Ormai prossima al picco luminoso la Pons-Brooks è alle prove generali prima del passaggio al perielio.
12P/Pons-Brooks
Mese che precede il perielio, in cui capiremo se la 12/P sarà una cometa da ricordare. L’”astro chiomato” da Andromeda si trasferirà nell’Ariete. A inizio mese la troveremo ancora abbastanza alta in cielo ma in abbassamento, tanto che a fine marzo risulterà ormai piuttosto bassa sull’orizzonte. Inizialmente si mostrerà nelle migliori condizioni in alto all’arrivo della notte astronomica e più bassa poco prima dell’alba. Con il procedere dei giorni rimarrà però osservabile solo alla sera. La sua luminosità dovrebbe raggiungere la sesta magnitudine a fine mese, con l’oggetto che sarà facilmente alla portata di piccoli binocoli sotto cieli degni. Bellissimo incontro prospettico il giorno 22, quando la cometa transiterà a circa tre gradi dalla Grande Galassia del Triangolo M33, momento da immortalare con un’immagine a largo campo. Il 31 sarà invece rintracciabile a ridosso di Hamal, la stella Alfa dell’Ariete.
C/2021 S3 PanSTARRS
Cometa molto deludente, tanto che la sesta magnitudine prevista dalle curve di luce di tempo fa non sarà neanche avvicinata. Dal Serpente si sposterà nella Volpetta, “percorrendo “un buon tratto di volta celeste. A inizio mese la cercheremo nell’ultima parte della notte mentre, con il progredire di marzo, sarà osservabile anche prima. A metà mese, in concomitanza con il passaggio alla minima distanza dalla Terra, raggiungerà la magnitudine picco che dovrebbe aggirarsi attorno ad una modestissima decima grandezza.
Se vuoi seguire l’evoluzione della 12p/Pons-Brooks leggi:
Non avevamo fatto in tempo ad inserirla nella precedente rubrica perché giunta alla fine del mese di gennaio, ma la lista di supernovae amatoriali di questo inizio 2024 si allunga con una nuova scoperta che arriva dagli Stati Uniti.
A metterla a segno è stato un veterano della ricerca di supernovae amatoriali che vanta al suo attivo non molte supernova, nove per la precisione, ma quasi tutte molto luminose, fra cui spicca la famosa SN2017aew nella bella galassia a spirale NGC6946, che raggiunse la notevole mag.+12,5. Stiamo parlando dell’astrofilo americano Patrick Wiggins che nella notte del 29 gennaio ha individuato una stella nuova di mag.+15,5 nella galassia a spirale barrata NGC3206 posta nella costellazione dell’Orsa Maggiore a circa 60 milioni di anni luce di distanza.
Il nostro Claudio Balcon non si è lasciato sfuggire questa ghiotta occasione ed infatti, nella stessa notte del 29 gennaio a soli 15 ore dalla scoperta, ha classificato per primo nel TNS il nuovo transiente. La SN2024bch è una giovane supernova di tipo II scoperta pochi giorni dopo l’esplosione. Inizialmente le righe dell’Idrogeno erano strette (narrow) e pertanto con i primi spettri la classificazione volgeva verso il tipo IIn, dove la “n” sta per narrow cioè stretto. Successivamente con il passare dei giorni e delle settimane, le righe si sono allargate portando la classificazione finale verso una supernova di tipo II normale.
Abbiamo perciò contattato il bravo astrofilo americano per avere delle informazioni sulla sua attuale attività di ricerca. Patrick ha 74 anni e vive vicino a Salt Lake City nello Utah. Collabora con il Dipartimento di Fisica e Astronomia dell’Università dello Utak e questo lo porta a presentare programmi di fisica ed astronomia nelle scuole locali. Ha iniziato a fare ricerca di supernovae il 24 gennaio 2011 ed in questi tredici anni ha trascorso 2354 notti a “caccia di stelle che esplodono” ottenendo la scoperta di nove supernovae. Dispone di un piccolo osservatorio con tetto apribile costruito sul resto della sua abitazione e utilizza un telescopio Celestron Schmidt/Cassegrain da 35 cm con CCD ST-10 SBIG. Entrambi sono vecchi, così come il software Software Bisque e Paramount che utilizza, ma funzionano molto bene. Con questa strumentazione Patrick segue una lista selezionata di circa 300 galassie ed ogni sera che è sereno cerca di riprenderne e controllarne il maggior numero possibile. Queste realtà amatoriali, dal Giappone e dagli Stati Uniti, come anche dalla Cina con il cinesi del programma Xoss, sono la dimostrazione che con costanza, rapidità e target appropriati, è ancora possibile ottenere delle preziose e gratificanti scoperte, riuscendo a battere sul tempo i programmi professionali dedicati a questo tipo di ricerca.
La ISS – Stazione Spaziale Internazionale sarà rintracciabile nei nostri cieli sia ad orari mattutini che serali. Avremo molti transiti notevoli con magnitudini elevate durante il primo mese della Primavera, auspicando come sempre in cieli sereni.
04 Marzo
Si inizierà il giorno 4 Marzo, dalle 06:01 alle 06:10, osservando da NO a SE. Visibilità perfetta da tutto il paese per uno dei migliori transiti del mese con una magnitudine massima che si attesterà su un valore di -3.8.
05 Marzo
Si replica il 5 Marzo, dalle 05:14verso NO alle 05:21 verso ESE. La ISS sarà nuovamente ben visibile da tutta Italia, con magnitudine di picco a -3.3. Osservabile senza problemi, meteo permettendo.
07 Marzo
Passando al 7 Marzo, dalle 05:13 alle 05:19, da O a SE, la ISS sarà osservabile al meglio dalle isole maggiori per questo transito parziale. Magnitudine massima a -3.7 non appena la Stazione Spaziale uscirà dall’ombra della Terra.
14 Marzo
Saltando una settimana, ed iniziando con i transiti serali, il 14 Marzo avremo un nuovo transito parziale dalle 19:20in direzione SO alle 19:27 in direzione ENE. Visibilità migliore dal Centro-Sud Italia, con magnitudine massima di -3.6.
16 Marzo
Il 16 Marzo, la Stazione Spaziale transiterà dalle19:18 alle 19:26, da OSO a NE. Visibilità ottima dal Centro Nord Italia per questo passaggio. Magnitudine massima a -3.5.
29 Marzo
Arrivando a fine mese, avremo il miglior transito serale del mese il 29 Marzo, dalle 19:52alle 19:58, da NO a SE, osservabile al meglio da tutta la nazione, con magnitudine massima a -3.7.
30 Marzo
L’ultimo transito notevole del mese sarà osservabile al meglio dal Nord Est e regioni Adriatiche, il 30 Marzo. Dalle 19:02 alle 19:11, da NO ad ESE. Magnitudine di picco a -3.5.
N.B. Le direzioni visibili per ogni transito sono riferite ad un punto centrato sulla penisola, nel centro Italia, costa tirrenica. Considerate uno scarto ± 1-5 minuti dagli orari sopra scritti, a causa del grande anticipo con il quale sono stati calcolati.
In caso di Booster della ISS eseguiti nei giorni successivi alla pubblicazione dell’articolo gli orari possono differire anche in maniera significativa. Vi invitiamo a controllare sempre il sito https://www.heavens-above.com/ soprattutto in caso di programmazione di una sezione di osservazione.
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Il lander lunare “Odysseus” della società americana Intuitive Machines atterrato con successo sulla Luna nella notte tra il 22 e il 23 febbraio ha iniziato ad inviare scatti dal sito di atterraggio
Odysseus continua a comunicare con i controllori di volo di Nova Control dalla superficie lunare. Dopo aver testato ed avviato i requisiti di comunicazione end-to-end, la sonda aveva inviato immagini dalla superficie lunare durante la sua discesa verticale fino a Malapert A sito di atterraggio, ad oggi il punto più a sud del nostro satellite in cui qualsiasi missione sia mai atterrata.
Gli algoritmi di navigazione avevano rilevato ben nove siti di atterraggio sicuri intorno al polo sud preso di mira, un’area che contiene regioni permanentemente in ombra probabilmente ricche di risorse, compreso il ghiaccio d’acqua che potrebbe essere utilizzato per la futura propulsione e supporto vitale sulla Luna.
Il 24 febbraio, la navicella spaziale Lunar Reconnaissance Orbiter (LRO) della NASA è passata sopra il sito di atterraggio a un’altitudine di circa 90 km e ha fotografato Ulisse.
I controllori di volo intendono raccogliere quanti più dati possibili finché i pannelli solari del lander saranno esposti alla luce, prevedibilmente fino alla mattina di martedì 27 febbraio.
La complessa questione della formazione binaria a tre corpi
Il problema dei tre corpi, nato con la teoria della gravitazione newtoniana, rimane ad oggi una delle questioni aperte più complesse in dinamica stellare, la branca dell’astrofisica che studia gli effetti generati dal moto delle stelle e la loro influenza sull’ambiente circostante. La difficoltà nell’individuare una trattazione matematica ad hoc che sia al contempo efficace e poco dispendiosa dal punto di vista computazionale ha sempre introdotto forti limitazioni nell’analisi di certi fenomeni, come la formazione binaria a tre corpi. Ma, se in passato ciò ha costituito un ostacolo quasi insormontabile, ora un ritrovato spirito combattivo sembra diffondersi nel mondo della ricerca grazie alla pubblicazione di un nuovo codice simulativo basato su un metodo d’integrazione diretta all’avanguardia.
La maggioranza delle stelle nell’Universo è parte di sistemi binari: alcune di esse nascono già legate tra loro nella nube molecolare originaria (i.e., binarie primordiali), mentre altre si uniscono nel corso della loro vita per interazione di tipo gravitazionale, soprattutto in ambienti densi come gli ammassi globulari (i.e., binarie dinamiche). A questo proposito, svariati sono i meccanismi che intervengono a vincolare due stelle inizialmente isolate: la frizione dinamica all’interno di un mezzo gassoso, la dissipazione di energia orbitale per effetto delle forze di marea con conseguente restringimento dell’orbita stessa (i.e., cattura mareale), e l’emissione di onde gravitazionali durante il passaggio ravvicinato di due oggetti compatti (i.e, cattura gravitazionale). Inoltre, si riscontra la generazione di sistemi binari anche a seguito dell’incontro fra tre corpi interagenti che subiscono una deflessione delle rispettive orbite e sono perciò indotti ad entrare in contatto tra loro: di essi, uno agisce da catalizzatore trasferendo la propria energia potenziale gravitazionale agli altri due, che la convertono in energia cinetica per associarsi, e venendo espulso al termine del processo. Tale fenomeno, chiamato formazione binaria a tre corpi (i.e., three-body binary formation, 3BBF), è però generalmente poco indagato rispetto a quelli summenzionati. La mancanza d’interesse per la 3BBF si deve alla storica credenza che il suo tasso di produzione di sistemi binari sia globalmente trascurabile, ovvero non rilevante nell’arco dell’intera esistenza dinamica degli ammassi stellari. Questo finché non si scoprì che essa era accresciuta dalla presenza dei buchi neri, molto comune in contesti stellari simili. Ulteriore motivo di passata indifferenza verso la 3BBF è rappresentato dalla convinzione che essa tenda ad avere come esito binarie “soft”, destinate cioè ad essere facilmente distrutte da successivi eventi perturbativi a causa della notevole distanza tracomponenti, contrariamente a quelle “hard”. Tuttavia, nonostante la scarsa longevità, le binarie soft si formerebbero così frequentemente che la probabilità che una piccola frazione di esse riesca a sopravvivere grazie ad un restringimento dell’orbita risulterebbe piuttosto elevata.
Ergo, ignorare il contributo della 3BBF nella realizzazione di modelli teorici sul ruolo dinamico della binarietà è sconsigliabile, benché obiettivamente vantaggioso in quanto limitante la complessità di calcolo e il dispendio computazionale. Infatti, le simulazioni a N-corpi richiedono algoritmi troppo elaborati per risolvere le interazioni a tre corpi in tempi accettabili e, viceversa, le tecniche Monte Carlo adottano semplificazioni spesso eccessive in vista di un’ottimizzazione della relativa performance. Un nuovo metodo di integrazione diretta sembra nondimeno in grado di superare tali difficoltà attraverso una rivisitazione del duplice lavoro di ricerca denominato AH76, il quale, basandosi su uno schema di campionamento Monte Carlo poco accurato, assumeva che la 3BBF avvenisse fra tre corpi inizialmente slegati (i.e., three unbound bodies, 3UB) di uguale massa e in modo non ricorrente. Mediante l’utilizzo dell’integratore TSUNAMI e del pacchetto Python CUSPBUILDING, il modello AH76 è stato quindi modificato correggendo le inconsistenze dell’inerente schema Monte Carlo e aumentando significativamente il numero di scattering 3UB per ottenere una più solida statistica. L’aggiunta delle espansioni post-newtoniane (i.e., metodi matematici per trovare delle soluzioni approssimate alle equazioni della relatività generale di Einstein) consente di includere nella trattazione della 3BBF pure i buchi neri e l’associata fenomenologia.
Il primo evidente risultato dell’applicazione del così revisionato codice simulativo è che la 3BBF favorisce l’accoppiamento dei due corpi interagenti meno massivi nel caso delle binarie soft, e di quello più massivo con quello meno massivo nel caso delle binarie hard. Da notare, poi, che le prime, prodotte in percentuale molto più alta rispetto alle seconde, sono caratterizzate per lo più da orbite larghe ed eccentriche come quelle osservate dalla missione Gaia. Ciò conferma allora che, sebbene aventi un tempo di vita generalmente breve, alcune binarie soft comunque esistono: pertanto, ometterle dalla descrizione dello stato dinamico di un sistema stellare condurrebbe ad una visione parzialmente errata. Per converso, l’inserimento degli effetti post-newtoniani nella 3BBF stimola la generazione di binarie hard di buchi neri tramite l’emissione di onde gravitazionali che si verifica nel corso dell’interazione con il terzo corpo. Poiché questo canale di formazione acquista rilievo soltanto negli ammassi nucleari per via della loro notevole densità, si può tenere conto di questa declinazione della 3BBF in maniera selettiva. Qualora invece la 3BBF avvenga in ammassi globulari, con la sua tipica combinazione di due stelle di sequenza principale e un buco nero, si trova che le collisioni con altre stelle vicine non impattano fortemente sul processo purché esso abbia come frutto una binaria hard. Infine, si constata che il meccanismo della 3BBF promuove l’espulsione ad alta velocità del corpo catalizzatore, che può riuscire addirittura a scappare dall’ammasso ospite, divenendo perciò una stella fuggitiva (i.e., runaway star) all’interno dell’alone galattico. Ciò sembra valere specialmente per stelle catalizzatrici di sequenza principale, che lasciano di norma un neonato sistema binario hard composto o da una stella analoga e da un buco nero o da due buchi neri.
Riassumendo, questo studio dettagliato sulla 3BBF dimostra, in accordo con le premesse, l’importanza di non dare per scontato che fenomeni considerati meno probabili non incidano sulla determinazione dello stato fisico di un sistema stellare. Invero, a discapito dei vecchi pregiudizi scientifici, si conclude che una frazione di binarie soft non viene sciolta, essendo tuttora osservabile con i telescopi spaziali, che l’emergenza degli effetti post-newtoniani e delle collisioni dipende dalle proprietà ambientali, e che parte della popolazione di runaway stars nella Via Lattea risulta naturalmente spiegata. Eppure, questo non è altro che un mero punto di partenza: molto lavoro resta ancora da fare per esplorare tutte le sfaccettature del problema 3UB, che si configura come centrale per la comprensione della dinamica stellare. Si attendono dunque future e più sofisticate implementazioni di tale nuovo, promettente approccio simulativo per immergersi a fondo in questo affascinante settore fisico-matematico dell’odierna astrofisica teorica.
Il lander lunare “Odysseus” della società americana Intuitive Machines è atterrato con successo sulla Luna nella notte tra il 22 e il 23 febbraio, diventando il primo lander commerciale a raggiungere la superficie lunare.
Lancio e viaggio
Odysseus è stato lanciato il 15 febbraio 2024 da un razzo Falcon 9 di SpaceX dalla base di Cape Canaveral in Florida. Dopo quindi circa una settimana di viaggio il lander ha compiuto e completato tutte le manovre di atterraggio. Intorno alle 03:00 ora italiana del 23 febbraio 2024 la società Intuitive Machine ha dichiarato che il modulo lunare Odysseus è posizionato in verticale e pronto a trasmettere dati.
Si tratta di uno storico risultato per la NASA che mancava dal suolo lunare da ben 52 anni, cioè da quando il nostro satellite è stato visitato per l’ultima volta dall’apollo 17 nel dicembre 1972.
La Missione dall’assegnazione al Lancio
Nel 2019, CLPS ha selezionato Intuitive Machines a cui affidare la realizzazione di un lotto di strumenti scientifici della NASA destinati a studiare la Luna atterrando su essa con il lander Nova-C della stessa azienda.
Dopo alcune modifiche, l’ordine di missione si è rivelato valere 118 milioni di dollari e coperto il trasporto di esperimenti di ben sei agenzie differenti un ottimo risultato per la missione IM-1 di Intuitive Machines. La missione prevede il lancio di un robot Nova-C chiamato Odysseus, dal nome del famoso eroe viaggiatore della mitologia greca.
Gli strumenti della NASA, il cui sviluppo è costato all’agenzia altri 11 milioni di dollari, sono progettati per condurre una serie di indagini. Ad esempio, uno di essi, chiamato NDL (“Navigation Doppler Lidar for Precise Velocity and Range Sensing”) utilizza la tecnologia LIDAR (light Detection and Range) per raccogliere dati durante la discesa e l’atterraggio. E’ proprio questo ultimo strumento che poi si è rivelato fondamentamentale per la ruscita della missione.
Un altro strumento è stato progettato per studiare come lo scarico del motore della navicella interagisce con le polveri e la roccia lunare. Un altro ancora dimostrerà la tecnologia di posizionamento autonomo, che potrebbe eventualmente diventare parte di un ampio sistema di navigazione simile al GPS sulla Luna e nei suoi dintorni.
Intuitive Machines ha anche messo sei carichi utili commerciali su Odysseus per IM-1. Uno di questi viene dalla Columbia Sportswear , che ha voluto testare il suo materiale isolante “Omni-Heat Infinity” nello spazio profondo. Un altro è composto da una serie di sculture dell’artista Jeff Koons, e c’è anche un “deposito lunare sicuro” che mira a preservare il magazzino della conoscenza accumulata dall’umanità.
Su Odysseus opera anche EagleCam, un sistema di telecamere costruito dagli studenti della Embry-Riddle Aeronautical University. EagleCam è stata progettata per essere posizionata dall’Odysseus a circa 30 metri sopra la superficie lunare e scattare foto dell’epico atterraggio del lander dal basso. Puoi saperne di più su tutti i 12 payload dell’IM-1 qui.
Allunaggio
Ulisse è arrivato in orbita lunare il 21 febbraio come previsto. il 22, durante il tentativo di atterraggio, gli assistenti del lander hanno scoperto che i telemetri laser di Odysseus, che gli consentivano di determinare la sua altitudine e velocità orizzontale, non funzionavano correttamente. Il team ha avuto la brillante idea di mettere in servizio il carico utile sperimentale NDL della NASA per questa funzione vitale, posticipando il tentativo di atterraggio di due ore.
Un tentativo disperato, ma forse già considerato fra i vari piani di emergenza, che ha richiesto al team di progettare una patch software a terra e trasmetterla su Odysseus, per fortuna il tutto ha funzionato. Alle 18:11 EST (23:11 GMT) del 22 febbraio, Odysseus ha acceso il suo motore principale per 11 minuti per rallentare la discesa del velivolo verso la superficie lunare. Quindi, alle 18:23 EST (2353 GMT), Ulisse è atterrato dolcemente vicino al bordo del cratere Malapert A, a circa 190 miglia (300 chilometri) dal polo sud lunare.
Ci sono voluti circa 15 minuti di tensione perché la squadra dell’IM-1 si agganciasse al segnale di Odysseus e ne confermasse il successo.
Attività sulla Luna
Dopo l’atterraggio, Odysseus ha dispiegato i suoi quattro piedi e ha iniziato a trasmettere immagini e dati dalla superficie lunare. Il lander rimarrà sulla Luna per almeno 14 giorni, durante i quali condurrà una serie di esperimenti scientifici e tecnologici.
Missioni atterrate sulla Luna dal 2000
Nonostante l’attenzione mediatica verso il programma Artemis e le mire statunitensi sul territorio lunare ricordiamo le ultime missioni promosse da altre agenzie spaziale che dal 2000 in poi hanno puntato e in alcuni casi conquistato con successo la Luna. Ricordiamo che ad oggi gli stati che hanno raggiunto il suolo lunare sono in ordine: Unione Sovietica, Stati Uniti, Cina e India.
