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Stato di Emergenza in Canada in vista dell’eclissi

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Di Saffron Blaze - Opera propria, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=15045971
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La regione canadese del Niagara dichiara lo stato di emergenza per prepararsi ad un afflusso record di spettatori per l’eclissi

La regione del Niagara in Ontario ha dichiarato lo stato di emergenza mentre si prepara ad accogliere fino a un milione di visitatori per l’eclissi solare all’inizio di aprile.

L’ eclissi solare totale totale dell’8 aprile sarà la prima a toccare la provincia dal 1979 e le Cascate del Niagara sono state dichiarate dal National Geographic uno dei posti migliori per vederla.

La città si trova proprio nella fascia di totalità, dove la luna bloccherà completamente i raggi del sole per alcuni minuti. Le forze dell’ordine si aspettano un’invasione di spettatori, forse più di un milione. Visitatori che certo non vorranno perdere uno scenario apocalitico con le cascate sullo sfondo. Il sindaco delle Cascate del Niagara, Jim Diodati, all’inizio di marzo ha dichiarato che si aspetta il maggior numero di visitatori che la sua città abbia mai visto in un solo giorno da sempre.

Giovedì scorso, il governo della regione del Niagara ha proclamato in maniera preventiva lo stato di emergenza per prepararsi all’evento, condizione che da accesso ad alcuni strumenti di pianificazione aggiuntivi per prepararsi alla giornata, al fine di gestire possibili ingorghi, maggiori richieste di servizi di emergenza e sovraccarichi della rete di telefonia mobile.

Generato con intelligenza artificiale

L’eclissi raggiungerà la costa pacifica del Messico al mattino, taglierà diagonalmente gli Stati Uniti dal Texas al Maine e terminerà nel Canada orientale nel tardo pomeriggio. La maggior parte del resto del continente vedrà un’eclissi parziale.

Parliamo ampiamente dell’eclissi dell’8 aprile nel numero 267 di Coelum Astronomia.

 

Le Comete di Aprile 2024

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IL GRAN FINALE DELLA 12P/PONS-BROOKS

 

12P/Pons-Brooks

Per molti mesi abbiamo seguito con interesse la sua crescita, attendendo con trepidazione il passaggio al perielio. Ebbene, ci siamo! L’istante si verificherà il 21 aprile, quando le stime indicano la cometa tra la quarta e la quinta magnitudine, quindi potenzialmente visibile ad occhio nudo. Occorrerà però fare i conti con una situazione prospettica decisamente sfavorevole, nella quale l’oggetto si troverà bassissimo sull’orizzonte al termine del crepuscolo nautico, con il cielo dunque ancora troppo chiaro. Ovvio che in quella situazione le probabilità di percepirla anche solo strumentalmente saranno pressoché nulle, con le uniche concrete speranze di successo legate ad uno dei suoi outburst che in questi mesi di avvicinamento non sono mancati. Rimanendo però al prevedibile converrà anticipare i tempi osservandola a inizio mese quando, pur bassa e leggermente meno luminosa, sarà osservabile nel cielo buio. Dall’Ariete, nei pressi della stella Alfa Hamal, si muoverà verso il Toro avvicinando Giove, che fungerà da ottimo punto di riferimento. Imperdibile il giorno 10 la configurazione cometa, Pianeta Gigante ed un sottile falcetto lunare di circa due giorni, con i tre corpi celesti che formeranno un triangolo raccolto pochi gradi. Nei giorni 12 e 13 la 12P si avvicinerà ulteriormente al gigante del Sistema Solare mentre successivamente il suo abbassamento sull’orizzonte ed il chiarore lunare ci costringerà a cercarla in condizioni sempre più sfavorevoli. Nell’ultima parte del mese, a meno di sorprese, come già anticipato sarà praticamente impossibile “estrarla” dal fondo cielo ormai chiarissimo. Non resterà quindi che darle appuntamento per il suo ritorno tra settant’anni.

Cartina della 12P in aprile. Le stelle più deboli sono di magnitudine 8.

13P/Olbers

Anche la Olbers, come la 12P, ritorna dopo circa settant’anni. La sua scoperta, nel marzo del 1815, si deve al medico tedesco Heinrich WilhemOlbers, attivo astronomo dilettante autore anche dell’individuazione dei due grandi asteroidi 2 Pallas e 4 Vesta. Le condizioni osservative saranno un po’ più favorevoli rispetto alla non distante Pons-Brooks, con la cometa comunque a sua volta piuttosto bassa sull’orizzonte che si muoverà entro i confini del Toro, risultando osservabile non appena il cielo si fa buio, inizialmente discretamente alta ma in abbassamento, tanto che a fine mese sarà rintracciabile nei pressi dell’orizzonte. Nel corso del mese la sua luminosità dovrebbe raggiungere la decima magnitudine.

Cartina della 13P in aprile. Le stelle più deboli sono di magnitudine 10.

C/2021 S3 PanSTARRS

Ormai in allontanamento, questa deludente cometa dovrebbe inizialmente brillare su valori vicini alla decima magnitudine. Dalla Volpetta si sposterà nel Cigno, mostrandosi alta in cielo poco prima del termine della notte astronomica.

Cartina della 2021 S3 PanSTARRS in aprile. Le stelle più deboli sono di magnitudine 9.

 


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Transiti ISS notevoli per il mese di Aprile 2024

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Transiti ISS notevoli per il mese di Aprile 2024

La ISSStazione Spaziale Internazionale sarà rintracciabile nei nostri cieli in orari mattutini. Avremo quattro transiti notevoli con magnitudini elevate durante il mese, auspicando come sempre in cieli sereni.

 

22 Aprile

Si inizierà il giorno 22 Aprile, dalle 05:26 verso SO alle 05:34 verso ENE. Osservabile senza problemi da tutta la nazione con magnitudine di picco a -3.7.

23 Aprile

Il giorno dopo, 23 Aprile, dalle 04:39 in direzione S alle 04:45 in direzione ENE. Osservabile al meglio dal Sud Italia, il transito avrà una magnitudine di -3.1.

24 Aprile

Il penultimo transito si avrà il giorno 24 Aprile, dalle 05:24 da OSO alle 05:32 a NE, con magnitudine massima a -3.2. Visibilità ottimale dal Centro Nord Italia, meteo permettendo.

25 Aprile

L’ultimo transito del mese, il 25 Aprile, sarà visibile da tutto il paese. Dalle 04:37 alle 04:43, da OSO a NE. Magnitudine di picco a -3.8.Transito parziale, con la ISS che avrà la massima luminosità poco dopo essere uscita dall’ombra della Terra.

N.B. Le direzioni visibili per ogni transito sono riferite ad un punto centrato sulla penisola, nel centro Italia, costa tirrenica. Considerate uno scarto ± 1-5 minuti dagli orari sopra scritti, a causa del grande anticipo con il quale sono stati calcolati.

In caso di Booster della ISS eseguiti nei giorni successivi alla pubblicazione dell’articolo gli orari possono differire anche in maniera significativa. Vi invitiamo a controllare sempre il sito https://www.heavens-above.com/ soprattutto in caso di programmazione di una sezione di osservazione.


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A Scheggia (PG) il 57° Congresso nazionale dell’Unione Astrofili Italiani

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AGGIORNAMENTO DAL CONGRESSO dell’UNIONE ASTROFILI ITALIANI

Novità per il Congresso UAI
tutti i soci UAI che parteciperanno in presenza
riceveranno una copia di Coelum 267 in omaggio
e in più 
potranno usufruire di uno sconto 30% sugli abbonamenti alla versione cartacea.

*l’offerta è limitata a chi sottoscriverà l’abbonamento nei giorni del congresso.


Dal 19 al 21 aprile 2024 torna – con grandi novità – il Congresso nazionale dell’Unione Astrofili Italiani (UAI), il più importante appuntamento degli appassionati di astronomia in Italia. Il Congresso, alla sua 57ª edizione, sarà un’occasione di incontro e confronto per scoprire quanto è stato fatto in ambito astrofilo, nei vari settori di attività, e per contribuire a definire nuove idee e i progetti futuri. Ospitato presso il Teatro Comunale di Scheggia e Pascelupo, il Congresso si avvarrà della preziosa collaborazione dell’Associazione Astronomica Umbra, delegazione territoriale dell’UAI.

Attorno ai tavoli del Congresso si siederanno astrofili provenienti da tutta Italia, afferenti alle oltre 60 Delegazioni dell’UAI, e astronomi professionisti, con i quali l’Unione Astrofili Italiani ha stretto rapporti di collaborazione nell’ambito sia divulgativo che della ricerca. “Il Congresso – spiega il Presidente dell’UAI Luca Orrù – è ormai dal lontano 1968 il più atteso e privilegiato momento di incontro, condivisione e socializzazione di tutta la comunità degli astrofili, delle associazioni, degli osservatori, dei planetari e dei musei a tema astronomico – scientifico che si riconoscono nella UAI. Un fine settimana per fare il punto della situazione, promuovere attività e condividere esperienze, offrire nuovi stimoli e anche per vivere momenti di grande divulgazione scientifica”.

Locandina ufficiale del Congresso UAI 2024

Ad aprire il Congresso saranno proprio le attività divulgative dedicate alla scoperta delle meraviglie del cielo, indirizzate alle scuole del territorio e al pubblico generico. Tra queste, non mancheranno – per la gioia di adulti e bambini – le osservazioni ai telescopi, spettacoli nel planetario e una mostra fotografica a cura dell’Associazione Astronomica Umbra. Si entrerà poi nel vivo delle attività congressuali con l’Assemblea dei soci e con le sessioni a cura delle Commissioni “Outreach”, “Ricerca” e “Tecnica” dell’UAI. In particolare, saranno presentate le diverse attività e i progetti su cui hanno lavorato gli astrofili delle varie Commissioni e che ricadono nell’ambito della didattica, della divulgazione – rigorosamente inclusiva – dell’astronomia, della ricerca amatoriale, del monitoraggio e contrasto dell’inquinamento luminoso, e della promozione dell’uso della strumentazione astronomica e delle tecniche osservative e dell’astrofotografia più innovative. Momenti di condivisione delle iniziative e dei risultati realizzati nel corso dell’ultimo anno si alterneranno a momenti di discussione per mettere a fattor comune le esperienze e individuare le sfide da affrontare e, quindi, per progettare insieme il futuro dell’astrofilia. Rispetto agli anni precedenti, le sessioni tematiche ospiteranno molti interventi a cura di astrofili e astronomi che collaborano con le Commissioni dell’UAI e incentrati su esperienze rilevanti in ambito outreach e ricerca. Altra novità del Congresso, l’area “networking” dedicata ai poster sulle attività e iniziative a carattere culturale e scientifico delle Delegazioni.

In occasione del Congresso, come da tradizione, verranno assegnati il premio “Gian Battista Lacchini”, il Premio “Guido Ruggieri”, il Premio “Stella al merito” e il Premio “Marco Falorni”. Il Premio “Gian Battista Lacchini”, istituito nel 1994, è il più importante riconoscimento che l’Unione Astrofili Italiani conferisce ad astronomi e astrofili di fama mondiale che si sono distinti nella divulgazione dell’astronomia. Il Premio “Guido Ruggieri” è assegnato dall’UAI all’astrofilo più meritevole per specifiche attività di ricerca effettuate o per l’insieme delle attività realizzate nel corso della propria carriera astrofila; il Premio “Stella al merito” va ai soci UAI che più si sono distinti negli ambiti di attività divulgative e didattiche, per meriti organizzativi o per il sostegno alla crescita dell’associazione; mentre il Premio “Marco Falorni” è destinato a persone particolarmente attive nel campo dell’osservazione planetaria. Il Premio “Lacchini” 2024 va all’astrofisico Amedeo Balbi, che terrà la tradizionale Lectio Magistralis aperta al pubblico e trasmessa in streaming sui canali social dell’UAI.

Nel corso del Congresso verrà inoltre decretato il vincitore del bando Astroiniziative 2024 riservato alle delegazioni dell’UAI e dedicato al tema “Artemis: ritorno alla Luna” e verranno presentati dall’Unione Astrofili Senesi, aggiudicataria del bando nel 2023, i risultati del progetto “Guardiani del cielo”. Il bando, con cadenza annuale, sostiene le iniziative in ambito divulgativo e didattico, eventualmente anche incentrate su attività di ricerca amatoriale, allo scopo – da un lato – di diffondere l’astronomia e la scienza nella società, e – dall’altro – di incoraggiare la creatività e la progettualità delle delegazioni.

Anche noi di COELUM saremo all’evento, vi aspettiamo!

⇒⇒Per maggiori informazioni sul Congresso UAI 2024 e per prenotare consultare il seguente link: https://www.uai.it/sito/congresso-uai-2024/

 

Mondi in miniatura – Asteroidi, Aprile 2024

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GLI ASTEROIDI IN OPPOSIZIONE
ad APRILE

e consigli per le riprese

(12) Victoria , (532) Herculina, (30) Urania, (385) Ilmatar, (89) Julia

(12) Victoria è un asteroide di fascia principale che compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.300 giorni (3.56 anni) ad una distanza compresa tra le 1.82 e le 2.85 unità astronomiche (rispettivamente, 272.268.125 Km al perielio e 426.353.931 Km all’afelio). Deve il suo nome in onore della divinità latina Victoria, equivalente alla dea greca Nike. La sua superficie è composta principalmente da silicati e metalli (Tipo S), simile a quella di molti altri asteroidi della fascia principale. Scoperto da  J. R. Hind  il 13 Settembre 1850, questo grande asteroide di 120 Kilometri di diametro sarà in opposizione il 1 di Aprile. In questo frangente raggiungerà la massima brillantezza con una magnitudine di 10.4, il suo moto sarà di 0,69 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle  nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere  una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (12) Victoria trasformarsi in una bella striscia luminosa di 27 secondi d’arco.

Traccia del percorso di (12) Victoria nel mese di aprile. Crediti https://in-the-sky.org/

 

(532) Herculina è un asteroide di fascia principale che compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.680 giorni (4.60 anni) ad una distanza compresa tra le 2.27 e le 3.27 unità astronomiche (rispettivamente, 339.587.166 Km al perielio e 489.185.037 Km all’afelio). E’ stato scoperto il 20 Aprile 1904 dall’astronomo tedesco Max Wolf. L’origine del nome non è chiara: si ritiene che derivi dalla figura mitologica di Ercole, ma potrebbe anche essere stato dedicato dallo scopritore ad sua conoscente di nome Ercolina. Questo imponente asteroide ha un diametro di circa 170 Km di diametro che lo rende uno dei maggiori corpi della fascia principale. La sua superficie riflette relativamente bene la luce solare, indicando una composizione di silicati e metalli (Tipo S), simile a molti altri corpi della fascia principale.  L’analisi di un evento di occultazione avvenuto nel 1978 e successivi studi fotometrici hanno suggerito la presenza di almeno una grande luna o satellite che orbita attorno all’asteroide, ma non esistono ad oggi conferme definitive sulla natura binaria di (532) Herculina che siano universalmente accettate dalla comunità astronomica. (532) Herculina sarà in opposizione il 7 Aprile, momento nel quale raggiungerà la massima luminosità brillando di magnitudine di 9.1. Il suo moto sarà di 0,53 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle  nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere  una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (532) Herculina trasformarsi in una bella striscia luminosa di 21 secondi d’arco.

Traccia del percorso di (532) Herculina nel mese di aprile. Crediti https://in-the-sky.org/

(30) Urania è un asteroide di fascia principale che compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.330 giorni (3.64 anni) ad una distanza compresa tra le 2.06 e le 2.67 unità astronomiche (rispettivamente, 308.171.614 Km al perielio e 399.426.315 Km all’afelio). Deve il suo nome a Urania una delle nove muse nella mitologia Greca, protettrice dell’astronomia e della poesia. Scoperto da John Russel Hind il 22 luglio 1854, questo grande asteroide di circa 88 Km di diametro ha una composizione superficiale di silicati e metalli (Tipo S). Anche (30) Urania sarà in opposizione il 7 di Aprile, momento nel quale raggiungerà la massima luminosità brillando di magnitudine di 11. Il suo moto sarà di 0,65 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle  nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere  una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (30) Urania trasformarsi in una bella striscia luminosa di 26 secondi d’arco.

Traccia del percorso di (30) Urania nel mese di aprile. Crediti https://in-the-sky.org/

 

(385) Ilmatar è un asteroide di fascia principale che compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.750 giorni (4.79 anni) ad una distanza compresa tra le 2.49 e le 3.21 unità astronomiche (rispettivamente, 372.498.698 Km al perielio e 480.209.165 Km all’afelio). E’ stato così chiamato in onore di Ilmatar, dea della creazione nella mitologia Finlandese. La sua superficie ha una composizione di rocce silicatiche e metalli (Tipo S) che lo rende simile a molti altri corpi della fascia principale. Scoperto da  Max Wolf il 1 di Marzo del 1894, questo grande asteroide di circa 90 Km di diametro sarà in opposizione il 9 Aprile, momento nel quale raggiungerà la massima luminosità brillando di magnitudine di 11.2. Il suo moto sarà di 0,61 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle  nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere  una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (385) Ilmatar trasformarsi in una bella striscia luminosa di 24 secondi d’arco.

Traccia del percorso di (385) Ilmatar nel mese di aprile. Crediti https://in-the-sky.org/

(89) Julia è un asteroide di fascia principale che compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.490 giorni (4.08 anni) ad una distanza compresa tra le 2.08 e le 3.02 unità astronomiche (rispettivamente, 311.163.571 Km al perielio e 451.785.570 Km all’afelio). Deve il suo nome in onore di Santa Giulia. Scoperto dall’astronomo Édouard Stephan il 6 Agosto 1866, questo imponente asteroide di circa 145 Km di diametro è considerato il corpo progenitore dell’omonia famiglia asteroidale Julia, un gruppo di asteroidi che condividono caratteristiche orbitali simili, suggerendo un’origine comune. Le famiglie asteroidali sono gruppi di asteroidi che si ritiene siano frammenti di un più grande corpo progenitore generati a seguito di collisioni o altri eventi catastrofici. Questi gruppi sono identificati principalmente attraverso l’analisi delle loro orbite, che mostra similitudini nella loro inclinazione, eccentricità e semiasse maggiore.

La famiglia Julia è caratterizzata da asteroidi che hanno orbite con specifiche proprietà dinamiche che li collegano al corpo progenitore, suggerendo che  i membri della famiglia potrebbero essere i pezzi generati a seguito di un antico impatto. (89) Julia sarà in opposizione il 10 Aprile, momento nel quale raggiungerà la massima luminosità brillando di magnitudine di 10.8. Il suo moto sarà di 0,70 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle  nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 4 minuti. Per ottenere  una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (89) Julia trasformarsi in una bella striscia luminosa di 24 secondi d’arco.

Traccia del percorso di (89) Julia nel mese di aprile. Crediti https://in-the-sky.org/

Hebe è un grande asteroide (circa 185 Km di diametro) di fascia principale che compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.380 giorni (3.78 anni) ad una distanza compresa tra le 1.93 e le 2.92 unità astronomiche (rispettivamente, 288.723.890 Km al perielio e 436.825.782 Km all’afelio). Deve il suo nome a Hebe, figura mitologica greca, Figlia di Zeus e di Hera.

Scoperto da Karl Ludwig Hencke il 1 Luglio 1847 è il quinto Asteroide più luminoso della fascia dopo (4) Vesta, (1) Ceres, (7) Iris, e (2) Pallas, (6). Un aspetto particolarmente interessante di Hebe è che si pensa sia una delle fonti principali delle meteoriti H condriti, uno dei gruppi più comuni di meteoriti che cadono sulla Terra. Questa teoria si basa sull’analisi della composizione delle meteoriti e sulla loro corrispondenza con lo spettro di riflessione di Hebe. Se corretto, ciò significherebbe che almeno una parte delle rocce spaziali che studiamo proviene da questo singolo asteroide, fornendo un campione diretto della sua composizione e, di conseguenza, delle preziose informazioni sulla formazione e l’evoluzione degli asteroidi nella fascia principale. (6) Hebe sarà in opposizione il 22 Aprile. In questo frangente raggiungerà la massima brillantezza con una magnitudine di 9.9.  Il suo moto sarà di 0,61 secondi d’arco al minuto, quindi per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle  nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 4 minuti. Per ottenere  una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (6) Hebe trasformarsi in una bella striscia luminosa di 24 secondi d’arco.


 

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Le Costellazioni di Aprile 2024

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COSTELLAZIONI DI APRILE 2024

… Poi venne l’aprile, alba dell’estate. La natura, in quel mese, ha incantevoli bagliori che passano dal cielo, dalle nubi, dagli alberi, dai prati e dai fiori nel cuore dell’uomo.

I Miserabili- Victor Hugo

LA COSTELLAZIONE DEL LEONE NEL CIELO DI APRILE

Uno degli asterismi protagonisti del cielo primaverile, che transita al meridiano proprio intorno al 15 di aprile, è certamente quello del Leone: la costellazione è posta tra il Cancro e la Vergine, osservabile già dalla prima serata,e per riconoscerla sarà sufficiente trovare la tipica forma trapezoidale che la identifica, di cui la stella Regolo (alfa Leonis) costituisce uno dei suoi vertici (quello orientato a Sud-Ovest).

Regolo è un sistema stellare composto da quattro stelle divise in due coppie; con la sua magnitudine +1,40 è la ventunesima stella più luminosa del cielo notturno.

Dista circa 79 anni luce da noi e la sua vicinanza all’Equatore celeste fa sì che possa essere osservata da tutte le aree popolate della Terra.

Con il suo colore bianco-azzurro, Regolo è facilmente individuabile nelle serate primaverili: insieme ad altre stelle della costellazione del Leone, alfa Leonis va a comporre un noto asterismo chiamato Falce: si tratta di una figura molto brillante, nota anche come Falce Leonina, la cui forma richiama appunto quella dell’oggetto di cui porta il nome.

Il vertice Sud-Orientale della costellazione del Leone è costituito dalla stella Denebola, che rappresenta la coda dell’animale: è una delle stelle più vicine a noi, trovandosi a 36 anni luce di distanza e, con la sua luce bianca, è circa 17 volte più luminosa del Sole.

Denebola è una stella variabile della tipologia Delta Scuti, con una luminosità che varia leggermente nel giro di poche ore: da studi cinematici risulta che Denebola potrebbe essere una componente di un’associazione stellare di cui fanno parte anche Alpha Pictoris, Beta Canis Minoris e l’ammasso aperto IC 2391.

GLI OGGETTI DEL PROFONDO CIELO NELLA COSTELLAZIONE DEL LEONE

GALASSIA A SPIRALE NGC 2903 CREDITI: ESA/Hubble, NASA e L. Ho, J. Lee e il team PHANGS-HST

La costellazione del Leone ospita diversi oggetti non stellari come le galassie M65, M66, M105 e NGC 2903: quest’ultima, oltre ad essere una galassia a spirale barrata, è anche l’oggetto più brillante della costellazione e possiamo ammirarne i dettagli nell’incredibile immagine ad alta risoluzione catturata dal Telescopio Spaziale HUBBLE, attraverso l’utilizzo della Advanced Camera for Surveys (ACS) e la Wide Field Camera 3 (WFC3).

TRIPLETTO DEL LEONE CREDITI: Soumyadeep Mukherjee. Nell’immagine si notano le tracce dei satelliti impresse nei frame ancora non eliminati in post produzione.

Le Galassie M66, M65 e NGC 3628  formano il Tripletto del Leone, che si trova a 35 milioni di anni luce dalla Terra, apprezzabile nell’immagine realizzata dall’astrofilo Soumyadeep Mukherjee.

NGC 3628 CREDITI: Soumyadeep Mukherjee

 

Entro i confini della costellazione sono stati scoperti anche diversi sistemi planetari: attorno alla nana rossa Gliese 436, posta a 33 anni luce dal Soleorbita un pianeta la cui massa è simile a quella di Nettuno; vi è poi la stella HD 102272 attorno alla quale orbitano due pianeti di tipo giovano.

IL LEONE NELLA MITOLOGIA

Nota già ai tempi dei Babilonesi per la sua identificazione con il Sole, poiché ospitava il Solstizio d’Estate, la costellazione del Leone è mitologicamente legata alla figura di Ercole: secondo il mito, la dea Era possedeva un famelico leone che tormentava il popolo di Nemea; l’animale, dotato di una spessa e invulnerabile pelliccia, sembrava essere immune a qualsiasi arma.

Nell’impresa di cacciarlo e ucciderlo vi riuscì solamente Ercole, che dopo aver sconfitto la feroce bestia, la scuoiò, indossando da quel momento la pelliccia impenetrabile del leone. La fierezza dell’animale fu tramutata in stelle da Zeus, che collocò la sua figura sulla volta celeste.

Leone ed Ercole Crediti MARCO ANTONIO PRESTINARI

LA COSTELLAZIONE DEI CANI DA CACCIA

Nel cielo di aprile incontriamo un’altra costellazione, posta tra il Boote e l’Orsa Maggiore: si tratta della costellazione boreale dei Cani da Caccia (Canes Venatici): l’asterismo fa parte del cielo primaverile, la sua stella principale, α Canum Venaticorum, è nota come Cor  Carolied è una stella doppia bianca di magnitudine 2,89, distante 110 anni luce, risolvibile già con un piccolo telescopio.

Beta Canum Venaticorum(Asterion) è una stella gialla di magnitudine 4,24, distante 27 anni luce mentre Y Canum Venaticorum, nota anche come La Superba, è una stella variabile di magnitudine media 5,42 che si trova a una distanza di 710 anni luce.

OGGETTI NON STELLARI NELLA COSTELLAZIONE

La costellazione dei Cani da Caccia ospitaun oggetto del profondo cielo davvero affascinante: la galassia spirale M51, detta anche Galassia Vortice.

GALASSIA VORTICE M51 CREDITI: SOUMYADEEP MUKHERJEE

Si tratta di una delle galassie più brillanti, la cui luminosità è dovuta alla presenza di giovani stelle brillanti azzurre che ne popolano i bracci; è un oggetto molto amato dagli astrofili e nell’osservazione si presenta di fronte, rendendosi visibile con un buon binocolo e un telescopio di discreta apertura.

M51 possiede anche una piccola galassia satellite, NGCC 5195, che rappresenta quasi la continuazione di uno dei bracci della spirale. Questo sistema dista da noi circa 20 milioni di anni luce.

Un gruppo di ricercatori del Center for Astrophysics di Harvard (Stati Uniti) ha scoperto, attraverso i telescopi spaziali Chandra e Xmm-Newton per raggi X, un possibile pianeta extragalattico grande come Saturno, che orbita ogni 70 anni attorno a una binaria X (M51-ULS-1) a 28 milioni di anni luce da noi, proprio nella Galassia Vortice.

MESSIER 94 CREDITI: ESA/Hubble e NASA

A circa 16 milioni di anni luce di distanza, nella costellazione dei Cani da Caccia, è situata una galassia dall’aspetto mozzafiato: si tratta di Messier 94, da ammirare nell’immagine super dettagliataripresa dal celebre Telescopio Spaziale HUBBLE.

Altro oggetto che può considerarsi tra i più belli del profondo cielo è senza ombra di dubbio Messier 3: si tratta di un ammasso globulare che contiene mezzo milione di stelle, molte delle quali variabili, e che risulta essere uno dei più grandi e luminosi mai scoperti.

MESSIER 3 CREDITI:ESA/Hubble e NASA, G. Piotto et al.

