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La Costellazione dello Scorpione

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La Costellazione dello Scorpione

LO SCORPIONE PROTAGONISTA DEL CIELO ESTIVO

Il cielo di luglio ci prende per mano, guidandoci tra asterismi e leggende fino a notte tarda, quando nel silenzio possiamo contemplare l’infinita bellezza del firmamento.

Tra le costellazioni tipiche dell’estate e del mese di luglio troviamo quella dello Scorpione, una figura molto affascinante e facilmente individuabile sulla volta celeste: si tratta di un asterismo tipico del cielo australe, ma che possiamo osservare anche nel cielo boreale durante i mesi estivi.

Costellazione dello Scorpione

La brillante stella Antares (α Sco / α Scorpii / Alfa Scorpii) è l’emblema dello Scorpione: si tratta di una supergigante rossa situata a 600 anni luce dal Sistema Solare, con una magnitudine apparente 1,06: la stella si trova al centro della costellazione e il suo nome significa “rivale di Marte” (anti-Ares) per via del colore rossastro che la accomuna al pianeta Marte.

Con un raggio di circa 850 volte quello del Sole, essa si classifica come una delle stelle più grandi conosciute.

Tra le altre stelle che compongono la costellazione dello Scorpione merita la nostra attenzione anche Shaula (λ Sco / λ Scorpii / Lambda Scorpii), una stella azzurra di magnitudine 1,62: si tratta dell’astro più luminoso del gruppo di stelle che insieme a υ Scorpii compone la coda e quindi il pungiglione dello Scorpione.

 Oggetti notevoli nella Costellazione dello Scorpione ANTARES E LA NUBE DI RHO OPHIUCHI

Insieme alle stelle di colore azzurro β Scorpii, δ Scorpii e π Scorpii, Antares compone l’asterismo del Grande Uncino ma non solo: la stella alfa dello Scorpione è pervasa dalla nube molecolare gigante denominata Nube di Rho Ophiuchi, che prende il nome da ρ Ophiuchi, stella situata nella costellazione dell’Ofiuco eche domina la regione composta da idrogeno ionizzato luminoso e polveri oscure; Rho Ophiuchi è forse uno deisoggetti più fotografati e ammirati del profondo cielo, che può essere individuato con le apposite strumentazioninella regione di stelle che compongono la testa dello Scorpione,rivelando diversi dettagli attraverso la fotografia a lunga esposizione.

Parte dei gas della Nube vengono illuminati proprio da Antares, che vi conferisce la tipica colorazione rosso/arancio.

CREDIT: LORENZO BUSILACCHI-NUBE DI RHO OPHIUCHI

 

OGGETTI NON STELLARI NELLA COSTELLAZIONE DELLO SCORPIONE

La costellazione ospita un gran numero di stelle variabili oltre che diversi oggetti del cielo profondo: tra gli ammassi globulari ricordiamo M4, poco concentrato ma molto luminoso e individuabile già con un binocolo ad Ovest di Antares.

Vi è poi l’ammasso aperto M7 o Ammasso di Tolomeo, che se osservato da un luogo appropriato risulta ben visibile anche ad occhio nudo, mentre sarà risolvibile nei dettagli con l’ausilio di un binocolo.

Interessanti anche M6 o Ammasso Farfalla, l’ammasso NGC 6231 e NGC 6281.

LA COSTELLAZIONE DELLO SCORPIONE DALL’ASTRONOMIA ALLA MITOLOGIA

Come ogni oggetto celeste, anche lo Scorpione è circondato da un alone di mito e leggenda.

Secondo la mitologia greca la sua figura è strettamente legata a quella di Orione, diverse sono infatti le storie che raccontano di questo legame.

Secondo una delle vicende più acclarate lo Scorpione aveva punto fatalmente Orione dopo che il cacciatore si era vantato con Artemide di essere in grado di uccidere qualsiasi animale gli fosse capitato a tiro; questa sua spavalderia non fu gradita a Gea, la Terra, che scagliò il velenoso scorpione proprio contro Orione, uccidendolo. Zeus, vedendo a terra Orione e accanto ad egli il velenoso Scorpione, decise di trasformarli in stelle e porli sulla volta celeste, destinati a non incontrarsi mai perché quando lo Scorpione sorge Orione tramonta, in un ciclico scorrere del tempo e delle stagioni.

Secondo un’altra leggenda lo Scorpione salvò Artemide da un tentativo di violenza da parte di Orione: la dea infatti si avvalse dell’aiuto del velenoso pungiglione per liberarsi dalle grinfie del cacciatore, che venne punto su un tallone. Come ricompensa lo Scorpione venne posto in cielo, tra le stelle.

La Costellazione della CORONA BOREALE

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La Costellazione della CORONA BOREALE

Posta tra le costellazioni di Ercole e del Boote brilla un piccolo gioiello fatto di stelle, che nel mese di giugno potremo provare a individuare nel cielo: la Corona Boreale.

Si tratta di una costellazione le cui stelle che la compongono sono disposte in maniera tale da ricordare la forma di una corona: Gemma (o Alphecca) è una stella binaria a eclissecon una magnitudine di 2,2 e distante dalla Terra 75 anni luce e rappresenta la stella alfa della costellazione.

Nusakan (Beta Corona Borealis) e Gamma Corona Borealis sono le altre due stelle più luminose della Corona Boreale.

La piccola costellazione non vanta un gran numero di oggetti non stellari, tranne che la presenza di alcune stelle variabili, osservabili anche con strumenti di piccole dimensioni, come la stella variabile supergigante gialla R Coronae Borealis.

Nella costellazione è presente anche un ammasso di galassie nominato Abell 2065,situato a un miliardo di anni luce dal nostro Sistema Solare, avente magnitudine 15.

La Costellazione della CORONA BOREALE NELLA MITOLOGIA

Anche questa tiara di stelle è ricoperta da un velo mitologico: uno dei miti più noti fa riferimento alla corona come un regalo di nozze del dio Dionisio alla bella Arianna, figlia di Minosse, triste e sconsolata per essere stata lasciata, anzi proprio piantata in asso, dal suo promesso sposo Teseo sull’isola di Nasso (da qui si è spesso attribuita l’origine della locuzione “piantare in Nasso”).

Pare che il diadema donato alla giovane fanciulla si trasformò in una costellazione, dopo che il dio Efesto lo ebbe lanciato in cielo.

LA COSTELLAZIONE DEL BOOTE

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LA COSTELLAZIONE DEL BOOTE

Nel cielo di giugno ci imbattiamo nella costellazione del Boote, facilmente individuabile con la sua forma di aquilone e soprattutto grazie alla sua stella alfa, Arturo(α Boo): si tratta della stella più luminosa della costellazione e la quarta più brillante del cielo notturno dopo Sirio, Canopo e α Centauri.

Arturo è una gigante rossa con un diametro di 35 milioni di km (circa 25 volte più grande della nostra stella) e la sua luminosità è 113 volte quella del Sole,ma se teniamo conto di tutte le bande dello spettro elettromagnetico, la sua luminosità totale arriva a circa 200 volte quella del Sole.

La stella è situata a una distanza di 36,7 anni luce da noi e, pur appartenendo all’emisfero boreale, la sua posizione 19° a nord dell’equatore celeste fa sì che Arturo sia visibile da ogni area popolata della Terra.

OGGETTI NON STELLARI NELLA COSTELLAZIONE DEL BOOTE

Nella costellazioni sono presenti stelle variabili come W Boötis, molto luminosa, e le stelle doppie ν1-ν2 Bootis e μ1-μ2 Bootis: la prima coppia è formata da una stella gigante arancione e una bianca; la seconda coppia è composta da due stelle bianco-giallastre.

Entrambe le coppie possono essere facilmente risolvibili anche con il solo utilizzo di un binocolo.

Da segnalare l’ammasso globulare NGC 5466, un oggetto del profondo cielo alla portata di telescopi anche amatoriali.

IMMAGINE NGC 5466 Globular Cluster Credit Esa/Hubble

LA COSTELLAZIONE DEL BOOTE NELLA MITOLOGIA

Link di approfondimento https://www.coelum.com/coelum/archivio/articoli/lenigma-del-boote-che-tardi-tramonta

Nella mitologia greca la figura del Boote è strettamente legata a quella dell’Orsa Maggiore nella vicenda che vede coinvolta la ninfa Callisto, una bellissima fanciulla figlia del Re di Arcadia Licaone e ancella di Artemide.

Divenuta l’ennesimo oggetto del desiderio di Zeus, Callisto fu tramutata in orso dallo stesso padre degli Dei.

Le versioni della storia sono diverse, citiamo le due più note: la prima versione racconta che fu proprio Zeus a trasformare la giovane fanciulla in un’orsa per sottrarla alle ire di Era; mentre, la seconda versione, narra che fu Artemide a trasformare Callisto in orsa, per punizione, dopo aver scoperto lo stato di gravidanza della giovane ancella, votata alla castità.

La metamorfosi di Callisto avvenne dopo aver dato alla luce Arcade.

Questi, allevato da Artemide e dalle sue ancelle, venne a conoscenza della presenza di un orso nel bosco dove abitavano le ninfe, così si mise sulle sue tracce per ucciderlo.

Dopo averlo scovato, si preparò a colpire l’animale con una lancia, ignaro della sua vera identità.

Zeus, impietosito, fermò il tempo, trasformò sia l’orsa che Arcade in stelle e li collocò per sempre sulla volta celeste.

In cielo madre e figlio sono “vicini” poiché, prolungando la coda dell’Orsa, si arriva ad Arcade, ovvero Arturo. Il nome dell’astro significa appunto “inseguitore dell’Orsa”.

LA COSTELLAZIONE DI ERCOLE

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Tra le costellazioni che caratterizzano il mese di giugno spiccano quella di Ercole e del Boote,che con le loro stelle e le loro storie ci terranno con gli occhi incollati al cielo; ma attraverso i sentieri celesti ci imbatteremo anche in un piccolo diadema di stelle, la Corona Boreale.

LA COSTELLAZIONE DI ERCOLE

Posta tra il Boote e la Lira, quella di Ercole è una costellazione tipica dell’estate boreale, che culmina a mezzanotte verso metà giugno; per via della sua ampia estensione (1225 gradi quadrati) è classificata come la quinta più grande del firmamento.

Nonostante le sue vaste dimensioni, Ercole non vanta stelle particolarmente brillanti: la più luminosa è Beta Herculis, nota anche come Kornephoros, stella di magnitudine 2,78; vi è poi Zeta Herculis, nota anche come Ruticulus, una stella gialla di magnitudine 2.81 distante 35 anni luce da noi.

OGGETTI NON STELLARI nella Costellazione di ERCOLE

La costellazione contiene in compenso un gran numero di stelle doppie e stelle variabili, alcune osservabili già con piccoli strumenti e telescopi, come Alpha Herculis, detta anche Ras Algethi: si tratta di una stella doppia situata nella parte meridionale della costellazione di Ercole, la cui componente principale è una gigante rossa variabile di magnitudine 3.51.

La Costellazione di Ercole giace lontana dalla porzione di cielo attraversata dalla Via Lattea, in una regione priva di galassie luminose; tuttavia la costellazione ospita uno dei più conosciuti ammassi globulari: M13 o Ammasso Globulare di Ercole.

Si tratta dell’ammasso più luminoso dell’emisfero boreale, visibile già ad occhio nudo da luoghi bui, e più nitido e ben dettagliato se osservato rispettivamente con binocolo e telescopio. Con la sua magnitudine apparente pari a 5,8 l’ammasso contiene migliaia di stelle ed è uno degli oggetti più fotografati da dilettanti e professionisti.

L’Ammasso Globulare di Ercole rimane altresì famoso per il “messaggio Arecibo”: un messaggio radio trasmesso nello spazio dal radiotelescopio di Arecibo, a Porto Rico, (purtroppo ormai smantellato dopo gravi danneggiamenti ambientali) il 16 novembre 1974 e indirizzato verso M13, a 25 000 anni luce di distanza.

Presente nella costellazione anche l’ammasso globulare M92, meno facile da individuare rispetto ad M13, ma si può tentare con un binocolo 10×50, attraverso il quale l’ammasso apparecome una macchia biancastra diffusa, mentre con un telescopio da almeno 200mm di apertura sarà possibile risolverlo in stelle.

Nella costellazione di Ercole è situata una delle nebulose planetarie più grandi della nostra Via Lattea,  Abell 39, che possiede un diametro di ben 5 anni luce e la cui forma, circolare e trasparente, ricorda una bolla di sapone.

M13 immagine di Tommaso Stella PhotoCoelum
ABELL 39 di Poalo Zampolini PhotoCoelum

 

IL MITO della Costellazione di ERCOLE

Quella di Ercole è certamente una delle figure più note della mitologia: la sua fama è legata alle 12 fatiche che l’eroe dovette affrontare e chi gli valsero la sua eterna gloria, di seguito citate:
Uccidere l’invulnerabile leone di Nemea e portare la sua pelle come trofeo;
Uccidere l’immortale idra di Lerna;
Catturare la cerva di Cerinea;
Catturare il cinghiale di Erimanto;
Ripulire in un giorno le stalle di Augia;
Disperdere gli uccelli del lago Stinfalo;
Catturare il toro di Creta;
Rubare le cavalle di Diomede;
Impossessarsi della cintura di Ippolita, regina delle Amazzoni;
Rubare i buoi di Gerione;
Rubare i pomi d’oro del giardino delle Esperidi;
Portare vivo Cerbero, il cane a tre teste guardiano degli Inferi, a Micene.

Crediti Antonio del Pollaiolo Ercole e l’Idra

In origine i greci associavano alla figura di Ercole quella dell’Inginocchiato senza però attribuirgli un significato specifico; solo successivamente, in seguito alle 12 fatiche attribuite all’eroe, la figura venne ribattezzata con il nome che oggi conosciamo, e l’atto di inginocchiarsi è da ricondurre al riposo di Ercole dopo le sue gesta.

Ercole era venerato come simbolo di forza e abilità, ma anche come eroe generoso, che per il suo altruismo divenne esempio anche di grandezza morale oltre che fisica e proprio per queste sue virtù gli fu donato un posto sulla volta celeste.

Grazie alla mano di Ercole,
regna la Pace fra l’Aurora e il Vespero,
e nel luogo in cui il sole a mezzogiorno
nega le ombre ai corpi;
tutta la terra bagnata dal lungo circuito di Teti
è stata sottomessa dalla fatica di Alcide.
(Seneca, La follia di Ercole, 883-888)

Ma ad Ercole è legato anche un altro affascinante mito dove la protagonista è la nostra galassia, la Via Lattea: Ercole era figlio di Zeus e di Alcmena, una fanciulla, ennesima vittima degli inganni del padre degli dei: narra la mitologia che Zeus si trasformò nel marito della giovane per poterla possedere e proprio da questa unione nacque l’eroe mitologico, che però fu abbandonato dalla sua mamma.

Zeus teneva molto a quel figlio, per metà dio, e fece in modo che sua moglie Era lo trovasse e lo allattasse: accadde che Ercole fu preso in braccio da Era nel tentativo di attaccarlo al suo seno, ma il piccolo si mosse bruscamente (o fu Era stessa ad allontanarlo, secondo altre versioni) e lo schizzo di latte arrivò fino in cielo creando così il fiume di stelle che scorre sulla volta celeste e che dà vita alla Via Lattea.

La COSTELLAZIONE DEL DRAGO

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nel cielo cartina draco
La cartina del mese abbraccia la regione circumpolare in cui si affaccia la testa del Dragone, interessata anche dalla presenza del Polo nord dell’eclittica (il cerchietto blu con la sigla Pec). I tre oggetti di cui parliamo questo mese, le galassie NGC 6643, NGC 6503 e UGC 10822, sono quasi allineate tra loro e dislocate a distanze crescenti dal Polo nord celeste.
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La COSTELLAZIONE DEL DRAGO

Tra le costellazioni visibili durante il mese di maggio c’è quella circumpolare del Drago: si tratta di una figura situata tra l’Orsa Maggiore, l’Orsa Minore e Cefeo e risulta essere una delle più estese della volta celeste.

La parte immediatamente visibile della  costellazione è il quadrato dato dalle stelle che ne formano la testa, le cui due più brillanti sono Eltanin e Rastaban, rispettivamente Gamma Draconis e β Draconis; quest’ultima deriva dall’arabo (Al Rās al Thuʽbān) e significa “la testa del serpente”.

Il Drago non spicca certo per grande luminosità, in compenso vanta un buon numero di stelle doppie come ν Draconis e ο Draconis, risolvibili già con un discreto telescopio.

OGGETTI NON STELLARI nella Costellazione del Drago

Proiettata nella costellazione del Drago vi è la nebulosa planetaria NGC 6543, detta anche Nebulosa Occhio di Gatto, scoperta da William Herschel nel 1786, la cui struttura è stata scandagliata dal Telescopio Spaziale Hubble, rivelando dettagli interessanti.

La Costellazione del DRAGO NELLA MITOLOGIA

Il Drago trova riferimenti sia negli antichi popoli Sumeri e Babilonesi che nella mitologia greca, dove veniva configurato con Ladone, il guardiano delle mele d’oro.

Tutto ebbe inizio con il matrimonio di Giove e Giunone, i quali ricevettero come regalo di nozze dalla dea Gea (la Terra) un albero speciale, in grado di produrre mele d’oro.

Giunone lo fece piantare in giardino, ma l’albero era così prezioso che serviva qualcuno che lo sorvegliasse: così Giunone incaricò un terribile mostro, Ladone, con sembianze metà di donna e metà di serpente.

E qui entra in scena Ercole che venne convocato dal re di Micene, Euriseo, il quale gli affidò il compito di uccidere il mostro e trafugare l’albero dal giardino di Giunone; l’eroe prese alla lettera l’incarico e, giunto nel giardino e individuato il temibile mostro, scagliò una delle sue fatali frecce contro Ladone, che stramazzò a terra esanime.

Il Drago venne posto in cielo in ricordo di quell’impresa e fu sistemato attorno all’albero dai frutti d’oro, rappresentato dall’asse terrestre.

La Costellazione della CHIOMA DI BERENICE

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Cartina Chioma Berenice
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La Costellazione della CHIOMA DI BERENICE

Tra la costellazione del Leone e quella del Boote vi è una piccola costellazione piena di significato mitologico: la Chioma di Berenice.

“Qui la deami pose, tra le antiche, stella nuova. Della Vergine e del fiero Leone tocco gli astri, nei pressi di Callisto Licaonia volgo al tramonto, dirigendo il corso dinanzi al lento Boote, che si immerge nell’Oceano profondo, a stento tardi”.

Nella poesia di Catullo (carme 66) è sostanzialmente racchiusa la mappa stellare per individuare la Chioma di Berenice che, esprimendosi in prima persona, ci guida tra le costellazioni del Leone e del Boote passando per quella della Vergine per trovare finalmente gli astri che la compongono.

La costellazione non spicca di certo per luminosità poiché molte delle stelle che costituiscono l’oggetto sono membri di un ammasso aperto, uno dei più vicini a noi posto a soli 250 anni luce: si tratta di Mel 111 o Ammasso della Chioma di Berenice, oggetto visibile al meglio soprattutto attraverso un binocolo, il cui oculare è in grado di contenere meglio la visuale delle poche stelle che compongono l’ammasso.

Le sue stelle principali sono Diadem(α Comae Berenices), la seconda stella più luminosa della costellazione e β Comae Berenices: la prima è una stella binaria di magnitudine +4,32 che si trova a 60 anni luce di distanza dal sistema solare mentre la seconda, molto simile al nostro Sole, ha una magnitudine apparente 4,23.

Vi è infine la stella binaria Al Dafirah, che dall’arabo significa “treccia”.

OGGETTI NON STELLARI NELLA Costellazione della CHIOMA DI BERENICE

Uno degli oggetti deep sky più interessanti e amati dagli astrofili è sicuramente NGC 4565, nota come Galassia Ago: si tratta di una galassia a spirale distante circa 52 milioni di anni luce che ha la caratteristica di mostrarsi di taglio, favorendo così una dettagliata osservazione del suo nucleo e restituendoci delle immagini spettacolari attraverso le adeguate strumentazioni.

NGC4565 Galassia Ago Crediti Massimiliano Zulian latorredelsole.it

Un nuovo straordinario lavoro di Paolo Palma, inerente proprio alle costellazioni del Leone e della Chioma di Berenice, riguarda la realizzazione di due mosaici che presentano tutte le stelle fino alla sesta magnitudine riportate da Stellarium, più la debole e rossa R Leonis  per un totale di 120 astri.

