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ASTROFOTOGRAFIA: Come nasce una passione per l’Universo Svelato

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Nello scorso numero 266 la prima APOC di sempre è stata assegnata a Lorenzo Busilacchi, astrofotografo sardo che da alcuni anni, non molti a dire il vero come scopriremo dal suo racconto, si dedica alla ripresa di oggetti del profondo cielo, ma proprio profondo, insomma.. lontani fino a mezzo miliardo di anni luce.

Busilacchi non è fotografo e la sua passione per le sfide e sincera e il suo approccio genuino ci ricorda come l’astronomia sia accessibile a tutti. Certo quello sopra la Sardegna è di certo un cielo che offre molti vantaggi ma non basta! Ci vuole impegno, pianificazione e pazienza certosina.

Il racconto di Lorenzo Busilacchi è nelle righe pubblicate in COELUM 267 con un’ampia carrellata delle sue meglio riuscite imprese. Qui di seguito, i lettori del sito, troveranno un’introduzione al lavoro e quale è stato l’approccio seguito.

L’UNIVERSO SVELATO: LA MIA PASSIONE PER L’ASTROFOTOGRAFIA

COME ACCADE CHE ALZANDO
GLI OCCHI VERSO IL CIELO
SI ACCENDA LA SCINTILLA

circa quattro anni fa ho tirato fuori il telescopio di mio padre, e da allora non mi sono
più fermato. Ho stretto alcune amicizie con le quali ho condiviso e condivido trasferte
fotografiche in luoghi con cieli bui (valore sqm 21) anche mezz’ora da casa come Is Concias, o più lontani verso Chia spiaggia di Cala Cipolla etc. É una passione talmente profonda che ho acquistato il mio primo strumento Newtoniano con montatura medio leggera HEQ5, e come camera una Sony 7s modificata proprio per il profondo cielo per diversi motivi, sia di trasportabilità che di costi, setup nuovo per avere una certa tranquillità e garanzia, sotto consiglio di amici esperti che conoscono il mercato della strumentazione sia di fotografia che astrofotografia. Tramite quello che considero il mio maestro di sempre ho capito che la mia passione era andare a caccia di soggetti sempre più distanti, e così sono passato dal glorioso Newton 200/800 f4, al Newton 200/1000
f5. Ho scelto questi due setup perchè all’inizio della passione, conoscendo meno sia
gli aspetti tecnici che la teoria che sta alla base del cielo profondo, dovevo sondare i
differenti soggetti cominciando da quelli più vicini che necessitano meno di focali
lunghe, bensì di campi più larghi strumenti luminosi come i Newtoniani.
La spesa iniziale può variare, in genere ad esempio si parte con una reflex, e
non camera astronomica collegata ad un obiettivo fotografico, installata su un astroinseguitore che segue la volta celeste durante le ore di acquisizione; si passa poi a setup più complessi con camere cmos raffreddate in base alla temperatura esterna regolabile, per generare meno rumore termico nelle singole foto che vengono sommate con appositi programmi. Con questa configurazione ho intuito presto che certi soggetti, come galassie e nebulose distanti anni luce, rimanevano fuori dalla portata di una buona definizione e profondità. In telescopi medi e di apertura inferiore ai 280 cm la definizione e il potere risolutivo, anche ritagliando l’immagine, non mi offrivano quella qualità e nitidezza che agognavo, specie nell’acquisire soggetti molto piccoli, limitando per altro significativamente la capacità di elaborare in maniera chiara i dettagli sia interni che esterni.
Tutti i limiti ovviamente sono dovuti a diversi fattori, il cielo in primis, ma anche appunto la strumentazione, che può essere idonea per alcuni target ma inadatta per altri a seconda della distanza e grandezza.

Nebulosa Elmo di Thor
Costellazione Cane Maggiore
Distanza circa 12.000 a.l.
Data 27-28/01/24 di Lorenzo Busilacchi

Il passaggio dal setup base a quello più avanzato è stato più complesso del previsto. Se da un lato infatti è stato indispensabile attendere le opportune possibilità economiche dall’altro ho preferito poter sperimentare le varie opzioni di configurazione, specie riguardo a quello che volevo riprendere o meno, cercando di differenziarmi sempre più dai classici oggetti noti.
Dietro ad ogni immagine astronomica c’è un impegno notevole, tuttavia una postazione fissa come la mia può semplificare il lavoro. Nel mio caso bastano pochi minuti per
allineare la stella polare con lo strumento nel giardino di casa dopo di che sono già pronto per acquisire.
Mi concedo di vantarmi di un’idea che si è rivelata nel tempo ottima. Il mio setup infatti è montato su un carrello che posso spostare a piacimento, in questo modo gestisco
tutto a pochi metri dal box che uso per ripararlo da intemperie e agenti atmosferici.

Il discorso dell’astrofotografia itinerante è differente, molto più difficile perché ogni volta
bisogna portare con sé la strumentazione, ma per la trattazione lascio la parola a qualcun altro.

Nebulosa planetaria Doppia Bolla NGC2371-2.
Primo esperimento in assouto a piena focale
anche come integrazione con tempi di acquisizione
brevi su soggetti così luminosi. Distanza circa 3900 a.l.
Costellazione dei Gemelli. Luna presente 92%
Data 21-22.01.24 di Lorenzo Busilacchi

[…]

L’articolo completo è su COELUM ASTRONOMIA N°267 prenotalo finché disponibile.

 

 

Editoriale COELUM 267

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Con i primi mesi del 2024 ci è conclusa l’ultima fase del concorso LuckyCoelum che ha visto la consegna dei premi agli abbonati estratti.

Editoriale COELUM ASTRONOMIA n°267

Nello scorso mese i vincitori dei concorso LuckyCoelum si sono visti recapitare i premi direttamente a casa.
Le spedizioni sono partite dalle aziende con bancali e imballaggi predisposti ad hoc, tutto per consegnare i premi in maniera perfetta.
Sono passati alcuni mesi dall’estrazione, ma è valso sicuramente la pena attendere anche fosse solo per l’emozione di vedere arrivare un pacco così prezioso e per alcuni, anche molto voluminoso.
Ricordiamo i premi tanto per rifare mente locale (immagini in basso).
Il primo estratto ha ritirato uno strepitoso Dobson Skywatcher Skyliner 300 Flextube. Diciamolo, un gioiellino che chiunque vorrebbe avere ma al quale non è sempre possibile dedicare risorse finanziarie.
Il secondo estratto può contare su uno strumento più maneggevole e completo: Telescopio Bresser NT-203/1000 EXOS-2/EQ5. Un gradino più in alto rispetto all’entry level, un telescopio versatile e preciso perfetto per le prime vere soddisfazioni.
Al terzo vincitore è andata invece la Fotocamera ZWO CMOS “ASI 183 MC Color” 20 Mpixel Mono/Color*. La scelta di una fotocamera è stata piuttosto combattuta, è impossibile pensare di soddisfare a priori un’esigenza così specifica ma il valore del premio non cambia e siamo certi che il lettore saprà come sfruttarlo al meglio.

Anteprima dei premi del concorso LuckyCoelum

E’ stata una vera emozione per la redazione poter contattare i vincitori ed annunciare non solo l’assegnazione ma anche l’imminente consegna. Dall’altro capo del telefono abbiamo sentito voci incerte e sorprese, oggi che riceviamo fin troppe chiamate da chi vuole venderci qualcosa sembra impossibile rispondere a qualcuno che sta annunciando un regalo. Ammettiamo che in alcuni casi abbiamo dovuto ripetere il messaggio addirittura più volte!
Bene, meglio così, sarà stata una doppia sorpresa alla fine aprire al corriere e il pensiero ci rende felici.
Un concorso a premi non è una novità certo, negli anni se ne sono visti molti, su Coelum e non solo, ma per noi, da poco al timone di questo veliero il risultato ci appare sensazionale. Essere riusciti, a distanza di così poco tempo dal ritorno al cartaceo a condividere il successo con alcuni lettori, è fuori da ogni dubbio principalmente una vittoria e, in un periodo storico in cui la diffidenza sembra regnare, essere riusciti a condividere un momento di felicità con i lettori è per noi il migliore dei premi.
Ci sentiamo anche in dovere di ringraziare le aziende che hanno supportato l’iniziativa, Skypoint Srl e Giordano Innovations Srl. Con la collaborazione si può ancora testimoniare il valore di una comunità.

Lo rifaremo? Lo vogliamo dire, non è stato semplice, la prima edizione è (speriamo) la più difficile, ma si, stiamo già ragionando sulle modalità e su come migliorare, per cui seguiteci e soprattutto ABBONATEVI (o rinnovate)!

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Oggi DONNE fra le STELLE 2024 Abano

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Ė in corso ad Abano la terza edizione di “Donne fra le Stelle”. Dopo l’inugurazione di ieri, venerdì, e i saluti ufficiali si entra nel vivo della manifestazione con ampio spazio alle testimonianze.

Sono intervenute nel pomeriggio di ieri Lucia Votano, dirigente di ricerca affiliata INFN e Bianca Poggianti neo eleyya direttrice dell’osservatorio astronomico di Padova e dirigente di ricerva del progetto GASP.

Per l’ambito “Sostenibilità e Spazio” in collegamento Raffaella Luglini, Chief Sustainability Office Leonardo ed in presenza Annamaria Nassisi, Geofisica, Manager Space Economy Observation and Navigation in Thales Alenia Space e co-leader WIA Europe Rome Chapter.

In conclusione della giornata spazio a WIA-Europe Roma Chapter e Ruolo delle Donne realtà che oggi opera su tutto il territorio nazionale promuovendo la parità di opportunità nelle professionalità STEM. Presentazione a cura di Cristina Valente, Head of Institutional Key Account Management in Telespazio e co-leader WIA Europe Rome Chapter.

La giornata di sabato si è aperta con la presentazione del libro “500 e uno quiz di Astronomia” di Francesco Veltri, astrofilo e divulgatore, con l’intervento di Molisella Lattanzi direttrice di Coelum.

Donne fra le Stelle l’intervento di Francesco Veltri con Molisella Lattanzi

A seguire l’incontro dibattito sul rapporto fra Fede e Scienza moderato da Patrizia Parodi con Antonio Masiero, Docente dell’Università di Padova, e Manuela Riondato Astronoma e Teologa.

Chiude la serie di intervento della mattina l’intervento condiviso che vede protagoniste Monica Lazzarin, Astrofisica e Docente del Dipartimento di Fisica e Astronomia dell’Università di Padova, e Patrizia Caraveo, Dirigente di Ricerca INAF.

 

Dopo il grande successo delle scorse edizioni sarà Abano Terme (PD), cittadina termale del padovano, ad ospitare la terza edizione di “Donne fra le stelle” nelle giornate del 22-23-24 marzo 2024, con un ricco calendario di convegni e iniziative collaterali.

Ad Abano Terme, dal 22 al 24 marzo 2024, si terrà la

DONNE TRA LE STELLE

Ventidue  scienziate e ricercatrici provenienti dai principali istituti e centri di ricerca europei nel campo della fisica, astronomia, astronautica, astrofisica e ingegneria aerospaziale si racconteranno, come donne e come professioniste, attraverso un linguaggio accessibile e coinvolgente, il 22, 23 e 24 marzo prossimo in quel di Abano Terme, cittadina termale della provincia di Padova che si candida a diventare la capitale dell’aerospazio in rosa per la terza edizione di “Donne fra le stelle”

Ad accompagnarle, durante tutta la tre giorni, l’attore e cantante Riccardo Mei, voce narrante di numerosi programmi Rai (Superquark, Kilimangiaro, Voyager, Rai Storia, Freedom oltre il confine…) e di documentari del National Geographic.

“Donne fra le stelle” è un’associazione nata dal desiderio di illustrare le meraviglie del cosmo al grande pubblico attraverso la voce di astronaute, astrofisiche, ingegnere aerospaziali e ricercatrici, per rendere protagoniste le donne sottolineandone l’impegno e i risultati in ambito scientifico, dove è ancora nettamente prevalente la presenza maschile.

L’obiettivo dell’associazione è stimolare i giovani, soprattutto le ragazze, a scegliere le materie STEM nel loro percorso di studi e lo fa organizzando simposi itineranti su tutto il territorio nazionale e con la collaborazione dei più importanti centri di ricerca a livello mondiale (ASI Agenzia Spaziale Italiana, ESA European Space Agency, NASA National Aeronautics Space Administration).

STEM è un acronimo inglese che racchiude gli indirizzi di studio degli ambiti accademici e lavorativi di Science, Technology, Engineering e Mathematics e alcuni dati tratti dagli elaborati dal Consorzio Inte runiversitario Alma Laurea hanno dimostrato che le donne hanno performance più brillanti degli uomini: le donne STEM sono caratterizzate da un voto medio di laurea lievemente più alto (103,6 su 110 contro 101,6 degli uomini) e da una maggiore regolarità negli studi (tra le donne il 46,1% ha concluso gli studi nei tempi previsti contro il 42,7% degli uomini).

Il simposio di quest’anno si svolgerà principalmente presso il prestigioso Teatro Marconi di Abano Terme , mentre saranno tante e coinvolgenti le attività collaterali alla parte più scientifica e divulgativa.

Nella piazza del Sole e della Pace, antistante il Teatro Marconi, chiunque avrà l’opportunità di osservare il cielo notturno e diurno con i telescopi messi a disposizione gratuitamente dal Gruppo Astrofili di Padova, partner dell’evento. Vi saranno anche workshop gratuiti per i bambini con attività laboratoriali di disegni e osservazione al telescopio, fino al rilascio di un attestato di partecipazione con la foto sulla riproduzione dell’Apollo 11.

Nella piazza sarà infatti presente anche l’installazione in riproduzione 1:1 del modulo di allunaggio dell’Apollo 11 realizzato da Y40 The Deep Joy, oltre che un’esposizione di astrofotografie davvero suggestive: nebulose, galassie…tutto quello che serve per trasportare visitatori e passanti “dentro” le meraviglie del cosmo.

Tra gli altri eventi collaterali da segnalare, la sera del 23 marzo ci sarà il concerto di Riccardo Mei che, con la sua voce calda e avvolgente, si esibirà in un meraviglioso viaggio tra i classici del Jazz, accompagnato dalla Young Art Jazz Ensemble (biglietti disponibili su Eventbrite https://www.eventbrite.com/e/biglietti-riccardo-mei-in-concerto-798769760857?aff=ebdsoporgprofile).

Ulteriore novità di questa edizione aponense è anche il prestigioso Premio nazionale per la divulgazione scientifica spaziale dedicato a Rossella Panarese, giornalista di Radio3Tre scienza.

IL Premio è patrocinato da Confindustria Veneto Est ed è aperto alla partecipazione di ricercatori, giornalisti, studiosi, autori, registi, blogger che con il loro impegno e attraverso la loro arte di comunicatori hanno contribuito a divulgare la scienza spaziale e con l’obiettivo di contribuire a declinare la divulgazione scientifica riguardante lo Spazio a più voci rendendola accessibile, fruibile e di interesse comune attribuendo alla cultura scientifica un ruolo centrale nella società. Sei saranno i vincitori finali per le due categorie in concorso, Under 30 e Over 30.

La giuria del Premio è costituita da esponenti del mondo scientifico, accademico, della ricerca, della comunicazione, delle tv, del cinema e della società.

Questi i nomi: Leila Zoia, responsabile comunicazione Dipartimento Astronomia Università di Padova, Antonella Attili, Attrice,  Cristiana Ruggeri, giornalista televisiva Rai TG 2, Giampaolo Colletti, Presidente WebTv Italia, il Sole 24 Ore, Cristina Borile, Imprenditrice e Vice Presidente Confindustria Turismo Veneto, Riccardo Mei, attore e doppiatore programmi televisivi Rai Mediaset, Elena Rigon imprenditrice marchio Eledor, Romina Gobbo, giornalista, Alessandra Turco, autrice.

Inclusività è sicuramente tra le parole d’ordine di questo evento che, per essere accessibile a tutti e a tutte, verrà trasmesso anche in diretta streaming dalla pagina Facebook di Donne fra le stelle ( https://www.facebook.com/donnefralestelle2024) . Un collegamento fruibile da chiunque e fortemente raccomandato soprattutto alle scuole secondarie che potranno così offrire ai propri studenti e alle proprie studentesse l’opportunità di aprire dei dialoghi di valore e, soprattutto, d’ispirazione per le future generazioni.

Donne fra le stelle ha il patrocinio della città di Abano Terme, Comune di Padova, Provincia di Padova, Regione Veneto, Federalberghi Terme Abano Montegrotto, Therme Abano Montegrotto, Confindustria Veneto Est, Parco Regionale dei Colli Euganei, Università degli Studi di Padova, Ascom Confcommercio Padova, Fondazione Marisa Bellisario, Associazione Donne Scienza

Info: https://donnefralestelle.it/

 

 

EINASTO il superammasso grande 360 milioni di anni luce

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Scoperto il SuperAmmasso di galassie più esteso

Il posto della Terra nello spazio è abbastanza familiare poiché orbita attorno a una stella medio piccola. La stella – il nostro Sole – orbita attorno al centro della nostra Galassia, la Via Lattea. Da qui in poi la storia è meno conosciuta. La Via Lattea fa parte di una grande struttura chiamata Superammasso di Laniakea che ha un diametro di 250 milioni di anni luce! Si tratta davvero di un’enorme area di spazio che contiene almeno 100.000 galassie. Ci sono però superammassi più grandi, come il superammasso Einasto appena scoperto che misura l’incredibile larghezza di 360 milioni di anni luce e ospita 26 quadrilioni di stelle (un quadrilione è pari in Italia a un milione di miliardi)!

Le galassie sono raccolte di cose legate insieme dalla forza di gravità. Una tipica galassia è semplicemente un insieme di stelle, nebulose, ammassi, pianeti, comete e così via. I superammassi sono in gran parte la stessa cosa, solo un insieme di galassie legate insieme (non completamente) sotto la forza di gravità.

Le stelle calde brillano intensamente in questa immagine del Galaxy Evolution Explorer della NASA, che mostra il lato ultravioletto della galassia di Andromeda, o M31, la più grande vicina galattica della nostra Via Lattea. L’intera galassia si estende per 260.000 anni luce: una distanza così grande che ci sono voluti 11 diversi segmenti di immagine uniti insieme per produrre questa vista della galassia. Le bande blu-bianche che compongono gli straordinari anelli della galassia sono quartieri che ospitano stelle calde, giovani e massicce. Strisce blu-grigio scure di polvere più fredda si stagliano nettamente contro questi anelli luminosi, tracciando le regioni in cui la formazione stellare sta attualmente avvenendo in densi bozzoli nuvolosi.  

I superammassi come Laniakea ed Einasto (distanti 3 miliardi di anni luce) sono tra le strutture più grandi dell’Universo. La scoperta di questo ultimo superammasso prende il nome dal professor Jaan Einasto, che fu un pioniere nel campo dei superammassi e ha festeggiato il suo 95esimo compleanno il 23 febbraio 2024. 

Modello tridimensionale dell’asteroide (357) Ninina

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Le misurazioni radar sono tra i metodi più precisi per ottenere dati sulla forma degli asteroidi.

Gli astronomi impiegano diverse tecniche (dirette o indirette) per studiare e determinare la forma degli asteroidi, ciascuna di queste presenta vantaggi e svantaggi che le fanno preferire in specifici campi di applicazione. Tra queste tecniche troviamo le misurazioni radar, l’utilizzo di immagini ottenute da sonde spaziali  e l’inversione delle curve di luce. Il 3D Asteroid Catalogue (https://3d-asteroids.space/) riporta i modelli tridimensionali di circa tremila asteroidi, ottenuti con l’utilizzo di queste diverse tecniche.

Le misurazioni radar sono tra i metodi più precisi per ottenere dati sulla forma degli asteroidi. Utilizzando grandi radiotelescopi, gli astronomi emettono onde radio verso un asteroide e poi ne raccolgono l’eco. Questo permette di ottenere modelli della superficie dell’asteroide con grande precisione, rivelando dettagli sulla sua forma, dimensione, periodo di rotazione, e caratteristiche superficiali. Il radar purtroppo è particolarmente utile solo per studiare asteroidi vicini alla Terra (NEA) fornendo dati utili per valutare potenziali minacce di impatto​​.

Le immagini ottenute da sonde spaziali offrono i dettagli più diretti e minuti della forma degli asteroidi. Missioni spaziali dedicate hanno visitato alcuni asteroidi, orbitando attorno a loro o sorvolandoli da vicino, raccogliendo immagini ad alta risoluzione che ne rivelano la geologia, la topografia e la composizione della superficie con modalità altrimenti impensabili con le tecniche osservative da Terra. Queste missioni, sebbene costose e tecnicamente impegnative, forniscono le informazioni più accurate e dettagliate sulla forma e sulle caratteristiche fisiche degli asteroidi​​.

L’inversione delle curve di luce rappresenta un’altra tecnica fondamentale, utilizzata per ricavare la forma tridimensionale, l’orientamento dell’asse di rotazione ed altre proprietà fisiche degli asteroidi, partendo dai dati fotometrici. La curva di luce rappresenta un grafico che mostra le variazioni di luminosità di un asteroide in relazione al tempo, tali variazioni sono principalmente causate dalla rotazione che riflette diverse quantità di luce solare in ragione della diversa area della superficie illuminata.

La curva di luce di un asteroide varia di aspetto anche in ragione delle diverse geometrie con cui viene osservato da Terra. Ad esempio osservando un asteroide in vista equatoriale, le sue variazioni di luminosità sono massime, mentre se lo osserviamo in vista polare, le sue variazioni di luminosità sono minime. Analizzando queste variazioni periodiche, è possibile dedurre le caratteristiche fisiche dell’oggetto, come l’orientamento dell’asse di rotazione e la sua forma. La tecnica dell’inversione delle curve di luce utilizza modelli matematici per simulare un’ampia varietà di forme e orientamenti possibili che potrebbero produrre le variazioni di luminosità osservate. Confrontando i modelli simulati con i dati reali, è possibile determinare quale configurazione corrisponde meglio alle osservazioni.

Il successo di questa tecnica dipende dalla qualità e dalla quantità dei dati fotometrici raccolti, con risultati più accurati ottenuti attraverso l’osservazione dell’asteroide da diverse angolazioni e in diversi momenti. L’inversione delle curve di luce fornisce un modo potente per studiare gli asteroidi, permettendo agli astronomi di esplorare le proprietà fisiche di questi corpi celesti senza la necessità di missioni spaziali dirette. Per contro i modelli ottenuti con questa tecnica non forniscono informazioni sulle eventuali concavità dell’asteroide.

E’ appena stato pubblicato sul Minor Planet Bulletin (51-2) uno studio, di respiro internazionale, che riguarda la modellazione dell’asteroide di fascia principale (357) Ninina, attraverso il processo di inversione delle curve di luce. Lo studio, guidato da Lorenzo Franco, utilizza i dati fotometrici acquisiti nel corso di cinque opposizioni (dal 2007 al 2023), due delle quali vedono il contributo della sezione asteroidi UAI, insieme ad i dati fotometrici provenienti dalla survey USNO Flagstaff.

Anteprima dello studio pubblicato sul Minor Planet Bulletin

Questa ricerca ha permesso di determinare il periodo siderale (rispetto alle stelle fisse) di rotazione dell’asteroide (35.9840 ± 0.0005 ore), due possibili soluzioni per l’orientamento del polo di rotazione rispetto al piano dell’eclittica (λ = 49°, β = 0°) e (λ = 230°, β = 36°) ed infine il modello tridimensionale.

https://mpbulletin.org/issues/MPB_51-2.pdf

Hanno partecipato allo studio Lorenzo Franco Balzaretto Observatory (A81); Frederick Pilcher Organ Mesa Observatory (G50); Julian Oey Blue Mountains Observatory (Q68);  Alessandro Marchini, Riccardo Papini Astronomical Observatory, University of Siena (K54); Giulio Scarfi Iota Scorpii Observatory (K78); Marco Iozzi H.O.B Astronomical Observatory (L63); Nello Ruocco Osservatorio Astronomico Nastro Verde (C82);  Paolo Bacci, Martina Maestripieri GAMP – San Marcello Pistoiese (104); Nico Montigiani, Massimiliano Mannucci Osservatorio Astronomico Margherita Hack (A57). Analisi dei dati e redazione del documento a cura di L. Franco (A81).

Questo studio dimostra quanto sia importante acquisire curve di luce nel corso di molteplici opposizioni, lavoro al quale l’Unione Astrofili Italiani sta fornendo un valido contributo con le sue campagne fotometriche trimestrali, e come l’approccio collaborativo, insieme all’impiego di tecnologie avanzate, continua a svolgere un ruolo cruciale nel progresso della conoscenza e dello studio dell’universo.

