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Galassie primordiali sfidano la comprensione dell’Universo

Immagini di sei galassie massicce candidate, viste 500-800 milioni di anni dopo il Big Bang. Una delle sorgenti (in basso a sinistra) potrebbe contenere tante stelle quante la nostra attuale Via Lattea, ma è 30 volte più compatta. Crediti: NASA, ESA, CSA, I. Labbe (Swinburne University of Technology). Elaborazione delle immagini: G. Brammer (Cosmic Dawn Center del Niels Bohr Institute presso l'Università di Copenaghen)

La scoperta di massicce galassie primordiali sfida la precedente comprensione dell’universo

Sei enormi galassie scoperte nell’Universo primordiale stanno ribaltando ciò che gli scienziati avevano precedentemente compreso sulla loro formazione.

“Questi oggetti sono molto più massicci di quanto ci si aspettasse”, ha detto Joel Leja, assistente professore di astronomia e astrofisica alla Penn State, che ha ricostruito la forma luminosa degli oggetti. “Ci saremmo aspettati infatti di trovare solo minuscole e giovani, insomma baby-galassie in questo stadio dell’evoluzione dell’Universo, ed invece abbiamo scoperto galassie mature come la nostra in quella che in precedenza era considerata l’alba dell’Universo”.

Utilizzando il primo set di dati rilasciato dal James Webb Space Telescope della NASA, il team internazionale di scienziati ha scoperto oggetti maturi come la Via Lattea quando l’Universo aveva solo il 3% della sua età attuale, circa 500-700 milioni di anni dopo il Big Bang. Il telescopio è dotato di strumenti di rilevamento a infrarossi in grado di catturare la luce emessa dalle stelle e dalle galassie più antiche. In sostanza, il telescopio consente agli scienziati di vedere indietro nel tempo circa 13,5 miliardi di anni, vicino all’inizio dell’Universo come lo conosciamo, ha spiegato Leja.

“Questo è il nostro primo sguardo così indietro, quindi è importante mantenere un approccio il più possibile ampio su ciò che stiamo vedendo”, ha detto Leja. “Mentre i dati indicano che si tratta probabilmente di galassie, penso che ci sia una reale possibilità che alcuni di questi oggetti si rivelino buchi neri supermassicci oscurati. Indipendentemente da ciò, la quantità di massa che abbiamo scoperto significa che la massa nota nelle stelle in questo periodo del nostro universo è fino a 100 volte più grande di quanto avessimo pensato in precedenza. Anche se dimezziamo il campione, questo è comunque un cambiamento sorprendente”.

In un articolo pubblicato il 22 febbraio su Nature , i ricercatori dimostrano che le sei galassie sono molto più massicce di quanto ci si aspettasse e mettono in discussione ciò che gli scienziati avevano precedentemente compreso sulla formazione delle galassie proprio all’inizio dell’universo.

“La rivelazione che la massiccia formazione di galassie è iniziata molto presto nella storia dell’universo sconvolge ciò che molti di noi pensavano fosse una scienza consolidata”, ha detto Leja. “Abbiamo chiamato informalmente questi oggetti ‘distruttori di universi’, e finora sono stati all’altezza del loro nome.”

Leja ha spiegato che le galassie scoperte dal team sono così massicce da essere in contraddizione con il 99% dei modelli per la cosmologia. Spiegare una quantità così elevata di massa richiederebbe l’alterazione dei modelli per la cosmologia o la revisione della comprensione scientifica della formazione delle galassie nell’Universo primordiale , secondo cui le galassie iniziarono come piccole nuvole di stelle e polvere che gradualmente si ingrandirono nel tempo. Entrambi gli scenari richiedono un cambiamento fondamentale nella nostra comprensione di come è nato l’universo, ha aggiunto.

“Abbiamo esaminato l’universo primordiale per la prima volta e non avevamo idea di cosa avremmo trovato”, ha detto Leja. “Si scopre che abbiamo trovato qualcosa di così inaspettato che in realtà crea problemi per la scienza. Mette in discussione l’intero quadro della prima formazione delle galassie “.

Il 12 luglio, la NASA ha rilasciato le prime immagini a colori e dati spettroscopici dal James Webb Space Telescope. Il più grande telescopio a infrarossi nello spazio, Webb è stato progettato per vedere la genesi del cosmo, la sua alta risoluzione gli consente di vedere oggetti troppo vecchi, distanti o deboli per il telescopio spaziale Hubble.

“Quando abbiamo ottenuto i dati, tutti hanno iniziato a immergersi e gli oggetti enormi sono saltati fuori molto velocemente”, ha detto Leja. “Abbiamo iniziato a modellare e abbiamo cercato di capire cosa fossero, perché erano così grandi e luminosi. Il mio primo pensiero è stato che avevamo commesso un errore e lo avremmo trovato e saremmo andati avanti con le nostre vite. Ma dobbiamo ancora trovare quell’errore, nonostante molti tentativi.”

Leja ha spiegato che un modo per confermare la scoperta del team  sarebbe quello di acquisire un’immagine dello spettro delle galassie massicce . Ciò fornirebbe al team dati sulle vere distanze, e anche sui gas e altri elementi che costituivano le galassie. Dovremo quindi aspettare di ottenere altri dati dalle indagini del JWST

Gli altri coautori dell’articolo sono Elijah Mathews e Bingjie Wang della Penn State, Ivo Labbe della Swinburne University of Technology, Pieter van Dokkum della Yale University, Erica Nelson della University of Colorado, Rachel Bezanson della University of Pittsburgh, Katherine A. Suess dell’Università della California e della Stanford University, Gabriel Brammer dell’Università di Copenhagen, Katherine Whitaker dell’Università del Massachusetts e dell’Università di Copenhagen, e Mauro Stefanon dell’Universitat de Valencia.

Fonte: Pennsylvania State University Nature: www.nature.com/articles/s41586-023-05786-2


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EGO E IL FUTURO DELLA RICERCA SULLE ONDE GRAVITAZIONALI IN EUROPA

Crediti INFN: Massimo Carpinelli nuovo direttore EGO

Intervista con Massimo Carpinelli, professore all’Università di Milano Bicocca e ricercatore INFN, dal 1° gennaio 2023 direttore di EGO.

Fondato nel 2000 dall’INFN e dal CNRS Centre National de la Recherche Scientifique, il Consorzio EGO, lo European Gravitational Observatory, è oggi tra i protagonisti della scena internazionale della ricerca sulle onde gravitazionali grazie ai successi dell’interferometro Virgo. EGO, infatti, è il sito, alle porte di Pisa, di uno dei tre interferometri al mondo che ad oggi hanno osservato le minuscole vibrazioni dello spaziotempo previste da Albert Einstein nella Relatività Generale e le cui scoperte, premiata con il Nobel nel 2017, ha portato alla nascita dell’astronomia gravitazionale e dell’astronomia multimessaggera, due modi completamente nuovi di studiare l’universo. La missione di EGO è assicurare l’operatività, il mantenimento e il potenziamento dell’interferometro di Virgo, e promuovere la ricerca nel campo delle onde gravitazionali in Europa. Il consorzio EGO ha costruito negli anni forti legami con il territorio, grazie anche all’impegno nella diffusione della cultura scientifica, in particolare accogliendo le migliaia di studenti e studentesse che ogni anno visitano Virgo. Presto Virgo riprenderà a operare, dopo importanti lavori di potenziamento. Ma, guardando ancora oltre, la comunità internazionale delle onde gravitazionali ha lanciato una nuova importante sfida: la realizzazione in Europa di un rivelatore di onde gravitazionali di terza generazione, ET Einstein Telescope. Dopo oltre vent’anni di storia, EGO si troverà quindi ad affrontare nei prossimi anni sfide decisive per il futuro della fisica gravitazionale europea e mondiale, sfide su cui si concentrerà il mandato del direttore del centro, Massimo Carpinelli, professore all’Università di Milano Bicocca e ricercatore INFN, entrato in carica il 1° gennaio 2023, succedendo a Stavros Katsanevas, prematuramente scomparso nel novembre dello scorso anno.

Lei ha appena assunto la carica di direttore di EGO, succedendo a Stavros Katsanevas, che lo guidava dal 2018 e che ci ha prematuramente lasciati poco prima della fine del suo mandato.

Mirabile era l’entusiasmo con cui Stavros Katsanevas ha affrontato la sua attività di ricerca e la sua intera vita, che lui sapeva essere, negli ultimi anni, minata dal male che purtroppo lo ha portato via troppo presto. In particolare, di Stavros due aspetti mi hanno sempre colpito. Il primo è la capacità che lo contraddistingueva di saper guardare molto lontano e di lavorare sempre con uno sguardo rivolto al futuro, non soffermandosi mai sull’oggi. Il secondo riguarda invece il prezioso contributo che ha fornito alla fisica delle onde gravitazionali. Stavros aveva compreso quanto questo settore fosse importante non solo per le conoscenze scientifiche, ma anche per l’impatto che può avere sulla società. E aveva capito il forte interesse da parte del pubblico nel conoscere questo tipo di ricerche, che sono un incredibile attrattore per una serie di altri interventi culturali, artistici e filosofici.

Crediti EGO/INFN

Che cos’è EGO oggi? Su quali tematiche e attività si concentrerà l’inizio del suo mandato?

La funzione e gli scopi di EGO non sono essenzialmente cambiati rispetto al passato, e si concentrano sul dare supporto, come infrastruttura di ricerca, all’interferometro gravitazionale Virgo. La nostra missione, che perseguirò nel mio ruolo di direttore, continua perciò a essere quella di garantire che l’attività del rivelatore si svolga al massimo della sensibilità. Tra le responsabilità di EGO c’è poi mantenere le relazioni con le istituzioni scientifiche che fanno parte del consorzio o che vorrebbero entrare a farne parte. Una delle novità più importanti rispetto al passato riguarda l’ingresso dell’Istituto nazionale olandese per la fisica subatomica, Nikhef, in veste di socio del Consorzio. Fino a tempi recenti EGO è stata essenzialmente un’impresa italo-francese. Le due nazioni, attraverso l’INFN e il CNRS, hanno contribuito alla maggior parte dei finanziamenti necessari e, grazie ad Adalberto Giazotto e Alain Brillet, alle idee che hanno portato allo sviluppo delle tecnologie di Virgo e alla fondazione del Consorzio. Solo da qualche anno le modifiche apportate allo statuto di EGO hanno reso possibile l’ingresso come soci di altre istituzioni scientifiche, consentendo l’adesione di Nikhef e un’apertura nei confronti di tutti gli enti che vorranno in futuro farne parte.

Ma, ritornando all’importante contributo di chi mi ha preceduto e alla costruzione di una attiva presenza di EGO anche al di fuori del campo della fisica della onde gravitazionali, una delle eredità di Stavros Katsanevas, che sarà certamente portata avanti nel prossimo futuro, riguarda la collaborazione con le comunità di ricerca interessate a utilizzare i dati relativi al rumore ambientale o antropico che noi dobbiamo conoscere per rendere possibile l’osservazione delle onde gravitazioni.

La collaborazione scientifica Virgo si sta preparando al nuovo ciclo di presa data, dopo importanti lavori di potenziamento dell’interferometro.

Il nuovo ciclo di presa dati di Virgo, chiamato O4, dovrebbe prendere il via prima della prossima estate. Attualmente, siamo in quella che viene definita fase di commissioning, cioè di collaudo dei miglioramenti tecnici e tecnologici già effettuati sull’interferometro. Lavoro che va in parallelo con quello dei due rivelatori statunitensi LIGO, anch’essi sottoposti negli ultimi due anni a interventi di upgrade. Questo perché l’alternanza tra periodi di presa dati e periodi dedicati al miglioramento degli strumenti è ormai concordata dalla collaborazione mondiale di cui fanno parte Virgo, LIGO e l’interferometro giapponese KAGRA. Molti sono stati gli upgrade implementati su Virgo, tra cui l’installazione di una sorgente laser più potente, un elemento necessario per ridurre un particolare tipo di rumore denominato shot noise. Altri miglioramenti sono stati ottenuti tramite l’inserimento di un risonatore ottico aggiuntivo, che ha la funzione di permettere il riciclo del segnale ottico aumentando la larghezza di banda a cui sarà sensibile il rivelatore. E la costruzione di ottiche aggiornate, in grado di ridurre l’effetto della cosiddetta luce parassita, ovvero la dispersione della luce all’interno dell’interferometro. È stata inoltre implementata una rete di sensori che hanno l’obiettivo di ridurre il cosiddetto rumore newtoniano alle basse frequenze. L’intervento tecnologicamente più rilevante ha infine riguardato lo squeezing, una configurazione ottica quantistica che permette di ridurre al minimo l’accoppiamento del rumore dovuto alla pressione di radiazione e quello dovuto al sopramenzionato short noise. Tutti questi interventi si tradurranno in una maggiore sensibilità di Virgo, che sarà in grado di sondare lo spazio alla ricerca di eventi di coalescenza di sistemi binari composti da buchi neri, stelle di neutroni, o da coppie miste di questi oggetti, a distanze maggiori rispetto al passato. Ciò comporterà ovviamente anche un aumento del volume di spazio osservabile e del numero di segnali che saranno rivelati.

Crediti EGO/INFN

Dalla scoperta delle onde gravitazionali nel 2015 ad oggi è stato un susseguirsi di nuove misure e osservazioni. La ricerca sulle onde gravitazionali si dimostra determinante per il progresso delle nostre conoscenze. Perché queste ricerche fanno la differenza?

Con l’aumento della risoluzione, prevediamo che il tasso di eventi registrati da Virgo crescerà dal massimo di due ogni settimana a uno al giorno. La crescita del numero di eventi che ci aspettiamo di osservare sarà di fondamentale importanza perché consentirà di iniziare a effettuare studi di popolazione delle sorgenti coinvolte. Un aspetto rilevante che riguarda O4 è, inoltre, la decisione di allungare il periodo di presa dati da un anno a 18 mesi. Tra le motivazioni quella di riuscire a rivelare nuovamente un evento multimessaggero. Fino a oggi c’è stata infatti una sola osservazione di un evento simile, in cui l’onda gravitazionale associata ha un corrispettivo di tipo elettromagnetico. L’evento in questione fa riferimento alla fusione di due stelle di neutroni osservata da Virgo e LIGO nell’agosto del 2017. La fisica multimessaggera è estremamente interessante perché permette di studiare questi fenomeni in varie frequenze – non solo attraverso le onde gravitazionali, ma anche nelle bande dello spettro elettromagnetico – e di ricavare informazioni molto accurate sul tipo di sorgenti. L’astrofisica multimessaggera rappresenta quindi un fondamentale strumento per riuscire a fare luce sulle questioni ancora aperte che concernono le sorgenti astrofisiche estreme. Un settore su cui anche l’INFN sta investendo molto, come dimostrano progetti come l’osservatorio sottomarino KM3NeT, che avrà tra i suoi obiettivi affiancare e integrare l’attività degli interferometri gravitazionali attraverso lo studio dei neutrini, messaggeri cosmici che possono trasportare informazioni sulle sorgenti astrofisiche d’interesse.

La comunità scientifica internazionale sta già lavorando per il futuro interferometro di terza generazione ET. Quali sono le principali sfide che questo nuovo rivelatore pone per la sua realizzazione?

Rispetto ai rivelatori di seconda generazione, ET dovrà migliorare ulteriormente la risoluzione, soprattutto alle basse frequenze. Gli osservatori gravitazionali possiedono infatti una curva di sensibilità che varia con le frequenze, che sono a loro volta associate a fenomeni astrofisici diversi. La regione delle basse frequenze è particolarmente interessante perché, qualora riuscissimo a esplorarla, saremmo in grado di osservare le cosiddette onde gravitazionali primordiali, ovvero quelle che si sono prodotte insieme al Big Bang. Tuttavia, rimane una regione molto difficile da rivelare perché il rumore a bassa frequenza può avere molte sorgenti: tutt’oggi stiamo studiando per capire come implementare soluzioni per eliminarlo. Ciò rappresenterà sicuramente la sfida principale per la realizzazione di ET, per superare la quale sarà necessario sviluppare nuove tecnologie. Dobbiamo inoltre considerare anche l’aspetto legato alle difficoltà ingegneristiche e costruttive che i nuovi rivelatori pongono. A differenza degli attuali osservatori, caratterizzati da bracci della lunghezza di 3 chilometri, i prossimi interferometri possiederanno bracci con lunghezze che, a seconda dei progetti, andranno dai 10 ai 20 chilometri, allo scopo di aumentare la sensibilità alle medie e alte frequenza. Per esplorare invece le basse frequenze, la nostra proposta per ridurre al minimo il rumore ambientale, è stata quella di posizionare ET sottoterra.

Lei è stato rettore dell’Università di Sassari e durante il suo mandato è stato tra i promotori della candidatura a ospitare ET della Sardegna.

L’idea che la Sardegna fosse il posto ideale per ospitare un osservatorio gravitazionale non è recente: può essere fatta risalire al padre di Virgo e dell’interferometria gravitazionale, Adalberto Giazotto. Già all’epoca del mio trasferimento da Pisa a Sassari, Giazotto mi chiese infatti di attivarmi per promuovere il progetto, perché anche lui riteneva che la Sardegna fosse il posto giusto. Le ragioni sono valide ancora oggi e sono le stesse alla base della candidatura a ospitare ET nella regione: la limitata attività sismica che contraddistingue l’area, tra le più basse d’Europa, e l’altrettanto limitata presenza di rumore prodotto dalle attività umane. In particolare, il sito poi individuato, l’ex miniera di Sos Enattos, si trova nel comune di Lula, caratterizzato da una delle più basse densità di popolazione di tutto il territorio europeo. A ciò si aggiungono anche le caratteristiche geologiche dell’area, che si prestano alla realizzazione di ET. Il merito di aver compreso per primo che la Sardegna sarebbe potuta diventare il luogo ideale in cui osservare e studiare le onde gravitazionali va quindi a Giazotto, senza il quale la fisica di cui ci occupiamo non esisterebbe: è stato lui, in maniera molto visionaria, a proporre la tecnica che ha reso possibile la nascita di questo settore. Sulla base del suggerimento fornitomi da questo grande scienziato, una volta diventato rettore dell’Università di Sassari, e grazie alla maggiore capacità di intercedere presso le istituzioni nazionali e locali che il ruolo mi consentiva, ho perciò iniziato grazie all’INFN, che ha fornito la guida scientifica, a sottoporre la proposta. Pur nella speranza che ET potrà effettivamente essere ospitato in Italia, il solo fatto di essere riusciti a portare avanti la candidatura ha rappresentato un risultato non del tutto ovvio, perché il territorio di riferimento, proprio per la sua bassa antropizzazione, presenta difficoltà logistiche.

Perché è rilevante ospitare una grande infrastruttura di ricerca?

Sono stati condotti studi per valutare l’impatto di una grande infrastruttura di ricerca internazionale come ET e questi hanno mostrano come per ogni euro speso ci si aspetta un ritorno sei o sette volte superiore, di cui una parte rimarrebbe nel territorio. Ci sarebbe quindi un vantaggio immediato in termini economici legato all’indotto generato dai servizi necessari al funzionamento dell’infrastruttura di ricerca. Aspetto forse ancora più importante è che la realizzazione di ET in Sardegna garantirebbe inoltre la crescita complessiva di tutto il tessuto tecnologico locale e nazionale, e del capitale di competenze, attraverso la formazione che i giovani ricercatori potrebbero ricevere non solo nel campo della fisica gravitazionale, ma anche in tutti quei settori scientifici e applicativi necessari a rendere possibili le attività di un avanzato centro di ricerca. L’insieme di tutti questi fattori potrebbe così contribuire a rallentare il fenomeno dello spopolamento che sta gravando su tutte regione depresse d’Italia come le aree della Sardegna scelte per ospitare ET.

A prescindere da dove sarà costruito, EGO sostiene la realizzazione in Europa del progetto ET. Qual è il contributo che può portare al nuovo progetto? E qual è il contributo che la comunità scientifica italiana può portare?

Va detto che il contributo principale che sarà fornito al progetto ET concerne il ruolo esclusivo che EGO oggi svolge in Europa come centro per la fisica delle onde gravitazionali. Il solo centro in Europa in cui sia oggi possibile per un giovane maturare e acquisire competenze nel settore delle onde gravitazionali rimane Virgo: l’unico laboratorio europeo in cui è possibile fare esperienza diretta di questa fisica e sperimentare le nuove soluzioni tecnologiche cui faranno ricorso i prossimi osservatori. EGO e Virgo rappresentano quindi la scuola all’interno della quale saranno formati gli scienziati che lavoreranno su ET. Presso il nostro laboratorio possono inoltre essere studiate le fonti di rumore in grado di disturbare la rivelazione delle onde gravitazionali alle basse frequenze e si sta lavorando sulle tecnologie che saranno sviluppate per ET, come quelle del vuoto, di ottica o delle sospensioni. Una funzione fondamentale che EGO e Virgo potranno svolgere potrà essere, infine, quella di traghettare e mantenere attiva la comunità della fisica delle onde gravitazionali, per non correre il rischio che si disperda, in attesa della realizzazione di ET, che potrebbe richiedere anche 15 anni. Al termine dei periodi di presa dati O4 e O5 già programmati, noi potremmo infatti ospitare un ulteriore miglioramento di Virgo, il progetto Virgo Next, che potrà colmare le lunghe tempistiche che ancora ci separano dalla partenza delle attività scientifiche di ET.

Anche negli Stati Uniti si sta lavorando alla prossima generazione di interferometri, Cosmic Explorer. Perché una rete globale di interferometri è determinante per il successo di queste ricerche?

La differenza tra la fase iniziale di nascita della fisica delle onde gravitazionali, in cui è stata dimostrata sperimentalmente l’esistenza di queste perturbazioni dello spaziotempo, e quella attuale, che è caratterizzata dallo studio approfondito dei segnali gravitazionali, è la capacità di localizzare con precisione nello spazio le sorgenti degli eventi osservati grazie a più osservatori in grado di triangolare i segnali. Oltre a garantire informazioni indispensabili per lo studio delle onde gravitazionali, avere a disposizione una rete estesa di interferometri ha un secondo importante vantaggio, rappresentato dal fatto che, lavorando in sincrono, gli interferometri possono ridurre il rumore di fondo, aumentando l’accuratezza e la sensibilità complessiva delle misure. Questo è il motivo per cui sarebbe necessario iniziare a pensare alla ricerca sulle onde gravitazionali come un’attività coordinata a livello globale, che consenta di ottimizzare le risorse disponibili e quelle future, compreso l’interferometro spaziale LISA.

Cosa prevede e si augura per il futuro di EGO?

Dal punto di vista di EGO, una questione legata a un aspetto contingente che mi trovo a dover affrontare è il ritorno alla normalità dopo la pandemia. Mi auguro quindi che nel 2023 si possa tornare ad avere un’affluenza massiccia di ricercatori nel nostro centro. Tra gli obiettivi che mi sono prefisso per il mio mandato c’è proprio quello di rendere EGO ancora più accogliente dal punto di vista logistico e dei servizi disponibili.