2003: Chang’e 1 (Cina): Prima sonda cinese ad orbitare la Luna.
2007: SELENE (Giappone): Orbiter e lander che hanno rilasciato un rover sulla superficie lunare.
2008: Chandrayaan-1 (India): Orbiter in ordita appunto intorno alla Luna che ha lanciato sulla superficie del satellite un impattatore
2013: Chang’e 3 (Cina): Seconda sonda cinese ad atterrare sulla Luna, con un rover a bordo.
2019: Chang’e 4 (Cina): Prima sonda ad atterrare sul lato nascosto della Luna, con un rover a bordo
2020: Chang’e 5 (Cina): Missione di prelievo di campioni lunari, che ha riportato sulla Terra circa 2 kg di rocce
2023: Chandrayaan-3sondalunareindiana lanciata il 14 luglio 2023 alle 09:05 UTC (14:30 locali) e allunata con successo il 23 agosto 2023
Decadimento di neutrini sterili: un nuovo modo per rivelare la materia oscura?
La natura elusiva della materia oscura rende difficile ottenere prove della sua esistenza e determinarne la composizione sfruttando le sue manifestazioni gravitazionali: per questo motivo metodi di rilevamento di tipo indiretto, tipici della fisica astroparticellare, stanno acquisendo sempre maggiore importanza. Essi si basano sull’individuazione di fenomeni che interesserebbero le ipotetiche particelle costituenti la materia oscura, come decadimenti e annichilazioni: tra questi, il decadimento a due corpi dei neutrini sterili sembra essere responsabile dell’aumentata emissione X osservata sia nell’alone che attorno al centro galattico. Uno studio, che combina l’utilizzo di vari modelli teorici per riprodurre il profilo di densità della materia oscura nella Via Lattea e le predizioni sugli esiti delle future osservazioni con il nuovo telescopio XRISM, fornisce predizioni sul flusso di decadimento di neutrini sterili nella Galassia che ci si aspetta di misurare entro i prossimi 15 anni.
Determinare la composizione della materia oscura rappresenta una delle più ardue sfide che il mondo dell’astrofisica ha dovuto affrontare negli ultimi decenni per via della natura elusiva di questa. Considerata la mancanza di flusso luminoso, sembra che la sua presenza si manifesti sia attraverso effetti gravitazionali su larga scala sia attraverso decadimenti particellari: per questa ragione, i metodi di rilevamento indiretto hanno acquisito particolare importanza nel fornire stime ed effettuare misure. Essi, infatti, si basano sull’individuazione dei rari casi in cui le ipotetiche particelle di materia oscura, decadendo o annichilendosi, emetterebbero radiazione elettromagnetica, poiché questa risulta facilmente distinguibile da quella inerente i processi astrofisici. Un simile segnale è stato osservato nel range dei keV: si tratta di un eccesso di emissione di raggi X al preciso valore di energia 3.55 keV presente in ambienti diversi, come negli ammassi di galassie Virgo e Perseo, ma, soprattutto, come il centro e l’alone della Via Lattea. La riga spettrale di emissione così prodotta sarebbe compatibile con il decadimento a due corpi (i.e., con formazione di due nuove particelle) di una particella di materia oscura con massa-energia pari a 7.1 keV. Si identifica un possibile candidato nel neutrino sterile, cosiddetto perché interagente solo con la gravità al contrario dei suoi fratelli attivi (i.e., i neutrini elettronico, muonico e tauonico del Modello Standard), che subiscono la forza debole. Per poter caratterizzare tale riga e associarla ad una simile sorgente è necessario disporre di uno spettrometro di raggi X ad alta risoluzione, come Resolve della missione XRISM lanciata dalla NASA lo scorso settembre. Nello specifico, il centro galattico si configura come il luogo ideale per l’utilizzo di Resolve dato il suo legame diretto con l’alone, dominato dalla materia oscura: il segnale prodotto dal decadimento di un neutrino sterile sarebbe pertanto il medesimo in questo e nel centro galattico.
Tuttavia, una delle maggiori fonti di incertezza nell’identificazione del detto segnale all’interno della Via Lattea è costituita dalla forma del profilo di densità della materia oscura, che mostra come essa si distribuisce in funzione del raggio. Il profilo di densità più frequentemente adottato per modellizzare l’alone della Galassia allo scopo di studiarne l’emissione X è il Navarro–Frenk–White (NFW), dipendente da un parametro chiamato raggio scala e valido nell’ipotesi di simmetria sferica. Esistono però delle alternative per facilitare tale operazione, come ad esempio un profilo di densità contratto per valori del raggio superiori a 1 kpc e piatto per valori inferiori, che estende i limiti della zona d’indagine imposti dal profilo NFW fino al centro galattico.
Un recente lavoro di ricerca illustra proprio come la scelta del profilo di densità influenzi la ricezione del flusso di decadimento delle particelle di materia oscura in banda X. Quattordici diversi modelli sono stati messi pertanto a confronto: 10 profili NFW, differenti per valore del raggio scala, 1 profilo piatto entro 3 kpc dal centro galattico, 2 noti profili in letteratura, ovvero il profilo contratto Ca20 e il profilo NFW Mc17, e 1 profilo misto contratto-piatto Ca20c. Riassumendo, si hanno complessivamente 11 profili a simmetria sferica (i.e, Mc17 e i 10 aloni NFW), 1 profilo contratto (i.e., Ca20), 1 profilo piatto e un profilo dato dall’intersezione tra i profili contratto e piatto a 2 kpc (i.e., Ca20c). Per ciascun profilo è stata poi calcolata l’intensità dell’emissione X relativa al supposto decadimento di un neutrino sterile in funzione dell’angolo d’inclinazione rispetto al centro galattico 𝜃GC. Si trova quindi che il profilo contratto aumenta fortemente l’intensità del flusso di neutrini sterili ad angoli 𝜃GC<20◦, sopprimendola invece ad angoli maggiori, e che il profilo piatto la diminuisce ad angoli 𝜃GC< 10◦. Combinati insieme, i due risultati indicano allora che l’assunzione di un profilo contratto inibisce la radiazione X nelle parti più esterne della Galassia e la alimenta attorno al centro galattico, dove però viene ulteriormente bloccata dalla presenza del profilo piatto.
Il modello realizzato assumendo il profilo Ca20c pare dare giustificazione dell’intensa emissione X proveniente dal centro galattico, ma per verificarne la correttezza è necessario convalidarlo effettuando un controllo incrociato con i dati osservativi. Invero, il flusso di decadimento di neutrini sterili che ci si aspetta di ottenere da XRISM secondo il modello Ca20c deve essere consistente con quello atteso in ambienti diversi dal centro galattico a seguito di misure con il medesimo strumento. Tale flusso atteso è stato perciò calcolato anche per gli ammassi di galassie Virgo e Perseo, rivelandosi però compatibile con quello relativo al centro galattico solo nel caso di Virgo a causa delle difficoltà osservative concrete che si incontrerebbero in Perseo. Espandendo il campione di sistemi stellari di test ad oggetti con proprietà fisiche non esattamente analoghe, come la galassia nana sferoidale Draco e il famoso Bullet cluster, grazie alle nuove tecnologie si potrebbero infine ricavare prove a favore dell’esistenza dei neutrini sterili come particelle costitutive della materia oscura entro i prossimi 15 anni.
A Villa Farsetti di Santa Maria di Sala un nuovo appuntamento con le stelle
25^ edizione della Mostra di Astronomia e Astronautica
La manifestazione, organizzata dal Gruppo Astrofili Salese “G. Galilei”, si svolgerà dal 3 al 10 Marzo 2024 e offrirà nuove sezioni tematiche, osservazione del cielo, visite al Planetario e un concerto. Inaugurazione il giorno 2 Marzo alle ore 16.00.
“Quest’anno celebriamo il venticinquesimo appuntamento con la Mostra di Astronomia e Astronautica, un evento che è iniziato tanti anni fa come una scommessa, e che nel tempo è cresciuto sempre più, coinvolgendo grandi nomi della fisica e dell’astronomia, e portando a santa Maria di Sala migliaia di appassionati da tutta Italia”.
Lo ha detto Tino Testolina, presidente del Gruppo Astrofili Salese “G. Galilei”, illustrando il programma e le novità della “25^ Mostra di Astronomia e Astronautica”, che si terrà a Villa Farsetti di Santa Maria di Sala dal 3 al 10 Marzo 2024, con inaugurazione il giorno 2 Marzo alle ore 16.00.
La mostra conterà 22 sezioni tematiche nei due piani della monumentale villa, mentre nel giardino esterno si potrà osservare il cielo con i telescopi e passeggiare tra i pianeti nella ricostruzione del sistema solare in scala di riduzione. Sarà inoltre possibile godere degli spettacoli del Planetario, situato nei pressi della villa, presso l’Osservatorio di viale Ferraris 1.
Infine, per celebrare i 25 anni della mostra, Sabato 9 Marzo alle ore 18.00 in Sala Teatro a villa Farsetti sarà offerto un “Concerto Musicale Spaziale” con Franco Guidetti, ad entrata libera.
“L’edizione 2024 presenterà una serie di nuove sezioni espositive – ha aggiunto Testolina – imperdibili per tutti gli appassionati di Astronomia, sulla Missione Gaia e JWST, su peso, massa, gravità, buchi neri e buchi bianchi, sui personaggi dell’Astronomia e sulle costellazioni tra storia e mito. A Villa Farsetti sono già attesi un migliaio di ragazzi, provenienti da istituti scolastici di tutto il Veneto, che hanno già prenotato la propria presenza”.
La manifestazione è patrocinata da Regione Veneto, Città Metropolitana di Venezia, Comune di Santa Maria di Sala, INAF-Osservatorio Astronomico di Padova e dalla società EIE GROUP.
Orario apertura Mostra:
Da Lunedì a Venerdì: 9:00-13:00
Sabato e Domenica: 9:00-20:00
Prezzi: Intero: € 10,00 + € 2,00 con visita Planetario
Ridotto (da 11 anni a 26 anni e oltre 65 anni): € 6,00 + € 2,00 con visita Planetario
L’intero incasso verrà utilizzato per sostenere le spese della mostra e per finanziare l’opera di divulgazione dell’associazione no profit Gruppo Astrofili Salese.
Scoperto il buco nero con la crescita più rapida: 17 miliardi di masse solari e 500 trilioni di volte più luminoso del Sole
VLT dell’ESO trova il quasar più luminoso: un buco nero che inghiotte un Sole al giorno
Sintesi
Utilizzando il VLT (Very Large Telescope) dell’ESO (l’Osservatorio Europeo Australe), alcuni astronomi hanno caratterizzato un quasar brillante, trovando che non solo è il più brillante della sua classe, ma anche l’oggetto più luminoso mai osservato. I quasar sono i nuclei luminosi di galassie distanti e sono alimentati da buchi neri supermassicci. La massa del buco nero di questo quasar da record cresce dell’equivalente di un Sole al giorno, rendendolo il buco nero con la crescita più rapida trovato fino a oggi.
I buchi neri che alimentano i quasars raccolgono la materia dall’ambiente circostante in un processo energetico in grado di emettere grandi quantità di luce, così che i quasar diventano di fatto gli oggetti più luminosi nel cielo, visibili anche quando molto distanti dalla Terra. Come regola generale, i quasar più luminosi indicano i buchi neri supermassicci che crescono più rapidamente.
“Abbiamo scoperto il buco nero con la crescita più rapida finora conosciuto. Ha una massa di 17 miliardi di volte quella del nostro Sole e si nutre con poco più di un Sole al giorno. Questo lo rende l’oggetto più luminoso dell’Universo conosciuto”, afferma Christian Wolf, astronomo dell’Università Nazionale Australiana (ANU) e autore principale dello studio pubblicato su Nature Astronomy. Il quasar, chiamato J0529-4351, è così lontano dalla Terra che la sua luce ha impiegato oltre 12 miliardi di anni per raggiungerci.
La materia attirata verso questo buco nero, sotto forma di disco, emette così tanta energia che J0529-4351 è oltre 500 trilioni di volte più luminoso del Sole [1]. “Tutta questa luce proviene da un disco di accrescimento caldo che misura sette anni luce di diametro: deve essere il disco di accrescimento più grande dell’Universo“, afferma Samuel Lai, dottorando all’ANU e coautore dell’articolo. Sette anni luce equivalgono a circa 15.000 volte la distanza dal Sole all’orbita di Nettuno.
E, cosa sorprendente, questo quasar da record era solo apparentemente nascosto. “È una sorpresa che sia rimasto sconosciuto fino a oggi, quando conosciamo già un milione circa di quasar meno notevoli. Finora ci ha guardato letteralmente negli occhi!”, dice il coautore Christopher Onken, astronomo dell’ANU, sottolineando che compare già nelle immagini della Schmidt Southern Sky Survey dell’ESO risalente al 1980, eppure non è stato riconosciuto come quasar fino a decenni dopo.
Trovare quasar richiede dati osservativi precisi da vaste aree del cielo. La mole dei dati può risultare così grande che i ricercatori spesso utilizzano modelli di apprendimento automatico (machine-learning) per analizzare e distinguere i quasar da altri oggetti celesti. Tuttavia, questi modelli vengono addestrati su dati esistenti, il che limita i potenziali candidati a oggetti simili a quelli già noti. Se un nuovo quasar fosse più luminoso di tutti quelli osservati in precedenza, il programma potrebbe rifiutarlo e classificarlo invece come una stella non troppo distante dalla Terra.
Un’analisi automatizzata dei dati del satellite Gaia dell’Agenzia Spaziale Europea ha escluso J0529-4351 perchè troppo luminoso per essere un quasar, suggerendo invece che si trattasse di una stella. I ricercatori lo hanno identificato come quasar soltanto nello scorso anno, utilizzando le osservazioni del telescopio ANU da 2,3 metri di diametro, presso l’Osservatorio di Siding Spring in Australia. Scoprire che si trattava del quasar più luminoso mai osservato, tuttavia, richiese un telescopio più grande e misure effettuate con uno strumento più preciso. Lo spettrografo X-shooter installato sul VLT dell’ESO nel deserto cileno di Atacama ha fornito i dati cruciali.
Il buco nero con la crescita più rapida mai osservato sarà anche un obiettivo perfetto per quando l’aggiornamento di GRAVITY+ installato sull’VLTI (l’interferometro del VLT) dell’ESO, progettato per misurare con accuratezze la massa dei buchi neri, compresi quelli lontani dalla Terra. Inoltre, l’ELT (Extremely Large Telescope) dell’ESO, il telescopio di 39 metri di diametro in costruzione nel deserto cileno di Atacama, renderà ancora più fattibile l’identificazione e la caratterizzazione di tali oggetti così sfuggenti.
Trovare e studiare i buchi neri supermassicci distanti potrebbe far luce su alcuni dei misteri dell’Universo primordiale, tra cui il modo in cui essi e le galassie che li ospitano si sono formati ed evoluti. Ma non è l’unico motivo per cui Wolf li cerca. “Personalmente, mi piace semplicemente la caccia“, dice. “Per qualche minuto al giorno mi sento di nuovo un bambino, mentre gioco alla caccia al tesoro.”
Note
[1] Alcuni anni fa, la NASA e l’Agenzia spaziale europea riferirono che il telescopio spaziale Hubble aveva scoperto un quasar, J043947.08+163415.7, luminoso quanto 600 trilioni di Soli. Tuttavia, la luminosità di quel quasar era amplificata da una galassia “lente”, situata tra noi e l’oggetto. Si stima che la luminosità effettiva di J043947.08+163415.7 equivalga a circa 11 trilioni di Soli (1 trilione è un milione di milioni: 1 000 000 000 000 o 1012).
Williamina la prima “computatrice di Harvard” (Harvard Computers)
Williamina Fleming nacque a Dundee, il 15 maggio 1857 e fu un’astronoma inglese. Come spesso accadeva alle giovani donne a quel tempo si sposò giovane, all’età di 21 anni, con James Orr Fleming, che la portò oltre oceano, fino negli Stati Uniti stabilendosi a Boston, Massachusettsfino ad abbandonarla una volta incinta quando fu costretta a cercare lavoro per mantenere la sua famiglia. Fortunatamente l’emancipazione ed i diritti delle donne hanno fatto passi da gigante, ma a tutt’oggi siamo soltanto arrivati al livello “accettabile”. Comunque, ritorniamo a Williamina.
Dovendosi rimboccare le maniche, trovò occupazione come cameriera in casa dell’astronomo Edward Charles Pickering, all’epoca direttore dell’Harvard College Observatory. Si narra che, deluso dai propri collaboratori, un giorno affermò, orlando: “La mia domestica scozzese farebbe un lavoro migliore!”. Tenendo fede alla sua parola, nel 1881 Pickering assunse la Fleming come impiegata negli uffici. Fu così che Williamina divenne la prima delle “computatrici di Harvard” (Harvard Computers), le donne che avrebbero studiato le stelle attraverso le lastre fotografiche dell’università. Una volta si faceva a mano e, siccome era un lavoro noioso, veniva fatto fare alle donne.
Ma vista la bravura di Williamina, Pickering assunse dunque altre donne per il progetto, e il gruppo sarebbe poi stato chiamato “harem di Pickering”. Inutile dire che la loro bravura e scrupolosità era innegabile. La Fleming diede un forte aiuto nella classificazione delle stelle ed assegnò delle lettere in base alla quantità di idrogeno riscontrabile nel loro spettro in maniera che le stelle classificate come A erano le più ricche di idrogeno, quelle di classe B meno ricche, e così via. Fu questo il punto di partenza che portò, in seguito, Annie Jump Cannon, a sviluppare la sua classificazione in base alla temperatura superficiale. Su questo blog tempo fa abbiamo parlato di questa altra grandissima donna. Le stelle della Fleming vennero poi organizzate in un catalogo, il Catalogo Henry Draper. Pensate, in nove anni catalogò oltre 10 mila (DIECIMILA) stelle, scoprendo en passant, 59 nebulose, oltre 310 stelle variabili e 10 novae. Fu lei, inoltre, che scoprì, nel 1888, la celeberrima la Nebulosa Testa di Cavallo, descrivendola e fornendone le coordinate esatte.
Le immagini prese da William Pickering, che scattò una foto dell’oggetto, sembravano mostrare che si trattasse di una nube di polveri oscure e le pubblicazioni successive fecero in modo di celare la reale maternità della scoperta. Quel furbacchione di John Dreyer, il primo autore dell’Index Catalogue su cui la nebulosa era descritta, eliminò infatti il nome della Fleming dalla lista di oggetti, che risultavano così scoperti da altri. Fortunatamente , nella seconda edizione del 1908, il nome della Fleming riapparve e la Fleming fu finalmente messa alla testa di un gruppo di decine di donne incaricate di eseguire delle classificazioni matematiche, riservandosi di editare le pubblicazioni dell’osservatorio.
Nella sua carriera fu socia onoraria della Royal Astronomical Society di Londra dal 1906, la prima donna americana a ricevere tale riconoscimento, membro onorario del Wellesley College, medaglia Guadalupe Almendaro dalla Società astronomica del Messico per la sua scoperta di nuove stelle e le venne anche dedicato il nome di un cratere, il cratere Fleming sulla Luna, che divide assieme al biologo Alexander Fleming.
Oggi parliamo del 1998, l’anno più lussurioso di questo decennio. Perché nonostante tutte le cose interessanti e magnifiche che questo anno ha portato, tutti lo ricorderanno per una cosa: IL VIAGRA. Proprio nel 1998 infatti, la FDA statunitense approvò la commercializzazione della “pillolina blu” come cura dell’impotenza. Poi la cosa sfuggì, diciamo, di mano. Nello stesso anno, vuoi il caso, partirono due delle serie tv più famose del decennio: Will & Grace e Sex and the City. Nel 1998 vi ricordo che Paula Jones accusò anche il presidente statunitense Bill Clinton di molestie sessuali. Il cinema non era da meno, con colossal del calibro di Godzilla e Armageddon che sfondavano i botteghini facendo incassi da record.
Nel 1998 ci fu anche il primo trapianto di arto, precisamente il 23 settembre, a Lione. La mano destra di un uomo morto in un incidente stradale venne trapiantata con successo a un cinquantenne da una équipe medica internazionale guidata dal professor Jean-Michel Dubernard.
Il 1998 era quell’età di mezzo in cu ci si avvicinava al 2000, e le ansie del nuovo millennio si fondevano con la nostalgia dei pantaloni che, piano piano, stavano diventando a vita sempre più bassa e, grazie all’euro, costavano il doppio.
