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Sistema Solare – Missione Juice e i satelliti di Giove

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La missione JUICE di Gabriele Cremonese

Alla fine del 1800 Pierre Simon Laplace pubblicò un libro sulla meccanica celeste, forse per la prima volta in assoluto, riportando uno studio sulla correlazione dei periodi di rivoluzione dei 3 satelliti galileiani di Giove, Io, Europa e Ganimede. I suoi calcoli precisi l’avevano guidato fino a scoprire che i rapporti dei loro periodi orbitali sono esprimibili in numeri interi piccoli, cioè sono in risonanza orbitale 1:2:4 (Ganimede, Europa, Io). Questa peculiarità dell’interazione orbitale tra 3 e più corpi viene definita ora Risonanza di Laplace.

 

Nel 2007 l’ESA selezionò 3 missioni per una fase di studio nell’ambito di Cosmic Vision 2015-2025, che avrebbe portato alla selezione della prima Large mission. Una di queste 3 venne chiamata EJSM-Laplace (Europa Jupiter System Mission) e aveva come obiettivo l’esplorazione del sistema gioviano, con particolare enfasi per i satelliti galileiani. Nel 2008 lo studio preliminare iniziò dall’ipotesi che fosse costituita da due satelliti il Jupiter GanymedeOrbiter (JGO), progettato e realizzato dall’ESA, e il Jupiter Europa Orbiter (JEO), progettato e realizzato dalla NASA sugellando una stretta collaborazione tra le due agenzie spaziali.

Europa è il secondo satellite galileiano, in ordine di distanza dal pianeta, ed essendo più vicino a Giove, e soprattutto a Io, è soggetto ad un forte bombardamento di fotoni, elettroni, protoni ed atomi ionizzati. Un ambiente molto ostile per qualiasi strumento e sotto-sistema ottico ed elettronico costringendo ad uno sforzo tecnologico irraggiungibile per l’ESA e i paesi Europei, la NASA perciò se ne è assunse la responsabilità. Per compredere un po’ meglio l’ambiente di cui stiamo parlando è sufficiente sapere che per la progettazione degli strumenti bisognava assumere come postulato la necessità di assorbire una dose di radiazione alcune volte superiore a quella prevista per un satellite in orbita attorno a Mercurio, il pianeta più vicino al Sole. Non stiamo parlando infatti solo di fotoni, ma di particelle cariche, quindi molto più massicce, dovute al toro di plasma che circonda Giove, in corrispondenza dell’orbita di Io, che influenza anche Europa.

Purtroppo nel 2011 la NASA ha cancellato il progetto JEO e di conseguenza si è interrotta anche la collaborazione con l’ESA per l’esplorazione del sistema gioviano, mentre qualche anno dopo è emerso un nuovostudio per un orbiter attorno ad Europa, Europa Clipper, che ora è diventata una flagshipe e verrà lanciata nel 2024.

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Astrobiologia su Europa di John R. Brucato

Sono trascorsi più di 400 anni da quando Galileo Galilei scopri Europa insieme agli altri satelliti gioviani, ma dopo tutto questo tempo, lavorare oggi all’Osservatorio Astrofisico di Arcetri, distante poche centinaia di metri dalla Villa il Gioiello dove Galileo trascorse i suoi ultimi anni di vita e studiare questo incredibile satellite, fa un certo effetto. Si perché Europa è un corpo davvero speciale. Già negli anni sessanta, attraverso osservazioni con i telescopi a terra, si conosceva che Europa è ricoperto da acqua ghiacciata.  In seguito, negli anni ’70 Europa è stato visitato dalle sonde Pioneer 10 e 11, ma i dettagli più significativi sono stati forniti nel 1979 dalle due sonde Voyager 1 e 2 che mostrarono una superficie molto brillante e rugosa, attraversata da profonde fratture. La cosa più sorprendente che i ricercatori osservarono fu la presenza di grandi blocchi di ghiaccio frammentati e ruotati in varie direzioni disposti in modo che le striature presenti sulla loro superficie potessero combaciare l’una all’altra come pezzi di un puzzle. Blocchi di ghiaccio frammentati con profonde crepe e mossi nel tempo, come se fluttuassero su una superficie mobile. Altra grande sorpresa è stata l’assenza di crateri da impatto. Quasi tutti i corpi del Sistema Solare hanno avuto un passato difficile, con superfici continuamente bombardate da asteroidi e comete. L’assenza, tranne alcuni sporadici casi, di crateri su Europa dimostra che è un corpo, come si usa dire, giovane,  sebbene comunque formato agli albori del Sistema Solare, ovvero ha una superficie che si rinnova continuamente, cancellando i segni lasciati dagli impatti. Un po’ come il nostro pianeta Terra. È molto raro, infatti, trovare crateri da impatto sulla superficie terrestre, perché il nostro è un pianeta geologicamente attivo con una crosta in continuo movimento in grado di cancellare le tracce del passato.