 

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 FUTURI N°20 ANNO V

Rivista Italiana di Futures Studies

 

Intro

Di fronte all’escalation bellica in un quadro globale reso critico dagli effetti dell’Antropocene, il termine “policrisi” ha iniziato a imporsi per designare un presente e soprattutto un futuro di crisi sistemiche del sistema internazionale. I multipli scenari di guerra in atto o in potenza politicizzano con altri mezzi – cioè, militari – le numerose linee di frattura dello scenario politico internazionale, polarizzandole in modo radicale e riducendo drammaticamente gli spazi di mediazione. Ma maggiore è la crisi istituzionale internazionale, maggiore è il bisogno di una democratizzazione formale e sostanziale delle istituzioni e degli attori, compresi quelli della società civile internazionale: rimettere al centro questo tema è essenziale per non rassegnarsi a un futuro di militarismo, autoritarismi e nuovi nazionalismi/suprematismi, peraltro potenzialmente o di fatto trasversali ai regimi politici. I Futures Studies possono contribuire a smontare il fatalismo deterministico e mettere al centro, anche e soprattutto per l’ordine politico globale, un’idea di futuro desiderabile verso cui muoversi con rinnovata consapevolezza.

Futuri – La Rivista

“Futuro” è una parola che non passa mai di moda, anzi: usata e abusata in ogni contesto e fuori contesto, dai discorsi politici agli spot pubblicitari, è stata svuotata di ogni significato. “Futuri”, d’altro canto, fa riferimento a un altro contesto: quello associato ai futures studies, lo studio dei futuri possibili, una disciplina nata negli anni Sessanta che si è diffusa in tutto il mondo. “Futuri” è una parola che esemplifica un concetto, quello per cui non esiste un destino manifesto, un futuro oggettivo nel quale vivremo, ma una vastissima gamma di possibilità, di “scenari”. Dopo essere stato invaso e colonizzato da una sola grande narrazione, il futuro va pluralizzato: bisogna liberare i “futuri” potenziali e dormienti. Questa la mission dell’Italian Institute for the Future, nato nel 2013 come think-tank dedicato allo studio dei futuri, che dal 2014 pubblica FUTURI, rivista semestrale attualmente unica nel panorama italiano dedicata ai futures studies.

FUTURI non è un magazine d’informazione sulle ultime novità nell’ambito dell’innovazione, della scienza, dell’economia o della politica. Non tratta degli ultimi prodotti tecnologici né di start-up. Non presenta, soprattutto, una visione acritica del futuro, ma è appunto una rivista di studi critici sui futuri, ossia di analisi. Da un lato per comprendere i megatrend, le tendenze di lungo periodo, i “segnali deboli” nel grande marasma del villaggio globale, e riuscire così a “guardare più lontano”, come recita il sottotitolo. Dall’altro per mettere in discussione il “futuro” come paradigma egemonico e offrire, al suo posto, una serie di scenari alternativi, di nuove visioni di futuri più possibili. Già con il manifesto che inaugurava l’esperienza dell’Italian Institute for the Future partivamo da una domanda: che fine ha fatto il futuro? E non perché non ne sentissimo più parlare, anzi al contrario: perché tutto questo gran parlare di futuro lo ha reso oggi un significante vuoto. Dobbiamo quindi tornare a riempirlo di senso, riconquistando la capacità di aspirare a un domani diverso, più inclusivo, più sostenibile, più ambizioso, dove possano convivere progetti di insediamenti su Marte e nuovi movimenti democratici dal basso, ricerca medica di frontiera e accesso per tutti a Internet come all’acqua potabile, aerei ipersonici e treni più confortevoli per i pendolari. Sono queste le storie che vogliamo raccontare su FUTURI.


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Allarme ghiaccio: Task force Euclid (ma è già tutto previsto)

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Crediti: ESA
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E’ del 19 marzo la notizia del rilevamento di sottili strati di ghiaccio formatosi su uno degli strumenti di Euclid. La Task Force è entrata subito all’azione e gli interventi hanno già dato segni di miglioramento.

La visione di Euclide si annebbia

Alcuni strati di ghiaccio d’acqua – parliamo di uno spessore paragonabile alla larghezza di un filamento di DNA – stanno iniziando a influenzare la visione di Euclide ; un problema comune per i veicoli spaziali nel freddo gelido dello spazio, ma particolarmente invasivo per questa missione tanto sensibile da indagare la natura dell’Universo oscuro. Dopo mesi di ricerca, i team Euclid in tutta Europa entrano in gioco testando una procedura di nuova concezione per sbrinare l’ottica della missione. In caso di successo, come si sta verificando, le operazioni convalideranno il piano delle squadre di missione di mantenere il sistema ottico di Euclid quanto più libero possibile dai ghiacci per il resto della sua vita in orbita.

Negli ultimi mesi, mentre si mettevano a punto e calibravano gli strumenti di Euclid, gli esperti hanno notato una piccola ma progressiva diminuzione della quantità di luce misurata dalle stelle osservate in maniera sistematica dallo strumento visibile (VIS ) .

Si tratta appunto di un problema comune che i veicoli spaziali devono affrontare una volta arrivati ​​nello spazio: l’acqua assorbita dall’aria durante l’assemblaggio sulla Terra viene ora gradualmente rilasciata da alcuni componenti del veicolo spaziale, eliminata dal vuoto dello spazio.

Nel freddo gelido del nuovo ambiente di Euclid però, le molecole d’acqua contenute nell’aria che viene rilasciata tendono ad attaccarsi alla prima superficie su cui atterrano e, e se questa superficie è l’ottica altamente sensibile l’effetto diventa evidente.

“Abbiamo confrontato la luce stellare che entra attraverso lo strumento VIS con la luminosità registrata delle stesse stelle in tempi precedenti, viste sia da Euclid che dalla missione Gaia dell’ESA “, spiega Mischa Schirmer,  esperta della calibrazione per il consorzio Euclid e uno dei principali progettisti di il nuovo piano di de-icing.

“Alcune stelle sembrano variare nella loro luminosità, anche se per la maggior parte è stabile per molti milioni di anni. Quindi, quando i nostri strumenti hanno rilevato un debole e graduale declino dei fotoni in arrivo, è stato facile capire che non erano le stelle, ma noi”.

Ci si è sempre aspettati che l’acqua potesse gradualmente accumularsi e contaminare la visione di Euclide, poiché è molto difficile costruire e lanciare un veicolo spaziale dalla Terra senza che parte dell’acqua presente nell’atmosfera del nostro pianeta vi si insinui.

Per questo motivo, subito dopo il lancio si è svolta una “campagna di degassamento” in cui il telescopio è stato riscaldato da riscaldatori di bordo e anche parzialmente esposto al Sole, sublimando la maggior parte delle molecole d’acqua presenti al momento del lancio sulle superfici di Euclid o molto vicine. Una parte considerevole, tuttavia, è sopravvissuta, essendo stata assorbita nell’isolamento multistrato, e ora viene lentamente rilasciata nel vuoto dello spazio.

Dopo un’enorme quantità di ricerche – compresi studi di laboratorio su come minuscoli strati di ghiaccio sulle superfici degli specchi si diffondono e riflettono la luce – e mesi di calibrazioni nello spazio, il team ha stabilito che diversi strati di molecole d’acqua sono probabilmente congelati sugli specchi nell’ottica di Euclide. Si tratta dicevamo di spessori pari all’equivalente della larghezza di un filamento di DNA e certo si tratta anche di un’ulteriore conferma della sensibilità della missione il fatto stesso che rilevi quantità così piccole di ghiaccio.

Mentre le osservazioni e la scienza di Euclid continuano, i team hanno elaborato un piano per capire dove si trova il ghiaccio nel sistema ottico e mitigarne l’impatto ora e in futuro, nel caso continuasse ad accumularsi.

Il modello strutturale e termico del modulo di carico utile della missione Euclid dell’ESA visto nella camera bianca, con parte degli strumenti VIS (coperto in isolamento multistrato nero, o MLI) e NISP (coperto in MLI dorato) installati. Il materiale di rivestimento il cui peso è stimato in 10 kg circa può assorbire fino a quasi l’1% del proprio peso in acqua.

Nuovo piano per decontaminare Euclid da 1,5 milioni di km di distanza

Per rimuovere lo strato di ghiaccio ’opzione più semplice sarebbe quella di utilizzare la procedura di decontaminazione sviluppata ben prima del lancio e riscaldare quindi l’intero veicolo spaziale aumentando lentamente la temperatura da circa –140°C a, in alcune parti della navicella, sino ad un “mite” –3°C.

Ciò pulirebbe l’ottica ma riscalderebbe anche l’intera struttura meccanica del veicolo spaziale. Poiché la maggior parte dei materiali riscaldandosi si espande per poi non necessariamente tornare esattamente allo stesso stato dopo una settimana di raffreddamento, si potrebbe rischiare una differenza potenzialmente sottile nell’allineamento ottico di Euclid. Previsione inaccettabile per una missione così delicata in cui si possono notare effetti sull’ottica da un cambiamento di temperatura anche solo di una frazione di grado, che richiede almeno diverse settimane di ricalibrazione fine.

“La maggior parte delle altre missioni spaziali non hanno requisiti così esigenti in termini di ‘stabilità termo-ottica’ come quelli di Euclid”, spiega Andreas Rudolph, direttore di volo di Euclid presso il controllo missione dell’ESA.

Per limitare gli sbalzi termici, il team inizierà riscaldando individualmente le parti ottiche a basso rischio del veicolo spaziale, situate in aree in cui è improbabile che l’acqua rilasciata contamini altri strumenti o ottiche. Inizieranno con due specchi di Euclide che potranno essere riscaldati indipendentemente. Se la perdita di luce persisterà essi continueranno a riscaldare altri gruppi di specchi di Euclide, controllando di volta in volta la percentuale di fotoni di ritorno.

Piccole quantità di acqua continueranno a essere rilasciate all’interno di Euclid per tutta la durata della missione, quindi sarà sempre necessaria una soluzione a lungo termine per sbrinare regolarmente le sue ottiche senza impiegare troppo tempo prezioso per la missione: ricordiamo che Euclid ha solo sei anni per completare la sua indagine.

Una volta isolata l’area interessata, la speranza è che in futuro si potrà semplicemente riscaldare questa parte isolata della navicella spaziale secondo necessità. Quindi un lavoro molto complesso e dettagliato ma funzionale per risparmiare tempo prezioso in futuro.

Nonostante quanto sia comune questo problema di contaminazione per i veicoli spaziali che operano in condizioni fredde, sorprendentemente sono poche le ricerche pubblicate su come si forma esattamente il ghiaccio sugli specchi ottici e il suo impatto sulle osservazioni. Euclide non solo potrebbe rivelare la natura della materia oscura, ma potrebbe anche far luce su un problema che affligge da tempo i nostri occhi vagabondi nello spazio, che scrutano la Terra e l’Universo.

Come anticipato il nuovo approccio sta già mostrando ottimi risultati, sarà quindi possibile proseguire con le fasi di messa a punto dello strumento senza particolari interruzioni e perdite di tempo prezioso.

Fonte: ESA

 

Eclissi e Stima del Raggio Solare 8 aprile 2024

Tempo di lettura: 4 minuti

Nel numero 256 di Coelum Astronomia la
squadra composta da Alessandro Pessi, John
Irwin, Luca Quaglia, Lucian Kafka e Konstantinos
Emmanouilidis hanno condiviso con i lettori
i passaggi per la stimare il raggio solare sfruttando
le condizioni favorevoli delle eclissi.
In vista della prossima eclissi dell’8 aprile
2024 il team ci riprova e ci spiega come.

L’8 Aprile 2024 un’eclissi di Sole sarà visibile dall’America del Nord e Centrale, e marginalmente da Hawai’i, Polinesia Francese, Isole Cook, Kiribati, Groenlandia, Islanda, Irlanda e Regno Unito. L’eclissi sarà totale in un corridoio di circa 180 km di larghezza: la banda di totalità attraverserà Messico, gli Stati Uniti e il Canada. L’eclissi sarà parziale al di fuori di questa fascia nei rimanenti luoghi in cui l’eclissi sarà visibile.

Milioni di persone potranno potenzialmente assistere allo spettacolare fenomeno della totalità. Alcune di esse, posizionate esattamente in mezzo alla banda di totalità, vicino alla linea di centralità, potranno ammirare, tempo permettendo, la corona solare per oltre 3 minuti (in Messico e nella maggior parte degli Stati Uniti, per oltre 4 minuti). Altre invece saranno vicine ai limiti della banda di totalità: che esperienza essi avranno? La domanda non è solo accademica, poiché alcune grandi città, in particolare Montréal, saranno bisecate da uno dei due limiti della banda di totalità.

Mappa di Montréal che mostra, in arancione, il limite nord della banda di totalità (il limite “vero”) dell’eclissi dell’8 Aprile 2024, calcolato prendendo in considerazione la topografia del profilo lunare (detto anche bordo o limbo lunare) e assumendo un raggio solare di 959.95”. In blu, il limite nord della banda di totalità (il limite “medio”), calcolato assumendo che la Luna sia una sfera perfetta, senza valli o montagne, e un raggio solare di 959.95”. Questo limite “medio” è quello che si trova su quasi tutte le altre mappe per questa eclissi (Map Data © Google Earth 2024, calcoli di John Irwin).

 

Come la figura 2 mostra, circa 90 km a sud-est di Montreal, vicino alla linea di centralità, la totalità durerà circa 3 minuti e 30 secondi. Allontanandosi dalla linea di centralità, la durata della totalità diminuirà, inizialmente molto gradualmente, ma poi sempre più rapidamente avvicinandosi ai limiti della banda di totalità. A circa 70 km dalla linea di totalità (circa 80% della distanza tra linea di centralità e limite nord), la durata della totalità avrà ancora un rispettabile valore di circa 2 minuti. A circa 80 km dalla linea di totalità (circa 90% della distanza tra linea di centralità e limite nord), la durata della totalità sarà ancora di circa 1 minuto 20 secondi. Da qui al limite nord, la durata della totalità crollerà rapidamente, sino ad azzerarsi esattamente al limite. Questa sembrerebbe una zona da evitare a tutti i costi, ma in realtà ai limiti della banda di totalità i fenomeni transitori dell’eclissi vengono esaltati e interessanti studi scientifici possono essere condotti, tra i quali la misura del raggio solare.

Il grafico mostra la dipendenza della durata della totalità dell’eclissi dell’8 Aprile 2024 in funzione della distanza dalla linea di centralità, a sud-est di Montréal. Distanze positive a nord della linea di centralità, e negative a sud di essa. I valori di durata “vera” della totalità includono gli effetti della topografia del limbo lunare, quelli “medi” assumono che la Luna sia una sfera perfetta (calcoli di John Irwin).

 

I fenomeni transitori sono quelli che si possono vedere, di solito brevemente, attorno ai tempi di secondo e terzo contatto, quando la totalità comincia e finisce. Dovuti alla topografia del limbo lunare, quando l’eclisse è quasi totale, quello che rimane della fotosfera (lo strato superficiale del Sole) si frammenta in brillanti grani di Baily, come mostrato in figura 3. Giusto prima del secondo contatto e giusto dopo il terzo contatto, i grani di Baily generano lo spettacolare effetto dell’anello di diamante. La cromosfera, il colorato strato sottile giusto sopra la fotosfera, diventa brevemente visibile. Le ombre volanti, elusive e affascinanti bande di luce e ombra che si muovono rapidamente sulla superficie del paesaggio, nelle opportune condizioni, possono apparire in modo spettacolare. Questi fenomeni sono estremamente brevi in quasi tutta la banda di totalità, ma sono estesi, esaltati e prolungati nelle vicinanze dei limiti della banda di totalità [1].

Sequenza di grani di Baily visibili nei secondi precedenti il secondo contatto (C2) dell’eclisse anulare-totale del 20 Aprile 2023 in Australia. Queste immagini sono estratte da un video ad alta risoluzione registrato nelle vicinanze della linea di centralità. (credito per le immagini: Jörg Schoppmeyer).

La drastica riduzione della durata della totalità caratteristica dell’osservare l’eclisse dal limite non sembrerebbe essere controbilanciata dall’estensione e dalla intensificazione dei fenomeni transitori. In realtà, come vedremo, la corona solare rimane visibile significativamente più a lungo di quello che la semplice durata di totalità sembrerebbe indicare.

 

  1. Considerazioni sul calcolo dei limiti della banda di totalità

    [..]

  2. Stimare il raggio solare osservando dal limite della banda di totalità

    [..]

  3. Stima del raggio solare durante l’eclissi totale del 2017

    [..]

  4. Stima del raggio solare durante l’eclissi anulare-totale del 2023

    [..]

  5. Stima del raggio solare durante l’eclissi totale del 2024

    [..]

L’articolo completo è su COELUM ASTRONOMIA N°267 prenotalo finché disponibile.

 

 

SCOPRI LA SECONDA APOC DEL 2024!

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QUALE IMMAGINE SARA’ STATA SCELTA COME APOC PER IL NUMERO 267 DI COELUM?

A partire dal numero 266, Coelum sceglie gli scatti più caratteristici
ed interessanti tra tutti quelli caricati in PHOTOCOELUM.
6 le immagini che NEL 2024 riceveranno il riconoscimento
“apoc – Astronomy picture of coelum “.
una potrebbe essere PROPRIO LA tua, carica i tuoi lavori in photocoelum.

 

Scopri l’APOC n°2 in Coelum Astronomia 267 II 2024

La APOC n°1 è stata assegnata a Lorenzo Busilacchi per la Arp 273 Rosa Cosmica

Raggio Laser nello Spazio fino a 16 milioni di km

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Ricevuto un messaggio (da 16 milioni di chilometri) trasmesso da un raggio laser nello spazio ed il SETI sorride.

La NASA ha inviato e ricevuto con successo un messaggio trasmesso con un raggio laser dallo spazio profondo (da 16 milioni di chilometri) : un passo enorme verso il futuro delle comunicazioni spaziali.  Si tratta di circa 40 volte più lontano della Luna dalla Terra.

A cosa è servito il test

Tradizionalmente, utilizziamo le onde radio per comunicare con veicoli spaziali distanti , anche se frequenze di luce più elevate, come il vicino infrarosso, offrono un aumento della larghezza di banda e quindi un enorme aumento della velocità dei dati. Il test del laser fa parte dell’esperimento Deep Space Optical Communications (DSOC) della NASA e il successo del collegamento di comunicazione è noto come “prima luce”. Se consideriamo la luce infrarossa, è possibile facilmente tramutare le sue onde in forma laser. Ciò non farà muovere la luce più velocemente, ma riordina e vincola il suo raggio a un canale stretto. Ciò richiede molta meno energia di una dispersione di onde radio ed è più difficile da intercettare.

Lo strumento LaserSETI

L’utilizzo della tecnologia laser è da poco tempo balzata anche agli onori delle cronache SETI.

Un nuovo strumento di indagine chiamato appunto LaserSETI e sviluppato da Eliot Gillum del SETI Institute da un nuovo alla ricerca SETI affiancando la radiostronomia.

(https://www.youtube.com/watch?v=Ch3FENZKt0s)

LaserSETI è uno strumento particolarmente sensibile agli impulsi singoli di millisecondi che potrebbero essere stati trascurati in precedenti rilevamenti astronomici con tecniche simili. Sfruttando la monocromaticità  come una caratteristica intrinseca dei laser, è possibile per questo tipo di analisi utilizzare sensori a stato solido e lenti bidimensionali. Tali sensori sono di facile reperibilità infatti disponibili commercialmente come sensori per telecamere video. Su questa Il dispositivo di Gillum utilizza tali telecamere con una lente commerciale ad apertura grandangolare  per la copertura di 75 gradi di cielo. Dietro la lente c’è una griglia che trasforma qualsiasi sorgente luminosa nel campo visivo della telecamera in uno spettro simile a un arcobaleno doppio. Mentre le stelle produrranno uno spettro completo dal blu al rosso, un laser si presenterà solo alla sua lunghezza d’onda caratteristica. Il dispositivo LaserSETI dispone di due telecamere identiche, ruotate di 90 gradi l’una rispetto all’altra lungo l’asse di visualizzazione, che permette la risposta dell’arcobaleno doppio ed  aiuta ad eliminare falsi allarmi dovuti ai raggi cosmici ed altre possibili inteferenze. Attualmente sono due gli strumenti installati presso il Haleakala Observatory alle Hawaii, ma il progetto prevede l’installazione di almeno 11 o 12 strumenti in location strategiche nel mondo.

L’Italia, già partner attivo dell’Università di Berkeley con il radiotelescopio da 65 metri dell’osservatorio di Cagliari, potrebbe diventare partner anche del progetto LaserSETI, dato che INAF può  offrire una delle più ambite location per le osservazioni astronomiche. Le osservazioni laser sono del tipo notturno, quindi l’importanza di un cielo pulito e notti prive di intemperie sono condizioni fondamentali per la buona riuscita della ricerca. L’Italia dispone di due siti interessanti alle isole Canarie. Il primo sull’isola di La Palma ospita il telescopio Galileo ( https://www.youtube.com/watch?v=c-z-R6ZC1Tk) , il secondo nell’isola di Tenerife ospita le postazioni dei nuovi telelescopi Cherenkov appartenenti al network di CTA.  Le isole Canarie hanno un cielo estremamente sereno con non più di 20 giorni all’anno di pioggia, un paradiso per gli astronomi.

Completato il programma per DONNE fra le STELLE 2024

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Dopo il grande successo delle scorse edizioni sarà Abano Terme (PD), cittadina termale del padovano, ad ospitare la terza edizione di “Donne fra le stelle” nelle giornate del 22-23-24 marzo 2024, con un ricco calendario di convegni e iniziative collaterali.

Anche Francesco Veltri e Molisella Lattanzi (rispettivamente autore e direttrice di COELUM) fra i relatori.

Ad Abano Terme, dal 22 al 24 marzo 2024, si terrà la

DONNE TRA LE STELLE

Ventidue  scienziate e ricercatrici provenienti dai principali istituti e centri di ricerca europei nel campo della fisica, astronomia, astronautica, astrofisica e ingegneria aerospaziale si racconteranno, come donne e come professioniste, attraverso un linguaggio accessibile e coinvolgente, il 22, 23 e 24 marzo prossimo in quel di Abano Terme, cittadina termale della provincia di Padova che si candida a diventare la capitale dell’aerospazio in rosa per la terza edizione di “Donne fra le stelle”

Ad accompagnarle, durante tutta la tre giorni, l’attore e cantante Riccardo Mei, voce narrante di numerosi programmi Rai (Superquark, Kilimangiaro, Voyager, Rai Storia, Freedom oltre il confine…) e di documentari del National Geographic.

“Donne fra le stelle” è un’associazione nata dal desiderio di illustrare le meraviglie del cosmo al grande pubblico attraverso la voce di astronaute, astrofisiche, ingegnere aerospaziali e ricercatrici, per rendere protagoniste le donne sottolineandone l’impegno e i risultati in ambito scientifico, dove è ancora nettamente prevalente la presenza maschile.

L’obiettivo dell’associazione è stimolare i giovani, soprattutto le ragazze, a scegliere le materie STEM nel loro percorso di studi e lo fa organizzando simposi itineranti su tutto il territorio nazionale e con la collaborazione dei più importanti centri di ricerca a livello mondiale (ASI Agenzia Spaziale Italiana, ESA European Space Agency, NASA National Aeronautics Space Administration).

STEM è un acronimo inglese che racchiude gli indirizzi di studio degli ambiti accademici e lavorativi di Science, Technology, Engineering e Mathematics e alcuni dati tratti dagli elaborati dal Consorzio Inte runiversitario Alma Laurea hanno dimostrato che le donne hanno performance più brillanti degli uomini: le donne STEM sono caratterizzate da un voto medio di laurea lievemente più alto (103,6 su 110 contro 101,6 degli uomini) e da una maggiore regolarità negli studi (tra le donne il 46,1% ha concluso gli studi nei tempi previsti contro il 42,7% degli uomini).

Il simposio di quest’anno si svolgerà principalmente presso il prestigioso Teatro Marconi di Abano Terme , mentre saranno tante e coinvolgenti le attività collaterali alla parte più scientifica e divulgativa.

Nella piazza del Sole e della Pace, antistante il Teatro Marconi, chiunque avrà l’opportunità di osservare il cielo notturno e diurno con i telescopi messi a disposizione gratuitamente dal Gruppo Astrofili di Padova, partner dell’evento. Vi saranno anche workshop gratuiti per i bambini con attività laboratoriali di disegni e osservazione al telescopio, fino al rilascio di un attestato di partecipazione con la foto sulla riproduzione dell’Apollo 11.

Nella piazza sarà infatti presente anche l’installazione in riproduzione 1:1 del modulo di allunaggio dell’Apollo 11 realizzato da Y40 The Deep Joy, oltre che un’esposizione di astrofotografie davvero suggestive: nebulose, galassie…tutto quello che serve per trasportare visitatori e passanti “dentro” le meraviglie del cosmo.

Tra gli altri eventi collaterali da segnalare, la sera del 23 marzo ci sarà il concerto di Riccardo Mei che, con la sua voce calda e avvolgente, si esibirà in un meraviglioso viaggio tra i classici del Jazz, accompagnato dalla Young Art Jazz Ensemble (biglietti disponibili su Eventbrite https://www.eventbrite.com/e/biglietti-riccardo-mei-in-concerto-798769760857?aff=ebdsoporgprofile).

