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Nebulosa di Orione | M42 |

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La protagonista dell’arco celeste invernale: M42

Salve a tutti appassionati Astronomi. Vi lascio una mia opera fatta nella serata di Halloween: Nebulosa di Orione | M 42 |, situata al di sotto della cintura nella costellazione di Orione a 1.350 anni luce dalla Terra.

La Nebulosa di Orione è un oggetto ad emissione a luce diffusa ed è facilmente visibile ad occhio nudo non solo grazie alla sua luminosità (magnitudine apparente di +4.0) ma alla sua immensa grandezza di circa 24 anni luce (pari a 210 mila miliardi di km).

La nebulosa si è generata grazie ad una potente esplosione di una stella (attualmente “Nana Bianca”), chiamata comunemente in astronomia con il termine: “Supernova”. I colori della nebulosa sono dovuti ai gas espulsi dalla stella stessa che lo ha generato (presente nel nucleo di Orione se andiamo a zoomare la fotografia). Gli astronomi hanno rilevato che all’interno di questo ammasso di gas e polveri ci sono degli elementi in particolare che compongono la nebulosa e sono: “idrogeno molecolare, acqua, il monossido di carbonio, la formaldeide, il metanolo, l’etere dimetilico, l’acido cianidrico, l’ossido e il biossido di zolfo”.

La Nebulosa di Orione è soprannominata come una “fucina di stelle”. Attualmente, nella regione Sud della nebulosa, si possono notare dei “dischi neri” (dischi protoplanetari) di dimensione importante che ruotano attorno ad una piccola stella (nana bruna) appena nata: questo vuol dire che si formando dei nuovi sistemi solari (sistemi extrasolari) nella quale presenteranno nuovi pianeti e oggetti celesti di varia forma e dimensione, esattamente com’è successo al nostro sistema solare circa 5 miliardi di anni fa. Sembra assurdo ma è reale.

La Nebulosa di Orione brilla nel periodo invernale, scomparendo poi nei periodi estivi dell’anno regalando uno spettacolo senza eguali, permettendo all’umanità di conoscere com’è stato l’avvenire del nostro sistema solare.

Questa foto è stata scattata dal mio semplice Seestar S50 e processata su PixInsight.

•- IL MIO SETUP -•

• Telescopi: Skywatcher 305/1500 – Seestar S50

• Montature: EQ6 – R Pro | Alt/Az Seestar S50

• Camera: Sony IMX 462 (Seestar S50) | SW 300″ (Camera del Samsung S23+ Ultra per il Planetario).

Cieli sereni ✨️.

Il Progetto DUSTER – Polvere di Luna

Mentre alcune agenzie spaziali si preparano per le prossime missioni di ritorno sulla Luna, scienza e ingegneria devono affrontare la sfida di misurare, controllare e mitigare un importante rischio ambientale associato: la polvere. Nasce il progetto DUSTER

Dalla polvere sulla Terra…

La polvere è onnipresente e può diventare un vero incubo. Sulla Terra, questo conglomerato di minuscole particelle, composte da acari, fibre, terra e polline, si trova su ogni tipo di superficie. Quando viene smossa, la polvere depositata può rimanere sospesa nell’aria: alcuni ne restano affascinati nel vederla illuminata dalla luce solare, tracciando traiettorie Browniane, mentre altri semplicemente starnutiscono. Fortunatamente, utilizzando uno strofinaccio o un aspirapolvere, ce ne possiamo facilmente liberare.

…alla polvere sulla Luna

Peró la polvere può essere fastidiosa e sgradevole anche fuori dalla nostra Terra, più in là, nello spazio. Quando gli astronauti delle missioni Apollo tornarono a casa dal nostro satellite, si resero conto di avere della polvere, proveniente dalla superficie lunare, attaccata alle tute spaziali, la quale provocava irritazione alla gola e lacrimazione.

Apollo 17 Harrison
Figura 0 L’astronauta dell’Apollo 17 Harrison Schmitt mentre raccoglie un campione di terreno, con la sua tuta spaziale ricoperta di polvere. Credito: immagine NASA AS17-145-22157.

Sulla Luna la polvere è composta da minuscole particelle affilate e abrasive, generate da granelli di roccia frantumata dall’impatto di meteoriti e micrometeoriti sulla superficie lunare.  Sono particelle, dotate di carica elettrostatica e si attaccano su tutte le superfici, dalle tute spaziali alle parti strumentali elettroniche ed ottiche dei moduli spaziali, e possono persino infiltrarsi nei polmoni degli astronauti.

A differenza della Terra, sulla Luna non è così facile liberarsi da questi minuscoli detriti  nonostante i tentativi degli equipaggi di spazzarli via dalle loro tute spaziali con spazzole o spesso con le mani, nessuno dei metodi è risultato efficace. La minore gravità lunare – un sesto di quella terrestre – inoltre fa sì che le minuscole particelle rimangano sospese per più tempo e possano quindi penetrare più profondamente nei polmoni.

Venere visto dalla Luna
Quando la missione Apollo orbitò attorno al lato nascosto della Luna, gli astronauti videro un arco di luce incredibilmente luminoso brillare all’orizzonte subito dopo il tramonto. Il punto luminoso in alto è il pianeta Venere. Credito: NASA.

Insomma saper controllare la presenza di polvere, che si trova anche sulla superficie di Marte, come su comete e asteroidi, rappresenta una vera sfida per le future missioni di esplorazione – sia con equipaggio umano che robotiche – su diversi corpi del Sistema Solare, incluso sul nostro satellite. Oltre a compromettere la salute degli astronauti per irritazione e inalazione, la polvere lunare ha molti altri effetti deleteri sulla strumentazione e l’equipaggiamento tecnico: tra i tanti il danneggiamento e la rottura delle tute spaziali, l’oscuramento della visione esterna, a causa del deposito sulle lenti delle telecamere e dei visori, false letture strumentali, perdita di adesione, intasamento delle meccaniche, abrasione, problemi di controllo termico (per esempio surriscaldamento dei radiatori), guasti nelle giunture sigillanti, l’elenco è decisamente lungo!

Differenze tra il suolo terrestre e lunare


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AUTORI

Karolien Lefever, direttrice del dipartimento di “Comunicazione e Documentazione” del Reale Istituto Belga di Aeronomia Spaziale (BIRA-IASB) 

Sylvain Ranvier, scienziato del gruppo di ricerca “Accoppiamento magnetosfera-ionosfera” del BIRA-IASB e coordinatore del progetto DUSTER 

Rosario Sanz Mesa, scientific manager e divulgatrice, e Julio Rodríguez Gómez PI presso l’unitá di sviluppo di strumentazione tecnologica, UDIT, dell’ Istituto di Astrofisica di Andalucía, IAA-CSIC

Traduzione all’italiano di Sebastiano de Franciscis, ricercatore e divulgatore scientifico presso l’IAA-CSIC.

L’articolo è pubblicato in COELUM 270 VERSIONE CARTACEA

Arp 263 nella Costellazione del Leone

Credit: ESA/Hubble & NASA, J. Dalcanton, A. Filippenko

ABSTRACT

In questa insolita ripresa del telescopio Hubble una stella della Via Lattea, brillante come un fulgido diamante, mette in ombra la luce emessa dalle stelle di un’intera galassia di fondo, che appare come un insieme fitto di lucine sparse. Nonostante la predominanza della stella nella scena celeste, Arp 263 è un oggetto interessante e attraente da osservare, in particolare per le vaste e diffuse regioni di formazione stellare, simili a delicati mazzolini di fiori rosati.


Fiori Rosa per una Galassia Irregolare


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L’articolo è pubblicato in COELUM 270 VERSIONE CARTACEA

 

TFOP – TESS FOLLOW-UP OBSERVING PROGRAM

“Ci sono infiniti mondi simili e diversi da questo nostro” – Epicuro 341-270 s.C.