Fonte: Comunicato INFN https://home.infn.it/newsletter-eu/newsletter-infn-eu-102.html  Eupean Gravity Observatory


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News da Marte #11

Bentornati su Marte!
Continuiamo a seguire Perseverance e Ingenuity nel loro viaggio verso il delta attraverso terreni difficili. Si parte! Anzi…

…si sale!
Nella prima metà di febbraio il rover è stato impegnato nella scalata verso i rilievi a nord della regione dove ha lavorato questi mesi passati, superando complessivamente un dislivello di circa 35 metri. Per farlo è ricorso alle sue doti di arrampicatore che, grazie a un baricentro molto basso, gli permettono di inclinarsi sino a 45° in qualunque direzione senza pericolo di ribaltamento. Tuttavia, per non correre rischi, durante tutto il corso della missione si intende evitare di portarlo oltre i 30°. Fanno comunque una certa impressione le immagini che il rover ci ha inviato nel corso dei giorni di spostamento, e per mezzo anche alla documentazione fornita dalle rilevazioni satellitari (maggiori dettagli più tardi) possiamo verificare che Perseverance ha percorso una strada con inclinazione media di 10° con picchi che hanno sfiorato i 25°.

Visuale catturata da Perseverance l’8 febbraio e qui processata in modo da esaltare i colori. Da questa immagine, dopo una correzione dalla distorsione ottica, si può stimare un’inclinazione di circa 15° rispetto l’orizzonte. Crediti: NASA/JPL-Caltech/Piras

Nei giorni in cui Perseverance risaliva l’importante dislivello Ingenuity non ha riposato.
Dopo la pausa estiva e gli impattanti rallentamenti autunnali (riferiti alle stagioni terrestri) l’elicotterino riprende calore. Per questo dobbiamo ringraziare il solstizio d’inverno, stavolta relativo al Pianeta Rosso, che dal 26 dicembre sta allungando i Sol. Con essi aumenta l’energia che Ingenuity riesce a produrre e la durata dei voli non può che giovarne.

Il volo 42 è stato eseguito il 4 febbraio decollando da Airfield Beta e atterrando a Airfield Gamma. Nel corso di 248 metri di spostamento orizzontale eseguiti in 137 secondi l’elicottero è salito di circa altri 20 metri di altitudine raggiungendo la regione del delta.

E qui sono forse iniziati un po’ di problemi.

Ingenuity, ci ricevi?
Il piccolo elicottero non comunica direttamente né con la Terra né con i satelliti in orbita attorno a Marte. Si appoggia invece a Perseverance che ospita dell’hardware dedicato per dialogare con lui sulla frequenza di 900 MHz tramite un protocollo commerciale chiamato ZigBee. È poi il rover che salva i dati e ce li trasmette.

Concepito per lavorare entro poche centinaia di metri da Perseverance, nel tempo Ingenuity ha dimostrato di poter comunicare senza problemi anche oltre il chilometro di distanza. Tutto valido finché i due sono in contatto visivo, quella che viene chiamata line of sight. Se ci sono ostacoli in mezzo le onde radio sono disturbate e la comunicazione risulta deteriorata o persino impossibile.

Alcune delle primissime immagini che abbiamo ricevuto del volo 42, scaricate il 7 e 9 febbraio, mostravano segni evidenti di corruzione dei dati.

Una coppia di frame del volo 42 relativi agli ultimi secondi di acquisizione, con Ingenuity ormai posato al suolo. Crediti: NASA/JPL-Caltech

È possibile che sia stata proprio la posizione di Ingenuity e Perseverance ad aver influito sulla comunicazione? Per provare a trovare una risposta dobbiamo indagare un po’.
Il riferimento indispensabile sono le immagini satellitari scattate da HiRISE, il telescopio da 50 cm di diametro montato sul Mars Reconnaissance Orbiter. Questa impressionante ottica è corredata con un sensore fotografico che consente di distinguere dettagli più piccoli di un metro dalla quota di 300 km. Lo strumento permette anche, tramite il confronto tra immagini della stessa area acquisite da punti di vista differenti e algoritmi di elaborazione molto onerosi, di generare i Digital Terrain Models. I DTM sono niente meno che mappe altimetriche, e grazie all’elevata qualità delle immagini di partenza possono arrivare a risoluzioni di 25 cm per pixel, con una precisione di poche decine di cm nell’altitudine rilevata. Le immagini ad alta risoluzione di HiRISE e i DTM sono disponibili per tutti e gratis sul sito scientifico dello strumento curato dall’Università dell’Arizona. Agli “scienziati di quartiere” non resta che scaricare i file, importarli su un programma di modellazione 3D o GIS (Geographic Information System), e analizzare lo scenario.

Delle numerose osservazioni disponibili del cratere Jezero, luogo di atterraggio e lavoro di Perseverance, ho selezionato una coppia di riprese acquisite nel gennaio e maggio 2007. La posizione dell’elicottero e del rover è stata recuperata sul sito che traccia gli spostamenti dei due robot e sono così in grado di mostrarvi dove si trovavano precisamente il Sol 697, giorno del 42esimo volo.
A questo punto ho eseguito due elaborazioni.
Nel corso della prima ho caricato il relativo DTM sul programma di modellazione 3D Blender, ho sovrapposto la corrispondente texture e aggiunto nelle posizioni corrette i modelli per Perseverance e Ingenuity.
Vi presento così un video in cui voliamo insieme su Marte, prima attorno a Perseverance e poi verso Ingenuity sfiorando promontori rocciosi. Risaliamo il Rocky Top e siamo nella regione del delta, dove i due robot stanno attualmente già avanzando.
Clicca per accedere al video

Questa visuale, per quanto interessante, non chiarisce tutti i dubbi. Per analizzare meglio la posizione di rover ed elicottero serve qualcosa di più approfondito.

Ci viene in soccorso il programma gratuito QGIS. Esso può nativamente prendere in ingresso i file DTM e fornire una rapida visualizzazione generando delle opportune ombre.

Tre distinti DTM sono qui importati e visualizzati.

Ancora una volta, prendendo come riferimento le posizioni di Ingenuity e Perseverance al Sol 700 (7 febbraio), possiamo estrarre informazioni quali la distanza in linea d’aria di 356 metri e il dislivello di 30 metri.

Utilizzo del plugin Profile Tool all’interno del programma QGIS.

Ma ancora più interessante, e adatta ai nostri scopi, è l’analisi del profilo altimetrico. Scopriamo così che per metà della distanza che separava rover ed elicottero c’era un muro di roccia alto sino a quasi tre metri che avrebbe avuto la potenzialità di disturbare la propagazione del segnale radio emesso da Ingenuity.

Il grafico disegna il profilo altimetrico della line of sight tra Perseverance e Ingenuity il giorno 7 febbraio. La retta verde è il percorso tra le rispettive antenne, che tiene conto anche dell’altezza a cui sono installate sui due robot. L’altezza in ordinata risulta negativa perché il cratere Jezero si trova sotto il livello medio della superficie marziana, il cosiddetto areoide, calcolato sulla base del campo gravitazionale del pianeta.

Alcuni giorni più tardi (11, 13 e 15 febbraio) Perseverance ha eseguito altri download delle immagini dalla memoria dell’elicottero e questi sono avvenuti con successo pur senza che il rover si sia spostato in maniera rilevante. Non ci è quindi possibile, senza conoscere alcuni dettagli del protocollo di comunicazione, concludere con certezza che questi apparenti problemi abbiano avuto come unica causa l’ostacolo delle rocce.
I DTM si rivelano tuttavia un aiuto prezioso per comprendere meglio le difficoltà del terreno in cui Perseverance e Ingenuity stanno operando, e lo saranno ancora di più nei prossimi mesi in cui ci troveremo a fare slalom tra le formazioni rocciose del delta.

Gli ultimi voli
Senza avere ancora svuotato la memoria dalle foto del 42esimo volo, Ingenuity è decollato ancora una volta e il 16 febbraio ha continuato ad avanzare verso nord-ovest per ben 390 metri in 146 secondi. Non vedevamo simili distanze e tempi di volo da aprile, segno della riacquisita confidenza nelle capacità dell’avanzatissimo drone.

Nelle ultime ore abbiamo avuto conferma del 44esimo spostamento che ha avuto luogo il 19 febbraio. Ingenuity ha proseguito l’avanzamento verso nord-ovest per 325 metri, continuando a studiare il terreno con le rilevazioni fotografiche a tutto vantaggio del suo compagno rover. Quest’ultimo ha davanti a sé terreni molto accidentati che richiederanno caute valutazioni sul percorso da seguire. Considerando la rinnovata vitalità di Ingenuity, non è così certo che Perseverance riuscirà a rivedere l’elicottero da vicino molto presto.

Collage delle ultime zone di atterraggio di Ingenuity.
Posizione di Perseverance e Ingenuity aggiornata al Sol 713, 21 febbraio sulla Terra. Crediti: NASA/JPL-Caltech

La “magnifica desolazione” di Perseverance
Chiudiamo questo aggiornamento marziano con alcune delle più belle immagini che il rover ci sta inviando dalla regione del delta. Il terreno è estremamente accidentato, e per avanzare con passo spedito il rover deve fare affidamento sul software di navigazione autonoma. Grazie alle sue camere riesce a individuare con un’ottima autonomia ostacoli e aree pericolose, elaborando un percorso sicuro che sino ad ora gli sta permettendo di spostarsi sino a 200 metri al giorno.

Visuale della Left NavCam, Sol 709. NASA/JPL-Caltech/Piras
Visuale della Left NavCam, Sol 709. NASA/JPL-Caltech/Piras
Immagine scattata dalla Hazard Avoidance Camera A di sinistra nel Sol 711. Il braccio robotico era impegnato nell’analisi delle rocce al suolo tramite gli strumenti Sherloc e Watson. NASA/JPL-Caltech/Piras
Una delle più recenti immagini ricevute da Perseverance, scattata ancora dalla Left HazCam. Sulla destra si staglia un piccolo promontorio, largo poco meno di 200 metri e che si eleva per circa 20 rispetto alla piana circostante. NASA/JPL-Caltech/Piras

Anche per questo aggiornamento marziano è tutto!
A presto con nuove immagini, nuovi video e nuovi racconti.


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Hubble fotografa tre galassie in fusione

Crediti Hubble/ESA/NASA

Hubble osserva un trio galattico in fusione

Uno spettacolare trio di galassie in fusione nella costellazione di Boötes è al centro di questa immagine del telescopio spaziale Hubble della NASA/ESA. Queste tre galassie sono in rotta di collisione e alla fine si fonderanno in un’unica galassia più grande, distorcendo la struttura a spirale l’una dell’altra attraverso l’interazione gravitazionale reciproca nel processo. Una galassia in primo piano non correlata sembra fluttuare serenamente vicino a questa scena, e sullo sfondo sono visibili le forme sfumate di galassie molto più distanti.

Questo trio in collisione, noto agli astronomi come SDSSCGB 10189, è una combinazione relativamente rara di tre grandi galassie in formazione stellare che si trovano a soli 50.000 anni luce l’una dall’altra. Anche se potrebbe sembrare una distanza di sicurezza, per le galassie questo le rende estremamente vicine. I nostri vicini galattici sono molto più lontani; Andromeda, la grande galassia più vicina alla Via Lattea, dista oltre 2,5 milioni di anni luce dalla Terra.

Questa immagine proviene da un’osservazione progettata per aiutare gli astronomi a comprendere l’origine delle galassie più grandi e massicce dell’universo. Questi colossi galattici sono chiamati Brightest Cluster Galaxies (BCG) e, come suggerisce il nome, sono definiti come le galassie più luminose in un dato ammasso di galassie. Gli astronomi sospettano che i BCG si formino attraverso la fusione di grandi galassie ricche di gas come quelle viste qui. Si sono rivolti alla Wide Field Camera 3 e alla Advanced Camera for Surveys di Hubble per indagare su questo trio galattico nei minimi dettagli, sperando di far luce sulla formazione delle galassie più massicce dell’universo.

Fonte NASA


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Solar Orbiter cattura Mercurio

Queste immagini, riprese dallo strumento Polarimetric and Helioseismic Imager (PHI) dell'ESA/NASA Solar Orbiter, coprono trenta minuti del transito della sagoma di Mercurio sul disco solare. PHI ha osservato il transito per più di tre ore. Mercurio è visto come un cerchio nero nel quadrante in basso a destra dell'immagine. È nettamente diverso dalle macchie solari che si possono vedere più in alto sul disco solare.

Il disco nero di Mercurio aiuta ad affinare la visuale di Solar Orbiter

Quest’anno è iniziato con una bella opportunità di imaging per Solar Orbiter e un’opportunità per migliorare ulteriormente la qualità dei suoi dati. Il 3 gennaio 2023, il pianeta interno Mercurio ha attraversato il campo visivo della navicella, dando vita a un così detto transito in cui Mercurio è apparso come un cerchio perfettamente nero in movimento attraverso la faccia del Sole.

Un certo numero di strumenti dell’ESA/NASA Solar Orbiter ha catturato il transito. Nell’immagine Polarimetric and Helioseismic Imager (PHI) , Mercurio appare come un cerchio nero nel quadrante in basso a destra dell’immagine ed è nettamente diverso dalle macchie solari che si possono vedere più in alto sul disco solare.

L’Extreme Ultraviolet Imager (EUI) ha poi continuato a filmare il viggio del pianeta mostrando Mercurio subito dopo aver lasciato il disco che si stagliava davanti a strutture gassose nell’atmosfera del Sole.

Queste immagini, riprese dallo strumento Polarimetric and Helioseismic Imager (PHI) dell’ESA/NASA Solar Orbiter, coprono trenta minuti del transito della sagoma di Mercurio sul disco solare. PHI ha osservato il transito per più di tre ore. Mercurio è visto come un cerchio nero nel quadrante in basso a destra dell’immagine. È nettamente diverso dalle macchie solari che si possono vedere più in alto sul disco solare.

Lo strumento Spectral Imaging of the Coronal Environment (SPICE) suddivide la luce proveniente dal Sole nei suoi colori costituenti per isolare alcuni spettri che provengono dal lato inferiore del Sole. Linee che corrispondo ad atomi di elementi scelti per rivelare i diversi strati nell’atmosfera del Sole a diverse temperature. Il neon (Ne VIII) è a una temperatura di 630 000 K, il carbonio (C III) è a 30 000 K, l’idrogeno (Ly Beta) è a 10 000 K e l’ossigeno (O VI) è a 320 000 K K.

“Non si tratta solo di guardare Mercurio che passa davanti al Sole, ma anche il passagio su diversi strati dell’atmosfera”, afferma Miho Janvier, Institut d’Astrophysique Spatiale, Francia, il vice scienziato del progetto SPICE che è attualmente distaccato a ESA.

I transiti planetari sono stati utilizzati per vari scopi dagli astronomi. Nei secoli passati venivano usati per calcolare le dimensioni del nostro Sistema Solare. Gli osservatori in quel tempo si posizionavano in luoghi molto distanti cronometrando il transito e quindi confrontando i risultati. L’ora precisa dell’evento sarebbe stata leggermente diversa. Conoscendo la distanza tra gli osservatori, il diverso orario consentiva loro di utilizzare la trigonometria per calcolare la distanza dal Sole.

Più di recente, i transiti sono diventati il ​​modo più efficace per trovare pianeti attorno ad altre stelle.

L’ESA utilizza il metodo del transito per studiare gli esopianeti nella sua attuale missione Cheops (CHaracterising ExOPlanet Satellite). Nel prossimo futuro, la missione PLAnetary Transits and Oscillations of stars (PLATO) utilizzerà i transiti per cercare pianeti delle dimensioni della Terra nelle zone abitabili fino a un milione di stelle. E nel 2029, Ariel (Atmospheric Remote-sensing Infrared Exoplanet Large-survey) dell’ESA utilizzerà i transiti per studiare le atmosfere di circa 1000 esopianeti conosciuti.

Per Solar Orbiter, questo particolare transito ha offerto una preziosa opportunità per calibrare gli strumenti. “È un oggetto nero certificato che viaggia attraverso il campo visivo”, afferma Daniel Müller, scienziato del progetto Solar Orbiter presso l’ESA. “Pertanto, qualsiasi luminosità registrata dallo strumento all’interno del disco di Mercurio deve essere causata dal modo in cui lo strumento trasmette la sua luce, chiamata funzione di diffusione del punto. Quanto meglio questo è noto, tanto meglio può essere rimosso.” Quindi, studiando questo evento, la qualità dei dati di Solar Orbiter può essere ulteriormente migliorata.

Per osservare da vicino Mercurio, l’ESA ha inviato la missione BepiColombo. Farà il suo prossimo sorvolo ravvicinato del pianeta nel giugno 2023. Nel frattempo, Solar Orbiter farà il suo prossimo passaggio

Fonte: ESA/NASA Solar Orbiter


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RADIOASTRONOMIA PER RILEVARE OGGETTI ARTIFICIALI NELLO SPAZIO

IL SISTEMA DI SORVEGLIANZA INVISIBILE UTILIZZA LA TECNOLOGIA DELLA RADIOASTRONOMIA PER RILEVARE OGGETTI ARTIFICIALI NELLO SPAZIO

I ricercatori dell’International Center for Radio Astronomy Research (ICRAR) hanno sviluppato un sistema di sensori portatili a basso costo che può essere utilizzato per rilevare spazzatura spaziale, satelliti e aerei.

Il progetto portatile Space Domain Awareness (SDA) fa parte di una borsa di ricerca collaborativa finanziata dal Defense Science Centre del governo dell’Australia occidentale. Sviluppato dai ricercatori della Curtin University dell’ICRAR, il progetto SDA sfrutta le tecnologie utilizzate nella radioastronomia per creare un sistema radar passivo economico, flessibile e portatile.

A differenza dei sistemi radar convenzionali, che trasmettono deliberatamente un segnale noto, un sistema radar passivo fa uso di trasmissioni di terze parti come segnali radio e TV per rilevare oggetti senza rivelare la propria esistenza.

Il sistema portatile Space Domain Awareness utilizza le trasmissioni nell’ambiente locale per rilevare gli oggetti. Credito: ICRAR-Curtin

Il professore associato Randall Wayth dell’ICRAR-Curtin è il ricercatore capo del progetto e afferma che il sistema a 32 antenne potrebbe essere configurato per diverse applicazioni.

“Il nostro sistema è altamente portatile, sensibile e invisibile a molti sistemi di rilevamento tipici o commerciali, rendendolo ideale per l’implementazione in ambienti remoti e scenari di difesa”, ha affermato il professore associato Wayth.

I ricercatori dell’ICRAR hanno prototipato il loro sistema di sensori portatili basato sulla tecnologia di radioastronomia esistente, dimostrando il suo uso per la sorveglianza nascosta che può essere gestita autonomamente o integrata in una rete più ampia.

“Nella costruzione di questo prototipo, ICRAR ha preso le tecnologie e le competenze sviluppate nel corso della nostra attività principale di radioastronomia e le ha applicate a uno scopo di difesa”, ha affermato il professore associato Wayth.

“Le tecniche che usiamo per immaginare l’Universo distante si traducono direttamente nel rilevamento di oggetti più vicini a casa”.

Il sistema Portable Space Domain Awareness (SDA) sfrutta la tecnologia della radioastronomia. Credito: ICRAR-Curtin

Una considerazione chiave per il progetto è stata quella di motivare e stimolare lo sviluppo di una catena di approvvigionamento manifatturiero dell’Australia occidentale per i componenti critici. Per raggiungere questo obiettivo, il progetto ha sfruttato le forti connessioni dell’ICRAR con le industrie ingegneristiche e manifatturiere dell’Australia occidentale per rispondere alle esigenze di capacità attuali ed emergenti della difesa. Ciò ha dimostrato il sostegno dell’ICRAR ai posti di lavoro locali e all’industria manifatturiera di WA.

Il team di ricerca ha collaborato con il Development WA del governo WA , per distribuire il sistema SDA portatile all’Australian Automation and Robotics Precinct (AARP) a Neerabup. Questa disposizione ha accresciuto la consapevolezza delle capacità di ricerca e sviluppo dello stato nel campo della SDA e ha fornito una vetrina per le strutture del governo WA.

Guardando al futuro, il professore associato Wayth afferma che sono in corso discussioni con collaboratori dell’industria e del governo, con l’obiettivo di raggiungere capacità di elaborazione dei dati in tempo reale, migliorando il potenziale di applicazione a varie sfide di difesa e sicurezza.

Fonte: https://www.icrar.org/portable-sda/


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Trovata la Meteorite di San Valentino

Prima fa centro di nuovo: trovata la Meteorite di San Valentino

 

Eccola, è la meteorite di San Valentino!
Lo scorso 14 febbraio un bolide, una meteorona bella grossa, è stata avvistata nei cieli del Sud Italia. Se fino a qualche anno fa un evento come questo raramente portava al ritrovamento di meteoriti, oggi grazie alla rete Prisma, capita sempre più di frequente. È successo per esempio con la meteorite di Cavezzo, raccolta il 4 gennaio 2020 a Modena, ed è successo di nuovo in questi giorni di febbraio, sempre grazie alla rete di Prisma.
Il concetto è semplice in teoria, ma richiede un certo impegno per essere messo in atto: una rete di telecamere all-sky disseminate in tutto il territorio italiano che tengono d’occhio il cielo in ogni momento. Non sai mai quando e dove capiterà la prossima meteora degna di nota. Quando ci sono i presupposti, ossia quando il fenomeno è abbastanza energetico da suggerire che qualche frammento di roccia sia arrivato a Terra, grazie alle telecamere è possibile triangolare il potenziale punto di atterraggio.
Ovviamente questo metodo non permette di trovare il punto di caduta al millimetro, pertanto è comunque necessario organizzare spedizioni ad hoc per andarle a cercare in un’area più o meno estesa, a seconda del numero di telecamere con cui è avvenuta la triangolazione.
Credits immagine: Prisma/Inaf
La meteorite di San Valentino, dicevo, è stata avvistata nei cieli del Sud Italia, attorno alle 19 di sera del 14 febbraio, tra la Puglia e la Basilicata. Il giorno dopo è stata delineata l’area di ricerca, a nord di Matera. Questa volta però la ricerca è finita ben presto: la meteorite è caduta su un balcone ed è stata segnalata a Prisma da due cittadini di Contrada Rondinelle. Sono stati raccolti oltre 70 grammi in 12 frammenti principali e decine più piccoli, riporta Prisma nel comunicato della faccenda. Avrebbe viaggiato a 300 chilometri orari, creando un minuscolo craterino in una piastrella del balcone. Penso in pochi possano dire di avere un cratere da impatto in casa propria.
La quasi totalità delle meteoriti sono rinvenute nei deserti, per via delle favorevoli condizioni climatiche e ottiche. Avere la possibilità di recuperarne in luoghi umidi e per di più fresche fresche di caduta (invece che ben alterate dopo decenni o secoli sulla Terra), è qualcosa di sensazionale dal punto di vista scientifico. Non a caso il 18 febbraio (che poi sarebbe ieri) la meteorite è stata consegnata ai ricercatori di Prisma, che ne faranno le dovute e approfondite analisi per ascoltare le storie che ha da raccontarci sul sistema planetario in cui viviamo.
L’approfondimento sarà sul prossimo numero di Coelum, n°261 da non perdere!
More info: http://www.prisma.inaf.it/

 

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4° settimana di febbraio – cosa osservare

Assolutamente da non perdere il giorno 22 febbraio la splendida congiunzione Luna – Venere – Giove preceduta il 21 febbraio da un più impegnativo avvicinamento fra Luna e Nettuno

“Spettacolare quanto problematica la congiunzione che avrà come protagonisti Luna, Venere e Giove prevista per la serata del 22 Febbraio intorno alle ore 20:15. Infatti una bella falce lunare di 2,8 giorni il cui tramonto nella zona di Roma è previsto per le ore 20:37, verrà a trovarsi alle 20:15 quasi a metà strada fra Venere (separazione di 4°46’) ormai in procinto di tramontare ed il pianeta Giove (separazione di 3°23’). Sarà opportuno tenere presente che questa congiunzione potrà essere osservata col nostro satellite ad un’altezza di soli 4°16’ per la zona di Bolzano fino ai 3°40’ per l’Italia Centrale, per finire con i 3°13’ per chi osserva dall’Italia Meridionale.”

