-type galaxies, ETGs) nascerebbero quindi come galassie compatte e quiescenti ad alto redshift, rapidamente cresciute in massa a seguito dell’inglobamento di sistemi minori e contraddistinte da un’ormai cessata attività di formazione stellare.

Diagramma a diapason di Hubble, che distingue tra galassie di tipo
primitivo (early-type) e di tipo tardo (late-type). Crediti: COSMOS – The
SAO Encyclopedia of Astronomy.

Prima di una decina di anni fa, caratterizzare le galassie fossili compatte rappresentava un’operazione estremamente difficoltosa per via della mancanza di candidati osservati. Tuttavia, la recente scoperta di un campione di tali oggetti, NGC 1277, Mrk 1216 e PGC 032873, nell’Universo locale ha consentito di avviare uno studio più metodico e approfondito che ha portato ad individuare una serie di importanti proprietà fisiche, tra cui la forma allungata, l’alta velocità di rotazione, l’elevata dispersione di velocità e la presenza di popolazioni stellari molto vecchie. Al contrario delle comuni ETGs, però, queste tre galassie non avrebbero subito interazioni dinamiche e avrebbero anzi mantenuto sostanzialmente immutata la configurazione raggiunta al termine della fase più intensa di formazione stellare. Infatti, la loro storia di formazione stellare avrebbe avuto un picco nelle prime fasi di vita dell’Universo per poi declinare fino a spegnersi del tutto, fatto che avrebbe determinato la fine della loro evoluzione rendendole appunto fossili.

Poiché, in particolare, la struttura e la morfologia di NGC 1277 non trovano spiegazione all’interno del paradigma dell’assemblamento gerarchico, il quale prevede l’esistenza degli aloni di materia oscura, i noti ricercatori Robin Eappen e Pavel Kroupa hanno utilizzato il formalismo della dinamica newtoniana modificata (i.e.,Modified Newtonian Dynamics, MOND) per risalire al meccanismo di formazione delle galassie fossili compatte osservate. Teoria gravitazionale non-relativistica che generalizza l’azione classica della gravità, la MOND si propone di giustificare l’eccesso di massa nelle galassie, misurato a partire dall’associata curva di rotazione, senza chiamare in causa la materia oscura. Essa introduce dunque la costante 𝑎0 ≈ (1.2 ± 0.2) × 10−8cm s−2, avente le dimensioni di un’accelerazione, a marcare il confine tra due diversi regimi: per valori di accelerazione minori di 𝑎0 vigono le leggi della MOND (i.e., regime dinamico MOND), mentre per valori ad essa superiori rimangono valide le leggi della dinamica newtoniana e della relatività generale (i.e., regime dinamico classico). In pratica, la comparsa di una nuova accelerazione cosmologica comporta la modifica dell’azione della gravità all’interno del regime MOND. Per tale ragione, la formazione di strutture galattiche secondo la MOND avviene molto più in fretta rispetto alle predizioni del modello ΛCDM: ergo, al posto dell’assemblamento gerarchico si avrà il collasso monolitico della materia presente nell’Universo primordiale. Ciò significa che le nubi di gas non rotanti originatesi dopo il Big Bang collassano su se stesse in modo isolato e senza necessitare dell’intervento della materia oscura, che viene di conseguenza esclusa dall’intero processo.

Tasso di formazione stellare del modello e39, che
risulta massimo entro 4 Gyr (area color indaco).
Crediti: arXiv.

Le galassie fossili compatte, in quanto sistemi stellari non-relativistici, rientrano nel regime MOND e possono pertanto essere studiate come naturale esito dello scenario cosmologico del collasso monolitico. Sfruttando i modelli computazionali di tali galassie precedentemente realizzati da Eappen, costui e Kroupa hanno scelto tra questi la galassia simulata “e39” per effettuare un confronto diretto con NGC 1277, Mrk 1216 e PGC 032873.

Profilo di densità superficiale del modello e39 (linea blu) confrontato con quelli delle galassie osservate NGC 1277, Mrk 1216 e PGC 032873 (linee rossa, viola e verde). Crediti: arXiv.

L’analisi delle proprietà cinematiche di queste ha rivelato una forte similitudine con quelle di e39, come l’alta velocità di rotazione e l’elevata dispersione di velocità centrale. Inoltre, la formazione stellare in e39 appare pressoché conclusa entro 4 Gyr dopo il Big Bang, andando quindi a coprire l’intervallo temporale di 2 Gyr in cui sono state generate le stelle delle tre galassie esaminate. Infine, l’andamento piuttosto ripido del profilo di densità di massa di e39 risulta comparabile a quello osservato; nello specifico, si trova una maggiore corrispondenza tra e39 e NGC 1277, dato anche il valore condiviso della massa stellare totale (i.e., 𝑀∗≈ 1011𝑀⊙, in conformità con l’aspettativa teorica).

 

 

Profilo di velocità di rotazione del modello e39
(linea blu) confrontato con quelli delle galassie
osservate NGC 1277, Mrk 1216 e PGC 032873
(linee rossa, viola e verde). Crediti: arXiv.

 

 

Profilo di dispersione di velocità del modello e39
(linea blu) confrontato con quelli delle galassie
osservate NGC 1277, Mrk 1216 e PGC 032873
(linee rossa, viola e verde). Crediti: arXiv.

