Anche per questo 2023 l’Accademia delle Stelle organizza corsi di Astronomia e Archeoastronomia base ed avanzata.
CORSO DI ARCHEOASTRONOMIA
L’Astronomia ha plasmato la cultura antica in modi incredibili, lasciando traccia di sè nel mito, nella religione, nell’architettura di tutte le epoche. Sono innumerevoli gli esempi che vedremo, tra archeologia, numerologia, simbologia, letteratura antica e arte rinascimentale, origine delle costellazioni e semantica del cielo, comprese scoperte originali del docente.
Per comprendere la fisica dei più importanti fenomeni astronomici: 8 conferenze su argomenti fondamentali spesso esclusi dai corsi base di astronomia. Include retroscena poco noti e illuminati di storia dell’Astronomia e approfondimenti di fisica quantistica.
Dal 12 al 15 maggio di terrà la settima edizione della scuola di formazione in archeoastronomia organizzata in seno all’Unione Astrofili Italiani del direttore dell’Accademia delle Stelle, Paolo Colona, riconosciuta MIUR come corso di aggiornamento per docenti e rivolta a tutti gli appassionati della materia. Fruibile sia in presenza sia in collegamento telematico, sarà ospitata come di consueto nella prestigiosa sede del Museo Etrusco di Villa Giulia a Roma.
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A partire dal 5 febbraio 2023 chi sottoscriverà un abbonamento annuale cartaceo a Coelum Astronomia riceverà un buono sconto del valore del 15% per l’iscrizione ad uno qualsiasi dei corsi o eventi organizzati da Accademia delle Stelle!
L’offerta scade il 30 giugno.
L’Accademia delle Stelle è una Scuola di Astronomia: dal 2010 tiene presso le proprie sedi moltissimi corsi di Astronomia Paolo Colona al TG2 (base, avanzata, pratica) e scienze affini (Archeoastronomia, Astronomia Culturale, Astrofotografia, Astronomia insolita e curiosa, eccetera), proponendo anche vacanze-studio di Astronomia amatoriale e teorica, avvalendosi della competenza di Paolo Colona, fisico, archeoastronomo, divulgatore e astrofilo di lunga esperienza. I nostri corsi hanno ricevuto il patrocinio della UAI.
A metà dicembre è uscito nei cinema il secondo episodio di Avatar, sequel di James Cameron che ne rivela la forte indole ambientalista. Grazie a questo strepitoso film, da gustare al cinema o in 3D (non si direbbe ma in redazione siamo amanti ancora del grande schermo, meglio se di nicchia e un po’ vintage) abbiamo iniziato a prendere confidenza con Pandora, un sistema-pianeta che si autoregola. In un periodo storico, attraversato dall’umanità, in cui la crisi climatica ha invaso la scena di ogni valutazione per lo sviluppo futuro, il tema del colossal è quanto meno attuale e, sebbene la trattazione sia ampia, con poche righe Marco Sergio Erculiani ci sposta dalla finzione alla realtà per introdurre almeno in parte, gli spunti concreti alla base dell’ipotesi di Gaia.
La coscienza di un pianeta
come l’attività collettiva della vita ha cambiato il pianeta Terra.
Spesso mi soffermo a pensare a cosa rappresenti l’essere umano. Siamo proprio sicuri della nostra unicità? E della nostra dominanza evolutiva? Biologicamente parlando, l’essere umano non è il più evoluto fra gli esseri viventi. Tutti gli esseri viventi sono evoluti a modo loro e, se sono arrivati fino ad oggi, è perché hanno adottato le migliori strategie per adattarsi all’ambiente in cui vivono. Gli altri: estinti. Spesso si parla di resilienza in termini errati, una parola che oggigiorno è decisamente abusata. Io parlerei più di fitness. Resilienza infatti implica che un organismo sia duro e puro e resistente ovunque. La fitness invece è la capacità riproduttiva e di sopravvivenza di un particolare organismo in un dato ambiente e nei confronti di un altro organismo della stessa specie. Porta con sé una coscienza collettiva.
Le piante sono un buon esempio per comprendere la differenza. Esse hanno sviluppato un metodo per adattarsi e proliferare sul nostro pianeta che si chiama fotosintesi. Non intenzionalmente ma a causa dell’evoluzione e dell’affinamento di questo processo, esse rilasciano ossigeno. Il rilascio di questa molecola fin dalle prime fasi dello sviluppo di questo adattamento evolutivo, ha cambiato l’intera funzione della Terra. Questo processo ha quindi segnato la storia evolutiva dell’intero pianeta. Ma questo è solo un esempio di tutte le singole forme di vita che, vivendo la propria esistenza, collettivamente hanno un impatto non indifferente su scala planetaria. Cosa possiamo dedurre da questa constatazione? Che ogni essere sulla Terra è una goccia nel mare della vita: fa parte insomma di esso ma è irrimediabilmente interconnesso con le altre gocce. Come le fibre di un enorme tappeto, la cui trama rappresenta il volto del nostro pianeta. Quindi, è possibile che l’attività della vita, la biosfera, abbia plasmato il mondo, è verosimile che anche l’azione intenzionale, basata sull’attività collettiva della cognizione e le azioni che ne derivano possano fare altrettanto. Significa che, vista da questo punto di vista, la Terra potrebbe avere una vita propria, come un immenso organismo.
L’ipotesi di una intelligenza comune: l’ipotesi di Gaia
L’idea non è del tutto nuova. Infatti l’ipotesi di Gaia dice che la biosfera interagisce con i sistemi geologici come aria, acqua e terra per mantenere lo stato abitabile della Terra. Quindi, una specie non tecnologicamente evoluta come la biosfera può mostrare una sorta di intelligenza planetaria e l’attività collettiva della vita crea un sistema che si auto-mantiene. Già a metà del secolo scorso, insospettabilmente, Erwin Schrödinger, il celeberrimo fisico austriaco, descrisse la cellula vivente come un sistema in grado di seguire la seconda legge della termodinamica, consumando cibo a bassa entropia e producendo rifiuti ad alta entropia. Nel loro piccolo, le cellule sono assimilabili, secondo la teoria di James Lovelock e Lynn Margulis al sistema Terra. Quest’ultima è proprio come una cellula vivente: dissipativa.
Come le cellule, anche la Terra e gli organismi che la abitano hanno meccanismi di regolazione simili in grado di mantenere condizioni più adatte alla vita.
Le componenti centrali dell’ipotesi di Gaia possono essere suddivise in quattro criteri generali, che sono caratteristiche anche della termodinamica: disequilibrio, interazione, ottimizzazione, omeostasi. Il disequilibrio sulla Terra si riflette nelle forme di energia libera, come energia cinetica in movimento o energia potenziale. Nella chimica l’energia libera si manifesta tra carboidrati idrocarburi e ossigeno mentre nell’uomo si manifesta nella capacità dell’uomo di mantenere il suolo in uno stato non naturale, modificato con le infrastrutture e la tecnologia. Per quanto riguarda le interazioni, sappiamo che la vita influenza il suo ambiente ed interviene all’interno di esso, interagisce appunto.
Figura 1: L’ipotesi di Gaia. La radiazione solare aggiunge energia a bassa entropia al sistema Terra, che viene convertita da diversi processi in forme diverse. La dinamica risultante distribuisce questa energia, cambia le proprietà materiali e radiative del pianeta, in modo che lo stato termodinamico del pianeta derivi da queste conversioni di energia e dalle loro interazioni. Crediti: Kleidon 2010.
Islanda, terra di ghiaccio e di fuoco. Una terra magica piena di bellezza mozzafiato. Una terra dove Madre Natura impone i suoi ritmi e la sua supremazia. Una terra di vento costante, di sabbie nere, di vulcani, di ghiacciai e di cascate imponenti. Una terra che sconvolge, la si ama o la si odia. Io sogno di tornarci, tornarci e tornarci. Isole Lofoten, Norvegia. Un altro nord, oltre il circolo polare artico, una terra di cime di montagne immerse nell’acqua cristallina dei fiordi, villaggi di pescatori, strade che girano e girano intorno agli specchi d’acqua e che si inabissano nei tunnel o elevano sui ponti per passare da un’isola all’altra.
Terre poste al nord, poco sotto o poco sopra il circolo polare artico, terre bellissime. E la notte. La notte riserva meraviglie. Nella notte artica il cielo risplende di stelle.
Infinite, splendenti stelle disegnano arabeschi conosciuti, ma diversi: la stella polare è altissima nel cielo e si è trascinata dietro tutte le altre, l’Orsa Maggiore, Cassiopea, il Cigno, le Pleiadi che risplendono alte e luminose.
Poi appare una piccola nuvola. È strana, quasi una nebbia, ma si agita e allora rivela il suo vero colore prendendo potenza. È la luce del Nord, l’Aurora boreale, che è comparsa eterea nel cielo artico.
Night rainbow: Islanda 2021, Cascata Godafoss. Aurora visibile sopra il cielo nuvoloso come una diffusa luce verse, senza particolare forma. L’arcobaleno era dato dalla rifrazione delle goccioline prodotte dalla cascata, alla luce dei fari dei camion percorrenti la vicina strada. Grandangolo equivalente 22 mmm, ISO 1600, f/4,0, 15 sec.
La fata verde si allunga, srotola nastri, disegna archi, bacchette, note nel cielo scuro eppur punteggiato di stelle.
Danza nel vento solare, prende vigore, dardeggia colore e colori, regala emozioni e stupore, poi si acquieta lasciando veli leggeri, si riposa e poi ancora ritorna, gioisce, disegna curve ed angoli di luce brillante e continua e continua poi forse improvvisamente timida torna a nascondersi e nuovo e pulito risplende immenso il manto silenzioso di stelle.
L’aurora boreale è un fenomeno visivo che si verifica all’interno dell’atmosfera terrestre, caratterizzato principalmente da bande luminose di un’ampia varietà di forme e colori che cambiano velocemente nel tempo e nello spazio, più spesso di colore verde, con elementi di colore rosso o talvolta azzurro ed anche viola, causato dall’interazione di particelle cariche (protoni ed elettroni) provenienti dal vento solare con la ionosfera terrestre (parte dell’atmosfera compresa tra i 100–500 km): tali particelle eccitano gli atomi dell’atmosfera che successivamente, al momento di tornare al livello energetico precedente, emettono luce di varie lunghezze d’onda.
A northern sky: Lofoten 2019. Aurora ripresa dall’interno di un rorbu, una tipica casetta rossa dei pescatori. Grandangolo equivalente 18 mm, ISO 4000, f/4,0, 4 sec.
Per via della particolare geometria del campo magnetico terrestre, la carica di particelle provenienti dal Sole viene indirizzata verso i due poli magnetici della Terra, il Polo Nord e il Polo Sud dove il campo magnetico terrestre è più debole consentendo ad alcune particelle di passare e colpire l’atmosfera attorno ai poli formando una specie di anello, chiamato ovale aurorale. Questo anello è centrato sul polo magnetico, spostato di circa 11° rispetto al polo geografico e ha un diametro variabile a seconda dell’intensità del vento solare che non è costante, ma dipende dall’attività solare, nel suo ciclo undecennale e anche da flare o brillamenti solari occasionali e dalla presenza di macchie solari.
Chiamata comunemente aurora boreale, è in effetti un fenomeno che si verifica su entrambi i poli, assumendo il nome di aurora boreale nell’emisfero nord e aurora australe nell’emisfero sud; in quest’ultimo caso gli avvistamenti del fenomeno da parte di persone sono estremamente rari, dato che è possibile esclusivamente al personale delle varie basi scientifiche poste in Antartide.
Gli avvistamenti dell’aurora boreale sono invece molto più comuni, essendo molto più abitate e facilmente raggiungibili le terre dove si verifica il fenomeno.
Dopo 37 Sol di lavori, iniziati il 21 dicembre terrestre, Perseverance ha portato a termine la deposizione delle dieci fiale bianche di titanio che si trovano ora sulla piana della regione Three Forks.
Concludiamo quindi i nostri mosaici con l’aggiunta delle ultime due panoramiche scattate dalla camera Watson nei minuti successivi al rilascio dei contenitori nei Sol 682 e 690 (20 e 28 gennaio).
In queste foto ci troviamo davanti al campione Atsà, sigillato il 13 marzo 2022, e al tubo testimone chiamato Amalik chiuso il 14 ottobre sempre dello scorso anno. Questa particolare categoria di fiale, chiamata in inglese witness tube, è stata precaricata in laboratorio con materiali in grado di assorbire sostanze che lo stesso rover potrebbe potenzialmente rilasciare quali gas, residui chimici, materiali organici e inorganici.
I tubi testimone sono di volta in volta aperti da Perseverance e subiscono le stesse manipolazioni delle fiale standard, transiti nel trapano compresi, prima di essere nuovamente sigillati.
L’utilità è permettere agli scienziati di caratterizzare con precisione l’ambiente nel quale i campioni sono stati raccolti, e determinare l’origine terrestre di eventuali contaminanti. Il witness tube Amalik è l’unico a essere stato rilasciato nel corso di queste settimane, mentre gli altri due preparati dal rover tra il 2021 e il 2022 resteranno nella sua “pancia”.
La conclusione di questo mese e mezzo di operazioni permetterà ora a Perseverance di riprendere la via del Delta attraverso il passaggio chiamato Hawksbill Gap, già esplorato alcuni mesi fa. La chiusura della campagna Delta Front permetterà l’inizio della Delta Top, che dovrebbe tenere Perseverance impegnato per otto mesi.
Gli scienziati sono pronti a osservare dei profondi cambiamenti nel terreno che il rover esplorerà e in particolare nell’aspetto delle rocce, che daranno indizi chiave ai geologi per la comprensione della loro origine.
Nella parte bassa e iniziale del delta, sino alle pendici già esplorate del rilievo Rocky Top, ci siamo trovati in presenza di materiali che sembrano essersi formati in un ambiente lacustre.
Man mano che Perseverance continuerà a risalire il Delta e allontanarsi da questa regione le rocce che incontrerà avranno caratteristiche compatibili con quelle di materiale fluviale, eroso dall’acqua e qui trasportato per lunghe distanze da un antichissimo fiume.
Una delle prime tappe per il rover sarà un banco di sabbia visibile dalle immagini satellitari chiamato Curvilinear Unit. Gli scienziati presumono che si tratti di un deposito di sedimenti localizzato in quella che fu un’ansa del fiume, possibile sito con presenza di arenaria e argillite. Un’area eccellente per iniziare a scoprire di più sui processi geologici che sono occorsi poco fuori dal Cratere Jezero.
Vi ricordo che potete seguire gli spostamenti del rover, passati e futuri, nella pagina messa a disposizione dalla NASA e aggiornata quotidianamente:
Percorso programmato per la campagna Delta Top di Perseverance. Crediti: NASA/JPL-Caltech
3…2…1…cheese!
Qualche giorno prima del rilascio dell’ultima fiala i tecnici del JPL hanno istruito il rover per eseguire una serie di scatti, ancora una volta con la versatile camera montata sul braccio robotico. Il risultato di 62 foto acquisite nell’arco di 46 minuti è ammirabile nell’immagine sottostante.
NASA/JPL-Caltech/Piras
Ho realizzato anche una versione panoramica a 360° che può essere navigata ed esplorata a piacimento (il massimo livello di dettaglio si ottiene, purtroppo, solo osservandola tramite la app di Facebook).
Dalla sua posizione Perseverance sembra quasi compiaciuto del Sample Depot da lui creato, con tutte le fiale bianche rintracciabili (qualcuna più facilmente di altre) nell’immagine ad alta risoluzione. Se siete perplessi su dove sia orientata la testa del rover la risposta è sì, ci sono due versioni della foto. In una Perseverance guarda in camera e nell’altra guarda al suolo, precisamente sull’orma lasciata dalla sua ruota anteriore sinistra. La differenza sono esattamente tre foto!
Osservando l’immagine in dettaglio potrebbe inoltre sorgere un ragionevole dubbio: dov’è il braccio che ha scattato le foto? Ed ecco che viene fuori l’ingegno dei tecnici della NASA.
Selfie stick e tanta precisione
Sfruttando la mobilità del braccio dotato di cinque gradi di libertà (gli snodi, per intenderci) il rover ha fatto in modo di muovere opportunamente la sua appendice durante la sessione di ripresa così che in nessuna foto l’arto robotico fosse inquadrato.
Complicato? Proviamo a vedere in video come si svolge la movimentazione nel corso di una di questi lunghe sessioni di autoscatto.
L’occasione ci è fornita da una serie di fotografie eseguite nel Sol 46 poco dopo la conclusione della lunga operazione di rilascio dell’elicottero Ingenuity. Era il lontano 6 aprile 2021 e, mentre la camera Watson scattava le sue foto, analoghe acquisizioni erano svolte dalla NavCam di sinistra che riprendeva proprio la torretta in cima al braccio robotico.
Le foto che vedete scorrere sono perfettamente sincronizzate tra loro.
È affascinante osservare la precisione con cui il braccio robotico ruota per riprendere il paesaggio tutto attorno.
Un passaggio importante del video, fondamentale per rispondere finalmente alla domanda, si trova al secondo 40.
Il rover sta riprendendo il suolo e un’area molto critica, vale a dire lo snodo della “spalla”. In questo momento avviene una importante movimentazione dell’intero braccio che cambia la sua orientazione, si sposta sul lato dove le riprese sono appena state effettuate e può proseguire le acquisizioni!
Ripropongo qui di seguito un loop con i secondi di video a cui faccio riferimento.
Video Player
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È grazie a questo trucco che l’unione degli scatti può avvenire riducendo al minimo le interferenze visive del braccio da oltre due metri di lunghezza.
Un’altra finezza tecnica ci è suggerita dal movimento estremamente complesso della torretta che per buona parte del video ruota molto precisamente attorno al centro ottico della camera Watson.
Questo accorgimento, comunissimo nella fotografia panoramica, evita l’errore di parallasse che si introdurrebbe nel momento in cui le foto risultassero scattate da posizioni non coincidenti tra loro anche solo per pochi millimetri.
L’incidenza dell’errore è inversamente proporzionale alla distanza del soggetto fotografato: le montagne non risentirebbero di questa differenza, al contrario dei vicinissimi particolari del rover che soffrirebbero di un indesiderato effetto stereoscopico. La parallasse è sfruttata con successo da altre camere, montate in coppie in modo da sfruttare l’effetto risultante e produrre ricostruzioni tridimensionali dell’ambiente. Il software di navigazione autonoma è così avanzato che sfrutta queste immagini per decidere quale strada percorrere per arrivare in una determinata posizione evitando ostacoli e aree pericolose.
In queste settimane, dalla sua posizione a Three Forks, Perseverance ha prodotto anche altre belle immagini più convenzionali.
C’è per esempio una bella panoramica recente, scattata qualche tempo prima del rilascio della decima fiala ma con il rover che era già posizionato nella zona prestabilita per l’operazione. Da questo punto di vista rivolto a sud il rover ci mostra tutte le nove fiale che si è lasciato dietro, qui evidenziate con i cerchietti e numerate. Si tratta di una piccola porzione di un mosaico a 360°, realizzato combinando 47 scatti della MastCam-Z di sinistra. Aprendo l’immagine in alta risoluzione e usando le fiale come riferimenti non dovreste faticare troppo a percorrere a ritroso le tracce sulla sabbia.
Per non perdere l’orientamento vi rammento il percorso seguito dal rover durante queste settimane sfruttando ancora una volta la bella immagine prodotta dai grafici della NASA che supportano la divulgazione al grande pubblico.
NASA/JPL-Caltech
È invece ancora più recente, solo del 31 gennaio, la prima serie di immagini del tubo testimone Malik con il paesaggio marziano di contorno. La visuale sottostante ci è offerta dalla nostra fidata Left NavCam.
NASA/JPL-Caltech/Piras
Torniamo indietro di qualche settimana rispetto a queste immagini, precisamente all’8 gennaio. In quella giornata Perseverance ha scattato un altro maestoso panorama.
Stavolta navighiamolo in video, e aguzzate la vista!
Ebbene sì, dopo svariati mesi di lontananza Perseverance è tornato a vedere il suo collega Ingenuity! Al momento dello scatto i due risultavano distanti appena 270 metri grazie agli ultimi spostamenti dell’elicottero che si è portato verso ovest per riavvicinarsi al rover. Si riaprono così le azioni di supporto sotto forma di ricognizioni aeree nell’area variegata e accidentata che aspetta i due esploratori robotici.
E intanto dov’è arrivato Ingenuity?
Avevamo lasciato l’elicottero a fine dicembre con il 38esimo volo ancora da compiere, in ritardo rispetto allo svolgimento previsto per il 24 dicembre.
Il volo si è svolto il 4 gennaio con uno spostamento di 111 metri compiuti in 74 secondi. È da questo sito di atterraggio, Airfield Z, che Ingenuity è stato fotografato da Perseverance.
Abbiamo dovuto aspettare l’11 gennaio per vedere il volo successivo, che non ha prodotto uno spostamento netto. Si è trattato infatti di un ulteriore test delle funzionalità legate all’aggiornamento del software di volo, e per questo scopo Ingenuity si è spostato avanti e indietro per complessivi 140 metri atterrando nello stesso punto del decollo (con uno scarto di appena due metri). In quest’area il suolo è molto sabbioso, quindi abbiamo potuto osservare le quattro piccole orme lasciate dalle gambe di atterraggio. Il computer di bordo ha correttamente scelto un’area priva di ostacoli (rilevati tramite un’analisi del contrasto delle immagini della camera di navigazione) ma sensibilmente inclinata. Il posizionamento sulla duna è visibile chiaramente anche nella panoramica video che vi ho mostrato poco sopra.
Il rischio che al decollo Ingenuity acquisisca quota rimanendo storto, spostandosi così dalla verticale ideale, è scongiurato dall’uso dell’inclinometro che misura l’orientamento dell’elicottero pochi istanti prima del decollo. In questo modo eventuali correzioni di assetto possono essere eseguite repentinamente riportando il velivolo sull’asse ideale.
Il volo numero 40 ha avuto luogo il 19 gennaio, con uno spostamento di 178 metri in 92 secondi. Avendo terminato le lettere dell’alfabeto latino bisogna passare a quello greco, perciò Ingenuity è atterrato a Airfield Beta. Manca l’alfa? In effetti sì, le mie ricerche di un eventuale “Airfield Alpha” sono state inconclusive. È probabile che si sia deciso di saltare la prima lettera greca per non togliere prestigio all’area di volo che ha visto il primo decollo di un aeromobile su un altro pianeta, ufficialmente denominata Wright Brothers Field. La tesi è supportata dal fatto che non esiste neppure un “Airfield A”.
Sono gli imprevisti di nomenclatura che insorgono quando il tuo drone avrebbe dovuto fare 5 voli e invece arriva a 41.
Esatto, abbiamo anche il 41esimo! Quello che attualmente è l’ultimo volo si è svolto il 27 gennaio. In 109 secondi Ingenuity ha coperto la distanza complessiva di 183 metri tra andata e ritorno, atterrando a pochi metri di distanza dall’esatto punto di decollo. Non si è trattato né di un volo di riposizionamento né di uno di test, ma è stato ufficialmente definito un volo esplorativo. L’elicottero ha iniziato ad acquisire informazioni sul terreno del rilievo già menzionato chiamato Rocky Top che Perseverance si appresta a risalire nelle prossime settimane.
Rocky Top come visto da Ingenuity durante il volo numero 41 nel Sol 689. NASA/JPL-Caltech/PirasUn’altra visuale della medesima formazione rocciosa qui fotografata quattro giorni marziani dopo il volo. Da notare il materiale più scuro portato in superficie nel momento dell’atterraggio, visibile nella metà superiore della foto. Apparentemente Ingenuity è scivolato all’indietro di pochi centimetri a causa della lieve inclinazione dell’increspatura sabbiosa sulla quale si è posato. NASA/JPL-Caltech/Piras
A conclusione di questo ricchissimo aggiornamento marziano vi presento una carrellata con i voli di Ingenuity dal 37 al 41. Le immagini della camera di navigazione in bianco e nero e di quella a colori sono perfettamente sincronizzate tra loro, così come lo scorrimento della mappa. Per questioni di fruibilità i video sono velocizzati a 3x, se volete gustarveli in tempo reale potete scalare a 0.35x la velocità di riproduzione.
Non mi resta che augurarvi buona visione e darvi appuntamento alla prossima news!
Nel numero di Coelum 260 il riassunto di tutto ciò che accade su Marte e cura di Antonio Piras!