In breve riprendiamo gli eventi interessanti per le osservazioni dei prossimi 7 giorni

DATA ORA OGGETTO EVENTO
19/02/2023 10:05:53 Luna Perigeo
20/02/2023 00:57:32 Luna-Saturno Congiunzione
20/02/2023 08:05:43 Luna Nuova
21/02/2023 19:14:41 Luna-Nettuno Congiunzione
22/02/2023 08:53:38 Luna-Venere Congiunzione
22/02/2023 22:59:56 Luna-Giove Congiunzione
24/02/2023 19:55:59 Luna Nodo
25/02/2023 14:04:20 Luna-Urano Congiunzione
26/02/2023 16:20:00 Luna-Pleiadi Congiunzione

Assolutamente da non perdere il giorno 22 febbraio la splendida congiunzione Luna – Venere – Giove preeduta il 21 febbraio da un più impegnativo avvicinamento fra Luna e Nettuno

La Luna di Febbraio a cura di Francesco Badalotti

Relegato sempre più alle ore notturne, alle 08:06 del 20 Febbraio il nostro satellite sarà in Novilunio risultando completamente invisibile dal nostro pianeta mentre contestualmente l’emisfero opposto, quello che non vediamo dalla Terra, sarà perfettamente illuminato dalla luce solare esattamente come la nostra e comune “Luna Piena”. A tale proposito non trova alcun fondamento il cosiddetto e fuorviante “lato oscuro della Luna”, il quale trova spazio solo nella diffusione di notizie che nulla hanno a che vedere con una corretta informazione astronomica. Come avviene ogni mese ormai da oltre quattro miliardi di anni, dal Novilunio ripartirà un nuovo ciclo lunare mentre, volendo, potremo constatare come di notte in notte il nostro satellite ci presenterà una falce illuminata di proporzioni sempre maggiori fino a riportarsi nuovamente nelle migliori condizioni osservative, anche se per i cosiddetti “esperti” qualsiasi dettaglio anche nelle più ostiche condizioni può essere fonte di ricerche e osservazioni sistematiche, dalla falce di 1 o 2 giorni fino alla Luna Piena.

Protagoniste delle foto più romantiche, le falci, ci danno appuntamento per il tardo pomeriggio del 21 Febbraio con una sottile falce di 1,47 giorni che alle ore 19:23 scenderà sotto l’orizzonte, seguita dai pianeti Venere e Giove, e per il il 22 Febbraio quando una falce di 2,5 giorni tramonterà alle ore 20:37 sulla cui superficie aumenteranno notevolmente le strutture che potranno essere oggetto di dettagliate osservazioni nei settori nordest

Asteroidi di Marzo Iozzi

Dovremo attende il giorno 27 per scorgere (40) Harmonia in opposizione.


Le tabelle di tutti gli eventi sono nell’Almanacco 2023 di Coelum, libriccino di ben 16 pagine con tutti i riferimenti raccolti in tabelle per mese ed oggetto. Facile da portare sempre con se! Se non hai ancora la tua copia

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Nelle 16 pagine le tabelle dei principali eventi astronomici dell’anno suddivise per singolo Mese e per Oggetto Celeste.

Luna Fasi e Nodi, Congiunzioni, Mercurio, Venere, Marte, Giove, Saturno, Nettuno, Urano, Eclissi, Sciami Meteoritici, Solsisti ed Equinozi e Moti.

In più i suggerimenti per osservare le principali Comete e gli Asteroidi in opposizione per tutto il 2023.

L’Almanacco sarà distribuito omaggio agli abbonati (con Spedizione Standard e Corriere Espresso) e per tutti i lettori che hanno acquistato o acquisteranno la copia.

La NASA cattura la vista dell’asteroide Oblungo

Il 3 febbraio, un asteroide lungo più di tre volte la sua larghezza ha sorvolato in sicurezza la Terra a una distanza di circa 1,8 milioni di chilometri, o poco meno di cinque volte la distanza tra la Luna e la Terra. Sebbene non vi fosse alcun rischio che l’asteroide, chiamato 2011 AG5, colpisse il nostro pianeta, gli scienziati del Jet Propulsion Laboratory della NASA nel sud della California hanno seguito da vicino l’oggetto, facendo osservazioni inestimabili per aiutare a determinarne le dimensioni, la rotazione, i dettagli della superficie e, soprattutto, forma.

Questo avvicinamento ravvicinato ha fornito la prima opportunità di dare un’occhiata dettagliata all’asteroide da quando è stato scoperto nel 2011, rivelando un oggetto lungo circa 500 metri e largo circa 150 metri, dimensioni paragonabili all’Empire State Building. La potente parabola dell’antenna radar Goldstone Solar System da 70 metri presso la struttura del Deep Space Network vicino a Barstow, in California, ha rivelato le dimensioni di questo asteroide estremamente allungato.

“Dei 1.040 oggetti vicini alla Terra osservati dal radar planetario fino ad oggi, questo è uno dei più allungati che abbiamo visto”, ha detto Lance Benner, scienziato principale del JPL che ha contribuito a condurre le osservazioni .

Le osservazioni radar di Goldstone si sono svolte dal 29 gennaio al 4 febbraio, catturando molti altri dettagli: insieme a una grande e ampia concavità in uno dei due emisferi dell’asteroide, 2011 AG5 ha sottili regioni scure e più chiare che potrebbero indicare una superficie su piccola scala e presenta un diametro di poche decine di metri. Se l’asteroide fosse visibile ad occhio nudo, sembrerebbe scuro come il carbone. Le osservazioni hanno anche confermato che l’AG5 del 2011 ha una velocità di rotazione lenta, impiegando nove ore per ruotare completamente.

Oltre a contribuire a una migliore comprensione dell’aspetto ravvicinato di questo oggetto, le osservazioni radar di Goldstone forniscono una misurazione chiave dell’orbita dell’asteroide attorno al Sole. Il radar fornisce misurazioni precise della distanza che possono aiutare gli scienziati del Center for Near Earth Object Studies (CNEOS) della NASA a perfezionare il percorso orbitale dell’asteroide. L’asteroide 2011 AG5 orbita attorno al Sole una volta ogni 621 giorni e non avrà un incontro molto ravvicinato con la Terra fino al 2040, quando passerà di nuovo in sicurezza vicno al nostro pianeta a una distanza di circa 1,1 milioni di chilometri, o quasi tre volte la Terra- distanza lunare.

“Le continue osservazioni di questo oggetto hanno escluso ogni possibilità di impatto, e queste nuove misurazioni perfezioneranno ulteriormente le misure”, ha affermato Paul Chodas, direttore del CNEOS al JPL.

CNEOS calcola l’orbita di ogni asteroide noto vicino alla Terra per fornire valutazioni dei potenziali rischi di impatto. Sia il Goldstone Solar System Radar Group che il CNEOS sono supportati dal Near-Earth Object Observations Program della NASA all’interno del Planetary Defense Coordination Office presso la sede dell’agenzia a Washington.

Fonte: NASA


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Editoriale Coelum Astronomia 260

Cara lettrice, caro lettore,

è passato un anno, volato letteralmente, eppure ne sono successe di cose. Le notizie e i fatti popolari di attualità certo non sono mancati. E a noi, fortunati fra i fortunati, il compito assolutamente non oneroso di narrare le più importanti novità scientifiche in campo astronomico, un privilegio per cui ringraziamo.

Così nel corso delle sei ci siamo persi con voi nella lettura del racconto di chi ha contribuito alla realizzazione della prima immagine del buco nero al centro della Via Lattea, Sagittarius A*, un cerchio rossiccio un po’ sfocato ma che ha contribuito a confermare molte delle ipotesi su questi oggetti misteriosi e sulla formazione della Galassia. Subito dopo siamo rimasti folgorati dai primi dati trasmessi verso la Terra dal James Webb Space Telescope, capaci di mostrare sin da subito la potenza di uno strumento colossale che segna il passo sullo sviluppo tecnologico fondamentale per seguire i passi da gigante della ricerca scientifica. Dettagli da lasciare senza parole, che fanno impallidire i più stimati osservatori a terra ed in orbita, ma è il lavoro in sinergia di tutti i team, reattivi ad ogni stimolo, il tassello fondamentale di questa folle eppur entusiasmante corsa alle scoperte.

Dopo oltre 20 anni da quando la fantasia dell’umanità è stata solletica dal film Deep Impact arriva a destinazione la sonda DART, il primo vero tentativo (e a prima vista piuttosto ben riuscito) di deviazione di un asteroide potenzialmente pericoloso per la Terra e per la vita su di essa ospitata. Cronaca in diretta di un impatto che, stranamente, rassicura. Abbiamo anche seguito e sostenuto la nostra astronauta Samantha Cristoforetti nel suo ritorno alla ISS, testimone di professionalità e passione, e ambasciatrice di un approccio estremamente positivo alle sfide. Non dimenticheremo le ore passate a guardare la sua EVA. Ed in fine, ahinoi, salutato anche l’amato Piero Angela, signore elegante della divulgazione in Italia.

Lo scorso dicembre poi il comunicato che annuncia la riproduzione della fusione nucleare e Artemis I minuzioso racconto ad immagini che disegna la strada ad una nuova era di esplorazione della Luna, e quindi si riparte subito già in questo numero con  la narrazione, con il dott. Vincenzo Vagnoni affrontando il significato vero del risultato raggiunto in ambito nucleare e con l’avvocato Antonino Salmeri a proporci uno spunto differente da cui valutare il ritorno dell’uomo sul nostro satellite.

Ogni numero ha un tema principale e questa volta parliamo di Radioastronomia con una bella testimonianza amatoriale ma anche facendo il punto dei progetti in carico ai siti professionali, la dott.ssa Silvia Casu ci racconta del Sardinia Radio Telescope e dello SKA finalmente al via! A si, un’altra delle notizie del 2022.

Come promesso abbiamo aggiunto 12 pagine in più, stavamo riducendo sempre di più le dimensioni del carattere per farci stare tutto, ma alla fine ci siamo detti che ne valeva la pena, e grazie ai suggerimenti che ci sono arrivati in redazione abbiamo sfruttato al meglio questa opportunità dando più spazio alle rubriche e alle immagini, ma continuate a scriverci, Coelum è un progetto editoriale flessibile e che si sta formando sotto le mani tutti.

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Webb scopre nuovi dettagli nell’ammasso di Pandora

Gli astronomi hanno svelato l’ultima immagine in campo profondo del telescopio spaziale James Webb della NASA, con dettagli mai visti prima in una regione dello spazio nota come Ammasso di Pandora (Abell 2744). L’inquadratura di Webb mostra tre ammassi di galassie – già enormi – che si uniscono per formare un megacluster. La massa combinata degli ammassi di galassie crea una potente lente gravitazionale, un naturale effetto di ingrandimento della gravità, che consente di osservare galassie molto più distanti nell’universo primordiale utilizzando l’ammasso come una lente d’ingrandimento.

Solo il nucleo centrale di Pandora è stato precedentemente studiato in dettaglio dal telescopio spaziale Hubble della NASA. Combinando i potenti strumenti a infrarossi di Webb con un’ampia vista a mosaico delle molteplici aree di lente della regione, gli astronomi miravano a raggiungere un equilibrio di ampiezza e profondità che aprisse la visuale al centro e nuova frontiera nello studio della cosmologia e dell’evoluzione delle galassie.

“L’antico mito di Pandora riguarda la curiosità umana e le scoperte che delineano il passato dal futuro, che penso sia una connessione appropriata con i nuovi regni dell’universo che Webb sta aprendo, inclusa questa immagine del campo profondo dell’Ammasso di Pandora”, ha detto l’astronomo Rachel Bezanson dell’Università di Pittsburgh in Pennsylvania, co-principale ricercatrice del programma “Ultradeep NIRSpec and NIRCam ObserVations before the Epoch of Reionization” (UNCOVER) per studiare la regione.

La nuova vista dell’ammasso di Pandora unisce quattro istantanee Webb in un’unica immagine panoramica, mostrando circa 50.000 fonti di luce nel vicino infrarosso.

Oltre all’ingrandimento, la lente gravitazionale distorce l’aspetto delle galassie lontane, quindi appaiono molto diverse da quelle in primo piano. La “lente” dell’ammasso di galassie è così massiccia da deformare il tessuto dello spazio stesso, abbastanza perché anche la luce proveniente da galassie lontane che passa attraverso quello spazio assuma un aspetto deformato.

L’astronomo Ivo Labbe della Swinburne University of Technology di Melbourne, in Australia, co-principal investigator del programma UNCOVER, ha affermato che nel nucleo in basso a destra nell’immagine Webb, che non è mai stata ripresa da Hubble, ci sono centinaia di galassie con lenti distanti che appaiono come deboli linee arcuate nell’immagine. Lo zoom sulla regione ne rivela sempre di più.

Il team di UNCOVER ha utilizzato la NIRCam (Near-Infrared Camera) di Webb per catturare l’ammasso con esposizioni della durata di 4-6 ore, per un totale di circa 30 ore di osservazione. Il passo successivo sarà esaminare meticolosamente i dati di imaging e selezionare le galassie per l’osservazione di follow-up con lo spettrografo nel vicino infrarosso (NIRSpec), che fornirà misurazioni precise della distanza, insieme ad altre informazioni dettagliate sulla composizione delle galassie distorte, fornendo nuove approfondimenti sulla prima era dell’assemblaggio e dell’evoluzione delle galassie. Il team UNCOVER prevede di effettuare queste osservazioni NIRSpec nell’estate del 2023.

Nel frattempo, tutti i dati fotometrici NIRCam sono stati resi pubblici in modo che altri astronomi possano familiarizzare con essi e pianificare i propri studi scientifici futuri. “Siamo impegnati ad aiutare la comunità astronomica a sfruttare al meglio la fantastica risorsa che abbiamo in Webb”, ha affermato il co-investigatore di UNCOVER Gabriel Brammer del Cosmic Dawn Center del Niels Bohr Institute presso l’Università di Copenaghen. “Questo è solo l’inizio di tutta la straordinaria scienza nell’era Webb.”

I mosaici di immagini e il catalogo delle fonti sull’ammasso di Pandora (Abell 2744) forniti dal team UNCOVER combinano i dati di Hubble pubblicamente disponibili con la fotometria Webb da tre primi programmi di osservazione: JWST-GO-2561, JWST-DD-ERS-1324 e JWST- DD-2756.

Fonte: esaweNIRCambb.org

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Starlink a Righello

Ripresa Starlink di Cristian Fattinnanzi
Nello scatto del 14 febbraio Stasera, l’autore ha ripreso il trenino dei satelliti Starlink di passaggio sopra l’Italia.
L’immagine col ponte è un montaggio di due scatti, il panorama col ponte è stato ripreso qualche minuto prima del passaggio, purtroppo da quel punto di ripresa non potevo muovermi e i satelliti, passati leggermente più a destra, sono stati riportati all’interno dell’inquadratura in post-produzione.
Nell’immagine successiva, ripresa quando i satelliti brillavano incredibilmente alti in cielo, si notano diverse formazioni celesti note, Iadi, Pleiadi, Marte, e poco a sinistra di Aldebaran, piccolissima, anche la cometina di Neanderthal.
Tonight, February 14, I managed to photograph the train of Starlink satellites passing over Italy. The image with the bridge is a montage of two shots, the panorama with the bridge was taken a few minutes before the passage, unfortunately I could not move from that point of view and the satellites, passed slightly to the right, were brought back inside the post-production shot. In the next image, taken when the satellites shone incredibly high in the sky, you can see several known celestial formations, Hyades, Pleiades, Mars, and just to the left of Aldebaran, very small, also the Neanderthal comet.

 

credits: Cristian Fattinnanzi

Galileo Galilei – Quarta edizione

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Con il Patrocinio del Comune di Fiumicino
una serata dedicata interamente al Padre della Scienza Moderna.

Conferenza sulla vita di Galileo
Osservazioni di Marte e tentativo di osservazione della cometa di Neanderthal con i telescopi moderni del Gruppo Astrofili Palidoro

INGRESSO LIBERO
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Via del Buttero, 10, 00057 Maccarese RM

Info: info@astrofilipalidoro.it – 3475010985
www.astrofilipalidoro.it

BepiColombo e Solar Orbiter strana coppia per Venere

BepiColombo, diretta verso Mercurio , e Solar Orbiter, in rotta verso il sole – sono recentemente passate da Venere

La missione ESA/JAXA BepiColombo, in rotta per studiare Mercurio, e il Solar Orbiter ESA/NASA, che sta osservando il Sole da diverse prospettive, stanno entrambi utilizzando una serie di assist gravitazionali da Venere per cambiare le loro traiettorie e indirizzare correttamente le tracce da seguire. Il 9-10 agosto 2021, le missioni hanno sorvolato Venere a distanza di un giorno l’una dall’altra, inviando osservazioni catturate sinergicamente da otto sensori e due punti di osservazione nello spazio. I risultati sono stati pubblicati su Nature Communications.

La convergenza di due veicoli spaziali su Venere nell’agosto 2021 ha fornito una visione unica di come il pianeta sia in grado di mantenere la sua densa atmosfera senza la protezione di un campo magnetico globale.

A differenza della Terra, Venere non genera un campo magnetico intrinseco nel suo nucleo. Tuttavia, intorno al pianeta viene creata una debole “magnetosfera indotta” a forma di cometa dall’interazione del vento solare – un flusso di particelle cariche emesse dal Sole – con particelle elettricamente cariche nell’alta atmosfera di Venere. Attorno a questa bolla magnetica, il vento solare viene rallentato, riscaldato e deviato come la scia di una barca in una regione chiamata “guaina magnetica”.

Durante il sorvolo, BepiColombo è volato lungo la lunga coda della guaina magnetica ed è emerso attraverso dalle regioni magnetiche più vicine al Sole. Nel frattempo, Solar Orbiter ha catturato un pacifico vento solare dalla sua posizione davanti a Venere.

“Queste doppie serie di osservazioni sono particolarmente preziose perché le condizioni del vento solare sperimentate da Solar Orbiter erano molto stabili. Ciò significava che BepiColombo aveva una visione perfetta delle diverse regioni all’interno della magnetoguaina e della magnetosfera, indisturbata dalle fluttuazioni dell’attività solare”, ha detto l’autore principale Moa Persson dell’Università di Tokyo a Kashiwa, in Giappone, che è stato finanziato per realizzare lo studio dalla Commissione Europea attraverso il progetto Europlanet 2024 Research Infrastructure (RI).

Il sorvolo di BepiColombo è stata una rara opportunità per indagare sulla “regione di stagnazione”, un’area della magnetosfera dove si osservano alcuni dei maggiori effetti dell’interazione tra Venere e il vento solare. I dati raccolti hanno fornito la prima prova sperimentale che le particelle cariche in questa regione sono rallentate in modo significativo dalle interazioni tra il vento solare e Venere e che la zona si estende per una distanza inaspettatamente grande di 1.900 chilometri sopra la superficie del pianeta.

Le osservazioni hanno anche mostrato che la magnetosfera indotta fornisce una barriera stabile che protegge l’atmosfera di Venere dall’erosione del vento solare. Questa protezione rimane robusta anche durante il minimo solare, quando minori emissioni ultraviolette dal Sole riducono la forza delle correnti che generano la magnetosfera indotta. La scoperta, contraria alle precedenti previsioni, getta nuova luce sulla connessione tra campi magnetici e perdite atmosferiche dovute al vento solare.

La convergenza del veicolo spaziale BepiColombo e Solar Orbiter su Venere nell’agosto 2021 è stata una rara opportunità per indagare sulla “regione di stagnazione”, un’area della magnetosfera venusiana dove si osservano alcuni dei più grandi effetti dell’interazione tra Venere e il vento solare.

“L’efficacia di una magnetosfera indotta nell’aiutare un pianeta a mantenere la sua atmosfera ha implicazioni per comprendere l’abitabilità degli esopianeti senza campi magnetici generati internamente”, ha affermato il coautore Sae Aizawa dell’Istituto di scienze spaziali e astronautiche (ISAS) della JAXA.

BepiColombo comprende una coppia di veicoli spaziali, Mio, il Mercury Magnetospheric Orbiter guidato da JAXA, e MPO, il Mercury Planetary Orbiter guidato dall’ESA, che sono stati montati insieme per il viaggio verso Mercurio. Lo studio ha combinato i dati dei quattro sensori di particelle di Mio, il magnetometro e un altro strumento di particelle su MPO, e il magnetometro e l’analizzatore del vento solare su Solar Orbiter. Gli strumenti di modellazione meteorologica spaziale SPIDER di Europlanet hanno permesso ai ricercatori di tracciare in dettaglio in che modo le caratteristiche del vento solare osservate da Solar Orbiter sono state influenzate mentre si propagavano verso BepiColombo attraverso la guaina magnetica venusiana.

“Gli importanti risultati di questo studio dimostrano come l’accensione dei sensori durante i sorvoli planetari e le fasi di crociera possano portare a una scienza unica”, ha affermato il coautore Nicolas Andre, coordinatore del servizio Europlanet SPIDER presso l’Institut de Recherche en Astrophysique et Planétologie (IRAP ) a Tolosa, Francia.

Fonte: Comunicato stampa Europlanet 2024 RI/ISAS/JAXA


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Un uccellino che spicca il volo sotto un lampione?

La cometa C/2022 E3 (ZTF) e Marte
La cometa C/2022 E3 (ZTF) e Marte
Foto di: Rolando Ligustri
Un uccellino che spicca il volo sotto un lampione?
No, la cometa C/2022 E3 (ZTF) che passa nelle vicinanze di Marte.
Bellissima foto di Rolando Ligustri.
Luogo: Namibia
Info: Skygems, apo 106/530 ccd C3-61000 L=9x120sec

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Galleria fotografica PhotoCoelum pubblicata

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Ecco un’anteprima delle immagini selezionate e pubblicate su Coelum n°260 di febbraio/marzo 2023
Una salita sulla sommità del monte Cadrigna (1300 m.) a nord di Varese per fotografare la Via Lattea invernale e la sorpresa di trovarsi inaspettatamente sotto un cielo di un bel colore verde smeraldo! Del tutto invisibile ad occhio nudo, l’airglow (luminescenza naturale degli strati superiori dell’atmosfera), rivelato dalla posa lunga della macchina fotografica, era distribuito uniformemente al di sopra dell’orizzonte settentrionale, in una serata limpida e nonostante la presenza di un notevole inquinamento luminoso attorno al lago Maggiore. Un fenomeno sicuramente molto raro dalle nostre zone, che finora avevo ripreso solamente sotto il cielo cristallino del deserto di Atacama!