Mosaico Chioma di Berenice e Leone Crediti Paolo Palma

 

La Costellazione della CHIOMA DI BERENICE NELLA MITOLOGIA

Regina cirenaica di splendida bellezza, Berenice era la moglie del re egizio Tolomeo III: ella consacrò la sua fluente chioma, come pegno d’amore, alla dea Afrodite, affinché favorisse il ritorno di suo marito sano e salvo dalla guerra. Quando questi tornò trionfante e tutto intero, per la bella regina non restò altro che mantenere fede alla sua promessa: Berenice agghindò così i suoi capelli in un raccolto che poi tagliò e portò al tempio dedicato ad Afrodite.

Ma il giorno dopo di quel pegno d’amore non vi era traccia, qualcuno lo aveva trafugato e i sovrani andarono su tutte le furie: a calmare gli animi e a fare chiarezza intervenne Conone di Samo, un matematicoe astronomo dell’epoca il quale cercò di tranquillizzare i sovrani asserendo di aver trovato lui la chioma della regina, ma in un posto speciale, ovvero sulla volta celeste trasformata in luminose stelle.

Berenice CREDITI Rosalba Carriera

 

 

La Costellazione del Leone

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Costellazione del Leone
La cartina di questo mese è centrata su quella parte della costellazione del Leone che viene anche comunemente chiamata “la falce”, o “il falcetto” e che di fatto rappresenta la testa del mitico animale. Proprio in questa regione si trovano i due oggetti descritti nel testo: una bella e luminosa galassia singola (NGC 2903) e una coppia di galassie in interazione gravitazionale (NGC 3226 e NGC 3227).
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Se tu vuoi bene a un fiore che sta in una stella, è dolce, la notte, guardare il cielo. Tutte le stelle sono fiorite.

“Il Piccolo Principe” di Antoine de Saint-Exupéry

La Costellazione del Leone

Nelle sere di primavera c’è tutta l’attesa del cielo d’estate: sulla volta celeste, nel mese di maggio, è un fiorire di costellazioni note che, una dopo l’altra, possiamo cogliere con i nostri occhi e immortalare con gli strumenti a nostra disposizione.

Prima però di dare di accogliere gli asterismi che ci accompagneranno nelle notti più calde, vogliamo salutare all’orizzonte, oramai verso ovest la ricca costellazione del Leone.

Tra la debole costellazione del Cancro e quella della Vergine si trova il Leone, figura celeste che tramontando sempre prima sta lasciando il passo alle costellazioni più autunnali.

Nei primi giorni del mese di maggio tuttavia, già dalle prime ore della sera, Leo sarà visibile proprio a Sud, per riconoscere sarà sufficiente trovare la tipica forma trapezoidale che la identifica, di cui la stella Regolo (alfa Leonis) costituisce uno dei suoi vertici (quello orientato a Sud-Ovest).

Le Stelle della Costellazione del Leone

Regolo è un sistema stellare composto da quattro stelle divise in due coppie; con la sua magnitudine +1,40 è la ventunesima stella più luminosa del cielo notturno. Dista circa 79 anni luce da noi e la sua vicinanza all’Equatore celeste fa sì che possa essere osservata da tutte le aree popolate della Terra.

Con il suo colore bianco-azzurro, Regolo è facilmente individuabile nelle serate primaverili: insieme ad altre stelle della costellazione del Leone, alfa Leonis va a comporre un asterismo chiamato Falce.

Si tratta di un asterismo molto brillante noto anche come Falce Leonina, la cui forma richiama appunto quella dell’oggetto di cui porta il nome.

Il vertice Sud-Orientale della figura del Leone è costituito dalla stella Denebola, che rappresenta la coda dell’animale: è una delle stelle più vicine a noi, trovandosi a 36 anni luce di distanza; con la sua luce bianca è circa 17 volte più luminosa del Sole.

Denebola è una stella variabile della tipologia Delta Scuti, con una luminosità che varia leggermente nel giro di poche ore.

Da studi cinematici risulta che Denebola potrebbe essere una componente di un’associazione stellare di cui fanno parte anche Alpha Pictoris, Beta Canis Minoris e l’ammasso aperto IC 2391.

GLI OGGETTI DEL PROFONDO CIELO NELLA COSTELLAZIONE DEL LEONE

La costellazione del Leone ospita diversi oggetti non stellari come le galassie M65, M66, M105 e NGC 2903. Quest’ultima, oltre ad essere una galassia a spirale barrata, è anche l’oggetto più brillante della costellazione. Inoltre, visibile anche attraverso un piccolo telescopio, vi è la grande galassia ellittica NGC 3607.

Le Galassie M66, M65 e NGC 3628  formano il Tripletto del Leone, che si trova a 35 milioni di anni luce dalla Terra.

Tripletto ripreso da Salvo Lauricella

Entro i confini della costellazione sono stati scoperti anche diversi sistemi planetari: attorno alla nana rossa Gliese 436, posta a 33 anni luce dal Sole, orbita un pianeta la cui massa è simile a quella di Nettuno; vi è poi la stella HD 102272 attorno alla quale orbitano due pianeti di tipo gioviano.

La Costellazione del LEONE NELLA MITOLOGIA

Nota già ai tempi dei Babilonesi per la sua identificazione con il Sole, poiché ospitava il Solstizio d’Estate, la costellazione del Leone è mitologicamente legata alla figura di Ercole.

Secondo il mito, la dea Era possedeva un famelico leone che tormentava il popolo di Nemea. Il leone, dotato di una spessa e invulnerabile pelliccia, sembrava essere immune a qualsiasi arma.

Leone ed Ercole Crediti: MARCO ANTONIO PRESTINARI

Nell’impresa di cacciarlo e ucciderlo vi riuscì solamente Ercole, che dopo aver sconfitto la feroce bestia, la scuoiò, indossando da quel momento la pelliccia impenetrabile del leone. La fierezza dell’animale fu tramutata in stelle da Zeus, che collocò la sua figura sulla volta celeste.

 

La Costellazione della Vergine

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Nell’immagine possiamo vedere la larga congiunzione tra la Luna e la stella Spica, nella costellazione della Vergine. Sebbene la separazione tra i due astri sia di poco meno di 7°, la visione sarà senza dubbio molto avvincente. All’orario indicato i due soggetti saranno ad un’altezza tale da poter includere gli elementi del paesaggio negli scatti fotografici. Per esigenze di rappresentazione grafica la Luna appare notevolmente ingrandita.
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Tutte le sere, quando si apre il sipario della notte, nel cielo nero si accendono le stelle e inizia lo spettacolo che da millenni mette in scena storie in cui si muovono eroi dotati di superpoteri, mostri e ibridi da fantascienza, fanciulle più divine che terrestri: tutti impegnati in un repertorio d’amori e d’avventure ai confini della realtà.

Margherita Hack

La Costellazione della Vergine

Tra le costellazioni che interessano il cielo di aprile partiamo dalla Vergine, che culmina a mezzanotte verso metà mese.

Si tratta di una costellazione molto estesa, (circa 1300 gradi quadrati) la seconda più ampia della volta celeste (il primato lo detiene l’Hydra): una figura ricca di oggetti non stellari.

La Vergine è posta tra il Leone e la Bilancia ed è facilmente individuabile grazie alla sua stella più brillante, Spica (alfa Virginis), un astro di colore bianco-azzurro che con la sua magnitudine di 1.04 si colloca al quindicesimo posto tra le stelle più brillanti del cielo notturno.

La stella principale della Costellazione della Vergine: Spica

Spica, situata in direzione della mano della fanciulla (o meglio della spiga di grano che stringe tra le dita) si trova a una distanza di 262 anni luce da noi e insieme alle stelle Arturo del Boote e Denebola del Leone, costituisce uno dei vertici dell’asterismo del Triangolo primaverile.

Tra gli astri che compongono la costellazione, la seconda più luminosa è Porrima (gamma Virginis), una stella doppia di magnitudine apparente di 2.74, le cui componenti sono di pari colore (giallastro); il sistema binario è posto a una distanza di 39 anni luce.

Al terzo posto per luminosità, brilla la stella gigante gialla Vindemiatrix (Epsilon Virginis) o Vendemmiatrice, con magnitudine 2.85 e distante 102 anni luce.

Le origini del suo nome risalgono a più di 2.000 anni fa, quando la stella sorgeva alle prime luci dell’alba a inizio settembre, periodo in cui si svolgeva la vendemmia.

A causa della Precessione degli equinozi, le cose ad oggi sono un po’ cambiate e la stella Vendemmiatrice ha lasciato il posto agli astri della costellazione del Leone.

OGGETTI NON STELLARI NELLA COSTELLAZIONE DELLA VERGINE

Gli oggetti del cielo profondo siti nella costellazione della Vergine sono vari ma affascinanti: uno fra tutti l’ammasso di galassie della Vergine, composto da circa 2.500 membri, facente parte a sua volta del Superammasso della Vergine di cui fa parte anche il Gruppo Locale, ovvero il gruppo di galassie a cui appartiene la nostra Via Lattea; come non citare poi la galassia ellittica M87 e la galassia Sombrero.

M87 (o Virgo A) è una grande galassia ellittica oltre ad essere una forte sorgente radio: la sua caratteristica principale è il Buco Nero Supermassiccio situato al centro della galassia di cui, il 10 aprile 2019, è stata rivelata al mondo l’immagine dell’orizzonte degli eventi.

Con il suo getto relativistico e l’emissione di raggi X e gamma, la galassia M87 rappresenta un importante oggetto di studio nell’ambito dell’astronomia e radio astronomia.

La Galassia Sombrero (M104) è invece una galassia spirale vista di taglio, con un grosso rigonfiamento centrale, situata a 31 milioni di anni luce da noi e posta alla periferia dell’Ammasso della Vergine, la cui appartenenza sembra essere dubbia.

LA COSTELLAZIONE DELLA VERGINE NELLA MITOLOGIA

La costellazione della Vergine viene rappresentata come una ragazza con in mano delle spighe: la figura è da sempre associata al chicco di grano che muore e rinasce, al periodo dei raccolti, alla mietitura, da cui deriva il nome della stella alfa della costellazione, Spica, che è visibile dopo il tramonto verso Ovest proprio durante i mesi primaverili ed estivi.

In ambito mitologico quella della Vergine è una figura che mette d’accordo un po’ tutte le antiche popolazioni, dai sumeri agli egizi, ai greci: essa simboleggia la rinascita, la natura, la fertilità ed è l’emblema dell’incessante ciclo della stagioni e quindi della vita.

Il mito greco ci porta in Sicilia, sulle rive del Lago di Pergusa nella campagna di Enna, dove una giovane fanciulla di nome Proserpina, figlia della dea del frumento Demetra (a cui si associa la Vergine) era intenta a raccogliere dei fiori quando, da una fenditura del terreno, uscì fuori un cocchio trainato da quattro cavalli e condotto dal dio dell’oltretomba Plutone, che rapì la giovane (il famoso ratto di Proserpina) facendone la sua sposa e trascinandola con sé negli inferi, di cui divenne regina.

Demetra, dopo averla cercata ovunque, fu mossa da una disperazione tale da lasciar calare un lungo inverno sulla campagna siciliana, che devastò i raccolti e rese i terreni non più fertili.

Dopo qualche tempo la dea interpellò il dio del Sole, Elio, che era stato testimone del rapimento di Proserpina; fu allora che Demetra si recò da Giove minacciando di far morire ogni forma di vita presente in natura se non le fosse stata restituita sua figlia.

Plutone, incalzato da Giove, acconsentì a rendere la fanciulla a sua madre, bluffando: egli infatti offrì a Proserpina un melograno avvelenato di cui ne mangiò però solo pochi semi; così gli dei, mossi dalle minacce di Demetra, stabilirono un compromesso: Proserpina avrebbe vissuto per sei mesi negli inferi con Plutone e per sei mesi con sua madre sulla Terra. Questo entrare ed uscire dalla luce simboleggia il ciclo della natura, del seme che muore e rinasce, senza mai una fine.

La Costellazione dei Gemelli

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Caro Marzo
Entra, Come sono felice
Ti aspettavo da tanto
Posa il Cappello
Devi aver camminato
Come sei Affannato..

La Costellazione dei Gemelli

In bilico tra l’inverno e la primavera, il cielo di marzo ci regala un mix di costellazioni ancora in grado di offrirci spunti di osservazione e fotografia astronomica.

Insieme ad Orione, Auriga e Toro, nel cielo di marzo ritroviamo la costellazione dei Gemelli che, con le stelle Castore e Polluce, ci accompagna per tutta la notte splendendo alta in direzione Sud-Ovest e tramontando infine poco prima dell’alba.

Castore, con magnitudine 1,6 e distante circa 52 anni luce da noi, è composta da 3 coppie di stelle aventi una complessa interazione gravitazionale tra loro; sebbene venga indicata come α Geminorum, la stella è in realtà meno luminosa di Polluce (i due astri che rappresentano le teste dei gemelli zodiacali).

Polluce (β Geminorum) è una gigante di colore arancione avente magnitudine 1,15 e situata a circa 34 anni luce da noi: si tratta della gigante a noi più vicina.

Le Stelle più importanti della Costellazione dei Gemelli: CASTORE E POLLUCE

Un po’ controversa è la classificazione delle due stelle alfa e beta della costellazione dei Gemelli: benché Polluce sia più brillante – tanto da occupare il 17° posto nella lista delle 20 stelle più luminose del cielo notturno – come già anticipato è Castore la stella alfa della costellazione. Gemelli diversi stando alle loro sostanziali differenze e considerando i 10 anni luce che li separano.

Fin dalla mitologia è sempre Castore ad essere nominato prima di Polluce e anche l’autore del primo atlante celeste, Johann Bayer, decise di assegnare il ruolo di stella alfa dei Gemelli proprio a Castore, “rifilando” così il posto di stella beta a Polluce, eterno secondo tra i due fratelli.

Ma Polluce in realtà è secondo solo sulla carta; il gemello dello Zodiaco, oltre a essere rivestito di maggior luce, si è preso nel tempo le sue rivincite: si tratta infatti di una delle poche stelle visibili attorno a cui ruota un pianeta.

Circa dieci anni fa infatti è stato scoperto un pianeta gigante gassoso simile a Giove, che compie un’orbita completa attorno alla sua stella in 590 giorni, a cui è stato dato il nome di Polluce b.

OGGETTI NON STELLARI NELLA COSTELLAZIONE DEI GEMELLI

Nella costellazione dei Gemelli si trovano anche altre stelle molto più luminose di Castore e Polluce, ma più distanti quindi meno brillanti, come Alhena e Mebsuta. La prima è una stella subgigante bianca di magnitudine 1,93 distante 105 anni luce da noi; la seconda è una supergigante gialla di magnitudine assoluta – 4,15 distante circa 903 anni luce da noi.

Nei Gemelli sono collocati degli oggetti celesti non stellari: stiamo parlando dell’ammasso aperto M35, gli ammassi aperti IC 2157 e NGC 2158 e la bellissima Nebulosa Medusa (IC 443), un resto di supernova esploso in un periodo tra i 3.000 e i 30.000 anni fa.

Attraverso l’impiego di un buon telescopio e camera di ripresa, questi oggetti possono essere osservati e fotografati anche dagli astrofili che si approcciano al cielo profondo: già con un binocolo M35 può essere individuato come l’ammasso più brillante della costellazione dei Gemelli, composto da circa 250 stelle;utilizzando invece un telescopio sarà  possibile identificare un maggior numero di stelle.

Interessante soggetto per gli astrofotografi è sicuramente la Nebulosa Medusa, che si rivela agli appassionati attraverso il telescopio (e a un lavoro di post produzione necessario, come sempre in astrofotografia, per definirne tutti i dettagli).

 

La Costellazione dei GEMELLI NELLA MITOLOGIA

I due gemelli per antonomasia sono protagonisti di varie pagine di mitologia greca: al centro delle vicende c’è sempre Zeus, il padre degli dei e inguaribile seduttore.

Quando una donna diventava oggetto delle sue brame, Zeus era disposto a tutto e spesso ricorreva al metodo delle metamorfosi in animali.

Avendo perso la testa per Leda, nipote di Ares e regina di Sparta, si trasformò in cigno e la possedette mentre la giovane donna passeggiava sulle rive del fiume; dall’uovo concepito (anzi, presumibilmente due uova) vennero alla luce quattro bambini, ma poiché Leda quella stessa notte giacque con suo marito il re Tindaro, non v’è certezza sulla reale paternità e quindi divinità dei gemelli.

Furono così attribuiti a Zeus i gemelli immortali Polluce ed Elena (di Troia), mentre Tindaro assunse la mortale paternità di Castore e Clitennestra.

Nonostante questa assegnazione, Castore e Polluce furono appellati sia come Dioscuri (cioè figli di Zeus) sia come Tindaridi (figli di Tindaro).

Castore era un grande domatore di cavalli, mentre Polluce era un pugile formidabile. Entrambi nutrivano un forte sentimento fraterno l’uno per l’altro ed erano inseparabili: sempre insieme presero anche parte alla famosa spedizione degli Argonauti e, tra le tante avventure, sfidarono persino Teseo.

La bellissima regina di Sparta : Leda

Ma ci furono degli eventi fatali che li videro coinvolti a un’altra coppia di gemelli, per storie di donne e bestiame: i fratelli Ida e Linceo. In un duello fu Castore ad avere la peggio e Polluce, unico sopravvissuto, dilaniato dal dolore per la morte del suo amato fratello, implorò suo padre Zeus affinché potesse lasciare la Terra insieme a lui. Zeus, impietosito, concesse quindi a Polluce di poter condividere con Castore un abbraccio eterno impresso sul manto celeste nell’omonima costellazione.

 

La Costellazione dell’AURIGA 

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La Costellazione dell’AURIGA

Una della costellazioni che transita al meridiano nel mese di febbraio è l’Auriga.

Si tratta di uno degli oggetti tipici dell’inverno boreale, che si staglia sulla volta celeste in compagnia delle grandi costellazioni come Orione e Toro.

Quella  dell’Auriga è una costellazione settentrionale dalla caratteristica forma di pentagono, la cui parte centrale è attraversata da una porzione di Via Lattea che si delinea in direzione opposta a quella del centro galattico, ma che ospita comunque diversi ammassi e nebulose.

Di certo però la costellazione deve la sua fama alla sua stella più brillante Alfa Aurigae, ovvero Capella: si tratta della sesta stella più luminosa del cielo notturno, di colore giallo, che dista dal Sole quasi 43 anni luce.

Nonostante Capella appaia ad occhio nudo come un singolo astro, in realtà è un sistema multiplo costituito da quattro componenti, raggruppate in due stelle binarie.

OGGETTI NON STELLARI nella Costellazione dell’AURIGA

La costellazione ospita diversi oggetti già osservati da Messier, inseriti nel suo celebre catalogo con il nome di M36, M37 ed M38: si tratta di tre ammassi aperti molto conosciuti, composti da stelle giovani.

La Costellazione dell’AURIGA NELLA MITOLOGIA

Come per ogni altra costellazione e oggetto celeste, anche l’Auriga trova riferimenti nella mitologia: essa viene identificata con la capra Amaltea, rappresentata dalla stella Capella, animale che secondo la mitologia greca allattò Zeus quando venne abbandonato in fasce sull’isola di  Creta.

All’animale e ai suoi capretti venne regalato un posto in cielo, trasformati in stelle come segno di eterna gratitudine.

La Costellazione del Toro e le Pleiadi

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Costellazione del Toro
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Ora era onde ‘l salir non volea storpio
chè il Sole avea il cerchio di merigge
lasciato al Tauro e la notte a lo Scorpio …

Dante, Divina Commedia

La Costellazione del Toro e le stelle principali

Nel cielo di febbraio risplendono luminose le costellazioni dell’inverno boreale.

Uno degli oggetti protagonisti è certamente il Toro: si tratta di una delle costellazioni della fascia dello Zodiaco, compresa tra Ariete e Gemelli e facilmente riconoscibile per la sua forma a V e per la sua stella principale Aldebaran, una gigante arancione grande 40 volte il Sole che con la sua magnitudine +0,95 rappresenta la quattordicesima stella più luminosa del cielo notturno.

Le stelle Elnath e Alheka caratterizzano le corna dell’animale che si estendono verso est, mentre Beta Tauri (Elnath) è una stella che viene attribuita sia alla costellazione del Toro che a quella dell’Auriga, di cui è uno dei vertici del pentagono celeste.

La costellazione del Toro si espande a est/sud-est dove un brillante ammasso aperto (a 150 anni luce da noi) conosciuto con il nome di Iadi, delinea la testa dell’animale; prospetticamente infatti Aldebaran, Alpha Tauri, sembrerebbe appartenere al vicino ammasso delle Iadi, ma in realtà, con il suo scintillio di colore arancio, rappresenta l’occhio del Toro.

Nella Costellazione del Toro e le PLEIADI

M45 o le PLEIADI: UN AMMASSO APERTO NEL CUORE DELL’INVERNO

Alla costellazione del Toro è strettamente associato un altro oggetto, uno dei più interessanti e conosciuti del catalogo Messier, M45, ovvero le Pleiadi.