Gli Esopianeti, gioielli cosmici, sono ovunque nell’universo eppure trovarli è molto più impegnativo che trovare il classico ago nel pagliaio. Anche se sono impossibili da fotografare direttamente possono essere osservati grazie a missioni dedicate per cercarli e caratterizzarli utilizzando tecniche indirette.

La prima missione progettata per la caccia ai pianeti nasce con la NASA, il 7 marzo 2009 con il lancio del telescopio spaziale Kepler il cui scopo era individuare nuovi esopianeti monitorando i cali periodici di luminosità causati dai transiti planetari.

Kepler ha scoperto più di 2300 mondi, sistemi multi-planetari e perfino pianeti nella zona abitabile ma i limiti di Kepler erano ben noti da prima del suo lancio e già al momento della progettazione si considererò che il satellite potesse esplorare una piccola una porzione della Via Lattea alla ricerca di pianeti delle dimensioni della Terra.

ALLA SCOPERTA DI NUOVI MONDI: TESS SEGUE LA MISSIONE KEPLER

Nel 2013 a seguito di un guasto il programma di indagine di Kepler termina e nel 2013 per prenderne il posto viene finanziato il nuovo strumento TESS Transiting Exoplanet Survey Satellite lanciato poi con successo nel 2018. Mentre Kepler si immergeva in profondità in una regione specifica del cielo, TESS ancora oggi osserva stelle che sono da 30 a 100 volte più luminose di quelle che osservava Kepler – in un’area 400 volte più grande – dove molte delle quali sono stelle simili al nostro Sole.

TESS ha prodotto e continua a produrre una grande quantità di dati che devono essere innanzitutto confermati. Infatti, nonostante la precisione dei suoi strumenti e il vantaggio di non essere disturbato dall’atmosfera terrestre, anche le osservazioni di TESS possono essere contaminate da fattori esterni. Ben una frazione importante dei pianeti candidati trovati da TESS si rivelano essere ad un’indagine successiva “falsi positivi”. Un falso positivo è un segnale simile a quello emesso dal transito di un pianeta davanti alla sua stella ma che in realtà la sua origine è diversa, forse strumentale oppure legata a fenomeni astrofisici. Rientrano ad esempio in questa ultima categoria le stelle variabili (come le binarie ad eclisse) che si trovano vicino ai target osservati.

A sostegno della missione TESS occorrono quindi osservazioni follow-up da terra al fine di escludere i falsi positivi e successivamente perfezionare le effemeridi dei pianeti confermati. Nasce così TFOP Tess Follow-Up Observing Program programma di follow-up di TESS con lo scopo di completare le osservazioni di TESS con dati raccolti da osservatori terrestri.

ASTROFILI A CACCIA DI ESOPIANETI

Il TFOP, grazie al contributo di Astronomi professionisti e di Astrofili, ha fino ad oggi confermato circa cinquecento pianeti extrasolari.

Gli osservatori terrestri si impegnano a riprendere fotometricamente i pianeti candidati trovati dal telescopio spaziale al fine di confermarne i transiti oppure tentano di ripetere l’osservazione mettendo in campo strumenti diversi come, ad esempio, spettroscopi, utile per determinare la massa dei target.

Abbiamo chiesto all’astronoma Karen Collins, membro dell’ufficio scientifico TESS, di raccontarci come opera TESS.

 “Il TESS Follow-up Observing Program (TFOP) ha l’obiettivo di confermare i cosiddetti TOI (TESS Object of Interest), che in genere sono segnali di possibili esopianeti in transito. Il gruppo è organizzato in cinque diversi sottogruppi (SG) e attualmente comprende oltre 650 cittadini fra astrofili, studenti e astronomi professionisti di tutto il mondo. Tutti gli osservatori con le competenze necessarie per contribuire a uno o più sottogruppi sono invitati a candidarsi per entrare a far parte del TFOP seguendo le istruzioni riportate sul nostro  sito web dedicato alle candidature (https://tess.mit.edu/followup/apply-join-tfop).”

Specificità dei gruppi di lavoro TESS

SG1 utilizza fotometria per identificare i falsi positivi dovuti a binarie ad eclisse vicine al TOI che contaminano le misure fotometriche di TESS e, nella maggior parte dei casi, per rilevare gli eventi di transito sul target. I tempi di transito misurati sono utilizzati per contribuire a perfezionare le effemeridi di TESS e, in alcuni casi, per misurare le variazioni temporali. Quando è possibile, si raccolgono anche osservazioni multibanda per verificare la dipendenza del segnale di transito dalla lunghezza d’onda: conferma di una binaria ad eclisse che non può essere distinta dal TOI.

Il team SG2 individua e misura parametri spettroscopici per calcolare in maniera più precisa la massa e il raggio delle stelle madri dei pianeti, per individuare i falsi positivi causati dalle binarie spettroscopiche e per identificare le stelle non adatte a misure precise di RV (quelle in rapida rotazione)

Il team SG3 usa immagini ad alta risoluzione (ad esempio con ottiche adattive) per rilevare oggetti vicini che non sono risolti nelle osservazioni di TESS o ad integrazione dei lavori del gruppo SG1.

Il team SG4 ottiene misure accurate di velocità radiali delle TOI con l’obiettivo di determinare le orbite dei pianeti intorno alla stella madre e calcolarne la massa.

Il gruppo SG5 compina dati fotometrici raccolti da più fonti come HST, Spitzer (non più attivo), MOST, CHEOPS e JWST, per confermare e migliorare le effemeridi fornite da TESS, ma anche per fornire curve di luce migliorate per eventi di transito o addirittura TTV Transit Timing Variation in alcuni casi.

Intervista a Karen Collins

Approfittiamo della preziosa disponibilità di Karen Collins per rivolgerle ancora qualche domanda.

Qual è il suo ruolo all’interno del programma TESS e più nello specifico nel TFOP?

Sono a capo del team SG1, insieme alla collega Cristilyn Watkins. Insieme, esaminiamo tutte le osservazioni presentate dai membri del team SG1 e aggiorniamo le valutazioni dei pianeti candidati man mano che il processo di follow-up procede fino alla conferma del pianeta o del falso positivo. Specifichiamo inoltre quale tipo di osservazione è necessaria per ogni TOI. Gli osservatori che hanno fornito le curve di luce secondo le nostre richieste e che si sono rivelate utili per la completa valutazione di un candidato pianeta diventano coautori degli articoli sulla scoperta di pianeti.

Karen Collins presso l’Apache Point Observatory

Cosa cerca principalmente il vostro team e qual è stata la scoperta più importante dell’ ultimo anno grazie ai dati di follow-up di TESS?

L’obiettivo generale del team TFOP è quello di contribuire alla conferma dei pianeti trovati da TESS. La maggior parte degli autori degli articoli sulla scoperta dei pianeti sono anche membri del TFOP, quindi lavoriamo a stretto contatto con loro durante il processo di pubblicazione. Ad oggi sono stati scoperti quasi 500 pianeti grazie a TESS e non saprei dire quale fra essi può rappresentare la scoperta più importante. Suppongo invece che sia proprio il gran numero di scoperte di pianeti da parte di TESS e del TFOP a rivestire una notevole importanza per gli studi statistici sugli esopianeti, sulla loro formazione e soprattutto indirizzare gli approfondimenti delle atmosfere grazie al James Webb Space Telescope (JWST).

La NASA consente l’accesso al database Exo FOP-TESS affinché tutti i membri di TFOP possano caricare le proprie osservazioni una volta che un esopianeta viene stato confermato.

Per i curiosi, tutti i candidati pianeti trovati da TESS, che dovranno poi essere confermati dal TFOP, sono presenti nel catalogo TOI (TESS Objects of Interest). Per consultarli https://tess.mit.edu/followup/

TESS non è in grado di approfondire lo studio e l’analisi delle caratteristiche dei nuovi pianeti non essendo stato progettato specificatamente per questo scopo non possiede infatti la strumentazione necessaria. In futuro, ed anche ora, TESS ricoprirà il ruolo di “puntatore” del telescopio spaziale James Webb (JWST). Una volta individuati quindi gli oggetti più interessanti sarà TESS a indicare al JWST la direzione verso cui puntare.

