“Abbiamo cominciato da vagabondi, e siamo ancora vagabondi. Ci siamo soffermati abbastanza a lungo sulle rive dell’oceano cosmico. Finalmente siamo pronti a salpare verso le stelle.” Carl Sagan
Si è tenuto il 14 e 15 giugno nella sede Estec dei Paesi Bassi il Consiglio dell’ESA per pianificare i prossimi passi dell’ esplorazione spaziale. Al meeting si è unito anche Bill Nelson, amministratore della Nasa, confermando l’importanza della cooperazione e dell’unione di intenti per le incredibili sfide che ci aspettano se vogliamo “salpare verso le stelle”. “Stiamo viaggiando più lontano che mai nel cosmo – e che sia sulla Iss in orbita terrestre bassa, sulla Luna attraverso le nostre missioni Artemis, su Marte e oltre – la partnership scientifica ed esplorativa della Nasa e dell’Esa ci mostra cosa è possibile fare quando lavoriamo insieme per sviluppare scienza e tecnologia rivoluzionarie a beneficio dell’umanità.”, afferma Nelson.
Tra i punti focali della riunione la Luna, Marte e la Terra.
Astronauti europei sulla Luna
L’intesa della partnership ESA-NASA è sottolineata da un nuovo accordo raggiunto che prevede il primo astronauta europeo a mettere piede sulla Luna. A bordo del veicolo spaziale Orion, costruito per trasportare nello spazio l’equipaggio, saranno tre i cosmonauti europei designati per la missione. L’ESA svolge un ruolo chiave per la vita nella capsula Orion, fornendo con i suoi Moduli di Servizio energia, capacità di manovra nello spazio e supporti vitali come acqua e ossigeno.
Una meravigliosa luna piena dietro l’Artemis I Space Launch System e il veicolo spaziale Orion. Credit: NASA/Cory Huston
La collaborazione tra i due enti spaziali prevede lo sviluppo di progetti per la “Lunar economy”, in particolare del settore delle telecomunicazioni spaziali. La NASA porterà in orbita lunare il Lunar Pathfinder, un satellite commerciale costruito dalla compagnia inglese SSTL, mentre l’ESA fornirà accesso alle comunicazioni lunari. Test congiunti tra le due agenzie sull’utilizzo di segnali di navigazione e laser si integrano nel progetto Moonlight, una rete di satelliti che orbiterà intorno alla Luna per fornire servizi di telecomunicazione.
Uno sguardo verso Marte
L’importanza di unire le forze in una cooperazione reciproca è un tema messo in risalto dall’annullamento del lancio della missione ExoMars. L’ESA, infatti, ha terminato il rapporto di collaborazione con l’agenzia spaziale russa dopo la recente aggressione in Ucraina; la NASA sta valutando come contribuire allo sviluppo del rover “Rosalind Franklin”.
Una riproduzione del rover della missione ExoMars. Credit: ESA/ATG medialab
Alla ricerca di segnali di vita passata sul pianeta rosso, il rover è stato progettato come laboratorio scientifico mobile per la perforazione del suolo marziano e la conduzione di vari esperimenti scientifici. Mentre la Nasa ha fornito elementi chiave di uno degli strumento del Rosalind Franklin, MOMA, l’ESA sta conducendo uno studio per implementare al meglio gli strumenti per la missione. “Nell’approfondire la nostra partnership nell’esplorazione di Marte, che include anche l’innovativa campagna Mars Sample Return, la Nasa sta cercando di capire il modo migliore per supportare i nostri amici europei nella missione ExoMars”, ha detto Bill Nelson.
Una cura per la nostra casa
Gli ostacoli da superare verso le nuove frontiere dell’esplorazione spaziale non distolgono lo sguardo dai problemi da risolvere nel nostro pianeta. Europa e Stati Uniti cementificano la loro collaborazione unendo le forze nella lotta al cambiamento climatico, condividendo dati raccolti nell’osservazione e definendo un nuovo standard per il futuro.
Una sfida impegnativa da risolvere per un domani migliore, come sottolinea il direttore generale dell’ESA, Aschbacher: “Quando si tratta di sfide globali, come la crisi climatica, ognuno ha il proprio ruolo da svolgere, ma è solo unendo le forze che possiamo ottenere di più”.
La speranza di contribuire in maniera significativa al benessere collettivo risiede proprio nell’aiuto e nella collaborazione di tutti, come ESA e NASA stanno dimostrando in questi giorni.
“Volevamo che la vita fosse una possibile spiegazione ma quando abbiamo eseguito i modelli abbiamo visto che non è una soluzione praticabile. Ma se la vita non è responsabile di ciò che vediamo su Venere, vuol dire che c’è ancora un problema da risolvere: c’è molta chimica strana da approfondire.” Sean Jordan, Institute of Astronomy di Cambridge.
Per decenni gli astronomi hanno cercato una possibile spiegazione all’insolito comportamento dello zolfo nell’atmosfera di Venere, ipotizzando tra le cause una possibile forma “aerea” di vita extraterrestre. Un nuovo studio riportato sulla rivista Nature Communications dal team di ricerca dell’istituto di Astronomia di Cambridge smentisce quest’ipotesi, affermando che una possibile forma di vita non può spiegare la composizione dell’atmosfera venusiana.
Alla ricerca della vita
Ogni forma di vita presente con sufficiente abbondanza lascia una propria impronta chimica sull’atmosfera di una pianeta, consumando cibo ed espellendo i proprio rifiuti. “Abbiamo passato gli ultimi due anni cercando di spiegare la strana chimica dello zolfo che vediamo nelle nuvole di Venere”, riporta il coautore dell’articolo Dr. Paul Rimmer del Dipartimento di Scienze della Terra di Cambridge. “La vita è piuttosto brava nel creare una strana chimica, quindi abbiamo studiato se esista un modo per rendere la vita una potenziale spiegazione per ciò che vediamo”.
I modelli sviluppati includono un elenco di reazioni metaboliche che le forme di vita svolgerebbero per ottenere il loro “cibo” e i sottoprodotti di scarto. I ricercatori hanno riprodotto il modello tramite simulazioni per vedere se la riduzione dei livelli di SO2 (anidride solforosa) potesse essere spiegata da queste reazioni metaboliche.
I risultati della ricerca stabiliscono un limite rigido su quanta vita potrebbe esistere su Venere senza demolire la nostra comprensione di come le reazioni chimiche funzionino nell’atmosfera planetaria.
Venere e la sua atmosfera. Credit: Nasa
Sviluppi futuri
Uno sguardo ottimista verso il futuro arriva dalle prossime missioni di esplorazione spaziale. Sebbene, infatti, non ci siano prove che la vita si nasconda nelle nuvole di Venere, i ricercatori affermano che queste analisi saranno preziose per gli studi futuri.
Un esempio è dato dal JWST, il successore del telescopio Hubble, in grado di rilevare con facilità alcune molecole di zolfo in altri sistemi planetari, ampliando le nostre conoscenze sul comportamento chimico del nostro vicino di casa e dei pianeti esterni al Sistema Solare.
Un’altra speranza per una comprensione migliore dell’atmosfera venusiana arriva dalla futura missione DaVinci, che scenderà tra i vari strati dell’atmosfera del pianeta a metà del 2031. DaVinci misurerà per la prima volta alcuni parametri dell’atmosfera di Venere, fornendo immagini degli altipiani montuosi, mappando la loro composizione rocciosa.
«Questo insieme di dati di imaging chimico, ambientale e di discesa dipingerà un’immagine dell’atmosfera stratificata di Venere», ha affermato Jim Garvin del Goddard Space Flight Center della Nasa. «Queste misurazioni ci consentiranno di valutare aspetti storici dell’atmosfera e di rilevare speciali tipi di roccia in superficie come i graniti, cercando anche caratteristiche paesaggistiche rivelatrici che potrebbero parlarci dell’erosione o di altri processi di formazione».
La gemella “diversa” del nostro pianeta
Nel numero 255 di Coelum Venere è analizzato da differenti prospettive:
Vi sono molte vaste costellazioni nel cielo di cui solo due lunghissime: ma mentre Eridanus appare nel cielo autunnale, ecco che la costellazione la cui testa e cuore si rendono ora evidenti è solo una.
La più grande di tutte le 88 costellazioni della volta celeste: Hydra.
Indice dei contenuti
Vuoi leggere la prima parte? Puoi trovare l’articolo nel n. 255 di Coelum
[…]
LUNGO IL COLLO DI HYDRA
Da ζ Hydrae, volgiamo l’attenzione all’area immediatamente ad oriente di questa stella, dove alcune stelle di terza e quarta grandezza qui presenti delineano il collo di Hydra. Il primo interessante oggetto che andiamo a visitare è una galassia facilmente reperibile a meno di 1° a nord-est di ζ Hydrae: NGC2718, ottimo target per telescopi di grosso diametro. Scoperta da W.Herschel il 24 marzo 1786 con un telescopio da 48 cm di diametro, NGC2718 è una piccola ma bella spirale di dodicesima magnitudine vista esattamente di fronte, la cui caratteristica più rilevante è la pronunciata barra centrale dalla quale si staccano due braccia – ben rilevabili nelle riprese fotografiche – che conferiscono a questo universo-isola una forma molto simile a quella di una S, pur ribaltata orizzontalmente. Larga poco più di 2’, all’osservazione condotta con un telescopio da almeno 300 mm la galassia si rende rende visibile come una sorta di fuso del quale si percepiscono, prestando molta attenzione, entrambe le estremità ricurve. Il rigonfiamento centrale galattico contrasta poco sulla barra ma nelle riprese mette ben in evidenza la puntiformità del nucleo, di apparenza prettamente stellare.
Galassia a spirale barrata NGC 2718. Credit: By Donald Pelletier – Own work, CC BY-SA 4.0
Nello stesso campo di ripresa sarà possibile rilevare, 5’ a nord-ovest, della componente più luminosa di UGC04703, una interessante coppia di galassie tra loro interconnesse. Mentre la distanza dalla Via Lattea di NGC2718 sembra aggirarsi attorno a 190 milioni di anni-luce – valore che ne porta il reale diametro ad essere stimato in 130 mila anni-luce – la distanza di UGC04703 sembra di poco minore, valutata in circa 180 milioni di anni-luce; stando alla distanza, le due galassie sarebbero separate da circa 110 mila anni-luce. Le loro minute dimensioni rispetto alla vicina grande galassia indicano trattarsi di galassie di ben più piccole dimensioni, valutate in circa 16 mila e 11 mila anni-luce, non dissimili dalle note M31 ed M110, satelliti della “grande galassia di Andromeda”. Nelle riprese a lunga posa, il membro più a sud della coppia esibisce un debole pennacchio pronunciato verso est, lungo oltre 50 mila anni-luce. Cifre davvero da capogiro! Una curiosità: confrontando le proprietà fisiche e morfologiche di UGC04703 con quelle delle due Nubi di Magellano, si può affermare che il sistema NGC2718-UGC4703 è un analogo del nostrano sistema LMC-SMC-MW. UGC4703A sta chiaramente interagendo con la sua più piccola compagna, UGC4703B, formando così un ponte di flusso stellare che le collega. Ripresa nell’idrogeno neutro, la coppia ha rivelato prove di interazione tra la coppia di galassie nane ed NGC2781 ed la presenza di regioni di formazione stellare lungo il ponte che unisce UGC 4703A ad 4703B: ma nessuna emissione estesa alla pari del noto Magellanic Stream.
Puntando anche un semplice binocolo a sud-est di ζ Hydrae, a metà del percorso tra questa e ω Hydrae è presente una bella e larga doppia prospettica. Le due stelle in questione, HD77250 ad occidente ed HD77293 ad oriente, splendono rispettivamente di magnitudine 6,07 e 7,18, presentando un bel contrasto di colori: arancione cupo la prima, bianca la seconda. Distano dal Sistema Solare rispettivamente 268 e 330 anni-luce.
La stella di magnitudine apparente 6,707 HD 77250. Credits: Strasbourg astronomical Data Center
Proseguendo sempre in direzione sud-est, ecco ω Hydrae, che splende esattamente di quinta grandezza. Non dobbiamo farci, però trarre in inganno: la sua debole luminosità apparente è resa tale solamente dall’enorme distanza dal Sistema Solare di tale stella, valutata in ben 900 anni-luce. Con una massa superiore a 4 volte quella del Sole, pur avendo un’età di “solo” 180 milioni di anni, ω Hydrae è già una stella evoluta di tipo K2 II-III (4.800 K), che produce energia attraverso la fusione dell’elio nel suo nucleo; il diametro di questa gigante, quasi 50 volte quello della nostra stella, porta ω Hydrae ad irradiare ben 945 volte più del Sole.
Posizione di ω Hydrae nel diagramma H-R. Credit: Richard Powell / CC BY-SA
Come sempre, uno degli scopi della presente rubrica è quello di elencare e portare alla conoscenza di coloro che sono appassionati del cielo profondo l’esistenza di oggetti poco noti o del tutto sconosciuti. E’ il caso di un ammasso stellare di cui vi è ben poco, se non quasi nulla, in letteratura. L’oggetto in questione può essere rintracciato senza alcuna difficoltà puntando il telescopio all’ipotetico vertice di un triangolo isoscele avente negli altri due la già citata ω Hydrae e la successiva θ Hydrae. Pardanaud 1: questo il nome dell’ammasso stellare, occupa rispettivamente 2,5° ad est della prima e a nord-est della seconda di questa coppia di stelle. Il gruppo è composto da una decina di stelle in tutto, con luminosità simile e compresa tra la decima e la dodicesima grandezza. Le componenti dell’ammasso, lontano circa 1.550 anni-luce dal Sistema Solare, sono disposte in due sottogruppi, ben distinti e disposti l’uno a settentrione dell’altro (o viceversa), ognuno formato da 5-6 stelle; il secondo, in particolare, è di minor estensione. Tutto l’ammasso si estende per circa 10’ in altezza e circa la metà in larghezza. Con ogni probabilità, Pardanaud 1 è un ammasso stellare molto vecchio e, soprattutto, poco coeso, che ha perso molte delle sue originarie componenti nel tempo durante le sue orbite attorno al centro galattico a partire dalla sua nascita.