Per l’astronomia fu un anno decisamente denso, che vide, fra le altre cose, una eclissi solare totale, una eclissi solare anulare e ben tre eclissi lunari penombrali. Le missioni spaziali la fecero da padrone. Nel 1998 infatti, i dati inviati dalla sonda spaziale Galileo indicarono che la luna di Giove Europa aveva un oceano liquido sotto una spessa crosta di ghiaccio. Per rimanere in tema di acqua, la sonda Lunar Prospector, lanciata in orbita attorno alla Luna, trovò successivamente le prove del prezioso fluido ghiacciato sulla sua superficie e La NASA annuncia che la sonda Clementine, in orbita attorno alla Luna, trovò abbastanza acqua nei crateri polari da sostenere una colonia umana e una stazione di rifornimento di razzi. La corsa allo spazio vide il Giappone lanciare una sonda su Marte, salendo sul carro dei big assieme agli Stati Uniti e alla Russia per quanto riguarda l’esplorazione al di fuori della Terra. Nello stesso anno venne anche lanciato Zarja, il primo modulo della Stazione Spaziale Internazionale.
Nel 1998 nacque anche il primo programma spaziale della NASA con lo scopo di sperimentare una serie di tecniche per future esplorazioni a grandissima distanza dalla Terra, al di là del Sistema solare, nel cosiddetto spazio profondo.
Il 1998 vide ritornare nello spazio John Glenn a bordo dello Space Shuttle Discovery, lanciandolo, alla tenera età di 77 anni, nell’olimpo degli astronauti come la persona più anziana ad andare nello spazio fino a quel momento. Da lì poteva vedere una nuova stella che si era appena accesa nel firmamento: Lucio Battisti lasciava la Terra per brillare di luce eterna.
La tecnologia non fu da meno, accendendo il primo dei quattro telescopi riflettenti da 8,4 m del programma Very Large Telescope dell’European Southern Observatory a Cerro Paranal in Cile.
Dal lato cosmologico infine, gli astronomi Saul Perlmutter, Adam Riess e Brian Schmidt pubblicarono la prima evidenza che l’universo sta aumentando la sua velocità di espansione. E lo fecero utilizzando come indicatori di distanza le supernovae del tipo Ia. In questo modo fu possibile affermare che le galassie più lontane si muovono a una velocità maggiore di quanto ci si aspettava. Sempre nel campo della cosmologia, ci fu il famoso Progetto Boomerang. Chi di voi se lo ricorda? Consisteva nella ripresa di immagini del cielo con un telescopio riflettore di 1,2 m montato a bordo di un pallone aerostatico che volava sull’Antartide a 35 km di altezza. Grazie ai dati raccolti da questo strumento in solo un anno, fu possibile ricavare informazioni sulla temperatura dell’Universo primordiale dopo il big bang. Anche la fisica disse la sua nel 1998. Ci fu infatti la prova del fatto che i neutrini hanno una massa. Fu dedotta dal fatto che il numero dei neutrini osservabili sulla Terra dopo averla attraversata è molto inferiore rispetto a quello che ci si aspetterebbe a partire dai processi nei quali essi si originano, ovvero dal Sole. Dovete sapere che ci sono tre tipi di neutrino: il neutrino elettronico, quello muonico e quello tauonico. Tuttavia, soltanto uno proviene dal Sole ed è quello elettronico, oltre che ad essere il solo che interagisce con la materia. Quando lo fa produce altre particelle come quali elettroni e neutroni. Assumendo questo per vero fu possibile dare una risposta alla diminuzione dei neutrini solari quando attraversavano la Terra. Fu possibile inoltre stimare la loro massa in un decimilionesimo di quella dell’elettrone. Insomma, anche il 1998 fu un anno bello corposo.
Ci sentiamo presto per l’ultima puntata dei mitici anni ’90. Quella del 1999.
Quella dell’ultimo anno prima del nuovo millennio. Ciao belli!
Fra gli oggetti binari più diffusi a contatto con il Sistema Solare ci sono gli asteroidi
In astrofisica la binarietà è tipicamente associata alle stelle… ma in realtà non è così! Oggetti di natura binaria esistono invero anche all’interno del Sistema Solare: si tratta dei cosiddetti oggetti binari a contatto. Essi sono asteroidi, comete e corpi appartenenti alla fascia di Kuiper formati da due agglomerati di detriti distinti che finiscono per fondersi a causa della reciproca attrazione gravitazionale, senza però perdere la loro forma caratteristica. Uno studio teorico prova dunque a fare chiarezza sulle proprietà fisiche che tali oggetti devono avere per sopravvivere al processo di fusione in forma binaria.
Gli oggetti peragèi (i.e., Near-Earth Objects, NEOs) sono corpi minori del Sistema Solare la cui orbita interseca quella della Terra e degli altri pianeti a distanza molto ravvicinata. Essi subiscono quindi l’azione delle forze mareali planetarie, che ne provocano la deformazione o la disgregazione in base alle caratteristiche della struttura interna. Infatti, i NEOs sarebbero non monoliti (i.e., composti da un unico blocco massiccio di roccia o roccia mista a ghiaccio), bensì agglomerati di detriti rocciosi tenuti insieme dalla forza di gravità. Anche le forze di coesione, tuttavia, giocano un ruolo fondamentale nell’incremento del carico di rottura, ovvero il limite di resistenza meccanica che un corpo può raggiungere, per prevenirne la distruzione ad opera della forze centrifughe e del momento torcente esercitato dalla radiazione solare (i.e., effetto YORP). In altri termini, la coesione si manifesta nei solidi come la proprietà di compattezza, che si oppone agli stress esterni che tentano di separare le molecole stesse. Tra i NEOs, quelli binari a contatto sono piuttosto comuni nel Sistema Solare: si tratta di asteroidi, comete e corpi appartenenti alla fascia di Kuiper (i.e., Kuiper-Belt objects, KBOs) formati da due lobi distinti, resti di agglomerati di detriti più piccoli ma della medesima natura, venuti a contatto e poi fusisi a causa del decadimento dell’orbita comune per attrazione gravitazionale reciproca. Sebbene il preciso meccanismo di formazione rimanga ancora oscuro, tale fenomeno sembra essere favorito dalla bassa coesione del materiale e da un ampio angolo di attrito interno, con i quali si misurano, rispettivamente, la resistenza allo sforzo di compressione e di taglio. Per comprendere cosa si intende per angolo di attrito interno, si consideri la seguente situazione. Un corpo appoggiato su un piano inclinato di un certo angolo rispetto all’orizzontale contrasta il movimento indotto da una spinta parallela al piano con una forza che ne ostacola lo slittamento, l’attrito: l’angolo d’inclinazione del piano per cui l’attrito mantiene la condizione di equilibrio del corpo contro la forza motrice è pertanto chiamato angolo di attrito. Se, anziché su un piano, si immagina che un corpo scorra su un altro corpo, come nel caso delle molecole dei solidi, si parla di attrito interno e di angolo di attrito interno.
Gli oggetti binari a contatto del Sistema Solare per cui esistono attualmente sia dati osservativi sia studi teorici sono però soltanto 11: 7 asteroidi ((25143) Itokawa, (4179) Toutatis, (8567) 1996HW1, (85990) 1999JV6, (4769) Castalia, (4486) Mithra e (2063) Bacchus), 3 comete (67P/Churyumov-Gerasimenko, 103P/Hartley e 8P/Tuttle) e 1 KBO ((486958) Arrokoth). Sfruttando le informazioni tabulate su questi, due ricercatori dello Smead Department of Aerospace Engineering Sciences in Colorado hanno determinato le proprietà fisiche necessarie al lobo secondario (i.e., più piccolo) per sopravvivere alla forza gravitazionale di quello primario (i.e., più grande) senza perdere la sua forma originaria durante la fusione.
In particolare, costoro hanno adottato il criterio di Drucker-Prager, altrimenti detto modello DP, per definire il limite oltre il quale un materiale si deforma o cede, spezzandosi, se sottoposto ad una sollecitazione esterna. In particolare, esso dipende da due parametri, la coesione ke l’angolo di attrito interno φ, secondo l’analisi del campione legati da proporzionalità inversa: kaumentaal diminuire di φ, ossia per valori abbastanza elevati di coesione non è richiesto attrito interno, e viceversa. Ciò significa che, se le molecole di un corpo sono fortemente legate tra loro, viene inibito lo sviluppo di un importante attrito interno che impedisca a queste di slittare le une sulle altre per resistere al moto di allontanamento relativo. Si ottiene così una stima della forza dei lobi secondari contro la tendenza a disgregarsi esercitata dalle influenze mareali gravitazionali dei lobi primari; specificamente, un valore di coesione pari a 1-100 Pa (Pa = pascal) pare sia mediamente sufficiente a formare un oggetto binario a contatto.
D’altro canto, tale valore dipende anche dalla forma e dalla grandezza del lobo secondario. Assumendo una forma sferica per il lobo primario, i ricercatori hanno perciò modellizzato quello secondario mediante due tipi di ellissoide, quello oblato (i.e., derivato dalla rotazione di un ellisse attorno all’asse maggiore) e quello prolato (i.e., derivato dalla rotazione di un ellisse attorno all’asse minore), trovando che la coesione cresce a mano a mano che ci si avvicina alla condizione di sfericità dell’ellissoide (i.e., di rapporto degli assi uguale a 1). Questo trend risulta più marcato nel caso di ellissoide prolato, piuttosto che oblato, a dimostrazione che i lobi secondari aventi forma più allungata lungo l’asse minore debbano essere maggiormente coesi per far fronte al processo di fusione.
L’ipotesi di sfericità del lobo primario costituisce un pesante vincolo per il calcolo del range di coesione e di angolo di attrito interno utili alla formazione di oggetti binari a contatto, ma, volendo questo studio fornire semplicemente un ordine di grandezza di siffatti parametri, si può ritenere che esso sia veritiero entro la barra d’errore. Invero, il modello realizzato ha permesso di individuare non solo gli strumenti adatti ad una futura e più accurata analisi del complesso meccanismo di fusione degli agglomerati di detriti, ma anche le relazioni tra i parametri che entrano in scena nell’intero processo.
La sera del 16 febbraio a partire dalle prime ore della sera sarà possibile ammirare la Congiunzione fra le Regine del Cielo
Il 16 febbraio con una Luna al Primo Quarto, potremo assistere alla congiunzione strettissima fra il nostro satellite e le splendide PLEIADI
A partire dalle prime ore di buio, intorno alle 18 e 30 oramai con le giornate che si stanno allungando sarà possibile scorgere la configurazione ben in alto nel cielo in direzione OSO.
Il satellite al primo quarto, quindi ben luminoso, “costeggerà” l’ammasso M45 non allontanandosi mai troppo neanche nelle ore successive quando in coppia staranno scendendo verso ovest. Il tramonto sotto l’orizzonte è previsto subito dopo le 01:00 del giorno successivo.
Ricordiamo che le Pleiadi sono facilmente individuabili anche con un piccolo telescopio, quando non a occhio nudo, nella Costellazione del Toro a circa 10° Nord dalla altrettanto famosa Alfa Tauri Albedaran.
La distanza, quasi impercettibile visto le dimensioni estese dell’ammasso, si attesta intorno ai 0.6°.
LE PLEIADI
Le Pleiadi, conosciute anche come la “Chioccetta”, sono un ammasso aperto di stelle visibile ad occhio nudo nella costellazione del Toro. L’ammasso si trova a circa 444 anni luce dalla Terra e conta circa 500 stelle, di cui sette sono le più luminose e facilmente visibili in un cielo buio.
Le stelle più brillanti dell’ammasso sono Alcyone, Elettra, Atlante, Merope, Maia, Taigete e Asterope. La loro disposizione ha dato origine a diverse leggende e miti in molte culture del mondo.
Le Pleiadi sono un ammasso relativamente giovane, con un’età stimata di circa 100 milioni di anni. Le stelle dell’ammasso sono tutte nate dallo stesso gas e polvere, e si muovono insieme nello spazio. L’ammasso è destinato a dissolversi nel tempo, a causa delle interazioni gravitazionali con altre stelle e con la polvere interstellare.
sulla Moon Farside Protection:
un evento rivoluzionario nel settore spaziale
Torino, 29/01/2024 – Il mondo si prepara a un evento senza precedenti nel campo dell’esplorazione spaziale: il 1° convegno internazionale sulla Moon Farside Protection, che si terrà il 21-22 marzo 2024 a Torino. Organizzato dall’International Academy of Astronautics (IAA) e ideato dal rinomato matematico e fisico spaziale, il prof. Claudio Maccone, il convegno rappresenta un’occasione unica per discutere e approfondire le sfide e le opportunità legate alla protezione del lato nascosto della Luna.
Un convegno di portata mondiale
Il convegno vede la partecipazione di relatori, agenzie spaziali, organizzazioni e società di rilevanza internazionale, rendendolo un evento di portata mondiale. Esperti di diversi settori condivideranno le loro conoscenze e discuteranno temi cruciali legati alla difesa planetaria, alla cosmologia, alla ricerca di vita nello spazio, e a un approccio scientificamente sostenibile della nuova corsa alla Luna.Sul sito ufficiale www.moonfarsideprotection.org è possibile leggere il programma completo.
La Moon Farside Protection: una prospettiva globale.
L’iniziativa pionieristica del prof. Maccone mira a esplorare l’importante tema della protezione del lato oscuro della Luna, aprendo nuove prospettive nel nostro approccio alla colonizzazione lunare e oltre. Attraverso sessioni di presentazione e tavole rotonde, il convegno offrirà un quadro completo delle sfide e delle opportunità connesse a questa affascinante sfida.
Il prof. Claudio Maccone: un Visionario nell’esplorazione spaziale
Il prof. Claudio Maccone, figura di spicco nel settore spaziale, ha concepito l’idea di questo convegno, segnando un passo significativo verso la comprensione e la protezione della Moon Farside. La sua visione e la sua leadership scientifica nel campo hanno contribuito a rendere questo evento possibile.
Patrocini importanti
Il convegno è orgogliosamente patrocinato da enti di prestigio, tra cui l’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) e la International Telecommunication Union (ITU). Questo riconoscimento testimonia l’importanza e il valore dell’evento nel panorama internazionale.
Novae rosse luminose, esplosioni di colore nello spazio
Le novae rosse luminose sono esplosioni di luce visibile rossa generate dalla fusione di sistemi binari coalescenti. Determinare la connessione fra tali fenomeni e la fase di inviluppo comune in cui si trovavano le stelle progenitrici è fondamentale per lo studio dell’evoluzione binaria, ma molto complesso in termini simulativi. Un nuovo modello idrodinamico che combina fisica della radiazione e della materia sembra però in grado di spiegare le diverse proprietà delle curve di luce delle novae luminose osservate.
Le novae rosse luminose (i.e., luminous red novae, LRNe) sono esplosioni stellari con luminosità intermedia tra le supernovae e le novae standard generate dalla fusione di sistemi binari coalescenti. Esse derivano il loro nome dal peculiare colore rosso con cui appaiono visibili in banda ottica per settimane o mesi, prima di transire in banda infrarossa. Dal punto di vista osservativo, le LRNe si distinguono per alcune specifiche caratteristiche: l’esteso plateau o il picco molto pronunciato della curva di luce e l’intensa emissione della riga spettrale dell’idrogeno Hα.
La teoria ad ora più accreditata per spiegare l’origine delle LRNe implica che i progenitori di queste siano stelle binarie che hanno attraversato la fase di inviluppo comune, in cui gli strati esterni delle componenti vengono condivisi formando un involucro contenente entrambi i nuclei. La successiva fusione in un unico oggetto, causa dell’esplosione, determinerebbe l’espulsione dell’inviluppo a grande velocità, come confermato dalla scoperta della LRN V1309 Sco. Benché la connessione tra LRNe e fase di inviluppo comune sia dunque innegabilmente importante, la complessità dei processi fisici riguardanti l’evoluzione delle stelle binarie pone un freno all’ottenimento di risultati sostanziali in tal senso. Infatti, le simulazioni 3D tipicamente usate per studiare la fase di inviluppo comune mancano di una modellistica ad hoc per la radiazione emessa durante la fusione, perché più facile da inserire in 1D. Oltre a ciò, il costo computazionale per la risoluzione delle equazioni dell’idrodinamica per la radiazione è elevato rispetto al caso delle analoghe equazioni per la materia. Ciononostante si tratta di un aspetto non trascurabile, dato che l’energia relativa alla fusione viene convertita in uno shock termico capace di accelerare il gas fino a che l’eiezione dell’inviluppo si trasforma in un vero e proprio fenomeno esplosivo. Per questo motivo è stato recentemente introdotto un nuovo modello che incorpora le equazioni dell’idrodinamica per materia e radiazione, permettendo quindi di riprodurre con maggior precisione le curve di luce che descrivono l’espansione dei resti dell’inviluppo comune espulso. Come primo passo, si è deciso di mantenere il problema in 1D con simmetria sferica al fine di comprendere appieno la microfisica dell’esplosione, prevedendo invero una sua futura rivisitazione in 2D anche in configurazione assisimmetrica. In particolare, il modello è stato testato sia mediante simulazioni semplici e basilari di LRNe fittizie, sia attraverso l’applicazione alla reale LRN AT2019zhd in quanto avente proprietà simili alla già ampiamente analizzata V1309 Sco.
Sette le LRNe fittizie simulate, con i nomi rispettivamente di m01a18, m01a09, m05a18, m05a09, m25a18, m25a09 e m02a045v2: se le curve di luce di m01a18 e m02a045v2 presentano dei picchi molto evidenti dovuti prima all’ascesa e poi al declino esponenziali della luminosità, quelle di m25a18 e m25a09 mostrano anzi dei vasti plateau per via dell’aumentata quantità di materiale espulso, mentre tutte le altre hanno carattere intermedio. Tali differenze si spiegano considerando che più cospicui sono i resti dell’inviluppo espulso, più lenta sarà la loro espansione nel mezzo interstellare e, di conseguenza, più lungo il loro tempo di raffreddamento. Pertanto, si deduce che la formazione del picco di luminosità sia propria delle LRNe dominate dalla radiazione, laddove quella del plateau delle LRNe dominate dalla materia.
Per quanto riguarda la reale LRN AT2019zhd, invece, si è cercato di riprodurne la curva di luce attraverso due diverse applicazioni del nuovo modello, uno con e l’altro senza shock: ciò significa che la velocità di espansione dei resti dell’inviluppo sarà in un caso crescente e nell’altro decrescente nel tempo. Il risultato è una coppia di curve di luce tra loro comparabili, poiché gli shocks hanno l’effetto di prolungare il plateau della curva di luce al pari di una maggiorazione della massa del materiale eiettato nell’esplosione. Ergo, bisognerebbe disporre di un’ulteriore osservabile per discernere quale sia lo scenario corretto, come ad esempio la comparsa della riga Hα nello spettro luminoso. Ad ogni modo, però, entrambi i sotto-modelli riescono ad emulare la curva di luce di AT2019zhd, a comprova dell’accuratezza dell’approccio simulativo utilizzato.
In conclusione, il nuovo modello idrodinamico 1D che combina fisica della radiazione e della materia per determinare la connessione tra LRNe e fase di inviluppo comune in sistemi binari compatti sembra, a valle dei test effettuati, adeguato e affidabile. Difatti, esso dà giustificazione dei vari tratti delle curve di luce delle LRNe a seconda della natura dell’esplosione e dei resti dell’inviluppo espulso, coprendo una pluralità di casistiche degne di nota. Si attende perciò il preannunciato sviluppo della versione 2D del modello affinché altri dettagli sulla complessa evoluzione delle stelle binarie vengano definitivamente svelati.
La missione Ax-3 è stata un successo per l’Italia e per l’esplorazione spaziale. L’equipaggio a bordo ha condotto una serie di esperimenti scientifici in microgravità.
9 Febbraio 2024 – La navetta Crew Dragon Freedom della SpaceX, con a bordo l’equipaggio della missione Ax-3, è ammarata con successo al largo delle coste della Florida alle 14:30 (ora italiana) del 9 febbraio 2024. La missione, iniziata il 19 gennaio con il lancio da Cape Canaveral, è durata 21 giorni, 17 ore e 58 minuti.
Dati tecnici e tipologia di missione
Ax-3 è stata la terza missione privata di Axiom Space verso la Stazione Spaziale Internazionale (ISS). Si è trattata di una missione di tipo “astronauta-privato”, con un equipaggio composto da quattro astronauti:
Michael López-Alegría (comandante), veterano di cinque missioni spaziali
Walter Villadei (pilota), dell’Aeronautica Militare Italiana
Alper Uzun (specialista di missione), primo astronauta turco
Larry Connor (specialista di missione), imprenditore e filantropo
L’astronauta Walter Villadei
Il colonnello Walter Villadei, 45 anni, è pilota collaudatore dell’Aeronautica Militare Italiana. Ha conseguito la laurea in Ingegneria Aeronautica presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II e ha frequentato la Scuola di Volo Sperimentale di Edwards Air Force Base in California. Nel giugno 2023 ha partecipato alla missione suborbitale di Virgin Galactic Unity 22.La sua partecipazione alla missione Ax-3 ha segnato la seconda volta di un italiano a bordo della ISS dopo Samantha Cristoforetti.