 

 

 

 

 

Una scoperta notevole, insomma, che evidenzia l’emergere spontaneo delle galassie fossili compatte all’interno dell’Universo dipinto dalla MOND, in cui l’azione della materia oscura nel processo di formazione galattica può diventare superflua. Se questa teoria sia in grado di far traballare pericolosamente il modello cosmologico standard, solo il futuro potrà dirlo. Ma, grazie al telescopio spaziale James Webb (JWST) e alla missione Euclid, ne sapremo presto di più.

 

Fonte:arXiv.

Spettacolo su Io: Juno cattura due pennacchi vulcanici attivi

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Dati immagine: NASA/JPL-Caltech/SwRI/MSSS Elaborazione immagine a cura di: AndreaLuck © CC BY
Tempo di lettura: 2 minuti

Immagini mozzafiato e dati scientifici rivoluzionari da Juno

La sonda Juno della NASA ha catturato immagini spettacolari di due pennacchi vulcanici attivi su Io, la luna di Giove. Le foto, acquisite il 21 luglio 2023 durante il 43° passaggio ravvicinato di Juno ad Io, mostrano due distinte eruzioni vulcaniche, una nella regione Tvashtar Paterae e l’altra nella regione Prometheus.

La sonda Juno:

Juno è una sonda spaziale robotica lanciata dalla NASA il 5 agosto 2011. L’obiettivo principale della missione è lo studio approfondito di Giove, il più grande pianeta del nostro Sistema Solare. Juno è in orbita polare attorno a Giove dal 4 luglio 2016 e ha già completato 43 passaggi ravvicinati (flyby) del gigante gassoso.

I passaggi ravvicinati di Juno ad Io:

Durante i suoi flyby di Io, Juno ha acquisito immagini e dati scientifici di inestimabile valore sulla superficie lunare, la sua atmosfera e la sua magnetosfera. Le immagini del 21 luglio 2023 sono le più ravvicinate mai ottenute di un’eruzione vulcanica su Io.

Cosa succederà il 24 febbraio 2024:

Il 24 febbraio 2024, Juno compirà il suo 48° flyby di Io, il più ravvicinato di sempre. La sonda passerà a soli 1.500 km dalla superficie lunare, offrendo un’opportunità unica per studiare l’attività vulcanica di Io in dettaglio senza precedenti.

L’eruzione vulcanica su Io:

Le eruzioni vulcaniche su Io sono le più potenti del Sistema Solare. I pennacchi di gas e polvere possono raggiungere altezze di centinaia di chilometri. L’eruzione catturata da Juno nella regione Tvashtar Paterae è stata particolarmente intensa, con un pennacchio che ha raggiunto un’altezza di oltre 300 km.

L’obiettivo della missione Juno:

L’obiettivo principale della missione Juno è quello di ottenere una migliore comprensione della formazione e dell’evoluzione di Giove. La sonda sta studiando l’atmosfera del pianeta, la sua magnetosfera, la sua struttura interna e la sua composizione chimica. I dati raccolti da Juno aiuteranno gli scienziati a svelare i segreti del gigante gassoso e a comprendere meglio il suo ruolo nella formazione del sistema solare.

Le immagini di Juno e le future scoperte:

Le immagini di Juno delle eruzioni vulcaniche su Io sono un passo avanti fondamentale per la comprensione del vulcanismo su questa luna di Giove. I dati raccolti dalla sonda durante il suo flyby del 24 febbraio 2024 forniranno informazioni ancora più precise e dettagliate sull’attività vulcanica di Io e aiuteranno gli scienziati a svelare i misteri di questa affascinante luna.

Note tecniche sulla sonda Juno:

  • Lancio: 5 agosto 2011
  • Arrivo in orbita attorno a Giove: 4 luglio 2016
  • Numero di flyby di Io: 43 (al 9 febbraio 2024)
  • Prossimo flyby di Io: 24 febbraio 2024
  • Distanza minima dal flyby di Io del 24 febbraio 2024: 1.500 km

Strumenti scientifici a bordo di Juno:

  • JunoCam: una camera ottica per l’acquisizione di immagini
  • JIRAM: un mappatore ad infrarosso
  • JEDI: un magnetometro
  • Waves: uno strumento per lo studio delle onde radio
  • MWR: un radiometro a microonde
  • RPWI: uno strumento per lo studio delle particelle cariche

Per approfondire:

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Venerdì 16 febbraio Difendiamo il Cielo Notturno

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Tempo di lettura: 3 minuti

Venerdì 16 febbraio evento web a favore della difesa del cielo notturno

in occasione della 31° Giornata Nazionale sull’Inquinamento luminoso

l’iniziativa è organizzata da UAI Unione Astrofili Italiani

in collaborazione con PlanIt Associazione dei Planetari Italiani

con la partecipazione di INAF Istituto Nazionale di Astrofisica

Venerdì 16 febbraio ricorre la 31° Giornata Nazionale sull’Inquinamento luminoso. L’iniziativa, dedicata alla tutela del cielo notturno, è organizzata dall’Unione Astrofili Italiani (UAI) con la collaborazione dell’Associazione dei Planetari Italiani (PLANit) e con la partecipazione dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF). In tutta Italia, presso gli osservatori astronomici gestiti dalle delegazioni dell’UAI, e durante la speciale diretta web che andrà in onda sui profili social dell’UAI, a partire dalle ore 20:45 si parlerà di inquinamento luminoso e di tutti gli strumenti a nostra disposizione per proteggere il cielo stellato e ridurre l’impatto dell’illuminazione artificiale sull’ambiente.