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Fra pochi minuti la ISS – Stazione Spaziale Internazionale sarà rintracciabile nei nostri cieli ecco i tracciati
31 GENNAIO
L’ultimo transito del mese, di nuovo parziale, il 31 Gennaio, sarà visibile dalle 18:51 verso NO alle 18:56 verso NE, la ISS sarà visibile al meglio dal Nord Est d’Italia, meteo permettendo. Magnitudine di picco a -3.6.
01 FEBBRAIO
Si inizierà il giorno 1° febbraio, dalle 18:30alle 18:37, osservando da NO ad E. La ISS sarà ben visibile da tutto il paese con una magnitudine massima si attesterà su un valore di -3.6. Sperando come sempre in cieli sereni per uno dei migliori transiti del mese.
03 FEBBRAIO
Si replica il 3 Febbraio, dalle 18:29 verso ONO alle 18:38 verso SE. Visibilità migliore dalle isole maggiori e l’occidente italiano, con magnitudine di picco a -3.2.
N.B. Le direzioni visibili per ogni transito sono riferite ad un punto centrato sulla penisola, nel centro Italia, costa tirrenica. Considerate uno scarto ± 1-5 minuti dagli orari sopra scritti, a causa del grande anticipo con il quale sono stati calcolati.
(53) Kalypso è un asteroide di fascia principale che compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.550 giorni (4.24 anni) ad una distanza compresa tra le 2.09 e le 3.15 unità astronomiche (rispettivamente, 312.659.550 Km al perielio e 471.233.293 Km all’afelio). Deve il suo nome a Calipso, ninfa figlia di Atlante. Scoperto da Karl Theodor Robert Luther il 4 Aprile 1858, questo grande asteroide (all’incirca 115 Kilometri di diametro) sarà in opposizione il 2 Febbraio. In questo frangente raggiungerà la massima brillantezza con una magnitudine di 11.0. Il suo moto sarà di 0,63 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (53) Kalypso trasformarsi in una bella striscia luminosa di 25 secondi d’arco.
(654) Zelinda è un asteroide di fascia principale che compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.270 giorni (3.48 anni) ad una distanza compresa tra le 1.77 e le 2.83 unità astronomiche (rispettivamente, 264.788.231 Km al perielio e 423.361.974 Km all’afelio). E’ stato così nominato in onore della figlia del matematico italiano Ulisse Dini. Scoperto da August Kopff il 4 Gennaio 1908, questo imponente asteroide (circa 160 Km di diametro) sarà in opposizione l’11 Febbraio, momento nel quale raggiungerà la massima luminosità brillando di magnitudine di 10.4. Il suo moto sarà di 0,82 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 4 minuti. Per ottenere una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (654) Zelinda trasformarsi in una bella striscia luminosa di 33 secondi d’arco.
(40) Harmonia è un asteroide di fascia principale che compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.250 giorni (3.42 anni) ad una distanza compresa tra le 2.16 e le 2.37 unità astronomiche (rispettivamente, 323.131.401 Km al perielio e 354.546.954 Km all’afelio). Deve il suo nome a Armonia figlia di Ares e Afrodite, Dea della concordia e personificazione dell’ordine morale e sociale. Scoperto dall’astronomo e pittore Hermann Mayer Salomon Goldschmidt il 31 Marzo 1856, questo grande asteroide (circa 107 Km di diametro) sarà in opposizione il 27 Febbraio, brillando ad una magnitudine di 10.4. Il suo moto sarà di 0,68 secondi d’arco al minuto, quindi, anche nel suo caso, con tempi di esposizione fino a 4 minuti ne preserveremo l’aspetto puntiforme. Volendo ottenere una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (40) Harmonia trasformarsi in una bella striscia luminosa di 27 secondi d’arco.
Per approfondire l’asteroide (10) Hygiea
(10) Hygiea: il quarto per massa e volume, con un diametro medio di 434 KM, si sitma che da solo contenga il 3 % della massa complessiva dell’intera fascia principale. (10) Hygiea è inoltre il corpo progenitore di un’intera famiglia di asteroidi che da lui prende il nome, nata dallo scontro tra il pianetino ed un altro grande corpo asteroidale, a causa del quale si ritiene che lo stesso Hygiea sia stato fatto letteralmente a pezzi. La maggior parte di questi si sono riaggregati nella forma che oggi conosciamo, mentre gli altri hanno finito per costituire i membri minori della famiglia. La superfcie di (10) Hygiea è molto scura, tra le meno riflettenti di quelle degli asteroidi ad oggi conosciuti, caratteristica questa tipica dei corpi asteoridali la cui superficie risulta composta di materiali carbonacei e primitivi*. Questo suo basso albedo, dal punto di vista osservativo comporta che nonostante le sue considerevoli dimensioni (10) Hygiea risulti sempre piuttosto debole, raggiungendo la nona magnitudine esclusivemente durante le opposizione più favorevoli. Alcune immagini della sua superficie prese nel 2017 dal Very Large Telescope dal deserto di Acatama, hanno rivelato la presenza di due grandi crateri da impatto, rispettivamente di 180 e 90 KM di diametro, assieme ad un’area più chiara dotata di una maggior riflettività rispetto a quelle circostanti, che può essere interpreata come il risultato dell’esposizione di materiale subsuperficiale emerso a seguito di un’impatto. Su (10) Hygiea un giorno ha una durata di poco più di 13 ore (13.83 ore per la precisione è il periodo rotazione ricavato attraverso l’analisi delle curve di luce) e un anno su questo pianetino corrisponde a 5.56 anni terrestri. (10) Hygiea percorre un’orbita con eccentricità di 0.11, inferiore quindi alla media della maggior parte degli asteoridi della fascia, caratterizzata da un semiasse maggiore di 3.14 unità astronomiche e un’inclinazione di 3.83 gradi sull’eclittica.
*sono gli asterodi di Classe C di cui Hygiea rappresenta il membro più grande
Il cielo del mese con mappe, effemeridi ed eventi importanti è su
Mi chiamo Mirko Tondinelli, ho 47 anni e vivo a Villanova di Guidonia, un paese in provincia di Roma. Il mio lavoro come turnista alla metropolitana di Roma purtroppo non mi permette di avere una continua attività astrofotografica e quindi devo riuscire a sfruttare al massimo le poche nottate che ho a disposizione organizzando in modo minuzioso la mia sessione. Da qualche anno sono anche socio dell’ ASTRIS, una associazione astrofili molto attiva con sede Cervara di Roma.
Da bambino stavo sempre con il naso all’insù, tanto ero affascinato dalle meraviglie che il nostro cielo ci regala ogni notte. Mio padre regalò un piccolo telescopio a mio fratello e non appena guardai nell’oculare rimasi affascinato dalla visione della nostra Luna. Dal 2001 ad oggi ho potuto provare in campo vari strumenti e varie camere fotografiche. Il mio set-up attuale si avvale di un rifrattore apocromatico, il William Optics 81 GT, di uno Skywatcher Newton 200P, di una camera astronomica zwo asi 294 a colori, una montatura Skywatcher Eq6 alla quale ho fatto delle modifiche per renderla più prestante. Come sistema di guida ho due tipi di ottiche che utilizzo in base allo strumento principale e una camera asi 224 a colori, valida anche per fare le riprese di pianeti e della Luna. Prima di parlare della sessione fotografica mi soffermerò a descrivere le modifiche apportate alla montatura, ne sono molto soddisfatto e le consiglio vivamente.
Si tratta di una vecchia Eq6, presa al mercato dell’usato, alla quale ho sostituito il piatto dove alloggia la slitta portatelescopio, piccolo accorgimento che però mi consente di migliorare di acquisire una maggior stabilità. Un’altra sostituzione riguarda la barra contrappesi, ne ho infatti apposta una più grande, sia di diametro che di lunghezza, così da riuscire ad utilizzare il newton con soltanto due pesi da 5kg, invece di quattro. Infine ho fatto la modifica con il kit Rowan il quale va a eliminare la catena di trasmissione ad ingranaggi di fabbrica con cinghie dentate, così da ridurre gli errori degli ingranaggi e errori quelli di tracciamento, si avverte anche il contenimento della rumorosità durante gli spostamenti. Ho scelto la montatura in funzione del mio carico fotografico che si attesta intorno ai 20 kg, comprensivo di tutto il set-up: telescopico principale, telescopio guida, camera principale, camera guida, relative prolunghe, ruota portafiltri, e tutti gli accessori annessi. Sia con il rifrattore che con il newton sono sicuro di rientrare nei limiti e di non sovraccaricare la montatura.
Ma perché utilizzare due ottiche di configurazione diversa? La risposta non è univoca e dipende dalle proprie esigenze. Di certo ho puntato sin da subito ad avere un telescopio rifrattore di buona fattura con una focale piccola che mi permettesse di ottenere immagini a largo campo, non troppo pesante e adatto anche ad essere utilizzato su montature piccole. Il newton invece è arrivato dopo quasi per caso, un’occasione presa al mercato dell’usato. Fino ad allora l’aspetto che più mi aveva sempre frenato dall’acquistare uno strumento newtoniano era la collimazione degli specchi, vista sempre come ostica e difficoltosa. Dopo varie prove effettuate su strumenti test per allineare le ottiche ( tappo forato, laser, oculare cheshire, collimatore REEGO) ho optato per un tipo elettronico della Ocal. Anche se più costoso di altri strumenti, lo consiglio vivamente soprattutto per chi come me ha un newton con rapporto focale veloce (da f4 in giù), aiuta in modo eccezionale ad ottenere un risultato quasi. Lo strumento è fornito di unapiccola camera, che una volta montata nel portaoculare, inquadra l’interno del tubo permettendo di vedere tutte le parti in gioco per effettuare una collimazione precisa (drawtube, specchio primar
io, riflesso specchio secondario) con una serie di cerchi di calibrazione.
L’installazione della camera avviene tramite il filetto T2 ( M42x0.75) il che minimizza gli errori dovuti ad eventuali disallineamenti e flessioni. Un occhio elettronico a supporto di quello umano chepermette consente di evitare gli errori di collimazione – L’operazione si effettua in soli quattro step (vedi box).
Le immagini mostrano la camera inserita nel telescopio e il software di comand
Il 2022 è stato un anno pieno di soddisfazioni. Ampliando e migliorando la mia tecnica di post-elaborazione e questo mi ha permesso di ottenere ottimi risultati. Alcuni miei lavori sono stati riconosciuti in molte piattaforme social e qui nella prestigiosa rivista Coelum Astronomia dove è stata pubblicata la mia ultima nebulosa Bolla NGC7635
NGC 7635, Newton 200P, Asi 294 mc, Filtro L-exstreme.
La mia giornata astrofotografica tipo è condizionata dalla fortuna/sfortuna di appartenere alla categoria degli astrofili cosi detti “itineranti”. Fortuna perchè non avendo una postazione fissa ho la possibiltà di andare sempre in posti nuovi con cieli molto bui e ottimizzare al massimo la mia sessione fotografica. Sfortuna perchè ogni volta devo organizzare tutta la fase di stazionamento, montaggio delle ottiche e la messa in opera di tutta la cavetteria necessaria per eseguire la sessione. Nel caso meno gravoso devo portare l’ attrezzatura sul terrazzo di casa, nella gita fuoriporta devo caricare tutto in macchina e poi montare il tutto in piazzole improvvisate a postazione. Qualunque sia il caso che si presenti bisogna eseguire ogni volta una messa in opera molto accurata di tutte le parti in gioco per riuscire a sfruttare al massimo l’attrezzatura. Di solito durante la stagione estiva trasferisco tutto il set-up a Pozzaglia Sabina, un piccolo paese in provincia di Rieti dove ho una qualità del cielo molto buona, con una scala Bortle 4 e un SQM (sky quality) di 21.06. Nella stagione fredda rimango nella mia cittadina dove purtroppo ho un SQM di 19.6 e un Bortle 6.1. In queste condizioni c’è bisogno dell’utilizzo di filtri anti inquinamento e filtri a banda stretta che taglino l’inquinamento luminoso permettendomi di fare buone fotografie. Attualmente posseggo un filtro nebulare a banda larga della casa Optolong chiamato L-Pro che riduce in maniera efficace l’inquinamento luminoso presente nelle zone periferiche delle città. È un filtro che lascia passare quasi tutte le lunghezze d’onda che ci interessano al 100% tagliando quelle dannose, e il filtro L-Exstreme sempre della Optolong. Nato appositamente per le camere a colori ed ideato per le riprese in doppia banda stretta passante (H-Alpha 7nm, OIII 7nm), oltre a ridurre fortemente l’inquinamento luminoso, aumenta il contrasto per le nebulose a emissione. Continua..
In questi mesi, con la rubrica online intitolata ‘News da Marte’, vi sto raccontando di settimana in settimana i progressi nell’esplorazione del Pianeta Rosso da parte degli emissari robotici inviati da noi umani.
Con l’occasione del ritorno di queste notizie sul cartaceo di Coelum Astronomia, proviamo a fare un carrellata e vediamo quelli che sono stati gli aggiornamenti più interessanti.
L’ultima immagine di Insight
È arrivato il momento che abbiamo temuto per mesi con un misto di rassegnazione e flebili speranze.
La rassegnazione era quella che constatava il costante declino dell’energia prodotta dai pannelli solari di Insight, la sonda NASA dedicata allo studio dei terremoti su Marte. Le speranze, invece, contavano ancora nel passaggio di un diavolo di sabbia che potesse provvidenzialmente dare una pulita alle ampie superfici fotovoltaiche del lander.
Le cose erano precipitate tra ottobre e novembre, con la comparsa di una colossale tempesta di sabbia che ha portato il team al controllo della missione a spegnere temporaneamente anche l’ultimo strumento scientifico al tempo ancora operativo, il sismometro. In un breve aggiornamento del primo novembre è stato comunicato che i pannelli del lander stavano producendo tra i 280 e i 290 Watt ora di energia al giorno, con un calo drammatico rispetto ai già pochi 420 di metà settembre. Per avere un riferimento, al momento dell’atterraggio i Wh/Sol prodotti erano 5000.
La scarsa produzione energetica è proseguita per tutto novembre e metà dicembre, con l’ultimo contatto radio avvenuto il 15 dicembre con il quale è stata ricevuta questa immagine, scattata l’11 dicembre.
L’ultima immagine di Insight, scattata l’11 dicembre alle 17:21 marziane
Dopo di allora il lander ha taciuto.
Due successivi tentativi di comunicazione, il 18 e 21 dicembre, sono falliti, portando così l’agenzia spaziale statunitense a decretare la fine della missione di Insight. La quale, intendiamoci, si chiude con ben pochi rammarichi: una durata doppia rispetto agli obiettivi programmati, 1319 terremoti rilevati, cruciali contributi alla sismologia extraterrestre e una quantità enorme di dati ancora da analizzare che terrà i ricercatori impegnati per anni a venire. Ne sono un esempio le pubblicazioni uscite quest’autunno nelle riviste Nature Geoscience e Science nelle quali viene illustrato come, in alcuni dati acquisiti da Insight nel 2020 e 2021, sia stato possibile rilevare a posteriori la firma sismica derivante dallo schianto al suolo di meteoriti. Successive indagini fotografiche da parte degli orbiter hanno così permesso di individuare, nelle posizioni previste, altrettanti recenti crateri. Tra questi eventi rilevati figura anche il più violento nell’intero sistema solare che abbiamo potuto vedere avvenire quasi davanti ai nostri occhi, registrato il 24 dicembre 2021 e che ha trovato la sua controparte visuale l’11 febbraio 2022.
Altre osservazioni dall’alto…
…le porta avanti Ingenuity, l’elicottero dimostratore compagno di Perseverance nell’ambito della missione Mars 2020.Questo incredibile drone continua a macinare voli, sempre più lontano dai previsti cinque da effettuarsi nell’arco di 30 giorni nell’aprile 2021.
Mappa con gli spostamenti di Ingenuity aggiornata sino al volo 37
Dopo il 29esimo spostamento, compiuto l’11 giugno, Ingenuity è rimasto fermo un paio di mesi a causa della situazione energetica molto critica legata all’accorciamento delle giornate nell’autunno marziano e gli oscuramenti atmosferici dovuti alle tempeste di sabbia. Per conservare l’operatività del drone, la cui elettronica non è progettata per sperimentare le rigide temperature dell’inverno marziano, il Jet Propulsion Laboratory ha prontamente messo in atto varie strategie che hanno avuto successo. La prova più convincente di questo si è avuta con il trentesimo decollo, che Ingenuity ha compiuto nel pomeriggio marziano del 20 agosto. Si è trattato fondamentalmente di un volo di test, funzionale alla verifica dell’operatività degli apparati e alla pulizia del pannello solare. Dal punto di visto del profilo seguitoè stato molto simile alla seconda movimentazione che l’elicottero aveva compiuto nell’aprile 2021.
Della durata di appena 33 secondi, il volo è consistito in uno spostamento laterale di 2 metri da una quota di 5. Sono numeri molto diversi da quelli straordinari dei voli estivi e primaverili, ma hanno dato fiducia per quello che sarebbe stato il futuro della missione.
Il mese di febbraio ci offre ancora un’ampia panoramica sulle costellazioni invernali che occupano la volta celeste con i loro astri dominanti.
Uno degli oggetti protagonisti è certamente il Toro: si tratta di una delle costellazioni della fascia dello Zodiaco, compresa tra Ariete e Gemelli e facilmente riconoscibile per la sua forma a V e per la sua stella principale Aldebaran, una gigante arancione grande 40 volte il Sole che con la sua magnitudine +0,95 rappresenta la quattordicesima stella più luminosa del cielo notturno.
Tutte le effemeridi del mese di Febbraio 2023 sono disponibili in file csv
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Mercurio
01/02 Sorge: h 06:00 Tramonta: h 15:20
28/02 Sorge: h 06:25 Tramonta: h 16:42
All’inizio del mese di Febbraio, Mercurio che sorge più di un’ora in anticipo rispetto al Sole, sarà visibile poco prima dell’alba. Per il resto del secondo mese dell’anno, coperti dalla luce diurna e nascosti ai nostri occhi lungo l’eclittica si susseguirà la danza di quasi tutti i pianeti e del nostro satellite: Mercurio, Sole, Venere, Saturno e a fine mese anche la Luna si aggiungerà alla danza. Mercurio e Saturno continueranno ad avvicinarsi fino alla fine del mese per accompagnarci alla congiunzione diurna del primo di Marzo. Il 05 febbraio Mercurio sarà al nodo discendente.
Venere
01/02 Sorge: h 08:35 Tramonta: h 19:26
28/02 Sorge: h 08:01 Tramonta: h 20:31
Nel mese di Febbraio Venere sarà visibile al tramonto per circa due ore all’inizio del mese fino ad incrementare la sua disponibilità a circa due ore e mezza nel finire. Una finestra ampia che consentirà di impostare gli strumenti. Le due congiunzioni che coinvolgeranno il pianeta tuttavia non saranno accessibili in quella fascia di orario. Entrambe infatti si verificheranno nelle ore diurne. In particolare Venere occulterà Nettuno il 15 febbraio subito dopo le 13. Mentre il 22 Venere e Luna Nuova si avvicineranno nella mattinata poco prima delle 09:00.
Marte
01/02 Sorge: h 12:16 Tramonta: h 03:40
28/02 Sorge: h 11:04 Tramonta: h 02:34
Lo spettacolo di Marte continua, ancora molto ben visibile per tutta la notte, tramonta infatti in orari ben oltre la mezzanotte, insomma, dal tramonto del Sole, di media intorno alle 18, fino a tardi sarà necessario sfidare il freddo. Il triangolo con Albedaran e Betelgeuse resta anche se man mano il pianeta si sta allontanando dirigendosi verso la costellazione dei Gemelli. Ben visibile il giorno 27, oramai a fine mese, la congiunzione con la Luna al primo quarto. I due astri si avvicineranno nel corso della sera per raggiungere la distanza minimi verso il tramonto, dopo l’una di notte del giorno 28, per osservare il fenomeno sarà necessario porsi in una località con l’ovest abbastanza sgombro.
Giove
01/02 Sorge: h 09:41 Tramonta: h 21:56
28/02 Sorge: h 08:07 Tramonta: h 20:38
Giove sempre più prossimo al tramonto riduce costantemente la sua finestra di visibilità regalandoci qualche ora già nelle prime ore della sera quando però il buio non sarà ancora così consolidato. Inizia all’inizio del mese un lento avvicinamento all’astro della sera, Venere, che si concluderà con una splendida congiunzione stretta nei primi giorni del mese successivo. Il giorno 22 sarà possibile immortalare uno splendido triangolo con Giove Luna e Venere che si manterrà visibile fino al tramonto del pianeta gigante quando la luminosità sarà oramai molto ridotta. Condizione ideale per una splendida ripresa, occhio all’orizzonte sgombro da ostacoli, saremo infatti molto bassi nel cielo.
Saturno
01/02 Sorge: h 08:08 Tramonta: h 18:29
28/02 Sorge: h 06:30 Tramonta: h 17:00
Saturno è oramai troppo vicino al Sole, anzi inizia a seguirlo in maniera quasi simbiotica tanto che gli orari del sorgere e del tramontare dei due astri per quasi tutto il mese si sovrapporranno. Molte le congiunzioni diurne a cui non potremo assistere con Venere, dopo la congiunzione della fine del mese di Gennaio, Mercurio e Luna.
Urano
01/02 Sorge: h 11:12 Tramonta: h 01:20
28/02 Sorge: h 09:28 Tramonta: h 23:33
Urano passa ancora il suo tempo epr tutto il mese fra i due astri molto più luminosi, Marte e Giove. Osservabile la sera, si concede per qualche ora in più rispetto a Giove e man mano sembra avvicinarsi a Venere. Intorno alla fine del mese, il 25 febbraio, verrà sfiorato da una piacevole Luna quasi nuova tuttavia il lento ma molto gradito allungarsi delle giornate li sorprenderà ancora al tramonto, con una tenue luce solare all’orizzonte.
Nettuno
01/02 Sorge: h 09:13 Tramonta: h 20:51
28/02 Sorge: h 07:29 Tramonta: h 19:10
Nettuno continua il suo percorso anticipando ancora di poco il pianeta Giove e avvicinandosi sempre di più a Venere ma ciò ad indicare le il pianeta lontano si sta contemporaneamente approssimando al Sole tanto da tramontare oramai solo pochi minuti dopo. A fine mese potrebbe resterà, anche se marginalmente, nei pressi del magnifico triangolo Venere-Luna-Giove ma la sua scarsa luminosità e il bagliore del tramonto lo renderanno in oggetto difficile.
LUNA
Il nostro satellite sempre ricco di dettagli!
La spettacolare fase lunare di 10 giorni che sarà possibile ammirare dalla serata del 31 Gennaio fino alla tarda nottata del 1 Febbraio, quando alle ore 04:33 scenderà sotto l’orizzonte, aprirà la strada alle osservazioni lunari previste per questo nuovo mese. Infatti nell’avanzare della fase crescente il nostro satellite alle ore 19:29 del 5 Febbraio sarà in Plenilunio alla distanza di 403895 km dal nostro pianeta, con diametro apparente di 29,59’ e ad un’altezza di +13° dopo essere sorto alle ore 17:06. Pertanto chi intendesse effettuare osservazioni col telescopio avrà a disposizione tutta la serata e la nottata fino all’alba del mattino seguente. Con la contestuale ripartenza della fase calante il nostro satellite perderà progressivamente una parte della propria frazione illuminata ritardando sempre più il momento in cui sorgerà fino alla fase intermedia dell’Ultimo Quarto prevista per le ore 17:01 del 13 Febbraio mentre si troverà a ben -65° sotto l’orizzonte. Agli appassionati di osservazioni lunari basterà attendere la notte seguente quando sorgerà alle ore 01:52 rendendosi perfettamente visibile fino alle prime luci dell’alba. Si può considerare la fase di Ultimo Quarto come “intermedia” in quanto a metà strada fra Luna Piena e Luna Nuova, analogamente al Primo Quarto rispetto alle fasi di Novilunio e Plenilunio. Relegato sempre più alle ore notturne, alle 08:06 del 20 Febbraio il nostro satellite sarà in Novilunio risultando completamente invisibile dal nostro pianeta mentre contestualmente l’emisfero opposto, quello che non vediamo dalla Terra, sarà perfettamente illuminato dalla luce solare esattamente come la nostra e comune “Luna Piena”. A tale proposito non trova alcun fondamento il cosiddetto e fuorviante “lato oscuro della Luna”, il quale trova spazio solo nella diffusione di notizie che nulla hanno a che vedere con una corretta informazione astronomica.
Gli approfondimenti sull’osservazione e i fenomeni celesti legati al nostro satellite per il mese di Febbraio 2023, continua nell’articolo di Francesco Badalotti.