Eccoci, quindi, giungere alla bianco-azzurra θ Hydrae, stella che splende di magnitudine 3,89. Lontana quasi 130 anni-luce dal Sistema Solare, è sede di un sistema binario spettroscopico. Di tipo spettrale B9,5V (10.300 K), è una stella di sequenza principale dalla massa 2,5 volte quella del Sole e dal raggio esattamente il doppio; il potere radiante risultante è 40 volte quello della nostra stella. All’analisi spettroscopica, questo astro rivela un’abbondanza insolitamente bassa di metalli (si stima, il 38% di quella solare) nella sua atmosfera più esterna; prototipo di una classe, che raccoglie stelle solitamente comprese dagli ultimi tipi classe B ai primi di classe F, è λ Bootis che da anche il nome a tale gruppo che conta, ad oggi pochi membri noti, tanto da ritenere che in una data classe spettrale siano solo il 2% le stelle di questo tipo. Una delle possibili spiegazioni a quanto esibito è che θ Hydrae e le altre stelle di questo tipo siano nate da una nube molecolare povera in metalli. Nelle vicinanze di θ Hydrae, telescopi di modesto diametro permettono di scorgere tre compagne prospettiche, rispettivamente di 20”, 82” e 100”d’arco e con luminosità comprese la decima e la dodicesima grandezza. La vera compagna della stella è una nana bianca, avente ben l’83% della massa del Sole; un astro densissimo, dal diametro valutato in poco meno di 6.000 km: ovvero, meno della metà del diametro del nostro pianeta!
Mappa semplificata della posizione di θ Hydrae. Credit: theskylive.com
Altra bella doppia, facile da osservare con telescopi di modesta apertura, è Struve 1347, situata circa 2° a nord-est di θ Hydrae. La componente primaria, di magnitudine 7,3, appare giallognola mentre la secondaria, di una grandezza più debole, decisamente azzurrina: le due formano, così, un bel contrasto cromatico che migliora notevolmente utilizzando oculari a corte focali. La separazione tra le due stelle, 21,1” d’arco, permette di risolvere la coppia anche a bassi ingrandimenti. Restano oggi pochi dubbi sul fatto che tale coppia costituisca un vero sistema binario, dal momento in cui entrambe le stelle condividono lo stesso moto nello spazio; tenendo presente la loro (e comune) distanza dal Sistema Solare, stimata in 360 anni-luce, una reale separazione di ben 3 mesi-luce (circa ¼ di anno-luce) intercorre tra le due componenti. Circa mezzo grado a sud della coppia è presente la piccola galassia di dodicesima magnitudine NCG2858, una piccola spirale lontana 166 milioni di anni-luce dalla Via Lattea, larga 1,7’ . Nelle foto a piena risoluzione, tale galassia ricorda molto la ben più nota M109 in Ursa Major.
NGC 2858 Credit: Donald Pelletier
Esattamente 6,5° a nord-est di θ Hydrae è presente 2 Hydrae, una sub-gigante di magnitudine 5,6 lontana 173 anni-luce dal Sistema Solare. Situata nell’estremo angolo nord-orientale della parte più settentrionale di questa immensa costellazione, 2 Hydrae ci farà ora da punto di riferimento per trovare altre due interessanti galassie, la seconda delle quali riserverà una sorpresa. Circa 47’ a nord -est, in prossimità del confine con Sextans, ecco NGC2962, una galassia lenticolare di tipo SB0 di dodicesima grandezza, larga 2,6′. E’ il membro di maggior massa e luminosità del gruppo che ne porta il nome, comprendente anche le più piccole PGC27248 e NGC2966, quest’ultima entro i confini di Sextans. Lontana circa 110 milioni di anni-luce dalla Via Lattea, all’osservazione telescopica NGC2962 si presenta come un luminoso ovale lungo 1’ e con un nucleo molto luminoso. Essa però fornisce il meglio di sé nelle riprese fotografiche, dove attorno all’ovale luminoso appare la parte più esterna del disco della galassia, dalla luminosità molto minore: in realtà, questo disco appare nettamente staccata dalla parte interna e più luminosa, formando un anello. NGC2962 non è la prima galassia a presentare tale singolare struttura ma allorché l’astronomo francese Gérard de Vaucouleurs – il quale sviluppò una classificazione tridimensionale di questi oggetti ancora più precisa di quella precedentemente edita da Edwin Hubble – si imbatté in NGC2962, egli la classificò con la strana sigla (R’)SAB(rs)0/a. Cosa significa? Nella descrizione fornita da de Vaucouleurs, “la zona interna presenta aree più luminose vicino all’asse maggiore, correlate sia ad una barra che ad un anello interno. Vi sono anse relative a una barra che fa anche parte di un anello interno; poiché tali anse sono a forma di arco, tale varietà viene classificata come (rs). La classificazione SAB è basata anche su queste anse e sul fatto che l’area interna appare più allungata del disco esterno; si sospetta che tale zona sia ovale. L’anello esterno sembra essere costituito da una struttura a spirale, ma questa si rende chiara solo su un lato. Anche la struttura a spirale molto debole sembra separarsi dall’anello.” Una galassia, quindi, dalla struttura molto complessa.
Uno spettacolo multimediale e sensoriale di immagini e suoni dedicato al meraviglioso mondo delle stelle, composto per offrire allo spettatore spunti di pensiero su questi elementi chiave per la conoscenza dell’Universo di cui noi stessi siamo parte.
Alla proiezione di suggestive immagini astronomiche catturate dai telescopi situati a terra e nello spazio, che riprendono le stelle nelle varie fasi della loro complessa evoluzione – dalla nascita negli apparati nebulari alla loro fine attraverso eventi estremi che portano all’arricchimento di elementi nella Galassia – verrà associata una musica coinvolgente ed eseguita interamente dal vivo: un intreccio che vedrà l’alternarsi di brani eseguiti al pianoforte ad altri interamente elettronici, creati col Theremin e sintetizzatori vari.
Un mix di “timbriche e melodie cosmiche emozionali” che porterà lo spettatore a viaggiare nel buio degli anni-luce verso panorami stellari mozzafiato che verranno descritti da una singolare “voce dallo spazio”, la quale racconterà cosa sono le stelle, quale la loro evoluzione e i loro segreti, abbinando testi scientifici composti per l’occasione a citazioni letterarie e poetiche.
“La nostra galassia è un meraviglioso crogiolo di stelle”, afferma Alejandra Recio-Blanco dell’Observatoire de la Côte d’Azur in Francia, membro della collaborazione Gaia.
COMUNICATO STAMPA
Le stelle e il loro comportamento bizzarro sono al centro del nuovo studio di Gaia, una missione dell’ESA con l’obiettivo di mappare la nostra galassia per studiarne la formazione e la sua evoluzione nel tempo, rivelando nuovi dettagli su composizione e velocità radiale con la quale si avvicinano o allontano da noi.
Nella ricerca è presente il più vasto catalogo mai compilato di stelle binarie, migliaia di oggetti del Sistema Solare e milioni di galassie e quasar esterne alla nostra Via Lattea.
Terremoti Stellari
Una delle scoperte più sorprendenti emerse dai nuovi dati è la capacità di Gaia di rilevare terremoti stellari: piccoli movimenti sulla superficie di una stella che ne modificano la forma.
Queste vibrazioni, simili a tsunami su vasta scala, sono oscillazioni non radiali che smentiscono la teoria attuale secondo cui queste stelle non dovrebbero subire terremoti. In precedenza, infatti, Gaia aveva già rilevato movimenti radiali che espandono e comprimono le stelle ciclicamente, mantenendo tuttavia la loro forma sferica.
Terremoti stellari in azione. Credit: ESA/Gaia/DPAC, CC BY-SA 3.0 IGO
DNA stellare
Molte misurazioni effettuate da Gaia si basano sullo studio della spettroscopia della stella. Lo spettro stellare è la carta d’identità in grado di fornirci informazioni indispensabili quali composizione, temperatura e moto. Il satellite sta al momento tracciando la più estesa mappa chimica della nostra galassia, dagli oggetti più vicini a noi fino a galassie più piccole che la circondano.
Con Gaia siamo in grado di notare che alcune stelle sono composte da materiale primordiale mentre altre, come il nostro Sole, sono composte da materia arricchita da precedenti generazioni di stelle. “Questa diversità è estremamente importante, perché ci racconta la storia della formazione della nostra galassia. Rivela i processi di migrazione all’interno della nostra galassia e di accrescimento da galassie esterne. Dimostra inoltre chiaramente che il nostro Sole e di conseguenza noi, apparteniamo a un sistema in continua evoluzione, formatosi grazie all’assemblaggio di stelle e gas di diversa origine” (Alejandra Recio-Blanco).
Composizione chimica della Via Lattea. Credit: ESA/Gaia/DPAC; CC BY-SA 3.0 IGO, CC BY-SA 3.0 IGO
Stelle binarie, asteroidi, quasar e altro ancora
Altri documenti pubblicati oggi testimoniano la portata e il potenziale delle scoperte di Gaia. Un nuovo catalogo di stelle binarie presenta la massa e l’evoluzione di oltre 800 mila sistemi binari, mentre una nuova indagine sugli asteroidi, che comprende 156 mila corpi rocciosi, analizza più a fondo l’origine del nostro Sistema solare. Gaia sta anche rivelando informazioni su 10 milioni di stelle variabili, su misteriose macromolecole presenti nel gas tra le stelle, nonché su quasar e galassie lontane.
“A differenza di altre missioni mirate a oggetti specifici, Gaia è una missione di ricerca. Ciò significa che Gaia, pur scandagliando più volte l’intero cielo con miliardi di stelle, è destinata a fare scoperte che ad altre missioni più specializzate sfuggirebbero. Questo è uno dei suoi punti di forza e non vediamo l’ora che la comunità astronomica analizzi i nuovi dati per scoprire sulla nostra galassia e sui suoi dintorni ancora più di quanto avremmo potuto immaginare”, afferma Timo Prusti, scienziato di progetto per Gaia presso l’ESA.
a partire da giugno 2022 la rivista Coelum Astronomia cesserà la collaborazione con JooMag. Gli arretrati in pdf saranno disponibili in maniera gratuita nella sezione “Archivio degli Arretrati” nella voce di menù “Rivista” del sito www.coelum.com link diretto https://www.coelum.com/coelum/archivio.
La visualizzazione dei pdf è gratuita previa registrazione alla Community come utente Supenova. Le indicazioni sono disponibili a questa pagina: https://www.coelum.com/entra-in-coelum
Per qualsiasi informazione e chiarimento vi invitiamo a contattare lo Staff di Coelum
“L’immaginazione come ho detto è il primo fonte della felicità umana. Quanto più questa regnerà nell’uomo, tanto più l’uomo sarà felice.” Giacomo Leopardi
Nello storico delle immagini marziane raccolte da sonde e rover quelle che più di altre sono rimaste nella memoria collettiva sono probabilmente le pareidolie: volti, porte, cucchiai e altri oggetti che innescano il nostro istinto nel riordinare strutture casuali in forme note e che alimentano la nostra fantasia.
Spicca in uno scatto del 25 aprile 2022 un cratere somigliante ad un occhio spalancato nella regione Aonia Terra. Questa zona prende il nome da un’antica regione della Grecia, un luogo sacro alle Muse, in cui sono presenti imponenti crateri come il Lowell largo 200 km, formatosi 4 miliardi di anni fa durante una fase della storia del Sistema Solare denominata “Intenso Bombardamento Tardivo”.
L’iride di Marte
Credits: ESA/DLR/FU Berlin, CC BY-SA 3.0 IGO
Il cratere ripreso nell’immagine non ha ancora un nome ed è largo circa 30 km, immerso in un suggestivo paesaggio di canali tortuosi simili a numerose venature che attraversano un bulbo oculare umano; probabilmente canali che 3,5-4 miliardi di anni fa hanno trasportato acqua liquida sulla superficie del pianeta. Al suo interno è visibile un bacino di dune più scure che poggia su una superficie più chiara. Ad un’ispezione più accurata risulta evidente che il cratere è costellato di colline a forma di cono: una prova che molti materiali differenti si sono accumulati all’interno di questa depressione del terreno.
Non solo all’interno del cratere, ma tutta la zona circostante presenta una composizione eterogenea di materiali differenti come suggerisce la varietà di colori presenti in foto. Ad esempio nella zona a sud la superficie è di un rosso caldo che si scioglie in un grigio-bruno più scuro nelle vicinanze del cratere. In questa regione sono visibili molti rilievi caratteristici: queste “torri rocciose” dalla sommità appiattita si formano quando la terra è gradualmente consumata da acqua, vento o ghiaccio. Lo studio di questo angolo di Marte è possibile grazie allatelecamera stereo ad alta risoluzione (HRSC) installata a bordo della sonda Mars Express, in orbita dal 2003, che sta rivelando molti dettagli sulle diverse caratteristiche della superficie del pianeta.
Il paesaggio graffiato e ricco di colori (per gli standard marziani!) in foto mostra una zona del “Aonia Terra”, una regione montuosa negli altopiani meridionali di Marte, scattata dalla sonda Mars Express il 25 aprile 2022 (credits ESA/DLR/FU Berlin, CC BY-SA 3.0 IGO).
Una fotografa d’eccezione
Il 7 maggio 2022 la camera a bordo di Curiosity immortala un’immagine divenuta virale in poche ore: un ingresso artificiale scavato in una parete rocciosa. Questa “porta” che ha alimentato la fantasia di moltissime persone in realtà non è altro che una piccola frattura su una parete rocciosa del Monte Sharp.
A causa della distanza da cui la camera del rover ha scattato il collage di foto che compongono l’immagine e della prospettiva che rendono l’insenatura molto più grande delle effettive dimensioni (30×40 cm), la nostra percezione viene facilmente ingannata [vedi immagine in foto all’articolo].
La Mastcam di Curiosity, in grado di creare anche meravigliose foto panoramiche del pianeta rosso, è l’autrice anche di un altro scatto molto intrigante: quello di un cucchiaiosospeso dal terreno.