Esperimenti a bordo
Durante la sua permanenza sulla ISS, l’equipaggio di Ax-3 ha condotto una serie di esperimenti scientifici in diversi campi, tra cui:
Biologia e medicina:
Bioprinting 3D in microgravità: per testare la stampa di tessuti umani in microgravità, con l’obiettivo di sviluppare nuove tecnologie per la rigenerazione di organi e tessuti.
Studio degli effetti della microgravità sul sistema immunitario: per comprendere meglio come l’assenza di gravità influenzi le difese immunitarie degli astronauti e sviluppare contromisure per future missioni di lunga durata.
Fisica e tecnologia:
Sviluppo di nuovi materiali per l’esplorazione spaziale: per testare la resistenza di nuovi materiali in condizioni di microgravità e radiazioni spaziali.
Dimostrazione di tecnologie per la robotica spaziale: per testare nuove tecnologie per la robotica collaborativa in orbita.
Educazione e divulgazione:
Realizzazione di video e foto per scopi educativi: per ispirare le nuove generazioni all’esplorazione spaziale e alla scienza.
Interazione con studenti e cittadini da terra: per promuovere la conoscenza dello spazio e delle sue meraviglie.
I dettagli degli esperimenti Italiani a Bordo della Missione sono su axiomspace.com
Il rientro
L’ammaraggio della Crew Dragon Freedom è avvenuto senza problemi. La navetta ha toccato l’acqua con il paracadute e gli astronauti sono stati recuperati da un team di soccorso della SpaceX.
Un successo per l’Italia e l’esplorazione spaziale
La missione Ax-3 è stata un successo per l’Italia e per l’esplorazione spaziale. Ha dimostrato la capacità del nostro paese di contribuire a missioni spaziali complesse e di alto livello. Ha inoltre aperto la strada a future missioni private verso la ISS e oltre. La partecipazione di Walter Villadei ha rafforzato il ruolo dell’Italia nel panorama internazionale dell’esplorazione spaziale.
Un quasicristallo Al-Cu-Fe-Si presente in natura in un micrometeorite dell’Italia meridionale
Introduzione
I quasicristalli sono solidi con simmetrie rotazionali vietate per i cristalli perciò essi vengono solitamente sintetizzati in laboratorio miscelando rapporti specifici di componenti elementari selezionati secondo protocolli rigorosamente controllati. La scoperta di quasicristalli naturali di Al-Cu-Fe nel meteorite Khatyrka (trovato nel 2011) ha mostrato che queste “elementi” esotici potrebbero formarsi anche in maniera naturale magari come frutto di impatti ad alta velocità. Oggi riportiamo la scoperta di un quasicristallo icosaedrico extraterrestre con una composizione insolita Al51.7(6) Cu 30.8(9) Fe 10.3(4) Si 7.2(9) , idealmente Al 52 Cu 31 Fe 10 Si 7 , trovato in una micrometeorite scoriacea , denominato FB-A1, recuperata in vetta al Monte Gariglione (Italia). La chimica della fase icosaedrica è stata caratterizzata mediante microsonda elettronica e la simmetria rotazionale è stata confermata mediante diffrazione di retrodiffusione di elettroni. Il micrometeorite FB-A1 rappresenta la terza scoperta indipendente di leghe intermetalliche Al-Cu-Fe-(Si) presenti in natura in corpi extraterrestri e il secondo caso di materiale extraterrestre contenente un quasicristallo naturale, dopo il meteorite Khatyrka.
Risultati e discussione
Il campione, etichettato FB-A1, è costituito da una microsferula allungata di circa 500 μm di diametro massimo. È grigio scuro con porzioni visibili che mostrano lucentezza metallica e una singolare struttura scoriacea con vescicole e alcune particelle metalliche sferiche sporgenti.
Per ottimizzare l’indagine, preservando innanzitutto l’integrità della microsferula per non perdere preziose informazioni, le analisi sono state effettuate in modo non distruttivo sul campione integro, mediante microtomografia a raggi X computerizzata (μ-CT) e Scanning Microscopia elettronica (SEM) dotata di uno spettrometro a dispersione di energia (EDS). Analisi preliminari SEM-EDS sulla superficie esterna hanno rivelato che la maggior parte delle porzioni metalliche (segnale di retrodiffusione grigio chiaro in Fig. 1a ) corrispondono a leghe Al-Cu disseminate in una matrice porosa di vetro silicato contenente anche cristalli di olivina forsteritica, goccioline di Fe-Ni , solfuri di Fe-Ni e ossidi. Le analisi μ-CT rivelano che le leghe Al-Cu sono disperse non solo sulla superficie di FB-A1 ma anche nella sua parte interna (Fig. 1b ). La ricostruzione 3D ottenuta mediante μ-CT, che rappresenta un approccio molto utile per ottenere informazioni sulla distribuzione spaziale e sui rapporti delle fasi mineralogiche 18 , ha evidenziato che l’interno della sferula è arricchito di leghe Al-Cu e Fe-Ni mescolate con silicati. La morfologia delle leghe Al-Cu varia da una forma subsferica, che in alcuni casi sporge sulla superficie della micrometeorite, ad una forma irregolare ed allungata che intrusione nella parte interna della microsferula (Fig. 1b ).
Maggiori dettagli sulla composizione sono disponibili nell’articolo originale pubblicato su Nature
A caccia di micrometeoriti: metodi
Il micrometeorite è stato fornito da un collezionista amatoriale italiano ai tre autori dell’articolo, ricordiamo tutti italiani, (Giovanna Agrosì, Paola Manzari ,Daniela Melè , Gioacchino Tempesta, Floriana Rizzo, Tiziano Catelani e Luca Bindi).
Si tratta di un frammento rinvenuto durante una raccolta di micrometeoriti effettuata mediante imbuti di acciaio installati in zone isolate, lontane da qualsiasi forma di contaminazione industriale. Il metodo di raccolta consiste nel dotare il fondo degli imbuti di appositi filtri in grado di trattenere materiale fino a 10 μm. I filtri vengono cambiati ogni due giorni e il materiale caduto dal cielo e depositato sul fondo degli imbuti di acciaio viene raccolto. I filtri vengono poi attentamente controllati al microscopio binoculare.
Il micrometeorite oggetto del presente studio ha attirato l’attenzione degli astrofili per l’insolita lucentezza delle fasi metalliche presenti sulla superficie della sferula. Il micrometeorite è rimasto in archivio fino a qualche mese fa fino a quando è stato inviato per ulteriori indagini. FB-A1 è ora depositato nelle collezioni del Museo di Scienze della Terra dell’Università di Bari (Italia), numero di registrazione 19/nm.
Dopo un controllo preliminare al SEM ed uno studio μ-CT, il campione è stato incorporato in resina epossidica e lucidato (utilizzando paste diamantate) per le successive indagini al SEM ed EPMA.
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L’astrosismologia studia le pulsazioni delle stelle ZZ Ceti, nane bianche pulsanti, per svelare la loro struttura interna, i meccanismi di pulsazione e l’evoluzione.
L’astrosismologia studia la struttura delle stelle pulsanti attraverso l’analisi delle onde sismiche che si propagano dal nucleo alla superficie, risultando dunque visibili nella fotosfera sotto forma di variazioni periodiche di luminosità. Essendo la frequenza e l’ampiezza di tali oscillazioni direttamente collegate alle caratteristiche del mezzo di diffusione, l’astrosismologia fornisce importanti informazioni sulle proprietà fisiche dei vari strati dell’interno stellare. Tra i numerosi fenomeni ondulatori osservati, i cosiddetti “breathing pulses” (BPs; letteralmente, “impulsi respiratori”) rappresentano la manifestazione di episodi di mescolamento degli elementi presenti nelle stelle di massa piccola o intermedia. Si tratta di pulsazioni che hanno luogo al confine tra la zona convettiva centrale, responsabile del mescolamento, e quella non convettiva ad essa circostante durante la fase di bruciamento nucleare dell’elio (i.e., core helium burning, CHeB). In particolare, si ritiene che i BPs possano alterare l’assetto chimico del nucleo al punto da influenzare lo stadio evolutivo stellare finale di nana bianca, poiché capaci di spostare il confine tra le due zone: in questo modo, parte dell’elio accumulato nella zona non convettiva rientra in quella convettiva e viene utilizzato come nuovo combustibile per prolungare la fase di CHeB. Ciò comporta l’aumento non solo della massa della zona convettiva, ma anche dell’abbondanza centrale di ossigeno, l’elemento derivante dalla sintesi dell’elio. Il cambiamento di dimensione e composizione chimica del nucleo si ripercuote allora inevitabilmente sul restante percorso evolutivo della stella.
Una recente indagine astrosismologica sulle stelle nane bianche con progenitori di 1M⊙e 2.5M⊙ha rivelato che la loro struttura interna dipende dal verificarsi o meno dei BPs attraverso un confronto tra i periodi di oscillazione osservati e quelli ricavati da opportuni modelli teorici. Più specificamente, l’attenzione è stata concentrata sulle nane bianche pulsanti con atmosfere ricche di idrogeno, chiamate stelle ZZ Ceti. Due quindi i modelli realizzati per ciascun valore di massa iniziale di una stella nana bianca appartenente alla categoria ZZ Ceti: uno con e uno senza BPs (caso BP e caso non-BP, rispettivamente).
La ricerca ha in primis confermato che la presenza dei BPs ha il netto effetto di allungare la fase di CHeB a discapito della successiva fase di ramo asintotico delle giganti (i.e., asymptotic giant branch, AGB) a causa del minor quantitativo di elio rimasto per alimentarla. Tuttavia, la diversa durata della fase di AGB sembra non avere un impatto considerevole sulla nana bianca da essa emergente. Inoltre, il calcolo dei profili chimici dell’ossigeno 16O evidenzia l’esistenza di un nucleo con estensione e concentrazione centrale di 16O maggiori nel caso BP anziché nel caso non-BP. Tale differenza si traduce, in termini astrosismologici, in uno sfasamento di circa 30 secondi del periodo di pulsazione relativo al caso BP in confronto al canonico caso non-BP, a dimostrazione di come lo spettro di oscillazione e la composizione chimica del nucleo siano legati in modo diretto.
Segnatamente, i risultati finora esposti valgono per entrambi i valori di massa iniziale presi in esame. Nondimeno, sembra vi sia una lieve discrepanza tra questi e le predizioni di altri modelli, che prevedono una maggiore incidenza dei BPs sull’abbondanza di ossigeno e la grandezza del nucleo delle nane bianche ZZ Ceti. Servirà pertanto ulteriore lavoro per affinare le tecniche simulative astrosismologiche così da ottenere una migliore compatibilità fra gli innumerevoli modelli proposti.
Gravità modificata per rimuovere la materia oscura: nuove prove a favore della MOND
Galassie con massa superiore a 1011 𝑀⊙ esistevano già 10 Gyr fa, ma solo una minima frazione di esse (circa 0.1%) è sopravvissuta inalterata sino ad oggi perché non interessata da lunghe e ripetute fasi di formazione stellare né da fusioni con galassie limitrofe: si tratta delle cosiddette galassie fossili compatte e massicce. Seguendo il diagramma a diapason di Hubble, tali galassie ricadono nella categoria “early-type” (i.e., tipo primitivo) e possono essere classificate come ellittiche (E0-E7, a seconda del grado di ellitticità) o lenticolari (S0). Il modello cosmologico standard (i.e., ΛCDM) suggerisce che la formazione galattica obbedisca allo schema dell’assemblamento gerarchico: in tale scenario, quasi tutte le attuali galassie early-type (i.e., early-type galaxies, ETGs) nascerebbero quindi come galassie compatte e quiescenti ad alto redshift, rapidamente cresciute in massa a seguito dell’inglobamento di sistemi minori e contraddistinte da un’ormai cessata attività di formazione stellare.
Prima di una decina di anni fa, caratterizzare le galassie fossili compatte rappresentava un’operazione estremamente difficoltosa per via della mancanza di candidati osservati. Tuttavia, la recente scoperta di un campione di tali oggetti, NGC 1277, Mrk 1216 e PGC 032873, nell’Universo locale ha consentito di avviare uno studio più metodico e approfondito che ha portato ad individuare una serie di importanti proprietà fisiche, tra cui la forma allungata, l’alta velocità di rotazione, l’elevata dispersione di velocità e la presenza di popolazioni stellari molto vecchie. Al contrario delle comuni ETGs, però, queste tre galassie non avrebbero subito interazioni dinamiche e avrebbero anzi mantenuto sostanzialmente immutata la configurazione raggiunta al termine della fase più intensa di formazione stellare. Infatti, la loro storia di formazione stellare avrebbe avuto un picco nelle prime fasi di vita dell’Universo per poi declinare fino a spegnersi del tutto, fatto che avrebbe determinato la fine della loro evoluzione rendendole appunto fossili.
Poiché, in particolare, la struttura e la morfologia di NGC 1277 non trovano spiegazione all’interno del paradigma dell’assemblamento gerarchico, il quale prevede l’esistenza degli aloni di materia oscura, i noti ricercatori Robin Eappen e Pavel Kroupa hanno utilizzato il formalismo della dinamica newtoniana modificata (i.e.,Modified Newtonian Dynamics, MOND) per risalire al meccanismo di formazione delle galassie fossili compatte osservate. Teoria gravitazionale non-relativistica che generalizza l’azione classica della gravità, la MOND si propone di giustificare l’eccesso di massa nelle galassie, misurato a partire dall’associata curva di rotazione, senza chiamare in causa la materia oscura. Essa introduce dunque la costante 𝑎0 ≈ (1.2 ± 0.2) × 10−8cm s−2, avente le dimensioni di un’accelerazione, a marcare il confine tra due diversi regimi: per valori di accelerazione minori di 𝑎0 vigono le leggi della MOND (i.e., regime dinamico MOND), mentre per valori ad essa superiori rimangono valide le leggi della dinamica newtoniana e della relatività generale (i.e., regime dinamico classico). In pratica, la comparsa di una nuova accelerazione cosmologica comporta la modifica dell’azione della gravità all’interno del regime MOND. Per tale ragione, la formazione di strutture galattiche secondo la MOND avviene molto più in fretta rispetto alle predizioni del modello ΛCDM: ergo, al posto dell’assemblamento gerarchico si avrà il collasso monolitico della materia presente nell’Universo primordiale. Ciò significa che le nubi di gas non rotanti originatesi dopo il Big Bang collassano su se stesse in modo isolato e senza necessitare dell’intervento della materia oscura, che viene di conseguenza esclusa dall’intero processo.
Le galassie fossili compatte, in quanto sistemi stellari non-relativistici, rientrano nel regime MOND e possono pertanto essere studiate come naturale esito dello scenario cosmologico del collasso monolitico. Sfruttando i modelli computazionali di tali galassie precedentemente realizzati da Eappen, costui e Kroupa hanno scelto tra questi la galassia simulata “e39” per effettuare un confronto diretto con NGC 1277, Mrk 1216 e PGC 032873.
L’analisi delle proprietà cinematiche di queste ha rivelato una forte similitudine con quelle di e39, come l’alta velocità di rotazione e l’elevata dispersione di velocità centrale. Inoltre, la formazione stellare in e39 appare pressoché conclusa entro 4 Gyr dopo il Big Bang, andando quindi a coprire l’intervallo temporale di 2 Gyr in cui sono state generate le stelle delle tre galassie esaminate. Infine, l’andamento piuttosto ripido del profilo di densità di massa di e39 risulta comparabile a quello osservato; nello specifico, si trova una maggiore corrispondenza tra e39 e NGC 1277, dato anche il valore condiviso della massa stellare totale (i.e., 𝑀∗≈ 1011𝑀⊙, in conformità con l’aspettativa teorica).
Una scoperta notevole, insomma, che evidenzia l’emergere spontaneo delle galassie fossili compatte all’interno dell’Universo dipinto dalla MOND, in cui l’azione della materia oscura nel processo di formazione galattica può diventare superflua. Se questa teoria sia in grado di far traballare pericolosamente il modello cosmologico standard, solo il futuro potrà dirlo. Ma, grazie al telescopio spaziale James Webb (JWST) e alla missione Euclid, ne sapremo presto di più.
Immagini mozzafiato e dati scientifici rivoluzionari da Juno
La sonda Juno della NASA ha catturato immagini spettacolari di due pennacchi vulcanici attivi su Io, la luna di Giove. Le foto, acquisite il 21 luglio 2023 durante il 43° passaggio ravvicinato di Juno ad Io, mostrano due distinte eruzioni vulcaniche, una nella regione Tvashtar Paterae e l’altra nella regione Prometheus.
La sonda Juno:
Juno è una sonda spaziale robotica lanciata dalla NASA il 5 agosto 2011. L’obiettivo principale della missione è lo studio approfondito di Giove, il più grande pianeta del nostro Sistema Solare. Juno è in orbita polare attorno a Giove dal 4 luglio 2016 e ha già completato 43 passaggi ravvicinati (flyby) del gigante gassoso.
I passaggi ravvicinati di Juno ad Io:
Durante i suoi flyby di Io, Juno ha acquisito immagini e dati scientifici di inestimabile valore sulla superficie lunare, la sua atmosfera e la sua magnetosfera. Le immagini del 21 luglio 2023 sono le più ravvicinate mai ottenute di un’eruzione vulcanica su Io.
Cosa succederà il 24 febbraio 2024:
Il 24 febbraio 2024, Juno compirà il suo 48° flyby di Io, il più ravvicinato di sempre. La sonda passerà a soli 1.500 km dalla superficie lunare, offrendo un’opportunità unica per studiare l’attività vulcanica di Io in dettaglio senza precedenti.
L’eruzione vulcanica su Io:
Le eruzioni vulcaniche su Io sono le più potenti del Sistema Solare. I pennacchi di gas e polvere possono raggiungere altezze di centinaia di chilometri. L’eruzione catturata da Juno nella regione Tvashtar Paterae è stata particolarmente intensa, con un pennacchio che ha raggiunto un’altezza di oltre 300 km.
L’obiettivo della missione Juno:
L’obiettivo principale della missione Juno è quello di ottenere una migliore comprensione della formazione e dell’evoluzione di Giove. La sonda sta studiando l’atmosfera del pianeta, la sua magnetosfera, la sua struttura interna e la sua composizione chimica. I dati raccolti da Juno aiuteranno gli scienziati a svelare i segreti del gigante gassoso e a comprendere meglio il suo ruolo nella formazione del sistema solare.
Le immagini di Juno e le future scoperte:
Le immagini di Juno delle eruzioni vulcaniche su Io sono un passo avanti fondamentale per la comprensione del vulcanismo su questa luna di Giove. I dati raccolti dalla sonda durante il suo flyby del 24 febbraio 2024 forniranno informazioni ancora più precise e dettagliate sull’attività vulcanica di Io e aiuteranno gli scienziati a svelare i misteri di questa affascinante luna.
Note tecniche sulla sonda Juno:
Lancio: 5 agosto 2011
Arrivo in orbita attorno a Giove: 4 luglio 2016
Numero di flyby di Io: 43 (al 9 febbraio 2024)
Prossimo flyby di Io: 24 febbraio 2024
Distanza minima dal flyby di Io del 24 febbraio 2024: 1.500 km
Strumenti scientifici a bordo di Juno:
JunoCam: una camera ottica per l’acquisizione di immagini
JIRAM: un mappatore ad infrarosso
JEDI: un magnetometro
Waves: uno strumento per lo studio delle onde radio
MWR: un radiometro a microonde
RPWI: uno strumento per lo studio delle particelle cariche
Venerdì 16 febbraio evento web a favore della difesa del cielo notturno
in occasione della 31° Giornata Nazionale sull’Inquinamento luminoso
l’iniziativa è organizzata da UAI Unione Astrofili Italiani
in collaborazione con PlanIt Associazione dei Planetari Italiani
con la partecipazione di INAF Istituto Nazionale di Astrofisica
Venerdì 16 febbraio ricorre la 31° Giornata Nazionale sull’Inquinamento luminoso. L’iniziativa, dedicata alla tutela del cielo notturno, è organizzata dall’Unione Astrofili Italiani (UAI) con la collaborazione dell’Associazione dei Planetari Italiani (PLANit) e con la partecipazione dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF). In tutta Italia, presso gli osservatori astronomici gestiti dalle delegazioni dell’UAI, e durante la speciale diretta web che andrà in onda sui profili social dell’UAI, a partire dalle ore 20:45 si parlerà di inquinamento luminoso e di tutti gli strumenti a nostra disposizione per proteggere il cielo stellato e ridurre l’impatto dell’illuminazione artificiale sull’ambiente.