L’articolo è pubblicato in Coelum Astronomia 270

LE SUPERNOVAE EXTRAGALATTICHE PIU’ LUMINOSE ED IMPORTANTI DELLA STORIA (pt.2): SN1895B IN NGC5253

ABSTRACT

Quando si parla di supernovae, il nostro sguardo si allarga inevitabilmente verso gli angoli più remoti e affascinanti dell’Universo. L’articolo che segue vi guiderà attraverso le scoperte di alcuni degli eventi astronomici più luminosi e significativi mai osservati: le supernovae extragalattiche. In particolare, ci concentreremo su quelle che, grazie alla loro vicinanza e brillantezza, hanno lasciato un segno indelebile nella storia dell’astronomia. Attraverso un viaggio che inizia con la celebre SN1895B, scoperta dalla pioniera dell’astronomia Williamina Fleming, esploreremo come tali fenomeni abbiano contribuito a ridefinire la nostra comprensione delle galassie e del cosmo. Preparatevi dunque ad immergervi nella storia di queste esplosioni stellari, alla scoperta delle meraviglie e dei misteri che esse portano con sé.

SN1895B di Williamina Fleming

1)	Primo piano dell’astronoma scozzese, naturalizzata statunitense, Williamina Paton Stevens Fleming realizzato intorno all’anno 1890.
1) Primo piano dell’astronoma scozzese, naturalizzata statunitense, Williamina Paton Stevens Fleming realizzato intorno all’anno 1890.

L’articolo prosegue cronologicamente l’analisi delle supernovae più luminose e quindi più vicine ed importanti della storia. Dopo la SN1885A scoperta dall’astronomo tedesco Ernst Hartwig nella galassia di Andromeda (prima supernova extragalattica della storia), che abbiamo trattato nella puntata precedente (vedi COELUM 269), ci spostiamo di circa dieci anni più avanti, arrivando alla scoperta della SN1895B ad opera dell’astronoma scozzese, naturalizzata statunitense, Williamina Paton Stevens Fleming il 12 dicembre 1895, analizzando una lastra fotografica del 18 luglio 1895 nella galassia NGC5253.

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L’articolo è pubblicato in COELUM 270 VERSIONE CARTACEA

Edwin Hubble a cento anni dalla sua prima grande scoperta

IL 23 NOVEMBRE 1924, CENTO ANNI FA, EDWIN HUBBLE PUBBLICÒ IN THE OBSERVATORY: “CEPHEIDS IN SPIRALNEBULAE“. UNO STUDIO BASATO SULLE SUE OSSERVAZIONI ASTRONOMICHE, NEL QUALE DIMOSTRÒ CHE LA VIA LATTEA NON È L’UNICA GALASSIA DELL’UNIVERSO DANDO COSÌ UNA SVOLTA ALLA STORIA DELL’ASTRONOMIA ED ALLA COMPRENSIONE DEL CIELO SOPRA DI NOI.

Il centenario di una delle sue scoperte più importanti ci offre l’opportunità di guardare da vicino il lavoro straordinario di Edwin Hubble. I suoi studi rivoluzionarono nel secolo scorso la nostra conoscenza del cosmo al pari di quanto fecero Copernico e Galileo tra 1500 e 1600. Possono la scienza e la tecnica restituirci non solo maggiore conoscenza della realtà che ci circonda, ma anche senso e significato? È buona cosa che qualunque disciplina non risponda a domande che non sono pensate per quella disciplina e che stia, per dirla con parole proprie, nel suo statuto epistemologico. Tuttavia è possibile, se non auspicabile, che le scoperte della scienza ed i traguardi della tecnica, spingano tutti e chiunque a riflettere sul significato della vita e sulle grandi domande umane. Diversamente la scienza e la tecnica rischiano di essere solo a servizio del potere, e rivestite di una presunta neutralità, che non hanno mai avuto davvero, essere concluse in sé stesse. Analoghe considerazioni si possono fare della vita e del modo di fare scienza delle donne e degli uomini che hanno accompagnato l’umanità nel viaggio del sapere, perché le persone e le scoperte che hanno fatto restano sempre un tutt’uno nel fluire della storia. Quando si tratta di esplorazione dello spazio, cielo profondo, fisica ed astrofisica, tutto sembra ancora più favorevole ed invitante.

Nato a Marshfield negli Stati Uniti il 20 novembre 1889, Edwin Powell Hubble alle leggi della terra, si laurea nel 1910 in giurisprudenza per compiacere il padre, preferì le leggi del cielo, studiando astronomia all’Osservatorio dell’Università di Chicago, dove conseguì il dottorato nel 1917 discutendo una tesi dal titolo “Investigazione fotografica di nebulose deboli”. E le nebulose furono, in effetti, il suo grande amore. Colgo qui un primo elemento di senso che possiamo condividere: il valore inestimabile della vocazione personale di ciascuno di noi. Uso un termine teologico, ma che rende ragione di un significato denso anche al di fuori dell’orbita di un credo religioso. Lo psicoanalista e psichiatra Jacques Lacan esprimeva questo concetto con una domanda: “Vivi all’altezza dei desideri che ti abitano?”. Una domanda seria che possiamo legare più di altre proprio al cielo. Hubble ci mostra come la vita non sia prima di tutto una serie di scelte, ma una risposta a qualcosa di misterioso e profondo che ci abita sin dall’infanzia. Benché l’astronomo abbia afferrato in gioventù il suo desiderio, non è mai tardi per chiunque per investigare il cuore alla ricerca di quella radice, o di una domanda che è così strutturale da poter essere fatta fiorire in modi diversi a qualunque età.  Per chi è appassionato di cielo e spazio questo piccolo passo, ma che segna la propria storia, potrebbe essere anche più semplice. Il detto popolare secondo cui è possibile esprimere un desiderio al vedere una stella cadente, non è così sbagliato se le “stelle cadenti” ci aiutano non tanto a realizzare, ma a focalizzare i nostri desideri più significativi.

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ShaRA#9 – Le Galassie Antenne

Dettagli del sistema Galassie Antenne. Crediti @ShaRA Team
Dettagli del sistema Galassie Antenne. Crediti @ShaRA Team

Indice dei contenuti

ABSTRACT

Nel corso degli ultimi progetti del team ShaRA, ci siamo immersi nell’esplorazione di alcuni tra i più affascinanti oggetti del cielo profondo. Dopo aver catturato l’interazione gravitazionale tra le galassie NGC 3169 e NGC 3166, abbiamo deciso di posare il nostro sguardo su un oggetto tra i più iconici del cielo notturno. ShaRA#9 ci ha così trasportato in un angolo di universo oltre il nostro gruppo locale, dove due remote galassie stanno danzando una complessa coreografia di collisione e fusione, tra le più studiate in letteratura: le Galassie delle Antenne (NGC 4038 e NGC 4039).

di Alessandro Ravagnin e ShaRA Team

Il Target

Le Galassie delle Antenne (NGC 4038 e NGC 4039) nel campo inquadrato, sono visibili moltissime galassie di sfondo, tra le quali anche una coppia di galassie interagenti non classificate in letteratura.
Le Galassie delle Antenne (NGC 4038 e NGC 4039) nel campo inquadrato, sono visibili moltissime galassie di sfondo, tra le quali anche una coppia di galassie interagenti non classificate in letteratura.