La Giornata Nazionale sull’Inquinamento luminoso rientra nel calendario astrofilo UAI 2024, che raccoglie tutti gli eventi di grande interesse per gli appassionati di astronomia, e nel calendario delle attività dei planetari italiani. Celebrata dal 1993 nel mese di ottobre, da quest’anno l’iniziativa è stata riprogrammata a febbraio per creare una sinergia con la campagna “M’Illumino di Meno” organizzata dal programma radiofonico Caterpillar, di Rai Radio Due. L’obiettivo della collaborazione è includere alla campagna di sensibilizzazione – incentrata sul risparmio energetico e sugli stili di vita sostenibili – anche la tematica dell’inquinamento luminoso. Venerdì 16 febbraio – proprio al termine della trasmissione radiofonica, che ha ospitato nei giorni scorsi interventi a cura degli esperti dell’UAI, di PLANit e INAF – andrà in onda, in diretta sulla pagina Facebook e sul canale YouTube dell’Unione Astrofili Italiani, un evento dedicato al tema dell’inquinamento luminoso.

Ad aprire la speciale diretta web saranno il Presidente dell’Unione Astrofili Italiani Luca Orrù e il Presidente dell’Associazione dei Planetari Italiani Dario Tiveron. La parola passerà poi al Referente della Sezione “Inquinamento luminoso” dell’UAI, Mario Di Sora, che introdurrà il tema dell’inquinamento luminoso e illustrerà una panoramica della normativa in materia e il lavoro svolto dagli astrofili, citando casi studio ed esempi pratici. “Faremo il punto della situazione non solo con riferimento al fenomeno fisico che rappresenta una grave alterazione del cielo notturno, senza parlare delle altre implicazioni scoperte in questi anni per l’uomo e l’avifauna, ma anche per conoscere le esperienze maturate sul territorio in relazione al rispetto delle numerose leggi regionali vigenti in Italia “, spiega Mario Di Sora. “Un quadro che presenta luci e ombre in quanto, se da un lato la gran parte del territorio nazionale è tutelata a livello legislativo, è anche vero che la diffusione sempre più invasiva dei led ha portato a un proliferare di impianti, prima non esistenti, che mettono a rischio le finalità dei provvedimenti esistenti, specie se si considera che nella cultura di tanti astrofili ancora non è passato il messaggio che devono impegnarsi in prima persona per verificare lo stato di applicazione concreta e diffusa delle leggi vigenti”.

Tra gli ospiti, la ricercatrice dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) e Presidente della Società Astronomica Europea Sara Lucatello; il prof. Fabio Arcidiacono, Presidente di CieloBuio; il direttore dell’Osservatorio Astronomico della Regione Autonoma Valle d’Aosta e del Planetario di Lignan Jean Marc Christille; il direttore del Museo di Scienze Naturali dell’Alto Adige e del Planetario Alto Adige David Gruber; il ricercatore dell’INAF OAPd e linceo prof. Roberto Ragazzoni; rappresentanti della polizia di Roma, l’unica capitale in campo mondiale a effettuare controlli specifici su vari tipi di impianti inquinanti; e l’esperto Luca Zaggia di VenetoStellato, Associazione che si occupa dello studio e del contenimento dell’inquinamento luminosoIn occasione dell’evento online il pubblico potrà quindi conoscere, dalla viva voce di esperti, gli strumenti che abbiamo per ottenere risultati concreti nella lotta all’inquinamento luminoso, “le best pratices che hanno dato i migliori risultati in Italia e che possono fare la differenza tra l’accettare passivamente una certa situazione ed essere protagonisti del cambiamento e della tutela del firmamento”.

La speciale diretta web vedrà inoltre la partecipazione di alcune Delegazioni dell’UAI, impegnate nella stessa serata, presso i propri Osservatori astronomici, a sensibilizzare il pubblico riguardo alla tutela del cielo notturno. In particolare, sono previsti interventi del Presidente dell’Associazione Astronomica del Rubicone Matteo Montemaggi, del Referente del team “Inquinamento luminoso” dell’Associazione Tuscolana di Astronomia Paolo Crescenzi, del Coordinatore scientifico del Centro Astronomico “Neil Armstrong” di Salerno Biagio De Simone, del Presidente dell’Associazione Maremmana Studi Astronomici Nazario Montuori e del Presidente del Circolo Culturale Astrofili Trieste Muzio Bobbio.

La pagina dell’evento è sul sito UAI

COME SEGUIRE L’EVENTO ONLINE

⇒La diretta web per la Giornata Nazionale sull’Inquinamento luminoso andrà in onda venerdì 16 febbraio alle ore 20:45 ai seguenti link:

– PAGINA FACEBOOK UAI: https://it-it.facebook.com/UnioneAstrofiliItaliani/

– CANALE YOUTUBE UAI: link

Atmosfere in Pericolo: La Sfida per l’Abitabilità dei Pianeti di TRAPPIST-1

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TRAPPIST-1 e pianeti associati, denominati con le lettere b, c, d, e, f, g, h. Crediti: Nasa/R. Hurt/T. Pyle.
Tempo di lettura: 3 minuti

Fuga delle atmosfere planetarie nella zona abitabile attorno alla stella TRAPPIST-1