I CANI DA CACCIA TRA MITO E STORIA

Nel 1687 l’astronomo polacco Johannes Hevelius formò la costellazione dei Cani da Caccia, inserendola tra il Boote e l’Orsa Maggiore, una regione di cielo a suo dire troppo vuota che bisognava integrare con un oggetto che comprendesse anche la stella Cor Caroli, Cuore di Carlo ( II d’Inghilterra).

Perché la scelta fosse ricaduta proprio su due cani da caccia non è ben chiaro: essi vengono attribuiti ora Boote, che li tiene al guinzaglio, e ora all’Orsa maggiore, minacciata da essi.

Un’altra storia ci porta negli intrighi della corona inglese, dove il medico di corte Charles Scarborough, denominò una stella Cor Caroli, in onore di Carlo I, in seguito alla sua decapitazione durante la guerra civile inglese.

Successivamente Edmund Halley associò l’astro a Carlo II, salito al trono dopo la morte del padre; egli accolse con entusiasmo che il suo nome fosse tra le stelle e, mosso forse da una certa riconoscenza nei confronti di Halley, decise di dare il via alla realizzazione di uno dei più illustri osservatori: l’Osservatorio Astronomico di Greenwich.

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SUPERNOVAE: aggiornamenti Aprile 2024

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RUBRICA SUPERNOVAE COELUM   N. 119

Come abbiamo visto nelle precedenti rubriche, le scoperte amatoriali di questi primi tre mesi del 2024 sono arrivate dal Giappone con le due scoperte del grande Koichi Itagaki (181 scoperte in totale) e con quella di Hidehiko Okoshi alla sua prima scoperta, ma anche dagli Stati Uniti con il sigillo messo a segno dal veterano Patrick wiggins (9 scoperte in totale). Chi si è distinto però, per il maggior numero di scoperte, in questo primo trimestre dell’anno, sono stati i cinesi del programma XOSS, capitanati da Xing Gao, che hanno ottenuto ben sei successi (per un totale di 93 scoperte). Le sei scoperte cinesi sono purtroppo poco appariscenti sia per la luminosità raggiunta, che per la bellezza della galassia ospite. Fanno però eccezione due di loro che analizzeremo adesso. La prima supernova interessante risale al 5 febbraio, quando brillava appena di una luminosità pari alla mag.+18,5 individuata nella galassia a spirale NGC3780 posta nella costellazione dell’ Orsa Maggiore a circa 100 milioni di anni luce di distanza e accompagnata in cielo, solo prospetticamente, dalla galassia a spirale barrata NGC3804 situata più vicino a circa 70 milioni di anni luce. Nella notte del 7 febbraio, dall’osservatorio del Roque de los Muchachos a La Palma nelle Isole Canarie in Spagna, con il Telescopio Isaac Newton da 2,5 metri del programma GOTO Gravitation-wave Optical Transient Observer è stato ripreso lo spettro di conferma, che ha permesso di classificare la SN2024btj come una giovane supernova di tipo II. La luminosità del nuovo transiente è infatti aumentata lentamente fino a raggiungere la mag.+16 intorno al 25 febbraio. Questa è la terza supernova conosciuta in NGC3780. Le due precedenti furono la SN1992bt scoperta il 19 dicembre 1992 dagli astronomi americani Treffers, Leibundgut e Filippenko dell’Università della California a Berkeley e da Michael Richmond dell’Università di Princeton, facenti parte del programma di ricerca supernovae denominato LOSS Lick Observatory Supernovae Search  e la SN1978H scoperta il 7 novembre 1978 dall’astronomo svizzero Paul Wild.

1) Immagine della SN2024btj ripresa dall’astrofilo inglese Damian Peach con un telescopio Dall-Kirkam da 430mm – Esposizione LRGB per un totale di 3 ore.
2) Immagine della SN2024btj ripresa dall’astrofilo francese Robert Cazilhac con un telescopio C14 F.11 somma di 300 immagini da 5 secondi.
3) Immagine della SN2024btj ripresa dall’astrofilo inglese Nich Haigh con un telescopio Newton da 300mm.

La seconda supernova cinese, che merita un approfondimento, è stata individuata nella notte del 29 febbraio nella galassia a spirale UGC2526 posta nella costellazione del Perseo a circa 220 milioni di anni luce di distanza. Al momento della scoperta il nuovo transiente mostrava una luminosità molto debole pari alla mag.+19,4. Nella notte del 2 marzo gli astronomi cinesi del Yunnan Observatory, con il telescopio Lijiang di 2,4 metri, hanno ripreso lo spettro di conferma, classificando la SN2024dlk come una supernova di tipo Ia scoperta circa due settimane prima del massimo di luminosità. Ed infatti intorno alla metà di marzo è stato raggiunto il massimo di luminosità a mag.+15,5. Questa è la seconda supernova conosciuta in UGC2526, la prima fu la SN2005ek scoperta il 24 settembre del 2005 dal programma americano di ricerca supernovae denominato LOSS.

4) Immagine della SN2024dlk ripresa da Riccardo Mancini con un telescopio Newton da 250mm F.5 esposizione di 35 minuti.
5) Immagine della SN2024dlk ripresa da Claudio Balcon con un telescopio Newton da 410mm F.5,5 somma di 10 immagini da 60 secondi.

Concludiamo la rubrica con una scoperta che ci riguarda più da vicino. Nella notte del 12 marzo gli astrofili Mirco Villi e Michele Mazzucato, che collaborano da diversi anni con i professionisti americani del CRTS Catalina, hanno individuato una debole stellina di mag.+19 analizzando immagini professionali realizzate con il telescopio Cassegrain di 1,5 metri di diametro dell’osservatorio americano sul Mount Lemmon in Arizona. La galassia ospite NGC6433 è una spirale, posta nella costellazione di Ercole a circa 320 milioni di anni luce di distanza. Nella notte del 19 marzo dal Palomar Observatory in California con il telescopio da 1,5 metri è stato ottenuto lo spettro di conferma, che ha permesso di classificare il nuovo oggetto come una supernova di tipo Ia, assegnandole la sigla definitiva SN2024efn. La supernova ha raggiunto il suo massimo di luminosità intorno al 20-25 marzo a mag.+16.

6) Immagine della SN2024efn ripresa da Claudio Balcon con un telescopio Newton da 410mm F.5,5 somma di 10 immagini da 60 secondi.

Ultima ora: L’incredibile giapponese Koichi Itagaki continua a stupire individuando un nuovo transiente nella galassia a spirale NGC4192A. Il primo ad ottenere lo spettro è stato il nostro Claudio Balcon, dopo appena sei ore dalla scoperta. E’ ancora troppo presto per dare una classificazione definitiva, anche se quasi sicuramente si tratterà di una supernova giovanissima di tipo II. Approfondiremo la scoperta nella prossima rubrica, ma la segnaliamo subito perché la galassia ospite è vicinissima alla stupenda galassia Messier 98. Nel giorno della scoperta la Luna Piena si trovava a pochi gradi di distanza. Quando si allontanerà,  potremmo riprendere delle stupende immagini.

Ed ecco appena giunto in redazione lo scatto di Riccardo Mancini proprio sulla SN2024exw in NGC4192A.

7) Immagine della SN2024exw in NGC4192A ripresa da Riccardo Mancini con un telescopio Newton da 250mm F.5 esposizione di 75 minuti.

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News da Marte #27

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Bentornati su Marte! Dopo esserci purtroppo lasciati alle spalle la missione di Ingenuity, il cui epilogo ha occupato una parte importante di queste cronache, possiamo tornare a dedicare le giuste attenzioni alle attività di Perseverance. Il rover è stato impegnato nell’analisi di una roccia abbastanza particolare il cui studio è culminato nel prelievo di un campione. Ci sono delle novità che riguardano la camera SHERLOC, e infine vi racconto di una ricerca pubblicata a metà mese che ha individuato un enorme vulcano sul Pianeta Rosso. Si nascondeva in una regione di Marte studiata da praticamente mezzo secolo…

Si parte!

Bunsen Peak, una nuova roccia per Perseverance

Il nostro amato rover non si sta muovendo granché, con l’ultimo spostamento di una certa entità che è stato svolto il 7 febbraio (Sol 1055). La posizione corrente, raggiunta dopo quasi 2500 metri percorsi attraverso la Marginal Unit in varie tappe nel corso di circa 60 Sol, è la stessa da cui il rover ha condotto le dettagliate osservazioni di Ingenuity raccontate in News da Marte #26.

Posizione di Perseverance aggiornata al 23 marzo nella mappa fornita dalla NASA nel sito della missione. A questo livello di zoom si riesce a includere l’intero spostamento compiuto sin qui all’interno della Marginal Unit da est verso ovest. NASA/JPL-Caltech
Dettaglio dei più recenti spostamenti di Perseverance. Il marker è relativo alla posizione del 7 febbraio

È proprio il 7 febbraio che il rover, durante le osservazioni di routine che svolge con le camere di navigazione per documentare l’area circostante, inquadra per la prima volta la roccia che i tecnici denomineranno Bunsen Peak. Il nome fa riferimento all’omonima montagna di 2610 metri all’interno del parco nazionale di Yellowstone nel territorio del Wyoming, al confine con il Montana.

La roccia Bunsen Peak evidenziata nel cerchio rosso. Left NavCam, Sol 1055. NASA/JPL-Caltech/Piras

Bunsen Peak, spiccando in modo così evidente rispetto alle rocce circostanti (è addirittura visibile dall’orbita grazie all’occhio acuto di Mars Reconnaissance Orbiter), ha attirato presto le attenzioni del team scientifico. Le peculiarità non si fermano però alle dimensioni, e per osservarle meglio serve che saliamo metaforicamente a bordo del rover e ci avviciniamo. Nel Sol 1066 Perseverance si è approcciato per la prima volta alla roccia e ha poi ridotto ulteriormente la distanza nel 1068 (18 febbraio) quando ha scattato questo mosaico.

Ripresa ravvicinata di Bunsen Peak scattata nel Sol 1068 con la Front Left HazCam. NASA/JPL-Caltech/Piras

Da vicino Bunsen Peak svela alcune peculiarità interessanti, come ad esempio la struttura superficiale nella sua parte sinistra. Il lato destro invece si presenta quasi verticale e il colore scuro rispetto al resto della roccia è indicativo di porzioni sulle quali è presente pochissima sabbia. Questa relativa pulizia rappresenta un vantaggio per le osservazioni scientifiche, perché permette di rilevare dati migliori sulla chimica della roccia. Un’ulteriore particolarità di una faccia verticale come questa è che offre una visione in sezione del masso, fornendo indizi agli scienziati sulla struttura interna e su potenziali stratificazioni.

Un altro mosaico di Bunsen Peak costituito da circa 50 immagini della Left MastCam-Z, Sol 1069. NASA/JPL-Caltech/MSSS/Piras

Le indagini proseguono e nel Sol 1071 il rover inizia osservazioni davvero ravvicinate. È il momento di mettere in azione la camera WATSON, ospitata in cima al braccio robotico, che permette macro estremamente dettagliate. Perseverance esegue una serie di acquisizioni a distanza variabile mettendo in evidenza la struttura superficiale della roccia oggetto d’indagine.

WATSON in azione, osservata dalla Front Left HazCam nel Sol 1071. NASA/JPL-Caltech/Piras
Collage di acquisizioni macro di WATSON, Sol 1071. NASA/JPL-Caltech/Piras
Le riprese più ravvicinate di WATSON evidenziano queste strane concrezioni. NASA/JPL-Caltech/Piras

Al massimo livello di zoom si notano delle minuscole sfere sul lato della roccia orientato verticalmente. Escluso che si tratti di cristalli, che non crescono in questo modo, un’altra ipotesi è che siano particelle sollevate e trasportate dal vento. Ma anche questa spiegazione è da scartare perché non c’è una sostanza “collosa” organica che permetterebbe a queste sferette di attaccarsi a una parete verticale.

La spiegazione formulata da Steve Ruff, geologo planetario dell’Arizona State University, è che questa superficie fosse un tempo parte di una frattura e di un affioramento prima di essere consumata dal vento e ridotta ora a questo masso. I granelli di sabbia intrappolati all’interno della frattura si sarebbero cementati venendo inclusi nella roccia, forse grazie agli stessi sali che attualmente formano concrezioni, sebbene molto meno solide, nella sabbia. Abbiamo un esempio di questo particolare fenomeno grazie a un sasso che le ruote di Perseverance hanno smosso durante l’avvicinamento a Bunsen Peak.

Differente ritaglio dell’immagine vista poco sopra. Si evidenzia la sabbia cementata che il rover ha smosso spostando un sasso con la sua ruota anteriore sinistra. NASA/JPL-Caltech/Piras

Nei successivi Sol le attività del rover includono anche dei mosaici di fotografie acquisite con le MastCam-Z, ve ne propongo un paio.

Il primo è una ampissima visione del terreno tutto attorno a Perseverance, che tramite 45 scatti copre quasi 350° orizzontalmente.

Left MastCam-Z, Sol 1078. NASA/JPL-Caltech/MSSS/Piras

Il secondo mosaico è una combinazione di 72 immagini che ritraggono la regione a est del rover.

Sol 1085. NASA/JPL-Caltech/MSSS/Piras

Come spesso accade, il rover ha acquisito queste immagini scattando contemporaneamente con entrambe le MastCam-Z. Con un’ulteriore elaborazione è possibile affiancare i due mosaici e ottenere l’effetto di profondità di una foto stereo, apprezzabile con i comuni occhialini 3d color magenta e ciano.

Per questa immagine e le precedenti vale il consiglio, se possibile, di apprezzarle su un grande schermo e a piena risoluzione.

Trapano in azione

Dopo le analisi preliminari con gli strumenti di imaging, gli scienziati hanno deciso di voler indagare l’interno di Bunsen Peak.

Il Sol 1080 (4 marzo) è stato quindi dedicato a un’abrasione eseguita con una punta particolare che Perseverance può installare sul trapano. L’operazione di fresatura superficiale della roccia dura circa 22 minuti, che possiamo osservare condensati in un video grazie alla soggettiva dal basso catturata dalle HazCam frontali.

Sol 1080, dettaglio della fresa impiegata per l’operazione. Il diametro è di circa 5 cm. NASA/JPL-Caltech

 

Seguono ulteriori osservazioni fotografiche: qui di seguito ho raccolto un paio di immagini della camera WATSON, una della Right MastCam-Z e una della Left NavCam.

Macro della camera WATSON sulla abrasione eseguita su Bunsen Peak circa trenta minuti prima, Sol 1080. NASA/JPL-Caltech/Piras
Right MastCam-Z, Sol 1082. NASA/JPL-Caltech/MSSS/Piras
Immagine della Left NavCam, Sol 1080. NASA/JPL-Caltech/Piras

Al termine di alcuni giorni marziani di ulteriori osservazioni (anche notturne, grazie agli illuminatori a LED montati su WATSON) i tecnici NASA hanno avviato le procedure per compiere un prelievo tramite la perforazione della roccia Bunsen Peak. Era dal 14 ottobre che il rover non eseguiva tale operazione, dopo che nel Sol 942 aveva estratto il campione Lefroy Bay.

Operazione di prelievo del campione Lefroy Bay dalla roccia Turquoise Bay, Sol 942. NASA/JPL-Caltech

Ma prima di far mettere al lavoro Perseverance, i tecnici hanno inaspettatamente deciso di indagare sullo stato di un vecchio campione. Era stato estratto oltre due anni fa e mai sigillato all’interno di una delle fiale in titanio a disposizione del rover, studiate per custodire rocce e sabbia in attesa del loro invio verso la Terra nel prossimo decennio. Nel corso di quel prelievo, eseguito il 6 marzo del 2022, era accaduto che parte del carotaggio di roccia fosse andato a bloccarsi tra i denti della punta e il meccanismo interno cavo. Non avevano avuto successo i tentativi di azionare nuovamente il trapano a vuoto per cercare di disincastrare il campione, che da allora era rimasto all’interno della punta.

Naturalmente le operazioni di Perseverance non si sono interrotte in quanto il rover dispone di un set di sei punte intercambiabili e perfettamente identiche tra loro, riposte all’interno della ruota del carousel.

Immagine del campione incastrato all’interno della punta in una foto del marzo 2022, Sol 371. NASA/JPL-Caltech/MSSS/Piras

Si ipotizzava forse che dopo due anni di intensi spostamenti il campione si potesse essere smosso oppure si fosse contratto o spezzato, ma così non è stato. Il personale in controllo del rover non ha potuto far altro che prendere atto del fatto che, probabilmente, quel pezzo di roccia resterà all’interno di Perseverance per sempre!

Perseverance osserva nuovamente il campione “problematico” dopo due anni, Sol 1086. NASA/JPL-Caltech/MSSS/Piras

Una volta sostituita la punta con una nuova e non ostruita, il Sol 1088 di missione il rover può finalmente eseguire l’operazione di prelievo su Bunsen Peak che dura complessivamente 32 minuti. Si tratta di un tempo superiore di circa il 50% rispetto al solito, dovuto forse alla significativa durezza della roccia.

Il video del prelievo è composto da due inquadrature combinate in modo da mostrare in alta risoluzione il punto di foratura ma anche lo scivolamento verso sinistra della polvere che va a schiarire la superficie della roccia. Seguono alcune foto di routine per verificare il successo dell’operazione, dopodiché il campione viene spostato verso i meccanismi di manipolazione della fiala che hanno il compito di fotografare e sigillare il campione.

 

Conferma del successo dell’operazione, Sol 1086. NASA/JPL-Caltech/MSSS/Piras
La CacheCam prima fotografa il campione per verificarne il volume (immagine a sinistra) e successivamente documenta il numero di serie del tappo che ha appena chiuso ermeticamente la fiala. Sol 1086. NASA/JPL-Caltech
Left NavCam, Sol 1088. NASA/JPL-Caltech

Perseverance non ha poi svolto altre attività di particolare rilievo, con l’ultima aggiunta alla nostra cronaca che riguarda il fatto che abbia iniziato ad allontanarsi dalla roccia Bunsen Peak dopo alcune settimane di permanenza in quest’area.

È probabile che il rover stia iniziando un lungo spostamento verso ovest (senza attraversare l’antico canale sabbioso denominato Neretva Vallis bensì costeggiandolo da sud) che lo vedrà fermarsi di tanto in tanto ad analizzare e raccogliere rocce di interesse. Nel vicino futuro di Perseverance c’è la Inner Rim Campaign, e il bordo del cratere Jezero dove il nuovo capitolo della sua missione inizierà dista solo circa 5 km dalla posizione attuale.

Non ci sono buone notizie per SHERLOC

Vi ricordate la camera SHERLOC, il cui coperchio di protezione dalla polvere è rimasto bloccato a inizio gennaio?

29 febbraio, lo sportellino di SHERLOC sembrava aperto quasi del tutto facendo ben sperare per la risoluzione del problema. NASA/JPL-Caltech/Piras

La NASA ha pubblicato un aggiornamento nel sito della missione e le notizie sono dolciamare.

La buona notizia è che i vari tentativi di sbloccare lo sportellino, come avevamo già visto in chiusura di News da Marte #26, hanno avuto successo. I tecnici hanno inviato comandi per aumentare la coppia erogata dal piccolo motore incaricato dell’apertura, “smosso” il braccio robotico e persino azionato il meccanismo di percussione del trapano. Il risultato è stato ottenere un’apertura oltre i 180° che è all’incirca l’obiettivo sperato. Tutto bene quindi?

SHERLOC fotografato il 7 marzo, Sol 1083. NASA/JPL-Caltech/MSSS

Non è tutto bene, ed ecco che arriviamo alle note dolenti. Nell’aggiornamento NASA viene evidenziato un dettaglio tecnico importante, ovvero che il motore che controlla lo sportellino è responsabile anche della messa a fuoco dell’ottica. Il team è pessimista sulla possibilità di ripristinare al 100% l’operatività del motore, ma sta ancora lavorando per cercare di aprire ulteriormente lo sportellino e raggiungere una posizione del fuoco fissa in modo da permettere al laser, allo spettrometro Raman e al sensore d’immagine di operare seppur in modo limitato.

Nel video che segue ho raccolto quasi tutto il materiale fotografico acquisito dal rover durante le settimane in cui si è tentato di risolvere il problema.

 

Scoperto un nuovo gigantesco vulcano su Marte

Si nascondeva in piena vista poco sotto l’equatore, in una delle regioni più studiate del Pianeta Rosso a cavallo tra il famoso canyon Valles Marineris e il Noctis Labyrinthus. Questo nuovo enorme vulcano ci è sfuggito per cinquant’anni a causa dell’intensa erosione che l’ha interessato durante la storia geologica marziana, rendendolo quasi invisibile rispetto ai suoi vicini compagni Ascraeus Mons, Pavonis Mons e Arsia Mons. Ne ha svelato l’esistenza un nuovo studio a prima firma dello scienziato planetario Pascal Lee e presentato il 13 marzo alla 55esima Lunar and Planetary Science Conference.

Immagine: NASA/USGS Mars globe. Annotazioni: Pascal Lee e Sourabh Shubham

Ad arricchire notevolmente la valenza scientifica della scoperta c’è la possibilità che, al di sotto di recenti e sottili depositi vulcanici nella porzione sud-est, siano presenti dei ghiacciai d’acqua. Le conseguenze per l’esobiologia, la ricerca di vita aliena e l’esplorazione robotica (nonché umana) di Marte potrebbero essere rivoluzionarie.

Il nuovo vulcano, provvisoriamente denominato Noctis Volcano, raggiunge i 9022 metri di altezza e ha un diametro di circa 450 km. Queste imponenti dimensioni e le intense modifiche che l’hanno interessato fanno pensare che sia stato attivo per molto tempo all’interno della regione Tharsis, l’esteso altorilievo che ospita anche gli altri tre summenzionati antichi vulcani.

Immagine: NASA Mars Global Surveyor (MGS) Mars Orbiter Laser Altimeter (MOLA) digital elevation model. Annotazioni: Pascal Lee e Sourabh Shubham

“Stavamo esaminando la geologia di un’area dove l’anno scorso avevamo trovato i resti di un ghiacciaio quando ci siamo resi conto di trovarci all’interno di un vulcano enorme e profondamente eroso” ha detto il dottor Pascal Lee. Gli studiosi hanno svelato la presenza del vulcano mettendo insieme vari indizi quali l’alternarsi di numerose mesa (superfici rocciose piatte sopraelevate caratterizzate da bordi quasi verticali) e i canyon che le separano. Nell’area della sommità centrale le mesa appaiono disposte ad arco e raggiungono un picco locale. Le dolci pendenze esterne si estendono fino a 225 chilometri in tutte le direzioni. Ciò che resta della caldera, ovvero il cratere vulcanico collassato, si evidenzia vicino al centro della struttura.

A sinistra: Mars Express HRSC color mosaic, ESA/DLR/FU. A destra: stessa immagine di sinistra con digital elevation model di NASA MGS MOLA. Annotazioni di Pascal Lee e Sourabh Shubham

“Questa area di Marte è nota per avere una vasta gamma di minerali idrati che abbracciano un lungo tratto di storia marziana. Si sospettava da tempo una genesi in ambiente vulcanico per questi minerali, non è stato quindi troppo sorprendente trovare un vulcano qui” ha spiegato Sourabh Shubham, laureando presso il Dipartimento di Geologia dell’Università del Maryland e coautore dello studio. “In un certo senso, questo grande vulcano è stato una sorta di pistola fumante cercata da lungo tempo”.

NASA Mars Reconnaissance Orbiter (MRO) Context Camera (CTX) mosaic e Mars Global Surveyor (MGS) Mars Orbiter Laser Altimeter (MOLA) digital elevation model. Annotazioni di Pascal Lee e Sourabh Shubham

Oltre al vulcano, lo studio riporta la scoperta di una vasta area di depositi vulcanici di 5000 chilometri quadrati all’interno del perimetro che presenta un gran numero di piccole protuberanze allungate e rotonde, simili a bolle. Questo “terreno a bolle” viene interpretato come un campo di pseudocrateri (rootless cones in inglese), formazioni prodotte da emissioni esplosive o gonfiamenti dovuti al vapore quando uno strato sottile di materiali vulcanici caldi si deposita sopra una superficie ricca di acqua o ghiaccio.

Il vulcano Noctis presenta una lunga storia di cambiamenti derivanti probabilmente da una combinazione di fratturazioni, erosione termica ed erosione glaciale. I ricercatori lo classificano come un vulcano a scudo composto da accumuli stratificati di materiali piroclastici, lava e ghiaccio, quest’ultimo risultante da ripetuti accumuli di neve e ghiacciai sui suoi fianchi nel corso del tempo. Con lo sviluppo di fratture e faglie, in particolare in corrispondenza dell’innalzamento della più ampia regione Tharsis, le lave hanno cominciato a fluire attraverso varie porzioni del vulcano portando all’erosione termica e al crollo di intere sezioni.

Successive glaciazioni hanno proseguito la loro erosione, conferendo a molti canyon all’interno della struttura la loro forma attuale. In questo contesto, il Relict Glacier identificato nelle immagini e la possibile lastra ghiacciata sepolta intorno ad esso potrebbero essere resti dell’ultimo episodio di glaciazione che ha interessato il vulcano Noctis.

Un’immagine in grado di restituire efficacemente la grande complessità di mesa e canyon che caratterizzano il vulcano, con le loro brusche variazioni di altitudine, è quella che riporto qui sotto. È frutto di un’elaborazione che combina le immagini della sonda Mars Express per generare un anaglifo tridimensionale. Per poterla apprezzare appieno è necessario, ancora una volta, l’uso degli occhialini magenta/ciano.

ESA/DLR/FU Berlin. Annotazioni di Pascal Lee e Sourabh Shubham

Restano ancora varie incognite relative a questo vulcano di recente individuazione. Sebbene probabile che sia stato attivo per molto tempo e abbia iniziato a formarsi presto nella storia geologica di Marte, non si sa con precisione quanto presto. Similmente, sebbene abbia subito eruzioni anche in tempi moderni, non è chiaro se sia ancora attivo dal punto di vista vulcanico e se potrebbe eruttare di nuovo. E ancora: se è stato attivo per molto tempo, potrebbe la combinazione di calore costante e acqua dal ghiaccio aver permesso al sito di ospitare la vita?

Mentre gli scienziati continuano a formulare nuove domande sul vulcano Noctis, il sito sta già destando grande curiosità relativamente allo studio dell’evoluzione geologica marziana e la ricerca della vita. Inoltre la possibile presenza di ghiaccio a bassa profondità nei pressi dell’equatore permetterebbe a esploratori umani di stabilirsi in una parte meno fredda del pianeta rispetto ai poli restando in grado di estrarre acqua sia per gli usi vitali che per la produzione di carburante per razzi.

Anche per questa puntata è tutto da Marte, alla prossima!

Encelado, la luna di Saturno, è l’obiettivo dell’ESA 2050

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Encelado catturato dalla sonda Cassini: Crediti NASA/JPL-Caltech/University of Arizona/LPG/CNRS/University of Nantes/Space Science Institute
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Una crosta fresca e ghiacciata che nasconde un oceano profondo ed enigmatico. Pennacchi d’acqua esplodono attraverso le fessure del ghiaccio, sparati nello spazio. Un intrepido lander raccoglie campioni e li analizza alla ricerca di tracce di vita.

L’ESA ha iniziato a ragionare su come trasformare un simile scenario in realtà, ideando una missione per indagare su un mondo oceanico attorno a Giove o Saturno. Ma quale luna dovremmo scegliere? Cosa dovrebbe fare esattamente la missione? Un team di scienziati esperti ha presentato le proprie considerazioni.

La missione per capirsi dovrebbe seguire JuiceLISA e NewAthena come la prima missione di “grande classe” di Voyage 2050, il cui piano a lungo termine “le lune dei pianeti giganti del Sistema Solare” per le attività scientifiche spaziali dell’ESA è stato scelto nel 2021e per tradurre questo tema in concetti di missione più concreti, l’ESA ha selezionato un comitato di eminenti scienziati planetari.