Ulteriore novità di questa edizione aponense è anche il prestigioso Premio nazionale per la divulgazione scientifica spaziale dedicato a Rossella Panarese, giornalista di Radio3Tre scienza.

IL Premio è patrocinato da Confindustria Veneto Est ed è aperto alla partecipazione di ricercatori, giornalisti, studiosi, autori, registi, blogger che con il loro impegno e attraverso la loro arte di comunicatori hanno contribuito a divulgare la scienza spaziale e con l’obiettivo di contribuire a declinare la divulgazione scientifica riguardante lo Spazio a più voci rendendola accessibile, fruibile e di interesse comune attribuendo alla cultura scientifica un ruolo centrale nella società. Sei saranno i vincitori finali per le due categorie in concorso, Under 30 e Over 30.

La giuria del Premio è costituita da esponenti del mondo scientifico, accademico, della ricerca, della comunicazione, delle tv, del cinema e della società.

Questi i nomi: Leila Zoia, responsabile comunicazione Dipartimento Astronomia Università di Padova, Antonella Attili, Attrice,  Cristiana Ruggeri, giornalista televisiva Rai TG 2, Giampaolo Colletti, Presidente WebTv Italia, il Sole 24 Ore, Cristina Borile, Imprenditrice e Vice Presidente Confindustria Turismo Veneto, Riccardo Mei, attore e doppiatore programmi televisivi Rai Mediaset, Elena Rigon imprenditrice marchio Eledor, Romina Gobbo, giornalista, Alessandra Turco, autrice.

Inclusività è sicuramente tra le parole d’ordine di questo evento che, per essere accessibile a tutti e a tutte, verrà trasmesso anche in diretta streaming dalla pagina Facebook di Donne fra le stelle ( https://www.facebook.com/donnefralestelle2024) . Un collegamento fruibile da chiunque e fortemente raccomandato soprattutto alle scuole secondarie che potranno così offrire ai propri studenti e alle proprie studentesse l’opportunità di aprire dei dialoghi di valore e, soprattutto, d’ispirazione per le future generazioni.

Donne fra le stelle ha il patrocinio della città di Abano Terme, Comune di Padova, Provincia di Padova, Regione Veneto, Federalberghi Terme Abano Montegrotto, Therme Abano Montegrotto, Confindustria Veneto Est, Parco Regionale dei Colli Euganei, Università degli Studi di Padova, Ascom Confcommercio Padova, Fondazione Marisa Bellisario, Associazione Donne Scienza

Info: https://donnefralestelle.it/

L’evento ospiterà anche la presentazione del libro “”500 e uno quiz di astronomia per imparare e divertirsi” di Francesco Veltri (autore di Coelum). L’appuntamento è per il sabato 10 ore 10:00 presso il Teatro Marconi Abano Terme. Interverranno Luigi Bignami e Molisella Lattanzi (direttrice di Coelum Astronomia)

 

 

Nuova teoria post-quantistica della gravità rigetta l’esistenza della materia oscura

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È stata annunciata la nascita di una nuova teoria post-quantistica della gravità, che tratta quest’ultima in modo classico preservando però gli effetti quantistici (come i pattern a cerchi concentrici generati dal fenomeno dell’interferenza in alcuni esperimenti). Crediti: Isaac Young.
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Da anni gli scienziati cercano di conciliare la relatività generale di Einstein e la meccanica quantistica in una teoria unificata, la gravità quantistica, nella speranza di individuare un unico formalismo matematico capace di spiegare i fenomeni fisici sia su larga che su piccola scala. L’insuccesso degli innumerevoli tentativi finora effettuati ha indotto il fisico inglese Jonathan Oppenheim a domandarsi se quantizzare la gravità sia realmente la mossa giusta: perché, al contrario, non concentrarsi soltanto sulla gravità, modificando la relatività generale? Da qui la proposta di una nuova teoria post-quantistica della gravità, che sembra escludere l’esistenza della materia oscura.

Le due teorie pilastro della fisica moderna sono la relatività generale di Einstein, che delinea la geometria dello spazio-tempo impressa dalla gravità, e la meccanica quantistica, che invece si occupa della fenomenologia relativa alla materia e alla radiazione a scale atomiche e subatomiche. Poiché le equazioni di Einstein mettono in relazione lo spazio-tempo dominato dalla gravità con la materia, presente sotto forma di masse che ne deformano la struttura, notevole sforzo è stato messo nel cercare di combinare questi due aspetti in un’unica trattazione matematica: nasce così l’ipotesi della gravità quantistica. 

Equazioni di Einstein per la gravità quantistica. Il termine di sinistra rappresenta la gravità (tensore di Einstein), mentre quello di destra la materia (tensore energia impulso). In particolare, i simboli delle parentesi (brackets) e del cappelletto in cima al tensore energia impulso indicano che esso viene trattato come un operatore quantistico. Crediti: Oppenheim.

In un recente studio su tale tematica il ricercatore inglese Jonathan Oppenheim si è chiesto se sia però davvero indispensabile quantizzare la gravità per ottenere un quadro fisico unitario. A tal  proposito, nella sua teoria post-quantistica della gravità Oppenheim sembra propendere per una risposta negativa. Egli sostiene infatti che lo spazio-tempo possa essere inteso come un fluido continuo dal punto di vista non solo macroscopico, ma anche microscopico: esso dovrebbe dunque essere modellizzato interamente nel modo classico, ovvero come prescritto dalla relatività generale, mentre il formalismo quantistico verrebbe riservato esclusivamente alla materia. Tuttavia, eliminare la discretizzazione (i.e., quantizzazione) dello spazio-tempo alle piccole dimensioni implica ammettere che esso, al pari della metrica che lo descrive, sia soggetto a fluttuazioni stocastiche (i.e., casuali), che lo renderebbero “traballante” anziché liscio. Ma, soprattutto, questo comportamento stocastico sarebbe responsabile di una modifica della stessa relatività generale a bassi valori di accelerazione gravitazionale, ossia nel cosiddetto “regime diffusivo”, perché qui le fluttuazioni stocastiche risulterebbero non trascurabili. Invero, esse avrebbero l’effetto di una forza entropica: stimolando il moto browniano (i.e., il moto casuale delle particelle del fluido cosmico), esse fornirebbero cioè alle stelle con minore velocità una quantità di energia aggiuntiva, accelerandole. Dal momento che tali stelle sono situate nelle zone più esterne delle galassie, dove appunto vale il regime diffusivo per via della più bassa gravità, esse andrebbero a giustificare il tratto piatto delle curve di rotazione, che ci aspetterebbe fosse anzi kepleriano (i.e., declinante) proprio per il rallentamento del moto stellare a grandi raggi. Ergo, le fluttuazioni stocastiche sostituirebbero l’attrazione gravitazionale esercitata dagli aloni di materia oscura che circondano le galassie sulle stelle ai loro margini: in altre parole, in questo scenario l’esistenza della materia oscura non sarebbe più necessaria.

Curva di rotazione di una galassia, che mostra l’andamento della velocità delle stelle in funzione del raggio, ovvero della distanza dal centro galattico. La linea rossa indica la predizione teorica (tratto kepleriano a grandi raggi), mentre quella verde ciò che viene osservato (tratto piatto a grandi raggi). Crediti: R. Pogge.

D’altronde, nota Oppenheim, la sua non è la prima teoria alternativa della gravità a giungere a tale conclusione: per esempio, già nel 1983 la teoria della gravità modificata di Milgrom (i.e.,  MOND,  Modified Newtonian Dynamics), era riuscita a spiegare l’appiattimento delle curve di rotazione delle galassie attraverso una revisione del valore della gravità alle basse accelerazioni, senza pertanto chiamare in causa la materia oscura. Il rinnovato interesse nei confronti della MOND a seguito dei risultati emersi nelle ultime simulazioni dinamiche di ammassi di galassie e supportati da evidenze osservative costituisce un punto di forza del ragionamento di Oppenheim. Ciononostante, la neonata teoria gravitazionale post-quantistica dello scienziato è ancora giudicata piuttosto controversa a causa dell’attuale mancanza di test: la formulazione matematica, per quanto rigorosa e dettagliata, certo non basta a dissolvere lo scetticismo del mondo astrofisico. Ciò è tanto più vero se si considera che numerose e svariate sono ad oggi le prove a favore della materia oscura, prima fra tutte la formazione delle strutture nell’Universo primordiale. Ma, come scrive Oppenheim, “la gravità è famosa per essere truffatrice”: meglio  insomma non lasciarsi ingannare, scartando a priori delle congetture che potrebbero infine non rivelarsi poi così improbabili. Ad ogni modo, il fisico inglese assicura che, prima di compiere affermazioni azzardate, saranno realizzate simulazioni numeriche e posti vincoli basati sui dati osservativi. Tutto fa quindi pensare che ne sapremo presto di più.

Fonte: arXiv.

L’asteoride (6086) Vrchlicky è binario: uno straordinario successo per gli astrofili italiani

Rappresentazioine artistica dell'asteroide
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(6086) Vrchlicky è binario è arrivata la conferma dopo il lavoro di analisi e studio svolto dalla sezione asteroidi UAI e i numerosi osservatori affiliatiuno straordinario successo per gli astrofili italiani

Gli asteroidi binari rappresentano un’ affascinante classe di corpi celesti. Costituiti da due corpi che orbitano attorno ad un comune centro di massa, questi sistemi offrono una finestra unica sulla natura e sulla formazione stessa degli asteroidi, nonché sui processi dinamici che plasmano il nostro sistema solare. La scoperta di asteroidi binari è una pagina relativamente recente nella storia dell’astronomia rispetto alla lunga tradizione di osservazione degli asteroidi singoli, ma rappresenta un campo di studio di grande importanza per approfondire le nostre conoscenze sulle forze gravitazionali in gioco, sull’evoluzione del sistema solare e sui processi collisionali che hanno contribuito a modellare l’ambiente spaziale attorno a noi.

Nel panorama dell’astronomia moderna, la scoperta di questi fenomeni accende l’immaginazione di scienziati e appassionati allo stesso modo. La recentissima scoperta della natura binaria dell’asteroide (6086) Vrchlicky, come riportato nel Circular del Central Bureau for Astronomical Telegrams (CBET 5366), è una di queste ed ha segnato un significativo successo per la sezione di ricerca asteroidi dell’Unione Astrofili Italiani (UAI).

L’asteroide 6086 Vrchlicky era stato identificato come uno dei target fotometrici principali per la sezione di ricerca e già le prime osservazioni avevano rivelato piccole attenuazioni nella sua luminosità. Queste variazioni hanno subito acceso il sospetto che potessero essere il risultato di eventi di eclisse o occultazione causati da un satellite naturale, ipotesi che ovviamente richiedeva ulteriori osservazioni per essere confermata. A causa delle condizioni meteorologiche avverse e per scongiurare il rischio di perdere la conferma di questa scoperta è quindi stata richiesta la collaborazione del gruppo BinAst, coordinato dall’astronomo P. Pravec. Questo sforzo congiunto ha portato a osservazioni decisive nel mese di dicembre, che hanno confermato, senza ombra di dubbio, la natura binaria dell’asteroide (6086) Vrchlicky.

I dati raccolti hanno rivelato che il periodo di rotazione del corpo principale dell’asteroide è di 2.7674 ± 0.0001 ore, mentre il periodo orbitale del suo satellite è di 22.61 ± 0.01 ore. Gli eventi di eclisse e occultazione rilevati hanno mostrato una variazione di luminosità di 0.05 e 0.08 magnitudini, permettendo di stimare il rapporto inferiore dei diametri tra il satellite e l’asteroide principale pari a 0.22. Questo significa che, mentre il corpo principale dell’asteroide ha un diametro approssimativo di 10 km, il satellite misura poco più di 2 km.

Questo prestigioso risultato è stato possibile anche grazie al prezioso contributo di numerosi osservatori affiliati alla sezione asteroidi UAI tra i quali L. Buzzi e M. Calabrò (Schiaparelli Observatory), G. Galli (GiaGa Observatory), P. Bacci e M. Maestripieri (San Marcello Pistoiese Observatory), N. Montigiani e M. Mannucci (Osservatorio Astronomico Margherita Hack), A. Marchini e R. Papini (Siena University Astronomical Observatory), N. Ruocco (Osservatorio Astronomico Nastro Verde), M. Tombelli, M. Iozzi e M. Lombardo (Beppe Forti Astronomical Observatory),  G. Scarfi (Iota Scorpii Observatory), G. Baj (M57 Observatory), con una menzione speciale per il coordinamento e l’analisi dei dati condotti da L. Franco (Osservatorio Balzaretto) e P. Pravec (Osservatorio di Ondrejov).

La scoperta della natura binaria dell’asteroide (6086) Vrchlicky rappresenta un bellissimo esempio di come la collaborazione e la condivisione delle competenze possano portare a risultati straordinari in campo astronomico. Questo successo non solo aggiunge una nuova pagina alla nostra comprensione degli asteroidi e dei sistemi binari asteroidali, ma sottolinea anche l’importanza della collaborazione internazionale nella ricerca astronomica.

Il telegramma astronomico completo può essere letto qui: http://www.cbat.eps.harvard.edu/iau/cbet/005300/CBET005366.txt

 


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Webb scruta i viticci di NGC 604

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Immagine della NIRCam (Near-Infrared Camera) del James Webb Space Telescope della NASA/ESA/CSA della regione di formazione stellare NGC 604 che mostra come i venti stellari provenienti da giovani stelle calde e luminose scavano cavità nel gas e nella polvere circostanti. NASA, ESA, CSA, STScI
Tempo di lettura: 3 minuti

NGC 604 ripresa dalle due camere JWST: Miri e NIRCam

Due nuove immagini ottenute dalla NIRCam (Near-Infrared Camera) e dal MIRI (Mid-Infrared Instrument) del James Webb Space Telescope della NASA/ESA/CSA mostrano la regione di formazione stellare NGC 604, situata nella Galassia del Triangolo (M33), 2,73 milioni di luci -anni di distanza dalla Terra. In queste immagini, bolle cavernose e filamenti di gas estesi disegnano un arazzo di nascita stellare.

Al riparo tra gli involucri polverosi di gas di NGC 604 ci sono più di 200 tra i tipi di stelle più caldi e massicci, tutti nelle prime fasi della loro vita. Questi tipi di stelle sono conosciuti come tipi B e tipi O, le ultime delle quali possono avere più di 100 volte la massa del nostro Sole. È abbastanza raro trovarne una tale concentrazione nell’Universo vicino. In effetti, non esiste una regione simile all’interno della nostra galassia, la Via Lattea.

Questa concentrazione di stelle massicce, combinata con la sua distanza relativamente ravvicinata, fa sì che NGC 604 offra agli astronomi l’opportunità di studiare questi oggetti in un momento affascinante, all’inizio della loro vita.

Nell’immagine NIRCam nel vicino infrarosso di Webb, le caratteristiche più evidenti sono viticci e grumi di emissione che appaiono di colore rosso vivo, che si estendono da aree che sembrano radure o grandi bolle nella nebulosa. I venti stellari provenienti dalle giovani stelle più luminose e calde hanno scavato queste cavità, mentre la radiazione ultravioletta ionizza il gas circostante. L’idrogeno ionizzato appare come un bagliore spettrale bianco e blu.

Le strisce arancioni brillanti nell’immagine nel vicino infrarosso di Webb indicano la presenza di molecole a base di carbonio note come idrocarburi policiclici aromatici o IPA. Questo materiale svolge un ruolo importante nel mezzo interstellare e nella formazione di stelle e pianeti, ma la sua origine è un mistero. Man mano che ci si allontana dalle immediate schiarite di polvere, il rosso più profondo indica l’idrogeno molecolare. Questo gas più freddo è un ambiente privilegiato per la formazione stellare.

La straordinaria risoluzione di Webb fornisce anche approfondimenti su funzionalità che in precedenza apparivano non correlate al cloud principale. Ad esempio, nell’immagine di Webb, ci sono due stelle giovani e luminose che scavano buchi nella polvere sopra la nebulosa centrale, collegate attraverso il gas rosso diffuso. Nelle immagini in luce visibile del telescopio spaziale Hubble della NASA/ESA , queste apparivano come macchie separate.

Immagine del MIRI (strumento per il medio infrarosso) del James Webb Space Telescope della NASA/ESA/CSA della regione di formazione stellare NGC 604 mostra come grandi nubi di gas e polvere più freddi brillano alle lunghezze d’onda del medio infrarosso. Questa regione è un focolaio di formazione stellare e ospita più di 200 tra le stelle più calde e massicce, tutte nelle prime fasi della loro vita.
Al centro dell’immagine c’è una nebulosa sullo sfondo nero dello spazio. La nebulosa è composta da sottili filamenti di nubi azzurre. Al centro-destra delle nuvole blu c’è una grande bolla cavernosa. Il bordo inferiore sinistro di questa bolla cavernosa è pieno di sfumature di gas rosa e bianco. Centinaia di stelle fioche riempiono l’area circostante la nebulosa.
Credito:
NASA, ESA, CSA, STScI

La visione di Webb sulle lunghezze d’onda del medio infrarosso illustra anche una nuova prospettiva sull’attività diversificata e dinamica di questa regione. Nella vista MIRI di NGC 604, ci sono notevolmente meno stelle. Questo perché le stelle calde emettono molta meno luce a queste lunghezze d’onda, mentre le nubi più grandi di gas e polvere più freddi brillano. Alcune delle stelle viste in questa immagine dalla galassia circostante sono supergiganti rosse: stelle fredde ma molto grandi, centinaia di volte il diametro del nostro Sole. Inoltre, anche alcune delle galassie di sfondo apparse nell’immagine NIRCam svaniscono. Nell’immagine MIRI, i viticci blu del materiale indicano la presenza di IPA (idrocarburi policiclici aromatici).

Si stima che NGC 604 abbia circa 3,5 milioni di anni. La nube di gas incandescenti si estende per circa 1300 anni luce.

Webb è una partnership internazionale tra NASA, ESA e l’Agenzia spaziale canadese (CSA).

Antenne astrometriche per onde gravitazionali

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Mariateresa Crosta, ricercatrice all’Osservatorio astrofisico dell’Inaf di Torino e prima autrice dello studio sulle antenne astrometriche per onde gravitazionali pubblicato su Scientific Reports. Crediti: Federica Santucci/Inaf Torino
Tempo di lettura: 3 minuti

UN’INTUIZIONE NATA ALL’INAF E DERIVATA DAI MODELLI DI RELATIVITÀ GENERALE

Un nuovo principio di rilevazione delle onde gravitazionali, basato sulla misura delle variazioni da esse indotte sulle distanze angolari fra le stelle, promette di fornire un approccio complementare a quello degli interferometri lineari. Ne parliamo con Mariateresa Crosta dell’Istituto nazionale di astrofisica, prima autrice dell’articolo che descrive l’idea, pubblicato la settimana scorsa su Scientific Reports

La recente conferma sperimentale delle onde gravitazionali con le grandi antenne lineari Ligo e Virgo ha dato grande impulso alla ricerca e caratterizzazione fisica di candidate sorgenti di onde gravitazionali, aggiungendo un tassello fondamentale all’astrofisica multi-messaggera. Nuovi esperimenti da Terra sono in procinto di unirsi agli sforzi di rivelazione e la missione Lisa implementerà modalità simili ma specializzate per lo spazio. L’obiettivo primario di tali imprese – e di quelle a venire, come l’Einstein Telescope – è la completa caratterizzazione delle onde gravitazionali, ovvero la determinazione in ampiezza e frequenza della deformazione spazio-temporale associata, insieme all’individuazione della direzione delle possibili sorgenti, al fine di scoprire la natura fisica delle stesse attraverso campagne osservative multi-lunghezza d’onda e multi-messaggere, nonché l’astrofisica di oggetti compatti e il loro ruolo nella cosmologia.

Un nuovo approccio sperimentale, illustrato in un articolo a guida Inaf pubblicato la settimana scorsa su Scientific Reports, promette ora una rivoluzione nel settore: usare le stelle – e in particolare le variazioni della loro distanza angolare indotte dalla perturbazione dello spaziotempo – come rivelatori di onde gravitazionali. Alternativo alle altre tecniche, unito all’utilizzo di configurazioni ottiche a più linee di vista “convogliate” su un piano focale comune, il rilevamento astrometrico di onde gravitazionali consentirebbe di misurare contemporaneamente all’ampiezza, e con un’accuratezza senza precedenti, anche la direzione di arrivo dei segnali gravitazionali: un’informazione, quest’ultima,  fondamentale per le campagne di caratterizzazione fisica multi-frequenza e multi-messaggera. E rappresenterebbe uno strumento ad altissima efficienza: consentirebbe non solo una verifica indipendente e complementare delle altre tecniche, ma anche di rilevare onde gravitazionali a frequenze per le quali non sono attualmente previsti altri rivelatori.

«L’idea nasce da un’intuizione derivata dai modelli di relatività generale per le misure astrometriche al micro-arcosecondo del satellite Gaia», spiega la prima autrice dello studio, Mariateresa Crosta dell’Inaf di Torino. «La sua originalità sta nella sua impostazione tutta differenziale. L’antenna astrometrica da noi proposta utilizza direttamente l’angolo tra una coppia stretta (anche solo prospettica) di due sorgenti puntiformi otticamente risolte. Infatti, come formalizzato nel lavoro pubblicato, la perturbazione angolare indotta da un’onda gravitazionale risulta direttamente proporzionale alla distorsione spaziotemporale a essa associata e inversamente proporzionale all’angolo (risolto) tra la coppia di stelle, pertanto amplificata dalla risoluzione del telescopio, aumentando la quale si risolvono separazioni sempre più strette. In perfetta analogia “duale” con le antenne  lineari, l’angolo della coppia di stelle materializza un braccio angolare: così come aumentando la lunghezza ‘L’ del braccio di un’antenna lineare l’effetto della perturbazione diventa più facile da misurare, è risolvendo angoli sempre più piccoli che possiamo aumentare la misurabilità dell’effetto dell’onda gravitazionale indotto su un braccio (angolare)».

Facendo ricorso a sorgenti in cielo, il principio ricorda per alcuni aspetti quello alla base del Pulsar Timing Array (Pta), grazie al quale è stato possibile rivelare per la prima volta un brusio di fondo dovuto a onde gravitazionali a bassissima frequenza. Mentre il Pulsar Timing Array misura i residui degli intervalli di tempo di arrivo del segnale nella rete di pulsar riconducibili a variazioni dello spazio-tempo indotte da un’onda gravitazionale, l’antenna astrometrica misura, in pratica, la parte spaziale del segnale. Il vantaggio della formulazione differenziale, ovvero in termini di angoli tra le sorgenti in cielo, consente di riscrivere una funzione di correlazione, di costruire una “rete” tra i vari punti del cielo, in tutto simile a quella del Pulsar Timing Array. «Difatti stiamo approntando una versione digitale di questo nostro nuovo principio di osservazione astrometrico per le onde gravitazionali in modo da sfruttare le misure astrometriche di Gaia, accumulate in dieci anni e più di osservazioni, per confrontarci, e complementarci, proprio con il Pta e vedere coincidenze per onde gravitazionali con periodi di anni», dice Crosta.

Insomma, l’idea – sostengono gli autori dello studio – promette di essere un punto di svolta nella scienza delle onde gravitazionali, che è appena agli inizi e resterà alla frontiera della ricerca scientifica per molti decenni. Certo, oggigiorno non esiste un telescopio capace di misurare variazioni angolari originate da onde gravitazionali prodotte da oggetti compatti in fase di coalescenza alle distanze extragalattiche. «Tuttavia», osserva Crosta, «una prima simulazione nel caso di buchi neri stellari massicci binari (per esempio, tra 20 e 80 masse solari) in pre-coalescenza che emettono segnali (quasi) periodici con frequenze dai centesimi ai decimi di Hz, ovvero con periodi dai 100 ai 10 secondi, indica che la variazione angolare indotta dall’onda gravitazionale potrebbe essere oltre la soglia delle decine di milionesimi di arcosecondo fino a distanze di cinquemila parsec dal Sole. E una facility come il Very Large Telescope Interferometer (Vlti) dell’Eso ha già una risoluzione angolare dell’ordine del millesimo di arcosecondo, equivalente – come riportato nel sito dell’Eso – a distinguere i due fari di un’automobile alla distanza della Luna. Stiamo di fatto valutando di testare il principio dell’antenna astrometrica gravitazionale. Va stabilito ovviamente un tempo di puntamento sufficiente a garantire la copertura di più periodi dell’onda, auspicando che oggetti così massicci esistano in numero sufficiente nella nostra galassia».