There is no spoon. This weird Mars feature is likely a ventifact—a rock shaped by wind. Info: http://go.nasa.gov/1fTVSgB (guarda il tweet originale qui)
Queste forme così accentuate rispetto a quelle che potremmo trovare sul nostro pianeta dipendono dall’azione erosiva del vento, molto più violento rispetto a quello terrestre; le raffiche modellano e modificano la geologia del pianeta rosso così che, complice la prospettiva e ombre “ingannevoli”, negli scatti dei rover e delle sonde possiamo ritrovare facilmente moltissime forme a noi familiari.
Nel dettaglio del cerchio giallo, la “porta” immortalata su Marte. L’immagine originale panoramica ci permette di avere un’idea più realistica delle proporzioni e della prospettiva. Credits: NeV-T (Space)
If a transiting exoplanet itself has an orbiting companion, it will rotate around the mutual center of mass of the planet-moon system.
In effect, if the invisible moon happens to be ahead of the exoplanet during a transit, its gravitational tug will pull the planet forward slightly, and the transit will begin a little earlier than expected, or conversely hold it back.
So precise measurements of the transit timing variations of an exoplanet can reveal the presence of an unseen exomoon.
The hypothetical moon of Kepler-1625b has not yet been confirmed by independent observations, and it still remains an open case, but Kipping did not give up, and aware that the research would have had more chances of success with very large exomoons, such as those that should orbit around massive gas giants, he selected a sample of 73 large exoplanets that Kepler had seen transit on his star at least twice.
An artist’s impression of the gas giant Kepler 1625b with its large moon, Kepler 1625b-i; the pair has a similar mass and radius ratio to the Earth-Moon system but scaled up by a factor of 11. Image credit: Sci-News.com.
Well … at the end of complex processing of data by mathematical models, only one of the 73 candidates gave birth to the mouse that Kipping was looking for: a probably gaseous object of large diameter 2,6 times the Earth, orbiting a Jovian exoplanet called Kepler-1708b.
The planet orbits the star Kepler-1708, located in the constellation Cygnus at 5700 light years from Earth, at a distance of 1.6 A.U. and with a period of 737 days.
The object, for the moment classified as the exomoon Kepler-1708b-i, completes its orbit around the planet at a distance of 740,000 km (twice the distance Earth-Moon) with a period of 4.6 days.
For now, Kepler-1708b-i will go down in the books as a candidate exomoon. This means that although there are indications that the moon exists, this has not yet been proven.
More observations are needed to confirm the existence of Kepler-1708b-i, Kipping emphasizes. “Kepler is no longer operational, so we can no longer monitor the candidate exomoon using the same telescope. But we can use the Hubble or James Webb space telescope to look at it again.” However, we should not expect a definitive answer in the short term. “We have to wait until March 2023 anyway, when the planet will pass in front of the parent star again.”
On the other hand, if we think only of how difficult it is to identify an exoplanet by measuring nothing but the faint decline in light produced by its transit on the disk of the parent star, it would seem really impossible to see in that decrease the subtle changes introduced by the presence of a moon!
In fact, there is no shortage of skeptics, such as astronomer Eric Agol of the University of Washington. “It could just be a fluctuation in the data, due to the star or instrumental noise,” he says about the signal from the new exomoon.
For his part, Kipping reiterates that the newly discovered exomoon, the only one that has passed all the tests after examining at length the transits of 70 promising planets, “is a stubborn signal: we’ve tried everything, but it won’t go away.
To determine whether the candidate exomoon for the planet Kepler-1708 b is actually a moon, researchers need to observe the system for longer to try to catch the planet passing in front of its star a few more times.
Since following up this specific candidate would be time-consuming – Kepler-1708 b only orbits its star once every two years or so – looking for other exomoon candidates might be more worthwhile, Kipping suggests.
One option is the newly-launched James Webb Space Telescope, which would be able to spot moons as small as Jupiter’s moon Europa, Kipping says. Another exciting prospect for an exomoon-hunting survey is the PLAnetary Transits and Oscillations (PLATO) mission, planned for launch in 2026, which will observe brighter stars than Kepler did, making spotting any exomoons much easier.
Artist’s rendering of the Jupiter-sized exoplanet Kepler-1625b with its hypothesized Neptune-sized moon, Kepler-1625b-i. Credit: Dan Durda
In addition, research into exoplanets and exomoons will benefit greatly in the near future when next-generation observatories such as the James Webb and Nancy Grace Roman space telescopes become available. Now that the James Webb has finally been launched and has deployed its mirrors and heat shield, astronomers expect it to take its first images in just six months. Meanwhile, ground-based telescopes such as the Extremely Large Telescope and Giant Magellan Telescope will also narrow the search for exomoons.
Using their advanced suites of giant primary mirrors, spectrometers, coronagraphs, and adaptive optics, these observatories will perform direct imaging studies of exoplanets. Particularly small rocky planets orbiting closer to their stars where Earth-like planets should be found. These advanced capabilities will also be able to detect faint light signatures left behind by even very small moons.
Either way, it’s worth pursuing, if for no other reason than to have hypotheses to refute. That’s how science works!
ll GrAG– Gruppo Astrofili Galileo Galilei di Tarquinia ha il piacere di annunciare l’inaugurazione dell’osservatorio astronomico CosmoGrAG, il 25 giugno 2022
Monte Romano (VT) località Lasco di Picio (all’interno dell’area sociale)
Grazie al contributo di tutti i soci, a poco più di 7 anni dalla nascita dell’associazione, viene finalmente raggiunto quello che era l’obiettivo più ambizioso del gruppo: la messa in funzione dell’osservatorio sociale CosmoGrAG. Funzionale all’attività di ricerca scientifica amatoriale nel campo delle stelle variabili, supernovae, esopianeti ed asteroidi, permetterà all’associazione di dare il proprio contributo alla ricerca in quei settori dell’astronomia in cui il ruolo degli astrofili è fondamentale vista la necessità di un gran numero di osservazioni e una costanza che gli astronomi professionisti non sono in grado di garantire.
Il CosmoGrAG è un osservatorio totalmente automatizzato e remotizzato, alimentato, nel pieno rispetto dell’ambiente, dall’energia elettrica prodotta dall’impianto fotovoltaico realizzato ormai 4 anni fa, è dotato di moderni sistemi ottici ed elettronici di acquisizione delle immagini astronomiche necessarie per l’attività di ricerca. La montatura equatoriale sorregge un telescopio Newton da 12 pollici con apertura focale F3, valorizzato da un modernissimo sistema di focheggiatura e da una altrettanto moderna camera monocromatica di ripresa.
Dopo decine di ore di lavoro necessarie per preparare la struttura, montare la cupola astronomica, preparare i sistemi elettronici e di cablaggio, montare e ottimizzare tutti i sistemi informatici, finalmente il frutto di tutto lo sforzo sta per essere ripagato: finalmente lo specchio del CosmoGrAG potrà raccogliere la luce di stelle e galassie lontane anni luce e l’associazione potrà dare il suo contributo per approfondire la conoscenza del cosmo, mettendo in opera i programmi osservativi predisposti dal gruppo di ricerca, già operativo e pronto a sfruttare tutte le potenzialità.
L’operatività dell’osservatorio, infatti, rappresenta la conclusione di un progetto portato avanti non solo dal punto di vista tecnico, ma anche dal punto di vista organizzativo, per poter poi sfruttarne le potenzialità; il gruppo di ricerca, operativo da oltre tre anni, ha iniziato ad operare con gli strumenti dei singoli soci, compiendo già diverse scoperte in materia di stelle variabili
in modo da acquisire l’esperienza necessaria per sfruttare al meglio lo strumento sociale e portare a termine i programmi osservativi già decisi e programmati.
Costruito con l’esclusivo apporto economico e tecnico dei soli soci, la sua messa in funzione dimostra, ancora una volta, le potenzialità dell’associazione: con la messa in funzione dell’Osservatorio, il Gruppo Astrofili Galileo Galilei prosegue nel suo percorso di rafforzamento del suo ruolo di primo piano, acquisito con anni di impegno e successo in materia di divulgazione e lotta all’inquinamento luminoso, nel settore dell’astronomia amatoriale nel Lazio, candidandosi a diventarne protagonista anche ben oltre i confini regionali.
il 25 Giugno, a partire dalla 10:30 saremo davvero lieti di condividere il nostro entusiasmo, la nostra emozione e la nostra felicità con tutti coloro che vorranno partecipare alla nostra festa; non mancherà l’opportunità di osservare il sole in sicurezza con gli strumenti messi a disposizione dei soci e la possibilità, per chi vorrà, di conoscere le caratteristiche tecniche dell’osservatorio.
Il programma prevede l’inizio delle osservazioni solari alle 10:30 e i saluti con i presenti a partire dalle 11:00; alle 11:30 il cosmoGrAG sarà attivato e la messa in funzione salutata dal brindisi con tutti i presenti.
Agreed, their existence is almost taken for granted: if there are so many exoplanets, why should not there be, as we do, a lot of exomoons orbiting around them?
To deny this obviousness would mean returning to the sin of anthropocentrism… But being able to “see” them is something else entirely: it is a challenge, an enterprise at the limit of current possibilities.
Yet the team led by David Kipping of Columbia University is convinced to have succeeded. The new candidate exomoon, if it really exists, is located 5700 light years from us, in the direction of the constellation of Cygnus, and is obviously a supermoon, ten times the size of ours.
A huge moon, therefore, that revolves around a Jovian-type planet. After all, in any survey, the first to be detected are usually the subjects out of the ordinary… the “big sizes“, simply because they are easier to detect with our current instrumentation.
Exomoons remain amongst the most elusive targets in observational astronomy.
Nevertheless, these worlds stand to provide an unprecedented window into the formation and evolution of planetary systems. If the Solar System is any guide, we can expect exomoons will be geologically active and diverse, with the potential for hosting atmospheres, and even life.
Smaller, normal exomoons will have to wait until the Webb Telescope is fully operational.
But let’s see how things went!
Artist’s rendering of the Jupiter-sized exoplanet Kepler-1625b with its hypothesized Neptune-sized moon, Kepler-1625b-i. Credit: Dan Durda
Over the past three decades, the search for and study of extrasolar planets has made great progress. To date, 4,927 have been discovered in 3,676 different planetary systems, with another 8,714 candidates awaiting confirmation.
The diverse nature of these planets, which according to their mass, size and position are classified as Super-Jupiter, Super-Earths, Mini-Neptune, Water-Worlds, etc., is raising many questions about the mechanisms that led to their formation and evolution.
And in this area has begun to play certain importance also the role played by the exomoons, in other words, the natural satellites of these planets.
In astronomy, it is known that the interest in a particular phenomenon or object begins to materialize when the technological growth of the instrumentation allows making the first reliable observations. This, in the specific case of exomoons, is happening in these years, mainly thanks to the observational data of space telescopes.
In addition, the search for exomoons satisfies the two deepest souls of astronomical research: astronomers who want to understand how the universe works and those who simply want to know if life is spread throughout the universe. And in both cases, the research and study of exomoons promise to reveal a great deal indeed.
For those who are more interested in physics, the search for exomoons can in fact provide a case study of whether the quantity and variety of moons in other solar systems is similar or different from our own.
When we look at the Moon, for example, we ask ourselves: was its formation (which probably occurred through a giant impact) a fluke of one chance in a trillion, or are we looking at the inevitable by-product of the formation of a planet like Earth? And what is the relationship between a planet’s mass and the quantity and mass of its moons?
Given the large number of moons present in the Solar System – more than 200, but only 17 with a diameter of at least 500 km -, it is indeed reasonable to assume that even among extrasolar systems moons are present in the same way. But we wonder: the number of moons can also influence the mass of the parent star, and therefore the distance of the planets, that in the case of a red dwarf would rotate around it at much shorter distances?
Also who is interested in astrobiology, would be very interested to have the answers to these questions.
The terrestrial, rocky planets are prime targets in the search for life, because some of them may be geologically and atmospherically similar to Earth. But the many giant gaseous planets identified so far may also hold surprises.
Although they are not the ones of interest themselves, Jupiter-like planets located in the habitable zonecould in fact host rocky moons capable of providing a favorable environment for life, perhaps even better than that of Earth.
This is because they would receive energy not only from their star but also from the radiation reflected from the planet they orbit. Not to mention the endogenous heat developed by tidal forces similar to those induced by Jupiter on Io. There are several reasons why the exomoons, these small distant worlds, could be the key to finding life elsewhere in the universe.
Do you want proof of how important a moon could be to the rise of life? There’s the stark reality that life on Earth may not have happened at all without the starring role played by our own moon.
The Earth’s axis is tilted by 23.5 degrees relative to its motion around the sun. This tilt gives us seasons, and because this tilt is relatively small, seasons on Earth are mild: most places never get impossibly hot or unbearably cold. One thing that has been crucial for life is that this tilt has stayed the same for very long periods: for millions of years, the angle of tilt has varied by only a couple of degrees.
What has kept the Earth so steady? The gravity of our moon.
In contrast, Mars only has two tiny moons, which have negligible gravity. Without a stabilizing influence, Mars has gradually tumbled back and forth, its tilt ranging between 0 and 60 degrees over millions of years. Extreme climate changes have resulted. Any Martian life that ever existed would have found the need to continually adapt very challenging.
Without our moon, the Earth, too, would likely have been subject to chaotic climate conditions, rather than the relative certainty of the seasons that stretches back deep into the fossil record.
The gravity of the moon also produces the Earth’s tides.
Billions of years ago, the ebb and flow of the oceans produced an alternating cycle of high and low salt content on ancient rocky shores. This recurring cycle could have enabled the unique chemical processes needed to generate the first DNA-like molecules.
Unfortunately, despite thousands of exoplanets found and cataloged, the number of exomoons found and confirmed must be considered so far similar to a discouraging empty box.
Thanks to the resourcefulness of Columbia University professor David Kipping and an international team of astronomers, however, things have begun to change. Back in 2016, in fact, Kipping and his colleagues reported on the possible discovery of an exomoon found while examining data obtained with the Kepler Space Telescope. You’ll no doubt recall that the now-retired Kepler telescope spent nearly a decade in space looking for Earth-sized planets orbiting other stars, but scientists are still analyzing its data.
Launched in 2009 specifically for identifying exoplanets, Kepler was decommissioned by NASA in 2018 when it ran out of fuel needed for further science operations.