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L’Anello Prezioso Creato da un Quasar

Una piccola immagine di una galassia distorta dalla lente gravitazionale in un anello fioco. Nella parte superiore dell'anello ci sono tre punti molto luminosi con punte di diffrazione che fuoriescono da essi, uno accanto all'altro: in realtà si tratta di copie di un singolo quasar nella galassia, duplicate dalla lente gravitazionale. Al centro dell'anello, la galassia ellittica che esegue la lente appare come un piccolo punto blu.
Una piccola immagine di una galassia distorta dalla lente gravitazionale in un anello fioco. Nella parte superiore dell'anello ci sono tre punti molto luminosi con punte di diffrazione che fuoriescono da essi, uno accanto all'altro: in realtà si tratta di copie di un singolo quasar nella galassia, duplicate dalla lente gravitazionale. Al centro dell'anello, la galassia ellittica che esegue la lente appare come un piccolo punto blu. Credit: ESA/Webb, NASA & CSA, A. Nierenberg

L’insolito oggetto immortalato in questa sorprendente ripresa del telescopio JWST sembra quasi un prezioso anello tempestato di rubini brillanti, appoggiato su uno sfondo di velluto nero profondo. Si tratta in realtà di un quasar distante oltre 6 miliardi di anni luce da noi nella Costellazione del Cratere, un oggetto estremamente brillante, la cui immagine risulta duplicata e deformata per effetto di un fenomeno noto come lente gravitazionale.

I quasar sono sorgenti estremamente luminose localizzate nel cuore di remote galassie attive: la luminosità eccezionale e la prodigiosa quantità di energia emesse da un quasar sono dovute al processo di accrescimento del buco nero supermassiccio centrale, circondato da un disco da cui divora avidamente materia. Il materiale in caduta nel vorace buco nero accresce la sua massa ed è anche responsabile della luminosità di un quasar. 

Nel caso del quasar RX J1131-1231, accade che lungo la nostra linea di vista si interponga nello spazio una massiccia galassia ellittica, situata circa a metà strada tra noi e il quasar, a 3,5 miliardi di anni luce di distanza dalla Terra. A causa della presenza ingombrante di una grande quantità di massa, come previsto dalla Relatività Generale di Einstein, la deformazione del tessuto spaziotemporale fa sì che la luce emessa dal quasar venga forzata a viaggiare lungo percorsi differenti per arrivare fino a noi, cosicchè la sua immagine risulta deformata e riprodotta più volte. Inoltre, la galassia in primo piano agisce come una sorta di lente, un telescopio naturale che ci permette di osservare chiaramente il quasar remoto, la cui radiazione luminosa viene amplificata.

Una piccola immagine di una galassia distorta dalla lente gravitazionale in un anello fioco.
Una piccola immagine di una galassia distorta dalla lente gravitazionale in un anello fioco. Nella parte superiore dell’anello ci sono tre punti molto luminosi con punte di diffrazione che fuoriescono da essi, uno accanto all’altro: in realtà si tratta di copie di un singolo quasar nella galassia, duplicate dalla lente gravitazionale. Al centro dell’anello, la galassia ellittica che esegue la lente appare come un piccolo punto blu. Credit: ESA/Webb, NASA & CSA, A. Nierenberg

I tre punti brillanti affiancati e il puntino luminoso dalla parte opposta dell’anello sono in realtà quattro immagini distinte di questo singolo quasar, la cui luce lungo il percorso si è “piegata” creando l’illusione che la galassia ellittica in primo piano, visibile come piccolo puntino blu al centro dell’anello, sia circondata da quattro oggetti luminosi distinti, mentre la galassia in cui si trova il quasar ha assunto una forma simile ad un anello. Il numero e la forma delle immagini di un quasar lensato in questa sorta di miraggi cosmici dipende dalla posizione relativa del quasar, della galassia lente e del telescopio.

Il processo di accrescimento di materiale e l’ambiente estremamente energetico provocano un surriscaldamento del disco circostante il buco nero supermassiccio, con conseguente emissione di luce in varie lunghezze d’onda. Al di sopra del bordo interno del disco si trova la corona, una regione ricca di particelle altamente energetiche, accelerate dal campo magnetico del buco nero, che brillano in banda X. Grazie al fenomeno della lente gravitazionale e a osservazioni del telescopio spaziale Chandra, gli astronomi hanno ottenuto informazioni dettagliate sulla quantità di radiazione X a differenti energie emessa dal quasar. Questo ha permesso di misurare il tasso di rotazione del buco nero supermassiccio attivo responsabile della luminosità del quasar. Sembra che il buco nero volteggi a un tasso prodigioso, pari a circa metà della velocità della luce.

Misurare la rotazione dei buchi neri supermassicci nel giovane Universo può aiutare i ricercatori a capire se questi mostruosi oggetti crescano essenzialmente attraverso collisioni o grandi fusioni tra galassie, nel qual caso avrebbero a disposizione una fornitura costante di materiale proveniente da una direzione principale, formando un disco di accrescimento stabile, in grado di ruotare rapidamente. Oppure se acquisiscano massa attraverso molti episodi minori di accrescimento, da una serie di direzioni casuali variabili, nel qual caso il tasso di rotazione risulterebbe inferiore. I dati ottenuti dai ricercatori supportano la prima ipotesi, data l’eccezionale rapidità di rotazione calcolata in RX J1131.

L’immagine è stata ripresa dallo strumento MIRI (Mid-Infrared Instrument) a bordo del telescopio Webb, come parte di un programma osservativo volto a studiare la materia oscura. Queste osservazioni di quasar distanti permetteranno agli astronomi di sondare la natura della materia oscura su scale molto piccole, grazie al fenomeno della lente gravitazionale.

L’articolo è pubblicato in Coelum Astronomia 270

Fonte: https://esawebb.org/news/weic2324/

Modelli 3D per le Supernovae

Rappresentazione artistica delle fasi che portano all’esplosione di una supernova
Figura 1. Rappresentazione artistica delle fasi che portano all’esplosione di una supernova a collasso del nucleo:la stella progenitrice espelle parte degli strati più esterni nei decenni che precedono l’esplosione (a sinistra); un numero cospicuo di neutrini viene emesso negli istanti successivi al collasso del nucleo (al centro); l’onda d’urto generata dal collasso raggiunge la superficie della stella determinandone la distruzione (a destra). Crediti: S. Orlando/INAF Palermo.

Come i Modelli Scientifici Stanno Rivoluzionando lo Studio delle Supernove

INTRODUZIONE

Nell’articolo l’autore esplora come i modelli scientifici tridimensionali (3D) stiano rivoluzionando lo studio delle supernove, con particolare enfasi sulle supernove a collasso del nucleo (cc-SNe). Queste esplosioni stellari, tra gli eventi più energetici dell’universo, giocano un ruolo cruciale nell’evoluzione delle galassie, contribuendo alla distribuzione degli elementi chimici necessari alla formazione di nuove stelle e pianeti. Tuttavia, la comprensione dei processi fisici che guidano queste esplosioni è estremamente complessa a causa della loro imprevedibilità e della difficoltà di osservare direttamente le fasi che precedono e seguono immediatamente il collasso del nucleo.

Gli scienziati affrontano queste sfide utilizzando modelli 3D avanzati che, grazie alla potenza dei supercomputer, permettono di simulare dettagliatamente l’evoluzione delle supernove dal collasso del nucleo fino alla propagazione dell’onda d’urto attraverso l’ambiente circostante. Questi modelli non solo riproducono le condizioni fisiche e chimiche delle stelle progenitrici, ma consentono anche di collegare le strutture osservate nei resti di supernova ai processi fisici che le hanno generate.

Un caso di studio significativo è rappresentato dalla supernova SN 1987A, la cui esplosione è stata modellata in 3D, rivelando dettagli cruciali sulla sua asimmetria e sulla stella progenitrice.