Il loro compito? Analizzare i meriti scientifici della visita di varie lune di Giove o Saturno e aiutare l’ESA a tracciare le strade verso soluzioni tecniche innovative che renderebbero possibile tale missione.

Le priorità scientifiche sono state stabilite nell’ambito delle raccomandazioni del Voyage 2050 : la missione dovrebbe concentrarsi sull’abitabilità di un mondo oceanico indagando i legami tra il suo interno e l’ambiente circostante, nonché cercando segni di vita passata o presente e cercando di identificare la chimica vitale in superficie.

ESA/Science Office

Ambizioso ma realizzabile. Sempre.

Naturalmente i grandi sogni devono sempre restare entro i limiti di ciò che è tecnicamente fattibile ed economicamente sostenibile. Mentre il team del dottor Martin si concentrava sulla scienza, gruppi di ingegneri del Concurrent Design Facility dell’ESA hanno analizzato quale tipo di missione sarebbe realistica considerando le tecnologie che prevediamo di aver sviluppato entro i prossimi due decenni.

“Abbiamo commissionato tre studi CDF incentrati sulle lune più promettenti: Europa di Giove ed Encelado e Titano di Saturno”, spiega il dottor Frederic Safa, capo del dipartimento Missioni future dell’ESA. “Il team di scienziati ha lavorato a stretto contatto con gli ingegneri del CDF sugli obiettivi di ogni studio. I risultati hanno aiutato a definire cosa si potrebbe fare con le risorse a cui avremo accesso negli anni ’40”.

and the winner is…

Mirando alla scienza della trasformazione, considerando le caratteristiche di ogni luna e le future missioni pianificate su Giove e sui mondi oceanici di Saturno, gli scienziati hanno identificato Encelado, luna di Saturno, come l’obiettivo più avvincente, seguito da Titano, ancora luna di Saturno, e poi da Europa, luna di Giove.

Nessuna agenzia spaziale è mai atterrata sul piccolo Encelado eppure il satellite ha un enorme potenziale per la nuova scienza, in particolare nel campo dell’abitabilità.

È generalmente accettato che esistano tre condizioni affinché un “ambiente abitabile” possa potenzialmente sostenere la vita come la conosciamo: la presenza di acqua liquida, una fonte di energia e un insieme specifico di elementi chimici.

Encelado catturato dalla sonda Cassini: Crediti NASA/JPL-Caltech/University of Arizona/LPG/CNRS/University of Nantes/Space Science Institute

Encelado spunta tutte e tre le caselle. I pennacchi che fuoriescono dalla sua crosta ghiacciata sono ricchi di composti organici, alcuni dei quali sono fondamentali per la vita. L’oceano sembra anche contenere una potente fonte di energia chimica che potrebbe alimentare gli organismi viventi.

In piedi sulle spalle dei giganti

Basandosi sul Jupiter Icy Moons Explorer (Juice) dell’ESA e sulla missione Cassini-Huygens della NASA/ESA/ASI  per visitare Saturno e atterrare su Titano, questa nuova missione trasporterebbe strumentazione di prossima generazione in grado di rivelare segreti inimmaginabili di un mondo oceanico come Encelado.

Ipoteticamente la missione potrebbe partire all’inizio degli anni ’40 lanciata con un  Ariane 6, arrivando a destinazione circa un decennio dopo. Nello stile di Juice e Cassini-Huygens, la missione, se mirata verso Encelado o Titano, potrebbe compiere un fantastico tour nel sistema di Saturno, comprendendo sorvoli di altre lune sconcertanti, prima di  un’indagine ravvicinata del gran finale  dell’obiettivo prescelto. .

Fonte: ESA

ASTROFOTOGRAFIA: Come nasce una passione per l’Universo Svelato

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Nello scorso numero 266 la prima APOC di sempre è stata assegnata a Lorenzo Busilacchi, astrofotografo sardo che da alcuni anni, non molti a dire il vero come scopriremo dal suo racconto, si dedica alla ripresa di oggetti del profondo cielo, ma proprio profondo, insomma.. lontani fino a mezzo miliardo di anni luce.

Busilacchi non è fotografo e la sua passione per le sfide e sincera e il suo approccio genuino ci ricorda come l’astronomia sia accessibile a tutti. Certo quello sopra la Sardegna è di certo un cielo che offre molti vantaggi ma non basta! Ci vuole impegno, pianificazione e pazienza certosina.

Il racconto di Lorenzo Busilacchi è nelle righe pubblicate in COELUM 267 con un’ampia carrellata delle sue meglio riuscite imprese. Qui di seguito, i lettori del sito, troveranno un’introduzione al lavoro e quale è stato l’approccio seguito.

L’UNIVERSO SVELATO: LA MIA PASSIONE PER L’ASTROFOTOGRAFIA

COME ACCADE CHE ALZANDO
GLI OCCHI VERSO IL CIELO
SI ACCENDA LA SCINTILLA

circa quattro anni fa ho tirato fuori il telescopio di mio padre, e da allora non mi sono
più fermato. Ho stretto alcune amicizie con le quali ho condiviso e condivido trasferte
fotografiche in luoghi con cieli bui (valore sqm 21) anche mezz’ora da casa come Is Concias, o più lontani verso Chia spiaggia di Cala Cipolla etc. É una passione talmente profonda che ho acquistato il mio primo strumento Newtoniano con montatura medio leggera HEQ5, e come camera una Sony 7s modificata proprio per il profondo cielo per diversi motivi, sia di trasportabilità che di costi, setup nuovo per avere una certa tranquillità e garanzia, sotto consiglio di amici esperti che conoscono il mercato della strumentazione sia di fotografia che astrofotografia. Tramite quello che considero il mio maestro di sempre ho capito che la mia passione era andare a caccia di soggetti sempre più distanti, e così sono passato dal glorioso Newton 200/800 f4, al Newton 200/1000
f5. Ho scelto questi due setup perchè all’inizio della passione, conoscendo meno sia
gli aspetti tecnici che la teoria che sta alla base del cielo profondo, dovevo sondare i
differenti soggetti cominciando da quelli più vicini che necessitano meno di focali
lunghe, bensì di campi più larghi strumenti luminosi come i Newtoniani.
La spesa iniziale può variare, in genere ad esempio si parte con una reflex, e
non camera astronomica collegata ad un obiettivo fotografico, installata su un astroinseguitore che segue la volta celeste durante le ore di acquisizione; si passa poi a setup più complessi con camere cmos raffreddate in base alla temperatura esterna regolabile, per generare meno rumore termico nelle singole foto che vengono sommate con appositi programmi. Con questa configurazione ho intuito presto che certi soggetti, come galassie e nebulose distanti anni luce, rimanevano fuori dalla portata di una buona definizione e profondità. In telescopi medi e di apertura inferiore ai 280 cm la definizione e il potere risolutivo, anche ritagliando l’immagine, non mi offrivano quella qualità e nitidezza che agognavo, specie nell’acquisire soggetti molto piccoli, limitando per altro significativamente la capacità di elaborare in maniera chiara i dettagli sia interni che esterni.
Tutti i limiti ovviamente sono dovuti a diversi fattori, il cielo in primis, ma anche appunto la strumentazione, che può essere idonea per alcuni target ma inadatta per altri a seconda della distanza e grandezza.

Nebulosa Elmo di Thor
Costellazione Cane Maggiore
Distanza circa 12.000 a.l.
Data 27-28/01/24 di Lorenzo Busilacchi

Il passaggio dal setup base a quello più avanzato è stato più complesso del previsto. Se da un lato infatti è stato indispensabile attendere le opportune possibilità economiche dall’altro ho preferito poter sperimentare le varie opzioni di configurazione, specie riguardo a quello che volevo riprendere o meno, cercando di differenziarmi sempre più dai classici oggetti noti.
Dietro ad ogni immagine astronomica c’è un impegno notevole, tuttavia una postazione fissa come la mia può semplificare il lavoro. Nel mio caso bastano pochi minuti per
allineare la stella polare con lo strumento nel giardino di casa dopo di che sono già pronto per acquisire.
Mi concedo di vantarmi di un’idea che si è rivelata nel tempo ottima. Il mio setup infatti è montato su un carrello che posso spostare a piacimento, in questo modo gestisco
tutto a pochi metri dal box che uso per ripararlo da intemperie e agenti atmosferici.

Il discorso dell’astrofotografia itinerante è differente, molto più difficile perché ogni volta
bisogna portare con sé la strumentazione, ma per la trattazione lascio la parola a qualcun altro.

Nebulosa planetaria Doppia Bolla NGC2371-2.
Primo esperimento in assouto a piena focale
anche come integrazione con tempi di acquisizione
brevi su soggetti così luminosi. Distanza circa 3900 a.l.
Costellazione dei Gemelli. Luna presente 92%
Data 21-22.01.24 di Lorenzo Busilacchi

[…]

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Editoriale COELUM 267

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Con i primi mesi del 2024 ci è conclusa l’ultima fase del concorso LuckyCoelum che ha visto la consegna dei premi agli abbonati estratti.

Editoriale COELUM ASTRONOMIA n°267

Nello scorso mese i vincitori dei concorso LuckyCoelum si sono visti recapitare i premi direttamente a casa.
Le spedizioni sono partite dalle aziende con bancali e imballaggi predisposti ad hoc, tutto per consegnare i premi in maniera perfetta.
Sono passati alcuni mesi dall’estrazione, ma è valso sicuramente la pena attendere anche fosse solo per l’emozione di vedere arrivare un pacco così prezioso e per alcuni, anche molto voluminoso.
Ricordiamo i premi tanto per rifare mente locale (immagini in basso).
Il primo estratto ha ritirato uno strepitoso Dobson Skywatcher Skyliner 300 Flextube. Diciamolo, un gioiellino che chiunque vorrebbe avere ma al quale non è sempre possibile dedicare risorse finanziarie.
Il secondo estratto può contare su uno strumento più maneggevole e completo: Telescopio Bresser NT-203/1000 EXOS-2/EQ5. Un gradino più in alto rispetto all’entry level, un telescopio versatile e preciso perfetto per le prime vere soddisfazioni.
Al terzo vincitore è andata invece la Fotocamera ZWO CMOS “ASI 183 MC Color” 20 Mpixel Mono/Color*. La scelta di una fotocamera è stata piuttosto combattuta, è impossibile pensare di soddisfare a priori un’esigenza così specifica ma il valore del premio non cambia e siamo certi che il lettore saprà come sfruttarlo al meglio.

Anteprima dei premi del concorso LuckyCoelum

E’ stata una vera emozione per la redazione poter contattare i vincitori ed annunciare non solo l’assegnazione ma anche l’imminente consegna. Dall’altro capo del telefono abbiamo sentito voci incerte e sorprese, oggi che riceviamo fin troppe chiamate da chi vuole venderci qualcosa sembra impossibile rispondere a qualcuno che sta annunciando un regalo. Ammettiamo che in alcuni casi abbiamo dovuto ripetere il messaggio addirittura più volte!
Bene, meglio così, sarà stata una doppia sorpresa alla fine aprire al corriere e il pensiero ci rende felici.
Un concorso a premi non è una novità certo, negli anni se ne sono visti molti, su Coelum e non solo, ma per noi, da poco al timone di questo veliero il risultato ci appare sensazionale. Essere riusciti, a distanza di così poco tempo dal ritorno al cartaceo a condividere il successo con alcuni lettori, è fuori da ogni dubbio principalmente una vittoria e, in un periodo storico in cui la diffidenza sembra regnare, essere riusciti a condividere un momento di felicità con i lettori è per noi il migliore dei premi.
Ci sentiamo anche in dovere di ringraziare le aziende che hanno supportato l’iniziativa, Skypoint Srl e Giordano Innovations Srl. Con la collaborazione si può ancora testimoniare il valore di una comunità.

Lo rifaremo? Lo vogliamo dire, non è stato semplice, la prima edizione è (speriamo) la più difficile, ma si, stiamo già ragionando sulle modalità e su come migliorare, per cui seguiteci e soprattutto ABBONATEVI (o rinnovate)!

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Oggi DONNE fra le STELLE 2024 Abano

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Ė in corso ad Abano la terza edizione di “Donne fra le Stelle”. Dopo l’inugurazione di ieri, venerdì, e i saluti ufficiali si entra nel vivo della manifestazione con ampio spazio alle testimonianze.

Sono intervenute nel pomeriggio di ieri Lucia Votano, dirigente di ricerca affiliata INFN e Bianca Poggianti neo eleyya direttrice dell’osservatorio astronomico di Padova e dirigente di ricerva del progetto GASP.

Per l’ambito “Sostenibilità e Spazio” in collegamento Raffaella Luglini, Chief Sustainability Office Leonardo ed in presenza Annamaria Nassisi, Geofisica, Manager Space Economy Observation and Navigation in Thales Alenia Space e co-leader WIA Europe Rome Chapter.

In conclusione della giornata spazio a WIA-Europe Roma Chapter e Ruolo delle Donne realtà che oggi opera su tutto il territorio nazionale promuovendo la parità di opportunità nelle professionalità STEM. Presentazione a cura di Cristina Valente, Head of Institutional Key Account Management in Telespazio e co-leader WIA Europe Rome Chapter.

La giornata di sabato si è aperta con la presentazione del libro “500 e uno quiz di Astronomia” di Francesco Veltri, astrofilo e divulgatore, con l’intervento di Molisella Lattanzi direttrice di Coelum.

Donne fra le Stelle l’intervento di Francesco Veltri con Molisella Lattanzi

A seguire l’incontro dibattito sul rapporto fra Fede e Scienza moderato da Patrizia Parodi con Antonio Masiero, Docente dell’Università di Padova, e Manuela Riondato Astronoma e Teologa.

Chiude la serie di intervento della mattina l’intervento condiviso che vede protagoniste Monica Lazzarin, Astrofisica e Docente del Dipartimento di Fisica e Astronomia dell’Università di Padova, e Patrizia Caraveo, Dirigente di Ricerca INAF.

 

Dopo il grande successo delle scorse edizioni sarà Abano Terme (PD), cittadina termale del padovano, ad ospitare la terza edizione di “Donne fra le stelle” nelle giornate del 22-23-24 marzo 2024, con un ricco calendario di convegni e iniziative collaterali.

Ad Abano Terme, dal 22 al 24 marzo 2024, si terrà la

DONNE TRA LE STELLE

Ventidue  scienziate e ricercatrici provenienti dai principali istituti e centri di ricerca europei nel campo della fisica, astronomia, astronautica, astrofisica e ingegneria aerospaziale si racconteranno, come donne e come professioniste, attraverso un linguaggio accessibile e coinvolgente, il 22, 23 e 24 marzo prossimo in quel di Abano Terme, cittadina termale della provincia di Padova che si candida a diventare la capitale dell’aerospazio in rosa per la terza edizione di “Donne fra le stelle”

Ad accompagnarle, durante tutta la tre giorni, l’attore e cantante Riccardo Mei, voce narrante di numerosi programmi Rai (Superquark, Kilimangiaro, Voyager, Rai Storia, Freedom oltre il confine…) e di documentari del National Geographic.

“Donne fra le stelle” è un’associazione nata dal desiderio di illustrare le meraviglie del cosmo al grande pubblico attraverso la voce di astronaute, astrofisiche, ingegnere aerospaziali e ricercatrici, per rendere protagoniste le donne sottolineandone l’impegno e i risultati in ambito scientifico, dove è ancora nettamente prevalente la presenza maschile.

L’obiettivo dell’associazione è stimolare i giovani, soprattutto le ragazze, a scegliere le materie STEM nel loro percorso di studi e lo fa organizzando simposi itineranti su tutto il territorio nazionale e con la collaborazione dei più importanti centri di ricerca a livello mondiale (ASI Agenzia Spaziale Italiana, ESA European Space Agency, NASA National Aeronautics Space Administration).

STEM è un acronimo inglese che racchiude gli indirizzi di studio degli ambiti accademici e lavorativi di Science, Technology, Engineering e Mathematics e alcuni dati tratti dagli elaborati dal Consorzio Inte runiversitario Alma Laurea hanno dimostrato che le donne hanno performance più brillanti degli uomini: le donne STEM sono caratterizzate da un voto medio di laurea lievemente più alto (103,6 su 110 contro 101,6 degli uomini) e da una maggiore regolarità negli studi (tra le donne il 46,1% ha concluso gli studi nei tempi previsti contro il 42,7% degli uomini).

Il simposio di quest’anno si svolgerà principalmente presso il prestigioso Teatro Marconi di Abano Terme , mentre saranno tante e coinvolgenti le attività collaterali alla parte più scientifica e divulgativa.

Nella piazza del Sole e della Pace, antistante il Teatro Marconi, chiunque avrà l’opportunità di osservare il cielo notturno e diurno con i telescopi messi a disposizione gratuitamente dal Gruppo Astrofili di Padova, partner dell’evento. Vi saranno anche workshop gratuiti per i bambini con attività laboratoriali di disegni e osservazione al telescopio, fino al rilascio di un attestato di partecipazione con la foto sulla riproduzione dell’Apollo 11.

Nella piazza sarà infatti presente anche l’installazione in riproduzione 1:1 del modulo di allunaggio dell’Apollo 11 realizzato da Y40 The Deep Joy, oltre che un’esposizione di astrofotografie davvero suggestive: nebulose, galassie…tutto quello che serve per trasportare visitatori e passanti “dentro” le meraviglie del cosmo.

Tra gli altri eventi collaterali da segnalare, la sera del 23 marzo ci sarà il concerto di Riccardo Mei che, con la sua voce calda e avvolgente, si esibirà in un meraviglioso viaggio tra i classici del Jazz, accompagnato dalla Young Art Jazz Ensemble (biglietti disponibili su Eventbrite https://www.eventbrite.com/e/biglietti-riccardo-mei-in-concerto-798769760857?aff=ebdsoporgprofile).

Ulteriore novità di questa edizione aponense è anche il prestigioso Premio nazionale per la divulgazione scientifica spaziale dedicato a Rossella Panarese, giornalista di Radio3Tre scienza.

IL Premio è patrocinato da Confindustria Veneto Est ed è aperto alla partecipazione di ricercatori, giornalisti, studiosi, autori, registi, blogger che con il loro impegno e attraverso la loro arte di comunicatori hanno contribuito a divulgare la scienza spaziale e con l’obiettivo di contribuire a declinare la divulgazione scientifica riguardante lo Spazio a più voci rendendola accessibile, fruibile e di interesse comune attribuendo alla cultura scientifica un ruolo centrale nella società. Sei saranno i vincitori finali per le due categorie in concorso, Under 30 e Over 30.

La giuria del Premio è costituita da esponenti del mondo scientifico, accademico, della ricerca, della comunicazione, delle tv, del cinema e della società.

Questi i nomi: Leila Zoia, responsabile comunicazione Dipartimento Astronomia Università di Padova, Antonella Attili, Attrice,  Cristiana Ruggeri, giornalista televisiva Rai TG 2, Giampaolo Colletti, Presidente WebTv Italia, il Sole 24 Ore, Cristina Borile, Imprenditrice e Vice Presidente Confindustria Turismo Veneto, Riccardo Mei, attore e doppiatore programmi televisivi Rai Mediaset, Elena Rigon imprenditrice marchio Eledor, Romina Gobbo, giornalista, Alessandra Turco, autrice.

Inclusività è sicuramente tra le parole d’ordine di questo evento che, per essere accessibile a tutti e a tutte, verrà trasmesso anche in diretta streaming dalla pagina Facebook di Donne fra le stelle ( https://www.facebook.com/donnefralestelle2024) . Un collegamento fruibile da chiunque e fortemente raccomandato soprattutto alle scuole secondarie che potranno così offrire ai propri studenti e alle proprie studentesse l’opportunità di aprire dei dialoghi di valore e, soprattutto, d’ispirazione per le future generazioni.

Donne fra le stelle ha il patrocinio della città di Abano Terme, Comune di Padova, Provincia di Padova, Regione Veneto, Federalberghi Terme Abano Montegrotto, Therme Abano Montegrotto, Confindustria Veneto Est, Parco Regionale dei Colli Euganei, Università degli Studi di Padova, Ascom Confcommercio Padova, Fondazione Marisa Bellisario, Associazione Donne Scienza

Info: https://donnefralestelle.it/

 

 

EINASTO il superammasso grande 360 milioni di anni luce

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Scoperto il SuperAmmasso di galassie più esteso

Il posto della Terra nello spazio è abbastanza familiare poiché orbita attorno a una stella medio piccola. La stella – il nostro Sole – orbita attorno al centro della nostra Galassia, la Via Lattea. Da qui in poi la storia è meno conosciuta. La Via Lattea fa parte di una grande struttura chiamata Superammasso di Laniakea che ha un diametro di 250 milioni di anni luce! Si tratta davvero di un’enorme area di spazio che contiene almeno 100.000 galassie. Ci sono però superammassi più grandi, come il superammasso Einasto appena scoperto che misura l’incredibile larghezza di 360 milioni di anni luce e ospita 26 quadrilioni di stelle (un quadrilione è pari in Italia a un milione di miliardi)!

Le galassie sono raccolte di cose legate insieme dalla forza di gravità. Una tipica galassia è semplicemente un insieme di stelle, nebulose, ammassi, pianeti, comete e così via. I superammassi sono in gran parte la stessa cosa, solo un insieme di galassie legate insieme (non completamente) sotto la forza di gravità.

Le stelle calde brillano intensamente in questa immagine del Galaxy Evolution Explorer della NASA, che mostra il lato ultravioletto della galassia di Andromeda, o M31, la più grande vicina galattica della nostra Via Lattea. L’intera galassia si estende per 260.000 anni luce: una distanza così grande che ci sono voluti 11 diversi segmenti di immagine uniti insieme per produrre questa vista della galassia. Le bande blu-bianche che compongono gli straordinari anelli della galassia sono quartieri che ospitano stelle calde, giovani e massicce. Strisce blu-grigio scure di polvere più fredda si stagliano nettamente contro questi anelli luminosi, tracciando le regioni in cui la formazione stellare sta attualmente avvenendo in densi bozzoli nuvolosi.  

I superammassi come Laniakea ed Einasto (distanti 3 miliardi di anni luce) sono tra le strutture più grandi dell’Universo. La scoperta di questo ultimo superammasso prende il nome dal professor Jaan Einasto, che fu un pioniere nel campo dei superammassi e ha festeggiato il suo 95esimo compleanno il 23 febbraio 2024. 

Modello tridimensionale dell’asteroide (357) Ninina

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Le misurazioni radar sono tra i metodi più precisi per ottenere dati sulla forma degli asteroidi.

Gli astronomi impiegano diverse tecniche (dirette o indirette) per studiare e determinare la forma degli asteroidi, ciascuna di queste presenta vantaggi e svantaggi che le fanno preferire in specifici campi di applicazione. Tra queste tecniche troviamo le misurazioni radar, l’utilizzo di immagini ottenute da sonde spaziali  e l’inversione delle curve di luce. Il 3D Asteroid Catalogue (https://3d-asteroids.space/) riporta i modelli tridimensionali di circa tremila asteroidi, ottenuti con l’utilizzo di queste diverse tecniche.

Le misurazioni radar sono tra i metodi più precisi per ottenere dati sulla forma degli asteroidi. Utilizzando grandi radiotelescopi, gli astronomi emettono onde radio verso un asteroide e poi ne raccolgono l’eco. Questo permette di ottenere modelli della superficie dell’asteroide con grande precisione, rivelando dettagli sulla sua forma, dimensione, periodo di rotazione, e caratteristiche superficiali. Il radar purtroppo è particolarmente utile solo per studiare asteroidi vicini alla Terra (NEA) fornendo dati utili per valutare potenziali minacce di impatto​​.

Le immagini ottenute da sonde spaziali offrono i dettagli più diretti e minuti della forma degli asteroidi. Missioni spaziali dedicate hanno visitato alcuni asteroidi, orbitando attorno a loro o sorvolandoli da vicino, raccogliendo immagini ad alta risoluzione che ne rivelano la geologia, la topografia e la composizione della superficie con modalità altrimenti impensabili con le tecniche osservative da Terra. Queste missioni, sebbene costose e tecnicamente impegnative, forniscono le informazioni più accurate e dettagliate sulla forma e sulle caratteristiche fisiche degli asteroidi​​.

L’inversione delle curve di luce rappresenta un’altra tecnica fondamentale, utilizzata per ricavare la forma tridimensionale, l’orientamento dell’asse di rotazione ed altre proprietà fisiche degli asteroidi, partendo dai dati fotometrici. La curva di luce rappresenta un grafico che mostra le variazioni di luminosità di un asteroide in relazione al tempo, tali variazioni sono principalmente causate dalla rotazione che riflette diverse quantità di luce solare in ragione della diversa area della superficie illuminata.

La curva di luce di un asteroide varia di aspetto anche in ragione delle diverse geometrie con cui viene osservato da Terra. Ad esempio osservando un asteroide in vista equatoriale, le sue variazioni di luminosità sono massime, mentre se lo osserviamo in vista polare, le sue variazioni di luminosità sono minime. Analizzando queste variazioni periodiche, è possibile dedurre le caratteristiche fisiche dell’oggetto, come l’orientamento dell’asse di rotazione e la sua forma. La tecnica dell’inversione delle curve di luce utilizza modelli matematici per simulare un’ampia varietà di forme e orientamenti possibili che potrebbero produrre le variazioni di luminosità osservate. Confrontando i modelli simulati con i dati reali, è possibile determinare quale configurazione corrisponde meglio alle osservazioni.

Il successo di questa tecnica dipende dalla qualità e dalla quantità dei dati fotometrici raccolti, con risultati più accurati ottenuti attraverso l’osservazione dell’asteroide da diverse angolazioni e in diversi momenti. L’inversione delle curve di luce fornisce un modo potente per studiare gli asteroidi, permettendo agli astronomi di esplorare le proprietà fisiche di questi corpi celesti senza la necessità di missioni spaziali dirette. Per contro i modelli ottenuti con questa tecnica non forniscono informazioni sulle eventuali concavità dell’asteroide.

E’ appena stato pubblicato sul Minor Planet Bulletin (51-2) uno studio, di respiro internazionale, che riguarda la modellazione dell’asteroide di fascia principale (357) Ninina, attraverso il processo di inversione delle curve di luce. Lo studio, guidato da Lorenzo Franco, utilizza i dati fotometrici acquisiti nel corso di cinque opposizioni (dal 2007 al 2023), due delle quali vedono il contributo della sezione asteroidi UAI, insieme ad i dati fotometrici provenienti dalla survey USNO Flagstaff.

Anteprima dello studio pubblicato sul Minor Planet Bulletin

Questa ricerca ha permesso di determinare il periodo siderale (rispetto alle stelle fisse) di rotazione dell’asteroide (35.9840 ± 0.0005 ore), due possibili soluzioni per l’orientamento del polo di rotazione rispetto al piano dell’eclittica (λ = 49°, β = 0°) e (λ = 230°, β = 36°) ed infine il modello tridimensionale.

https://mpbulletin.org/issues/MPB_51-2.pdf

Hanno partecipato allo studio Lorenzo Franco Balzaretto Observatory (A81); Frederick Pilcher Organ Mesa Observatory (G50); Julian Oey Blue Mountains Observatory (Q68);  Alessandro Marchini, Riccardo Papini Astronomical Observatory, University of Siena (K54); Giulio Scarfi Iota Scorpii Observatory (K78); Marco Iozzi H.O.B Astronomical Observatory (L63); Nello Ruocco Osservatorio Astronomico Nastro Verde (C82);  Paolo Bacci, Martina Maestripieri GAMP – San Marcello Pistoiese (104); Nico Montigiani, Massimiliano Mannucci Osservatorio Astronomico Margherita Hack (A57). Analisi dei dati e redazione del documento a cura di L. Franco (A81).