Kipping’s team also used the transit method to deduce the existence of a large moon the size of Neptune rotating around the gas giant Kepler-1625b, an exoplanet that itself revolves around a Sun-like star 8,000 light-years from Earth.
And all this, thanks to the data bequeathed to us by the Kepler telescope, which was able to detect the slightest decrease in brightness in the light curve of a star when a planet passed in front of it, obscuring a small part of it.
Kepler-1625 b is a Neptune-like exoplanet that orbits a G-type star. Artistic impression (credit: NASA)
In the case of Kepler-1625b, astronomers then used Hubble, more powerful than Kepler, and in 2017 they found a secondary minimum 3.5 hours after the transit of the planet: an event that, according to Kipping, could be justified only by the presence of a large exomoon.
Discovering a dark exoplanet orbiting a dazzlingly bright star across lightyears of space is itself impressive enough; but detecting the presence of even tinier, unseen exomoons around these worlds is formidable.
The trick is to scrutinize the data gathered from transiting exoplanets: those that are detectable by the dip in starlight they cause as they pass in front of their star, from our point of view.
La seconda parte dell’articolo sarà pubblicatà domenica 5 giugno
Perché Urano e Nettuno hanno colori diversi? La risposta degli scienziati!
Gli astronomi sono giunti a capire perché i due pianeti così simili, Urano e Nettuno, abbiano colori diversi.
Grazie alle osservazioni del telescopio spaziale Hubble, del NASA Infrared Telescope Facility (IRTF) e del Gemini Observatory, è stato rivelato che l’eccesso di foschia su Urano lo rende più pallido di Nettuno e che le macchie scure sono causate dall’oscuramento di un secondo strato di nube/foschia più profondo.
Great Dark Spot credit NASA/JPL
Un chiaro esempio di queste macchie scure è rappresentato dal Great Dark Spot catturata dalla sonda Voyager 2 nel 1989. Queste macchie si presentano occasionalmente su Nettuno, ma sono più sporadiche su Urano.
Come sappiamo, Nettuno e Urano hanno molto in comune – hanno masse, dimensioni e composizioni atmosferiche simili – ma i loro aspetti sono notevolmente diversi.
Alle lunghezze d’onda visibili Nettuno ha infatti un colore nettamente più blu di Urano. Come spiegano gli scienziati, entrambi i pianeti presentano uno spesso strato di foschia atmosferica, che però su Urano è nettamente più densa rendendolo, di fatto, più pallido dell’altro.
Questa conclusione deriva da un modello atmosferico che un team internazionale guidato da Patrick Irwin, professore di Fisica Planetaria all’Università di Oxford, ha sviluppato per descrivere gli strati di aerosol nelle atmosfere di Nettuno e Urano.
Precedenti indagini sulle atmosfere superiori di questi pianeti si erano concentrate sull’aspetto dell’atmosfera solo a lunghezze d’onda specifiche. Tuttavia, questo nuovo modello, costituito da più strati atmosferici, abbina simultaneamente le osservazioni di entrambi i pianeti su un’ampia gamma di lunghezze d’onda. Il nuovo modello include anche particelle di foschia negli strati più profondi che in precedenza si pensava contenessero solo nubi di metano e ghiacci di idrogeno solforato.
«Questo è il primo modello in grado di adattare simultaneamente le osservazioni della luce solare riflessa dall’ultravioletto alle lunghezze d’onda del vicino infrarosso», spiega il professor Irwin, che è l’autore principale di un articolo che presenta questo risultato nel Journal of Geophysical Research: Planets. «È anche il primo a spiegare la differenza di colore visibile tra Urano e Nettuno».
Il modello studiato dal team è costituito da tre strati di aerosol a diverse altezze.
Lo strato chiave che influenza i colori è quello intermedio, che è uno strato di particelle di foschia (indicato nell’immagine come strato di Aerosol-2) che è più spesso su Urano rispetto Nettuno.
Il team sospetta che, su entrambi i pianeti, il ghiaccio di metano si condensa in questo strato, attirando le particelle più in profondità nell’atmosfera sotto una pioggia di neve di metano. Poiché Nettuno ha un’atmosfera più attiva e turbolenta di quella di Urano, il team ritiene che l’atmosfera di Nettuno sia più efficiente nel sfornare particelle di metano nello strato di foschia e produrre neve. Questo fenomeno rimuove più foschia e mantiene lo strato di foschia di Nettuno più sottile di quanto non lo sia su Urano, rendendo il colore di Nettuno più blu rispetto Urano.
«Speravamo che lo sviluppo di questo modello ci aiutasse a capire al meglio gli strati di nuvole e le foschie nelle atmosfere dei giganti di ghiaccio», commenta Mike Wong, astronomo dell’Università della California e membro del team dietro questo risultato. «Spiegare la differenza di colore tra Urano e Nettuno è stato un bonus inaspettato!»
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Il risultato ottenuto è frutto di uno studio cominciato nel 2019, rafforzato grazie al confronto ottenuto con le osservazioni di All-Sky Automated Survey della Ohio State University e con le osservazioni del Palomar Observatory in California, che ne hanno confermato la veridicità!
La scoperta è stata approvata e certificata dall’American Association of Variable Star Observers (AAVSO).
Lo studio pubblicato su Open European Journal on Variable Stars (OEJV) affronta un’analisi sulle principali caratteristiche definendo MaCoMP_V1 una gigante rossa 40 volte il nostro Sole e distante da noi quasi 23 mila anni luce.
L’articolo scientifico analizza l’evoluzione di questa stella variabile, giungendo alla conclusione che la variazione di luminosità osservata dai telescopi è data dal fatto che essa, avendo terminato la combustione dell’idrogeno, ha variato le sue dimensioni superficiali e quindi la sua intensità di luce emessa nello spazio. Si è inoltre visto che il nucleo – pur avendo terminato l’idrogeno – rimane ancora stabile.
La stella MaCoMP_V1, che si trova nella costellazione del Cefeo in prossimità della Nebulosa Wizard, sarà presto registrata nel catalogo Simbad e l’analisi effettuata sarà visibile sul sito NASA/ADS (Astrophysics Data System).
Gli autori sia della scoperta che dello studio riconosciuto a livello mondiale sono Giuseppe Conzo, Mara Moriconi e Paolo Giangreco Marotta del Gruppo Astrofili Palidoro che hanno impiegato diversi anni per giungere a questo importante risultato, utile a comprendere ancora di più i meccanismi dell’evoluzione stellare.
L’11 GIUGNO “LA GIORNATA SOTTO LE STELLE” ALL’OSSERVATORIO DI TALMASSONS PER RISCOPRIRE LA BELLEZZA DEL CIELO STELLATO
L’iniziativa del comune friulano all’interno del progetto Interreg Italia-Austria “Skyscape” teso a valorizzare l’osservazione del cielo e a sensibilizzare sul tema dell’inquinamento luminoso. Durante la giornata sarà anche possibile visitare il Biotopo e l’antico Mulino Braida
“E quindi uscimmo a riveder le stelle”
Dice l’ultimo verso dell’Inferno del Sommo Poeta, padre della lingua italiana.
Le stelle, infatti, fin dai tempi più remoti rappresentano la speranza e il sogno di un futuro migliore. La nostra civiltà moderna, però, sembra aver perso la capacità di osservare lo splendore rappresentato da un cielo stellato, sommersi come siamo dall’inquinamento luminoso.
Valorizzare il cielo stellato come bene collettivo da preservare e sensibilizzare tutti sul tema dell’inquinamento luminoso sono le finalità del progetto Interreg Italia-Austria “Skyscape”finanziato dalla Comunità Europea e a cui prende parte il Comune di Talmassons, insieme a quelli di Asiago (partner capofila), Cornedo all’Isarco e all’agenzia territoriale Tiroler del Land austriaco del Tirolo.
Proprio nell’ambito del progetto “Skyscape” il Comune di Talmassons, dove la cultura dell’astronomia è di casa, ha deciso di organizzare per il prossimo 11 giugno:
“La giornata sotto le stelle”
Avrà inizio con la scoperta delle bellezze del territorio, in particolare il Biotopo e l’antico Mulino Braida, proseguirà con una degustazione delle specialità locali fino ad arrivare, a partire dalle 21.30 al clou con la visita all’Osservatorio aperto nel 2001 dal Circolo Astrofili di Talmassons(Cast) che presenta un a cupola di 4,5 metri di diametro e che permetterà a tutti i partecipanti di “riveder le stelle”.
«Il progetto Skyscape rientra nel percorso di crescita che l’Amministrazione Comunale vuole intraprendere insieme all’Associazione Cast – afferma il sindaco, Fabrizio Pitton – per favorire la crescita del turismo sostenibile e la promozione del territorio. Il progetto consente di sensibilizzare i cittadini sul tema dell’inquinamento luminoso legato alla sostenibilità energetica».
«Skyscape – aggiunge Pitton – prevede l’individuazione in ciascuno dei quattro territori coinvolti di aree da valorizzare e attrezzare, andando così a creare un prodotto turistico sostenibile e sicuramente innovativo legato alle osservazioni del cielo, il cosiddetto “astro-turismo”. Tali territori, promuovendo approcci innovativi per un turismo scientifico, naturale e sostenibile e sviluppando attività ricreative e culturali, puntano anche a godere della presenza di turisti attratti dalla qualità del cielo notturno durante tutto l’arco dell’anno».
In un territorio come quello di Talmassons, l’astro-turismo si può legare benissimo al turismo naturalistico che ha come meta prediletta il meraviglioso biotopo delle risorgive, inserito nel Sito di interesse comunitario “Risorgive dello Stella”: un’area di 71 ettari visitabile, partendo dall’antico Mulino Braida, attraverso un comodo percorso attrezzato adatto a tutte le età e che rappresenta il più vasto complesso di vegetazione umida d’acqua dolce della regione e uno dei pochi lacerti naturali dell’intera pianura Padano-Veneta.
«Con questa giornata – conclude il sindaco di Talmassons – vogliamo dare la possibilità a tutti di riscoprire il buio, senza inquinamento luminoso, per vedere tutte le meravigliose stelle del creato e di riscoprire la natura incontaminata del biotopo per rendersi conto dell’immensa, ma spesso sconosciuta, bellezza del nostro territorio».
Le sere di giugno brillano della magia dell’estate, che farà il suo ingresso giorno 21 con il solstizio: sarà un mese in cui potremo ammirare le costellazioni che caratterizzano il cielo estivo, attraversato dal fiume di stelle della nostra galassia: la Via Lattea.
Indice dei contenuti
Il dettaglio sul Triangolo Estivo, la costellazione di Ercole e della Lyra, disponibili all’articolo Le Costellazioni di Giugno 2022 a cura di Teresa Molinaro
COSA OFFRE IL CIELO
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Mercurio
A maggio abbiamo trovato il pianeta Mercurio in congiunzione inferiore con il Sole il giorno 21/05. A inizio del mese di giugno, invece, vedremo Mercurio fare capolino intorno le 5 del mattino anticipando il Sole di circa mezz’ora, per poi tramontare poco dopo le 18:30. Gradualmente transiterà nel Toro, anticipando mano a mano la sua apparizione con l’avanzare del mese, giungendo per il 30/06 a concederci qualche attimo in più per la sua osservazione prima del sorgere del Sole, visibile da circa 1 ora prima della nostra stella.
Venere
Iniziamo il mesedi giugno con il pianeta Venere ben visibile ad Est da 1 ora prima dell’alba fin le prime luci del giorno. Si posiziona sul capo di Cetus mentre, poco lontano, Marte e Giove si mostrano ancora nella bella congiunzione che ci sta accompagnando già dagli ultimi giorni di maggio. L’11 giugno Venere incontrerà Urano poco prima sorgere del Sole, in una congiunzione con meno di 2° di separazione. Il giorno 26 ci regalerà una bellissima congiunzione con Luna; una sottile falce prossima al Novilunio del 29/06. I gradi di separazione con il nostro satellite naturale saranno circa 2 e, poco più in alto, non perdetevi anche la vista delle Pleiadi!
Marte
All’inizio del mese, nella seconda parte della notte, Marte e Giove continuano a dare spettacolo con il loro strettissimo abbraccio da poco più di 1° e mezzo di separazione. La distanza tra i due pianeti aumenterà con il passare dei giorni. Nella seconda metà del mese, troveremo un bell’allineamento Venere – Urano – Marte – Giove in direzione Est e poco prima dell’alba. Il giorno 22, una Luna appena entrata nell’ultimo quarto, farà capolino tra Marte e Giove; lo stesso giorno si verificherà l’occultazione di Marte da parte del nostro satellite naturale (non visibile dall’Italia). Il giorno successivo potremo però godere di una buona vicinanza tra il pianeta rosso e la Luna, ma costerà sempre una bella levataccia!
Giove
Come già anticipato, Giove si muove a braccetto con Marte già da diversi giorni e così sarà per gran parte della prima metà del mese. Il giorno del solstizio estivo la Luna si avvicinerà al pianeta (circa 8° di separazione), ma ancor più bello sarà il giorno successivo con il bel triangolo Marte – Luna – Giove.
Saturno
Ci siamo lasciati a maggio con pochi eventi da annunciare per Saturno, mentre per il mese di giugno segnaliamo che il giorno 4 il pianeta ad anelli entrerà in moto retrogrado, ovvero fermerà il suo consueto movimento verso Est per spostarsi verso Ovest. Nel corso del mese anticiperà sempre più il suo sorgere e per fine giugno potremo vederlo fare capolino già da poco dopo le 23. Sia il 18 che il 19 del mese, non perdetevi la sua vicinanza con la Luna; con Giove e Marte, più in basso, sullo stesso allineamento.
Urano
Avevamo chiuso il mese precedente con il pianeta inosservabile dopo la congiunzione con il Sole del 5 maggio. Iniziamo giugno con poche novità a riguardo, se non che Urano si troverà ad anticipare sempre più la sua alba e per fine mese potremo contattarlo già due ore prima rispetto a inizio giugno, quando farà capolino solo dopo le 4:30 circa. Segnaliamo la congiunzione con Venere l’11 giugno: meno di 2° separeranno i pianeti. Inoltre, il 25 del mese una sottilissima falce lunare si accosterà a Urano (circa 2° e mezzo di separazione), visibili già dopo le 3 e un quarto.