Trovi tutto qui: Mondi in miniatura – Asteroidi, Febbraio 2023 a cura di Marco Iozzi
TRANSITI NOTEVOLI ISS
La ISS – Stazione Spaziale Internazionale sarà rintracciabile nei nostri cieli ad orari tardo pomeridiani nella prima parte del mese, ed orari antelucani nella seconda. Avremo sei transiti notevoli con magnitudini elevate durante il mese, auspicando come sempre in cieli sereni.
Nella precedente rubrica ci eravamo domandati: chi sarà il primo italiano nel 2023 ad inserire una scoperta nel TNS? Nella notte del 14 gennaio il team dell’Osservatorio di Monte Baldo (VR), formato da Flavio Castellani, Raffaele Belligoli,Claudio Marangoni e Vittorio Andreoli, ha individuato un debole transiente a mag.+19,3 nella famosa galassia di Andromeda M31. Dovrebbe trattarsi di una Nova Extragalattica, purtroppo le avverse condizioni atmosferiche sopraggiunte un po’ su tutta la nostra penisola già la sera seguente la scoperta, hanno impedito di monitorare l’evoluzione di questa possibile Nova a cui è stata assegnata la sigla provvisoria AT2023ps. Per l’Osservatorio di Monte Baldo, che fa parte dell’ISSP dal 2013, si tratta della scoperta di Nova Extragalattica n. 19. In questo campo gli scaligeri sono leader indiscussi in ambito nazionale e ricoprono un ruolo di prim’ordine anche a livello mondiale.
1) Immagine di scoperta della AT2023ps PNV in M31 realizzata dal team dell’osservatorio di Monte Baldo con il telescopio Ritchey-Chretien 400 mm F.8.2) Team dell’Osservatorio di Monte Baldo, da sinistra Raffaele Belligoli, Flavio Castellani e Claudio Marangoni.
Gli astrofili di tutto il mondo hanno comunque iniziato nel migliore dei modi questo nuovo anno. E’ l’oriente che continua a fare la voce grossa, con i personaggi ben noti come il cinese Xing Gao e il giapponese Koichi Itagaki, con l’aggiunta però di una new entry: il giapponese Hiroshi Okuno, ma andiamo per ordine. Ad aprire le danze nella notte del 2 gennaio sono stati i cinesi del programma XOSS capitanati da Xing Gao che hanno individuato una nuova stella di mag.+16,7 nella piccola galassia a spirale PGC33466, posta nella costellazione del Leone Minore a circa 400 milioni di anni luce di distanza. Nella notte del 5 gennaio gli astronomi cinesi del Yunnan Observatory, con il Lijiang Telescope da 2,4 metri, hanno ripreso lo spettro di conferma, che ha permesso di classificare il transiente come una supernova di tipo II abbastanza giovane a cui è stata assegnata la sigla definitiva SN2023af.
Naturalmente il mitico giapponese Koichi Itagaki non poteva restare in disparte ed ha iniziato il nuovo anno con una nuova scoperta datata 8 gennaio. L’oggetto è stato individuato nella galassia a spirale barrata ESO419-G3 posta nella costellazione meridionale della Fornace a circa 180 milioni di anni luce di distanza. A tempo di record, appena un’ora dopo la scoperta, gli astronomi giapponesi del Okayama Observatory con il Seimei Telescope da 3,8 metri hanno classificato il nuovo oggetto come una giovane supernova di tipo II a cui è stata assegnata la sigla definitiva SN2023cr. Scoperta a mag.+16,2 questa supernova è aumentata di luminosità fino a raggiungere la mag.+15,0 intorno al 15 gennaio. Itagaki è stato molto bravo e rapido, battendo sul tempo i professionisti americani del programma ATLAS che avevano ottenuto un’immagine di questa supernova il giorno prima della scoperta del giapponese con il transiente che mostrava una mag.+16,9. La galassia ospite ESO419-G3 aveva visto esplodere al suo interno un’altra supernova conosciuta la SN2000ex sempre di tipo II scoperta il 26 novembre 2000 dal programma professionale americano denominato LOTOSS.
4) Immagine di scoperta della SN2023cr in ESO419-G3 realizzata da Koichi Itagaki.
Prima di parlare del giapponese Hiroshi Okuno, abbiamo altre due supernovae scoperte sempre dagli astrofili cinesi del programma XOSS. La SN2023iy che è stata scoperta la notte del 12 gennaio in una piccola galassia Anonima posta nella costellazione della Lince a circa 470 milioni di anni di distanza. Scoperta quando brillava di mag.+16,8 quindi abbastanza luminosa, è stata preda del nostro Claudio Balcon che nella notte del 14 gennaio l’ha classificata per primo nel TNS come una supernova di tipo Ia, scoperta circa una settimana prima del massimo di luminosità. Questa è la decima supernova scoperta e classificata tutto a livello amatoriale.
5) Immagine di scoperta della SN2023iy in Anonima realizzata da XOSS con un telescopio Ritchey-Chretien 600 mm F.8.
La terza supernova cinese in questo proficuo gennaio per il programma XOSS è stata la SN2023abq, individuata la notte del 19 gennaio nella galassia a spirale UGC9911 posta nella costellazione del Bootes a circa 430 milioni di anni luce di distanza. Nella notte del 22 gennaio gli astronomi cinesi del Yunnan Observatory, con il Lijiang Telescope da 2,4 metri, hanno ripreso lo spettro di conferma, che ha permesso di classificare il transiente come una supernova di tipo IIP a cui è stata assegnata la sigla definitiva SN2023abq.
6) Immagine di scoperta della SN2023abq in UGC9911 realizzata da XOSS con un telescopio Ritchey-Chretien 600 mm F.8.
Concludiamo la rubrica analizzando una supernova scoperta dall’astrofilo giapponese Hiroshi Okuno, che ha coronato un suo sogno, mettendo a segno la sua prima scoperta. Ci riempie il cuore di gioia quando degli astrofili riescono ad ottenere dei risultati molto importanti e ancor di più se si tratta come in questo caso della così detta “prima volta”. Abbiamo perciò contattato Hiroshi per sapere di più sulla sua attività di astrofilo. Non è più un ragazzino, ma ha infatti compiuto 62 anni. Abita nella città di Ise nella prefettura di Mie, sull’isola di Honshu. Nel dicembre 2015 ha costruito un osservatorio in cima ad una collina di 520 metri a 9 km dalla sua abitazione. L’osservatorio dispone di una cupola di 3,5 metri di diametro ed ospita un telescopio Cassegrain da 40cm F.10 con la possibilità di manovrarlo in remoto via internet.
8) Hiroshi Okuno davanti al suo osservatorio.9) Hiroshi Okuno accanto al suo telescopio Cassegrain da 40cm F.10.
Due anni fa all’età di 60 anni è andato in pensione ed ha iniziato una ricerca sistematica di supernova, senza però appartenere a nessuna associazione. In Giappone Koichi Itagaki è preso ad esempio da tanti astrofili che cercano di emulare le sue incredibili gesta. Finalmente nella notte del 12 gennaio Hiroshi ha individuato il tanto sospirato nuovo transiente a mag.+16,9 nella galassia a spirale IC1874 posta nella costellazione del Perseo a circa 220 milioni di anni luce di distanza. La cosa che ci rende ancor più felici arriva dalla classificazione, che è stata ottenuta ancora una volta dal nostro Claudio Balcon nella notte seguente la scoperta. Si tratta di una supernova di tipo IIP scoperta circa 10 giorni dall’esplosione, a cui è stata assegnata la sigla definitiva SN2023fu e naturalmente è anche l’undicesima supernova scoperta e classificata tutto a livello amatoriale. Hiroshi Okuno, a cui vanno le nostre congratulazioni per la bella scoperta, ci ha confessato di aver visitato due volte l’Italia e che si è commosso di fronte alle meraviglie del nostro “Bel Paese”.
7) Immagine della SN2023fu in IC1874 realizzata dall’astrofilo tedesco Manfred Mrotzek con un telescopio da 140mm F.5,4 somma di 13 immagini da 180 secondi.
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Il cielo del mese con mappe, effemeridi ed eventi importanti è su
La spettacolare fase lunare di 10 giorni che sarà possibile ammirare dalla serata del 31 Gennaio fino alla tarda nottata del 1 Febbraio, quando alle ore 04:33 scenderà sotto l’orizzonte, aprirà la strada alle osservazioni lunari previste per questo nuovo mese. Infatti nell’avanzare della fase crescente il nostro satellite alle ore 19:29 del 5 Febbraio sarà in Plenilunio alla distanza di 403895 km dal nostro pianeta, con diametro apparente di 29,59’ e ad un’altezza di +13° dopo essere sorto alle ore 17:06. Pertanto chi intendesse effettuare osservazioni col telescopio avrà a disposizione tutta la serata e la nottata fino all’alba del mattino seguente. Con la contestuale ripartenza della fase calante il nostro satellite perderà progressivamente una parte della propria frazione illuminata ritardando sempre più il momento in cui sorgerà fino alla fase intermedia dell’Ultimo Quarto prevista per le ore 17:01 del 13 Febbraio mentre si troverà a ben -65° sotto l’orizzonte. Agli appassionati di osservazioni lunari basterà attendere la notte seguente quando sorgerà alle ore 01:52 rendendosi perfettamente visibile fino alle prime luci dell’alba. Si può considerare la fase di Ultimo Quarto come “intermedia” in quanto a metà strada fra Luna Piena e Luna Nuova, analogamente al Primo Quarto rispetto alle fasi di Novilunio e Plenilunio. Relegato sempre più alle ore notturne, alle 08:06 del 20 Febbraio il nostro satellite sarà in Novilunio risultando completamente invisibile dal nostro pianeta mentre contestualmente l’emisfero opposto, quello che non vediamo dalla Terra, sarà perfettamente illuminato dalla luce solare esattamente come la nostra e comune “Luna Piena”. A tale proposito non trova alcun fondamento il cosiddetto e fuorviante “lato oscuro della Luna”, il quale trova spazio solo nella diffusione di notizie che nulla hanno a che vedere con una corretta informazione astronomica. Come avviene ogni mese ormai da oltre quattro miliardi di anni, dal Novilunio ripartirà un nuovo ciclo lunare mentre, volendo, potremo constatare come di notte in notte il nostro satellite ci presenterà una falce illuminata di proporzioni sempre maggiori fino a riportarsi nuovamente nelle migliori condizioni osservative, anche se per i cosiddetti “esperti” qualsiasi dettaglio anche nelle più ostiche condizioni può essere fonte di ricerche e osservazioni sistematiche, dalla falce di 1 o 2 giorni fino alla Luna Piena. Infatti alle ore 09:06 del 27 Febbraio la Luna sarà in Primo Quarto a -12° al di sotto dell’orizzonte ma nessun problema, gli appassionati di osservazioni lunari dovranno solamente attendere le prime ore della sera quando il nostro satellite, dopo il transito in meridiano delle ore 18:23 a +72°, sarà visibile per tutta la serata e fino alle prime ore della notte seguente quando alle 02:24 scenderà sotto l’orizzonte. Nelle rimanenti serate che condurranno al termine di questo mese la Luna si esibirà ancora col suo immenso ed estremamente variegato campionario di strutture geologiche di qualsiasi morfologia e dimensione ognuna delle quali costituisce una indelebile testimonianza della turbolenta ed in numerosi casi anche catastrofica storia geologica del nostro satellite da cui prese forma così come la vediamo oggi anche senza alcun strumento.
Le Falci lunari di Febbraio
Per chi segue le falci lunari il primo appuntamento è per la tarda nottata del 17 Febbraio quando alle ore 05:19 sorgerà una falce di 26,3 giorni in luna calante. Il tempo a disposizione sarà abbastanza ridotto in quanto dopo meno di un’ora scarsa la luce del Sole prenderà il sopravvento su tutto, limitando l’eventuale attività osservativa ad una rapida carrellata sulle principali strutture visibili, tra cui i vasti crateri Schickard, Grimaldi, Pythagoras oltre alle notevoli differenze di albedo fra i settori nord e sud di questa falce. Per quanto riguarda la fase crescente appuntamento per il tardo pomeriggio del 21 Febbraio con una sottile falce di 1,47 giorni che alle ore 19:23 scenderà sotto l’orizzonte, seguita dai pianeti Venere e Giove. Nonostante l’esiguità della porzione illuminata dovrebbe risultare possibile individuare almeno le principali strutture fra cui mare Humboldtianum e cratere Gauss a nordest, i mari Marginis e Smythii ad est (con Crisium ancora completamente in ombra), mentre a sudest il vasto cratere Humboldt di 213 km di diametro. La successiva serata, il 22 Febbraio, una falce di 2,5 giorni tramonterà alle ore 20:37 sulla cui superficie aumenteranno notevolmente le strutture che potranno essere oggetto di dettagliate osservazioni nei settori nordest, est e sudest, oltre ad una vasta porzione del mare Crisium fino alle rispettive cuspidi nord e sud. Ovviamente rimane inteso che per questa tipologia di osservazioni, oltre agli ormai noti parametri osservativi, risulterà determinante disporre di un orizzonte il più possibile libero da ostacoli.
Librazioni di Febbraio
(In ordine di calendario, per i dettagli vedere le rispettive immagini).
Si precisa che, per ovvi motivi, non vengono indicati i giorni in cui i punti di massima Librazione si discostano dalla superficie lunare illuminata dal Sole.
Librazioni Regione Sudest-Sud:
01 Febbraio. Fase crescente 11,00 giorni – Librazione mare Australe
02 Febbraio. Fase crescente 12,00 giorni – Librazione crateri Pontecoulant, Helmholtz
03 Febbraio. Fase crescente 13,00 giorni – Librazione Regione Polare Sud
04 Febbraio. Fase crescente 14,00 giorni – Librazione Regione Polare Sud
05 Febbraio. Fase crescente 15,00 giorni – Librazione Regione Polare Sud
06 Febbraio. Fase calante 15,02 giorni – Librazione Regione Polare Sud
07 Febbraio. Fase calante 16,15 giorni – Librazione cratere Bailly
Librazioni Regione Sudovest-Ovest:
08 Febbraio. Fase calante 17,15 giorni – Librazione crateri Wargentin, Phocylides
09 Febbraio. Fase calante 18,21 giorni – Librazione crateri Piazzi, Lagrange
10 Febbraio. Fase calante 19,23 giorni – Librazione cratere Byrgius, sud mare Orientale
11 Febbraio. Fase calante 20,26 giorni – Librazione nord mare Orientale
12 Febbraio. Fase calante 21,29 giorni – Librazione crateri Hevelius, Cavalerius
Librazioni Regione Nordovest:
13 Febbraio. Fase calante 22,33 giorni – Librazione crateri Cardanus, Kraft
14 Febbraio. Fase calante 23,17 giorni – Librazione crateri Russel, Briggs
15 Febbraio. Fase calante 24,22 giorni – Librazione crateri Lavoisier, Von Braun
16 Febbraio. Fase calante 25,27 giorni – Librazione crateri Galvani, Markov
17 Febbraio. Fase calante 26,31 giorni – Librazione cratere Pythagoras
Librazioni Regione Nord:
18 Febbraio. Fase calante 27,35 giorni – Librazione Regione Polare Nord (Anaximenes)
Librazioni Regione Nordest-Est:
21 Febbraio. Fase crescente 01,47 giorni – Librazione mare Humboldtianum
22 Febbraio. Fase crescente 02,52 giorni – Librazione cratere Gauss
23 Febbraio. Fase crescente 03,57 giorni – Librazione mari Crisium, Marginis
24 Febbraio. Fase crescente 04,62 giorni – Librazione nord mare Smythii, Langrenus
25 Febbraio. Fase crescente 05,62 giorni – Librazione nord mare Smythii, Langrenus
Librazioni Regione Sudest:
26 Febbraio. Fase crescente 06,39 giorni – Librazione crateri Balmer, Vendelinus
27 Febbraio. Fase crescente 07,43 giorni – Librazione crateri Legendre, Humboldt
28 Febbraio. Fase crescente 08,46 giorni – Librazione mare Australe, Oken, Hamilton
Note:
– Immagini “Librazioni “: Su immagini tratte dal globo di “Virtual Moon Atlas”.
– Dati e visibilità delle strutture lunari: Software “Stellarium” e “Virtual Moon Atlas”.
– Ogni fenomeno lunare e rispettivi orari sono rapportati alla Città di Roma, dati rilevati tramite software “Stellarium” e dal sito http://www.marcomenichelli.it/luna.asp
La ISS – Stazione Spaziale Internazionale sarà rintracciabile nei nostri cieli ad orari tardo pomeridiani nella prima parte del mese, ed orari antelucani nella seconda. Avremo sei transiti notevoli con magnitudini elevate durante il mese, auspicando come sempre in cieli sereni.
01 FEBBRAIO
Si inizierà il giorno 1° febbraio, dalle 18:30alle 18:37, osservando da NO ad E. La ISS sarà ben visibile da tutto il paese con una magnitudine massima si attesterà su un valore di -3.6. Sperando come sempre in cieli sereni per uno dei migliori transiti del mese.
03 FEBBRAIO
Si replica il 3 Febbraio, dalle 18:29 verso ONO alle 18:38 verso SE. Visibilità migliore dalle isole maggiori e l’occidente italiano, con magnitudine di picco a -3.2.
18 FEBBRAIO
Saltiamo di circa due settimane, al 18Febbraio, dove avremo il miglior transito mattutino del mese. Visibile da tutta Italia, dalle 06:10 verso SO alle 06:19 verso ENE, con magnitudine massima di -3.6. Sicuramente un passaggio che vale la sveglia anticipata.
20 FEBBRAIO
Passiamo al giorno 20 Febbraio, dalle 06:09 in direzione OSO alle 06:17 in direzione NE. Osservabile al meglio dal Centro Nord Italia, con una magnitudine massima di -3.5. Un altro transito da non perdere.
21 FEBBRAIO
Il penultimo transito notevole del mese avverrà il 21 Febbraio, da OSO a NE, dalle 05:21 alle 05:27. Passaggio parziale, con magnitudine massima di -3.9 non appena la ISS uscirà dal cono d’ombra della Terra. Visibilità ottimale da tutta la nazione.
23 FEBBRAIO
L’ultimo transito del mese, il 23 Febbraio, sarà un nuovo passaggio parziale con magnitudine massima di -3.1, visibile al meglio dal Nord Italia. Dalle 05:19 alle 05:24, da NNO a NE.
N.B. Le direzioni visibili per ogni transito sono riferite ad un punto centrato sulla penisola, nel centro Italia, costa tirrenica. Considerate uno scarto ± 1-5 minuti dagli orari sopra scritti, a causa del grande anticipo con il quale sono stati calcolati.
le fasi salienti della Cometa che tanto cattura l’attenzione
La C/2022 E3 ZTF VISIBILE AD OCCHIO NUDO
Mese molto interessante quello che ci aspetta, con la luminosa C/2022 E3 ZTF che calamiterà le attenzioni di appassionati e curiosi. A fare da inevitabile contorno altre tre comete sotto la decima magnitudine, una delle quali, pur molto luminosa, sarà riservata esclusivamente agli amanti delle sfide osservative.
È il momento del rendez-vous! Il primo febbraio la C/2022 E3 ZTF transita a 42 milioni di chilometri dalla Terra toccando la minima distanza dal nostro pianeta. Quel giorno e i giorni immediatamente seguenti saranno imperdibili considerato che potremo osservare (a meno di nuove scoperte o clamorosi outburst), la cometa più attesa del 2023. La maggior parte delle stime indica che il picco luminoso la porterà a brillare di una buona quinta magnitudine, valore che qualche altra previsione trasforma in quarta grandezza. Una luminosità che la renderà facilmente visibile in un piccolo binocolo e, sotto cieli limpidi e bui, anche ad occhio nudo, seppure in maniera non evidente, come già segnalato da alcuni osservatori negli ultimi giorni di gennaio. Teniamo presente che una cometa è un oggetto diffuso ed in questo caso, la luminosità prevista, la pone al limite della visibilità ad occhio nudo.
Farà sicuramente la differenza il suo grado di condensazione, molto buono fino a questo momento, ma soprattutto, non ci stancheremo mai di ripeterlo, la qualità del cielo sotto il quale si osserva. Allontanarsi da luoghi dove imperversa l’inquinamento luminoso costerà dei sacrifici a molti appassionati, che verranno però ripagati da cieli in grado di esaltare questo notevole “astro chiomato”.
Nei primissimi giorni del mese la E3 ZTF sarà posizionata altissima sulla volta celeste ed ottimamente visibile in prima serata. C’è però da considerare che la Luna, vicina al plenilunio, disturberà parecchio, tanto da consigliare di spostare la sessione nella notte e poi quasi all’alba. L’ultima finestra senza il chiarore del nostro satellite naturale è prevista proprio poco prima dell’alba nel giorno del massimo avvicinamento, dopodiché occorrerà attendere una settimana prima di rivederla nel cielo buio. Dall’ otto febbraio, senza disturbo lunare, la si potrà seguire tranquillamente la sera ed in seguito in piena notte. Non tralasciamo comunque le nottate illuminate dalla Luna perché, grazie alla buona luminosità, riusciremo a seguire l’evoluzione della cometa anche nel cielo illuminato. Il percorso dell’oggetto in cielo si svilupperà dalla Giraffa verso l’Auriga e successivamente il Toro. Da considerare il rilevante moto proprio, specie nei primi giorni di febbraio. Con il passare dei giorniil suo allontanamento (a meno di sorprese) la indebolirà, tanto che a fine mese dovrebbe brillare di una comunque ancora buona settima magnitudine. Per quanto riguarda gli incontri prospettici interessanti segniamoci tre date; nella nottata del 6 febbraio transiterà a circa 1,5° da Capella, la luminosa stella Alfa dell’Auriga.Nella serata del 10 è in programma l’appuntamento con Marte, dal qualedisterà poco più di un grado. Infine la sera del 14 passerà a circa 1,5°da Aldebaran, l’occhio rosso del Toro.
Per finire il discorso su questo oggetto vi propongo un mio piccolo diario dedicato al suo avvicinamento durante gennaio:
14/1
Nonostante la presenza della Luna appena oltre l’ultimo quarto e non molto distante, la cometa appare molto compatta risultando facilmente visibile dentro il piccolo binocolo 10×50 tenuto a mano libera. Comparandola con il celebre globulare M13 dell’Ercole risulta più o meno delle stesse dimensioni ma sicuramente meno luminosa. Direi che la sua luminosità si attesta appena al di sotto della settima magnitudine, probabilmente 6,8 mag.
21/1
La rivedo in un cielo privo di luce lunare dopo parecchi giorni di nubi. Il suo diametro è decisamente aumentato e la cometa appare ora di dimensioni doppie rispetto all’ammasso globulare M13, mentre la sua luminosità è cresciuta fino alla sesta magnitudine. La chioma presenta un evidente falso nucleo centrale circondato da un alone brillante oltre il quale sfuma gradualmente. La coda di polveri si presenta molto tenue e allargata. L’oggetto è ottimamente osservabile anche nel piccolo binocolo 10×50. Non è invece percepibile ad occhio nudo.
24/1
Un fortunato squarcio tra le nubi mi permette di riosservarla a tre giorni di distanza dall’ultima sessione. Riesco a percepirla per la prima volta, seppure al limite, ad occhio nudo, favorito dalla vicinanza alla stella Iota Draconis, che fa da ottimo punto di riferimento, dalla quale dista un grado e mezzo circa. Senza strumenti si mostra come una chiazza indistinta mediamente estesa, visibile a momenti. Al binocolo 20×90 risulta invece piuttosto compatta e la sua coda di polveri è meglio rilevabile che nelle precedenti occasioni, un po’ meno allargata ed un po’ più lunga. Confrontandola con il solito M 13 credo che la sua luminosità possa essersi alzata al valore di 5,5 mag.
26/1
Devo tenere il binocolo a mano libera dato che la cometa è altissima in cielo. Compatta, spicca il suo falso nucleo stellare ma tutta la chiomaè ben marcata. Rilevabile piuttosto facilmente anche una corta coda. Chioma e coda danno all’oggetto una bellissima forma a goccia d’acqua. La luminosità non è distante dalla quinta mag. direi 5,2/5,3. Visibile anche ad occhio nudo, meglio di un paio di giorni fa.
La cartina riporta la posizione della C/2022 E3 ZTF alle 20.00 ora solare. Le stelle più deboli sono di settima magnitudine.