Questo studio dimostra quanto sia importante acquisire curve di luce nel corso di molteplici opposizioni, lavoro al quale l’Unione Astrofili Italiani sta fornendo un valido contributo con le sue campagne fotometriche trimestrali, e come l’approccio collaborativo, insieme all’impiego di tecnologie avanzate, continua a svolgere un ruolo cruciale nel progresso della conoscenza e dello studio dell’universo.

 

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 FUTURI N°20 ANNO V

Rivista Italiana di Futures Studies

 

Intro

Di fronte all’escalation bellica in un quadro globale reso critico dagli effetti dell’Antropocene, il termine “policrisi” ha iniziato a imporsi per designare un presente e soprattutto un futuro di crisi sistemiche del sistema internazionale. I multipli scenari di guerra in atto o in potenza politicizzano con altri mezzi – cioè, militari – le numerose linee di frattura dello scenario politico internazionale, polarizzandole in modo radicale e riducendo drammaticamente gli spazi di mediazione. Ma maggiore è la crisi istituzionale internazionale, maggiore è il bisogno di una democratizzazione formale e sostanziale delle istituzioni e degli attori, compresi quelli della società civile internazionale: rimettere al centro questo tema è essenziale per non rassegnarsi a un futuro di militarismo, autoritarismi e nuovi nazionalismi/suprematismi, peraltro potenzialmente o di fatto trasversali ai regimi politici. I Futures Studies possono contribuire a smontare il fatalismo deterministico e mettere al centro, anche e soprattutto per l’ordine politico globale, un’idea di futuro desiderabile verso cui muoversi con rinnovata consapevolezza.

Futuri – La Rivista

“Futuro” è una parola che non passa mai di moda, anzi: usata e abusata in ogni contesto e fuori contesto, dai discorsi politici agli spot pubblicitari, è stata svuotata di ogni significato. “Futuri”, d’altro canto, fa riferimento a un altro contesto: quello associato ai futures studies, lo studio dei futuri possibili, una disciplina nata negli anni Sessanta che si è diffusa in tutto il mondo. “Futuri” è una parola che esemplifica un concetto, quello per cui non esiste un destino manifesto, un futuro oggettivo nel quale vivremo, ma una vastissima gamma di possibilità, di “scenari”. Dopo essere stato invaso e colonizzato da una sola grande narrazione, il futuro va pluralizzato: bisogna liberare i “futuri” potenziali e dormienti. Questa la mission dell’Italian Institute for the Future, nato nel 2013 come think-tank dedicato allo studio dei futuri, che dal 2014 pubblica FUTURI, rivista semestrale attualmente unica nel panorama italiano dedicata ai futures studies.

FUTURI non è un magazine d’informazione sulle ultime novità nell’ambito dell’innovazione, della scienza, dell’economia o della politica. Non tratta degli ultimi prodotti tecnologici né di start-up. Non presenta, soprattutto, una visione acritica del futuro, ma è appunto una rivista di studi critici sui futuri, ossia di analisi. Da un lato per comprendere i megatrend, le tendenze di lungo periodo, i “segnali deboli” nel grande marasma del villaggio globale, e riuscire così a “guardare più lontano”, come recita il sottotitolo. Dall’altro per mettere in discussione il “futuro” come paradigma egemonico e offrire, al suo posto, una serie di scenari alternativi, di nuove visioni di futuri più possibili. Già con il manifesto che inaugurava l’esperienza dell’Italian Institute for the Future partivamo da una domanda: che fine ha fatto il futuro? E non perché non ne sentissimo più parlare, anzi al contrario: perché tutto questo gran parlare di futuro lo ha reso oggi un significante vuoto. Dobbiamo quindi tornare a riempirlo di senso, riconquistando la capacità di aspirare a un domani diverso, più inclusivo, più sostenibile, più ambizioso, dove possano convivere progetti di insediamenti su Marte e nuovi movimenti democratici dal basso, ricerca medica di frontiera e accesso per tutti a Internet come all’acqua potabile, aerei ipersonici e treni più confortevoli per i pendolari. Sono queste le storie che vogliamo raccontare su FUTURI.


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Allarme ghiaccio: Task force Euclid (ma è già tutto previsto)

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Crediti: ESA
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E’ del 19 marzo la notizia del rilevamento di sottili strati di ghiaccio formatosi su uno degli strumenti di Euclid. La Task Force è entrata subito all’azione e gli interventi hanno già dato segni di miglioramento.

La visione di Euclide si annebbia

Alcuni strati di ghiaccio d’acqua – parliamo di uno spessore paragonabile alla larghezza di un filamento di DNA – stanno iniziando a influenzare la visione di Euclide ; un problema comune per i veicoli spaziali nel freddo gelido dello spazio, ma particolarmente invasivo per questa missione tanto sensibile da indagare la natura dell’Universo oscuro. Dopo mesi di ricerca, i team Euclid in tutta Europa entrano in gioco testando una procedura di nuova concezione per sbrinare l’ottica della missione. In caso di successo, come si sta verificando, le operazioni convalideranno il piano delle squadre di missione di mantenere il sistema ottico di Euclid quanto più libero possibile dai ghiacci per il resto della sua vita in orbita.

Negli ultimi mesi, mentre si mettevano a punto e calibravano gli strumenti di Euclid, gli esperti hanno notato una piccola ma progressiva diminuzione della quantità di luce misurata dalle stelle osservate in maniera sistematica dallo strumento visibile (VIS ) .

Si tratta appunto di un problema comune che i veicoli spaziali devono affrontare una volta arrivati ​​nello spazio: l’acqua assorbita dall’aria durante l’assemblaggio sulla Terra viene ora gradualmente rilasciata da alcuni componenti del veicolo spaziale, eliminata dal vuoto dello spazio.

Nel freddo gelido del nuovo ambiente di Euclid però, le molecole d’acqua contenute nell’aria che viene rilasciata tendono ad attaccarsi alla prima superficie su cui atterrano e, e se questa superficie è l’ottica altamente sensibile l’effetto diventa evidente.

“Abbiamo confrontato la luce stellare che entra attraverso lo strumento VIS con la luminosità registrata delle stesse stelle in tempi precedenti, viste sia da Euclid che dalla missione Gaia dell’ESA “, spiega Mischa Schirmer,  esperta della calibrazione per il consorzio Euclid e uno dei principali progettisti di il nuovo piano di de-icing.

“Alcune stelle sembrano variare nella loro luminosità, anche se per la maggior parte è stabile per molti milioni di anni. Quindi, quando i nostri strumenti hanno rilevato un debole e graduale declino dei fotoni in arrivo, è stato facile capire che non erano le stelle, ma noi”.

Ci si è sempre aspettati che l’acqua potesse gradualmente accumularsi e contaminare la visione di Euclide, poiché è molto difficile costruire e lanciare un veicolo spaziale dalla Terra senza che parte dell’acqua presente nell’atmosfera del nostro pianeta vi si insinui.

Per questo motivo, subito dopo il lancio si è svolta una “campagna di degassamento” in cui il telescopio è stato riscaldato da riscaldatori di bordo e anche parzialmente esposto al Sole, sublimando la maggior parte delle molecole d’acqua presenti al momento del lancio sulle superfici di Euclid o molto vicine. Una parte considerevole, tuttavia, è sopravvissuta, essendo stata assorbita nell’isolamento multistrato, e ora viene lentamente rilasciata nel vuoto dello spazio.

Dopo un’enorme quantità di ricerche – compresi studi di laboratorio su come minuscoli strati di ghiaccio sulle superfici degli specchi si diffondono e riflettono la luce – e mesi di calibrazioni nello spazio, il team ha stabilito che diversi strati di molecole d’acqua sono probabilmente congelati sugli specchi nell’ottica di Euclide. Si tratta dicevamo di spessori pari all’equivalente della larghezza di un filamento di DNA e certo si tratta anche di un’ulteriore conferma della sensibilità della missione il fatto stesso che rilevi quantità così piccole di ghiaccio.

Mentre le osservazioni e la scienza di Euclid continuano, i team hanno elaborato un piano per capire dove si trova il ghiaccio nel sistema ottico e mitigarne l’impatto ora e in futuro, nel caso continuasse ad accumularsi.

Il modello strutturale e termico del modulo di carico utile della missione Euclid dell’ESA visto nella camera bianca, con parte degli strumenti VIS (coperto in isolamento multistrato nero, o MLI) e NISP (coperto in MLI dorato) installati. Il materiale di rivestimento il cui peso è stimato in 10 kg circa può assorbire fino a quasi l’1% del proprio peso in acqua.

Nuovo piano per decontaminare Euclid da 1,5 milioni di km di distanza

Per rimuovere lo strato di ghiaccio ’opzione più semplice sarebbe quella di utilizzare la procedura di decontaminazione sviluppata ben prima del lancio e riscaldare quindi l’intero veicolo spaziale aumentando lentamente la temperatura da circa –140°C a, in alcune parti della navicella, sino ad un “mite” –3°C.

Ciò pulirebbe l’ottica ma riscalderebbe anche l’intera struttura meccanica del veicolo spaziale. Poiché la maggior parte dei materiali riscaldandosi si espande per poi non necessariamente tornare esattamente allo stesso stato dopo una settimana di raffreddamento, si potrebbe rischiare una differenza potenzialmente sottile nell’allineamento ottico di Euclid. Previsione inaccettabile per una missione così delicata in cui si possono notare effetti sull’ottica da un cambiamento di temperatura anche solo di una frazione di grado, che richiede almeno diverse settimane di ricalibrazione fine.

“La maggior parte delle altre missioni spaziali non hanno requisiti così esigenti in termini di ‘stabilità termo-ottica’ come quelli di Euclid”, spiega Andreas Rudolph, direttore di volo di Euclid presso il controllo missione dell’ESA.

Per limitare gli sbalzi termici, il team inizierà riscaldando individualmente le parti ottiche a basso rischio del veicolo spaziale, situate in aree in cui è improbabile che l’acqua rilasciata contamini altri strumenti o ottiche. Inizieranno con due specchi di Euclide che potranno essere riscaldati indipendentemente. Se la perdita di luce persisterà essi continueranno a riscaldare altri gruppi di specchi di Euclide, controllando di volta in volta la percentuale di fotoni di ritorno.

Piccole quantità di acqua continueranno a essere rilasciate all’interno di Euclid per tutta la durata della missione, quindi sarà sempre necessaria una soluzione a lungo termine per sbrinare regolarmente le sue ottiche senza impiegare troppo tempo prezioso per la missione: ricordiamo che Euclid ha solo sei anni per completare la sua indagine.

Una volta isolata l’area interessata, la speranza è che in futuro si potrà semplicemente riscaldare questa parte isolata della navicella spaziale secondo necessità. Quindi un lavoro molto complesso e dettagliato ma funzionale per risparmiare tempo prezioso in futuro.

Nonostante quanto sia comune questo problema di contaminazione per i veicoli spaziali che operano in condizioni fredde, sorprendentemente sono poche le ricerche pubblicate su come si forma esattamente il ghiaccio sugli specchi ottici e il suo impatto sulle osservazioni. Euclide non solo potrebbe rivelare la natura della materia oscura, ma potrebbe anche far luce su un problema che affligge da tempo i nostri occhi vagabondi nello spazio, che scrutano la Terra e l’Universo.

Come anticipato il nuovo approccio sta già mostrando ottimi risultati, sarà quindi possibile proseguire con le fasi di messa a punto dello strumento senza particolari interruzioni e perdite di tempo prezioso.

Fonte: ESA

 

Eclissi e Stima del Raggio Solare 8 aprile 2024

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Nel numero 256 di Coelum Astronomia la
squadra composta da Alessandro Pessi, John
Irwin, Luca Quaglia, Lucian Kafka e Konstantinos
Emmanouilidis hanno condiviso con i lettori
i passaggi per la stimare il raggio solare sfruttando
le condizioni favorevoli delle eclissi.
In vista della prossima eclissi dell’8 aprile
2024 il team ci riprova e ci spiega come.

L’8 Aprile 2024 un’eclissi di Sole sarà visibile dall’America del Nord e Centrale, e marginalmente da Hawai’i, Polinesia Francese, Isole Cook, Kiribati, Groenlandia, Islanda, Irlanda e Regno Unito. L’eclissi sarà totale in un corridoio di circa 180 km di larghezza: la banda di totalità attraverserà Messico, gli Stati Uniti e il Canada. L’eclissi sarà parziale al di fuori di questa fascia nei rimanenti luoghi in cui l’eclissi sarà visibile.

Milioni di persone potranno potenzialmente assistere allo spettacolare fenomeno della totalità. Alcune di esse, posizionate esattamente in mezzo alla banda di totalità, vicino alla linea di centralità, potranno ammirare, tempo permettendo, la corona solare per oltre 3 minuti (in Messico e nella maggior parte degli Stati Uniti, per oltre 4 minuti). Altre invece saranno vicine ai limiti della banda di totalità: che esperienza essi avranno? La domanda non è solo accademica, poiché alcune grandi città, in particolare Montréal, saranno bisecate da uno dei due limiti della banda di totalità.

Mappa di Montréal che mostra, in arancione, il limite nord della banda di totalità (il limite “vero”) dell’eclissi dell’8 Aprile 2024, calcolato prendendo in considerazione la topografia del profilo lunare (detto anche bordo o limbo lunare) e assumendo un raggio solare di 959.95”. In blu, il limite nord della banda di totalità (il limite “medio”), calcolato assumendo che la Luna sia una sfera perfetta, senza valli o montagne, e un raggio solare di 959.95”. Questo limite “medio” è quello che si trova su quasi tutte le altre mappe per questa eclissi (Map Data © Google Earth 2024, calcoli di John Irwin).

 

Come la figura 2 mostra, circa 90 km a sud-est di Montreal, vicino alla linea di centralità, la totalità durerà circa 3 minuti e 30 secondi. Allontanandosi dalla linea di centralità, la durata della totalità diminuirà, inizialmente molto gradualmente, ma poi sempre più rapidamente avvicinandosi ai limiti della banda di totalità. A circa 70 km dalla linea di totalità (circa 80% della distanza tra linea di centralità e limite nord), la durata della totalità avrà ancora un rispettabile valore di circa 2 minuti. A circa 80 km dalla linea di totalità (circa 90% della distanza tra linea di centralità e limite nord), la durata della totalità sarà ancora di circa 1 minuto 20 secondi. Da qui al limite nord, la durata della totalità crollerà rapidamente, sino ad azzerarsi esattamente al limite. Questa sembrerebbe una zona da evitare a tutti i costi, ma in realtà ai limiti della banda di totalità i fenomeni transitori dell’eclissi vengono esaltati e interessanti studi scientifici possono essere condotti, tra i quali la misura del raggio solare.

Il grafico mostra la dipendenza della durata della totalità dell’eclissi dell’8 Aprile 2024 in funzione della distanza dalla linea di centralità, a sud-est di Montréal. Distanze positive a nord della linea di centralità, e negative a sud di essa. I valori di durata “vera” della totalità includono gli effetti della topografia del limbo lunare, quelli “medi” assumono che la Luna sia una sfera perfetta (calcoli di John Irwin).

 

I fenomeni transitori sono quelli che si possono vedere, di solito brevemente, attorno ai tempi di secondo e terzo contatto, quando la totalità comincia e finisce. Dovuti alla topografia del limbo lunare, quando l’eclisse è quasi totale, quello che rimane della fotosfera (lo strato superficiale del Sole) si frammenta in brillanti grani di Baily, come mostrato in figura 3. Giusto prima del secondo contatto e giusto dopo il terzo contatto, i grani di Baily generano lo spettacolare effetto dell’anello di diamante. La cromosfera, il colorato strato sottile giusto sopra la fotosfera, diventa brevemente visibile. Le ombre volanti, elusive e affascinanti bande di luce e ombra che si muovono rapidamente sulla superficie del paesaggio, nelle opportune condizioni, possono apparire in modo spettacolare. Questi fenomeni sono estremamente brevi in quasi tutta la banda di totalità, ma sono estesi, esaltati e prolungati nelle vicinanze dei limiti della banda di totalità [1].

Sequenza di grani di Baily visibili nei secondi precedenti il secondo contatto (C2) dell’eclisse anulare-totale del 20 Aprile 2023 in Australia. Queste immagini sono estratte da un video ad alta risoluzione registrato nelle vicinanze della linea di centralità. (credito per le immagini: Jörg Schoppmeyer).

La drastica riduzione della durata della totalità caratteristica dell’osservare l’eclisse dal limite non sembrerebbe essere controbilanciata dall’estensione e dalla intensificazione dei fenomeni transitori. In realtà, come vedremo, la corona solare rimane visibile significativamente più a lungo di quello che la semplice durata di totalità sembrerebbe indicare.

 

  1. Considerazioni sul calcolo dei limiti della banda di totalità

    [..]

  2. Stimare il raggio solare osservando dal limite della banda di totalità

    [..]

  3. Stima del raggio solare durante l’eclissi totale del 2017

    [..]

  4. Stima del raggio solare durante l’eclissi anulare-totale del 2023

    [..]

  5. Stima del raggio solare durante l’eclissi totale del 2024

    [..]

L’articolo completo è su COELUM ASTRONOMIA N°267 prenotalo finché disponibile.

 

 

SCOPRI LA SECONDA APOC DEL 2024!

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QUALE IMMAGINE SARA’ STATA SCELTA COME APOC PER IL NUMERO 267 DI COELUM?

A partire dal numero 266, Coelum sceglie gli scatti più caratteristici
ed interessanti tra tutti quelli caricati in PHOTOCOELUM.
6 le immagini che NEL 2024 riceveranno il riconoscimento
“apoc – Astronomy picture of coelum “.
una potrebbe essere PROPRIO LA tua, carica i tuoi lavori in photocoelum.

 

Scopri l’APOC n°2 in Coelum Astronomia 267 II 2024

La APOC n°1 è stata assegnata a Lorenzo Busilacchi per la Arp 273 Rosa Cosmica

Raggio Laser nello Spazio fino a 16 milioni di km

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Ricevuto un messaggio (da 16 milioni di chilometri) trasmesso da un raggio laser nello spazio ed il SETI sorride.

La NASA ha inviato e ricevuto con successo un messaggio trasmesso con un raggio laser dallo spazio profondo (da 16 milioni di chilometri) : un passo enorme verso il futuro delle comunicazioni spaziali.  Si tratta di circa 40 volte più lontano della Luna dalla Terra.

A cosa è servito il test

Tradizionalmente, utilizziamo le onde radio per comunicare con veicoli spaziali distanti , anche se frequenze di luce più elevate, come il vicino infrarosso, offrono un aumento della larghezza di banda e quindi un enorme aumento della velocità dei dati. Il test del laser fa parte dell’esperimento Deep Space Optical Communications (DSOC) della NASA e il successo del collegamento di comunicazione è noto come “prima luce”. Se consideriamo la luce infrarossa, è possibile facilmente tramutare le sue onde in forma laser. Ciò non farà muovere la luce più velocemente, ma riordina e vincola il suo raggio a un canale stretto. Ciò richiede molta meno energia di una dispersione di onde radio ed è più difficile da intercettare.

Lo strumento LaserSETI

L’utilizzo della tecnologia laser è da poco tempo balzata anche agli onori delle cronache SETI.

Un nuovo strumento di indagine chiamato appunto LaserSETI e sviluppato da Eliot Gillum del SETI Institute da un nuovo alla ricerca SETI affiancando la radiostronomia.

(https://www.youtube.com/watch?v=Ch3FENZKt0s)

LaserSETI è uno strumento particolarmente sensibile agli impulsi singoli di millisecondi che potrebbero essere stati trascurati in precedenti rilevamenti astronomici con tecniche simili. Sfruttando la monocromaticità  come una caratteristica intrinseca dei laser, è possibile per questo tipo di analisi utilizzare sensori a stato solido e lenti bidimensionali. Tali sensori sono di facile reperibilità infatti disponibili commercialmente come sensori per telecamere video. Su questa Il dispositivo di Gillum utilizza tali telecamere con una lente commerciale ad apertura grandangolare  per la copertura di 75 gradi di cielo. Dietro la lente c’è una griglia che trasforma qualsiasi sorgente luminosa nel campo visivo della telecamera in uno spettro simile a un arcobaleno doppio. Mentre le stelle produrranno uno spettro completo dal blu al rosso, un laser si presenterà solo alla sua lunghezza d’onda caratteristica. Il dispositivo LaserSETI dispone di due telecamere identiche, ruotate di 90 gradi l’una rispetto all’altra lungo l’asse di visualizzazione, che permette la risposta dell’arcobaleno doppio ed  aiuta ad eliminare falsi allarmi dovuti ai raggi cosmici ed altre possibili inteferenze. Attualmente sono due gli strumenti installati presso il Haleakala Observatory alle Hawaii, ma il progetto prevede l’installazione di almeno 11 o 12 strumenti in location strategiche nel mondo.

L’Italia, già partner attivo dell’Università di Berkeley con il radiotelescopio da 65 metri dell’osservatorio di Cagliari, potrebbe diventare partner anche del progetto LaserSETI, dato che INAF può  offrire una delle più ambite location per le osservazioni astronomiche. Le osservazioni laser sono del tipo notturno, quindi l’importanza di un cielo pulito e notti prive di intemperie sono condizioni fondamentali per la buona riuscita della ricerca. L’Italia dispone di due siti interessanti alle isole Canarie. Il primo sull’isola di La Palma ospita il telescopio Galileo ( https://www.youtube.com/watch?v=c-z-R6ZC1Tk) , il secondo nell’isola di Tenerife ospita le postazioni dei nuovi telelescopi Cherenkov appartenenti al network di CTA.  Le isole Canarie hanno un cielo estremamente sereno con non più di 20 giorni all’anno di pioggia, un paradiso per gli astronomi.

Completato il programma per DONNE fra le STELLE 2024

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Dopo il grande successo delle scorse edizioni sarà Abano Terme (PD), cittadina termale del padovano, ad ospitare la terza edizione di “Donne fra le stelle” nelle giornate del 22-23-24 marzo 2024, con un ricco calendario di convegni e iniziative collaterali.

Anche Francesco Veltri e Molisella Lattanzi (rispettivamente autore e direttrice di COELUM) fra i relatori.

Ad Abano Terme, dal 22 al 24 marzo 2024, si terrà la

DONNE TRA LE STELLE

Ventidue  scienziate e ricercatrici provenienti dai principali istituti e centri di ricerca europei nel campo della fisica, astronomia, astronautica, astrofisica e ingegneria aerospaziale si racconteranno, come donne e come professioniste, attraverso un linguaggio accessibile e coinvolgente, il 22, 23 e 24 marzo prossimo in quel di Abano Terme, cittadina termale della provincia di Padova che si candida a diventare la capitale dell’aerospazio in rosa per la terza edizione di “Donne fra le stelle”

Ad accompagnarle, durante tutta la tre giorni, l’attore e cantante Riccardo Mei, voce narrante di numerosi programmi Rai (Superquark, Kilimangiaro, Voyager, Rai Storia, Freedom oltre il confine…) e di documentari del National Geographic.

“Donne fra le stelle” è un’associazione nata dal desiderio di illustrare le meraviglie del cosmo al grande pubblico attraverso la voce di astronaute, astrofisiche, ingegnere aerospaziali e ricercatrici, per rendere protagoniste le donne sottolineandone l’impegno e i risultati in ambito scientifico, dove è ancora nettamente prevalente la presenza maschile.

L’obiettivo dell’associazione è stimolare i giovani, soprattutto le ragazze, a scegliere le materie STEM nel loro percorso di studi e lo fa organizzando simposi itineranti su tutto il territorio nazionale e con la collaborazione dei più importanti centri di ricerca a livello mondiale (ASI Agenzia Spaziale Italiana, ESA European Space Agency, NASA National Aeronautics Space Administration).

STEM è un acronimo inglese che racchiude gli indirizzi di studio degli ambiti accademici e lavorativi di Science, Technology, Engineering e Mathematics e alcuni dati tratti dagli elaborati dal Consorzio Inte runiversitario Alma Laurea hanno dimostrato che le donne hanno performance più brillanti degli uomini: le donne STEM sono caratterizzate da un voto medio di laurea lievemente più alto (103,6 su 110 contro 101,6 degli uomini) e da una maggiore regolarità negli studi (tra le donne il 46,1% ha concluso gli studi nei tempi previsti contro il 42,7% degli uomini).

Il simposio di quest’anno si svolgerà principalmente presso il prestigioso Teatro Marconi di Abano Terme , mentre saranno tante e coinvolgenti le attività collaterali alla parte più scientifica e divulgativa.

Nella piazza del Sole e della Pace, antistante il Teatro Marconi, chiunque avrà l’opportunità di osservare il cielo notturno e diurno con i telescopi messi a disposizione gratuitamente dal Gruppo Astrofili di Padova, partner dell’evento. Vi saranno anche workshop gratuiti per i bambini con attività laboratoriali di disegni e osservazione al telescopio, fino al rilascio di un attestato di partecipazione con la foto sulla riproduzione dell’Apollo 11.

Nella piazza sarà infatti presente anche l’installazione in riproduzione 1:1 del modulo di allunaggio dell’Apollo 11 realizzato da Y40 The Deep Joy, oltre che un’esposizione di astrofotografie davvero suggestive: nebulose, galassie…tutto quello che serve per trasportare visitatori e passanti “dentro” le meraviglie del cosmo.

Tra gli altri eventi collaterali da segnalare, la sera del 23 marzo ci sarà il concerto di Riccardo Mei che, con la sua voce calda e avvolgente, si esibirà in un meraviglioso viaggio tra i classici del Jazz, accompagnato dalla Young Art Jazz Ensemble (biglietti disponibili su Eventbrite https://www.eventbrite.com/e/biglietti-riccardo-mei-in-concerto-798769760857?aff=ebdsoporgprofile).

Ulteriore novità di questa edizione aponense è anche il prestigioso Premio nazionale per la divulgazione scientifica spaziale dedicato a Rossella Panarese, giornalista di Radio3Tre scienza.

IL Premio è patrocinato da Confindustria Veneto Est ed è aperto alla partecipazione di ricercatori, giornalisti, studiosi, autori, registi, blogger che con il loro impegno e attraverso la loro arte di comunicatori hanno contribuito a divulgare la scienza spaziale e con l’obiettivo di contribuire a declinare la divulgazione scientifica riguardante lo Spazio a più voci rendendola accessibile, fruibile e di interesse comune attribuendo alla cultura scientifica un ruolo centrale nella società. Sei saranno i vincitori finali per le due categorie in concorso, Under 30 e Over 30.

La giuria del Premio è costituita da esponenti del mondo scientifico, accademico, della ricerca, della comunicazione, delle tv, del cinema e della società.

Questi i nomi: Leila Zoia, responsabile comunicazione Dipartimento Astronomia Università di Padova, Antonella Attili, Attrice,  Cristiana Ruggeri, giornalista televisiva Rai TG 2, Giampaolo Colletti, Presidente WebTv Italia, il Sole 24 Ore, Cristina Borile, Imprenditrice e Vice Presidente Confindustria Turismo Veneto, Riccardo Mei, attore e doppiatore programmi televisivi Rai Mediaset, Elena Rigon imprenditrice marchio Eledor, Romina Gobbo, giornalista, Alessandra Turco, autrice.