La ricerca di pianeti abitabili al di là della Terra costituisce un tema di estremo interesse astrofisico soprattutto a seguito dal lancio del telescopio spaziale James Webb (JWST), che ha permesso di studiare in dettaglio le atmosfere degli esopianeti (i.e., i pianeti non appartenenti al Sistema Solare). Il sistema planetario sviluppatosi presso la stella TRAPPIST-1, nana rossa di tipo spettrale M8 situata nella costellazione dell’Aquario, ospita 7 pianeti rocciosi, di cui i 4 più esterni hanno massa comparabile a quella terrestre e risiedono all’interno della zona abitabile. Specificamente, la zona abitabile attorno ad una stella è definita come la distanza orbitale a cui un pianeta può trovarsi per poter mantenere acqua allo stato liquido sulla sua superficie; nel caso di TRAPPIST-1, essa è compresa nell’intervallo 0.03-0.06 AU (1AU = 1.496 x 108 km). Naturale è dunque chiedersi se questi 4 pianeti siano anche in grado di trattenere un’atmosfera per un periodo di tempo abbastanza lungo da permettere la nascita e la crescita di microrganismi multi-cellulari.

Numerosi sono i processi che possono provocare la perdita di un’atmosfera planetaria. Per esempio, i meccanismi non-termici, associati ai venti della stella ospite e al campo magnetico del pianeta, sono dominanti nell’attuale Sistema Solare, mentre quelli termici prevalgono in sistemi planetari maggiormente irradiati dalle loro stelle: poiché il 46% degli esopianeti osservati si trova ad una distanza inferiore a quella di Mercurio dal Sole, le perdite di atmosfera per via termica risultano molto comuni. In particolare, la fuga di Jeans è un meccanismo termico di perdita di atmosfera che si verifica quando la velocità delle molecole di gas atmosferico supera la velocità di fuga dal pianeta; si tratta di un meccanismo tipico degli strati più alti delle atmosfere planetarie, che tendono ad assorbire una considerevole quantità di radiazione X e UV per poi convertirla in energia cinetica molecolare.

L’effetto della fuga di Jeans sulle atmosfere dei pianeti all’interno della zona abitabile di TRAPPIST-1 è stato esplorato attraverso il codice Kompot, che permette di simulare la risposta degli strati superiori di queste alla radiazione stellare altamente energetica da cui sono investiti. Giacché svariati fattori possono influenzare la fuga di Jeans, nei modelli computazionali realizzati sono stati presi in considerazione i seguenti parametri: la massa planetaria, la composizione atmosferica e l’irraggiamento. Più in dettaglio, per valutare quest’ultimo è stato assunto come riferimento il flusso radiativo nella banda UV estrema (EUV) che la Terra riceve dal Sole, ovvero FEUV,⊕= 4.77 erg s−1 cm−2, di modo che i valori di irraggiamento simulati sono stati 1, 2, 4, 6, 8, 10, 12, 14 FEUV,⊕. Inoltre, la composizione atmosferica è stata analizzata in termini di rapporto tra le percentuali di CO2e N2 (%CO2/%N2), come 10/90, 20/80, 40/60, 60/40, 80/20, 90/10, 99/1.

Per un pianeta di massa uguale alla Terra si trova che la fuga di Jeans è trascurabile al di sotto di 6 FEUV,⊕ indipendentemente dalla composizione atmosferica calcolata mediante i suddetti rapporti percentuali, risultato che ben si accorda con le predizioni teoriche, secondo cui la perdita di atmosfera cresce proporzionalmente alla quantità di energia radiativa assorbita. Di conseguenza, la probabilità che un pianeta ricevente un flusso radiativo maggiore di 6 FEUV,⊕ perda una parte consistente della propria atmosfera è elevata. Si stima che il livello di irraggiamento odierno di TRAPPIST-1 dovrebbe portare alla perdita dell’atmosfera dei 4 pianeti nella zona abitabile nel giro di qualche miliardo di anni, e che quelli più interni siano già stati privati di atmosfera in passato a causa dell’eccessiva vicinanza alla stella. Da ciò si conclude allora che nessuno dei pianeti di TRAPPIST-1 sopravviverà alla perdita di atmosfera per meccanismo termico di fuga di Jeans.

Data la natura molto generale dei modelli simulativi utilizzati, ossia tali da non adattarsi esclusivamente alle caratteristiche del sistema planetario esaminato, sarà possibile effettuare indagini sulle atmosfere di altri esopianeti nel prossimo futuro, così da continuare la ricerca di una nuova candidata Terra.

Fonte: arXiv

Anelli attorno al centauro Chariklo: nuove scoperte e implicazioni

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Ecco una rappresentazione artistica di come potrebbero apparire gli anelli di Chariklo Credito: ESO/L. Calçada/M. Kornmesser/ Nick Risinger ( skysurvey.org )
Tempo di lettura: 3 minuti

Anelli attorno al centauro Chariklo: nuove scoperte e implicazioni

Introduzione

Nel 2014, la scoperta di due anelli attorno al centauro Chariklo ha rivoluzionato la nostra comprensione dei sistemi di anelli nel Sistema Solare. Chariklo, un corpo ghiacciato di circa 250 km di diametro che orbita tra Saturno e Urano, è diventato il primo oggetto trans-nettuniano ad ospitare un sistema di anelli. La sua esistenza ha aperto nuove domande sulla formazione e l’evoluzione di questi sistemi in ambienti diversi da quelli dei giganti gassosi.