C/2020 V2 ZTF
Cometa discretamente luminosa ed osservabile in prima serata. Partendoda Cassiopea si dirigerà verso il Perseo terminando la sua corsa mensile in Andromeda. La sua luminosità dovrebbe aggirarsi per tutto febbraioattorno alla nona magnitudine. Aiuta molto il suo aspetto compatto che la rende una facile preda anche piccoli telescopi.
La cartina riporta la posizione della C/2020 V2 ZTF alle 20.00 ora solare. Le stelle più deboli sono di nona magnitudine
C/2022A2 PanSTARRS
Cometa scoperta oltre un anno fa dal sistema PanSTARRS situato alle Hawaii (PanoramicSurveyTelescope e RapidResponseSystem), è cresciuta a sorpresa più del previsto portandosi in gennaio al di sotto della decima magnitudine. Circumpolare per tutto febbraio sarà meglio osservabile prima dell’alba, in spostamento dal Dragone alla Lucertola. Passerà al perielio il giorno 18 transitando a 1,73 U.A. dal Sole. La sua luminosità durante il mese dovrebbe aggirarsi attorno alla nona magnitudine. L’ho osservata il 21 gennaio sotto un cielo davvero splendido, usando un binocolo 20×90 nel quale mi è apparsa piuttosto diffusa e priva di un vero falso nucleo, ma non difficile.
La cartina riporta la posizione della C/2022A2 PanSTARRS alle 5.00 ora solare. Le stelle più deboli sono di nona magnitudine.
96P/Machholz 1
Per ultimo vi proponiamo una sfida osservativa riguardante una piccola periodica dal diametro di circa 6 chilometri, scoperta nel 1986 dall’astronomo statunitense Donald Edward Machholz, scomparso pochi mesi fa. Il suo periodo è di 5,24 anni e sembra possa essere un pezzo appartenente ad una cometa più grande frammentatasi molto tempo fa. Frammentata la Machholz lo è a sua volta dato che nei suoi pressi sono stati avvistati almeno tre frammenti più piccoli. È transitata al perielio ad una distanza molto piccola(circa 18 milioni di chilometri) nell’ultimo giorno di gennaio. Purtroppo la pessima prospettiva ci ha impedito di seguire quegli istanti in cui potrebbe aver raggiunto la seconda magnitudine. Le cose andranno leggermente meglio durante il suo allontanamento dalla nostra stella, anche se la caduta di luminosità dovrebbe essere piuttosto rapida e le condizioni prospettiche risultare comunque sfavorevoli. Chi ha voglia di cimentarsi in una bella sfida dovrà tentare di rintracciarlaa partire dal 4/5 febbraio, “spazzolando” l’orizzonte orientale, cercandola tra le prime luci dell’alba fra le stelle meridionali dell’Aquila. In quel momento potrebbe brillare di quinta o sesta magnitudine. Successivamente, con il suo ulteriore allontanamento dal Sole, si mostrerà in un cielo più buio, rimanendo però sempre molto bassa ma soprattutto perdendo luminosità, tanto che a metà mese potrebbe già sfiorare la decima grandezza.
La cartina riporta la posizione della 96/P Machholz alle 6.30 ora solare. Le stelle più deboli sono di ottava magnitudine.
a seguito dei problemi che in questi giorni stanno interessando i server di libero diverse mail stanno tornando indietro se siete in attesa di risposta o conferma vi invitiamo a contattarci tramite fb o usare un’altra casella
Ora era onde ‘l salir non volea storpio chè il Sole avea il cerchio di merigge lasciato al Tauro e la notte a lo Scorpio …
Dante, Divina Commedia
Nel cielo di febbraio risplendono luminose le costellazioni dell’inverno boreale.
Uno degli oggetti protagonisti è certamente il Toro: si tratta di una delle costellazioni della fascia dello Zodiaco, compresa tra Ariete e Gemelli e facilmente riconoscibile per la sua forma a V e per la sua stella principale Aldebaran, una gigante arancione grande 40 volte il Sole che con la sua magnitudine +0,95 rappresenta la quattordicesima stella più luminosa del cielo notturno.
Le stelle Elnath e Alheka caratterizzano le corna dell’animale che si estendono verso est, mentre Beta Tauri (Elnath) è una stella che viene attribuita sia alla costellazione del Toro che a quella dell’Auriga, di cui è uno dei vertici del pentagono celeste.
La costellazione del Toro si espande a est/sud-est dove un brillante ammasso aperto (a 150 anni luce da noi) conosciuto con il nome di Iadi, delinea la testa dell’animale; prospetticamente infatti Aldebaran, Alpha Tauri, sembrerebbe appartenere al vicino ammasso delle Iadi, ma in realtà, con il suo scintillio di colore arancio, rappresenta l’occhio del Toro.
M45: UN AMMASSO APERTO NEL CUORE DELL’INVERNO
Alla costellazione del Toro è strettamente associato un altro oggetto, uno dei più interessanti e conosciuti del catalogo Messier, M45, ovvero le Pleiadi.
Si tratta di un ammasso stellare aperto distante 440 anni luce da noi, collocato nella spalla del Toro.
Credit:Davide De Martin & the ESA/ESO/NASA Photoshop FITS Liberator
Senza l’ausilio di telescopi, a patto di osservare lontani da cieli urbani, sono visibili già sette fra le stelle più luminose dell’ammasso, la cui forma rimanda al piccolo carro.
Aiutandosi invece con un binocolo o con un telescopio si scopre che l’ammasso è molto più esteso, sono centinaia le stelle, in prevalenza giganti blu e bianche, che compongono l’ammasso; stelle legate da un’origine comune e da reciproche forze gravitazionali.
Nelle fotografie a lunga esposizione o all’oculare di un telescopio di apertura considerevole, non è difficile notare dei piccoli aloni che circondano i singoli oggetti luminosi: si tratta di nubi di polvere, dette nebulose a riflessione, illuminate dalle stelle.
M45 prende parte alla sfilata degli oggetti più belli e suggestivi del cielo invernale, attirando sempre molta curiosità negli amanti del cielo, poiché l’ammasso è spesso protagonista di congiunzioni con la Luna o con pianeti come Marte e Venere.
Le Pleiadi sono anche circondate da numerosi riferimenti mitologici, esse vengono chiamate sovente le “sette sorelle”, rappresentate come ninfe della montagna, figlie di Atlante e l’oceanina Pleione: Alcione, Asterope, Celeno, Elettra, Maia, Merope e Taigeta.
Anche Pascoli ne fece riferimento nel Gelsomino Notturno: “La Chioccetta per l’aia azzurra va col suo pigolìo di stelle”.
Il poeta paragonò le Pleiadi a una chioccia che si trascina dietro una covata di pulcini intenti a pigolare.
Immagine curiosa ma d’effetto, che intende ricreare la melodia degli astri in una notte stellata.
OGGETTI DEL PROFONDO CIELO NEL TORO: LA NEBULOSA GRANCHIO
In direzione della stella Alheka, si trova uno degli oggetti più importanti in campo astronomico e nell’astronomia a raggi X: è persino il primo oggetto del Catalogo Messier, M1, meglio nota con il nome Nebulosa del Granchio. (vedi Coelum Astronomia 254 di febbraio/marzo 2022)
L’oggetto, dalla forma ad anello, si trova a circa 6500 anni luce dal Sistema Solare ed è ciò che resta dell’esplosione di una Supernova.
Durante la fase finale della sua vita la stella Supernova 1054ha espulso una grande quantità di materiali ferrosi e gas, generando un’esplosione in grado di proiettare tutti i propri frammenti a una grande distanza, che ancora oggi viaggiano a una velocità che sfiora i circa 1500 km/s.
Oggi il centro della nebulosa ospita ciò che resta della stella esplosa, una potente stella di neutroni che ruotando su sé stessa crea l’effetto pulsar.
L’esplosione della supernova 1054 non rimase inosservata.
Il 4 luglio del 1054 gli astronomi cinesi furono i primi ad accorgersi del nuovo astro apparso in cielo ed ebbero la fortuna di assistere al bagliore prodotto dall’esplosione per lungo tempo.
Visibile persino di giorno grazie ad una magnitudine dell’oggetto compresa tra −7 e −4,5 (per contro Sirio, la stella più luminosa del nostro cielo, ha una magnitudine apparante di solo -1.40).
Con così tanti dati a disposizione su questo oggetto, la Nebulosa Granchio è spesso impiegata dagli astronomi come elemento di calibrazione nell’astronomia a raggi X e negli studi dell’universo alle altissime energie.
M1 può essere individuata facilmente già con un binocolo, o ancor meglio con un telescopio anche amatoriale, dove apparirà come una macchia debole e chiara, ma caratterizzata da una luminosità poco omogenea.
LA COSTELLAZIONE DEL TORO NELLA MITOLOGIA
Il Toro è una delle costellazioni più antiche di cui si trovi traccia.
Ben 5.000 anni fa infatti il punto Gamma che indica l’equinozio di primavera, si trovava proprio in questa costellazione, nei pressi della stella Aldebaran.
Citazioni si trovano negli scritti dei Sumeri ove la figura zodiacale assumeva connotazioni mitologiche e si rendeva protagonista di storie d’amore conflittuali.
Per gli antichi egizi invece i tori erano figure mitologiche da venerare.
Nell’antica Grecia il mito del Toro fu associato al Minotauro, frutto del tradimento consumato da Pasifa e con il sacro Toro di Creta alle spalle del marito Minosse.
Ma la storia è molto più avvincente.
Sembra infatti che Zeus si fosse innamorato della principessa fenicia Europa, e che decise (come sempre) di sedurla, ricorrendo a ogni mezzo possibile.
Così, mentre la bella Europa si trovava sulla spiaggia ingenua e spensierata in compagnia delle sue ancelle, vide arrivare un bellissimo toro bianco, animale in cui Zeus nel frattempo si era trasformato per non destare sospetto nella principessa.
La fanciulla, ignara della vera natura dell’animale, ne fu talmente attratta da salirvi in groppa e da lasciarsi trasportare fino a raggiungere l’isola di Creta, dopo aver galoppato attraverso il mare.
Ma una volta giunti a destinazione la giovane principessa fece un’amara scoperta: Zeus infatti le si manifestò nelle sue reali sembianze, abusando di lei.
Dall’unione infelice nacquero Minosse, Radamanto e Sarpedonte.
L’AURIGA NEL CIELO DI FEBBRAIO
Una della costellazioni che transita al meridiano nel mese di febbraio è l’Auriga.
Si tratta di uno degli oggetti tipici dell’inverno boreale, che si staglia sulla volta celeste in compagnia delle grandi costellazioni come Orione e Toro.
Quella dell’Auriga è una costellazione settentrionale dalla caratteristica forma di pentagono, la cui parte centrale è attraversata da una porzione di Via Lattea che si delinea in direzione opposta a quella del centro galattico, ma che ospita comunque diversi ammassi e nebulose.
Di certo però la costellazione deve la sua fama alla sua stella più brillante Alfa Aurigae, ovvero Capella: si tratta della sesta stella più luminosa del cielo notturno, di colore giallo, che dista dal Sole quasi 43 anni luce.
Nonostante Capella appaia ad occhio nudo come un singolo astro, in realtà è un sistema multiplo costituito da quattro componenti, raggruppate in due stelle binarie.
OGGETTI NON STELLARI IN AURIGA
La costellazione ospita diversi oggetti già osservati da Messier, inseriti nel suo celebre catalogo con il nome di M36, M37 ed M38: si tratta di tre ammassi aperti molto conosciuti, composti da stelle giovani.
L’AURIGA NELLA MITOLOGIA
Come per ogni altra costellazione e oggetto celeste, anche l’Auriga trova riferimenti nella mitologia: essa viene identificata con la capra Amaltea, rappresentata dalla stella Capella, animale che secondo la mitologia greca allattò Zeus quando venne abbandonato in fasce sull’isola di Creta.
All’animale e ai suoi capretti venne regalato un posto in cielo, trasformati in stelle come segno di eterna gratitudine.
Crisi climatica ed energetica sono, a buon diritto, in cima alle preoccupazioni di popolazioni e governi di gran parte del mondo. Non vi è giorno in cui non si commentano sui mezzi d’informazione le gravi conseguenze del riscaldamento globale dovuto all’azione antropica e i problemi connessi alla disponibilità e al costo delle materie prime necessarie alla produzione di energia. Ça va sans dire, le due questioni sono strettamente connesse.
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La fusione nucleare alla luce dei nuovi progressi tecnologici
L’aumento della temperatura media sulla superficie del nostro pianeta, chiaramente registrato nel corso degli ultimi 100 anni, è principalmente dovuto all’immissione di gas serra in atmosfera conseguente alla combustione di carbone, petrolio e gas naturale. È evidente che in base al nostro attuale modello di sviluppo, l’evoluzione dell’umanità non può fare a meno di adeguate risorse energetiche. Inoltre, la crescita della popolazione globale implica un aumento della richiesta di energia a costi sostenibili, e la crescente diffusione di tecnologia e lo sviluppo industriale implicano anch’essiuna crescitadel fabbisogno energetico. L’attuale sistema globale di approvvigionamento energetico ha due grandi limiti: la produzione di energia da combustibili fossili ha un impatto decisivo sull’ambiente e il loro ritmo di rinnovo è enormemente inferiore a quello del consumo. In altre parole, stiamo immettendo in atmosfera, in poche decine di anni, quantità di carbonio sequestrate nel sottosuolo da milioni di anni. Tutte le prospettive economiche mostrano che i bisogni energetici continueranno ad aumentare per due motivi principali: l’aumento della popolazione mondiale, che è attesa raggiungere 10 miliardi di persone intorno alla metà di questo secolo,e quello dei bisogni energetici dei paesi in via di sviluppo, le cui popolazioni reclamano, giustamente, condizioni di vita migliori e in linea con i paesi più sviluppati. Stiamo correndo come un treno a tutta velocità contro un muro e ne siamo consapevoli, ma non sappiamo se e come è possibile fermarsi o abbattere il muro. Che fare?
Consumo globale di energia in base alla fonte.
È certamente importante perseguire una politica di maggiore utilizzo di fonti rinnovabili di energia (eolica, solare e idrica). Tuttavia, è necessario osservare che tali fonti, al momento, contribuiscono al consumo energetico primario su scala globale per un ammontare pari acirca il 10%, peraltro largamente grazie all’idrico, che non può essere sfruttato oltre certi limiti, e in minima parte all’eolico e al solare (pochi percento), a fronte di un consumo complessivo che nel 2021 ha ecceduto i 170 PWh (170 milioni di milardi di wattora) e che è più che raddoppiato negli ultimi 50 anni (si veda Fig. 1). In altre parole, ammesso e non concesso che sia tecnicamente possibile ed economicamente sostenibile, e non considerando i necessari stravolgimenti della superficie del pianeta, è del tutto utopistico pensare di rimpiazzare completamente la produzione da combustibili fossili con quella da fonti rinnovabili. Manca però all’appello un’ulteriore fonte di energia: quella nucleare.
Come ben noto, esistono due possibili meccanismi per la produzione di energia nucleare, da fissione di nuclei pesanti e da fusione di nuclei leggeri. Reattori a fissione nucleare controllata sono relativamente facili da costruire ed in effetti sono in produzione da svariati decenni in tutto il mondo. La fissione nucleare presenta generalmente due problemi che ne hanno limitato la diffusione in alcuni paesi come il nostro: la produzione abbondante di combustibile esausto radioattivo, con tempi di decadimento dell’ordine delle decine o centinaia di migliaia di anni, che necessita di stoccaggio in depositi geologici a tempo praticamente indeterminato, e la possibilità, per quanto piccola non nulla, di incidenti che possano rilasciare nell’ambiente pericolosi radionuclidi. La percezione della pericolosità dei reattori a fissione da parte dell’opinione pubblica è peraltro poco aderente alla realtà dei fatti, legata nell’immaginario collettivo alla letalità degli armamenti nucleari e all’incidente di Chernobyl, che si stima abbia causato nel complesso circa 400 decessi. Quasi tutti ignorano ad esempio che la percentuale di decessi dovuti ad effetti diretti e indiretti (incidenti e inquinamento) della produzione di energia nucleare a fissione per unità di energia prodotta è dell’ordine di mille volte inferiore a quella di decessi dovuti alla produzione di energia con combustibili fossili. In termini assoluti si stima per difetto che a causa dell’uso di combustibili fossili circa 2,5 milioni di persone perdano la vita nel mondo ogni anno; questo numero scenderebbe a circa 5000 unità se tutta la produzione attuale fosse realizzata mediante reattori a fissione. Ciò detto, il problema dello stoccaggio delle scorie è comunque reale e di difficile soluzione, sebbene esistano proposte, come quella basata sul processo di trasmutazione all’interno di reattori sottocritici guidati da acceleratori, per diminuire di molti ordini di grandezza i tempi di smaltimento.
Veniamo allora a quello che è da molti considerato il Sacro Graal della produzione di energia: la fusione nucleare. Si sente spesso affermare che la fusione nucleare risolverebbe tutti i problemi che abbiamo di fronte: capacità di produzione virtualmente illimitata a basso costo e nessuna scoria radioattiva. Ma è proprio così? Cerchiamo di capirlo. Il modo più semplice di realizzare un processo di fusione nucleare è quello di fondere un nucleo di deuterio (composto da un protone ed un neutrone) con un nucleo di trizio (un protone e due neutroni). Nel processo di fusione di un nucleo di deuterio e uno di trizio si genera un nucleo di elio-4 (due protoni e due neutroni) con il rilascio di un neutrone e di una notevole quantità di energia. L’elio è un gas inerte di alcuna pericolosità, tanto che è possibile usarlo per gonfiare palloncini per bambini. I neutroni invece hanno una loro pericolosità e torneremo su questo aspetto fra un po’. Uno straordinario problema fisico e ingegneristico per realizzare la produzione controllata di energia da una reazione di fusione nucleare consiste nel fatto che, essendo i nuclei di deuterio e trizio carichi positivamente, questi tendono a respingersi e a mantenersi quindi ad una certa distanza tra loro, impedendo alla forza nucleare forte (che è preponderante a distanze dell’ordine del milionesimo di miliardesimo di metro) di entrare in funzione per effettuare la fusione dei nuclei e il conseguente rilascio di energia. Per questo motivo è necessario fornire ai due nuclei una grande energia cinetica in grado di vincere la repulsione elettrostatica e avvicinarli sufficientemente. In altre parole, è necessario che il plasma di deuterio e trizio venga condotto a temperature elevatissime, dell’ordine del centinaio di milioni di gradi. Il problema è che non può esistere alcun materiale in grado di contenere una massa calda con una temperatura superiore a poche migliaia di gradi. Il plasma alle temperature di fusione non può quindi essere contenuto all’interno di un qualunque contenitore. Già da molti decenni si è però capito che esistono almeno due approcci per consentire una reazione di fusione controllata senza bisogno che il plasma entri in contatto con le pareti di un contenitore. Le due modalità prendono il nome di fusione a confinamento magnetico e fusione inerziale.
LA PIÙ ACCURATA MAPPA VULCANICA DEL SATELLITE GIOVIANO IO
In una qualunque notte serena e lontana dalle luci delle città, con lo scorrere delle ore potremmo contare fino a circa 3000 astri. Un numero davvero alto, eppure solo meno dell’1% di essi è in grado di mostrare già ad occhio nudo leggere sfumature cromatiche, perché tutti gli altri appaiono invece incolori o grigiastri. È fin dagli albori dei tempi tuttavia che le tenui tracce colorate di questa manciata di oggetti – solitamente luminosi e rossastri – hanno saputo cogliere l’attenzione dell’uomo ed influenzare la sua storia!
L’infernale luna Io (la più interna fra quelle regolari del sistema gioviano) è il corpo vulcanicamente più attivo dell’intero Sistema solare. Un recente articolo pubblicato sulla rivista Geophysical Research Letters (GRL) fa nuova luce sulle proprietà vulcaniche di questo satellite, in particolare grazie a nuovi dati raccolti da JIRAM (Jovian InfraRed Auroral Mapper), uno degli otto strumenti a bordo della sonda NASA Juno. Finanziato dall’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) e realizzato da Leonardo, lo strumento vede la responsabilità scientifica dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF). L’articolo delinea la mappa più recente della distribuzione degli hot spot (punti vulcanici caldi) di Io prodotta con dati JIRAM da remoto alla migliore scala spaziale attualmente disponibile. I ricercatori, guidati dall’INAF, sono riusciti a ottenere, inoltre, una migliore copertura delle regioni di Io prossime ai poli rispetto al passato.
Francesca Zambon, membro del gruppo JIRAM, ricercatrice dell’INAF di Roma e prima autrice dell’articolo pubblicato su GRL, spiega: “La mappa degli hot spot presentata nel nostro lavoro è la più aggiornata tra quelle basate su dati di telerilevamento spaziale. Analizzando le immagini infrarosse acquisite da JIRAM, abbiamo individuato 242 punti vulcanici caldi, di cui 23 non presenti in altri cataloghi e localizzati nella maggior parte dei casi nelle regioni polari, grazie alla peculiare orbita della sonda Juno”.
La ricercatrice sottolinea: “Il confronto tra il nostro studio e il catalogo più recente rivela che JIRAM ha osservato l’82% degli hot spot più potenti precedentemente individuati, e la metà degli hot spot di potenza intermedia, dimostrando quindi che questi sono ancora attivi. Tuttavia, JIRAM ha rilevato solo circa la metà degli hot spot più deboli precedentemente segnalati. Le spiegazioni sono due: o la risoluzione di JIRAM non è sufficiente per rilevare questi deboli punti caldi, oppure l’attività di questi centri effusivi potrebbe essersi sbiadita o interrotta”.
Examples of Io representative subset of JIRAM M filter “super images” for each orbit. The super images have been obtained averaging contiguous JIRAM acquisitions.
Quando la sonda spaziale NASA Voyager 1 avvicinò Io, il più interno dei satelliti galileiani di Giove, nel marzo 1979, le immagini inviate alla Terra rivelarono che la sua superficie appariva punteggiata da una moltitudine di centri vulcanici caldi, con imponenti colate laviche e pennacchi alti fino a qualche centinaio chilometri. In seguito, l’esplorazione condotta soprattutto dalla missione NASA Galileo chiarì che questi punti caldi sono moltissimi: alcune centinaia, molti dei quali con attività pressoché costante.
La luna Io mostra molti centri vulcanici, innescati principalmente dalle potenti forze mareali esercitate da Giove. Lo studio dell’attività vulcanica di questo satellite gioviano è la chiave per comprendere la natura dei suoi processi geologici e la sua evoluzione interna. La distribuzione degli hot spot e la loro variabilità spaziale e temporale sono importanti per definire le caratteristiche del riscaldamento delle maree e i meccanismi attraverso i quali il calore fuoriesce dall’interno.
Alessandro Mura, leader del gruppo JIRAM e ricercatore dell’INAF di Roma, prosegue: “Uno dei maggiori punti aperti nella comprensione della struttura interna di Io è se l’attività vulcanica osservabile in superficie sia dovuta a un oceano di magma globale presente nel mantello, oppure a camere magmatiche che si insinuano nella crosta a minori profondità. Le osservazioni di JIRAM sono tuttora in corso, e le future immagini a maggiore definizione saranno fondamentali per meglio evidenziare i punti caldi deboli e per chiarire la struttura interna di Io”.
Giuseppe Sindoni, responsabile del progetto JIRAM per l’ASI, aggiunge: “La superficie della luna gioviana Io è molto dinamica, con vulcani ed emissioni laviche in continua evoluzione, come dimostrato da questo importante risultato ottenuto dal nostro strumento JIRAM e dall’ottimo lavoro svolto dal team. L’estensione della missione Juno fino al 2025 ci permetterà di monitorare questa evoluzione e di comprendere meglio i processi fisici che guidano un corpo così complesso e dalle fattezze simili alla nostra Terra primordiale, anche in previsione di future missioni dedicate.”
La sonda Juno è stata lanciata ad agosto 2011 dalla base di Cape Canaveral ed è in orbita attorno a Giove dal luglio del 2016. Da allora ha percorso 235 milioni di chilometri. Juno è tuttora la sonda in orbita planetaria più distante della NASA, e continuerà le sue indagini sul pianeta più grande del Sistema solare fino a settembre 2025.
Alla fine dell’anno, il 30 dicembre 2023, durante la 57ma orbita attorno a Giove, la sonda Juno effettuerà il suo passaggio più ravvicinato in assoluto a Io, a una distanza minima di circa 4800 chilometri. Le missioni Europa Clipper della NASA e JUICE di ESA, che opereranno nel sistema di Giove negli anni 2030, non potranno mai avvicinarsi a simili distanze. Sarà quindi cruciale che Juno possa condurre osservazioni anche con JIRAM durante tutte le prossime opportunità previste nel 2023.