Inclusività è sicuramente tra le parole d’ordine di questo evento che, per essere accessibile a tutti e a tutte, verrà trasmesso anche in diretta streaming dalla pagina Facebook di Donne fra le stelle ( https://www.facebook.com/donnefralestelle2024) . Un collegamento fruibile da chiunque e fortemente raccomandato soprattutto alle scuole secondarie che potranno così offrire ai propri studenti e alle proprie studentesse l’opportunità di aprire dei dialoghi di valore e, soprattutto, d’ispirazione per le future generazioni.

Donne fra le stelle ha il patrocinio della città di Abano Terme, Comune di Padova, Provincia di Padova, Regione Veneto, Federalberghi Terme Abano Montegrotto, Therme Abano Montegrotto, Confindustria Veneto Est, Parco Regionale dei Colli Euganei, Università degli Studi di Padova, Ascom Confcommercio Padova, Fondazione Marisa Bellisario, Associazione Donne Scienza

Info: https://donnefralestelle.it/

L’evento ospiterà anche la presentazione del libro “”500 e uno quiz di astronomia per imparare e divertirsi” di Francesco Veltri (autore di Coelum). L’appuntamento è per il sabato 10 ore 10:00 presso il Teatro Marconi Abano Terme. Interverranno Luigi Bignami e Molisella Lattanzi (direttrice di Coelum Astronomia)

 

 

Nuova teoria post-quantistica della gravità rigetta l’esistenza della materia oscura

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È stata annunciata la nascita di una nuova teoria post-quantistica della gravità, che tratta quest’ultima in modo classico preservando però gli effetti quantistici (come i pattern a cerchi concentrici generati dal fenomeno dell’interferenza in alcuni esperimenti). Crediti: Isaac Young.
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Da anni gli scienziati cercano di conciliare la relatività generale di Einstein e la meccanica quantistica in una teoria unificata, la gravità quantistica, nella speranza di individuare un unico formalismo matematico capace di spiegare i fenomeni fisici sia su larga che su piccola scala. L’insuccesso degli innumerevoli tentativi finora effettuati ha indotto il fisico inglese Jonathan Oppenheim a domandarsi se quantizzare la gravità sia realmente la mossa giusta: perché, al contrario, non concentrarsi soltanto sulla gravità, modificando la relatività generale? Da qui la proposta di una nuova teoria post-quantistica della gravità, che sembra escludere l’esistenza della materia oscura.

Le due teorie pilastro della fisica moderna sono la relatività generale di Einstein, che delinea la geometria dello spazio-tempo impressa dalla gravità, e la meccanica quantistica, che invece si occupa della fenomenologia relativa alla materia e alla radiazione a scale atomiche e subatomiche. Poiché le equazioni di Einstein mettono in relazione lo spazio-tempo dominato dalla gravità con la materia, presente sotto forma di masse che ne deformano la struttura, notevole sforzo è stato messo nel cercare di combinare questi due aspetti in un’unica trattazione matematica: nasce così l’ipotesi della gravità quantistica. 

Equazioni di Einstein per la gravità quantistica. Il termine di sinistra rappresenta la gravità (tensore di Einstein), mentre quello di destra la materia (tensore energia impulso). In particolare, i simboli delle parentesi (brackets) e del cappelletto in cima al tensore energia impulso indicano che esso viene trattato come un operatore quantistico. Crediti: Oppenheim.

In un recente studio su tale tematica il ricercatore inglese Jonathan Oppenheim si è chiesto se sia però davvero indispensabile quantizzare la gravità per ottenere un quadro fisico unitario. A tal  proposito, nella sua teoria post-quantistica della gravità Oppenheim sembra propendere per una risposta negativa. Egli sostiene infatti che lo spazio-tempo possa essere inteso come un fluido continuo dal punto di vista non solo macroscopico, ma anche microscopico: esso dovrebbe dunque essere modellizzato interamente nel modo classico, ovvero come prescritto dalla relatività generale, mentre il formalismo quantistico verrebbe riservato esclusivamente alla materia. Tuttavia, eliminare la discretizzazione (i.e., quantizzazione) dello spazio-tempo alle piccole dimensioni implica ammettere che esso, al pari della metrica che lo descrive, sia soggetto a fluttuazioni stocastiche (i.e., casuali), che lo renderebbero “traballante” anziché liscio. Ma, soprattutto, questo comportamento stocastico sarebbe responsabile di una modifica della stessa relatività generale a bassi valori di accelerazione gravitazionale, ossia nel cosiddetto “regime diffusivo”, perché qui le fluttuazioni stocastiche risulterebbero non trascurabili. Invero, esse avrebbero l’effetto di una forza entropica: stimolando il moto browniano (i.e., il moto casuale delle particelle del fluido cosmico), esse fornirebbero cioè alle stelle con minore velocità una quantità di energia aggiuntiva, accelerandole. Dal momento che tali stelle sono situate nelle zone più esterne delle galassie, dove appunto vale il regime diffusivo per via della più bassa gravità, esse andrebbero a giustificare il tratto piatto delle curve di rotazione, che ci aspetterebbe fosse anzi kepleriano (i.e., declinante) proprio per il rallentamento del moto stellare a grandi raggi. Ergo, le fluttuazioni stocastiche sostituirebbero l’attrazione gravitazionale esercitata dagli aloni di materia oscura che circondano le galassie sulle stelle ai loro margini: in altre parole, in questo scenario l’esistenza della materia oscura non sarebbe più necessaria.

Curva di rotazione di una galassia, che mostra l’andamento della velocità delle stelle in funzione del raggio, ovvero della distanza dal centro galattico. La linea rossa indica la predizione teorica (tratto kepleriano a grandi raggi), mentre quella verde ciò che viene osservato (tratto piatto a grandi raggi). Crediti: R. Pogge.

D’altronde, nota Oppenheim, la sua non è la prima teoria alternativa della gravità a giungere a tale conclusione: per esempio, già nel 1983 la teoria della gravità modificata di Milgrom (i.e.,  MOND,  Modified Newtonian Dynamics), era riuscita a spiegare l’appiattimento delle curve di rotazione delle galassie attraverso una revisione del valore della gravità alle basse accelerazioni, senza pertanto chiamare in causa la materia oscura. Il rinnovato interesse nei confronti della MOND a seguito dei risultati emersi nelle ultime simulazioni dinamiche di ammassi di galassie e supportati da evidenze osservative costituisce un punto di forza del ragionamento di Oppenheim. Ciononostante, la neonata teoria gravitazionale post-quantistica dello scienziato è ancora giudicata piuttosto controversa a causa dell’attuale mancanza di test: la formulazione matematica, per quanto rigorosa e dettagliata, certo non basta a dissolvere lo scetticismo del mondo astrofisico. Ciò è tanto più vero se si considera che numerose e svariate sono ad oggi le prove a favore della materia oscura, prima fra tutte la formazione delle strutture nell’Universo primordiale. Ma, come scrive Oppenheim, “la gravità è famosa per essere truffatrice”: meglio  insomma non lasciarsi ingannare, scartando a priori delle congetture che potrebbero infine non rivelarsi poi così improbabili. Ad ogni modo, il fisico inglese assicura che, prima di compiere affermazioni azzardate, saranno realizzate simulazioni numeriche e posti vincoli basati sui dati osservativi. Tutto fa quindi pensare che ne sapremo presto di più.

Fonte: arXiv.

L’asteoride (6086) Vrchlicky è binario: uno straordinario successo per gli astrofili italiani

Rappresentazioine artistica dell'asteroide
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(6086) Vrchlicky è binario è arrivata la conferma dopo il lavoro di analisi e studio svolto dalla sezione asteroidi UAI e i numerosi osservatori affiliatiuno straordinario successo per gli astrofili italiani

Gli asteroidi binari rappresentano un’ affascinante classe di corpi celesti. Costituiti da due corpi che orbitano attorno ad un comune centro di massa, questi sistemi offrono una finestra unica sulla natura e sulla formazione stessa degli asteroidi, nonché sui processi dinamici che plasmano il nostro sistema solare. La scoperta di asteroidi binari è una pagina relativamente recente nella storia dell’astronomia rispetto alla lunga tradizione di osservazione degli asteroidi singoli, ma rappresenta un campo di studio di grande importanza per approfondire le nostre conoscenze sulle forze gravitazionali in gioco, sull’evoluzione del sistema solare e sui processi collisionali che hanno contribuito a modellare l’ambiente spaziale attorno a noi.

Nel panorama dell’astronomia moderna, la scoperta di questi fenomeni accende l’immaginazione di scienziati e appassionati allo stesso modo. La recentissima scoperta della natura binaria dell’asteroide (6086) Vrchlicky, come riportato nel Circular del Central Bureau for Astronomical Telegrams (CBET 5366), è una di queste ed ha segnato un significativo successo per la sezione di ricerca asteroidi dell’Unione Astrofili Italiani (UAI).

L’asteroide 6086 Vrchlicky era stato identificato come uno dei target fotometrici principali per la sezione di ricerca e già le prime osservazioni avevano rivelato piccole attenuazioni nella sua luminosità. Queste variazioni hanno subito acceso il sospetto che potessero essere il risultato di eventi di eclisse o occultazione causati da un satellite naturale, ipotesi che ovviamente richiedeva ulteriori osservazioni per essere confermata. A causa delle condizioni meteorologiche avverse e per scongiurare il rischio di perdere la conferma di questa scoperta è quindi stata richiesta la collaborazione del gruppo BinAst, coordinato dall’astronomo P. Pravec. Questo sforzo congiunto ha portato a osservazioni decisive nel mese di dicembre, che hanno confermato, senza ombra di dubbio, la natura binaria dell’asteroide (6086) Vrchlicky.

I dati raccolti hanno rivelato che il periodo di rotazione del corpo principale dell’asteroide è di 2.7674 ± 0.0001 ore, mentre il periodo orbitale del suo satellite è di 22.61 ± 0.01 ore. Gli eventi di eclisse e occultazione rilevati hanno mostrato una variazione di luminosità di 0.05 e 0.08 magnitudini, permettendo di stimare il rapporto inferiore dei diametri tra il satellite e l’asteroide principale pari a 0.22. Questo significa che, mentre il corpo principale dell’asteroide ha un diametro approssimativo di 10 km, il satellite misura poco più di 2 km.

Questo prestigioso risultato è stato possibile anche grazie al prezioso contributo di numerosi osservatori affiliati alla sezione asteroidi UAI tra i quali L. Buzzi e M. Calabrò (Schiaparelli Observatory), G. Galli (GiaGa Observatory), P. Bacci e M. Maestripieri (San Marcello Pistoiese Observatory), N. Montigiani e M. Mannucci (Osservatorio Astronomico Margherita Hack), A. Marchini e R. Papini (Siena University Astronomical Observatory), N. Ruocco (Osservatorio Astronomico Nastro Verde), M. Tombelli, M. Iozzi e M. Lombardo (Beppe Forti Astronomical Observatory),  G. Scarfi (Iota Scorpii Observatory), G. Baj (M57 Observatory), con una menzione speciale per il coordinamento e l’analisi dei dati condotti da L. Franco (Osservatorio Balzaretto) e P. Pravec (Osservatorio di Ondrejov).

La scoperta della natura binaria dell’asteroide (6086) Vrchlicky rappresenta un bellissimo esempio di come la collaborazione e la condivisione delle competenze possano portare a risultati straordinari in campo astronomico. Questo successo non solo aggiunge una nuova pagina alla nostra comprensione degli asteroidi e dei sistemi binari asteroidali, ma sottolinea anche l’importanza della collaborazione internazionale nella ricerca astronomica.

Il telegramma astronomico completo può essere letto qui: http://www.cbat.eps.harvard.edu/iau/cbet/005300/CBET005366.txt

 


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Webb scruta i viticci di NGC 604

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Immagine della NIRCam (Near-Infrared Camera) del James Webb Space Telescope della NASA/ESA/CSA della regione di formazione stellare NGC 604 che mostra come i venti stellari provenienti da giovani stelle calde e luminose scavano cavità nel gas e nella polvere circostanti. NASA, ESA, CSA, STScI
Tempo di lettura: 3 minuti

NGC 604 ripresa dalle due camere JWST: Miri e NIRCam

Due nuove immagini ottenute dalla NIRCam (Near-Infrared Camera) e dal MIRI (Mid-Infrared Instrument) del James Webb Space Telescope della NASA/ESA/CSA mostrano la regione di formazione stellare NGC 604, situata nella Galassia del Triangolo (M33), 2,73 milioni di luci -anni di distanza dalla Terra. In queste immagini, bolle cavernose e filamenti di gas estesi disegnano un arazzo di nascita stellare.

Al riparo tra gli involucri polverosi di gas di NGC 604 ci sono più di 200 tra i tipi di stelle più caldi e massicci, tutti nelle prime fasi della loro vita. Questi tipi di stelle sono conosciuti come tipi B e tipi O, le ultime delle quali possono avere più di 100 volte la massa del nostro Sole. È abbastanza raro trovarne una tale concentrazione nell’Universo vicino. In effetti, non esiste una regione simile all’interno della nostra galassia, la Via Lattea.

Questa concentrazione di stelle massicce, combinata con la sua distanza relativamente ravvicinata, fa sì che NGC 604 offra agli astronomi l’opportunità di studiare questi oggetti in un momento affascinante, all’inizio della loro vita.

Nell’immagine NIRCam nel vicino infrarosso di Webb, le caratteristiche più evidenti sono viticci e grumi di emissione che appaiono di colore rosso vivo, che si estendono da aree che sembrano radure o grandi bolle nella nebulosa. I venti stellari provenienti dalle giovani stelle più luminose e calde hanno scavato queste cavità, mentre la radiazione ultravioletta ionizza il gas circostante. L’idrogeno ionizzato appare come un bagliore spettrale bianco e blu.

Le strisce arancioni brillanti nell’immagine nel vicino infrarosso di Webb indicano la presenza di molecole a base di carbonio note come idrocarburi policiclici aromatici o IPA. Questo materiale svolge un ruolo importante nel mezzo interstellare e nella formazione di stelle e pianeti, ma la sua origine è un mistero. Man mano che ci si allontana dalle immediate schiarite di polvere, il rosso più profondo indica l’idrogeno molecolare. Questo gas più freddo è un ambiente privilegiato per la formazione stellare.

La straordinaria risoluzione di Webb fornisce anche approfondimenti su funzionalità che in precedenza apparivano non correlate al cloud principale. Ad esempio, nell’immagine di Webb, ci sono due stelle giovani e luminose che scavano buchi nella polvere sopra la nebulosa centrale, collegate attraverso il gas rosso diffuso. Nelle immagini in luce visibile del telescopio spaziale Hubble della NASA/ESA , queste apparivano come macchie separate.

Immagine del MIRI (strumento per il medio infrarosso) del James Webb Space Telescope della NASA/ESA/CSA della regione di formazione stellare NGC 604 mostra come grandi nubi di gas e polvere più freddi brillano alle lunghezze d’onda del medio infrarosso. Questa regione è un focolaio di formazione stellare e ospita più di 200 tra le stelle più calde e massicce, tutte nelle prime fasi della loro vita.
Al centro dell’immagine c’è una nebulosa sullo sfondo nero dello spazio. La nebulosa è composta da sottili filamenti di nubi azzurre. Al centro-destra delle nuvole blu c’è una grande bolla cavernosa. Il bordo inferiore sinistro di questa bolla cavernosa è pieno di sfumature di gas rosa e bianco. Centinaia di stelle fioche riempiono l’area circostante la nebulosa.
Credito:
NASA, ESA, CSA, STScI

La visione di Webb sulle lunghezze d’onda del medio infrarosso illustra anche una nuova prospettiva sull’attività diversificata e dinamica di questa regione. Nella vista MIRI di NGC 604, ci sono notevolmente meno stelle. Questo perché le stelle calde emettono molta meno luce a queste lunghezze d’onda, mentre le nubi più grandi di gas e polvere più freddi brillano. Alcune delle stelle viste in questa immagine dalla galassia circostante sono supergiganti rosse: stelle fredde ma molto grandi, centinaia di volte il diametro del nostro Sole. Inoltre, anche alcune delle galassie di sfondo apparse nell’immagine NIRCam svaniscono. Nell’immagine MIRI, i viticci blu del materiale indicano la presenza di IPA (idrocarburi policiclici aromatici).

Si stima che NGC 604 abbia circa 3,5 milioni di anni. La nube di gas incandescenti si estende per circa 1300 anni luce.

Webb è una partnership internazionale tra NASA, ESA e l’Agenzia spaziale canadese (CSA).

Antenne astrometriche per onde gravitazionali

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Mariateresa Crosta, ricercatrice all’Osservatorio astrofisico dell’Inaf di Torino e prima autrice dello studio sulle antenne astrometriche per onde gravitazionali pubblicato su Scientific Reports. Crediti: Federica Santucci/Inaf Torino
Tempo di lettura: 3 minuti

UN’INTUIZIONE NATA ALL’INAF E DERIVATA DAI MODELLI DI RELATIVITÀ GENERALE

Un nuovo principio di rilevazione delle onde gravitazionali, basato sulla misura delle variazioni da esse indotte sulle distanze angolari fra le stelle, promette di fornire un approccio complementare a quello degli interferometri lineari. Ne parliamo con Mariateresa Crosta dell’Istituto nazionale di astrofisica, prima autrice dell’articolo che descrive l’idea, pubblicato la settimana scorsa su Scientific Reports

La recente conferma sperimentale delle onde gravitazionali con le grandi antenne lineari Ligo e Virgo ha dato grande impulso alla ricerca e caratterizzazione fisica di candidate sorgenti di onde gravitazionali, aggiungendo un tassello fondamentale all’astrofisica multi-messaggera. Nuovi esperimenti da Terra sono in procinto di unirsi agli sforzi di rivelazione e la missione Lisa implementerà modalità simili ma specializzate per lo spazio. L’obiettivo primario di tali imprese – e di quelle a venire, come l’Einstein Telescope – è la completa caratterizzazione delle onde gravitazionali, ovvero la determinazione in ampiezza e frequenza della deformazione spazio-temporale associata, insieme all’individuazione della direzione delle possibili sorgenti, al fine di scoprire la natura fisica delle stesse attraverso campagne osservative multi-lunghezza d’onda e multi-messaggere, nonché l’astrofisica di oggetti compatti e il loro ruolo nella cosmologia.

Un nuovo approccio sperimentale, illustrato in un articolo a guida Inaf pubblicato la settimana scorsa su Scientific Reports, promette ora una rivoluzione nel settore: usare le stelle – e in particolare le variazioni della loro distanza angolare indotte dalla perturbazione dello spaziotempo – come rivelatori di onde gravitazionali. Alternativo alle altre tecniche, unito all’utilizzo di configurazioni ottiche a più linee di vista “convogliate” su un piano focale comune, il rilevamento astrometrico di onde gravitazionali consentirebbe di misurare contemporaneamente all’ampiezza, e con un’accuratezza senza precedenti, anche la direzione di arrivo dei segnali gravitazionali: un’informazione, quest’ultima,  fondamentale per le campagne di caratterizzazione fisica multi-frequenza e multi-messaggera. E rappresenterebbe uno strumento ad altissima efficienza: consentirebbe non solo una verifica indipendente e complementare delle altre tecniche, ma anche di rilevare onde gravitazionali a frequenze per le quali non sono attualmente previsti altri rivelatori.

«L’idea nasce da un’intuizione derivata dai modelli di relatività generale per le misure astrometriche al micro-arcosecondo del satellite Gaia», spiega la prima autrice dello studio, Mariateresa Crosta dell’Inaf di Torino. «La sua originalità sta nella sua impostazione tutta differenziale. L’antenna astrometrica da noi proposta utilizza direttamente l’angolo tra una coppia stretta (anche solo prospettica) di due sorgenti puntiformi otticamente risolte. Infatti, come formalizzato nel lavoro pubblicato, la perturbazione angolare indotta da un’onda gravitazionale risulta direttamente proporzionale alla distorsione spaziotemporale a essa associata e inversamente proporzionale all’angolo (risolto) tra la coppia di stelle, pertanto amplificata dalla risoluzione del telescopio, aumentando la quale si risolvono separazioni sempre più strette. In perfetta analogia “duale” con le antenne  lineari, l’angolo della coppia di stelle materializza un braccio angolare: così come aumentando la lunghezza ‘L’ del braccio di un’antenna lineare l’effetto della perturbazione diventa più facile da misurare, è risolvendo angoli sempre più piccoli che possiamo aumentare la misurabilità dell’effetto dell’onda gravitazionale indotto su un braccio (angolare)».

Facendo ricorso a sorgenti in cielo, il principio ricorda per alcuni aspetti quello alla base del Pulsar Timing Array (Pta), grazie al quale è stato possibile rivelare per la prima volta un brusio di fondo dovuto a onde gravitazionali a bassissima frequenza. Mentre il Pulsar Timing Array misura i residui degli intervalli di tempo di arrivo del segnale nella rete di pulsar riconducibili a variazioni dello spazio-tempo indotte da un’onda gravitazionale, l’antenna astrometrica misura, in pratica, la parte spaziale del segnale. Il vantaggio della formulazione differenziale, ovvero in termini di angoli tra le sorgenti in cielo, consente di riscrivere una funzione di correlazione, di costruire una “rete” tra i vari punti del cielo, in tutto simile a quella del Pulsar Timing Array. «Difatti stiamo approntando una versione digitale di questo nostro nuovo principio di osservazione astrometrico per le onde gravitazionali in modo da sfruttare le misure astrometriche di Gaia, accumulate in dieci anni e più di osservazioni, per confrontarci, e complementarci, proprio con il Pta e vedere coincidenze per onde gravitazionali con periodi di anni», dice Crosta.

Insomma, l’idea – sostengono gli autori dello studio – promette di essere un punto di svolta nella scienza delle onde gravitazionali, che è appena agli inizi e resterà alla frontiera della ricerca scientifica per molti decenni. Certo, oggigiorno non esiste un telescopio capace di misurare variazioni angolari originate da onde gravitazionali prodotte da oggetti compatti in fase di coalescenza alle distanze extragalattiche. «Tuttavia», osserva Crosta, «una prima simulazione nel caso di buchi neri stellari massicci binari (per esempio, tra 20 e 80 masse solari) in pre-coalescenza che emettono segnali (quasi) periodici con frequenze dai centesimi ai decimi di Hz, ovvero con periodi dai 100 ai 10 secondi, indica che la variazione angolare indotta dall’onda gravitazionale potrebbe essere oltre la soglia delle decine di milionesimi di arcosecondo fino a distanze di cinquemila parsec dal Sole. E una facility come il Very Large Telescope Interferometer (Vlti) dell’Eso ha già una risoluzione angolare dell’ordine del millesimo di arcosecondo, equivalente – come riportato nel sito dell’Eso – a distinguere i due fari di un’automobile alla distanza della Luna. Stiamo di fatto valutando di testare il principio dell’antenna astrometrica gravitazionale. Va stabilito ovviamente un tempo di puntamento sufficiente a garantire la copertura di più periodi dell’onda, auspicando che oggetti così massicci esistano in numero sufficiente nella nostra galassia».

Vai alla notizia originale: Media INAF

 


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Immagini straordinarie del processo di formazione dei pianeti catturate dal Very Large Telescope (VLT)

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Le immagini mostrate sono state catturate utilizzando lo strumento Spettro-Polarimetrico High-contrast Exoplanet REsearch ( SPHERE ) montato sul Very Large Telescope ( VLT ) dell'ESO. Crediti: ESO/C. Ginski, A. Garufi, P.-G. Valegard et al.
Tempo di lettura: 4 minuti

Un’indagine innovativa rivela i segreti della nascita del pianeta attorno a dozzine di stelle

In una serie di studi, un team di astronomi ha gettato nuova luce sull’affascinante e complesso processo di formazione dei pianeti. Le straordinarie immagini, catturate utilizzando il Very Large Telescope dell’Osservatorio Europeo Australe (VLT) in Cile, rappresentano una delle più grandi indagini mai effettuate sui dischi di formazione dei pianeti. La ricerca riunisce le osservazioni di oltre 80 giovani stelle che potrebbero avere pianeti in formazione attorno a loro, fornendo agli astronomi una ricchezza di dati e approfondimenti unici su come nascono i pianeti in diverse regioni della nostra galassia.

” Si tratta davvero di un cambiamento nel nostro campo di studi “, afferma Christian Ginski, docente presso l’Università di Galway, in Irlanda, e autore principale di uno dei tre nuovi articoli pubblicati il 05 marzo su Astronomy & Astrophysics . “ Siamo passati dallo studio approfondito dei singoli sistemi stellari a questa vasta panoramica di intere regioni di formazione stellare. 

Ad oggi sono stati scoperti più di 5000 pianeti orbitanti attorno a stelle diverse dal Sole, spesso all’interno di sistemi nettamente diversi dal nostro Sistema Solare. Per capire dove e come nasce questa diversità, gli astronomi devono osservare i dischi ricchi di polvere e gas che avvolgono le giovani stelle, le culle stesse della formazione dei pianeti.

Proprio come i sistemi planetari maturi, le nuove immagini mostrano la straordinaria diversità dei dischi che formano i pianeti. ” Alcuni di questi dischi mostrano enormi bracci a spirale, presumibilmente guidati dall’intricato balletto dei pianeti in orbita “, afferma Ginski. ” Altri mostrano anelli e grandi cavità scavate dalla formazione dei pianeti, mentre altri ancora sembrano lisci e quasi dormienti“, aggiunge Antonio Garufi, astronomo dell’Osservatorio Astrofisico di Arcetri, Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), e autore principale di uno degli articoli.

Il team ha studiato un totale di 86 stelle in tre diverse regioni di formazione stellare della nostra galassia: Taurus e Chamaeleon I, entrambi a circa 600 anni luce dalla Terra, e Orion, una nube ricca di gas a circa 1600 anni luce da noi noto per essere il luogo di nascita di numerose stelle più massicce del Sole. Le osservazioni sono state raccolte da un grande team internazionale, composto da scienziati provenienti da più di 10 paesi.

Il team è stato in grado di raccogliere diverse informazioni chiave dal set di dati. Ad esempio, in Orione hanno scoperto che le stelle in gruppi di due o più avevano meno probabilità di avere grandi dischi di formazione planetaria. Questo è un risultato significativo dato che, a differenza del nostro Sole, la maggior parte delle stelle della nostra galassia hanno delle compagne. Oltre a ciò, l’aspetto irregolare dei dischi in questa regione suggerisce la possibilità che vi siano pianeti massicci incorporati al loro interno, il che potrebbe causare la deformazione e il disallineamento dei dischi.

Dischi che formano pianeti attorno a giovani stelle e la loro posizione all’interno della nube ricca di gas del Toro, a circa 600 anni luce dalla Terra. ESO/A.Garufi et al.; RABBIA

 

Dischi che formano pianeti attorno a giovani stelle e la loro posizione all’interno della nube ricca di gas di Camaleonte I, a circa 600 anni luce dalla Terra. Crediti:
IT/C. Ginski et al.; ESA/Herschel

Sebbene i dischi che formano i pianeti possano estendersi per distanze centinaia di volte maggiori della distanza tra la Terra e il Sole, la loro posizione a diverse centinaia di anni luce da noi li fa apparire come minuscoli punte di spillo nel cielo notturno. Per osservare i dischi, il team ha utilizzato il sofisticato strumento spettro-polarimetrico ad alto contrasto Exoplanet REsearch ( SPHERE ) montato sul VLT dell’ESO . Il sistema di ottica adattiva estrema all’avanguardia di SPHERE corregge gli effetti turbolenti dell’atmosfera terrestre, producendo immagini nitide dei dischi. Ciò significa che il team è stato in grado di acquisire immagini di dischi attorno a stelle con masse pari alla metà della massa del Sole, che in genere sono troppo deboli per la maggior parte degli altri strumenti oggi disponibili. Ulteriori dati per l’indagine sono stati ottenuti utilizzando lo strumento X-shooter del VLT , che ha permesso agli astronomi di determinare quanto siano giovani e massicce le stelle. L’Atacama Large Millimeter/submillimeter ArrayALMA ), di cui l’ESO è partner, d’altro canto, ha aiutato il team a comprendere meglio la quantità di polvere che circonda alcune stelle.

