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MESSIER M12 – Ammasso Globulare

© ESA/Hubble & NASA

Indice dei contenuti

ABSTRACT

Si ritorna con M12 agli ammassi globulari dopo aver ammirato l’aperto Messier 11. Per ricordare, gli ammassi globulari sono insiemi di stelle che orbitano come satelliti intorno al centro di una galassia. Assumono una forma per lo più sferica data la forte gravità che li caratterizza, mantenendo al loro centro una densità di stelle elevata.
Questa tipologia di ammassi è generalmente composta da centinaia di migliaia di stelle antiche (a differenza degli ammassi aperti, che sono invece “giovani”, in termini astronomici) e sono abbastanza numerosi, con 158 esemplari individuati nella Via Lattea. Altre galassie più grandi, come quella di Andromeda, potrebbero averne fino a 500, mentre galassie giganti, come l’enorme M87, possono averne migliaia e migliaia.

Storia delle osservazioni

Charles Messier fu il primo ad osservare questo oggetto celeste, che descrisse così nel 1764: “Nebulosa scoperta nel Serpente, tra il braccio e il lato sinistro di Ofiuco: questa nebulosa non contiene alcuna stella, è rotonda e la sua luce è debole; vicino a questa nebulosa c’è una stella di nona magnitudine.”
Solo qualche anno dopo (1774) lo stesso oggetto venne osservato dall’astronomo tedesco Johann Elert Bode, che lo classificò in modo analogo, come una piccola nebulosa. Messier poi rivisitò lo stesso ammasso globulare nel 1781, ma senza modificarne la categorizzazione.
Il primo a risolvere le componenti stellari dell’ammasso fu l’astronomo, fisico, e compositore tedesco naturalizzato inglese William Herschel, che nel 1783 lo descrisse come “un ammasso brillante, con una porzione molto più densa verso il suo centro.”
Anche John Herschel, suo figlio, annotò che l’ammasso era “molto ricco”, aggiungendo “ci sono stelle che appaiono separate, e vari filari che si estendono dalla porzione centrale fino ai suoi bordi.”

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L’articolo è pubblicato in COELUM 264 VERSIONE CARTACEA


MESSIER M13 – Ammasso Globulare

© ESA/Hubble and NASA

ABSTRACT

In questa edizione della rubrica, arriviamo finalmente ad uno dei gioielli più affascinanti del cielo notturno, Messier 13 o M13, il Grande Ammasso Globulare in Ercole. Si tratta dell’ammasso globulare (insiemi di stelle che orbitano come satelliti intorno al centro di una galassia, assumendo una forma perlopiù sferica e mantenendo al loro centro una densità di stelle elevata) più luminoso dell’emisfero boreale, ed è visibile ad occhio nudo in condizioni ottimali (cieli bui e tersi, lontano da fonti di inquinamento luminoso).

Storia delle osservazioni

M13 fu osservato per la prima volta dall’astronomo, matematico, e fisico inglese Edmond (o Edmund) Halley. Un nome famoso in tutto il mondo per aver apportato grandi contributi allo studio del magnetismo terrestre, osservazioni lunari e solari (tra cui l’Eclisse Totale di Sole del 3 Maggio 1715), e, soprattutto, il suo calcolo riguardante gli avvistamenti cometari del 1456, 1531, 1607, e 1682.
Halley, sopportato dalle teorie di Giovanni Domenico Cassini sul fatto che le comete fossero in realtà oggetti orbitanti, riuscì a determinare
che tutte le comete avvistate in quegli anni corrispondevano di fatto ad una singola cometa con un tempo di ritorno di circa 75-79 anni. L’astronomo inglese predisse che la stessa cometa sarebbe riapparsa nel 1758, e quando questo avvenne, l’astro divenne noto come Cometa di Halley. L’ultimo suo passaggio al perielio è stato nel 1986, e il prossimo avverrà nel 2061.

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L’articolo è pubblicato in COELUM 265 VERSIONE CARTACEA


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MESSIER M14 – Ammasso Globulare

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ABSTRACT

Dopo lo stupendo Messier 13, continuiamo lungo la scia degli ammassi globulari con il prossimo oggetto celeste del Catalogo Messier, M14. Per ricordare, gli ammassi globulari sono insiemi di stelle che orbitano come satelliti intorno al centro di una galassia, assumendo una forma perlopiù sferica e mantenendo al loro centro una densità di stelle elevata. Oggetti affascinanti ai confini galattici.

Storia delle osservazioni

M14 fu scoperto nella notte tra il primo ed il 2 giugno 1764 proprio da Charles Messier, che annotò: “[…] ho scoperto una nuova nebulosa nel drappeggio che passa sul braccio destro dell’Ophiucus, sulle carte di Flamsteed si trova sul parallelo della zeta Serpentis; questa nebulosa non è evidente, è debole e tuttavia la si vede bene con un rifrattore ordinario da 3 piedi e mezzo. È tonda ed il suo diametro può essere di 2′ d’arco: poco sopra si trova una stella di nona magnitudine.[…]”. Questa scoperta arrivò solo pochi giorni dopo aver osservato altri ammassi globulari nella costellazione dell’Ofiuco, M9, M10, ed M12, trattati negli scorsi numeri della rivista.
Nel 1783, l’astronomo e fisico tedesco naturalizzato inglese William Herschel fu il primo che riuscì a risolvere le caratteristiche stellari dell’ammasso globulare ad un ingrandimento di 300x, trovandolo “estremamente luminoso, facilmente risolvibile”.
Cinquanta anni dopo, il figlio John riuscì ad osservare M14 senza problemi, descrivendolo come “molto grande in diametro, con stelle così
minute da essere difficili da risolvere completamente”.

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L’articolo è pubblicato in COELUM 266 VERSIONE CARTACEA


I venti equatoriali più veloci mai osservati su un esopianeta: il caso di WASP-127b

Un team di ricercatori ha scoperto venti supersonici nell’atmosfera di WASP-127b, un gigante gassoso situato a circa 520 anni luce dalla Terra. Questi venti, che si muovono a una velocità record di 33.000 km/h (9 km/s) lungo l’equatore, rappresentano il jet stream più veloce mai misurato nell’Universo. Utilizzando lo strumento CRIRES+ sul Very Large Telescope dell’ESO, gli scienziati hanno osservato che un lato dell’atmosfera del pianeta si avvicina alla Terra mentre l’altro si allontana, confermando l’esistenza di potenti correnti atmosferiche. Credit: ESO/L. Calçada

Un team di astronomi, utilizzando il Very Large Telescope (VLT) dell’European Southern Observatory (ESO) in Cile, ha scoperto venti equatoriali straordinariamente veloci che attraversano l’atmosfera di WASP-127b, un gigantesco esopianeta situato a circa 525 anni luce dalla Terra. Questa scoperta rappresenta una pietra miliare nello studio delle dinamiche atmosferiche dei pianeti extrasolari.

WASP-127b: Un gigante di gas unico nel suo genere

WASP-127b è un esopianeta peculiare, noto per la sua densità insolitamente bassa e per un’atmosfera ricca di metalli pesanti. Questo pianeta appartiene alla classe dei “giganti gassosi”, ma presenta caratteristiche che lo rendono unico rispetto a mondi come Giove o Saturno nel nostro Sistema Solare. Ad esempio, la sua atmosfera è straordinariamente estesa, rendendolo un soggetto ideale per osservazioni spettroscopiche dettagliate.

Grazie allo spettrografo ESPRESSO, uno strumento di altissima precisione montato sul VLT, gli astronomi sono riusciti a rilevare e misurare i venti nell’atmosfera del pianeta con un livello di dettaglio senza precedenti. Questi venti raggiungono velocità di circa 33.000 km/h, una cifra che supera di gran lunga qualsiasi fenomeno atmosferico osservato sulla Terra o su altri pianeti del nostro Sistema Solare.

Come sono stati osservati i venti?

La tecnica utilizzata per rilevare i venti si basa sulla spettroscopia ad alta risoluzione. Quando la luce della stella ospite del pianeta passa attraverso la sua atmosfera, alcune lunghezze d’onda vengono assorbite da specifici elementi chimici presenti nei gas atmosferici. Questo processo crea una sorta di “impronta digitale” che gli scienziati possono analizzare per determinare la composizione chimica, la temperatura e i movimenti nell’atmosfera del pianeta.

Nel caso di WASP-127b, le osservazioni hanno rivelato la presenza di un jet stream equatoriale — un flusso di venti estremamente veloce — che domina la circolazione atmosferica. Questi venti rappresentano il jet stream più veloce mai misurato su un pianeta, dimostrando la straordinaria complessità delle condizioni meteorologiche su mondi lontani.

Perché questi venti sono importanti?

La scoperta dei venti di WASP-127b apre nuove prospettive nello studio degli esopianeti. Analizzare i modelli meteorologici di mondi come questo non solo aiuta a comprendere meglio la loro natura, ma contribuisce anche a svelare i processi fondamentali che governano la formazione e l’evoluzione dei pianeti in generale.

In particolare, i venti atmosferici possono fornire indizi preziosi sulla composizione chimica e sulla struttura interna di un pianeta. Ad esempio, possono indicare la presenza di elementi come l’idrogeno, l’elio o metalli più pesanti, che a loro volta raccontano la storia della formazione del pianeta.

Inoltre, la comprensione delle dinamiche atmosferiche è essenziale per interpretare le osservazioni che saranno effettuate con telescopi di prossima generazione, come il telescopio spaziale James Webb (JWST) e il futuro Extremely Large Telescope (ELT) dell’ESO. Questi strumenti promettono di rivoluzionare lo studio degli esopianeti, permettendo di indagare atmosfere sempre più sottili e complesse, fino a valutare la potenziale abitabilità di alcuni di essi.

Cosa ci riserva il futuro?

Le osservazioni condotte su WASP-127b rappresentano solo l’inizio di una nuova era di studi atmosferici ad alta precisione. Gli astronomi sperano di applicare tecniche simili per studiare un numero crescente di esopianeti, in particolare quelli che orbitano attorno a stelle più vicine al nostro Sistema Solare.

“Ogni nuovo dato ci permette di raffinare i nostri modelli e di porci nuove domande”, ha dichiarato uno dei ricercatori coinvolti nello studio. “La scoperta di venti così veloci su WASP-127b dimostra quanto siano diversi e affascinanti i mondi al di fuori del nostro Sistema Solare.”

Questa ricerca non solo ci avvicina alla comprensione dei giganti gassosi, ma pone anche le basi per future indagini su pianeti rocciosi simili alla Terra, dove le dinamiche atmosferiche potrebbero avere un impatto diretto sulla possibilità di ospitare forme di vita.

Con l’avanzare della tecnologia e delle capacità osservative, scoperte come questa continueranno a espandere i nostri orizzonti, portandoci sempre più vicini alla risposta a una delle domande più antiche dell’umanità: siamo soli nell’Universo?

Fonte: ESO


2024 PT5: Il Misterioso Viaggiatore Spaziale che Rivela i Segreti della Luna

In genere, gli asteroidi, come quello raffigurato in questo concept artistico, hanno origine dalla fascia principale degli asteroidi tra le orbite di Marte e Giove, ma una piccola popolazione di oggetti vicini alla Terra potrebbe provenire anche dalla superficie della Luna dopo essere stati espulsi nello spazio a causa di un impatto. Credito: NASA/JPL-Caltech

Il 22 gennaio 2025, il Jet Propulsion Laboratory (JPL) della NASA ha annunciato che l’oggetto near-Earth 2024 PT5, scoperto nell’agosto 2024, è probabilmente un frammento della superficie lunare espulso nello spazio a seguito di un impatto avvenuto migliaia di anni fa.

Scoperta e Caratteristiche Orbitali

2024 PT5, con un diametro di circa 10 metri, è stato individuato il 7 agosto 2024 dal telescopio ATLAS (Asteroid Terrestrial-impact Last Alert System) finanziato dalla NASA e situato a Sutherland, in Sudafrica. L’asteroide ha attirato l’attenzione degli astronomi per la sua orbita attorno al Sole, che coincide strettamente con quella terrestre, suggerendo una possibile origine nelle vicinanze del nostro pianeta.

Analisi Spettrale e Composizione

Un team di ricercatori guidato da Teddy Kareta, astronomo presso il Lowell Observatory in Arizona, ha condotto osservazioni utilizzando il Lowell Discovery Telescope e il NASA Infrared Telescope Facility (IRTF) presso l’Osservatorio di Mauna Kea, nelle Hawaii. L’analisi spettrale della luce riflessa dalla superficie di 2024 PT5 ha rivelato una composizione ricca di minerali silicatici, tipici delle rocce lunari, ma non comuni negli asteroidi. Kareta ha sottolineato che “sembra che non sia nello spazio da molto tempo, forse solo da poche migliaia di anni, poiché manca l’alterazione spaziale che avrebbe causato un arrossamento del suo spettro“.

Origine e Dinamica Orbitale

Per determinare l’origine naturale di 2024 PT5, gli scienziati del Center for Near Earth Object Studies (CNEOS) della NASA, gestito dal JPL, hanno analizzato il suo movimento. Le loro precise misurazioni hanno indicato che l’oggetto non è significativamente influenzato dalla pressione delle radiazioni solari, a differenza dei detriti spaziali artificiali più leggeri. Oscar Fuentes-Muñoz, coautore dello studio e borsista post-dottorato della NASA presso il JPL, ha dichiarato: “I detriti spaziali e le rocce spaziali si muovono in modo leggermente diverso nello spazio. I detriti di origine umana sono solitamente relativamente leggeri e vengono spinti dalla pressione della luce solare. Il fatto che 2024 PT5 non si muova in questo modo indica che è molto più denso dei detriti spaziali, suggerendo una composizione rocciosa naturale“.

I ricercatori che studiano l’asteroide 2024 PT5 hanno tracciato il suo moto ciclico su due grafici. A un occhio allenato, mostrano che l’oggetto non viene mai catturato dalla gravità terrestre, ma, al contrario, indugia nelle vicinanze prima di continuare la sua orbita attorno al Sole. Credito: NASA/JPL-Caltech

Implicazioni Scientifiche

La scoperta di 2024 PT5 come possibile frammento lunare offre un’opportunità unica per approfondire la nostra comprensione sia degli asteroidi near-Earth che della storia geologica della Luna. L’analisi di tali oggetti può fornire informazioni preziose sui processi di impatto che hanno modellato la superficie lunare e sulle dinamiche che permettono a questi frammenti di raggiungere orbite vicine alla Terra. Inoltre, lo studio di 2024 PT5 potrebbe contribuire a migliorare le nostre conoscenze sulla formazione e l’evoluzione degli oggetti near-Earth, nonché sulle potenziali minacce che questi possono rappresentare per il nostro pianeta.

Questa scoperta sottolinea l’importanza di programmi di monitoraggio come ATLAS e di collaborazioni internazionali nella sorveglianza e nello studio degli oggetti near-Earth, contribuendo alla sicurezza planetaria e all’avanzamento delle conoscenze astronomiche.

Fonte: JPL


INAF: 25 ANNI DI ECCELLENZA

Una celebrazione dell’Istituto Nazionale di Astrofisica, che ripercorrerà i traguardi raggiunti dalla sua istituzione nel 1999, guardando avanti, verso nuove sfide scientifiche e tecnologiche

23 e 24 gennaio

Osservatorio Astronomico di Capodimonte

Il 23 e 24 gennaio l’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) celebra i 25 anni dalla sua fondazione con un workshop dal titolo “INAF +25” presso l’Auditorium Nazionale “Ernesto Capocci” dell’INAF-Osservatorio Astronomico di Capodimonte, una delle sedi storiche di maggior prestigio dell’Ente. La due giorni vuole celebrare i 25 anni della fondazione dell’Istituto e discutere sul futuro scientifico e tecnologico dell’Ente.

Era il 26 agosto 1999 quando sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana veniva pubblicato il decreto n. 296, che sanciva la nascita dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), ente di ricerca italiano, controllato dal Ministero dell’Università e della Ricerca (MUR), con interessi e attività in campo astronomico, astrofisico e planetologico.

“L’INAF è l’Ente di Ricerca italiano per lo studio dell’Universo, è coinvolto nell’esplorazione del cosmo a tutte le lunghezze d’onda e con tutti i messaggeri celesti, dal nostro Sistema solare, attraverso il tempo e lo spazio, fino alle origini dell’universo. Una comunità di donne e uomini che contribuiscono ogni giorno a rendere più grande la nostra comprensione dell’universo in cui viviamo” dice Roberto Ragazzoni, Presidente dell’Istituto dal 5 aprile 2024, e prosegue: “Ci troviamo a Napoli non solo per  celebrare il passato, ma soprattutto per discutere degli scenari nei prossimi 25 anni: un incontro proiettato nel futuro”.

​​Da 25 anni l’INAF si impegna a studiare l’universo in tutti i suoi aspetti, sviluppa strumentazione all’avanguardia per osservazioni e ricerche sia da Terra sia dallo Spazio, diffonde la cultura in campo astronomico e preserva il patrimonio storico nazionale nel campo.

“Forniamo alla ricerca un contributo che la comunità internazionale riconosce essere di elevata qualità. Utilizziamo  prestigiose infrastrutture osservative a terra e nello spazio e metodologie e infrastrutture di calcolo avanzato. Sviluppiamo tecnologie di punta funzionali alla nostra ricerca e che trovano spesso applicazione in altri settori della società civile. Formiamo le nuove generazioni di studiosi a essere pronti per competere sullo scenario internazionale guardando con grande attenzione alle novità di metodi e tecnologie che possono facilitare l’accesso a nuove finestre di conoscenza. Siamo attenti alla valorizzazione e diffusione della conoscenza impegnandoci in iniziative che prevalentemente sono indirizzate a veicolare passione e bellezza verso bambini e ragazzi”, dice Isabella Pagano, Direttrice Scientifica dell’INAF dal 1 novembre 2024.

Osservatorio Capodimonte. Crediti: INAF Bonuccelli

IL PROGRAMMA – Il pomeriggio del 23 gennaio sarà dedicato a interventi che descrivono l’origine del concetto di INAF, la sua fondazione, la crescita nel corso degli anni e le molte imprese e realizzazioni. Sarà inoltre presentato il volume “INAF25”, ideato e curato da Roberto della Ceca e Giampaolo Vettolani, realizzato grazie al coordinamento editoriale di Cecilia Toso e la direzione artistica di Davide Coero Borga. Un volume pensato e strutturato per raccontare cronologicamente gli eventi principali che hanno dato all’INAF e all’Italia intera la possibilità di avanzare in modo decisivo nell’esplorazione e nella conoscenza del cosmo.

 

Auditorium Osservatorio Capodimonte. Crediti: INAF Bonuccelli

Nella giornata del 24 gennaio sono previsti interventi e una tavola rotonda sul futuro dell’INAF nei prossimi 25 anni dedicata allo sviluppo delle prossime attività scientifiche e tecnologiche dell’Ente. La tavola rotonda vedrà la partecipazione, tra gli altri, di Tom Herbst dell’Istituto Max Planck per l’astronomia (Germania), Antonella Nota dello Space Telescope Science Institute (Stati Uniti), Phil Diamond (direttore generale dell’Osservatorio SKA), Roberta Zanin (project scientist dell’Osservatorio CTA), Monica Colpi (Professore Ordinario in Astrofisica presso l’Università Milano Bicocca), Ester Antonucci (già direttrice dell’INAF-Osservatorio Astrofisico di Torino).

Comunicato Stampa: www.inaf.it | www.media.inaf.it

Gli scatti della cometa C/2024 G3 ATLAS visibile in pieno giorno

 

Alcuni giorni fa la cometa C/2024 G3 ATLAS è passata al Perielio transitando a soli 14 milioni di chilometri di distanza dal Sole. L’oggetto sembrava destinato alla disintegrazione proprio per la piccola distanza del passaggio ma invece ha resistito. Le condizioni di visibilità erano estreme con l’oggetto a soli 5° dal Sole.  Data la luminosità raggiunta però qualcuno ha voluto tentare l’osservazione.