Si tratta di un ammasso stellare aperto distante 440 anni luce da noi, collocato nella spalla del Toro.

Credit:Davide De Martin & the ESA/ESO/NASA Photoshop FITS Liberator

Senza l’ausilio di telescopi, a patto di osservare lontani da cieli urbani, sono visibili già sette fra le stelle più luminose dell’ammasso, la cui forma rimanda al piccolo carro.

Aiutandosi invece con un binocolo o con un telescopio si scopre che l’ammasso è molto più esteso, sono centinaia le stelle, in prevalenza giganti blu e bianche, che compongono l’ammasso; stelle legate da un’origine comune e da reciproche forze gravitazionali.

Nelle fotografie a lunga esposizione o all’oculare di un telescopio di apertura considerevole, non è difficile notare dei piccoli aloni che circondano i singoli oggetti luminosi: si tratta di nubi di polvere, dette nebulose a riflessione, illuminate dalle stelle.

M45 prende parte alla sfilata degli oggetti più belli e suggestivi del cielo invernale, attirando sempre molta curiosità negli amanti del cielo, poiché l’ammasso è spesso protagonista di congiunzioni con la Luna o con pianeti come Marte e Venere.

Come si chiamano le stelle che compongono l’ammasso delle Pleiadi?

Le Pleiadi sono anche circondate da numerosi riferimenti mitologici, esse vengono chiamate sovente le “sette sorelle”, rappresentate come ninfe della montagna, figlie di Atlante e l’oceanina Pleione: Alcione, Asterope, Celeno, Elettra, Maia, Merope e Taigeta.

Anche Pascoli ne fece riferimento nel Gelsomino Notturno: “La Chioccetta per l’aia azzurra va col suo pigolìo di stelle”.

Il poeta paragonò le Pleiadi a una chioccia che si trascina dietro una covata di pulcini intenti a pigolare.

Immagine curiosa ma d’effetto, che intende ricreare la melodia degli astri in una notte stellata.

OGGETTI DEL PROFONDO CIELO NELLA COSTELLAZIONE DEL TORO: LA NEBULOSA GRANCHIO

In direzione della stella Alheka, si trova uno degli oggetti più importanti in campo astronomico e nell’astronomia a raggi X: è persino il primo oggetto del Catalogo Messier, M1, meglio nota con il nome Nebulosa del Granchio. (vedi Coelum Astronomia 254 di febbraio/marzo 2022)

L’oggetto, dalla forma ad anello, si trova a circa 6500 anni luce dal Sistema Solare ed è ciò che resta dell’esplosione di una Supernova.

Durante la fase finale della sua vita la stella Supernova 1054ha espulso una grande quantità di materiali ferrosi e gas, generando un’esplosione in grado di proiettare tutti i propri frammenti a una grande distanza, che ancora oggi viaggiano a una velocità che sfiora i circa 1500 km/s.

Oggi il centro della nebulosa ospita ciò che resta della stella esplosa, una potente stella di neutroni che ruotando su sé stessa crea l’effetto pulsar.

L’esplosione della supernova 1054 non rimase inosservata.

Il 4 luglio del 1054 gli astronomi cinesi furono i primi ad accorgersi del nuovo astro apparso in cielo ed ebbero la fortuna di assistere al bagliore prodotto dall’esplosione per lungo tempo.

Visibile persino di giorno grazie ad una magnitudine dell’oggetto compresa tra −7 e −4,5 (per contro Sirio, la stella più luminosa del nostro cielo, ha una magnitudine apparante di solo -1.40).

Con così tanti dati a disposizione su questo oggetto, la Nebulosa Granchio è spesso impiegata dagli astronomi come elemento di calibrazione nell’astronomia a raggi X e negli studi dell’universo alle altissime energie.

M1 può essere individuata facilmente già con un binocolo, o ancor meglio con un telescopio anche amatoriale, dove apparirà come una macchia debole e chiara, ma caratterizzata da una luminosità poco omogenea.

LA COSTELLAZIONE DEL TORO NELLA MITOLOGIA

Il Toro è una delle costellazioni più antiche di cui si trovi traccia.

Ben 5.000 anni fa infatti il punto Gamma che indica l’equinozio di primavera, si trovava proprio in questa costellazione, nei pressi della stella Aldebaran.

Citazioni si trovano negli scritti dei Sumeri ove la figura zodiacale assumeva connotazioni mitologiche e si rendeva protagonista di storie d’amore conflittuali.

Per gli antichi egizi invece i tori erano figure mitologiche da venerare.

Nell’antica Grecia il mito del Toro fu associato al Minotauro, frutto del tradimento consumato da Pasifa e con il sacro Toro di Creta alle spalle del marito Minosse.

Ma la storia è molto più avvincente.

Sembra infatti che Zeus si fosse innamorato della principessa fenicia Europa, e che decise (come sempre) di sedurla, ricorrendo a ogni mezzo possibile.

Così, mentre la bella Europa si trovava sulla spiaggia ingenua e spensierata in compagnia delle sue ancelle, vide arrivare un bellissimo toro bianco, animale in cui Zeus nel frattempo si era trasformato per non destare sospetto nella principessa.

La fanciulla, ignara della vera natura dell’animale, ne fu talmente attratta da salirvi in groppa e da lasciarsi trasportare fino a raggiungere l’isola di Creta, dopo aver galoppato attraverso il mare.

Ma una volta giunti a destinazione la  giovane principessa fece un’amara scoperta: Zeus infatti le si manifestò nelle sue reali sembianze, abusando di lei.

Dall’unione infelice nacquero Minosse, Radamanto e Sarpedonte.

 

La Costellazione del CANE MINORE

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Procione
La calda luce di Procione in Cane Minore. 2 miliardi di anni di età, 11 anni luce dalla Terra. Telescopio Remoto UAI (ASTRA #2, Newton, 800 mm f/4 & SBIG ST10XME su Avalon M uno, Castiglione del Lago, PG). Giorgio Bianciardi.
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Inizia il nuovo anno. Gennaio è il mese della contemplazione e dell’attesa

Tra i sentieri celesti del mese di gennaio incontriamo il Cacciatore Orione, i suoi Cani da Caccia e una moltitudine di stelle a rischiarare le notti gelide dell’inverno.

La Costellazione del CANE MINORE NEL CIELO INVERNALE

Tra le Costellazioni da osservare ne mese di gennaio c’è anche quella del Cane Minore, che fa parte delle figure astronomiche al seguito della costellazione di Orione.

Si tratta di un piccolo oggetto composto da pochi astri, ovvero dalla sua stella alfa, Procione, da Gomeisa (β Canis Minoris) e da γ Canis Minori.

Le Stelle della Costellazione del Cane Minore

α Canis Minori è una stella binaria, posta a 11 anni luce da noi, il che ne fa una stella molto brillante proprio per la sua vicinanza: il sistema è composto dalla stella bianco-gialla Procione A e da una debole nana bianca, Procione B.

Procione è l’ottava stella più luminosa del cielo notturno, con una magnitudine apparente di +0,38.

Insieme a Sirio (Cane Maggiore) e a Betelgeuse(Orione), Procione rappresenta uno dei tre vertici dell’asterismo del Triangolo Invernale.

Trattandosi di una costellazione molto piccola, quella del Cane Minore non contiene molti oggetti del profondo cielo: tuttavia si segnala la galassia a spirale NGC 2485, un oggetto la cui individuazione è molto ardua.

La Costellazione del CANE MINORE NELLA MITOLOGIA

Secondo una versione della mitologia greca il Cane Minore rappresenta uno dei due cani da caccia di Orione: tuttavia ci sono altre leggende che collocano il Cane Minore nella figura  di Mera, il fedele cane di Icario, un contadino dell’Attica che ospitò il dio Dioniso, che in segno di gratitudine gli insegnò la coltivazione della vite e l’arte di produrre il vino.

Secondo Igino, Icario spillò il vino da una botte e lo offrì ad alcuni pastori, i quali ne bevvero in grandi quantità: travolti dallo stato di ubriachezza, i pastori credettero di essere stati avvelenati e, ormai fuori controllo, si scagliarono contro il povero Icario, uccidendolo.

Il cane di Icario, Mera, avendo assistito a quella barbarie, corse ululando disperatamente dalla figlia del suo padrone, Erigone, aggrappandosi alle sue vesti e conducendola dal padre, ormai esanime.

Giunta sul posto Erigone non poté reggere a quel dolore e si tolse la vita.

Il cane, ormai solo, si lasciò morire sulla tomba del suo padrone; Zeus, padre degli dei, decise allora di omaggiare i protagonisti di quella sfortunata vicenda, ponendoli tra le stelle, raffigurando così Icario con la costellazione del Boote, Erigone con quella della Vergine e Mera con fedele il Cane Minore.

La Costellazione di Orione: dove si trova e la Cintura di Orione

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L'immagine mostra la posizione di Betelgeuse nella costellazione di Orione. È facilmente visibile anche ad occhio nudo essendo una stella non solo supergigante ma anche "vicina". Crediti: ESO/N. Risinger (skysurvey.org)
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LA COSTELLAZIONE DI ORIONE

Ogni stagione ha una costellazione protagonista di quel palcoscenico chiamato cielo: quella di Orione domina senza dubbio il mese di gennaio e, probabilmente, rappresenta una delle costellazioni più conosciute e identificabili, anche dai semplici appassionati di astronomia.

Betelgeuse, stella alfa della Costellazione di Orione

Situata vicino al fiume Eridano (vedi costellazioni di dicembre) nell’atto di combattere con il Toro, quella di Orione non è solo una costellazione affascinante da osservare e fotografare, ma si tratta di uno degli oggetti astronomici più interessanti e studiati, a cominciare da Betelgeuse, stella alfa di Orione: si tratta di una supergigante rossa grande quasi 1000 volte più del Sole e distante circa 600 anni luce dalla Terra.

L’astro rappresenta il vertice nord-orientale di Orione, e brilla nel cielo invernale con il suo inconfondibile colore rosso-arancio. Betelgeuse è al centro dell’interesse degli astronomi già da diversi anni, in costante monitoraggio poiché alla fine del suo ciclo vitale potrebbe esplodere in supernova.

Sirio del Cane Maggiore e a Procione del Cane Minore, Betelgeuse costituisce uno dei vertici del Triangolo Invernale

Insieme a Sirio del Cane Maggiore e a Procione del Cane Minore, Betelgeuse costituisce uno dei vertici del Triangolo Invernale, un asterismo da ammirare proprio nel cielo di gennaio.

Betelgeuse è la decima stella più brillante del cielo notturno e rappresenta sì la stella principale di Orione ma, in realtà, è la seconda più luminosa della costellazione dopo Rigel (Beta Orionis), una supergigante blu nonché il settimo astro (o meglio un sistema stellare) più brillante della volta celeste.

LA CINTURA DI ORIONE caratteristica della Costellazione di Orione

Trovandosi a cavallo dell’equatore celeste, Orione è ben visibile da tutto il pianeta ed è una costellazione affascinante grazie anche alla sua famosa “cintura”, data dall’allineamento delle tre stelle che la compongono Alnitak, Alnilam e Mintaka.

LA NEBULOSA DI ORIONE

Poco sotto alla cintura del cacciatore Orione e al centro dell’asterismo della Spada, individuabile nelle stelle disposte verticalmente a sud della cintura, si trova uno degli oggetti più conosciuti, osservati efotografati (anche dai principianti) del catalogo Messier: M42 o Nebulosa di Orione.

Immagine della nebulosa di Orione catturara dal James Web

Posta a circa 1500 anni luce dalla Terra, M42 è un oggetto talmente brillante da essere intuibile anche ad occhio nudo per poi rivelarsi già attraverso l’utilizzo di macchine fotografiche, binocoli e telescopi anche per chi volesse approcciarsi senza dover necessariamente dover spendere una fortuna in attrezzature astronomiche.

Di recente il telescopio spaziale James Webb ci ha regalato una straordinaria immagine (l’ennesima) di M42, grazie alla sua fotocamera a infrarossi NIRCam (Near InfraRed Camera), rivelando dettagli mozzafiato.

Cos’è la Cintura di Orione?

La Cintura di Orione è avvolta all’esterno dall’Anello di Barnard, un imponente anello di nebulosità che dista circa 1600 anni luce dalla Terra e che ha una dimensione di 300 anni luce di diametro.

Si tratta del resto di una supernova esplosa probabilmente circa 2 milioni di anni fa, ed è apprezzabile tramite un telescopio o una fotografia a lunga esposizione.

M42 (oltre ad importanti e noti oggetti come la Nebulosa Fiamma e la nube oscura Nebulosa Testa di Cavallo) fa parte delpiù famoso complesso nebuloso molecolare del cielo, denominato proprio Complesso Nebuloso Molecolare di Orione, in cui hanno origine importanti processi di formazione stellare.

Esso si estende ampiamente sulla volta celeste tra la cintura e la spada di Orione ed è una delle regioni di formazione stellare più attive.

Regione Interna di M42 ripresa dal JWST

La Costellazione di ORIONE NELLA MITOLOGIA

Essendo una delle costellazioni più  antiche, sono tanti i miti e le leggende che avvolgono Orione: figlio di Euriale e Posidone, Orione era un vigoroso ed abile cacciatore, sempre accompagnato dai suoi fedeli cani da caccia, in particolare Sirio.

Le sue avventure sono legate principalmente a storie d’amore (e di vino) a causa delle quali si trovava spesso a dover combattere e scagliarsi contro i suoi rivali, arrivando persino a perderela vista, che riacquistò grazie ad Eos, la dea dell’aurora.

Una delle tante storie vede Orione incapricciato delle sette sorelle mitologiche, le Pleiadi, che si salvarono dalle molestie del cacciatore grazie all’intervento di Artemide che, folle di gelosia, fece pungere Orione da un velenosissimo Scorpione.

Orione è raffigurato a combattere con il Toro,

posto a difesa delle sette sorelle mitologiche.

Ma poiché le storie d’amore tormentate piacciono sempre tanto, la vicenda che più di tutte appassiona è quella che lega Orione ad Artemide, dea cacciatrice e tiratrice d’arco, impersonificata nella Luna Crescente.

Arrivato insieme alla sua amante Eos a Delo, l’isola sacra al dio Apollo, Orione fece l’incontro di Artemide. Accomunati dalla passione del tiro con l’arco, il cacciatore e la bellissima sorella gemella di Apollo non impiegarono molto tempo ad innamorarsi.

Ma questa passione proprio non andava giù ad Apollo, che considerava l’arrivo di Orione sulla sua isola e la relazione con Artemide una sorta di profanazione: il dio invocò l’aiuto della Madre Terra, che scatenò sul cacciatore la furia di un gigante e velenosissimo scorpione, figura dalla quale il cacciatore è eternamente inseguito sulla volta celeste.

Per non soccombere al velenoso attacco contro il quale nulla gli valsero le sue frecce, la sua armatura e la sua abilità, Orione si gettò in mare, dove il suo destino fu determinato dal perfido piano messo in atto dal geloso Apollo.

Mentre il cacciatore nuotava a pelo d’acqua, di notte, Apollo diede in mano ad Artemide l’arco invitandola a puntare la freccia in un punto poco visibile al largo; scagliando con abilità la fatale freccia, Artemide colpí a morte Orione.

Disperata per aver ucciso il suo amato, le sue lacrime trovarono la pietà di Zeus, che trasformò Orione in una luminosa costellazione e lo collocò tra gli astri affinché la sua amata Artemide potesse contemplarlo ogni sera.

BEYOND THE STARS mostra di Luca Reggiani

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Voglio vederle anch’io quelle galassie e nebulose che vedo nelle foto della Nasa!

 

Ecco quello che mi sono detto, incantato da quelle immagini, ignaro del fatto che oggetti così lontani appaiono molto più vicini di quanto ci si possa aspettare.

Mi è sempre sembrato un mondo complicato e difficile, ed in effetti per un certo senso lo è, i telescopi, gli accessori, le luci, il trasporto, gli obiettivi, mille fattori e cose da tenere a mente, anche se l’arrivo della fotografia digitale e delle montature elettroniche ha reso tutto più accessibile. Ed eccomi qua ora a “vagare” tra le stelle, cercando di catturare e sentir un po’ più mio quello che c’è lassù.

Spesso mi chiedono dove trovi la voglia per passare tutte quelle notti insonni trascorse a raccogliere dati e fotografie e nel rispondere mi rendo conto vorrei condividere il “privilegio” di vedere tutta la bellezza del cosmo con gli altri, per sognare insieme anche fosse solo per qualche secondo, e ricordare che c’è molto di più di ciò che riusciamo a vedere là fuori.

Mostra di Astrofotografia a Mirandola dell’autore Luca Reggiani

Perdersi dove nascono le stelle prendono forma e come essi plasmani le nubi di gas e polveri con i loro impetuosi venti solari.

Spiare il loro ultimo istante di vita ed i loro eleganti resti, temporanea testimonianza di quello che fu una volta un sole. Non puoi rimanere insensibile a tutta questa poesia.

Il 18/19 maggio 2024, presso la Sala “Edmondo Trionfini” a Mirandola (Modena) vi porto con me in questo incredibile viaggio!

Luca Reggiani, ai più noto come Latitude 44.5 e autore social di Coelum, vi aspetta, ricco di entusiasmo e soddisfazione,  alla sua prima esposizione di scatti con le migliori immagini di oggetti del deepsky.

Ci sarà anche una piccola conferenza sul come è nata e come si fa astrofotografia.

Spero di avervi convinto a venire con me, Beyond the stars!”

Informazioni utili:

– ingresso è gratuito!
– gli orari dalle 10:00 alle 18:30 per entrambi i gg
– presentazione e conferenza: sabato ore 10:30 e 16:30.
– si ringrazia la “Sala Trionfini” di Mirandola e l’associazione “amici della biblioteca Eugenio Garin” di Mirandola.
Per contattare Luca Reggiani Instagram

Asteroide: Definizione e significato – Dizionario di Astronomia

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Rappresentazioine artistica dell'asteroide
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Asteroide: Definizione e significato

Che cos’è un asteroide?

Un asteroide è un corpo celeste roccioso in orbita attorno al Sole. Sono tipicamente molto più piccoli dei pianeti, con un diametro che va da pochi metri a centinaia di chilometri. La maggior parte degli asteroidi si trova nella fascia principale degli asteroidi, situata tra Marte e Giove. Tuttavia, ci sono asteroidi che si trovano anche in altre regioni del Sistema Solare, come vicino alla Terra o oltre l’orbita di Nettuno.


Modello tridimensionale dell’asteroide (357) Ninina
Modello tridimensionale dell’asteroide (357) Ninina

Quanti asteroidi ci sono?

Si stima che ci siano miliardi di asteroidi nel Sistema Solare. Fino ad oggi, ne sono stati scoperti oltre un milione, e ogni giorno ne vengono scoperti di nuovi. Gli asteroidi più grandi, come Cerere e Vesta, sono stati scoperti già all’inizio del XIX secolo, mentre gli asteroidi più piccoli, come quelli che potrebbero potenzialmente colpire la Terra, vengono scoperti grazie a telescopi sempre più potenti.

Come si sono formati gli asteroidi?

La teoria più diffusa sulla formazione degli asteroidi è che siano i resti della nebulosa solare, la nube di gas e polveri che ha dato origine al Sistema Solare circa 4,6 miliardi di anni fa. Durante la formazione dei pianeti, la maggior parte della materia si è accentrata nei nuclei che poi sono diventati i pianeti, mentre la materia rimanente si è aggregata in corpi più piccoli, come gli asteroidi.

Dove si trovano gli asteroidi?

La maggior parte degli asteroidi si trova nella fascia principale degli asteroidi, tra Marte e Giove. Questa regione è composta da milioni di asteroidi, di cui solo pochi hanno un diametro superiore a 100 chilometri.

La Fascia di Kuiper: Una Frontiera Gelata del Sistema Solare

La fascia di Kuiper è una vasta regione a forma di anello che si trova oltre l’orbita di Nettuno, il pianeta più lontano dal Sole nel nostro Sistema Solare. È composta da milioni di oggetti ghiacciati, simili a comete, che si ritiene siano resti della formazione del Sistema Solare miliardi di anni fa.

Posizione e Dimensioni

La fascia di Kuiper si estende approssimativamente tra le 30 e le 55 unità astronomiche (AU) dal Sole. Un’unità astronomica (UA) è la distanza media tra la Terra e il Sole, pari a circa 150 milioni di chilometri. Quindi, la fascia di Kuiper inizia a una distanza dal Sole oltre 4,5 miliardi di chilometri e si estende per miliardi di chilometri oltre quello.