In alto: insieme di figure chiamate “super immagini”, ottenute calcolando la media di più osservazioni Jiram acquisite in un lasso di tempo di pochi minuti. Questo approccio riduce la possibilità di falsi positivi. Le immagini ritraggono gli hot spot di Io nel corso degli anni. Crediti: F. Zambon et al. / Geophysical Research Letters
La cometa che sta facendo parlare di se come la cometa di Neanderthal, ecco come seguirla per i prossimi giorni e cos’ha di veramente speciale.
La cometa C3/2022 E3 ZTF che tanto è stata annunciata e tanto si è fatta attendere è finalmente al perigeo, minima distanza dal Sole ma con l’aiuto delle indicazioni del nostro Claudio Pra riepiloghiamo dove scorgerla e come meglio muoversi per non rimanere delusi.
Ultima settimana di Gennaio
La C/2022 E3 ZTF passata al perielio il 12 gennaio, transitando a 1,11 U.A. dalla nostra stella, raggiungendo una luminosità pari a 6.1. Dalla Corona Boreale l’ ”astro chiamato” si dirigerà verso nord, terminando la sua corsa mensile nella Giraffa, “percorrendo circa 70°in cielo! In questa ultima decade del mese risulterà circumpolare per tutta la penisola (da metà dicembre lo era stata già per l’Italia settentrionale). F Nella nottata del 23 gennaio cometa transiterà a circa un grado da NGC 5907, una galassia a spirale vista di taglio di mag. 10,3.
Il percorso compiuto dalla cometa nel mese di Gennaio 2023
Prima settimana di Febbraio
Il primo giorno di febbraio l’”astro chiomato” raggiungerà la minima distanza dalla Terra, transitando a circa 42 milioni di km. dal nostro pianeta. Fare previsioni sulla luminosità di una cometa, specialmente sul suo picco luminoso, è esercizio assai ardito perché pochissimo si conosce sulle caratteristiche del nucleo e si sono già riscontrate strane reazioni al passaggio vicino al Sole. Per la E3 ZTF il range va da una sufficiente sesta magnitudine ad una ben più appetibile quarta grandezza, che darebbe la possibilità di percepire l’oggetto ad occhio nudo. Tutti ci auguriamo un bellissimo spettacolo celeste che comunque, sotto cieli bui, sarà garantito anche nel caso la luminosità non arrivasse ai valori più ottimistici. A fare la differenza è il cielo sotto il quale si osserva che, se invaso dall’inquinamento luminoso, rende “insignificanti” anche comete di sesta magnitudine che invece il cielo buio esalta. Il consiglio è quindi di cercare un sito adatto, pena rimanere delusi anche da questa apparizione. La cometa, proprio nei primi giorni del mese, sarà in condizioni ottimali, altissima in cielo già dopo cena, inizialmente nella Giraffa ma in veloce spostamento verso l’Auriga e successivamente nel Toro. Con il plenilunio che si verificherà il giorno 5, nei giorni più attesi occorrerà però obbligatoriamente osservarla a ridosso dell’alba per evitare il disturbo lunare. Nella nottata del 6 febbraio la cometa transiterà a circa 1,5° dalla luminosa stella Alfa dell’Auriga Capella, mentre nella serata del 10 incontrerà Marte sfilando a poco più di un grado dal Pianeta Rosso. La serie si chiuderà la sera del 14 con il passaggio a circa 1,5°da Aldebaran, l’occhio rosso del Toro.
Il percorso della cometa nel mese di Febbraio 2023
Curiosità sulla cometa C/2022 E3 ZTF
Il nome non è certo dei più simpatici, come spesso accade per gli oggetti scoperti da zelanti astronomi o appassionati, non è però espressione di poca fantasia quanto la necessità, al di là dell’interesse suscitato, di catalogare ogni oggetto celeste in modo che risulti poi negli annuali come facile da rintracciare. Tutte le lettere ed i numeri del nome hanno quindi un significato:
C –> non periodica, la cometa quindi torna a farci visita (forse) ogni lasso di tempo superiore a 200 anni almeno
2022 –> anno in cui è stata scoperta
E –> mese in cui è stata scoperta Marzo
3 –> il terzo oggetto di quel mese
ZTF –> è la sigla dell’osservatorio che l’ha individuata nello specifico Zwicky Transient Facility
oggi la cometa, che sembra avere un periodo (quanto tempo trascorre da un passaggio ravvicinato alla Terra e il successivo) di quasi 50.000 anni viene più facilmente etichettata come Cometa di Neanderthal supponendo che proprio gli individui di questa specie siano stati gli ultimi a vederla. Il calcolo sembra essere congruo tuttavia abbiamo davvero pochi elementi per dare per certa questa notizia. Il fatto scientificamente interessante invece è la rottura della coda che l’ha letteralmente divisa in due tronconi visibili anche negli scatti amatoriali. Le cause in questi casi sono incerte ma, dalle nozioni acquisite sulle strutture delle Comete, la rottura, o l’apparente tale, potrebbe essere dovuta all’espulsione di una massa dalla corona sottoposta a notevoli pressioni dal vento solare durante il suo avvicinamento. Un fatto non nuovo a cui siamo oramai abituati, basti ricordare la cometa Encke del 2007 e la Leonard del 2021.
La rubrica dedicata alle Comete è a cura di Claudio Pra e pubblicata nella sezione “il Cielo del Mese”
In una qualunque notte serena e lontana dalle luci delle città, con lo scorrere delle ore potremmo contare fino a circa 3000 astri. Un numero davvero alto, eppure solo meno dell’1% di essi è in grado di mostrare già ad occhio nudo leggere sfumature cromatiche, perché tutti gli altri appaiono invece incolori o grigiastri. È fin dagli albori dei tempi tuttavia che le tenui tracce colorate di questa manciata di oggetti – solitamente luminosi e rossastri – hanno saputo cogliere l’attenzione dell’uomo ed influenzare la sua storia!
Figura1: Orione, Toro e Cane Maggiore ripresi scuotendo uno Huawei P30 pro. ISO5000 – 5s – F1.6, – 2 gennaio 2022 Parco Nazionale del Pollino.
È proprio per il loro colore infatti se il Pianeta Rosso e la stella Antares sembravano interpretare rispettivamente il dio della guerra ed il suo mitologico rivale; ed è ancora per la loro sfumatura rossastra se gli indigeni australiani riconoscevano in Betelgeuse ed Aldebaran due magici fuochi pulsanti; ed è ancora per il giallastro-arancione della sua luce se gli indigeni americani riconoscevano in Arturo gli occhi di quell’allocco che ogni primavera si metteva a caccia della Grande Orsa appena ri-sorta dal letargo.
Poche e tenui sfumature insomma, che tuttavia sapevano e sanno essere il sufficiente indizio di quanto sia potenzialmente visibile in tutte le altre stelle del cielo, facendo quindi pregustare quanto la volta celeste – per il numero degli astri che contiene – sia un vero tripudio di colori.
L’Albero delle Stelle
Attraverso uno strumento astronomico non solo si percepisce il colore di un maggior numero di astri, ma c’è anche la possibilità di ammirarli contemporaneamente nel campo dell’oculare. Ed allora, armato di un dobson da 30 cm di diametro, circa 10 anni fa ho cominciato a cercare tutti quegli angoli della volta celeste in cui fossero nascoste le stelle più colorate del cielo. E così, di anno in anno, selezionando le doppie e le carbon stars dalle sfumature più intense, mi sono imbattuto nei colori di coppie e tripletti stellari meravigliosamente visibili uno accanto all’altro e talvolta non catalogati da nessuna altra parte.
Figura2: Paolo Palma col suo telescopio dobson da 18” – gioco prospettico.
Da buon visualista, potendo semplicemente raccontare a parole quanto osservavo, un po’ come si faceva nell’800 con l’esempio delle pietre preziose, dei metalli e dei frutti, mi è piaciuto paragonare questi colori a quelli visibili nelle foglie che ammiravo nel periodo autunnale. Per cui, la collezione ottenuta, non potevo che definirla L’Albero delle stelle, l’elenco degli astri più colorati del cielo.
Col passare del tempo ho cominciato ad immortalare queste sfumature con un semplice smartphone avvicinato al telescopio e nella speranza di ottenere il risultato “migliore”, più cercavo di stare fermo, più mi accorgevo che i colori erano più evidenti proprio nelle foto mosse, con gli astri scossi, esattamente come da anni insomma, scuotendoli con piccoli colpi al telescopio, suggerivo di fare per meglio notarli nell’osservazione visuale.
Utilizzare questa tecnica visuale in ambito fotografico sembrava inizialmente un vero azzardo, almeno fino a quando non sono venuto a conoscenza del poeta Filippo Zamboni. Egli infatti già alla fine del 1800, con la suggestiva definizione di Danza delle Stelle, fece dell’osservazione dei colori degli astri col il binocolo scosso un vero e proprio manifesto poetico. Con lui questa via è improvvisamente diventata la strada migliore da percorrere, la tecnica giusta per immortalare i colori stellari e per descrivere l’esperienza che se ne può fare nell’osservazione visuale:
«Appuntate l’occhiale in quella plaga del cielo apparentemente più povera di stelle […] Fatelo tremolare in tutti i versi. Ecco una subita vita nella volta celeste; un’apparizione di mille stelle che tacevano, […] manifestando i loro colori».
Il binocolo scosso zamboniano
L’intensa interpretazione che Filippo Zamboni offre di questo gioco visuale infatti, mi ha convinto ed incoraggiato ad intraprendere la piccola impresa di fotografare sistematicamente tutti gli astri dell’Albero delle Stelle proprio facendoli danzare nel campo dell’oculare. Un gioco di colori che difficilmente qualcun altro potrà descrivere con maggior passione e fantasia di lui e di cui ora ho il bell’onore di mettere in scena sistematicamente con gli oltre 400 astri più colorati del cielo visibili dalle latitudini italiane:
«Le stelle aprendo ali di colori, […] fanno un mulinello variopinto, un gioco sorprendente, […] come uno spettro senza prisma; cinture di Venere […]onde, spire, serpeggiamenti, corone rotonde sottili e tremule, nodi e orbite di luce […,]spirali che anelano di ritornare stelle […], ellissi variamente fulgide che impazzano di piacere, ebbre di colori».
Artemis I rilancia la corsa alla Luna, ma in tutti gli anni trascorsi dalla prima missione di successo, l’umanità è riuscita a regolamentare l’utilizzo del suolo lunare? Lo abbiamo chiesto Antonino Salmeri, avvocato, esperto di Space Governance
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Come si gestiscono la Luna e le risorse spaziali?
Non vi è dubbio che la Luna costituisca una delle più importanti fonti di ispirazione nella storia dell’umanità. Fin dai primi albori della civiltà, gli esseri umani sono sempre stati affascinati e quasi magneticamente attratti dal nostro unico satellite naturale. Per millenni, storie e leggende da tutto il mondo hanno raccontato il sogno condiviso di poter raggiungere la luna. E poi un giorno d’estate del 1969 il modulo EAGLE della missione Apollo 11 ha raggiunto la superficie lunare e trasformato sogni e leggende in realtà. Gli storici primi passi di Neil Armstrong sul suolo lunare hanno condizionato per sempre la nostra concezione della Luna, da luogo mitologico a nuova frontiera dell’esplorazione umana. E come in tutti i luoghi di frontiera, anche sulla Luna è naturale e necessario domandarsi: quali sono le sue leggi, e chi la gestisce?
Date le sue implicazioni cruciali per il futuro dell’umanità, le indicazioni per la risposta a questa domanda sono state date in modo unanime dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ben prima che Armstrong raggiungesse la Luna “in pace e a nome di tutta l’umanità”. La storica frase incisa sulla placca depositata sul suolo lunare dall’equipaggio dell’Apollo 11 è infatti un’espressione densa di significato giuridico, basata sul principio fondamentale che l’esplorazione e l’uso dello spazio sono sanciti dal diritto internazionale quale “provincia di tutta l’umanità”.
📌📌In questo articolo andremo ad esplorare il regime giuridico che regolamenta le attività spaziali con particolare attenzione alla Luna e alle risorse spaziali.📌📌
Partiamo subito chiarendo che lo spazio non è affatto paragonabile al “selvaggio west”, come alcuni potrebbero essere portati a pensare. Tutte le attività spaziali sono regolamentate dal diritto internazionale spaziale ed in particolare dall’“Outer Space Treaty” (o più brevemente “OST”), il Trattato sullo Spazio Extra-Atmosferico che ne definisce i principi fondamentali. Secondo quanto disposto dall’Articolo I dell’OST:” tutti gli Stati sono liberi di esplorare ed utilizzare lo spazio, inclusa la Luna e gli altri corpi celesti,senza discriminazioni di alcun tipo, su base eguale ed in conformità al diritto internazionale. Al tempo stesso, l’esplorazione e l’uso dello spazio devono essere condotte per il bene e nell’interesse di tutti i Paesi, indipendentemente dal loro grado di sviluppo economico e/o scientifico. Per proteggere lo spazio e i corpi celesti quali luoghi di condivisione e cooperazione per tutta l’umanità “, l’Articolo II dell’OST stabilisce che essi non sono suscettibili di appropriazione pubblica o privata. Con riferimento specifico alla Luna e agli altri corpi celesti, l’Articolo IV del Trattato dispone inoltre che questi possano essere utilizzati esclusivamente per scopi pacifici, vietandone la militarizzazione e/o trasformazione in luoghi di conflitto armato. Per quanto riguarda gli astronauti, l’Articolo V OST li caratterizza quali inviati di tutta l’umanità, imponendo su tutti gli Stati il dovere di assisterli in caso di emergenza. Allo scopo di assicurare il rispetto del diritto internazionale, secondo l’Articolo VI del Trattato tutte le attività spaziali sono condotte sotto la responsabilità dello Stato di relativa nazionalità, che ha il dovere di autorizzare precedentemente e supervisionare continuativamente quelle condotte dai privati. Al fine di distribuire gli alti rischi comportati dalle attività spaziali, l’Articolo VII OST inoltre dispone che ogni Stato che lanci o contratti il lancio di oggetti spaziali debba rispondere oggettivamente ed illimitatamente per tutti i danni cagionati dagli stessi.[1] Per incentivare trasparenza e responsabilità, l’Articolo VIII del Trattato stabilisce che lo Stato di lancio mantenga la giurisdizione ed il controllo su ogni oggetto spaziale immatricolato all’interno di un apposito registro nazionale.[2]
Sessione Plenaria del COPUOS nel Giugno 2022
In ragione dello status giuridico dello spazio quale bene condiviso da tutta l’umanità, l’Articolo IX OST dispone che le attività spaziali debbano essere guidate dai principi di cooperazione e mutua assistenza e condotte col dovuto riguardo ai corrispettivi interessi di tutti gli Stati. Questo principio, meglio noto come “due regard”, ossia “dovuto riguardo” limita significativamente la libertà di esplorazione ed utilizzo dello spazio vietando comportamenti monopolisti o comunque autoreferenziali. Per il medesimo ordine di ragioni, lo stesso Articolo IX OST stabilisce inoltre che ove uno Stato abbia ragione di ritenere che le sue attività spaziali possano interferire con quelle degli altri, gli è fatto obbligo di condurre appropriate consultazioni internazionali prima di procedere. Per assicurare la più ampia cooperazione e trasparenza nell’esplorazione ed utilizzo dello spazio, l’Articolo XI OST prevede che gli Stati consentano a condividere informazioni su natura, luoghi, modalità e risultati delle proprie attività spaziali, mentre l’Articolo XII OST dispone che tutte le basi e gli oggetti sulla Luna e sui corpi celesti siano visitabili da parte di appositi rappresentanti su base di reciprocità. Per concludere, è opportuno precisare che i principi brevemente richiamati in questo paragrafo hanno lo status di consuetudini istantanee ed internazionalmente riconosciute, formalizzate già nel 1959 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite e successivamente enunciate nel 1967 con la stipula dell’OST. Ciò significa che sono in vigore da sempre e si applicano a tutti gli Stati del mondo comunque formati, passati, presenti e futuri.
[1]La responsabilità finanziaria per danni cagionati a seguito di incidenti verificatisi nello spazio extra-atmosferico è stata successivamente temperatadalla Convenzione sulla Responsabilità Finanziaria (conosciuta come Liability Convention).
[2]L’immatricolazione degli oggetti lanciati nello spazio è stata successivamente trasformata in obbligo dalla Convenzione sull’Immatricolazione degli oggetti spaziali.
Una targa commemorativa che celebra la scoperta delle lune di Giove da parte di Galileo è stata svelata sul Jupiter Icy Moons Explorer dell’ESA, Juice. Il veicolo spaziale ha appena completato i test finali prima di partire da Tolosa, in Francia, per lo spazioporto europeo per il conto alla rovescia fino al lancio di aprile.
Come parte degli ultimi preparativi, sulla navicella spaziale è stata montata una targa commemorativa come tributo all’astronomo italiano Galileo Galilei, che fu il primo a vedere Giove e le sue quattro lune più grandi attraverso un telescopio nel gennaio 1610. Un’osservazione che inflisse il colpo definitivo alla teoria geocentrica. Le lune – Io, Europa, Ganimede e Callisto – sarebbero diventate note collettivamente come i satelliti galileiani in suo onore.
La targa, che riproduce le diverse pagine del Sidereus Nuncius di Galileo in cui descrisse le sue osservazioni delle lune, è stata svelata all’Airbus Toulouse il 20 gennaio. Dopo l’evento, il veicolo spaziale sarà imballato per il suo volo transatlantico verso la Guyana francese, dove sarà pronto per il lancio su un Ariane 5 dallo spazioporto europeo.
“Svelare la targa è stato un momento intenso nel cammino di preparazione del veicolo spaziale per il lancio”, afferma Giuseppe Sarri, project manager Juice dell’ESA. “Non è solo un’opportunità per fare una pausa e riflettere sul duro lavoro decennale che è stato dedicato all’ideazione, alla costruzione e al collaudo del veicolo spaziale, ma anche per celebrare la curiosità e la meraviglia di tutti coloro che mirando Giove nel cielo notturno hanno meditato sulle nostre origini – l’ispirazione alla base della missione.
La targa presenta immagini delle prime osservazioni di Giove e delle sue lune da parte di Galileo Galilei da una copia del Sidereus Nuncius conservata nella biblioteca del Museo Astronomico e Copernicano, presso la sede dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) a Roma , Italia. La copia è una delle prime 550 mai stampate nel 1610 a Venezia.
Rispondere alle grandi domande dell’umanità
Tre delle lune più grandi di Giove – Europa, Ganimede e Callisto – contengono grandi quantità di acqua sepolta sotto la superficie in volumi molto maggiori di quelli degli oceani terrestri. Queste lune delle dimensioni di un pianeta sono tentazioni allettanti nella ricerca delle condizioni ideali per la vita anche molto diverse da quelle presenti sul nostro magnifico pallino blu. Giove e la sua famiglia di grandi lune rappresentano un archetipo per i sistemi di pianeti gassosi giganti in tutto l’Universo e come tali sono alcune delle destinazioni più avvincenti del nostro Sistema Solare.
L’ESA e i suoi partner internazionali sono quasi pronti a inviare Juice verso lo studio di questo affascinante pianeta e le sue intriganti lune. Con la sua suite di potenti strumenti, Juice vedrà Giove e le sue lune in un modo che Galileo non avrebbe nemmeno potuto sognare. I dati restituiti dal veicolo spaziale serviranno alle molte generazioni future di scienziati determinati a scoprire i misteri del sistema gioviano e il suo posto nell’evoluzione del nostro Sistema Solare.
“Con l’avvicinarsi della partenza di Juice per il sito di lancio, ricordiamo il suo lungo viaggio terrestre attraverso vari siti Airbus in Europa verso l’integrazione finale e gli oltre 500 dipendenti Airbus che hanno preparato il veicolo spaziale per la sua crociera di otto anni”, afferma Cyril Cavel, Juice Project Manager presso Airbus Defence and Space. “È stata un’avventura incredibile, insieme a più di 80 aziende in tutta Europa, dare vita alla visione dell’ESA e, infine, studiare a fondo Giove e le sue lune ghiacciate.
Un trio di pietre miliari
Tre importanti traguardi sono stati raggiunti solo nelle ultime settimane. A dicembre il veicolo spaziale ha completato un ultimo test di vuoto termico necessario per confermare che è pronto per le rigide temperature inflitte dall’ambiente spaziale.
La scorsa settimana un ultimo “test di convalida del sistema” ha visto il veicolo spaziale – fermo a Tolosa – “collegato” al controllo della missione presso lo Space Operations Center (ESOC) dell’ESA a Darmstadt, in Germania, per simulare le prime attività dopo il lancio quando i vari array di Juice esploderanno e le appendici si svilupperanno, con la versione finale del software di volo.
Infine, e in modo più critico, il 18 gennaio la revisione della qualificazione e dell’accettazione ha confermato la disponibilità ad andare avanti con i preparativi per il lancio allo spazioporto.
Juice decollerà su un Ariane 5 ad aprile, l’ultima missione ESA a volare su questo lanciatore prima che Ariane 6 prenda il sopravvento.
Tutto quello che volete sapere sulla missione Juice è pubblicato nel prossimo numero di Coelum Astronomia, leggi l’anteprima QUI
Alla fine del 1800 Pierre Simon Laplace pubblicò un libro sulla meccanica celeste, forse per la prima volta in assoluto, riportando uno studio sulla correlazione dei periodi di rivoluzione dei 3 satelliti galileiani di Giove, Io, Europa e Ganimede. I suoi calcoli precisi l’avevano guidato fino a scoprire che i rapporti dei loro periodi orbitali sono esprimibili in numeri interi piccoli, cioè sono in risonanza orbitale 1:2:4 (Ganimede, Europa, Io). Questa peculiarità dell’interazione orbitale tra 3 e più corpi viene definita ora Risonanza di Laplace.
Nel 2007 l’ESA selezionò 3 missioni per una fase di studio nell’ambito di Cosmic Vision 2015-2025, che avrebbe portato alla selezione della prima Large mission. Una di queste 3 venne chiamata EJSM-Laplace (Europa Jupiter System Mission) e aveva come obiettivo l’esplorazione del sistema gioviano, con particolare enfasi per i satelliti galileiani. Nel 2008 lo studio preliminare iniziò dall’ipotesi che fosse costituita da due satelliti il Jupiter GanymedeOrbiter (JGO), progettato e realizzato dall’ESA, e il Jupiter Europa Orbiter (JEO), progettato e realizzato dalla NASA sugellando una stretta collaborazione tra le due agenzie spaziali.
Europa è il secondo satellite galileiano, in ordine di distanza dal pianeta, ed essendo più vicino a Giove, e soprattutto a Io, è soggetto ad un forte bombardamento di fotoni, elettroni, protoni ed atomi ionizzati. Un ambiente molto ostile per qualiasi strumento e sotto-sistema ottico ed elettronico costringendo ad uno sforzo tecnologico irraggiungibile per l’ESA e i paesi Europei, la NASA perciò se ne è assunse la responsabilità. Per compredere un po’ meglio l’ambiente di cui stiamo parlando è sufficiente sapere che per la progettazione degli strumenti bisognava assumere come postulato la necessità di assorbire una dose di radiazione alcune volte superiore a quella prevista per un satellite in orbita attorno a Mercurio, il pianeta più vicino al Sole. Non stiamo parlando infatti solo di fotoni, ma di particelle cariche, quindi molto più massicce, dovute al toro di plasma che circonda Giove, in corrispondenza dell’orbita di Io, che influenza anche Europa.
Purtroppo nel 2011 la NASA ha cancellato il progetto JEO e di conseguenza si è interrotta anche la collaborazione con l’ESA per l’esplorazione del sistema gioviano, mentre qualche anno dopo è emerso un nuovostudio per un orbiter attorno ad Europa, Europa Clipper, che ora è diventata una flagshipe e verrà lanciata nel 2024.
Continua..