Clicca sulla foto per vedere l’originale

Cometa C/2024 G3 (ATLAS) al tramonto sulle Alpi Cozie

di Antonio Finazzi

La cometa C/2024 G3 ATLAS  sulla costa romana

di Simone Pendolo

Cometa C/2024 G3 (ATLAS) in pieno giorno

di Nunzio Micale

La cometa C/2024 G3 ATLAS di giorno

di Alessandro Carrozzi

Marte in Opposizione – 16 gennaio 2025

Il 16 gennaio 2025, Marte raggiungerà l’opposizione, un evento astronomico che offre condizioni ideali per l’osservazione del Pianeta Rosso. Durante l’opposizione, Marte si trova direttamente opposto al Sole rispetto alla Terra, risultando completamente illuminato e particolarmente luminoso nel cielo notturno.

Dettagli dell’evento

Data e ora dell’opposizione: 16 gennaio 2025 alle 03:32 CET (02:32 UTC).

Costellazione: Gemelli

Magnitudine apparente: -1,4, comparabile alla luminosità di Sirio, la stella più brillante del cielo notturno.

Dimensione angolare: 14,6 secondi d’arco, circa 2,5 volte maggiore rispetto all’agosto 2024.

Distanza dalla Terra: Circa 0,64 UA (Unità Astronomiche), equivalenti a circa 96 milioni di chilometri.

Osservazione di Marte da Roma

Marte sarà visibile per gran parte della notte, sorgendo alle 17:32 e tramontando alle 07:11. Raggiungerà il punto più alto nel cielo alle 00:22, a un’altitudine di 73° sopra l’orizzonte meridionale. Nella costellazione dei Gemelli, apparirà come un punto rosso brillante, allineato con le stelle Castore e Polluce. Sarà osservabile a occhio nudo, ma l’uso di binocoli o telescopi permetterà di apprezzare dettagli come il colore rosso-arancio e, con strumenti più potenti, persino le calotte polari.

La posizione di Marte rispetto all’orizzonte al sorgere e rispetto alle teste della Costellazioni dei Gemelli Castore e Polluce. Per tutta la notte Marte non si modificherà al propria posizione rispetto alle due stelle luminose. Crediti: theskylive.com

Marte al Perigeo

12 gennaio 2025: Marte ha raggiunto il perigeo, ossia la minima distanza dalla Terra, risultando particolarmente luminoso. La concomitanza a pochi giorni di distanza dei due eventi, opposizione e perigeo, faranno si che Marte di mostri abbastanza grande con dimensioni angolari pari a 14,6”. Buona ma niente se paragonata alla dimensione angolare raggiunta da Marte nel 2018 quando arrivò a mostrarsi con un disco addirittura pari a 24,2 secondi d’arco.

Prossime opposizioni di Marte

La prossima opposizione di Marte avverrà il 19 febbraio 2027, ma sarà meno favorevole, con una magnitudine di -1,2 e una dimensione angolare di 13,8 secondi d’arco. Pertanto, l’evento del 16 gennaio 2025 rappresenta un’opportunità imperdibile per osservare Marte nelle migliori condizioni possibili.

 

Ricordiamo i consigli per le osservazioni già pubblicati in occasione di altre opposizioni di Marte

La calotta polare Attualmente, Marte si trova vicino al suo equinozio di primavera nell’emisfero settentrionale. Questo significa che:
L’immagine mostra Marte subito dopo la mezzanotte del giorno 16 gennaio (17 gennaio ore 00:15). Si nota come la colotta nord sia solo parzialmente visibile in alto mentre la calotta sud rimane totalmente nascosta.
  • Nell’emisfero settentrionale di Marte è inizio primavera.
  • Nell’emisfero meridionale è inizio autunno

non è certo il periodo migliore per osservare le calotte ma in compenso la quiete atmosferica può favorire la ripresa dei dettagli moderando la presenza di venti e quindi spostamenti di sabbia.

La visione delle brine e dei ghiacci superficiali viene in genere rafforzata dall’uso di un filtro verde, ma se vogliamo determinare esattamente le dimensioni e la forma della calotta quello più consigliabile è il rosso, che permette di eliminare il disturbo causato da eventuali nubi chiare altrimenti difficilmente distinguibili al telescopio dai ghiacci polari veri e propri.


Le tempeste di polvere Con la sublimazione dei ghiacci vengono immesse nell’atmosfera marziana delle grandi quantità di gas, specialmente anidride carbonica insieme a una piccola quantità di vapore acqueo. La prima è la principale responsabile dei grandi venti, che si generano per differenza di pressione atmosferica tra le regioni polari e quelle a latitudini minori; un ingrediente necessario per la formazione di tempeste di sabbia che possono essere facilmente seguite anche da Terra.
L’osservazione di questo fenomeno è una delle dimostrazioni più tipiche dell’estrema utilità dei filtri colorati nell’osservazione di Marte: in luce neutra esso si manifesta inizialmente come una macchiolina gialla che oscura particolari della superficie prima ben visibili, ma se davvero si tratta di una tempesta di polvere dovrà invariabilmente apparire molto brillante con un filtro rosso, e pressoché invisibile (o quasi) con uno blu o azzurro. Per l’opposizione di Marte del 2025 non sono previste tempeste globali e ciò faciliterà la caccia ai dettagli sulla superficie.

Le nubi sul disco Il vapore acqueo emesso dalla sublimazione della calotta è invece l’elemento fondamentale per lo sviluppo delle nubi marziane, la cui attività dovrebbe aumentare dal locale equinozio di primavera in poi generando ingenti sistemi nuvolosi in tutto il pianeta; nubi così evidenti che anche un osservatore poco esperto potrà riuscire a cogliere come macchie biancastre. Strisce sottili e allungate presso i lembi est e ovest indicano invece la formazione di nebbie e foschie serali o mattutine, destinate a dissolversi rapidamente non appena il Sole si alza sull’orizzonte. Nell’emisfero sud, tuttavia, possono permanere anche tutto il giorno aiutate dalla particolare conformazione del suolo: è il caso di Hellas, l’enorme depressione circolare prodotta nell’emisfero sud da un antico impatto meteorico.

 
La tabella spiega la funzione dei filtri Wratten più comuni nell’osservazione planetaria. In genere, su Marte, i filtri interferenziali rossi e arancioni aumentano il contrasto dei dettagli di superficie mentre quelli i tendenti al verde ed al blu diminuiscono i dettagli della superficie e aumentano l’osservabilità di particolari atmosferici come nubi, foschie, ecc.

Per finire, è necessario menzionare anche i complessi di nubi orografiche, associate ai grandi vulcani, che si elevano nelle regioni di Tharsis ed Elysium. Le nubi orografiche – comunissime anche sulla Terra – si formano quando una massa d’aria spinta contro la parete di una montagna è costretta a salire in quota, raffreddandosi rapidamente e provocando la condensazione del vapor d’acqua che vi è contenuto. Quelle marziane sono osservabili in genere dal primo pomeriggio locale e raggiungono la massima estensione e brillantezza verso il tramonto.
Così, non di rado, un punto brillante si potrebbe accendere in corrispondenza della posizione occupata dal monte Olympus, il più grande vulcano del sistema solare. La visibilità di questi fenomeni viene rafforzata dall’uso di un filtro blu o azzurro.

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Phobos e Deimos

Configurazione Marte- Phobos-Deimos prevista per le ore 04:14 del 17 gennaio. Phobos è quasi in occultazione.

Marte sarà visibile per tutta la notte. Per un’osservatore posto al centro Italia, Marte sorgerà alle 16:36 del 16 gennaio per tramontare il 17 gennaio alle 07:32 del mattino. Parecchie ore a disposizione quindi per riprendere il pianeta. Fra le sfide all’osservazione che potremo cogliere c’è quella di fotografare anche i due satelliti di Marte: Phobos e Deimos. I due satelliti hanno periodo orbitale rispettivamente di 7 ore e 39 minuti e poco più di 30 ore, avendo a disposizione quindi circa 16 ore di osservazione non sarà difficile immortale diverse configurazioni. A titolo di esempio nell’immagine a fianco i due satelliti molto vicini al pianeta, configurazione prevista per le ore 04:00 circa del 17 gennaio.

Phobos
Nome: Deriva dal greco antico “Paura”, in riferimento al figlio di Ares (Marte nella mitologia romana) e Afrodite.
Dimensioni: Circa 27 x 22 x 18 km.
Distanza media da Marte: 6.000 km.
Periodo di rivoluzione: Circa 7 ore e 39 minuti.
Particolarità: Fobos si trova così vicino a Marte che orbita più velocemente rispetto alla rotazione del pianeta. Questo significa che sorge a ovest e tramonta a est, completando più di due orbite al giorno marziano.
Deimos
Nome: Deriva dal greco antico “Terrore”, anch’esso figlio di Ares e Afrodite.
Dimensioni: Circa 15 x 12 x 11 km.
Distanza media da Marte: 23.460 km.
Periodo di rivoluzione: Circa 30,3 ore.
Particolarità: Deimos è più distante e impiega più tempo per orbitare attorno a Marte. Sorge a est e tramonta a ovest, come i satelliti tradizionali.

 

SOLSPACE: L’Energia Solare dallo Spazio per un Futuro più Sostenibile*

Rappresentazione di un treno di specchi che riflettono la luce solare verso un impianto solare sulla Terra: vista in orbita. Le dimensioni dello specchio non sono in scala. Crediti: Andrea Viale, NASA (texture della Terra).

L’Università di Glasgow sta conducendo il progetto SOLSPACE (Enhancing Global Clean Energy Services Using Orbiting Solar Reflectors), mirato a incrementare la produzione di energia solare attraverso l’utilizzo di riflettori solari orbitanti.

Guidato dal Professor Colin McInnes e finanziato con un contributo di 2,5 milioni di euro dal Consiglio Europeo della Ricerca (ERC), il progetto si propone di sviluppare strategie innovative per aumentare l’energia prodotta da futuri impianti solari su larga scala.

L’idea centrale consiste nella creazione di una costellazione di satelliti dotati di riflettori sottilissimi, capaci di reindirizzare la luce solare verso la Terra durante le prime ore del mattino e al crepuscolo. Questi sono i momenti in cui la domanda energetica è elevata, ma la produzione solare è limitata.

Rappresentazione di un treno di specchi che riflettono la luce solare verso un impianto fotovoltaico sulla Terra: vista da terra. Le dimensioni dello specchio non sono in scala. Crediti: Andrea Viale.

Il team di ricerca sta analizzando le orbite più efficienti e le strategie di controllo per i riflettori, al fine di massimizzare l’energia aggiuntiva generata e ridurre al minimo la luce dispersa che potrebbe raggiungere la Terra. Inoltre, sono in corso studi sul design, la produzione e l’assemblaggio dei riflettori, nonché sull’impatto economico dell’energia supplementare fornita.

Il Professor McInnes sottolinea che, mentre i servizi spaziali tradizionali si concentrano su navigazione satellitare, telecomunicazioni e osservazione della Terra, la possibilità di fornire energia dallo spazio apre nuove opportunità per il futuro. Affrontare la sfida globale dell’energia pulita è cruciale nel XXI secolo, e SOLSPACE mira a dimostrare come la tecnologia spaziale possa contribuire significativamente a questo obiettivo.

Per ulteriori dettagli, è possibile visitare la pagina ufficiale del progetto sul sito dell’Università di Glasgow.

*Significato di Sostenibilità Ambientale: Riferito a pratiche o sistemi che preservano l’equilibrio ecologico, minimizzando l’impatto ambientale.

Confidiamo nella corretta valutazione dell’impatto sull’equilibrio ecologico sia da parte dei promotori del progetto che dell’Unione Europea.

Strategia Spaziale e Aerospaziale Italiana: Visione, Innovazione e Leadership per il Futuro


Il documento “Indirizzi del Governo in materia spaziale e aerospaziale” delinea le priorità strategiche dell’Italia per il settore spaziale e aerospaziale, riconoscendolo come un ambito di importanza cruciale sia per la sicurezza nazionale che per lo sviluppo economico e tecnologico del Paese. Il settore spaziale non rappresenta solo una frontiera per l’innovazione scientifica e tecnologica, ma anche un asset fondamentale per la competitività industriale, la sostenibilità ambientale, e la crescita economica a lungo termine.

L’Italia, con una solida tradizione nel settore aerospaziale, punta a consolidare il proprio ruolo di protagonista a livello internazionale, rafforzando le collaborazioni europee e globali, supportando l’evoluzione delle capacità tecnologiche nazionali e garantendo un utilizzo responsabile e sostenibile delle risorse spaziali. Per raggiungere tali obiettivi, il governo ha articolato le sue strategie in quattro assi principali, che definiscono le linee guida per le politiche e le azioni future.

I quattro assi principali

Competitività industriale e tecnologica
Questo asse mira a rafforzare l’industria spaziale e aerospaziale italiana, promuovendo l’innovazione tecnologica e incentivando investimenti pubblici e privati nel settore. L’obiettivo è creare un ecosistema industriale competitivo e resiliente, in grado di sviluppare prodotti e servizi avanzati per il mercato globale.

Sviluppo di capacità strategiche nazionali
Viene data priorità alla realizzazione di infrastrutture e programmi spaziali nazionali che rafforzino la sovranità tecnologica dell’Italia. Questo include satelliti, sistemi di osservazione della Terra, comunicazioni sicure e iniziative per garantire la sicurezza e l’indipendenza tecnologica del Paese.

Cooperazione internazionale e ruolo europeo
L’Italia intende consolidare la sua presenza nelle principali organizzazioni internazionali e nei programmi spaziali europei, come l’Agenzia Spaziale Europea (ESA). La cooperazione con partner globali e regionali è considerata fondamentale per ampliare l’accesso alle risorse spaziali, condividere conoscenze e promuovere la stabilità geopolitica.

Sostenibilità e responsabilità nell’uso dello spazio
Questo asse pone l’accento sull’importanza di un utilizzo sostenibile e responsabile delle risorse spaziali. Si punta a sviluppare soluzioni innovative per ridurre i detriti spaziali, garantire la sicurezza delle missioni e promuovere l’adozione di standard internazionali per un uso etico dello spazio.

Il documento sottolinea l’importanza di un approccio integrato che coinvolga tutti gli attori del settore, tra cui istituzioni pubbliche, industria privata, università e centri di ricerca. Il governo si impegna a promuovere politiche di lungo termine, garantendo continuità e prevedibilità nelle azioni strategiche, essenziali per attrarre investimenti e stimolare l’innovazione.

Un altro elemento centrale è l’attenzione alla formazione e alla valorizzazione del capitale umano. Il governo intende supportare la creazione di programmi educativi specifici e percorsi formativi avanzati per preparare le nuove generazioni alle sfide del settore spaziale e aerospaziale, consolidando la leadership scientifica e tecnica italiana.

Infine, si riconosce il potenziale trasformativo dello spazio come leva per affrontare sfide globali, quali il cambiamento climatico, la sicurezza alimentare e lo sviluppo sostenibile. In questo contesto, l’Italia mira a posizionarsi come un partner di riferimento per soluzioni innovative e tecnologiche che favoriscano un futuro più sostenibile e sicuro per tutti.

Il documento integrale è disponibile sul sito dell’Ufficio delle Politiche Spaziali

Wolf-Rayet 140: Le Fabbriche di Polvere Cosmiche Rivelate dal JWST

Credito: NASA, ESA, CSA, STScI, E. Lieb (Università di Denver), R. Lau (NSF NOIRLab), J. Hoffman (Università di Denver)

Gli astronomi, utilizzando il Telescopio Spaziale James Webb (NASA/ESA/CSA), hanno identificato due stelle responsabili della generazione di polvere ricca di carbonio a soli 5000 anni luce di distanza nella nostra galassia, la Via Lattea. Nel sistema Wolf-Rayet 140, quando le due stelle massicce si avvicinano nelle loro orbite allungate, i loro venti stellari collidono producendo polvere ricca di carbonio. Ogni otto anni, per alcuni mesi, le stelle formano un nuovo guscio di polvere che si espande verso l’esterno, potenzialmente contribuendo alla formazione di nuove stelle in altre parti della galassia.

Gli astronomi hanno a lungo cercato di comprendere come elementi come il carbonio, essenziale per la vita, si distribuiscano nell’Universo. Ora, il James Webb ha esaminato in dettaglio una fonte attiva di polvere ricca di carbonio nella Via Lattea: Wolf-Rayet 140, un sistema di due stelle massicce con un’orbita stretta ed ellittica. Quando le stelle si avvicinano (visibili come un punto bianco centrale nelle immagini del Webb), i loro venti stellari si scontrano, comprimendo il materiale e formando polvere ricca di carbonio. Le osservazioni del Webb mostrano 17 gusci di polvere che brillano nella luce del medio infrarosso, espandendosi a intervalli regolari nello spazio circostante.

Confrontate le due immagini nel medio infrarosso, scattate dal telescopio spaziale James Webb, di Wolf-Rayet 140, un sistema di gusci di polvere espulsi da due stelle massicce che si trovano in un’orbita allungata. Due triangoli sono abbinati per mostrare quanta differenza facciano 14 mesi: la polvere si allontana dalle stelle centrali a quasi l’1% della velocità della luce e non si allinea più nella terza immagine. Quando i venti delle stelle massicce, che sono sepolte nella regione centrale bianca nella prima e nella seconda immagine, si scontrano e quel materiale si comprime, forma polvere ricca di carbonio che si allontana dalle stelle. Ciò avviene per alcuni mesi durante ogni orbita di otto anni, il che è uno dei motivi per cui la polvere non viene “spruzzata” in modo uniforme attorno alle stelle per formare gusci completi.
Wolf-Rayet 140 si trova a poco più di 5000 anni luce di distanza nella nostra galassia, la Via Lattea.
Descrizione dell’immagine: Un grafico in tre parti che mostra le osservazioni di Wolf-Rayet 140, due stelle massicce con 17 gusci di polvere attorno a loro.
Credito:
NASA, ESA, CSA, STScI, E. Lieb (Università di Denver), R. Lau (NSF NOIRLab), J. Hoffman (Università di Denver)

Il telescopio ha confermato che questi gusci di polvere sono reali, e i suoi dati hanno mostrato che si stanno muovendo verso l’esterno a velocità costanti, rivelando cambiamenti visibili in periodi di tempo incredibilmente brevi“, ha affermato Emma Lieb, autrice principale del nuovo studio e dottoranda presso l’Università di Denver in Colorado.

Ogni guscio si allontana dalle stelle a oltre 2600 chilometri al secondo, quasi l’1% della velocità della luce. “Siamo abituati a pensare che gli eventi nello spazio avvengano lentamente, su milioni o miliardi di anni“, ha aggiunto Jennifer Hoffman, coautrice e professoressa all’Università di Denver. “In questo sistema, l’osservatorio mostra che i gusci di polvere si stanno espandendo da un anno all’altro.

Vedere il movimento reale di questi gusci tra le osservazioni del Webb, effettuate a soli 13 mesi di distanza, è davvero notevole“, ha dichiarato Olivia Jones, coautrice presso l’UK Astronomy Technology Centre di Edimburgo. “Questi nuovi risultati ci offrono una prima visione del potenziale ruolo di tali binarie massicce come fabbriche di polvere nell’Universo.

Come un orologio, i venti delle stelle generano polvere per diversi mesi ogni otto anni, quando la coppia si avvicina maggiormente durante la loro ampia orbita ellittica. Il JWST mostra anche dove la polvere si raffredda e si disperde nello spazio interstellare. La polvere prodotta da sistemi come Wolf-Rayet 140 potrebbe contribuire alla formazione di nuove stelle e pianeti, arricchendo il mezzo interstellare con elementi pesanti.