Caratteristiche degli anelli

I due anelli di Chariklo, denominati Oiapoque e Chui, sono sorprendentemente sottili e densi. Oiapoque, l’anello più esterno, ha una larghezza di circa 7 km e si trova a una distanza di circa 400 km dal centro di Chariklo. Chui, l’anello più interno, è largo circa 3 km e orbita a 340 km dal centro. Entrambi gli anelli sono composti da particelle di ghiaccio d’acqua di dimensioni micrometriche.

Nuove osservazioni e analisi

Recenti osservazioni condotte con il Very Large Telescope (VLT) dell’ESO hanno rivelato nuovi dettagli sugli anelli di Chariklo. Le osservazioni hanno mostrato che gli anelli sono molto più complessi di quanto si pensasse in precedenza. Oiapoque, l’anello più esterno, presenta una struttura a due corsie, con una banda più densa all’interno e una più rarefatta all’esterno. Chui, l’anello più interno, è più omogeneo, ma presenta alcune zone più luminose e altre più scure.

Un piccolo satellite potrebbe aver modellato gli anelli

Un nuovo studio, pubblicato su Physical Review Letters, suggerisce che un piccolo satellite potrebbe aver contribuito a modellare gli anelli di Chariklo. Lo studio simula l’interazione tra un satellite di dimensioni chilometriche e gli anelli e mostra che il satellite potrebbe aver creato la struttura a due corsie di Oiapoque e le zone luminose e scure di Chui.

Anelli simulati attorno a Chariklo da questa ricerca, con un satellite di circa 3 chilometri di raggio in una risonanza di movimento medio 6:5. Le particelle dell’anello sono mostrate in bianco. Due anelli sono vincolati all’incirca nelle stesse posizioni e con le stesse larghezze di quelli osservati a Chariklo. L’anello interno è asimmetrico attorno a Chariklo, il che è anche coerente con i dati sull’occultazione stellare di Chariklo. Il nostro software modella milioni di particelle ad anello in una cellula, quindi questa immagine è stata creata unendo insieme i valori delle cellule in momenti diversi nel corso di un periodo orbitale. Credito: Sickafoose e Lewis (2024).

Implicazioni

Le nuove scoperte sugli anelli di Chariklo hanno importanti implicazioni per la nostra comprensione dei sistemi di anelli nel Sistema Solare. La loro complessità suggerisce che questi sistemi potrebbero essere più comuni di quanto si pensasse in precedenza e che la loro formazione potrebbe essere un processo più complesso di quanto si credeva. La scoperta di un possibile satellite che ha modellato gli anelli di Chariklo apre ancora nuove possibilità ad un quadro già difficile da districare.

Conclusioni

Gli anelli di Chariklo sono un sistema affascinante e complesso che ci sta insegnando molto sulla formazione e l’evoluzione dei sistemi di anelli nel Sistema Solare. Le future ricerche, con l’aiuto di telescopi come il James Webb Space Telescope, continueranno a svelare i segreti di questi anelli unici e a far luce sulla loro formazione e sul loro ruolo nell’evoluzione del Sistema Solare.

L’articolo sulle nuove scoperte in merito agli anelli di Chariklo è qui: https://iopscience.iop.org/article/10.3847/PSJ/ad151c

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News da Marte #25

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Tempo di lettura: 8 minuti

 

Bentornati su Marte!

Sono stati giorni in cui chi segue, anche solo distrattamente, le cronache del Pianeta Rosso, non ha potuto fare a meno di leggere le notizie sui problemi sperimentati da Ingenuity. In questa nuova puntata della rubrica ‘News da Marte’ facciamo lo stato con le ultimissime immagini e dichiarazioni da parte dell’agenzia NASA. In chiusura c’è spazio per alcune attività del rover Perseverance, legate anch’esse alla gestione dell’emergenza dell’elicottero. Si parte!

Ingenuity non volerà più

Non ripeterò per filo e per segno cosa è successo a Ingenuity in queste ultime settimane in quanto l’ho descritto molto nel dettaglio in un paio di news uscite il 23 e il 29 gennaio, ma un breve riassunto è comunque utile.

Il 6 gennaio l’elicottero ha eseguito il suo volo numero 71 il quale si è però interrotto prematuramente portando il software di navigazione a eseguire un atterraggio di emergenza. Con lo scopo di osservare la regione dell’atterraggio, il 18 gennaio viene comandato un volo di ricognizione senza spostamento orizzontale, così da fotografare le aree circostanti e confermare la posizione di Ingenuity.

È il Sol 1035 quando l’attività viene avviata. Il flusso della telemetria di volo, trasmessa in tempo reale al rover, procede senza intoppi confermando l’ascesa sino a 12 metri di quota e la conseguente discesa. Ma a pochi secondi dall’atterraggio le comunicazioni si interrompono. Si pensa in quel momento che la conformazione del terreno abbia ostacolato la trasmissione radio, e il giorno successivo al volo si riesce a riprendere contatto con Ingenuity che conferma lo stato positivo dei propri sistemi.

Qualche Sol dopo arrivano finalmente delle immagini, e alla NASA si scopre il reale stato dell’elicottero.