Le Sfide per la Comprensione delle Supernove

Nonostante il ruolo cruciale che le supernove rivestono in numerosi campi dell’astrofisica, comprenderne i processi fisici è una sfida estremamente complessa. Gli eventi catastrofici, caratterizzati da esplosioni violente, sono infatti difficilmente prevedibili: non possiamo mai sapere con esattezza quando e dove si verificheranno e l’incertezza ci impedisce di catturare con precisione

Figura 2. La supernova extragalattica SN 2014C osservata in banda ottica e nei raggi X. L’immagine principale ottenuta con lo Sloan Digital Sky Survey (SDSS) mostra la galassia a spirale NGC 7331. Gli inserti mostrano le osservazioni del Chandra X-ray Observatory dell'insolita supernova SN 2014C.Crediti: immagini a raggi X: NASA, CXC, CIERA, R.Margutti et al.;immagine ottica: SDSS.
Figura 2. La supernova extragalattica SN 2014C osservata in banda ottica e nei raggi X. L’immagine principale ottenuta con lo Sloan Digital Sky Survey (SDSS) mostra la galassia a spirale NGC 7331. Gli inserti mostrano le osservazioni del Chandra X-ray Observatory dell’insolita supernova SN 2014C.Crediti: immagini a raggi X: NASA, CXC, CIERA, R.Margutti et al.;immagine ottica: SDSS.

i momenti più cruciali, sia immediatamente prima che subito dopo l’esplosione.
Inoltre, i processi che avvengono all’interno di una supernova sono nascosti dagli strati esterni della stella, rendendo impossibile osservare direttamente le fasi che portano al collasso del nucleo e allo sviluppo dell’esplosione. Un limite che condiziona fortemente la nostra capacità di cogliere quei dettagli fondamentali che potrebbero svelarci i segreti più profondi di questi straordinari fenomeni.
Come se non bastasse, le supernove sono anche eventi rari nella nostra galassia e, negli ultimi quattro secoli, non ne abbiamo osservate direttamente. Per studiarle, dobbiamo quindi rivolgere lo sguardo a galassie lontane, dove queste esplosioni appaiono come minuscoli punti di luce distanti, impossibili da risolvere nei dettagli (Figura 2). Siamo perciò costretti ad estrarre informazioni cruciali da ciò che possiamo osservare, come le curve di luce che descrivono l’evoluzione della luminosità o gli spettri elettromagnetici che forniscono indizi sulle proprietà fisiche e chimiche del materiale che emette la radiazione. Tuttavia, interpretare questi dati è un compito complesso, e non sempre porta a risultati definitivi.
Insomma non mancano difficoltà ci privano quindi di informazioni essenziali per comprendere i meccanismi dell’esplosione e la natura della stella progenitrice. Infatti i giorni e le settimane immediatamente successivi a una supernova sono un periodo di straordinaria importanza: in quel momento, i suoi detriti conservano ancora in modo nitido le tracce della stella che è esplosa e dei processi che ne hanno guidato l’esplosione, offrendo una rara opportunità per studiarne la natura in profondità.

Le Informazioni Codificate nei Resti delle Supernove

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VST-SMASH in un Colpo Solo: Galassie Vicine e Profondità

Immagini a tre colori di NGC 5236 (sinistra), IC 5332 (destra) e NGC 5253 (riquadro con bordo bianco). Credit: C. Tortora/VST-SMASH.
Immagini a tre colori di NGC 5236 (sinistra), IC 5332 (destra) e NGC 5253 (riquadro con bordo bianco). Credit: C. Tortora/VST-SMASH.

ABSTRACT

Volete vedere un’immagine in cui galassie vicine ma con estrema profondità? Grazie al programma VST-SMASH, questo è finalmente possibile. Con un solo colpo d’occhio, possiamo osservare dettagli delle galassie più vicine e scoprire nuove strutture in quelle più lontane, grazie alla combinazione di ampie osservazioni del cielo e una risoluzione senza precedenti. Il VST (VLT Survey Telescope) ci regala immagini mozzafiato di galassie iconiche come NGC 5236, la “Galassia Girandola del Sud”, ma anche scorci di mondi lontanissimi, come la galassia spirale ESO 499-37, situata a 45 milioni di anni luce. Immergetevi in un viaggio attraverso l’Universo, dove l’antico e il remoto si intrecciano in una danza di luce che rivela i segreti dell’evoluzione galattica.

Immagini profonde di galassie vicine e grandi, lo facciamo col VST in un sol colpo

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Cosmologia: Ammassi Globulari e Generazioni Multiple

ABSTRACT

Gli ammassi globulari, tra i più antichi oggetti dell’universo, hanno recentemente svelato una complessità inattesa con la scoperta delle popolazioni stellari multiple, sfidando le idee tradizionali sulla loro composizione. L’avvento dei telescopi spaziali Hubble e James Webb ha dato infatti avvio ad uno studio con dettagli senza precedenti di tali strutture, mettendo in luce variazioni significative nelle abbondanze chimiche delle loro stelle. Queste ricerche stanno contribuendo fortemente alla ricostruzione dell’attuale comprensione del cosmo tramite l’esplorazione di nuove prospettive sulla sua storia evolutiva. Ne discute per Coelum l’esperto astrofisico Antonino Milone, soffermandosi sui principali scenari di formazione delle differenti popolazioni e sulle loro implicazioni cosmologiche in virtù dei risultati emersi per le galassie sia dell’universo locale sia ad alto redshift.

Stelle di due mondi: la genesi delle popolazioni stellari multiple

Gli ammassi globulari, tipicamente situati negli aloni delle galassie e orbitanti a diverse distanze dai rispettivi nuclei, sono tra gli oggetti più antichi ed enigmatici dell’universo. Si tratta di aggregati di  stelle caratterizzati da una grande estensione spaziale, con un diametro fino a 300 anni luce, e da una notevole concentrazione centrale. L’enorme densità stellare associata (che può arrivare a migliaia di stelle per unità di volume) rende generalmente impossibile l’identificazione delle singole stelle mediante l’uso di telescopi terrestri: solo i moderni telescopi spaziali come Hubble (HST) e James Webb (JWST) hanno permesso di esplorare tali regioni in grande dettaglio, ottenendo risultati a dir poco sorprendenti addirittura per le stelle di piccola massa meno luminose. Dalle prime osservazioni astronomiche di John Herschel ed Edwin Hubble nell’800 e nella prima metà del ‘900, molta strada è stata fatta nello studio degli ammassi globulari dell’universo locale. In particolare, l’idea tradizionale che essi fossero composti da stelle coeve e chimicamente omogenee, originatesi in un unico episodio di formazione stellare, è stata messa in crisi dalla scoperta delle cosiddette popolazioni stellari multiple.

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Modelli 3D Lunari

Creazione di modelli 3D lunari con immagini della superficie e i dati DEM del Lunar Reconaissance Orbiter

ABSTRACT

Nell’articolo a seguire trattiamo la creazione di modelli 3D della superficie lunare utilizzando immagini e dati altimetrici (DEM) forniti dal Lunar Reconnaissance Orbiter (LRO) della NASA e dalla missione SELENE Kaguya della JAXA. L’autore, Marco Campaniello, racconta come si sia avvicinato all’astrofotografia e come abbia iniziato a lavorare su questi modelli, utilizzando tecniche di rilievo già sperimentate per monitorare frane e alluvioni tramite droni.

Campaniello descrive il processo di modellazione, che consiste nel georeferenziare punti sulle immagini della Luna utilizzando il software QGIS, e nell’adattare tali immagini ai dati DEM. Le immagini ottenute grazie al telescopio e alla LRO vengono utilizzate per creare modelli precisi in 3D. L’autore sottolinea l’importanza di immagini ad alta definizione e di una corretta perpendicolarità rispetto alla superficie lunare per ottenere risultati accurati. Inoltre, viene spiegato come sia possibile effettuare misurazioni tecniche sui modelli 3D, come diametri e profondità dei crateri.

Campaniello illustra anche possibili applicazioni, tra cui la stampa 3D dei modelli per scopi didattici o per favorire l’accessibilità alle persone con disabilità. Infine, fornisce riferimenti a un canale YouTube e a un sito web dove sono raccolti e pubblicati i modelli 3D della superficie lunare.