Queste osservazioni forniscono una comprensione più profonda dei processi che distribuiscono elementi essenziali per la vita nell’Universo e sottolineano l’importanza di sistemi binari massicci nella produzione di polvere cosmica.

 

Fonte: https://esawebb.org/news/weic2501/?lang

La cometa C/2024 G3 ATLAS visibile in pieno giorno!

NOTIZA FLASH

Oggi giunge al Perielio la C/2024 G3 ATLAS transitando a soli 14 milioni di chilometri di distanza dal Sole. L’oggetto sembrava destinato alla disintegrazione proprio per la piccola distanza del passaggio ma invece sembra resistere. Le immagini della camera LASCO 3 installata sulla sonda solare SOHO la mostrano in queste ore luminosissima e con una notevole coda. Purtroppo le condizioni di visibilità sono attualmente estreme con l’ oggetto a soli 5° dal Sole. Per l’ emisfero boreale rimarranno difficilissime mentre miglioreranno nei prossimi giorni in quello australe. Data la luminosità raggiunta vale comunque la pena tentare l’osservazione da stasera e per le prossime due-tre serate appena dopo il tramonto del Sole quando, pur tra l’intensa luce ancora presente, la ATLAS dovrebbe mostrarsi in binocoli e telescopi. Addirittura è potenzialmente visibile in pieno giorno usando opportuni accorgimenti. Io ci sono riuscito nella mattinata del 13/1 alle 10.35.

La cometa ripresa nelle vicinanze del Sole dalla camera LASCO 3 della sonda SOHO. Crediti: NASA. Software https://www.jhelioviewer.org/

Di seguito il report dell’autore:

Oggi 13/1 alle 10.35 ho tentato l’osservazione di questa cometa posta a nemmeno 5° dal Sole con i binocoli 20×90 e 25×100. Da calcoli sapevo quando e dove avrebbe scavalcato la cresta rocciosa che domina il mio paese, anticipando il Sole di qualche minuto. Sono riuscito a vederla prima con il binocolo più grande è poi anche con l’altro, ben staccata dal fondo cielo. Visibile anche un accenno di coda cortissima. L’ho seguita per pochi minuti prima che dalla cresta comparisse il sole. Credo la sua luminosità possa essere attorno alla -4 mag.

 

SOS Cieli di Atacama: L’ESO Lancia l’Allarme su un Progetto Industriale Minaccioso

“Il 24 dicembre, AES Andes, una sussidiaria della società elettrica statunitense AES Corporation, ha presentato il progetto di un enorme complesso industriale per la valutazione dell’impatto ambientale. Questo complesso minaccia i cieli incontaminati sopra l’Osservatorio Paranal dell’ESO nel deserto di Atacama in Cile, il più buio e limpido di tutti gli osservatori astronomici al mondo [1]. Il megaprogetto industriale dovrebbe essere installato a soli 5-11 chilometri dai telescopi di Paranal, il che causerebbe danni irreparabili alle osservazioni astronomiche, in particolare a causa dell’inquinamento luminoso emesso durante il periodo di funzionamento del progetto. Il ricollocamento del complesso salverebbe uno degli ultimi cieli oscuri veramente incontaminati della Terra.”

Con queste parole l’Osservatorio Europeo Australe (ESO) ha espresso la forte preoccupazione per un progetto industriale pianificato nelle immediate vicinanze dei suoi osservatori situati nel deserto di Atacama, in Cile, una regione riconosciuta a livello internazionale come uno dei migliori siti al mondo per l’osservazione astronomica, grazie alla straordinaria qualità dei suoi cieli notturni, caratterizzati da un’eccezionale limpidezza e oscurità.

Il progetto in questione potrebbe avere un impatto significativo sulla qualità dell’ambiente notturno, compromettendo la capacità degli astronomi di effettuare osservazioni di alta precisione. Le attività industriali possono generare inquinamento luminoso, atmosferico e acustico, tutti fattori che rappresentano una minaccia per le sofisticate operazioni astronomiche condotte dagli osservatori dell’ESO. La riduzione della qualità dei cieli notturni potrebbe limitare la capacità di raccogliere dati preziosi per la comprensione dell’universo e ostacolare la realizzazione di scoperte fondamentali.

L’ESO ha ribadito l’importanza di preservare l’integrità dei cieli notturni del deserto di Atacama, un patrimonio naturale che non solo serve la scienza, ma rappresenta anche un valore inestimabile per l’umanità. La ricerca astronomica condotta in questa regione ha portato a scoperte rivoluzionarie, inclusi importanti contributi alla comprensione della formazione delle galassie, dei pianeti extrasolari e della materia oscura.

La Via Lattea segna un arco evidente nel Cielo del deserto di Atacama. Lo scatto evidenzia la qualità del cielo in questa zona dell’America Meridionale. Crediti: @ESO

L’organizzazione ha invitato tutte le parti coinvolte a considerare attentamente l’impatto ambientale di qualsiasi attività industriale nella zona. È essenziale che lo sviluppo economico e industriale sia bilanciato con la necessità di proteggere il patrimonio scientifico e naturale rappresentato dai cieli di Atacama. L’ESO ha inoltre auspicato un dialogo costruttivo tra governi, aziende e comunità scientifica, al fine di individuare soluzioni che consentano di conciliare lo sviluppo economico con la tutela delle risorse naturali fondamentali per la scienza astronomica.

In un contesto globale in cui la protezione dell’ambiente e delle risorse naturali è sempre più centrale, l’ESO ha sottolineato che la salvaguardia dei cieli notturni del deserto di Atacama deve diventare una priorità per tutte le parti coinvolte. Questo approccio non solo garantirebbe il proseguimento delle scoperte scientifiche, ma rappresenterebbe anche un esempio virtuoso di come lo sviluppo sostenibile possa essere realizzato in armonia con la conservazione dell’ambiente.

La Redazione di Coelum Astronomia condivide pienamente le preoccupazioni espresse dall’Osservatorio Europeo Australe (ESO). Compromettere l’accesso da terra ai cieli limpidi del deserto di Atacama significa limitare fortemente la capacità dell’astronomia di indagare l’universo e svelarne i misteri. Questo rischio si aggiunge alle già difficili sfide che la comunità scientifica deve affrontare per contrastare la proliferazione incontrollata di satelliti in orbita, spesso lanciati per scopi discutibili o non strettamente giustificati. Preservare l’oscurità e la qualità dei cieli notturni è fondamentale non solo per il progresso della conoscenza scientifica, ma anche per tutelare un patrimonio unico che appartiene all’intera umanità.

Fonte: ESO

FOTONICOntest (ShaRA #1 e #2) Draghi contro l’apatia da pandemia

ABSTRACT

Nel pieno della pandemia, l’astrofilo Alessandro Ravagnin ha trasformato le restrizioni in un’opportunità, dando vita al FOTONICOntest, un progetto di astrofotografia condivisa. Da iniziative locali a collaborazioni globali, il progetto ha permesso ad astrofili di ogni livello di unire le forze per catturare immagini straordinarie di oggetti celesti, persino con l’ausilio di telescopi remoti in Cile. Questo articolo racconta come la passione per l’universo e la condivisione abbiano reso possibile un’esperienza unica e innovativa.

Il Target #1

NGC6188 – i Dragoni Belligeranti.

Il Target #2

Elaborazione finale di M83 vincitrice risutlato della fusione delle immagini di Ravagnin, Tiano, Bertocco e Privitera

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Una fucina di stelle

Archiviata la foto dei Dragoni di ARA, ci si è quindi concentrati sul soggetto principale del FOTONICOntest#4, quello che ha assorbito la maggior parte del budget raccolto: la galassia M83.

M83 è una galassia a spirale barrata intermedia, locata nella costellazione dell’Idra, ricca di nubi molecolari di idrogeno e zone di formazione stellare. Viene soprannominata “La Girandola del Sud” ed è una delle galassie più luminose ed estese del cielo intero.

Per riprenderla abbiamo usato il telescopio RC da 1 metro di diametro operante a focale piena (6.8 metri) con le pose a seguire:

  • 17 pose da 300s bin 1 con filtro Luminanza
  • 6 pose da 600s bin1 con filtro R
  • 6 pose da 600s bin1 con filtro G
  • 10 pose da 600s bin1 con filtro B
  • 4 pose da 1200s bin1 in H-alpha
  • 2 pose da 1200s bin1 in Oiii

Purtroppo le sessioni R e G dovevano bilanciare le 10 pose del canale Blu, ma a causa di una forte tempesta di neve sopraggiunta nella settimana scelta per le riprese (alla nostra torrida estate, corrisponde infatti normalmente un “tiepido” inverno cileno, cosa che quest’anno ovviamente non è accaduta), non son state completate correttamente e ci siamo fermati a soli 6 sub.

I risultati delle elaborazioni sono stati ovviamente più omogenei rispetto a quanto fatto coi Dragoni: la sfida questa volta è stato il bilanciamento dei colori della galassia e delle stelle nel campo di ripresa, nonché l’evidenziazione delle braccia esterne della spirale e delle fantastiche nubi molecolari di colore rosso fiammante.

E’ stato fatto anche un test di ripresa con un paio di pose da 1200s con filtro OIII, per chi volesse provare una composizione tendenzialmente inusuale per una galassia, ossia una HOO starless, volta ad evidenziare le nubi molecolari presenti sulle braccia della spirale.

Anche qui i vari partecipanti hanno interpretato in modo differente le varie elaborazioni, producendo risultati molto differenti gli uni dagli altri!

Epilogo

Giungiamo spediti alla conclusione di questo articolo, ringraziando sentitamente ogni singolo membro del gruppo, composto sia da vecchi amici che da nuovi simpatici conoscenti. Spero di aver trasmesso al lettore almeno in parte l’entusiasmo ed il divertimento che ha albergato per un paio di mesi all’interno del gruppo, creato ad hoc per l’evento e frequentato per due interi mesi da 15 persone che non si erano mai viste prima. Perché lo spirito del FOTONICOntest è proprio questo: non tanto gareggiare per fare la foto del secolo, ma divertirsi tutti assieme condividendo qualche ora del nostro prezioso tempo libero, cogliendo l’occasione per conoscere nuove persone attraverso i più moderni strumenti digitali.

Evento che verrà sicuramente ripetuto in futuro, sia con strumentazione propria che con la strumentazione remota sperduta in qualche angolo recondito del nostro pianeta e chi lo sa, in futuro, con qualche strumento ancora più grande del metro cileno.

L’articolo è pubblicato in COELUM 258 VERSIONE CARTACEA


ShaRA#3 Shared Remote Astrofotography L’occhio di Horus

Indice dei contenuti

ABSTRACT

Nel progetto ShaRA, l’astrofotografia condivisa si unisce alla collaborazione tra appassionati per esplorare l’universo attraverso telescopi remoti di classe professionale. Nato durante il periodo del COVID-19, il progetto offre una nuova prospettiva sull’astrofotografia, permettendo di catturare immagini straordinarie di oggetti celesti dell’emisfero australe. Questo articolo racconta come il team ShaRA sia cresciuto, superando sfide tecniche e condividendo la passione per la scoperta del cosmo.

Il Target

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L’articolo è pubblicato in COELUM 261 VERSIONE CARTACEA

Nel mosaico si possono ammirare tutte le foto elaborate dai 12 partecipanti, in ordine dall’alto al basso, da sinistra a destra: VikasChander, Marcella Botti, Antonio Loro, Andrea Bertocco, Egidio Vergani, Antonio Grizzuti, Massimo Di Fusco, Cristiano Trabuio, Giampaolo Michieletto, Rolando Ligustri, Alessandro Ravagnin, Vincenzo Fermo.

 

Commento di Marcella Botti

“Ho aderito a questo progetto perché fotografo con reflex e volevo cimentarmi nell’elaborazione di frame monocromatici. Sono entrata nel team ShaRA per pura curiosità e inizialmente volevo stare a guardare e non mi aspettavo certo tutta la professionalità, l’entusiasmo e la condivisione dei partecipanti e alla fine, travolta, ho partecipato attivamente. Un team veramente armonico dove le foto vengono fuse insieme per dar vita ad una mega elaborazione che tiene conto dei migliori risultati di ognuno.”

Commento di Egidio Vergani

“Sono sempre stato appassionato di fotografia, sopra e sotto il mare, ma durante il lock down per il Covid 19 mi sono messo a guardare le foto su internet del nostro Universo. Perché non provarci? Ho acquistato un telescopio di seconda mano (che non sapevo usare ma pian piano ho imparato), ho letto molti libri e riviste ed ho provato a collegarci una reflex per fotografare Saturno. Da li è esplosa la mia passione, ho migliorato l’attrezzatura e la pratica dal mio balcone di Milano. Curiosando su internet qualche anno fa mi sono imbattuto nel progetto di osservazione condivisa di nome FOTONICOntest, ho contattato Alessandro Ravagnin e gli ho mandato la mia foto di Orione. Da allora ho partecipato a tutte le edizioni del FOTONICOntest. Quando Alessandro mi ha chiesto se volevo partecipare alla condivisione di un telescopio remoto in Cile sono rimasto all’inizio perplesso, ma sapendo che nel gruppo, oltre a lui, c’erano anche altri validissimi astrofotografi e qualche neofita come me, ho accettato di buon grado  la sua proposta. Subito dopo è nato il progetto ShaRA che ha portato ad una collaborazione sempre maggiore. Nessuno si è mai tirato indietro e devo molto a loro per gli insegnamenti che generosamente hanno dato ai meno esperti. Umiltà e passione sono i punti di forza di questo progetto. Forza ShaRA”

 

ShaRA4.1 GUM 14/15 Blubbles & Bubble

Indice dei contenuti

ABSTRACT

Nel quarto progetto del team ShaRA, “Bubbles & Bubble”, il gruppo esplora il complesso nebulare GUM14/15, due straordinarie nebulose a forma di bolla nella costellazione delle Vele. Durante il lavoro, viene scoperta la Spin Nebula (He 2-11), una nebulosa planetaria bipolare mai osservata prima in alta risoluzione da astrofili amatoriali. Questo articolo unisce scienza, tecnica e passione, mostrando come l’astrofotografia sia non solo arte, ma anche esplorazione e conoscenza.

Il Target

Immagine finale di GUM 14/15 ottenuta con la tecnica del Superstacking

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L’articolo è pubblicato in COELUM 262 VERSIONE CARTACEA



ShaRA#4.2 Il “Sandworn” Galattico

Indice dei contenuti

ABSTRACT

In questa seconda parte del progetto ShaRA#4, il team esplora il fascino oscuro di CG4, conosciuta come “Sandworm galattico”. La nebulosa, con la sua forma peculiare e inquietante, è un perfetto connubio di mistero e bellezza celeste. Attraverso immagini straordinarie e approfondimenti scientifici, scopriamo le peculiarità di questo globulo cometario e della galassia ESO 257-19, prospetticamente vicina. Un viaggio tra tecniche avanzate, curiosità astronomiche e il grande lavoro di squadra del team ShaRA.

Il Target

L’immagine finale di CG4 detto anche SandWorm galattico ottenuta con la tecnica del SuperStacking

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L’articolo è pubblicato in COELUM 263 VERSIONE CARTACEA



ShaRA#5 The Bat

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ABSTRACT

In questa quinta edizione di ShaRA, il team ci conduce alla scoperta della nebulosa Bat (LDN 43), esplora le sfide affrontate, dalla scelta dei target alle difficoltà tecniche, tra cui un difetto sul sensore che ha richiesto soluzioni creative. Il progetto dimostra ancora una volta come la collaborazione e la condivisione di esperienze possano trasformare ostacoli in opportunità di crescita. Un viaggio nell’astrofotografia che unisce tecnologia, passione e spirito di squadra.

Il Target

 

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L’articolo è pubblicato in COELUM 264 VERSIONE CARTACEA



ShaRA#6 La Serratura Celata di Orione

Indice dei contenuti

ABSTRACT

In questo nuovo numero di ShaRA, il team ci conduce in un viaggio straordinario attraverso i segreti celati della costellazione di Orione. Un concentrato di meraviglie cosmiche, Orione è uno dei soggetti più iconici del cielo invernale, ma anche uno scrigno di tesori nascosti, come la peculiare nebulosa NGC 1999, soprannominata “La serratura”.

Con la consueta passione e competenza, Andrea Iorio, Alessandro Ravagnin e il team ShaRA ci raccontano le sfide e le soddisfazioni di catturare e processare immagini di questo straordinario oggetto celeste. Tra aloni fastidiosi, gradienti luminosi e dettagli intricati da enfatizzare, il risultato finale è frutto di un lavoro corale e di un’esperienza tecnica affinata nel tempo.

Se siete curiosi di scoprire come si combinano tecnologia, astrofotografia e spirito di squadra per rivelare la bellezza nascosta del nostro universo, questo articolo fa per voi. Buona lettura e cieli sereni!

Il Target

Il target della puntata n°6 di ShaRA team è NGC 1999, conosciuta anche come “Keyhole” (buco della serratura) per la sua peculiare morfologia.

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L’articolo è pubblicato in COELUM 266 VERSIONE CARTACEA


Occultazione Luna-Saturno del 4 gennaio 2025

Il 4 gennaio 2025, si ripete la magia dello spettacolo a cui abbiamo assistito anche nel 2024, la Luna occulterà il pianeta Saturno investendolo a partire dal lato in ombra. In un evento di rara bellezza, la Luna, in fase di 5 giorni, occulterà il maestoso Saturno, creando uno dei momenti più suggestivi per gli appassionati di astronomia.

Un Concerto Celeste di Luce e Ombra

Nel tardo pomeriggio occhi rivolti a Sud-Ovest, alle ore 18:31, l’ombra della Luna inizierà a coprire Saturno. Sarà un fenomeno visibile in Italia fino alle 19:37, con il pianeta che sparirà dietro il disco lunare a partire dalla parte ovest-sudovest. L’altezza della Luna sarà di circa +30°, offrendo una visibilità ottimale per l’osservazione dell’occultazione.

Configurazione dell’inizio dell’occultazione sabato 4 gennaio a partire dalle ore 17:31 (Roma)

Il primo contatto tra la Luna e Saturno avverrà alle 18:43, quando Saturno, nascosto alla vista, sparirà nella parte oscura del nostro satellite. Questo momento misterioso, affascinante ed effimero durerà circa 47 minuti, e vedrà la riapparizione del pianeta intorno alle 19:30, quando Saturno emergerà dal bordo sud-est della Luna, situato a un’altezza di +24°, a poco a sud del cratere Janssen, uno dei più grandi e visibili sulla superficie lunare.

Configurazione dell’uscita di Saturno da dietro la Luna intorno alle 19:40 circa

La Luna sarà in fase 5 giorni vicina quindi al primo quarto con luminosità apparente mag -11.3 mentre Saturno brillerà a mag. +0.9. 

L’uscita del pianeta dal bordo lunare sarà preceduta di circa 1 minuto dalla stella “85 Aqr”.

Preparati a Contemplare un Magico Incontro Cosmico

Se il tempo lo permetterà, armati di binocoli, telescopi o anche semplicemente a occhio nudo, si potrà osservare l’evento tuttavia il meteo non sembra essere clemente anche se delle zone di apertura ci saranno.

Le posizioni relative di Terra e Saturno rispetto al Sole sabato 4 gennaio alle ore 19:00. Manca la Luna per evidenti motivi di scala.