Composizione della Fascia di Kuiper

La fascia di Kuiper è popolata da un’enorme quantità di oggetti ghiacciati, principalmente composti da acqua ghiacciata, metano e ammoniaca. Questi oggetti variano notevolmente in dimensioni, con alcuni che raggiungono un diametro di oltre 1.000 chilometri, come il famoso pianeta nano Plutone. Tuttavia, la maggior parte degli oggetti della fascia di Kuiper sono molto più piccoli, con dimensioni inferiori a 100 chilometri.

Origine della Fascia di Kuiper

Si ritiene che la fascia di Kuiper sia composta dai detriti rimanenti dalla formazione del Sistema Solare circa 4,6 miliardi di anni fa. Durante la formazione dei pianeti, la maggior parte della materia si è creata nei pianeti, mentre i detriti rimanenti, principalmente ghiaccio e roccia, sono stati spinti verso le regioni esterne del Sistema Solare dalla potente gravità dei pianeti giganti come Giove e Saturno. Questi detriti ghiacciati si sono poi aggregati per formare gli oggetti della fascia di Kuiper.

La Fascia di Kuiper e le Comete

La fascia di Kuiper è considerata una fonte importante di comete. Si pensa che alcune perturbazioni gravitazionali, come quelle causate da un vicino passaggio di una stella o un pianeta gigante, possano destabilizzare l’orbita di un oggetto della fascia di Kuiper e spingerlo verso il Sistema Solare interno. Quando ciò accade, il calore del Sole fa sublimare il ghiaccio presente sull’oggetto, creando la chioma e la coda che caratterizzano una cometa.

Oggetti Importanti della Fascia di Kuiper

Oltre a Plutone, la fascia di Kuiper ospita altri oggetti celesti di notevole dimensione, come Eris, Haumea e Makemake, classificati come pianeti nani. Questi oggetti sono abbastanza massicci da avere una propria gravità che li ha resi sferici. La fascia di Kuiper è inoltre ricca di oggetti transnettuniani più piccoli, come le comete di corto periodo che orbitano attorno al Sole in meno di 200 anni.

Esplorazione della Fascia di Kuiper

La fascia di Kuiper è una regione lontana e ancora in gran parte inesplorata. Tuttavia, diverse missioni spaziali hanno ampliato la nostra conoscenza di questa zona del Sistema Solare. La missione New Horizons della NASA, lanciata nel 2006, è stata la prima a sorvolare Plutone nel 2015, fornendo immagini e dati dettagliati sul pianeta nano e sul suo sistema di lune. Altre missioni spaziali future sono previste per esplorare ulteriormente la fascia di Kuiper e i suoi oggetti misteriosi.

Istituti Nazionali per Informazioni Ulteriori

Oltre alla fascia principale, ci sono asteroidi che si trovano in altre regioni del Sistema Solare:

  • Asteroidi Near-Earth: Sono asteroidi che si avvicinano periodicamente alla Terra. Alcuni di questi asteroidi sono potenzialmente pericolosi per il nostro pianeta, in quanto potrebbero colpirlo in futuro.
  • Asteroidi Trojani: Si trovano in due punti di equilibrio gravitazionale lungo l’orbita di Giove.
  • Centauri: Sono asteroidi che orbitano tra Giove e Nettuno.
  • Oggetti Transnettuniani: Si trovano oltre l’orbita di Nettuno, tra cui Plutone e la fascia di Kuiper.

Gli asteroidi potenzialmente pericolosi e la difesa planetaria

Un asteroide potenzialmente pericoloso (PHA) è un asteroide che ha un diametro superiore a 150 metri e che si avvicina alla Terra entro una distanza di 0,02 unità astronomiche (circa 3 milioni di chilometri). Si stima che ci siano circa 25.000 PHA nel Sistema Solare.

La difesa planetaria è un settore dell’astronomia che si occupa di individuare e monitorare gli asteroidi potenzialmente pericolosi e di sviluppare strategie per deviare o distruggere quelli che potrebbero colpire la Terra. Esistono diverse missioni spaziali in fase di sviluppo per la difesa planetaria, come NEOWISE e NEO Surveyor.

L’origine degli asteroidi

Come già accennato, si ritiene che gli asteroidi siano i resti della nebulosa solare. Tuttavia, la loro origine precisa non è ancora del tutto chiara. Esistono diverse teorie che cercano di spiegare la formazione degli asteroidi, tra cui:

  • Teoria della frammentazione: Secondo questa teoria, gli asteroidi si sarebbero formati dalla frammentazione di planetesimi, ovvero corpi celesti che avrebbero potuto formare dei pianeti ma che non ci sono riusciti a causa di collisioni o altre interazioni gravitazionali.
  • Teoria dell’accrescimento: Questa teoria suggerisce che gli asteroidi si siano formati dall’aggregazione di granelli di polvere e gas nella nebulosa solare.

Puoi leggere anche:

Anche Hubble per la caccia agli asteroidi

Apophis

Kamo’oalewa una nuova conferma

 

L’impatto sul clima degli Astronomi che viaggiano per conferenze

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Località rispetto alle emissioni medie di viaggio per partecipante alle conferenze. Diversi simboli indicano il continente in cui ha avuto luogo l'incontro. Credito: PNAS Nexus (2024).
Tempo di lettura: 3 minuti

Gli astronomi hanno un impatto significativo sul clima viaggiando per conferenze, affermano i ricercatori

Nel 2019, i viaggi globali per partecipare a conferenze accademiche internazionali nel campo dell’astronomia hanno causato l’equivalente di 42.500 tonnellate di emissioni di CO2 dannose per il clima. Ciò equivale in media a una tonnellata di CO 2 per partecipante e conferenza. La distanza totale percorsa ammonta a una somma davvero astronomica: una volta e mezza la distanza tra la Terra e il sole.

Lo ha scoperto un team guidato dalla dottoressa Andrea Gokus della Washington University di St. Louis (Stati Uniti). I ricercatori hanno compilato un set di dati di tutte le 362 conferenze di astronomia conosciute nel 2019 e delle corrispondenti emissioni di viaggio. All’analisi dei dati ha contribuito il Dott. Volker Ossenkopf-Okada, PD, dell’Istituto di Astrofisica dell’Università di Colonia.

Lo studio sull’impatto dei viaggi degli astronomi

Lo studio “Emissioni climatiche dell’astronomia: viaggi globali ai congressi scientifici nel 2019″ è stato ora pubblicato su PNAS Nexus

Una mappa che mostra la distribuzione di tutti gli incontri di astronomia/astrofisica del 2019 nel mondo. Le conferenze sono mostrate come cerchi e le scuole come quadrati. La dimensione di ciascun indicatore corrisponde alla quantità complessiva di emissioni di gas serra legate al viaggio verso ciascuna riunione, mentre la scala di colori indica l’emissione media per partecipante per ciascuna riunione. Un colore più scuro implica un’impronta di carbonio più elevata per persona, correlata ai viaggi su distanze maggiori. Credito: Gokus et al.

Gli autori sottolineano l’importanza del networking e della discussione delle nuove scoperte scientifiche durante le conferenze per far avanzare il campo. Tuttavia, è possibile e necessario apportare modifiche per ridurre gli effetti sul clima. Gli esempi includono conferenze virtuali o la scelta di una sede della conferenza il più vicino possibile alla maggior parte dei partecipanti, in modo che solo pochi partecipanti debbano prendere voli a lunga percorrenza.

Come ridurre le emissioni dei viaggi degli astronomi

È anche importante dare agli astronomi che risiedono lontano dal Nord America e dall’Europa, dove si svolgono la maggior parte delle conferenze di astronomia, l’opportunità di partecipare alle conferenze. Gli autori propongono format ibridi e incontri tenuti in più luoghi collegati virtualmente.

Grafici ad anello nidificati che mostrano il numero di viaggi per conferenze effettuati e divisi per classificazione (breve, medio e lungo raggio) nell’anello interno, rispetto alle emissioni totali prodotte per ciascuna categoria nell’anello esterno. La classificazione “a lungo raggio” comprende i viaggi con distanze ultra lunghe, che rappresentano lo 0,2% di tutti i viaggi e l’1,3% di tutte le emissioni. Credito: Gokus et al.

“Se il meeting dell’American Astronomical Society del 2019 a Seattle si fosse tenuto in quattro hub globali (Seattle e Baltimora negli Stati Uniti, Amsterdam nei Paesi Bassi e Tokyo in Giappone), le emissioni di CO2 avrebbero potuto essere ridotte del 70%”, ha spiegato Gokus. .

“I formati di conferenza virtuali e ibridi sarebbero anche più inclusivi e quindi più efficienti per il nostro campo nel suo complesso, poiché gli astronomi provenienti da istituti e paesi meno ricchi e quelli con doveri familiari non sarebbero più esclusi dalle conferenze a causa dei tempi costosi e dispendiosi in termini di tempo. viaggio”, ha detto Ossenkopf-Okada.

Fonte: Oxford Academic


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Mappata la temperatura superficiale di un pianeta a 280 anni luce

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Il concept di questo artista mostra come potrebbe apparire l'esopianeta gigante gassoso WASP-43 b. Crediti: NASA, ESA, CSA, Ralf Crawford (STScI)
Tempo di lettura: 3 minuti

Il gigante gassoso WASP-43b sotto l’occhio del JWST per indagarne temperatura e rotazione

Un team internazionale di ricercatori ha utilizzato con successo il telescopio spaziale James Webb della NASA per mappare il meteo sull’esopianeta gigante gassoso WASP-43b.

Misurazioni precise della luminosità su un ampio spettro di luce nel medio infrarosso, combinate con modelli climatici 3D e precedenti osservazioni di altri telescopi, suggeriscono la presenza di nuvole spesse e alte che coprono il lato notturno, cieli sereni sul lato diurno e venti equatoriali fino a 5.000 miglia. all’ora che mescolano i gas atmosferici in tutto il pianeta.

WASP-43 b è un esopianeta di tipo “Gioviano caldo”: di dimensioni simili a Giove, composto principalmente da idrogeno ed elio e molto più caldo di qualsiasi pianeta gigante del nostro Sistema Solare. Sebbene la sua stella sia più piccola e più fredda del Sole, WASP-43 b orbita a una distanza di appena 2,1 milioni di km, meno di 1/25 della distanza tra Mercurio e il Sole.

Con un’orbita così stretta, il pianeta è bloccato in base alle maree, con un lato continuamente illuminato e l’altro nell’oscurità permanente. Sebbene il lato notturno non riceva mai alcuna radiazione diretta dalla stella, i forti venti provenienti da est trasportano il calore dal lato diurno.

Dalla sua scoperta nel 2011, WASP-43 b è stato osservato con numerosi telescopi, tra cui l’Hubble della NASA e i telescopi spaziali Spitzer, ora in pensione.

I dati provenienti dallo strumento per il medio infrarosso del telescopio Webb della NASA mostrano il cambiamento della luminosità del sistema stellare e planetario WASP-43. Il sistema appare più luminoso quando il lato caldo del pianeta è rivolto verso il telescopio, e diventa più fioco quando il lato notturno del pianeta ruota per diventare visibile. Credito: Scienza: Taylor J. Bell (BAERI); Joanna Barstow (Università Aperta); Michael Roman (Università di Leicester) Progetto grafico: NASA, ESA, CSA, Ralf Crawford (STScI)

 

Mappatura della temperatura e deduzione del tempo

Sebbene WASP-43 b sia troppo piccolo, fioco e vicino alla sua stella per essere visto direttamente da un telescopio, il suo breve periodo orbitale di sole 19,5 ore lo rende ideale per la spettroscopia con curva di fase, una tecnica che prevede la misurazione di piccoli cambiamenti nella luminosità della stella. 

Poiché la quantità di luce nel medio infrarosso emessa da un oggetto dipende in gran parte da quanto è caldo, i dati sulla luminosità catturati da Webb possono essere utilizzati per calcolare la temperatura del pianeta.

Il team ha utilizzato il MIRI (strumento del medio infrarosso) di Webb per misurare la luce proveniente dal sistema WASP-43 ogni 10 secondi per più di 24 ore. “Osservando un’intera orbita, siamo stati in grado di calcolare la temperatura dei diversi lati del pianeta mentre ruotano e diventano visibili”, ha spiegato Taylor Bell, ricercatore del Bay Area Environmental Research Institute. “Da ciò, potremmo costruire una mappa approssimativa della temperatura in tutto il pianeta”.

Le misurazioni mostrano che il lato diurno ha una temperatura media di quasi 2.300 gradi Fahrenheit (1.250 gradi Celsius), abbastanza calda da forgiare il ferro. Nel frattempo, il lato notturno è significativamente più fresco a 1.100 gradi Fahrenheit (600 gradi Celsius). I dati aiutano anche a localizzare il punto più caldo del pianeta (l’“hotspot”), che è leggermente spostato verso est dal punto che riceve la maggior quantità di radiazione stellare, dove la stella è più alta nel cielo del pianeta. Questo spostamento avviene a causa dei venti supersonici, che spostano l’aria calda verso est.

Fonte: JPL NASA

Pillole di magnetoidrodinamica per brillamenti solari

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Brillamento solare osservato a diverse lunghezze d’onda nell’estremo ultravioletto (EUV). Crediti: NASA/SDO/Wiessinger.
Tempo di lettura: 4 minuti

Studio sul brillamento X8.2 del 10 settembre 2017 per valutare l’impatto del campo magnetico sull’accelerazione delle particelle

I brillamenti solari sono potenti esplosioni di radiazione elettromagnetica e particelle cariche che hanno luogo nell’atmosfera solare. In base al modello standard CSHKP, i brillamenti accompagnati da eiezioni di massa coronale sarebbero caratterizzati dall’emissione di raggi X di tipo hard da parte di elettroni nel plasma solare accelerati fino a velocità relativistiche. Un recente studio discute il meccanismo di accelerazione degli elettroni proposto dal modello CSHKP applicando le formule della magnetoidrodinamica ai dati relativi al brillamento X8.2, avvenuto il 10 settembre 2017. Il risultato è una teoria che sottolinea il ruolo del campo magnetico solare durante il processo di urto terminale piuttosto che le proprietà dinamiche del plasma magnetizzato.

I brillamenti solari (i.e., solar flares) sono eruzioni con durata variabile da minuti ad ore che si verificano localmente e periodicamente nell’atmosfera solare. La loro comparsa è infatti di norma associata al punto di massima attività magnetica di zone della superficie del Sole chiamate macchie solari (i.e., solar spots), il quale si ripete ogni 11 anni, ovvero dopo un intervallo di tempo detto ciclo solare. I brillamenti solari sono spesso accompagnati da altri fenomeni altamente energetici come le eiezioni di massa coronale (i.e., coronal mass ejections), enormi esplosioni di gas ionizzato e plasma provenienti dalla corona, che rappresenta la parte più esterna ed estesa dell’atmosfera solare. Secondo il modello CSHKP, acronimo di Carmichael, Sturrock, Hirayama, Kopp e Pneumann, i brillamenti solari con eiezione di massa coronale sono causati da una rapida riorganizzazione delle linee di campo magnetico all’interno delle regioni attive; ciò implica il ricongiungimento dei flussi magnetici e il conseguente rilascio di una grande quantità di energia sotto forma di radiazione elettromagnetica e di particelle cariche, soprattutto elettroni. La regione in cui avviene tale processo di ricombinazione prende il nome di regione di diffusione, e il plasma magnetizzato che si allontana da essa fuoriesce nella cosiddetta regione di deflusso. Se il plasma ha un alto numero di Alfvén-Mach, (i.e., la sua velocità è elevata rispetto all’intensità del campo magnetico), si genera un’onda d’urto in grado di accelerare gli elettroni al suo interno. Tale meccanismo di accelerazione è noto come accelerazione per deriva degli urti (i.e., shock drift acceleration, SDA), in quanto associato alla regione di urto terminale (i.e., termination shock, TS) in cui l’onda d’urto si propaga.

Variazione della densità numerica di elettroni osservata in funzione dell’energia. La curva tratteggiata rappresenta un plasma con energia di 1.55 keV, mentre quella solida un plasma con energia di circa 20 keV, all’uscita dalla regione di urto terminale. Il nuovo modello proposto dai ricercatori riesce a riprodurre la curva solida, predicendo un’energia minima di 20 keV per gli elettroni accelerati. Crediti: arXiv.

Ma la condizione di plasma super-alfvénico imposta dal modello CSHKP è davvero indispensabile per accelerare gli elettroni fino a velocità relativistiche e a renderli così in grado di riscaldare il mezzo attraversato mediante l’emissione di raggi X di tipo hard? La risposta giunge da un gruppo di astronomi austro-tedesco, sulla base dei dati relativi al brillamento X8.2, datato 10 settembre 2017, il più energetico finora osservato. Assumendo come riferimento le misure estremamente precise di campo magnetico, temperatura e densità numerica di elettroni, relativistici e non, fornite dall’Expanded Owens Valley Solar Array (EOVSA) per tale evento, costoro hanno determinato i parametri del TS utilizzando le relazioni di Rankine-Hugoniot. Si tratta di equazioni che descrivono il comportamento di un plasma in presenza di una discontinuità, ossia di un repentino cambiamento delle grandezze fisiche che lo caratterizzano a causa, per esempio, di un’onda d’urto. Esse vengono pertanto definite anche “condizioni di salto” dallo stato precedente a quello successivo allo shock. Nello specifico, dalle relazioni di Rankine-Hugoniot emerge che il plasma in X8.2 entri nella regione di deflusso con una velocità di circa 8342 km/s, trascurabile rispetto al valore del campo magnetico solare: ciò si traduce in un basso numero di Alfvén-Mach, ad indicare quindi la predominanza del campo magnetico rispetto alla velocità del plasma magnetizzato. Ora, il fatto che il plasma giunga con una simile velocità nella regione di urto terminale e provochi un notevole salto nella temperatura nel momento d’interazione con lo shock contraddice la predizione del modello CSHKP. Infatti, tale brusco aumento di temperatura sarebbe sufficiente a fornire agli elettroni del plasma confluito nella regione di deflusso l’energia cinetica necessaria per portarli in regime relativistico all’arrivo nella regione di urto terminale. Stando alle stime degli scienziati, un’energia pari a circa 641 keV sarebbe allora attribuita a ciascun elettrone. Questo risultato ben si accorda con le misure di EOVSA, il quale riporta un numero di circa 1.6 x 10^4 elettroni con energie maggiori di 300 keV nella regione di deflusso per l’evento X8.2. Ciò dimostra dunque che basta un campo magnetico particolarmente forte nella regione di urto terminale per ottenere degli elettroni relativistici, nonostante il plasma magnetizzato non nasca con un alto numero di Alfvén-Mach. Tali elettroni, che costituiscono approssimativamente il 58% del totale uscente dalla regione di urto terminale dopo aver acquisito un’energia minima pari a 20 KeV nel caso del brillamento X8.2, giustificherebbero la potente emissione di raggi X di tipo hard rilevata a seguito dell’esplosione.

In conclusione, la generazione di elettroni relativistici in un plasma magnetizzato sembra poter avvenire anche attraverso il riscaldamento di questo durante il TS, senza bisogno di ricorrere al meccanismo di SDA ipotizzato dal modello CSHKP. Questa nuova teoria trova conferma nei dati sperimentali riguardanti il brillamento solare X8.2 del 10 settembre 2017, che suggeriscono l’esistenza di elettroni altamente energetici come fonte di raggi X di tipo hard, ed evidenzia l’importanza del campo magnetico nell’accelerazione di particelle cariche.

Fonte: arXiv.

Il Cielo di Maggio 2024

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Tempo di lettura: 6 minuti

IL CIELO DI MAGGIO 2024

Mappa celeste del cielo di maggio

Mappa del cielo alle ore (TMEC): 01 Mag > 23:00   15 Mag > 22:00  31 Mag > 21:00

 

COSTELLAZIONI DI MAGGIO 2024

Sulla volta celeste primaverile di maggio, incontriamo due tra le più emblematiche costellazioni a noi note: la Vergine e il Boote.