Con l’avanzare della tecnologia, il team spera di scavare ancora più a fondo nel cuore dei sistemi di formazione dei pianeti. Il grande specchio da 39 metri del prossimo Extremely Large Telescope ( ELT ) dell’ESO , ad esempio, consentirà al team di studiare le regioni più interne attorno alle giovani stelle, dove potrebbero formarsi pianeti rocciosi come il nostro.

Per ora, queste immagini spettacolari forniscono ai ricercatori un tesoro di dati per aiutare a svelare i misteri della formazione dei pianeti. “ È quasi poetico che i processi che segnano l’inizio del viaggio verso la formazione dei pianeti e, in definitiva, la vita nel nostro Sistema Solare siano così belli ”, conclude Per-Gunnar Valegård, uno studente di dottorato presso l’Università di Amsterdam, Paesi Bassi, che ha condotto lo studio Orion. Valegård, che è anche insegnante part-time presso la Scuola Internazionale Hilversum nei Paesi Bassi, spera che le immagini ispirino i suoi alunni a diventare scienziati in futuro.

 

Fonti: ESO 

Feedback Stellare e Formazione Stellare: Il Ruolo delle Regioni HII nelle Galassie

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Regione HII con formazione stellare attiva S235. Crediti: NASA/JPL-Caltech/UCLA.
Tempo di lettura: 5 minuti

 

Impatto del feedback stellare pre-supernova sulle regioni HII nelle galassie nane starburst

 

Le regioni HII sono nubi di idrogeno ionizzato prodotte dalla radiazione UV emessa dalle stelle giovani e massicce. Esse sono dunque direttamente collegate alle zone di formazione stellare, dove tali stelle nascono ed evolvono rapidamente: questo veloce sviluppo porta però con sé una serie di effetti sull’ambiente circostante che va sotto il nome di feedback stellare. La difficoltà nello stabilire una relazione tra formazione stellare, regioni HII e associato feedback nei vari tipi di galassie ha incentivato la realizzazione di uno studio sui diversi meccanismi di feedback stellare pre-supernova nelle galassie nane starburst, tipicamente escluse dai cataloghi spettroscopici. Grazie ai promettenti risultati ottenuti dai ricercatori si ricavano importanti informazioni per implementare una modellistica più completa e accurata della formazione stellare nelle galassie in funzione delle proprietà delle regioni HII in esse presenti.

Con feedback stellare si fa riferimento all’insieme degli effetti che le stelle giovani e massicce hanno sull’ambiente circostante quando emettono radiazione ionizzante UV e generano onde di pressione che spazzano il mezzo interstellare. I meccanismi di feedback stellare possono essere quindi di tipo radiativo o meccanico e governare fenomeni astrofisici diversi, come l’espansione delle regioni HII, la formazione stellare e la distribuzione della materia oscura nelle galassie nane. In particolare, recenti indagini hanno mostrato che il feedback stellare pre-supernova (i.e., relativo al periodo precedente l’esplosione di supernova) delle stelle con massa ≳8 M⊙, ricopre un ruolo sostanziale nella regolazione della formazione stellare nelle galassie a spirale, ma poco chiaro in quella nelle galassie nane. Ciononostante, codeste si configurano come laboratori ideali per testare questo genere di feedback per via della loro minore densità di gas e stelle, che contrasta la schermatura del fronte d’onda fotonico. Utilizzando degli strumenti chiamati IFUs (integral field units, i.e., unità a campo integrale) per costruire immagini spettroscopiche in 2D, è possibile risolvere in dettaglio le regioni HII esito dell’azione del feedback stellare, definendo in tal modo le proprietà sia del gas ionizzato costituente sia delle stelle ionizzanti. L’applicazione della spettroscopia IFU alle regioni di formazione stellare nella Via Lattea e ad altre galassie vicine con formazione stellare attiva ha permesso la creazione di un vasto database di regioni HII, da poco ampliato proprio con l’inclusione delle galassie nane. In un recente lavoro di ricerca sono state infatti campionate dall’archivio dati della survey DWALIN tre galassie nane starburst (i.e., J0921, KKH046 e Leo P), osservate con l’IFU MUSE montato sul telescopio VLT, per analizzare la dipendenza del feedback stellare pre-supernova dalle caratteristiche del mezzo interstellare in esse presente. Dopo aver determinato i confini di 30 regioni HII attraverso mappe di emissione della riga Hα, ne sono stati selezionati gli spettri integrati e si è proceduto al fit delle loro principali righe di emissione con profili gaussiani allo scopo di derivare i valori della densità elettronica, della luminosità e dell’abbondanza di ossigeno (indicatore della metallicità) del gas ionizzato.

Immagini spettroscopiche in 2D delle regioni HII nelle galassie nane campionate J0921, KKH046 e Leo P
ricavate dalle seguenti righe di emissione: [SII]λ6716 (colore rosso), Hα (colore verde) e [OIII]λ5007 (colore
blu). Crediti: arXiv.
Mappe di emissione della riga Hα realizzate per le regioni HII delle galassie nane campionate J0921,
KKH046 e Leo P, corrispondenti alle immagini precedenti. Crediti: arXiv.

In virtù di queste informazioni si è potuto allora esaminare il contributo di due diverse specificazioni del feedback stellare pre-supernova, ovvero la fotoionizzazione e la pressione diretta di radiazione, al variare della regione HII scelta. Esse possono essere quantificate mediante i corrispettivi termini di pressione: la pressione termica del gas ionizzato dai singoli fotoni della radiazione stellare Pion e la pressione meccanica generata dal momento trasmesso dalla radiazione stessa nel suo complesso all’ambiente Pdir. Il successivo confronto con studi simili condotti in galassie più massicce, come quelle oggetto della survey PHANGS, ha consentito non solo di verificare, ma anche di generalizzare i risultati ottenuti.

Porzione dello spettro della regione HII 1 nella galassia nana KKH046 estratta dal database MUSE. Essa
contiene le righe di emissione più importanti studiate dai ricercatori e mostra i profili di riga gaussiani con cui
sono state modellizzate (in rosso). La finestra blu evidenzia invece la riga dell’idrogeno Hβ e il doppietto
dell’ossigeno terzo [OIII]λ4959,5007. Crediti: arXiv.
Ora, le regioni HII si espandono spinte da Pion o da Pdir: ergo, si può assumere che la loro dimensione sia indice del loro stato evolutivo. Poiché sia Pion che Pdir decrescono nel tempo, ma la prima è maggiore della seconda nelle regioni HII larghe circa 10−100 pc, si deduce che entrambi i meccanismi di feedback perdono progressivamente potere e che la pressione diretta di radiazione diventa meno importante della fotoionizzazione. Inoltre, le regioni HII nelle tre galassie campionate appaiono più estese rispetto a quelle della survey PHANGS in quanto le galassie nane contengono solitamente stelle povere di metalli. Tali stelle emettono un’aumentata quantità di fotoni ionizzanti responsabile dell’incremento di Pion: ciò comporta dunque una più rapida espansione delle regioni HII. Si individua, infine, un’ulteriore correlazione con il contenuto di polveri di suddette regioni: bassa metallicità significa ridotto contenuto di polveri e, di conseguenza, minor inibizione dell’effetto ionizzante della radiazione stellare UV. Per converso, insomma, regioni HII ricche di metalli si presentano più compatte e dominate da Pdir.

Mappe di emissione della riga Hα realizzate per le regioni HII delle galassie nane campionate J0921,
KKH046 e Leo P, corrispondenti alle immagini precedenti. Crediti: arXiv.

Ricapitolando, dall’indagine sulle tre galassie nane J0921, KKH046 e Leo P emerge che il feedback stellare pre-supernova dipende dallo stato evolutivo (i.e., dall’estensione), dalla metallicità e dal contenuto di polveri delle regioni HII originate dalla radiazione UV proveniente da stelle giovani e massicce. I meccanismi di fotoionizzazione e di pressione diretta di radiazione tendono ad essere mutuamente esclusivi e a prevalere l’uno in regioni HII più evolute (i.e., più estese), meno metalliche e con scarso contenuto di polveri, e l’altro in regioni HII meno evolute (i.e., meno estese), più metalliche e con elevato contenuto di polveri. Tuttavia, la forza dei relativi termini di pressione Pion e Pdir diminuisce a mano a mano che l’espansione delle regioni HII procede, a dispetto della configurazione fisica di queste. Si tratta, in definitiva, di risultati notevoli, che facilitano l’esplorazione degli effetti del feedback stellare anche in sistemi meno massivi e ricchi di metalli come le galassie nane starburst, andando pertanto a delineare una precisa relazione con le proprietà dell’associato mezzo interstellare. Una conclusione felice per la modellistica teorica, che potrà d’ora in avanti disporre di nuovi strumenti per simulare in maniera più completa e realistica la formazione stellare all’interno delle galassie.

 

Fonte: arXiv.


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Il Cielo di Marzo 2024

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Tempo di lettura: 7 minuti

IL CIELO DI MARZO 2024

Inizio Ora Legale 31 marzo 02:00 -> 03:00 TU+1-> TU+2

Eq. Primavera 20 Marzo ore 06:21

Mappa from https://in-the-sky.org/

Mappa del cielo alle ore (TMEC): 01 Mar > 23:00   15 Mar > 22:00  31 Mar > 21:00

 

COSTELLAZIONI DI MARZO 2024

DOMINA IL CIELO L’ORSA MAGGIORE

Il cielo di marzo è ancora popolato dagli asterismi che hanno dominato l’inverno, ma che ormai declinano lentamente verso Ovest, mentre diventano sempre più protagoniste le figure tipiche del cielo primaverile.

Tra le tante costellazioni osservabili sulla volta celeste di certo non mancherà di notare quella  dell’Orsa MaggioreUrsa Major, che deve la sua fama all’asterismo del Grande Carro che, con le sue sette stelle principali visibili ad occhio nudo, compone solo una piccola parte della molto più estesa costellazione: si tratta di Dubhe, Merak, Phecda, Megrez, Alioth, Mizar e Alkaid.

Tutte le descrizioni sono in Le Costellazioni del mese di Marzo

a cura di @teresamolinaro

I principali eventi di Marzo 2024 (pubblicati nell’Almanacco 2024 distribuito in omaggio a tutti gli abbonati)

Data Ora Cosa Come

03/03/2024 16:23 Ultimo Quarto
08/03/2024 06:00 Congiunzione Luna-Marte
08/03/2024 18:00 Congiunzione Luna-Venere
09/03/2024 18:27 Congiunzione Luna-Saturno
10/03/2024 08:05 Luna Perigeo
10/03/2024 10:00 Luna Nuova
10/03/2024 20:24 Congiunzione Luna-Nettuno
11/03/2024 03:29 Congiunzione Luna-Mercurio
12/03/2024 02:17 Luna Nodo Ascendente
14/03/2024 02:02 Congiunzione Luna-Giove
15/03/2024 04:30 Congiunzione Luna-Pleiadi
17/03/2024 05:10 Primo Quarto
17/03/2024 11:30 Nettuno Congiunzione Sole
17/03/2024 17:35 Mercurio Perielio
19/03/2024 18:07 Venere Afelio
20/03/2024 04:06 Equinozio Primavera
20/03/2024 09:43 Congiunzione Luna-Presepe
22/03/2024 02:59 Congiunzione Venere-Saturno
22/03/2024 06:26 Congiunzione Luna-Regolo
23/03/2024 16:44 Luna Apogeo
24/03/2024 23:27 Mercurio Max Elong. Est
25/03/2024 08:00 Luna Piena
25/03/2024 08:13 Eclisse Lunare
26/03/2024 05:06 Luna Nodo Discendente
26/03/2024 21:21 Congiunzione Luna-Spica
30/03/2024 16:03 Congiunzione Luna-Antares

Tutte le effemeridi del mese di Marzo 2024 sono disponibili in file csv

Clicca sul banner per scaricare

Clicca sul banner per accedere alle Effemeridi agosto 2023!

ATTENZIONE la parte centrale dell’articolo con la descrizione del moto dei pianeti ed equazione del tempo è riservata agli abbonati a COELUM


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LUNA

Simpatica configurazione il 14 marzo con Pleiadi-Luna-Urano-Giove allineati in verticale ad ovest. Il 25 eclissi di Luna di penombra ma dall’Italia non sarà visibile

Tutto nella rubrica Luna di Marzo 2024

COMETE

UNO SPETTACOLO DA NON PERDERE: PONS-BROOKS

Ormai prossima al picco luminoso la Pons-Brooks è alle prove generali prima del passaggio al perielio.

Per approfondire: le comete di Marzo 2024 a cura di @claudiopra

ASTEROIDI

GLI ASTEROIDI IN OPPOSIZIONE
a MARZO

e consigli per le riprese

(3) Juno, (23) Thalia 

Trovi tutto qui: Mondi in miniatura – Asteroidi, Marzo 2024 a cura di @mioxzy

TRANSITI NOTEVOLI ISS

La ISS – Stazione Spaziale Internazionale sarà rintracciabile nei nostri cieli sia ad orari mattutini che serali. Avremo molti transiti notevoli con magnitudini elevate durante il primo mese della Primavera, auspicando come sempre in cieli sereni.

Non perdere la rubrica Transiti notevoli ISS per il mese di Marzo 2024 a cura di @stormchaser

SUPERNOVAE – AGGIORNAMENTI

Grandi scoperte nel mese di gennaio, @fabio-briganti e Riccardo Mancini ce le raccontano sapientemente qui!

Cieli sereni a tutti!


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Le Costellazioni di Marzo 2024

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COSTELLAZIONI DI MARZO 2024

DOMINA IL CIELO L’ORSA MAGGIORE

Il cielo di marzo è ancora popolato dagli asterismi che hanno dominato l’inverno, ma che ormai declinano lentamente verso Ovest, mentre diventano sempre più protagoniste le figure tipiche del cielo primaverile.

Tra le tante costellazioni osservabili sulla volta celeste di certo non mancherà di notare quella  dell’Orsa Maggiore, Ursa Major, che deve la sua fama all’asterismo del Grande Carro che, con le sue sette stelle principali visibili ad occhio nudo, compone solo una piccola parte della molto più estesa costellazione: si tratta di Dubhe, Merak, Phecda, Megrez, Alioth, Mizar e Alkaid.

Alioth (ε Ursae Majoris) è la stella principale della costellazione, avente colore bianco e una magnitudine 1,76.

Dubhe (α Ursae Majoris), è un sistema quadruplo che dista 124 anni luce dalla Terra: attorno alla componente principale ruotano Dubhe B e Dubhe C che a sua volta è una stella binaria.

Degna di nota anche Mizar: i più acuti osservatori avranno di certo notato accanto ad essa un’altra stella che, seppur meno brillante, fa coppia con la compagna di cielo e porta il nome di Alcor: i due oggetti sono separati da una distanza compresa tra 0,28 e 2 anni luce circa e insieme formano la stella binaria visuale più famosa del cielo, visibile ad occhio nudo.

E’ un asterismo davvero importante quello del Grande Carro, utilizzato per l’orientamento stellare: tracciando infatti una linea immaginaria tra Dubhe e Merak e prolungandola di circa 5 volte, si giungerà alla Stella Polare.

OGGETTI NON STELLARI NELLA COSTELLAZIONE

Tra gli oggetti del profondo cielo presenti nell’Orsa Maggiore, uno dei più celebri è certamente la Galassia Girandola, nota anche come M101, scoperta nel 1781 da Charles Messier  e  da Pierre Méchain.

La  galassia a spirale M101 dista 21.000.000 anni luce dalla Terra, ed è uno degli oggetti più brillanti del cielo, molto amato dagli astrofili che con le dovute tecniche e attrezzature riescono a ricavare dettagli davvero eccezionali.

IMMAGINE M101 – CREDITI: DAVIDE NARDULLI

Ma non è finita qui, perché vi sono altri sorprendenti oggetti nell’Orsa Maggiore che ispirano gli astrofili a realizzare immagini davvero interessanti: uno di questi è la coppia di galassie formata da M81 e M82

IMMAGINE M81 E M82 – CREDITI: DAVIDE NARDULLI

I due oggetti appartengono al gruppo di galassie dell’Orsa Maggiore, che è uno dei più vicini al nostro Gruppo Locale: M81, conosciuta come la Galassia di Bode, è una galassia a spirale situata a circa 12 milioni di anni luce dalla Terra, individuabile con l’ausilio di un buon binocolo se si osserva il cielo in condizioni adeguate; chiaramente è attraverso telescopi di aperture considerevoli che si è in grado di scorgere le strutture della spirale.

L’altra galassia che compone la coppia è M82, meglio nota come Galassia Sigaro: anch’essa rappresenta un oggetto del profondo cielo molto amato dagli astrofili e la sua caratteristica è quella di generare nuove stelle in numero dieci volte maggiore rispetto alla nostra Via Lattea.

M82 subisce gli effetti gravitazionali della sua compagna più grande, M81, e queste continue interazioni hanno favorito l’incremento di fenomeni di formazione stellare.

L’ORSA MAGGIORE NELLA MITOLOGIA

Secondo la mitologia greca Callisto era una ninfa, una bellissima fanciulla figlia del Re di Arcadia Licaone e ancella di Artemide; divenuta l’ennesimo oggetto del desiderio di Zeus, fu tramutata in orso dallo stesso padre degli dei.

Le versioni della storia sono diverse: secondo una prima la prima leggenda, fu proprio Zeus a trasformare la giovane fanciulla in un’orsa per sottrarla alle ire di Era; mentre, la seconda versione, sostiene che fu Artemide a trasformare Callisto dopo aver scoperto lo stato di gravidanza della giovane ancella, votata alla castità.

La metamorfosi di Callisto avvenne dopo aver dato alla luce Arcade. Questi, allevato da Artemide e le sue ancelle e venuto a conoscenza della presenza di un orso nel bosco dove abitavano le ninfe, si mise sulle sue tracce per ucciderlo.

Dopo aver scovato Callisto, si preparò a colpire l’animale con una lancia, ignorando chi fosse in realtà. Zeus, impietosito, fermò il tempo, trasformò sia l’orsa che Arcade in stelle e li collocò per sempre sulla volta celeste.

Ah, quante volte, temendo di riposare nella solitudine dei boschi, torna a vagare davanti alla casa e nei campi che un tempo erano suoi!

Ah, quante volte, inseguita tra le rocce dal latrato dei cani, fugge atterrita, lei, la cacciatrice, per fobia dei cacciatori!

Spesso, vedendo delle belve, si nasconde scordandosi chi era, e pur essendo un’orsa, si spaventa se scorge un orso sui monti, ha terrore dei lupi, sebbene un lupo fosse suo padre [Licaone].

Ovidio, Metamorfosi, 2: 401-495

LA COSTELLAZIONE DELL’ORSA MINORE

Un’altra costellazione visibile nel cielo di marzo è quella  dell’Orsa Minore: anch’essa deve la sua notorietà all’asterismo che custodisce, quello del Piccolo Carro, oltre al fatto che la stella più luminosa e più nota della costellazione, ovvero Polaris, α Ursae Minoris, o per meglio dire la Stella Polare, rappresenta il Polo Nord celeste.

Polaris è una stella gialla di magnitudine 1,97 ed è un sistema stellare triplo, dominato da stella supergigante gialla variabile cefeide (Polaris A), e da due meno luminose compagne di classe F, poco più massicce del Sole.

Le altre stelle che compongono l’asterismo del Piccolo Carro sono Kochab (β Ursae Minoris), una stella di colore arancione di magnitudine 2,07, che si trova nella posizione della costellazione opposta alla Stella Polare,  e la cui distanza è stimata sui 126 anni luce, e Pherkad (γ Ursae Minoris), una stella bianca di magnitudine 3,00, variabile Delta Scuti distante 480 anni luce.

Poiché il piano galattico passa lontano dalla costellazione, non vi sono oggetti del profondo cielo appartenenti all’Orsa Minore.

OGGETTI NON STELLARI NELLA COSTELLAZIONE

La costellazione dell’Orsa Minore non è particolarmente ricca di oggetti. Essa è totalmente priva di oggetti del catalogo Messier ma mancano anche oggetti deep-sky notevoli.

Fra i pochi soggetti estesi suggeriamo NGC 6217, una galassia spirale barrata con un alto tasso di formazione stellare e la piccola galassia NGC5452 nello scatto sotto catturata dall’abile Cristina Cellini vicino alla cometa C/2023 E1.

Credit: NASA /ESA HUBBLE SM4 HERO team

 

Piccola galassia NGC5452 con accanto la cometa C/2023 E1 Crediti :Cristina Cellini Gruppo Astrofile

L’ORSA MINORE NELLA MITOLOGIA

Anche in questo caso ci ricolleghiamo al mito dall’Orsa Maggiore, arrivando alla parte in cui Zeus  trasformò Arcade e Callisto in stelle: secondo alcune versioni, che trovano un certo riscontro negli scritti di Eratostene, Artemide  si sentì tuttavia in dovere di rendere omaggio alla sua ancella prediletta, collocando sulla volta celeste una mini versione di Callisto, già tramutata in orsa (maggiore), a proclamarne l’onore e a renderle doppio valore.

Federico Cervelli. Diana e Callisto 1625

Artemide dette fama [a Callisto] ponendone in cielo una seconda immagine di fronte alla prima, così che ne ricevesse doppio onore.

Eratostene, Epitome dei Catasterismi

 

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La Luna di Marzo 2024

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Simpatica configurazione il 14 marzo con Pleiadi-Luna-Urano-Giove allineati in verticale ad ovest. Il 25 eclissi di Luna di penombra ma dall’Italia non sarà visibile

In marzo saltiamo i primi giorni e arriviamo direttamente all’08 marzo quando, come anticipato, ci attende un incontro fra Luna e Venere leggermente più favorevole rispetto al mese precedente.

La distanza minima pari a 3.3°S è prevista per le 19:53 quando entrambi saranno sotto l’orizzonte precedendo il Sole del tramonto. Meglio tentare la mattina dello stesso giorno, intorno alle 06:00 quando una finestra di circa 20 minuti ci consentirà di catturare la Luna all’8.8% in un triangolo coinvolgendo anche Marte.

Triangolo Luna-Venere-Marte il giorno 08 marzo alle poco dopo le ore 06 nella luce del crepuscolo. Falce di Luna a 8,8%. Immagine https://theskylive.com/

Il 14 marzo intorno alle 22:00 sarà interessante osservare quasi in linea verticale ad Ovest in ordine dall’alto verso il basso: le Pleiadi, la Luna 17.8%, Urano e vicino all’orizzonte Giove a più o meno sei gradi di distanza l’uno dall’altro.

Curiosa configurazione ad ovest il giorno 14 marzo alle ore 22. Con Giove in basso primo della fila a seguire Urano, Luna e Pleiadi. Distanza media circa 06 gradi. Immagine https://theskylive.com/

Il 20 marzo l’equinozio di primavera ci avrà donato giornate più lunghe ma anche notti più corte. Nulla di particolare da segnalare fino a saltare direttamente al giorno 25 marzo che vedrà la Luna interessata da un’Eclisse Parziale di Penombra. Purtroppo come mostrato anche nell’immagine, l’eclisse non sarà visibile dall’Italia se non per qualche minuto prima del tramonto del satellite e giorno oramai fatto.
L’inizio dell’ingresso della Luna nella sezione di penombra della Terra è previsto per le 5:53 UTC+1 mentre il satellite scomparirà sotto l’orizzonte ad Ovest, quindi subito dopo già alle 06:10 UTC+1.

Tabelle delle fasi e distanze Luna-Terra

FASE DATA ORE SORGE CULMINA TRAMONTA DISTANZA DIAM. APP.
Ultimo Quarto 03-mar 16:23 01:16 05:49 10:09 390254 km 1831.0
Luna Nuova 10-mar 12:57 06:42 12:32 18:28 357007 km 1978.1
Primo Quarto 17-mar 05:10 10:32 17:54 02:03 386947 km 1862.8
Luna Piena 25-mar 08:00 18:48 06:11 07:44 405717 km 1788.0
FASE DATA
Luna Calante dal 01 al 10
Luna Crescente dal 11 al 25
Luna Calante dal 26 al 31

 

FASE DATA ORE DISTANZA DIAM. APP.
Perigeo 10-mar 08:05 356894 km 1978.1
Apogeo 23-mar 16:15 406295 km 1788.4

–  Ogni fenomeno lunare e rispettivi orari sono rapportati alla Città di Roma, dati rilevati dai siti https://theskylive.com/http://www.marcomenichelli.it/luna.asp


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News da Marte #26

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Bentornati su Marte!
In questa puntata riprendiamo la ricostruzione degli eventi che hanno portato al termine della missione di Ingenuity con nuove immagini e nuovi video. Vediamo anche un problema di Perseverance con il tappo della camera SHERLOC e recenti osservazioni solari eseguite dal rover. Si parte!

Tre eliche spezzate, una assente

Come descritto brevemente in chiusura di News da Marte #25, a fine gennaio i tecnici NASA hanno avviato i test di movimentazione delle eliche di Ingenuity. Le prime verifiche hanno riguardato l’azionamento dei motori che svolgono la funzione di regolatore di passo, vale a dire il dispositivo che sugli elicotteri varia l’angolo di attacco delle eliche consentendo di gestire le fasi di volo. I motori coinvolti sono sei in tutto, tre per ciascun rotore separati di 120° (due di questi sono indicati con i numeri 6 e 10 nell’immagine sottostante). Questi motori sono impiegati anche per direzionare l’elicottero.

Crediti: Charlie Layton basato su immagini NASA

Il test dell’angolo di attacco, almeno a giudicare dai fotogrammi ricevuti, sembra dare esito positivo. A meno di fare una chiacchierata con i tecnici NASA coinvolti non possiamo conoscere nel dettaglio quale fosse l’entità dello spostamento desiderato, ma è perlomeno confermata la funzionalità dei motori dedicati. Ingenuity esegue tre verifiche a questo riguardo che vengono documentate con acquisizioni video ad alto frame rate con la sua NavCam. 

Test dell’angolo di inclinazione delle eliche nel Sol 1048. NASA/JPL-Caltech/Piras

Ho racchiuso i vari test sui regolatori di passo in un video che condensa qualche migliaio di fotogrammi.

Dopo queste verifiche è stato il momento di azionare i rotori (indicati con i numeri 1 e 7 nel disegno precedente). 

Il Sol 1059 (11 febbraio) le eliche vengono ruotate per la prima volta eseguendo all’incirca un quarto di rotazione in senso orario. Questo test aggiunge un elemento importante nella ricostruzione dell’incidente perché per la prima volta si riescono ad osservare le quattro pale. O almeno questo era l’obiettivo, perché ne vengono rilevate solo tre.

Favorita da un angolo propizio del Sole, la camera di Ingenuity riprende l’esecuzione della rotazione e rivela così che una delle quattro eliche è totalmente assente. È a questo punto chiaro che si sia spezzata vicino alla base.

Test dei rotori, Sol 1059. NASA/JPL-Caltech/Piras
Probabile stato di Ingenuity in una ricostruzione domestica basata sulle immagini ricevute. Il modellino fotografato è quello incluso nel set Lego “NASA Mars Rover Perseverance”. Crediti: Piras

Così come per i test dell’angolo di attacco, numerosi fotogrammi sono stati acquisiti anche nel corso della movimentazione dei rotori. Ve li propongo in un altro video, sempre mostrati rispettando fedelmente i timestamp di esecuzione così come riportati nei nomi dei singoli frame.