La mappa delle regioni in cui l’occultazione sarà visibile

Per dettagli: 3BMeteo, in-the-sky.org, theskylive.com

La Luna del Mese – Gennaio 2025

 

LA LUNA DI GENNAIO 2025

Siamo alla prima notte del 2025 che allo scoccare della fatidica “mezzanotte” si apre con la ripartenza di un nuovo ciclo lunare mentre, una volta riacquistata la necessaria lucidità dopo una notte insonne, per vedere la prima Luna del nuovo anno dovremo attendere fin verso le ore 18:00 circa dell’1Gennaio quando nel gelido cielo invernale una bella falce di 1,8 giorni si appresterà a scendere sotto l’orizzonte tramontando alle ore 18:19. La Luna crescente porterà di sera in sera il nostro satellite a rendersi sempre meglio osservabile sia con una frazione illuminata sempre più estesa sia per la sua presenza nelle più comode ore della sera.


Alle ore 00:56 del 7 Gennaio il nostro satellite sarà in Primo Quarto alla distanza di 370031 km dalla Terra mentre per effettuare osservazioni al telescopio basterà attendere fin verso le ore 18:00 circa quando si troverà ad un’altezza di +58° poco prima del transito in meridiano (ore 18:37 a +60°), rendendosi visibile fino alle prime ore della notte seguente. Molto interessante orientare il telescopio sul settore meridionale della Luna avendo così a disposizione innumerevoli strutture crateriformi di qualsiasi dimensione in cui sarà possibile individuare una incredibile varietà di dettagli in modo particolare nella regione densamente craterizzata fra il terminatore sud e il bordo sud-sudest.


Al capolinea della fase crescente, alle ore 23:27 del 13 Gennaio, il nostro satellite sarà in Plenilunio alla distanza di 375891 km dal nostro pianeta, in fase di 14 giorni e con diametro apparente di 31.79’. Nessun timore a portare il telescopio sul balcone nonostante la Luna Piena, infatti, a prescindere dalle probabili condizioni meteo decisamente invernali, non è detto che uno splendente e quasi abbagliante globo lunare completamente illuminato non possa offrire l’occasione per qualche interessante osservazione. Nel caso specifico sul fondo del cratere Alphonsus sarà possibile individuare una serie di macchie nettamente più scure rispetto alla platea, quali testimonianze dell’antichissima ed anche indelebile attività vulcanica all’origine della formazione di questi depositi di materiali piroclastici. Inoltre nella medesima serata l’area del bacino da impatto Australe (settore lunare di sudest) si troverà in librazione decisamente favorevole. Dal Plenilunio ha inizio la fase calante in cui la Luna trasferisce progressivamente la sua osservabilità dalle ore serali fino alle più profonde ore della notte riducendo sempre più la porzione di suolo illuminato dal Sole.


In questo modo alle ore 21:31 del 21 Gennaio si ha l’Ultimo Quarto in fase di 21,9 giorni ma a -37° sotto l’orizzonte, mentre per osservare col telescopio basterà attendere la notte seguente quando sorgerà alle ore 01:07 e perfettamente visibile fin verso l’alba. Come semplice proposta osservativa posso consigliare di puntare il telescopio sui crateri Aristarchus e Grimaldi per individuare il notevole contrasto di luminosità esistente fra il picco centrale di Aristarchus rispetto alle parti più scure di Grimaldi, posti alle due estremità della specifica Scala di Elger con valori di 1 e 10 rispettivamente. Alle ore 13:36 del 29 Gennaio, al termine della fase calante, il nostro satellite sarà in Novilunio con la sua superfice completamente in ombra. Con la contestuale ripartenza di un ulteriore ciclo lunare, così come avviene ormai da circa 4/5 miliardi di anni, questo mese terminerà con la Luna che nella serata del 31 Gennaio esibirà una bella falce in fase di 2,2 giorni.

Congiunzioni Notevoli

Congiunzione Luna Venere

Alle ore 19:22 del 3 Gennaio 2025 la Luna in fase di 4 giorni ad un’altezza di +13° ed il pianeta Venere si avvicineranno fino ad una separazione di 1,4°. La Luna scenderà sotto l’orizzonte alle ore 20:47.

Occultazione Luna Saturno

Il 4 Gennaio 2025 nel tardo pomeriggio la Luna in fase di 5 giorni ad un’altezza di +30° occulterà il pianeta Saturno. Il primo contatto avverrà alle ore 18:43 dalla parte del settore ovest-sudovest ancora in ombra mentre Saturno riapparirà alle ore 19:30 in corrispondenza dell’estremo settore sudest della Luna (altezza +24°), poco a sud del vasto cratere Janssen. L’uscita del pianeta dal bordo lunare sarà preceduta di circa 1 minuto dalla stella “85 Aqr”.

Occultazione Luna Pleiadi

Nella nottata del 10 Gennaio 2025 alle ore 02:36 la Luna in fase di 10,7 giorni ad un’altezza di +15° andrà ad occultare l’ammasso aperto delle Pleiadi (M45), mentre alle ore 04:18 scenderà sotto l’orizzonte.

Congiunzione Luna Giove

Poco dopo la mezzanotte dell’11 Gennaio 2025 (ore 00:11) la Luna in fase di 11,6 giorni ad un’altezza di +56° ed il pianeta Giove andranno in congiunzione (piuttosto larga) avvicinandosi fino alla separazione di 5,4°.

Congiunzione Luna Marte

Nella tarda nottata del 14 Gennaio 2025 alle ore 05:42 la Luna in fase di 15 giorni ad un’altezza di +25° ed il pianeta Marte saranno in congiunzione fino ad una separazione minima di 0°27’.

Le FALCI lunari di Gennaio

Per questa tipologia di osservazioni primo appuntamento per il tardo pomeriggio dell’1 Gennaio con una sottile falce che alle ore 18:19 scenderà sotto l’orizzonte seguita dai pianeti Venere e Saturno. Considerata la vicinanza al tramonto del Sole ci sarà solo il tempo per qualche veloce foto.

La successiva serata, il 2 Gennaio, alle ore 19:33 tramonterà una più comoda falce di 2,8 giorni sulla cui superficie saranno possibili osservazioni lungo gran parte del bordo orientale su vaste porzioni dei bacini da impatto Crisium e Fecunditatis unitamente alle rispettive cuspidi nord e sud.

Per la Luna in fase calante appuntamento per la tarda nottata del 26 Gennaio con una falce lunare che sorgerà alle ore 05:23 in fase di 26 giorni e per il 27 Gennaio alle ore 06:18 con una falce di 27,3 giorni, esibendo entrambe vaste porzioni del settore più occidentale del nostro satellite. Per questa tipologia di osservazioni, oltre agli ormai noti parametri osservativi, risulterà determinante disporre di un orizzonte il più possibile libero da ostacoli. Sarà inoltre di fondamentale importanza evitare nel modo più assoluto di intercettare la luce solare al fine di evitare gravi danni, anche irreversibili, alla propria vista.

TABELLA DEGLI EVENTI LUNARI DI GENNAIO

Fase Data Ore Sorge Culmina Tramonta Distanza dalla Terra Diam App Separ.
Primo Quarto 07-gen 00:56 11:43 18:35 00:26 370031 km 32.29’  
Luna Piena 13-gen 23:27 16:19   07:37 375891 km 31.79’  
Ultimo Quarto 21-gen 21:31 00:05 05:36 10:58 408261 km 29.27’  
Luna Nuova 29-gen 13:36 07:42 12:25 17:16 372178 km 32.11’  
Luna Crescente dal 01 al 13              
Luna Calante dal 14 al 29              
Luna Crescente Dal 30 al 31              
Perigeo 07-gen 23:34       370174 km 32’16”  
Apogeo 21-gen 04:54       404298 km 29’33”  
Congiunzione Luna Venere 03-gen 19:22     20:47     1,4°
Occultazione Luna Saturno 04-gen 18:43            
Occultazione Luna Pleiadi 10-gen 02:36            
Congiunzione Luna Giove 11-gen 00:11           5,4°
Congiunzione Luna Polluce Marte 13-gen 23:21            
Congiunzione Luna Marte 14-gen 05:42           0,27°
Congiunzione Luna Presepe 14-gen 22:49           2,8°
Congiunzione Luna Spica 21-gen 03:37           0,40°
Congiunzione Marte Polluce 21-gen 18:11           2,24°

LIBRAZIONI di Gennaio

Si precisa che, per ovvi motivi, non vengono indicati i giorni in cui i punti di massima Librazione si discostano dalla superficie lunare illuminata dal Sole.

  • 08 Gennaio: Massima Librazione sud cratere Boussingault.
  • 09 Gennaio: Massima Librazione sud cratere Boussingault.
  • 10 Gennaio: Massima Librazione sud cratere Petrov (Sud bacino da impatto Australe).
  • 11 Gennaio: Massima Librazione bacino da impatto Australe.
  • 12 Gennaio: Massima Librazione bacino da impatto Australe.
  • 13 Gennaio: Massima Librazione bacino da impatto Australe.
  • 14 Gennaio: Massima Librazione bacino da impatto Australe.

  • 22 Gennaio: Massima Librazione a nord cratere Anaximenes, Regione polare settentrionale.
  • 23 Gennaio: Massima Librazione a nord cratere Pythagoras.
  • 24 Gennaio: Massima Librazione a nord cratere Cleostratus.
  • 25 Gennaio: Massima Librazione a nord cratere Xenophanes.
  • 26 Gennaio: Massima Librazione a nord cratere Xenophanes.
  • 27 Gennaio: Massima Librazione a ovest cratere Xenophanes.

Note:

– Dati e visibilità delle strutture lunari: Software “Stellarium” e “Virtual Moon Atlas”

– Per le anteprime delle posizioni in https://theskylive.com/

– Ogni fenomeno lunare e rispettivi orari sono rapportati alla città di Roma, dati rilevati tramite software “Stellarium” e dal sito http://www.marcomenichelli.it/luna.asp

 


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Editoriale del N° 271: Un Saluto agli Eventi Astronomici più Significativi del 2024

Il 2024 ci ha regalato un susseguirsi di eventi e traguardi straordinari, suscitando meraviglia e curiosità tanto tra gli studiosi quanto tra gli appassionati. Dai confini del nostro Sistema Solare fino alle profondità del cosmo, ripercorriamo insieme in questo fine anno le scoperte e le missioni che hanno arricchito e ridefinito la nostra comprensione dell’Universo.

25 anni di Gemini North e del Chandra X-ray Observatory

Quest’anno abbiamo celebrato due anniversari che hanno segnato la storia dell’astronomia moderna. Il telescopio Gemini North, situato sulle vette vulcaniche delle Hawaii, ha raggiunto il suo 25° anno di attività, offrendoci immagini eccezionali e nuove conoscenze cosmiche. Parallelamente, anche il Chandra X-ray Observatory ha festeggiato un quarto di secolo di servizio, fornendo dati fondamentali sulle sorgenti di raggi X, dai resti di stelle ai buchi neri, e offrendoci una nuova prospettiva sul lato più energetico e violento dell’universo.

Conquiste lunari e successi oltre la Terra.

La Cina, con la missione Chang’e-6, ha consolidato la sua presenza nella ricerca lunare, estendendo la sua esplorazione fino alla faccia nascosta del nostro satellite. Anche Intuitive Machines, con il lander lunare Odysseus, ha portato a termine un atterraggio senza intoppi sulla superficie lunare. Questi successi sono stati un segno tangibile dell’intensa attività che ha caratterizzato il ritorno alla Luna, sia per finalità scientifiche sia come preparazione a missioni interplanetarie.

Voyager 1: un messaggio dal profondo dello spazio.

In un momento toccante, Voyager 1 è riuscita a riprendere le comunicazioni con la Terra, un evento che ha ricordato l’incredibile portata della tecnologia umana, capace di mantenere un contatto con una delle sonde più lontane nello spazio interstellare. Dopo decenni di silenzio, il messaggio di Voyager è stato simbolo di continuità e resilienza per tutti coloro che guardano al di là del nostro mondo.

Il Sole e il cielo notturno in primo piano.

Il team di ricerca impegnato nella misurazione del raggio solare ha raggiunto risultati importanti, offrendo nuovi dettagli sulla struttura e i processi che animano la nostra stella. E gli appassionati di osservazione celeste hanno assistito a spettacolari aurore boreali nel mese di maggio, un fenomeno reso più intenso dall’attività solare in aumento, che ha illuminato i cieli con giochi di luce visibili a latitudini insolite.

Strumenti per il futuro dell’astronomia.

Nel campo della ricerca astronomica, il 2024 è stato anche l’anno delle grandi innovazioni tecnologiche. Il Vera C. Rubin Observatory, dotato della più grande fotocamera digitale mai costruita, ha iniziato a scrutare il cielo con dettagli senza precedenti. L’Agenzia Spaziale Europea ha poi approvato il progetto LISA (Laser Interferometer Space Antenna), una nuova missione che permetterà di osservare le onde gravitazionali, aprendo una finestra su fenomeni cosmici finora inesplorati.
Il Congresso IAC a Milano: incontri e collaborazioni internazionali. A ottobre, Milano ha ospitato l’International Astronautical Congress (IAC), un’occasione unica di incontro per le menti più brillanti della scienza e della tecnologia spaziale. Coelum Astronomia ha documentato gli incontri, le collaborazioni internazionali e le proposte innovative che hanno delineato il futuro dell’esplorazione spaziale, catturando lo spirito pionieristico che ha pervaso il congresso.

Il 2024 è stato un anno di successi e crescita anche per Coelum Astronomia.

Il numero degli autori ha continuato ad aumentare, con oltre 40 collaboratori in ogni numero, che hanno contribuito con articoli su ricerca scientifica, strumentazione, osservazione e informazione astronomica. Anche il sito web ha registrato un successo straordinario, arricchendosi di una nuova funzione responsive per una lettura ottimizzata su dispositivi mobili, che ha portato a un’impennata di visite con picchi record. Il sito risponde ora agli standard di velocità più elevati, e i contenuti riservati agli iscritti sono stati incrementati per valorizzare l’esperienza degli utenti più affezionati.

È stato inoltre implementato un nuovo servizio di abbonamento, che integra la versione digitale e cartacea della rivista in una gestione unificata, con un servizio di spedizione più accurato per i lettori più esigenti. Tra le novità del 2024 spicca anche il rinnovo di PhotoCoelum, con una piattaforma più snella e partecipata, che ha visto oltre 50 caricamenti settimanali, consolidandosi come uno spazio di riferimento per l’astrofotografia.

Sul fronte editoriale, nuove rubriche come Science Citizen, dedicata alla scienza partecipativa, una sezione di Cosmologia e una collaborazione con Latitude 44.5 hanno arricchito ulteriormente i contenuti anche sui social. Nonostante alcune difficoltà logistiche, un sondaggio condotto ad agosto ha confermato l’alto gradimento dei lettori per la qualità della rivista, il suo stile grafico e il servizio clienti.
Arrivano anche i progetti per il 2025: più pagine, nuovi servizi e un’attenzione maggiore alla scuola.

Guardando al futuro, Coelum ha già annunciato ambiziosi obiettivi per il 2025. La rivista aumenterà il numero di pagine per offrire contenuti ancora più approfonditi e si specializzerà nel settore della didattica, con una nuova area dedicata all’insegnamento delle discipline STEM. Il progetto, pensato per studenti e insegnanti, comprenderà servizi e contenuti esclusivi volti a promuovere l’educazione astronomica e scientifica.

Tra i progetti più sfidanti vi è il ritorno della sezione “Test”, per fornire ai lettori recensioni dettagliate su strumentazioni astronomiche e accessori, un traguardo che richiederà un notevole impegno ma che siamo determinati a raggiungere.

Infine, il 2024 ha visto l’avvio di un progetto rivolto al pubblico ispanofono, che ha gettato le basi per collaborazioni con istituti di ricerca spagnoli. Nel 2025, questo progetto si concretizzerà con la creazione di una sezione specifica del sito dedicata ai lettori di lingua spagnola, ampliando ulteriormente il raggio d’azione di Coelum.

Grazie a questi sviluppi e ai progetti in cantiere, Coelum Astronomia continuerà a innovare e a crescere fornendo sempre un’informazione selezionata sugli eventi astronomici e delle ricerca effettivamente determinanti, confermandosi un punto di riferimento nel panorama astronomico e scientifico, sempre attento a rispondere alle esigenze di un pubblico internazionale e appassionato.


Cari lettori, concludendo questo viaggio tra gli eventi più importanti del 2024, desidero ringraziarvi per aver condiviso con noi la vostra passione e curiosità per l’Universo. Auguro a tutti voi un sereno 2025, ricco di soddisfazioni personali, nuove scoperte e ispirazione, continuando a guardare al cielo con meraviglia.

Buon anno nuovo!


 

La visione di Keplero della stella di Betlemme

Era l’autunno del 1604 quando l’astronomo tedesco Johannes Kepler (Keplero, per noi italiani) avanzò l’idea che la Stella di Betlemme potesse essere stata una supernova e da allora questa teoria ha avuto molti sostenitori.

La storia inizia tra il 16 e il 18 dicembre del 1603 quando Keplero aveva previsto la congiunzione di Giove con Saturno nel Sagittario.

La mattina del 16 dicembre l’astronomo era pronto a osservare ma i pianeti erano troppo vicini al Sole, pertanto, le cose non andarono alla meglio. Il giorno dopo, il 17 dicembre, quando i pianeti erano separati uno dall’altro di un solo grado, il tempo non fu clemente e così fino al giorno di Natale. Ma la mattina del 25 dicembre Keplero riuscì finalmente ad osservare Giove, Saturno e anche Mercurio formare un triangolo nel cielo. Keplero sapeva, in base ai calcoli effettuati, che anche Marte si sarebbe avvicinato a breve. E così quando Giove e Saturno si erano spostati di circa 8,5 gradi l’uno dall’altro, Marte si congiunse con Giove.

Poi all’improvviso la notte stessa in cui Giove e Marte si unirono, una supernova divampò nel mezzo di questo raggruppamento di pianeti. L’astronomo Kepler fu avvisato non appena apparve la supernova perché, con sua grande frustrazione, non fu in grado di vedere questa nuova luce fino a quando il cielo nuvoloso non si schiarì.

Keplero osservò questo straordinario incontro di pianeti e la nuova stella il 17 ottobre 1604 – a quel punto la supernova aveva una magnitudine negativa di 2,25, più luminosa anche di Giove.

La stella, oggi nota come stella di Keplero, brillava intensamente la sera ed era persino visibile di giorno, era situata ai piedi della costellazione di Ofiuco. Per diverso tempo rimase uno degli oggetti più luminosi del cielo notturno.

Disegno di Keplero raffigurante la stella nova (lettera N)

Keplero pubblicò i suoi risultati nel libro “De stella nova in pede Serpentarii” 

Diagramma in “De stella nova in pede Serpentarii“.
La Nova del 1604 è indicata in alto come un’esplosione. (Biblioteca Linda Hall)

Lo spettacolare incontro tra i pianeti, seguito dall’esplosione di una nuova stella, intrigarono Keplero e sollevarono domande nella sua mente.

Applicando la matematica dei moti planetari, fece i calcoli a ritroso nel corso dei secoli e giunse a una conclusione sorprendente. I suoi calcoli mostrarono che Giove e Saturno si erano uniti in una congiunzione nell’anno 7 a. C. e che anche Marte si era spostato nella stessa regione del cielo. Keplero affermò che la stella seguita dai Magi era l’equivalente della stella nova del 1604-5 e che era sorta durante una serie di congiunzioni planetarie correlate negli anni 7-5 a.C., che egli considerò come il periodo del concepimento di Cristo e del viaggio dei Magi a Betlemme. Keplero era affascinato dalla possibilità che la congiunzione planetaria fosse in qualche modo legata all’apparizione della nuova stella e che una sequenza simile di eventi fosse stata all’origine del fenomeno celeste raccontato nel vangelo secondo Matteo 2:9-10:

9 “Essi dunque, udito il re, partirono; ed ecco la stella che avevano veduta in Oriente, andava dinanzi a loro, finché, giunta al luogo dov’era il fanciullino, vi si fermò sopra”

10 “Ed essi, veduta la stella, si rallegrarono di grandissima allegrezza.”