Vai alla notizia originale: Media INAF

 


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Immagini straordinarie del processo di formazione dei pianeti catturate dal Very Large Telescope (VLT)

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Le immagini mostrate sono state catturate utilizzando lo strumento Spettro-Polarimetrico High-contrast Exoplanet REsearch ( SPHERE ) montato sul Very Large Telescope ( VLT ) dell'ESO. Crediti: ESO/C. Ginski, A. Garufi, P.-G. Valegard et al.
Tempo di lettura: 4 minuti

Un’indagine innovativa rivela i segreti della nascita del pianeta attorno a dozzine di stelle

In una serie di studi, un team di astronomi ha gettato nuova luce sull’affascinante e complesso processo di formazione dei pianeti. Le straordinarie immagini, catturate utilizzando il Very Large Telescope dell’Osservatorio Europeo Australe (VLT) in Cile, rappresentano una delle più grandi indagini mai effettuate sui dischi di formazione dei pianeti. La ricerca riunisce le osservazioni di oltre 80 giovani stelle che potrebbero avere pianeti in formazione attorno a loro, fornendo agli astronomi una ricchezza di dati e approfondimenti unici su come nascono i pianeti in diverse regioni della nostra galassia.

” Si tratta davvero di un cambiamento nel nostro campo di studi “, afferma Christian Ginski, docente presso l’Università di Galway, in Irlanda, e autore principale di uno dei tre nuovi articoli pubblicati il 05 marzo su Astronomy & Astrophysics . “ Siamo passati dallo studio approfondito dei singoli sistemi stellari a questa vasta panoramica di intere regioni di formazione stellare. 

Ad oggi sono stati scoperti più di 5000 pianeti orbitanti attorno a stelle diverse dal Sole, spesso all’interno di sistemi nettamente diversi dal nostro Sistema Solare. Per capire dove e come nasce questa diversità, gli astronomi devono osservare i dischi ricchi di polvere e gas che avvolgono le giovani stelle, le culle stesse della formazione dei pianeti.

Proprio come i sistemi planetari maturi, le nuove immagini mostrano la straordinaria diversità dei dischi che formano i pianeti. ” Alcuni di questi dischi mostrano enormi bracci a spirale, presumibilmente guidati dall’intricato balletto dei pianeti in orbita “, afferma Ginski. ” Altri mostrano anelli e grandi cavità scavate dalla formazione dei pianeti, mentre altri ancora sembrano lisci e quasi dormienti“, aggiunge Antonio Garufi, astronomo dell’Osservatorio Astrofisico di Arcetri, Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), e autore principale di uno degli articoli.

Il team ha studiato un totale di 86 stelle in tre diverse regioni di formazione stellare della nostra galassia: Taurus e Chamaeleon I, entrambi a circa 600 anni luce dalla Terra, e Orion, una nube ricca di gas a circa 1600 anni luce da noi noto per essere il luogo di nascita di numerose stelle più massicce del Sole. Le osservazioni sono state raccolte da un grande team internazionale, composto da scienziati provenienti da più di 10 paesi.

Il team è stato in grado di raccogliere diverse informazioni chiave dal set di dati. Ad esempio, in Orione hanno scoperto che le stelle in gruppi di due o più avevano meno probabilità di avere grandi dischi di formazione planetaria. Questo è un risultato significativo dato che, a differenza del nostro Sole, la maggior parte delle stelle della nostra galassia hanno delle compagne. Oltre a ciò, l’aspetto irregolare dei dischi in questa regione suggerisce la possibilità che vi siano pianeti massicci incorporati al loro interno, il che potrebbe causare la deformazione e il disallineamento dei dischi.

Dischi che formano pianeti attorno a giovani stelle e la loro posizione all’interno della nube ricca di gas del Toro, a circa 600 anni luce dalla Terra. ESO/A.Garufi et al.; RABBIA

 

Dischi che formano pianeti attorno a giovani stelle e la loro posizione all’interno della nube ricca di gas di Camaleonte I, a circa 600 anni luce dalla Terra. Crediti:
IT/C. Ginski et al.; ESA/Herschel

Sebbene i dischi che formano i pianeti possano estendersi per distanze centinaia di volte maggiori della distanza tra la Terra e il Sole, la loro posizione a diverse centinaia di anni luce da noi li fa apparire come minuscoli punte di spillo nel cielo notturno. Per osservare i dischi, il team ha utilizzato il sofisticato strumento spettro-polarimetrico ad alto contrasto Exoplanet REsearch ( SPHERE ) montato sul VLT dell’ESO . Il sistema di ottica adattiva estrema all’avanguardia di SPHERE corregge gli effetti turbolenti dell’atmosfera terrestre, producendo immagini nitide dei dischi. Ciò significa che il team è stato in grado di acquisire immagini di dischi attorno a stelle con masse pari alla metà della massa del Sole, che in genere sono troppo deboli per la maggior parte degli altri strumenti oggi disponibili. Ulteriori dati per l’indagine sono stati ottenuti utilizzando lo strumento X-shooter del VLT , che ha permesso agli astronomi di determinare quanto siano giovani e massicce le stelle. L’Atacama Large Millimeter/submillimeter ArrayALMA ), di cui l’ESO è partner, d’altro canto, ha aiutato il team a comprendere meglio la quantità di polvere che circonda alcune stelle.

Con l’avanzare della tecnologia, il team spera di scavare ancora più a fondo nel cuore dei sistemi di formazione dei pianeti. Il grande specchio da 39 metri del prossimo Extremely Large Telescope ( ELT ) dell’ESO , ad esempio, consentirà al team di studiare le regioni più interne attorno alle giovani stelle, dove potrebbero formarsi pianeti rocciosi come il nostro.

Per ora, queste immagini spettacolari forniscono ai ricercatori un tesoro di dati per aiutare a svelare i misteri della formazione dei pianeti. “ È quasi poetico che i processi che segnano l’inizio del viaggio verso la formazione dei pianeti e, in definitiva, la vita nel nostro Sistema Solare siano così belli ”, conclude Per-Gunnar Valegård, uno studente di dottorato presso l’Università di Amsterdam, Paesi Bassi, che ha condotto lo studio Orion. Valegård, che è anche insegnante part-time presso la Scuola Internazionale Hilversum nei Paesi Bassi, spera che le immagini ispirino i suoi alunni a diventare scienziati in futuro.

 

Fonti: ESO 

Feedback Stellare e Formazione Stellare: Il Ruolo delle Regioni HII nelle Galassie

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Regione HII con formazione stellare attiva S235. Crediti: NASA/JPL-Caltech/UCLA.
Tempo di lettura: 5 minuti

 

Impatto del feedback stellare pre-supernova sulle regioni HII nelle galassie nane starburst

 

Le regioni HII sono nubi di idrogeno ionizzato prodotte dalla radiazione UV emessa dalle stelle giovani e massicce. Esse sono dunque direttamente collegate alle zone di formazione stellare, dove tali stelle nascono ed evolvono rapidamente: questo veloce sviluppo porta però con sé una serie di effetti sull’ambiente circostante che va sotto il nome di feedback stellare. La difficoltà nello stabilire una relazione tra formazione stellare, regioni HII e associato feedback nei vari tipi di galassie ha incentivato la realizzazione di uno studio sui diversi meccanismi di feedback stellare pre-supernova nelle galassie nane starburst, tipicamente escluse dai cataloghi spettroscopici. Grazie ai promettenti risultati ottenuti dai ricercatori si ricavano importanti informazioni per implementare una modellistica più completa e accurata della formazione stellare nelle galassie in funzione delle proprietà delle regioni HII in esse presenti.

Con feedback stellare si fa riferimento all’insieme degli effetti che le stelle giovani e massicce hanno sull’ambiente circostante quando emettono radiazione ionizzante UV e generano onde di pressione che spazzano il mezzo interstellare. I meccanismi di feedback stellare possono essere quindi di tipo radiativo o meccanico e governare fenomeni astrofisici diversi, come l’espansione delle regioni HII, la formazione stellare e la distribuzione della materia oscura nelle galassie nane. In particolare, recenti indagini hanno mostrato che il feedback stellare pre-supernova (i.e., relativo al periodo precedente l’esplosione di supernova) delle stelle con massa ≳8 M⊙, ricopre un ruolo sostanziale nella regolazione della formazione stellare nelle galassie a spirale, ma poco chiaro in quella nelle galassie nane. Ciononostante, codeste si configurano come laboratori ideali per testare questo genere di feedback per via della loro minore densità di gas e stelle, che contrasta la schermatura del fronte d’onda fotonico. Utilizzando degli strumenti chiamati IFUs (integral field units, i.e., unità a campo integrale) per costruire immagini spettroscopiche in 2D, è possibile risolvere in dettaglio le regioni HII esito dell’azione del feedback stellare, definendo in tal modo le proprietà sia del gas ionizzato costituente sia delle stelle ionizzanti. L’applicazione della spettroscopia IFU alle regioni di formazione stellare nella Via Lattea e ad altre galassie vicine con formazione stellare attiva ha permesso la creazione di un vasto database di regioni HII, da poco ampliato proprio con l’inclusione delle galassie nane. In un recente lavoro di ricerca sono state infatti campionate dall’archivio dati della survey DWALIN tre galassie nane starburst (i.e., J0921, KKH046 e Leo P), osservate con l’IFU MUSE montato sul telescopio VLT, per analizzare la dipendenza del feedback stellare pre-supernova dalle caratteristiche del mezzo interstellare in esse presente. Dopo aver determinato i confini di 30 regioni HII attraverso mappe di emissione della riga Hα, ne sono stati selezionati gli spettri integrati e si è proceduto al fit delle loro principali righe di emissione con profili gaussiani allo scopo di derivare i valori della densità elettronica, della luminosità e dell’abbondanza di ossigeno (indicatore della metallicità) del gas ionizzato.

Immagini spettroscopiche in 2D delle regioni HII nelle galassie nane campionate J0921, KKH046 e Leo P
ricavate dalle seguenti righe di emissione: [SII]λ6716 (colore rosso), Hα (colore verde) e [OIII]λ5007 (colore
blu). Crediti: arXiv.
Mappe di emissione della riga Hα realizzate per le regioni HII delle galassie nane campionate J0921,
KKH046 e Leo P, corrispondenti alle immagini precedenti. Crediti: arXiv.

In virtù di queste informazioni si è potuto allora esaminare il contributo di due diverse specificazioni del feedback stellare pre-supernova, ovvero la fotoionizzazione e la pressione diretta di radiazione, al variare della regione HII scelta. Esse possono essere quantificate mediante i corrispettivi termini di pressione: la pressione termica del gas ionizzato dai singoli fotoni della radiazione stellare Pion e la pressione meccanica generata dal momento trasmesso dalla radiazione stessa nel suo complesso all’ambiente Pdir. Il successivo confronto con studi simili condotti in galassie più massicce, come quelle oggetto della survey PHANGS, ha consentito non solo di verificare, ma anche di generalizzare i risultati ottenuti.

Porzione dello spettro della regione HII 1 nella galassia nana KKH046 estratta dal database MUSE. Essa
contiene le righe di emissione più importanti studiate dai ricercatori e mostra i profili di riga gaussiani con cui
sono state modellizzate (in rosso). La finestra blu evidenzia invece la riga dell’idrogeno Hβ e il doppietto
dell’ossigeno terzo [OIII]λ4959,5007. Crediti: arXiv.
Ora, le regioni HII si espandono spinte da Pion o da Pdir: ergo, si può assumere che la loro dimensione sia indice del loro stato evolutivo. Poiché sia Pion che Pdir decrescono nel tempo, ma la prima è maggiore della seconda nelle regioni HII larghe circa 10−100 pc, si deduce che entrambi i meccanismi di feedback perdono progressivamente potere e che la pressione diretta di radiazione diventa meno importante della fotoionizzazione. Inoltre, le regioni HII nelle tre galassie campionate appaiono più estese rispetto a quelle della survey PHANGS in quanto le galassie nane contengono solitamente stelle povere di metalli. Tali stelle emettono un’aumentata quantità di fotoni ionizzanti responsabile dell’incremento di Pion: ciò comporta dunque una più rapida espansione delle regioni HII. Si individua, infine, un’ulteriore correlazione con il contenuto di polveri di suddette regioni: bassa metallicità significa ridotto contenuto di polveri e, di conseguenza, minor inibizione dell’effetto ionizzante della radiazione stellare UV. Per converso, insomma, regioni HII ricche di metalli si presentano più compatte e dominate da Pdir.

Mappe di emissione della riga Hα realizzate per le regioni HII delle galassie nane campionate J0921,
KKH046 e Leo P, corrispondenti alle immagini precedenti. Crediti: arXiv.

Ricapitolando, dall’indagine sulle tre galassie nane J0921, KKH046 e Leo P emerge che il feedback stellare pre-supernova dipende dallo stato evolutivo (i.e., dall’estensione), dalla metallicità e dal contenuto di polveri delle regioni HII originate dalla radiazione UV proveniente da stelle giovani e massicce. I meccanismi di fotoionizzazione e di pressione diretta di radiazione tendono ad essere mutuamente esclusivi e a prevalere l’uno in regioni HII più evolute (i.e., più estese), meno metalliche e con scarso contenuto di polveri, e l’altro in regioni HII meno evolute (i.e., meno estese), più metalliche e con elevato contenuto di polveri. Tuttavia, la forza dei relativi termini di pressione Pion e Pdir diminuisce a mano a mano che l’espansione delle regioni HII procede, a dispetto della configurazione fisica di queste. Si tratta, in definitiva, di risultati notevoli, che facilitano l’esplorazione degli effetti del feedback stellare anche in sistemi meno massivi e ricchi di metalli come le galassie nane starburst, andando pertanto a delineare una precisa relazione con le proprietà dell’associato mezzo interstellare. Una conclusione felice per la modellistica teorica, che potrà d’ora in avanti disporre di nuovi strumenti per simulare in maniera più completa e realistica la formazione stellare all’interno delle galassie.

 

Fonte: arXiv.


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Il Cielo di Marzo 2024

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Tempo di lettura: 7 minuti

IL CIELO DI MARZO 2024

Inizio Ora Legale 31 marzo 02:00 -> 03:00 TU+1-> TU+2

Eq. Primavera 20 Marzo ore 06:21

Mappa from https://in-the-sky.org/

Mappa del cielo alle ore (TMEC): 01 Mar > 23:00   15 Mar > 22:00  31 Mar > 21:00

 

COSTELLAZIONI DI MARZO 2024

DOMINA IL CIELO L’ORSA MAGGIORE

Il cielo di marzo è ancora popolato dagli asterismi che hanno dominato l’inverno, ma che ormai declinano lentamente verso Ovest, mentre diventano sempre più protagoniste le figure tipiche del cielo primaverile.

Tra le tante costellazioni osservabili sulla volta celeste di certo non mancherà di notare quella  dell’Orsa MaggioreUrsa Major, che deve la sua fama all’asterismo del Grande Carro che, con le sue sette stelle principali visibili ad occhio nudo, compone solo una piccola parte della molto più estesa costellazione: si tratta di Dubhe, Merak, Phecda, Megrez, Alioth, Mizar e Alkaid.

Tutte le descrizioni sono in Le Costellazioni del mese di Marzo

a cura di @teresamolinaro

I principali eventi di Marzo 2024 (pubblicati nell’Almanacco 2024 distribuito in omaggio a tutti gli abbonati)

Data Ora Cosa Come

03/03/2024 16:23 Ultimo Quarto
08/03/2024 06:00 Congiunzione Luna-Marte
08/03/2024 18:00 Congiunzione Luna-Venere
09/03/2024 18:27 Congiunzione Luna-Saturno
10/03/2024 08:05 Luna Perigeo
10/03/2024 10:00 Luna Nuova
10/03/2024 20:24 Congiunzione Luna-Nettuno
11/03/2024 03:29 Congiunzione Luna-Mercurio
12/03/2024 02:17 Luna Nodo Ascendente
14/03/2024 02:02 Congiunzione Luna-Giove
15/03/2024 04:30 Congiunzione Luna-Pleiadi
17/03/2024 05:10 Primo Quarto
17/03/2024 11:30 Nettuno Congiunzione Sole
17/03/2024 17:35 Mercurio Perielio
19/03/2024 18:07 Venere Afelio
20/03/2024 04:06 Equinozio Primavera
20/03/2024 09:43 Congiunzione Luna-Presepe
22/03/2024 02:59 Congiunzione Venere-Saturno
22/03/2024 06:26 Congiunzione Luna-Regolo
23/03/2024 16:44 Luna Apogeo
24/03/2024 23:27 Mercurio Max Elong. Est
25/03/2024 08:00 Luna Piena
25/03/2024 08:13 Eclisse Lunare
26/03/2024 05:06 Luna Nodo Discendente
26/03/2024 21:21 Congiunzione Luna-Spica
30/03/2024 16:03 Congiunzione Luna-Antares

Tutte le effemeridi del mese di Marzo 2024 sono disponibili in file csv

Clicca sul banner per scaricare

Clicca sul banner per accedere alle Effemeridi agosto 2023!

ATTENZIONE la parte centrale dell’articolo con la descrizione del moto dei pianeti ed equazione del tempo è riservata agli abbonati a COELUM


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LUNA

Simpatica configurazione il 14 marzo con Pleiadi-Luna-Urano-Giove allineati in verticale ad ovest. Il 25 eclissi di Luna di penombra ma dall’Italia non sarà visibile

Tutto nella rubrica Luna di Marzo 2024

COMETE

UNO SPETTACOLO DA NON PERDERE: PONS-BROOKS

Ormai prossima al picco luminoso la Pons-Brooks è alle prove generali prima del passaggio al perielio.

Per approfondire: le comete di Marzo 2024 a cura di @claudiopra

ASTEROIDI

GLI ASTEROIDI IN OPPOSIZIONE
a MARZO

e consigli per le riprese

(3) Juno, (23) Thalia 

Trovi tutto qui: Mondi in miniatura – Asteroidi, Marzo 2024 a cura di @mioxzy

TRANSITI NOTEVOLI ISS

La ISS – Stazione Spaziale Internazionale sarà rintracciabile nei nostri cieli sia ad orari mattutini che serali. Avremo molti transiti notevoli con magnitudini elevate durante il primo mese della Primavera, auspicando come sempre in cieli sereni.

Non perdere la rubrica Transiti notevoli ISS per il mese di Marzo 2024 a cura di @stormchaser

SUPERNOVAE – AGGIORNAMENTI

Grandi scoperte nel mese di gennaio, @fabio-briganti e Riccardo Mancini ce le raccontano sapientemente qui!

Cieli sereni a tutti!


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Le Costellazioni di Marzo 2024

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COSTELLAZIONI DI MARZO 2024

DOMINA IL CIELO L’ORSA MAGGIORE

Il cielo di marzo è ancora popolato dagli asterismi che hanno dominato l’inverno, ma che ormai declinano lentamente verso Ovest, mentre diventano sempre più protagoniste le figure tipiche del cielo primaverile.

Tra le tante costellazioni osservabili sulla volta celeste di certo non mancherà di notare quella  dell’Orsa Maggiore, Ursa Major, che deve la sua fama all’asterismo del Grande Carro che, con le sue sette stelle principali visibili ad occhio nudo, compone solo una piccola parte della molto più estesa costellazione: si tratta di Dubhe, Merak, Phecda, Megrez, Alioth, Mizar e Alkaid.

Alioth (ε Ursae Majoris) è la stella principale della costellazione, avente colore bianco e una magnitudine 1,76.

Dubhe (α Ursae Majoris), è un sistema quadruplo che dista 124 anni luce dalla Terra: attorno alla componente principale ruotano Dubhe B e Dubhe C che a sua volta è una stella binaria.

Degna di nota anche Mizar: i più acuti osservatori avranno di certo notato accanto ad essa un’altra stella che, seppur meno brillante, fa coppia con la compagna di cielo e porta il nome di Alcor: i due oggetti sono separati da una distanza compresa tra 0,28 e 2 anni luce circa e insieme formano la stella binaria visuale più famosa del cielo, visibile ad occhio nudo.

E’ un asterismo davvero importante quello del Grande Carro, utilizzato per l’orientamento stellare: tracciando infatti una linea immaginaria tra Dubhe e Merak e prolungandola di circa 5 volte, si giungerà alla Stella Polare.

OGGETTI NON STELLARI NELLA COSTELLAZIONE

Tra gli oggetti del profondo cielo presenti nell’Orsa Maggiore, uno dei più celebri è certamente la Galassia Girandola, nota anche come M101, scoperta nel 1781 da Charles Messier  e  da Pierre Méchain.

La  galassia a spirale M101 dista 21.000.000 anni luce dalla Terra, ed è uno degli oggetti più brillanti del cielo, molto amato dagli astrofili che con le dovute tecniche e attrezzature riescono a ricavare dettagli davvero eccezionali.

IMMAGINE M101 – CREDITI: DAVIDE NARDULLI

Ma non è finita qui, perché vi sono altri sorprendenti oggetti nell’Orsa Maggiore che ispirano gli astrofili a realizzare immagini davvero interessanti: uno di questi è la coppia di galassie formata da M81 e M82

IMMAGINE M81 E M82 – CREDITI: DAVIDE NARDULLI

I due oggetti appartengono al gruppo di galassie dell’Orsa Maggiore, che è uno dei più vicini al nostro Gruppo Locale: M81, conosciuta come la Galassia di Bode, è una galassia a spirale situata a circa 12 milioni di anni luce dalla Terra, individuabile con l’ausilio di un buon binocolo se si osserva il cielo in condizioni adeguate; chiaramente è attraverso telescopi di aperture considerevoli che si è in grado di scorgere le strutture della spirale.

L’altra galassia che compone la coppia è M82, meglio nota come Galassia Sigaro: anch’essa rappresenta un oggetto del profondo cielo molto amato dagli astrofili e la sua caratteristica è quella di generare nuove stelle in numero dieci volte maggiore rispetto alla nostra Via Lattea.

M82 subisce gli effetti gravitazionali della sua compagna più grande, M81, e queste continue interazioni hanno favorito l’incremento di fenomeni di formazione stellare.

L’ORSA MAGGIORE NELLA MITOLOGIA

Secondo la mitologia greca Callisto era una ninfa, una bellissima fanciulla figlia del Re di Arcadia Licaone e ancella di Artemide; divenuta l’ennesimo oggetto del desiderio di Zeus, fu tramutata in orso dallo stesso padre degli dei.

Le versioni della storia sono diverse: secondo una prima la prima leggenda, fu proprio Zeus a trasformare la giovane fanciulla in un’orsa per sottrarla alle ire di Era; mentre, la seconda versione, sostiene che fu Artemide a trasformare Callisto dopo aver scoperto lo stato di gravidanza della giovane ancella, votata alla castità.

La metamorfosi di Callisto avvenne dopo aver dato alla luce Arcade. Questi, allevato da Artemide e le sue ancelle e venuto a conoscenza della presenza di un orso nel bosco dove abitavano le ninfe, si mise sulle sue tracce per ucciderlo.

Dopo aver scovato Callisto, si preparò a colpire l’animale con una lancia, ignorando chi fosse in realtà. Zeus, impietosito, fermò il tempo, trasformò sia l’orsa che Arcade in stelle e li collocò per sempre sulla volta celeste.

Ah, quante volte, temendo di riposare nella solitudine dei boschi, torna a vagare davanti alla casa e nei campi che un tempo erano suoi!

Ah, quante volte, inseguita tra le rocce dal latrato dei cani, fugge atterrita, lei, la cacciatrice, per fobia dei cacciatori!

Spesso, vedendo delle belve, si nasconde scordandosi chi era, e pur essendo un’orsa, si spaventa se scorge un orso sui monti, ha terrore dei lupi, sebbene un lupo fosse suo padre [Licaone].

Ovidio, Metamorfosi, 2: 401-495

LA COSTELLAZIONE DELL’ORSA MINORE

Un’altra costellazione visibile nel cielo di marzo è quella  dell’Orsa Minore: anch’essa deve la sua notorietà all’asterismo che custodisce, quello del Piccolo Carro, oltre al fatto che la stella più luminosa e più nota della costellazione, ovvero Polaris, α Ursae Minoris, o per meglio dire la Stella Polare, rappresenta il Polo Nord celeste.

Polaris è una stella gialla di magnitudine 1,97 ed è un sistema stellare triplo, dominato da stella supergigante gialla variabile cefeide (Polaris A), e da due meno luminose compagne di classe F, poco più massicce del Sole.

Le altre stelle che compongono l’asterismo del Piccolo Carro sono Kochab (β Ursae Minoris), una stella di colore arancione di magnitudine 2,07, che si trova nella posizione della costellazione opposta alla Stella Polare,  e la cui distanza è stimata sui 126 anni luce, e Pherkad (γ Ursae Minoris), una stella bianca di magnitudine 3,00, variabile Delta Scuti distante 480 anni luce.

Poiché il piano galattico passa lontano dalla costellazione, non vi sono oggetti del profondo cielo appartenenti all’Orsa Minore.

OGGETTI NON STELLARI NELLA COSTELLAZIONE

La costellazione dell’Orsa Minore non è particolarmente ricca di oggetti. Essa è totalmente priva di oggetti del catalogo Messier ma mancano anche oggetti deep-sky notevoli.