La Giornata Nazionale sull’Inquinamento luminoso rientra nel calendario astrofilo UAI 2024, che raccoglie tutti gli eventi di grande interesse per gli appassionati di astronomia, e nel calendario delle attività dei planetari italiani. Celebrata dal 1993 nel mese di ottobre, da quest’anno l’iniziativa è stata riprogrammata a febbraio per creare una sinergia con la campagna “M’Illumino di Meno” organizzata dal programma radiofonico Caterpillar, di Rai Radio Due. L’obiettivo della collaborazione è includere alla campagna di sensibilizzazione – incentrata sul risparmio energetico e sugli stili di vita sostenibili – anche la tematica dell’inquinamento luminoso. Venerdì 16 febbraio – proprio al termine della trasmissione radiofonica, che ha ospitato nei giorni scorsi interventi a cura degli esperti dell’UAI, di PLANit e INAF – andrà in onda, in diretta sulla pagina Facebook e sul canale YouTube dell’Unione Astrofili Italiani, un evento dedicato al tema dell’inquinamento luminoso.
Ad aprire la speciale diretta web saranno il Presidente dell’Unione Astrofili Italiani Luca Orrù e il Presidente dell’Associazione dei Planetari Italiani Dario Tiveron. La parola passerà poi al Referente della Sezione “Inquinamento luminoso” dell’UAI, Mario Di Sora, che introdurrà il tema dell’inquinamento luminoso e illustrerà una panoramica della normativa in materia e il lavoro svolto dagli astrofili, citando casi studio ed esempi pratici. “Faremo il punto della situazione non solo con riferimento al fenomeno fisico che rappresenta una grave alterazione del cielo notturno, senza parlare delle altre implicazioni scoperte in questi anni per l’uomo e l’avifauna, ma anche per conoscere le esperienze maturate sul territorio in relazione al rispetto delle numerose leggi regionali vigenti in Italia “, spiega Mario Di Sora. “Un quadro che presenta luci e ombre in quanto, se da un lato la gran parte del territorio nazionale è tutelata a livello legislativo, è anche vero che la diffusione sempre più invasiva dei led ha portato a un proliferare di impianti, prima non esistenti, che mettono a rischio le finalità dei provvedimenti esistenti, specie se si considera che nella cultura di tanti astrofili ancora non è passato il messaggio che devono impegnarsi in prima persona per verificare lo stato di applicazione concreta e diffusa delle leggi vigenti”.
Tra gli ospiti, la ricercatrice dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) e Presidente della Società Astronomica Europea Sara Lucatello; il prof. Fabio Arcidiacono, Presidente di CieloBuio; il direttore dell’Osservatorio Astronomico della Regione Autonoma Valle d’Aosta e del Planetario di Lignan Jean Marc Christille; il direttore del Museo di Scienze Naturali dell’Alto Adige e del Planetario Alto Adige David Gruber; il ricercatore dell’INAF OAPd e linceo prof. Roberto Ragazzoni; rappresentanti della polizia di Roma, l’unica capitale in campo mondiale a effettuare controlli specifici su vari tipi di impianti inquinanti; e l’esperto Luca Zaggia di VenetoStellato, Associazione che si occupa dello studio e del contenimento dell’inquinamento luminoso. In occasione dell’evento online il pubblico potrà quindi conoscere, dalla viva voce di esperti, gli strumenti che abbiamo per ottenere risultati concreti nella lotta all’inquinamento luminoso, “le best pratices che hanno dato i migliori risultati in Italia e che possono fare la differenza tra l’accettare passivamente una certa situazione ed essere protagonisti del cambiamento e della tutela del firmamento”.
La speciale diretta web vedrà inoltre la partecipazione di alcune Delegazioni dell’UAI, impegnate nella stessa serata, presso i propri Osservatori astronomici, a sensibilizzare il pubblico riguardo alla tutela del cielo notturno. In particolare, sono previsti interventi del Presidente dell’Associazione Astronomica del Rubicone Matteo Montemaggi, del Referente del team “Inquinamento luminoso” dell’Associazione Tuscolana di Astronomia Paolo Crescenzi, del Coordinatore scientifico del Centro Astronomico “Neil Armstrong” di Salerno Biagio De Simone, del Presidente dell’Associazione Maremmana Studi Astronomici Nazario Montuori e del Presidente del Circolo Culturale Astrofili Trieste Muzio Bobbio.
Fuga delle atmosfere planetarie nella zona abitabile attorno alla stella TRAPPIST-1
La ricerca di pianeti abitabili al di là della Terra costituisce un tema di estremo interesse astrofisico soprattutto a seguito dal lancio del telescopio spaziale James Webb (JWST), che ha permesso di studiare in dettaglio le atmosfere degli esopianeti (i.e., i pianeti non appartenenti al Sistema Solare). Il sistema planetario sviluppatosi presso la stella TRAPPIST-1, nana rossa di tipo spettrale M8 situata nella costellazione dell’Aquario, ospita 7 pianeti rocciosi, di cui i 4 più esterni hanno massa comparabile a quella terrestre e risiedono all’interno della zona abitabile. Specificamente, la zona abitabile attorno ad una stella è definita come la distanza orbitale a cui un pianeta può trovarsi per poter mantenere acqua allo stato liquido sulla sua superficie; nel caso di TRAPPIST-1, essa è compresa nell’intervallo 0.03-0.06 AU (1AU = 1.496 x 108 km). Naturale è dunque chiedersi se questi 4 pianeti siano anche in grado di trattenere un’atmosfera per un periodo di tempo abbastanza lungo da permettere la nascita e la crescita di microrganismi multi-cellulari.
Numerosi sono i processi che possono provocare la perdita di un’atmosfera planetaria. Per esempio, i meccanismi non-termici, associati ai venti della stella ospite e al campo magnetico del pianeta, sono dominanti nell’attuale Sistema Solare, mentre quelli termici prevalgono in sistemi planetari maggiormente irradiati dalle loro stelle: poiché il 46% degli esopianeti osservati si trova ad una distanza inferiore a quella di Mercurio dal Sole, le perdite di atmosfera per via termica risultano molto comuni. In particolare, la fuga di Jeans è un meccanismo termico di perdita di atmosfera che si verifica quando la velocità delle molecole di gas atmosferico supera la velocità di fuga dal pianeta; si tratta di un meccanismo tipico degli strati più alti delle atmosfere planetarie, che tendono ad assorbire una considerevole quantità di radiazione X e UV per poi convertirla in energia cinetica molecolare.
L’effetto della fuga di Jeans sulle atmosfere dei pianeti all’interno della zona abitabile di TRAPPIST-1 è stato esplorato attraverso il codice Kompot, che permette di simulare la risposta degli strati superiori di queste alla radiazione stellare altamente energetica da cui sono investiti. Giacché svariati fattori possono influenzare la fuga di Jeans, nei modelli computazionali realizzati sono stati presi in considerazione i seguenti parametri: la massa planetaria, la composizione atmosferica e l’irraggiamento. Più in dettaglio, per valutare quest’ultimo è stato assunto come riferimento il flusso radiativo nella banda UV estrema (EUV) che la Terra riceve dal Sole, ovvero FEUV,⊕= 4.77 erg s−1 cm−2, di modo che i valori di irraggiamento simulati sono stati 1, 2, 4, 6, 8, 10, 12, 14 FEUV,⊕. Inoltre, la composizione atmosferica è stata analizzata in termini di rapporto tra le percentuali di CO2e N2 (%CO2/%N2), come 10/90, 20/80, 40/60, 60/40, 80/20, 90/10, 99/1.
Per un pianeta di massa uguale alla Terra si trova che la fuga di Jeans è trascurabile al di sotto di 6 FEUV,⊕ indipendentemente dalla composizione atmosferica calcolata mediante i suddetti rapporti percentuali, risultato che ben si accorda con le predizioni teoriche, secondo cui la perdita di atmosfera cresce proporzionalmente alla quantità di energia radiativa assorbita. Di conseguenza, la probabilità che un pianeta ricevente un flusso radiativo maggiore di 6 FEUV,⊕ perda una parte consistente della propria atmosfera è elevata. Si stima che il livello di irraggiamento odierno di TRAPPIST-1 dovrebbe portare alla perdita dell’atmosfera dei 4 pianeti nella zona abitabile nel giro di qualche miliardo di anni, e che quelli più interni siano già stati privati di atmosfera in passato a causa dell’eccessiva vicinanza alla stella. Da ciò si conclude allora che nessuno dei pianeti di TRAPPIST-1 sopravviverà alla perdita di atmosfera per meccanismo termico di fuga di Jeans.
Data la natura molto generale dei modelli simulativi utilizzati, ossia tali da non adattarsi esclusivamente alle caratteristiche del sistema planetario esaminato, sarà possibile effettuare indagini sulle atmosfere di altri esopianeti nel prossimo futuro, così da continuare la ricerca di una nuova candidata Terra.
Anelli attorno al centauro Chariklo: nuove scoperte e implicazioni
Introduzione
Nel 2014, la scoperta di due anelli attorno al centauro Chariklo ha rivoluzionato la nostra comprensione dei sistemi di anelli nel Sistema Solare. Chariklo, un corpo ghiacciato di circa 250 km di diametro che orbita tra Saturno e Urano, è diventato il primo oggetto trans-nettuniano ad ospitare un sistema di anelli. La sua esistenza ha aperto nuove domande sulla formazione e l’evoluzione di questi sistemi in ambienti diversi da quelli dei giganti gassosi.
Caratteristiche degli anelli
I due anelli di Chariklo, denominati Oiapoque e Chui, sono sorprendentemente sottili e densi. Oiapoque, l’anello più esterno, ha una larghezza di circa 7 km e si trova a una distanza di circa 400 km dal centro di Chariklo. Chui, l’anello più interno, è largo circa 3 km e orbita a 340 km dal centro. Entrambi gli anelli sono composti da particelle di ghiaccio d’acqua di dimensioni micrometriche.
Nuove osservazioni e analisi
Recenti osservazioni condotte con il Very Large Telescope (VLT) dell’ESO hanno rivelato nuovi dettagli sugli anelli di Chariklo. Le osservazioni hanno mostrato che gli anelli sono molto più complessi di quanto si pensasse in precedenza. Oiapoque, l’anello più esterno, presenta una struttura a due corsie, con una banda più densa all’interno e una più rarefatta all’esterno. Chui, l’anello più interno, è più omogeneo, ma presenta alcune zone più luminose e altre più scure.
Un piccolo satellite potrebbe aver modellato gli anelli
Un nuovo studio, pubblicato su Physical Review Letters, suggerisce che un piccolo satellite potrebbe aver contribuito a modellare gli anelli di Chariklo. Lo studio simula l’interazione tra un satellite di dimensioni chilometriche e gli anelli e mostra che il satellite potrebbe aver creato la struttura a due corsie di Oiapoque e le zone luminose e scure di Chui.
Implicazioni
Le nuove scoperte sugli anelli di Chariklo hanno importanti implicazioni per la nostra comprensione dei sistemi di anelli nel Sistema Solare. La loro complessità suggerisce che questi sistemi potrebbero essere più comuni di quanto si pensasse in precedenza e che la loro formazione potrebbe essere un processo più complesso di quanto si credeva. La scoperta di un possibile satellite che ha modellato gli anelli di Chariklo apre ancora nuove possibilità ad un quadro già difficile da districare.
Conclusioni
Gli anelli di Chariklo sono un sistema affascinante e complesso che ci sta insegnando molto sulla formazione e l’evoluzione dei sistemi di anelli nel Sistema Solare. Le future ricerche, con l’aiuto di telescopi come il James Webb Space Telescope, continueranno a svelare i segreti di questi anelli unici e a far luce sulla loro formazione e sul loro ruolo nell’evoluzione del Sistema Solare.
Sono stati giorni in cui chi segue, anche solo distrattamente, le cronache del Pianeta Rosso, non ha potuto fare a meno di leggere le notizie sui problemi sperimentati da Ingenuity. In questa nuova puntata della rubrica ‘News da Marte’ facciamo lo stato con le ultimissime immagini e dichiarazioni da parte dell’agenzia NASA. In chiusura c’è spazio per alcune attività del rover Perseverance, legate anch’esse alla gestione dell’emergenza dell’elicottero. Si parte!
Indice dei contenuti
Ingenuity non volerà più
Non ripeterò per filo e per segno cosa è successo a Ingenuity in queste ultime settimane in quanto l’ho descritto molto nel dettaglio in un paio di news uscite il 23 e il 29 gennaio, ma un breve riassunto è comunque utile.
Il 6 gennaio l’elicottero ha eseguito il suo volo numero 71 il quale si è però interrotto prematuramente portando il software di navigazione a eseguire un atterraggio di emergenza. Con lo scopo di osservare la regione dell’atterraggio, il 18 gennaio viene comandato un volo di ricognizione senza spostamento orizzontale, così da fotografare le aree circostanti e confermare la posizione di Ingenuity.
È il Sol 1035 quando l’attività viene avviata. Il flusso della telemetria di volo, trasmessa in tempo reale al rover, procede senza intoppi confermando l’ascesa sino a 12 metri di quota e la conseguente discesa. Ma a pochi secondi dall’atterraggio le comunicazioni si interrompono. Si pensa in quel momento che la conformazione del terreno abbia ostacolato la trasmissione radio, e il giorno successivo al volo si riesce a riprendere contatto con Ingenuity che conferma lo stato positivo dei propri sistemi.
Qualche Sol dopo arrivano finalmente delle immagini, e alla NASA si scopre il reale stato dell’elicottero.
Questa prima foto del 23 gennaio documenta per mezzo dell’ombra catturata dalla camera RTE che la punta di almeno un rotore è danneggiata. Tre frammenti di colore bluastro al suolo sembrano proprio pezzi di fibra di carbonio, il materiale principale di cui il guscio esterno delle quattro leggerissime eliche è composto.
Tre Sol più tardi viene ricevuta una serie di fotografie scattate a intervalli regolari dalla camera a colori RTE. La camera è fissa, ma si sfrutta il movimento del Sole in cielo per avere uno scorcio più ampio delle ombre proiettate al suolo dai rotori dell’elicottero. Nel corso di circa 3 ore e 20 minuti Ingenuity scatta 14 fotografie, e la strategia ha successo. Il risultato della sequenza è visibile nel video che segue.
Si riesce così a osservare il secondo rotore (non è dato sapere quale sia il superiore e quale l’inferiore) il quale mostra anch’esso un grave danno alla punta della pala.
Cosa sappiamo dell’incidente? Cosa sarà di Ingenuity?
La NASA sta provando a dare risposta a questa e altre domande.
Il 31 gennaio viene condotta una live sui canali web dell’agenzia spaziale per comunicare lo stato dell’elicottero. Nel corso dell’evento Teddy Tzanetos, Project Manager di Ingenuity, aggiunge molti dettagli interessanti pur ammettendo che su alcuni aspetti c’è ancora qualche incertezza.
Si ritiene che i rotori siano stati danneggiati da un impatto a elevata velocità delle eliche con il suolo, deduzione che era possibile avanzare già nell’immediatezza della diffusione delle prime immagini. Non c’è una registrazione della telemetria in quanto essa è andata persa a causa di un riavvio nel momento del brusco atterraggio, quindi il JPL non è in grado di ricostruire l’esatta cronologia degli eventi. Il dubbio è se un calo di potenza abbia preceduto e causato il violento impatto al suolo o se viceversa l’impatto abbia causato il black-out radio. Nel caso di questa seconda ipotesi, è possibile che il radar incaricato di misurare l’altezza dal terreno sia stato ingannato dalla polvere sollevata dal flusso d’aria. Sono tutte congetture, ed è possibile che non avremo una risposta definitiva a questi dubbi.
Sono stati comunque esclusi danni causati dall’atterraggio di emergenza avvenuto nel volo 71 in quanto, sebbene Ingenuity abbia toccato il suolo con un residuo di velocità laterale, il team che gestisce l’elicottero ha eseguito una serie di verifiche (test a 50 giri al minuto e ad alta velocità) che non hanno fatto registrare anomalie o risonanze. In base ai test Ingenuity sembrava in ottima salute, da qui la decisione di procedere serenamente con il volo 72 che si sarebbe rivelato essere l’ultimo.
Il colpo o, per meglio dire, i colpi subiti dai rotori hanno quasi certamente interessato tutte e quattro le eliche come si può dedurre dalla seconda serie di immagini. Le ombre mostrano infatti solo due eliche ma esse non appartengono allo stesso rotore. Viene quindi meno la possibilità che sia stata solo la coppia di eliche inferiori a impattare il terreno.
Anche nel caso di un danno “simmetrico” a entrambe le eliche delle due coppie è totalmente escluso che Ingenuity possa proseguire le sue attività aeree, e la ragione è duplice.
La prima è quella più intuitiva, ovvero che il bilanciamento dei rotori deve essere perfetto praticamente al grammo. Diversamente si introducono instabilità che rendono il velivolo totalmente incontrollabile.
La seconda ragione deriva dallo studio della dinamica del volo. Le eliche di Ingenuity sono a tutti gli effetti dei profili alari che esercitano portanza. Tale effetto di spinta verso l’alto è per la gran parte generato dalla parte delle eliche che ha una velocità lineare maggiore, ovvero proprio le punte. Mutilato della parte dei suoi rotori che maggiormente contribuisce alla portanza, la quale raggiunge velocità sino a 230 metri al secondo, non c’è alcuna possibilità che Ingenuity possa alzarsi dal suolo.
La conferma se il danno interessi anche le elichesull’altro lato, ancora non osservate, arriverà nel momento in cui Ingenuity svolgerà alcuni test. Del resto il drone è pienamente operativo e nonostante l’incidente si trova, forse un po’ fortunatamente, in posizione verticale.
Si prevede di azionare i rotori a bassa velocità (è possibile comandare una singola mezza rotazione) per far ruotare le eliche e osservarle nella loro interezza. È inoltre in programma di azionare anche il motore che svolge la funzione di regolatore di passo, il dispositivo che sugli elicotteri varia l’angolo di attacco delle eliche e consente di gestirne le fasi di volo.
Azioni come questa sono state documentate da riprese estremamente ravvicinate che il rover Perseverance ha svolto nei giorni dei primi test di Ingenuity. Sono un bel documento che già al tempo, quasi tre anni fa, ci aiutò a capire meglio come funzionava questo elicottero che non sapevamo neanche se sarebbe riuscito a sollevarsi il volo.
Tutte queste azioni di verifica saranno svolte con il supporto di acquisizioni fotografiche e video: sicuramente con le camere dello stesso Ingenuity ma probabilmente anche quelle di Perseverance.
Perseverance inizia a osservare, da lontano
Si sperava che il rover potesse avvicinarsi all’elicottero nei prossimi giorni marziani per eseguire riprese da vicino e, da bravo assistente, aiutarci a capire nel dettaglio cosa sia successo durante quello sciagurato 18 gennaio. Questo non sarà purtroppo possibile.
La NASA ha chiarito che Ingenuity si trova non lontano dal rover, poche centinaia di metri, ma purtroppo in una posizione irraggiungibile.
A separare Perseverance e Ingenuity c’è una larga striscia di sabbia, in teoria ottima per atterraggi morbidi ma un’assassina per le ruote del rover. Il rischio che il rover si insabbi per degli scopi tutt’altro che prioritari rispetto a quelli scientifici ha fatto decidere fin da subito per condurre le osservazioni solo da lontano.
Negli scorsi giorni Perseverance si è fatto largo verso ovest, non senza difficoltà (lo vedremo meglio nella prossima puntata di questi aggiornamenti), attraversando dei campi rocciosi che hanno messo alla prova le doti del suo autonavigatore. Dalla posizione indicata nella mappa, raggiunta nel Sol 1049 (1 febbraio), il rover ha catturato una panoramica impressionante rivolta verso nord-ovest nella quale abbiamo un’ampia visuale della striscia sabbiosa su menzionata.
Di questa immagine ho realizzato anche una versione stereo fruibile con gli occhialini 3D magenta/ciano. L’osservazione a piena risoluzione è più che consigliata.
Un’analisi delle increspature nella sabbia aiuta a capire che regione della mappa è inquadrata.
Sembra che per un soffio, forse appena poche decine di metri, Perseverance non riesca a vedere l’elicottero! Il rover si trova in una zona parecchio accidentata con piccoli rilievi che ostacolano la linea di vista tra i due robot.
Il 4 febbraio, Sol 1052, Perseverance riprende a spostarsi verso ovest. È un movimento che al momento non è ancora stato inserito nella mappa ma che alcuni appassionati sono riusciti a ricostruire, trovando conferma delle analisi altimetriche che avevano previsto l’esistenza di aree di visibilità non troppo lontane dalla posizione da cui la panoramica era stata scattata.
A metà dello spostamento Perseverance avrebbe puntato le sue MastCam-Z verso la posizione presunta di Ingenuity, e riusciamo a rivedere il nostro elicottero.
Aspettiamo un’analisi ufficiale di questa foto, ma abbiamo già qualche elemento su cui ragionare considerando che la camera a colori dell’elicottero è posizionata sul lato a favore di ripresa, rivolta approssimativamente verso sud.