Introduzione

Mi chiamo Marco Campaniello, ho 47 anni e vivo a Piazzola sul Brenta, in provincia di Padova. Diplomato come perito grafico, mi sono avvicinato all’astrofotografia da circa tre anni, concentrandomi sulle riprese planetarie con la mia strumentazione, un Maksutov MC 127/1500 e telecamere dedicate per la ripresa astronomica. Fin da bambino sono sempre stato attratto dallo studio del sistema solare, dalle dinamiche avvenute miliardi di anni fa che hanno dato origine al nostro sistema solare, al nostro pianeta e al suo satellite, la luna. Su quest’ultima ho sempre fantasticato su come sarebbe lassù, sorvolare i sui immensi crateri, Valli, Rime. Immaginare cosa si presentava agli occhi dei primi astronauti che hanno calpestato quel suolo alla fine degli anni 60 con le missioni Apollo…

Come e quando è iniziato questo progetto?

Da quasi un anno sto portando avanti questo progetto di modellazione 3d della superficie lunare, utilizzando sia foto riprese da terra, sia foto scattate dalla LRO, un orbiter destinato allo studio della luna il cui lancio è avvenuto dalla Air Force Station a Cape Canaveral, in Florida il 18 giugno 2009.
Tutto però è nato nel 2013, con alcune attività svolte con la protezione civile di cui facevo parte. Vi fu l’esigenza di effettuare dei rilievi fotografici su delle zone colpite da una alluvione, con diverse frane in atto. Installata una telecamera su un drone (non esisteva molto in commercio e ci si arrangiava con accrocchi vari), vennero effettuate una serie di foto e video per costruire un modello 3d, studiando poi gli interventi per la messa in sicurezza del territorio.
Da tutto questo lavoro è partita l’idea di adattare le stesse tecniche di modellazione terrestre per la superficie lunare. Un problema…, nel 2013 le strumentazioni di ripresa e di registrazione digitale non erano alla portata di tutti, dovuto sia ai costi elevati sia alla mancanza in commercio di telecamere dedicate. Con l’arrivo delle camere astronomiche è iniziato un processo digitale che oggi permette di ottenere immagini in alta risoluzione editabili a pc e adatte per questi scopi. Inoltre la possibilità di scaricare online immagini della LRO (Lunar Reconnaissance Orbiter), danno modo di ottenere immagini con una risoluzione prossima a 1 metro/pixel, e di conseguenza modelli 3d molto precisi. Con queste possibilità la strada si è aperta e i social hanno permesso più velocemente uno scambio di collaborazione tra astrofili di tutto il mondo, che con i loro mezzi mi mettono a disposizione immagini in alta risoluzione.

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Il desiderio di conoscenza e l’eredità scientifica di Bepi Colombo Franco Malerba e Umberto Guidoni a Science 4 All

L'installazione "Officina spaziale" a Palazzo del Bo
L'installazione "Officina spaziale" a Palazzo del Bo

Una lunga fila di accademici, studenti e appassionati si snoda nel Cortile Antico del Palazzo del Bo. Uno strano rumore di fondo riecheggia sotto il porticato: il suono sordo e vibrato dell’universo, trasmesso dagli altoparlanti. Il centro del cortile è occupato da un’ampia sfera di metallo, che nell’imbrunire si copre di freddi riflessi violacei. È un tethered satellite, ovvero così viene definito nei pannelli esplicativi un satellite al guinzaglio.

Per capire a chi sia venuta la curiosa idea di portare a spasso un satellite e quali implicazioni questo progetto abbia avuto, seguiamo la coda e raggiungiamo l’Aula Magna, dove due astronauti, Franco Malerba e Umberto Guidoni, illustreranno le loro esperienze con quella rotonda struttura d’acciaio.

Il modello ingegneristico del tethered satellite di Bepi Colombo
Il modello ingegneristico del tethered satellite di Bepi Colombo

L’evento “L’eredità scientifica di Bepi Colombo” si tiene in occasione di “Science 4 All – la festa delle scienze a Padova”, ed è organizzato dall’Università. A introdurre il dibattito nella sala degli stemmi è il professor Lorenzini, che traccia a grandi linee il ritratto di Giuseppe Colombo, detto Bepi: matematico, fisico, astronomo e ingegnere padovano. Visionario e anticipatore, Bepi ha compiuto studi pionieristici, contribuendo attivamente alla storia delle esplorazioni spaziali.

Nato a Padova nel 1920 e laureatosi nella città del Santo nel 1944, lo studioso ha collaborato con l’Harvard College Observatory, lo Smithsonian Astrophysical Observatory, il Massachusetts Institute of Technology, l’Agenzia Spaziale Italiana e il Jet Propulsion Laboratory della NASA, per la quale ha realizzato alcuni importanti progetti negli anni sessanta e settanta.

Bepi Colombo – nel ritratto che ne viene fatto – era uomo dedito alla ricerca scientifica per vocazione e non soltanto per ragioni professionali, ricco di inventiva e curioso per natura, in grado di cogliere nuovi spunti e nuove sfide e capace di inventare un altrettanto nuovo modo di intendere l’universo.

“Mi devo occupare di un gasdotto..” si racconta che abbia detto in un’occasione.

“Ma stiamo parlando di sonde che vanno nello spazio..” ha obiettato il suo interlocutore.

“Ma lo spazio è molto semplice, è la terra che è complicata!” ha risposto lui.

Bepi Colombo era dunque dell’avviso che lo spazio dovesse essere interpretato senza alcuna sovrastruttura mentale: che fosse necessario, innanzi tutto, concepire l’universo con una mente libera e aperta. Questo ha consentito allo studioso di sviluppare una serie di originali innovazioni.

Tra le più note, l’dea di sfruttare la propulsione gravitazionale (assist gravitazionale o effetto fionda) del pianeta Venere per effettuare molteplici sorvoli di Mercurio. Grazie ai calcoli di meccanica orbitale di Bepi Colombo, la sonda Mariner 10 ha compiuto infatti ben tre fly-by del piccolo corpo celeste nel 1974-75. Tale intuizione è stata oggetto di un encomio da parte del New York Times e risulta tutt’oggi una manovra sfruttata ampiamente nelle missioni spaziali.

Bepi Colombo aveva inoltre teorizzato l’utilizzo una grande vela capace di catturare il vento solare e di utilizzarlo come sistema propulsivo. Lo straordinario aquilone a energia rinnovabile, che oggi porta il nome di Advanced Composite Solar Sail System, è stato costruito di recente e si è librato nello spazio la scorsa estate.

Alla conferenza di Parigi – racconta ancora il professor Lorenzini – Bepi Colombo ha proposto la realizzazione di una stazione spaziale i cui moduli fossero costituiti dai serbatoi esausti dello Space Shuttle. Il progetto non si è concretizzato – o per lo meno non ancora – forse proprio per la sua estrema semplicità e lo scarso interesse economico che avrebbe generato nei potenziali investitori.

Il matematico ha partecipato inoltre alle indagini per il lancio della sonda Giotto, che nel 1986 – due anni dopo la sua morte – ha raggiunto la cometa di Halley. Il nome dello strumento, suggerito dallo stesso Colombo, è un omaggio alla Cappella degli Scrovegni, in cui appare la prima raffigurazione di una cometa nell’affresco dell’Adorazione dei Magi.

Ulteriori studi hanno riguardato un’altra sonda che avrebbe dovuto raggiungere il sole per poi disintegrarsi – “Una sonda kamikaze!” dice il professor Lorenzini – e i calcoli per la missione Galileo su Giove (anche in questo caso il nome del dispositivo è un tributo alla città di Padova).

Bepi Colombo, per la sua capacità di anticipare i tempi, ha stupito addirittura gli americani. “Generava un fiume di idee che partiva dal sistema solare e finiva con un’apparecchiatura in grado di arginare l’acqua alta di Venezia” ha detto una volta di lui Irwin I. Shapiro, astrofisico dell’Università di Harward.