L’interpretazione di Keplero della Stella Nova del 1604 intrecciò la scienza dell’astronomia con l’astrologia e la teologia nel tentativo di determinare la data di nascita corretta di Gesù.

La sua opera definitiva sulla data della nascita di Cristo fu descritta nel libro “De vero anno quo aeternus Dei Filius humanam naturam in utero benedictae Virginis Mariae assumpsit” (Francoforte, 1614).

In questo libro, quando arriva a considerare la Stella dei Magi, dice: ” Quella stella non era una normale cometa o una normale nuova stella, ma uno speciale miracolo passato nello strato più basso dell’atmosfera“.

 La stella di Betlemme è un argomento che tocca scienza e religione e l’indagine di Keplero mostra quanto sia un campo problematico e insidioso quello in cui la scienza e le Scritture si incontrano.

Buone feste a serenità a tutti!

Credi nella Magia del Cielo: Auguri da Coelum 

La cometa C/2023 A3 Tsuchinshan-Atlas tramonta vicino alla bella chiesa di San Martino di Valle di Cadore creando un’atmosfera mistica richiamando alla mente uno dei simboli incontrastati del Natale con la sua caratteristica lunga coda, simbolo di salvezza, luce e speranza: ma qual è la sua vera storia?

L’unico Vangelo a parlare di un evento astronomico associato alla nascita di Gesù è quello di Matteo che racconta di una stella avvistata da alcuni Magi che la seguirono fino a raggiungere la casa del bambino, dove si fermarono ad adorarlo.

È nel 1303 che Giotto comincia a dipingere a Padova (Italia) la Cappella degli Scrovegni che comprende la raffigurazione dell’Adorazione dei Magi con la stella dotata di coda che arricchisce di un significato simbolico, poiché la chioma scintillante dell’astro indicherebbe ai Magi la direzione da prendere.

E’ da allora che la stella con la coda, così come la conosciamo anche oggi, entrò a pieno titolo nell’iconografia tradizionale della Natività.

Alcuni studiosi sostengono che ad ispirare Giotto potesse essere stato il passaggio della cometa di Halley che nel 1301 lasciò un ricordo indelebile.

E fu proprio il nome di Giotto che il mondo della scienza ha dato alla Missione con cui l’Agenzia Spaziale Europea che nel 1986 si avvicinò alla cometa di Halley per fotografarne il nucleo.

La gran parte degli studiosi, però, è propensa a credere che ‘la stella’ che guidò i Magi non fosse un singolo oggetto celeste, ma una congiunzione di pianeti.

Nel 1603 Keplero rimase ammaliato da una congiunzione tra Giove e Saturno, un fenomeno noto come Grande Congiunzione: l’astronomo, incuriosito, calcolò che un tale evento, dovuto all’allineamento in prospettiva dei due pianeti, si era già verificato in passato e in quel caso Giove e Saturno si sarebbero avvicinati per ben tre volte in otto mesi, tra l’aprile del 7 a.C. e il gennaio del 6 a.C., un periodo adatto per percorrere il tragitto dalla Persia alla Giudea.

L’evento carico di un complesso simbolismo regale per i sacerdoti dell’epoca poteva essere interpretato dai ministri di culto, astronomi e astrologi quali erano i Magi.

Dopo duemila anni si susseguono ancora interpretazioni e studi per la stella di Betlemme che permettano di dire se la stella dei Magi sia esistita davvero,

di certo ha un grande valore simbolico, mostrando quanto i cieli abbiano influito ed influiscano sulla vita terrena.

a cura di Alessandra Masi

Cari Lettori di Coelum Astronomia,

con l’arrivo delle festività, desideriamo dedicarvi un pensiero speciale di gratitudine e di augurio. Il vostro entusiasmo e la vostra passione per l’astronomia e la scienza sono per noi una costante fonte di ispirazione.

Grazie per aver condiviso con noi un altro anno ricco di scoperte, eventi astronomici e curiosità dal cosmo. Siete voi a rendere ogni edizione di Coelum un viaggio straordinario tra le stelle.

Vi auguriamo di trascorrere delle festività serene e luminose, con la speranza che il cielo stellato di queste notti invernali vi regali emozioni e meraviglia.

Che il 2025 porti con sé nuovi sogni, scoperte e cieli sempre più limpidi da osservare. Noi continueremo a essere al vostro fianco, esplorando insieme l’universo.

Buone Feste e Felice Anno Nuovo!

In questo momento speciale, non dimentichiamo l’importanza della solidarietà. Con la nostra iniziativa “Coelum per la Scuola”, il prossimo anno ben 80 scuole riceveranno un abbonamento alla rivista, portando la meraviglia del cielo e della scienza a tanti giovani studenti. Vi invitiamo a contribuire a questa iniziativa: insieme possiamo fare ancora di più per avvicinare le nuove generazioni alla bellezza dell’astronomia.

Con affetto,
La Redazione di Coelum Astronomia

Quest’anno, Coelum Astronomia sceglie di celebrare il Natale con un gesto concreto di solidarietà e supporto alla formazione scolastica. Dal 1° dicembre 2024 al 6 gennaio 2025, per ogni abbonamento sottoscritto o rinnovato, Coelum attiverà due abbonamenti gratuiti a favore di istituti scolastici di secondo grado.

Perché lo facciamo?

Crediamo che la divulgazione scientifica debba raggiungere anche i più giovani e che le scuole siano il terreno fertile per seminare curiosità, passione e conoscenza. Con questa iniziativa, vogliamo contribuire a portare più scienza nelle aule, arricchendo il percorso educativo degli studenti.


Come funziona l’iniziativa?

1️⃣ Ogni abbonamento, due omaggi scolastici
Per ogni abbonamento sottoscritto o rinnovato durante il periodo natalizio, due istituti scolastici di secondo grado riceveranno un abbonamento gratuito a Coelum Astronomia, valido per un anno.

2️⃣ Una lettera speciale nel primo numero
Gli istituti selezionati riceveranno il primo numero dell’abbonamento accompagnato da una lettera che presenterà l’iniziativa e il valore educativo della rivista.

3️⃣ Il tuo contributo conta!
Gli abbonati potranno segnalare le scuole che desiderano includere nell’iniziativa. Inoltre, sarà possibile scegliere se essere citati nella lettera inviata all’istituto oppure mantenere l’anonimato. Se non ci sono segnalazioni, Coelum sceglierà le scuole beneficiarie in base a criteri di necessità e interesse.


Un impegno a lungo termine per le scuole

Questa iniziativa si inserisce in un programma più ampio che Coelum dedicherà agli istituti scolastici per tutto il 2025. Con la nostra rubrica didattica già esistente e nuovi servizi in arrivo, puntiamo a supportare sempre di più gli insegnanti di materie scientifiche (STEM) e a promuovere l’astronomia e l’aerospazio come strumenti per ispirare gli studenti.


Unisciti a noi e fai la differenza!

Con un semplice abbonamento, puoi regalare conoscenza e ispirazione a centinaia di studenti in tutta Italia. Non è solo un dono per te, ma un contributo tangibile alla crescita educativa delle nuove generazioni.

📚 Abbonati ora e regala un Natale di scienza e conoscenza!
Con il abbonamento più scienza nelle scuole: insieme per crescere!


Il Mondo fra 100 Anni secondo Villemard

Tra il 1899 e il 1910, l’illustratore francese Villemard realizzò una serie di disegni in cui immaginava la tecnologia che avrebbe caratterizzato il mondo nell’anno 2000. Il futuro, che è poi il nostro presente, è immaginato da Villemard popolato da macchine volanti di vario tipo, tecnologie per muoversi nei cieli o esplorare i fondali marini, strumenti per automatizzare attività quotidiane come cucire vestiti, pulire il pavimento, cucinare o coltivare i campi.
Le tecnologie immaginate dall’artista francese sono quindi un tripudio di ruote dentate, leve, gru, ingranaggi, ali meccaniche e pulegge. La nostra epoca attuale, nella visione di Villemard, è l’esasperazione della meccanica. Nel suo immaginato anno 2000 manca però un aspetto che è invece cruciale ai nostri giorni: la comunicazione. A questo proposito fa sorridere la sua previsione di posta veloce, che è rappresentata da un postino su macchina alata che consegna la lettera a un signore che si sporge dal balcone. Qualcosa che neanche lontanamente può competere con le videoconferenze, le chat, l’e-mail e Internet di oggi!
L’artista di fine 800, infatti, ha estrapolato all’eccesso le tecnologie note all’epoca, immaginando macchine complesse, leve, ingranaggi, strumenti automatizzati e macchine volanti. Tuttavia, non è stato capace di immaginare le tecnologie veramente nuove, quelle che realmente avrebbero sconvolto il mondo e caratterizzato l’epoca attuale, per un motivo molto semplice: all’epoca la scienza alla base di quelle tecnologie era ancora allo stato embrionale. Certo, si conoscevano le leggi dell’elettromagnetismo, ma molte delle sue ricadute pratiche erano ancora da venire, e la prima comunicazione radio sarebbe stata realizzata proprio in quegli anni.
Tutto questo ci insegna – o meglio ci ricorda – un aspetto importante della Scienza: è estremamente difficile prevedere quali saranno le ricadute pratiche di una scoperta scientifica che all’apparenza ci appare soltanto un nuovo modo tramite il quale la Natura manifesta il suo comportamento. Questo è quasi sempre vero quando la scoperta scientifica riguarda la descrizione dei fenomeni naturali, ma è spesso vero anche per le stesse innovazioni tecnologiche. Basti pensare, in questo secondo caso, al web, quel “www” (world wide web) sviluppato originariamente da Tim Bernes Lee al Cern per offrire ai fisici delle particelle uno strumento utile per diffondere e condividere in tempo reale i loro risultati scientifici, e solo in seguito diventato ciò che sappiamo. D’altra parte, è emblematico ciò che il supervisor di Tim Bernes Lee, Mike Sendall, scrisse sul documento contenente la proposta di ciò che sarebbe diventato a breve un’invenzione che avrebbe stravolto il mondo: un semplice “vague but exciting”, vago ma stimolante.

Tutto ciò ci insegna quanto sia molto ingenuo, ma anche molto miope, pensare di poter decidere a priori quale ricerca si rivelerà utile dal punto di vista pratico, e magari credere di saper scegliere, fra le diverse linee di ricerca, quali perseguire e quali scartare perché ci appaiono inutili. Senza dimenticare poi che il progresso nella conoscenza scientifica necessita sempre di contributi che provengono da molte discipline diverse.
Immaginiamo quindi un mecenate del 700, che avesse dovuto decidere quali ricerche finanziare per velocizzare le comunicazioni fra le città dell’epoca. Forse avrebbe deciso di incentivare la selezione di cavalli più resistenti e veloci, o la progettazione di ruote e ammortizzatori più affidabili, o macchine alate e difficilmente funzionanti come quelle immaginate da Villemard, ma dubito che, pur nella sua lungimiranza, avrebbe intuito che l’embrione della soluzione definitiva al suo problema era negli studi che un certo Galvani stava effettuando sulle rane: l’elettricità. E d’altra parte, se a qualcuno non fosse venuto in mente di costruire lo strumento “per vedere le cose minime”, come lo chiamava Galilei, ovvero ciò che poi divenne il microscopio, ancora staremmo a crepare di peste.


L’articolo è pubblicato in COELUM 271 VERSIONE CARTACEA

ShaRA#10 – Corona Australis

Dettaglio sull'ammasso Coronet, la nursery stellare nella Corona Australe, dove gas e polvere si aggregano dando vita a nuove stelle

Indice dei contenuti

ABSTRACT

Nell’ambito del suo ultimo progetto astrofotografico, ShaRa #10, il team ShaRA ha focalizzato le sue risorse su una delle regioni più enigmatiche e scientificamente intriganti del cielo australe: la Nube della Corona Australe. Anche questo progetto fa parte del metodo collaborativo del gruppo ShaRa, dove astrofotografi da varie parti del mondo uniscono le loro competenze in elaborazione dati per ottenere a immagini complesse, raggiungendo risultati incredibili.

di Adriano Anfuso, Alessandro Ravagnin e ShaRA Team

Il Target

Dettaglio sull’ammasso Coronet, la nursery stellare nella Corona Australe, dove gas e polvere si aggregano dando vita a nuove stelle

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Il Progetto Overall Photons per l’Astrofotografia Condivisa e Democratica

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Nella tabella è riportato l’elenco completo dei partecipanti al progetto e le nazionalità. Nella mappa sono riportate le localizzazioni geografiche dei 19 partecipanti al Progetto_1 di Overall Photons. I colori dei pallini fanno riferimento alla scala Bortle. L’immagine è stata generata con Generic Mapping Tools (GMT) di Wessel e SMith (1998).

Abstract

Il 17 Agosto scorso abbiamo brindato alla nascita del nuovo progetto di astrofotografia amatoriale condivisa Overall Photons, nome opportunamente scelto per sottolineare il fondamento su cui l’idea si basa: condivisione di fotoni da tutti gli astrofotografi del mondo.
Un modus operandi quello della condivisione che già si è fatto notare in altri progetti, sia nazionali che internazionali, sia di impronta scientifica che non, volti a migliorare la qualità dei risultati partendo dall’esigenza comune di risparmiare il tempo necessario alla raccolta di dati spendendo decine, o centinaia, di ore e senza dover investire in strumentazione molto costosa, anche se amatoriale.

Articolo a cura di Andrea Iorio, Elisa Cuccu e Fernando Linsalata


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Una Giovane Nebulosa Solare

Una nebulosa composta da gas e polvere torbidi sotto forma di nuvole soffici e vaporose e, al centro, strati sottili e molto dettagliati premuti l'uno vicino all'altro. Grandi stelle luminose circondate da sei lunghi punti di luce sono punteggiate sull'immagine, così come alcune piccole stelle puntiformi incastonate nelle nuvole. Le nuvole sono illuminate in blu vicino alle stelle; i colori arancioni mostrano nuvole che brillano nella luce infrarossa.

La magnifica nebulosa ripresa in questa fantastica immagine del telescopio Webb contiene centinaia di stelle in formazione con età inferiore a due milioni di anni, la maggior parte delle quali nascoste alla vista da polveri spesse e oscuranti. Questo ambiente ricco e complesso potrebbe essere simile a quello in cui si è formato il nostro Sole oltre 4,5 miliardi di anni fa.

Credit: ESA/Webb, NASA & CSA, A. Scholz, K. Muzic, A. Langeveld, R. Jayawardhana


NGC 1333 fu scoperta dall’astronomo tedesco Eduard Schönfeld nel 1855 e fa parte della Nube Molecolare di Perseo, a circa 960 anni luce di distanza da noi. In seguito, la nebulosa è stata osservata da molteplici strumenti in diverse lunghezze d’onda, caratterizzandosi come una tra le più studiate regioni attive di formazione stellare.


La superba sensibilità del JWST ha permesso agli astronomi di individuare all’interno della nube giovani corpi celesti di massa molto piccola. In effetti, alcune delle “stelle” più fioche nell’immagine sono in realtà nane brune vaganti, con massa non troppo dissimile da quella di pianeti giganti come Giove. Le nane brune sono oggetti intermedi tra le stelle e i pianeti, spesso definite “stelle fallite” perchè le masse troppo piccole alla nascita non hanno permesso loro di sostenere il processo che consente alle stelle di brillare. Il meccanismo di formazione delle nane brune rimane piuttosto misterioso. Non è certo se si formino in modo simile alle stelle, per collasso gravitazionale di nubi molecolari con massa non sufficiente a innescare reazioni di fusione nucleare, in seguito a frammentazione di nuclei protostellari di grande massa, oppure attraverso accrescimento di materiale in un disco protoplanetario, in modo simile ai pianeti. Alcune nane brune hanno una compagna stellare, altre vagano solitarie nello spazio.
I dati acquisiti dal telescopio Webb costituiscono la prima osservazione spettroscopica profonda del giovane ammasso stellare nella nebulosa e hanno permesso di identificare 6 nuove candidate nane brune, con massa fino a 15 volte quella di Giove, grazie all’utilizzo dello strumento Near-InfraRed Imager and Slitless Spectrograph (NIRISS). I ricercatori riferiscono anche la scoperta di una nana bruna parte di un sistema binario, con un compagno di massa planetaria.


Il centro della ripresa rappresenta una visione profonda del cuore di NGC 1333: vaste nebulosità color arancio evidenziano gas brillante nell’infrarosso, mentre le nuvole vicino alle stelle si illuminano di tonalità bluastra. Molte delle stelle neonate sono ancora circondate da dischi di gas e polveri, da cui forse avranno origine interi sistemi planetari. Stelle brillanti più grandi risplendono come diamanti preziosi, mentre alcune stelle puntiformi più deboli rimangono nascoste nelle dense nubi. Tra le strutture caratteristiche delle regioni di formazione stellare attiva, non mancano gli Oggetti di Herbig-Haro, generati dalla collisione fra i getti energetici emessi da stelle neonate e il gas circostante, freddo e denso.
Mentre in luce visibile la maggior parte delle stelle rimane nascosta alla vista, la visione nell’infrarosso del telescopio Webb ci permette di penetrare attraverso le polveri cosmiche che si addensano nella regione, per rivelare la presenza di giovani stelle, nane brune e oggetti vaganti di massa planetaria, non legati gravitazionalmente ad altri corpi celesti.
La ripresa rivela minuti dettagli dei processi caotici che un denso ammasso di stelle in formazione può ingenerare nell’ambiente nativo. In modo simile alle giovani stelle nell’immagine, il nostro Sole con i suoi pianeti si è formato in una densa nube di freddo idrogeno molecolare, come parte di un ammasso stellare, che forse era ancor più massiccio ed energetico rispetto a questo. Pertanto, NGC 1333 ci offre ottime opportunità di studiare stelle simili al Sole, così come nane brune o pianeti liberamente vaganti, nelle fasi iniziali della loro formazione.

Collaborazione Internazionale

Il JWST, il più grande telescopio spaziale mai lanciato, è una partnership tra NASA, ESA e CSA. Grazie a strumenti avanzati come NIRSpec e MIRI, e al supporto europeo, il Webb continua a rivoluzionare la nostra comprensione del cosmo primordiale.

Fonte: https://esawebb.org/images/potm2408a/

Event Horizon Telescope: verso la comprensione dei potenti getti dei buchi neri

In questa rappresentazione artistica ci stiamo avvicinando al centro della galassia NGC 1052. Dietro le nubi di gas e polvere (mostrate in arancione) si trova il buco nero supermassiccio centrale della galassia. I due getti di particelle ad alta energia (mostrati in blu) vengono lanciati dal buco nero, ma non si sa come. I radiotelescopi possono vedere attraverso le nuvole per rivelare il centro della galassia.

Event Horizon Telescope: verso la comprensione dei potenti getti dei buchi neri

Dopo aver immortalato per la prima volta l’immagine di un buco nero e la notizia della ripresa del getto emesso da M87*, l’Event Horizon Telescope (EHT) si prepara a compiere un nuovo salto rivoluzionario nello studio dei buchi neri supermassicci e dei loro enigmatici getti di particelle ad alta energia. Un recente studio, pubblicato sulla rivista Astronomy & Astrophysics il 17 dicembre 2024, ha rivelato come l’EHT possa riuscire a osservare i getti provenienti dal buco nero al centro della galassia NGC 1052, distante circa 60 milioni di anni luce dalla Terra. Il lavoro, condotto da Anne-Kathrin Baczko della Chalmers University of Technology, apre una finestra promettente per risolvere uno dei misteri più affascinanti dell’astrofisica.