Nettuno
Iniziamo il mese con Nettuno silenzioso spettatore dell’abbraccio tra Marte e Giove, vegliandoli dall’alto per i giorni a seguire. Il giorno 21 ci sarà una bella triangolazione Giove – Luna – Nettuno osservabile nella seconda parte della notte fino le prime luci dell’alba. Il 28/06 Nettuno entrerà in moto retrogrado, iniziando ora a spostarsi verso Ovest, proprio come Saturno.
SOLE
In alto, la suggestiva animazione a cura di Daniele Bonfiglio (del 23/03/2022).
In arrivo molte novità sulla sezione Coelum dedicata al Sole…!
Nel mese di giugno, la nostra stella (attualmente collocata in Toro) si sposterà in Gemelli il giorno 21.
Nella medesima data cadrà il Solstizio Estivo: “solstizio”, termine latino che sta per “sole stazionario”, quindi un chiaro riferimento all’apparente immobilità del Sole dopo un periodo (dal solstizio invernale a quello estivo) che lo ha visto invece aumentare la declinazione.
Tutti gli approfondimenti sull’osservazione e i fenomeni celesti legati al nostro satellite disponibili per il mese di Giugno 2022, a cura del nostro autore Francesco Badalotti.
Tra gli asteroidi rintracciabili a giugno 2022, suggeriamo anche l’osservazione di 2 tra i più massicci TNO (oggetti Trans-nettuniani della Fascia di Kuiper).
La ISS – Stazione Spaziale Internazionale questo Giugno 2022 sarà rintracciabile nei nostri cieli in orari mattutini, prima dell’alba. Avremo quattro transiti notevoli con magnitudini elevate durante gli ultimi giorni del mese, auspicando come sempre in cieli sereni.
Come più volte vi ho già detto, l’universo è un luogo vivo, popolato da creature meravigliose e leggendarie.
E come in tutte le favole che si rispettano ci sono i protagonisti e poi ci sono i personaggi al contorno, quelli silenziosi, quelli che formano un tappeto su cui la storia si sviluppa ma senza dei quali cade tutta l’impalcatura narrativa.
Nell’universo le protagoniste sono le stelle.
Sono quelle che da milioni di anni l’uomo vede e apprezza, le collega idealmente per formare miti e, da quando le ha facoltà, le studia nel dettaglio.
Ma forse non tutti sanno che la maggior parte della materia regolare nell’universo è sotto forma di gas, ed il gas ha pochissima luminosità, anche quando illuminato. Il gas pervade l’universo.
Il gas chiamato mezzo intergalattico riempie lo spazio tra le galassie mentre il gas del mezzo circumgalattico circonda le galassie in un abbraccio. Ed è sempre il gas che regola la nascita, la vita e la morte delle galassie e che porta con sé la memoria di quello che è stato.
All’interno di una galassia, i gas relativamente densi alimentano la nascita delle stelle. Appena fuori, i gas si assottigliano nel mezzo circumgalattico e diventano sempre meno densi allontanandosi nel mezzo intergalattico. Crediti: J Tumlinson et al./AR Astronomy and Astrophysics 2017; ESO/M. Kornmesser.
L’universo e la sua lunga corsa
La storia conosciuta dell’universo inizia prima di galassie e stelle.
A quel tempo il gas si era un poco raffreddato ma era ancora molto caldo: circa 100.000 kelvin. A vederlo sembrava una nebbia irregolare, che si schiariva in alcuni punti ed era più fitta in altri. Laddove c’era più addensamento di materia, si sono formate le stelle. Quando l’universo aveva 500 milioni di anni, il gas, raffreddatosi e condensatosi cadde gravitazionalmente su se stesso in fogli e questi fogli si restrinsero in filamenti gibbosi, come braccialetti di perle. Le radure negli spazi fra essi cominciarono a diradarsi e divenire più estese e più vuote.
A circa un miliardo di anni, quei filamenti si intersecarono con altri filamenti per creare una rete ancora più complessa e, a 1,5 miliardi di anni, il gas che scorreva come linfa vitale lungo i filamenti si accumulò e cominciarono a formarsi le galassie, enormi e incandescenti galassie, con temperature che raggiungevano i 100 milioni di kelvin e pettinate da onde d’urto ed esplosioni di stelle.
Nei successivi 500 milioni di anni, i buchi neri super massicci al centro delle galassie e le stelle morenti scossero con onde d’urto il mezzo intergalattico e, a 3,5 miliardi di anni, all’interno di quei fronti d’urto, si generarono piccoli nodi di galassie che, respirando il gas intergalattico ed inglobandolo nel proprio mezzo circumgalattico, si adornarono dei metalli espulsi dalle supernove.
Ad oggi, 13,8 miliardi di anni dopo l’inizio dell’universo, solo il 60% del gas rimane nel mezzo intergalattico ed il resto è nei mezzi circumgalattici e nelle galassie. Le galassie sono incastonate intorno ai vuoti, come lucciole sparse nel buio della notte.
Il gas e le galassie
Il collegamento fra gas e galassie non è sempre stato sotto gli occhi di tutti.
Il seme diede origine a tutto nacque quando Charles Steidel del California Institute of Technology scrisse la sua tesi di dottorato e in cui descriveva come le nubi di gas nelle vicinanze delle galassie altrimenti invisibili mostravano segni di essere state una volta all’interno delle galassie stesse.
Successivamente si scoprì che questo gas, immediatamente intorno alle galassie, nel mezzo circumgalattico, era mille volte più denso della media del gas nel mezzo intergalattico. Capite bene che gas e galassie erano inestricabilmente ormai indissolubilmente connessi!
Come vi dicevo prima, mentre le galassie brillano, il gas brilla a malapena e diventa visibile solo quando si trova di fronte a qualcosa di luminoso, come ad esempio i quasar. In pratica, il gas, assorbendo la luce del quasar, appare come linee scure nei loro spettri della luce. In questi spettri, folle di linee di assorbimento scure si addensavano lungo l’universo primordiale, prendendo l’aspetto di una fitta foresta di tronchi d’albero. Per questo motivo, vennero chiamati foresta di Lyman: il gas che assorbiva la luce era idrogeno in una transizione specifica tra gli stati chiamata Lyman alfa.
Le nubi di gas si presentano come linee di assorbimento scure nello spettro della luce di un quasar, che possono essere analizzate per comprendere meglio la distanza e la natura del gas. Ad alte risoluzioni, le linee di assorbimento si presentano come una foresta di “alberi”. Crediti: M. Rauch/AR Astronomia e Astrofisica 1998.
La foresta alfa di Lyman si è originata quando l’universo aveva circa un miliardo di anni grazie al mezzo intergalattico, che rappresentava il 98% della materia regolare di quel giovane universo, fatto di zone fredde, tra 100 e 1.000 kelvin e di zone calde, dove il mezzo intergalattico raggiungeva anche 20000 kelvin o più. Potete immaginare il mezzo intergalattico come un impasto di una torta mal mescolato, in modo che rimanga grumoso. Lì, la gravità ha fatto il suo mestiere!
Altre foreste
Gli astronomi, col tempo, hanno trovato anche altre “foreste”, più dense e cosparse di elementi più pesanti come carbonio, ossigeno, silicio, ferro e magnesio che gli astronomi, facendo di tutta l’erba un fascio, chiamano metalli. Così, per praticità!
Dal momento che questi metalli possono essere fatti soltanto dalle stelle e dal momento che tutte le stelle sono nelle galassie, allora queste nubi ricche di metalli e più dense devono essere in qualche modo associate alle galassie.
L’intima connessione fra gas interstellare e gas circumgalattico ci ha permesso di capire che ciò che una volta era nel mezzo intergalattico arriverà nel mezzo circumgalattico, e ciò che è nel mezzo circumgalattico tornerà nel mezzo intergalattico secondo un circolo virtuoso. E nel fluire tra i due, in un modo o nell’altro, risiede la magia della vita e del respiro delle galassie.
Semplice: il gas cade nelle galassie e alimenta le stelle, poi viene espulso, quindi ricade per alimentare altre stelle.
Nessuno sa con certezza cosa potrebbe guidare i deflussi di gas né le vie che prenda il gas stesso durante il suo ricircolo. Quello che è certo è che, una volta esaurito il gas, comincia un processo chiamato “spegnimento”. Come per le stelle, ci sono galassie con quantità di gas differenti: le galassie con molto gas e stelle in formazione attiva sono blu, e quelle con poco gas e stelle morenti sono rosse.
Quando pensate alla morte di una stella, non pensate alla sua fine, ma solo all’inizio.
La galassia morta MACS2129-1, ingrandita dalla gravità dell’ammasso di galassie in primo piano MACS J2129-0741. Nella casella in basso c’è un’immagine ricostruita, basata su modelli che mostrano come sarebbe la galassia se l’ammasso di galassie non fosse presente. La galassia appare rossa perché è così distante che la sua luce viene spostata nella parte rossa dello spettro. Crediti: NASA, ESA, S. Toft (University of Copenhagen), M. Postman (STScI), and the CLASH team.
Nello spazio intergalattico, il gas si raffredda e diventa più denso, fino a quando la gravità non lo riporta nella galassia, arricchito di nuovi materiali, per formare nuove stelle: e il processo si ripete. Però, anche nell’universo, le risorse non sono infinite e, col tempo, ogni galassia inizia a esaurire il gas riciclabile. E senza gas non si possono formare nuove stelle. Quando le vecchie stelle muoiono, anche la galassia raggiunge il capolinea della sua vita. Una volta maestose cattedrali di gas e stelle, culle della vita di nuovi astri, sono ora palazzi vuoti, fatti di memoria e freddi spifferi.
In pratica, le galassie vivono respirando e riciclando gas dentro e fuori. Le stelle hanno sparato metalli dappertutto, sia nel mezzo circumgalattico che all’interno della galassia, pronti per essere rielaborati in altre stelle, che si fondono dal gas metallico insieme alla polvere e formano, attorno a loro, dischi protoplanetari che qua e là si condensano in pianeti, su uno dei quali siamo noi.
Ed ogni atomo del nostro corpo ha viaggiato attraverso il mezzo intergalattico e il mezzo circumgalattico.
IMMAGINE IN COPERTINA: Le galassie non sono distribuite uniformemente in tutto l’universo, ma la loro distribuzione non può essere compresa senza comprendere anche il ruolo del gas. Qui vediamo una simulazione delle più grandi strutture dell’universo, un superammasso di galassie, vuoti e filamenti galattici chiamato LA GRANDE MURAGLIA BOSS. Crediti: Istituto Max Planck di Astrofisica/Wikimedia Commons.
Mancava all’appuntamento con la scoperta da diversi anni, è un’icona della ricerca amatoriale di supernovae ed occupa la posizione numero 6 della Top Ten mondiale con 150 scoperte.
Stiamo parlando dell’astrofilo sudafricano Berto Monard, che nella notte del 5 maggio ha individuato una nuova stella molto luminosa di mag.+14,4 nella galassia a spirale barrata NGC157 posta nella costellazione della Balena a circa 70 milioni di anni luce di distanza.
Berto Monard nel Kleinkaroo Observatory a Calitzdorp, Western Cape accanto al suo telescopio Meade 400RCX da 30cm. Immagine ripresa pochi giorni fa dalla moglie Brigitte
L’avevamo già intervistato nel 2016 [la trovi in Coelum n. 208], ma lo abbiamo ricontattato per un aggiornamento sulla sua attività di ricerca, incuriositi da questa nuova importante scoperta.
Fino al 2011 aveva fatto ricerca di supernovae a pieno regime ed in maniera sistematica, ottenendo numerose scoperte. Adesso Berto Monard ha 74 anni e ci ha detto che continua questo tipo di ricerca, ma in modo più sporadico, andando a selezionare alcune galassie vicine e riprendendole prima dell’alba.
È riuscito infatti a battere sul tempo i programmi professionali di ricerca supernovae, perché la salita verso il massimo di luminosità di questa supernova è avvenuta mentre la galassia usciva dalla congiunzione con il Sole.
Per diversi giorni infatti nessun osservatorio professionale ha provato a riprendere lo spettro della sua supernova, perché la galassia raggiungeva una sufficiente altezza sull’orizzonte soltanto appena iniziavano i primi bagliori dell’alba. Finalmente nella mattina dell’11 maggio l’astrofilo polacco Jaroslaw Grzegorzek è riuscito a riprendere lo spettro di conferma. La SN2022jli, questa la sigla definitiva assegnata, è una supernova di tipo Ic scoperta intorno al massimo di luminosità.
La SN2022jli in NGC157 ripresa da Grzegorz Duszanowicz in remoto dalla Namibia con un riflettore da 35cm F.7,7 somma di 10 immagini da 45 secondi.
Si tratta pertanto di una supernova scoperta e classificata tutta a livello amatoriale.
Ad oggi sono soltanto otto le supernova tutte amatoriali: una classificata dall’astrofilo inglese Robin Leadbeater, due l’astrofilo polacco Jaroslaw Grzegorzek e cinque dal nostro Claudio Balcon.
Berto Monard nel Kleinkaroo Observatory a Calitzdorp, Western Cape accanto al suo telescopio Meade 400RCX da 30cm. Immagine ripresa pochi giorni fa dalla moglie Brigitte
Berto Monard iniziò a fare ricerca di supernovae nel 1998 e nel 2001 ottenne la sua prima scoperta, la SN2001el nella galassia a spirale NGC1448, realizzata visualmente con un telescopio Dobson da 31cm di diametro. A questa sono seguite altre 149 scoperte ottenute tramite camere CCD applicate a telescopi del diametro di 30cm e 35cm, che hanno proiettato l’astrofilo sudafricano fra i principali ricercatori amatoriali di supernovae al mondo.
Facciamo pertanto le nostre congratulazioni per la nuova scoperta, a questo grande astrofilo, che ha contribuito tantissimo alla ricerca amatoriale di supernovae!
Oltre l’orbita di Nettuno, ad una distanza tra le 30 e le 50 unità astronomiche dal sole, troviamo un’ulteriore reliquia della formazione del Sistema Solare: un disco di materiale per molti aspetti simile a quello della fascia asteroidale principale, ma molto più esteso.
