

Nel suo libro “Our Cosmic Habitat”, pubblicato nel 2001 (leggi la recensione pubblicata su Coelum n. 85), l’astronomo Martin Rees si lasciò andare a una sorta di “scommessa” sui risultati che l’astronomia avrebbe raggiunto entro l’anno 2010, facendo delle previsioni sui metodi e sulle innovazioni che si sarebbero manifestate da lì a 10 anni di distanza.
Il 2010 è arrivato, e a questo proposito abbiamo intervistato alcuni dei maggiori esperti, cosmologi e astrofisici italiani chiedendo un loro commento sia sulla scommessa in sé che sulla validità degli scenari proposti da Rees per il futuro.Uno studio effettuato da due ricercatori della Durham University (UK), sembra però rimettere tutto in discussione, denunciando la mancanza di certe evidenze osservative e la cattiva calibrazione dei sensori di WMAP, il satellite che più di ogni altro ha contribuito a solidificare le basi del cosiddetto modello standard.
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La “scommessa” di Martin Rees
Sarei pronto a scommettere, per una posta ragionevole, che entro il 20l0 sapremo esattamente qual è la componente dominante della materia oscura, il valore di W e le proprietà dell’oscura energia del vuoto. Se scopriremo tutto questo, sarà un trionfo per la cosmologia: avremo preso le misure del nostro universo, proprio come, non molti secoli fa, abbiamo imparato che forma hanno e quanto sono grandi il Sole e la Terra. E conosceremo, a parte alcune riserve di cui parlerò nel prossimo capitolo,anche il futuro a lungo termine del cosmo.
Dopo il 2010 le sfide da affrontare saranno di due tipi molto diversi. La cosmologia infatti ha due facce: è una scienza fondamentale, ma anche la più grande delle scienze ambientali. Il teorico canadese Werner Israel ha paragonato questa dicotomia alla contrapposizione fra gli scacchi e la lotta libera nel fango; e forse la comunità dei cosmologi è proprio una tale mescolanza male assortita di finezza estrema ed estrema brutalità (solo di stile intellettuale,ovviamente).
Di qui a una decina d’anni, per il gaudio di quelli di noi che trovano più divertente rivoltarsi nel fango, saranno disponibili osservazioni sempre più dettagliate fornite sia da telescopi a terra sia da satelliti; mentre massicce simulazioni al calcolatore ci daranno un’idea più chiara del modo in cui si formano galassie, stelle e pianeti.
Il flusso dei dati sarà tale che l’intero processo di analisi e scoperta sarà automatizzato. Gli astronomi si concentreranno sulla statistica di popolazioni di pianeti, stelle e galassie, selezionando i casi più significativi di ciascun fenomeno: ad esempio i pianeti più simili alla Terra, o oggetti patologici che potrebbero contenere indizi interessanti sulla fisica estrema. Progressi spettacolari nella tecnologia dei calcolatori renderanno possibili esperimenti di realtà virtuale sulle collisioni stellari, sui buchi neri e su altri fenomeni. Gli astronomi faranno parte di una comunità più vasta e meno concentrata di oggi; la tecnologia permetterà un accesso più democratico a dati che un tempo erano riservati solo a una ristretta élite (o comunque a una minoranza privilegiata). Mappe dettagliate del cielo saranno a disposizione di chiunque sia in grado di accedervi o di scaricarle tramite Internet sul proprio calcolatore.Vi saranno osservatori virtuali, e in ogni parte del mondo gli appassionati potranno partecipare all’esplorazione del nostro ambiente cosmico, verificare le loro personali ipotesi, cercare strutture mai viste e scoprire oggetti insoliti. A tavolino lavorerà non solo, ovviamente, il ristretto gruppo dei teorici, ma anche la nuova, sterminata categoria degli osservatori da tavolino.
Io credo tuttavia che i « giocatori di scacchi» saranno ancora alla ricerca di una spiegazione profonda dell’inizio. La ricerca di teorie unitarie dell’universo e del microcosmo non si sarà esaurita (anche se forse renderà esausti coloro che l’hanno intrapresa).
Martin Rees