 

Nebulosa di Orione di Alessandro Curci
Il famosissimo complesso nebulare della spada di Orione dell’omonima costellazione. La ripresa è stata eseguita in 3 serate particolarmente trasparenti di fine novembre. Sono 4 ore con filtro lpsP2 per il colore e 5 ore con filtro L_eNhance per la luminanza. Elaborazione eseguita con PixInsight e Ps
Data e Ora di acquisizione
29 Novembre 2022 alle 03:00

 

Seahorse Nebula di Davide Broise
Scattata in data 25/08/2022 sotto il cielo della Val d’Orcia.
102 scatti da 300″ l’uno per un totale di 8,5 ore di segnale.

 Continua..

La Galleria fotografica di Coelum è di ben 10 pagine! Tutte le immagini stampate sono su Coelum Astronomia n°260 di febbraio/marzo 2023

 

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Il catalogo Messier – puntata n°7

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Messier 7, come Messier 6 nell’articolo precedente, é un oggetto celeste che appartiene alla categoria degli ammassi aperti. Questa tipologia di ammassi é formata da un gruppo di stelle (anche migliaia) che sono nate nello stesso periodo da una nube molecolare gigante.

 

Storia delle osservazioni

M7 é un ammasso conosciuto sin dall’antichitá. La prima testimonianza scritta ci arriva dall’astronomo, astrologo e geografo greco Claudio Tolomeo (che gli da anche il nome), che lo documentó annotandolo nel suo catalogo (l’Almagesto) come un oggetto nebuloso “successivo alla coda dello Scorpione” con il numero 567. Circa mille anni dopo, nel Medioevo, l’astronomo persiano Abd al-Rahman al-Sufi impegnato nella revisione e aggiornamento del trattato di Tolomeo, lo classificó come avente una magnitudine di 4.5.

Successivamente, venne osservato anche dall’astronomo italiano Giovan Battista Hodierna nel 17esimo secolo, che contó circa trenta stelle appartenenti a questo oggetto. Nuove osservazioni vennero effettuate dall’astronomo francese Nicolas-Louis de Lacaille nel 1752, che scrisse: “Gruppo di 15 o 20 stelle, molto vicine l’una all’altra, nella forma di un quadrilatero”.

Charles Messier lo inserí nel suo catalogo nel 1764, descrivendolo come “un ammasso considerevolmente più grande del precedente (M6). Ad occhio nudo si presenta come una nebulosità; è situato a breve distanza dal precedente, tra l’arco del Sagittario e la coda dello Scorpione. Diametro 30’”. Una curiosità: con una declinazione di -34.8°, questo ammasso aperto é l’oggetto più meridionale dell’intero Catalogo Messier.

Fu studiato anche dall’astronomo, matematico e chimico inglese John Herschel dal Capo di Buona Speranza (nell’attuale Sud Africa) e dall’astronomo,  matematico e fisico inglese Edmond Halley (lo scopritore della famosa cometa transitata l’ultima volta nel 1986).

 

Caratteristiche fisiche

Messier 7 si trova a poco meno di 1000 anni luce dal nostro pianeta (la sua elevata luminosità é dovuta principalmente a questo fattore) ed é composto da alcune centinaia di stelle, in genere di colore blu, con una massa totale di più di 700 volte quella del nostro Sole.

La sua età é stata calcolata in circa 200 milioni di anni e si staglia su un campo molto denso di stelle, che in realtà non appartengono ad M7, ma al bulbo galattico della Via Lattea, distante circa 30000 anni luce.

La stella piú brillante é una gigante gialla di magnitudine 5.6, quindi visibile ad occhio nudo sotto cieli bui lontano da sorgenti di inquinamento luminoso. Sono presenti anche tre giganti rosse e molte binarie spettroscopiche che sono ancora oggi oggetto di studio: in particolare, una variabile ad eclisse (una stella binaria in cui il piano orbitale delle due stelle si trova ben allineato con l’osservatore che le due componenti mostrano eclissi reciproche, transitando l’una di fronte all’altra) azzurra e decine di stelle nane osservate tramite vari studi ai raggi X.

 Continua..

L’articolo completo a cura di Giuseppe Petricca è su Coelum Astronomia n°260 di febbraio/marzo 2023

 

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Un appassionato italiano scopre ben 3 galassie

Proprio nel mezzo di questa immagine, incastonata tra una spruzzata di stelle lontane e galassie ancora più lontane, si trova la galassia nana appena scoperta nota come Donatiello II. Se non riesci a distinguere bene il gruppo di deboli stelle che è tutto ciò che possiamo vedere di Donatiello II in questa immagine, allora sei in buona compagnia. Donatiello II è una delle tre galassie scoperte di recente che erano così difficili da individuare che sono state tutte perse da un algoritmo progettato per cercare dati astronomici per potenziali galassie candidate. Anche i migliori algoritmi hanno i loro limiti quando si tratta di distinguere le galassie molto deboli dalle singole stelle e dal rumore di fondo. In questi casi di identificazione più impegnativi, la scoperta deve essere fatta alla vecchia maniera, da un essere umano dedicato che setaccia i dati stessi. 

I dati che hanno permesso queste scoperte sono stati raccolti dal Dark Energy Survey (DES), un intenso sforzo di osservazione durato sei anni, ed è stato effettuato utilizzando la Dark Energy Camera (DECam), che è montata sul Víctor M. Blanco 4- meter Telescope al Cerro Tololo Inter-American Observatory, un programma del NOIRLab della NSF. Come nel caso della maggior parte dei principali telescopi che ricevono finanziamenti pubblici, i dati del DES sono accessibili a tutti. Qui interviene la mano esperta dell’astronomo dilettante Giuseppe Donatiello. Elaborando laboriosamente i blocchi di dati DES ha individuato ben: tre galassie molto deboli, ora denominate rispettivamente Donatiello II, III e IV, tutte satelliti della ben nota galassia Scultore (altrimenti nota come NGC 253). 

L’immagine proviene da un programma di osservazione del telescopio spaziale Hubble della NASA/ESA. Sulla base della propria ricerca indipendente, un team guidato da Burçin Mutlu-Pakdil ha utilizzato Hubble per ottenere immagini a lunga esposizione di diverse galassie deboli, tra cui Donatiello II. Con le immagini di Hubble, è stato possibile sia confermare l’associazione delle galassie bersaglio con NGC 253, che le scoperte di Donatiello.

Un campo nero, per lo più vuoto, con una varietà di stelle e galassie sparse su di esso. La maggior parte molto piccole. Un paio di galassie e stelle sono più grandi con dettagli visibili. Al centro c’è una galassia ancora di relative dimensioni contenute, il bagliore segna i confini della galassia Donatiello

Crediti: ESA, Hubble

Una goccia di luce delle stelle: Cecilia Helena Payne-Gaposchkin

Cecilia Helena Payne-Gaposchkin

Capita, sulla Terra, che, ogni tanto, nel corso della storia, cadano delle gocce di luce dalle stelle immense del firmamento. Queste gocce di luce brillano in mezzo alla folla di luce propria, come candele in una notte oscura. Queste gocce di luce sono persone speciali, che, ognuna a suo modo, possiede una virtù che la rende unica.

Oggi vi parlo di una di queste gocce di luce: Cecilia Helena Payne-Gaposchkin. Nacque a Wendover, a pochi chilometri da Londra, proprio nell’anno 1900. Orfana di padre in tenera età, viene allevata dalla madre assieme ai suoi due fratelli. Comincia sin da subito a manifestare una intelligenza curiosa, imparando prima dei dieci anni il francese, il tedesco e il latino. Quando ha 12 anni, si trasferisce a Londra, dove inizia a frequentare il St.Mary’s College, una scuola religiosa. Come spesso accade alle menti frizzanti, non trovando molti stimoli, decide di inventare da sé i suoi interessi, che la spingono a lambire le coste della scienza. E lo fa cominciando proprio dalle basi: i Principia di Newton. Accortisi dell’intelligenza non comune di Cecilia, una nuova insegnante di scienze le dà in prestito alcuni libri di fisica e la porta a visitare i musei londinesi. Parallelamente alla scienza, Cecilia, coltiva la musica, entrando a far parte dell’orchestra della St. Paul Girls’ School.

Grazie alle sue spiccate doti scientifiche, nel 1919 vince una borsa di studio che le permette di entrare al Newnham College, il college femminile dell’Università di Cambridge, dove Cecilia completa la sua preparazione arricchendo il suo scibile con la chimica e la botanica. In quel tempo e prima del 1948, a Cambridge alle studentesse non veniva riconosciuta la laurea al termine del loro percorso di studi, come accadeva per i colleghi uomini.
Lo stesso anno, Cecilia resta folgorata dalla conferenza di Sir Arthur Eddington, durante la quale l’illustre astrofisico britannico presentava i risultati delle misurazioni effettuate durante un’eclissi di Sole nell’isola di Príncipe, al largo delle coste occidentali dell’Africa, che confermano la validità della teoria della relatività generale di Albert Einstein.

Qui Cecilia capisce che la sua strada è disegnata: deve essere astrofisica. Per questo motivo, completa i suoi studi nel 1922, ma, ancora una volta, nel Regno Unito, per una donna era impossibile proseguire gli studi con un dottorato di ricerca. Ma la sua passione la porta a seguire una lezione sull’Universo del professor Harlow Shapley, l’allora direttore dell’Osservatorio di Harvard, e, parlando con lui, Shapley la convince a proseguire gli studi con lui negli Stati Uniti, dove approda l’anno successivo.

Nel 1925 consegue il dottorato di ricerca, la prima donna ad Harvard ad ottenerlo, con una tesi intitolata “Atmosfere stellari”. In questo lavoro, applicando metodi di analisi innovativi che aveva approfondito da sola, Cecilia era riuscita a calcolare l’abbondanza degli elementi chimici delle stelle attraverso l’osservazione del loro spettro. Questo era un passo importante per l’astronomia perché dimostrava che le stelle sono fatte principalmente da idrogeno ed elio a differenza della credenza dell’epoca che le riteneva costituite da atomi pesanti come alluminio, ferro o silicio, come quelli presenti nella crosta terreste.

Poteva una donna, poco più che ventenne, rivoluzionare il mondo della chimica stellare? Certo che no! Per questo, il professor Henry Norris Russell, quello diagramma Hertzsprung-Russell, la convinse a rivedere le conclusioni del lavoro che, successivamente, pubblicò a suo nome nel 1929, citando Cecilia Payne solo marginalmente.

Dopo il dottorato, Cecilia lavorò come assistente di Shapley, accettando un impiego sottopagato rispetto ai colleghi uomini e soltanto anni riuscì ad ottenere il ruolo ed il titolo di astronomo da parte dell’accademia.

Nel 1934 Cecilia sposò l’astronomo Sergei Gaposchkin, che aveva aiutato a fuggire dalla Germania nazista, cambiò il suo cognome in Payne Gaposchkin e, con lui ebbe tre figli: Edward, Katherine e Peter.

Solo nel 1956, Cecilia divenne ufficialmente professoressa ad Harvard e Direttore del Dipartimento di Astronomia, la prima donna a ricoprire un ruolo così importante nella rinomata università americana, dove resterà in carica fino al 1965, anno del suo ritiro.

Nel 1976 le fu assegnato il prestigioso premio “Henry Norris Russell”, il più alto riconoscimento della Società Astronomica Americana. In quell’occasione dichiarò: “La vera ricompensa per un giovane scienziato è l’emozione che prova nell’essere la prima persona nella storia del mondo a vedere o capire qualcosa di nuovo. Niente può essere paragonato a questa esperienza”.

La sua intelligenza e la sua curiosità la spinse a ricevere diverse medaglie, premi e riconoscimenti. Nel capitolo 22 della sua autobiografia, capitolo che si intitola “Sull’essere una donna”, Cecilia scrisse: “Essere una donna è stato un grande svantaggio. È un racconto di salari bassi, mancanza di status, progressione lenta. Ma ho raggiunto vette che non avrei mai osato immaginare 50 anni fa, neanche nei miei sogni. È stato un caso di sopravvivenza, di persistenza accanita. […] I giovani, e specialmente le giovani donne, spesso mi chiedono un consiglio. Eccolo, valeat quantum. Non intraprendete una carriera scientifica alla ricerca di fama o di soldi. Ci sono modi più semplici ed efficaci per questo. Intraprendete [una carriera scientifica] solo se null’altro vi può soddisfare, perché probabilmente non riceverete null’altro in cambio. Il vostro premio sarà l’ampliarsi dell’orizzonte durante la scalata. E se raggiungerete questa ricompensa, non chiederete altro”.

 

English Version

Cecilia Helena Payne-Gaposchkin

It happens, on Earth, that, every now and then, throughout history, drops of light fall from the immense stars of the firmament. These drops of light shine in the crowd of their own light, like candles on a dark night. These drops of light are special people, who, each in their own way, possess a virtue that makes it unique.

Today I tell you about one of these drops of light: Cecilia Helena Payne-Gaposchkin. He was born in Wendover, a few kilometers from London, in the year 1900. Orphaned by her father at an early age, she was raised by her mother together with her two brothers. He immediately began to manifest a curious intelligence, learning before the age of ten French, German and Latin. When he was 12 years old, he moved to London, where he began attending St. Mary’s College, a religious school. As often happens to sparkling minds, not finding many stimuli, she decides to invent her own interests, which push her to lap the shores of science. And it does so starting with the basics: Newton’s Principia. Aware of Cecilia’s uncommon intelligence, a new science teacher lends her some physics books and takes her to visit London’s museums. Parallel to science, Celilia cultivates music, joining the orchestra of St. Paul Girls’ School.

Thanks to her strong scientific skills, in1919 she won a scholarship that allowed her to enter Newnham College, the women’s college of the University of Cambridge, where Cecilia completed her preparation enriching her knowledge with chemistry and botany. At that time and before 1948, in Cambridge the students were not recognized as graduating at the end of their studies, as was the case for their male colleagues.
The same year, Cecilia was struck by Sir Arthur Eddington’s lecture, during which the illustrious British astrophysicist presented the results of measurements made during an eclipse of the Sun on the island of Príncipe, off the western coast of Africa, which confirm the validity of Albert Einstein’s theory of general relativity.

Here Cecilia understands that her path is drawn: she must be an astrophysical. For this reason, she completed her studies in 1922, but, again, in the United Kingdom, it was impossible for a woman to continue her studies with a PhD. But her passion led her to follow a lecture on the Universe by Professor Harlow Shapley, the then director of the Harvard Observatory, and, talking to him, Shapley convinced her to continue her studies with him in the United States, where she landed the following year.

In 1925 she obtained her Ph.D., the first woman at Harvard to obtain it, with a thesis entitled “Stellar Atmospheres”. In this work, by applying innovative methods of analysis which she had explored on her own, Cecilia had succeeded in calculating the abundance of the chemical elements of stars by observing their spectrum. This was an important step for astronomy because it shows that stars are mainly made of hydrogen and helium unlike the belief of the time that they consisted of heavy atoms such as aluminum, iron or silicon, such as those present in the earth’s crust.

Could a woman, in her early twenties, revolutionize the world of stellar chemistry? Of course not! For this, Professor Henry Norris Russell, that Hertzsprung-Russell diagram, convinced her to revise the conclusions of the work that, subsequently, he published in his name in 1929, citing Cecilia Payne only marginally.

After her doctorate, Cecilia worked as Shapley’s assistant, accepting an underpaid job compared to her male colleagues and over the years she managed to obtain the role and title of astronomer from the academy.

In 1934 Cecilia married the astronomer Sergei Gaposchkin, who had helped escape Nazi Germany, changed her surname to Payne Gaposchkin and, with him, had three children: Edward, Katherine and Peter.

Only in 1956, Cecilia officially became a professor at Harvard and Director of the Department of Astronomy, the first woman to hold such an important role in the renowned American university, where she remained in office until 1965, the year of her retirement.

In 1976 she was awarded the prestigious Henry Norris Russell Award, the highest award of the American Astronomical Society. On that occasion he declared: “The real reward for a young scientist is the emotion he feels in being the first person in the history of the world to see or understand something new. Nothing can compare to this experience.”

Her intelligence and curiosity led her to receive several medals, awards and recognitions. In chapter 22 of her autobiography, a chapter entitled “On Being a Woman,” Cecilia wrote: “Being a woman was a great disadvantage. It’s a tale of low wages, lack of status, slow progression. But I have reached heights that I would never have dared to imagine 50 years ago, not even in my dreams. It was a case of survival, of relentless persistence. […] Young people, and especially young women, often ask me for advice. Here it is, valeat quantum. Do not embark on a scientific career in search of fame or money. There are simpler and more effective ways for this. Undertake [a scientific career] only if nothing else can satisfy you, because you probably won’t receive anything else in return. Your reward will be the widening of the horizon during the climb. And if you achieve this reward, you will not ask for anything else.”


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Corsi Accademia delle Stelle 2023

📣📣📣Tornano i Corsi 2023 di Accademia delle Stelle! 📣📣📣

online e in presenza in primavera e estate

Anche per questo 2023 l’Accademia delle Stelle organizza corsi di Astronomia e Archeoastronomia base ed avanzata.

CORSO DI ARCHEOASTRONOMIA

L’Astronomia ha plasmato la cultura antica in modi incredibili, lasciando traccia di sè nel mito, nella religione, nell’architettura di tutte le epoche. Sono innumerevoli gli esempi che vedremo, tra archeologia, numerologia, simbologia, letteratura antica e arte rinascimentale, origine delle costellazioni e semantica del cielo, comprese scoperte originali del docente.

CORSO AVANZATO DI ASTRONOMIA

Per comprendere la fisica dei più importanti fenomeni astronomici: 8 conferenze su argomenti fondamentali spesso esclusi dai corsi base di astronomia. Include retroscena poco noti e illuminati di storia dell’Astronomia e approfondimenti di fisica quantistica.

SCUOLA DI ARCHEOASTRONOMIA

Dal 12 al 15 maggio di terrà la settima edizione della scuola di formazione in archeoastronomia organizzata in seno all’Unione Astrofili Italiani del direttore dell’Accademia delle Stelle, Paolo Colona, riconosciuta MIUR come corso di aggiornamento per docenti e rivolta a tutti gli appassionati della materia. Fruibile sia in presenza sia in collegamento telematico, sarà ospitata come di consueto nella prestigiosa sede del Museo Etrusco di Villa Giulia a Roma.

SAVE THE DATE—-> INIZIO CORSI

• Corso di Astronomia Generale — 16 gennaio 2023
• Corso di Astrofotografia — 26 gennaio 2023
• Corso di Avanzato di Astronomia — 3 aprile 2023
• Corso di Archeoastronomia ed Astronomia Culturale — 13 aprile 2023
• Corso di Astronomia Fondamentale e Sorprendente — 18 settembre 2023
• Corso di Astronomia Pratica — 5 ottobre 2023
in più..
• Scuola di Archeoastronomia (in collaborazione con UAI) — dal 10 al 12 maggio
• Vacanze Astronomiche — dal 13 al 18 giugno
Tutti i dettagli dei corsi, le modalità di fruizione, i costi e i link per l’iscrizione sono disponibili nella pagina Accademia della Stelle / Corsi
ed in più..
chi sottoscriverà uno qualsiasi dei corsi di Accademia delle Stelle riceverà:
una copia omaggio di Coelum Astronomia (se con partecipazione in presenza)
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L’offerta scade il 30 giugno.

L’Accademia delle Stelle è una Scuola di Astronomia: dal 2010 tiene presso le proprie sedi moltissimi corsi di Astronomia Paolo Colona al TG2 (base, avanzata, pratica) e scienze affini (Archeoastronomia, Astronomia Culturale, Astrofotografia, Astronomia insolita e curiosa, eccetera), proponendo anche vacanze-studio di Astronomia amatoriale e teorica, avvalendosi della competenza di Paolo Colona, fisico, archeoastronomo, divulgatore e astrofilo di lunga esperienza. I nostri corsi hanno ricevuto il patrocinio della UAI.

La coscienza di un pianeta

A metà dicembre è uscito nei cinema il secondo episodio di Avatar, sequel di James Cameron che ne rivela la forte indole ambientalista. Grazie a questo strepitoso film, da gustare al cinema o in 3D (non si direbbe ma in redazione siamo amanti ancora del grande schermo, meglio se di nicchia e un po’ vintage) abbiamo iniziato a prendere confidenza con Pandora, un sistema-pianeta che si autoregola. In un periodo storico, attraversato dall’umanità, in cui la crisi climatica ha invaso la scena di ogni valutazione per lo sviluppo futuro, il tema del colossal è quanto meno attuale e, sebbene la trattazione sia ampia, con poche righe Marco Sergio Erculiani ci sposta dalla finzione alla realtà per introdurre almeno in parte, gli spunti concreti alla base dell’ipotesi di Gaia.

 

La coscienza di un pianeta

come l’attività collettiva della vita ha cambiato il pianeta Terra.

Spesso mi soffermo a pensare a cosa rappresenti l’essere umano. Siamo proprio sicuri della nostra unicità? E della nostra dominanza evolutiva? Biologicamente parlando, l’essere umano non è il più evoluto fra gli esseri viventi. Tutti gli esseri viventi sono evoluti a modo loro e, se sono arrivati fino ad oggi, è perché hanno adottato le migliori strategie per adattarsi all’ambiente in cui vivono. Gli altri: estinti. Spesso si parla di resilienza in termini errati, una parola che oggigiorno è decisamente abusata. Io parlerei più di fitness. Resilienza infatti implica che un organismo sia duro e puro e resistente ovunque. La fitness invece è la capacità riproduttiva e di sopravvivenza di un particolare organismo in un dato ambiente e nei confronti di un altro organismo della stessa specie. Porta con sé una coscienza collettiva.

Le piante sono un buon esempio per comprendere la differenza. Esse hanno sviluppato un metodo per adattarsi e proliferare sul nostro pianeta che si chiama fotosintesi. Non intenzionalmente ma a causa dell’evoluzione e dell’affinamento di questo processo, esse rilasciano ossigeno. Il rilascio di questa molecola fin dalle prime fasi dello sviluppo di questo adattamento evolutivo, ha cambiato l’intera funzione della Terra. Questo processo ha quindi segnato la storia evolutiva dell’intero pianeta. Ma questo è solo un esempio di tutte le singole forme di vita che, vivendo la propria esistenza, collettivamente hanno un impatto non indifferente su scala planetaria. Cosa possiamo dedurre da questa constatazione? Che ogni essere sulla Terra è una goccia nel mare della vita: fa parte insomma di esso ma è irrimediabilmente interconnesso con le altre gocce. Come le fibre di un enorme tappeto, la cui trama rappresenta il volto del nostro pianeta. Quindi, è possibile che l’attività della vita, la biosfera, abbia plasmato il mondo, è verosimile che anche l’azione intenzionale, basata sull’attività collettiva della cognizione e le azioni che ne derivano possano fare altrettanto. Significa che, vista da questo punto di vista, la Terra potrebbe avere una vita propria, come un immenso organismo.