Tutte le descrizioni sono in Le Costellazioni del mese di Maggio

a cura di @teresamolinaro

I principali eventi di Maggio 2024 (pubblicati nell’Almanacco 2024 distribuito in omaggio a tutti gli abbonati)

Data Ora Cosa Come
01/05/2024 13:27 Luna Ultimo Quarto
04/05/2024 00:31 Congiunzione Luna-Saturno
04/05/2024 20:54 Congiunzione Luna-Nettuno
05/05/2024 04:24 Congiunzione Luna-Marte
05/05/2024 08:08 Massimo Eta Aquaridi
05/05/2024 23:54 Luna Nodo Ascendente
06/05/2024 00:10 Luna Perigeo
07/05/2024 18:02 Congiunzione Luna-Venere
08/05/2024 05:21 Luna Nuova
08/05/2024 13:23 Marte Perielio
08/05/2024 20:14 Congiunzione Luna-Giove
09/05/2024 01:34 Congiunzione Luna-Pleiadi
13/05/2024 00:55 Congiunzione Luna-Polluce
13/05/2024 12:45 Urano Congiunzione
14/05/2024 01:25 Congiunzione Luna-Presepe
15/05/2024 13:47 Luna Primo Quarto
15/05/2024 21:23 Congiunzione Luna-Regolo
17/05/2024 20:59 Luna Apogeo
18/05/2024 20:01 Giove Congiunzione Sole
19/05/2024 18:35 Luna Nodo Discendente
20/05/2024 12:00 Congiunzione Luna-Spica
23/05/2024 11:30 Congiunzione Venere-Giove
23/05/2024 15:53 Luna Piena
24/05/2024 05:10 Congiunzione Luna-Antares
30/05/2024 19:12 Luna Ultimo Quarto
31/05/2024 01:51 Congiunzione Venere-Iadi
31/05/2024 03:26 Congiunzione Mercurio-Urano

Tutte le effemeridi del mese di Maggio 2024 sono disponibili in file csv

Clicca sul banner per scaricare

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ATTENZIONE la parte centrale dell’articolo con la descrizione del moto dei pianeti ed equazione del tempo è riservata agli abbonati a COELUM


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LUNA

Luna nuova nei primi giorni del mese di maggio favorirà le riprese

Tutto nella rubrica Luna di Maggio 2024

COMETE

PRIMA OCCHIATA ALLA COMETA DELL’ANNO

Dopo la sparizione dai nostri cieli della 12P/Pons-Brooks (per un bilancio della sua apparizione vi rimando al prossimo numero 267 di COELUM ASTRONOMIA) si impongono all’attenzione un paio di “astri chiomati” non ancora granché luminosi ma in crescita, che meritano di essere monitorati, uno dei quali è l’attesissimo protagonista del 2024.

Per approfondire: le comete di Maggio 2024 a cura di @claudiopra

ASTEROIDI

GLI ASTEROIDI IN OPPOSIZIONE in Maggio

(2) Pallas

Trovi tutto qui: Mondi in miniatura – Asteroidi, Maggio 2024 a cura di @mioxzy

TRANSITI NOTEVOLI ISS

La ISS – Stazione Spaziale Internazionale sarà rintracciabile nei nostri cieli sia ad orari mattutini che serali. Avremo molti transiti notevoli con magnitudini elevate durante il primo mese della Primavera, auspicando come sempre in cieli sereni.

Non perdere la rubrica Transiti notevoli ISS per il mese di Maggio 2024 a cura di @stormchaser

SUPERNOVAE – AGGIORNAMENTI

Grandi scoperte nel mese di gennaio, @fabio-briganti e Riccardo Mancini ce le raccontano sapientemente qui!

Cieli sereni a tutti!


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La Luna di Maggio 2024

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Tempo di lettura: 3 minuti

Luna nuova nei primi giorni del mese di maggio favorirà le riprese

3 Maggio

Iniziamo Maggio con la Luna che sorge a sud-est all’ultimo quarto oramai dopo le 3 di notte, nella costellazione del Capricorno, e ritardando sempre più il suo sorgere finiremo già il giorno 3 per scorgerla solo per qualche minuto nelle prime luci del mattino quando sarà vicino a Saturno, tuttavia entrambi troppo vicini al Sole per consentire qualsiasi osservazione. Trascorreranno così delle piacevoli notti “senza Luna” perfette per le osservazioni più impegnative ma a discapito di perdere una congiunzione stretta fra Luna e Marte nell’alba del giorno 5 maggio.

Luna 3 Maggio alle 05:26 a sud-est allineato con Saturno, Nettuno, Marte e Mercurio

12 Maggio

Torneremo a scorgere la Luna ad ovest nelle luci del tramonto il giorno 9 maggio mostrandosi con una sottilissima falce. Le ore di buio con la presenza dell’astro andranno via via aumentando fino al giorno 12 quando la Luna si farà trovare alta nel cielo, a sud-ovest, già al tramonto e molto vicina a Polluce (2° 30′), stella dei Gemelli.

Luna il 12 maggio ore 23:20 congiunzione con Polluce in direzione nord-ovest.

15 Maggio

Passano i giorni e il 15 maggio la luna al Primo Quarto si mostrerà al tramonto del Sole sopra alla stella Regolo della costellazione del Leone fino a scomparire sotto l’orizzonte ad ovest intorno alle 2 della notte.
Nei giorni successivi il nostro satellite ripercorrerà più o meno lo stesso scenario attraversato in aprile fino a raggiungere e superare Spica nella Vergine il giorno 20 già nelle prime ore della sera e spostando lo sguardo stavolta verso sud est.

Luna 16 maggio ore 00:20 direzione Ovest, congiunzione Luna-Regolo

23 Maggio

La Luna Piena si potrà ammirare nella sera del 23 maggio quando sorgerà a Sud Est molto vicina ad Antares (2°50′), stella dello Scorpione.

Luna 24 maggio ore 00:20 congiunzione Luna Piena – Antares, direzione Sud.

I pianeti ancora tutti posizionati molto vicino al Sole non favoriranno l’osservazione di alcuna congiunzione. Un vero peccato che si pensa che il satellite nelle prime ore dell’alba transiterà molto vicino a Saturno, Marte e Mercurio rispettivamente il 4,5 e 6 maggio ma come abbiamo anticipato, il Sole non sarà purtroppo molto distante e il tutto avverrà nella luce, seppur tenue, dell’alba.

Tabelle delle fasi e distanze Luna-Terra

FASE DATA ORE SORGE CULMINA TRAMONTA DISTANZA DIAM. APP.
Ultimo Quarto 01-mag 13:27 02:42 07:22 12:03 375769 km 1893.2
Luna Nuova 08-mag 05:21 05:49 12:30 21:08 366059 km 1942.4
Primo Quarto 15-mag 13:47 12:24 19:00 02:21 399569 km 1806.4
Luna Piena 23-mag 15:53 22:55 00:35 05:12 393033 km 1836.9
FASE DATA
Luna Calante dal 01 al 08
Luna Crescente dal 09 al 23
Luna Calante dal 24 al 31

 

FASE DATA ORE DISTANZA DIAM. APP.
Perigeo 06/05 00:10 363164 km 1951.6
Apogeo 17/05 20:59 404176 km 1789.3

 

–  Ogni fenomeno lunare e rispettivi orari sono rapportati alla Città di Roma, dati rilevati dai siti https://theskylive.com/http://www.marcomenichelli.it/luna.asp


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SUPERNOVAE: aggiornamenti Maggio 2024

Tempo di lettura: 5 minuti

RUBRICA SUPERNOVAE COELUM   N. 120

Nella precedente rubrica avevamo anticipato con una breve notizia di “ultima ora” l’interessante scoperta messa a segno a fine marzo dal solito giapponese Koichi Itagaki. Torniamo oggi sull’argomento per analizzare in maniera più dettagliata il risultato che merita un adeguato approfondimento.

Nella notte del 24 marzo, con la Luna praticamente piena a soli 20°, l’eccezionale ricercatore del Sol Levante, per il quale abbiamo consumato tutti gli aggettivi utili a riconoscerne l’incredibile bravura, ha individuato una stella nuova di mag.+15,9 nella galassia a spirale NGC4192A nella costellazione della Chioma di Berenice a circa 93 milioni di anni luce di distanza. La particolarità di questa scoperta sta nel fatto che la galassia ospite, NGC4192A appunto, appare prospettica molto vicina alla stupenda galassia a spirale M98 che in realtà è a soli 45 milioni di anni luce circa di distanza da noi. A completare il fotogenico quadretto troviamo anche la galassia a spirale NGC4186, un oggetto decisamente più lontano fino a circa 370 milioni di anni luce.

Il primo ad ottenere lo spettro e a caricarlo nel TNS è stato il nostro Claudio Balcon, appena sei ore dopo la scoperta. Questo primissimo spettro mostrava il tipico blu continuo proprio di molte supernovae giovani di tipo II tuttavia la contemporanea mancanza della riga dell’idrogeno, non permetteva di classificarla con sicurezza. L’astrofilo bellunese grazie alla sua esperienza ha deciso quindi di attendere con prudenza prima di procedere alla classificazione, scelta che si è rivelata saggia perché qualche giorno dopo la riga dell’Idrogeno è finalmente comparsa e così, con il nuovo spettro ripreso 27 marzo dal Siding Spring Observatory in Australia con il Faukes Telescope South da 2 metri, il transiente è stato classificato come una giovane supernova di tipo II, con i gas eiettati dall’esplosione che viaggiano ad una velocità di circa 13000 km/s. La sigla definitiva assegnata è SN2024exw. Il massimo di luminosità si è verificato nei primi giorni del mese di aprile con valori di mag.+14,5/+15,0. Dopodiché la luminosità ha iniziato il suo lento declino portandola a perdere circa una magnitudine in tutto il mese di aprile ma poco abbastanza da renderla ancora visibile, e chi non l’avesse già fatto, è ancora in tempo a riprendere questo fotogenico campo di galassie.

1) Immagine della SN2024exw in NGC4192A ripresa da Massimo Marchini in remoto dal Cile con un telescopio Dall-Kirkam da 600mm F.6,5 – Esposizione per canale LRGB
2) Immagine della SN2024exw in NGC4192A ripresa dall’astrofilo spagnolo Rafael Ferrando con un telescopio Meade LX200 da 400mm F.7 somma di 15 immagini da 60 secondi.
3) Immagine della SN2024exw in NGC4192A ripresa dall’astrofilo francese Robert Cazilhac con un telescopio C14 F.11 somma di 300 immagini da 5 secondi.
4) Immagine della SN2024exw in NGC4192A ripresa da Riccardo Mancini con un telescopio Newton da 250mm F.5 esposizione di 75 minuti.

Puntiamo adesso la nostra attenzione su un’altra interessante e “vicina” supernova che purtroppo non è facilissima da osservare dall’Italia, perché posta a declinazione -32°. Nella notte dell’11 aprile il programma professionale americano di ricerca supernovae e pianetini denominato ATLAS Asteroid Terrestrial-impact Last Alert System ha individuato una debole stellina di mag.+18,9 nella galassia a spirale barrata NGC3621 nella costellazione dell’Idra a “soli” 22 milioni di anni luce di distanza. Una supernova esplosa in una galassia così “vicina”, a distanze paragonabili con quelle degli oggetti del catalogo Messier, ha attratto l’attenzione di osservatori professionali di tutto il mondo che hanno iniziato a seguirla in maniera accurata. Piccola nota sulla galassia in questione, forse Messier non la inserì nel suo catalogo perché rispetto all’Europa la sua declinazione è troppo meridionale (-32°) dal suo osservatorio di Parigi infatti la galassia culminava a soli 9° sopra l’orizzonte. La galassia più meridionale del catalogo di Messier M83 è situata appena 3° più in alto rispetto ad NGC3621, ma essa presenta un’estensione superficiale più elevata rispetto a NGC3621, la prima venne quindi catalogata come oggetto non stellare mentre la seconda potrebbe essere stata confusa con una stella.

I primi ad inserire nel TNS lo spettro di conferma (11 ore dopo la scoperta) sono stati gli astronomi cinesi del Yunnan Observatory con il telescopio Lijiang di 2,4 metri. La SN2024ggi è una giovane supernovae di tipo II con flash ionizzato causato dall’eccitazione dei gas espulsi dalla stella nelle varie fasi che hanno preceduto l’esplosione.  Per onor di cronaca, i primissimi a riprendere lo spettro di conferma, pochi minuti prima dei cinesi, sono stati gli astronomi americani dell’Università delle Hawaii, utilizzando il telescopio di 2,3 metri dell’Australian National University presso il Siding Spring Observatory. La luminosità della supernova ha mostrato subito un rapido incremento, che nel giro di pochi giorni ha permesso al transiente di raggiungere la notevole mag.+11,9 intorno al giorno 18 aprile, diventando oggi la supernova più luminosa del 2024 e una delle più luminose degli ultimi anni. Analizzando le immagini dei vari telescopi spaziali è stato possibile risalire alla stella progenitrice, una supergigante rossa con una luminosità intorno alla mag.+23. Come abbiamo già detto, dall’Italia non sarà facile riprendere questa importante supernova. Naturalmente gli astrofili del Sud Italia saranno avvantaggiati. A Milano la galassia NGC3621 culminerà ad un’altezza di soli 12°. Leggermente meglio la situazione per gli astrofili di Roma che avranno la galassia alla massima altezza di 15°. Molto meglio la situazione per gli astrofili di Catania che vedranno NGC3621 culminare a 20° sopra l’orizzonte Sud.

5) Immagine della SN2024ggi in NGC3621 ripresa da Massimo Marchini in remoto dal Cile con un telescopio Dall-Kirkam da 600mm F.6,5 – Esposizione per canale LRGB somma di 5 immagini da 300 secondi.
6) Immagine della SN2024ggi in NGC3621 ripresa Rolando Ligustri sommando una vecchia immagine con una nuova ripresa in remoto dalla Namibia con un telescopio Dall-Kirkam da 500mm F.6,8.
7) Immagine della SN2024ggi in NGC3621 ripresa da Riccardo Mancini con un telescopio Newton da 250mm F.5 esposizione di 35 minuti, con la galassia a soli 13° sopra l’orizzonte.

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Mondi in miniatura – Asteroidi, Maggio 2024

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FOCUS ON (2) PALLAS

La scoperta di Pallas ha avuto una influenza significativa sia in ambito scientifico, contribuendo in maniera rilevante alla nostra comprensione del Sistema Solare, che in ambito culturale, stimolando un interesse crescente per l’astronomia e per le scienze planetarie in generale.

Prima della scoperta di Cerere da parte di Giuseppe Piazzi nel 1801, non era noto che esistessero altri corpi orbitanti tra Marte e Giove. La scoperta di Pallas l’anno successivo confermò l’idea di Cerere come nuovo tipo di corpo celeste e rafforzò l’ipotesi di una fascia popolata da molti altri oggetti simili, cambiando radicalmente la nostra comprensione della struttura del Sistema Solare, rappresentando, senza ombra di dubbio, un elemento di fortissima fascinazione per la gente dell’epoca.

Pallas ripreso dal VLT. Crediti:
ESO/M. Marsset et al./MISTRAL algorithm (ONERA/CNRS)

Pallas è un grande asteroide di fascia principale che compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.680 giorni (4.60 anni) ad una distanza compresa tra le 2.13 e le 3.41 unità astronomiche (rispettivamente, 318.643.465 Km al perielio e 510.128.739 Km all’afelio). Scoperto il 28 marzo 1802 da Heinrich Wilhelm Olbers, medico di professione e astronomo molto competente, è il terzo corpo della fascia per dimensioni dopo Cerere e Vesta. Pallas ha una forma descritta come un ellissoide, con dimensioni approssimative di circa 589 km, 550 km e 500 km per i suoi assi principali, e da solo rappresenta il 7% della massa totale dell’intera fascia. La sua superficie è composta principalmente da materiali simili a quelli ritrovati nei meteoriti condritici carbonacei di tipo CI e CM. Ulteriori indagini hanno rivelato che le variazioni di colore e di albedo tipiche della sua superficie potrebbero essere collegate sia alla sua evoluzione termica, suggerendo l’idea che Pallas, come altri grandi asteroidi nel Sistema Solare, potrebbe aver subito un processo di differenziazione interno, sebbene non completo come nei casi di corpi come la Terra, che a eventi collisionali che hanno contribuito a plasmare le caratteristiche superficiali oggi osservate. La presenza di grandi crateri da impatto e di una famiglia di asteroidi, denominata “Famiglia Pallas” (Pallas Collisional Family, PCF), che condividono caratteristiche spettrali simili a quelle di Pallas e dei quali Pallas è considerato essere il corpo progenitore, porterebbe ad avallare queste ipotesi.

Il percorso di Pallas in Maggio. Crediti: in-the-sky.org.

(2) Pallas ha un’orbita peculiare, altamente inclinata e moderatamente eccentrica, con un’inclinazione sull’eclittica di circa 34.8 gradi e un’eccentricità pari 0.23. Quest’anno sarà in opposizione il 19 Maggio, momento nel quale raggiungerà la massima luminosità brillando di magnitudine di 9.0. Il suo moto sarà di 0,54 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle  nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere  una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (2) Pallas trasformarsi in una bella striscia luminosa di 21 secondi d’arco.


 

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Webb cattura l’iconica Nebulosa Testa di Cavallo

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Credito immagine: ESA/Webb, NASA, CSA, K. Misselt (Università dell'Arizona) e A. Abergel (IAS/Università Paris-Saclay, CNRS)
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Il telescopio spaziale James Webb della NASA/ESA/CSA ha catturato le immagini a infrarossi  di uno degli oggetti più caratteristici dei nostri cieli, la Nebulosa Testa di Cavallo. Queste osservazioni mostrano una parte dell’iconica nebulosa sotto una luce completamente nuova, catturandone la complessità con una risoluzione spaziale senza precedenti.

Grazie alla sua vicinanza e alla sua posizione quasi di taglio, la Nebulosa Testa di Cavallo è un bersaglio ideale per gli astronomi per studiare le strutture fisiche dei PDR, o regione di fotodissociazione, e l’evoluzione delle caratteristiche chimiche del gas e della polvere nei rispettivi ambienti, e le regioni di transizione tra loro. È considerato uno dei migliori oggetti del cielo per studiare come la radiazione interagisce con la materia interstellare.

Grazie agli strumenti MIRI e NIRCam di Webb , un team internazionale di astronomi ha rivelato per la prima volta le strutture su piccola scala del bordo illuminato della Testa di Cavallo. Hanno inoltre messo in evidenza una rete di strutture striate che si estendono perpendicolarmente al fronte del PDR e contengono particelle di polvere e gas ionizzato trascinati nel flusso fotoevaporativo della nebulosa. Le osservazioni hanno inoltre consentito agli astronomi di studiare gli effetti dell’attenuazione e dell’emissione di polvere e di comprenderne meglio la forma multidimensionale della nebulosa.

Successivamente, gli astronomi intendono studiare i dati spettroscopici ottenuti dalla nebulosa per evidenziare l’evoluzione delle proprietà fisiche e chimiche del materiale osservato attraverso la nebulosa.

Le osservazioni arrivano dal programma Webb GTO n. 1192 (PI: K. Misselt) e i risultati sono stati accettati per la pubblicazione in Astronomy & Astrophysics (Abergel et al. 2024).

La Nebulosa Testa di Cavallo catturata dalla MIRI – ESA/Webb, NASA, CSA, K. Misselt (University of Arizona) and A. Abergel (IAS/University Paris-Saclay, CNRS)

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Le Costellazioni di Maggio 2024

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Tempo di lettura: 7 minuti

COSTELLAZIONI DI MAGGIO 2024

Sulla volta celeste primaverile di maggio, incontriamo due tra le più emblematiche costellazioni a noi note: la Vergine e il Boote.

LA COSTELLAZIONE DELLA VERGINE

Quella della Vergine è una costellazione molto estesa (circa 1300 gradi quadrati), essa rappresenta infatti la seconda più ampia della volta celeste (il primato lo detiene l’Hydra).

È un asterismo posta tra quello del Leone e quello della Bilancia ed è facilmente individuabile grazie alla sua stella più brillante, Spica (alfa Virginis), un astro di colore bianco-azzurro che con la sua magnitudine di 1.04 si colloca al quindicesimo posto tra le stelle più brillanti del cielo notturno.

Spica, situata in direzione della mano della fanciulla in cui è raffigurata la costellazione (o meglio della spiga di grano che la giovane stringe tra le dita) si trova a una distanza di 262 anni luce da noi e insieme alle stelle Arturo del Boote e Denebola del Leone, costituisce uno dei vertici dell’asterismo del Triangolo primaverile.

Costellazione della vergine

Tra gli astri che compongono la costellazione della Vergine, Porrima (gamma Virginis) è

la seconda più luminosa: si tratta di una stella doppia di magnitudine di 2.74, le cui componenti sono di uguale colore (giallastro); il sistema binario si trova a una distanza di 39 anni luce .

Al terzo posto per luminosità, brilla la stella gigante gialla Vindemiatrix (Epsilon Virginis) o Vendemmiatrice, con magnitudine 2.85, distante 102 anni luce: il nome di questa stella ha origini molto antiche che risalgono a più di 2.000 anni fa, quando Vindemiatrix sorgeva alle prime luci dell’alba a inizio settembre, periodo della vendemmia.

A causa della precessione degli equinozi le cose ad oggi sono un po’ cambiate e Epsilon Virginis ha lasciato il posto agli astri della costellazione del Leone.