Sezione di Europa in cui è mostrato l’oceano di acqua liquida presente sotto la crosta ghiacciata e a contatto con un mantello di silicati. Credito: NASA/JPL-Caltech

Tali scoperte anticiparono quella che fino ai nostri giorni è stata la missione spaziale che ha fornito i migliori risultati, il cui nome non poteva che celebrare il grande scienziato, si tratta della missione della NASA Galileo lanciata dallo Space Shuttle Atlantis nel 1989 e giunta a destinazione nel 1995. Mentre le precedenti missioni Pioneer e Voyager avevano osservato Europa solo in un loro cosiddetto fly-by ovvero in un veloce passaggio ravvicinato durante il loro lungo viaggio verso i confini del Sistema Solare, la missione Galileo orbitò attorno al satellite per ben 12 volte, fornendo immagini molto dettagliate della superficie e misure del campo magnetico. Gli strumenti a bordo della missione  produssero anche mappe accurate della composizione dei ghiacci che costituiscono la superficie della luna. Le bande di assorbimento osservate negli spettri dello strumento NIMS (Near Infrared Mapping Spectrometer) hanno permesso di identificare la presenza di minerali salini idrati, di solfati e di carbonati associati alle fratture presenti sulla superficie e ai terreni più giovani. Dati importanti da cui deriva la scoperta più eclatante:sotto la superficie ghiacciata di Europa esiste un oceano di acqua liquida salata.

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LA VARIABILITÀ GEOLOGICA DEI SATELLITI GALILEIANI, DAI VULCANI ATTIVI AGLI OCEANI SEPOLTI di Lucia Marinangeli

Io, Europa, Ganimede e Callisto sono le quattro maggiori lune di Giove (fig. 1),osservate per la prima volta da Galileo Galilei nel 1610 e per questo chiamati satelliti galileiani. Presentano un’incredibile varietà geologica individuata fin dalle prime immagini delle sonde NASA negli anni ’70, quando venne fotografata sul satellite Io, la prima attività vulcanica extraterrestre (fig. 2). La gigantesca forza di gravità di Giove produce delle forze di marea che innescano sviluppo di calore all’interno del satellite a causa della dissipazione dell’energia prodotta dalla risonanza mareale, provocando il cosiddetto riscaldamento mareale. Lo sviluppo di calore interno dei satelliti galileiani è quindi diverso da quello della Terra dove è generato dal decadimento radioattivo. Uno studio recente evidenzia che l’interazione gravitazionale tra le lune non è trascurabile e può amplificare il riscaldamento mareale. Tale effetto dipende anche dallo spessore dello strato fluido (magma o oceano) all’interno del satellite ipotizzato nelle modellizzazioni come variabile da alcuni km a centinaia di km. L’incertezza nella definizione della struttura interna di questi corpi resta ancora una grande incognita e potrà essere migliorata dai dati delle prossime missioni così da arrivare a definire correttamente le dinamiche interne che guidano l’attività geologica di superficie. La maggior parte delle interpretazioni geologiche per queste lune si basa sui dati della missione Galileo negli anni ’90.

Figura 1. Giove e le sue lune riprese dalla sonda Galileo. Dall’alto verso il basso, rispecchiando la distanza dal pianeta, abbiamo: Io, Europa, Ganimede e Callisto. Credits NASA

Il satellite Io, di poco più grande della nostra Luna, è il più vicino a Giove e per questo risente maggiormente del riscaldamento mareale che alimenta un’intensa attività vulcanica (Fig. 2) caratterizzata da magmi molto ricchi di zolfo. Io è considerato il corpo planetario vulcanicamente più attivo dell’intero Sistema Solare[3] con centinaia di strutture vulcaniche suddivise in hot spot,aree di alta temperatura che indicano attività magmatica recente e le patere, caldere vulcaniche che in larga parte sono dormienti o estinte o attive negli ultimi milioni di anni. È stato stimato che l’attività vulcanica riuscirebbe a ricoprire la superficie di Io in pochi milioni di anni [4], quindi la maggior parte della storia geologica del satellite è stata sepolta da depositi vulcanici recenti o riciclata in nuovo magma.

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L’articolo completo è pubblicato in Coelum Astronomia n°260 di febbraio/marzo 2023

 

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