C’è un segno scuro a sinistra che, considerando l’inclinazione della sabbia, potrebbe essere il punto di primo contatto del piede dell’elicottero che è poi scivolato verso il basso lasciando una striscia scura sulla sabbia (non visibile nelle immagini della camera RTE) mentre si riassestava.
Proprio sotto il corpo dell’elicottero c’è un secondo segno scuro che troverebbe corrispondenza nel buco sulla sabbia, forse lasciato dall’impatto delle eliche, che si osserva nitidamente nelle immagini. Ben evidente poi sulla destra l’ombra del corpo di Ingenuity, di nuovo non visibile nell’immagine.
Last minute!
A pochi minuti dalla pubblicazione dell’articolo ho scoperto che è stata appena rilasciata una serie di frame acquisiti da Ingenuity il 31 gennaio e relativi all’anticipato test di variazione dell’assetto delle eliche. Si tratta di 129 fotogrammi catturati in appena 5.4 secondi, spremendo la camera di navigazione ai frame rate che usa abitualmente solo durante i voli. Durante le attività aeree solo una piccola parte di questi fotogrammi viene salvata, il resto è immediatamente cancellato dopo aver assolto la propria funzione di ausilio alla navigazione.
Per questo grosso aggiornamento su Ingenuity è tutto.
In attesa di nuove informazioni sull’elicottero, e soprattutto per conoscere le attività che nel frattempo Perseverance e Curiosity stanno svolgendo, vi do appuntamento alla prossima puntata di News da Marte.
La redazione è lieta di annunciare la prima
APOC Astronomy Picture of Coelum
Arp 273 Rosa Cosmica
di Lorenzo Busilacchi
Arp 273 (APG 273) è composta da due galassie interagenti e situata in direzione della costellazione di Andromeda alla distanza di 345 milioni di anni luce dalla Terra
Somma di 4 sessioni: 15-16-17-19 agosto 2023
Configurazione strumentale: Light 101X300″ 8 hours 25″, Filtro Optolong l-pro 2″, Telescope C11, 1680mm f6.3, Camera ASI 2600 MC Pro -10°, 100gain.
Località: Margine Rosso, Quartu, Sardinia, Italy
La Rosa Cosmica di Lorenzo Busilacchi è la prima ad entrare nel WALL OF FAME di COELUM! I complimenti della redazione all’autore per il lavoro eccellente!
Curve di rotazione delle galassie ad alto redshift: una possibile crepa nel modello cosmologico standard?
La curva di rotazione delle galassie rappresenta la velocità di rotazione delle stelle in funzione della distanza dal centro galattico (i.e., raggio). Studi sulle regioni HI (i.e., idrogeno neutro in forma atomica) presenti nel disco della Via Lattea hanno mostrato che tale moto di rotazione è di tipo differenziale, ovvero che la velocità delle stelle varia proprio in relazione al raggio: più una stella si trova vicino al centro della galassia ospite e più la sua velocità è elevata. Questa proprietà è collegata alla concentrazione di materia nelle galassie, poiché le stelle acquistano maggiore energia cinetica negli ambienti più densi, come appunto le zone centrali. In particolare, nel caso della Via Lattea e delle galassie limitrofe, la curva di rotazione è composta da due diversi tratti, quello rigido e quello piatto. Il tratto rigido, in cui la velocità stellare cresce in maniera direttamente proporzionale al raggio, si riferisce alla parte più interna delle galassie, mentre il tratto piatto, in cui la velocità stellare rimane costante, alla parte più esterna. Tuttavia, l’andamento della curva di rotazione a grandi raggi risulta anomalo in quanto non conforme alle predizioni teoriche, che indicano un tratto cosiddetto kepleriano, ossia decrescente, anziché un tratto piatto. Il fatto che la velocità delle stelle non diminuisca all’aumentare del raggio significa che la distribuzione di massa nelle galassie non coincide con quella osservata: in altre parole, sembra esserci molta più materia di quella visibile tenendo conto della quantità totale di stelle, gas e polveri diffuse. Tale materia, esistente ma non emittente luce, è stata denominata “oscura” e ad oggi sembra costituire circa l’83% della materia nell’Universo.
Dunque, le curve di rotazione delle galassie nell’Universo locale sono contraddistinte, al pari di quella della Via Lattea, da un tratto finale piatto invece che kepleriano. Ciononostante, recenti indagini spettroscopi che hanno rivelato come le curve di rotazione di un campione di galassie ad alto redshift tendono a comportarsi in modo opposto, ovvero a declinare bruscamente a grandi raggi.
Se questa caratteristica fosse comune nell’Universo remoto, si dovrebbe rivalutare il ruolo della materia oscura nella formazione delle galassie. Utilizzando delle complesse simulazioni computazionali, due ricercatori dell’Università di Cardiff hanno cercato di ottenere le curve di rotazione declinanti delle galassie lontane ripercorrendo il processo di formazione galattica nel contesto del modello cosmologico standard, secondo cui al collasso gravitazionale degli aloni di materia oscura seguirebbe la caduta della materia barionica (i.e., ordinaria) nelle buche di potenziale associate. Essi hanno quindi adottato varie configurazioni iniziali di materia barionica e oscura e le hanno lasciate evolvere nel tempo, trovando infine che, indipendentemente dallo scenario di partenza, si arriva a galassie aventi struttura e dinamica simili. Ciò accade perché tutti i neonati sistemi stellari passano attraverso una fase di rilassamento violento che ne cancella i segni identificativi e le irregolarità fino a stabilire una condizione di equilibrio, con l’effetto che essi perdono memoria della loro configurazione iniziale. Pertanto, le curve di rotazione delle galassie simulate non differiscono significativamente l’una dall’altra e appaiono conformi alle aspettative del modello cosmologico standard, che postula l’esistenza del tratto piatto come manifestazione della predominanza di materia oscura nell’Universo. Un brusco declino della curva di rotazione potrebbe infatti derivare soltanto dalla rimozione dell’alone di materia oscura dalla galassia in formazione.
Dal momento che il risultato è allora una curva di rotazione con tratto piatto per la maggioranza delle galassie lontane simulate, non è possibile formulare l’ipotesi di universalità delle curve di rotazione rapidamente declinanti a grandi raggi per le galassie ad alto redshift. Allo stesso tempo, la congettura che alcune galassie si siano formate all’interno degli aloni di materia oscura e altre no sembra non essere ancora sufficientemente supportata dal punto di vista teorico. Di conseguenza, si attendono ulteriori evidenze osservative dell’Universo remoto per decretare se il numero di galassie del campione esaminato possa essere ampliato al fine di avviare una revisione del modello cosmologico standard.
La costellazione boreale dei Gemelli transita al meridiano proprio nel mese di febbraio ed è protagonista della stagione invernale con le sue stelle principali Castore e Polluce, che rappresentano le teste dei due gemelli zodiacali; la costellazione ci accompagna per tutta la notte, splendendo alta in direzione Sud-Ovest e tramontando infine poco prima dell’alba.
Sicuramente è la 12P/Poons-Brooks la star di febbraio ma soprattutto dei prossimi due mesi. Avviata al perielio di aprile raggiungerà infatti valori luminosi da piccolo binocolo, incentrando su di sé tutta l’attenzione.
La ISS – Stazione Spaziale Internazionale sarà rintracciabile nei nostri cieli ad orari tardo pomeridiani nella prima parte del mese, ed orari antelucani nella seconda. Avremo sei transiti notevoli con magnitudini elevate durante il mese, auspicando come sempre in cieli sereni.
Nei primi 10 giorni di febbraio ben 5 congiunzioni interessano la Luna. Andiamo a vederle nel dettaglio.
Si inizia il primo giorno (01 febbraio) quando la Luna incontra Spica, astro principale della Costellazione della Vergine. L’avvicinamento sarà visibile già nelle ore notturne verso est, ed alle 05:48, fine della notte astronomica, saranno distanti poco più di 2°. Il massimo della congiunzione è previsto alle 08:44 a 1.7°N.
Il giorno 03 la Luna è già all’ultimo quarto, nei giorni successivi quindi, in prossimità delle altre congiunzioni si presenterà come una falce sempre più sottile, ottima per favorire gli scatti.
Il giorno 05 febbraio la Luna avvicina Antares, questa volta nello Scorpione, il massimo è previsto a notte inoltrata, ore 01:52 con separazione addirittura 0.6°N, purtroppo in quel momento gli astri saranno sotto l’orizzonte. Li si potrà scorgere vicini solo poco prima delle 04:00 quando compariranno a ES
Dopo due giorni, il 07 febbraio, è la volta di Venere, la congiunzione fra il satellite e il pianeta splendente mancava da un pò, niente di speciale però perché i due oggetti saranno già tramontati per il massimo previsto alle 19:53 a più di 5° S di distanza. Meglio sperare nella posizione del mattino quando i due astri appariranno allineati rispetto alla linea di orizzonte già alle 06:00. La tenue luce dell’alba, la falce di Luna sottile (appena 12,6%) e la luminosità del pianeta potrebbero dar vita ad un bel quadro. A marzo la situazione migliorerà.
Il giorno 08 passiamo a Marte e Mercurio insieme, in un triangolo con i due pianeti ai vertici in alto e la Luna nel vertice in basso. Consapevoli però che ci stiamo approssimando al Sole ed alla Luna Nuova, il massimo della congiunzione è previsto per le 07:32 con 4.2S° di distanza fra Luna e il pianeta rosso, e 3.2°S con Mercurio, e prima ci sarà davvero poco margine, solo una cinquantina di minuti fra il sorgere della Luna (più in basso rispetto a Marte) e il massimo.
Il 09 febbraio arriva la Luna Nuova che si trasformerà in una sottilissima nuova falce (solo 1,6%) nell’incontro l’11 con Saturno. Il massimo è previsto alle 01:39 ma i due astri saranno sotto l’orizzonte.
Saltiamo al giorno 15 con la Luna che sorgerà intorno alle 10:00 del mattino già molto vicina a Giove. Nel corso della giornata purtroppo la distanza continuerà aumentare ma i due astri saranno abbastanza vicini (circa 4° N) anche per tutta la sera fino a dopo la mezzanotte.
Per consolarci potremo puntare sempre sulle amate Pleiadi, il giorno 16, ad una distanza minima media di 0.6°S visibili per tutta la notte.
Il 21 febbraio sarà favorevole anche l’avvicinamento a Polluce, visibile per tutta la notte ad una distanza di circa 1.6°S. Il 24 la Luna Piena si avvicinerà a Regolo a 3.6°N ma probabilmente la forte luce dell’astro coprirà la tenue luminosità della stella.
(451) Patientia è un asteroide di fascia principale che compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.960 giorni (5.47 anni) ad una distanza compresa tra le 2.85 e le 3.28 unità astronomiche (rispettivamente, 426.353.931 Km al perielio e 490.681.016 Km all’afelio). Il nome “Patientia” deriva dal latino e significa “pazienza”. Scoperto da A. Charlois il 4 Dicembre 1899, questo grande asteroide di 225 Kilometri di diametro è considerato tra i 15 asteroidi più grandi della fascia. (541) Patientia sarà in opposizione il 6 del mese. In questo frangente raggiungerà la massima brillantezza con una magnitudine di 11.2, il suo moto sarà di 0,56 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (451) Patientia trasformarsi in una bella striscia luminosa di 22 secondi d’arco.
(192) Nausikaa è un asteroide di fascia principale che compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.360 giorni (3.72 anni) ad una distanza compresa tra le 1.81 e le 2.99 unità astronomiche (rispettivamente, 270.772.146 Km al perielio e 447.297.633 Km all’afelio). Deve il suo nome a Nausicaa, Figlia di Alcinoo, re dei Feaci, e di Arete; Nausicaa è la protagonista di uno degli episodi più celebri dell’Odissea (libro VI), nel quale conforta e aiuta Ulisse naufrago, accompagnandolo dal padre. Scoperto il 2 Ottobre 1910 da Johann Palisa, (192) Nausikaa è un asteroide con un diametro stimato di circa 86 chilometri ed è classificato come un asteroide di tipo S, che sta ad indicare una composizione principalmente rocciosa, con la presenza di altri elementi come ferro e nichel. (192) Nausikaa sarà in opposizione il 9 Febbraio, momento nel quale raggiungerà la massima luminosità brillando di magnitudine di 10.6. Il suo moto sarà di 0,68 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga l’aspetto puntiforme nelle nostre immagini utilizzeremo tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (192) Nausikaa trasformarsi in una bella striscia luminosa di 27 secondi d’arco.
(216) Kleopatra è un asteroide di fascia principale che compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.710 giorni (4.68 anni) ad una distanza compresa tra le 2.09 e le 3.50 unità astronomiche (rispettivamente, 312.659.550 Km al perielio e 523.592.547 Km all’afelio). Deve il suo nome alla regina egizia Cleopatra Tèa Filopàtore, conosciuta anche come Cleopatra VII o più brevemente Cleopatra. (216) Kleopatra è noto per avere almeno due lune, nominate AlexHelios e CleoSelene, scoperte grazie alle osservazioni del telescopio Keck II alle Hawaii. La presenza di lune attorno a un asteroide è relativamente rara e fornisce un’opportunità unica per studiare la dinamica orbitale e la massa dell’asteroide principale. Scoperto da Johann Palisa il 10 aprile 1880, questo grande asteroide (circa 120 Km di diametro) sarà in opposizione il 14 Febbraio, momento nel quale raggiungerà la massima luminosità brillando di magnitudine di 11.3. Il suo moto sarà di 0,60 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (216) Kleopatra trasformarsi in una bella striscia luminosa di 24 secondi d’arco.
(372) Palma è un asteroide di fascia principale che compie un’orbita intorno al Sole ogni 2.050 giorni (5.61 anni) ad una distanza compresa tra le 2.36 e le 3.96 unità astronomiche (rispettivamente, 353.050.975 Km al perielio e 592.407.568 Km all’afelio). Il nome “Palma” potrebbe derivare da varie fonti o ispirazioni, un’ ipotesi è che debba il suo nome in onore della capitale dell’isola di Majorca. Scoperto da Auguste Charlois il 19 Agosto 1893, questo imponente asteroide (circa 190 Km di diametro) sarà in opposizione il 16 Febbraio, momento nel quale raggiungerà la massima luminosità brillando di magnitudine di 10.7. Il suo moto sarà di 0,74 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (372) Palma trasformarsi in una bella striscia luminosa di 29 secondi d’arco.
(31) Euphrosyne è un asteroide di fascia principale che compie un’orbita intorno al Sole ogni 2.050 giorni (5.61 anni) ad una distanza compresa tra le 2.48 e le 3.84 unità astronomiche (rispettivamente, 371.002.719 Km al perielio e 574.455.823 Km all’afelio). Deve il suo nome a Eufrosine, una delle grazie nella mitologia greca. (31) Euphrosyne è il corpo progenitore di una famiglia composta da circa duemila asteroidi, che condividono proprietà spettrali e elementi orbitali simili, originati a seguito di una evento collisionale avvenuto circa 280 milioni di anni fa. Tutti i membri di questa famiglia presentano inclinazioni orbitali relativamente elevate. Nel 2019 è stato scoperto un piccolo satellite di circa 4Km di diametro, probabilmente nato dallo stesso evento collisionale che ha creato la famiglia. L’asteroide appartiene alla categoria di asteroidi conosciuti come asteroidi di tipo carbonaceo. Gli asteroidi di tipo C sono noti per avere una composizione ricca di carbonio, che conferisce loro una superficie scura e un basso albedo (riflettività). Questi asteroidi, tra i più antichi e primitivi, spesso contenendo acqua congelata e composti organici, sono oggetti di grande interesse per lo studio della composizione originale del sistema solare e delle potenziali origini della vita sulla Terra. Scoperto da James Ferguson il 1 settembre 1854, questo grande asteroide (circa 260 Km di diametro) sarà in opposizione il 17 Febbraio, momento nel quale raggiungerà la massima luminosità brillando di magnitudine di 11.0. Il suo moto sarà di 0,56 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (31) Euphrsyne trasformarsi in una bella striscia luminosa di 22 secondi d’arco.
(63) Ausonia è un asteroide di fascia principale che compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.350 giorni (3.70 anni) ad una distanza compresa tra le 2.09 e le 2.70 unità astronomiche (rispettivamente, 312.659.550 Km al perielio e 403.914.251 Km all’afelio). Inizialmente nominato (63) Italia in onore della nostra nazione, venne successivamente rinominato Ausonia, un nome che si riferisce a un termine poetico per l’Italia. Scoperto da Annibale de Gasparis il 10 di Febbraio del 1861, (63) Ausonia è un asteroide con un diametro stimato di circa 100 chilometri ed è classificato come un asteroide di tipo S. Gli asteroidi di tipo S (silicacei) sono tra gli oggetti più comuni nella fascia principale interna e sono noti per avere superfici relativamente luminose e un albedo più alto rispetto agli asteroidi di tipo C. Anche (63) Ausonia sarà in opposizione il 17 Febbraio, quando raggiungerà magnitudine 10.2. Il suo moto sarà di 0,67 secondi d’arco al minuto, quindi, con tempi di esposizione fino a 5 minuti ne preserveremo l’aspetto puntiforme. Volendo ottenere una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (63) Ausonia trasformarsi in una bella striscia luminosa di 27 secondi d’arco.
Transiti ISS notevoli per il mese di Febbraio 2024
La ISS – Stazione Spaziale Internazionale sarà rintracciabile nei nostri cieli ad orari tardo pomeridiani nella prima parte del mese, ed orari antelucani nella seconda. Avremo sei transiti notevoli con magnitudini elevate durante il mese, auspicando come sempre in cieli sereni.
01 FEBBRAIO
Si inizierà il giorno 1° febbraio, dalle 18:50 alle 18:57, osservando da ONO a SSE. La ISS sarà ben visibile da tutto il paese con una magnitudine massima si attesterà su un valore di -3.2.Se osservata dal Centro, la Stazione Spaziale transiterà vicina al pianeta Giove.
02 FEBBRAIO
Si replica il 2 Febbraio, dalle 18:01verso NO alle 18:11 verso SE. Magnitudine di picco a -3.8 per il miglior transito serale del mese, visibile da orizzonte ad orizzonte da tutta Italia, meteo permettendo.
16 FEBBRAIO
Saltiamo di circa due settimane, al 16 Febbraio, dove avremo il miglior transito mattutino del mese. Visibile da tutto il paese, dalle 06:33 verso SO alle 06:43 verso ENE, con magnitudine massima di -3.6. Sicuramente un passaggio che vale la sveglia anticipata.
17 FEBBRAIO
Passiamo al giorno 17 Febbraio, dalle 05:46 in direzione SSO alle 05:54 in direzione ENE. Osservabile al meglio dal Sud Italia, con una magnitudine massima di -3.2.
19 FEBBRAIO
Il penultimo transito notevole del mese avverrà il 19 Febbraio, da OSO ad ENE, dalle 05:45alle 05:52. Passaggio parziale, con magnitudine massima di -3.8 poco dopo l’uscita della ISS dal cono d’ombra della Terra. Visibilità ottimale da tutta la nazione.
21 FEBBRAIO
L’ultimo transito del mese, il 21 Febbraio, sarà un nuovo passaggio parziale con magnitudine massima di -3.1, visibile al meglio dal Nord Italia. Dalle 05:43alle 05:49, da ONO a NE.
N.B. Le direzioni visibili per ogni transito sono riferite ad un punto centrato sulla penisola, nel centro Italia, costa tirrenica. Considerate uno scarto ± 1-5 minuti dagli orari sopra scritti, a causa del grande anticipo con il quale sono stati calcolati.
In caso di Booster della ISS eseguiti nei giorni successivi alla pubblicazione dell’articolo gli orari possono differire anche in maniera significativa. Vi invitiamo a controllare sempre il sito https://www.heavens-above.com/ soprattutto in caso di programmazione di una sezione di osservazione.
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Chi sarà stato il primo astrofilo a scoprire una supernova nel 2024? Naturalmente il solito giapponese Koichi Itagaki, che continua a stupirci sempre di più. Sicuramente riprenderà un elevato numero di galassie per notte, ma è indubbio che ha un fiuto eccezionale per le supernovae ed è sempre nel posto giusto al momento giusto, una dote non da poco! La nuova scoperta è stata effettuata nella notte del 4 gennaio nella bella galassia a spirale barrata NGC4216 posta nella costellazione della Vergine a circa 50 milioni di anni luce di distanza. Situata nell’ammasso della Vergine, NGC4216 è accompagnata in cielo, solo prospetticamente, da altre due galassie a spirale: la NGC4206 distante circa 60 milioni di anni luce e la NGC4222 posta leggermente più lontano a circa 70 milioni di anni luce. Al momento della scoperta il nuovo transiente mostrava una luminosità pari alla mag.+16,3.