 

Altre investigazioni di Perseverance

Nelle precedente puntata della rubrica avevo mostrato una prima osservazione che il rover aveva eseguito a inizio febbraio con il supporto dei 110 mm di focale offerti dalle MastCam-Z, le potenti camere zoom a sua disposizione.

Ho lavorato ancora a quelle immagini e vale la pena che ve ne proponga una rielaborazione.

Mosaico di sei immagini acquisite dalle MastCam-Z nel Sol 1052. Il contrasto è stato accentuato per esaltare le deboli variazioni nelle tonalità. NASA/JPL-Caltech/MSSS/Piras

Oltre all’elicottero e ai suoi dettagli già analizzati, ben evidente circa 15 metri a sinistra anch’essa evidenziata e ingrandita, rinveniamo l’elica mancante che è stata proiettata verso sud dall’impatto.

Ma la migliore foto di Ingenuity danneggiato viene realizzata dal rover nella notte italiana del 25 febbraio. Lo scorcio marziano che vi mostro, catturato da 415 metri di distanza, è stato reso possibile dalla SuperCam, il piccolo telescopio montato nella “testa” di Perseverance che combina le funzioni di osservazione con l’uso di un laser per analisi spettrali. 

Immagine originale così come pubblicata nei siti ufficiali. NASA/JPL-Caltech/LANL/CNES/IRAPAmmiriamo Valinor Hills, il nome che è stato dato al luogo dove Ingenuity ha toccato terra per l’ultima volta. Il riferimento è al luogo inserito da J. R. R. Tolkien nel suo universo immaginario.

Le immagini, qui sotto elaborate e interpolate per cercare di esaltare i più piccoli dettagli, confermano parte delle ipotesi fatte sino a questo momento. Due macchie scure sulla sinistra del velivolo sono i punti dove l’elicottero è atterrato con violenza nel corso del suo 72esimo e ultimo volo. I rotori sono posizionati in modo diverso rispetto alla foto della MastCam-Z vista in precedenza: quello inferiore è orientato quasi verticalmente nell’immagine, il superiore è invece orizzontale ma mostra solo una delle due pale. Rinveniamo quella mancante nella seconda ripresa in cui si nota anche la traccia lasciata dall’elica sulla sabbia mentre veniva proiettata tangenzialmente.

NASA/JPL-Caltech/LANL/CNES/IRAP/Piras

Interpolando e ingrandendo ulteriormente la foto dell’elica scorgiamo il piccolo sistema di bilanciamento integrato nelle quattro pale di Ingenuity che prende il nome di Chinese weight. È quello spuntone alla base delle eliche progettato per bilanciare il peso dei rotori e ridurre lo sforzo dei motori che gestiscono il direzionamento dell’elicottero. Anche da oltre 400 metri di distanza si riesce a distinguere questo minuscolo particolare. Le varie peculiarità nella forma asimmetrica della pala parrebbero supportare questa ipotesi del vostro autore.

NASA/JPL-Caltech/LANL/CNES/IRAP/Piras

Queste nuove immagini danno supporto alla ricostruzione che un’elica possa essersi staccata dal rotore nelle fasi finali del volo e non, come ritenuto in precedenza, per un impatto col terreno. Sarebbe poi stata colpita dalle altre pale le cui punte si sono così danneggiate. In questo caso si tratterebbe quindi di un problema causato dall’usura meccanica subita da Ingenuity. Ma non si possono davvero muovere rimproveri ai progettisti di questo velivolo straordinario che ha volato per 72 volte (invece di 5 previste) accumulando poco meno di 129 minuti di volo nel corso dei quali si è spostato per complessivi 17 km.

Un intoppo anche per Perseverance

Oltre a Ingenuity, anche il rover sta trascorrendo un po’ di tempo a documentare la situazione di un suo problema. Fortunatamente non catastrofico, ma che potrebbe limitare le capacità di analisi a disposizione degli scienziati.

Tutto è iniziato il 6 gennaio, con Perseverance che in quei giorni stava eseguendo delle analisi di una lastra rocciosa. I programmi prevedevano di dare una soffiata alla superficie e procedere poi con le foto di PIXL, WATSON e SHERLOC.

Tutto bene con i primi due strumenti che acquisiscono complessivamente 90 immagini ma non con lo spettrometro SHERLOC (acronimo di Scanning Habitable Environments with Raman & Luminescence for Organics & Chemicals). Quest’ultimo restituisce solo due immagini nere di calibrazione, scattate con il tappo. Quello che sarebbe considerato un errore marchiano per un fotografo, per SHERLOC fa in realtà parte della normale routine di esecuzione delle attività. La lente frontale dello strumento è infatti protetta da uno sportellino anti-polvere azionato elettricamente che integra al suo interno un bersaglio composto di una lega di alluminio, gallio e azoto con proprietà di semiconduttore. Le linee di assorbimento di questo target permettono agli scienziati di valutare variazioni nelle prestazioni del laser di SHERLOC.

SHERLOC fotografato nei laboratori del JPL durante i test. Attorno alla lente si vedono 6 LED, usati per illuminare i soggetti in luce naturale e luce UV. NASA/JPL-Caltech

Il problema è che, oltre alle due foto di calibrazione, lo strumento non restituisce altre immagini. L’indomani alcune rilevazioni delle HazCam frontali iniziano a delineare l’intoppo: lo sportellino non si è aperto. Nei giorni che seguono i tecnici NASA alternano le operazioni scientifiche a ispezioni visuali della camera problematica, inviando anche comandi per aumentare progressivamente la potenza del piccolo motore dedicato all’apertura dello sportello.

Documentazione delle tentate operazioni da parte di SHERLOC nel Sol 1025. Lo strumento è puntato verso il basso ma con lo sportellino chiuso. NASA/JPL-Caltech/Piras
Prime ispezioni con la MastCam tra i Sol 1027 e 1034. NASA/JPL-Caltech/MSSS/Piras

Passano due settimane dalla prima manifestazione del problema e nel Sol 1037 (19 gennaio) sembra che qualcosa si sia mosso, sebbene solo in parte. Il tappo viene schiuso leggermente e SHERLOC rivede la luce del Sole, ma non è un grande risultato. La parziale apertura dello sportello combinata con la riflettività del suo interno agisce come uno specchio e ciò che si intravede è parte della struttura della camera stessa.

Immagine confusa catturata da SHERLOC che mostra, tramite il riflesso sull’interno del tappo, il bordo dello strumento stesso. Sol 1042. NASA/JPL-Caltech/Piras
Evoluzione della parziale apertura dello sportello di SHERLOC, Sol 1040 (sopra) e Sol 1065. NASA/JPL-Caltech/MSSS/Piras

Nuovi tentativi di azionamento dello sportello avvengono il 2 e 17 febbraio ottenendo qualche grado in più di apertura ma senza avvicinarsi ancora alla risoluzione del problema. Nel caso SHERLOC non fosse recuperabile la missione di Perseverance perderebbe uno strumento molto utile per individuare i composti organici ma non totalmente insostituibile. Nella progettazione della suite scientifica è stato deciso di operare delle sovrapposizioni tra ciò che i vari strumenti possono osservare, e così parte delle specializzazioni in spettroscopia di SHERLOC possono essere coperte dallo strumento PIXL e dal laser della SuperCam. Si andrebbe tuttavia a perdere, delle 23 camere a bordo del rover, quella con la più alta risoluzione spaziale (30 micron/pixel).

Un’ultima curiosità riguarda un’acquisizione fotografica molto particolare che Perseverance ha eseguito il 27 gennaio (Sol 1044) mentre movimentava il braccio robotico e la torretta nell’ambito di alcune verifiche per cercare di sbloccare lo sportellino. Una delle MastCam-Z ha ripreso l’operazione della durata di circa tre minuti, ve la propongo velocizzata a 6x con l’aggiunta di etichette per indicare i vari strumenti. Nel corso di queste cronache marziane credo di averli nominati tutti, ma vale come ripasso!

Il video originale ha un discreto frame rate, ma l’incredibile fluidità è frutto di interpolazione dei fotogrammi.

***
A pochi minuti dalla pubblicazione dell’articolo scopro il rilascio di nuove immagini della camera SHERLOC comparse in serata sul sito NASA. E sembra ci siano buone notizie.

29 febbraio, lo sportellino di SHERLOC sembra sia finalmente aperto quasi del tutto. NASA/JPL-Caltech/Piras

I tentativi dei tecnici parrebbero aver avuto successo, sebbene l’apertura documentata non sia ancora completa (il tappo dovrebbe aprirsi di oltre 180°). Seguiranno aggiornamenti nella prossima puntata della rubrica.

Due satelliti per un pianeta

Il 20 gennaio e l’8 febbraio Perseverance ha compiuto osservazioni del Sole in corrispondenza di transiti indipendenti dei suoi due satelliti, Fobos e Deimos, catturandoli in movimento con delle acquisizioni video. 

Il transito del 20 gennaio ha riguardato il minore dei due satelliti, con la luna Deimos che è apparsa transitare davanti al disco solare in circa 120 secondi. O per essere più precisi, in considerazione della velocità in cielo dei due corpi, è stato il Sole a sembrare muoversi dietro Deimos “sorpassandolo”. Il fenomeno è evidente in video, e ve lo mostro con questo confronto della reale acquisizione affiancata con la simulazione del fenomeno tramite il noto software astronomico Stellarium.

Il fenomeno dell’8 febbraio ha invece coinvolto Fobos. Data la maggiore velocità orbitale, frutto di una minore distanza da Marte, il satellite ha compiuto il transito in soli 36 secondi

 

La visuale composita, frutto di un’evidente elaborazione ma che combina due frame reali delle rispettive riprese, mostra l’enorme differenza nelle dimensioni apparenti dei due satelliti irregolari del Pianeta Rosso. Si nota anche una piccola macchia solare appartenente alla ripresa di Deimos.

Le riprese in oggetto sono state effettuate con la MastCam-Z di sinistra a 110 millimetri di focale. Su questa camera è disponibile un filtro ND6, usato quasi quotidianamente per fotografare il Sole e condurre analisi sull’oscuramento atmosferico (il cosiddetto tau) legato alla presenza di polveri.

Visuale composita dei transiti di Fobos e Deimos rispettivamente l’8 febbraio e il 20 gennaio 2024, Sol 1056 e 1037. NASA/JPL-Caltech/MSSS/Piras

Anche per questo aggiornamento da Marte è tutto, alla prossima!

Mondi in miniatura – Asteroidi, Marzo 2024

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GLI ASTEROIDI IN OPPOSIZIONE
a MARZO

e consigli per le riprese

(3) Juno, (23) Thalia 

(3) Juno è un grande asteroide di fascia principale che compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.590 giorni (4.35 anni) ad una distanza compresa tra le 1.99 e le 3.35 unità astronomiche (rispettivamente, 297.699.763 Km al perielio e 501.152.867 Km all’afelio). Deve il suo nome alla alla dea romana Giunone. Scoperto il 2 Settembre 1804 da JKarl Ludwig Harding, (3) Juno è un asteroide con un diametro stimato di circa 240 chilometri ed appartiene alla classe tassonomica degli asteroidi di tipo S. Gli asteroidi di tipo S sono caratterizzati da una composizione ricca di silicati e minerali ferrosi. Nonostante sia stato uno dei primi asteroidi scoperti, Juno non ha ricevuto tanta attenzione quanto altri corpi come Ceres o Vesta, in parte a causa della sua relativa inaccessibilità per le missioni spaziali. (3) Juno sarà in opposizione il 3 Marzo, momento nel quale raggiungerà la massima luminosità brillando di magnitudine di 8.6. Il suo moto sarà di 0,67 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga l’aspetto puntiforme nelle  nostre immagini utilizzeremo tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere  una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (3) Juno trasformarsi in una bella striscia luminosa di 27 secondi d’arco.

Traccia del percorso di (3) Juno nel mese di marzo. Crediti https://in-the-sky.org/

 

(23) Thalia è un asteroide di fascia principale che compie un’orbita intorno al Sole ogni  1.560 giorni (4.27 anni) ad una distanza compresa tra le 2.02 e le 3.23 unità astronomiche (rispettivamente, 302.187.699 Km al perielio e 483.201.122 Km all’afelio). Deve il suo nome Talia, musa della commedia e della poesia. Scoperto  il 15 dicembre 1852 da John Russell Hind, (23) Thalia è un asteroide con un diametro stimato di circa 107 chilometri ed è classificato come un asteroide di tipo S, simile a (3) Juno. Gli asteroidi di tipo S (silicacei) sono tra gli oggetti più comuni nella fascia principale interna e sono noti per avere superfici relativamente luminose con un’albedo (riflettività) relativamente alta. (23) Thalia sarà in opposizione l’11 Marzo, quando raggiungerà magnitudine 8.0. Il suo moto sarà di 0,60 secondi d’arco al minuto, quindi, con tempi di esposizione fino a 5 minuti ne preserveremo l’aspetto puntiforme. Volendo ottenere  una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (23) Thalia trasformarsi in una bella striscia luminosa di 24 secondi d’arco.

Il percorso dell’asteroide (23) Thalia nel mese di marzo. Crediti: https://in-the-sky.org/

 

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Le Comete di Marzo 2024

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UNO SPETTACOLO DA NON PERDERE: PONS-BROOKS

Ormai prossima al picco luminoso la Pons-Brooks è alle prove generali prima del passaggio al perielio.

12P/Pons-Brooks

Mese che precede il perielio, in cui capiremo se la 12/P sarà una cometa da ricordare. L’”astro chiomato” da Andromeda si trasferirà nell’Ariete. A inizio mese la troveremo ancora abbastanza alta in cielo ma in abbassamento, tanto che a fine marzo risulterà ormai piuttosto bassa sull’orizzonte. Inizialmente si mostrerà nelle migliori condizioni in alto all’arrivo della notte astronomica e più bassa poco prima dell’alba. Con il procedere dei giorni rimarrà però osservabile solo alla sera. La sua luminosità dovrebbe raggiungere la sesta magnitudine a fine mese, con l’oggetto che sarà facilmente alla portata di piccoli binocoli sotto cieli degni. Bellissimo incontro prospettico il giorno 22, quando la cometa transiterà a circa tre gradi dalla Grande Galassia del Triangolo M33, momento da immortalare con un’immagine a largo campo. Il 31 sarà invece rintracciabile a ridosso di Hamal, la stella Alfa dell’Ariete.

Cartina della 12P in marzo. Le stelle più deboli sono di magnitudine 8.

C/2021 S3 PanSTARRS

Cometa molto deludente, tanto che la sesta magnitudine prevista dalle curve di luce di tempo fa non sarà neanche avvicinata. Dal Serpente si sposterà nella Volpetta, “percorrendo “un buon tratto di volta celeste. A inizio mese la cercheremo nell’ultima parte della notte mentre, con il progredire di marzo, sarà osservabile anche prima. A metà mese, in concomitanza con il passaggio alla minima distanza dalla Terra, raggiungerà la magnitudine picco che dovrebbe aggirarsi attorno ad una modestissima decima grandezza.

Cartina della S3 in marzo. Le stelle più deboli sono di magnitudine 9.

Se vuoi seguire l’evoluzione della 12p/Pons-Brooks leggi:

Comete di Febbraio
Comete di Gennaio
Comete di Dicembre

 


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SUPERNOVAE: aggiornamenti Marzo 2024

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RUBRICA SUPERNOVAE COELUM   N. 118

Non avevamo fatto in tempo ad inserirla nella precedente rubrica perché giunta alla fine del mese di gennaio, ma la lista di supernovae amatoriali di questo inizio 2024 si allunga con una nuova scoperta che arriva dagli Stati Uniti.

A metterla  a segno è stato un veterano della ricerca di supernovae amatoriali che vanta al suo attivo non molte supernova, nove per la precisione, ma quasi tutte molto luminose, fra cui spicca la famosa SN2017aew nella bella galassia a spirale NGC6946, che raggiunse la notevole mag.+12,5. Stiamo parlando dell’astrofilo americano Patrick Wiggins che nella notte del 29 gennaio ha individuato una stella nuova di mag.+15,5 nella galassia a spirale barrata NGC3206 posta nella costellazione dell’Orsa Maggiore a circa 60 milioni di anni luce di distanza.

Il nostro Claudio Balcon non si è lasciato sfuggire questa ghiotta occasione ed infatti, nella stessa notte del 29 gennaio a soli 15 ore dalla scoperta, ha classificato per primo nel TNS il nuovo transiente. La SN2024bch è una giovane supernova di tipo II scoperta pochi giorni dopo l’esplosione. Inizialmente le righe dell’Idrogeno erano strette (narrow) e pertanto con i primi spettri la classificazione volgeva verso il tipo IIn, dove la “n” sta per narrow cioè stretto. Successivamente con il passare dei giorni e delle settimane, le righe si sono allargate portando la classificazione finale verso una supernova di tipo II normale.

1) Immagine della SN2024bch in NGC3206 ripresa da Rolando Ligustri in remoto dalla Spagna con un telescopio Dall-Kirkam da 500mm F.6,8.
2) Immagine della SN2024bch in NGC3206 ripresa dall’astrofilo spagnolo Jordi Camarasa con un telescopio riflettore da 500mm F.6,9.
3) Immagine della SN2024bch in NGC3206 ripresa dall’astrofilo francese Robert Cazilhac con un telescopio C14 F.11 somma di 50 immagini da 10 secondi.

Abbiamo perciò contattato il bravo astrofilo americano per avere delle informazioni sulla sua attuale attività di ricerca. Patrick ha 74 anni e vive vicino a Salt Lake City nello Utah. Collabora con il Dipartimento di Fisica e Astronomia dell’Università dello Utak e questo lo porta a presentare programmi di fisica ed astronomia nelle scuole locali. Ha iniziato a fare ricerca di supernovae il 24 gennaio 2011 ed in questi tredici anni ha trascorso 2354 notti a “caccia di stelle che esplodono” ottenendo la scoperta di nove supernovae. Dispone di un piccolo osservatorio con tetto apribile costruito sul resto della sua abitazione e utilizza un telescopio Celestron Schmidt/Cassegrain da 35 cm con CCD ST-10 SBIG. Entrambi sono vecchi, così come il software Software Bisque e Paramount che utilizza, ma funzionano molto bene. Con questa strumentazione Patrick segue una lista selezionata di circa 300 galassie ed ogni sera che è sereno cerca di riprenderne e controllarne il maggior numero possibile. Queste realtà amatoriali, dal Giappone e dagli Stati Uniti, come anche dalla Cina con il cinesi del programma Xoss, sono la dimostrazione che con costanza, rapidità e target appropriati, è ancora possibile ottenere delle preziose e gratificanti scoperte, riuscendo a battere sul tempo i programmi professionali dedicati a questo tipo di ricerca.

4) Immagine della SN2024bch in NGC3206 ripresa Massimo Marchini con un rifrattore da 151mm F.7 somma di 69 immagini da 180 secondi.
5) Immagine della SN2024bch in NGC3206 ripresa da Gianluca Masi con un telescopio C14 somma di 8 immagini da 180 secondi.

 

Patrick Wiggins accanto al suo telescopio Celestron.

 

Transiti ISS notevoli per il mese di Marzo 2024

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Transiti ISS notevoli per il mese di Marzo 2024

La ISSStazione Spaziale Internazionale sarà rintracciabile nei nostri cieli sia ad orari mattutini che serali. Avremo molti transiti notevoli con magnitudini elevate durante il primo mese della Primavera, auspicando come sempre in cieli sereni.

 

04 Marzo

Si inizierà il giorno 4 Marzo, dalle 06:01 alle 06:10, osservando da NO a SE. Visibilità perfetta da tutto il paese per uno dei migliori transiti del mese con una magnitudine massima che si attesterà su un valore di -3.8.

05 Marzo

Si replica il 5 Marzo, dalle 05:14verso NO alle 05:21 verso ESE. La ISS sarà nuovamente ben visibile da tutta Italia, con magnitudine di picco a -3.3. Osservabile senza problemi, meteo permettendo.

07 Marzo

Passando al 7 Marzo, dalle 05:13 alle 05:19, da O a SE, la ISS sarà osservabile al meglio dalle isole maggiori per questo transito parziale. Magnitudine massima a -3.7 non appena la Stazione Spaziale uscirà dall’ombra della Terra.

14 Marzo

Saltando una settimana, ed iniziando con i transiti serali, il 14 Marzo avremo un nuovo transito parziale dalle 19:20in direzione SO alle 19:27 in direzione ENE. Visibilità migliore dal Centro-Sud Italia, con magnitudine massima di -3.6.

16 Marzo

Il 16 Marzo, la Stazione Spaziale transiterà dalle19:18 alle 19:26, da OSO a NE. Visibilità ottima dal Centro Nord Italia per questo passaggio. Magnitudine massima a -3.5.

29 Marzo

Arrivando a fine mese, avremo il miglior transito serale del mese il 29 Marzo, dalle 19:52alle 19:58, da NO a SE, osservabile al meglio da tutta la nazione, con magnitudine massima a -3.7.

30 Marzo

L’ultimo transito notevole del mese sarà osservabile al meglio dal Nord Est e regioni Adriatiche, il 30 Marzo. Dalle 19:02 alle 19:11, da NO ad ESE. Magnitudine di picco a -3.5.

N.B. Le direzioni visibili per ogni transito sono riferite ad un punto centrato sulla penisola, nel centro Italia, costa tirrenica. Considerate uno scarto ± 1-5 minuti dagli orari sopra scritti, a causa del grande anticipo con il quale sono stati calcolati.

In caso di Booster della ISS eseguiti nei giorni successivi alla pubblicazione dell’articolo gli orari possono differire anche in maniera significativa. Vi invitiamo a controllare sempre il sito https://www.heavens-above.com/ soprattutto in caso di programmazione di una sezione di osservazione.


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Odysseus mantiene le comunicazione con la terra

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Il 22 febbraio 2024, il lander lunare Odysseus di Intuitive Machines cattura un'immagine ad ampio campo visivo del cratere Schomberger sulla Luna a circa 125 miglia (200 km) sopra il sito di atterraggio previsto, a circa 6 miglia (10 km) di altitudine.
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Il lander lunare “Odysseus” della società americana Intuitive Machines atterrato con successo sulla Luna nella notte tra il 22 e il 23 febbraio ha iniziato ad inviare scatti dal sito di atterraggio

Odysseus continua a comunicare con i controllori di volo di Nova Control dalla superficie lunare. Dopo aver testato ed avviato i requisiti di comunicazione end-to-end, la sonda aveva inviato immagini dalla superficie lunare durante la sua discesa verticale fino a Malapert A sito di atterraggio, ad oggi il punto più a sud del nostro satellite in cui qualsiasi missione sia mai atterrata.

Odysseus ha catturato l’immagine circa 35 secondi dopo essersi ribaltato durante il suo avvicinamento al luogo di atterraggio. In questa fase la telecamera si trova a poppa del lander.

Gli algoritmi di navigazione avevano rilevato ben nove siti di atterraggio sicuri intorno al polo sud preso di mira, un’area che contiene regioni permanentemente in ombra probabilmente ricche di risorse, compreso il ghiaccio d’acqua che potrebbe essere utilizzato per la futura propulsione e supporto vitale sulla Luna.

Il 24 febbraio, la navicella spaziale Lunar Reconnaissance Orbiter (LRO) della NASA è passata sopra il sito di atterraggio a un’altitudine di circa 90 km e ha fotografato Ulisse.

Il Lunar Reconnaissance Orbiter della NASA ha catturato questa immagine del lander Nova-C delle Intuitive Machines, Odysseus, sulla superficie della Luna il 24 febbraio 2024, alle 13:57 EST). Ulisse è atterrato a 80,13 gradi di latitudine sud, 1,44 gradi di longitudine est, ad un’altitudine di 8.461 piedi (2.579 metri). L’immagine è larga 3.192 piedi (973 metri) e il nord lunare è in alto. (Telaio LROC NAC M1463440322L)
NASA/Goddard/Università statale dell’Arizona

I controllori di volo intendono raccogliere quanti più dati possibili finché i pannelli solari del lander saranno esposti alla luce, prevedibilmente fino alla mattina di martedì 27 febbraio.

Fonti: Space.com, Nasa, Intuitive Machine

Il problema dei tre corpi: una nuova speranza per la dinamica stellare

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Stella binaria interagente HD101584. Crediti: ALMA (ESO/NAOJ/NRAO), Olofsson et al.
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La complessa questione della formazione binaria a tre corpi

 

Il problema dei tre corpi, nato con la teoria della gravitazione newtoniana, rimane ad oggi una delle questioni aperte più complesse in dinamica stellare, la branca dell’astrofisica che studia gli effetti generati dal moto delle stelle e la loro influenza sull’ambiente circostante. La difficoltà nell’individuare una trattazione matematica ad hoc che sia al contempo efficace e poco dispendiosa dal punto di vista computazionale ha sempre introdotto forti limitazioni nell’analisi di certi fenomeni, come la formazione binaria a tre corpi. Ma, se in passato ciò ha costituito un ostacolo quasi insormontabile, ora un ritrovato spirito combattivo sembra diffondersi nel mondo della ricerca grazie alla pubblicazione di un nuovo codice simulativo basato su un metodo d’integrazione diretta all’avanguardia.

 

La maggioranza delle stelle nell’Universo è parte di sistemi binari: alcune di esse nascono già legate tra loro nella nube molecolare originaria (i.e., binarie primordiali), mentre altre si uniscono nel corso della loro vita per interazione di tipo gravitazionale, soprattutto in ambienti densi come gli ammassi globulari (i.e., binarie dinamiche). A questo proposito, svariati sono i meccanismi che intervengono a vincolare due stelle inizialmente isolate: la frizione dinamica all’interno di un mezzo gassoso, la dissipazione di energia orbitale per effetto delle forze di marea con conseguente restringimento dell’orbita stessa (i.e., cattura mareale), e l’emissione di onde gravitazionali durante il passaggio ravvicinato di due oggetti compatti (i.e, cattura gravitazionale). Inoltre, si riscontra la generazione di sistemi binari anche a seguito dell’incontro fra tre corpi interagenti che subiscono una deflessione delle rispettive orbite e sono perciò indotti ad entrare in contatto tra loro: di essi, uno agisce da catalizzatore trasferendo la propria energia potenziale gravitazionale agli altri due, che la convertono in energia cinetica per associarsi, e venendo espulso al termine del processo. Tale fenomeno, chiamato formazione binaria a tre corpi (i.e., three-body binary formation, 3BBF), è però generalmente poco indagato rispetto a quelli summenzionati. La mancanza d’interesse per la 3BBF si deve alla storica credenza che il suo tasso di produzione di sistemi binari sia globalmente trascurabile, ovvero non rilevante nell’arco dell’intera esistenza dinamica degli ammassi stellari. Questo finché non si scoprì che essa era accresciuta dalla presenza dei buchi neri, molto comune in contesti stellari simili. Ulteriore motivo di passata indifferenza verso la 3BBF è rappresentato dalla convinzione che essa tenda ad avere come esito binarie “soft”, destinate cioè ad essere facilmente distrutte da successivi eventi perturbativi a causa della notevole distanza tracomponenti, contrariamente a quelle “hard”. Tuttavia, nonostante la scarsa longevità, le binarie soft si formerebbero così frequentemente che la probabilità che una piccola frazione di esse riesca a sopravvivere grazie ad un restringimento dell’orbita risulterebbe piuttosto elevata.

Schema del problema a tre corpi. Crediti: Rhett Allain.