 

GLI OGGETTI DEL PROFONDO CIELO NELLA COSTELLAZIONE DEL VERGINE

Gli oggetti del cielo profondo siti nella costellazione della Vergine sono vari e molto affascinanti: uno fra tutti l’ammasso di galassie della Vergine, composto da circa 2.500 membri e che fa parte a sua volta del Superammasso della Vergine di cui è un componente anche il Gruppo Locale, ovvero il gruppo di galassie a cui appartiene la nostra Via Lattea.

Come non citare poi le galassie  M87 e Sombrero.

M 87 (Virgo A) è una grande galassia ellittica, oltre ad essere anche una forte sorgente radio: la sua caratteristica principale è il Buco Nero Supermassiccio situato al centro della galassia.

Con il suo getto relativistico e l’emissione di raggi X e gamma, la galassia M87 rappresenta un importante oggetto di studio nell’ambito dell’astronomia e della radio astronomia.

La Galassia Sombrero (M104) è invece una galassia a spirale vista di taglio, con un grosso rigonfiamento centrale, situata a 31 milioni di anni luce da noi e posta alla periferia dell’Ammasso della Vergine, la cui appartenenza sembra essere dubbia.

GALASSIA SOMBRERO M 104 CREDITI: LORENZO BUSILACCHI

Altro oggetto del profondo cielo molto interessante, presente nella costellazione della Vergine, è la cosiddetta Catena di Markarian, un lembo costituito da 8 galassie, che fanno parte del l’ammasso galattico della Vergine, costituito a sua volta da circa 2000 galassie.

La Catena di Markarian deve il suo nome all’astrofisico armeno Benjamin Markarian, che agli inizi degli anni 60, grazie alle sue ricerche nel campo dell’astronomia stellare ed extragalattico, scoprì il moto comune delle galassie che compongono la nota Catena.

IMMAGINE CATENA DI MARKARIAN CREDITI: MIRKO TONDINELLI

Ma la bellezza degli oggetti deep sky amati dagli astrofili non finisce qui: è il caso delle galassie dette Gemelle siamesi o Galassie farfalla, una coppia composta dalle galassie a spirale interagenti Ngc 4567 e Ngc 4568, che a 60 milioni di anni luce dà vita a una danza che lascia senza fiato.

IMMAGINE GALASSIE GEMELLE SIAMESI CREDITI: LORENZO BUSILACCHI

E sempre a proposito di galassie interagenti vale la pena mostrare le immagini catturate dal Telescopio Spaziale HUBBLE, che ritraggono Arp 116, una coppia distante 66 milioni di anni luce, costituita dalla galassia ellittica gigante M60e dalla galassia più piccola, a spirale, NGC 4647.

IMMAGINE ARP 116 CREDITI: HUBBLE TELESCOPE – NASA, ESA

LA VERGINE NELLA MITOLOGIA

La costellazione della Vergine viene rappresentata come una ragazza con in mano delle spighe: la figura è da sempre associata al chicco di grano che muore e rinasce, al periodo dei raccolti, alla mietitura, da cui deriva il nome della stella alfa della costellazione, Spica, che è visibile dopo il tramonto verso Ovest proprio durante i mesi primaverili ed estivi.

In ambito mitologico quella della Vergine è una figura che mette d’accordo un po’ tutte le antiche popolazioni, dai sumeri agli egizi, ai greci: essa simboleggia la natura, la fertilità ed è l’emblema dell’incessante ciclo della stagioni e quindi della vita.

Il mito greco ci porta in Sicilia, sulle rive del Lago di Pergusa nella campagna di Enna, dove una giovane fanciulla di nome Proserpina, figlia della dea del frumento Demetra (a cui si associa la Vergine) era intenta a raccogliere dei fiori quando, da una fenditura del terreno, uscì fuori un cocchio trainato da quattro cavalli e condotto dal dio dell’oltretomba Plutone, che rapì la giovane (il famoso ratto di Proserpina) facendone la sua sposa e trascinandola con sé negli inferi, di cui divenne regina.

Demetra, dopo averla cercata ovunque, fu mossa da una disperazione tale da lasciar calare un lungo inverno sulla campagna siciliana, che devastò i raccolti e rese i terreni aridi e infertili.

Dopo qualche tempo la dea interpellò anche il dio del Sole, Elio, che era stato testimone del rapimento di Proserpina; ma senza ottenere l’aiuto sperato Demetra decise di recarsi al cospetto di Giove, minacciando di far morire ogni forma di vita presente in natura se non le fosse stata restituita sua figlia.

Plutone, incalzato da Giove, acconsentì a rendere la fanciulla a sua madre, bluffando: egli infatti offrì a Proserpina un melograno avvelenato di cui la giovane mangiò solo pochi semi; così gli dei, mossi dalle minacce di Demetra, stabilirono un compromesso: Proserpina avrebbe vissuto per sei mesi negli inferi con Plutone e per sei mesi con sua madre sulla Terra. Questo entrare ed uscire dalla luce simboleggia proprio il ciclo della natura, del seme che muore e rinasce, senza mai una fine.

LA COSTELLAZIONE DEL BOOTE

Nel cielo serale di maggio ci imbattiamo nella costellazione del Boote: la figura è riconoscibile per la sua forma che ricordare un aquilone e, soprattutto, per la sua nota e luminosa stella alfa, Arturo.

α Boo è una gigante rossa con un diametro di 35 milioni di km (circa 25 volte più grande del nostro Sole), e la sua luminosità è 113 volte quella della nostra stella, ma se teniamo conto di tutte le bande dello spettro elettromagnetico, la luminosità totale di Arturo arriva a circa 200 volte quella del Sole .

La stella alfa del Boote è situata a una distanza di 36,7 anni luce da noi e, pur appartenendo all’emisfero boreale, la sua posizione 19° a nord dell’equatore celeste fa sì che Arturo sia visibile da ogni area popolata della Terra.

Un’altra stella interessante che compone la costellazione del Boote è Izar (ε Boo), una stella binaria composta da una luminosa gigante arancione e una più piccola stella bianca di sequenza principale di classe spettrale A2, separata dalla principale di almeno 185 U.A. e con un periodo orbitale superiore ai 1000 anni.

Proprio il contrasto tra le due componenti di Izar ha fatto sì che l’astronomo tedesco Friedrich Georg Wilhelm von Struve ribattezzasse ε Boo con l’appellativo di Pulcherrima, “Bellissima”.

COSTELLAZIONE DEL BOOTE

OGGETTI NON STELLARI NEL BOOTE

Nella costellazioni sono presenti stelle variabili come W Boötis, molto luminosa, e le stelle doppie ν1-ν2 Bootis e μ1-μ2 Bootis: la prima coppia è formata da una stella gigante arancione e una bianca; la seconda coppia è composta da due stelle bianco-giallastre.

Entrambe le coppie possono essere facilmente risolvibili anche con il solo utilizzo di un binocolo, a patto di essere al riparo da inquinamento luminoso e elementi che ostacolano l’osservazione del cielo.

La costellazione del Boote non vanta oggetti del profondo cielo particolarmente degni di nota, tuttavia va menzionato l’ammasso globulare NGC 5466, situato a 51800 anni luce dalla Terra e scoperto nel 1784 dall’astronomo William Herschel: l’ammasso è molto appariscente ed è un oggetto alla portata di telescopi anche amatoriali, con i quali addentrarsi nella sua bellezza.

NGC 5466 Globular Cluster Credit Esa/Hubble

Alla costellazione del Boote sono correlati anche due sciami di meteore, di cui in essa sono  collocati i rispettivi radianti: uno è conosciuto con il nome di Quadranti di e si verifica nei primi giorni del mese di gennaio; si tratta di uno dei più ricchi e attesi sciami di meteore dell’anno, oltre a quello delle Perseidi di agosto.

Tra la fine di giugno e inizio luglio il Boote diventa protagonista di un altro evento, ovvero lo sciame  delle Booti di, noto per i luminosi e lenti bolidi che è in grado di produrre.

IL BOOTE NELLA MITOLOGIA

Nella mitologia greca la figura del Boote è strettamente legata a quella dell’Orsa Maggiore, nella leggenda che vede coinvolta la ninfa Callisto, una bellissima fanciulla figlia del Re di Arcadia Licaone e ancella di Artemide.

Divenuta l’ennesimo oggetto del desiderio di Zeus, Callisto fu tramutata in orso dallo stesso padre degli Dei.

Le versioni della storia sono diverse, citiamo le due più note: la prima racconta che fu proprio Zeus a trasformare la giovane fanciulla in un’orsa per sottrarla alle ire di Era; mentre, la seconda versione, narra che fu Artemide a trasformare Callisto in orsa, per punizione, dopo aver scoperto lo stato di gravidanza della giovane ancella, votata alla castità.

La metamorfosi di Callisto avvenne dopo aver dato alla luce Arcade.

Questi, allevato da Artemide e dalle sue ancelle, venne a conoscenza della presenza di un orso nel bosco dove abitavano le ninfe, così si mise sulle sue tracce per ucciderlo.

Dopo averlo scovato, si preparò a colpire l’animale con una lancia, ignaro della sua vera identità.

Zeus, impietosito, fermò il tempo e trasformò sia l’orsa che Arcade in stelle e li collocò per sempre sulla volta celeste.

In cielo madre e figlio sono “vicini” poiché, prolungando la coda dell’Orsa, si arriva ad Arcade, ovvero Arturo. Il nome dell’astro significa appunto “inseguitore dell’Orsa”.

Link di approfondimento https://www.coelum.com/coelum/archivio/articoli/lenigma-del-boote-che-tardi-tramonta

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XXXIX Meeting dei Planetari italiani, 26-28 aprile

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Crediti Marco Bregolato.
Tempo di lettura: 3 minuti

XXXIX Meeting dei Planetari italiani

Planetario di Padova, 26-28 aprile

Dal 26 al 28 aprile si terrà, al Planetario di Padova, il XXXIX Meeting dei Planetari italiani.
L’incontro annuale che rappresenta il momento di incontro più importante per chi
opera in queste strutture che sono veri teatri delle stelle, ma anche per chi attraverso i
planetari si occupa di didattica e di divulgazione, per gli insegnanti di ogni ordine e
grado, per gli astrofili e per i semplici appassionati del cielo e delle sue meraviglie. In
Italia sono presenti più di 130 planetari, che ospitano ogni anno, complessivamente,
oltre 400.000 visitatori.
La scelta della sede del Meeting di quest’anno è caduta su Padova, una delle città
italiane più simboliche per l’astronomia, che vide Galileo Galilei operarvi per quasi
vent’anni. Proprio da Padova, Galileo fece alcune tra le sue più famose scoperte
astronomiche, grazie al cannocchiale che si era costruito: vide le quattro lune principali
di Giove e notò che la Luna, lungi dall’essere una sfera perfetta, somigliava alla Terra,
con le sue valli e le sue montagne.
Tra i relatori di questo Meeting vi sarà, come Keynote Speaker, Roberto Ragazzoni, da
poco nominato presidente dell’INAF (Istituto Nazionale di Astrofisica), con un intervento
dal titolo “Planetari inversi: la curiosa influenza dell’amore per il planetario sul disegno
di telescopi inusuali”. L’altro relatore a invito sarà invece l’americano Shawn Laatsch,
già presidente dell’International Planetarium Society, che parlerà della figura del
planetarista come professionista della divulgazione.
L’incontro dei Planetari italiani inizierà il pomeriggio di venerdì 26, con il workshop “La
voce, uno strumento di lavoro” tenuto da Elena Carraro, medico specializzato in
audiologia e foniatria, sull’uso della voce nell’attività con il pubblico. In alternativa, gli
iscritti al Meeting potranno recarsi alla visita guidata “Alla scoperta di Padova con gli
occhi da astronomo”, che li porterà a scoprire la città, e in particolare i luoghi legati
all’astronomia.
Il convegno vero e proprio avrà inizio sabato mattina con una serie di interventi. Tra i
relatori, Stefano Giovanardi del Planetario di Roma parlerà di come raccontare la crisi
climatica nei planetari, Paolo Calcodese del Planetario di Lignan (AO) illustrerà il
lungometraggio “Segnali di vita”, presentato lo scorso ottobre alla Festa del Cinema di Roma e ambientato all’Osservatorio astronomico della Valle d’Aosta con lo stesso
Calcidese come protagonista. Mentre Stefania Ferroni e Riccardo Vittorietti
dell’associazione L’Officina mostreranno il progetto ROSETTA, sviluppato al Planetario di
Milano per la traduzione simultanea degli spettacoli in diverse lingue, grazie
all’intelligenza artificiale. Gli incontri continueranno con gli interventi dei rappresentanti
delle principali ditte mondiali del settore dei planetari, che illustreranno le novità
hardware e software di queste sofisticate tecnologie.

Crediti Marco Bregolato.

La domenica mattina i lavori proseguiranno con altri relatori, tra i quali segnaliamo
Federico Di Giacomo (INAF-Padova) che interverrà su “Un planetario ad alte energie”,
Paolo Morini (Planetario di Ravenna) con “Se sei felice guarda il cielo, se non sei felice
guarda il cielo”, un progetto per l’osservazione della volta celeste rivolto al recupero
psicologico dei pazienti ematologici, e Salvatore Fruguglietti (Le Nuvole, Napoli) con
“STREETS stellate”, un progetto finanziato dalla UE per la Notte dei Ricercatori del 2024 e
2025 con attività diffuse lungo le antiche strade romane della Campania e del Basso
Lazio.
A chiudere i lavori, la proclamazione dei vincitori del Premio PLANit, giunto alla
dodicesima edizione, per il miglior video di divulgazione scientifica, che si potrà poi
utilizzare nei planetari italiani, e del Premio “Lara Albanese”, che riconosce l’attività
didattica e divulgativa che più si è distinta nei planetari nell’ultimo anno.
A causa della partecipazione particolarmente numerosa a questo XXXIX Meeting dei
Planetari Italiani, una parte della programmazione (gli interventi di sabato 27 fino alle
ore 16:00) si terrà nell’aula magna dell’Istituto Teologico Sant’Antonio Dottore, in via
San Massimo 25, a poca distanza dal Planetario (in via A. Cornaro 1), che ospiterà
invece gli interventi successivi del pomeriggio e quelli della domenica mattina.
L’evento è organizzato dall’Associazione dei Planetari Italiani (PLANit,
www.planetari.org) e dal Planetario di Padova (www.planetariopadova.it), in
collaborazione con il Comune di Padova.


 

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Le Comete di Maggio 2024

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Tempo di lettura: 2 minuti

PRIMA OCCHIATA ALLA COMETA DELL’ANNO

Dopo la sparizione dai nostri cieli della 12P/Pons-Brooks (per un bilancio della sua apparizione vi rimando al prossimo numero 267 di COELUM ASTRONOMIA) si impongono all’attenzione un paio di “astri chiomati” non ancora granché luminosi ma in crescita, che meritano di essere monitorati, uno dei quali è l’attesissimo protagonista del 2024.

13P/Olbers

Nel corso di maggio, mese che precede il suo perielio, la Olbers dovrebbe raggiungere la nona magnitudine rendendosi osservabile all’inizio della notte astronomica, purtroppo molto bassa in cielo, in trasferimento dal Toro all’Auriga. Il giorno 21 transiterà ad una quindicina di primi dal bel ammasso aperto dell’Auriga M 36.

Cartina della 13P in maggio. Le stelle più deboli sono di magnitudine 9.

 

C/2023 A3 Tsuchinshan-ATLAS

Eccola la cometa dell’anno, in avvicinamento ma ancora piuttosto distante(2,7 U.A. ad inizio maggio),che possiamo cominciare a seguire anche con strumenti modesti sperando che fra qualche mese ci possa regalare uno show indimenticabile. Scopertanel gennaio del 2022 dall’osservatorio cinese Tsuchinshan (Osservatorio della Montagna Purpurea) ma in seguito persa e ritrovata dal programma per la ricerca di asteroidi pericolosi per la Terra ATLAS (AsteroidTerrestrial-Impact Last Alert System), la potremo cercare all’inizio della notte astronomica nella Vergine, piuttosto alta in cielo, inizialmente di decima magnitudine ma in miglioramento fino alla nona grandezza. L’ho osservata per la prima e finora unica volta nei primi giorni di aprile e devo dire che mi ha fatto un’ottima impressione. Pur di undicesima magnitudine, grazie al suo aspetto compattissimo, mi si è svelata facilmente all’oculare di un riflettore da 30 cm. somigliante ad una piccola e brillante nebulosa planetaria. Il suo buon stato di salute è confermato anche gli indici di emissione delle polveri calcolato da alcuni astrofili, dati che speriamo caldamente vengano confermati anche a maggio.

Cartina della 2023 A3 Tsuchinshan-ATLAS in MAGGIO. Le stelle più deboli sono di magnitudine 10.

 


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Transiti ISS notevoli per il mese di Maggio 2024

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Tempo di lettura: 3 minuti

Transiti ISS notevoli per il mese di Maggio 2024

La ISSStazione Spaziale Internazionale sarà rintracciabile nei nostri cieli sia ad orari mattutini che serali. Avremo molti transiti notevoli con magnitudini elevate durante l’ultimo mese della primavera, auspicando come sempre in cieli sereni.

 

08 Maggio

Si inizierà il giorno 8 Maggio, dalle 05:10verso NO alle 05:20 verso SE. Visibilità perfetta da tutta Italia, con magnitudine di picco a -3.8. Uno dei migliori transiti mattutini del mese, meteo permettendo.

10 Maggio

Un altro transito notevole si avrà alla sera del 10 Maggio, dalle 21:46 verso SO alle 21:55 verso ENE. Visibilità migliore dal Centro Sud Italia con magnitudine di picco a -3.7.

11 Maggio

Il giorno dopo, 11 Maggio, dalle 04:15 alle 04:25, da ONO a SE, avremo un nuovo transito visibile da tutto il paese con magnitudine massima di -3.9. Se il meteo assiste, vale la pena di mettere la sveglia.

12 Maggio

Il 12 Maggio, dalle 03:29 alle 03:35, da NNE ad ESE, avremo un transito parziale avvistabile da tutta Italia. Magnitudine massima a -3.7 non appena la Stazione Spaziale uscirà dall’ombra della Terra.

12 Maggio

Sempre il 12 maggio, ma alla sera, dalle 21:41 alle 21:52, da OSO ad ENE, nuovo transito notevole osservabile al meglio dal Centro Nord Italia. Magnitudine di picco a -3.3.

13 Maggio

Passiamo al 13 maggio dalle 20:51 alle 21:01, da SO ad ENE, nuovo transito notevole osservabile senza problemi da tutta la nazione. Magnitudine di picco a -3.9 per il miglior transito serale del mese.

22 Maggio

Saltando di circa dieci giorni, al 22 Maggio, avremo un transito parziale dalle 22:51 alle 22:57, da NO a NE. Visibilità migliore dal Centro Nord, con magnitudine massima a -3.4.

24 Maggio

Il 24 Maggio, da ONO a SO, dalle 22:53 alle 22:58, la ISS attraverserà il cielo della nazione in un nuovo transito parziale, con una magnitudine massima di -3.4.

25 Maggio

Alla sera del 25 Maggio, dalle 22:01 verso NO alle 22:08 verso ESE, un nuovo transito della Stazione Spaziale perfetto per tutta Italia, con una magnitudine massima a -3.7.

28 Maggio

L’ultimo transito notevole del mese sarà avvistabile da tutto il paese, il 28 Maggio. Dalle 21:04 alle 21:13, da NO a SE. Magnitudine di picco a -3.8 per il secondo miglior transito serale del mese.

N.B. Le direzioni visibili per ogni transito sono riferite ad un punto centrato sulla penisola, nel centro Italia, costa tirrenica. Considerate uno scarto ± 1-5 minuti dagli orari sopra scritti, a causa del grande anticipo con il quale sono stati calcolati.

In caso di Booster della ISS eseguiti nei giorni successivi alla pubblicazione dell’articolo gli orari possono differire anche in maniera significativa. Vi invitiamo a controllare sempre il sito https://www.heavens-above.com/ soprattutto in caso di programmazione di una sezione di osservazione.


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BH3 terzo buco nero nella Via Lattea per GAIA

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Le tre frecce a forma di spillo segnalano la posizione di BH1, BH2 e BH3 distribuiti nella Via Lattea. Sono colorati rispettivamente in rosso, blu e giallo. CREDITI ESA/Gaia/DPAC
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Un gigante addormentato sorprende gli scienziati di Gaia

Nel numero 266 di COELUM ASTRONOMIA abbiamo festeggiato i 10 di GAIA, strumento in orbita che dalla sua attivazione sta scandagliando tutto il piano galattico in una massiccia ed unica, sinora, raccolta dati. Fra essi non sfugge qualche sorpresa sorprendente come la scoperta di un altro buco nero nei pressi del Sistema Solare, denominato appunto BH3.