Nella notte del 5 gennaio dal Haleakala Observatory nelle Isole Hawaii, con il Faulkes Telescope North da 2 metri è stato ripreso lo spettro di conferma, che ha permesso di classificare la SN2024gy come una supernova di tipo Ia scoperta circa due settimane prima del massimo di luminosità, con i gas eiettati dall’esplosione che viaggiano ad una velocità di circa 17.000 km/s.
Nei giorni seguenti la scoperta la supernova ha aumentato repentinamente la sua luminosità fino ad arrivare al suo massimo intorno al 18 di gennaio raggiungendo la notevole mag.+12,5. Iniziamo perciò il nuovo anno con una ghiotta occasione per riprendere una luminosa supernova, attualmente la più luminosa di questo inizio anno e posta in un fotogenico terzetto di galassie, fra cui troneggia proprio NGC4216.
Il bravo ed esperto astrofilo giapponese non si è però accontentato di questo importante successo e nella notte del 12 gennaio ha messo a segno una nuova scoperta nella galassia a spirale NGC2550A posta nella costellazione della Giraffa a circa 170 milioni di anni luce di distanza e accompagnata in cielo, solo prospetticamente, da altre due galassie a spirale: la UGC4389 distante circa 110 milioni di anni luce e la UGC4413 posta leggermente più lontano a circa 120 milioni di anni luce. A soli 17 gradi dal Polo Nord celeste NGC2550A è una galassia circumpolare e perciò visibile tutta la notte. Al momento della scoperta la supernova mostrava una luminosità pari alla mag.+17,8 quindi molto più debole rispetto alla precedente, sia per la maggior distanza della galassia ospite che, come vedremo adesso anche perché si tratta di una supernova di tipo II (di solito meno luminose delle tipo Ia). Nella stessa notte della scoperta, dopo solo sette ore, l’astrofilo bellunese Claudio Balcon è riuscito a classificarla per primo nel TNS come una giovane supernova di tipo II, assegnando la sigla definitiva SN2024ws. Abbiamo pertanto una nuova supernova tutta amatoriale, dalla scoperta alla classificazione. In passato NGC2550A aveva visto esplodere al suo interno un’altra supernova di tipo II: la SN2008P scoperta il 23 gennaio 2008 dall’astrofilo cortinese Alessandro Dimai.
I cinesi del programma XOSS, che per tutto il 2023 hanno rivaleggiato a suon di scoperte con Itagaki, potevano rimanere impassibili di fronte alla doppietta del giapponese? Naturalmente no e anche loro hanno messo a segno due belle scoperte. La prima è stata effettuata nella notte del 10 gennaio nella piccola galassia PGC21981 posta nella costellazione della giraffa a circa 140 milioni di anni luce di distanza. Situata anche questa a soli 17 gradi dal Polo Nord celeste, PGC21981 è una galassia circumpolare e perciò visibile tutta la notte. Si trova inoltre a soli 3’ a Sud-Ovest dalla più appariscente galassia a spirale barrata NGC2441, che era in realtà il target principale della ripresa. Come abbiamo scritto altre volte è buona norma controllare sempre anche le galassie secondarie presenti nel campo di ripresa, perché potrebbero regalare grandi soddisfazioni come in questo caso. Al momento della scoperta il nuovo transiente mostrava una luminosità pari alla mag.+16,8 e nella notte del 15 gennaio ancora il nostro Claudio Balcon è riuscito a classificarla per primo nel TNS. La SN2024vs, questa la sigla definitiva assegnata, è una supernova di tipo II ed è quindi un altro target tutto amatoriale.
La seconda supernova cinese è stata invece individuata nella notte del 15 gennaio nella piccola galassia UGC2755 posta nella costellazione del Perseo a circa 320 milioni di anni luce di distanza e posizionata grosso modo a metà strada fra la stella Algol e la Nebula California. Al momento della scoperta il nuovo oggetto mostrava una luminosità pari alla mag.+18,6 ed essendo situato molto distante dalla galassia ospite, le previsioni sulla natura del transiente erano indirizzate verso una Variabile Cataclismica della nostra galassia. Invece nella notte del 19 gennaio dal Palomar Observatory in California con il telescopio da 1,5 metri è stato ottenuto uno spettro di conferma che ha permesso di classificare il nuovo oggetto come una supernova di tipo Ia, assegnandole la sigla definitiva SN2024agr.
Analizziamo adesso un’altra supernova amatoriale che arriva dal Giappone, non dal solito Itagaki, ma bensì da una new entry. La persona che è riuscita nel colpaccio si chiama Hidehiko Okoshi. Lo abbiamo contattato per saperne di più sulla sua attività di astrofilo. Non è più un ragazzino, ma ha infatti compiuto 68 anni. Abita nella città di Saitama nella prefettura di Saitama, a Nord della capitale Tokyo. Non possiede un vero e proprio osservatorio, ma il suo telescopio Celestron 9,25 da 23cm è posizionato su una terrazza all’ottavo piano di un palazzo e con un cavo lungo 16 metri comanda il telescopio dalla stanza del suo appartamento. Dal suo sito è spesso sereno, però trovandosi non molto lontano da Tokyo riesce al massimo a vedere le stelle di quarta magnitudine. Per gli astrofili giapponesi, Koichi Itagaki è considerato una vera superstar ed in molti cercano di emulare le sue incredibili gesta. Come l’altro astrofilo giapponese Hiroshi Okuno che scoprì la sua prima supernova nel gennaio dello scorso anno, anche Okoshi ha iniziato a fare ricerca di supernovae da tre anni spinto dai successi del grande Itagaki e finalmente nella notte del 16 gennaio ha ottenuto la sua prima scoperta, individuando una nuova stella di mag.+16,2 nella galassia a spirale NGC6106 posta nella costellazione di Ercole a circa 70 milioni di anni luce di distanza. Il primo ad ottenere lo spettro di conferma è stato ancora una volta il nostro Claudio Balcon, che sul fronte spettroscopia sta veramente ottenendo dei risultati straordinari, raggiungendo quota 125 supernovae classificate nel TNS con il suo telescopio Newton da 41cm. Lo spettro ottenuto nella notte del 20 gennaio ha permesso di classificare il nuovo transiente come una supernova di tipo Ib ed assegnarle la sigla definitiva SN2024ahv.
Concludiamo questa ricca rubrica con una scoperta italo-americana, che perciò ci riguarda più da vicino. Nella notte dell’11 gennaio gli astrofili Mirco Villi e Michele Mazzucato, che collaborano da diversi anni con i professionisti americani del CRTS Catalina, hanno individuato una debole stellina di mag.+18,9 analizzando immagini professionali realizzate con il telescopio Cassegrain di 1,5 metri di diametro dell’osservatorio americano sul Mount Lemmon in Arizona. La galassia ospite UGC6424 è una spirale vista di taglio, posta nella costellazione del Leone a circa 230 milioni di anni luce di distanza e situata a meno di due gradi a Nord dalla bella coppia di galassie Messier: M65 e M66. Nella notte del 17 gennaio dal Palomar Observatory in California con il telescopio da 1,5 metri è stato ottenuto lo spettro di conferma, che ha permesso di classificare il nuovo oggetto come una supernova di tipo II, assegnandole la sigla definitiva SN2024wp.
Sicuramente è la 12P/Pons-Brooks la star di febbraio ma soprattutto dei prossimi due mesi. Avviata al perielio di aprile raggiungerà infatti valori luminosi da piccolo binocolo, incentrando su di sé tutta l’attenzione.
12P/Pons-Brooks
Il perielio programmato per il 23 aprile si sta avvicinando e la luminosità della cometa si fa interessante, portandosi da un iniziale ottava magnitudine fino alla settima. Inoltre, essendo facile all’outburst (l’ultimo è avvenuto nel corso di gennaio), la 12P potrebbe riservare sorprese. Seguiamola dunque assiduamente, puntando inizialmente i nostri strumenti tra le stelle del Cigno e successivamente tra quelle dell’anonima Lucertola. Infine entro i confini di Andromeda. Sarà meglio osservabile alla sera, non appena fa buio, ma visibile un po’ più bassa anche prima dell’alba.
144P/Kushida
Molto al di sotto delle previsioni che predicevano una discreta ottava magnitudine e passata al perielio verso la fine dello scorso mese, la 144P, di decima magnitudine, è osservabile con strumenti non proprio piccoli anche per il suo aspetto completamente diffuso. Perlomeno la sua posizione rende comode le osservazioni dato che la potremo cercare comodamente in prima serata entro i confini del Toro. Le ore a disposizione si estenderanno comunque a buona parte della notte. Il giorno 10 sfiorerà la rossa stella Alfa Aldebaran mentre il 22 passerà nelle vicinanze della coppia di ammassi aperti NGC 1817 e 1807.
62P/Tsuchinshan
La 62P è ormai ai saluti, ancora discretamente luminosa a inizio mese quando brillerà attorno alla nona magnitudine. Si muoverà entro i confini della Vergine, rimanendo praticamente inalterata nella posizione, osservabile in piena notte. Trovandosi nella porzione della Vergine occupata dall’Ammasso Coma-Virgola vedremo immersa tra molte galassie, alcune appartenenti al Catalogo Messier, particolare che ci darà l’occasione per riprenderla a largo campo ricavando splendide immagini.
C/2021 S3 PanSTARRS
Sta un po’ deludendo le attese dato che cresce meno del previsto, tanto che la sesta magnitudine che avrebbe dovuto raggiungere a primavera probabilmente resterà una chimera. Purtroppo al suo posto è realistico attendersi una comunque discreta ottava magnitudine. Intanto a febbraio dovrebbe crescere fino alla nona grandezza. Sarà nelle migliori condizioni osservative nell’ultima parte della notte astronomica (specie a inizio mese), inizialmente posizionata nei pressi di Antares, la rossa stella gigante dello Scorpione, in spostamento verso la parte settentrionale del Serpente. Il suo graduale guadagno in declinazione aumenterà la sua altezza sull’orizzonte, permettendoci man mano di anticipare la sessione osservativa. Da annotarsi la data del 13 febbraio, quando transiterà a meno di mezzo grado dal globulare dell’Ofiuco M9.
Il momento che temevamo è arrivato nella sera italiana del 25 gennaio 2024 con una comunicazione ufficiale da parte della NASA.
L’elicottero Ingenuity ha subìto un danno nel corso del suo ultimo volo eseguito meno di una settimana fa e non potrà più svolgere altre attività aeree.
A un soffio dai 1000 giorni marziani di operatività diamo l’addio a questo incredibile apparato, il primo a compiere un volo attivo e controllato sulla superficie di un altro pianeta. Vi mostro quegli straordinari secondi della sua prima attività aerea del 19 aprile 2021 in questo video multicamera.
L’ultimo volo, il 72esimo eseguito il 18 gennaio, consisteva in una ascesa alla quota di 12 metri per riprendere il suolo e le aree circostanti. L’obiettivo era documentare l’area dove in precedenza, il 6 gennaio, Ingenuity aveva dovuto effettuare un atterraggio di emergenza in seguito ad alcuni problemi di navigazione che hanno forzato l’interruzione dello spostamento.
Come riportato dalla NASA in un aggiornamento nella sera di giovedì 25, il 18 gennaio l’elicottero ha eseguito la sequenza di decollo ed è arrivato correttamente alla quota desiderata, mantenendola per 4,5 secondi prima di iniziare la discesa. Tuttavia, a un metro dalla superficie, Ingenuity ha interrotto il collegamento radio con il rover Perseverance. A parte alcune ipotesi sulla causa dell’interruzione (ho eseguito delle analisi sull’altimetria della regione che trovate in questa breve news) non è tuttora ufficialmente chiara la causa del problema, né quale fosse l’orientamento di Ingenuity al momento del touch down.
All’indomani del volo il team di controllo ha ripreso contatto con l’elicottero e ha tirato un un sospiro di sollievo, ma è in quel momento che hanno potuto comandare l’apparato per eseguire nuove foto e scoprirne così il reale stato.
La punta di almeno un rotore, rivelata dall’ombra proiettata al suolo, è spezzata. Questa foto è della camera di navigazione dell’elicottero che punta verso il basso e ha un sensore in bianco e nero a bassa risoluzione.
Si intravede anche un piccolo buco nella sabbia che è meglio mostrato in una serie di altre immagini acquisite dalla camera a colori. Piccoli frammenti bluastri si intravedono in mezzo alla sabbia, sono schegge della fibra di carbonio con cui le eliche sono costruite.
È importante evidenziare che, nonostante il danno, Ingenuity è perfettamente operativo a livello di camere e di elettronica. Ne è prova il fatto che sia riuscito come di consueto a comunicare con il rover Perseverance per inviare queste immagini, e nuove riprese stanno venendo eseguite in questi giorni seguendo le istruzioni dei tecnici del JPL per indagare sulle condizioni dei rotori.
Cosa sia successo non è al momento chiaro. Una tra le ipotesi che si possono avanzare è che Ingenuity sia atterrato leggermente storto e abbia colpito violentemente con la sua elica inferiore (o entrambe) il terreno. Questo sarebbe supportato dal fatto che l’area in cui si trova l’elicottero, come visibile nella mappa sottostante finalmente aggiornata con i voli 71 e 72, è attraversata da innumerevoli rilievi sabbiosi di altezza variabile.
Un atterraggio su un leggero declivio, se eseguito anche con l’aggiunta di una piccola inclinazione dell’elicottero, potrebbe aver causato il catastrofico impatto.
La forma del buco nella sabbia suggerisce che il movimento dell’elica fosse da sinistra verso destra, e anche questo è compatibile con il verso del rotore inferiore di Ingenuity.
Possiamo osservare in questo video alcune sequenze acquisite nei primi giorni di test dell’elicottero. Perseverance osserva Ingenuity con un dettaglio mai più ripetuto mentre il drone varia l’angolo di attacco delle sue eliche e aziona i rotori a bassa velocità.
In mezzo ai vari interrogativi sulla causa del problema, l’unica certezza è che si è chiusa una pagina letteralmente storica dell’esplorazione spaziale.
Ingenuity nasceva come dimostratore tecnologico atto a sperimentare la fattibilità del volo nell’atmosfera di un altro pianeta.
Progettato per eseguire solo 5 voli nell’arco di un mese di operazioni, ha volato per 72 volte sopravvivendo al freddo dell’inverno marziano, allo scarso irraggiamento solare e alla polvere. Ha accumulato poco meno di 129 minuti di volo nel corso dei quali si è spostato per complessivi 17 km, raggiungendo l’altezza massima di 24 metri dal suolo e 10 metri al secondo di velocità. È sopravvissuto al danno a uno dei suoi due inclinometri (che si è rotto a causa delle rigide temperature notturne su Marte) e terreni via via più accidentati.
Ha lavorato anche nell’atmosfera estiva, maggiormente rarefatta perché più calda. Per farlo volare in queste condizioni non programmate, perché progettato per funzionare solo 30 Sol, i tecnici hanno programmato i motori per far vorticare le eliche di Ingenuity ancora più rapidamente passando da 2500 a 2700 giri al minuto.
L’eredità di Ingenuity vivrà nei prossimi velivoli che solcheranno i cieli dei pianeti e dei satelliti del sistema solare, portando la curiosità, la perseveranza e l’ingegno umano a soddisfare il nostro illimitato desiderio di conoscenza.
JWST rivela la struttura sbalorditiva di 19 galassie a spirale abbastanza vicine
Un nuovo bottino di immagini provenienti dal telescopio spaziale James Webb della NASA/ESA/CSA cattura i ritratti nel vicino e medio infrarosso di 19 galassie a spirale frontali.
Una nuova serie di splendide immagini che mostrano stelle, gas e polvere su scale così piccole da non essere mai state osservate oltre la nostra galassia. Squadre di ricercatori stanno studiando queste immagini per scoprire le origini delle intricate strutture.
Le immagini del JWST sono state rese pubbliche oggi (29 gennaio 2024) e sono solo una piccola parte di un progetto molto più ampio e di lunga data: il programma Physics at High Angular Resolution in Near GalaxieS (PHANGS), supportato da oltre 150 astronomi in tutto il mondo. Prima che Webb scattasse queste immagini, PHANGS era già al lavoro su un’importante mole di dati provenienti dal telescopio spaziale Hubble della NASA/ESA, dal Multi-Unit Spectroscopic Explorer del Very Large Telescope e dall’Atacama Large Millimeter/submillimeter Array, comprese osservazioni nella luce ultravioletta, visibile e radio. Ma i contributi di Webb nel vicino e medio infrarosso come sempre hanno fornito diverse e nuove informazioni per ricomporre il puzzle.
La NIRCam (Near-Infrared Camera) di Webb ha catturato milioni di stelle in queste immagini, che brillano nei toni del blu. Alcune stelle sono sparse lungo i bracci della spirale, ma altre sono raggruppate insieme in ammassi stellari.
I dati MIRI (Mid-Infrared Instrument) del telescopio evidenziano la polvere luminosa, mostrandoci dove essa si trovi intorno e tra le stelle. Svela anche le stelle che non si sono ancora completamente formate: ancora racchiuse nel gas e nella polvere che ne alimentano la crescita, sembrano semi rosso brillante sulla punta di picchi polverosi.
Con stupore degli astronomi, le immagini di Webb mostrano anche grandi gusci sferici contenuti nei gas e nella polvere che potrebbero essere stati creati da stelle esplose in passato.
Le regioni estese di gas dei bracci a spirale rivelano anche dettagli in rosso e arancione informazione utile agli astronomi che studiando la spaziatura di queste strutture intendo risalire a come una galassia distribuisce il suo gas e la sua polvere.
Dalle immagini si deduce che le galassie crescono dall’interno verso l’esterno: la formazione stellare inizia nei nuclei delle galassie e si diffonde lungo i bracci, allontanandosi a spirale dal centro. Più una stella è lontana dal nucleo della galassia, più è probabile che sia giovane. Al contrario, le aree vicino ai nuclei che sembrano illuminate da un riflettore blu sono popolazioni di stelle più vecchie. I nuclei delle galassie inondati di picchi di diffrazione rosa e rossi potrebbero indicare invece un buco nero supermassiccio attivo o una saturazione di ammassi stellari luminosi verso il centro.
Sono molteplici le nuove vie di indagini che gli studiosi possono seguire servendosi dei tantissimi dettagli offerti dai dati PHANGS e il numero senza precedenti di stelle risolte da Webb rappresenta un bottino prezioso. Oltre a pubblicare immediatamente queste immagini, il team PHANGS ha anche pubblicato il più grande catalogo fino ad oggi creato contenente circa 100.000 ammassi stellari.
A seguire i dettagli di alcune galassie (le altre sono disponibili nel link originale):
LISA: c’è il via libera dell’ESA per la missione spaziale che rivelerà onde gravitazionali dal cosmo
La missione LISA, un trio di satelliti in orbita attorno al Sole, ha ottenuto l’“adozione” da parte dell’Agenzia Spaziale Europea ESA: ora si procederà alla costruzione, che consentirà l’osservazione dei segnali più sfuggenti dell’Universo, le onde gravitazionali. Cruciale il ruolo dell’Università di Milano-Bicocca
Milano, 26 gennaio 2024 – È arrivato il via libera alla missione spaziale LISA. Si tratta di un passaggio cruciale, denominato in gergo “adozione”, con cui ESA ha approvato la costruzione dei satelliti e della strumentazione di bordo con l’importante contributo di ASI, l’Agenzia Spaziale Italiana. Grazie a LISA, il cui nome sta per Laser Interferometer Space Antenna, si aprirà una nuova finestra sull’Universo: l’obiettivo è infatti costruire un osservatorio spaziale per la rivelazione delle onde gravitazionali provenienti da molteplici sorgenti cosmiche. Centrale, nell’ambito del programma scientifico Cosmic Vision dell’ESA in cui rientra questa missione, è il ruolo dell’Università di Milano-Bicocca e del team dalla professoressa Monica Colpi del dipartimento di Fisica “Giuseppe Occhialini” che ha ricoperto posizioni di guida in diversi gruppi di ricerca, in ESA e nel LISA Consortium, un consorzio internazionale di scienziati che ha definito gli obiettivi scientifici di LISA e progettato la missione.
LISA non è una sola navicella spaziale, ma un trio di satelliti in orbita attorno al Sole disposti ai vertici di un triangolo equilatero. Ogni lato del triangolo sarà lungo 2,5 milioni di km (più di sei volte la distanza Terra-Luna) e le navicelle si scambieranno raggi laser su questa distanza. Il lancio di LISA è previsto per il 2035 e avverrà a bordo di un razzo Ariane 6.