E’ un regno di asteroidi le cui dimensioni variano da alcune centinaia di metri a centinaia di kilometri, un luogo remoto dove l’energia emanata dalla nostra stella giunge estremamente attenuata.
Questi oggetti, così freddi e distanti, costituiti da roccia, ghiacci d’acqua, metano e ammoniaca, rappresentano un campione di materiale “originale”, rimasto praticamente inalterato dalla nascita del Sistema Solare. I più densi hanno un corpo roccioso ricoperto da elementi ghiacciati, altri sono porosi, e costituiti da una matrice verosimilmente poco coesa, fatta di ghiacci e roccia primordiale.
La temperatura media laggiù è di -223 gradi celsius. Se pur fioca, la radiazione solare che colpisce questi oggetti altera la composizione chimica degli elementi di superficie generando, attraverso processi di dissociazione, idrocarburi e altri composti chimici.
Stiamo parlando della Fascia di Kuiper e dei suoi costituenti, gli oggetti Trans-nettuniani o più brevemente i TNO.
La Fascia di Kuiper è una struttura complessa, plasmata dalle risonanze indotte da Nettuno nelle orbite dei TNO. Una parte di questi ha un’orbita quasi circolare, è la cosiddetta “popolazione Calda”, che si pensa abbia avuto origine nei pressi dell’orbita primordiale del gigante gassoso.
Una seconda piccola porzione dei TNO, la “popolazione Fredda”, ha un’orbita più eccentrica, inclinata di circa 30 gradi sull’eclittica, un’albedo maggiore e una colorazione rossastra, e si ipotizza si sia formata all’incirca nella posizione attuale.
La genesi, le interazioni e le dinamiche della fascia di Kuiper sono tutt’ora oggetto di studio e di dibattito.
I maggiori rappresentanti dei TNO sono Plutone (2.370Km), Eris (2.320Km), Haumea (2.100Km), MakeMake (1.400Km), Gonggong (1.230Km), Quaoar (1.100Km) Sedna (990Km), Orcus (910Km), Salacia (840Km).
Il 14 settembre 1992 uscì una circolare, la numero 5611, pubblicata dell’Unione Astronomica Internazionale: “1992 QB1. D. Jewitt, Università delle Hawaii, J. Luu, Università della California a Berkley, riportano la scoperta di un oggetto molto flebile (…) rivelato con immagini CCD ottenute con il telescopio da 2,2m dell’Università delle Hawaii, Mauna Kea. Alcune delle soluzioni sono compatibili con l’appartenenza alla cosiddetta ‘Fascia di Kuiper’ (…)”.
Gli astrofili ed i professionisti amano spesso riferirsi ai TNO chiamandoli familiarmente “Cubewani”, il nomignolo non è altro che la traduzione fonetica di 1992 QB1!
Per questo mese di Giugno:
Questo mese suggerisco, oltre ai target in lista, l’osservazione di due tra i più massicci TNO.
(136472) Makemake e (136108) Haumea saranno di magnitudine intorno alla 17 e ben posizionati in prima serata.
Normalmente una posa, oppure un’integrazione, di una quarantina di minuti risulta più che sufficiente per apprezzare il movimento dei classici asteroidi Main Belt. Nel caso dei TNO la velocità angolare è estremamente ridotta, ricordiamoci che stiamo parlando di oggetti remoti, e pertanto per poterne apprezzare il movimento sarà opportuno effettuare le riprese ad almeno uno o due giorni di distanza l’una dall’altra.
Così facendo vedremo (136472) Makemake, che si muove alla velocità di 0,02 arcosecondi al minuto, spostarsi di circa 31,2 arcosecondi nell’arco delle 24 ore (una distanza limitata ma sicuramente apprezzabile). (136108) Haumea con una velocità leggermente superiore (0,03 arcosecondi minuto) mostrerà invece uno spostamento di circa 40,8 arcosecondi.
Cosa osservare a Giugno 2022
I principali asteroidi osservabili a giugno 2022 (in-the-sky.org)
(29) Amphitrite
(29) Amphitrite è un asteroide di fascia principale che compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.490 giorni (4,98 anni) ad una distanza compresa tra le 2,37 e le 2,74 unità astronomiche (rispettivamente, 354.546.954 km al perielio e 409.898.166 km all’afelio).
Deve il suo nome a Anfitrite, divinità marina dei Greci, sposa di Poseidone.
Scoperto da Albert Marth il 1 Marzo 1854, questo grande asteroide (all’incirca 200 chilometri di diametro) sarà in opposizione il 6 Giugno.
In questo frangente raggiungerà la massima brillantezza con una magnitudine di 9.8. Il suo moto sarà di 0,59 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5/6 minuti. Per ottenere una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (29) Amphitrite trasformarsi in una bella striscia luminosa di 23 secondi d’arco.
(41) Daphne
(41) Daphne è un asteroide di fascia principale che compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.680 giorni (4,60 anni) ad una distanza compresa tra le 2,00 e le 3,52 unità astronomiche (rispettivamente, 299.195.741 km al perielio e 526.584.505 km all’afelio).
Deve il suo nome alla ninfa Daphne, nella miologia Greca figlia di Gea e del fiume Peneo. Insidiata da Apollo, invocò i genitori ottenendo di essere mutata in alloro.
Scoperto da Hermann Mayer Salomon Goldschmidt il 2 Maggio 1856, questo imponente asteroide (circa 200 km di diametro) sarà in opposizione il 7 Giugno, momento nel quale raggiungerà la massima luminosità brillando di magnitudine di 10.1.
Il suo moto sarà di 0,50 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 6 minuti. Per ottenere una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (41) Daphne trasformarsi in una bella striscia luminosa di 20 secondi d’arco.
(387) Aquitania
(387) Aquitania è un asteroide di fascia principale che compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.660 giorni (4,54 anni) ad una distanza compresa tra le 2,10 e le 3,38 unità astronomiche (rispettivamente, 314.155.528 km al perielio e 505.640.803 km all’afelio).
Deve il suo nome alla regione francese di Aquitania. Scoperto dall’astronomo Fernand Courty il 5 Marzo 1894, con i suoi 100 chilometri di diametro è il più grande esponente della famiglia asteroidale Postrema.
Sarà in opposizione il 25 Giugno, brillando ad una magnitudine di 10.1. Il suo moto sarà di 0,61 secondi d’arco al minuto, quindi, anche in nel suo caso, con tempi di esposizione fino a 5/6 minuti ne preserveremo l’aspetto puntiforme. Volendo ottenere una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (387) Aquitania trasformarsi in una bella striscia luminosa di 24 secondi d’arco.
Selezione di asteroidi (luminosi) in opposizione a Giugno 2022
La ISS – Stazione Spaziale Internazionale questo Giugno 2022 sarà rintracciabile nei nostri cieli in orari mattutini, prima dell’alba. Avremo quattro transiti notevoli con magnitudini elevate durante gli ultimi giorni del mese, auspicando come sempre in cieli sereni.
Si inizierà il giorno 27 Giugno, dalle 04:50 alle 04:59, osservando da SO a NE. La ISS sarà ben visibile da tutta Italia con una magnitudine massima si attesterà su un valore di -3.8.
Sperando come sempre in cieli sereni per il miglior transito del mese!
Il giorno dopo, 28 Giugno, la Stazione Spaziale transiterà dalle 04:03 verso SSO alle 04:10 verso ENE. Visibilità migliore dalle regioni meridionali per questa occasione, con magnitudine di picco a -3.2.
Passiamo al giorno 29 Giugno, dalle 04:49 in direzione OSO alle 04:58 in direzione NE. Osservabile al meglio dal settentrione questa volta, con una magnitudine massima di -3.1.
L’ultimo transito del mese si avrà il giorno 30 Giugno, dalle 04:02 da OSO alle 04:09 a NE, con magnitudine massima a -3.5 e osservabile da tutta Italia.
Le sere di giugno brillano della magia dell’estate, che farà il suo ingresso giorno 21 con il solstizio: sarà un mese in cui potremo ammirare le costellazioni che caratterizzano il cielo estivo, attraversato dal fiume di stelle della nostra galassia: la Via Lattea.
ERCOLE NEL CIELO ESTIVO
Nelle sere di giugno potremo ammirare, alta nel cielo, la costellazione di Ercole.
Posta tra il Boote e la Lira, quella di Ercole è una costellazione tipica dell’estate boreale che per via della sua ampia estensione (1225 gradi quadrati) ed è classificata come la quinta più grande del firmamento.
Nonostante le sue vaste dimensioni, Ercole non vanta stelle particolarmente luminose; da segnalare la β Herculis, nota come Kornephoros, di magnitudine 2,78.
Tuttavia la costellazione contiene un gran numero di stelle doppie e stelle variabili, osservabili già con piccoli strumenti e telescopi. È il caso di Ras Algethi, una stella doppia composta da una supergigante rossa variabile e da una più piccola verde-azzurra.
La Costellazione di Ercole giace lontana dalla porzione di cielo attraversata dalla Via Lattea, in una regione priva di galassie luminose; in compenso, la costellazione ospita uno dei più conosciuti ammassi globulari: M13 o Ammasso Globulare di Ercole.
Ammasso Globulare M13 di Samuele Gasparini (clicca sull’immagine per saperne di più)
Si tratta dell’ammasso più luminoso dell’emisfero boreale, visibile già ad occhio nudo da luoghi bui, e più nitido e ben dettagliato se osservato rispettivamente con binocolo e telescopio. Con la sua magnitudine apparente pari a 5,8 l’ammasso contiene migliaia di stelle e si presta molto bene all’astrofotografia.
L’Ammasso Globulare di Ercole rimane altresì famoso per il “messaggio Arecibo”: un messaggio radio trasmesso nello spazio dal radiotelescopio di Arecibo a Porto Rico (purtroppo ormai smantellato dopo gravi danneggiamenti ambientali) il 16 novembre 1974 e indirizzato verso M13, a 25 000 anni luce di distanza.
Abell 39 di Alessandro Bianconi
Da segnalare anche la presenza di una nebulosa planetaria nella costellazione di Ercole, ovvero Abell 39 la cui forma, circolare e trasparente, ricorda una bolla di sapone.
Guarda su PhotoCoelum la foto in HD e scopri maggiori dettagli: Abell 39 di Alessandro Bianconi
IL MITO DI ERCOLE
La figura di Ercole è una delle più famose della mitologia: la sua fama è legata alle 12 fatiche che l’eroe affrontò e chi gli valsero la sua eterna gloria.
Figlio di Zeus e di Alcmena, una fanciulla ennesima vittima degli inganni del re degli dei: narra la mitologia che Zeus si trasformò nel marito della giovane per poterla possedere e proprio da questa unione nacque Ercole.
La figura mitologica dell’eroe è sicuramente una delle più conosciute, quella per antonomasia: leggendaria la forza di Ercole nello sfidare animali inferociti come il Leone di Nemea (vedi articolo Costellazioni di Aprile 2022) e mostri come l’Idra (vedi articolo Costellazioni di Maggio 2022).
Egli era venerato come simbolo di forza e abilità, ma anche come eroe generoso, che per il suo altruismo divenne esempio anche di forza morale oltre che fisica.
Ad Ercole è poi legato un altro mito dove la protagonista è la Via Lattea: durante l’allattamento al seno di Era, un Eracle in fasce si mosse bruscamente (o fu Era stessa ad allontanarlo secondo altre versioni) e lo schizzo di latte arrivò sino in cielo creando così il fiume di stelle della nostra galassia.
LA COSTELLAZIONE DELLA LIRA
Nelle serate di inizio estate un astro brilla in maniera particolarmente luminosa sulla volta celeste: si tratta di Vega, stella alfa della Lira.
Circa 14.000 anni fa localizzato nei pressi della Lira si trovava il Polo Nord celeste: all’epoca era infatti Vega la stella polare, situata a pochi gradi dal polo, e la stessa tornerà ad esserlo fra 13.000 anni circa, quando l’asse di rotazione terrestre punterà nuovamente in direzione della Lira.
Seppur di piccole dimensioni, la costellazione è individuabile proprio grazie a Vega che insieme a Altair (nell’Aquila) e Deneb (nel Cigno) costituisce uno dei tre vertici del Triangolo Estivo, un brillante asterismo da ammirare nelle notti estive.
α Lyrae (Vega) è una stella bianco-azzurra multipla, di 5 componenti, posta a una distanza di 25,3 anni luce: essa ha una magnitudine apparente di 0,03 ed è la seconda stella più luminosa dell’emisfero settentrionale (dopo Arturo) e la quinta di tutto il firmamento.
Vega è la prima stella ad essere stata fotografata (dopo il Sole) nel 1850.
OGGETTI NON STELLARI NELLA LIRA
La costellazione della Lira contiene stelle doppie osservabili e risolvibili anche con l’ausilio di un binocolo, come nel caso di ε Lyrae, soprannominata la “doppia doppia”, che rappresenta una delle stelle multiple più conosciute del cielo.
Tra gli oggetti più interessanti e alla portata di osservazioni e fotografia deep-sky vi è da segnalare M57, ovvero la Nebulosa Anello, una delle nebulose planetarie più note per via della sua luminosità.
Nebulosa Anello M57 di Roberto Ortu (clicca sull’immagine per maggiori dettagli)
La costellazione è legata allo sciame delle Liridi, così chiamato proprio perché le meteore si originano dal punto (radiante) sulla volta celeste in direzione della Lira, nel periodo di aprile.
LA LIRA NELLA MITOLOGIA
Anche la Lira trova collocazione nella mitologia: una delle storie più accreditate indica la Lira come lo strumento musicale inventato dal dio greco Ermes che lo donò a suo fratello Apollo per poi passare nelle mani di Orfeo.
Dopo l’uccisione di Euridice, sposa di Orfeo, quest’ultimo scese nell’oltretomba per riprendersi la sua amata. Sceso agli Inferi iniziò a suonare struggenti melodie con la sua Lira suscitando così la commozione di Ade, dio dell’oltretomba, che arrivò al punto di consentire ad Orfeo di poter riprendere Euridice con sé a patto di camminare dinanzi alla sua sposa senza mai voltarsi. Ma Orfeo non rispettò il patto e si voltò poco prima di uscire dall’oltretomba, condannando la sua amata. Da quel momento prese ad errare per il mondo con il suo dolore e sempre accompagnato dalla sua Lira; fino alla fine dei suoi giorni, il ricordo di Euridice rimase vivo e Orfeo non riuscì a concedere il suo cuore a donna alcuna. Accadde poi che una donna da lui rifiutata, si vendicò cogliendolo alle spalle mentre si trovava suonare in un bosco e uccidendolo a colpi di pietre.