Un grande buco nero, con una massa di quasi 33 volte quella del Sole, si nasconde nella costellazione dell’Aquila, a meno di duemila anni luce dalla Terra. È la prima volta che un buco nero di origine stellare così grande viene rilevato all’interno della Via Lattea. Finora, buchi neri di questo tipo sono stati osservati solo in galassie molto lontane. La scoperta mette alla prova la nostra comprensione di come si sviluppano ed evolvono le stelle massicce.

La maggior parte dei buchi neri di massa stellare di cui siamo a conoscenza sta assorbendo materia da una stella compagna vicina. Il materiale catturato cade sull’oggetto collassato ad alta velocità, diventando estremamente caldo ed emettendo raggi X.

Quando però un buco nero non ha una compagna abbastanza vicino a cui rubare materia, non genera alcuna luce ed è estremamente difficile da individuare. Questi buchi neri sono detti “dormienti”.

Per prepararsi all’uscita del prossimo catalogo di Gaia, Data Release 4 (DR4), gli scienziati stanno controllando i movimenti di miliardi di stelle ed eseguendo test complessi per vedere se c’è qualcosa di anomalo. I moti delle stelle possono essere influenzati da eventuali compagni: quelli leggeri, come gli esopianeti; quelli più pesanti, come le stelle; o quelli molto pesanti, come i buchi neri. All’interno della collaborazione Gaia, team dedicati si occupano di indagare su eventuali casi “strani”.

Uno di questi team era profondamente impegnato in questo lavoro, quando l’attenzione è caduta su una vecchia stella gigante nella costellazione dell’Aquila, a una distanza di 1.926 anni luce dalla Terra. Analizzando in dettaglio l’oscillazione nel moto della stella, hanno trovato una grande sorpresa. La stella era bloccata in un movimento orbitale con un buco nero dormiente dalla massa eccezionalmente elevata, circa 33 volte quella del Sole.

Questo è il terzo buco nero dormiente trovato con Gaia ed è stato giustamente chiamato «Gaia BH3». La sua scoperta è emozionante soprattutto a causa della massa dell’oggetto. “Questo è il tipo di scoperta che da una volta nella tua carriera di ricerca,” esclama Pasquale Panuzzo del CNRS, Osservatorio di Parigi, in Francia, autore principale di questa ricerca. “Finora, buchi neri così grandi sono stati rilevati solo in galassie lontane dalla collaborazione LIGO-Virgo-KAGRA, grazie alle osservazioni delle onde gravitazionali.”

Finora, il record di “peso” per buchi neri nella Via Lattea era detenuto da un buco nero in una binaria a raggi X nella costellazione del Cigno (CYG X-1), la cui massa è stimata in circa 20 volte quella del Sole.

“È impressionante vedere lo straordinario impatto che Gaia sta avendo sull’astronomia e sull’astrofisica,” osserva la Prof.ssa Carole Mundell, Direttrice Scientifica dell’ESA. “Le sue scoperte stanno andando ben oltre lo scopo originario della missione, che è quello di creare una mappa multidimensionale straordinariamente precisa di oltre un miliardo di stelle nella nostra Via Lattea.”


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Kamo’oalewa una nuova conferma

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La posizione e la topografia del cratere lunare Giordano Bruno. A sinistra c'è una mappa del lato nascosto della Luna utilizzando la Lunar QuickMap. A destra c'è la mappa topografica del cratere GB ricavata dai dati della Lunar Reconnaissance Orbiter Camera (LROC). Credito: Nature Astronomia (2024). DOI: 10.1038/s41550-024-02258-z.
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Una simulazione sostiene la teoria secondo cui dell’asteroide Kamo’oalewa sarebbe di fatto  materiale espulso dalla Luna

Un piccolo team internazionale di scienziati planetari ha trovato prove a sostegno della teoria secondo cui l’asteroide vicino alla Terra Kamo’oalewa non arriverebbe dalla cintura di asteroidi posta fra Marte e Giove ma bensì sia stato espulso direttamente dalla Luna. Nell’articolo pubblicato sulla rivista Nature Astronomy, il gruppo descrive il modello creato e le dinamiche emerse.

L’asteroide Kamo’oalewa è stato scoperto nel 2016 nel programma internazionale di ricerca di NEO, oggetti potenzialmente pericolosi per la Terra per la loro vicinanza misure e traiettoria. Esso ruota intorno al Sole con un’orbita sincronizzata con la Terra, come se apparentemente girasse intorno al nostro pianeta. Si stima inoltre che abbia un diametro compreso tra 40 e 100 metri e che ruoti molto velocemente, fattore quest’ultimo inconsueto per un’asteroide.

Nel 2021, un altro team sostenne di aver trovato evidenza di una composizione del suolo di Kamo’oalewa simile a quella delle rocce trovate sulla luna, suggerendo quindi di fatto un’altra origine, lunare appunto. Per confermare l’ipotesi si sono avviate ricerche congiunte sia per meglio determinare la composizione dell’asteroide sia per capire eventualmente da quale zona in particolare della Luna esso potrebbe provenire.

Il team ha iniziato creando un modello computerizzato che imitasse il tipo di collisione necessario per lanciare nello spazio un pezzo della superficie lunare delle dimensioni di Kamo’oalewa. Da cui di conseguenza sarebbe stato possibile stimare le dimensioni dell’asteroide causa dell’impatto con la Luna e in ultimo le dimensioni del cratere che avrebbe lasciato dietro di sé.

Si tratta secondo i ricercatori di un impatto abbastanza recente, il che ristringe anche il numero dei crateri candidabili. I campioni di suolo lunare racconto nei pressi del cretere Giordano Bruno e riportati a Terra per le analisi mostrano notevoli somiglianze spettrali con l’asteroide Kamo’oalewa, inoltre entrambi contengono frammenti del minerale pirosseno.

Il team ha quindi effettuato alcune stime utilizzando i propri dati e ha scoperto che un asteroide in collisione con la Luna nell’attuale sito del cratere Giordano Bruno avrebbe potuto lanciare detriti che si sono fatti strada nello spazio, con un pezzo di essi potrebbe avere le dimensioni di Kamo’oalewa. Suggeriscono che ulteriori missioni per studiare la Luna potrebbero fornire maggiori informazioni.

Fonte: Nature Astronomy

 


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MESSIER 76 per i 34 anni di Hubble Space Telescope

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Immagine di Hubble della Nebulosa Piccolo Manubrio Credito: NASA, ESA, STScI, A. Pagan (STScI)
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Hubble celebra il 34° anniversario con uno sguardo alla Little Dumbbell Nebula o Piccolo Manubrio

Il telescopio spaziale Hubble è operativo da oltre tre decenni e continua a fare scoperte rivoluzionarie in grado di plasmare la nostra visione visione e comprensione dell’Universo.

34 anni di scienza e immagini

Dal suo lancio nel 1990 Hubble ha effettuato 1,6 milioni di osservazioni di oltre 53.000 oggetti astronomici. Ad oggi, l’ Archivio Mikulski per i telescopi spaziali presso lo Space Telescope Science Institute di Baltimora, nel Maryland, contiene 184 terabyte di dati elaborati che sono pronti per essere utilizzati dagli astronomi di tutto il mondo per la ricerca e l’analisi. Una copia europea dei dati pubblici è ospitata presso ESA’s European Space Astronomy Centre, nel European Hubble Space Telescope (eHST) Science Archive.

Dal 1990 sono stati pubblicati 44.000 articoli scientifici basati sulle osservazioni di Hubble. Ciò include un record di 1.056 articoli pubblicati nel 2023, di cui 409 condotti da autori negli Stati membri dell’ESA. La domanda per l’utilizzo di Hubble è così elevata che attualmente le richieste eccedono di un fattore sei.

Nel corso dell’ultimo anno di operazioni scientifiche, le nuove scoperte fatte utilizzando Hubble includono la ricerca di acqua nell’atmosfera del più piccolo esopianeta fino ad oggi, l’individuazione di una bizzarra esplosione cosmica lontano da qualsiasi galassia ospite, il seguire i raggi degli anelli di Saturno e lampo radio veloce più distante e potente mai visto. Gli studi di Hubble sull’asteroide Dimorphos, bersaglio di una deliberata collisione di un veicolo spaziale della NASA nel settembre 2022 per alterarne la traiettoria, sono continuati con il rilevamento di massicci rilasciati dall’impatto .

Hubble ha anche continuato a fornire immagini spettacolari di obiettivi celesti tra cui galassie a spirale , ammassi globulari e nebulose di formazione stellare. Le immagini di Hubble sono state anche combinate con le osservazioni a infrarossi del telescopio spaziale James Webb della NASA/ESA/CSA per creare una delle viste più complete dell’Universo: un’immagine dell’ammasso di galassie MACS 0416 .

La maggior parte delle scoperte di Hubble non erano state previste prima del lancio, come i buchi neri supermassicci, le atmosfere degli esopianeti, la lente gravitazionale della materia oscura, la presenza di energia oscura e l’abbondanza di formazione planetaria tra le stelle. Hubble continuerà la ricerca in questi settori, oltre a sfruttare la sua capacità unica nella luce ultravioletta per esaminare i fenomeni del Sistema Solare, le esplosioni di supernova, la composizione delle atmosfere degli esopianeti e le emissioni dinamiche delle galassie. 

Le caratteristiche prestazionali del telescopio spaziale James Webb sono state progettate per essere complementari a Hubble e non sostitutive. La futura ricerca di Hubble trarrà vantaggio anche dalle opportunità di sinergie con Webb, che invece opera nell’infrarosso. 

M76 è classificata come una nebulosa planetaria, un guscio in espansione di gas luminosi espulsi da una stella gigante rossa morente. La stella alla fine collassa in una nana bianca ultra densa e calda. Una nebulosa planetaria non ha alcuna relazione con i pianeti, ma ha quel nome perché gli astronomi del 1700 che utilizzavano telescopi a bassa potenza pensavano che questo tipo di oggetto somigliasse a un pianeta.

Fonte: ESA/HUBBLE


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La Voyager 1 torna a scrivere alla Terra

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Dopo aver ricevuto i dati sulla salute e sullo stato della Voyager 1 per la prima volta in cinque mesi, i membri della squadra di volo della Voyager festeggiano in una sala conferenze presso il Jet Propulsion Laboratory della NASA il 20 aprile.Credito: NASA/JPL-Caltech
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La Voyager 1 della NASA riprende a inviare aggiornamenti tecnici alla Terra

Dopo 5 mesi di silenzio ma anche molta speranza il Team a guida della Sonda più storica e famosa della NASA torna a gioire: la Voyager ha inviato dati utili alla Terra.

La Voyager 1 ha smesso di inviare dati scientifici e ingegneristici leggibili sulla Terra il 14 novembre 2023, anche se i controllori della missione potevano affermare che il veicolo spaziale stava ancora ricevendo i loro comandi e funzionando normalmente.

A marzo, il team di ingegneri della Voyager presso il Jet Propulsion Laboratory della NASA nel sud della California ha individuato il problema dichiarando che esso era legato a uno dei tre computer di bordo del veicolo spaziale, il Flight Data Subsystem (FDS). L’FDS è responsabile dell’imballaggio dei dati scientifici e ingegneristici prima che vengano inviati sulla Terra.

Si è trattato di un bel lavoro di indagine tanto che lo stesso team ha individuato la rottura di un singolo chip responsabile della memorizzazione di una parte delle informazioni di FDS, incluso parte del codice software del computer FDS, così da comprometterne il funzionamento. La perdita di quel codice ha rendere inutilizzabili i dati scientifici e ingegneristici. Non potendo riparare il chip per ovvi motivi, il team ha optato per inserire il codice interessato altrove nella memoria FDS. Tuttavia niente è mai del tutto semplice tanto che nessuna singola posizione si è rivelata abbastanza grande da contenere la sezione di codice nella sua interezza.

a navicella spaziale Voyager 1 della NASA è raffigurata nel concept di questo artista mentre viaggia attraverso lo spazio interstellare, o lo spazio tra le stelle, in cui è entrata nel 2012.Credito: NASA/JPL-Caltech

Alla fine è stato necessario ideare un ulteriore piano per dividere il codice interessato in sezioni e archiviarne i pezzi in punti diversi nell’FDS. Naturalmente ciò ha comportato la modifica del codice stesso proprio per poter funzionare in questa nuova configurazione.

Il nuovo codice infine è stato inviato nella sua nuova posizione nella memoria FDS il 18 aprile. Un segnale radio impiega circa 22 ore e mezza per raggiungere la Voyager 1, che si trova a oltre 15 miliardi di miglia (24 miliardi di chilometri) dalla Terra, e altre 22 ore e mezza per un segnale. per tornare sulla Terra. Quando il 20 aprile la squadra di volo della missione ha ricevuto risposta dalla navicella spaziale, ha potuto constatare il buon lavoro sulla modifica assolutamente funzionante: per la prima volta in cinque mesi sono stati in grado di verificare la salute e lo stato della navicella spaziale.


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STAR PARTY Romagnolo di inizio Estate 2024

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Il gruppo astrofili Astro Amici Forlivesi organizza il primo StarParty Romagnolo della stagione estiva 2024.
L’evento, riservato ad astrofotografi e astrofili visualisti, è organizzato in collaborazione con La Nuova Brocca di Meldola (FC), che ci ospiterà per una notte all’insegna dell’astronomia e dell’astrofotografia.
Sarà possibile arrivare già dal pomeriggio per iniziare a posizionare e montare la propria strumentazione.
Avremo a disposizione allacci di corrente (chi vorrà potrà comunque equipaggiarsi come meglio crede, es. con batterie),
e servizi sanitari (nel massimo rispetto della struttura che ce ne concederà l’utilizzo per tutta la notte).
Per attendere l’arrivo della notte astronomica ci dedicheremo all’attività gAstronomica: cena con la SGARDELA, grigliata di carne con la formula All You Can Eat, con contorno di patate e bibita.
Per costi e prenotazioni, e per ogni altro tipo di informazione, scrivete all’indirizzo email astroamiciforlivesi@gmail.com

Sulla formazione dei buchi neri primordiali nell’epoca post-inflattiva

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Schema simulativo dell’inflazione, fase di espansione esponenziale estremamente rapida dell’Universo immediatamente successiva al Big Bang. Crediti: The Institute of Statistical Mathematics.
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PBHs, nati nelle prime fasi di vita dell’Universo

Se, da una parte, l’esistenza dei buchi neri stellari (i.e., derivanti dall’evoluzione di stelle molto massicce) è ad oggi ampiamente dimostrata, dall’altra, invece, quella dei buchi neri primordiali  (i.e., PBHs, nati nelle prime fasi di vita dell’Universo) rappresenta da sempre soltanto un’ipotesi. Secondo la teoria, i PBHs potrebbero aver avuto origine durante la fase di riscaldamento post-inflattiva. Per inflazione cosmica si intende l’epoca di espansione esponenziale estremamente rapida, ossia di durata pari a 10-30 s, che ha avuto luogo circa 10-35 s dopo il Big Bang e ha provocato il raffreddamento e l’aumento della dimensione dell’Universo di un fattore superiore a 1030. Essa sarebbe stata generata da un campo scalare detto inflatone φ (i.e., associato all’esotica particella con spin 0 chiamata bosone di Higgs), la cui energia totale era dominata dalla componente potenziale. Il valore quasi costante assunto dall’energia potenziale avrebbe fatto sì che l’inflatone agisse come, appunto, una costante cosmologica nel guidare l’espansione esponenziale del tessuto spazio-temporale, in modo non troppo dissimile dall’attuale costante cosmologica Λ del modello cosmologico standard (i.e., ΛCDM). La progressiva crescita della componente cinetica dell’energia totale, fino al raggiungimento del valore di quella potenziale, avrebbe però ristabilito la condizione di equilibrio energetico necessaria per porre fine all’inflazione. Al termine di questa, l’inflatone sarebbe allora decaduto via risonanze parametriche e avrebbe trasferito tutta la sua energia alla materia e alla radiazione pre-esistenti. Sarebbe così iniziata la fase di riscaldamento o termalizzazione caratterizzata dal ristabilimento della temperatura precedente all’inflazione stessa, che si sarebbe rivelata poi fondamentale per la produzione di particelle e per la conseguente formazione delle strutture cosmiche. Infatti, l’inflazione avrebbe stirato e portato su scala macroscopica le fluttuazioni quantistiche di densità di materia presenti nel neonato Universo, mentre il riscaldamento ne avrebbe alimentato lo sviluppo a dimensioni ancora maggiori: ergo, le regioni ad elevata densità sarebbero emerse e avrebbero costituito l’ambiente ideale per la formazione dei PBHs. Un aspetto chiave del processo risiede nella definizione non solo di una soglia oltre la quale si verifica il collasso gravitazionale di tale regioni, ma anche dei meccanismi che conducono al suo superamento; si tratta, nondimeno, di un’operazione complessa, perché inerente sia alla cosmologia, sia alla fisica delle particelle, sia, infine, all’astrofisica.

Andamento del potenziale V(φ) associato all’inflatone φ. Tra le varie curve in figura, quella relativa alla fase di riscaldamento lento V(φ) ∼ φ^2 è rappresentata dalla linea punteggiata rossa. Crediti: arXiv.

Storicamente, la questione è stata affrontata con un approccio matematico perturbativo, dal quale è risultato che la scala energetica propria del riscaldamento sarebbe piuttosto bassa: ciò porta a supporre che la fase sia durata più e-foldings, ossia più intervalli di tempo in cui la temperatura dell’Universo avrebbe subito l’incremento di un fattore e 2.71828. Tale scenario prende pertanto il nome di riscaldamento lento e scaturisce dall’assunzione di un potenziale inflattivo V(φ) di tipo quadratico (i.e., V(φ) ∼ φ^2 ). 

Durante il riscaldamento lento, il collasso gravitazionale delle regioni ad elevata densità sarebbe sottoposto a tre diverse condizioni: la prima sulla sfericità di queste, la seconda sul loro spin e la terza sulla massima dispersione di velocità dell’intero processo. Il prevalere di una di esse determinerebbe, quindi, l’esito finale del collasso gravitazionale, alias la nascita o meno di un PBH. In particolare, si trova che il criterio di dispersione di velocità σ sarebbe più stringente rispetto agli altri due per valori del parametro ≤ 0.04 km/s: ciò significa che, se σ > 0.04 km/s, i vincoli più restrittivi per il verificarsi del collasso gravitazionale sono impartiti dalla morfologia e dalla rotazione della regione ad elevata densità considerata. Ora, la dispersione di velocità sembrerebbe rivestire un ruolo cruciale nella formazione delle strutture cosmiche, in quanto si opporrebbe al collasso gravitazionale e favorirebbe il mantenimento di uno stato di equilibrio dinamico indispensabile per il completamento di questa. Valori troppo bassi di dispersione di velocità sarebbero insufficienti a bloccare il collasso gravitazionale, mentre valori troppo alti causerebbero la disgregazione delle proto-strutture: per questo motivo, affinché nasca un PBH nella situazione σ > 0.04 km/s, si richiede l’intervento di ulteriori criteri regolatori del collasso gravitazionale.

 Altro elemento imprescindibile sarebbe, in tal senso, il legame tra la scala spaziale R delle regioni ad elevata densità e la lunghezza d’onda di de Broglie λ_dB ad esse associata: λ_dB ≃ 0.8R_1/2, ove R_1/2 simboleggia la metà della scala spaziale R. Più esplicitamente,  la lunghezza d’onda di de Broglie rappresenta la misura di spazio al di là della quale le proprietà ondulatorie (i.e., quantistiche) della materia predette dall’equazione di Schrödinger non si manifestano.

Evoluzione di un condensato di Bose-Einstein. Crediti: NASA/Caltech.

Tale relazione si spiega tenendo conto del fatto che durante la fase di riscaldamento si possano generare strutture di tipo alone a scale spaziali superiori a λ_dB, e di tipo solitone dall’aggregazione delle particelle di materia in uno stato detto condensato di Bose-Einstein a scale spaziali comparabili a λ_dB. Il collasso gravitazionale di queste strutture darebbe luogo a PBHs nel primo caso scevri dagli effetti quantistici della materia, e nel secondo ad essi soggetti, poiché i condensati di Bose-Einstein si comportano proprio come singole entità quantistiche (i.e., conservano le relative proprietà ondulatorie come unicum, o meglio non più a livello particellare). Da notare, inoltre, che alle strutture di tipo alone sarebbe attribuito un profilo di densità Navarro-Frenk-White (NFW), laddove a quelle di tipo solitone un profilo di densità solitone.

Profilo di densità di tipo alone (linea punteggiata) e di tipo solitone (linea tratteggiata). Crediti: arXiv.