Sol 1040 alle ore 10:12 locali. Il danno si rivela nella sua drammatica portata. NASA/JPL-Caltech/Piras

Questa prima foto del 23 gennaio documenta per mezzo dell’ombra catturata dalla camera RTE che la punta di almeno un rotore è danneggiata. Tre frammenti di colore bluastro al suolo sembrano proprio pezzi di fibra di carbonio, il materiale principale di cui il guscio esterno delle quattro leggerissime eliche è composto.

Tre Sol più tardi viene ricevuta una serie di fotografie scattate a intervalli regolari dalla camera a colori RTE. La camera è fissa, ma si sfrutta il movimento del Sole in cielo per avere uno scorcio più ampio delle ombre proiettate al suolo dai rotori dell’elicottero. Nel corso di circa 3 ore e 20 minuti Ingenuity scatta 14 fotografie, e la strategia ha successo. Il risultato della sequenza è visibile nel video che segue.

Sol 1043, a sinistra l’ombra di una seconda elica entra nel campo inquadrato: è anch’essa danneggiata. NASA/JPL-Caltech/Piras

Si riesce così a osservare il secondo rotore (non è dato sapere quale sia il superiore e quale l’inferiore) il quale mostra anch’esso un grave danno alla punta della pala.

Cosa sappiamo dell’incidente? Cosa sarà di Ingenuity?
La NASA sta provando a dare risposta a questa e altre domande.

Il 31 gennaio viene condotta una live sui canali web dell’agenzia spaziale per comunicare lo stato dell’elicottero. Nel corso dell’evento Teddy Tzanetos, Project Manager di Ingenuity, aggiunge molti dettagli interessanti pur ammettendo che su alcuni aspetti c’è ancora qualche incertezza.

Si ritiene che i rotori siano stati danneggiati da un impatto a elevata velocità delle eliche con il suolo, deduzione che era possibile avanzare già nell’immediatezza della diffusione delle prime immagini. Non c’è una registrazione della telemetria in quanto essa è andata persa a causa di un riavvio nel momento del brusco atterraggio, quindi il JPL non è in grado di ricostruire l’esatta cronologia degli eventi. Il dubbio è se un calo di potenza abbia preceduto e causato il violento impatto al suolo o se viceversa l’impatto abbia causato il black-out radio. Nel caso di questa seconda ipotesi, è possibile che il radar incaricato di misurare l’altezza dal terreno sia stato ingannato dalla polvere sollevata dal flusso d’aria. Sono tutte congetture, ed è possibile che non avremo una risposta definitiva a questi dubbi.

Sono stati comunque esclusi danni causati dall’atterraggio di emergenza avvenuto nel volo 71 in quanto, sebbene Ingenuity abbia toccato il suolo con un residuo di velocità laterale, il team che gestisce l’elicottero ha eseguito una serie di verifiche (test a 50 giri al minuto e ad alta velocità) che non hanno fatto registrare anomalie o risonanze. In base ai test Ingenuity sembrava in ottima salute, da qui la decisione di procedere serenamente con il volo 72 che si sarebbe rivelato essere l’ultimo.

Il colpo o, per meglio dire, i colpi subiti dai rotori hanno quasi certamente interessato tutte e quattro le eliche come si può dedurre dalla seconda serie di immagini. Le ombre mostrano infatti solo due eliche ma esse non appartengono allo stesso rotore. Viene quindi meno la possibilità che sia stata solo la coppia di eliche inferiori a impattare il terreno.

Anche nel caso di un danno “simmetrico” a entrambe le eliche delle due coppie è totalmente escluso che Ingenuity possa proseguire le sue attività aeree, e la ragione è duplice.

La prima è quella più intuitiva, ovvero che il bilanciamento dei rotori deve essere perfetto praticamente al grammo. Diversamente si introducono instabilità che rendono il velivolo totalmente incontrollabile.

La seconda ragione deriva dallo studio della dinamica del volo. Le eliche di Ingenuity sono a tutti gli effetti dei profili alari che esercitano portanza. Tale effetto di spinta verso l’alto è per la gran parte generato dalla parte delle eliche che ha una velocità lineare maggiore, ovvero proprio le punte. Mutilato della parte dei suoi rotori che maggiormente contribuisce alla portanza, la quale raggiunge velocità sino a 230 metri al secondo, non c’è alcuna possibilità che Ingenuity possa alzarsi dal suolo.

Fotogramma del volo 70 del 22 dicembre. NASA/JPL-Caltech

La conferma se il danno interessi anche le eliche sull’altro lato, ancora non osservate, arriverà nel momento in cui Ingenuity svolgerà alcuni test. Del resto il drone è pienamente operativo e nonostante l’incidente si trova, forse un po’ fortunatamente, in posizione verticale.

Si prevede di azionare i rotori a bassa velocità (è possibile comandare una singola mezza rotazione) per far ruotare le eliche e osservarle nella loro interezza. È inoltre in programma di azionare anche il motore che svolge la funzione di regolatore di passo, il dispositivo che sugli elicotteri varia l’angolo di attacco delle eliche e consente di gestirne le fasi di volo.

Azioni come questa sono state documentate da riprese estremamente ravvicinate che il rover Perseverance ha svolto nei giorni dei primi test di Ingenuity. Sono un bel documento che già al tempo, quasi tre anni fa, ci aiutò a capire meglio come funzionava questo elicottero che non sapevamo neanche se sarebbe riuscito a sollevarsi il volo.