Anne-Kathrin Baczko, astronoma, Osservatorio spaziale di Onsala e Dipartimento di scienze spaziali, terrestri e ambientali, Chalmers University of Technology

Un obiettivo difficile ma promettente

Il buco nero supermassiccio al centro di NGC 1052 è una sorgente particolarmente impegnativa. Secondo Anne-Kathrin Baczko, “Il centro di questa galassia è un obiettivo promettente per l’Event Horizon Telescope, ma è debole, complesso e più difficile di tutte le altre fonti studiate finora”. Tuttavia, il lavoro del team è riuscito a superare queste difficoltà grazie a una strategia innovativa che ha coinvolto radiotelescopi interconnessi, tra cui ALMA (Atacama Large Millimeter/submillimeter Array) in Cile.

La galassia NGC 1052 ospita un buco nero che lancia due potenti getti di particelle relativistiche, che si estendono per migliaia di anni luce nello spazio, uno in direzione est e uno in direzione ovest rispetto alla Terra. L’origine di questi getti è una delle domande centrali della ricerca. Eduardo Ros, membro del team e astronomo presso il Max Planck Institute for Radio Astronomy, sottolinea: “Vogliamo indagare non solo il buco nero in sé, ma anche le origini dei getti.”

Osservazioni e risultati: un passo avanti

Gli scienziati hanno utilizzato cinque telescopi della rete globale dell’EHT, con ALMA in configurazione chiave per garantire la migliore stima possibile del potenziale di osservazione. Le misurazioni sono state poi integrate con dati provenienti da altri radiotelescopi. Il successo delle osservazioni è stato determinato dalla sensibilità di ALMA, che ha permesso di catturare anche segnali molto deboli provenienti dal centro di NGC 1052.

Un risultato cruciale riguarda la dimensione della regione in cui si formano i getti. Secondo le misurazioni, questa regione è simile a quella dell’anello del celebre M87*, il buco nero fotografato per la prima volta nel 2019. Questa scoperta implica che l’EHT, alla sua massima potenza, sarà in grado di ottenere immagini nitide di NGC 1052 e dei suoi getti.

Il centro nascosto della galassia NGC 1052 (rappresentazione artistica).
In questa rappresentazione artistica ci stiamo avvicinando al buco nero supermassiccio al centro della galassia NGC 1052. Qui, il materiale si raccoglie in un disco rotante prima di cadere nel buco nero e si accumulano campi magnetici che possono aiutare a lanciare i potenti getti della galassia.

I campi magnetici: chiave della formazione dei getti

Uno degli aspetti più affascinanti dello studio è la misurazione della forza del campo magnetico vicino all’orizzonte degli eventi del buco nero. I ricercatori hanno rilevato un campo di 2,6 tesla, circa 400 volte più forte del campo magnetico terrestre. Matthias Kadler, astronomo presso l’Università di Würzburg, spiega: “Questo è un campo magnetico così potente che pensiamo possa probabilmente impedire al materiale di cadere nel buco nero. Ciò a sua volta può contribuire a lanciare i due getti della galassia.”

Nuove prospettive con l’EHT e i telescopi del futuro

La ricerca condotta su NGC 1052 offre spunti fondamentali per il futuro delle osservazioni astronomiche. Le misurazioni confermano che l’ambiente circostante il buco nero brilla intensamente alle lunghezze d’onda millimetriche, ideali per essere catturate dai radiotelescopi attuali. Come afferma Matthias Kadler, “Le nostre misurazioni ci danno un’idea più chiara di come il centro più interno della galassia brilli a diverse lunghezze d’onda, rendendolo un obiettivo primario per la prossima generazione di radiotelescopi.”

Progetti futuri, come l’ngVLA (next generation Very Large Array) dell’NRAO e l’ngEHT (next generation Event Horizon Telescope), promettono di spingersi ancora oltre, fornendo immagini ancor più dettagliate dei buchi neri e dei loro getti.

Conclusione: un passo verso la comprensione dei getti

Il successo delle osservazioni condotte su NGC 1052 rappresenta un importante passo avanti nella comprensione dei meccanismi con cui i buchi neri supermassicci generano getti di particelle ad alta energia. Nonostante la sfida rappresentata da un obiettivo così debole e complesso, il lavoro del team guidato da Anne-Kathrin Baczko dimostra che l’EHT è in grado di affrontare con successo anche le galassie più difficili.

Mentre i radioastronomi si preparano per una nuova era di osservazioni ad alta risoluzione, il futuro appare luminoso. Le immagini promesse dall’EHT e dalle prossime generazioni di telescopi potrebbero finalmente svelare i dettagli nascosti della formazione dei getti cosmici, avvicinandoci alla soluzione di uno dei più grandi enigmi dell’astrofisica moderna.

Fonte:https://www.aanda.org/articles/aa/full_html/2024/12/aa50898-24/aa50898-24.html

M87: Nuove Scoperte sul Getto Relativistico e il Brillamento di Raggi Gamma ad Altissima Energia

Osservazioni AstroSat UVIT di M87. A sinistra: M87 nella banda BaF2. A destra: Immagine differenziale di M87. L'area patchata è fondamentalmente la regione mascherata del getto.

La galassia ellittica Messier 87 (M87), situata a circa 16,8 milioni di parsec nell’ammasso della Vergine, ospita uno dei buchi neri supermassicci (SMBH) più grandi conosciuti, denominato M87*, con una massa stimata di circa 6,5 miliardi di masse solari. Questo buco nero è celebre per aver prodotto, nel 2019, la prima immagine diretta di un orizzonte degli eventi grazie alla collaborazione internazionale Event Horizon Telescope (EHT). Recentemente, questa stessa collaborazione ha pubblicato risultati straordinari relativi alla campagna osservativa multi-lunghezza d’onda del 2018, che ha coinvolto più di 25 telescopi terrestri e spaziali, tra cui Fermi-LAT, Chandra, NuSTAR, MAGIC, HESS e VERITAS. Lo studio ha rivelato un brillamento di raggi gamma (flare) mai osservato in oltre un decennio proveniente dal potente getto relativistico emesso da M87*.

Il brillamento, registrato durante la campagna MWL (multi-wavelength), è stato caratterizzato da energie estremamente elevate, fino a migliaia di miliardi di elettronvolt (TeV). È durato circa tre giorni e ha mostrato un’emissione sbilanciata verso energie superiori rispetto a quelle tipicamente associate al buco nero. La ricerca, pubblicata su Astronomy & Astrophysics, è stata coordinata dal gruppo EHT-MWL e ha visto la partecipazione di istituzioni italiane come l’Università degli Studi di Trieste, l’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) e l’Agenzia Spaziale Italiana (ASI). Giacomo Principe, ricercatore dell’Università di Trieste e associato INAF e INFN, ha sottolineato come queste osservazioni offrano una straordinaria opportunità per investigare la connessione tra il disco di accrescimento e il getto emesso da M87*, e per comprendere l’origine dei raggi gamma ad altissima energia.

Composito delle immagini M87 MWL a varie scale ottenute in radio e raggi X durante la campagna del 2018. Lo strumento, la lunghezza d’onda di osservazione e la scala sono mostrati in alto a sinistra di ogni immagine. Notiamo che la scala di colori è stata scelta per evidenziare le caratteristiche osservate per ogni scala e non deve essere utilizzata per scopi di calcolo dei livelli di rumore, della gamma dinamica o della densità di flusso. Immagini coperta da Copyright per i crediti si rimanda a https://www.aanda.org/articles/aa/full_html/2024/12/aa50497-24/F13.html

Le immagini VLBI ottenute con il progetto EHT mostrano che il getto relativistico di M87* ha una lunghezza che supera di decine di milioni di volte le dimensioni dell’orizzonte degli eventi. Tra i risultati più interessanti vi è la variazione nell’angolo di posizione del getto rispetto alle osservazioni precedenti del 2017, indicando cambiamenti strutturali significativi nel corso di un anno. Inoltre, è stata rilevata un’asimmetria nell’anello luminoso attorno all’orizzonte degli eventi, che suggerisce un’evoluzione dinamica nelle strutture prossime al buco nero.

I dati raccolti da strumenti come Fermi-LAT e i telescopi Cherenkov MAGIC e VERITAS hanno contribuito a identificare la regione di emissione dei raggi gamma, un aspetto cruciale per comprendere i processi di accelerazione delle particelle all’interno del getto. Elisabetta Cavazzuti, responsabile del programma Fermi per l’ASI, ha evidenziato l’importanza di osservazioni coordinate a più lunghezze d’onda per caratterizzare la variabilità spettrale della sorgente, che si estende su diverse scale temporali.

Questi risultati rappresentano un passo fondamentale verso la risoluzione di quesiti astrofisici di lunga data, come l’origine dei raggi cosmici, le dinamiche dei getti relativistici e i processi che accelerano particelle a energie estreme. Come spiegato da Sera Markoff, professoressa presso l’Università di Amsterdam e co-autrice dello studio, per la prima volta è possibile combinare l’imaging diretto delle regioni vicine all’orizzonte degli eventi con brillamenti gamma derivanti da eventi di accelerazione delle particelle, consentendo test diretti sulle teorie relative all’origine di queste emissioni.

Lo studio conferma ancora una volta la rilevanza di osservazioni sinergiche che abbracciano tutto lo spettro elettromagnetico e dimostra il potenziale di M87 come laboratorio naturale per l’astrofisica delle alte energie, aprendo nuove prospettive nello studio dei buchi neri supermassicci e dei loro potenti getti.

Fonte: https://www.aanda.org/articles/aa/full_html/2024/12/aa50497-24/aa50497-24.html

Il cielo si Veste di Magia: Congiunzione Luna-Pleiadi e il Massimo delle Geminidi

Luna Pleiadi di Alessandro Passeggia

Questa sera, un cielo ricco di eventi astronomici affascinerà gli osservatori: alle ore 18:30 assisteremo a una spettacolare congiunzione tra la Luna e le Pleiadi, mentre alle ore 23:30 sarà il momento culminante per le Geminidi, uno degli sciami meteorici più belli dell’anno.

La Congiunzione Luna-Pleiadi
Il 13 Dicembre 2024 la Luna in fase di 13 giorni ad un’altezza di +43° occulterà le stelle più meridionali dell’ammasso aperto delle Pleiadi (M45) alle ore 19:01, conosciuto anche come “Le Sette Sorelle”. Le Pleiadi, visibili nella costellazione del Toro, sono un gruppo di stelle giovani e brillanti situate a circa 444 anni luce dalla Terra. Questo ammasso aperto è famoso per le sue stelle blu, avvolte in delicate nebulosità causate dalla riflessione della luce stellare su polveri interstellari.

13 Novembre alle ore 19:01 congiunzione Luna-Pleiadi

La distanza apparente tra i due oggetti sarà di circa 2°, pari a quattro volte il diametro apparente della Luna nel cielo. Sarà un’occasione unica per osservare, anche con un binocolo, il contrasto tra la luce lunare e la delicata brillantezza delle Pleiadi.

Il Massimo delle Geminidi
Alle ore 23:30, lo sciame meteorico delle Geminidi raggiungerà il suo massimo. Questo sciame è generato dai detriti lasciati dall’asteroide 3200 Phaethon durante il suo passaggio vicino al Sole. Le meteore, entrando nell’atmosfera terrestre, creano scie luminose che sembrano irradiarsi dalla costellazione dei Gemelli, da cui lo sciame prende il nome.

Le Geminidi sono conosciute per la loro alta frequenza e luminosità: in condizioni ideali si possono osservare fino a 120 meteore all’ora. Le loro traiettorie lente e i colori variabili, che vanno dal bianco al verde, le rendono uno spettacolo straordinario.

Previsioni Meteo
Purtroppo, il tempo non sarà favorevole in gran parte d’Italia. Cieli coperti e maltempo renderanno difficile l’osservazione sia della congiunzione sia delle Geminidi. Tuttavia, ci sono alcune speranze per gli osservatori nelle Alpi e in Sicilia, dove sono previste brevi schiarite.

Se il meteo non permetterà l’osservazione, non disperate: la Luna continuerà a transitare vicino alle Pleiadi nei prossimi giorni, e le Geminidi rimarranno attive, seppur con una frequenza ridotta, fino al 17 dicembre.

Consigli per l’Osservazione
Chi avrà la fortuna di trovare un cielo sereno dovrebbe scegliere una zona lontana dalle luci artificiali e portare con sé un binocolo o un piccolo telescopio per godere al meglio della congiunzione. Per le Geminidi, invece, basterà sdraiarsi con il volto rivolto verso la costellazione dei Gemelli e pazientare: lo spettacolo è garantito!

Non lasciatevi scoraggiare dalle previsioni meteo: anche una breve occhiata al cielo può regalare emozioni indimenticabili.

Firefly Sparkle: Una Galassia Primordiale Studiata dal JWST

Divisione orizzontale al centro. A sinistra, migliaia di oggetti sovrapposti a varie distanze sono distribuiti in questo ammasso di galassie. Un riquadro in basso a destra è ingrandito sulla metà destra. Un ovale centrale identifica la galassia Firefly Sparkle, una linea con 10 punti in vari colori. Credito: NASA, ESA, CSA, STScI, C. Willott (NRC-Canada), L. Mowla (Wellesley College), K. Iyer (Columbia)

Il telescopio spaziale James Webb (JWST) ha individuato una galassia primordiale, soprannominata Firefly Sparkle, risalente a circa 600 milioni di anni dopo il Big Bang. Nonostante la sua antichità, questa galassia presenta una massa simile a quella che avrebbe avuto la Via Lattea nella stessa fase evolutiva. Firefly Sparkle, straordinariamente dettagliata grazie all’effetto di lente gravitazionale e alla sensibilità agli infrarossi del Webb, mostra 10 distinti ammassi stellari in varie fasi di formazione.

 

L’ammasso di galassie **MACS J1423** ospita migliaia di galassie scintillanti, legate dalla loro stessa gravità. Al centro, spicca una galassia ellittica supergigante, la più grande e luminosa dell’ammasso. Questo complesso agisce come una **lente gravitazionale**, amplificando e distorcendo la luce degli oggetti celesti situati dietro di esso, consentendo agli astronomi di esplorare galassie distanti come **Firefly Sparkle**.
Grazie alla **NIRCam** del telescopio James Webb, l’immagine del 2023 rivela dettagli sorprendenti, superando in risoluzione quelle ottenute nel 2010 dal telescopio Hubble. Lo strumento infrarosso di Webb ha permesso di identificare molte più galassie e con maggiore precisione, offrendo una visione senza precedenti delle dinamiche cosmiche e della formazione galattica.
Questo straordinario effetto di lente gravitazionale fornisce una finestra sull’Universo profondo, mostrando migliaia di galassie e la complessità delle loro interazioni gravitazionali.
Credito:
NASA, ESA, CSA, STScI, C. Willott (NRC-Canada), L. Mowla (Wellesley College), K. Iyer (Columbia)

Gli scienziati, guidati da Lamiya Mowla (Wellesley College) e Kartheik Iyer (Columbia University), hanno scoperto che la galassia è ancora in formazione. La lente gravitazionale ha amplificato la sua immagine, rivelandola come una struttura allungata simile a una goccia, con ammassi di stelle disposti lungo di essa. Questi ammassi emettono luce in diverse tonalità di rosa, viola e blu, indicando che la formazione stellare si è verificata in modo scaglionato nel tempo.

Oltre alla Firefly Sparkle, sono state individuate due galassie compagne vicine, che potrebbero influenzare la crescita e l’evoluzione della galassia principale attraverso interazioni e fusioni. Queste dinamiche rispecchiano i processi di formazione galattica previsti nel giovane Universo.

Divisione orizzontale al centro. A sinistra, migliaia di oggetti sovrapposti a varie distanze sono distribuiti in questo ammasso di galassie. Un riquadro in basso a destra è ingrandito sulla metà destra. Un ovale centrale identifica la galassia Firefly Sparkle, una linea con 10 punti in vari colori.
Credito:
NASA, ESA, CSA, STScI, C. Willott (NRC-Canada), L. Mowla (Wellesley College), K. Iyer (Columbia)

Lo studio, pubblicato su Nature il 12 dicembre 2024, evidenzia l’importanza del James Webb per esplorare le galassie primordiali. Come spiegato da Maruša Bradač (Università di Lubiana), Webb offre una risoluzione senza precedenti che consente di osservare i “mattoni” della formazione galattica. Questa scoperta rappresenta solo l’inizio delle indagini sulle origini delle galassie nell’Universo.

Collaborazione Internazionale

Il JWST, il più grande telescopio spaziale mai lanciato, è una partnership tra NASA, ESA e CSA. Grazie a strumenti avanzati come NIRSpec e MIRI, e al supporto europeo, il Webb continua a rivoluzionare la nostra comprensione del cosmo primordiale.

Fonte: https://esawebb.org/news/weic2429

La Straordinaria Collezione di Meteoriti dell’Osservatorio Vaticano

la magnifica sezione della siderite Sacramento Mountains (1890 New Mexico)

A due passi dal cielo

È risaputo che le meteoriti non hanno preferenze e possono cadere ovunque, ma di certo è a dir poco sorprendente che uno della dozzina di meteoriti osservate cadere in Italia nell’ultimo secolo, abbia preso di mira il parcheggio dell’allora Aeritalia (Oggi Thales Alenia space) a Torino.
Campione del meteorite Torino (18/05/1988)
Il fatto risale al 18 maggio 1988. Il frammento principale del meteorite (una Condrite ordinaria H) di 800 grammi, cadde, assieme ad altri, proprio nel parcheggio, mentre ulteriori frammenti furono raccolti tra Collegno e Pianezza. Uno di questi frammenti, la cui superficie è ancora segnata dall’impatto sul terreno, fa bella mostra di sé nella collezione vaticana di meteoriti, ospitata alla Specola Vaticana, presso la sede di Albano Laziale. La collezione nacque più di un secolo fa grazie a Adrien Charles Marchese de Maurois il quale, tra il 1907 ed il 1912, fece dono al Vaticano di centinaia di pezzi. Una successiva donazione risale al 1935 ad opera questa volta della vedova dello stesso marchese. Negli anni successivi la collezione crebbe più lentamente, sempre grazie ad ulteriori donazioni oltre che ad alcuni scambi ed acquisizioni, arrivando oggi a sommare quasi 1200 pezzi appartenenti a più di 500 distinti meteoriti. Si tratta quindi di una delle principali raccolte di meteoriti italiane, assieme a quella della sezione di Siena del Museo Nazionale dell’Antartide, che ospita 1500 pezzi e a quella del museo di scienze planetarie di Prato, con 928 esemplari. Ma la particolarità della collezione vaticana è quella di ospitare una grande quantità di meteoriti storici, essendo il nucleo della collezione nato nella seconda metà del XIX secolo, quando non esisteva ancora la ricerca di meteoriti nei deserti (e ancor meno nell’Antartide) e le raccolte si formavano con meteoriti trovate dopo le cadute. Dopo gli studi pionieristici tra gli anni 30 e 50 sulla spettroscopia delle meteoriti, per cercare comparazioni con gli asteroidi, la raccolta di meteoriti era rimasta sostanzialmente inutilizzata, fino agli inizi degli anni ’90, quando riprese nuova vita dal 1993, prima sotto la supervisione di Guy Consolmagno (oggi direttore della Specola Vaticana) e successivamente, dal 2014, con Robert Macke che ne è attualmente il curatore. Ed è proprio quest’ultimo che ci accoglie al cancello della Specola Vaticana e ci accompagna verso gli edifici della sede centrale della specola, dov’è ospitata la collezione. Nonostante i tre master in Fisica, Filosofia e Teologia, Macke ha un modo di fare informale, quasi schivo, in grado di far sentire l’interlocutore subito a proprio agio, tuttavia non può sfuggire l’entusiasmo non celato quando parla del proprio lavoro. Con lui visitiamo la grande raccolta di meteoriti, aprendo cassetti e vetrine ed estraendo di tanto in tanto (rigorosamente con i guanti) alcuni degli stupendi pezzi.
Br.Robert Macke mostra il campione di 3,5kg di Alfianello (16/01/1883 Alfianello Br)
La collezione è articolata in due sezioni: la prima presso il laboratorio dove sono ospitati la maggior parte dei pezzi, catalogati per tipo e dove si effettuano misurazioni fisiche; la seconda nella sala espositiva dove sono raccolti in una teca alcuni degli esemplari più importanti. Tra le meteoriti italiane, oltre a Torino (già citato prima) un grande campione di “Alfianello” di 3,5 kg fa bella mostra di sé. Questo meteorite, caduto vicino a Brescia nel 1883, con i suoi 228 kg di massa totale, si registra come il maggiore impatto sul suolo italiano (Vago di Verona, del 1688 potrebbe essere stato maggiore ma la massa principale del meteorite è andata perduta). Da un altro cassetto emerge una bella fetta di Vigarano, caduta nel 1910 in provincia di Ferrara e capostipite delle condriti carbonacee tipo “V”, Vigarano, appunto.
Il campione del meteorite di Ensisheim, caduto nel 1492, con la rappresentazione della caduta, dalle “Cronache di Norimberga” del 1493
Nella vetrina in sala vediamo il “nonno” di tutte le meteoriti: Ensisheim, caduto nel 1492 in Francia a testimoniare la prima ben documentata caduta di meteoriti. Accanto a questo L’Aigle (Fr) del 1803 e Weston (USA) del 1807. In un’altra sezione, troviamo le meteoriti marziane divise in tre classi abbreviate in SNC (Shergottiti, Nakhiliti e Chassigniti), nomi a loro volta derivati dai prototipi di queste meteoriti Shergotty (1865 India), Nakhla (1911 Egitto) e Chassigny 1815 (Francia). Nella collezione sono presenti tutti e tre le classi, con Tissint (2011) per le shergottiti, e le stesse Chassigny e Nakhla. L’ultima, un esemplare di 154 grammi particolarmente raro, fu donato nel 1912 dalla Geological Survey in Egitto.
Campione 154 grammi del meteorite Nakhla (Prototipo delle Nakiliti marziane)
Non mancano le lunari, con meteoriti Nord Africane ed un frammento di roccia lunare raccolto dalla missione Apollo 17 e donato dalla NASA al Vaticano. Tra le condriti carbonacee, oltre alla Vigarano, troviamo le rarissime CI1 con la meteorite Orguell (condriti i cui corpi progenitori hanno subito una fortissima alterazione per la presenza di acqua al loro interno) e non manca inoltre un bel campione di Allende (8/02/1969 Messico) Di particolare bellezza l’esposizione delle sideriti (meteoriti ferrose), con diversi esemplari, come ad esempio, “Sacramento Mountains” con una magnifica sezione, o una grande Canyon del Diablo (MeteorCrater in Arizona), oltre a mesosideriti e Pallasiti di indiscussa bellezza.
la magnifica sezione della siderite Sacramento Mountains (1890 New Mexico)