L’invenzione più nota di Bepi Colombo tuttavia l’abbiamo ammirata proprio nel Cortile Antico, prima di entrare in Aula Magna: il tethered satellite. Un’idea concepita inizialmente dall’agenzia spaziale russa, e mai portata a compimento, prevedeva, nel modello del ricercatore padovano, un sistema elettrodinamico (il Tethered Satellite System, o TSS) che collegava un satellite allo Shuttle con un cavo di circa 20 km. Il dispositivo era da utilizzarsi per le rilevazioni atmosferiche ed è valso a Colombo la medaglia d’oro della NASA nel 1983.

L'installazione "Officina spaziale" a Palazzo del Bo
L’installazione “Officina spaziale” a Palazzo del Bo

A parlarci delle missioni in cui questo satellite a filo è stato utilizzato sono gli astronauti Franco Malerba e Umberto Guidoni, con i quali si apre una vivace tavola rotonda. A prendere la parola è il primo tra i due, allegro e concitato nel suo desiderio di raccontare: la voce dell’uomo ha toni di fiaba e lascia l’uditorio in un meraviglioso silenzio siderale.

Malerba, primo membro dell’ASI a compiere una missione spaziale, descrive la sua esperienza con il Tethered Satellite System nel corso della missione STS-46 del 1992. L’uomo descrive il gigantesco rocchetto alla base del sistema di collegamento: una bobina su cui erano avvolti i 20 km di cavo, la cui struttura era composta da filo con conduttore CU, calza Kevlar e isolante in Nomex.

Una sorta di cannone a bordo dello Shuttle – un diodo che emetteva elettroni – e il cavo del satellite costituivano un circuito in grado di chiudersi “non si sa come, spiraleggiando” – così racconta Malerba – nello spazio. Questo avrebbe permesso di produrre onde elettromagnetiche che gli scienziati sarebbero stati in grado di captare in una stazione alle isole Canarie. Il modello aveva visto la collaborazione dello scienziato padovano con l’ingegnere aerospaziale Mario Grossi, che sperava di trovare nel circuito un modo di sopperire alle difficoltà di comunicazione dei sottomarini. Tramite l’utilizzo di un’antenna in orbita geostazionaria, l’ingegnere aveva infatti ipotizzato di poter rendere più efficaci le trasmissioni radio sott’acqua.

La missione STS-46, tuttavia, non procede come sperato. Racconta Franco Malerba che la prima fase della procedura avviene senza intoppi: il satellite è sollevato su una torre che si innalza dalla stiva dello Shuttle e nella prima fase si ha quasi un lancio nominale della grossa sfera, ma a 256 metri il filo oscilla e si blocca. La situazione è delicata. A Cape Canaveral, il Mission Control Center sta valutando, all’insaputa degli astronauti, di chiedere loro di tagliare il filo. Sullo Space Shuttle Atlantis, nel frattempo, riescono a manovrarlo, ma nonostante i tentativi non è possibile portare a termine l’esperimento. A bordo la telescrivente stampa un messaggio che giungerà amaro agli occhi degli astronauti: il piano di volo è stato rivisto e la timeline di rientro sulla terra anticipata.

“Perché si è inceppato il filo?” chiede Malerba all’uditorio, sgranando gli occhi come deve aver fatto allora. “È stato l’albero a camme che ha creato problemi al tamburo. Naturalmente il Mission Control aveva più dati di noi,” continua Malerba “ma una volta rientrati abbiamo scoperto che la responsabilità era di chi aveva costruito il deployer”. Il fatto ha rischiato di causare un incidente diplomatico, a suo dire, quando gli americani hanno dovuto ammettere che la responsabilità del guasto era loro.

Franco Malerba, primo astronauta italiano nella missione STS-46 dello Space Shuttle Atlantis e Umberto Guidoni, Payload Specialist nella missione STS-75 alla fine della conferenza.
Franco Malerba, primo astronauta italiano nella missione STS-46 dello Space Shuttle Atlantis e Umberto Guidoni, Payload Specialist nella missione STS-75 alla fine della conferenza.

La missione di Umberto Guidoni, la STS-75, sullo Shuttle Columbia, ha avuto anch’essa un esito potenzialmente pericoloso. Per la seconda volta il sistema sembra funzionare alla perfezione: il portello della stiva si apre, la torre di dodici metri – “Dodici metri” precisa Guidoni “perché deve essere più alta della coda dello Shuttle” – si alza e sgancia la sfera.

“Il satellite – dice l’astronauta – viene azionato dapprima attivando dei piccoli razzi e soltanto in seguito il cavo viene rilasciato, in un primo momento molto lentamente e poi con maggiore velocità. A un chilometro dalla fine dell’operazione il filo si incurva, ed è a questo punto che succede il disastro”.

Sullo schermo del salone del Bo appare la fotografia del satellite che galleggia nel vuoto, con il cavo flesso. Umberto Guidoni non assiste alla rottura del filo, perché in quel momento sta dormendo: sono infatti due le squadre che si alternano nell’operazione, e la sua sta rispettando il turno di riposo.

“Il tether è rotto in zona boom,” ricorda Guidoni “dice di Jeffrey A. Hoffman. La situazione è rischiosa perché il cavo può cadere addosso allo Shuttle, così rischiosa che durante le esercitazioni ci eravamo preparati a togliere l’orbiter da sotto il filo rotto”.

La causa del problema, secondo Guidoni, è stata la scarsa considerazione di alcuni aspetti fondamentali: la presenza di una carica elettrica troppo elevata – 3500 volt – vicina allo Shuttle e di gas emessi dai propulsori della navetta. I due elementi, combinati con una frattura di piccole dimensioni nella guaina isolante del cavo hanno generato una scarica elettrica che lo ha tranciato.

Dapprima l’equipaggio sembrerebbe voler recuperare il satellite e il cavo perso, ma la manovra, difficilmente realizzabile, viene accantonata. Questa avventura, che è parte di una delle missioni più lunghe dello Space Shuttle, si conclude, nelle parole di Guidoni con un messaggio della telescrivente di bordo. Cape Canaveral, molti chilometri più in basso, invita l’equipaggio deluso a sorridere prima della diretta TV. “Please, smile!” è stampato sul rotolo della telescrivente, ma gli astronauti, inutile dirlo, hanno la luna. La scienza è fatta di prove ed errori e sulla strada che porta alle stelle spesso si arriva inciampando.

Malerba e Guidoni rispondono alle domande del pubblico, che li interroga sull’adattamento del corpo umano in assenza di gravità, sullo stress durante la missione, sulle emozioni che hanno provato guardando la terra dallo spazio. Malerba descrive le violente vibrazioni dello Shuttle in fase di decollo e l’amicizia e la coesione interculturale che sono nate a bordo; Guidoni parla dell’atterraggio e racconta di aver portato con sé il libro “Ascensore per il paradiso” di Arthur Clark, che rappresenta “un ponte tra la realtà e la fantasia”.

“Mi dispiace se mie domande divagano dal tema principale,” interviene uno dei presenti “ma non ho mai parlato con qualcuno che ha visto lo spazio più vicino di quanto lo abbia visto io.” Ci si dilunga ormai, in molti chiedono il microfono e i relatori stanno perdendo l’ennesimo filo: quello del discorso. Tutti parlano di tutto e hanno mille quesiti da porre. Poco male se non si parla più di lui, a Bepi Colombo sarebbe piaciuto.

 

Mondi Alieni: Barnard b e la sua stella madre

La ricerca di sistemi planetari che orbitano attorno ad altre stelle ha una lunga storia.

Un tempo la scoperta di ogni singolo “mondo alieno” faceva notizia, oggi il pianeta deve avere qualcosa di speciale: il più abitabile, il più vicino. Le attività di ricerca si focalizzano sempre di più sulla caratterizzazione degli esopianeti, spesso con lo scopo identificare quelli con proprietà fisiche adatte alla vita.

I “mondi alieni” che orbitano attorno a stelle nane M potrebbero rappresentare obiettivi promettenti per scoprire pianeti abitabili.