Orfeo finì finalmente tra le braccia della sua amata.
Leggenda narra che le Muse raccolsero la Lira composta di stelle e la adagiarono sulla volta celeste.
“Anche la Lira attraverso il cielo si scorge con i bracci divaricati tra le stelle, con la quale una volta Orfeo catturava
tutto quello che con la sua musica raggiungesse, e volse il passo
perfino tra le anime dei trapassati e ruppe col canto le leggi d’abisso.
Donde la dignità del cielo e un potere simile a quel dell’origine:
allora alberi e rupi trascinava, ora di astri è guida
e attira dietro sé il cielo infinito dell’orbitante cosmo”.
Prosegue l’avvicinamento di questa cometa che ci tiene compagnia da lungo tempo e che potremo seguire ancora per qualche mese.
credit in-the-sky.org
La sua progressione luminosa lascia a desiderare, con valori ben al di sotto delle stime previste. Ciò nonostante in giugno dovrebbe mostrarsi finalmente un po’ più convincente raggiungendo la nona magnitudine.
Per tutto il mese stazionerà nell’Ofiuco, con la culminazione che avverrà inizialmente al termine della notte astronomica per poi risultare sempre più anticipata. Il giorno 22 transiterà a pochi primi da Cebalrai, la stella Beta della costellazione.
La posizione della C/2017 K2 PanSTARRS in giugno è calcolata per le ore 23.45 ora legale. Le stelle più deboli sono di mag. 9
POTEVA FAR MEGLIO LA C/2021 O3 PanSTARRS
credit in-the-sky.org
Grande è stata la delusione per l’attesa C/2021 O3 PanSTARRS, che ad aprile sembrava dover raggiungere valori tali da poter essere avvistata ad occhio nudo (seppur in condizioni critiche) e che in maggio avremo dovuto seguire più comodamente.
Niente di tutto questo dato che durante il passaggio al perielio si è disintegrata, ricomparendo simile a un fantasma che in pochi sono riusciti a vedere. Pazienza! Intanto godiamoci la K2 PanSTARRS in attesa di altri arrivi interessanti.
Chiuso il mese appena trascorso col Novilunio del 30 Maggio (13:30), Giugno si apre con un nuovo ciclo lunare in fase crescente che progressivamente porterà la Luna nelle più comode ore della sera con la fase di Primo Quarto prevista per le ore 16:48 del 7 Giugno.
Per effettuare osservazioni col telescopio basterà attendere fino a circa le ore 22:00 quando una Luna in fase di 8,3 giorni ad un’altezza iniziale di +42° si renderà perfettamente visibile fino alle prime ore della notte seguente quando tramonterà intorno alle 02:00 circa.
Orientato il telescopio lungo il terminatore e concentrata l’attenzione sulla Rupes Recta (o Straight Wall) situata lungo il bordo orientale del mare Nubium, mai nessuno ha avuto l’idea di immaginare questa eccezionale formazione lunare nel bel mezzo della Pianura Padana centrandone una estremità in corrispondenza della città di Milano?
Sovrapposizione Rupes Recta (credit Francesco Badalotti)
Realizzata questa interessantissima sovrapposizione finalizzata ad una più realistica percezione riguardo le sue effettive dimensioni, ho constatato che questa spettacolare faglia di 114 km di lunghezza si estenderebbe dal capoluogo lombardo fino alla città di Parma considerando, appunto, la distanza di 114 km fra le due città. Ma oltre alla lunghezza della faglia è altrettanto importante considerarne anche l’altezza di 300mt con una inclinazione media di 30/40° di questa struttura lunare che all’osservazione telescopica anche ad elevati ingrandimenti ben difficilmente si presenta come un dettaglio “facile” a prescindere da condizioni osservative particolarmente favorevoli.
Come fare per una differente percezione di ciò che stiamo osservando?
Constatato che il dislivello di 300mt fra i due versanti della Rupes Recta corrisponde all’altezza della Torre Eiffel (metro più, metro meno…) ho ritenuto utile porre a confronto l’immagine telescopica con una foto di questo grande monumento parigino.
L’altezza è identica ma è anche vero che in questo modo la percezione rischia di venire estremizzata forse in modo eccessivo, ma con una considerazione: se noi terrestri almeno per una sera ci trovassimo sulla Luna esattamente alla base della Rupes Recta quel dislivello di 300mt ci apparirebbe in tutta la sua imponenza come se fossimo a pochi metri dalla Torre Eiffel, proprio come nella foto di riferimento.
A prescindere da quanto sopra esposto la serata sarà l’ideale anche per osservazioni in alta risoluzione lungo tutto il margine est del mare Nubium che per l’occasione verrà a trovarsi in prossimità del terminatore con le imponenti e spettacolari strutture crateriformi da Ptolemaeus a Deslandres pronte a rivelare i loro più fini dettagli.
Alle ore 13:52 del 14 Giugno il nostro satellite sarà in Plenilunio in fase di 15 giorni, alla distanza di 363538 km dalla Terra e con diametro apparente di 32,87’ ma a ben -67° sotto l’orizzonte. Per eventuali osservazioni col telescopio basterà attendere il suo sorgere alle 21:46 rendendosi perfettamente visibile fino all’alba del mattino seguente quando andrà a tramontare contestualmente al sorgere del Sole, come sempre in Luna Piena.
Segnalo che nella medesima serata del Plenilunio, il 14 Giugno, il punto di massima librazione coinciderà con la regione polare settentrionale interessando in modo particolare l’area intorno al cratere Peary di 77 km di diametro, la cui peculiarità riguarda buona parte delle cime montuose delle sue pareti perennemente esposte alla luce solare e definite per questo “le vette della luce eterna”.
Appare curioso il fatto come la Luna sia l’unico corpo del sistema solare (attualmente noto) in cui sulle cime di determinati crateri in corrispondenza dei poli non tramonterebbe mai il Sole, peculiarità osservata nel 1994 durante la missione della Sonda Clementine analogamente a quanto accade, ad esempio, per il cratere Shackleton al Polo Sud che vedremo più avanti in librazione favorevole. Pertanto, con un seeing sufficientemente stabile sarà l’occasione buona per sedute osservative di una regione lunare certamente non facile ma sempre molto interessante e stimolante.
Iniziata ormai la fase di luna calante il nostro satellite si allontanerà sempre più dalle ore della sera limitando la sua osservabilità alle ore notturne, entrando pertanto in Ultimo Quarto alle ore 05:11 del 21 Giugno. Per osservare al telescopio questa fase lunare sarà però necessario attendere le prime ore della notte del 22 Giugno quando sorgerà alle 02:05 preceduta dal pianeta Giove (distanza 5°43’) e seguita da Marte (distanza circa 9°).
Dove dirigere il telescopio con la Luna in Ultimo Quarto?
Come sempre le possibilità di scelta non mancano ma nel caso specifico consiglierei i vasti crateri Plato e Archimedes (diametri di 100 km) oltre al corrispondente tratto di mare Imbrium proprio in prossimità del terminatore, oltre al cratere Eratosthenes (60 km) col tratto iniziale dei monti Appennini per poi spostarsi nello spettacolare altopiano meridionale con le imponenti strutture crateriformi tra cui Longomontanus (150 km), Tycho (78 km), Maginus (160 km), Clavius (231 km) e tante altre.
Per quanto riguarda Clavius se ne è ipotizzata l’ipotetica sovrapposizione sul settore più meridionale del mare Tirreno centrandone l’immagine in corrispondenza del Marsili, il più grande vulcano sottomarino europeo (dimensioni 70×30 km, altezza di 3000mt dal fondo marino ma con la sommità posta a circa 450mt sotto il livello del mare). Pertanto il cratere Clavius andrebbe ad occupare un’area a breve distanza dalle zone costiere di Sicilia, Calabria e Campania meridionale.
Sovrapposizione Clavius (credit Francesco Badalotti)
Immaginare di trovarsi in prossimità di una struttura con le dimensioni del cratere Clavius, 231 km e pareti alte 4600 mt dalla base del cratere, deve costituire indubbiamente uno spettacolo grandioso anche ipotizzando questa grande struttura lunare adagiata sul fondo del mare Tirreno, nel qual caso però le sue pareti emergerebbero comunque per oltre mille metri sopra al livello del mare!
Al termine della fase calante, alle ore 04:52 del 29 Giugno il nostro satellite sarà in Novilunio chiudendo così questo mese con la ripartenza di un nuovo ciclo lunare contestualmente alla fase crescente che, come succede ormai da oltre quattro miliardi di anni, riporterà la Luna nelle migliori condizioni osservative ma se ne riparlerà a Luglio.
Le Falci lunari di Giugno
Per le falci in luna crescente appuntamento per le prime ore della serata del 2 Giugno con una bella falce di 3,4 giorni che alle ore 23:57 scenderà sotto l’orizzonte. Il non eccessivo tempo a disposizione sarà però sufficiente per interessanti osservazioni sulle principali strutture, fra cui il cratere Endymion a nordest, il cratere Cleomedes e il mare Crisium ad est con i vicini mari Marginis e Undarum oltre al bordo orientale del mare Fecounditatis con i sempre spettacolari ed imponenti vasti crateri Langrenus, Vendelinus, Petavius, Furnerius senza dimenticare una visita anche alle rispettive cuspidi nord e sud.
Passando ora alle falci in luna calante, appuntamento per la nottata del 25 Giugno con una falce di 26 giorni che sorgerà alle ore 03:06 seguita dal pianeta Venere a 12°. L’osservazione di questa falce consentirà di ammirare una vasta porzione del settore più occidentale dell’oceanus Procellarum unitamente al Sinus Roris a nordovest ed il lato ovest del mare Humorum a sudovest. In evidenza le scure superfici basaltiche dei grandi crateri Schickard e Grimaldi in netto contrasto rispetto alle più chiare rocce anortositiche degli altipiani circostanti.
Una più sottile falce di 26,6 giorni sorgerà la notte successiva, il 26 Giugno, alle ore 03:32 preceduta dalle Pleiadi (distanza 4°) e seguita dal pianeta Venere alla distanza di soli 2°30’. Il poco tempo a disposizione consentirà una veloce visita alle regioni prossime al bordo lunare occidentale prima che la luce del Sole prevalga su tutto.
Infine nella tarda nottata del 27 Giugno alle ore 04:03 sorgerà una problematica falce di 27,6 giorni preceduta dal pianeta Venere. Nel caso specifico eventuali osservazioni o foto dovranno essere effettuate attuando ogni precauzione al fine di non intercettare la pericolosa luce solare. Per questa tipologia di osservazioni, oltre agli ormai noti parametri osservativi, risulterà determinante disporre di un orizzonte il più possibile libero da ostacoli.
Librazioni di Giugno
(In ordine di calendario, per i dettagli vedere le rispettive immagini).
Si precisa che, per ovvi motivi, non vengono indicati i giorni in cui i punti di massima Librazione si discostano dalla superficie lunare illuminata dal Sole.
Librazioni Regione Nordovest
Mappa di F. Badalotti su immagini tratte dal globo di “Virtual Moon Atlas”
13 Giugno. Fase 14,3 giorni – Massima Librazione ovest cratere Xenophanes
Librazioni Regione Polare Nord
Mappa di F. Badalotti su immagini tratte dal globo di “Virtual Moon Atlas”
14 Giugno. Fase 15,3 giorni – Massima Librazione nord crateri Peary/Florey
Nel contesto della Mostra di Astronomia e Astronautica il Gruppo Astrofili Salese “G. Galilei” inaugura il nuovo Planetario cittadino, con una cerimonia prevista per il giorno Sabato 28 Maggio alle ore 10.30 presso l’Osservatorio Astronomico di Santa Maria di Sala in via Ferraris 1.
«È un evento importante per il nostro gruppo, per il quale abbiamo lavorato molto, e una grande opportunità offerta a tutta la collettività, di Santa Maria di Sala e di tutta Città Metropolitana, che con questa struttura fissa avrà la possibilità di studiare ed osservare le stelle e le costellazioni in ogni momento dell’anno e con qualsiasi condizione atmosferica».
Lo ha detto Tino Testolina, presidente del Gruppo Astrofili Salese “G. Galilei”, a pochi giorni dal taglio del nastro del nuovo Planetario di Santa Maria di Sala.
L’inaugurazione costituisce un evento collaterale alla 23^ Mostra di Astronomia e Astronautica, in corso fino a Domenica 29 Maggio a Villa Farsetti di Santa Maria di Sala.
Si tratta di un Planetario ottico di 6 metri di diametro, della capienza di circa 30 persone, che può riprodurre fino a 3200 stelle. Nelle intenzioni dell’associazione questo strumento tecnologico dovrà aiutare il pubblico, guidato dai soci del Gruppo Astrofili Salese, a comprendere ed interpretare i fenomeni astronomici, concedendo uno sguardo unico sulle bellezze del creato.
Durante l’inaugurazione interverranno il Prof. Cesare Barbieri dell’Università di Padova, il Dott. Roberto Ragazzoni direttore INAF di Padova, Don Alessandro Omizzolo membro dello staff della Specola Vaticana, autorità civili e religiose.
Ringraziamo ancora Fabio Briganti per il bellissimo articolo in ricordo dell’amico Paolo Campaner. Qui la raccolta di scoperte e foto di Paolo (in copertina: la cena in compagnia di Fabio Briganti).
I BOZZETTI
Disegni fatti da Paolo Campaner ricavati dalle sue prime osservazioni al telescopio
PUBBLICAZIONI STORICHE
I bozzetti di Paolo Campaner si ritrovano anche nei vecchi numeri di Coelum, nelle edizioni dei primi Anni ’70
A ottobre 2020 ho realizzato riprese comparative di Saturno con e senza ADC.