Conclusione

Di certo la “pausa caffe” accomuna tutti e un centro di ricerca, sia pure di gesuiti nello stato pontificio non fa eccezione. “No science without coffee” sentenzia Robert Make, mentre il direttore dell’osservatorio Guy Consolmagno annuisce gravemente. E proprio in questo momento di intervallo che prendo l’occasione per fare a fratello Macke alcune domande “difficili”: perché esiste un “Osservatorio Vaticano”, perché proprio l’ordine dei gesuiti conta tra le sue fila così tanti scienziati ed infine come lui coordina il suo essere uomo di fede e scienziato. Non vorrei fargli andare di traverso la ciambella che sta mangiando con il caffè. Invece ci fa accomodare fuori dalla saletta bar “troppo rumore qui” e ci risponde con un sorriso: -per quanto riguarda la prima domanda, citando Papa Leone XIII, che nel 1891, rifondò la Specola Vaticana, perché “tutti potessero vedere che la Chiesa non si oppone alla vera scienza ma che la incoraggia e la promuove”. – Relativamente alla presenza di scienziati nel nostro ordine, penso che il motivo principale sia nella vocazione educativa della Compagnia, che dalle sue origini non si limitava all’insegnamento della religione ma a tutto lo scibile. – Infine, non percepisco alcuna discontinuità tra il mio essere religioso ed uomo di scienza; siamo tutti alla ricerca della verità.

La ricerca all’Osservatorio Vaticano

Gli astronomi della Specola Vaticana si occupano di ricerca teorica e applicata, a partire dalla cosmologia, fisica teorica, galassie, stelle, Sole fino al Sistema Solare, asteroidi, ed ovviamente meteoriti. Lo strumento di punta di ricerca è il VATT (Vatican Advanced TecnologyTelescope), costruito sul monte Graham (vicino al sito del Large BinocularTelescope) in Arizona. Per quanto riguarda i meteoriti, lo studio si è concentrato tra la fine degli anni novanta e i primi anni del nuovo secolo, nella misura della porosità, passando poi, negli ultimi anni alla misura della capacità termica. Uno strumento apposito, il “picnometro”, utilizza un gas come l’Elio, che viene immesso in una camera dove è ospitato il meteorite, facendolo poi passare il gas in un’altra camera (di volume noto) e misurando la differenza di pressione. La capacità del gas di penetrare in profondità nel meteorite permette di misurarne il volume solido. Un laser 3d consente invece di modellizzare la superficie del meteorite per misurare il volume “apparente”. La differenza tra queste due grandezze misura la porosità. La misura della capacità termica è invece ottenuta immergendo il meteorite in azoto liquido. Utilizzando le curve di evaporazione è possibile misurare la capacità termica di un meteorite ad una temperatura data. Si tratta di misurazioni utili non soltanto per conoscere le caratteristiche dei meteoriti, ma per studiare le proprietà degli asteroidi, loro progenitori. Le ricerche fanno sì che Br. Macke e Br. Consolmagno siano co-autori di recenti articoli relativi allo studio di meteoriti lunari, i terreni marziani e del materiale raccolto dalla sonda OSIRIS-Rex sull’asteroide Bennu“Asteroid Bennu in the laboratory. Propreties of the sample collected by OSIRIS-Rex” Meteoritics&Planetry Science 1-34 (2024)
Museo Collezione Vaticana di meteoriti
Informazioni Visite – A causa dello staff limitato e del personale ridotto le visite alla collezione di meteoriti sono possibili soltanto per motivi di ricerca e per la stampa, previo accordo via mail. – Mail: staff@specola.va – La specola vaticana di castel Gandolfo, con i telescopi storici è invece visitabile per gruppi da 11 a 25 persone, con prenotazione on line dal sito ufficiale. Mail info.musei@scv.va
Orari Informazioni del Sito
Biglietto Ingresso Informazioni dal sito (Tariffe diversificate a seconda dei gruppi)
Letture 108 Years of Meteorites at the Vatican Observatory -Robert J. Macke

L’articolo è pubblicato in COELUM 271 VERSIONE CARTACEA

Caccia al radioisotopo mancante la sfida dell’astrofisica nucleare per lo studio delle novæ

In attesa della probabile esplosione di T Coronae Borealis
continuiamo gli approfondimenti sulla tipologia di oggetto che potremo osservare e le tecniche investigative messe in atto anche dalla ricerca.

Introduzione

Da più di mezzo secolo l’astronomia osservativa si serve dei risultati ottenuti con metodi di spettroscopia nucleare, inviati da telescopi alloggiati in satelliti o dalla stazione spaziale internazionale. La radiazione cosmica o quella proveniente da corpi celesti viene studiata attraverso metodologie di analisi caratteristiche della fisica nucleare la quali consentono di monitorare lo stato attuale dell’universo, vicino o profondo, migliorarne le informazioni già in possesso, esplorare il passato e l’evoluzione futura dello spazio.
In questo campo una sfida di nicchia estremamente curiosa coinvolge alcuni centri di ricerca, principalmente europei, ed è relativa alle novæ. Queste infatti vengono studiate attraverso l’analisi di spettri di emissione gamma di prodotti di reazioni nucleari e permettono di caratterizzare singole novæ e di confermare le teorie che ne spiegano la natura.



Con il termine nova si intende l’insieme dei fenomeni di fusione nucleare e di conseguenti emissioni di energia da parte di una nana bianca di un sistema binario.

Scoperte alla fine del XVIII secolo, le nane, dette bianche per il loro spettro [1], sono state osservate nel corso dell’‘800 [2, 3] e poi studiate sistematicamente. Sulla base delle considerazioni relative alle prime tre osservate, Sirio A, Sirio B e il Cucciolo, si poté presto affermare che queste stelle possiedono un’elevata temperatura superficiale attorno ai 9000 K [4], una massa ridotta e un’elevata densità. Una volta appurata l’esistenza delle nane bianche, Sir Arthur Stanley Eddington, astrofisico inglese vissuto a cavallo tra ‘800 e ‘900, concepì per primo un’ipotesi relativa alla loro struttura. Eddington immaginò che, data la loro massa elevata e la loro dimensione modesta, le nane dovessero essere costituite da materia fortemente addensata, ossia non da atomi o molecole, ma da uno stato di plasma, dove protoni e neutroni potevano addensarsi e muoversi liberamente [5]. Fu da subito evidente che le pressioni a cui le cariche sono sottoposte possono confinare masse relativamente ridotte, cosa che determinò una corsa alla valutazione della massa limite per una nana bianca. Successivamente ai lavori di Anderson e Stoner della fine degli anni ’20, fu il fisico indiano Subrahmanyan Chandrasekhar a formalizzare l’idea di un valore limite per la massa di una nana bianca non rotante, fissato in 1,44 masse solari e detto limite di Chandrasekhar.

Lo stato di nana bianca è spesso quello finale di una stella. Il destino di una stella dipende infatti dal valore della sua massa m e dà questi esiti:

– nane bianche piccole (per stelle di massa m, m<0,5 M 1): dette nane all’elio, sono lo stato finale di stelle di massa m<0,5 M in cui i processi di fusione degli elementi successivi all’elio sono resi impossibili dalla temperatura che raggiunge la stella al termine della sintesi dell’elio;
– nane bianche medie (per stelle di massa m, 0,5M <m<8 M ): tra le più diffuse, sono lo stato finale di stelle di massa intermedia; sono dette nane al carbonio-ossigeno e la massa della stella è sufficientemente elevata per proseguire la sintesi degli elementi leggeri, fino all’ossigeno2;
– oltre le nane medie (per stelle di massa m, m>8 M ): per queste stelle non è prevista un’evoluzione in nana bianca e la loro massa è sufficientemente elevata per permettere reazioni di fusione nucleare che consentono la formazione di elementi pesanti fino al ferro. Queste stelle terminano il loro corso in una supernova che darà vita principalmente a una stella di neutroni o a un buco nero.
Le supernove, che esplodono per fusioni che avvengono all’interno della stella, non vanno però confuse con le novæ.

Il contributo della fisica nucleare allo studio delle novæ in anni recentissimi ha suscitato interesse e dato vita a aspettative che potranno essere confermate solo nei prossimi anni.

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Fornax: Un Laboratorio Naturale per la Cosmologia e l’Astrofisica

Figura 1: Fornax dSph, foto di archivio ESA/Hubble

Come le galassie sferoidali nane (dSph, dwarf Spheroidal), satelliti della Via Lattea possono aiutarci nella comprensione dei meccanismi evolutivi delle Galassie.

Fornax dSph per la Fornax (o Near-Field Cosmology)

Nel modello cosmologico standard, noto come Λ-CDM (la lettera Λ Lambda, indica la costante riferita al contributo della Energia Oscura, mentre CDM sta per Cold Dark Matter, Materia Oscura Fredda), le galassie si formano per accrescimento e fusione di proto-frammenti, in un processo iniziato poche centinaia di milioni di anni dopo il Big Bang, e che osserviamo ancora oggi, sotto i nostri occhi. Certo, si può discutere se il modello Λ-CDM sia “vero” ma, allo stato attuale delle nostre conoscenze, è certamente quello che mette d’accordo più osservabili possibili, nei contesti astrofisici più diversi e in maniera sufficientemente coerente. Le predizioni della Λ-CDM, in realtà erano già state in qualche modo anticipate da un lavoro pioneristico del 1978, a cura di Leonard Searle & Robert Zinn, in maniera del tutto indipendente rispetto al modello Λ-CDM, al tempo non ancora nato. Nella ricerca i due astronomi, dalla attenta analisi degli spettri di 177 stelle giganti appartenenti a 19 ammassi globulari Galattici, dedussero che l’alone della Via Lattea non poteva essersi formato in un unico episodio, ma era piuttosto il risultato dell’accrescimento successivo di vari frammenti proto-galattici.

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Nuove scoperte sulle comete oscure: tra asteroidi e comete

Questa rappresentazione artistica mostra l'oggetto interstellare 1I/2017 U1 ('Oumuamua) dopo la sua scoperta nel 2017. Pur non essendo una cometa oscura, il suo movimento attraverso il sistema solare ha contribuito a far luce sulla natura delle 14 comete oscure identificate finora. Crediti: European Southern Observatory / M. Kornmesser.

Gli oggetti celesti noti come comete oscure sembrano asteroidi ma si comportano come comete, e ora si suddividono in due tipologie distinte.

La prima cometa oscura è stata identificata meno di due anni fa. Da allora, il numero di questi oggetti è cresciuto rapidamente: prima sei nuove scoperte e, di recente, altre sette, portando il totale a 14. Uno studio pubblicato il 9 dicembre sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences descrive queste nuove comete oscure, identificando due popolazioni principali: una composta da oggetti più grandi situati nel sistema solare esterno e un’altra formata da oggetti più piccoli, confinati nel sistema solare interno. Queste due categorie si distinguono anche per caratteristiche orbitali e di riflettività.

La nascita del mistero

Il primo indizio dell’esistenza delle comete oscure risale al 2016, quando gli astronomi notarono che l’asteroide 2003 RM aveva deviato leggermente dalla sua orbita prevista. La deviazione non era spiegabile dai fenomeni noti, come l’effetto Yarkovsky, e suggeriva una spinta dovuta a emissioni di materiale volatile, tipica delle comete. Tuttavia, l’oggetto non mostrava alcuna coda, apparendo indistinguibile da un comune asteroide.

“È stato un mistero intrigante”, ha dichiarato Davide Farnocchia del Jet Propulsion Laboratory (NASA). “Non avevamo mai visto un comportamento simile senza segni visibili di attività cometaria”.

Oumuamua e le comete oscure

Un altro tassello del puzzle è arrivato nel 2017 con la scoperta di 1I/2017 U1, meglio noto come ‘Oumuamua, il primo oggetto interstellare mai osservato. Anche ‘Oumuamua mostrava caratteristiche simili a quelle di 2003 RM: un comportamento tipico delle comete, ma senza alcuna evidenza visibile di degassamento. Questo ha reso il caso di 2003 RM ancora più affascinante, spingendo i ricercatori a indagare ulteriormente.

Una nuova classe di oggetti celesti

Entro il 2023, gli scienziati avevano catalogato sette oggetti con caratteristiche simili, abbastanza da definire una nuova categoria: le comete oscure. Con la recente scoperta di altri sette esempi, i ricercatori hanno potuto individuare due tipi distinti di comete oscure:

  1. Comete oscure esterne: situate nel sistema solare esterno, hanno orbite altamente ellittiche e dimensioni significative, spesso superiori ai 100 metri.
  2. Comete oscure interne: più piccole, con diametri inferiori ai 50 metri, si trovano nel sistema solare interno e seguono orbite quasi circolari.

Nuove domande, nuovi orizzonti

Queste scoperte aprono la strada a ulteriori indagini: da dove provengono le comete oscure? Qual è l’origine della loro accelerazione anomala? Potrebbero contenere ghiaccio o materiali volatili?

“Le comete oscure potrebbero rappresentare una fonte cruciale per lo studio dell’origine della vita sulla Terra”, ha commentato Darryl Seligman della Michigan State University, primo autore dello studio. “Comprendere il loro comportamento potrebbe rivelare nuovi indizi sul ruolo che questi oggetti hanno avuto nella formazione del nostro pianeta e nella consegna dei materiali necessari per lo sviluppo della vita”.

La ricerca, come spesso accade in astronomia, non fornisce solo risposte, ma solleva nuove e affascinanti domande.

Fonti: NASA

Hubble celebra un decennio di monitoraggio dei pianeti esterni

This is a montage of NASA/ESA Hubble Space Telescope views of our solar system's four giant outer planets: Jupiter, Saturn, Uranus, and Neptune, each shown in enhanced color. The images were taken over nearly 10 years, from 2014 to 2024. This long baseline allows astronomers to track seasonal changes in each planet's turbulent atmosphere, with the sharpness of the NASA planetary flyby probes of the 1980s. These images were taken under a program called OPAL (Outer Planet Atmospheres Legacy). From upper-left toward center, the hazy white polar cap on the three teal-colored Uranus images appears more face-on as the planet approaches northern summer. From center-right to far-center right, three images of the blue planet Neptune show the coming and going of clouds as the Sun's radiation level changes. Several of Neptune's mysterious dark spots have come and gone sequentially over OPAL's decade of observations. Seven views of yellow-brown Saturn stretch across the center of the mosaic in a triangle—one for each year of OPAL observations—showing the tilt of the angle of the ring plane relative to the view from Earth. Approximately every 15 years the relatively paper-thin rings (about one mile thick) can be seen edge-on. In 2018 they were near their maximum tilt toward Earth. Colorful changes in Saturn's bands of clouds can be followed as the weather changes. At bottom center, three images of Jupiter spanning nearly a decade, form a triangle. There are notable changes in Jupiter's banded cloud structure of zones and belts. OPAL measured shrinking of the legendary Great Red Spot, while its rotation period speeds up. [Image description: A montage of Hubble Space Telescope images of our solar system’s four giant outer planets: Jupiter, Saturn, Uranus, and Neptune, taken under the OPAL (Outer Planet Atmospheres Legacy) program over a duration of 10 years, from 2014 to 2024.]

Dal 2014 al 2024, il telescopio spaziale Hubble della NASA/ESA ha condotto uno studio approfondito dei pianeti esterni del nostro Sistema Solare attraverso il programma OPAL (Outer Planet Atmospheres Legacy). L’obiettivo principale del programma è stato quello di ottenere osservazioni di lungo termine su Giove, Saturno, Urano e Nettuno, per comprendere le dinamiche e l’evoluzione atmosferica di questi giganti gassosi. Hubble si distingue come unico strumento in grado di fornire immagini con elevata risoluzione spaziale e stabilità, permettendo di monitorare su base regolare e coerente fenomeni atmosferici come il colore delle nubi, l’attività meteorologica e i movimenti atmosferici.

Caratteristiche comuni dei giganti gassosi

Tutti e quattro i pianeti esterni sono caratterizzati da atmosfere profonde e prive di una superficie solida. I loro sistemi meteorologici sono unici, con tempeste giganti, fasce di nubi multicolori e fenomeni atmosferici di lunga durata. Le stagioni su questi pianeti durano molti anni, data la loro distanza dal Sole e le caratteristiche delle loro orbite. Studiare i loro climi è cruciale non solo per comprendere il meteo dinamico della Terra ma anche per fornire un modello per pianeti extrasolari simili.

Metodologia del programma OPAL

OPAL ha garantito osservazioni annuali di ciascun pianeta quando erano più vicini alla Terra, durante l’opposizione. Questa metodologia ha prodotto un vasto archivio di dati utili agli astronomi di tutto il mondo e ha permesso scoperte straordinarie. Di seguito, una sintesi delle principali scoperte per ciascun pianeta.