 

L’ipotesi di una intelligenza comune: l’ipotesi di Gaia

 

L’idea non è del tutto nuova. Infatti l’ipotesi di Gaia dice che la biosfera interagisce con i sistemi geologici come aria, acqua e terra per mantenere lo stato abitabile della Terra. Quindi, una specie non tecnologicamente evoluta come la biosfera può mostrare una sorta di intelligenza planetaria e l’attività collettiva della vita crea un sistema che si auto-mantiene. Già a metà del secolo scorso, insospettabilmente, Erwin Schrödinger, il celeberrimo fisico austriaco, descrisse la cellula vivente come un sistema in grado di seguire la seconda legge della termodinamica, consumando cibo a bassa entropia e producendo rifiuti ad alta entropia. Nel loro piccolo, le cellule sono assimilabili, secondo la teoria di James Lovelock e Lynn Margulis al sistema Terra. Quest’ultima è proprio come una cellula vivente: dissipativa.

Come le cellule, anche la Terra e gli organismi che la abitano hanno meccanismi di regolazione simili in grado di mantenere condizioni più adatte alla vita.

Le componenti centrali dell’ipotesi di Gaia possono essere suddivise in quattro criteri generali, che sono caratteristiche anche della termodinamica: disequilibrio, interazione, ottimizzazione, omeostasi. Il disequilibrio sulla Terra si riflette nelle forme di energia libera, come energia cinetica in movimento o energia potenziale. Nella chimica l’energia libera si manifesta tra carboidrati idrocarburi e ossigeno mentre nell’uomo si manifesta nella capacità dell’uomo di mantenere il suolo in uno stato non naturale, modificato con le infrastrutture e la tecnologia. Per quanto riguarda le interazioni, sappiamo che la vita influenza il suo ambiente ed interviene all’interno di esso, interagisce appunto.

Figura 1: L’ipotesi di Gaia. La radiazione solare aggiunge energia a bassa entropia al sistema Terra, che viene convertita da diversi processi in forme diverse. La dinamica risultante distribuisce questa energia, cambia le proprietà materiali e radiative del pianeta, in modo che lo stato termodinamico del pianeta derivi da queste conversioni di energia e dalle loro interazioni. Crediti: Kleidon 2010.

 Continua..

L’articolo completo a cura di Marco Sergio Erculiani è su Coelum Astronomia n°260 di febbraio/marzo 2023

 

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L’Aurora Boreale

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Islanda, terra di ghiaccio e di fuoco. Una terra magica piena di bellezza mozzafiato. Una terra dove Madre Natura impone i suoi ritmi e la sua supremazia. Una terra di vento costante, di sabbie nere, di vulcani, di ghiacciai e di cascate imponenti. Una terra che sconvolge, la si ama o la si odia. Io sogno di tornarci, tornarci e tornarci. Isole Lofoten, Norvegia. Un altro nord, oltre il circolo polare artico, una terra di cime di montagne immerse nell’acqua cristallina dei fiordi, villaggi di pescatori, strade che girano e girano intorno agli specchi d’acqua e che si inabissano nei tunnel o elevano sui ponti per passare da un’isola all’altra.

Terre poste al nord, poco sotto o poco sopra il circolo polare artico, terre bellissime. E la notte. La notte riserva meraviglie. Nella notte artica il cielo risplende di stelle.

Infinite, splendenti stelle disegnano arabeschi conosciuti, ma diversi: la stella polare è altissima nel cielo e si è trascinata dietro tutte le altre, l’Orsa Maggiore, Cassiopea, il Cigno, le Pleiadi che risplendono alte e luminose.

Poi appare una piccola nuvola. È strana, quasi una nebbia, ma si agita e allora rivela il suo vero colore prendendo potenza. È la luce del Nord, l’Aurora boreale, che è comparsa eterea nel cielo artico.

Night rainbow: Islanda 2021, Cascata Godafoss. Aurora visibile sopra il cielo nuvoloso come una diffusa luce verse, senza particolare forma. L’arcobaleno era dato dalla rifrazione delle goccioline prodotte dalla cascata, alla luce dei fari dei camion percorrenti la vicina strada.
Grandangolo equivalente 22 mmm, ISO 1600, f/4,0, 15 sec.

La fata verde si allunga, srotola nastri, disegna archi, bacchette, note nel cielo scuro eppur punteggiato di stelle.

Danza nel vento solare, prende vigore, dardeggia colore e colori, regala emozioni e stupore, poi si acquieta lasciando veli leggeri, si riposa e poi ancora ritorna, gioisce, disegna curve ed angoli di luce brillante e continua e continua poi forse improvvisamente timida torna a nascondersi e nuovo e pulito risplende immenso il manto silenzioso di stelle.

L’aurora boreale è un fenomeno visivo che si verifica all’interno dell’atmosfera terrestre, caratterizzato principalmente da bande luminose di un’ampia varietà di forme e colori che cambiano velocemente  nel tempo e nello spazio, più spesso di colore verde, con elementi di colore rosso o talvolta azzurro ed anche viola, causato dall’interazione di particelle cariche (protoni ed elettroni) provenienti dal vento solare con la ionosfera terrestre (parte dell’atmosfera compresa tra i 100–500 km): tali particelle eccitano gli atomi dell’atmosfera che successivamente, al momento di tornare al livello energetico precedente,  emettono luce di varie lunghezze d’onda.

A northern sky: Lofoten 2019. Aurora ripresa dall’interno di un rorbu, una tipica casetta rossa dei pescatori.
Grandangolo equivalente 18 mm, ISO 4000, f/4,0, 4 sec.

Per via della particolare geometria del campo magnetico terrestre, la carica di particelle provenienti dal Sole viene indirizzata verso i due poli magnetici della Terra, il Polo Nord e il Polo Sud dove il campo magnetico terrestre è più debole consentendo ad alcune particelle di passare e colpire l’atmosfera attorno ai poli formando una specie di anello, chiamato ovale aurorale. Questo anello è centrato sul polo magnetico, spostato di circa 11° rispetto al polo geografico e ha un diametro variabile a seconda dell’intensità del vento solare che non è costante, ma dipende dall’attività solare, nel suo ciclo undecennale e anche da flare o brillamenti solari occasionali e dalla presenza di macchie solari.

 

Chiamata comunemente aurora boreale, è in effetti un fenomeno che si verifica  su entrambi i poli, assumendo il nome di aurora boreale nell’emisfero nord e aurora australe nell’emisfero sud; in quest’ultimo caso gli avvistamenti del fenomeno da parte di persone sono estremamente rari, dato che è possibile esclusivamente al personale delle varie basi scientifiche poste in Antartide.

Gli avvistamenti dell’aurora boreale sono invece molto più comuni, essendo molto più abitate e facilmente raggiungibili le terre dove si verifica il fenomeno.

Continua..

L’articolo completo arricchito di immagini incredibili è in  Coelum Astronomia n°260 di febbraio/marzo 2023

 

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News da Marte #10

Bentornati su Marte!

Oggi diamo i numeri: 10, 62 e 41. Si parte!

Sample Depot completato!

Dopo 37 Sol di lavori, iniziati il 21 dicembre terrestre, Perseverance ha portato a termine la deposizione delle dieci fiale bianche di titanio che si trovano ora sulla piana della regione Three Forks.

Concludiamo quindi i nostri mosaici con l’aggiunta delle ultime due panoramiche scattate dalla camera Watson nei minuti successivi al rilascio dei contenitori nei Sol 682 e 690 (20 e 28 gennaio).

 

In queste foto ci troviamo davanti al campione Atsà, sigillato il 13 marzo 2022, e al tubo testimone chiamato Amalik chiuso il 14 ottobre sempre dello scorso anno. Questa particolare categoria di fiale, chiamata in inglese witness tube, è stata precaricata in laboratorio con materiali in grado di assorbire sostanze che lo stesso rover potrebbe potenzialmente rilasciare quali gas, residui chimici, materiali organici e inorganici.
I tubi testimone sono di volta in volta aperti da Perseverance e subiscono le stesse manipolazioni delle fiale standard, transiti nel trapano compresi, prima di essere nuovamente sigillati.

L’utilità è permettere agli scienziati di caratterizzare con precisione l’ambiente nel quale i campioni sono stati raccolti, e determinare l’origine terrestre di eventuali contaminanti. Il witness tube Amalik è l’unico a essere stato rilasciato nel corso di queste settimane, mentre gli altri due preparati dal rover tra il 2021 e il 2022 resteranno nella sua “pancia”.

La conclusione di questo mese e mezzo di operazioni permetterà ora a Perseverance di riprendere la via del Delta attraverso il passaggio chiamato Hawksbill Gap, già esplorato alcuni mesi fa. La chiusura della campagna Delta Front permetterà l’inizio della Delta Top, che dovrebbe tenere Perseverance impegnato per otto mesi.
Gli scienziati sono pronti a osservare dei profondi cambiamenti nel terreno che il rover esplorerà e in particolare nell’aspetto delle rocce, che daranno indizi chiave ai geologi per la comprensione della loro origine.

Nella parte bassa e iniziale del delta, sino alle pendici già esplorate del rilievo Rocky Top, ci siamo trovati in presenza di materiali che sembrano essersi formati in un ambiente lacustre.
Man mano che Perseverance continuerà a risalire il Delta e allontanarsi da questa regione le rocce che incontrerà avranno caratteristiche compatibili con quelle di materiale fluviale, eroso dall’acqua e qui trasportato per lunghe distanze da un antichissimo fiume.
Una delle prime tappe per il rover sarà un banco di sabbia visibile dalle immagini satellitari chiamato Curvilinear Unit. Gli scienziati presumono che si tratti di un deposito di sedimenti localizzato in quella che fu un’ansa del fiume, possibile sito con presenza di arenaria e argillite. Un’area eccellente per iniziare a scoprire di più sui processi geologici che sono occorsi poco fuori dal Cratere Jezero.
Vi ricordo che potete seguire gli spostamenti del rover, passati e futuri, nella pagina messa a disposizione dalla NASA e aggiornata quotidianamente:

https://mars.nasa.gov/mars2020/mission/where-is-the-rover/

Percorso programmato per la campagna Delta Top di Perseverance. Crediti: NASA/JPL-Caltech

3…2…1…cheese!

Qualche giorno prima del rilascio dell’ultima fiala i tecnici del JPL hanno istruito il rover per eseguire una serie di scatti, ancora una volta con la versatile camera montata sul braccio robotico. Il risultato di 62 foto acquisite nell’arco di 46 minuti è ammirabile nell’immagine sottostante.

NASA/JPL-Caltech/Piras

Ho realizzato anche una versione panoramica a 360° che può essere navigata ed esplorata a piacimento (il massimo livello di dettaglio si ottiene, purtroppo, solo osservandola tramite la app di Facebook).

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Ecco l’anteprima


Dalla sua posizione Perseverance sembra quasi compiaciuto del Sample Depot da lui creato, con tutte le fiale bianche rintracciabili (qualcuna più facilmente di altre) nell’immagine ad alta risoluzione. Se siete perplessi su dove sia orientata la testa del rover la risposta è sì, ci sono due versioni della foto. In una Perseverance guarda in camera e nell’altra guarda al suolo, precisamente sull’orma lasciata dalla sua ruota anteriore sinistra. La differenza sono esattamente tre foto!

Osservando l’immagine in dettaglio potrebbe inoltre sorgere un ragionevole dubbio: dov’è il braccio che ha scattato le foto? Ed ecco che viene fuori l’ingegno dei tecnici della NASA.

 

Selfie stick e tanta precisione

Sfruttando la mobilità del braccio dotato di cinque gradi di libertà (gli snodi, per intenderci) il rover ha fatto in modo di muovere opportunamente la sua appendice durante la sessione di ripresa così che in nessuna foto l’arto robotico fosse inquadrato.

Complicato? Proviamo a vedere in video come si svolge la movimentazione nel corso di una di questi lunghe sessioni di autoscatto.

L’occasione ci è fornita da una serie di fotografie eseguite nel Sol 46 poco dopo la conclusione della lunga operazione di rilascio dell’elicottero Ingenuity. Era il lontano 6 aprile 2021 e, mentre la camera Watson scattava le sue foto, analoghe acquisizioni erano svolte dalla NavCam di sinistra che riprendeva proprio la torretta in cima al braccio robotico.

Le foto che vedete scorrere sono perfettamente sincronizzate tra loro.

È affascinante osservare la precisione con cui il braccio robotico ruota per riprendere il paesaggio tutto attorno.
Un passaggio importante del video, fondamentale per rispondere finalmente alla domanda, si trova al secondo 40.

Il rover sta riprendendo il suolo e un’area molto critica, vale a dire lo snodo della “spalla”. In questo momento avviene una importante movimentazione dell’intero braccio che cambia la sua orientazione, si sposta sul lato dove le riprese sono appena state effettuate e può proseguire le acquisizioni!

Ripropongo qui di seguito un loop con i secondi di video a cui faccio riferimento.

È grazie a questo trucco che l’unione degli scatti può avvenire riducendo al minimo le interferenze visive del braccio da oltre due metri di lunghezza.

 

Un’altra finezza tecnica ci è suggerita dal movimento estremamente complesso della torretta che per buona parte del video ruota molto precisamente attorno al centro ottico della camera Watson.

Questo accorgimento, comunissimo nella fotografia panoramica, evita l’errore di parallasse che si introdurrebbe nel momento in cui le foto risultassero scattate da posizioni non coincidenti tra loro anche solo per pochi millimetri.
L’incidenza dell’errore è inversamente proporzionale alla distanza del soggetto fotografato: le montagne non risentirebbero di questa differenza, al contrario dei vicinissimi particolari del rover che soffrirebbero di un indesiderato effetto stereoscopico. La parallasse è sfruttata con successo da altre camere, montate in coppie in modo da sfruttare l’effetto risultante e produrre ricostruzioni tridimensionali dell’ambiente. Il software di navigazione autonoma è così avanzato che sfrutta queste immagini per decidere quale strada percorrere per arrivare in una determinata posizione evitando ostacoli e aree pericolose.

 

In queste settimane, dalla sua posizione a Three Forks, Perseverance ha prodotto anche altre belle immagini più convenzionali.

C’è per esempio una bella panoramica recente, scattata qualche tempo prima del rilascio della decima fiala ma con il rover che era già posizionato nella zona prestabilita per l’operazione. Da questo punto di vista rivolto a sud il rover ci mostra tutte le nove fiale che si è lasciato dietro, qui evidenziate con i cerchietti e numerate. Si tratta di una piccola porzione di un mosaico a 360°, realizzato combinando 47 scatti della MastCam-Z di sinistra. Aprendo l’immagine in alta risoluzione e usando le fiale come riferimenti non dovreste faticare troppo a percorrere a ritroso le tracce sulla sabbia.

Per non perdere l’orientamento vi rammento il percorso seguito dal rover durante queste settimane sfruttando ancora una volta la bella immagine prodotta dai grafici della NASA che supportano la divulgazione al grande pubblico.

NASA/JPL-Caltech

È invece ancora più recente, solo del 31 gennaio, la prima serie di immagini del tubo testimone Malik con il paesaggio marziano di contorno. La visuale sottostante ci è offerta dalla nostra fidata Left NavCam.

 

NASA/JPL-Caltech/Piras

Torniamo indietro di qualche settimana rispetto a queste immagini, precisamente all’8 gennaio. In quella giornata Perseverance ha scattato un altro maestoso panorama.
Stavolta navighiamolo in video, e aguzzate la vista!

Ebbene sì, dopo svariati mesi di lontananza Perseverance è tornato a vedere il suo collega Ingenuity! Al momento dello scatto i due risultavano distanti appena 270 metri grazie agli ultimi spostamenti dell’elicottero che si è portato verso ovest per riavvicinarsi al rover. Si riaprono così le azioni di supporto sotto forma di ricognizioni aeree nell’area variegata e accidentata che aspetta i due esploratori robotici.

E intanto dov’è arrivato Ingenuity?

Avevamo lasciato l’elicottero a fine dicembre con il 38esimo volo ancora da compiere, in ritardo rispetto allo svolgimento previsto per il 24 dicembre.

Il volo si è svolto il 4 gennaio con uno spostamento di 111 metri compiuti in 74 secondi. È da questo sito di atterraggio, Airfield Z, che Ingenuity è stato fotografato da Perseverance.

Abbiamo dovuto aspettare l’11 gennaio per vedere il volo successivo, che non ha prodotto uno spostamento netto. Si è trattato infatti di un ulteriore test delle funzionalità legate all’aggiornamento del software di volo, e per questo scopo Ingenuity si è spostato avanti e indietro per complessivi 140 metri atterrando nello stesso punto del decollo (con uno scarto di appena due metri). In quest’area il suolo è molto sabbioso, quindi abbiamo potuto osservare le quattro piccole orme lasciate dalle gambe di atterraggio. Il computer di bordo ha correttamente scelto un’area priva di ostacoli (rilevati tramite un’analisi del contrasto delle immagini della camera di navigazione) ma sensibilmente inclinata. Il posizionamento sulla duna è visibile chiaramente anche nella panoramica video che vi ho mostrato poco sopra.
Il rischio che al decollo Ingenuity acquisisca quota rimanendo storto, spostandosi così dalla verticale ideale, è scongiurato dall’uso dell’inclinometro che misura l’orientamento dell’elicottero pochi istanti prima del decollo. In questo modo eventuali correzioni di assetto possono essere eseguite repentinamente riportando il velivolo sull’asse ideale.

 

Il volo numero 40 ha avuto luogo il 19 gennaio, con uno spostamento di 178 metri in 92 secondi. Avendo terminato le lettere dell’alfabeto latino bisogna passare a quello greco, perciò Ingenuity è atterrato a Airfield Beta. Manca l’alfa? In effetti sì, le mie ricerche di un eventuale “Airfield Alpha” sono state inconclusive. È probabile che si sia deciso di saltare la prima lettera greca per non togliere prestigio all’area di volo che ha visto il primo decollo di un aeromobile su un altro pianeta, ufficialmente denominata Wright Brothers Field. La tesi è supportata dal fatto che non esiste neppure un “Airfield A”.
Sono gli imprevisti di nomenclatura che insorgono quando il tuo drone avrebbe dovuto fare 5 voli e invece arriva a 41.

 

Esatto, abbiamo anche il 41esimo! Quello che attualmente è l’ultimo volo si è svolto il 27 gennaio. In 109 secondi Ingenuity ha coperto la distanza complessiva di 183 metri tra andata e ritorno, atterrando a pochi metri di distanza dall’esatto punto di decollo. Non si è trattato né di un volo di riposizionamento né di uno di test, ma è stato ufficialmente definito un volo esplorativo. L’elicottero ha iniziato ad acquisire informazioni sul terreno del rilievo già menzionato chiamato Rocky Top che Perseverance si appresta a risalire nelle prossime settimane.

Rocky Top come visto da Ingenuity durante il volo numero 41 nel Sol 689. NASA/JPL-Caltech/Piras
Un’altra visuale della medesima formazione rocciosa qui fotografata quattro giorni marziani dopo il volo. Da notare il materiale più scuro portato in superficie nel momento dell’atterraggio, visibile nella metà superiore della foto. Apparentemente Ingenuity è scivolato all’indietro di pochi centimetri a causa della lieve inclinazione dell’increspatura sabbiosa sulla quale si è posato. NASA/JPL-Caltech/Piras

A conclusione di questo ricchissimo aggiornamento marziano vi presento una carrellata con i voli di Ingenuity dal 37 al 41. Le immagini della camera di navigazione in bianco e nero e di quella a colori sono perfettamente sincronizzate tra loro, così come lo scorrimento della mappa. Per questioni di fruibilità i video sono velocizzati a 3x, se volete gustarveli in tempo reale potete scalare a 0.35x la velocità di riproduzione.

Non mi resta che augurarvi buona visione e darvi appuntamento alla prossima news!

Nel  numero di Coelum 260  il riassunto di tutto ciò che accade su Marte e cura di Antonio Piras!

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Fra poco la ISS

Fra pochi minuti la ISSStazione Spaziale Internazionale sarà rintracciabile nei nostri cieli ecco i tracciati

31 GENNAIO

L’ultimo transito del mese, di nuovo parziale, il 31 Gennaio, sarà visibile dalle 18:51 verso NO alle 18:56 verso NE, la ISS sarà visibile al meglio dal Nord Est d’Italia, meteo permettendo. Magnitudine di picco a -3.6.

01 FEBBRAIO

Si inizierà il giorno 1° febbraio, dalle 18:30alle 18:37, osservando da NO ad E. La ISS sarà ben visibile da tutto il paese con una magnitudine massima si attesterà su un valore di -3.6. Sperando come sempre in cieli sereni per uno dei migliori transiti del mese.

03 FEBBRAIO

Si replica il 3 Febbraio, dalle 18:29 verso ONO alle 18:38 verso SE. Visibilità migliore dalle isole maggiori e l’occidente italiano, con magnitudine di picco a -3.2.

 

N.B. Le direzioni visibili per ogni transito sono riferite ad un punto centrato sulla penisola, nel centro Italia, costa tirrenica. Considerate uno scarto ± 1-5 minuti dagli orari sopra scritti, a causa del grande anticipo con il quale sono stati calcolati.


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Mondi in miniatura – Asteroidi, Febbraio 2023

GLI ASTEROIDI DI FEBBRAIO

(53) Kalypso è un asteroide di fascia principale che compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.550 giorni (4.24 anni) ad una distanza compresa tra le 2.09 e le 3.15 unità astronomiche (rispettivamente, 312.659.550 Km al perielio e 471.233.293 Km all’afelio). Deve il suo nome a Calipso, ninfa figlia di Atlante. Scoperto da Karl Theodor Robert Luther il 4 Aprile 1858, questo grande asteroide (all’incirca 115 Kilometri di diametro) sarà in opposizione il 2 Febbraio. In questo frangente raggiungerà la massima brillantezza con una magnitudine di 11.0. Il suo moto sarà di 0,63 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle  nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere  una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (53) Kalypso trasformarsi in una bella striscia luminosa di 25 secondi d’arco.

 

(654) Zelinda è un asteroide di fascia principale che compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.270 giorni (3.48 anni) ad una distanza compresa tra le 1.77 e le 2.83 unità astronomiche (rispettivamente, 264.788.231 Km al perielio e 423.361.974 Km all’afelio). E’ stato così nominato in onore della figlia del matematico italiano Ulisse Dini. Scoperto da August Kopff il 4 Gennaio 1908, questo imponente asteroide (circa 160 Km di diametro) sarà in opposizione l’11 Febbraio, momento nel quale raggiungerà la massima luminosità brillando di magnitudine di 10.4. Il suo moto sarà di 0,82 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle  nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 4 minuti. Per ottenere  una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (654) Zelinda trasformarsi in una bella striscia luminosa di 33 secondi d’arco.