Condizioni di lavoro per le riprese di ottobre 2020:
Posizione e cielo
Altezza: 20° UTC: 2020-10-19T18:55:01.6092050Z (senza ADC)
Altezza: 18° UTC: 2020-10-19T19:20:32.9913942Z (con ADC)
Località: Taranto 10m s.l.m
Sky Bortle 7, forte turbolenza e umidità al 78%
Telescopio e treno ottico
Newton 200/1000 + Barlow 2,25x @ 4,1x + ZWO ADC
Camera di ripresa
ZWO ASI 224mc (OSC camera) + filtro UV/IR Cut
Montatura
Skywatcher AZEQ6-GT in modalità equatoriale
Acquisizione
10000 frames catturati con Sharpcap, esposizione: 19ms (stessi valori con e senza ADC)
Entrambi i files video sono stati elaborati con Autostakkert! (per lo stacking) e Registax.
Utilizzati i 2500 frames migliori
Le integrazioni di Autostakkert sono state trattate soltanto con bilanciamento dei canali e primi 4 Layer delle Wavelets impostati come da foto.
La differenza è evidente
SETTEMBRE 2021
Nel settembre 2021, con l’ausilio dell’ADC, ho catturato 15000 frames nel visibile e 15000 nell’NIR (da 807nm). Come si può facilmente notare, il cromatismo è totalmente assente.
Nota: per queste riprese ho utilizzato la modalità altazimutale della montatura che mi ha permesso di non correggere l’orientamento dell’ADC in fase di acquisizione dei fotogrammi.
Configurazione di lavoro per le riprese di settembre 2021:
A nord della Galassia di Andromeda quile immagini in più alta definizione
Mosaico di due immagini ottenute da remoto dal BigBang Observatory completamente automatizzato, ciascuna delle quali è il risultato di 8 frame così suddivisi:
Data di esecuzione sequenze primo frame:
2021-12-03 UT 19:49:09
8 frame da 1800 secondi di posa ciascuno
Data di esecuzione sequenze secondo frame:
2021-12-06 UT 17:52:21
8 frame da 1800 secondi di posa ciascuno
Totale del tempo di esposizione: 8 ore (4+4 ore)
Obiettivo impiegato per entrambe le sequenze: teleobiettivo APO Mamiya/Sekor 250mm f/4,5 @ f/6,2 Teleobiettivo realizzato per coprire il formato 60x70mm e quindi adattato sia per la messa a fuoco automatica da remoto e sia per l’impiego su di un sensore monocromatico Full-Frame Cmos
Filtro: H-Alpha
Purtroppo per ragioni di temperatura non è stato possibile calibrare i frame
con Bias, Dark e Flat.
La regione inquadrata riguarda la serie di deboli nebulose d’idrogeno che occupano tutta l’area intorno e a nord della Grande Galassia di Andromeda (M31)
Il campo approssimativamente abbraccia un’area di circa: 5,7° x 16°
La riflessione è stata costante e non sono mancati spunti nel valutare le opportunità, ma anche i rischi. La nascita di una comunità si sa non è evento immediato, ma un percorso lento e che va alimentato. D’altro canto invece nasce spontaneo, in un fiorire naturale e sereno. Senza mostra, da un lato, di nessuna ambizione di grandezza ed arrivando invece a segnare inaspettatamente grandi risultati.
La comunità intorno a Coelum è nata proprio così, spontanea, una sintonia fra quanti a vario titolo si sono sentiti nel tempo coinvolti e partecipi del progetto.
Curiose e curiosi, autori e autrici, astrofile e astrofili esperti, oppure appassionati alle prime armi, quelli che amano la teoria e chi adora la pratica, lettrici e lettori mossi dalle più diverse motivazioni.
Tutti insomma, uomini e donne, che hanno contribuito in passato ed ancora oggi continuano a farlo attraverso mail, segnalazioni, leggendo le pagine della nuova edizione.
La comunità c’è, è nata molti anni fa, si è auto-alimentata ma è anche stata affiancata con attenzione e con i dovuti strumenti. Ecco quindi cos’è la Community di Coelum: la volontà di dare seguito a questo silente ma vivace movimento. Costruire ambiente
di confronto su temi specifici, autonomia nell’apertura di discussioni e di segnalazioni,
dare accesso ad approfondimenti connessi alla rivista e quindi seguendo un certo filo logico. Avere a disposizione rapidamente un riepilogo dei propri contributi al mondo Coelum e molto altro.
L’implementazione tecnica e i test assorbono molte ore, la necessità che ogni novità introdotta sia facile da fruire e funzionale su tutti i device è una vera sfida, e per ciò vedrete crescere la Comunità a piccoli passi ma solidi e costanti.
Per ora riuscire a dialogare direttamente con ogni nuovo membro avendo a disposizione un canale affidabile ed aggiornato è già un ottimo risultato. Nei giorni in cui scrivo il numero dei nuovi utenti e di chi aggiorna il proprio profilo, cresce costantemente. La comunità c’è e si fa sentire!
Vorrei spendere le ultime due righe che mi restano per questo numero. Ad ogni uscita aumentano i contributi, il numero degli articoli, gli autori e le connessioni con l’esterno.
L’impaginazione sta diventando sempre più fitta ma stiamo facendo, e faremo ancora, tutto il possibile per non lasciare indietro nessun suggerimento arrivato in redazione, quindi continuate a scriverci. Coelum è un mezzo di informazione a vostro servizio.
Buona lettura Molisella Lattanzi
Non perderti il n. 256 Giugno-Luglio
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Le prime spedizioni sono previste per lunedì 23 maggio
Lo scorso 12 marzo, dopo una lunga malattia, Paolo Campaner ci ha lasciati. Negli ultimi anni, nonostante le difficoltà, aveva continuato a dedicarsi con entusiasmo e con numerosi successi alla sua grande passione: l’Astronomia e, in particolar modo, la ricerca di supernovae.
Ringraziamo Fabio Briganti per il bellissimo articolo in ricordo dell’amico Paolo Campaner.
«Ci mancherai tanto Paolo!!! Ci mancherà la tua gentilezza, il tuo entusiasmo, la tua disponibilità e la capacità di fare gruppo, molto importante ai giorni d’oggi. A Ponte di Piave però c’è un piccolo gruppo di astrofili creato da te e sono sicuro che sapranno seguire i tuoi insegnamenti e magari portare avanti con profitto la ricerca di supernovae che amavi tanto, senza far cadere in disuso il tuo stupendo telescopio da 400mm F.5,5, il nostro “Hubble di Ponte di Piave”».
Il ricordo di Paolo Campaner nel n. 256 Giugno-Luglio
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Le prime spedizioni sono previste per lunedì 23 maggio
Margherita Hack era nata a Firenze il 12 giugno 1922 e quest’anno ricorre quindi l’anniversario dei cento anni dalla sua nascita.
Gli anniversari sono delle ricorrenze strane perché ci aiutano a trovare e legittimare uno spazio e un tempo dedicato al ricordo di qualcuno o qualcosa; ma alle volte hanno il difetto di essere così legati a una precisa data da ritrovarci quel giorno sopraffatti dalle informazioni da assorbire, finendo forse per ottenere l’effetto contrario.
Nella loro versione più gioiosa, gli anniversari sono semplicemente uno dei modi che abbiamo trovato per scandire il tempo e per darci un modo condiviso per ricordare.
Il toccante articolo di Serena Gradari che ci racconta la vita della grande astrofisica Margherita Hack.
Solo all’interno del n. 256 Giugno-Luglio
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Le prime spedizioni sono previste per lunedì 23 maggio
I membri della commissione tecnica per l’architettura aerospaziale (parte dell’Istituto Americano per l’Aeronautica e l’Astronautica), durante il “World Space Congress” nel 2002 a Houston, l’hanno definita come “la teoria e la pratica della progettazione e costruzione di ambienti abitati nello spazio”.
L’interazione dell’uomo con gli altri sistemi che compongono una stazione spaziale orbitante o una base su Marte è talmente importante e complessa da costituire una materia di studio specifica, denominata “Fattori Umani”.
Una delle più autorevoli fonti di ricerca su tale nuova materia applicata allo spazio è la NASA, che fin dal lancio della missione Apollo ha cercato di comprendere ed analizzare come le abilità, le limitazioni e le caratteristiche dell’essere umano potessero influenzare la progettazione di strumentazione e habitat da usare nello spazio, in assenza di gravità.
Approfondiamo il tema con Enrico Trolese, architetto, membro della Moon Village Association, Mars Society UK e della British Interplanetary Society.
Troverai l’approfondimento nel n. 256 Giugno-Luglio
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Le prime spedizioni sono previste per lunedì 23 maggio
Un’impronta di bolle prodotte dall’esplosione di stelle di grande massa è stata rilevata nella struttura del gas che pervade la Via Lattea
COMUNICATO STAMPA INAF
Un gruppo internazionale di astronomi, guidato da Juan Diego Soler dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) e ricercatori del progetto ECOgal, ha trovato l’impronta di bolle prodotte dall’esplosione di stelle di grande massa nella struttura del gas che pervade la nostra galassia.
La scoperta è stata ottenuta applicando tecniche di intelligenza artificiale ai dati della campagna osservativa HI4PI, che fornisce la mappa ad oggi più dettagliata della distribuzione dell’idrogeno atomico nella Via Lattea. Gli scienziati hanno analizzato la struttura filamentosa dell’emissione dell’idrogeno atomico, trovando che essa conserva una “registrazione” dei processi dinamici indotti da antiche esplosioni di supernova e dalla rotazione della Galassia.
Un gas frizzante!
L’idrogeno è il componente principale delle stelle, compreso il Sole. Tuttavia, il processo che porta le nubi diffuse di idrogeno gassoso che si diffondono nella nostra galassia ad assemblarsi in densi agglomerati da cui poi si formano le stelle non è ancora del tutto compreso. Lo studio, finanziato dal Consiglio Europeo della Ricerca, ha ora compiuto un passo importante per chiarire il ciclo evolutivo della materia prima di cui sono fatte le stelle.
Soler e il suo team hanno elaborato i dati della più dettagliata campagna osservativa su tutto il cielo riguardante l’emissione dell’idrogeno atomico nelle onde radio, la surveyHI4PI.
I dati sono stati raccolti dal radiotelescopio Parkes da 64 metri in Australia, dal radiotelescopio Effelsberg da 100 metri in Germania e dal telescopio Robert C. Byrd Green Bank da 110 metri (GBT) negli Stati Uniti.
«Queste osservazioni d’archivio della linea di emissione dell’idrogeno alla lunghezza d’onda di 21 cm contengono informazioni sulla distribuzione del gas nel cielo e sulla sua velocità nella direzione di osservazione, che combinate con un modello di rotazione della Via Lattea indicano quanto sono lontane le nubi che emettono il segnale», spiega Sergio Molinari dell’INAF di Roma, principal investigator del progetto ECOgal.
Emissione dell’idrogeno atomico in direzione di una porzione interna della Via Lattea. Crediti: GALFA-HI survey; J. D. Soler, INAF
Per studiare la distribuzione delle nubi di idrogeno galattiche, Soler ha sfruttato un algoritmo matematico comunemente utilizzato nell’ispezione e nell’analisi automatica di immagini satellitari e video online.
«Abbiamo applicato le tecniche che i computer utilizzano per trattare le immagini digitali. Poiché la mole di dati prodotta dalle osservazioni astronomiche è enorme, è impossibile fare analisi “a occhio“. Se ci limitassimo a fissare per un secondo le immagini in formato cartolina, un essere umano impiegherebbe quasi tre giorni per esaminare tutti i dati», commenta Soler, ricercatore colombiano che dal 2021 risiede a Roma e primo autore dell’articolo in pubblicazione sulla rivista Astronomy & Astrophysics che descrive la scoperta.
L’algoritmo ha rivelato una rete estesa e intricata di sottili strutture filiformi, i cosiddetti filamenti. La maggior parte dei filamenti nella regione interna della Via Lattea è risultata essere rivolta verso l’esterno del disco della nostra galassia, “come vermi che si allontanano dal piano galattico”, citando Carl Heiles, uno dei pionieri nello studio della struttura atomica dell’idrogeno galattico nel ventesimo secolo.
«Si tratta probabilmente dei resti di esplosioni multiple di supernove che spazzano via il gas e formano bolle che scoppiano quando raggiungono la scala caratteristica del piano galattico, come le bollicine che raggiungono la superficie in un bicchiere di spumante», commenta Ralf Klessen, anch’egli principal investigator del progetto ECOgal.
«Il fatto che vediamo strutture per lo più orizzontali nella parte esterna della Via Lattea, dove c’è una forte diminuzione del numero di stelle massicce e di conseguenza un minor numero di supernove, suggerisce che stiamo registrando l’apporto di energia e di quantità di moto da parte delle stelle che modellano il gas nella nostra Galassia», aggiunge Klessen, che lavora presso il Centro di Astronomia dell’Università di Heidelberg in Germania.
Guarda su YouTube l’animazione che mostra la distribuzione dell’emissione dell’idrogeno atomico nella Via Lattea
«Il mezzo interstellare, cioè la materia e la radiazione che esistono nello spazio tra le stelle, è regolato dalla formazione delle stelle e dalle supernove, violente esplosioni che si verificano durante le ultime fasi evolutive di stelle più di dieci volte più massicce del Sole», commenta Patrick Hennebelle, che insieme a Klessen coordina il lavoro teorico nel progetto ECOgal.
«Le associazioni di supernove sono molto efficienti nel sostenere la turbolenza e nel sollevare il gas in un disco stratificato», chiarisce il ricercatore del Dipartimento di Astronomia del CEA/Saclay in Francia, «il ritrovamento di queste strutture filamentose nell’idrogeno atomico è un passo importante per comprendere il processo responsabile della formazione stellare su scala galattica».
Per ulteriori informazioni:
Su Astronomy & Astrophysics l’articolo “The Galactic dynamics revealed by the filamentary structure in atomic hydrogen emission”, di J. D. Soler, M.-A. Miville-Deschenes, S. Molinari, R. S. Klessen, P. Hennebelle, L. Testi, N. M. McClure-Griffiths, H. Beuther, D. Elia, E. Schisano, A. Traficante, P. Girichidis, S. C. O. Glover, R. J. Smith, M. Sormani e R. Treß
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