Fra i pochi soggetti estesi suggeriamo NGC 6217, una galassia spirale barrata con un alto tasso di formazione stellare e la piccola galassia NGC5452 nello scatto sotto catturata dall’abile Cristina Cellini vicino alla cometa C/2023 E1.

Credit: NASA /ESA HUBBLE SM4 HERO team

 

Piccola galassia NGC5452 con accanto la cometa C/2023 E1 Crediti :Cristina Cellini Gruppo Astrofile

L’ORSA MINORE NELLA MITOLOGIA

Anche in questo caso ci ricolleghiamo al mito dall’Orsa Maggiore, arrivando alla parte in cui Zeus  trasformò Arcade e Callisto in stelle: secondo alcune versioni, che trovano un certo riscontro negli scritti di Eratostene, Artemide  si sentì tuttavia in dovere di rendere omaggio alla sua ancella prediletta, collocando sulla volta celeste una mini versione di Callisto, già tramutata in orsa (maggiore), a proclamarne l’onore e a renderle doppio valore.

Federico Cervelli. Diana e Callisto 1625

Artemide dette fama [a Callisto] ponendone in cielo una seconda immagine di fronte alla prima, così che ne ricevesse doppio onore.

Eratostene, Epitome dei Catasterismi

 

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La Luna di Marzo 2024

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Simpatica configurazione il 14 marzo con Pleiadi-Luna-Urano-Giove allineati in verticale ad ovest. Il 25 eclissi di Luna di penombra ma dall’Italia non sarà visibile

In marzo saltiamo i primi giorni e arriviamo direttamente all’08 marzo quando, come anticipato, ci attende un incontro fra Luna e Venere leggermente più favorevole rispetto al mese precedente.

La distanza minima pari a 3.3°S è prevista per le 19:53 quando entrambi saranno sotto l’orizzonte precedendo il Sole del tramonto. Meglio tentare la mattina dello stesso giorno, intorno alle 06:00 quando una finestra di circa 20 minuti ci consentirà di catturare la Luna all’8.8% in un triangolo coinvolgendo anche Marte.

Triangolo Luna-Venere-Marte il giorno 08 marzo alle poco dopo le ore 06 nella luce del crepuscolo. Falce di Luna a 8,8%. Immagine https://theskylive.com/

Il 14 marzo intorno alle 22:00 sarà interessante osservare quasi in linea verticale ad Ovest in ordine dall’alto verso il basso: le Pleiadi, la Luna 17.8%, Urano e vicino all’orizzonte Giove a più o meno sei gradi di distanza l’uno dall’altro.

Curiosa configurazione ad ovest il giorno 14 marzo alle ore 22. Con Giove in basso primo della fila a seguire Urano, Luna e Pleiadi. Distanza media circa 06 gradi. Immagine https://theskylive.com/

Il 20 marzo l’equinozio di primavera ci avrà donato giornate più lunghe ma anche notti più corte. Nulla di particolare da segnalare fino a saltare direttamente al giorno 25 marzo che vedrà la Luna interessata da un’Eclisse Parziale di Penombra. Purtroppo come mostrato anche nell’immagine, l’eclisse non sarà visibile dall’Italia se non per qualche minuto prima del tramonto del satellite e giorno oramai fatto.
L’inizio dell’ingresso della Luna nella sezione di penombra della Terra è previsto per le 5:53 UTC+1 mentre il satellite scomparirà sotto l’orizzonte ad Ovest, quindi subito dopo già alle 06:10 UTC+1.

Tabelle delle fasi e distanze Luna-Terra

FASE DATA ORE SORGE CULMINA TRAMONTA DISTANZA DIAM. APP.
Ultimo Quarto 03-mar 16:23 01:16 05:49 10:09 390254 km 1831.0
Luna Nuova 10-mar 12:57 06:42 12:32 18:28 357007 km 1978.1
Primo Quarto 17-mar 05:10 10:32 17:54 02:03 386947 km 1862.8
Luna Piena 25-mar 08:00 18:48 06:11 07:44 405717 km 1788.0
FASE DATA
Luna Calante dal 01 al 10
Luna Crescente dal 11 al 25
Luna Calante dal 26 al 31

 

FASE DATA ORE DISTANZA DIAM. APP.
Perigeo 10-mar 08:05 356894 km 1978.1
Apogeo 23-mar 16:15 406295 km 1788.4

–  Ogni fenomeno lunare e rispettivi orari sono rapportati alla Città di Roma, dati rilevati dai siti https://theskylive.com/http://www.marcomenichelli.it/luna.asp


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News da Marte #26

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Bentornati su Marte!
In questa puntata riprendiamo la ricostruzione degli eventi che hanno portato al termine della missione di Ingenuity con nuove immagini e nuovi video. Vediamo anche un problema di Perseverance con il tappo della camera SHERLOC e recenti osservazioni solari eseguite dal rover. Si parte!

Tre eliche spezzate, una assente

Come descritto brevemente in chiusura di News da Marte #25, a fine gennaio i tecnici NASA hanno avviato i test di movimentazione delle eliche di Ingenuity. Le prime verifiche hanno riguardato l’azionamento dei motori che svolgono la funzione di regolatore di passo, vale a dire il dispositivo che sugli elicotteri varia l’angolo di attacco delle eliche consentendo di gestire le fasi di volo. I motori coinvolti sono sei in tutto, tre per ciascun rotore separati di 120° (due di questi sono indicati con i numeri 6 e 10 nell’immagine sottostante). Questi motori sono impiegati anche per direzionare l’elicottero.

Crediti: Charlie Layton basato su immagini NASA

Il test dell’angolo di attacco, almeno a giudicare dai fotogrammi ricevuti, sembra dare esito positivo. A meno di fare una chiacchierata con i tecnici NASA coinvolti non possiamo conoscere nel dettaglio quale fosse l’entità dello spostamento desiderato, ma è perlomeno confermata la funzionalità dei motori dedicati. Ingenuity esegue tre verifiche a questo riguardo che vengono documentate con acquisizioni video ad alto frame rate con la sua NavCam. 

Test dell’angolo di inclinazione delle eliche nel Sol 1048. NASA/JPL-Caltech/Piras

Ho racchiuso i vari test sui regolatori di passo in un video che condensa qualche migliaio di fotogrammi.

Dopo queste verifiche è stato il momento di azionare i rotori (indicati con i numeri 1 e 7 nel disegno precedente). 

Il Sol 1059 (11 febbraio) le eliche vengono ruotate per la prima volta eseguendo all’incirca un quarto di rotazione in senso orario. Questo test aggiunge un elemento importante nella ricostruzione dell’incidente perché per la prima volta si riescono ad osservare le quattro pale. O almeno questo era l’obiettivo, perché ne vengono rilevate solo tre.

Favorita da un angolo propizio del Sole, la camera di Ingenuity riprende l’esecuzione della rotazione e rivela così che una delle quattro eliche è totalmente assente. È a questo punto chiaro che si sia spezzata vicino alla base.

Test dei rotori, Sol 1059. NASA/JPL-Caltech/Piras
Probabile stato di Ingenuity in una ricostruzione domestica basata sulle immagini ricevute. Il modellino fotografato è quello incluso nel set Lego “NASA Mars Rover Perseverance”. Crediti: Piras

Così come per i test dell’angolo di attacco, numerosi fotogrammi sono stati acquisiti anche nel corso della movimentazione dei rotori. Ve li propongo in un altro video, sempre mostrati rispettando fedelmente i timestamp di esecuzione così come riportati nei nomi dei singoli frame.

 

Altre investigazioni di Perseverance

Nelle precedente puntata della rubrica avevo mostrato una prima osservazione che il rover aveva eseguito a inizio febbraio con il supporto dei 110 mm di focale offerti dalle MastCam-Z, le potenti camere zoom a sua disposizione.

Ho lavorato ancora a quelle immagini e vale la pena che ve ne proponga una rielaborazione.

Mosaico di sei immagini acquisite dalle MastCam-Z nel Sol 1052. Il contrasto è stato accentuato per esaltare le deboli variazioni nelle tonalità. NASA/JPL-Caltech/MSSS/Piras

Oltre all’elicottero e ai suoi dettagli già analizzati, ben evidente circa 15 metri a sinistra anch’essa evidenziata e ingrandita, rinveniamo l’elica mancante che è stata proiettata verso sud dall’impatto.

Ma la migliore foto di Ingenuity danneggiato viene realizzata dal rover nella notte italiana del 25 febbraio. Lo scorcio marziano che vi mostro, catturato da 415 metri di distanza, è stato reso possibile dalla SuperCam, il piccolo telescopio montato nella “testa” di Perseverance che combina le funzioni di osservazione con l’uso di un laser per analisi spettrali. 

Immagine originale così come pubblicata nei siti ufficiali. NASA/JPL-Caltech/LANL/CNES/IRAPAmmiriamo Valinor Hills, il nome che è stato dato al luogo dove Ingenuity ha toccato terra per l’ultima volta. Il riferimento è al luogo inserito da J. R. R. Tolkien nel suo universo immaginario.

Le immagini, qui sotto elaborate e interpolate per cercare di esaltare i più piccoli dettagli, confermano parte delle ipotesi fatte sino a questo momento. Due macchie scure sulla sinistra del velivolo sono i punti dove l’elicottero è atterrato con violenza nel corso del suo 72esimo e ultimo volo. I rotori sono posizionati in modo diverso rispetto alla foto della MastCam-Z vista in precedenza: quello inferiore è orientato quasi verticalmente nell’immagine, il superiore è invece orizzontale ma mostra solo una delle due pale. Rinveniamo quella mancante nella seconda ripresa in cui si nota anche la traccia lasciata dall’elica sulla sabbia mentre veniva proiettata tangenzialmente.

NASA/JPL-Caltech/LANL/CNES/IRAP/Piras

Interpolando e ingrandendo ulteriormente la foto dell’elica scorgiamo il piccolo sistema di bilanciamento integrato nelle quattro pale di Ingenuity che prende il nome di Chinese weight. È quello spuntone alla base delle eliche progettato per bilanciare il peso dei rotori e ridurre lo sforzo dei motori che gestiscono il direzionamento dell’elicottero. Anche da oltre 400 metri di distanza si riesce a distinguere questo minuscolo particolare. Le varie peculiarità nella forma asimmetrica della pala parrebbero supportare questa ipotesi del vostro autore.

NASA/JPL-Caltech/LANL/CNES/IRAP/Piras

Queste nuove immagini danno supporto alla ricostruzione che un’elica possa essersi staccata dal rotore nelle fasi finali del volo e non, come ritenuto in precedenza, per un impatto col terreno. Sarebbe poi stata colpita dalle altre pale le cui punte si sono così danneggiate. In questo caso si tratterebbe quindi di un problema causato dall’usura meccanica subita da Ingenuity. Ma non si possono davvero muovere rimproveri ai progettisti di questo velivolo straordinario che ha volato per 72 volte (invece di 5 previste) accumulando poco meno di 129 minuti di volo nel corso dei quali si è spostato per complessivi 17 km.

Un intoppo anche per Perseverance

Oltre a Ingenuity, anche il rover sta trascorrendo un po’ di tempo a documentare la situazione di un suo problema. Fortunatamente non catastrofico, ma che potrebbe limitare le capacità di analisi a disposizione degli scienziati.

Tutto è iniziato il 6 gennaio, con Perseverance che in quei giorni stava eseguendo delle analisi di una lastra rocciosa. I programmi prevedevano di dare una soffiata alla superficie e procedere poi con le foto di PIXL, WATSON e SHERLOC.

Tutto bene con i primi due strumenti che acquisiscono complessivamente 90 immagini ma non con lo spettrometro SHERLOC (acronimo di Scanning Habitable Environments with Raman & Luminescence for Organics & Chemicals). Quest’ultimo restituisce solo due immagini nere di calibrazione, scattate con il tappo. Quello che sarebbe considerato un errore marchiano per un fotografo, per SHERLOC fa in realtà parte della normale routine di esecuzione delle attività. La lente frontale dello strumento è infatti protetta da uno sportellino anti-polvere azionato elettricamente che integra al suo interno un bersaglio composto di una lega di alluminio, gallio e azoto con proprietà di semiconduttore. Le linee di assorbimento di questo target permettono agli scienziati di valutare variazioni nelle prestazioni del laser di SHERLOC.

SHERLOC fotografato nei laboratori del JPL durante i test. Attorno alla lente si vedono 6 LED, usati per illuminare i soggetti in luce naturale e luce UV. NASA/JPL-Caltech

Il problema è che, oltre alle due foto di calibrazione, lo strumento non restituisce altre immagini. L’indomani alcune rilevazioni delle HazCam frontali iniziano a delineare l’intoppo: lo sportellino non si è aperto. Nei giorni che seguono i tecnici NASA alternano le operazioni scientifiche a ispezioni visuali della camera problematica, inviando anche comandi per aumentare progressivamente la potenza del piccolo motore dedicato all’apertura dello sportello.

Documentazione delle tentate operazioni da parte di SHERLOC nel Sol 1025. Lo strumento è puntato verso il basso ma con lo sportellino chiuso. NASA/JPL-Caltech/Piras
Prime ispezioni con la MastCam tra i Sol 1027 e 1034. NASA/JPL-Caltech/MSSS/Piras

Passano due settimane dalla prima manifestazione del problema e nel Sol 1037 (19 gennaio) sembra che qualcosa si sia mosso, sebbene solo in parte. Il tappo viene schiuso leggermente e SHERLOC rivede la luce del Sole, ma non è un grande risultato. La parziale apertura dello sportello combinata con la riflettività del suo interno agisce come uno specchio e ciò che si intravede è parte della struttura della camera stessa.

Immagine confusa catturata da SHERLOC che mostra, tramite il riflesso sull’interno del tappo, il bordo dello strumento stesso. Sol 1042. NASA/JPL-Caltech/Piras
Evoluzione della parziale apertura dello sportello di SHERLOC, Sol 1040 (sopra) e Sol 1065. NASA/JPL-Caltech/MSSS/Piras

Nuovi tentativi di azionamento dello sportello avvengono il 2 e 17 febbraio ottenendo qualche grado in più di apertura ma senza avvicinarsi ancora alla risoluzione del problema. Nel caso SHERLOC non fosse recuperabile la missione di Perseverance perderebbe uno strumento molto utile per individuare i composti organici ma non totalmente insostituibile. Nella progettazione della suite scientifica è stato deciso di operare delle sovrapposizioni tra ciò che i vari strumenti possono osservare, e così parte delle specializzazioni in spettroscopia di SHERLOC possono essere coperte dallo strumento PIXL e dal laser della SuperCam. Si andrebbe tuttavia a perdere, delle 23 camere a bordo del rover, quella con la più alta risoluzione spaziale (30 micron/pixel).

Un’ultima curiosità riguarda un’acquisizione fotografica molto particolare che Perseverance ha eseguito il 27 gennaio (Sol 1044) mentre movimentava il braccio robotico e la torretta nell’ambito di alcune verifiche per cercare di sbloccare lo sportellino. Una delle MastCam-Z ha ripreso l’operazione della durata di circa tre minuti, ve la propongo velocizzata a 6x con l’aggiunta di etichette per indicare i vari strumenti. Nel corso di queste cronache marziane credo di averli nominati tutti, ma vale come ripasso!

Il video originale ha un discreto frame rate, ma l’incredibile fluidità è frutto di interpolazione dei fotogrammi.

***
A pochi minuti dalla pubblicazione dell’articolo scopro il rilascio di nuove immagini della camera SHERLOC comparse in serata sul sito NASA. E sembra ci siano buone notizie.

29 febbraio, lo sportellino di SHERLOC sembra sia finalmente aperto quasi del tutto. NASA/JPL-Caltech/Piras

I tentativi dei tecnici parrebbero aver avuto successo, sebbene l’apertura documentata non sia ancora completa (il tappo dovrebbe aprirsi di oltre 180°). Seguiranno aggiornamenti nella prossima puntata della rubrica.

Due satelliti per un pianeta

Il 20 gennaio e l’8 febbraio Perseverance ha compiuto osservazioni del Sole in corrispondenza di transiti indipendenti dei suoi due satelliti, Fobos e Deimos, catturandoli in movimento con delle acquisizioni video. 

Il transito del 20 gennaio ha riguardato il minore dei due satelliti, con la luna Deimos che è apparsa transitare davanti al disco solare in circa 120 secondi. O per essere più precisi, in considerazione della velocità in cielo dei due corpi, è stato il Sole a sembrare muoversi dietro Deimos “sorpassandolo”. Il fenomeno è evidente in video, e ve lo mostro con questo confronto della reale acquisizione affiancata con la simulazione del fenomeno tramite il noto software astronomico Stellarium.

Il fenomeno dell’8 febbraio ha invece coinvolto Fobos. Data la maggiore velocità orbitale, frutto di una minore distanza da Marte, il satellite ha compiuto il transito in soli 36 secondi

 

La visuale composita, frutto di un’evidente elaborazione ma che combina due frame reali delle rispettive riprese, mostra l’enorme differenza nelle dimensioni apparenti dei due satelliti irregolari del Pianeta Rosso. Si nota anche una piccola macchia solare appartenente alla ripresa di Deimos.

Le riprese in oggetto sono state effettuate con la MastCam-Z di sinistra a 110 millimetri di focale. Su questa camera è disponibile un filtro ND6, usato quasi quotidianamente per fotografare il Sole e condurre analisi sull’oscuramento atmosferico (il cosiddetto tau) legato alla presenza di polveri.

Visuale composita dei transiti di Fobos e Deimos rispettivamente l’8 febbraio e il 20 gennaio 2024, Sol 1056 e 1037. NASA/JPL-Caltech/MSSS/Piras

Anche per questo aggiornamento da Marte è tutto, alla prossima!

Mondi in miniatura – Asteroidi, Marzo 2024

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GLI ASTEROIDI IN OPPOSIZIONE
a MARZO

e consigli per le riprese

(3) Juno, (23) Thalia 

(3) Juno è un grande asteroide di fascia principale che compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.590 giorni (4.35 anni) ad una distanza compresa tra le 1.99 e le 3.35 unità astronomiche (rispettivamente, 297.699.763 Km al perielio e 501.152.867 Km all’afelio). Deve il suo nome alla alla dea romana Giunone. Scoperto il 2 Settembre 1804 da JKarl Ludwig Harding, (3) Juno è un asteroide con un diametro stimato di circa 240 chilometri ed appartiene alla classe tassonomica degli asteroidi di tipo S. Gli asteroidi di tipo S sono caratterizzati da una composizione ricca di silicati e minerali ferrosi. Nonostante sia stato uno dei primi asteroidi scoperti, Juno non ha ricevuto tanta attenzione quanto altri corpi come Ceres o Vesta, in parte a causa della sua relativa inaccessibilità per le missioni spaziali. (3) Juno sarà in opposizione il 3 Marzo, momento nel quale raggiungerà la massima luminosità brillando di magnitudine di 8.6. Il suo moto sarà di 0,67 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga l’aspetto puntiforme nelle  nostre immagini utilizzeremo tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere  una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (3) Juno trasformarsi in una bella striscia luminosa di 27 secondi d’arco.

Traccia del percorso di (3) Juno nel mese di marzo. Crediti https://in-the-sky.org/

 

(23) Thalia è un asteroide di fascia principale che compie un’orbita intorno al Sole ogni  1.560 giorni (4.27 anni) ad una distanza compresa tra le 2.02 e le 3.23 unità astronomiche (rispettivamente, 302.187.699 Km al perielio e 483.201.122 Km all’afelio). Deve il suo nome Talia, musa della commedia e della poesia. Scoperto  il 15 dicembre 1852 da John Russell Hind, (23) Thalia è un asteroide con un diametro stimato di circa 107 chilometri ed è classificato come un asteroide di tipo S, simile a (3) Juno. Gli asteroidi di tipo S (silicacei) sono tra gli oggetti più comuni nella fascia principale interna e sono noti per avere superfici relativamente luminose con un’albedo (riflettività) relativamente alta. (23) Thalia sarà in opposizione l’11 Marzo, quando raggiungerà magnitudine 8.0. Il suo moto sarà di 0,60 secondi d’arco al minuto, quindi, con tempi di esposizione fino a 5 minuti ne preserveremo l’aspetto puntiforme. Volendo ottenere  una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (23) Thalia trasformarsi in una bella striscia luminosa di 24 secondi d’arco.

Il percorso dell’asteroide (23) Thalia nel mese di marzo. Crediti: https://in-the-sky.org/

 

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Le Comete di Marzo 2024

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UNO SPETTACOLO DA NON PERDERE: PONS-BROOKS

Ormai prossima al picco luminoso la Pons-Brooks è alle prove generali prima del passaggio al perielio.

12P/Pons-Brooks

Mese che precede il perielio, in cui capiremo se la 12/P sarà una cometa da ricordare. L’”astro chiomato” da Andromeda si trasferirà nell’Ariete. A inizio mese la troveremo ancora abbastanza alta in cielo ma in abbassamento, tanto che a fine marzo risulterà ormai piuttosto bassa sull’orizzonte. Inizialmente si mostrerà nelle migliori condizioni in alto all’arrivo della notte astronomica e più bassa poco prima dell’alba. Con il procedere dei giorni rimarrà però osservabile solo alla sera. La sua luminosità dovrebbe raggiungere la sesta magnitudine a fine mese, con l’oggetto che sarà facilmente alla portata di piccoli binocoli sotto cieli degni. Bellissimo incontro prospettico il giorno 22, quando la cometa transiterà a circa tre gradi dalla Grande Galassia del Triangolo M33, momento da immortalare con un’immagine a largo campo. Il 31 sarà invece rintracciabile a ridosso di Hamal, la stella Alfa dell’Ariete.

Cartina della 12P in marzo. Le stelle più deboli sono di magnitudine 8.

C/2021 S3 PanSTARRS

Cometa molto deludente, tanto che la sesta magnitudine prevista dalle curve di luce di tempo fa non sarà neanche avvicinata. Dal Serpente si sposterà nella Volpetta, “percorrendo “un buon tratto di volta celeste. A inizio mese la cercheremo nell’ultima parte della notte mentre, con il progredire di marzo, sarà osservabile anche prima. A metà mese, in concomitanza con il passaggio alla minima distanza dalla Terra, raggiungerà la magnitudine picco che dovrebbe aggirarsi attorno ad una modestissima decima grandezza.

Cartina della S3 in marzo. Le stelle più deboli sono di magnitudine 9.

Se vuoi seguire l’evoluzione della 12p/Pons-Brooks leggi:

Comete di Febbraio
Comete di Gennaio
Comete di Dicembre

 


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SUPERNOVAE: aggiornamenti Marzo 2024

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RUBRICA SUPERNOVAE COELUM   N. 118

Non avevamo fatto in tempo ad inserirla nella precedente rubrica perché giunta alla fine del mese di gennaio, ma la lista di supernovae amatoriali di questo inizio 2024 si allunga con una nuova scoperta che arriva dagli Stati Uniti.

A metterla  a segno è stato un veterano della ricerca di supernovae amatoriali che vanta al suo attivo non molte supernova, nove per la precisione, ma quasi tutte molto luminose, fra cui spicca la famosa SN2017aew nella bella galassia a spirale NGC6946, che raggiunse la notevole mag.+12,5. Stiamo parlando dell’astrofilo americano Patrick Wiggins che nella notte del 29 gennaio ha individuato una stella nuova di mag.+15,5 nella galassia a spirale barrata NGC3206 posta nella costellazione dell’Orsa Maggiore a circa 60 milioni di anni luce di distanza.

Il nostro Claudio Balcon non si è lasciato sfuggire questa ghiotta occasione ed infatti, nella stessa notte del 29 gennaio a soli 15 ore dalla scoperta, ha classificato per primo nel TNS il nuovo transiente. La SN2024bch è una giovane supernova di tipo II scoperta pochi giorni dopo l’esplosione. Inizialmente le righe dell’Idrogeno erano strette (narrow) e pertanto con i primi spettri la classificazione volgeva verso il tipo IIn, dove la “n” sta per narrow cioè stretto. Successivamente con il passare dei giorni e delle settimane, le righe si sono allargate portando la classificazione finale verso una supernova di tipo II normale.

1) Immagine della SN2024bch in NGC3206 ripresa da Rolando Ligustri in remoto dalla Spagna con un telescopio Dall-Kirkam da 500mm F.6,8.
2) Immagine della SN2024bch in NGC3206 ripresa dall’astrofilo spagnolo Jordi Camarasa con un telescopio riflettore da 500mm F.6,9.
3) Immagine della SN2024bch in NGC3206 ripresa dall’astrofilo francese Robert Cazilhac con un telescopio C14 F.11 somma di 50 immagini da 10 secondi.