This is a montage of NASA/ESA Hubble Space Telescope views of our solar system’s four giant outer planets: Jupiter, Saturn, Uranus, and Neptune, each shown in enhanced color. The images were taken over nearly 10 years, from 2014 to 2024. This long baseline allows astronomers to track seasonal changes in each planet’s turbulent atmosphere, with the sharpness of the NASA planetary flyby probes of the 1980s. These images were taken under a program called OPAL (Outer Planet Atmospheres Legacy). From upper-left toward center, the hazy white polar cap on the three teal-colored Uranus images appears more face-on as the planet approaches northern summer. From center-right to far-center right, three images of the blue planet Neptune show the coming and going of clouds as the Sun’s radiation level changes. Several of Neptune’s mysterious dark spots have come and gone sequentially over OPAL’s decade of observations. Seven views of yellow-brown Saturn stretch across the center of the mosaic in a triangle—one for each year of OPAL observations—showing the tilt of the angle of the ring plane relative to the view from Earth. Approximately every 15 years the relatively paper-thin rings (about one mile thick) can be seen edge-on. In 2018 they were near their maximum tilt toward Earth. Colorful changes in Saturn’s bands of clouds can be followed as the weather changes. At bottom center, three images of Jupiter spanning nearly a decade, form a triangle. There are notable changes in Jupiter’s banded cloud structure of zones and belts. OPAL measured shrinking of the legendary Great Red Spot, while its rotation period speeds up. [Image description: A montage of Hubble Space Telescope images of our solar system’s four giant outer planets: Jupiter, Saturn, Uranus, and Neptune, taken under the OPAL (Outer Planet Atmospheres Legacy) program over a duration of 10 years, from 2014 to 2024.]

Giove

Le osservazioni di Hubble hanno documentato i continui cambiamenti nelle fasce di nubi di Giove, caratterizzate da colori vivaci e un meteo estremamente attivo. La Grande Macchia Rossa (GRS), la più grande tempesta del Sistema Solare, è stata monitorata con precisione, rivelando una riduzione progressiva delle sue dimensioni, pur rimanendo abbastanza grande da inglobare la Terra. Hubble ha inoltre individuato misteriosi ovali scuri nelle cappe polari visibili solo in ultravioletto.

Grazie alle capacità di osservazione continuativa di Hubble, impossibili per telescopi terrestri, il programma ha anche registrato variazioni stagionali legate alla distanza di Giove dal Sole lungo la sua orbita di 12 anni. Inoltre, le osservazioni di OPAL potrebbero supportare future missioni come il Jupiter Icy Moons Explorer (Juice) dell’ESA, lanciato nel 2023, che esplorerà le lune di Giove come possibili habitat.


Saturno

Saturno, con un periodo orbitale di oltre 29 anni, presenta stagioni lunghe sette anni, influenzate dalla sua inclinazione di 26,7 gradi. OPAL ha ripreso i cambiamenti nei colori delle sue nubi e l’apparizione di raggi scuri transitori nei suoi anelli, fenomeni stagionali documentati dal programma a partire dal 2021.

Hubble ha osservato anche variazioni annuali sottili nei colori atmosferici, probabilmente legate a cambiamenti nei venti e all’altezza delle nubi. Questi cambiamenti sono più evidenti con il passaggio da una stagione all’altra, rendendo le osservazioni a lungo termine di OPAL fondamentali per comprendere il clima del pianeta.

Una serie di immagini di Saturno mostra dati reali raccolti attraverso diversi filtri, mappati sui colori RGB percepibili dall’occhio umano. Ogni combinazione di filtri evidenzia differenze sottili nell’altitudine o nella composizione delle nubi. Gli spettri a infrarossi della missione Cassini hanno suggerito che le particelle di aerosol di Saturno possano avere una diversità chimica ancora più complessa rispetto a Giove. Il programma OPAL (Outer Planet Atmospheres Legacy) continua l’eredità di Cassini monitorando le variazioni nel tempo dei pattern nelle nubi di Saturno. Credit:
NASA, ESA, A. Simon (NASA/GSFC), M. Wong (UC Berkeley), J. DePasquale (STScI)

Urano

Urano è particolarmente interessante per la sua estrema inclinazione assiale di quasi 98 gradi, che causa stagioni drammatiche lungo la sua orbita di 84 anni. Durante il decennio di osservazioni OPAL, Hubble ha seguito il polo nord di Urano inclinato verso il Sole, documentando un’intensificazione della foschia polare e la comparsa di tempeste di cristalli di metano nelle latitudini medio-settentrionali.

Con l’avvicinarsi del solstizio estivo nel 2028, si prevede che la calotta polare settentrionale di Urano diventerà ancora più luminosa, offrendo un’opportunità unica per osservare il pianeta e il suo sistema di anelli.


Nettuno

Le osservazioni di Nettuno hanno permesso di seguire il ciclo di vita di grandi macchie scure, tempeste transitorie che appaiono e scompaiono nel giro di due-sei anni. Hubble ha documentato il declino di una di queste macchie e l’intero ciclo vitale di un’altra, dimostrando la dinamicità atmosferica del pianeta.

Sorprendentemente, i dati OPAL hanno evidenziato una correlazione tra l’abbondanza di nubi di Nettuno e il ciclo solare di 11 anni, suggerendo che l’attività solare potrebbe influenzare il meteo del pianeta, nonostante Nettuno riceva solo lo 0,1% della luce solare percepita dalla Terra.


Conclusioni

Il programma OPAL rappresenta una pietra miliare per l’astronomia planetaria, fornendo una base di dati essenziale per comprendere i giganti gassosi del Sistema Solare e, per estensione, i pianeti extrasolari. Con il progredire delle osservazioni, le scoperte continuano a offrire nuove prospettive sul meteo, il clima e le dinamiche atmosferiche, alimentando il nostro desiderio di esplorare l’universo.

Fonte: https://esahubble.org/news/heic2416/

Controller Automatico per Fasce Anticondensa

Fig19c-vicino

di Federico Zarini

Una delle esperienze che si affrontano da astrofili itineranti scegliendo un posto nuovo, magari remoto e in aperta campagna, è arrivare a metà sessione fotografica o osservativa e non vedere più nulla, al massimo una nebbiolina sfocata che rende tutto opaco: è la rugiada. In realtà è semplice umidità che si liquefà su tutti gli oggetti presenti, prato, sedie, computer e ottiche, con un determinato rapporto di saturazione dell’aria e della temperatura ambientale.

 

Se si verificano le condizioni giuste tutto diventa bagnato e le nostre ottiche si appannano. L’importante è capire che asciugare le lenti o gli specchi non risolve il problema perché la rugiada ricompare in pochi secondi.
Per comprendere il fenomeno alcuni studiosi compilarono delle tabelle annotando i dati di temperatura e umidità relativa in cui gli oggetti si appannavano. Dal successivo studio ne emerse una relazione matematica chiamata punto di rugiada o Dew-Point in inglese. Con tale espressione è possibile prevedere la presenza delle condizioni perché si formi la “condensa”.
Scendendo nella pratica per evitare il fastidioso inconveniente sarebbe sufficiente mantenere la temperatura della strumentazione leggermente sopra al valore previsto, grazie all’uso della relazione di rugiada. Si tratta perciò di scaldare in qualche maniera i nostri telescopi, le ottiche e le astrocamere. Per assolvere a una simile funzione sono state inventate ad esempio delle fasce, di lunghezza variabile e alimentate con i classici 12 volt delle batterie, che si scaldano fino a 35°C. e che vanno avvolte sul tubo in maniera da riscaldare l’ottica quel tanto da superare la soglia di formazione della condensa, ma la soluzione non è ottimale. Se è vero infatti che da un lato la condensa non si formerà più, dall’altro si manifesteranno complicazioni come il consumo di energia e le stesse temperature eccessive delle ottiche. Se facciamo uscite lunghe, anche di 3 o 4 ore, il consumo extra finirà per esaurire presto la nostra batteria, preziosa alla vera attività astronomica, mentre se le ottiche restano per molte ore riscaldate, oltre a varie dilatazioni che possono compromettere la resa degli strumenti, anche l’aria che sta attorno si riscalderà causando turbolenze sempre fastidiose. È noto a tutti gli astrofili osservatori e astrofotografi che il tubo deve acclimatarsi quanto più possibile proprio per evitare che eventuali turbolenze generino fenomeni ottici apparenti, causarlo di proposito sarebbe assolutamente controproducente.
Oggi le fasce sono vendute con un piccolo accessorio che ne consente la regolazione della potenza tuttavia esse restano difficili da gestire in maniera intuitiva. Si rende necessario un supporto automatizzato in grado di analizzare l’ambiente e decidere se attivare o meno il riscaldamento del telescopio.


In commercio oggi si trovano molti controller per fasce anticondensa o Dewpoint controller di marchi noti come la stessa Celestron che ha sviluppato un modello che per esigenze particolari può essere un ottimo prodotto con innumerevoli features, le quali però spesso risultano eccessive o costose per chi dell’astronomia fa un hobby o effettua singole sessioni portandosi dietro un singolo tubo.
La soluzione tecnica che segue è dedicata proprio a coloro che si identificano in tali modalità di approccio alla passione.

Passiamo quindi a descrivere i passaggi per realizzare fai-da-te un controller per fasce anticondensa.
Il progetto è basato su Arduino, microcontroller ben voluto dagli astrofili sia per il basso costo che per la semplicità di programmazione. I sensori associabili inoltre sono facilmente reperibili in formato a modulo già saldati e con le connessioni disponibili anche per il montaggio rapido e per fare qualche test a banco.

Il progetto si presenta abbastanza completo e funzionale, esso è composto da un microprocessore che analizza e governa due sensori di temperatura e uno di umidità, calcola il dew-point e regola il segnale PWM in uscita sulla fascia. L’alimentazione è a 12 volt. Può essere collegato ad un pc (opzionale) e ricevere i dati direttamente via seriale. L’aggiunta di uno schermo Oled a 4 righe consente di seguire le operazioni.

COMPOSIZIONE DEL CORE

Il core è composto da:
• ATmega32u4 (Arduino Leonardo)
• Step-down 12v->5V
• Sensore 18b20
• Sensore HTU21
• Modulo optoisolato Mosfet D4184
• Oled 0,91” 128×32 pixel SSD1306

Le scelte sono ricadute sulle schede in elenco perché sono semplici da controllare ma soprattutto offrono dimensioni minime indispensabili allo scopo.

Come accessori extra potremo optare per:
• Connettore jack RCA per la fascia
• Connettore alimentazione Femmina 5,5 mm x 2,1 mm ingresso 12V
• Cavi e piattine a necessità
• 1 scatolina 80x40x15 mm (minimo)
• Nastro Kapton
• Guaina termo-restringente
I COMPONENTI IN DETTAGLIO

fig1-arduino ATMEGA32u4

Il microprocessore è un Arduino Leonardo nella declinazione ATMEGA32u4, ce ne sono davvero molte anche Mini o Micro e in generale vanno tutte bene essendo il programma universale, tuttavia la versione ATMEGA32u4 offre le dimensioni minime di soli 2x2cm (fig.1).

Il sensore ibrido di temperatura e umidità relativa HTU21, che lavora in I2C, richiede solo 2 fili per lo scambio dati mentre possiede un intervallo notevole di funzionamento: da -40°C a +125°C e 0-100% RH Relative Humidity (fig. 2).

fig2-sensore di Temperatura e Umidità relativa HTU21

Il secondo sensore è di sola temperatura, il 18b20, ma è digitale e di precisione. È usato praticamente ovunque, anche nei termostati casalinghi, e dialoga con un solo filo (fig.3).

Fig3-sensore di temperatura Dallas 18b20
fig4-display OLED
Fig5-convertitore step-down
Fig6-modulo mosfet PWM
Fig7-connettori RCA ed alimentazione

Il display è di tipo oled in bianco e nero, il più usato ed economico sul mercato, consente di creare contemporaneamente 4 righe di testo comandandolo con soli 2 fili sempre in I2C (fig.4).
Resta il problema di fornire la corretta alimentazione ad Arduino e ai sensori dato che tutti lavorano a 5 volt come standard. Per trasformare l’alimentazione astronomica standard di 12 volt in 5 volt abbiamo introdotto la piccola scheda step-down di 2x1cm, tra le più piccole sul mercato (fig.5).
Infine, per il corpo centrale non ci resta altro che aggiungere un componente per controllare la potenza della nostra fascia con una piccola scheda a Mosfet obbligatoria se si vuole comandare un carico con il segnale PWM (fig.6).
Sono inoltre necessari due connettori adatti a ricevere la tensione 12 volt in ingresso ed a cederla alla fascia in uscita (fig.7).

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Programmazione del Controller Automatico

0

Arduino viene programmato attraverso un ambiente di sviluppo IDE, sul sito web all’indirizzo https://www.arduino.cc/en/software troverete la versione per il vostro sistema operativo, io uso windows ed ho scaricato la versione Legacy IDE 1.8.19 (Fig.14)

Fig.14

Il listato “DewPoint_controller_2024.ino” è scritto in C e contiene tutti i riferimenti necessari al funzionamento immediato; tuttavia, se non avete mai avuto a che fare con Arduino, il vostro IDE risulterà vuoto e con le sole informazioni sulle schede Arduino esistenti in commercio. Non saprà dell’esistenza di ulteriori aggiunte come i sensori e il display.

Per risolvere il problema è presente un apposito menù con cui aggiungere ciò che manca. Le librerie necessarie sono disponibili nella Gestione librerie dell’IDE come in Fig.15 o con la scorciatoia da tastiera Ctrl+Maiusc+I.

Fig15-librerie

Si presenterà una finestra dove scrivere la libreria che occorre installare(Fig.16a)

In particolare dovrete aggiungere le seguenti librerie (Fig.16b e 16c)

Fig16a-librerie
Fig16b
Fig16c

Qui analizziamo solo delle parti esplicative non essendo un trattato di informatica per Arduino

Listato inizializzazione

Questa parte prevede di richiamare le librerie specifiche per far funzionare i sensori.

Listato: variabili

Occorrono poche variabili.

Listato: setup

Nel Setup vanno inizializzati tutti i servizi cosìsarà possibile ricevere e leggere i dati dai sensori e scrivere sul display.

Listato: Loop

La parte “LOOP” è una parte del programma che viene ripetuta continuamente e come impostato nelle variabili effettua questo ciclo ogni 5 secondi (Tsec).

Verranno richiamate in sequenza delle Routine per leggere i sensori, calcolare il valore di Dew-point e calcolare la potenza della fascia riscaldata.

Listato: scrive sul display

La direttiva “.print” invia il testo al display

Listato: calcola PWM

Il calcolo del PWM prevede, dopo molte prove, di mettere un range di funzionamento di 7°C tra minima e massima potenza della fascia.

Questo consente di partire in anticipo rispetto al punto di rugiada che, per vento e tempi di adeguamento del tubo alla temperatura, formerebbe la condensa prima dell’intervento reale della fascia.
analogWrite attiva il segnale PWM: altro non è che una percentuale da 0 a 100 della potenza della fascia.

Listato: calcola il Dew-point

Qui viene attivato il calcolo vero e proprio del punto di rugiada che richiede l’uso della formula approssimativa di Magnus-Tetens, essa prevede la relazione dell’andamento temperature/umidità che
potete approfondire su molti siti web. Nel link seguente è disponibile anche un calcolatore on line http://glossariometeo.altervista.org/Punto_di_rugiada.php. Programmare Arduino è un attimo, basta collegare ad usb la scheda e viene riconosciuta dal pc (i drivers sono installati insieme con l’IDE). Unica accortezza è dire all’IDE quale scheda Arduino dobbiamo programmare visto che lui ne conosce moltissime e quale porta usare di quelle disponibili sul vostro computer. (fig.17a e 17b)

Fig17a
Fig17b

La buona notizia è che lo potete programmare anche prima di saldare tutti i fili.

Io non userò la presa usb per leggere i dati ma voi potete provare ed otterrete le stesse informazioni presenti sul display.

Si rimanda al link genrato dal QR Code per le istruzioni necessarie alla programmazione di Arduino.

A Caccia di Diamanti e Carbonio Extraterrestri

Alla fine degli anni quaranta del secolo scorso una nota campagna pubblicitaria coniò lo slogan molto accattivante “Un diamante è per sempre” che entrò nel linguaggio comune connotando tale minerale come un oggetto che sancisce un legame eterno e indistruttibile. Lo slogan si basava sul fatto che il diamante è il minerale più resistente al mondo (nessun altro materiale può scalfirlo), ma noi oggi sappiamo che in realtà quel famoso slogan involontariamente sottolineava anche un’altra caratteristica eccezionale del cristallo: l’età, che in alcuni casi può raggiungere persino i 3,5 miliardi di anni.

Diamanti e carbonio: esplorando le tracce extraterrestri che raccontano l’origine della vita e la formazione del Sistema Solare.

a cura di Carli Cristian, Nestola Fabrizio, Alvaro Matteo

Volendo poi, partendo dal famoso slogan, potremmo forgiarne addirittura un secondo non meno impattante: “Un diamante è per la vita”. I diamanti infatti sono minerali composti da carbonio puro e, da studi isotopici di tale carbonio, risulta evidente come molti diamanti si siano formati a partire da carbonio generato da sostanza organica. Una combinazione, quella fra carbonio e sostanze organiche che, in ambito delle scienze planetarie, induce a pensare alla presenza di segni di vita anche su altri pianeti.
Un diamante, perciò può formarsi solo sul nostro pianeta o esistono diamanti extraterrestri? E possono i diamanti fornirci informazioni sulla vita nel Sistema Solare?
Un recente lavoro ad esempio ha evidenziato la possibilità di trovare diamanti su Mercurio ma per rendere la ricerca sistematica e individuare altri campioni di diamanti extraterrestri è fondamentale definire quali sono i fattori che ne possono rivelare la presenza.
Proviamo in questo articolo a presentare le modalità attraverso cui la ricerca prova a rispondere alle precedenti domande partendo da ciò che si è scoperto sino ad oggi sul carbonio extraterrestre.

Carbonio extraterrestre

Lo studio del carbonio è di fondamentale importanza in quanto ci fornisce informazioni cruciali sull’origine della vita e sui processi che hanno avuto luogo miliardi di anni fa nel Sistema Solare, risalendo poi a ritroso sino all’origine del “tutto” al momento del Big Bang.
Sempre più studiosi negli ultimi decenni hanno cercato di approfondire la conoscenza di questo elemento chimico, e sui minerali che può contribuire a formare, operando sia in modo diretto, investigando ad esempio i campioni di roccia nei quali può essere rinvenuto, sia in maniera indiretta, dall’analisi di dati acquisiti da remoto o tramite modelli ed esperimenti.
Ma dove possiamo trovare il carbonio non proveniente dalla Terra?
La risposta è nelle circa 60 tonnellate di particelle di polvere cosmica/interplanetaria (IDP) di dimensioni comprese tra 1 e 50 µm che cadono sulla superficie terrestre ogni anno, a cui aggiungiamo sia le circa 17.600 meteoriti con una massa superiore a 50 grammi sia le micrometeoriti di dimensioni inferiori al millimetro.
A tali quantità possiamo sommare i campioni extraterrestri raccolti direttamente in situ, come avvenuto grazie alle missioni Apollo della Nasa e le missioni LUNA promosse dall’Unione Sovietica o, più recentemente, a missioni con target come comete (Stardust, NASA) o asteroidi (Hayabusa e Hayabusa2, JAXA o OSIRIS-Rex , NASA). C’è da dire che i campioni raccolti nelle missioni hanno di sicuro il vantaggio di essere ben localizzati ma giocano a sfavore sia le quantità esigue e spesso proprio il limite di essere riferite a pochi siti di campionamento (figura 1).

dall’alto
Corpo: Bennu & 81P/Wild2
Missione: Osiris Rex 2023 &Stardust 2008
Corpo: Luna
Missione: Apollo (11,12,14, 17) NASA 1970s – Luna (15,20,25) Roscosmos 1970s – Change’e5 CNSA 2020
Corpo: Itokawa & Ryugu
Missione: Hayabusa 2010 & Hayabusa2 2020
Meteoriti
Polvere Cosmica

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