Ergo, ignorare il contributo della 3BBF nella realizzazione di modelli teorici sul ruolo dinamico della binarietà è sconsigliabile, benché obiettivamente vantaggioso in quanto limitante la complessità di calcolo e il dispendio computazionale. Infatti, le simulazioni a N-corpi richiedono algoritmi troppo elaborati per risolvere le interazioni a tre corpi in tempi accettabili e, viceversa, le tecniche Monte Carlo adottano semplificazioni spesso eccessive in vista di un’ottimizzazione della relativa performance. Un nuovo metodo di integrazione diretta sembra nondimeno in grado di superare tali difficoltà attraverso una rivisitazione del duplice lavoro di ricerca denominato AH76, il quale, basandosi su uno schema di campionamento Monte Carlo poco accurato, assumeva che la 3BBF avvenisse fra tre corpi inizialmente slegati (i.e., three unbound bodies, 3UB) di uguale massa e in modo non ricorrente. Mediante l’utilizzo dell’integratore TSUNAMI e del pacchetto Python CUSPBUILDING, il modello AH76 è stato quindi modificato correggendo le inconsistenze dell’inerente schema Monte Carlo e aumentando significativamente il numero di scattering 3UB per ottenere una più solida statistica. L’aggiunta delle espansioni post-newtoniane (i.e., metodi matematici per trovare delle soluzioni approssimate alle equazioni della relatività generale di Einstein) consente di includere nella trattazione della 3BBF pure i buchi neri e l’associata fenomenologia.

Formule per la trattazione semplificata di un sistema binario all’interno di un
tipico codice simulativo a N-corpi: grazie alla riduzione al riferimento del centro
di massa (CoM), il sistema viene visto come un unico oggetto in dinamica
stellare. Crediti: Michela Mapelli.

Il primo evidente risultato dell’applicazione del così revisionato codice simulativo è che la 3BBF favorisce l’accoppiamento dei due corpi interagenti meno massivi nel caso delle binarie soft, e di quello più massivo con quello meno massivo nel caso delle binarie hard. Da notare, poi, che le prime, prodotte in percentuale molto più alta rispetto alle seconde, sono caratterizzate per lo più da orbite larghe ed eccentriche come quelle osservate dalla missione Gaia. Ciò conferma allora che, sebbene aventi un tempo di vita generalmente breve, alcune binarie soft comunque esistono: pertanto, ometterle dalla descrizione dello stato dinamico di un sistema stellare condurrebbe ad una visione parzialmente errata. Per converso, l’inserimento degli effetti post-newtoniani nella 3BBF stimola la generazione di binarie hard di buchi neri tramite l’emissione di onde gravitazionali che si verifica nel corso dell’interazione con il terzo corpo. Poiché questo canale di formazione acquista rilievo soltanto negli ammassi nucleari per via della loro notevole densità, si può tenere conto di questa declinazione della 3BBF in maniera selettiva. Qualora invece la 3BBF avvenga in ammassi globulari, con la sua tipica combinazione di due stelle di sequenza principale e un buco nero, si trova che le collisioni con altre stelle vicine non impattano fortemente sul processo purché esso abbia come frutto una binaria hard. Infine, si constata che il meccanismo della 3BBF promuove l’espulsione ad alta velocità del corpo catalizzatore, che può riuscire addirittura a scappare dall’ammasso ospite, divenendo perciò una stella fuggitiva (i.e., runaway star) all’interno dell’alone galattico. Ciò sembra valere specialmente per stelle catalizzatrici di sequenza principale, che lasciano di norma un neonato sistema binario hard composto o da una stella analoga e da un buco nero o da due buchi neri.

Riassumendo, questo studio dettagliato sulla 3BBF dimostra, in accordo con le premesse, l’importanza di non dare per scontato che fenomeni considerati meno probabili non incidano sulla determinazione dello stato fisico di un sistema stellare. Invero, a discapito dei vecchi pregiudizi scientifici, si conclude che una frazione di binarie soft non viene sciolta, essendo tuttora osservabile con i telescopi spaziali, che l’emergenza degli effetti post-newtoniani e delle collisioni dipende dalle proprietà ambientali, e che parte della popolazione di runaway stars nella Via Lattea risulta naturalmente spiegata. Eppure, questo non è altro che un mero punto di partenza: molto lavoro resta ancora da fare per esplorare tutte le sfaccettature del problema 3UB, che si configura come centrale per la comprensione della dinamica stellare. Si attendono dunque future e più sofisticate implementazioni di tale nuovo, promettente approccio simulativo per immergersi a fondo in questo affascinante settore fisico-matematico dell’odierna astrofisica teorica.

Fonte: arXiv.


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Allunaggio di successo per il lander lunare privato “Odysseus” di Intuitive Machines

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Odysseus passa sopra il lato vicino della Luna dopo l'inserimento nell'orbita lunare il 21 febbraio. Il lander fino al 21 febbraio ha goduto di ottima salute. Crediti: Intuitive Machine
Odysseus passa sopra il lato vicino della Luna dopo l'inserimento nell'orbita lunare il 21 febbraio. Il lander fino al 21 febbraio ha goduto di ottima salute. Crediti: Intuitive Machine
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Il lander lunare “Odysseus” della società americana Intuitive Machines è atterrato con successo sulla Luna nella notte tra il 22 e il 23 febbraio, diventando il primo lander commerciale a raggiungere la superficie lunare.

Lancio e viaggio

Odysseus è stato lanciato il 15 febbraio 2024 da un razzo Falcon 9 di SpaceX dalla base di Cape Canaveral in Florida. Dopo quindi circa una settimana di viaggio il lander ha compiuto e completato tutte le manovre di atterraggio. Intorno alle 03:00 ora italiana del 23 febbraio 2024 la società Intuitive Machine ha dichiarato che il modulo lunare Odysseus è posizionato in verticale e pronto a trasmettere dati.

Si tratta di uno storico risultato per la NASA che mancava dal suolo lunare da ben 52 anni, cioè da quando il nostro satellite è stato visitato per l’ultima volta dall’apollo 17 nel dicembre 1972.

Il lander lunare Odysseus di Intuitive Machines è atterrato sulla superficie lunare.
Macchine intuitive / NASA

La Missione dall’assegnazione al Lancio

Nel 2019, CLPS ha selezionato Intuitive Machines a cui affidare la realizzazione di un lotto di strumenti scientifici della NASA destinati a studiare la Luna atterrando su essa con il lander Nova-C della stessa azienda. 

Dopo alcune modifiche, l’ordine di missione si è rivelato valere 118 milioni di dollari e coperto il trasporto di esperimenti di ben sei agenzie differenti un ottimo risultato per la missione IM-1 di Intuitive Machines. La missione prevede il lancio di un robot Nova-C chiamato Odysseus, dal nome del famoso eroe viaggiatore della mitologia greca.

Gli strumenti della NASA, il cui sviluppo è costato all’agenzia altri 11 milioni di dollari, sono progettati per condurre una serie di indagini. Ad esempio, uno di essi, chiamato NDL (“Navigation Doppler Lidar for Precise Velocity and Range Sensing”) utilizza la tecnologia LIDAR (light Detection and Range) per raccogliere dati durante la discesa e l’atterraggio. E’ proprio questo ultimo strumento che poi si è rivelato fondamentamentale per la ruscita della missione. 

Un altro strumento è stato progettato per studiare come lo scarico del motore della navicella interagisce con le polveri e la roccia lunare. Un altro ancora dimostrerà la tecnologia di posizionamento autonomo, che potrebbe eventualmente diventare parte di un ampio sistema di navigazione simile al GPS sulla Luna e nei suoi dintorni.

Intuitive Machines ha anche messo sei carichi utili commerciali su Odysseus per IM-1. Uno di questi viene dalla Columbia Sportswear , che ha voluto testare il suo materiale isolante “Omni-Heat Infinity” nello spazio profondo. Un altro è composto da una serie di sculture dell’artista Jeff Koons, e c’è anche un “deposito lunare sicuro” che mira a preservare il magazzino della conoscenza accumulata dall’umanità.

Su Odysseus opera anche EagleCam, un sistema di telecamere costruito dagli studenti della Embry-Riddle Aeronautical University. EagleCam è stata progettata per essere posizionata dall’Odysseus a circa 30 metri sopra la superficie lunare e scattare foto dell’epico atterraggio del lander dal basso. Puoi saperne di più su tutti i 12 payload dell’IM-1 qui.

Allunaggio

Ulisse è arrivato in orbita lunare il 21 febbraio come previsto. il 22, durante il tentativo di atterraggio, gli assistenti del lander hanno scoperto che i telemetri laser di Odysseus, che gli consentivano di determinare la sua altitudine e velocità orizzontale, non funzionavano correttamente. Il team ha avuto la brillante idea di mettere in servizio il carico utile sperimentale NDL della NASA per questa funzione vitale, posticipando il tentativo di atterraggio di due ore.

Un tentativo disperato, ma forse già considerato fra i vari piani di emergenza, che ha richiesto al team di progettare una patch software a terra e trasmetterla su Odysseus, per fortuna il tutto ha funzionato. Alle 18:11 EST (23:11 GMT) del 22 febbraio, Odysseus ha acceso il suo motore principale per 11 minuti per rallentare la discesa del velivolo verso la superficie lunare. Quindi, alle 18:23 EST (2353 GMT), Ulisse è atterrato dolcemente vicino al bordo del cratere Malapert A, a circa 190 miglia (300 chilometri) dal polo sud lunare.

Ci sono voluti circa 15 minuti di tensione perché la squadra dell’IM-1 si agganciasse al segnale di Odysseus e ne confermasse il successo.

I dipendenti di Intuitive Machines festeggiano dopo il riuscito atterraggio del lander lunare Odysseus dell’azienda il 22 febbraio 2024. (Credito immagine: NASA TV)

 

Attività sulla Luna

Dopo l’atterraggio, Odysseus ha dispiegato i suoi quattro piedi e ha iniziato a trasmettere immagini e dati dalla superficie lunare. Il lander rimarrà sulla Luna per almeno 14 giorni, durante i quali condurrà una serie di esperimenti scientifici e tecnologici.

Missioni atterrate sulla Luna dal 2000 

Nonostante l’attenzione mediatica verso il programma Artemis e le mire statunitensi sul territorio lunare ricordiamo le ultime missioni promosse da altre agenzie spaziale che dal 2000 in poi hanno puntato e in alcuni casi conquistato con successo la Luna. Ricordiamo che ad oggi gli stati che hanno raggiunto il suolo lunare sono in ordine: Unione Sovietica, Stati Uniti, Cina e India.

2003: Chang’e 1 (Cina): Prima sonda cinese ad orbitare la Luna.

2007: SELENE (Giappone): Orbiter e lander che hanno rilasciato un rover sulla superficie lunare.

2008: Chandrayaan-1 (India): Orbiter in ordita appunto intorno alla Luna che ha lanciato sulla superficie del satellite un impattatore

2013: Chang’e 3 (Cina): Seconda sonda cinese ad atterrare sulla Luna, con un rover a bordo.

2019: Chang’e 4 (Cina): Prima sonda ad atterrare sul lato nascosto della Luna, con un rover a bordo

2020: Chang’e 5 (Cina): Missione di prelievo di campioni lunari, che ha riportato sulla Terra circa 2 kg di rocce

2023: Chandrayaan-3 sonda lunare indiana lanciata il 14 luglio 2023 alle 09:05 UTC (14:30 locali) e allunata con successo il 23 agosto 2023

 

Fonti: Space.com, Nasa, Intuitive Machine

Neutrino sterile e materia oscura: un nuovo modello per il centro galattico

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Neutrini attivi (i.e., elettronico, muonico e tauonico), parte del Modello Standard delle particelle, e neutrino sterile, ipotetico componente della materia oscura, non predetti da esso. Crediti: IceCube - University of Wisconsin.
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Decadimento di neutrini sterili: un nuovo modo per rivelare la materia oscura?

 

La natura elusiva della materia oscura rende difficile ottenere prove della sua esistenza e determinarne la composizione sfruttando le sue manifestazioni gravitazionali: per questo motivo metodi di rilevamento di tipo indiretto, tipici della fisica astroparticellare, stanno acquisendo sempre maggiore importanza. Essi si basano sull’individuazione di fenomeni che interesserebbero le ipotetiche particelle costituenti la materia oscura, come decadimenti e annichilazioni: tra questi, il decadimento a due corpi dei neutrini sterili sembra essere responsabile dell’aumentata emissione X osservata sia nell’alone che attorno al centro galattico. Uno studio, che combina l’utilizzo di vari modelli teorici per riprodurre il profilo di densità della materia oscura nella Via Lattea e le predizioni sugli esiti delle future osservazioni con il nuovo telescopio XRISM, fornisce predizioni sul flusso di decadimento di neutrini sterili nella Galassia che ci si aspetta di misurare entro i prossimi 15 anni.

 

Determinare la composizione della materia oscura rappresenta una delle più ardue sfide che il mondo dell’astrofisica ha dovuto affrontare negli ultimi decenni per via della natura elusiva di questa. Considerata la mancanza di flusso luminoso, sembra che la sua presenza si manifesti sia attraverso effetti gravitazionali su larga scala sia attraverso decadimenti particellari: per questa ragione, i metodi di rilevamento indiretto hanno acquisito particolare importanza nel fornire stime ed effettuare misure. Essi, infatti, si basano sull’individuazione dei rari casi in cui le ipotetiche particelle di materia oscura, decadendo o annichilendosi, emetterebbero radiazione elettromagnetica, poiché questa risulta facilmente distinguibile da quella inerente i processi astrofisici. Un simile segnale è stato osservato nel range dei keV: si tratta di un eccesso di emissione di raggi X al preciso valore di energia 3.55 keV presente in ambienti diversi, come negli ammassi di galassie Virgo e Perseo, ma, soprattutto, come il centro e l’alone della Via Lattea. La riga spettrale di emissione così prodotta sarebbe compatibile con il decadimento a due corpi (i.e., con formazione di due nuove particelle) di una particella di materia oscura con massa-energia pari a 7.1 keV. Si identifica un possibile candidato nel neutrino sterile, cosiddetto perché interagente solo con la gravità al contrario dei suoi fratelli attivi (i.e., i neutrini elettronico, muonico e tauonico del Modello Standard), che subiscono la forza debole. Per poter caratterizzare tale riga e associarla ad una simile sorgente è necessario disporre di uno spettrometro di raggi X ad alta risoluzione, come Resolve della missione XRISM lanciata dalla NASA lo scorso settembre. Nello specifico, il centro galattico si configura come il luogo ideale per l’utilizzo di Resolve dato il suo legame diretto con l’alone, dominato dalla materia oscura: il segnale prodotto dal decadimento di un neutrino sterile sarebbe pertanto il medesimo in questo e nel centro galattico.

Tuttavia, una delle maggiori fonti di incertezza nell’identificazione del detto segnale all’interno della Via Lattea è costituita dalla forma del profilo di densità della materia oscura, che mostra come essa si distribuisce in funzione del raggio. Il profilo di densità più frequentemente adottato per modellizzare l’alone della Galassia allo scopo di studiarne l’emissione X è il Navarro–Frenk–White (NFW), dipendente da un parametro chiamato raggio scala e valido nell’ipotesi di simmetria sferica. Esistono però delle alternative per facilitare tale operazione, come ad esempio un profilo di densità contratto per valori del raggio superiori a 1 kpc e piatto per valori inferiori, che estende i limiti della zona d’indagine imposti dal profilo NFW fino al centro galattico.

Profili di densità per gli aloni di materia oscura: i modelli
NFW (linee colorate) sono confrontati con i modelli NFW
Mc17 (linea grigia), contratto Ca20 (linea nera) e piatto
(linea tratteggiata). Crediti: arXiv.

Un recente lavoro di ricerca illustra proprio come la scelta del profilo di densità influenzi la ricezione del flusso di decadimento delle particelle di materia oscura in banda X. Quattordici diversi modelli sono stati messi pertanto a confronto: 10 profili NFW, differenti per valore del raggio scala, 1 profilo piatto entro 3 kpc dal centro galattico, 2 noti profili in letteratura, ovvero il profilo contratto Ca20 e il profilo NFW Mc17, e 1 profilo misto contratto-piatto Ca20c. Riassumendo, si hanno complessivamente 11 profili a simmetria sferica (i.e, Mc17 e i 10 aloni NFW), 1 profilo contratto (i.e., Ca20), 1 profilo piatto e un profilo dato dall’intersezione tra i profili contratto e piatto a 2 kpc (i.e., Ca20c). Per ciascun profilo è stata poi calcolata l’intensità dell’emissione X relativa al supposto decadimento di un neutrino sterile in funzione dell’angolo d’inclinazione rispetto al centro galattico 𝜃GC. Si trova quindi che il profilo contratto aumenta fortemente l’intensità del flusso di neutrini sterili ad angoli 𝜃GC<20◦, sopprimendola invece ad angoli maggiori, e che il profilo piatto la diminuisce ad angoli 𝜃GC< 10◦. Combinati insieme, i due risultati indicano allora che l’assunzione di un profilo contratto inibisce la radiazione X nelle parti più esterne della Galassia e la alimenta attorno al centro galattico, dove però viene ulteriormente bloccata dalla presenza del profilo piatto.

Andamento dell’intensità dell’emissione X in funzione
dell’angolo rispetto al centro galattico 𝜃GC per i vari modelli
analizzati. In particolare, il profilo Ca20 (linea nera solida) mostra
un aumento dell’intensità per angoli 𝜃GC < 10◦, mentre il profilo
Ca20c (linea nera tratteggiata) una diminuzione di questa. Ciò
accade per l’effetto smorzante del profilo piatto con cui Ca20 è
combinato per formare Ca20c. Crediti: arXiv.

Il modello realizzato assumendo il profilo Ca20c pare dare giustificazione dell’intensa emissione X proveniente dal centro galattico, ma per verificarne la correttezza è necessario convalidarlo effettuando un controllo incrociato con i dati osservativi. Invero, il flusso di decadimento di neutrini sterili che ci si aspetta di ottenere da XRISM secondo il modello Ca20c deve essere consistente con quello atteso in ambienti diversi dal centro galattico a seguito di misure con il medesimo strumento. Tale flusso atteso è stato perciò calcolato anche per gli ammassi di galassie Virgo e Perseo, rivelandosi però compatibile con quello relativo al centro galattico solo nel caso di Virgo a causa delle difficoltà osservative concrete che si incontrerebbero in Perseo. Espandendo il campione di sistemi stellari di test ad oggetti con proprietà fisiche non esattamente analoghe, come la galassia nana sferoidale Draco e il famoso Bullet cluster, grazie alle nuove tecnologie si potrebbero infine ricavare prove a favore dell’esistenza dei neutrini sterili come particelle costitutive della materia oscura entro i prossimi 15 anni.

Fonte: arXiv.


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25^ Mostra di Astronomia e Astronautica: Stelle, pianeti e misteri dell’universo a Villa Farsetti

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A Villa Farsetti di Santa Maria di Sala un nuovo appuntamento con le stelle

25^ edizione della Mostra di Astronomia e Astronautica

 

La manifestazione, organizzata dal Gruppo Astrofili Salese “G. Galilei”, si svolgerà dal 3 al 10 Marzo 2024 e offrirà nuove sezioni tematiche, osservazione del cielo, visite al Planetario e un concerto. Inaugurazione il giorno 2 Marzo alle ore 16.00.

“Quest’anno celebriamo il venticinquesimo appuntamento con la Mostra di Astronomia e Astronautica, un evento che è iniziato tanti anni fa come una scommessa, e che nel tempo è cresciuto sempre più, coinvolgendo grandi nomi della fisica e dell’astronomia, e portando a santa Maria di Sala migliaia di appassionati da tutta Italia”.

Lo ha detto Tino Testolina, presidente del Gruppo Astrofili Salese “G. Galilei”, illustrando il programma e le novità della “25^ Mostra di Astronomia e Astronautica”, che si terrà a Villa Farsetti di Santa Maria di Sala dal 3 al 10 Marzo 2024, con inaugurazione il giorno 2 Marzo alle ore 16.00.

La mostra conterà 22 sezioni tematiche nei due piani della monumentale villa, mentre nel giardino esterno si potrà osservare il cielo con i telescopi e passeggiare tra i pianeti nella ricostruzione del sistema solare in scala di riduzione. Sarà inoltre possibile godere degli spettacoli del Planetario, situato nei pressi della villa, presso l’Osservatorio di viale Ferraris 1.

Infine, per celebrare i 25 anni della mostra, Sabato 9 Marzo alle ore 18.00 in Sala Teatro a villa Farsetti sarà offerto un “Concerto Musicale Spaziale” con Franco Guidetti, ad entrata libera.

“L’edizione 2024 presenterà una serie di nuove sezioni espositive – ha aggiunto Testolina – imperdibili per tutti gli appassionati di Astronomia, sulla Missione Gaia e JWST, su peso, massa, gravità, buchi neri e buchi bianchi, sui personaggi dell’Astronomia e sulle costellazioni tra storia e mito. A Villa Farsetti sono già attesi un migliaio di ragazzi, provenienti da istituti scolastici di tutto il Veneto, che hanno già prenotato la propria presenza”.

La manifestazione è patrocinata da Regione Veneto, Città Metropolitana di Venezia, Comune di Santa Maria di Sala, INAF-Osservatorio Astronomico di Padova e dalla società EIE GROUP.

Orario apertura Mostra:
Da Lunedì a Venerdì: 9:00-13:00
Sabato e Domenica: 9:00-20:00

 

Prezzi:
Intero: € 10,00 + € 2,00 con visita Planetario
Ridotto (da 11 anni a 26 anni e oltre 65 anni): € 6,00 + € 2,00 con visita Planetario

L’intero incasso verrà utilizzato per sostenere le spese della mostra e per finanziare l’opera di divulgazione dell’associazione no profit Gruppo Astrofili Salese.

Santa Maria di Sala, 22/02/2024.

Per ulteriori informazioni:

Tel. 3280662486

Web: www.astrosalese.it – Facebook: https://www.facebook.com/GruppoAstrofiliSalese interstellare.

L’Oggetto più Luminoso mai Osservato

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Questa rappresentazione artistica mostra il quasar da record J059-4351, il nucleo luminoso di una galassia lontana alimentato da un buco nero supermassiccio. Credit: ESO/M. Kornmesser
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Scoperto il buco nero con la crescita più rapida: 17 miliardi di masse solari e 500 trilioni di volte più luminoso del Sole

VLT dell’ESO trova il quasar più luminoso: un buco nero che inghiotte un Sole al giorno

Sintesi

Utilizzando il VLT (Very Large Telescope) dell’ESO (l’Osservatorio Europeo Australe), alcuni astronomi hanno caratterizzato un quasar brillante, trovando che non solo è il più brillante della sua classe, ma anche l’oggetto più luminoso mai osservato. I quasar sono i nuclei luminosi di galassie distanti e sono alimentati da buchi neri supermassicci. La massa del buco nero di questo quasar da record cresce dell’equivalente di un Sole al giorno, rendendolo il buco nero con la crescita più rapida trovato fino a oggi.

I buchi neri che alimentano i quasars raccolgono la materia dall’ambiente circostante in un processo energetico in grado di emettere grandi quantità di luce, così che i quasar diventano di fatto gli oggetti più luminosi nel cielo, visibili anche quando molto distanti dalla Terra. Come regola generale, i quasar più luminosi indicano i buchi neri supermassicci che crescono più rapidamente.

Abbiamo scoperto il buco nero con la crescita più rapida finora conosciuto. Ha una massa di 17 miliardi di volte quella del nostro Sole e si nutre con poco più di un Sole al giorno. Questo lo rende l’oggetto più luminoso dell’Universo conosciuto”, afferma Christian Wolf, astronomo dell’Università Nazionale Australiana (ANU) e autore principale dello studio pubblicato su Nature Astronomy. Il quasar, chiamato J0529-4351, è così lontano dalla Terra che la sua luce ha impiegato oltre 12 miliardi di anni per raggiungerci.

La materia attirata verso questo buco nero, sotto forma di disco, emette così tanta energia che J0529-4351 è oltre 500 trilioni di volte più luminoso del Sole [1]. “Tutta questa luce proviene da un disco di accrescimento caldo che misura sette anni luce di diametro: deve essere il disco di accrescimento più grande dell’Universo“, afferma Samuel Lai, dottorando all’ANU e coautore dell’articolo. Sette anni luce equivalgono a circa 15.000 volte la distanza dal Sole all’orbita di Nettuno.

E, cosa sorprendente, questo quasar da record era solo apparentemente nascosto. “È una sorpresa che sia rimasto sconosciuto fino a oggi, quando conosciamo già un milione circa di quasar meno notevoli. Finora ci ha guardato letteralmente negli occhi!”, dice il coautore Christopher Onken, astronomo dell’ANU, sottolineando che compare già nelle immagini della Schmidt Southern Sky Survey dell’ESO risalente al 1980, eppure non è stato riconosciuto come quasar fino a decenni dopo.

Trovare quasar richiede dati osservativi precisi da vaste aree del cielo. La mole dei dati può risultare così grande che i ricercatori spesso utilizzano modelli di apprendimento automatico (machine-learning) per analizzare e distinguere i quasar da altri oggetti celesti. Tuttavia, questi modelli vengono addestrati su dati esistenti, il che limita i potenziali candidati a oggetti simili a quelli già noti. Se un nuovo quasar fosse più luminoso di tutti quelli osservati in precedenza, il programma potrebbe rifiutarlo e classificarlo invece come una stella non troppo distante dalla Terra.

Un’analisi automatizzata dei dati del satellite Gaia dell’Agenzia Spaziale Europea ha escluso J0529-4351 perchè troppo luminoso per essere un quasar, suggerendo invece che si trattasse di una stella. I ricercatori lo hanno identificato come quasar soltanto nello scorso anno, utilizzando le osservazioni del telescopio ANU da 2,3 metri di diametro, presso l’Osservatorio di Siding Spring in Australia. Scoprire che si trattava del quasar più luminoso mai osservato, tuttavia, richiese un telescopio più grande e misure effettuate con uno strumento più preciso. Lo spettrografo X-shooter installato sul VLT dell’ESO nel deserto cileno di Atacama ha fornito i dati cruciali.

Il buco nero con la crescita più rapida mai osservato sarà anche un obiettivo perfetto per quando l’aggiornamento di GRAVITY+ installato sull’VLTI (l’interferometro del VLT) dell’ESO, progettato per misurare con accuratezze la massa dei buchi neri, compresi quelli lontani dalla Terra. Inoltre, l’ELT (Extremely Large Telescope) dell’ESO, il telescopio di 39 metri di diametro in costruzione nel deserto cileno di Atacama, renderà ancora più fattibile l’identificazione e la caratterizzazione di tali oggetti così sfuggenti.

Trovare e studiare i buchi neri supermassicci distanti potrebbe far luce su alcuni dei misteri dell’Universo primordiale, tra cui il modo in cui essi e le galassie che li ospitano si sono formati ed evoluti. Ma non è l’unico motivo per cui Wolf li cerca. “Personalmente, mi piace semplicemente la caccia“, dice. “Per qualche minuto al giorno mi sento di nuovo un bambino, mentre gioco alla caccia al tesoro.”

Note

[1] Alcuni anni fa, la NASA e l’Agenzia spaziale europea riferirono che il telescopio spaziale Hubble aveva scoperto un quasar, J043947.08+163415.7, luminoso quanto 600 trilioni di Soli. Tuttavia, la luminosità di quel quasar era amplificata da una galassia “lente”, situata tra noi e l’oggetto. Si stima che la luminosità effettiva di J043947.08+163415.7 equivalga a circa 11 trilioni di Soli (1 trilione è un milione di milioni: 1 000 000 000 000 o 1012).

Fonte: ESO

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