Abbiamo perciò contattato il bravo astrofilo americano per avere delle informazioni sulla sua attuale attività di ricerca. Patrick ha 74 anni e vive vicino a Salt Lake City nello Utah. Collabora con il Dipartimento di Fisica e Astronomia dell’Università dello Utak e questo lo porta a presentare programmi di fisica ed astronomia nelle scuole locali. Ha iniziato a fare ricerca di supernovae il 24 gennaio 2011 ed in questi tredici anni ha trascorso 2354 notti a “caccia di stelle che esplodono” ottenendo la scoperta di nove supernovae. Dispone di un piccolo osservatorio con tetto apribile costruito sul resto della sua abitazione e utilizza un telescopio Celestron Schmidt/Cassegrain da 35 cm con CCD ST-10 SBIG. Entrambi sono vecchi, così come il software Software Bisque e Paramount che utilizza, ma funzionano molto bene. Con questa strumentazione Patrick segue una lista selezionata di circa 300 galassie ed ogni sera che è sereno cerca di riprenderne e controllarne il maggior numero possibile. Queste realtà amatoriali, dal Giappone e dagli Stati Uniti, come anche dalla Cina con il cinesi del programma Xoss, sono la dimostrazione che con costanza, rapidità e target appropriati, è ancora possibile ottenere delle preziose e gratificanti scoperte, riuscendo a battere sul tempo i programmi professionali dedicati a questo tipo di ricerca.

4) Immagine della SN2024bch in NGC3206 ripresa Massimo Marchini con un rifrattore da 151mm F.7 somma di 69 immagini da 180 secondi.
5) Immagine della SN2024bch in NGC3206 ripresa da Gianluca Masi con un telescopio C14 somma di 8 immagini da 180 secondi.

 

Patrick Wiggins accanto al suo telescopio Celestron.

 

Transiti ISS notevoli per il mese di Marzo 2024

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Transiti ISS notevoli per il mese di Marzo 2024

La ISSStazione Spaziale Internazionale sarà rintracciabile nei nostri cieli sia ad orari mattutini che serali. Avremo molti transiti notevoli con magnitudini elevate durante il primo mese della Primavera, auspicando come sempre in cieli sereni.

 

04 Marzo

Si inizierà il giorno 4 Marzo, dalle 06:01 alle 06:10, osservando da NO a SE. Visibilità perfetta da tutto il paese per uno dei migliori transiti del mese con una magnitudine massima che si attesterà su un valore di -3.8.

05 Marzo

Si replica il 5 Marzo, dalle 05:14verso NO alle 05:21 verso ESE. La ISS sarà nuovamente ben visibile da tutta Italia, con magnitudine di picco a -3.3. Osservabile senza problemi, meteo permettendo.

07 Marzo

Passando al 7 Marzo, dalle 05:13 alle 05:19, da O a SE, la ISS sarà osservabile al meglio dalle isole maggiori per questo transito parziale. Magnitudine massima a -3.7 non appena la Stazione Spaziale uscirà dall’ombra della Terra.

14 Marzo

Saltando una settimana, ed iniziando con i transiti serali, il 14 Marzo avremo un nuovo transito parziale dalle 19:20in direzione SO alle 19:27 in direzione ENE. Visibilità migliore dal Centro-Sud Italia, con magnitudine massima di -3.6.

16 Marzo

Il 16 Marzo, la Stazione Spaziale transiterà dalle19:18 alle 19:26, da OSO a NE. Visibilità ottima dal Centro Nord Italia per questo passaggio. Magnitudine massima a -3.5.

29 Marzo

Arrivando a fine mese, avremo il miglior transito serale del mese il 29 Marzo, dalle 19:52alle 19:58, da NO a SE, osservabile al meglio da tutta la nazione, con magnitudine massima a -3.7.

30 Marzo

L’ultimo transito notevole del mese sarà osservabile al meglio dal Nord Est e regioni Adriatiche, il 30 Marzo. Dalle 19:02 alle 19:11, da NO ad ESE. Magnitudine di picco a -3.5.

N.B. Le direzioni visibili per ogni transito sono riferite ad un punto centrato sulla penisola, nel centro Italia, costa tirrenica. Considerate uno scarto ± 1-5 minuti dagli orari sopra scritti, a causa del grande anticipo con il quale sono stati calcolati.

In caso di Booster della ISS eseguiti nei giorni successivi alla pubblicazione dell’articolo gli orari possono differire anche in maniera significativa. Vi invitiamo a controllare sempre il sito https://www.heavens-above.com/ soprattutto in caso di programmazione di una sezione di osservazione.


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Odysseus mantiene le comunicazione con la terra

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Il 22 febbraio 2024, il lander lunare Odysseus di Intuitive Machines cattura un'immagine ad ampio campo visivo del cratere Schomberger sulla Luna a circa 125 miglia (200 km) sopra il sito di atterraggio previsto, a circa 6 miglia (10 km) di altitudine.
Tempo di lettura: 2 minuti

Il lander lunare “Odysseus” della società americana Intuitive Machines atterrato con successo sulla Luna nella notte tra il 22 e il 23 febbraio ha iniziato ad inviare scatti dal sito di atterraggio

Odysseus continua a comunicare con i controllori di volo di Nova Control dalla superficie lunare. Dopo aver testato ed avviato i requisiti di comunicazione end-to-end, la sonda aveva inviato immagini dalla superficie lunare durante la sua discesa verticale fino a Malapert A sito di atterraggio, ad oggi il punto più a sud del nostro satellite in cui qualsiasi missione sia mai atterrata.

Odysseus ha catturato l’immagine circa 35 secondi dopo essersi ribaltato durante il suo avvicinamento al luogo di atterraggio. In questa fase la telecamera si trova a poppa del lander.

Gli algoritmi di navigazione avevano rilevato ben nove siti di atterraggio sicuri intorno al polo sud preso di mira, un’area che contiene regioni permanentemente in ombra probabilmente ricche di risorse, compreso il ghiaccio d’acqua che potrebbe essere utilizzato per la futura propulsione e supporto vitale sulla Luna.

Il 24 febbraio, la navicella spaziale Lunar Reconnaissance Orbiter (LRO) della NASA è passata sopra il sito di atterraggio a un’altitudine di circa 90 km e ha fotografato Ulisse.

Il Lunar Reconnaissance Orbiter della NASA ha catturato questa immagine del lander Nova-C delle Intuitive Machines, Odysseus, sulla superficie della Luna il 24 febbraio 2024, alle 13:57 EST). Ulisse è atterrato a 80,13 gradi di latitudine sud, 1,44 gradi di longitudine est, ad un’altitudine di 8.461 piedi (2.579 metri). L’immagine è larga 3.192 piedi (973 metri) e il nord lunare è in alto. (Telaio LROC NAC M1463440322L)
NASA/Goddard/Università statale dell’Arizona

I controllori di volo intendono raccogliere quanti più dati possibili finché i pannelli solari del lander saranno esposti alla luce, prevedibilmente fino alla mattina di martedì 27 febbraio.

Fonti: Space.com, Nasa, Intuitive Machine

Il problema dei tre corpi: una nuova speranza per la dinamica stellare

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Stella binaria interagente HD101584. Crediti: ALMA (ESO/NAOJ/NRAO), Olofsson et al.
Tempo di lettura: 5 minuti

 

La complessa questione della formazione binaria a tre corpi

 

Il problema dei tre corpi, nato con la teoria della gravitazione newtoniana, rimane ad oggi una delle questioni aperte più complesse in dinamica stellare, la branca dell’astrofisica che studia gli effetti generati dal moto delle stelle e la loro influenza sull’ambiente circostante. La difficoltà nell’individuare una trattazione matematica ad hoc che sia al contempo efficace e poco dispendiosa dal punto di vista computazionale ha sempre introdotto forti limitazioni nell’analisi di certi fenomeni, come la formazione binaria a tre corpi. Ma, se in passato ciò ha costituito un ostacolo quasi insormontabile, ora un ritrovato spirito combattivo sembra diffondersi nel mondo della ricerca grazie alla pubblicazione di un nuovo codice simulativo basato su un metodo d’integrazione diretta all’avanguardia.

 

La maggioranza delle stelle nell’Universo è parte di sistemi binari: alcune di esse nascono già legate tra loro nella nube molecolare originaria (i.e., binarie primordiali), mentre altre si uniscono nel corso della loro vita per interazione di tipo gravitazionale, soprattutto in ambienti densi come gli ammassi globulari (i.e., binarie dinamiche). A questo proposito, svariati sono i meccanismi che intervengono a vincolare due stelle inizialmente isolate: la frizione dinamica all’interno di un mezzo gassoso, la dissipazione di energia orbitale per effetto delle forze di marea con conseguente restringimento dell’orbita stessa (i.e., cattura mareale), e l’emissione di onde gravitazionali durante il passaggio ravvicinato di due oggetti compatti (i.e, cattura gravitazionale). Inoltre, si riscontra la generazione di sistemi binari anche a seguito dell’incontro fra tre corpi interagenti che subiscono una deflessione delle rispettive orbite e sono perciò indotti ad entrare in contatto tra loro: di essi, uno agisce da catalizzatore trasferendo la propria energia potenziale gravitazionale agli altri due, che la convertono in energia cinetica per associarsi, e venendo espulso al termine del processo. Tale fenomeno, chiamato formazione binaria a tre corpi (i.e., three-body binary formation, 3BBF), è però generalmente poco indagato rispetto a quelli summenzionati. La mancanza d’interesse per la 3BBF si deve alla storica credenza che il suo tasso di produzione di sistemi binari sia globalmente trascurabile, ovvero non rilevante nell’arco dell’intera esistenza dinamica degli ammassi stellari. Questo finché non si scoprì che essa era accresciuta dalla presenza dei buchi neri, molto comune in contesti stellari simili. Ulteriore motivo di passata indifferenza verso la 3BBF è rappresentato dalla convinzione che essa tenda ad avere come esito binarie “soft”, destinate cioè ad essere facilmente distrutte da successivi eventi perturbativi a causa della notevole distanza tracomponenti, contrariamente a quelle “hard”. Tuttavia, nonostante la scarsa longevità, le binarie soft si formerebbero così frequentemente che la probabilità che una piccola frazione di esse riesca a sopravvivere grazie ad un restringimento dell’orbita risulterebbe piuttosto elevata.

Schema del problema a tre corpi. Crediti: Rhett Allain.

Ergo, ignorare il contributo della 3BBF nella realizzazione di modelli teorici sul ruolo dinamico della binarietà è sconsigliabile, benché obiettivamente vantaggioso in quanto limitante la complessità di calcolo e il dispendio computazionale. Infatti, le simulazioni a N-corpi richiedono algoritmi troppo elaborati per risolvere le interazioni a tre corpi in tempi accettabili e, viceversa, le tecniche Monte Carlo adottano semplificazioni spesso eccessive in vista di un’ottimizzazione della relativa performance. Un nuovo metodo di integrazione diretta sembra nondimeno in grado di superare tali difficoltà attraverso una rivisitazione del duplice lavoro di ricerca denominato AH76, il quale, basandosi su uno schema di campionamento Monte Carlo poco accurato, assumeva che la 3BBF avvenisse fra tre corpi inizialmente slegati (i.e., three unbound bodies, 3UB) di uguale massa e in modo non ricorrente. Mediante l’utilizzo dell’integratore TSUNAMI e del pacchetto Python CUSPBUILDING, il modello AH76 è stato quindi modificato correggendo le inconsistenze dell’inerente schema Monte Carlo e aumentando significativamente il numero di scattering 3UB per ottenere una più solida statistica. L’aggiunta delle espansioni post-newtoniane (i.e., metodi matematici per trovare delle soluzioni approssimate alle equazioni della relatività generale di Einstein) consente di includere nella trattazione della 3BBF pure i buchi neri e l’associata fenomenologia.

Formule per la trattazione semplificata di un sistema binario all’interno di un
tipico codice simulativo a N-corpi: grazie alla riduzione al riferimento del centro
di massa (CoM), il sistema viene visto come un unico oggetto in dinamica
stellare. Crediti: Michela Mapelli.

Il primo evidente risultato dell’applicazione del così revisionato codice simulativo è che la 3BBF favorisce l’accoppiamento dei due corpi interagenti meno massivi nel caso delle binarie soft, e di quello più massivo con quello meno massivo nel caso delle binarie hard. Da notare, poi, che le prime, prodotte in percentuale molto più alta rispetto alle seconde, sono caratterizzate per lo più da orbite larghe ed eccentriche come quelle osservate dalla missione Gaia. Ciò conferma allora che, sebbene aventi un tempo di vita generalmente breve, alcune binarie soft comunque esistono: pertanto, ometterle dalla descrizione dello stato dinamico di un sistema stellare condurrebbe ad una visione parzialmente errata. Per converso, l’inserimento degli effetti post-newtoniani nella 3BBF stimola la generazione di binarie hard di buchi neri tramite l’emissione di onde gravitazionali che si verifica nel corso dell’interazione con il terzo corpo. Poiché questo canale di formazione acquista rilievo soltanto negli ammassi nucleari per via della loro notevole densità, si può tenere conto di questa declinazione della 3BBF in maniera selettiva. Qualora invece la 3BBF avvenga in ammassi globulari, con la sua tipica combinazione di due stelle di sequenza principale e un buco nero, si trova che le collisioni con altre stelle vicine non impattano fortemente sul processo purché esso abbia come frutto una binaria hard. Infine, si constata che il meccanismo della 3BBF promuove l’espulsione ad alta velocità del corpo catalizzatore, che può riuscire addirittura a scappare dall’ammasso ospite, divenendo perciò una stella fuggitiva (i.e., runaway star) all’interno dell’alone galattico. Ciò sembra valere specialmente per stelle catalizzatrici di sequenza principale, che lasciano di norma un neonato sistema binario hard composto o da una stella analoga e da un buco nero o da due buchi neri.

Riassumendo, questo studio dettagliato sulla 3BBF dimostra, in accordo con le premesse, l’importanza di non dare per scontato che fenomeni considerati meno probabili non incidano sulla determinazione dello stato fisico di un sistema stellare. Invero, a discapito dei vecchi pregiudizi scientifici, si conclude che una frazione di binarie soft non viene sciolta, essendo tuttora osservabile con i telescopi spaziali, che l’emergenza degli effetti post-newtoniani e delle collisioni dipende dalle proprietà ambientali, e che parte della popolazione di runaway stars nella Via Lattea risulta naturalmente spiegata. Eppure, questo non è altro che un mero punto di partenza: molto lavoro resta ancora da fare per esplorare tutte le sfaccettature del problema 3UB, che si configura come centrale per la comprensione della dinamica stellare. Si attendono dunque future e più sofisticate implementazioni di tale nuovo, promettente approccio simulativo per immergersi a fondo in questo affascinante settore fisico-matematico dell’odierna astrofisica teorica.

Fonte: arXiv.


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Allunaggio di successo per il lander lunare privato “Odysseus” di Intuitive Machines

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Odysseus passa sopra il lato vicino della Luna dopo l'inserimento nell'orbita lunare il 21 febbraio. Il lander fino al 21 febbraio ha goduto di ottima salute. Crediti: Intuitive Machine
Odysseus passa sopra il lato vicino della Luna dopo l'inserimento nell'orbita lunare il 21 febbraio. Il lander fino al 21 febbraio ha goduto di ottima salute. Crediti: Intuitive Machine
Tempo di lettura: 4 minuti

Il lander lunare “Odysseus” della società americana Intuitive Machines è atterrato con successo sulla Luna nella notte tra il 22 e il 23 febbraio, diventando il primo lander commerciale a raggiungere la superficie lunare.

Lancio e viaggio

Odysseus è stato lanciato il 15 febbraio 2024 da un razzo Falcon 9 di SpaceX dalla base di Cape Canaveral in Florida. Dopo quindi circa una settimana di viaggio il lander ha compiuto e completato tutte le manovre di atterraggio. Intorno alle 03:00 ora italiana del 23 febbraio 2024 la società Intuitive Machine ha dichiarato che il modulo lunare Odysseus è posizionato in verticale e pronto a trasmettere dati.

Si tratta di uno storico risultato per la NASA che mancava dal suolo lunare da ben 52 anni, cioè da quando il nostro satellite è stato visitato per l’ultima volta dall’apollo 17 nel dicembre 1972.

Il lander lunare Odysseus di Intuitive Machines è atterrato sulla superficie lunare.
Macchine intuitive / NASA

La Missione dall’assegnazione al Lancio

Nel 2019, CLPS ha selezionato Intuitive Machines a cui affidare la realizzazione di un lotto di strumenti scientifici della NASA destinati a studiare la Luna atterrando su essa con il lander Nova-C della stessa azienda. 

Dopo alcune modifiche, l’ordine di missione si è rivelato valere 118 milioni di dollari e coperto il trasporto di esperimenti di ben sei agenzie differenti un ottimo risultato per la missione IM-1 di Intuitive Machines. La missione prevede il lancio di un robot Nova-C chiamato Odysseus, dal nome del famoso eroe viaggiatore della mitologia greca.

Gli strumenti della NASA, il cui sviluppo è costato all’agenzia altri 11 milioni di dollari, sono progettati per condurre una serie di indagini. Ad esempio, uno di essi, chiamato NDL (“Navigation Doppler Lidar for Precise Velocity and Range Sensing”) utilizza la tecnologia LIDAR (light Detection and Range) per raccogliere dati durante la discesa e l’atterraggio. E’ proprio questo ultimo strumento che poi si è rivelato fondamentamentale per la ruscita della missione. 

Un altro strumento è stato progettato per studiare come lo scarico del motore della navicella interagisce con le polveri e la roccia lunare. Un altro ancora dimostrerà la tecnologia di posizionamento autonomo, che potrebbe eventualmente diventare parte di un ampio sistema di navigazione simile al GPS sulla Luna e nei suoi dintorni.

Intuitive Machines ha anche messo sei carichi utili commerciali su Odysseus per IM-1. Uno di questi viene dalla Columbia Sportswear , che ha voluto testare il suo materiale isolante “Omni-Heat Infinity” nello spazio profondo. Un altro è composto da una serie di sculture dell’artista Jeff Koons, e c’è anche un “deposito lunare sicuro” che mira a preservare il magazzino della conoscenza accumulata dall’umanità.

Su Odysseus opera anche EagleCam, un sistema di telecamere costruito dagli studenti della Embry-Riddle Aeronautical University. EagleCam è stata progettata per essere posizionata dall’Odysseus a circa 30 metri sopra la superficie lunare e scattare foto dell’epico atterraggio del lander dal basso. Puoi saperne di più su tutti i 12 payload dell’IM-1 qui.

Allunaggio

Ulisse è arrivato in orbita lunare il 21 febbraio come previsto. il 22, durante il tentativo di atterraggio, gli assistenti del lander hanno scoperto che i telemetri laser di Odysseus, che gli consentivano di determinare la sua altitudine e velocità orizzontale, non funzionavano correttamente. Il team ha avuto la brillante idea di mettere in servizio il carico utile sperimentale NDL della NASA per questa funzione vitale, posticipando il tentativo di atterraggio di due ore.

Un tentativo disperato, ma forse già considerato fra i vari piani di emergenza, che ha richiesto al team di progettare una patch software a terra e trasmetterla su Odysseus, per fortuna il tutto ha funzionato. Alle 18:11 EST (23:11 GMT) del 22 febbraio, Odysseus ha acceso il suo motore principale per 11 minuti per rallentare la discesa del velivolo verso la superficie lunare. Quindi, alle 18:23 EST (2353 GMT), Ulisse è atterrato dolcemente vicino al bordo del cratere Malapert A, a circa 190 miglia (300 chilometri) dal polo sud lunare.

Ci sono voluti circa 15 minuti di tensione perché la squadra dell’IM-1 si agganciasse al segnale di Odysseus e ne confermasse il successo.

I dipendenti di Intuitive Machines festeggiano dopo il riuscito atterraggio del lander lunare Odysseus dell’azienda il 22 febbraio 2024. (Credito immagine: NASA TV)

 

Attività sulla Luna

Dopo l’atterraggio, Odysseus ha dispiegato i suoi quattro piedi e ha iniziato a trasmettere immagini e dati dalla superficie lunare. Il lander rimarrà sulla Luna per almeno 14 giorni, durante i quali condurrà una serie di esperimenti scientifici e tecnologici.

Missioni atterrate sulla Luna dal 2000 

Nonostante l’attenzione mediatica verso il programma Artemis e le mire statunitensi sul territorio lunare ricordiamo le ultime missioni promosse da altre agenzie spaziale che dal 2000 in poi hanno puntato e in alcuni casi conquistato con successo la Luna. Ricordiamo che ad oggi gli stati che hanno raggiunto il suolo lunare sono in ordine: Unione Sovietica, Stati Uniti, Cina e India.

2003: Chang’e 1 (Cina): Prima sonda cinese ad orbitare la Luna.

2007: SELENE (Giappone): Orbiter e lander che hanno rilasciato un rover sulla superficie lunare.

2008: Chandrayaan-1 (India): Orbiter in ordita appunto intorno alla Luna che ha lanciato sulla superficie del satellite un impattatore

2013: Chang’e 3 (Cina): Seconda sonda cinese ad atterrare sulla Luna, con un rover a bordo.

2019: Chang’e 4 (Cina): Prima sonda ad atterrare sul lato nascosto della Luna, con un rover a bordo

2020: Chang’e 5 (Cina): Missione di prelievo di campioni lunari, che ha riportato sulla Terra circa 2 kg di rocce

2023: Chandrayaan-3 sonda lunare indiana lanciata il 14 luglio 2023 alle 09:05 UTC (14:30 locali) e allunata con successo il 23 agosto 2023

 

Fonti: Space.com, Nasa, Intuitive Machine

Neutrino sterile e materia oscura: un nuovo modello per il centro galattico

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Neutrini attivi (i.e., elettronico, muonico e tauonico), parte del Modello Standard delle particelle, e neutrino sterile, ipotetico componente della materia oscura, non predetti da esso. Crediti: IceCube - University of Wisconsin.
Tempo di lettura: 4 minuti

 

Decadimento di neutrini sterili: un nuovo modo per rivelare la materia oscura?

 

La natura elusiva della materia oscura rende difficile ottenere prove della sua esistenza e determinarne la composizione sfruttando le sue manifestazioni gravitazionali: per questo motivo metodi di rilevamento di tipo indiretto, tipici della fisica astroparticellare, stanno acquisendo sempre maggiore importanza. Essi si basano sull’individuazione di fenomeni che interesserebbero le ipotetiche particelle costituenti la materia oscura, come decadimenti e annichilazioni: tra questi, il decadimento a due corpi dei neutrini sterili sembra essere responsabile dell’aumentata emissione X osservata sia nell’alone che attorno al centro galattico. Uno studio, che combina l’utilizzo di vari modelli teorici per riprodurre il profilo di densità della materia oscura nella Via Lattea e le predizioni sugli esiti delle future osservazioni con il nuovo telescopio XRISM, fornisce predizioni sul flusso di decadimento di neutrini sterili nella Galassia che ci si aspetta di misurare entro i prossimi 15 anni.

 

Determinare la composizione della materia oscura rappresenta una delle più ardue sfide che il mondo dell’astrofisica ha dovuto affrontare negli ultimi decenni per via della natura elusiva di questa. Considerata la mancanza di flusso luminoso, sembra che la sua presenza si manifesti sia attraverso effetti gravitazionali su larga scala sia attraverso decadimenti particellari: per questa ragione, i metodi di rilevamento indiretto hanno acquisito particolare importanza nel fornire stime ed effettuare misure. Essi, infatti, si basano sull’individuazione dei rari casi in cui le ipotetiche particelle di materia oscura, decadendo o annichilendosi, emetterebbero radiazione elettromagnetica, poiché questa risulta facilmente distinguibile da quella inerente i processi astrofisici. Un simile segnale è stato osservato nel range dei keV: si tratta di un eccesso di emissione di raggi X al preciso valore di energia 3.55 keV presente in ambienti diversi, come negli ammassi di galassie Virgo e Perseo, ma, soprattutto, come il centro e l’alone della Via Lattea. La riga spettrale di emissione così prodotta sarebbe compatibile con il decadimento a due corpi (i.e., con formazione di due nuove particelle) di una particella di materia oscura con massa-energia pari a 7.1 keV. Si identifica un possibile candidato nel neutrino sterile, cosiddetto perché interagente solo con la gravità al contrario dei suoi fratelli attivi (i.e., i neutrini elettronico, muonico e tauonico del Modello Standard), che subiscono la forza debole. Per poter caratterizzare tale riga e associarla ad una simile sorgente è necessario disporre di uno spettrometro di raggi X ad alta risoluzione, come Resolve della missione XRISM lanciata dalla NASA lo scorso settembre. Nello specifico, il centro galattico si configura come il luogo ideale per l’utilizzo di Resolve dato il suo legame diretto con l’alone, dominato dalla materia oscura: il segnale prodotto dal decadimento di un neutrino sterile sarebbe pertanto il medesimo in questo e nel centro galattico.

Tuttavia, una delle maggiori fonti di incertezza nell’identificazione del detto segnale all’interno della Via Lattea è costituita dalla forma del profilo di densità della materia oscura, che mostra come essa si distribuisce in funzione del raggio. Il profilo di densità più frequentemente adottato per modellizzare l’alone della Galassia allo scopo di studiarne l’emissione X è il Navarro–Frenk–White (NFW), dipendente da un parametro chiamato raggio scala e valido nell’ipotesi di simmetria sferica. Esistono però delle alternative per facilitare tale operazione, come ad esempio un profilo di densità contratto per valori del raggio superiori a 1 kpc e piatto per valori inferiori, che estende i limiti della zona d’indagine imposti dal profilo NFW fino al centro galattico.