Astrobiologia su Europa di John R. Brucato
Sono trascorsi più di 400 anni da quando Galileo Galilei scopri Europa insieme agli altri satelliti gioviani, ma dopo tutto questo tempo, lavorare oggi all’Osservatorio Astrofisico di Arcetri, distante poche centinaia di metri dalla Villa il Gioiello dove Galileo trascorse i suoi ultimi anni di vita e studiare questo incredibile satellite, fa un certo effetto. Si perché Europa è un corpo davvero speciale. Già negli anni sessanta, attraverso osservazioni con i telescopi a terra, si conosceva che Europa è ricoperto da acqua ghiacciata. In seguito, negli anni ’70 Europa è stato visitato dalle sonde Pioneer 10 e 11, ma i dettagli più significativi sono stati forniti nel 1979 dalle due sonde Voyager 1 e 2 che mostrarono una superficie molto brillante e rugosa, attraversata da profonde fratture. La cosa più sorprendente che i ricercatori osservarono fu la presenza di grandi blocchi di ghiaccio frammentati e ruotati in varie direzioni disposti in modo che le striature presenti sulla loro superficie potessero combaciare l’una all’altra come pezzi di un puzzle. Blocchi di ghiaccio frammentati con profonde crepe e mossi nel tempo, come se fluttuassero su una superficie mobile. Altra grande sorpresa è stata l’assenza di crateri da impatto. Quasi tutti i corpi del Sistema Solare hanno avuto un passato difficile, con superfici continuamente bombardate da asteroidi e comete. L’assenza, tranne alcuni sporadici casi, di crateri su Europa dimostra che è un corpo, come si usa dire, giovane, sebbene comunque formato agli albori del Sistema Solare, ovvero ha una superficie che si rinnova continuamente, cancellando i segni lasciati dagli impatti. Un po’ come il nostro pianeta Terra. È molto raro, infatti, trovare crateri da impatto sulla superficie terrestre, perché il nostro è un pianeta geologicamente attivo con una crosta in continuo movimento in grado di cancellare le tracce del passato.
Sezione di Europa in cui è mostrato l’oceano di acqua liquida presente sotto la crosta ghiacciata e a contatto con un mantello di silicati. Credito: NASA/JPL-Caltech
Tali scoperte anticiparono quella che fino ai nostri giorni è stata la missione spaziale che ha fornito i migliori risultati, il cui nome non poteva che celebrare il grande scienziato, si tratta della missione della NASA Galileo lanciata dallo Space Shuttle Atlantis nel 1989 e giunta a destinazione nel 1995. Mentre le precedenti missioni Pioneer e Voyager avevano osservato Europa solo in un loro cosiddetto fly-by ovvero in un veloce passaggio ravvicinato durante il loro lungo viaggio verso i confini del Sistema Solare, la missione Galileo orbitò attorno al satellite per ben 12 volte, fornendo immagini molto dettagliate della superficie e misure del campo magnetico. Gli strumenti a bordo della missione produssero anche mappe accurate della composizione dei ghiacci che costituiscono la superficie della luna. Le bande di assorbimento osservate negli spettri dello strumento NIMS (Near Infrared Mapping Spectrometer) hanno permesso di identificare la presenza di minerali salini idrati, di solfati e di carbonati associati alle fratture presenti sulla superficie e ai terreni più giovani. Dati importanti da cui deriva la scoperta più eclatante:sotto la superficie ghiacciata di Europa esiste un oceano di acqua liquida salata.
Continua..
LA VARIABILITÀ GEOLOGICA DEI SATELLITI GALILEIANI, DAI VULCANI ATTIVI AGLI OCEANI SEPOLTI di Lucia Marinangeli
Io, Europa, Ganimede e Callisto sono le quattro maggiori lune di Giove (fig. 1),osservate per la prima volta da Galileo Galilei nel 1610 e per questo chiamati satelliti galileiani. Presentano un’incredibile varietà geologica individuata fin dalle prime immagini delle sonde NASA negli anni ’70, quando venne fotografata sul satellite Io, la prima attività vulcanica extraterrestre (fig. 2). La gigantesca forza di gravità di Giove produce delle forze di marea che innescano sviluppo di calore all’interno del satellite a causa della dissipazione dell’energia prodotta dalla risonanza mareale, provocando il cosiddetto riscaldamento mareale. Lo sviluppo di calore interno dei satelliti galileiani è quindi diverso da quello della Terra dove è generato dal decadimento radioattivo. Uno studio recente evidenzia che l’interazione gravitazionale tra le lune non è trascurabile e può amplificare il riscaldamento mareale. Tale effetto dipende anche dallo spessore dello strato fluido (magma o oceano) all’interno del satellite ipotizzato nelle modellizzazioni come variabile da alcuni km a centinaia di km. L’incertezza nella definizione della struttura interna di questi corpi resta ancora una grande incognita e potrà essere migliorata dai dati delle prossime missioni così da arrivare a definire correttamente le dinamiche interne che guidano l’attività geologica di superficie. La maggior parte delle interpretazioni geologiche per queste lune si basa sui dati della missione Galileo negli anni ’90.
Figura 1. Giove e le sue lune riprese dalla sonda Galileo. Dall’alto verso il basso, rispecchiando la distanza dal pianeta, abbiamo: Io, Europa, Ganimede e Callisto. Credits NASA
Il satellite Io, di poco più grande della nostra Luna, è il più vicino a Giove e per questo risente maggiormente del riscaldamento mareale che alimenta un’intensa attività vulcanica (Fig. 2) caratterizzata da magmi molto ricchi di zolfo. Io è considerato il corpo planetario vulcanicamente più attivo dell’intero Sistema Solare[3] con centinaia di strutture vulcaniche suddivise in hot spot,aree di alta temperatura che indicano attività magmatica recente e le patere, caldere vulcaniche che in larga parte sono dormienti o estinte o attive negli ultimi milioni di anni. È stato stimato che l’attività vulcanica riuscirebbe a ricoprire la superficie di Io in pochi milioni di anni [4], quindi la maggior parte della storia geologica del satellite è stata sepolta da depositi vulcanici recenti o riciclata in nuovo magma.
FOTOGRAFIA DA AMBIENTE URBANO IN BANDA LARGA CON OTTICHE ULTRA VELOCI
Domiamo l’inquinamento luminoso col RASA 8.
Il RASA 8 di casa Celestron è un “piccolo” mostro aspira fotoni, non c’è dubbio. Una particolarità che può mettere in difficoltà quando si fotografa da ambiente urbano in presenza di inquinamento luminoso anche moderato, e ne parleremo proprio nelle prossime righe.
Dire “piccolo” mostro è un eufemismo ovviamente, perché il suo specchio primario da 200 mm ne fa uno strumento assolutamente nella media tra i diametri più usati dagli astrofotografi amatoriali. Per piccolo intendo più che altro “il più piccolo della linea RASA”: gli altri due modelli sono il RASA11” ( con specchio da 279 mm) ed il RASA14” (un VERO mostro con specchio da 355 mm). Tuttavia i soli 400 mm di focale del RASA 8” ne accorciano parecchio l’intubazione, rendendolo di fatto un astrografo* veramente compatto e leggero, utilissimo soprattutto per chi pratica fotografia astronomica itinerante: il peso contenuto (7,7 kg) permette di guidarlo con precisione anche con montature piccole e facilmente trasportabili e la sua velocità consente inoltre di usare la tecnica delle pose brevi, evitando di montare strumenti per l’autoguida, col vantaggio di ridurre ulteriormente i pesi.
Un astrografo è un telescopio progettato e costruito esclusivamente per l’astrofotografia
Quel che rende davvero performante questo strumento però è il suo rapporto di apertura, detto anche rapporto focale: per chi non lo sapesse esso si calcola dividendo la lunghezza focale dell’ottica per il suo diametro e rappresenta il cono di luce in ingresso. Per fare un’analogia si può pensare ad un imbuto: più il cono di luce è aperto e più i fotoni verranno catturati velocemente, riducendo drasticamente i tempi di scatto necessari. Nel caso del RASA8” si dirà quindi che il suo rapporto focale è di f2 (400mm/200mm=2): un obiettivo da 200mm che lavora ad f2 è estremamente performante. Per fare un esempio pratico dei suoi vantaggi si può dire che uno strumento del genere impiega 1/16 del tempo che impiegherebbe un rifrattore f8, il che significa che in un’ora di scatti si ottiene il medesimo di 16 ore per uno strumento con 800mm di focale ed un’apertura di 100mm. Niente male davvero. Prestazioni che si raggiungono con l’innovativo schema sviluppato dagli ottici Dave Rowe e Mark Ackermann (vedi il riquadro tecnico nella rivista per approfondire).
Per chi volesse fare delle prove e calcolare da se i tempi di esposizione equivalenti tra diversi strumenti è importante tener da conto della scala dei rapporti focali – la si trova facilmente online. Questa cresce di uno “stop” alla volta,così si chiamano gli intervalli tra un rapporto focale e l’altro. Tra uno stop e l’altro si deve raddoppiare il tempo di esposizione necessario per avere la stessa quantità di luce in ingresso: ad esempio 2 ore, 4 ore, 8 ore, 16 ore etc.
Fig. 1 – Una vista verso sud, in direzione dello Scorpione. Ci troviamo nelle campagne del Sinis in Sardegna, un’importante zona umida di interesse comunitario. Le luci provenienti dalla città rischiarano le particelle sospese nell’aria, creando un diffuso bagliore notturno.
L’unico problema di un rapporto focale come quello in esame, sempre se di problema si possa parlare, è che facendo fotografia astronomica da ambiente urbano lo strumento va saputo “domare”: oltre ai fotoni in arrivo dai soggetti astronomici del cielo profondo si catturerà anche molto velocemente l’inquinamento luminoso della nostra città, degradando pesantemente gli scatti. Quando Alessandro Bianconi (amico astrofilo e membro del G.Fas – Gruppo di Fotografia Astronomica della Sardegna) mi ha consegnato il suo RASA 8” per delle prove lo aveva già ottimizzato per usarlo in itinere da luoghi isolati e molto bui, zone della Sardegna selvaggia lontane dai centri abitati, per cui non aveva montato un filtro anti inquinamento luminoso.
Fig. 2 Il RASA 8” (solo tubo ottico)
Avrei potuto farlo io smontando la ghiera frontale del gruppo correttore in modo da avere accesso all’alloggiamento portafiltri, ma questo avrebbe potuto incidere sulla collimazione, che su uno strumento f2 è delicatissima: le tolleranze di precisione sono sull’ordine della frazione di millimetro con la conseguenza che le viti di regolazione sono delicatissime (metterci mano potrebbe portare via tempo e calma, quel che io non avevo, per cui ho deciso di lasciare tutto invariato).
Aumentiamo la difficoltà: telescopi vs ottiche fotografiche
di Cristian Fattinnanzi
Negli scorsi articoli di questa serie abbiamo visto come prendere confidenza con il cielo e come iniziare ad ottenere le prime immagini astronomiche con obiettivi fotografici tendenzialmente grandangolari. Il periodo di apprendimento delineato permette di iniziare a familiarizzare con tutte quelle problematiche tipiche della fotografia notturna e più nello specifico di quella astronomica.
Chi avrà messo in pratica quanto descritto si sarà reso conto di come il veder comparire sui nostri display soggetti come la striscia della Via Lattea, o la tipica forma di una costellazione o perché no un particolare allineamento planetario, restituisca una soddisfazione personale che raramente lascia indifferenti.
Abbiamo presentato sia le tecniche più semplici, con la sola fotocamera montata su un cavalletto, che quelle immediatamente più evolute, grazie all’utilizzo di un astroinseguitore per evitare il mosso dovuto alla rotazione terrestre.
Riprendendo il discorso, ricordiamo come il tracking messo a disposizione dagli astroinseguitori permetta di ottenere stelle puntiformianche allungando notevolmente i tempi di esposizione, con conseguenti risultati di elevata qualità grazie al fatto di non dover esasperare l’impostazione degli ISO della fotocamera.
Molti degli astroinseguitori in commercio permettono però di realizzare qualcosa oltre la semplice fotografia a largo campo con ottiche grandangolari, garantendo ottimi risultati con focali che possono raggiungere e superare abbastanza frequentemente anche i 300mm.
Questa caratteristica consente all’aspirante astrofotografo di cimentarsi in fotografie più specificatamente rivolte ai singoli oggetti del cielo profondo, abbandonando per forza di cose l’abbinamento al paesaggio terrestre dato che il campo inquadrato sarà molto ridotto rispetto a quando si usano focali sotto ai 50mm equivalente su full-frame.
Molti oggetti che sicuramente avremo identificato in scala piuttosto ridotta già nelle nostre foto grandangolari, attrarranno la nostra attenzione e ci invoglieranno a ritrarli con un ingrandimento ed una risoluzione maggiore.
Le Pleiadi con focale da 400 mm
Ciò si ottiene utilizzando obiettivi con lunghezze focali superiori a quelle che abbiamo descritto finora, nei limiti offerti dall’inseguimento tramite un astroinseguitore o di una piccola montatura motorizzata Non ci addentreremo per ora nelle più evolute tecniche di inseguimento con autoguida, che descriveremo più dettagliatamente in futuro.
Iniziamo ora con qualche informazione per scegliere in modo consapevole l’ottica più adatta alla nostra fotocamera,reflex o mirrorless, che abbia in ogni caso la possibilità di montare ottiche alternative a quella di serie. E’ bene sapere che il passo tra un teleobiettivo fotografico (con focale fissa o zoom) ed un piccolo telescopio spesso è molto breve e i confini vaghi, ma ognuno di questi strumenti ha dei pro e dei contro che sarà giusto analizzare.
Prima di tutto è fondamentale capire come quantificare tecnicamente l’ottica.
Oggi vediamo che fine ha fatto il rover cinese e continuiamo il racconto dei lavori di Perseverance. Si parte!
Asiatici su Marte
Zhurong è il nome del rover con cui la Cina, in combinazione con l’orbiter Tianwen-1, ha messo a segno una missione marziana che al primo tentativo ha incluso ben tre tipologie di “esploratori”: satellite, lander e rover. Manca ancora un aeromobile con capacità di volo attivo, ma il paese asiatico ha già iniziato a lavorarci sopra.
Per ragioni politiche, e forse anche culturali, le informazioni rese pubbliche dall’Agenzia Spaziale Cinese CNSA sono davvero pochissime. Diventa così molto difficile per chi prova a narrare i fatti ricostruire le operazioni in corso. È una situazione all’opposto dell’approccio seguito dalla NASA, che rende disponibile la totalità delle foto poche ore dopo il download e addirittura incoraggia i citizen scientist a eseguire elaborazioni personali a partire dai dati grezzi.
Un inedito per l’esplorazione planetaria: poche settimane dopo l’atterraggio Zhurong deposita al suolo una camera remota ed esegue questo splendido autoscatto. Crediti: CNSA
La missione di Zhurong, il cui nome si rifà alla divinità cinese della luce e del fuoco (elementi a cui anche la mitologia cinese non sorprendentemente associa il pianeta Marte), è iniziata il 14 maggio 2021. Grazie a varie camere fotografiche e un radar dedicato all’analisi del sottosuolo capace di penetrare sino a 100 metri di profondità, il rover ottiene significativi risultati dal punto di vista scientifico. Si sposta inoltre per un totale di 1921 metri dal suo sito di atterraggio localizzato a 25° di latitudine nord, nella regione Utopia Planitia,.
Superando abbondantemente i tre mesi di operatività che rappresentavano l’obiettivo minimo di missione, Zhurong ha continuato a lavorare e comunicare senza intoppi sino al 18 maggio dello scorso anno: quel giorno è stato deciso di fermare il rover in vista dell’inverno boreale.
Zhurong, come i rover statunitensi di stazza simile Spirit e Opportunity che l’hanno preceduto due decenni fa, ricava la totalità della sua alimentazione dall’energia solare. La bassa elevazione del Sole e le polveri che iniziavano a coprire i quattro pannelli del rover hanno obbligato i tecnici cinesi ad arrestare le operazioni e mettere Zhurong in ibernazione, così da ridurre al minimo il consumo di energia e preservare gli apparati più critici. Il più importante dei quali, ci è stato ricordato nei mesi scorsi con Insight e Ingenuity, sono le batterie.
Il risveglio del rover era previsto il 26 dicembre, giorno del solstizio di primavera, che avrebbe garantito al robot di trovarsi in condizioni energetiche più favorevoli.
Ma qualcosa non è andato come previsto.
Tutto tace
Due tecnici che lavorano alla missione, non autorizzati a rilasciare dichiarazioni e che per tale ragione hanno chiesto di restare anonimi, hanno spiegato al quotidiano South China Morning Post che Zhurong non ha risposto ai numerosi tentativi di contatto effettuati dal 26 dicembre al 6 gennaio, giorno in cui tale indiscrezione è trapelata alla stampa.
Per uscire automaticamente dalla modalità di ibernazione Zhurong è programmato per attendere che i pannelli producano almeno 140 W e che la temperatura sia maggiore di -15°C. È ragionevole ipotizzare una situazione in cui i pannelli del rover siano rimasti irrimediabilmente coperti dalla polvere e che in questi mesi siano stati impossibilitati a produrre la poca energia indispensabile per il mantenimento in salute degli apparati.
Vista del corpo principale del rover risalente ai Sol immediatamente successivi all’atterraggio. Svetta il braccio bianco sormontato dall’antenna orientabile ad alto guadagno, usata per comunicare direttamente con la Terra nel caso in cui l’orbiter non sia disponibile per fare da “ripetitore”. Crediti: CNSA
Grazie a delle audaci scelte progettuali Zhurong può muovere i propri pannelli solari per orientarli favorevolmente in direzione del Sole. Questa possibilità lo rende, grazie anche al particolare rivestimento antistatico che copre le superfici fotovoltaiche, il primo rover dotato di sistemi attivi per la rimozione della polvere. Nella mente dei progettisti una inclinazione sufficiente dei pannelli avrebbe consentito alla polvere di scivolare via, ma ironicamente questa funzionalità di movimentazione non era attivabile durante l’ibernazione…
Al momento l’agenzia spaziale cinese non ha rilasciato dichiarazioni sullo stato di Zhurong, perciò si attende ancora un comunicato ufficiale.
Nella prima settimana di gennaio si era diffusa la voce che anche Tianwen-1, l’orbiter che si interfaccia con il rover e che gestisce le comunicazioni verso la Terra, stesse manifestando dei problemi. Dall’ascolto delle comunicazioni in banda X a 7-8 GHz, criptate ma ricevibili da Terra anche con strumentazione amatoriale, era apparso che le due stazioni in Cina e in Argentina avessero difficoltà a stabilizzare il collegamento per la comunicazione con il satellite in orbita marziana.
In un primo momento si ipotizzava che questo intoppo fosse legato alle conseguenze dei test di aerofrenaggio che era previsto il satellite eseguisse a fine 2022 per maturare esperienza in vista di future missioni interplanetarie. Parliamo in particolare di Tianwen-3, la quale entro questo decennio potrebbe portare a Terra dei campioni di suolo marziano – potenzialmente prima dell’analoga missione NASA+ESA!
L’aerofrenaggio è un tipo di manovra che sfrutta i tenui strati atmosferici ad alta quota per rallentare un orbiter e abbassare così il suo apoapside (il punto di maggior distanza dell’orbita, che nel caso di Marte assume il nome specifico di apoareo).
Ma successive verifiche da parte di alcuni competenti appassionati hanno concluso che questi test non siano ancora avvenuti: dall’analisi del doppler shift si è notato che Tianwen-1 non ha variato la propria orbita come sarebbe stato atteso in conseguenza di una manovra di aerobraking.
Il doppler shift è un fenomeno ben noto ai radioamatori che tracciano i satelliti, ed è l’equivalente elettromagnetico del più noto effetto acustico. Nel caso di comunicazioni radio si presta attenzione al ciclico allontanamento e avvicinamento del satellite nel corso della sua orbita, con la frequenza ricevuta che varia leggermente a causa dello spostamento della stazione trasmittente rispetto alla stazione ricevente.
Altre fiale per Perseverance
Prosegue senza intoppi l’operazione di deposizione campioni del rover NASA.
A gennaio Perseverance ha abbandonato altre cinque fiale portando così a otto il numero di quelle che si trovano ora sulla sabbia rossa della località Three Forks.
L’ultima è stata rilasciata nel Sol 680 quando da noi era la mattina del 18 gennaio. Si tratta della fiala che contiene il campione denominato Skyland, prelevato dalla roccia Skinner Ridge e sigillato il 12 luglio dello scorso anno.
Continua idealmente anche la nostra sequenza di mosaici realizzati dalla camera Watson che inquadrai campioni sotto la plancia del rover pochi minuti dopo i rilasci.
Nel suo percorso programmato il rover continua ad allontanarsi dal luogo della deposizione della prima fiala che, sebbene sempre più piccola, continua a essere visibile nelle immagini ad alta risoluzione della Left NavCam.
Foto scattata nel Sol 670, dopo la deposizione della quinta fialaFoto del Sol 678 con la settima fiala in primo piano
In queste foto ho marcato la posizione di tutti i campioni visibili; aiutandosi con la mappa sottostante è possibile riuscire a seguire le tracce sulla sabbia e percorrere a ritroso buona parte della strada compiuta da Perseverance in questi ultimi quasi 30 Sol.
Crediti: NASA/JPL-Caltech
Ci sono due domande in particolare che vengono poste di frequente riguardo alle operazioni di deposizione dei campioni che stiamo seguendo.
La prima è “ma la sabbia non sommergerà le fiale?”.
La narrazione delle tempeste di sabbia su Marte e l’evidenza della polvere che si deposita sui pannelli solari dei robot può portarci a immaginare un pianeta molto dinamico, con devastanti bufere capaci di ridisegnare in breve tempo dune e paesaggi. Ma è uno scenario molto lontano dalla realtà, dove invece l’atmosfera marziana (densa meno di un centesimo di quella terrestre) smuove per la maggior parte solo le polveri più sottili. Una importante variabile è poi giocata dalla frequenza con cui si presentano i diavoli di sabbia, capaci di sollevare le polveri e dare un’utile ripulita alle superfici attraversate. Da questo punto di vista il cratere Jezero è un ambiente estremamente favorevole, come hanno dimostrato due anni di osservazioni condotte dal rover.
Il 20 luglio 2021 Perseverance documenta un’intera serie di diavoli di sabbia che attraversa la regione. Crediti: NASA/JPL-Caltech/SSI
Ma anche in regioni di Marte meno fortunate, come Elysium Planitia dove Insight ha operato sino al mese scorso, non si rischierebbe di perdere le fiale sotto la sabbia. A riprova di questo abbiamo quattro anni di documentazioni fotografiche da parte del lander, il quale impiegava strumenti depositati direttamente al suolo e sui quali in alcuni casi è stata intenzionalmente rovesciata della sabbia.
Insight: Sol 53 e Sol 1436. Crediti: NASA/JPL-Caltech
Naturalmente nella prima foto tutto sembra eccezionalmente pulito perché ci hanno pensato i motori stessi di Insight, durante l’atterraggio, a spazzare via molta della polvere presente.
Dal confronto di queste immagini, distanti tra loro 1384 giorni marziani, è evidente come i cavi piatti del sismometro nonché le piccole rocce circostanti siano certamente coperti da nuove polveri ma nulla che li renda irrintracciabili.
A questo bisogna aggiungere, nel caso di Perseverance, che la posizione delle fiale sarà nota con estrema precisione e anche nel caso in cui fossero coperte da un abbondante velo di sabbia i droni di recupero saranno pilotati senza problemi verso le posizioni corrette.
La seconda domanda che vedo posta con frequenza è “ma perché non lasciare tutti i campioni in un posto solo?”.
La spiegazione a questo è suggerita dal progetto dei due elicotteri che eseguiranno il prelievo dei contenitori. Si tratta di robot molto semplici, che rispetto a Ingenuity potranno contare anche su quattro ruote motorizzate e un braccio prensile a due “dita”.
Il video di un prototipo all’opera in condizioni di test è stato rilasciato di recente dalla compagnia AeroVironment, già realizzatrice di Ingenuity in collaborazione con il JPL.
Video Player
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L’obiettivo è far operare i due droni in condizioni che siano il più controllabili possibile. Questo richiede un terreno completamente pianeggiante e privo di ostacoli, con una singola fiala comodamente coricata sul fianco e adeguato spazio libero attorno per le manovre. In questo senso rilasciare i contenitori tutti insieme, magari anche con la possibilità di accavallamenti, sarebbe stato un rischio molto grande per la missione.
Ogni fiala sarà distante almeno 5 metri dalle altre, dando agli elicotteri sufficiente spazio per eseguire l’avvicinamento aereo in sicurezza e coprire poi gli ultimi metri su ruote.
Anche per questo aggiornamento è tutto, appuntamento tra circa due settimane per le prossime novità marziane!
Nel prossimo numero di Coelum 260 troverete il riassunto di tutto ciò che accade su Marte e cura di Antonio Piras!
Manca poco alla congiunzione più interessante del mese di Gennaio 2023.