 

(40) Harmonia è un asteroide di fascia principale che compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.250 giorni (3.42 anni) ad una distanza compresa tra le 2.16 e le 2.37 unità astronomiche (rispettivamente, 323.131.401 Km al perielio e 354.546.954 Km all’afelio). Deve il suo nome a Armonia figlia di Ares e Afrodite, Dea della concordia e personificazione  dell’ordine morale e sociale. Scoperto dall’astronomo e pittore Hermann Mayer Salomon Goldschmidt il 31 Marzo 1856, questo grande asteroide (circa 107 Km di diametro) sarà in opposizione il 27 Febbraio, brillando ad una magnitudine di 10.4. Il suo moto sarà di 0,68 secondi d’arco al minuto, quindi, anche nel suo caso, con tempi di esposizione fino a 4 minuti ne preserveremo l’aspetto puntiforme. Volendo ottenere  una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (40) Harmonia trasformarsi in una bella striscia luminosa di 27 secondi d’arco.

 

Per approfondire l’asteroide (10) Hygiea 

(10) Hygiea: il quarto per massa e volume, con un diametro medio di 434 KM, si sitma che  da solo contenga  il 3 % della massa complessiva dell’intera fascia principale.  (10) Hygiea è inoltre il corpo progenitore di un’intera famiglia di asteroidi che da lui prende il nome, nata dallo scontro tra il pianetino ed un altro grande corpo asteroidale, a causa del quale si ritiene che lo stesso Hygiea sia stato fatto letteralmente a pezzi. La maggior parte di questi si sono riaggregati nella forma che oggi conosciamo, mentre gli altri hanno finito per costituire i membri minori della famiglia. La superfcie di (10) Hygiea è molto scura, tra le meno riflettenti di quelle degli asteroidi ad oggi conosciuti, caratteristica questa tipica dei corpi asteoridali la cui superficie risulta composta di materiali carbonacei e primitivi*. Questo suo basso albedo, dal punto di vista osservativo comporta che  nonostante le sue considerevoli dimensioni (10) Hygiea risulti sempre piuttosto debole, raggiungendo la nona magnitudine esclusivemente durante le opposizione più favorevoli. Alcune immagini della sua superficie prese nel 2017 dal Very Large Telescope dal deserto di Acatama, hanno rivelato la presenza di due grandi crateri  da impatto, rispettivamente di 180 e 90 KM di diametro, assieme ad un’area più chiara dotata di una maggior riflettività rispetto a quelle circostanti, che può essere interpreata come il risultato dell’esposizione di materiale subsuperficiale emerso a seguito di un’impatto. Su (10) Hygiea un giorno ha una durata di poco più di 13 ore (13.83 ore per la precisione è il periodo rotazione ricavato attraverso l’analisi delle curve di luce) e un anno su questo pianetino corrisponde a 5.56 anni terrestri.  (10) Hygiea percorre un’orbita con eccentricità di 0.11, inferiore quindi alla media della maggior parte degli asteoridi della fascia, caratterizzata da un semiasse maggiore di 3.14 unità astronomiche e un’inclinazione di 3.83 gradi sull’eclittica.

*sono gli asterodi di Classe C di cui Hygiea rappresenta il membro più grande


Il cielo del mese con mappe, effemeridi ed eventi importanti è su

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Preparare una sessione di Astrofotografia N-O-M-A-D-E

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Mi chiamo Mirko Tondinelli, ho 47 anni e vivo a Villanova di Guidonia, un paese in provincia di Roma. Il mio lavoro come turnista alla metropolitana di Roma purtroppo non mi permette di avere una continua attività astrofotografica e quindi devo riuscire a sfruttare al massimo le poche nottate che ho a disposizione organizzando in modo minuzioso la mia sessione. Da qualche anno sono anche socio dell’ ASTRIS, una associazione astrofili molto attiva con sede Cervara di Roma.

Da bambino stavo sempre con il naso all’insù, tanto ero affascinato dalle meraviglie che il nostro cielo ci regala ogni notte. Mio padre regalò un piccolo telescopio a mio fratello e non appena guardai nell’oculare rimasi affascinato dalla visione della nostra Luna. Dal 2001 ad oggi ho potuto provare in campo vari strumenti e varie camere fotografiche. Il mio set-up attuale si avvale di un rifrattore apocromatico, il William Optics 81 GT, di uno Skywatcher Newton 200P, di una camera astronomica zwo asi 294 a colori, una montatura Skywatcher Eq6 alla quale ho fatto delle modifiche per renderla più prestante. Come sistema di guida ho due tipi di ottiche che utilizzo in base allo strumento principale e una camera asi 224 a colori, valida anche per fare le riprese di pianeti e della Luna. Prima di parlare della sessione fotografica mi soffermerò a descrivere le  modifiche apportate  alla montatura, ne sono molto soddisfatto e le consiglio vivamente.

Si tratta di una vecchia Eq6, presa al mercato dell’usato, alla quale ho sostituito il piatto dove alloggia la slitta portatelescopio, piccolo accorgimento che però mi consente di migliorare di acquisire una maggior stabilità. Un’altra sostituzione riguarda la barra contrappesi, ne ho infatti apposta una più grande, sia di diametro che di lunghezza, così da riuscire ad utilizzare il newton con soltanto due pesi da 5kg, invece di quattro. Infine ho fatto la modifica con il kit Rowan il quale va a eliminare la catena di trasmissione ad ingranaggi di fabbrica con cinghie dentate, così da ridurre gli errori degli ingranaggi e errori quelli di tracciamento, si avverte anche il contenimento della rumorosità durante gli spostamenti. Ho scelto la montatura in funzione del mio carico fotografico che si attesta intorno ai 20 kg, comprensivo di  tutto il set-up: telescopico principale, telescopio guida, camera principale, camera guida, relative prolunghe, ruota portafiltri, e tutti gli accessori annessi. Sia con il rifrattore che con il newton sono sicuro di rientrare nei limiti e di non sovraccaricare la montatura.

Ma perché utilizzare due ottiche di configurazione diversa? La risposta non è univoca e dipende dalle proprie esigenze. Di certo ho puntato sin da subito ad avere  un telescopio rifrattore di buona fattura con una focale piccola che mi permettesse di ottenere immagini a largo campo, non troppo pesante e adatto anche ad essere utilizzato su montature piccole. Il newton invece è arrivato dopo quasi per caso, un’occasione presa al mercato dell’usato. Fino ad allora l’aspetto che più  mi aveva sempre frenato dall’acquistare uno strumento newtoniano era la collimazione degli specchi, vista sempre come ostica e difficoltosa. Dopo varie prove effettuate su strumenti test per allineare le ottiche ( tappo forato, laser, oculare cheshire, collimatore REEGO) ho optato per un tipo elettronico della Ocal. Anche se più costoso di altri strumenti, lo consiglio vivamente soprattutto per chi come me ha un newton con rapporto focale veloce (da f4 in giù), aiuta in modo eccezionale ad ottenere un risultato quasi. Lo strumento è fornito di unapiccola camera, che una volta montata nel portaoculare, inquadra l’interno del tubo permettendo di vedere tutte le parti in gioco per effettuare una collimazione precisa (drawtube, specchio primar

io, riflesso specchio secondario) con una serie di cerchi di calibrazione.

L’installazione della camera avviene tramite il filetto T2 ( M42x0.75) il che minimizza gli errori dovuti ad eventuali disallineamenti e flessioni. Un occhio elettronico a supporto di quello umano chepermette consente di evitare gli errori di collimazione – L’operazione si effettua in soli quattro step (vedi box).

Le immagini mostrano la camera inserita nel telescopio e il software di comand

Il 2022 è stato un anno pieno di soddisfazioni. Ampliando e migliorando la mia tecnica di post-elaborazione e questo mi ha permesso di ottenere ottimi risultati. Alcuni miei lavori sono stati riconosciuti in molte piattaforme social e qui nella prestigiosa rivista Coelum Astronomia dove è stata pubblicata la mia ultima nebulosa Bolla NGC7635

NGC 7635, Newton 200P, Asi 294 mc, Filtro L-exstreme.

La mia giornata astrofotografica tipo è condizionata dalla fortuna/sfortuna di appartenere alla categoria degli astrofili cosi detti “itineranti”. Fortuna perchè non avendo una postazione fissa ho la possibiltà di andare sempre in posti nuovi con cieli molto bui e ottimizzare al massimo la mia sessione fotografica. Sfortuna perchè ogni volta devo organizzare tutta la fase di stazionamento, montaggio delle ottiche e la messa in opera di tutta la cavetteria necessaria per eseguire la sessione. Nel caso meno gravoso devo portare l’ attrezzatura sul terrazzo di casa, nella gita fuoriporta devo caricare tutto in macchina e poi montare il tutto in piazzole improvvisate a postazione. Qualunque sia il caso che si presenti bisogna eseguire ogni volta una messa in opera molto accurata di tutte le parti in gioco per riuscire a sfruttare al massimo l’attrezzatura. Di solito durante la stagione estiva trasferisco tutto il set-up a Pozzaglia Sabina, un piccolo paese in provincia di Rieti dove ho una qualità del cielo molto buona, con una scala Bortle 4 e un SQM (sky quality) di 21.06. Nella stagione fredda rimango nella mia cittadina dove purtroppo ho un SQM di 19.6 e un Bortle 6.1. In queste condizioni c’è bisogno dell’utilizzo di filtri anti inquinamento e filtri a banda stretta che taglino l’inquinamento luminoso permettendomi di fare buone fotografie. Attualmente posseggo un filtro nebulare a banda larga della casa Optolong chiamato L-Pro che riduce in maniera efficace l’inquinamento luminoso presente nelle zone periferiche delle città. È un filtro che lascia passare quasi tutte le lunghezze d’onda che ci interessano al 100% tagliando quelle dannose, e il filtro L-Exstreme sempre della Optolong. Nato appositamente per le camere a colori ed ideato per le riprese in doppia banda stretta passante (H-Alpha 7nm, OIII 7nm), oltre a ridurre fortemente l’inquinamento luminoso, aumenta il contrasto per le nebulose a emissione.   Continua..

L’articolo completo a cura di Mirko Tondinelli è su Coelum Astronomia n°260 di febbraio/marzo 2023

 

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Bentornati su Marte! La rubrica su Cartaceo

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Bentornati su Marte!

In questi mesi, con la rubrica online intitolata ‘News da Marte’, vi sto raccontando di settimana in settimana i progressi nell’esplorazione del Pianeta Rosso da parte degli emissari robotici inviati da noi umani.

Con l’occasione del ritorno di queste notizie sul cartaceo di Coelum Astronomia, proviamo a fare un carrellata e vediamo quelli che sono stati gli aggiornamenti più interessanti.

 

L’ultima immagine di Insight

È arrivato il momento che abbiamo temuto per mesi con un misto di rassegnazione e flebili speranze.
La rassegnazione era quella che constatava il costante declino dell’energia prodotta dai pannelli solari di Insight, la sonda NASA dedicata allo studio dei terremoti su Marte. Le speranze, invece, contavano ancora nel passaggio di un diavolo di sabbia che potesse provvidenzialmente dare una pulita alle ampie superfici fotovoltaiche del lander.

Le cose erano precipitate tra ottobre e novembre, con la comparsa di una colossale tempesta di sabbia che ha portato il team al controllo della missione a spegnere temporaneamente anche l’ultimo strumento scientifico al tempo ancora operativo, il sismometro. In un breve aggiornamento del primo novembre è stato comunicato che i pannelli del lander stavano producendo tra i 280 e i 290 Watt ora di energia al giorno, con un calo drammatico rispetto ai già pochi 420 di metà settembre. Per avere un riferimento, al momento dell’atterraggio i Wh/Sol prodotti erano 5000.

La scarsa produzione energetica è proseguita per tutto novembre e metà dicembre, con l’ultimo contatto radio avvenuto il 15 dicembre con il quale è stata ricevuta questa immagine, scattata l’11 dicembre.

L’ultima immagine di Insight, scattata l’11 dicembre alle 17:21 marziane

 

Dopo di allora il lander ha taciuto.

Due successivi tentativi di comunicazione, il 18 e 21 dicembre, sono falliti, portando così l’agenzia spaziale statunitense a decretare la fine della missione di Insight. La quale, intendiamoci, si chiude con ben pochi rammarichi: una durata doppia rispetto agli obiettivi programmati, 1319 terremoti rilevati, cruciali contributi alla sismologia extraterrestre e una quantità enorme di dati ancora da analizzare che terrà i ricercatori impegnati per anni a venire. Ne sono un esempio le pubblicazioni uscite quest’autunno nelle riviste Nature Geoscience e Science nelle quali viene illustrato come, in alcuni dati acquisiti da Insight nel 2020 e 2021, sia stato possibile rilevare a posteriori la firma sismica derivante dallo schianto al suolo di meteoriti. Successive indagini fotografiche da parte degli orbiter hanno così permesso di individuare, nelle posizioni previste, altrettanti recenti crateri. Tra questi eventi rilevati figura anche il più violento nell’intero sistema solare che abbiamo potuto vedere avvenire quasi davanti ai nostri occhi, registrato il 24 dicembre 2021 e che ha trovato la sua controparte visuale l’11 febbraio 2022.

Altre osservazioni dall’alto…

…le porta avanti Ingenuity, l’elicottero dimostratore compagno di Perseverance nell’ambito della missione Mars 2020.Questo incredibile drone continua a macinare voli, sempre più lontano dai previsti cinque da effettuarsi nell’arco di 30 giorni nell’aprile 2021.

Mappa con gli spostamenti di Ingenuity aggiornata sino al volo 37

Dopo il 29esimo spostamento, compiuto l’11 giugno, Ingenuity è rimasto fermo un paio di mesi a causa della situazione energetica molto critica legata all’accorciamento delle giornate nell’autunno marziano e gli oscuramenti atmosferici dovuti alle tempeste di sabbia. Per conservare l’operatività del drone, la cui elettronica non è progettata per sperimentare le rigide temperature dell’inverno marziano, il Jet Propulsion Laboratory ha prontamente messo in atto varie strategie che hanno avuto successo. La prova più convincente di questo si è avuta con il trentesimo decollo, che Ingenuity ha compiuto nel pomeriggio marziano del 20 agosto. Si è trattato fondamentalmente di un volo di test, funzionale alla verifica dell’operatività degli apparati e alla pulizia del pannello solare. Dal punto di visto del profilo seguitoè stato molto simile alla seconda movimentazione che l’elicottero aveva compiuto nell’aprile 2021.

Della durata di appena 33 secondi, il volo è consistito in uno spostamento laterale di 2 metri da una quota di 5. Sono numeri molto diversi da quelli straordinari dei voli estivi e primaverili, ma hanno dato fiducia per quello che sarebbe stato il futuro della missione.

Continua..

L’articolo completo a cura di Antonio Piras è su Coelum Astronomia n°260 di febbraio/marzo 2023

 

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Il Cielo di Febbraio 2023

Il mese di febbraio ci offre ancora un’ampia panoramica sulle costellazioni invernali che occupano la volta celeste con i loro astri dominanti.

Uno degli oggetti protagonisti è certamente il Toro: si tratta di una delle costellazioni della fascia dello Zodiaco, compresa tra Ariete e Gemelli e facilmente riconoscibile per la sua forma a V e per la sua stella principale Aldebaran, una gigante arancione grande 40 volte il Sole che con la sua magnitudine +0,95 rappresenta la quattordicesima stella più luminosa del cielo notturno.

Per approfondire Le Costellazioni di Febbraio 2023 a cura di Teresa Molinaro

I principali eventi di Febbraio 2023

Data Orario Oggetto/i Evento
03/02/2023 21:26:07 Luna-Polluce Congiunzione
04/02/2023 09:55:26 Luna Apogeo
04/02/2023 23:09:57 Luna-Presepe Congiunzione
05/02/2023 12:53:50 Mercurio Nodo Discendete
05/02/2023 19:28:38 Luna Piena
06/02/2023 19:21:17 Luna-Regolo Congiunzione
11/02/2023 06:00:22 Luna-Spica Congiunzione
12/02/2023 08:31:12 Luna Nodo Discendete
13/02/2023 17:00:43 Luna Ultimo Quarto
14/02/2023 19:43:34 Luna-An Congiunzione
15/02/2023 13:19:42 Venere-Nettuno Congiunzione
15/02/2023 20:53:49 Mercurio Afelio
16/02/2023 17:16:45 Saturno-Sole Congiunzione
18/02/2023 21:52:43 Luna-Mercurio Congiunzione
19/02/2023 10:05:53 Luna Perigeo
20/02/2023 00:57:32 Luna-Saturno Congiunzione
20/02/2023 08:05:43 Luna Nuova
21/02/2023 19:14:41 Luna-Nettuno Congiunzione
22/02/2023 08:53:38 Luna-Venere Congiunzione
22/02/2023 22:59:56 Luna-Giove Congiunzione
24/02/2023 19:55:59 Luna Nodo
25/02/2023 14:04:20 Luna-Urano Congiunzione
26/02/2023 16:20:00 Luna-Pleiadi Congiunzione
27/02/2023 09:05:37 Luna Primo Quarto
28/02/2023 05:32:13 Luna-Marte Congiunzione

Tutte le effemeridi del mese di Febbraio 2023 sono disponibili in file csv

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Clicca sul banner per accedere alle Effemeridi Febbraio 2023!

Mercurio

01/02  Sorge: h 06:00  Tramonta: h 15:20

28/02  Sorge: h 06:25  Tramonta: h 16:42

All’inizio del mese di Febbraio, Mercurio che sorge più di un’ora in anticipo rispetto al Sole, sarà visibile poco prima dell’alba. Per il resto del secondo mese dell’anno, coperti dalla luce diurna e nascosti ai nostri occhi lungo l’eclittica si susseguirà la danza di quasi tutti i pianeti e del nostro satellite: Mercurio, Sole, Venere, Saturno e a fine mese anche la Luna si aggiungerà alla danza. Mercurio e Saturno continueranno ad avvicinarsi fino alla fine del mese per accompagnarci alla congiunzione diurna del primo di Marzo. Il 05 febbraio Mercurio sarà al nodo discendente.

Venere

01/02  Sorge: h 08:35  Tramonta: h 19:26

28/02  Sorge: h 08:01  Tramonta: h 20:31

Nel mese di Febbraio Venere sarà visibile al tramonto per circa due ore all’inizio del mese fino ad incrementare la sua disponibilità a circa due ore e mezza nel finire. Una finestra ampia che consentirà di impostare gli strumenti. Le due congiunzioni che coinvolgeranno il pianeta tuttavia non saranno accessibili in quella fascia di orario. Entrambe infatti si verificheranno nelle ore diurne. In particolare Venere occulterà Nettuno il 15 febbraio subito dopo le 13. Mentre il 22 Venere e Luna Nuova si avvicineranno nella mattinata poco prima delle 09:00.

Marte

01/02  Sorge: h 12:16  Tramonta: h 03:40

28/02  Sorge: h 11:04  Tramonta: h 02:34

Lo spettacolo di Marte continua, ancora molto ben visibile per tutta la notte, tramonta infatti in orari ben oltre la mezzanotte, insomma, dal tramonto del Sole, di media intorno alle 18, fino a tardi sarà necessario sfidare il freddo. Il triangolo con Albedaran e Betelgeuse resta anche se man mano il pianeta si sta allontanando dirigendosi verso la costellazione dei Gemelli. Ben visibile il giorno 27, oramai a fine mese, la congiunzione con la Luna al primo quarto. I due astri si avvicineranno nel corso della sera per raggiungere la distanza minimi verso il tramonto, dopo l’una di notte del giorno 28, per osservare il fenomeno sarà necessario porsi in una località con l’ovest abbastanza sgombro.

Giove

01/02  Sorge: h 09:41  Tramonta: h 21:56

28/02  Sorge: h 08:07  Tramonta: h 20:38

Giove sempre più prossimo al tramonto riduce costantemente la sua finestra di visibilità regalandoci qualche ora già nelle prime ore della sera quando però il buio non sarà ancora così consolidato. Inizia all’inizio del mese un lento avvicinamento all’astro della sera, Venere, che si concluderà con una splendida congiunzione stretta nei primi giorni del mese successivo. Il giorno 22 sarà possibile immortalare uno splendido triangolo con Giove Luna e Venere che si manterrà visibile fino al tramonto del pianeta gigante quando la luminosità sarà oramai molto ridotta. Condizione ideale per una splendida ripresa, occhio all’orizzonte sgombro da ostacoli, saremo infatti molto bassi nel cielo.

Saturno

01/02  Sorge: h 08:08  Tramonta: h 18:29

28/02  Sorge: h 06:30  Tramonta: h 17:00

Saturno è oramai troppo vicino al Sole, anzi inizia a seguirlo in maniera quasi simbiotica tanto che gli orari del sorgere e del tramontare dei due astri per quasi tutto il mese si sovrapporranno. Molte le congiunzioni diurne a cui non potremo assistere con Venere, dopo la congiunzione della fine del mese di Gennaio, Mercurio e Luna.

Urano

01/02  Sorge: h 11:12  Tramonta: h 01:20

28/02  Sorge: h 09:28  Tramonta: h 23:33

Urano passa ancora il suo tempo epr tutto il mese fra i due astri molto più luminosi, Marte e Giove. Osservabile la sera, si concede per qualche ora in più rispetto a Giove e man mano sembra avvicinarsi a Venere. Intorno alla fine del mese, il 25 febbraio, verrà sfiorato da una piacevole Luna quasi nuova tuttavia il lento ma molto gradito allungarsi delle giornate li sorprenderà ancora al tramonto, con una tenue luce solare all’orizzonte.

Nettuno

01/02  Sorge: h 09:13  Tramonta: h 20:51

28/02  Sorge: h 07:29  Tramonta: h 19:10

Nettuno continua il suo percorso anticipando ancora di poco il pianeta Giove e avvicinandosi sempre di più a Venere ma ciò ad indicare le il pianeta lontano si sta contemporaneamente approssimando al Sole tanto da tramontare oramai solo pochi minuti dopo. A fine mese potrebbe resterà, anche se marginalmente, nei pressi del magnifico triangolo Venere-Luna-Giove ma la sua scarsa luminosità e il bagliore del tramonto lo renderanno in oggetto difficile.

LUNA

 

Il nostro satellite sempre ricco di dettagli!