Profili di densità per gli aloni di materia oscura: i modelli
NFW (linee colorate) sono confrontati con i modelli NFW
Mc17 (linea grigia), contratto Ca20 (linea nera) e piatto
(linea tratteggiata). Crediti: arXiv.

Un recente lavoro di ricerca illustra proprio come la scelta del profilo di densità influenzi la ricezione del flusso di decadimento delle particelle di materia oscura in banda X. Quattordici diversi modelli sono stati messi pertanto a confronto: 10 profili NFW, differenti per valore del raggio scala, 1 profilo piatto entro 3 kpc dal centro galattico, 2 noti profili in letteratura, ovvero il profilo contratto Ca20 e il profilo NFW Mc17, e 1 profilo misto contratto-piatto Ca20c. Riassumendo, si hanno complessivamente 11 profili a simmetria sferica (i.e, Mc17 e i 10 aloni NFW), 1 profilo contratto (i.e., Ca20), 1 profilo piatto e un profilo dato dall’intersezione tra i profili contratto e piatto a 2 kpc (i.e., Ca20c). Per ciascun profilo è stata poi calcolata l’intensità dell’emissione X relativa al supposto decadimento di un neutrino sterile in funzione dell’angolo d’inclinazione rispetto al centro galattico 𝜃GC. Si trova quindi che il profilo contratto aumenta fortemente l’intensità del flusso di neutrini sterili ad angoli 𝜃GC<20◦, sopprimendola invece ad angoli maggiori, e che il profilo piatto la diminuisce ad angoli 𝜃GC< 10◦. Combinati insieme, i due risultati indicano allora che l’assunzione di un profilo contratto inibisce la radiazione X nelle parti più esterne della Galassia e la alimenta attorno al centro galattico, dove però viene ulteriormente bloccata dalla presenza del profilo piatto.

Andamento dell’intensità dell’emissione X in funzione
dell’angolo rispetto al centro galattico 𝜃GC per i vari modelli
analizzati. In particolare, il profilo Ca20 (linea nera solida) mostra
un aumento dell’intensità per angoli 𝜃GC < 10◦, mentre il profilo
Ca20c (linea nera tratteggiata) una diminuzione di questa. Ciò
accade per l’effetto smorzante del profilo piatto con cui Ca20 è
combinato per formare Ca20c. Crediti: arXiv.

Il modello realizzato assumendo il profilo Ca20c pare dare giustificazione dell’intensa emissione X proveniente dal centro galattico, ma per verificarne la correttezza è necessario convalidarlo effettuando un controllo incrociato con i dati osservativi. Invero, il flusso di decadimento di neutrini sterili che ci si aspetta di ottenere da XRISM secondo il modello Ca20c deve essere consistente con quello atteso in ambienti diversi dal centro galattico a seguito di misure con il medesimo strumento. Tale flusso atteso è stato perciò calcolato anche per gli ammassi di galassie Virgo e Perseo, rivelandosi però compatibile con quello relativo al centro galattico solo nel caso di Virgo a causa delle difficoltà osservative concrete che si incontrerebbero in Perseo. Espandendo il campione di sistemi stellari di test ad oggetti con proprietà fisiche non esattamente analoghe, come la galassia nana sferoidale Draco e il famoso Bullet cluster, grazie alle nuove tecnologie si potrebbero infine ricavare prove a favore dell’esistenza dei neutrini sterili come particelle costitutive della materia oscura entro i prossimi 15 anni.

Fonte: arXiv.


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25^ Mostra di Astronomia e Astronautica: Stelle, pianeti e misteri dell’universo a Villa Farsetti

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Tempo di lettura: 2 minuti

A Villa Farsetti di Santa Maria di Sala un nuovo appuntamento con le stelle

25^ edizione della Mostra di Astronomia e Astronautica

 

La manifestazione, organizzata dal Gruppo Astrofili Salese “G. Galilei”, si svolgerà dal 3 al 10 Marzo 2024 e offrirà nuove sezioni tematiche, osservazione del cielo, visite al Planetario e un concerto. Inaugurazione il giorno 2 Marzo alle ore 16.00.

“Quest’anno celebriamo il venticinquesimo appuntamento con la Mostra di Astronomia e Astronautica, un evento che è iniziato tanti anni fa come una scommessa, e che nel tempo è cresciuto sempre più, coinvolgendo grandi nomi della fisica e dell’astronomia, e portando a santa Maria di Sala migliaia di appassionati da tutta Italia”.

Lo ha detto Tino Testolina, presidente del Gruppo Astrofili Salese “G. Galilei”, illustrando il programma e le novità della “25^ Mostra di Astronomia e Astronautica”, che si terrà a Villa Farsetti di Santa Maria di Sala dal 3 al 10 Marzo 2024, con inaugurazione il giorno 2 Marzo alle ore 16.00.

La mostra conterà 22 sezioni tematiche nei due piani della monumentale villa, mentre nel giardino esterno si potrà osservare il cielo con i telescopi e passeggiare tra i pianeti nella ricostruzione del sistema solare in scala di riduzione. Sarà inoltre possibile godere degli spettacoli del Planetario, situato nei pressi della villa, presso l’Osservatorio di viale Ferraris 1.

Infine, per celebrare i 25 anni della mostra, Sabato 9 Marzo alle ore 18.00 in Sala Teatro a villa Farsetti sarà offerto un “Concerto Musicale Spaziale” con Franco Guidetti, ad entrata libera.

“L’edizione 2024 presenterà una serie di nuove sezioni espositive – ha aggiunto Testolina – imperdibili per tutti gli appassionati di Astronomia, sulla Missione Gaia e JWST, su peso, massa, gravità, buchi neri e buchi bianchi, sui personaggi dell’Astronomia e sulle costellazioni tra storia e mito. A Villa Farsetti sono già attesi un migliaio di ragazzi, provenienti da istituti scolastici di tutto il Veneto, che hanno già prenotato la propria presenza”.

La manifestazione è patrocinata da Regione Veneto, Città Metropolitana di Venezia, Comune di Santa Maria di Sala, INAF-Osservatorio Astronomico di Padova e dalla società EIE GROUP.

Orario apertura Mostra:
Da Lunedì a Venerdì: 9:00-13:00
Sabato e Domenica: 9:00-20:00

 

Prezzi:
Intero: € 10,00 + € 2,00 con visita Planetario
Ridotto (da 11 anni a 26 anni e oltre 65 anni): € 6,00 + € 2,00 con visita Planetario

L’intero incasso verrà utilizzato per sostenere le spese della mostra e per finanziare l’opera di divulgazione dell’associazione no profit Gruppo Astrofili Salese.

Santa Maria di Sala, 22/02/2024.

Per ulteriori informazioni:

Tel. 3280662486

Web: www.astrosalese.it – Facebook: https://www.facebook.com/GruppoAstrofiliSalese interstellare.

L’Oggetto più Luminoso mai Osservato

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Questa rappresentazione artistica mostra il quasar da record J059-4351, il nucleo luminoso di una galassia lontana alimentato da un buco nero supermassiccio. Credit: ESO/M. Kornmesser
Tempo di lettura: 3 minuti

Scoperto il buco nero con la crescita più rapida: 17 miliardi di masse solari e 500 trilioni di volte più luminoso del Sole

VLT dell’ESO trova il quasar più luminoso: un buco nero che inghiotte un Sole al giorno

Sintesi

Utilizzando il VLT (Very Large Telescope) dell’ESO (l’Osservatorio Europeo Australe), alcuni astronomi hanno caratterizzato un quasar brillante, trovando che non solo è il più brillante della sua classe, ma anche l’oggetto più luminoso mai osservato. I quasar sono i nuclei luminosi di galassie distanti e sono alimentati da buchi neri supermassicci. La massa del buco nero di questo quasar da record cresce dell’equivalente di un Sole al giorno, rendendolo il buco nero con la crescita più rapida trovato fino a oggi.

I buchi neri che alimentano i quasars raccolgono la materia dall’ambiente circostante in un processo energetico in grado di emettere grandi quantità di luce, così che i quasar diventano di fatto gli oggetti più luminosi nel cielo, visibili anche quando molto distanti dalla Terra. Come regola generale, i quasar più luminosi indicano i buchi neri supermassicci che crescono più rapidamente.

Abbiamo scoperto il buco nero con la crescita più rapida finora conosciuto. Ha una massa di 17 miliardi di volte quella del nostro Sole e si nutre con poco più di un Sole al giorno. Questo lo rende l’oggetto più luminoso dell’Universo conosciuto”, afferma Christian Wolf, astronomo dell’Università Nazionale Australiana (ANU) e autore principale dello studio pubblicato su Nature Astronomy. Il quasar, chiamato J0529-4351, è così lontano dalla Terra che la sua luce ha impiegato oltre 12 miliardi di anni per raggiungerci.

La materia attirata verso questo buco nero, sotto forma di disco, emette così tanta energia che J0529-4351 è oltre 500 trilioni di volte più luminoso del Sole [1]. “Tutta questa luce proviene da un disco di accrescimento caldo che misura sette anni luce di diametro: deve essere il disco di accrescimento più grande dell’Universo“, afferma Samuel Lai, dottorando all’ANU e coautore dell’articolo. Sette anni luce equivalgono a circa 15.000 volte la distanza dal Sole all’orbita di Nettuno.

E, cosa sorprendente, questo quasar da record era solo apparentemente nascosto. “È una sorpresa che sia rimasto sconosciuto fino a oggi, quando conosciamo già un milione circa di quasar meno notevoli. Finora ci ha guardato letteralmente negli occhi!”, dice il coautore Christopher Onken, astronomo dell’ANU, sottolineando che compare già nelle immagini della Schmidt Southern Sky Survey dell’ESO risalente al 1980, eppure non è stato riconosciuto come quasar fino a decenni dopo.

Trovare quasar richiede dati osservativi precisi da vaste aree del cielo. La mole dei dati può risultare così grande che i ricercatori spesso utilizzano modelli di apprendimento automatico (machine-learning) per analizzare e distinguere i quasar da altri oggetti celesti. Tuttavia, questi modelli vengono addestrati su dati esistenti, il che limita i potenziali candidati a oggetti simili a quelli già noti. Se un nuovo quasar fosse più luminoso di tutti quelli osservati in precedenza, il programma potrebbe rifiutarlo e classificarlo invece come una stella non troppo distante dalla Terra.

Un’analisi automatizzata dei dati del satellite Gaia dell’Agenzia Spaziale Europea ha escluso J0529-4351 perchè troppo luminoso per essere un quasar, suggerendo invece che si trattasse di una stella. I ricercatori lo hanno identificato come quasar soltanto nello scorso anno, utilizzando le osservazioni del telescopio ANU da 2,3 metri di diametro, presso l’Osservatorio di Siding Spring in Australia. Scoprire che si trattava del quasar più luminoso mai osservato, tuttavia, richiese un telescopio più grande e misure effettuate con uno strumento più preciso. Lo spettrografo X-shooter installato sul VLT dell’ESO nel deserto cileno di Atacama ha fornito i dati cruciali.

Il buco nero con la crescita più rapida mai osservato sarà anche un obiettivo perfetto per quando l’aggiornamento di GRAVITY+ installato sull’VLTI (l’interferometro del VLT) dell’ESO, progettato per misurare con accuratezze la massa dei buchi neri, compresi quelli lontani dalla Terra. Inoltre, l’ELT (Extremely Large Telescope) dell’ESO, il telescopio di 39 metri di diametro in costruzione nel deserto cileno di Atacama, renderà ancora più fattibile l’identificazione e la caratterizzazione di tali oggetti così sfuggenti.

Trovare e studiare i buchi neri supermassicci distanti potrebbe far luce su alcuni dei misteri dell’Universo primordiale, tra cui il modo in cui essi e le galassie che li ospitano si sono formati ed evoluti. Ma non è l’unico motivo per cui Wolf li cerca. “Personalmente, mi piace semplicemente la caccia“, dice. “Per qualche minuto al giorno mi sento di nuovo un bambino, mentre gioco alla caccia al tesoro.”

Note

[1] Alcuni anni fa, la NASA e l’Agenzia spaziale europea riferirono che il telescopio spaziale Hubble aveva scoperto un quasar, J043947.08+163415.7, luminoso quanto 600 trilioni di Soli. Tuttavia, la luminosità di quel quasar era amplificata da una galassia “lente”, situata tra noi e l’oggetto. Si stima che la luminosità effettiva di J043947.08+163415.7 equivalga a circa 11 trilioni di Soli (1 trilione è un milione di milioni: 1 000 000 000 000 o 1012).

Fonte: ESO

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Williamina Fleming la Signora delle Stelle

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Williamina la prima “computatrice di Harvard” (Harvard Computers)

Williamina Fleming nacque a Dundee, il 15 maggio 1857 e fu un’astronoma inglese. Come spesso accadeva alle giovani donne a quel tempo si sposò giovane, all’età di 21 anni, con James Orr Fleming, che la portò oltre oceano, fino negli Stati Uniti stabilendosi a Boston, Massachusettsfino ad abbandonarla una volta incinta quando fu costretta a cercare lavoro per mantenere la sua famiglia. Fortunatamente l’emancipazione ed i diritti delle donne hanno fatto passi da gigante, ma a tutt’oggi siamo soltanto arrivati al livello “accettabile”. Comunque, ritorniamo a Williamina.

Dovendosi rimboccare le maniche, trovò occupazione come cameriera in casa dell’astronomo Edward Charles Pickering, all’epoca direttore dell’Harvard College Observatory. Si narra che, deluso dai propri collaboratori, un giorno affermò, orlando: “La mia domestica scozzese farebbe un lavoro migliore!”. Tenendo fede alla sua parola, nel 1881 Pickering assunse la Fleming come impiegata negli uffici. Fu così che Williamina divenne la prima delle “computatrici di Harvard” (Harvard Computers), le donne che avrebbero studiato le stelle attraverso le lastre fotografiche dell’università. Una volta si faceva a mano e, siccome era un lavoro noioso, veniva fatto fare alle donne.

Ma vista la bravura di Williamina, Pickering assunse dunque altre donne per il progetto, e il gruppo sarebbe poi stato chiamato “harem di Pickering”. Inutile dire che la loro bravura e scrupolosità era innegabile. La Fleming diede un forte aiuto nella classificazione delle stelle ed assegnò delle lettere in base alla quantità di idrogeno riscontrabile nel loro spettro in maniera che le stelle classificate come A erano le più ricche di idrogeno, quelle di classe B meno ricche, e così via. Fu questo il punto di partenza che portò, in seguito, Annie Jump Cannon, a sviluppare la sua classificazione in base alla temperatura superficiale. Su questo blog tempo fa abbiamo parlato di questa altra grandissima donna. Le stelle della Fleming vennero poi organizzate in un catalogo, il Catalogo Henry Draper. Pensate, in nove anni catalogò oltre 10 mila (DIECIMILA) stelle, scoprendo en passant, 59 nebulose, oltre 310 stelle variabili e 10 novae. Fu lei, inoltre, che scoprì, nel 1888, la celeberrima la Nebulosa Testa di Cavallo, descrivendola e fornendone le coordinate esatte.

Le immagini prese da William Pickering, che scattò una foto dell’oggetto, sembravano mostrare che si trattasse di una nube di polveri oscure e le pubblicazioni successive fecero in modo di celare la reale maternità della scoperta. Quel furbacchione di John Dreyer, il primo autore dell’Index Catalogue su cui la nebulosa era descritta, eliminò infatti il nome della Fleming dalla lista di oggetti, che risultavano così scoperti da altri. Fortunatamente , nella seconda edizione del 1908, il nome della Fleming riapparve e la Fleming fu finalmente messa alla testa di un gruppo di decine di donne incaricate di eseguire delle classificazioni matematiche, riservandosi di editare le pubblicazioni dell’osservatorio.

Nella sua carriera fu socia onoraria della Royal Astronomical Society di Londra dal 1906, la prima donna americana a ricevere tale riconoscimento, membro onorario del Wellesley College, medaglia Guadalupe Almendaro dalla Società astronomica del Messico per la sua scoperta di nuove stelle e le venne anche dedicato il nome di un cratere, il cratere Fleming sulla Luna, che divide assieme al biologo Alexander Fleming.

Il 1998, l’anno più lussurioso

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Il 1998, l’anno più lussurioso

 

Ciao a tutti ragazzi degli anni 90! Come va’?

Oggi parliamo del 1998, l’anno più lussurioso di questo decennio. Perché nonostante tutte le cose interessanti e magnifiche che questo anno ha portato, tutti lo ricorderanno per una cosa: IL VIAGRA. Proprio nel 1998 infatti, la FDA statunitense approvò la commercializzazione della “pillolina blu” come cura dell’impotenza. Poi la cosa sfuggì, diciamo, di mano. Nello stesso anno, vuoi il caso, partirono due delle serie tv più famose del decennio: Will & Grace e Sex and the City. Nel 1998 vi ricordo che Paula Jones accusò anche il presidente statunitense Bill Clinton di molestie sessuali. Il cinema non era da meno, con colossal del calibro di Godzilla e Armageddon che sfondavano i botteghini facendo incassi da record.

Lo stesso anno, Titanic di James Cameron vinse  undici premi Oscar su 14 candidature, eguagliando Ben-Hur, che durava dal 1960. Il record, non il film.

Nel 1998 ci fu anche il primo trapianto di arto, precisamente il 23 settembre, a Lione. La mano destra di un uomo morto in un incidente stradale venne trapiantata con successo a un cinquantenne da una équipe medica internazionale guidata dal professor Jean-Michel Dubernard.

Il 1998 era quell’età di mezzo in cu ci si avvicinava al 2000, e le ansie del nuovo millennio si fondevano con la nostalgia dei pantaloni che, piano piano, stavano diventando a vita sempre più bassa e, grazie all’euro, costavano il doppio.

Per l’astronomia fu un anno decisamente denso, che vide, fra le altre cose, una eclissi solare totale, una eclissi solare anulare e ben tre eclissi lunari penombrali. Le missioni spaziali la fecero da padrone. Nel 1998 infatti, i dati inviati dalla sonda spaziale Galileo indicarono che la luna di Giove Europa aveva un oceano liquido sotto una spessa crosta di ghiaccio. Per rimanere in tema di acqua, la sonda Lunar Prospector, lanciata in orbita attorno alla Luna, trovò successivamente le prove del prezioso fluido ghiacciato sulla sua superficie e La NASA annuncia che la sonda Clementine, in orbita attorno alla Luna, trovò abbastanza acqua nei crateri polari da sostenere una colonia umana e una stazione di rifornimento di razzi. La corsa allo spazio vide il Giappone lanciare una sonda su Marte, salendo sul carro dei big assieme agli Stati Uniti e alla Russia per quanto riguarda l’esplorazione al di fuori della Terra. Nello stesso anno venne anche lanciato Zarja, il primo modulo della Stazione Spaziale Internazionale.

Zarja (o Zarya) il primo modulo della Stazione Spaziale Internazionale ISS. Crediti Nasa

Nel 1998 nacque anche il primo programma spaziale della NASA con lo scopo di sperimentare una serie di tecniche per future esplorazioni a grandissima distanza dalla Terra, al di là del Sistema solare, nel cosiddetto spazio profondo.

John Glenn at age 77. Credit: NASA.

Il 1998 vide ritornare nello spazio John Glenn a bordo dello Space Shuttle Discovery, lanciandolo, alla tenera età di 77 anni, nell’olimpo degli astronauti come la persona più anziana ad andare nello spazio fino a quel momento. Da lì poteva vedere una nuova stella che si era appena accesa nel firmamento: Lucio Battisti lasciava la Terra per brillare di luce eterna.

La tecnologia non fu da meno, accendendo il primo dei quattro telescopi riflettenti da 8,4 m del programma Very Large Telescope dell’European Southern Observatory a Cerro Paranal in Cile.

Il sole al tramonto scende sotto l’orizzonte dell’Oceano Pacifico, inondando di luce la piattaforma del Paranal in questa straordinaria immagine aerea del deserto di Atacama, nel nord del Cile. La cima del monte Cerro Paranal ospita la struttura astronomica terrestre più avanzata al mondo, con i quattro telescopi unitari da 8,2 metri del Very Large Telescope, quattro telescopi ausiliari da 1,8 metri e il VLT Survey Telescope (VST), tutti che sono visibili in questa immagine. Il Visible and Infrared Survey Telescope for Astronomy (VISTA) da 4,1 metri, anch’esso ospitato sul Cerro Paranal, è nascosto fuori dall’inquadratura.

Dal lato cosmologico infine, gli astronomi Saul Perlmutter, Adam Riess e Brian Schmidt pubblicarono la prima evidenza che l’universo sta aumentando la sua velocità di espansione. E lo fecero utilizzando come indicatori di distanza le supernovae del tipo Ia. In questo modo fu possibile affermare che le galassie più lontane si muovono a una velocità maggiore di quanto ci si aspettava. Sempre nel campo della cosmologia, ci fu il famoso Progetto Boomerang. Chi di voi se lo ricorda? Consisteva nella ripresa di immagini del cielo con un telescopio riflettore di 1,2 m montato a bordo di un pallone aerostatico che volava sull’Antartide a 35 km di altezza. Grazie ai dati raccolti da questo strumento in solo un anno, fu possibile ricavare informazioni sulla temperatura dell’Universo primordiale dopo il big bang. Anche la fisica disse la sua nel 1998. Ci fu infatti la prova del fatto che i neutrini hanno una massa. Fu dedotta dal fatto che il numero dei neutrini osservabili sulla Terra dopo averla attraversata è molto inferiore rispetto a quello che ci si aspetterebbe a partire dai processi nei quali essi si originano, ovvero dal Sole. Dovete sapere che ci sono tre tipi di neutrino: il neutrino elettronico, quello muonico e quello tauonico. Tuttavia, soltanto uno proviene dal Sole ed è quello elettronico, oltre che ad essere il solo che interagisce con la materia. Quando lo fa produce altre particelle come quali elettroni e neutroni. Assumendo questo per vero fu possibile dare una risposta alla diminuzione dei neutrini solari quando attraversavano la Terra. Fu possibile inoltre stimare la loro massa in un decimilionesimo di quella dell’elettrone. Insomma, anche il 1998 fu un anno bello corposo.

Ci sentiamo presto per l’ultima puntata dei mitici anni ’90. Quella del 1999.

Quella dell’ultimo anno prima del nuovo millennio. Ciao belli!

Il vostro Sergio di Cieli Lontani.

Non solo stelle! Oggetti binari a contatto nel Sistema Solare

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This very detailed view shows the strange peanut-shaped asteroid Itokawa. By making exquisitely precise timing measurements using ESO’s New Technology Telescope a team of astronomers has found that different parts of this asteroid have different densities. As well as revealing secrets about the asteroid’s formation, finding out what lies below the surface of asteroids may also shed light on what happens when bodies collide in the Solar System, and provide clues about how planets form. This picture comes from the Japanese spacecraft Hayabusa during its close approach in 2005.
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Fra gli oggetti binari più diffusi a contatto con il Sistema Solare ci sono gli asteroidi

 

In astrofisica la binarietà è tipicamente associata alle stelle… ma in realtà non è così! Oggetti di natura binaria esistono invero anche all’interno del Sistema Solare: si tratta dei cosiddetti oggetti binari a contatto. Essi sono asteroidi, comete e corpi appartenenti alla fascia di Kuiper formati da due agglomerati di detriti distinti che finiscono per fondersi a causa della reciproca attrazione gravitazionale, senza però perdere la loro forma caratteristica. Uno studio teorico prova dunque a fare chiarezza sulle proprietà fisiche che tali oggetti devono avere per sopravvivere al processo di fusione in forma binaria.