Tutte queste azioni di verifica saranno svolte con il supporto di acquisizioni fotografiche e video: sicuramente con le camere dello stesso Ingenuity ma probabilmente anche quelle di Perseverance.

Perseverance inizia a osservare, da lontano

Si sperava che il rover potesse avvicinarsi all’elicottero nei prossimi giorni marziani per eseguire riprese da vicino e, da bravo assistente, aiutarci a capire nel dettaglio cosa sia successo durante quello sciagurato 18 gennaio. Questo non sarà purtroppo possibile.

La NASA ha chiarito che Ingenuity si trova non lontano dal rover, poche centinaia di metri, ma purtroppo in una posizione irraggiungibile.

Mappa aggiornata al 5 febbraio. NASA/JPL-Caltech

A separare Perseverance e Ingenuity c’è una larga striscia di sabbia, in teoria ottima per atterraggi morbidi ma un’assassina per le ruote del rover. Il rischio che il rover si insabbi per degli scopi tutt’altro che prioritari rispetto a quelli scientifici ha fatto decidere fin da subito per condurre le osservazioni solo da lontano.

Negli scorsi giorni Perseverance si è fatto largo verso ovest, non senza difficoltà (lo vedremo meglio nella prossima puntata di questi aggiornamenti), attraversando dei campi rocciosi che hanno messo alla prova le doti del suo autonavigatore. Dalla posizione indicata nella mappa, raggiunta nel Sol 1049 (1 febbraio), il rover ha catturato una panoramica impressionante rivolta verso nord-ovest nella quale abbiamo un’ampia visuale della striscia sabbiosa su menzionata.

Sol 1052, Right NavCam di Perseverance. NASA/JPL-Caltech/Piras

Di questa immagine ho realizzato anche una versione stereo fruibile con gli occhialini 3D magenta/ciano. L’osservazione a piena risoluzione è più che consigliata.

Stessa immagine, combinazione di Left e Right NavCam in forma di anaglifo. NASA/JPL-Caltech/Piras

Un’analisi delle increspature nella sabbia aiuta a capire che regione della mappa è inquadrata.

NASA/JPL-Caltech/Piras

Sembra che per un soffio, forse appena poche decine di metri, Perseverance non riesca a vedere l’elicottero! Il rover si trova in una zona parecchio accidentata con piccoli rilievi che ostacolano la linea di vista tra i due robot.

Il 4 febbraio, Sol 1052, Perseverance riprende a spostarsi verso ovest. È un movimento che al momento non è ancora stato inserito nella mappa ma che alcuni appassionati sono riusciti a ricostruire, trovando conferma delle analisi altimetriche che avevano previsto l’esistenza di aree di visibilità non troppo lontane dalla posizione da cui la panoramica era stata scattata.

Analisi dell’utente @65dBnoise su Mastodon

A metà dello spostamento Perseverance avrebbe puntato le sue MastCam-Z verso la posizione presunta di Ingenuity, e riusciamo a rivedere il nostro elicottero.

Sol 1052, mosaico di riprese a 110 mm di focale di una delle MastCam-Z. Upscaling 2x. NASA/JPL-Caltech/MSSS/Piras

Aspettiamo un’analisi ufficiale di questa foto, ma abbiamo già qualche elemento su cui ragionare considerando che la camera a colori dell’elicottero è posizionata sul lato a favore di ripresa, rivolta approssimativamente verso sud.

C’è un segno scuro a sinistra che, considerando l’inclinazione della sabbia, potrebbe essere il punto di primo contatto del piede dell’elicottero che è poi scivolato verso il basso lasciando una striscia scura sulla sabbia (non visibile nelle immagini della camera RTE) mentre si riassestava.
Proprio sotto il corpo dell’elicottero c’è un secondo segno scuro che troverebbe corrispondenza nel buco sulla sabbia, forse lasciato dall’impatto delle eliche, che si osserva nitidamente nelle immagini. Ben evidente poi sulla destra l’ombra del corpo di Ingenuity, di nuovo non visibile nell’immagine.

Last minute!

A pochi minuti dalla pubblicazione dell’articolo ho scoperto che è stata appena rilasciata una serie di frame acquisiti da Ingenuity il 31 gennaio e relativi all’anticipato test di variazione dell’assetto delle eliche. Si tratta di 129 fotogrammi catturati in appena 5.4 secondi, spremendo la camera di navigazione ai frame rate che usa abitualmente solo durante i voli. Durante le attività aeree solo una piccola parte di questi fotogrammi viene salvata, il resto è immediatamente cancellato dopo aver assolto la propria funzione di ausilio alla navigazione.

 

Per questo grosso aggiornamento su Ingenuity è tutto.
In attesa di nuove informazioni sull’elicottero, e soprattutto per conoscere le attività che nel frattempo Perseverance e Curiosity stanno svolgendo, vi do appuntamento alla prossima puntata di News da Marte.

APOC n°1 Arp 273 Rosa Cosmica

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Tempo di lettura: < 1 minute
La redazione è lieta di annunciare la prima
APOC Astronomy Picture of Coelum

Arp 273 Rosa Cosmica

di Lorenzo Busilacchi

Arp 273 (APG 273) è composta da due galassie interagenti e situata in direzione della costellazione di Andromeda alla distanza di 345 milioni di anni luce dalla Terra

Somma di 4 sessioni: 15-16-17-19 agosto 2023
Configurazione strumentale: Light 101X300″ 8 hours 25″, Filtro Optolong l-pro 2″, Telescope C11, 1680mm f6.3, Camera ASI 2600 MC Pro -10°, 100gain.