La spettacolare fase lunare di 10 giorni che sarà possibile ammirare dalla serata del 31 Gennaio fino alla tarda nottata del 1 Febbraio, quando alle ore 04:33 scenderà sotto l’orizzonte, aprirà la strada alle osservazioni lunari previste per questo nuovo mese. Infatti nell’avanzare della fase crescente il nostro satellite alle ore 19:29 del 5 Febbraio sarà in Plenilunio alla distanza di 403895 km dal nostro pianeta, con diametro apparente di 29,59’ e ad un’altezza di +13° dopo essere sorto alle ore 17:06. Pertanto chi intendesse effettuare osservazioni col telescopio avrà a disposizione tutta la serata e la nottata fino all’alba del mattino seguente. Con la contestuale ripartenza della fase calante il nostro satellite perderà progressivamente una parte della propria frazione illuminata ritardando sempre più il momento in cui sorgerà fino alla fase intermedia dell’Ultimo Quarto prevista per le ore 17:01 del 13 Febbraio mentre si troverà a ben -65° sotto l’orizzonte. Agli appassionati di osservazioni lunari basterà attendere la notte seguente quando sorgerà alle ore 01:52 rendendosi perfettamente visibile fino alle prime luci dell’alba. Si può considerare la fase di Ultimo Quarto come “intermedia” in quanto a metà strada fra Luna Piena e Luna Nuova, analogamente al Primo Quarto rispetto alle fasi di Novilunio e Plenilunio. Relegato sempre più alle ore notturne, alle 08:06 del 20 Febbraio il nostro satellite sarà in Novilunio risultando completamente invisibile dal nostro pianeta mentre contestualmente l’emisfero opposto, quello che non vediamo dalla Terra, sarà perfettamente illuminato dalla luce solare esattamente come la nostra e comune “Luna Piena”. A tale proposito non trova alcun fondamento il cosiddetto e fuorviante “lato oscuro della Luna”, il quale trova spazio solo nella diffusione di notizie che nulla hanno a che vedere con una corretta informazione astronomica.

Gli approfondimenti sull’osservazione e i fenomeni celesti legati al nostro satellite per il mese di Febbraio 2023, continua nell’articolo di Francesco Badalotti.

Non perderti l’articolo: Luna di Febbraio 2023

COMETE

 

Con un diario dettagliato Claudio Pra ci racconta

le fasi salienti della Cometa che tanto cattura l’attenzione

Per approfondire: le comete di Febbraio 2023 a cura di Claudio Pra

ASTEROIDI

 

A breve online
Trovi tutto qui: Mondi in miniatura – Asteroidi, Febbraio 2023 a cura di Marco Iozzi

TRANSITI NOTEVOLI ISS

La ISS – Stazione Spaziale Internazionale sarà rintracciabile nei nostri cieli ad orari tardo pomeridiani nella prima parte del mese, ed orari antelucani nella seconda. Avremo sei transiti notevoli con magnitudini elevate durante il mese, auspicando come sempre in cieli sereni.

Non perdere la rubrica Transiti notevoli ISS per il mese di Febbraio 2023 a cura di Giuseppe Petricca

SUPERNOVAE – AGGIORNAMENTI

Leggi tutti gli aggiornamenti sulle ultime Supernovae scoperte nell’articolo a cura di Fabio Briganti e Riccardo Mancini

Cieli sereni a tutti!


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SUPERNOVAE: aggiornamenti Febbraio 2023

 

RUBRICA SUPERNOVAE COELUM   N. 107

Nella precedente rubrica ci eravamo domandati: chi sarà il primo italiano nel 2023 ad inserire una scoperta nel TNS? Nella notte del 14 gennaio il team dell’Osservatorio di Monte Baldo (VR), formato da Flavio Castellani, Raffaele Belligoli, Claudio Marangoni e Vittorio Andreoli, ha individuato un debole transiente a mag.+19,3 nella famosa galassia di Andromeda M31. Dovrebbe trattarsi di una Nova Extragalattica, purtroppo le avverse condizioni atmosferiche sopraggiunte un po’ su tutta la nostra penisola già la sera seguente la scoperta, hanno impedito di monitorare l’evoluzione di questa possibile Nova a cui è stata assegnata la sigla provvisoria AT2023ps. Per l’Osservatorio di Monte Baldo, che fa parte dell’ISSP dal 2013, si tratta della scoperta di Nova Extragalattica n. 19. In questo campo gli scaligeri sono leader indiscussi in ambito nazionale e ricoprono un ruolo di prim’ordine anche a livello mondiale.

1) Immagine di scoperta della AT2023ps PNV in M31 realizzata dal team dell’osservatorio di Monte Baldo con il telescopio Ritchey-Chretien 400 mm F.8.

2) Team dell’Osservatorio di Monte Baldo, da sinistra Raffaele Belligoli, Flavio Castellani e Claudio Marangoni.

Gli astrofili di tutto il mondo hanno comunque iniziato nel migliore dei modi questo nuovo anno. E’ l’oriente che continua a fare la voce grossa, con i personaggi ben noti come il cinese Xing Gao e il giapponese Koichi Itagaki, con l’aggiunta però di una new entry: il giapponese Hiroshi Okuno, ma andiamo per ordine. Ad aprire le danze nella notte del 2 gennaio sono stati i cinesi del programma XOSS capitanati da Xing Gao che hanno individuato una nuova stella di mag.+16,7 nella piccola galassia a spirale PGC33466, posta nella costellazione del Leone Minore a circa 400 milioni di anni luce di distanza. Nella notte del 5 gennaio gli astronomi cinesi del Yunnan Observatory, con il Lijiang Telescope da 2,4 metri, hanno ripreso lo spettro di conferma, che ha permesso di classificare il transiente come una supernova di tipo II abbastanza giovane a cui è stata assegnata la sigla definitiva SN2023af.

Naturalmente il mitico giapponese Koichi Itagaki non poteva restare in disparte ed ha iniziato il nuovo anno con una nuova scoperta datata 8 gennaio. L’oggetto è stato individuato nella galassia a spirale barrata ESO419-G3 posta nella costellazione meridionale della Fornace a circa 180 milioni di anni luce di distanza. A tempo di record, appena un’ora dopo la scoperta, gli astronomi giapponesi del Okayama Observatory con il Seimei Telescope da 3,8 metri hanno classificato il nuovo oggetto come una giovane supernova di tipo II a cui è stata assegnata la sigla definitiva SN2023cr. Scoperta a mag.+16,2 questa supernova è aumentata di luminosità fino a raggiungere la mag.+15,0 intorno al 15 gennaio. Itagaki è stato molto bravo e rapido, battendo sul tempo i professionisti americani del programma ATLAS che avevano ottenuto un’immagine di questa supernova il giorno prima della scoperta del giapponese con il transiente che mostrava una mag.+16,9. La galassia ospite ESO419-G3 aveva visto esplodere al suo interno un’altra supernova conosciuta la SN2000ex sempre di tipo II scoperta il 26 novembre 2000 dal programma professionale americano denominato LOTOSS.

4) Immagine di scoperta della SN2023cr in ESO419-G3 realizzata da Koichi Itagaki.

Prima di parlare del giapponese Hiroshi Okuno, abbiamo altre due supernovae scoperte sempre dagli astrofili cinesi del programma XOSS. La SN2023iy che è stata scoperta la notte del 12 gennaio in una piccola galassia Anonima posta nella costellazione della Lince a circa 470 milioni di anni di distanza. Scoperta quando brillava di mag.+16,8 quindi abbastanza luminosa, è stata preda del nostro Claudio Balcon che nella notte del 14 gennaio l’ha classificata per primo nel TNS come una supernova di tipo Ia, scoperta circa una settimana prima del massimo di luminosità. Questa è la decima supernova scoperta e classificata tutto a livello amatoriale.

5) Immagine di scoperta della SN2023iy in Anonima realizzata da XOSS con un telescopio Ritchey-Chretien 600 mm F.8.

La terza supernova cinese in questo proficuo gennaio per il programma XOSS è stata la SN2023abq, individuata la notte del 19 gennaio nella galassia a spirale UGC9911 posta nella costellazione del Bootes a circa 430 milioni di anni luce di distanza. Nella notte del 22 gennaio gli astronomi cinesi del Yunnan Observatory, con il Lijiang Telescope da 2,4 metri, hanno ripreso lo spettro di conferma, che ha permesso di classificare il transiente come una supernova di tipo IIP a cui è stata assegnata la sigla definitiva SN2023abq.

6) Immagine di scoperta della SN2023abq in UGC9911 realizzata da XOSS con un telescopio Ritchey-Chretien 600 mm F.8.

Concludiamo la rubrica analizzando una supernova scoperta dall’astrofilo giapponese Hiroshi Okuno, che ha coronato un suo sogno, mettendo a segno la sua prima scoperta. Ci riempie il cuore di gioia quando degli astrofili riescono ad ottenere dei risultati molto importanti e ancor di più se si tratta come in questo caso della così detta “prima volta”. Abbiamo perciò contattato Hiroshi per sapere di più sulla sua attività di astrofilo. Non è più un ragazzino, ma ha infatti compiuto 62 anni. Abita nella città di Ise nella prefettura di Mie, sull’isola di Honshu. Nel dicembre 2015 ha costruito un osservatorio in cima ad una collina di 520 metri a 9 km dalla sua abitazione. L’osservatorio dispone di una cupola di 3,5 metri di diametro ed ospita un telescopio Cassegrain da 40cm F.10 con la possibilità di manovrarlo in remoto via internet.

8) Hiroshi Okuno davanti al suo osservatorio.

9) Hiroshi Okuno accanto al suo telescopio Cassegrain da 40cm F.10.

Due anni fa all’età di 60 anni è andato in pensione ed ha iniziato una ricerca sistematica di supernova, senza però appartenere a nessuna associazione. In Giappone Koichi Itagaki è preso ad esempio da tanti astrofili che cercano di emulare le sue incredibili gesta. Finalmente nella notte del 12 gennaio Hiroshi ha individuato il tanto sospirato nuovo transiente a mag.+16,9 nella galassia a spirale IC1874 posta nella costellazione del Perseo a circa 220 milioni di anni luce di distanza. La cosa che ci rende ancor più felici arriva dalla classificazione, che è stata ottenuta ancora una volta dal nostro Claudio Balcon nella notte seguente la scoperta. Si tratta di una supernova di tipo IIP scoperta circa 10 giorni dall’esplosione, a cui è stata assegnata la sigla definitiva SN2023fu e naturalmente è anche l’undicesima supernova scoperta e classificata tutto a livello amatoriale. Hiroshi Okuno, a cui vanno le nostre congratulazioni per la bella scoperta, ci ha confessato di aver visitato due volte l’Italia e che si è commosso di fronte alle meraviglie del nostro “Bel Paese”.

7) Immagine della SN2023fu in IC1874 realizzata dall’astrofilo tedesco Manfred Mrotzek con un telescopio da 140mm F.5,4 somma di 13 immagini da 180 secondi.

 


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La Luna di Febbraio 2023

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La spettacolare fase lunare di 10 giorni che sarà possibile ammirare dalla serata del 31 Gennaio fino alla tarda nottata del 1 Febbraio, quando alle ore 04:33 scenderà sotto l’orizzonte, aprirà la strada alle osservazioni lunari previste per questo nuovo mese. Infatti nell’avanzare della fase crescente il nostro satellite alle ore 19:29 del 5 Febbraio sarà in Plenilunio alla distanza di 403895 km dal nostro pianeta, con diametro apparente di 29,59’ e ad un’altezza di +13° dopo essere sorto alle ore 17:06. Pertanto chi intendesse effettuare osservazioni col telescopio avrà a disposizione tutta la serata e la nottata fino all’alba del mattino seguente. Con la contestuale ripartenza della fase calante il nostro satellite perderà progressivamente una parte della propria frazione illuminata ritardando sempre più il momento in cui sorgerà fino alla fase intermedia dell’Ultimo Quarto prevista per le ore 17:01 del 13 Febbraio mentre si troverà a ben -65° sotto l’orizzonte. Agli appassionati di osservazioni lunari basterà attendere la notte seguente quando sorgerà alle ore 01:52 rendendosi perfettamente visibile fino alle prime luci dell’alba. Si può considerare la fase di Ultimo Quarto come “intermedia” in quanto a metà strada fra Luna Piena e Luna Nuova, analogamente al Primo Quarto rispetto alle fasi di Novilunio e Plenilunio. Relegato sempre più alle ore notturne, alle 08:06 del 20 Febbraio il nostro satellite sarà in Novilunio risultando completamente invisibile dal nostro pianeta mentre contestualmente l’emisfero opposto, quello che non vediamo dalla Terra, sarà perfettamente illuminato dalla luce solare esattamente come la nostra e comune “Luna Piena”. A tale proposito non trova alcun fondamento il cosiddetto e fuorviante “lato oscuro della Luna”, il quale trova spazio solo nella diffusione di notizie che nulla hanno a che vedere con una corretta informazione astronomica. Come avviene ogni mese ormai da oltre quattro miliardi di anni, dal Novilunio ripartirà un nuovo ciclo lunare mentre, volendo, potremo constatare come di notte in notte il nostro satellite ci presenterà una falce illuminata di proporzioni sempre maggiori fino a riportarsi nuovamente nelle migliori condizioni osservative, anche se per i cosiddetti “esperti” qualsiasi dettaglio anche nelle più ostiche condizioni può essere fonte di ricerche e osservazioni sistematiche, dalla falce di 1 o 2 giorni fino alla Luna Piena. Infatti alle ore 09:06 del 27 Febbraio la Luna sarà in Primo Quarto a -12° al di sotto dell’orizzonte ma nessun problema, gli appassionati di osservazioni lunari dovranno solamente attendere le prime ore della sera quando il nostro satellite, dopo il transito in meridiano delle ore 18:23 a +72°, sarà visibile per tutta la serata e fino alle prime ore della notte seguente quando alle 02:24 scenderà sotto l’orizzonte. Nelle rimanenti serate che condurranno al termine di questo mese la Luna si esibirà ancora col suo immenso ed estremamente variegato campionario di strutture geologiche di qualsiasi morfologia e dimensione ognuna delle quali costituisce una indelebile testimonianza della turbolenta ed in numerosi casi anche catastrofica storia geologica del nostro satellite da cui prese forma così come la vediamo oggi anche senza alcun strumento.

Le Falci lunari di Febbraio

Per chi segue le falci lunari il primo appuntamento è per la tarda nottata del 17 Febbraio quando alle ore 05:19 sorgerà una falce di 26,3 giorni in luna calante. Il tempo a disposizione sarà abbastanza ridotto in quanto dopo meno di un’ora scarsa la luce del Sole prenderà il sopravvento su tutto, limitando l’eventuale attività osservativa ad una rapida carrellata sulle principali strutture visibili, tra cui i vasti crateri Schickard, Grimaldi, Pythagoras oltre alle notevoli differenze di albedo fra i settori nord e sud di questa falce. Per quanto riguarda la fase crescente appuntamento per il tardo pomeriggio del 21 Febbraio con una sottile falce di 1,47 giorni che alle ore 19:23 scenderà sotto l’orizzonte, seguita dai pianeti Venere e Giove. Nonostante l’esiguità della porzione illuminata dovrebbe risultare possibile individuare almeno le principali strutture fra cui mare Humboldtianum e cratere Gauss a nordest, i mari Marginis e Smythii ad est (con Crisium ancora completamente in ombra), mentre a sudest il vasto cratere Humboldt di 213 km di diametro. La successiva serata, il 22 Febbraio, una falce di 2,5 giorni tramonterà alle ore 20:37 sulla cui superficie aumenteranno notevolmente le strutture che potranno essere oggetto di dettagliate osservazioni nei settori nordest, est e sudest, oltre ad una vasta porzione del mare Crisium fino alle rispettive cuspidi nord e sud. Ovviamente rimane inteso che per questa tipologia di osservazioni, oltre agli ormai noti parametri osservativi, risulterà determinante disporre di un orizzonte il più possibile libero da ostacoli.

 

Librazioni di Febbraio

(In ordine di calendario, per i dettagli vedere le rispettive immagini).

Si precisa che, per ovvi motivi, non vengono indicati i giorni in cui i punti di massima Librazione si discostano dalla superficie lunare illuminata dal Sole.

Librazioni Regione Sudest-Sud:

  • 01 Febbraio. Fase crescente 11,00 giorni – Librazione mare Australe
  • 02 Febbraio. Fase crescente 12,00 giorni – Librazione crateri Pontecoulant, Helmholtz
  • 03 Febbraio. Fase crescente 13,00 giorni – Librazione Regione Polare Sud
  • 04 Febbraio. Fase crescente 14,00 giorni – Librazione Regione Polare Sud
  • 05 Febbraio. Fase crescente 15,00 giorni – Librazione Regione Polare Sud
  • 06 Febbraio. Fase calante 15,02 giorni – Librazione Regione Polare Sud
  • 07 Febbraio. Fase calante 16,15 giorni – Librazione cratere Bailly

Librazioni Regione Sudovest-Ovest:

  • 08 Febbraio. Fase calante 17,15 giorni – Librazione crateri Wargentin, Phocylides
  • 09 Febbraio. Fase calante 18,21 giorni – Librazione crateri Piazzi, Lagrange
  • 10 Febbraio. Fase calante 19,23 giorni – Librazione cratere Byrgius, sud mare Orientale
  • 11 Febbraio. Fase calante 20,26 giorni – Librazione nord mare Orientale
  • 12 Febbraio. Fase calante 21,29 giorni – Librazione crateri Hevelius, Cavalerius

Librazioni Regione Nordovest:

  • 13 Febbraio. Fase calante 22,33 giorni – Librazione crateri Cardanus, Kraft
  • 14 Febbraio. Fase calante 23,17 giorni – Librazione crateri Russel, Briggs
  • 15 Febbraio. Fase calante 24,22 giorni – Librazione crateri Lavoisier, Von Braun
  • 16 Febbraio. Fase calante 25,27 giorni – Librazione crateri Galvani, Markov
  • 17 Febbraio. Fase calante 26,31 giorni – Librazione cratere Pythagoras

Librazioni Regione Nord:

  • 18 Febbraio. Fase calante 27,35 giorni – Librazione Regione Polare Nord (Anaximenes)

Librazioni Regione Nordest-Est:

  • 21 Febbraio. Fase crescente 01,47 giorni – Librazione mare Humboldtianum
  • 22 Febbraio. Fase crescente 02,52 giorni – Librazione cratere Gauss
  • 23 Febbraio. Fase crescente 03,57 giorni – Librazione mari Crisium, Marginis
  • 24 Febbraio. Fase crescente 04,62 giorni – Librazione nord mare Smythii, Langrenus
  • 25 Febbraio. Fase crescente 05,62 giorni – Librazione nord mare Smythii, Langrenus

Librazioni Regione Sudest:

  • 26 Febbraio. Fase crescente 06,39 giorni – Librazione crateri Balmer, Vendelinus
  • 27 Febbraio. Fase crescente 07,43 giorni – Librazione crateri Legendre, Humboldt
  • 28 Febbraio. Fase crescente 08,46 giorni – Librazione mare Australe, Oken, Hamilton

Note:

Immagini “Librazioni “: Su immagini tratte dal globo di “Virtual Moon Atlas”.

–  Dati e visibilità delle strutture lunari: Software “Stellarium” e “Virtual Moon Atlas”.

–  Ogni fenomeno lunare e rispettivi orari sono rapportati alla Città di Roma, dati rilevati tramite software “Stellarium” e dal sito http://www.marcomenichelli.it/luna.asp


Tutte le congiunzioni
del mese di febbraio
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Transiti ISS notevoli per il mese di Febbraio 2023

La ISSStazione Spaziale Internazionale sarà rintracciabile nei nostri cieli ad orari tardo pomeridiani nella prima parte del mese, ed orari antelucani nella seconda. Avremo sei transiti notevoli con magnitudini elevate durante il mese, auspicando come sempre in cieli sereni.

 

01 FEBBRAIO

Si inizierà il giorno 1° febbraio, dalle 18:30alle 18:37, osservando da NO ad E. La ISS sarà ben visibile da tutto il paese con una magnitudine massima si attesterà su un valore di -3.6. Sperando come sempre in cieli sereni per uno dei migliori transiti del mese.

03 FEBBRAIO

Si replica il 3 Febbraio, dalle 18:29 verso ONO alle 18:38 verso SE. Visibilità migliore dalle isole maggiori e l’occidente italiano, con magnitudine di picco a -3.2.

18 FEBBRAIO

Saltiamo di circa due settimane, al 18Febbraio, dove avremo il miglior transito mattutino del mese. Visibile da tutta Italia, dalle 06:10 verso SO alle 06:19 verso ENE, con magnitudine massima di -3.6. Sicuramente un passaggio che vale la sveglia anticipata.

20 FEBBRAIO

Passiamo al giorno 20 Febbraio, dalle 06:09 in direzione OSO alle 06:17 in direzione NE. Osservabile al meglio dal Centro Nord Italia, con una magnitudine massima di -3.5. Un altro transito da non perdere.

21 FEBBRAIO

Il penultimo transito notevole del mese avverrà il 21 Febbraio, da OSO a NE, dalle 05:21 alle 05:27. Passaggio parziale, con magnitudine massima di -3.9 non appena la ISS uscirà dal cono d’ombra della Terra. Visibilità ottimale da tutta la nazione.

23 FEBBRAIO

L’ultimo transito del mese, il 23 Febbraio, sarà un nuovo passaggio parziale con magnitudine massima di -3.1, visibile al meglio dal Nord Italia. Dalle 05:19 alle 05:24, da NNO a NE.

N.B. Le direzioni visibili per ogni transito sono riferite ad un punto centrato sulla penisola, nel centro Italia, costa tirrenica. Considerate uno scarto ± 1-5 minuti dagli orari sopra scritti, a causa del grande anticipo con il quale sono stati calcolati.


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Tutte le anticipazioni di febbraio/marzo 2023 sono su Coelum Astronomia n°260 di febbraio/marzo 2023

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E’ USCITO COELUM ASTRONOMIA 260

Pronte le spedizioni per il numero 260 di febbraio/marzo 2023!

Tutti gli ordini saranno evasi fra oggi e domani mattina.

Le Comete di Febbraio 2023

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Con un diario dettagliato Claudio Pra ci racconta

le fasi salienti della Cometa che tanto cattura l’attenzione

La C/2022 E3 ZTF VISIBILE AD OCCHIO NUDO

Mese molto interessante quello che ci aspetta, con la luminosa C/2022 E3 ZTF che calamiterà le attenzioni di appassionati e curiosi. A fare da inevitabile contorno altre tre comete sotto la decima magnitudine, una delle quali, pur molto luminosa, sarà riservata esclusivamente agli amanti delle sfide osservative.

Il percorso della cometa nel mese di Febbraio 2023 (Vedi Coelum 260 di febbraio/marzo 2023)

 

C/2022 E3 ZTF

È il momento del rendez-vous! Il primo febbraio la C/2022 E3 ZTF transita a 42 milioni di chilometri dalla Terra toccando la minima distanza dal nostro pianeta. Quel giorno e i giorni immediatamente seguenti saranno imperdibili considerato che potremo osservare (a meno di nuove scoperte o clamorosi outburst), la cometa più attesa del 2023. La maggior parte delle stime indica che il picco luminoso la porterà a brillare di una buona quinta magnitudine, valore che qualche altra previsione trasforma in quarta grandezza. Una luminosità che la renderà facilmente visibile in un piccolo binocolo e, sotto cieli limpidi e bui, anche ad occhio nudo, seppure in maniera non evidente, come già segnalato da alcuni osservatori negli ultimi giorni di gennaio. Teniamo presente che una cometa è un oggetto diffuso ed in questo caso, la luminosità prevista, la pone al limite della visibilità ad occhio nudo.

Farà sicuramente la differenza il suo grado di condensazione, molto buono fino a questo momento, ma soprattutto, non ci stancheremo mai di ripeterlo, la qualità del cielo sotto il quale si osserva. Allontanarsi da luoghi dove imperversa l’inquinamento luminoso costerà dei sacrifici a molti appassionati, che verranno però ripagati da cieli in grado di esaltare questo notevole “astro chiomato”.