 

Gli oggetti peragèi (i.e., Near-Earth Objects, NEOs) sono corpi minori del Sistema Solare la cui orbita interseca quella della Terra e degli altri pianeti a distanza molto ravvicinata. Essi subiscono quindi l’azione delle forze mareali planetarie, che ne provocano la deformazione o la disgregazione in base alle caratteristiche della struttura interna. Infatti, i NEOs sarebbero non monoliti (i.e., composti da un unico blocco massiccio di roccia o roccia mista a ghiaccio), bensì agglomerati di detriti rocciosi tenuti insieme dalla forza di gravità. Anche le forze di coesione, tuttavia, giocano un ruolo fondamentale nell’incremento del carico di rottura, ovvero il limite di resistenza meccanica che un corpo può raggiungere, per prevenirne la distruzione ad opera della forze centrifughe e del momento torcente esercitato dalla radiazione solare (i.e., effetto YORP). In altri termini, la coesione si manifesta nei solidi come la proprietà di compattezza, che si oppone agli stress esterni che tentano di separare le molecole stesse. Tra i NEOs, quelli binari a contatto sono piuttosto comuni nel Sistema Solare: si tratta di asteroidi, comete e corpi appartenenti alla fascia di Kuiper (i.e., Kuiper-Belt objects, KBOs) formati da due lobi distinti, resti di agglomerati di detriti più piccoli ma della medesima natura, venuti a contatto e poi fusisi a causa del decadimento dell’orbita comune per attrazione gravitazionale reciproca. Sebbene il preciso meccanismo di formazione rimanga ancora oscuro, tale fenomeno sembra essere favorito dalla bassa coesione del materiale e da un ampio angolo di attrito interno, con i quali si misurano, rispettivamente, la resistenza allo sforzo di compressione e di taglio. Per comprendere cosa si intende per angolo di attrito interno, si consideri la seguente situazione. Un corpo appoggiato su un piano inclinato di un certo angolo rispetto all’orizzontale contrasta il movimento indotto da una spinta parallela al piano con una forza che ne ostacola lo slittamento, l’attrito: l’angolo d’inclinazione del piano per cui l’attrito mantiene la condizione di equilibrio del corpo contro la forza motrice è pertanto chiamato angolo di attrito. Se, anziché su un piano, si immagina che un corpo scorra su un altro corpo, come nel caso delle molecole dei solidi, si parla di attrito interno e di angolo di attrito interno.

Gli oggetti binari a contatto del Sistema Solare per cui esistono attualmente sia dati osservativi sia studi teorici sono però soltanto 11: 7 asteroidi ((25143) Itokawa, (4179) Toutatis, (8567) 1996HW1, (85990) 1999JV6, (4769) Castalia, (4486) Mithra e (2063) Bacchus), 3 comete (67P/Churyumov-Gerasimenko, 103P/Hartley e 8P/Tuttle) e 1 KBO ((486958) Arrokoth). Sfruttando le informazioni tabulate su questi, due ricercatori dello Smead Department of Aerospace Engineering Sciences in Colorado hanno determinato le proprietà fisiche necessarie al lobo secondario (i.e., più piccolo) per sopravvivere alla forza gravitazionale di quello primario (i.e., più grande) senza perdere la sua forma originaria durante la fusione.

In particolare, costoro hanno adottato il criterio di Drucker-Prager, altrimenti detto modello DP, per definire il limite oltre il quale un materiale si deforma o cede, spezzandosi, se sottoposto ad una sollecitazione esterna. In particolare, esso dipende da due parametri, la coesione ke l’angolo di attrito interno φ, secondo l’analisi del campione legati da proporzionalità inversa: kaumentaal diminuire di φ, ossia per valori abbastanza elevati di coesione non è richiesto attrito interno, e viceversa. Ciò significa che, se le molecole di un corpo sono fortemente legate tra loro, viene inibito lo sviluppo di un importante attrito interno che impedisca a queste di slittare le une sulle altre per resistere al moto di allontanamento relativo. Si ottiene così una stima della forza dei lobi secondari contro la tendenza a disgregarsi esercitata dalle influenze mareali gravitazionali dei lobi primari; specificamente, un valore di coesione pari a 1-100 Pa (Pa = pascal) pare sia mediamente sufficiente a formare un oggetto binario a contatto.

Grafico che mostra la relazione di proporzionalità inversa fra
la coesione k misurata in Pa (in ascissa) e l’angolo di attrito
interno φ misurato in gradi (in ordinata) per gli 11 oggetti
binari a contatto del campione. Crediti: arXiv.

D’altro canto, tale valore dipende anche dalla forma e dalla grandezza del lobo secondario. Assumendo una forma sferica per il lobo primario, i ricercatori hanno perciò modellizzato quello secondario mediante due tipi di ellissoide, quello oblato (i.e., derivato dalla rotazione di un ellisse attorno all’asse maggiore) e quello prolato (i.e., derivato dalla rotazione di un ellisse attorno all’asse minore), trovando che la coesione cresce a mano a mano che ci si avvicina alla condizione di sfericità dell’ellissoide (i.e., di rapporto degli assi uguale a 1). Questo trend risulta più marcato nel caso di ellissoide prolato, piuttosto che oblato, a dimostrazione che i lobi secondari aventi forma più allungata lungo l’asse minore debbano essere maggiormente coesi per  far fronte al processo di fusione.

Ellissoide oblato (a sinistra) e prolato (a destra). Crediti:
Matteo Tordi

L’ipotesi di sfericità del lobo primario costituisce un pesante vincolo per il calcolo del range di coesione e di angolo di attrito interno utili alla formazione di oggetti binari a contatto, ma, volendo questo studio fornire semplicemente un ordine di grandezza di siffatti parametri, si può ritenere che esso sia veritiero entro la barra d’errore. Invero, il modello realizzato ha permesso di individuare non solo gli strumenti adatti ad una futura e più accurata analisi del complesso meccanismo di fusione degli agglomerati di detriti, ma anche le relazioni tra i parametri che entrano in scena nell’intero processo.

Andamento della coesione per un ellissoide di forma prolata (grafico di sinistra) e per un ellissoide di forma
oblata (grafico di destra). In entrambi i grafici le linee colorate rappresentano i vari gradi di deformazione
prolata e oblata, mentre i simboli neri gli 11 oggetti binari a contatto del campione. Si nota come sia
necessaria una coesione maggiore nel caso prolato rispetto a quello oblato. Crediti: arXiv.

Fonte:arXiv


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Congiunzione Luna Pleiadi Molto Molto Stretta

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Congiunzione Luna Pleiadi 16 febbraio. https://theskylive.com/
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La sera del 16 febbraio a partire dalle prime ore della sera sarà possibile ammirare la Congiunzione fra le Regine del Cielo

Il 16 febbraio con una Luna al Primo Quarto, potremo assistere alla congiunzione strettissima fra il nostro satellite e le splendide PLEIADI

Congiunzione Luna Pleiadi 16 febbraio. https://theskylive.com/

A partire dalle prime ore di buio, intorno alle 18 e 30 oramai con le giornate che si stanno allungando sarà possibile scorgere la configurazione ben in alto nel cielo in direzione OSO.

Il satellite al primo quarto, quindi ben luminoso, “costeggerà” l’ammasso M45 non allontanandosi mai troppo neanche nelle ore successive quando in coppia staranno scendendo verso ovest. Il tramonto sotto l’orizzonte è previsto subito dopo le 01:00 del giorno successivo.

Ricordiamo che le Pleiadi sono facilmente individuabili anche con un piccolo telescopio, quando non a occhio nudo, nella Costellazione del Toro a circa 10° Nord dalla altrettanto famosa Alfa Tauri Albedaran.

La distanza, quasi impercettibile visto le dimensioni estese dell’ammasso, si attesta intorno ai 0.6°.

LE PLEIADI

Le Pleiadi, conosciute anche come la “Chioccetta”, sono un ammasso aperto di stelle visibile ad occhio nudo nella costellazione del Toro. L’ammasso si trova a circa 444 anni luce dalla Terra e conta circa 500 stelle, di cui sette sono le più luminose e facilmente visibili in un cielo buio.

Le stelle più brillanti dell’ammasso sono Alcyone, Elettra, Atlante, Merope, Maia, Taigete e Asterope. La loro disposizione ha dato origine a diverse leggende e miti in molte culture del mondo.

Le Pleiadi sono un ammasso relativamente giovane, con un’età stimata di circa 100 milioni di anni. Le stelle dell’ammasso sono tutte nate dallo stesso gas e polvere, e si muovono insieme nello spazio. L’ammasso è destinato a dissolversi nel tempo, a causa delle interazioni gravitazionali con altre stelle e con la polvere interstellare.

1° IAA SYMPOSIUM ON MOON FARSIDE PROTECTION

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1° IAA SYMPOSIUM ON

moon farside
PROTECTION

Torino, Italy – Marzo 21-22, 2024

1° convegno internazionale

sulla Moon Farside Protection:
un evento rivoluzionario nel settore spaziale

Torino, 29/01/2024 – Il mondo si prepara a un evento senza precedenti nel campo dell’esplorazione spaziale: il 1° convegno internazionale sulla Moon Farside Protection, che si terrà il 21-22 marzo 2024 a Torino. Organizzato dall’International Academy of Astronautics (IAA) e ideato dal rinomato matematico e fisico spaziale, il prof. Claudio Maccone, il convegno rappresenta un’occasione unica per discutere e approfondire le sfide e le opportunità legate alla protezione del lato nascosto della Luna.

Un convegno di portata mondiale
Il convegno vede la partecipazione di relatori, agenzie spaziali, organizzazioni e società di rilevanza internazionale, rendendolo un evento di portata mondiale. Esperti di diversi settori condivideranno le loro conoscenze e discuteranno temi cruciali legati alla difesa planetaria, alla cosmologia, alla ricerca di vita nello spazio, e a un approccio scientificamente sostenibile della nuova corsa alla Luna.Sul sito ufficiale www.moonfarsideprotection.org è possibile leggere il programma completo.

 


La Moon Farside Protection: una prospettiva globale.

L’iniziativa pionieristica del prof. Maccone mira a esplorare l’importante tema della protezione del lato oscuro della Luna, aprendo nuove prospettive nel nostro approccio alla colonizzazione lunare e oltre. Attraverso sessioni di presentazione e tavole rotonde, il convegno offrirà un quadro completo delle sfide e delle opportunità connesse a questa affascinante sfida.

Il prof. Claudio Maccone: un Visionario nell’esplorazione spaziale
Il prof. Claudio Maccone, figura di spicco nel settore spaziale, ha concepito l’idea di questo convegno, segnando un passo significativo verso la comprensione e la protezione della Moon Farside. La sua visione e la sua leadership scientifica nel campo hanno contribuito a rendere questo evento possibile.

Patrocini importanti
Il convegno è orgogliosamente patrocinato da enti di prestigio, tra cui l’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) e la International Telecommunication Union (ITU). Questo riconoscimento testimonia l’importanza e il valore dell’evento nel panorama internazionale.

Per ulteriori informazioni, contattare:
Comitato Organizzatore Locale
Referente: Luca Derosa
E-mail: desk@moonfarsideprotection.org
Mobile: 348-9219345

Locandina dell’evento Moon Farside Protection

 

Novae rosse luminose, esplosioni di colore nello spazio

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Nova rossa luminosa V838 Monocerotis. Crediti: NASA/Hubble Heritage Team (AURA/STScI).
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Novae rosse luminose, esplosioni di colore nello spazio

Le novae rosse luminose sono esplosioni di luce visibile rossa generate dalla fusione di sistemi binari coalescenti. Determinare la connessione fra tali fenomeni e la fase di inviluppo comune in cui si trovavano le stelle progenitrici è fondamentale per lo studio dell’evoluzione binaria, ma molto complesso in termini simulativi.  Un nuovo modello idrodinamico che combina fisica della radiazione e della materia sembra però in grado di spiegare le diverse proprietà delle curve di luce delle novae luminose osservate.

Le novae rosse luminose (i.e., luminous red novae, LRNe) sono esplosioni stellari con luminosità intermedia tra le supernovae e le novae standard generate dalla fusione di sistemi binari coalescenti. Esse derivano il loro nome dal peculiare colore rosso con cui appaiono visibili in banda ottica per settimane o mesi, prima di transire in banda infrarossa. Dal punto di vista osservativo, le LRNe si distinguono per alcune specifiche caratteristiche: l’esteso plateau o il picco molto pronunciato della curva di luce e l’intensa emissione della riga spettrale dell’idrogeno Hα.

La teoria ad ora più accreditata per spiegare l’origine delle LRNe implica che i progenitori di queste siano stelle binarie che hanno attraversato la fase di inviluppo comune, in cui gli strati esterni delle componenti vengono condivisi formando un involucro contenente entrambi i nuclei. La successiva fusione in un unico oggetto, causa dell’esplosione, determinerebbe l’espulsione dell’inviluppo a grande velocità, come confermato dalla scoperta della LRN V1309 Sco. Benché la connessione tra LRNe e fase di inviluppo comune sia dunque innegabilmente importante, la complessità dei processi fisici riguardanti l’evoluzione delle stelle binarie pone un freno all’ottenimento di risultati sostanziali in tal senso. Infatti, le simulazioni 3D tipicamente usate per studiare la fase di inviluppo comune mancano di una modellistica ad hoc per la radiazione emessa durante la fusione, perché più facile da inserire in 1D. Oltre a ciò, il costo computazionale per la risoluzione delle equazioni dell’idrodinamica per la radiazione è elevato rispetto al caso delle analoghe equazioni per la materia. Ciononostante si tratta di un aspetto non trascurabile, dato che l’energia relativa alla fusione viene convertita in uno shock termico capace di accelerare il gas fino a che l’eiezione dell’inviluppo si trasforma in un vero e proprio fenomeno esplosivo. Per questo motivo è stato recentemente introdotto un nuovo modello che incorpora le equazioni dell’idrodinamica per materia e radiazione, permettendo quindi di riprodurre con maggior precisione le curve di luce che descrivono l’espansione dei resti dell’inviluppo comune espulso. Come primo passo, si è deciso di mantenere il problema in 1D con simmetria sferica al fine di comprendere appieno la microfisica dell’esplosione, prevedendo invero una sua futura rivisitazione in 2D anche in configurazione assisimmetrica. In particolare, il modello è stato testato sia mediante simulazioni semplici e basilari di LRNe fittizie, sia attraverso l’applicazione alla reale LRN AT2019zhd in quanto avente proprietà simili alla già ampiamente analizzata V1309 Sco.

Curve di luce delle LRNe fittizie simulate. Crediti: arXiv.

Sette le LRNe fittizie simulate, con i nomi rispettivamente di m01a18, m01a09, m05a18, m05a09, m25a18, m25a09 e m02a045v2: se le curve di luce di m01a18 e m02a045v2 presentano dei picchi molto evidenti dovuti prima all’ascesa e poi al declino esponenziali della luminosità, quelle di m25a18 e m25a09 mostrano anzi dei vasti plateau per via dell’aumentata quantità di materiale espulso, mentre tutte le altre hanno carattere intermedio. Tali differenze si spiegano considerando che più cospicui sono i resti dell’inviluppo espulso, più lenta sarà la loro espansione nel mezzo interstellare e, di conseguenza, più lungo il loro tempo di raffreddamento. Pertanto, si deduce che la formazione del picco di luminosità sia propria delle LRNe dominate dalla radiazione, laddove quella del plateau delle LRNe dominate dalla materia.

Per quanto riguarda la reale LRN AT2019zhd, invece, si è cercato di riprodurne la curva di luce attraverso due diverse applicazioni del nuovo modello, uno con e l’altro senza shock: ciò significa che la velocità di espansione dei resti dell’inviluppo sarà in un caso crescente e nell’altro decrescente nel tempo. Il risultato è una coppia di curve di luce tra loro comparabili, poiché gli shocks hanno l’effetto di prolungare il plateau della curva di luce al pari di una maggiorazione della massa del materiale eiettato nell’esplosione. Ergo, bisognerebbe disporre di un’ulteriore osservabile per discernere quale sia lo scenario corretto, come ad esempio la comparsa della riga Hα nello spettro luminoso. Ad ogni modo, però, entrambi i sotto-modelli riescono ad emulare la curva di luce di AT2019zhd, a comprova dell’accuratezza dell’approccio simulativo utilizzato.

Curve di luce per l’applicazione con shock (linea rossa) e senza shock
(linea blu) del modello. La curva di luce osservata della LRN
AT2019zhd (linea grigia) è ben riprodotta dal modello (punti neri
sovrapposti alla linea grigia). Crediti: arXiv.

In conclusione, il nuovo modello idrodinamico 1D che combina fisica della radiazione e della materia per determinare la connessione tra LRNe e fase di inviluppo comune in sistemi binari compatti sembra, a valle dei test effettuati, adeguato e affidabile. Difatti, esso dà giustificazione dei vari tratti delle curve di luce delle LRNe a seconda della natura dell’esplosione e dei resti dell’inviluppo espulso, coprendo una pluralità di casistiche degne di nota. Si attende perciò il preannunciato sviluppo della versione 2D del modello affinché altri dettagli sulla complessa evoluzione delle stelle binarie vengano definitivamente svelati.

 

Fonte:arXiv.

Missione Ax-3: un successo per l’Italia e l’esplorazione spaziale

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Ammaraggio della Missione Ax-3. Foto: NASA
Tempo di lettura: 2 minuti

La missione Ax-3 è stata un successo per l’Italia e per l’esplorazione spaziale.  L’equipaggio a bordo ha condotto una serie di esperimenti scientifici in microgravità.

9 Febbraio 2024 – La navetta Crew Dragon Freedom della SpaceX, con a bordo l’equipaggio della missione Ax-3, è ammarata con successo al largo delle coste della Florida alle 14:30 (ora italiana) del 9 febbraio 2024. La missione, iniziata il 19 gennaio con il lancio da Cape Canaveral, è durata 21 giorni, 17 ore e 58 minuti.

Dati tecnici e tipologia di missione

Ax-3 è stata la terza missione privata di Axiom Space verso la Stazione Spaziale Internazionale (ISS). Si è trattata di una missione di tipo “astronauta-privato”, con un equipaggio composto da quattro astronauti:

  • Michael López-Alegría (comandante), veterano di cinque missioni spaziali
  • Walter Villadei (pilota), dell’Aeronautica Militare Italiana
  • Alper Uzun (specialista di missione), primo astronauta turco
  • Larry Connor (specialista di missione), imprenditore e filantropo

L’astronauta Walter Villadei

Il colonnello Walter Villadei, 45 anni, è pilota collaudatore dell’Aeronautica Militare Italiana. Ha conseguito la laurea in Ingegneria Aeronautica presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II e ha frequentato la Scuola di Volo Sperimentale di Edwards Air Force Base in California. Nel giugno 2023 ha partecipato alla missione suborbitale di Virgin Galactic Unity 22. La sua partecipazione alla missione Ax-3 ha segnato la seconda volta di un italiano a bordo della ISS dopo Samantha Cristoforetti.

L’astronauta Walter Villadei. Foto Axiom Space

Esperimenti a bordo

Durante la sua permanenza sulla ISS, l’equipaggio di Ax-3 ha condotto una serie di esperimenti scientifici in diversi campi, tra cui:

  • Biologia e medicina:
    • Bioprinting 3D in microgravità: per testare la stampa di tessuti umani in microgravità, con l’obiettivo di sviluppare nuove tecnologie per la rigenerazione di organi e tessuti.
    • Studio degli effetti della microgravità sul sistema immunitario: per comprendere meglio come l’assenza di gravità influenzi le difese immunitarie degli astronauti e sviluppare contromisure per future missioni di lunga durata.
  • Fisica e tecnologia:
    • Sviluppo di nuovi materiali per l’esplorazione spaziale: per testare la resistenza di nuovi materiali in condizioni di microgravità e radiazioni spaziali.
    • Dimostrazione di tecnologie per la robotica spaziale: per testare nuove tecnologie per la robotica collaborativa in orbita.
  • Educazione e divulgazione:
    • Realizzazione di video e foto per scopi educativi: per ispirare le nuove generazioni all’esplorazione spaziale e alla scienza.
    • Interazione con studenti e cittadini da terra: per promuovere la conoscenza dello spazio e delle sue meraviglie.

I dettagli degli esperimenti Italiani a Bordo della Missione sono su axiomspace.com

Il rientro

L’ammaraggio della Crew Dragon Freedom è avvenuto senza problemi. La navetta ha toccato l’acqua con il paracadute e gli astronauti sono stati recuperati da un team di soccorso della SpaceX.

Un successo per l’Italia e l’esplorazione spaziale

La missione Ax-3 è stata un successo per l’Italia e per l’esplorazione spaziale. Ha dimostrato la capacità del nostro paese di contribuire a missioni spaziali complesse e di alto livello. Ha inoltre aperto la strada a future missioni private verso la ISS e oltre. La partecipazione di Walter Villadei ha rafforzato il ruolo dell’Italia nel panorama internazionale dell’esplorazione spaziale.

Fonti: Aereonautica

QuasiCristallo naturale scoperto in Sicilia

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La micrometeorite paragonata alla dimensione di una mano. Crediti ASI Agenzia Spaziale Italiana
Tempo di lettura: 3 minuti

Un quasicristallo Al-Cu-Fe-Si presente in natura in un micrometeorite dell’Italia meridionale

Introduzione

I quasicristalli sono solidi con simmetrie rotazionali vietate per i cristalli perciò essi vengono solitamente sintetizzati in laboratorio miscelando rapporti specifici di componenti elementari selezionati secondo protocolli rigorosamente controllati. La scoperta di quasicristalli naturali di Al-Cu-Fe nel meteorite Khatyrka (trovato nel 2011) ha mostrato che queste “elementi” esotici potrebbero formarsi anche in maniera naturale magari come frutto di impatti ad alta velocità. Oggi riportiamo la scoperta di un quasicristallo icosaedrico extraterrestre con una composizione insolita Al51.7(6) Cu 30.8(9) Fe 10.3(4) Si 7.2(9) , idealmente Al 52 Cu 31 Fe 10 Si 7 , trovato in una micrometeorite scoriacea , denominato FB-A1, recuperata in vetta al Monte Gariglione (Italia). La chimica della fase icosaedrica è stata caratterizzata mediante microsonda elettronica e la simmetria rotazionale è stata confermata mediante diffrazione di retrodiffusione di elettroni. Il micrometeorite FB-A1 rappresenta la terza scoperta indipendente di leghe intermetalliche Al-Cu-Fe-(Si) presenti in natura in corpi extraterrestri e il secondo caso di materiale extraterrestre contenente un quasicristallo naturale, dopo il meteorite Khatyrka.

Risultati e discussione

Il campione, etichettato FB-A1, è costituito da una microsferula allungata di circa 500 μm di diametro massimo. È grigio scuro con porzioni visibili che mostrano lucentezza metallica e una singolare struttura scoriacea con vescicole e alcune particelle metalliche sferiche sporgenti.

La figura a) uno scatto in bianco e nero della micrometeorite che ne mostra la conformazione, b) un rendering del volume

Per ottimizzare l’indagine, preservando innanzitutto l’integrità della microsferula per non perdere preziose informazioni, le analisi sono state effettuate in modo non distruttivo sul campione integro, mediante microtomografia a raggi X computerizzata (μ-CT) e Scanning Microscopia elettronica (SEM) dotata di uno spettrometro a dispersione di energia (EDS). Analisi preliminari SEM-EDS sulla superficie esterna hanno rivelato che la maggior parte delle porzioni metalliche (segnale di retrodiffusione grigio chiaro in Fig.  1a ) corrispondono a leghe Al-Cu disseminate in una matrice porosa di vetro silicato contenente anche cristalli di olivina forsteritica, goccioline di Fe-Ni , solfuri di Fe-Ni e ossidi. Le analisi μ-CT rivelano che le leghe Al-Cu sono disperse non solo sulla superficie di FB-A1 ma anche nella sua parte interna (Fig.  1b ). La ricostruzione 3D ottenuta mediante μ-CT, che rappresenta un approccio molto utile per ottenere informazioni sulla distribuzione spaziale e sui rapporti delle fasi mineralogiche 18 , ha evidenziato che l’interno della sferula è arricchito di leghe Al-Cu e Fe-Ni mescolate con silicati. La morfologia delle leghe Al-Cu varia da una forma subsferica, che in alcuni casi sporge sulla superficie della micrometeorite, ad una forma irregolare ed allungata che intrusione nella parte interna della microsferula (Fig.  1b ).

Maggiori dettagli sulla composizione sono disponibili nell’articolo originale pubblicato su Nature

A caccia di micrometeoriti: metodi 

Il micrometeorite è stato fornito da un collezionista amatoriale italiano ai tre autori dell’articolo, ricordiamo tutti italiani, (Giovanna Agrosì, Paola Manzari ,Daniela Melè , Gioacchino Tempesta, Floriana Rizzo, Tiziano Catelani e Luca Bindi).

La micrometeorite foto a colori. Crediti ASI Agenzia Spaziale Italiana

Si tratta di un frammento rinvenuto durante una raccolta di micrometeoriti effettuata mediante imbuti di acciaio installati in zone isolate, lontane da qualsiasi forma di contaminazione industriale. Il metodo di raccolta consiste nel dotare il fondo degli imbuti di appositi filtri in grado di trattenere materiale fino a 10 μm. I filtri vengono cambiati ogni due giorni e il materiale caduto dal cielo e depositato sul fondo degli imbuti di acciaio viene raccolto. I filtri vengono poi attentamente controllati al microscopio binoculare.

Il micrometeorite oggetto del presente studio ha attirato l’attenzione degli astrofili per l’insolita lucentezza delle fasi metalliche presenti sulla superficie della sferula. Il micrometeorite è rimasto in archivio fino a qualche mese fa fino a quando è stato inviato per ulteriori indagini. FB-A1 è ora depositato nelle collezioni del Museo di Scienze della Terra dell’Università di Bari (Italia), numero di registrazione 19/nm.

Dopo un controllo preliminare al SEM ed uno studio μ-CT, il campione è stato incorporato in resina epossidica e lucidato (utilizzando paste diamantate) per le successive indagini al SEM ed EPMA.

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