Nel tardo pomeriggio del 22 Gennaio un altro interessante appuntamento per ammirare la spettacolare congiunzione fra i due pianeti Venere e Saturno i quali si avvicineranno prospetticamente fino ad una separazione di 0°24’. La principale limitazione all’osservazione di questo fenomeno consisterà nella bassa declinazione dei due corpi celesti infatti, mentre nell’Italia Centrale Venere tramonterà alle ore 19:00
seguito dopo alcuni minuti da Saturno, al Nord ed al Sud Venere scenderà sotto l’orizzonte rispettivamente alle ore 18:55 e 19:04.
Infine il 23 Gennaio i pianeti Venere e Saturno saranno ancora i protagonisti di un’altra spettacolare congiunzione questa volta impreziosita dalla presenza di una sottile falce di Luna, un imperdibile spettacolo da ammirare nella tenue luminosità del crepuscolo della sera. Infatti, considerando come riferimento l’Italia centrale (zona di Roma), una falce di 2,2 giorni verrà a trovarsi a 4°56’ da Venere ed a 5°50’ da Saturno mentre contestualmente i due pianeti saranno separati da circa 1°. Il primo a tramontare sarà Saturno (alle ore 18:58) seguito da Venere mentre per la Luna, sempre dall’Italia Centrale, il tramonto è previsto per le ore 19:15. Per chi osserva dall’Italia Settentrionale o Meridionale invece la Luna tramonterà rispettivamente alle ore 19:09 e 19:18.
Siete pronti con il giusto set-up? Meteo generoso aspettiamo i vostri scatti su PhotoCoelum oppure in redazione a coelumastro@coelum.com
A seguire i dati specifici dei 3 oggetti per il giorno 23 alle ore 18 CET Roma
Luna
Librazione in longitudine: 2.95
Inclinazione solare: -1.53
Effemeridi: DE430
Data: 2023-01-23 18h00m46s ( CET )
TT: 2023-01-23 17h01m57s
Movimento orario: 34’48.1″ PA:60° dRA:02m05.21s dDec:17’38.8″
Coordinate: Apparenti topocentriche
Apparenti AR: 22h11m07.78s DEC:-16°45’01.5″
Medie per la data AR: 22h11m09.44s DEC:-16°44’47.9″
Medie J2000 AR: 22h09m54.25s DEC:-16°51’38.3″
Eclittica L: +328°45’47” B:-05°10’34”
Galattico L: +39°45’44” B:-51°21’22”
Visibilità per l’osservatore:
Roma 2023-01-23 18h00m46s ( CET )
Tempo Universale: 2023-01-23T17:00:46 JD=2459968.20887
Incertezza DeltaT: +/- 0h00m01.1s
Tempo Locale Siderale: 02h01m47s
Angolo Orario: 03h50m39s
Azimuth: 235°28’34”
Altezza: +10°57’39.4″
Altezza geometrica: +10°52’47.4″
Massa d’aria: 5.1
Sorge:09h01m24s Azimuth:114°48′
Transito:14h03m53s +31°23′
Tramonta:19h16m23s Azimuth:248°34′
VENERE
Magnitudine: -5.38
Diametro: 33’19.2″
Frazione Illuminata: 0.051
Fase: 154 °
Distanza: 358628.3 km
Angolo di posizione: -20.3
Librazione in latitudine: 6.63Magnitudine: -3.9
Diametro: 11.0 ”
Frazione Illuminata: 0.928
Fase: 31 °
Distanza: 1.532446916 au
Distanza: 229250796 km
Distanza dal Sole: 0.726758923 au
Distanza dal Sole: 108721587 km
Velocità: 34.9km/s
Angolo di posizione: 341.3
Inclinazione del polo: 1.1
Inclinazione solare: 2.3
Meridiano centrale: 220.9
Effemeridi: DE430
Data: 2023-01-23 18h00m46s ( CET )
TT: 2023-01-23 17h01m57s
Movimento orario: 03’06.7″ PA:70° dRA:12.06s dDec:01’04.3″
Coordinate: Apparenti topocentriche
Apparenti AR: 21h54m17.95s DEC:-14°25’23.1″
Medie per la data AR: 21h54m19.67s DEC:-14°25’09.7″
Medie J2000 AR: 21h53m04.59s DEC:-14°31’43.5″
Eclittica L: +325°45’57” B:-01°35’10”
Galattico L: +40°33’54” B:-46°42’46”
Visibilità per l’osservatore:
Roma 2023-01-23 18h00m46s ( CET )
Tempo Universale: 2023-01-23T17:00:46 JD=2459968.20887
Incertezza DeltaT: +/- 0h00m01.1s
Tempo Locale Siderale: 02h01m47s
Angolo Orario: 04h07m29s
Azimuth: 240°08’29”
Altezza: +10°04’44.5″
Altezza geometrica: +09°59’28.0″
Massa d’aria: 5.5
Sorge:08h43m40s Azimuth:109°14′
Transito:13h53m09s +33°42′
Tramonta:19h03m20s Azimuth:251°02′
SATURNO
Magnitudine: 0.8
Diametro: 15.5 ”
Frazione Illuminata: 1.000
Fase: 2 °
Distanza: 10.739063069 au
Distanza: 1606540968 km
Distanza dal Sole: 9.829859658 au
Distanza dal Sole: 1470526074 km
Velocità: 9.4km/s
Angolo di posizione: 6.3
Inclinazione del polo: 12.6
Inclinazione solare: 11.7
Meridiano centrale I: 73.3
Meridiano centrale II: 44.0
Meridiano centrale III: 258.2
Effemeridi: DE430
Data: 2023-01-23 18h00m46s ( CET )
TT: 2023-01-23 17h01m57s
Movimento orario: 17.3″ PA:70° dRA:01.12s dDec:05.8″
Coordinate: Apparenti topocentriche
Apparenti AR: 21h50m22.88s DEC:-14°23’59.8″
Medie per la data AR: 21h50m24.61s DEC:-14°23’46.4″
Medie J2000 AR: 21h49m09.43s DEC:-14°30’15.9″
Eclittica L: +324°52’49” B:-01°14’38”
Galattico L: +40°02’00” B:-45°50’16”
Visibilità per l’osservatore:
Roma 2023-01-23 18h00m46s ( CET )
Tempo Universale: 2023-01-23T17:00:46 JD=2459968.20887
Incertezza DeltaT: +/- 0h00m01.1s
Tempo Locale Siderale: 02h01m47s
Angolo Orario: 04h11m24s
Azimuth: 240°52’20”
Altezza: +09°28’01.5″
Altezza geometrica: +09°22’25.5″
Massa d’aria: 5.9
Sorge:08h40m47s Azimuth:108°59′
Transito:13h49m59s +33°44′
Tramonta:18h59m15s Azimuth:251°02′
69 diplomate e diplomati e 134 laureate e laureati in discipline tecnico-scientifiche saranno selezionati per lavorare su 18 nuovi progetti altamente innovativi finanziati dal PNRR con posizioni in tutta Italia. Un’opportunità unica che punta su giovani, parità di genere e sud Italia.
Sono 203 le nuove posizione bandite a concorso dall’INFN Istituto Nazionale di Fisica Nucleare per giovani laureati e laureate, e diplomati e diplomate, da reclutare in tutta Italia sui progetti di scienza di frontiera e a forte vocazione tecnologica finanziati con il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), di cui oltre il 40% al Sud.
“Grazie al PNRR si offre un’opportunità unica, soprattutto per molti e molte giovani, di entrare a far parte della comunità scientifica italiana e internazionale e di lavorare su nuovi progetti di punta per la ricerca di eccellenza”, commenta Antonio Zoccoli, presidente dell’INFN. “È un’opportunità per maturare un’esperienza di valore e crescere professionalmente, e per alcuni potrà anche essere l’inizio di una vera e propria carriera nel mondo della ricerca, con la possibilità di rimanere all’INFN oltre la conclusione dei progetti PNRR. Ci auguriamo che i nostri bandi suscitino quindi interesse e che siano in tante e tanti a presentare domanda per partecipare ai concorsi”, conclude Zoccoli.
Si selezionano 69 neodiplomate e neodiplomati ITIS o di scuola superiore con breve esperienza professionale per profili di tecnico negli ambiti del calcolo, dell’elettronica e della meccanica e laureate e laureati magistrali in fisica, ingegneria, informatica, matematica, biologia per 134 posizioni di tecnologo della ricerca a tempo determinato. Le competenze richieste sono di meccanica, sistemi di alto vuoto, sistemi criogenici, elettronica, elettrotecnica, rivelatori e acceleratori di particelle, laser di potenza e sistemi ottici. Tra queste, un numero cospicuo di posizioni è dedicato al calcolo sistemistico e per lo sviluppo di software innovativo e sistemi di intelligenza artificiale.
I neoassunti lavoreranno su 18 nuovi progetti altamente innovativi nei campi della fisica delle particelle elementari, dell’astrofisica, della fisica delle onde gravitazionali e dei neutrini e in molti aspetti di fisica applicata che includono la superconduttività, la fisica medica, lo sviluppo di tecniche innovative di accelerazione di particelle, il calcolo quantistico e l’intelligenza artificiale. Un’opportunità unica per molti giovani di entrare a far parte della comunità scientifica italiana e internazionale e di lavorare su nuovi progetti di punta della ricerca di eccellenza.
I contratti, con una durata di 24 mesi, saranno assegnati tramite concorso pubblico. Le sedi di lavoro sono distribuite su tutto il territorio nazionale e, come previsto dal PNRR, una particolare attenzione sarà riservata al Sud Italia, con oltre il 40% delle posizioni bandite. Tra le città con il maggior numero di posizioni aperte vi sono Bari, Bologna, Catania, Roma e Napoli.
L'ammasso stellare NGC 346 appare come uno scintillante tocco di colore oro e viola su uno sfondo nero cosparso di stelle. A forma di colomba, il grappolo è traslucido lavanda e lilla, con bordi dorati e bianchi. NGC 346, mostrato qui in questa immagine della NASA James Webb Space Telescope Near-Infrared Camera (NIRCam), è un ammasso stellare dinamico che si trova all'interno di una nebulosa a 200.000 anni luce di distanza. Webb rivela la presenza di molti più elementi costitutivi del previsto, non solo per le stelle, ma anche per i pianeti, sotto forma di nubi piene di polvere e idrogeno. I pennacchi e gli archi di gas in questa immagine contengono due tipi di idrogeno. Il gas rosa rappresenta l'idrogeno energizzato, che è tipicamente caldo intorno ai 10.000 °C (circa 18.000 °F) o più, mentre il gas più arancione rappresenta l'idrogeno denso e molecolare, che è molto più freddo a circa -200 °C o meno ( circa -300 °F) e polvere associata. Il gas più freddo fornisce un ambiente eccellente per la formazione delle stelle e, mentre lo fanno, cambiano l'ambiente che le circonda. L'effetto di ciò si vede nelle varie creste ovunque, che si creano quando la luce di queste giovani stelle abbatte le dense nuvole. I numerosi pilastri di gas incandescente mostrano gli effetti di questa erosione stellare in tutta la regione. In questa immagine il blu è stato assegnato alla lunghezza d'onda di 2,0 micron (F200W), il verde è stato assegnato a 2,77 micron (F277W), l'arancione è stato assegnato a 3,35 micron (F335M) e il rosso è stato assegnato a 4,44 micron (F444W). Crediti: NASA, ESA, CSA, O. Jones (UK ATC), G. De Marchi (ESTEC) e M. Meixner (USRA). Elaborazione delle immagini: A. Pagan (STScI), N. Habel (USRA), L. Lenkic (USRA) e L. Chu (NASA/Ames)
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Si apre un nuovo anno, con la speranza che sia pieno di gioie e successi non solo a livello astronomico e viene spontaneo fare un resoconto dei fatti più salienti accaduti nell’anno appena concluso.
Nell’anno 2022 sono stati inseriti nel TNS Transient Name Server circa 20.000 transienti fra Supernovae, Novae extragalattiche e Novae della nostra galassia, ma solo poco più di 2000 hanno ottenuta una conferma spettroscopica, quindi soltanto il 10%.
La spettroscopia è infatti un campo dove anche un astrofilo evoluto più dare un importante contributo alla ricerca. Sappiamo molto bene che la spietata ed agguerrita concorrenza dei programmi professionali indirizzati verso la ricerca di supernovae ha messo a dura prova i volenterosi astrofili italiani che si dedicano a questo tipo di ricerca. Anche quest’anno il nostro ISSP purtroppo è rimasto fermo al palo, per quanto riguarda le scoperte di supernovae, ma per fortuna a tenere l’alto l’onore italiano abbiamo avuto quattro scoperte amatoriali ottenute da astrofili che sono riusciti ad infilarsi con successo fra le strette maglie della rete dei programmi professionali.
I primi ad ottenere una importante scoperta sono stati Franco Cappiello, astrofilo lombardo di Noviglio (MI) e Salvo Massaro, astrofilo siciliano abitante a Palermo, utilizzando il telescopio Ritchey-Chretien da 50cm F.7,4 dell’osservatorio Stazione Astronomica G. Bruno, situata al Passo del Brallo in provincia di Pavia.
SN2022abq in NGC5117 realizzata da Franco Cappiello e Salvo Massaro con un telescopio Ritchey-Chretien da 50cm F.7,4 ed esposizione di 260 secondi.
Nella notte del 21 gennaio hanno individuato la SN2022abq, una supernova di tipo II, nella galassia a spirale barrata NGC5117 posta nella costellazione dei Cani da Caccia al confine con quella della Chioma di Berenica e distante circa 110 milione di anni luce. Per i due astrofili si è trattato della loro prima scoperta e come potete immaginare la loro gioia e soddisfazione è stata veramente grande.
Le altre tre scoperte italiane sono state invece messe a segno tutte dal veterano astrofilo forlivese, che non ha bisogno di presentazioni, Giancarlo Cortini. Dopo quattro anni di digiuno, Giancarlo è tornato con lo smalto dei tempi passati, scoprendo il 7 febbraio la SN2022bqi, una supernova di tipo II, nella galassia a spirale barrata NGC1233 posta nella costellazione del Perseo a circa 200 milioni di anni luce di distanza.
della SN2022bqi in NGC1233 realizzata da Giancarlo Cortini con un Celestron C14 somma di 3 immagini da 120 secondi.
Giancarlo si è ripetuto il 2 aprile individuando la SN2022fuc, un’altra supernova di tipo II, nella galassia a spirale barrata NGC4545 posta nella costellazione del Drago a circa 120 milioni di anni luce di distanza.
SN2022fuc in NGC4545 realizzata da Giancarlo Cortini con un Celestron C14 somma di 3 immagini da 60 secondi.
Infine nella notte del 24 novembre, a coronamento di un anno d’oro, ha individuato la SN2022abln, ancora una supernova di tipo II, nella galassia a spirale barrata NGC5808 posta nella costellazione dell’Orsa Minore e distante circa 320 milioni di anni luce di distanza.
SN2022abln in NGC5808 realizzata da Giancarlo Cortini con un telescopio Celestron C14 + Starlight Trius SH-9 esposizione 120 secondi.
A completamento di questo importante successo, abbiamo avuto la conferma spettroscopica ottenuta dall’astrofilo bellunese Claudio Balcon (ISSP). Si tratta pertanto della seconda supernova italiana scoperta e classificata tutto a livello amatoriale. Se il nostro ISSP non è riuscito ad ottenere scoperte di eventi di supernovae, grazie al team dell’Osservatorio di Monte Baldo (VR), ha ottenuto tre scoperte di Novae extragalattiche. La prima, denominata AT2022elz, è stata ottenuta la notte del 6 marzo nella stupenda galassia M81 posta nella costellazione dell’Orsa Maggiore. La seconda, denominata AT2022eqj, è stata ottenuta tre giorni dopo nella notte del 10 marzo nella famosa galassia M31 nella costellazione di Andromeda. La terza ed ultima Nova Extragalattica è stata individuata la notte del 4 agosto, sempre nella galassia di Andromeda M31 e denominata AT2022qpg.
AT2022elz in M81 ottenuta dal team dell’Osservatorio di Monte Baldo con un telescopio Ritchey Chretien da 400mm F.8.AT2022eqj in M31 ottenuta dal team dell’Osservatorio di Monte Baldo con un telescopio Ritchey Chretien da 400mm F.8.
7) Bellissima immagine della galassia di Andromeda M31 con evidenziata la Nova scoperta dall’Osservatorio di Monte Baldo, realizzata dall’astrofilo spagnolo Rafa Ferrando.
Quest’ultima scoperta è comunque molto importante per almeno un paio di motivi. Innanzi tutto si tratta di una Nova scoperta e classificata tutto in casa ISSP, infatti lo spettro di conferma dove erano ben visibili ed intense le righe di emissione di Balmer dell’idrogeno tipico delle Novae, è stato ottenuto dal bellunese Claudio Balcon che per primo è riuscito ad inserirlo nel Transient Name Server (TNS). L’altro motivo degno di grande interesse è dovuto al fatto che il team dell’Osservatorio di Monte Baldo si accorse subito della coincidenza della posizione della Nova da loro scoperta con la Nova M31N2005-10a scoperta l‘11 ottobre 2005 dagli astronomi americani del Mc Donald Observatory e dall’astrofilo italiano Marco Fiaschi (vedi Atel 627). Furono perciò avviati dei meticolosi controlli e con l’Atel 15545 astrofilo ceco Kamil Hornoch, riprendendo la Nova veronese l’8 agosto con il telescopio da 0,65 metri dell’Astronomical Institute di Odrejov, fugò ogni dubbio confermando la coincidenza della posizione. Si trattava pertanto di una Nova ricorrente, che sono le più seguite e studiate perché considerate potenziali candidate a diventare delle luminosissime supernovae di tipo Ia.
Fra i successi italiani dobbiamo menzionare anche le sei supernovae scoperte dall’astrofilo romagnolo Mirco Villi, grazie alla collaborazione con i professionisti americani del CRTS Catalina. I successi sono stati ottenuti analizzando immagini professionali realizzate con il telescopio Cassegrain di 1,5 metri di diametro dell’osservatorio americano sul Mount Lemmon in Arizona. In questo resoconto dell’anno appena terminato non possiamo tralasciare lo stupendo lavoro portato avanti in ambito spettroscopia dell’astrofilo bellunese Claudio Balcon che con uno spettrografo auto-costruito ed un semplice telescopio Newton da 200mm F.5 è riuscito a classificare per primo nel TNS 31 Supernovae, 2 Novae in M31 e 5 Variabili Cataclismiche della nostra galassia. Claudio Balcon, che è entrato a far parte dell’ISSP nell’ottobre del 2018, a livello mondiale amatoriale è leader indiscusso nel campo della spettroscopia con ben 81 supernovae classificate per primo nel TNS dal 2019 ad oggi. Claudio detiene anche il record della supernova più lontana classificata da un astrofilo la SN2021sfh, posta in una galassia anonima nella costellazione dell’Orsa Minore a 720 milioni di anni luce di distanza.
Vediamo adesso cosa è successo a livello mondiale amatoriale. In testa alla classifica delle scoperte amatoriali del 2022 troviamo i cinesi del programma XOSS capitanati da Xing Gao che hanno individuato 11 supernovae, seguiti al secondo posto dall’intramontabile giapponese Koichi Itagaki con 8 supernovae ed infine con nostra grande soddisfazione nel terzo gradino del podio troviamo il forlivese Giancarlo Cortini con le sue tre supernovae, a dimostrazione che la ricerca amatoriale di supernovae italiana continua a primeggiare a livello mondiale. L’anno appena terminato, come anche il precedente 2021, non ha visto purtroppo la scoperta di supernovae nelle galassie Messier, le più ambite ed appariscenti, però ci ha regalato due supernovae molto luminose che hanno sfiorato la notevole mag.+12. La supernova più luminosa del 2022 con la mag.+12,1 è stata la SN2022pul, una supernova di tipo Ia, scoperta il 26 luglio dal programma professionale americano di ricerca supernovae denominato All Sky Automated Survey for SuperNovae (ASAS-SN) nella galassia lenticolare NGC4415 posta nella costellazione della Vergine a circa 40 milioni di anni luce di distanza.
SN2022pul in NGC4415 realizzata il 7 agosto 2022 dall’astrofilo brasiliano Fabio Feijo in remoto dall’Australia dal Siding Spring Observatory utilizzando un telescopio da 500mm F.4,5 e 300 secondi di posa, con la supernova molto vicina al massimo di luminosità.
L’unico rammarico che la galassia ospite non si può definire un soggetto molto fotogenico. La seconda supernova più luminosa del 2022 che ha raggiunto la mag.+12,3 è stata invece la SN2022hrs scoperta il 16 aprile dall’astrofilo giapponese Koichi Itagaki nella galassia a spirale barrata NGC4647 posta nella costellazione della Vergine a circa 60 milioni di anni luce. NGC4647 è famosa per la vicinanza alla galassia Messier 60. Nelle immagini profonde le due galassie sembrano sfiorarsi, anche se solo prospetticamente, perché M60 è posta circa 5 milioni di anni luce più vicino a noi. Anche questa è una supernova di tipo Ia, come evidenziato dallo spettro ottenuto per primo dal nostro Claudio Balcon appena 5 ore dopo la scoperta. A differenza della precedente questa luminosa supernova sembra essere cullata fra le braccia di due belle e fotogeniche galassie.
SN2022hrs in NGC4647 realizzata da Manfred Mrotzek con un telescopio da 140mm F.5,4 somma di 21 immagini da 240 secondi.
Nel 2022 abbiamo purtroppo avuto anche un evento molto triste: l’astrofilo trevigiano Paolo Campaner il 12 marzo ci ha lasciato all’età di 70 anni. Un grande uomo ed un grande astrofilo che ha dato tanto all’astrofilia italiana ed alla ricerca amatoriale di supernovae. Maura Tombelli la più grande astrofila italiana scopritrice di pianetini, a settembre ha assegnato il nome definitivo “Paolo Campaner” al pianetino 37313 (2001QC = 1999 FA56) che aveva scoperto insieme all’astronomo Andrea Boattini il 16 agosto 2001. Un bellissimo gesto, che Paolo ha davvero meritato e che vedrà per sempre il suo nome iscritto nel firmamento celeste.
Concludiamo con una interessante curiosità. Esistono dei casi molto rari di due supernovae che esplodono contemporaneamente o quasi nella solita galassia, ne conosciamo circa una ventina. Ma il record assoluto che ha ottenuto la galassia a spirale barrata NGC5605, nella settimana dal 6 al 13 gennaio 2022, ha qualcosa di veramente incredibile e difficilmente replicabile. Ben tre supernovae visibili contemporaneamente in questa galassia posta nella costellazione della Bilancia a circa 170 milioni di anni luce di distanza. Sono state scoperte tutte e tre dal programma professionale americano di ricerca supernovae e pianetini denominato ATLAS Asteroid Terrestrial-impact Last Alert System.
NGC5605 realizzata dall’astronomo americano Andrew Drake e dal suo team con il telescopio Cassengrain da 1,5 metri di Monte Lemmon in Arizona ed elaborata dall’astrofilo americano Stan Howerton.
Augurando a tutti uno stupendo 2023, ci domandiamo: chi sarà il primo astrofilo italiano ad inserire una scoperta nel TNS nel nuovo anno?
In questo aggiornamento vi illustro le recentissime operazioni di Perseverance, gli ultimi voli di Ingenuity e il saluto finale a Insight. Partiamo!
Tre campioni a Three Forks
Three Forks è il nome dell’area all’interno del cratere Jezero, già visitata tra aprile e maggio del 2022, dove è stato deciso che Perseverance avrebbe fatto ritorno. Qui, in un’ampia pianura priva di ostacoli, il rover avrebbe depositato alcune fiale tra quelle che nel corso degli ultimi mesi ha riempito di roccia, sabbia nonché aria marziana (avevo iniziato ad accennarvi qualcosa a riguardo alcuni mesi fa https://www.coelum.com/articoli/news-da-marte-2).
Il rover è un tassello fondamentale nel programma decennale che mira a portare sulla Terra dei campioni marziani. Oltre al suo ruolo di raccoglitore, la revisione della missione avvenuta a metà 2022 ha affidato a lui anche il compito di portare le fiale al futuro lander che verso la fine degli anni ’30 atterrerà nel cratere Jezero.
Il piano B, da mettere in atto nell’eventualità che Perseverance non sia nelle condizioni di tornare indietro per il rendez-vous con il lander, è che due elicotteri progettati sul modello di Ingenuity raccolgano dieci fiale precedentemente depositate al suolo dal rover. Una sorta di assicurazione sulla missione, potremmo dire. E quale momento migliore per la deposizione dei campioni se non ora alla vigilia dell’inizio della terza parte di Mars 2020, il capitolo Delta Top?