Nei primissimi giorni del mese la E3 ZTF sarà posizionata altissima sulla volta celeste ed ottimamente visibile in prima serata. C’è però da considerare che la Luna, vicina al plenilunio, disturberà parecchio, tanto da consigliare di spostare la sessione nella notte e poi quasi all’alba. L’ultima finestra senza il chiarore del nostro satellite naturale è prevista proprio poco prima dell’alba nel giorno del massimo avvicinamento, dopodiché occorrerà attendere una settimana prima di rivederla nel cielo buio. Dall’ otto febbraio, senza disturbo lunare, la si potrà seguire tranquillamente la sera ed in seguito in piena notte. Non tralasciamo comunque le nottate illuminate dalla Luna perché, grazie alla buona luminosità, riusciremo a seguire l’evoluzione della cometa anche nel cielo illuminato. Il percorso dell’oggetto in cielo si svilupperà dalla Giraffa verso l’Auriga e successivamente il Toro. Da considerare il rilevante moto proprio, specie nei primi giorni di febbraio. Con il passare dei giorniil suo allontanamento (a meno di sorprese) la indebolirà, tanto che a fine mese dovrebbe brillare di una comunque ancora buona settima magnitudine. Per quanto riguarda gli incontri prospettici interessanti segniamoci tre date; nella nottata del 6 febbraio transiterà a circa 1,5° da Capella, la luminosa stella Alfa dell’Auriga.Nella serata del 10 è in programma l’appuntamento con Marte, dal qualedisterà poco più di un grado. Infine la sera del 14 passerà a circa 1,5°da Aldebaran, l’occhio rosso del Toro.

Per finire il discorso su questo oggetto vi propongo un mio piccolo diario dedicato al suo avvicinamento durante gennaio:

14/1

Nonostante la presenza della Luna appena oltre l’ultimo quarto e non molto distante, la cometa appare molto compatta risultando facilmente visibile dentro il piccolo binocolo 10×50 tenuto a mano libera. Comparandola con il celebre globulare M13 dell’Ercole risulta più o meno delle stesse dimensioni ma sicuramente meno luminosa. Direi che la sua luminosità si attesta appena al di sotto della settima magnitudine, probabilmente 6,8 mag.

21/1

La rivedo in un cielo privo di luce lunare dopo parecchi giorni di nubi. Il suo diametro è decisamente aumentato e la cometa appare ora di dimensioni doppie rispetto all’ammasso globulare M13, mentre la sua luminosità è cresciuta fino alla sesta magnitudine. La chioma presenta un evidente falso nucleo centrale circondato da un alone brillante oltre il quale sfuma gradualmente. La coda di polveri si presenta molto tenue e allargata. L’oggetto è ottimamente osservabile anche nel piccolo binocolo 10×50. Non è invece percepibile ad occhio nudo.

24/1

Un fortunato squarcio tra le nubi mi permette di riosservarla a tre giorni di distanza dall’ultima sessione. Riesco a percepirla per la prima volta, seppure al limite, ad occhio nudo, favorito dalla vicinanza alla stella Iota Draconis, che fa da ottimo punto di riferimento, dalla quale dista un grado e mezzo circa. Senza strumenti si mostra come una chiazza indistinta mediamente estesa, visibile a momenti. Al binocolo 20×90 risulta invece piuttosto compatta e la sua coda di polveri è meglio rilevabile che nelle precedenti occasioni, un po’ meno allargata ed un po’ più lunga. Confrontandola con il solito M 13 credo che la sua luminosità possa essersi alzata al valore di 5,5 mag.

26/1

Devo tenere il binocolo a mano libera dato che la cometa è altissima in cielo. Compatta, spicca il suo falso nucleo stellare ma tutta la chiomaè ben marcata. Rilevabile piuttosto facilmente anche una corta coda. Chioma e coda danno all’oggetto una bellissima forma a goccia d’acqua. La luminosità non è distante dalla quinta mag. direi 5,2/5,3. Visibile anche ad occhio nudo, meglio di un paio di giorni fa.

La cartina riporta la posizione della C/2022 E3 ZTF alle 20.00 ora solare. Le stelle più deboli sono di settima magnitudine.

C/2020 V2 ZTF

Cometa discretamente luminosa ed osservabile in prima serata. Partendoda Cassiopea si dirigerà verso il Perseo terminando la sua corsa mensile in Andromeda. La sua luminosità dovrebbe aggirarsi per tutto febbraioattorno alla nona magnitudine. Aiuta molto il suo aspetto compatto che la rende una facile preda anche piccoli telescopi.

La cartina riporta la posizione della C/2020 V2 ZTF alle 20.00 ora solare. Le stelle più deboli sono di nona magnitudine

 

C/2022A2 PanSTARRS

Cometa scoperta oltre un anno fa dal sistema PanSTARRS situato alle Hawaii (PanoramicSurveyTelescope e RapidResponseSystem), è cresciuta a sorpresa più del previsto portandosi in gennaio al di sotto della decima magnitudine. Circumpolare per tutto febbraio sarà meglio osservabile prima dell’alba, in spostamento dal Dragone alla Lucertola. Passerà al perielio il giorno 18 transitando a 1,73 U.A. dal Sole. La sua luminosità durante il mese dovrebbe aggirarsi attorno alla nona magnitudine. L’ho osservata il 21 gennaio sotto un cielo davvero splendido, usando un binocolo 20×90 nel quale mi è apparsa piuttosto diffusa e priva di un vero falso nucleo, ma non difficile.

La cartina riporta la posizione della C/2022A2 PanSTARRS alle 5.00 ora solare. Le stelle più deboli sono di nona magnitudine.

 

96P/Machholz 1

Per ultimo vi proponiamo una sfida osservativa riguardante una piccola periodica dal diametro di circa 6 chilometri, scoperta nel 1986 dall’astronomo statunitense Donald Edward Machholz, scomparso pochi mesi fa. Il suo periodo è di 5,24 anni e sembra possa essere un pezzo appartenente ad una cometa più grande frammentatasi molto tempo fa. Frammentata la Machholz lo è a sua volta dato che nei suoi pressi sono stati avvistati almeno tre frammenti più piccoli. È transitata al perielio ad una distanza molto piccola(circa 18 milioni di chilometri) nell’ultimo giorno di gennaio. Purtroppo la pessima prospettiva ci ha impedito di seguire quegli istanti in cui potrebbe aver raggiunto la seconda magnitudine. Le cose andranno leggermente meglio durante il suo allontanamento dalla nostra stella, anche se la caduta di luminosità dovrebbe essere piuttosto rapida e le condizioni prospettiche risultare comunque sfavorevoli. Chi ha voglia di cimentarsi in una bella sfida dovrà tentare di rintracciarlaa partire dal 4/5 febbraio, “spazzolando” l’orizzonte orientale, cercandola tra le prime luci dell’alba fra le stelle meridionali dell’Aquila. In quel momento potrebbe brillare di quinta o sesta magnitudine. Successivamente, con il suo ulteriore allontanamento dal Sole, si mostrerà in un cielo più buio, rimanendo però sempre molto bassa ma soprattutto perdendo luminosità, tanto che a metà mese potrebbe già sfiorare la decima grandezza.

La cartina riporta la posizione della 96/P Machholz alle 6.30 ora solare. Le stelle più deboli sono di ottava magnitudine.


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Le Costellazioni di Febbraio 2023

Ora era onde ‘l salir non volea storpio
chè il Sole avea il cerchio di merigge
lasciato al Tauro e la notte a lo Scorpio …

Dante, Divina Commedia

Nel cielo di febbraio risplendono luminose le costellazioni dell’inverno boreale.

Uno degli oggetti protagonisti è certamente il Toro: si tratta di una delle costellazioni della fascia dello Zodiaco, compresa tra Ariete e Gemelli e facilmente riconoscibile per la sua forma a V e per la sua stella principale Aldebaran, una gigante arancione grande 40 volte il Sole che con la sua magnitudine +0,95 rappresenta la quattordicesima stella più luminosa del cielo notturno.

Le stelle Elnath e Alheka caratterizzano le corna dell’animale che si estendono verso est, mentre Beta Tauri (Elnath) è una stella che viene attribuita sia alla costellazione del Toro che a quella dell’Auriga, di cui è uno dei vertici del pentagono celeste.

La costellazione del Toro si espande a est/sud-est dove un brillante ammasso aperto (a 150 anni luce da noi) conosciuto con il nome di Iadi, delinea la testa dell’animale; prospetticamente infatti Aldebaran, Alpha Tauri, sembrerebbe appartenere al vicino ammasso delle Iadi, ma in realtà, con il suo scintillio di colore arancio, rappresenta l’occhio del Toro.

M45: UN AMMASSO APERTO NEL CUORE DELL’INVERNO

Alla costellazione del Toro è strettamente associato un altro oggetto, uno dei più interessanti e conosciuti del catalogo Messier, M45, ovvero le Pleiadi.

Si tratta di un ammasso stellare aperto distante 440 anni luce da noi, collocato nella spalla del Toro.

Credit:Davide De Martin & the ESA/ESO/NASA Photoshop FITS Liberator

Senza l’ausilio di telescopi, a patto di osservare lontani da cieli urbani, sono visibili già sette fra le stelle più luminose dell’ammasso, la cui forma rimanda al piccolo carro.

Aiutandosi invece con un binocolo o con un telescopio si scopre che l’ammasso è molto più esteso, sono centinaia le stelle, in prevalenza giganti blu e bianche, che compongono l’ammasso; stelle legate da un’origine comune e da reciproche forze gravitazionali.

Nelle fotografie a lunga esposizione o all’oculare di un telescopio di apertura considerevole, non è difficile notare dei piccoli aloni che circondano i singoli oggetti luminosi: si tratta di nubi di polvere, dette nebulose a riflessione, illuminate dalle stelle.

M45 prende parte alla sfilata degli oggetti più belli e suggestivi del cielo invernale, attirando sempre molta curiosità negli amanti del cielo, poiché l’ammasso è spesso protagonista di congiunzioni con la Luna o con pianeti come Marte e Venere.

Le Pleiadi sono anche circondate da numerosi riferimenti mitologici, esse vengono chiamate sovente le “sette sorelle”, rappresentate come ninfe della montagna, figlie di Atlante e l’oceanina Pleione: Alcione, Asterope, Celeno, Elettra, Maia, Merope e Taigeta.

Anche Pascoli ne fece riferimento nel Gelsomino Notturno: “La Chioccetta per l’aia azzurra va col suo pigolìo di stelle”.

Il poeta paragonò le Pleiadi a una chioccia che si trascina dietro una covata di pulcini intenti a pigolare.

Immagine curiosa ma d’effetto, che intende ricreare la melodia degli astri in una notte stellata.

OGGETTI DEL PROFONDO CIELO NEL TORO: LA NEBULOSA GRANCHIO

In direzione della stella Alheka, si trova uno degli oggetti più importanti in campo astronomico e nell’astronomia a raggi X: è persino il primo oggetto del Catalogo Messier, M1, meglio nota con il nome Nebulosa del Granchio. (vedi Coelum Astronomia 254 di febbraio/marzo 2022)

L’oggetto, dalla forma ad anello, si trova a circa 6500 anni luce dal Sistema Solare ed è ciò che resta dell’esplosione di una Supernova.

Durante la fase finale della sua vita la stella Supernova 1054ha espulso una grande quantità di materiali ferrosi e gas, generando un’esplosione in grado di proiettare tutti i propri frammenti a una grande distanza, che ancora oggi viaggiano a una velocità che sfiora i circa 1500 km/s.

Oggi il centro della nebulosa ospita ciò che resta della stella esplosa, una potente stella di neutroni che ruotando su sé stessa crea l’effetto pulsar.

L’esplosione della supernova 1054 non rimase inosservata.

Il 4 luglio del 1054 gli astronomi cinesi furono i primi ad accorgersi del nuovo astro apparso in cielo ed ebbero la fortuna di assistere al bagliore prodotto dall’esplosione per lungo tempo.

Visibile persino di giorno grazie ad una magnitudine dell’oggetto compresa tra −7 e −4,5 (per contro Sirio, la stella più luminosa del nostro cielo, ha una magnitudine apparante di solo -1.40).

Con così tanti dati a disposizione su questo oggetto, la Nebulosa Granchio è spesso impiegata dagli astronomi come elemento di calibrazione nell’astronomia a raggi X e negli studi dell’universo alle altissime energie.

M1 può essere individuata facilmente già con un binocolo, o ancor meglio con un telescopio anche amatoriale, dove apparirà come una macchia debole e chiara, ma caratterizzata da una luminosità poco omogenea.

LA COSTELLAZIONE DEL TORO NELLA MITOLOGIA

Il Toro è una delle costellazioni più antiche di cui si trovi traccia.

Ben 5.000 anni fa infatti il punto Gamma che indica l’equinozio di primavera, si trovava proprio in questa costellazione, nei pressi della stella Aldebaran.

Citazioni si trovano negli scritti dei Sumeri ove la figura zodiacale assumeva connotazioni mitologiche e si rendeva protagonista di storie d’amore conflittuali.

Per gli antichi egizi invece i tori erano figure mitologiche da venerare.

Nell’antica Grecia il mito del Toro fu associato al Minotauro, frutto del tradimento consumato da Pasifa e con il sacro Toro di Creta alle spalle del marito Minosse.

Ma la storia è molto più avvincente.

Sembra infatti che Zeus si fosse innamorato della principessa fenicia Europa, e che decise (come sempre) di sedurla, ricorrendo a ogni mezzo possibile.

Così, mentre la bella Europa si trovava sulla spiaggia ingenua e spensierata in compagnia delle sue ancelle, vide arrivare un bellissimo toro bianco, animale in cui Zeus nel frattempo si era trasformato per non destare sospetto nella principessa.

La fanciulla, ignara della vera natura dell’animale, ne fu talmente attratta da salirvi in groppa e da lasciarsi trasportare fino a raggiungere l’isola di Creta, dopo aver galoppato attraverso il mare.

Ma una volta giunti a destinazione la  giovane principessa fece un’amara scoperta: Zeus infatti le si manifestò nelle sue reali sembianze, abusando di lei.

Dall’unione infelice nacquero Minosse, Radamanto e Sarpedonte.

 

L’AURIGA NEL CIELO DI FEBBRAIO

Una della costellazioni che transita al meridiano nel mese di febbraio è l’Auriga.

Si tratta di uno degli oggetti tipici dell’inverno boreale, che si staglia sulla volta celeste in compagnia delle grandi costellazioni come Orione e Toro.

Quella  dell’Auriga è una costellazione settentrionale dalla caratteristica forma di pentagono, la cui parte centrale è attraversata da una porzione di Via Lattea che si delinea in direzione opposta a quella del centro galattico, ma che ospita comunque diversi ammassi e nebulose.

Di certo però la costellazione deve la sua fama alla sua stella più brillante Alfa Aurigae, ovvero Capella: si tratta della sesta stella più luminosa del cielo notturno, di colore giallo, che dista dal Sole quasi 43 anni luce.

Nonostante Capella appaia ad occhio nudo come un singolo astro, in realtà è un sistema multiplo costituito da quattro componenti, raggruppate in due stelle binarie.

OGGETTI NON STELLARI IN AURIGA

La costellazione ospita diversi oggetti già osservati da Messier, inseriti nel suo celebre catalogo con il nome di M36, M37 ed M38: si tratta di tre ammassi aperti molto conosciuti, composti da stelle giovani.

L’AURIGA NELLA MITOLOGIA

Come per ogni altra costellazione e oggetto celeste, anche l’Auriga trova riferimenti nella mitologia: essa viene identificata con la capra Amaltea, rappresentata dalla stella Capella, animale che secondo la mitologia greca allattò Zeus quando venne abbandonato in fasce sull’isola di  Creta.

All’animale e ai suoi capretti venne regalato un posto in cielo, trasformati in stelle come segno di eterna gratitudine.


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Energia da fusione nucleare: a che punto siamo?

Crisi climatica ed energetica sono, a buon diritto, in cima alle preoccupazioni di popolazioni e governi di gran parte del mondo. Non vi è giorno in cui non si commentano sui mezzi d’informazione le gravi conseguenze del riscaldamento globale dovuto all’azione antropica e i problemi connessi alla disponibilità e al costo delle materie prime necessarie alla produzione di energia. Ça va sans dire, le due questioni sono strettamente connesse.

La fusione nucleare alla luce dei nuovi progressi tecnologici

 

L’aumento della temperatura media sulla superficie del nostro pianeta, chiaramente registrato nel corso degli ultimi 100 anni, è principalmente dovuto all’immissione di gas serra in atmosfera conseguente alla combustione di carbone, petrolio e gas naturale. È evidente che in base al nostro attuale modello di sviluppo, l’evoluzione dell’umanità non può fare a meno di adeguate risorse energetiche. Inoltre, la crescita della popolazione globale implica un aumento della richiesta di energia a costi sostenibili, e la crescente diffusione di tecnologia e lo sviluppo industriale implicano anch’essiuna crescitadel fabbisogno energetico. L’attuale sistema globale di approvvigionamento energetico ha due grandi limiti: la produzione di energia da combustibili fossili ha un impatto decisivo sull’ambiente e il loro ritmo di rinnovo è enormemente inferiore a quello del consumo. In altre parole, stiamo immettendo in atmosfera, in poche decine di anni, quantità di carbonio sequestrate nel sottosuolo da milioni di anni. Tutte le prospettive economiche mostrano che i bisogni energetici continueranno ad aumentare per due motivi principali: l’aumento della popolazione mondiale, che è attesa raggiungere 10 miliardi di persone intorno alla metà di questo secolo,e quello dei bisogni energetici dei paesi in via di sviluppo, le cui popolazioni reclamano, giustamente, condizioni di vita migliori e in linea con i paesi più sviluppati. Stiamo correndo come un treno a tutta velocità contro un muro e ne siamo consapevoli, ma non sappiamo se e come è possibile fermarsi o abbattere il muro. Che fare?

Consumo globale di energia in base alla fonte.

È certamente importante perseguire una politica di maggiore utilizzo di fonti rinnovabili di energia (eolica, solare e idrica). Tuttavia, è necessario osservare che tali fonti, al momento, contribuiscono al consumo energetico primario su scala globale per un ammontare pari acirca il 10%, peraltro largamente grazie all’idrico, che non può essere sfruttato oltre certi limiti, e in minima parte all’eolico e al solare (pochi percento), a fronte di un consumo complessivo che nel 2021 ha ecceduto i 170 PWh (170 milioni di milardi di wattora) e che è più che raddoppiato negli ultimi 50 anni (si veda Fig. 1). In altre parole, ammesso e non concesso che sia tecnicamente possibile ed economicamente sostenibile, e non considerando i necessari stravolgimenti della superficie del pianeta, è del tutto utopistico pensare di rimpiazzare completamente la produzione da combustibili fossili con quella da fonti rinnovabili. Manca però all’appello un’ulteriore fonte di energia: quella nucleare.

Come ben noto, esistono due possibili meccanismi per la produzione di energia nucleare, da fissione di nuclei pesanti e da fusione di nuclei leggeri. Reattori a fissione nucleare controllata sono relativamente facili da costruire ed in effetti sono in produzione da svariati decenni in tutto il mondo. La fissione nucleare presenta generalmente due problemi che ne hanno limitato la diffusione in alcuni paesi come il nostro: la produzione abbondante di combustibile esausto radioattivo, con tempi di decadimento dell’ordine delle decine o centinaia di migliaia di anni, che necessita di stoccaggio in depositi geologici a tempo praticamente indeterminato, e la possibilità, per quanto piccola non nulla, di incidenti che possano rilasciare nell’ambiente pericolosi radionuclidi. La percezione della pericolosità dei reattori a fissione da parte dell’opinione pubblica è peraltro poco aderente alla realtà dei fatti, legata nell’immaginario collettivo alla letalità degli armamenti nucleari e all’incidente di Chernobyl, che si stima abbia causato nel complesso circa 400 decessi. Quasi tutti ignorano ad esempio che la percentuale di decessi dovuti ad effetti diretti e indiretti (incidenti e inquinamento) della produzione di energia nucleare a fissione per unità di energia prodotta è dell’ordine di mille volte inferiore a quella di decessi dovuti alla produzione di energia con combustibili fossili. In termini assoluti si stima per difetto che a causa dell’uso di combustibili fossili circa 2,5 milioni di persone perdano la vita nel mondo ogni anno; questo numero scenderebbe a circa 5000 unità se tutta la produzione attuale fosse realizzata mediante reattori a fissione. Ciò detto, il problema dello stoccaggio delle scorie è comunque reale e di difficile soluzione, sebbene esistano proposte, come quella basata sul processo di trasmutazione all’interno di reattori sottocritici guidati da acceleratori, per diminuire di molti ordini di grandezza i tempi di smaltimento.

Veniamo allora a quello che è da molti considerato il Sacro Graal della produzione di energia: la fusione nucleare. Si sente spesso affermare che la fusione nucleare risolverebbe tutti i problemi che abbiamo di fronte: capacità di produzione virtualmente illimitata a basso costo e nessuna scoria radioattiva. Ma è proprio così? Cerchiamo di capirlo. Il modo più semplice di realizzare un processo di fusione nucleare è quello di fondere un nucleo di deuterio (composto da un protone ed un neutrone) con un nucleo di trizio (un protone e due neutroni). Nel processo di fusione di un nucleo di deuterio e uno di trizio si genera un nucleo di elio-4 (due protoni e due neutroni) con il rilascio di un neutrone e di una notevole quantità di energia. L’elio è un gas inerte di alcuna pericolosità, tanto che è possibile usarlo per gonfiare palloncini per bambini. I neutroni invece hanno una loro pericolosità e torneremo su questo aspetto fra un po’. Uno straordinario problema fisico e ingegneristico per realizzare la produzione controllata di energia da una reazione di fusione nucleare consiste nel fatto che, essendo i nuclei di deuterio e trizio carichi positivamente, questi tendono a respingersi e a mantenersi quindi ad una certa distanza tra loro, impedendo alla forza nucleare forte (che è preponderante a distanze dell’ordine del milionesimo di miliardesimo di metro) di entrare in funzione per effettuare la fusione dei nuclei e il conseguente rilascio di energia. Per questo motivo è necessario fornire ai due nuclei una grande energia cinetica in grado di vincere la repulsione elettrostatica e avvicinarli sufficientemente. In altre parole, è necessario che il plasma di deuterio e trizio venga condotto a temperature elevatissime, dell’ordine del centinaio di milioni di gradi. Il problema è che non può esistere alcun materiale in grado di contenere una massa calda con una temperatura superiore a poche migliaia di gradi. Il plasma alle temperature di fusione non può quindi essere contenuto all’interno di un qualunque contenitore. Già da molti decenni si è però capito che esistono almeno due approcci per consentire una reazione di fusione controllata senza bisogno che il plasma entri in contatto con le pareti di un contenitore. Le due modalità prendono il nome di fusione a confinamento magnetico e fusione inerziale.

Continua..

L’articolo completo a cura del dott. Vincenzo Vagnoni è disponibile in Coelum Astronomia n°260 di febbraio/marzo 2023

 

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