In conclusione, la determinazione del meccanismo di formazione di un PBH dipenderebbe dalle caratteristiche della regione ad elevata densità progenitrice (i.e., morfologia, rotazione e scala spaziale) e dalla dispersione di velocità che ne accompagna il collasso gravitazionale. Tuttavia, è bene sottolineare che tali congetture sussistono nello speciale contesto del riscaldamento lento, che, a differenza del riscaldamento normale, si basa sulle delle precise ipotesi. Tra queste si annoverano l’assenza di risonanze parametriche nel decadimento dell’inflatone, nonché l’esistenza di un potenziale inflattivo quadratico e la prescrizione di una maggiore durata del periodo post inflazione per permettere la comparsa di strutture di tipo alone e di tipo solitone.

Benché l’elaborazione di teorie fisico-matematiche sui primi stadi di vita dell’Universo abbia carattere ancora fortemente astratto ed implichi la conoscenza di innumerevoli concetti e dettagli tecnici, essa si rivela essenziale per il progredire della cosmologia. Grazie alla ricerca sui possibili canali di formazione dei PBHs e sulle condizioni per la loro effettiva insorgenza a seguito dell’inflazione cosmica è dunque possibile ottenere informazioni tanto rilevanti quanto inattese sulle leggi che governano la storia evolutiva dell’Universo. In fin dei conti, la produzione scientifica dello scorso secolo insegna come i buchi neri, inizialmente apparsi in veste di mera soluzione matematica delle equazioni della relatività generale di Einstein, abbiano rappresentato un punto di svolta per la comunità astrofisica odierna. Il tutto nonostante la prova osservativa della loro esistenza sia stata di gran lunga postuma la loro formulazione teorica. Che possa valere lo stesso per i PBHs? È, questo, un altro meraviglioso e affascinante mistero della scienza celeste.

Fonte: arXiv

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Anche Hubble per la caccia agli asteroidi

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Ecco un esempio di immagine del telescopio spaziale Hubble della NASA/ESA della galassia a spirale barrata UGC 12158, con frecce della bussola, una barra della scala e una chiave colorata come riferimento. Sembra che qualcuno abbia usato su di essa un pennarello bianco. In realtà si tratta di una combinazione di esposizioni temporali di un asteroide in primo piano che si muove attraverso il campo visivo di Hubble, bombardando l'osservazione della galassia. Sono state effettuate diverse esposizioni della galassia, come evidenziato dallo schema tratteggiato. L'asteroide appare come una scia curva a causa della parallasse: Hubble non è stazionario, ma orbita attorno alla Terra, e questo dà l'illusione che il debole asteroide stia ondeggiando lungo una traiettoria curva. L’asteroide inesplorato si trova all’interno della fascia degli asteroidi nel nostro Sistema Solare, e quindi è 10 trilioni di volte più vicino a Hubble rispetto alla galassia di fondo. Credit: NASA, ESA, P. G. Martín (Autonomous University of Madrid), J. DePasquale (STScI). Acknowledgment: A. Filippenko (University of California, Berkeley)
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L’occhio di Hubble smaschera gli asteroidi della fascia principale

Recentemente alcuni astronomia hanno utilizzato le immagini archiviate scattate dal telescopio Hubble per catturare una popolazione in gran parte invisibile di asteroidi piuttosto piccoli traditi dalle loro tracce. La caccia al tesoro ha richiesto l’inseguimento di 37.000 immagini di Hubble nell’arco di 19 anni. Il risultato è stato trovare 1.701 tracce di asteroidi, di cui 1.031 non ancora catalogati. Circa 400 di questi asteroidi hanno dimensioni inferiori a un chilometro. 

Il lavoro è stato svolto per lo più da volontari noti con il nome di “Science Citizen” coadiuvati da scienziati professionisti che hanno coordinato le sessioni di ricerca combinando gli sforzi e sviluppando algoritmi di apprendimento automatico per identificare gli asteroidi. Un processo che ha generato un nuovo approccio alla ricerca di asteroidi sfruttando gli archivi astronomici che in decenni di osservazione possono contenere molte informazioni preziose. 

“Ci stiamo concentrando sulla ricerca della popolazione più piccola di asteroidi della fascia principale e ovviamente siamo rimasti sorpresi nello scoprire un numero così elevato di oggetti candidati”, ha affermato l’autore principale Pablo García Martín dell’Università di Madrid, Spagna. “C’era qualche indizio sull’esistenza di questa popolazione, ma ora lo stiamo confermando con un campione casuale ottenuto dall’intero archivio Hubble. Questo è importante per fornire informazioni sui modelli evolutivi del nostro Sistema Solare.”

L’ampio campione offre nuove informazioni sull’evoluzione della fascia degli asteroidi. La presenza di molti piccoli asteroidi favorisce l’idea che si tratti di frammenti di asteroidi più grandi che si sono scontrati e di conseguenza di sono frantumati, come vasi di ceramica. Si tratta di un processo di triturazione che dura da miliardi di anni.

Una teoria alternativa sull’esistenza di frammenti più piccoli è che si siano già formati in questo modo miliardi di anni fa. Ma non esiste alcun meccanismo concepibile che impedisca loro di raggiungere dimensioni maggiori mentre agglomerano la polvere proveniente dal disco circumstellare che forma il pianeta attorno al nostro Sole. “Le collisioni avrebbero una certa firma che possiamo usare per testare l’attuale popolazione della fascia principale”, ha detto il coautore Bruno Merín del Centro europeo di astronomia spaziale di Madrid, Spagna.

La tecnica di indagine sfrutta l’alta velocità orbitale di Hubble intorno alla Terra che gli consente di immortalare gli asteroidi come se fossero scie luminose impresse sull’immagine di fondo. E’ ciò che accade anche guardando un asteroide con un telescopio terrestre. Questi asteroidi, soprannominati “photobomb” appaiono come inconfondibili scie curve nelle fotografie di Hubble.

Mentre Hubble si muove intorno alla Terra, cambia l’angolo con cui osserva un asteroide, che si muove anch’esso lungo la propria orbita. Conoscendo la posizione di Hubble durante l’osservazione e misurando la curvatura delle strisce, gli scienziati possono determinare le distanze degli asteroidi e stimare la forma delle loro orbite.

Ecco un esempio di immagine del telescopio spaziale Hubble della NASA/ESA della galassia a spirale barrata UGC 12158, con frecce della bussola, una barra della scala e una chiave colorata come riferimento. Sembra che qualcuno abbia usato su di essa un pennarello bianco. In realtà si tratta di una combinazione di esposizioni temporali di un asteroide in primo piano che si muove attraverso il campo visivo di Hubble, bombardando l’osservazione della galassia. Sono state effettuate diverse esposizioni della galassia, come evidenziato dallo schema tratteggiato.
L’asteroide appare come una scia curva a causa della parallasse: Hubble non è stazionario, ma orbita attorno alla Terra, e questo dà l’illusione che il debole asteroide stia ondeggiando lungo una traiettoria curva. L’asteroide inesplorato si trova all’interno della fascia degli asteroidi nel nostro Sistema Solare, e quindi è 10 trilioni di volte più vicino a Hubble rispetto alla galassia di fondo. Credit:
NASA, ESA, P. G. Martín (Autonomous University of Madrid), J. DePasquale (STScI).
Acknowledgment: A. Filippenko (University of California, Berkeley)

Gli asteroidi catturati risiedono principalmente nella fascia principale, che si trova tra le orbite di Marte e Giove. La loro luminosità viene misurata dalle sensibili telecamere di Hubble e il confronto con la loro distanza consente una stima delle dimensioni. Gli asteroidi più deboli presi in esame sono circa un quaranta milionesimo della luminosità della stella più debole che può essere vista dall’occhio umano.

“Le posizioni degli asteroidi cambiano con il tempo, e quindi non è possibile trovarli semplicemente inserendo le coordinate, perché in momenti diversi potrebbero non essere più lì”, ha detto Merín. “Come astronomi non abbiamo tempo per esaminare tutte le immagini degli asteroidi. Così abbiamo avuto l’idea di collaborare con più di 10.000 volontari per esaminare gli enormi archivi di Hubble”.

Nel 2019 un gruppo internazionale di astronomi ha lanciato Hubble Asteroid Hunter, un progetto scienza condivisa per identificare gli asteroidi nei dati di archivio di Hubble. L’iniziativa è stata sviluppata da ricercatori e ingegneri del European Science and Technology Centre (ESTEC) e del centro dati scientifici del European Space Astronomy Centre’s science data centre (ESDC), in collaborazione con la piattaforma Zooniverse, la piattaforma scientifica cittadina più grande e popolare al mondo, e Google.

Il grafico mostra la distribuzioni per dimensione degli asteroidi identificati grazie al nuovo metodo. Gli asteroidi non erano l’obiettivo della ripresa ma hanno catturato l’attenzione grazie alle evidenti scie lasciate sulle immagini. Credit:
NASA, ESA, P. G. Martín (Autonomous University of Madrid), E. Wheatley (STScI)

Un totale di 11.482 volontari di citizen-science hanno fornito quasi due milioni di identificazioni ed hanno ricevuto un kit di formazione per un algoritmo automatizzato basato sull’intelligenza artificiale per identificare gli asteroidi. Un approccio pionieristico che potrà sicuramente essere replicato.

Il progetto continuerà con il calcolo delle orbite per poter individuare la posizione attuale degli oggetti individuati.

Fonte: ESA/HUBBLE


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Proviene dalla ISS il frammento che nel 2021 colpì una casa

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La NASA ha completato l’analisi sul frammento di metallo che nel 2021 cadde su una casa nello stato della Florida.

Nel marzo 2021 Alejandro Otero segnalò che un oggetto di metallo aveva perforato il tetto della sua casa arrecando danni alla sua abitazione sita nella cittadina balneare di Naples in Florida.

I danni, per lo più modesti, erano tuttavia evidenti e Otero suppose subito che l’oggetto con un peso complessivo di circa 0,7 kilogrammi, potesse appartenere alla Stazione Spaziale Internazionale.

Scatti dei danni causati alla casa di Alejandro Otero nel 2021.

Dopo diversi mesi di attesa la NASA ha finalmente confermato che in effetti che il corpo di metallo è parte di un cargo di immondizia rilasciato dalla ISS l’11 marzo 2021.

Il carico conteneva batterie usate ed era destinato a bruciare completamente nell’atmosfera terrestre.

Un pezzo però del contenuto è evidente sopravvissuto alla passaggio in atmosfera per finire al suo in Florida.

Nell’immagine il pezzo caduto in Florida paragonato con le batterie all’idruro di nichel

Le batterie all’idruro di nichel sono state abbandonate dopo che le nuove versioni agli ioni di litio sono state consegnate alla ISS per un aggiornamento dell’alimentazione. Si prevedeva che il pallet e le batterie si bruciassero completamente nell’atmosfera terrestre , hanno detto i funzionari della NASA nell’aggiornamento di oggi, ma ciò non è accaduto e l’agenzia vuole sapere perché.

“Sulla base dell’esame, l’agenzia ha stabilito che i detriti erano un montante dell’attrezzatura di supporto di volo della NASA utilizzata per montare le batterie sul pallet di carico”, hanno scritto i funzionari dell’agenzia in un aggiornamento di oggi (15 aprile)

“La Stazione Spaziale Internazionale eseguirà un’indagine dettagliata sull’analisi del lancio e del rientro per determinare la causa della sopravvivenza dei detriti e per aggiornare la modellazione e l’analisi, secondo necessità”, hanno scritto i funzionari della NASA nell’aggiornamento di oggi.

Per la sicurezza di tutti è una priorità che i rilasci della ISS destinati a bruciare non arrivo a terra anche in maniera parziale e ciò vale per qualsiasi altra attività che preveda la distruzione in atmosfera.

Di sicuro questo episodio sarà utile ai progettisti della NASA ma anche di altre agenzie per valutare in maniera più accurata i parametri necessari da rispettare per la messa in sicurezza.


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Sample Return da Marte: meglio o peggio?

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Ieri pomeriggio, in una conferenza aperta agli operatori del settore e alle testate giornalistiche, il direttore della NASA ha annunciato valutazioni e considerazioni importanti e che influenzeranno il futuro della missione per il prelievo dei campioni da Marte da riportare sulla terra.

I Mars Sample Return di cui abbiamo parlato in COELUM 256 nell’articolo a John Robert Brucato, Gabriele Cremonese e Lucia Marinangeli cioè prelievi del suolo marziano da riportare sulla terra, rappresenta una delle principali missioni della NASA degli ultimi due decenni.

Una nuova stima dei costi ha sancito che la missione alla fine costerà circa 11 miliardi di dollari e la data di ritorno è stata rimandata al 2040.

“Troppo costosa e troppo lenta”, così ha dichiarato il direttore della NASA Bill Nelson nella conferenza tenuta il 15 aprile. In sintesi il messaggio può essere così riassunto: la missione è importante, va completata riportando a terra se non tutti almeno alcuni dei campioni ma bisogna trovare una via più economica e soprattutto più rapida, considerando che è già nel decennio fra il 2030 e il 2040 che si vorrebbe portare i primi astronauti su Marte.

Insomma la missione non è abortita ma l’imperativo è modificarla.

Dal 21 febbraio 2021 il rover PERSEVERANCE opera su Marte, coadiuvato fino a poco fa dal suo fedele collaboratore, INGENUITY prelevando campioni del suolo marziano da riporre all’interno di contenitori opportunamente sterilizzati e successivamente sigillati. I contenitori poi vengono lasciati al suolo all’interno del cratere Jezero, area in cui il rover si muove.

La missione di ritorno prevede di inviare su Marte un MAV, un modulo di atterraggio in grado in orbita intorno al pianeta ove una navicella, questa volta di produzione dell’ESA Agenzia Spaziale Europea dovrebbe essere pronta al recupero. Il recupero dei campioni prima affidato a dei droni ora è passato allo stesso Perseverance.

Secondo la NASA tutto ciò oggi diventa troppo costoso e soprattutto lento considerando che non è possibile penalizzare altre missioni importanti per concentrare le risorse e accelerare i tempi di produzione e realizzazione dei componenti ancora mancanti.

Ricordiamo che la NASA ha già in progetto la realizzazione di un drone DRAGONFLY da inviare verso la gigantesca luna di Saturno: Titano.

Insomma nei prossimi anni la NASA tornerà spesso sull’argomento iniziando si da ora a valutare ogni possibile alternativa.

 


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La caverna di Platone, Flatland e i misteri della fisica – scarica la lettura

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Siamo anche noi abitanti di una Flatland tridimensionale?

di Ranieri Zaninotti

Nell’articolo l’autore prende spunto dal mito della Caverna di Platone e dal romanzo FlatLand per esplorare brevemente opzioni filosofiche e fisiche.

Partendo dal mito della caverna di Platone, presentato nella trattazione “La Repubblica”, dove le persone incatenate in una caverna vedono solo le ombre proiettate su una parete, simbolo delle percezioni sensoriali che distorcono la realtà vera e immutabile; e sfruttando una similitudine con la “realtà” come appare agli abitanti di “Flatland”, l’articolo invita a porsi una domanda.

Potremmo forse sciogliere ogni dubbio sulle conoscenze umane ipotizzando l’esistenza di dimensioni spaziali aggiuntive non direttamente percepibili? Discutiamo sui fenomeni come l’entanglement quantistico e la materia oscura, che rimangono misteriosi e sfidano la nostra comprensione della realtà, paragonando la nostra condizione a quella degli abitanti della caverna di Platone o di Flatland, limitati nella percezione di un universo più complesso e multidimensionale.

Il download è disponibile per i soli lettori che abbiano eseguito l’accesso.

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Bando Editoria Scuole 2024

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Bando Scuole Editoria 2024
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Rimborso del 90% alle scuole per l’acquisto di abbonamenti a riviste scientifiche

Bilancio 2024 in pillole
Bonus per editori e scuole

Da FiscoOnline

Contributi alle scuole che acquistano abbonamenti a quotidiani e riviste
Il comma 320 della legge di bilancio 2024 è dedicato a una misura, non nuova, ma ampliata, che indirettamente si muove a favore della stampa allargando però gli orizzonti alle pubblicazioni digitali.
La norma prevede, a decorrere dall’anno scolastico 2024-2025, un contributo pari al 90% della spesa sostenuta dalle istituzioni scolastiche statali e paritarie, di ogni ordine e grado, per l’acquisto di uno o più abbonamenti a quotidiani, periodici, riviste scientifiche e di settore, anche in formato digitale.

Gli istituti interessati devono chiedere la sovvenzione al dipartimento per l’Informazione e l’Editoria della presidenza del Consiglio dei ministri, il capo dello stesso dipartimento emana annualmente il bando per l’assegnazione del contributo.
Come anticipato, non si tratta di un debutto, la disposizione che promuove la lettura sostituisce, infatti, l’agevolazione prevista, a decorrere dall’anno 2020, dall’articolo 1, comma 389, della legge n. 160/2019 (legge di bilancio 2020). Non cambiano i destinatari del beneficio, né l’entità del contributo e neanche le modalità di accesso, ma la nuova norma ammette all’agevolazione anche i quotidiani invece esclusi dalla disciplina ora abrogata.

Leggi: Comma 320 nella legge di Bilancio 2024

La procedura di richiesta del contributo seguirà lo stesso iter valido per il medesimo contributo del 2023.

Link apertura richiesta rimborso per l’anno 2023 e procedura

Scrivi a ASSISTENA.VENDITE@COELUM.COM per maggiori informazioni oppure contatta il tuo fornitore di servizi e chiedi di COELUM ASTRONOMIA!


 

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Apophis

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Rappresentazione artistica dell'asteroide (99942) Apophis. Il 13 aprile 2029 Apophis passerà a meno di 32.000 km dalla superficie terrestre. CREDIT The Planetary Society; CC BY-NC 3.0
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SICUREZZA SPAZIALE

Il 13 aprile 2029 l’asteroide (99942) Apophis passerà a meno di 32 000 km dalla superficie terrestre.

Con un diametro medio di circa 375 m, Apophis sarà, per un breve periodo, più vicino alla Terra dei satelliti per telecomunicazioni in orbita geostazionaria e visibile nel cielo notturno ad occhio nudo da gran parte dell’Europa, dell’Africa e dell’Asia.

Quando Apophis fu scoperto nel 2004, le osservazioni iniziali indicavano una piccola possibilità che potesse colpire la Terra nel 2029, 2036 o 2068. Una collisione avrebbe potuto essere devastante, e quindi l’asteroide prese il nome dal dio egiziano del caos e della distruzione.

Osservazioni successive hanno escluso qualsiasi possibilità di impatto per almeno i prossimi 100 anni.

Tuttavia, l’avvicinamento ravvicinato di Apophis nel 2029 rappresenta un’opportunità unica di sensibilizzazione scientifica e pubblica. Le agenzie spaziali e gli istituti scientifici di tutto il mondo stanno pianificando di utilizzare il flyby per esplorare Apophis da terra utilizzando telescopi e da vicino utilizzando veicoli spaziali.

Le immagini rappresentano le osservazioni radar dell’asteroide 99942 Apophis l’8, 9 e 10 marzo 2021 durante l’ultimo passaggio ravvicinato. CREDITO NASA/JPL-Caltech e NSF/AUI/GBO

Scoperta e probabilità di impatto

Apophis è stato scoperto il 19 giugno 2004 dagli astronomi dell’Osservatorio nazionale di Kitt Peak negli Stati Uniti. Fu presto identificato come uno degli asteroidi potenzialmente più pericolosi mai rilevati. Il rischio di un impatto per 2029 salì fino al 2,7% e ha visto Apophis raggiungere il punteggio più alto di sempre sulla “scala Torino”, un metodo utilizzato per valutare la minaccia che un asteroide rappresenta per la Terra.

Utilizzando ulteriori osservazioni dell’asteroide, gli astronomi sono stati successivamente in grado di escludere il rischio di un impatto nel 2029 o nel 2036. Tuttavia, per diversi anni è rimasta ancora una piccola possibilità di impatto nel 2068 ma sappiamo oggi che saremo al riparo per almeno altri 100 anni.

Quando Apophis passerà davanti alla Terra nell’aprile 2029, l’attrazione della gravità del pianeta modificherà in modo significativo l’orbita dell’asteroide amplificando in parte la nostra incertezza sulla sua traiettoria futura. 

Tuttavia, le osservazioni radar di Apophis effettuate dal Goldstone Deep Space Communications Complex della NASA in California e dal Green Bank Observatory, West Virginia, nel marzo 2021, hanno notevolmente migliorato la nostra conoscenza dell’attuale orbita dell’asteroide e hanno permesso agli astronomi di escludere finalmente qualsiasi possibilità di impatto con la Terra per almeno 100 anni.

Apophis è stato rimosso dalla “Lista dei rischi” gestita dall’Ufficio per la difesa planetaria dell’ESA il 26 marzo 2021.

Fonte: ESA

 


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