Vista globale dei percorsi intrapresi da Perseverance e Ingenuity, con uno zoom sulla località di Three Forks e il percorso programmato per il rilascio dei campioni.
Così a metà dicembre Perseverance ha fatto ritorno a Three Forks e nel Sol 653, 21 dicembre, ha iniziato la deposizionedelle fiale in titanio che custodiscono i campioni. Queste vengono lasciate cadere al suolo una ad una dal Sample Handling Arm, il braccio robotico che si occupa della manipolazione delle fiale posto al di sotto del rover. La seconda fiala è stata rilasciata appena due Sol dopo, nel 655. Per la terza abbiamo dovuto attendere qualche giorno di più ed è stata depositata nella serata italiana del 29 dicembre, quando su Marte era il pomeriggio del Sol 661.
Queste panoramiche vengono usate dai tecnici NASA per documentare il successo delle operazioni di rilascio. Ciascuna di esse è realizzata allineando cinque foto scattate dalla camera Watson, installata in cima al braccio del rover. Grazie ai gradi libertà offerti da questa estensione robotica Perseverance può anche ottenere particolari punti di vista di sé stesso, funzionalità che torna utile per necessità diagnostiche e verifiche di operazioni particolarmente complesse.
Crediti NASA/JPL-Caltech
Questa sequenza, scattata sempre con la camera Watson, ci regala uno scorcio della parte inferiore di Perseverance. È qui che le fiale con i campioni sono manipolate, preparate e custodite. In primo piano c’è il robusto snodo del Sample Handle Assembly. Nella seconda foto, in secondo piano ed esattamente dietro la fiala bianca, osserviamo anche l’imboccatura della CacheCam.
Si tratta della camera dedicata alla documentazione delle fasi di preparazione campioni. Ha un’inquadratura fissa senza neanche la possibilità di variare la messa a fuoco. È il braccio SHA che, variando la sua altezza e sincronizzando una foto ad ogni step, fa sì che la CacheCam possa mettere con sicurezza a fuoco la cima del campione all’interno del tubo. Questa tecnica permette anche di stimare con buona sicurezza la lunghezza del campione e il suo volume, grazie al fatto che la profondità di campo della camera è estremamente piccola.
Durante le fasi di preparazione al rilascio dei campioni la fiala viene fotografata per un’ultima volta, ed è grazie a queste foto che possiamo identificare anche noi quale è quella selezionata per il rilascio. Per esempio l’ultima fiala rilasciata è la SN106, che è anche il campione più recente prelevato dal rover: si tratta della fiala riempita di regolite di cui vi ho illustrato nel dettaglio alcune fasi della preparazione nella precedente news (https://www.coelum.com/articoli/news-da-Marte-7).
Immagine del sigillo dell’ultimo campione depositato, l’immagine è stata catturata dalla CacheCam (NASA/JPL-Caltech)
Nell’arco di circa un mese i tecnici avranno istruito il robot per tracciare un percorso appositamente studiato perché ogni fiala sia distante tra i 5 e i 15 metri dalla sua omologa più prossima, così che i due elicotteri incaricati della raccolta possano volare e muoversi al suolo (avranno anche quattro ruote) senza impedimenti.
La deposizione di questi dieci campioni non priverà i ricercatori di alcuna tra le rocce sin qui “assaggiate” da Perseverance, in quanto ciascuno di essi ha un gemello: quasi tutti i campionamenti eseguiti dal rover sono stati duplicati; il primo sarà rilasciato, ma il secondo continuerà a essere custodito dal rover in attesa di essere consegnato personalmente al futuro lander.
Dal confronto tra il percorso che Perseverance sta effettivamente seguendo, ricostruibile tramite le visuali dalle camere di navigazione, e quello inizialmente programmato e indicato nella mappa, possiamo notare una piccola differenza: il punto di partenza.
Invece di iniziare il percorso da nord come inizialmente previsto, sembra che Perseverance sia invece partito qualche metro più a sud e abbia preso la breve deviazione per portarsi nel sito designato al rilascio del primo campione. Da qui ha fatto una corta retromarcia, una rotazione di 90° e ha preso la strada per la posizione del secondo rilascio.
Qui di seguito la mappa rilasciata dal JPL a inizio dicembre con il percorso che Perseverance seguirà durante il resto delle operazioni.
Crediti NASA/JPL-Caltech
Continueremo a seguire insieme le operazioni di rilascio delle fiale nelle prossime settimane, ancora sette campioni aspettano di essere depositati.
L’addio a Insight
È arrivato il momento che abbiamo temuto per mesi con un misto di rassegnazione e flebili speranze.
La rassegnazione era quella che constatava il costante declino dell’energia prodotta dai pannelli solari di Insight, la sonda NASA dedicata allo studio dei terremoti su Marte. Le speranze, invece, contavano ancora nel passaggio di un diavolo di sabbia che potesse provvidenzialmente dare una pulita alle ampie superfici fotovoltaiche del lander.
L’ultimo selfie di Insight, frutto di un mosaico di foto realizzate il 24 aprile 2022. (NASA/JPL-Caltech)
La scarsa produzione energetica è proseguita per tutto novembre e metà dicembre, con l’ultimo contatto radio avvenuto il 15 dicembre con il quale è stata ricevuta questa immagine, scattata l’11 dicembre.
L’ultima immagine di Insight, scattata l’11 dicembre alle 17:21 marziane
Dopo di allora il lander ha taciuto.
Due successivi tentativi di comunicazione, il 18 e 21 dicembre, sono falliti, portando così l’agenzia spaziale statunitense a decretare la fine della missione di Insight. La quale, intendiamoci, si chiude con ben pochi rammarichi: una durata doppia rispetto agli obiettivi programmati, 1319 terremoti rilevati, cruciali contributi alla sismologia extraterrestre e una quantità enorme di dati ancora da analizzare che terrà i ricercatori impegnati per anni a venire.Ne sono un esempio le pubblicazioni uscite quest’autunno nelle riviste Nature Geoscience e Science nelle quali viene illustrato come, in alcuni dati acquisiti da Insight nel 2020 e 2021, sia stato possibile rilevare a posteriori la firma sismica derivante dallo schianto al suolo di meteoriti (vedi news https://www.coelum.com/articoli/news-da-marte-3 e https://www.coelum.com/articoli/astronautica/news-da-marte-5).
I nuovi voli di Ingenuity
Prima di aggiornarvi sui due più recenti voli del nostro elicotterino preferito, abbiamo avuto conferma del percorso seguito nel volo 36e che vi ho illustrato nell’ultima news.
Sulla base delle immagini rilasciate dalla NASA avevo azzardato alcune ipotesi sul percorso seguito dal droneche in effetti si sono rivelate corrette. Tant’è che, mappa aggiornata alla mano, troviamo numerose correlazioni relative ai dettagli del terreno che hanno riscontro sia nell’immagine satellitare che in quelle aeree riprese dal drone.
Percorso seguito da Ingenuity nel volo 36, con decollo e atterraggio nel medesimo punto. Le immagini in bianco e nero sono prodotte dalla camera di navigazione, quella a colori dalla camera ad alta risoluzione RTE.
Il 17 dicembre Ingenuity ha ripreso la via dell’aria per 37esima volta e si è spinto per 62 metri ancora verso nord-ovest abbandonando finalmente l’area Airfield X e atterrando a Airfield Y (ogni punto di atterraggio di Ingenuity è chiamato a partire da una sequenza alfabetica).
Vista la conformazione del terreno possiamo dare per molto probabile il fatto che l’elicottero sia ricorso alla nuova funzionalità automatica di ricerca di un’area adatta all’atterraggio. Per cercare di capire come funzioni e vederla in azione in tempo reale dovremo però attendere che tutti i fotogrammi di questo volo siano scaricati (gli 87 fotogrammi sinora disponibili non coprono l’intero volo e c’è anche un “buco” a metà spostamento).
Al momento attendiamo riscontro per il successo del volo numero 38 che era previsto il 24 dicembre. Ingenuity si dovrebbe essere spostato di 105 metri in 68 secondi, riducendo ulteriormente la sua distanza dal rover Perseverance. Purtroppo non abbiamo attualmente alcuna immagine di questo volo, perciò tutti i video sono rimandati, spero, a non più tardi di due settimane.
Anche per oggi è tutto, alla prossima!
Nel prossimo numero di Coelum 260 troverete il riassunto di tutto ciò che accade su Marte e cura di Antonio Piras!
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Il mese di Gennaio ci regala molte ore di buio e un gran numero di costellazioni che possiamo ammirare nell’arco della notte. Nella prima serata, volgendo lo sguardo verso ovest, scenderanno lentamente all’orizzonte quelle autunnali più orientali (Pesci, Pegaso e Balena), mentre, nella seconda parte della notte, vedremo alzarsi a est le prime costellazioni tipicamente primaverili.
Grandi protagoniste saranno Cancro e Leone sin dalle prime ore di buio, mentre a dominare è ancora Orione a sudest insieme a Cane Maggiore e Minore e Sirio; nel punto più alto della sfera celeste (Zenit) brilla Perseo accompagnato dall’Auriga e, poco più in basso, Gemelli e Toro.
Tutte le effemeridi del mese di Gennaio 2023 sono disponibili in file csv
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Mercurio
01/01 Sorge: h 08:22 Tramonta: h 17:51
31/01 Sorge: h 05:59 Tramonta: h 15:19
Mercurio inizierà il mese di Gennaio alla sinistra del Sole, ma solo per alcuni giorni, per transitare davanti ad esso in congiunzione inferiore il giorno 7 e poi spostarsi alla destra, quindi verso ovest fino a raggiungere la massima elongazione, la massima distanza dal Sole il giorno 30 Gennaio a circa 25°.
Venere
01/01 Sorge: h 08:49 Tramonta: h 18:07
31/01 Sorge: h 08:36 Tramonta: h 19:24
A partire dai primi giorni di Gennaio Venere sarà visibile al tramonto già intorno alle ore 17:00 nonostante sia ancora piuttosto vicino al Sole. La situazione andrà via via migliorando fino a fine mese quando l’astro resterà nel nostro cielo, sempre ad Ovest, per circa un’ora in più dopo il tramonto. Il pianeta raggiungerà la massima elongazione est solo nel mese di Giugno, ci saranno quindi ancora molte occasioni per osservarlo. Segnaliamo una bella congiunzione con la Luna quasi piena il 23 Gennaio.
Marte
01/01 Sorge: h 14:13 Tramonta: h 05:36
31/01 Sorge: h 12:20 Tramonta: h 03:43
Chiusa la congiunzione del 31 dicembre con cui Marte saluta l’anno che se ne va, il pianeta resta comunque ben visibile per tutto il mese di Gennaio in alto, quasi allo zenit. Durante tutto il mese si sposterà di pochissimo verso ovest tuttavia rimanendo sempre nei presso della bella Albedaran. Dopo la bellissima congiunzione del 31 dicembre con cui Marte saluterà l’anno appena trascorso, per uno spettacolo simile dovremo attendere la fine del mese, il 30 Gennaio, quando ci sarà una nuova congiunzione Luna – Marte.
Giove
01/01 Sorge: h 11:33 Tramonta: h 23:33
31/01 Sorge: h 09:45 Tramonta: h 21:59
Dopo il periodo estivo ed autunnale in cui Giove è rimasto ben visibile verso Sud, a partire dal mese di Gennaio e sempre più durante l’anno, vedremo accorciarsi la finestra di visibilità del pianeta che tramonterà sempre più presto. Alla fine del mese ci resteranno circa 2/3 ore di osservazione per una buona posizione con orizzonte libero. L’unica congiunzione davvero interessante che riguarderà questo pianeta sarà quella con la Luna per il giorno 23 Gennaio quando la distanza fra i due oggetti sarà solo di 3.5° verso Sud.
Saturno
01/01 Sorge: h 10:01 Tramonta: h 20:13
31/01 Sorge: h 08:11 Tramonta: h 18:32
Difficile da vedere già nel mese di dicembre, in Gennaio la finestra di osservazione rimane esigua concedendoci solo qualche ora ad inizio mese fino a circa le 20 ma riducendo via via sempre più fino a confondersi nella luce del tramonto già il giorno 31. Nulla di notevole in questo mese per il pianeta con anelli. Il giorno 22 segnaliamo una congiunzione con la Luna anche se non troppo stretta, gli astri saranno infatti a 3.9° Sud di distanza.
Urano
01/01 Sorge: h 13:15 Tramonta: h 03:22
31/01 Sorge: h 11:16 Tramonta: h 01:24
Sempre difficile da osservare Urano ci tiene compagnia nelle prime ore della notte ma già a fine mese dovremo accontentarci di vederlo tramontare intorno all’una. L’anno però si aprirà con una bellissima congiunione con la Luna, soli 0,7° Nord di distanza. Un’altra congiunzione si presenterà molto simile proprio grazie alle traiettorie dei due oggetti, dopo circa 28 giorni. Il 29 la Luna ed Urano saranno distanti solo 0.9° sempre Nord.
Nettuno
01/01 Sorge: h 11:14 Tramonta: h 22:49
31/01 Sorge: h 09:17 Tramonta: h 20:55
Nettuno sempre difficile da osservare per la sua lontanza e per la sua poca elevazione dall’orizzonte alle nostre latituini, resta nei paraggi di Giove, in direzione Sud-Ovest. Il 25 Gennaio intorno alle 19 la Luna si troverà a transitare proprio fra essi formando una bella tripla congiunzione, sarebbe spettacolare se solo Nettuno fosse più vicino!
LUNA
Sarà un Gennaio ricco di congiunzioni interessanti
Gennaio 2023 ci offre la possibilità di ammirare alcune interessanti e spettacolari congiunzioni che coinvolgeranno il nostro satellite unitamente ai pianeti Marte, Urano e Saturno. Iniziamo subito col pianeta Urano che fra la tarda serata del giorno 1 Gennaio e l’inizio della notte seguente sarà in congiunzione con la Luna in fase di 9,5 giorni. Per chi osserva dall’Italia Settentrionale (ad es. la zona di Bolzano) alle ore 00:18 del 2 Gennaio la separazione fra Urano e la Luna sarà di 0°23’, mentre alla medesima ora dall’Italia Centrale (vedi Roma) la separazione fra Urano ed il nostro satellite sarà di 0°27’. Infine per chi osserva dall’Italia Meridionale Luna e Urano saranno separati da 0°29’. Nessun problema per quanto riguarda la visibilità di questa congiunzione in quanto Luna e Urano saranno ad un’altezza di +32° circa.
Nella serata del 3 Gennaio invece congiunzione fra il pianeta Marte ed il nostro satellite. Infatti alle ore 20:39 la separazione fra questi due oggetti sarà di circa 1° nell’Italia Settentrionale (zona di Bolzano) mentre per chi osserva dall’Italia Centrale (ad es. Roma) e Meridionale (zona di Palermo) Luna e Marte saranno separati da 0°50’ circa, mentre non vi saranno problemi di visibilità con un’altezza dai +60 ai 70°.
Nel tardo pomeriggio del 22 Gennaio un altro interessante appuntamento per ammirare la spettacolare congiunzione fra i due pianeti Venere e Saturno i quali si avvicineranno prospetticamente fino ad una separazione di 0°24’. La principale limitazione all’osservazione di questo fenomeno consisterà nella bassa declinazione dei due corpi celesti infatti, mentre nell’Italia Centrale Venere tramonterà alle ore 19:00 seguito dopo alcuni minuti da Saturno, al Nord ed al Sud Venere scenderà sotto l’orizzonte rispettivamente alle ore 18:55 e 19:04.
Infine il 23 Gennaio i pianeti Venere e Saturno saranno ancora i protagonisti di un’altra spettacolare congiunzione questa volta impreziosita dalla presenza di una sottile falce di Luna, un imperdibile spettacolo da ammirare nella tenue luminosità del crepuscolo della sera. Infatti, considerando come riferimento l’Italia centrale (zona di Roma), una falce di 2,2 giorni verrà a trovarsi a 4°56’ da Venere ed a 5°50’ da Saturno mentre contestualmente i due pianeti saranno separati da circa 1°. Il primo a tramontare sarà Saturno (alle ore 18:58) seguito da Venere mentre per la Luna, sempre dall’Italia Centrale, il tramonto è previsto per le ore 19:15. Per chi osserva dall’Italia Settentrionale o Meridionale invece la Luna tramonterà rispettivamente alle ore 19:09 e 19:18.
Tutti gli approfondimenti sull’osservazione e i fenomeni celesti legati al nostro satellite disponibili per il mese di Gennaio 2023, a cura del nostro autore Francesco Badalotti.
La ISS – Stazione Spaziale Internazionale sarà rintracciabile nei nostri cieli ad orari mattutini nelle prime due settimane di Gennaio, e serali nelle seconde due.
Avremo molti transiti notevoli con magnitudini elevate durante il primo mese del nuovo anno, auspicando come sempre in cieli sereni.
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Continuiamo l’esplorazione dei più imponenti asteroidi della fascia principale con (2) Pallas.
Terzo tra gli Asteroridi per volume, da solo contiene circa il 7% della massa dell’intera fascia ed è probabilmente un protopianeta (un embrione planetario) sopravvissuto alla fase di formazione del sistema solare. (2) Pallas ha un’orbita decisamente inclinata sull’eclittica (34.8 gradi) e moderatamente eccentrica, ma la sua caratteristica più peculiare è l’inclinazione del suo asse di rotazione, che arriva a misurare 84 gradi (per confronto l’inclinazione dell’asse teresstre misura 23 gradi e 27 primi), il che comporta che per lunghi periodi una gran parte della superficie del pianetino venga esposta alla luce oppure rimanga immersa nella più completa oscurità. Non essendo stato ancora visitato da sonde, al momento tutte le informazioni di cui disponiamo su (2) Pallas derivano da osservazioni effettuate da terra o da telescopi spaziali in orbita. Le immagini a nostra disposizione mostrano una superficie tormentata e fortemente craterizzata, sulla quale sono stati censiti 36 crateri di considerevoli dimensioni, 34 dei quali hanno un diametro superiore a 40Km; si sospetta, inoltre, la presenza di un grande bacino generato da una collisione che potrebbe aver influito sull’inclinazione dell’asse di rotazione, aumentandola, e sul periodo di rotazione, diminuendolo.
Le analisi spettroscopiche condotte per studiarne la composizione superficiale, rivelano la presenza di materiali poveri di ferro ed acqua ed una certa somiglianza con la composizione della superficie di (1) Ceres. (2) Pallas è considerato il corpo progenitore della famiglia dei cosiddetti asteroidi Palladiani, una piccola famigli di asteroidi tra i cui membri spicca l’asteroide Near Earth (3200) Phaeton, padre dello sciame meterorico delle Geminidi. Dal punto di vista osservativo la magnitudine (media) di 8.0 che raggiung durante le opposizioni, con picchi di 6.4 in quelle più favorevoli, rende (2) Pallas un oggetto alla portata di piccoli telescopi e che può anche essere osservato dotandosi di un buon binocolo.
Indice dei contenuti
GLI ASTEROIDI DI GENNAIO
(2) PALLAS
(2) Pallas è il terzo Asteroide per dimensioni (circa 513 Km di diametro) della fascia principale. Compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.680 giorni (4.60 anni) ad una distanza compresa tra le 2.13 e le 3.41 unità astronomiche (rispettivamente, 318.643.465 Km al perielio e 510.128.739 Km all’afelio). Con picchi di magnitudine fino a 6.4, (2) Pallas è tra gli asteroidi più brillanti visibili dalla Terra ed è considerato il corpo progenitore della famiglia degli Asteroidi Palladiani. Scoperto dall’astronomo Heinrich Wilhelm Olbers il 28 Marzo 1802, l’asteroide sarà in opposizione l’8 Gennaio, brillando ad una magnitudine di 7.6. Il suo moto sarà di 0,58 secondi d’arco al minuto, quindi con tempi di esposizione fino a 5 minuti ne preserveremo l’aspetto puntiforme. Volendo ottenere una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (2) Pallas trasformarsi in una bella striscia luminosa di 23 secondi d’arco.
(6) HEBE
(6) Hebe è un grande asteroide (circa 185 Km di diametro) di fascia principale che compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.380 giorni (3.78 anni) ad una distanza compresa tra le 1.93 e le 2.92 unità astronomiche (rispettivamente, 288.723.890 Km al perielio e 436.825.782 Km all’afelio). Deve il suo nome a Hebe, figura mitologica greca, Figlia di Zeus e di Hera. Scoperto da Karl Ludwig Hencke il 1 Luglio 1847, il quinto Asteroide più luminoso della fascia dopo (4) Vesta, (1) Ceres, (7) Iris, e (2) Pallas, (6) Hebe sarà in opposizione il 25 Gennaio. In questo frangente raggiungerà la massima brillantezza con una magnitudine di 8.7. Il suo moto sarà di 0,75 secondi d’arco al minuto, quindi per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 4 minuti. Per ottenere una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (6) Hebe trasformarsi in una bella striscia luminosa di 30 secondi d’arco.
(89) Julia
(89) Julia è un asteroide di fascia principale che compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.490 giorni (4.08 anni) ad una distanza compresa tra le 2.08 e le 3.02 unità astronomiche (rispettivamente, 311.163.571 Km al perielio e 451.785.570 Km all’afelio). Deve il suo nome in onore di Santa Giulia. Scoperto dall’astronomo Édouard Stephan il 6 Agosto 1866, questo imponente asteroide (circa 145 Km di diametro) sarà in opposizione il 24 Gennaio, momento nel quale raggiungerà la massima luminosità brillando di magnitudine di 10.4. Il suo moto sarà di 0,70 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 4 minuti. Per ottenere una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (89) Julia trasformarsi in una bella striscia luminosa di 28 secondi d’arco.
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C/2022 E3 ZTF Il viaggio della bella cometa continua ad appassionarci!
Gennaio è il mese del passaggio al perielio della C/2022 E3 ZTF, istante fissato per il giorno 12 quando transiterà a 1,11 U.A. dalla nostra stella raggiungendo probabilmente una luminosità vicina alla sesta magnitudine. Questo valore dovrebbe in seguito migliorare toccando l’apice il primo febbraio, quando l’oggetto transiterà alla minima distanza dal nostro pianeta avvicinandosi fino a circa 40 milioni di chilometri. Saranno perciò gli ultimi giorni di gennaio e i primi di febbraio il momento clou, con l’ ”astro chiomato” che in quel periodo (secondo le stime) brillerà di quinta, forse quarta magnitudine. Momenti da non perdere dunque, che potrebbero permetterci di rivedere una cometa ad occhio nudo dopo due anni e mezzo. Ad ogni modo, male che vada, un piccolo binocolo permetterà ottime osservazioni, sempre tenendo presente che un cielo privo di inquinamento luminoso è sicuramente capace di esaltare un oggetto di tale luminosità, che invece diventa anonimo se non inosservabile da siti inondati dalla luce artificiale. Personalmente l’ho osservata negli ultimi giorni di dicembre dalle dolomiti con vari strumenti e già con un piccolo binocolo 10×50 è risultata facilmente visibile grazie alla sua chioma molto compatta. Con un binocolo più grande ho percepito anche un accenno di coda allargata. Insomma, mi è parsa davvero convincente, il che fa ben sperare.
Partendo dalla Corona Boreale la E3 ZTF si dirigerà verso la Giraffa, coprendo ben 70°in cielo, risultando circumpolare nell’ultima decade del mese per tutta la penisola. Fino attorno al giorno 20 l’orario più favorevole per le osservazioni si attesta un po’ prima del termine della notte astronomica, mentre negli ultimi giorni di gennaio potremo invece iniziare la sessione non appena fa buio, trovando la cometa già piuttosto alta in cielo, con la finestra favorevole che durerà fino a ridosso dell’alba. Da considerare però in quel periodo la presenza ingombrante della Luna che consiglia (se non obbliga) ad osservare prima dell’alba. Da segnalare infine un bell’incontro nella nottata del 23 gennaio quando la cometa transiterà a circa un grado da NGC 5907, una galassia a spirale vista di taglio di mag. 10,3.
C/2020 V2 ZTF Ancora ci tiene compagnia nei nostri cieli invernali
Relegata in secondo piano ma comunque interessante da cercare, la V2 ZTF sarà circumpolare e brillerà di decima magnitudine, trasferendosi ben presto dal Cefeo a Cassiopea, risultando osservabile nelle migliori condizioni non appena fa buio. Il 26 gennaio sfilerà a meno di mezzo grado da Ruchbah, la luminosa stella Delta di Cassiopea.
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