Località: Margine Rosso, Quartu, Sardinia, Italy

La Rosa Cosmica di Lorenzo Busilacchi è la prima ad entrare nel WALL OF FAME di COELUM! I complimenti della redazione all’autore per il lavoro eccellente!

La Rosa Cosmica è pubblicata in PhotoCoelum QUI

 

Una Crepa nel Modello Cosmologico Standard?

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Galassia LEDA 2046648. Crediti: ESA/Webb, NASA & CSA, A. Martel.
Tempo di lettura: 3 minuti

Curve di rotazione delle galassie ad alto redshift: una possibile crepa nel modello cosmologico standard?

La curva di rotazione delle galassie rappresenta la velocità di rotazione delle stelle in funzione della distanza dal centro galattico (i.e., raggio). Studi sulle regioni HI (i.e., idrogeno neutro in forma atomica) presenti nel disco della Via Lattea hanno mostrato che tale moto di rotazione è di tipo differenziale, ovvero che la velocità delle stelle varia proprio in relazione al raggio: più una stella si trova vicino al centro della galassia ospite e più la sua velocità è elevata. Questa proprietà è collegata alla concentrazione di materia nelle galassie, poiché le stelle acquistano  maggiore energia cinetica negli ambienti più densi, come appunto le zone centrali. In particolare, nel caso della Via Lattea e delle galassie limitrofe, la curva di rotazione è composta da due diversi tratti, quello rigido e quello piatto. Il tratto rigido, in cui la velocità stellare cresce in maniera direttamente proporzionale al raggio, si riferisce alla parte più interna delle galassie, mentre il tratto piatto, in cui la velocità stellare rimane costante, alla parte più esterna. Tuttavia, l’andamento della curva di rotazione a grandi raggi risulta anomalo in quanto non conforme alle predizioni teoriche, che indicano un tratto cosiddetto kepleriano, ossia decrescente, anziché un tratto piatto. Il fatto che la velocità delle stelle non diminuisca all’aumentare del raggio significa che la distribuzione di massa nelle galassie non coincide con quella osservata: in altre parole, sembra esserci molta più materia di quella visibile tenendo conto della quantità totale di stelle, gas e polveri diffuse. Tale materia, esistente ma non emittente luce, è stata denominata “oscura” e ad oggi sembra costituire circa l’83% della materia nell’Universo.

Curve di rotazione con tratto piatto delle galassie
nell’Universo locale. Crediti: arXiv.

Dunque, le curve di rotazione delle galassie nell’Universo locale sono contraddistinte, al pari di quella della Via Lattea, da un tratto finale piatto invece che kepleriano. Ciononostante, recenti indagini spettroscopi che hanno rivelato come le curve di rotazione di un campione di galassie ad alto redshift tendono a comportarsi in modo opposto, ovvero a declinare bruscamente a grandi raggi.

Se questa caratteristica fosse comune nell’Universo remoto, si dovrebbe rivalutare il ruolo della materia oscura nella formazione delle galassie. Utilizzando delle complesse simulazioni computazionali, due ricercatori dell’Università di Cardiff hanno cercato di ottenere le curve di rotazione declinanti delle galassie lontane ripercorrendo il processo di formazione galattica nel contesto del modello cosmologico standard, secondo cui al collasso gravitazionale degli aloni di materia oscura seguirebbe la caduta della materia barionica (i.e., ordinaria) nelle buche di potenziale associate. Essi hanno quindi adottato varie configurazioni iniziali di materia barionica e oscura e le hanno lasciate evolvere nel tempo, trovando infine che, indipendentemente dallo scenario di partenza, si arriva a galassie aventi struttura e dinamica simili. Ciò accade perché tutti i neonati sistemi stellari passano attraverso una fase di rilassamento violento che ne cancella i segni identificativi e le irregolarità fino a stabilire una condizione di equilibrio, con l’effetto che essi perdono memoria della loro configurazione iniziale. Pertanto, le curve di rotazione delle galassie simulate non differiscono significativamente l’una dall’altra e appaiono conformi alle aspettative del modello cosmologico standard, che postula l’esistenza del tratto piatto come manifestazione della predominanza di materia oscura nell’Universo. Un brusco declino della curva di rotazione potrebbe infatti derivare soltanto dalla rimozione dell’alone di materia oscura dalla galassia in formazione.

Curve di rotazione con tratto rapidamente
declinante nel campione di galassie ad
alto redshift esaminato confrontate con
quelle della Via Lattea (linea solida verde)
e di M31 (linea tratteggiata rossa). Crediti:
arXiv.

Dal momento che il risultato è allora una curva di rotazione con tratto piatto per la maggioranza delle galassie lontane simulate, non è possibile formulare l’ipotesi di universalità delle curve di rotazione rapidamente declinanti a grandi raggi per le galassie ad alto redshift. Allo stesso tempo, la congettura che alcune galassie si siano formate all’interno degli aloni di materia oscura e altre no sembra non essere ancora sufficientemente supportata dal punto di vista teorico. Di conseguenza, si attendono ulteriori evidenze osservative dell’Universo remoto per decretare se il numero di galassie del campione esaminato possa essere ampliato al fine di avviare una revisione del modello cosmologico standard.

 

Fonte: arXiv

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