Ma che cosa sono le onde gravitazionali che LISA potrà osservare? Albert Einstein, un secolo fa, aveva dimostrato nella sua teoria della Relatività Generale che corpi celesti molto massicci, quando accelerati, scuotono il tessuto dello spazio-tempo, producendo minuscole increspature note appunto come onde gravitazionali che viaggiano nell’Universo alla velocità della luce. Ora, grazie agli sviluppi tecnologici moderni, siamo in grado di rivelare il passaggio di queste onde, tra le più sfuggenti nell’Universo al fine di risalire alla natura delle loro sorgenti.
LISA catturerà onde gravitazionali provenienti dalle regioni più remote dell’Universo, causate dallo scontro tra buchi neri massicci che risiedono al centro delle galassie, milioni di volte più pesanti del nostro Sole. Questo permetterà agli scienziati di scoprire l’origine di questi oggetti, ricostruirne la storia e il ruolo giocato nell’evoluzione delle galassie. La missione sarà anche pronta ad ascoltare il “mormorio” gravitazionale della nascita del nostro Universo, e sarà una finestra aperta sui primi istanti dopo il Big Bang. Inoltre, LISA aiuterà i ricercatori a misurare con accuratezza la velocità di espansione dell’Universo usando la gravità e non la luce come messaggero, confrontando il risultato con misure ottenute con altre tecniche e missioni (come Euclid). LISA osserverà anche un elevatissimo numero di sorgenti nella nostra Galassia, tra cui sistemi binari stellari composti da nane bianche e stelle di neutroni: un’opportunità senza precedenti per studiare gli stadi evolutivi finali delle stelle. Misurando la loro posizione e distanza, LISA creerà una mappa della struttura della Via Lattea, osservando oltre la buia cortina del Centro Galattico. Insieme alla missione ESA Gaia, conosceremo come la nostra Galassia, il nostro habitat ambiente si sia formato.
«Il primo disegno di LISA risale agli anni Settanta: è stato un lungo viaggio che ci ha portato oggi, dopo salite e discese, all’“adozione”, ovvero al passo decisivo verso la costruzione di LISA», spiega Monica Colpi. «Cruciale è stato il successo della missione LISA Pathfinder e la scoperta da parte degli interferometri a Terra LIGO-Virgo-KAGRA di onde gravitazionali emesse da buchi neri stellari in collisione. Con LISA cattureremo le vibrazioni dello spazio-tempo provenienti dalla fusione di buchi neri giganti. Qui, all’Università di Milano-Bicocca, stiamo cercando di capire come e quando, nell’Universo, queste collisioni avvengono e come LISA le osserverà».
Come avverrà dunque l’osservazione delle onde gravitazionali? LISA impiegherà coppie di cubi di una lega di oro e platino – le cosiddette “masse di test” (ognuna poco più piccola di un cubo di Rubik) – che galleggeranno in “caduta libera” al centro di ogni satellite, provviste di speciali schermature da disturbi esterni. Le onde gravitazionali causeranno minuscoli cambiamenti nella distanza tra le masse di test di due satelliti, e la missione traccerà queste variazioni usando l’interferometria laser. Questa tecnica richiede di far propagare fasci laser da un satellite all’altro nella costellazione. Confrontando i segnali registrati misureremo cambiamenti nelle distanze tra le masse di test fino a un miliardesimo di millimetro. I satelliti devono essere progettati per assicurare che nulla, eccetto la geometria dello spazio-tempo, possa perturbare il moto delle masse, che saranno perciò in quasi perfetta caduta libera. I satelliti della missione seguiranno appunto le orme di LISA PAthfinder, che ha dimostrato che è possibile mantenere le masse test in caduta libera con un impressionante livello di precisione. Lo stesso sistema di propulsione con cui sono state equipaggiate le missioni ESA Gaia e Euclid garantirà che ogni satellite mantenga la posizione e l’orientazione richieste con grandissima accuratezza.
Per rendere l’idea della complessità dell’operazione, Riccardo Buscicchio, ricercatore di Milano-Bicocca che lavora all’analisi dei dati prodotti da LISA, usa una metafora musicale: «I rivelatori terrestri oggi in funzione ricevono segnali isolati, uno alla volta, un po’ come ascoltare brevi concerti per violino solista. Il tipico timbro dello strumento ci permette di individuarlo, anche in presenza di “rumore”. I satelliti di LISA ascolteranno invece un concerto a volume estremamente alto, eseguito da strumenti fuori-tempo, fuori-armonia, per tutta la durata della missione spaziale. Nondimeno, l’orchestra sarà composta da milioni di archi, legni, ottoni e percussioni». Conclude Buscicchio: «Il mio lavoro all’Università di Milano-Bicocca è di riscrivere le partiture del concerto, a partire da una singola registrazione in alta-fedeltà, estraendo più strumenti possibile, anche quelli di cui ancora non conosciamo l’esistenza».
«Ora che LISA viene “adottata” da ESA, la sua realizzazione richiede un grande contributo di tutta la comunità scientifica internazionale», aggiunge Alberto Sesana, astrofisico, professore del dipartimento che lavora al progetto. «In Italia questo sforzo si va concretizzando sempre più, con una lunga collaborazione tra l’Università di Milano-Bicocca e altri atenei italiani». Selezionata come missione di bandiera del programma ESA Cosmic Vision 2015-2025, LISA sarà parte della flotta di “osservatori cosmici” dell’ESA per rispondere a due profonde domande: quali sono le leggi fondamentali della fisica che descrivono l’Universo? Come si è formato l’Universo e di che cosa è composto? In questa avventura, LISA lavorerà in congiunzione con NewAthena, un’altra missione ESA al momento in fase di studio. NewAthena sarà il più grande osservatorio di raggi X mai costruito nello spazio e il suo lancio è previsto per il 2037.
ESA guida la missione LISA e fornirà satelliti, lanciatori, supporto alla missione e alla raccolta dati. I laser ultra-stabili, i telescopi da 30 cm di diametro per raccogliere la luce laser, e le sorgenti di luce ultravioletta per neutralizzare la carica elettrostatica sulle masse test, saranno forniti dalla NASA. Gli altri componenti chiave saranno: le masse di test schermate da forze esterne, fornite da ASI Italia con contributo da parte della Svizzera; il sistema di misura del segnale interferometrico, con accuratezza picometrica fornito da Germania, Regno Unito, Francia, Olanda, Belgio, Polonia e Repubblica Ceca; il Science Diagnostics Subsystem (un arsenale di sensori a bordo dei satelliti) fornito dalla Spagna.
La costellazione boreale dei Gemelli transita al meridiano proprio nel mese di febbraio ed è protagonista della stagione invernale con le sue stelle principali Castore e Polluce, che rappresentano le teste dei due gemelli zodiacali; la costellazione ci accompagna per tutta la notte, splendendo alta in direzione Sud-Ovest e tramontando infine poco prima dell’alba.
CASTORE E POLLUCE: GEMELLI DIVERSI
Un po’ controversa è la classificazione delle due stelle alfa e beta della costellazione: benché Polluce sia più brillante – tanto da occupare il 17° posto nella lista delle 20 stelle più luminose del cielo notturno – è Castore la stella alfa della costellazione. Gemelli diversi stando alle loro sostanziali differenze e considerando i 10 anni luce che li separano.
Fin dalla mitologia è sempre Castore ad essere nominato prima di Polluce e anche l’autore del primo atlante celeste, Johann Bayer, decise di assegnare il ruolo di stella alfa dei Gemelli proprio a Castore, “rifilando” così il posto di stella beta a Polluce, eterno secondo tra i due fratelli.
Castore (α Geminorum) ha una magnitudine di 1,6 e dista circa 52 anni luce da noi; l’astro è composto da 3 coppie di stelle aventi una complessa interazione gravitazionale tra di loro.
Polluce (β Geminorum) è una gigante di colore arancione avente magnitudine 1,15; è situata a circa 34 anni luce da noi e si classifica come la gigante a noi più vicina.
Polluce in realtà è secondo solo sulla carta; il gemello dello Zodiaco, oltre a essere rivestito di maggior luce, si è preso nel tempo le sue rivincite: si tratta infatti di una delle poche stelle visibili attorno a cui ruota un pianeta.
Circa dieci anni fa è stato scoperto un pianeta gigante gassoso simile a Giove, che compie un’orbita completa attorno alla sua stella in 590 giorni, a cui è stato dato il nome di Polluce b.
Nella costellazione dei Gemelli si trovano anche altre stelle molto più luminose di Castore e Polluce, ma più distanti quindi meno brillanti, come Alhena e Mebsuta. La prima è una stella subgigante bianca di magnitudine 1,93 distante 105 anni luce da noi; la seconda è una supergigante gialla di magnitudine assoluta – 4,15 distante circa 903 anni luce da noi.
OGGETTI NON STELLARI NELLA COSTELLAZIONE DEI GEMELLI
Nella costellazione sono collocati diversi oggetti del profondo cielo come l’ammasso aperto M35, l’ammasso più brillante della costellazione dei Gemelli, già visibile attraverso un binocolo. Vi sono poi gli ammassi aperti IC 2157 e NGC 2158 e la bellissima Nebulosa Medusa (IC 443), un resto di supernova esploso in un periodo tra i 3.000 e i 30.000 anni fa.
Un altro intrigante oggetto nella costellazione dei Gemelli è la Nebulosa Eschimese, o NGC 2392, una nebulosa planetaria scoperta nel 1787 dal celebre astronomo William Herschel; anche in questo caso il Telescopio Spaziale Hubble è stato in grado di restituirci immagini davvero affascinanti di questo oggetto, che sembra ricordare la testa di una persona circondata dal cappuccio di un parka, ma è giusto sottolineare che, a partire dal 1 agosto 2020, la NASA non si riferisce più alla nebulosa NGC 2392 come alla “Nebulosa Eschimese”, poiché può essere considerato un termine insensibile e offensivo.
I GEMELLI NELLA MITOLOGIA
I due gemelli per antonomasia sono protagonisti di varie pagine di mitologia greca: al centro delle vicende c’è sempre Zeus, il padre degli dei e inguaribile seduttore.
Quando una donna diventava oggetto delle sue brame, Zeus era disposto a tutto e spesso ricorreva al metodo delle metamorfosi in animali.
Avendo perso la testa per Leda, nipote di Ares e regina di Sparta, si trasformò in cigno e la possedette mentre la giovane donna passeggiava sulle rive del fiume; dall’uovo concepito (anzi, presumibilmente due uova) vennero alla luce quattro bambini, ma poiché Leda quella stessa notte giacque con suo marito il re Tindaro, non v’è certezza sulla reale paternità e quindi divinità dei gemelli.
Furono così attribuiti a Zeus i gemelli immortali Polluce ed Elena (di Troia), mentre Tindaro assunse la mortale paternità di Castore e Clitennestra.
Nonostante questa assegnazione, Castore e Polluce furono appellati sia come Dioscuri (cioè figli di Zeus) sia come Tindaridi (figli di Tindaro).
Castore era un grande domatore di cavalli, mentre Polluce era un pugile formidabile. Entrambi nutrivano un forte sentimento fraterno l’uno per l’altro ed erano inseparabili: sempre insieme presero anche parte alla famosa spedizione degli Argonauti e, tra le tante avventure, sfidarono persino Teseo.
Ma ci furono degli eventi fatali che li videro coinvolti a un’altra coppia di gemelli, per storie di donne e bestiame: i fratelli Ida e Linceo. In un duello fu Castore ad avere la peggio e Polluce, unico sopravvissuto, dilaniato dal dolore per la morte del suo amato fratello, implorò suo padre Zeus affinché potesse lasciare la Terra insieme a lui. Zeus, impietosito, concesse quindi a Polluce di poter condividere con Castore un abbraccio eterno impresso sul manto celeste nell’omonima costellazione.
LA COSTELLAZIONE DEL CANE MAGGIORE
Un’altra menzione d’onore nel cielo di febbraio è per la costellazione del Cane Maggiore, noto per la sua scintillante stella alfa: Sirio.
Nonostante si tratti di una costellazione poco appariscente, il Cane Maggiore è facilmente individuabile partendo dalla cintura di Orione e tracciando una linea verso Sud-Est che conduce direttamente a Sirio. Questo astro, insieme a Betelgeuse e Procione, va a costituire uno dei vertici del Triangolo Invernale.
Mirzam, Adhara, Wezen, Aludra, Furud sono stelle blu e supergiganti blu che compongono la costellazione del Cane Maggiore che ci appaiono meno luminose rispetto alla stella alfa poiché più distanti.
SIRIO E IL SUO SISTEMA BINARIO
Sirio si trova a soli 8,6 anni luce da noi e con il suo intenso bagliore bianco-azzurro, freddo e scintillante, e la sua magnitudine apparente di -1,47, illumina le notti dell’inverno boreale: si tratta di una stella bianca con una massa 2,1 volte quella del Sole e una luminosità 25 volte superiore.
L’astro è in realtà un sistema binario: attorno alla componente principale, Sirio A, orbita una nana bianca di nome Sirio B che compie una rivoluzione attorno alla componente primaria ogni 50 anni.
Osservare e immortalare Sirio B è un’impresa ardua ma non impossibile, a patto che si disponga di una buona attrezzatura e di tanta pazienza! La difficoltà è data dall’ importante luminosità della stella principale che prevarica sulla più debole componente secondaria, condizione che genera non pochi ostacoli al tentativo di isolare la nana bianca.
OGGETTI NON STELLARI NELLA COSTELLAZIONE DEL CANE MAGGIORE
Trovandosi in una porzione di cielo attraversata dalla Via Lattea, la costellazione del Cane Maggiore ospita interessanti oggetti del cielo profondo.
Uno di questi è M41, un ammasso aperto posto a più di 2000 anni luce dalla Terra e con una magnitudine di 4,5; in condizioni ottimali di visibilità e osservando sotto cieli bui e privi di inquinamento luminoso, l’oggetto può essere individuato anche ad occhio nudo, mentre osservando con un binocolo sarà possibile scorgere molte più stelle tra quelle che compongono l’ammasso.
Altri oggetti situati nella costellazione sono ammassi aperti, nebulose e galassie: con l’utilizzo di telescopi e tecniche fotografiche a lunghe esposizioni, è possibile catturare NGC 2362, NGC 2354, NGC 2359, la Nebulosa Gabbiano, le galassie NGC 2217 e NGC 2280 oltre alla Galassia Nana Ellittica del Cane Maggiore, una galassia satellite vicina alla Via Lattea.
Affascinante oggetto presente nella costellazione è certamente quello costituito dalle galassie interagenti NGC 2207 e IC 2163.
L’immagine, catturata dal Telescopio Spaziale Hubble, ci mostra uno straordinario intreccio di galassie di cui la più grande e massiccia sulla sinistra è catalogata come NGC 2207, mentre quella più piccola sulla destra è IC 2163. Le forti forze mareali provenienti da NGC 2207 hanno distorto la forma di IC 2163, scagliando stelle e gas in lunghi filamenti che si estendono verso l’esterno. Si ritiene che tra miliardi di annisi fonderanno in un’unica galassia più massiccia.
IL CANE MAGGIORE NELLA MITOLOGIA
La mitologia si riferisce al Cane Maggiore come a uno dei fedeli cani da caccia di Orione.
Sirio, stella principale, trova riferimento nel mito greco, secondo cui il suo sorgere all’alba indicava l’arrivo dei giorni più roventi dell’estate, della canicola: i Giorni del Cane per l’appunto.
«Abbaiando lancia fiamme e raddoppia il caldo ardente del Sole» scrisse Manilio, «la torrida Stella del Cane spacca i campi» narrava Virgilio nelle Georgiche; insomma a Sirio e quindi alla costellazione del Cane Maggiore, veniva attribuita la colpa del caldo torrido che infuocava i campi, rinsecchendo i raccolti.
Messaggio agli alieni: “Venite a Lexington, abbiamo cavalli e bourbon”. Il Kentucky sceglie lo spot spaziale
Venite a Lexington, abbiamo cavalli e bourbon. Solo una cosa: per favore, non mangiateci”.
Dalla città di Lexington,nel Kentucky, è stato inviato un messaggio tramite laser all’esosistema TRAPPIST-1, a 40 anni luce dalla Terra. Non si tratta di una ufficiale iniziativa NASA, bensì quella del locale sindaco.
È stato posizionato un potente raggio laser presso il Kentucky Horse Park puntato verso il sistema TRAPPIST-1, nella direzione dell’Aquario. L’impulso del laser si trasforma in un’immagine che include alcuni numeri primi, include inoltre la tavola periodica con gli elementi essenziali per la vita terrestre contrassegnati, diagrammi di alcune delle nostre molecole preferite e un invito a visitare Lexington. Tutto questo è confezionato in un Bitmap, seguito da scene e musica del Kentucky. Il sito web di Lexinton mostra un conto alla rovescia dei giorni e persino dei minuti fino a quando il messaggio raggiungerà la sua destinazione.
Dato che le distanze sono quello che sono , ammesso che qualche abitante dei pianeti di TRAPPIST 1 sia attratto dal messaggio, potenzialmente le prime prenotazioni potrebbero essere fatte in meno di 80 anni.
Il sindaco di Lexinton ci spera, noi invece sorridiamo perché il Carnevale si avvicina.
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Le supernovae di tipo Ia (SNe Ia), altrimenti dette supernovae termonucleari, si configurano come esplosioni di stelle nane bianche composte principalmente da carbonio e ossigeno e facenti parte di sistemi binari interagenti. L’interazione con la stella compagna, necessaria per l’innesco dell’esplosione, può avvenire in due modi distinti. Nello scenario “single degenerate” una nana bianca strappa idrogeno ed elio dagli strati più esterni della compagna e accresce massa fino ad avviare un bruciamento nucleare esplosivo che può coinvolgere o una sola o entrambe le stelle, seguendo rispettivamente i meccanismi di detonazione ritardata o doppia. Nello scenario “double degenerate”, invece, due nane bianche si scontrano e fondono insieme, provocando l’esplosione dell’intero sistema. Inoltre, diversamente dalle supernovae di tipo II (SNe II), derivanti dal collasso gravitazionale del nucleo di stelle massicce, le SNe Ia non lasciano resti stellari e hanno dunque carattere completamente distruttivo.
In un recente studio condotto dall’ HITS in Germania e dallo Sternberg Astronomical Institute in Russia, è stata presa in esame la fusione di un sistema binario formato da una nana bianca di carbonio-ossigeno e dal nucleo degenere di elio di una gigante rossa che ha avuto esito in una SN Ia secondo lo scenario “single degenerate” con doppia detonazione. La fusione è avvenuta durante la fase di inviluppo comune, in cui le due stelle, ormai evolute, si avvicinano l’una all’altra a seguito della loro interazione fino ad entrare in un unico “guscio” contenente idrogeno che non riescono ad espellere: pertanto, alla fine del processo, l’inviluppo rimane ancora gravitazionalmente legato al prodotto della fusione. Il fatto che la nana bianca esploda all’interno di un inviluppo comune ricco di idrogeno con una doppia detonazione, la prima dell’elio acquisito dal nucleo degenere della compagna e la seconda del carbonio-ossigeno nel suo stesso nucleo, ha un notevole impatto sulle proprietà osservate della corrispondente SN Ia.
Per determinare tali proprietà, i ricercatori hanno simulato la fase idrodinamica del prodotto della fusione delle due stelle utilizzando il codice Arepo, per poi aggiungere le informazioni sulla doppia detonazione ottenute dalle simulazioni dell’evoluzione del nucleo degenere di elio con il codice MESA. Infine, essi hanno analizzato il trasporto radiativo connesso alla propagazione del fronte d’onda esplosivo con il codice STELLA, che ha permesso di ricavare la curva di luce indicante l’andamento della luminosità della SN Ia nel tempo. La curva di luce predetta mostra un plateau (i.e., tratto piatto) lungo 40 giorni molto simile a quello tipico delle SNe IIP, una particolare classe di SNe core-collapse aventi come progenitori stelle super giganti rosse che presentano anch’esse un inviluppo ricco d’idrogeno al momento dell’esplosione. Esempi di tali SNe disponibili in letteratura sono SN 2004dy, SN 2005af, SN 2005hd, SN 2007aa e SN 2008bu, i cui spettri, al contrario di quello della SN Ia con doppia detonazione considerata, sono contraddistinti da prominenti righe spettrali dell’idrogeno: questa la principale differenza tra i due tipi di SNe. Tuttavia, ci si aspetta che le differenze diventino più marcate dopo il plateau della curva di luce, ovvero dopo 40 giorni dall’esplosione.
Questa indagine teorica porta allora a concludere che le SNe Ia rientranti nello scenario “single degenerate” con detonazione sia dell’elio sia del carbonio-ossigeno sono assimilabili alle SNe IIP dal punto di vista osservativo, eccezion fatta per l’assenza di righe dell’idrogeno molto pronunciate nei loro spettri. Grazie a tali indicazioni, sarà possibile identificare con maggiore facilità le SNe Ia che avvengono per doppia detonazione anche a distanza di tempo dall’esplosione, nei tratti più tardi della curva di luce.
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