Credit: Marc Dantonio

La stella Barnard una brava madre ma non troppo

La stella di Barnard (o semplicemente Barnard), studiata già dalla fine del 1800, è una stella debole e vecchia, invisibile all’occhio umano, ma con un telescopio e un’attenta osservazione è possibile vederla muoversi nel cosmo perché ha uno dei moti propri più alti di qualsiasi stella conosciuta battendo la Stella di Kapteyn, catalogata nel 1898. La bassa temperatura interna di Barnard e il conseguente debole tasso di generazione di energia le permetteranno una vita incredibilmente lunga.

Sebbene sia una stella vecchia, Barnard sperimenta ancora eventi dinamici di attività stellare che potrebbero avere implicazioni per qualsiasi pianeta orbitante nella zona abitabile della stella. Nel 1998, un team di astronomi del Goddard Space Flight Center della NASA ha osservato la stella con uno spettrografo ad alta risoluzione rilevando un intenso brillamento stellare. Di solito le vecchie nane rosse tendono a essere quiete e le esplosioni così intense sono piuttosto rare. Un altro aspetto interessante di questa stella è l’interesse che ha suscitato per i primi pionieri dei viaggi interstellari: ad esempio, la Barnard era l’obiettivo del Progetto Dedalus, uno studio del 1978 della British Interplanetari Society per raggiungere con una sonda interstellare la stella in circa 50 anni. Un concetto di astronave altamente sviluppato che potrebbe ancora rivelarsi il modello per i futuri viaggi interstellari!

Bernard b, un mondo rovente

Ora gli astronomi hanno scoperto un esopianeta che orbita attorno a Barnard. Sono state eseguite misure di velocità radiale della stella di Barnard con lo strumento ESPRESSO (Echelle SPectrograph for Rocky Exoplanet and Stable Spectroscopic Observations), il successore dello spettrografo HARPS, in grado di estrarre l’oscillazione indotta nella stella da un pianeta, e sono stati rilevati vari segnali, di cui uno con periodicità di circa 3 giorni è stato reputato essere dovuto a un pianeta con una massa minima di circa 0.4 masse terrestri.

Come ci spiega Luigi Mancini, professore di Astronomia e Astrofisica presso l’Università di Roma “Tor Vergata”:

“La tecnica usata è quella delle velocità radiali e consiste nel misurare la velocità della stella proiettata lungo la linea di vista, osservando lo spostamento delle righe spettrali per effetto Doppler. È la seconda tecnica che ha rilevato più pianeti. Questa tecnica la usava Hubble per misurare la distanza delle galassie negli anni ’20 del secolo scorso. La si usa dagli anni ’90 per la ricerca dei pianeti extrasolari grazie a spettrografi più performanti che permettevano di avere una precisione delle decine di m/s. Ora, con Espresso, siamo scesi sotto a 1 m/s.”

“Una scoperta importante che mette in rilievo come i pianeti di piccola taglia, anche sub-terrestre, possano essere scoperti avendo a disposizione telescopi di classe large e strumenti di altissima precisione come ESPRESSO.”

Rappresentazione artistica di Barnard b – Credit: ESO/M. Kornmesser

Barnard b e la vita

Purtroppo questo mondo alieno è troppo caldo per essere abitabile secondo gli standard terrestri (la temperatura media sulla superficie è di 125 gradi Celsius). Infatti, non si trova nella zona abitabile ma in un’orbita ravvicinata con la sua stella a soli 3 milioni di chilometri di distanza. Questo rende impossibile la formazione di acqua liquida in superficie e della vita così come la conosciamo. Tuttavia, il pianeta potrebbe offrire condizioni non impossibili per la vita nel sottosuolo oppure sul suo emisfero non illuminato: infatti il pianeta rivolge sempre la stessa faccia alla sua stella, come fa la Luna con la Terra. Chissà che questo mondo alieno e vicino non riservi sorprese nelle future indagini astronomiche.

Gli astronomi continueranno a cercare.

Euclid svela il primo tassello della grande mappa dell’Universo

La prima parte della mappa, un enorme mosaico da 208 gigapixel, è stata svelata oggi al Congresso Astronautico Internazionale di Milano dal Direttore Generale dell’ESA Josef Aschbacher e dalla Direttrice Scientifica Carole Mundell

 

Il mosaico contiene 260 osservazioni effettuate tra il 25 marzo e l’8 aprile 2024. In sole due settimane, Euclide ha coperto 132 gradi quadrati del cielo australe con dettagli incontaminati, più di 500 volte l’area della Luna piena.

La spiegazione del mosaico di Euclid
La spiegazione del mosaico di Euclid. Crediti ESA

Si tratta dell’1% dell’ampia indagine che Euclid svolgerà in sei anni, osservando le forme, le distanze e i movimenti di miliardi di galassie fino a 10 miliardi di anni luce di distanza. L’obiettivo e creare la più grande mappa cosmica 3D mai realizzata.

Il tassello reso pubblico oggi montato sulle rilevazioni GAIA e su mappa del Planck project
Il tassello reso pubblico oggi montato sulle rilevazioni GAIA e su mappa del Planck project. Crediti ESA

Il lembo contiene circa 100 milioni di fonti: stelle nella nostra Via Lattea ma anche molte galassie lontane. Circa 14 milioni delle quali potrebbero essere utilizzate per studiare l’influenza nascosta della materia oscura e dell’energia oscura sull’Universo.

“Questa straordinaria immagine è il primo pezzo di una mappa che in sei anni rivelerà più di un terzo del cielo. Si tratta solo dell’1% della mappa, eppure è piena di una varietà di fonti che aiuteranno gli scienziati a scoprire nuovi modi per descrivere l’Universo”, afferma Valeria Pettorino, Euclid Project Scientist presso l’ESA.

Le telecamere sensibili  del telescopio hanno catturato un numero incredibile di oggetti in grande dettaglio. Zoomando molto in profondità nel mosaico (questa immagine è ingrandita 600 volte rispetto alla vista completa), si riesce a vedere chiaramente la struttura intricata di una galassia a spirale.

Una caratteristica speciale visibile nel mosaico sono le nubi fioche tra le stelle nella nostra galassia, che appaiono in azzurro chiaro sullo sfondo nero dello spazio. Sono un mix di gas e polvere, chiamate anche “cirri galattici” perché sembrano nubi cirri . Euclid è in grado di vedere queste nubi con la sua telecamera super sensibile alla luce visibile perché esse riflettono la luce ottica della Via Lattea. Le nubi brillano anche nella luce infrarossa lontana, come a sua volta visto dalla missione Planck dell’ESA.

Il mosaico rilasciato oggi è un’anticipazione di ciò che verrà dalla missione Euclid. Da quando la missione ha iniziato le sue osservazioni scientifiche di routine a febbraio è stato completato il 12% dello scandaglio. Il rilascio del blocco corposo dei primi 53 gradi quadrati della scansione, inclusa un’anteprima delle aree di Euclid Deep Field, è previsto per marzo 2025. Il primo anno di dati cosmologici della missione sarà rilasciato alla comunità nel 2026. Restiamo quindi in strepitante attesa!

Un dettaglio dello stand ESA allo IAC. Crediti Coelum
Un dettaglio dello stand ESA allo IAC. Crediti Coelum

Fonte ESA

 

ASTROSHOW 2024 – Fiera dell’Astronomia

Il mondo dell’astronomia si prepara a un nuovo ed entusiasmante appuntamento: il 2 e 3 novembre 2024, Cesena ospiterà la seconda edizione di Astroshow, un evento pensato per tutti coloro che condividono la passione per l’universo e desiderano esplorare le meraviglie del cosmo. L’iniziativa, nata nel 2023 con l’obiettivo di creare un momento di incontro annuale per appassionati di astronomia, scuole e curiosi, si ripropone quest’anno con un programma ancora più ricco, rafforzato dal successo della prima edizione. Il fascino dell’astronomia non è mai stato così accessibile, grazie anche al contributo fondamentale degli astronomi amatoriali.

Questi appassionati svolgono un ruolo essenziale nel campo dell’astronomia moderna, apportando contributi significativi agli studi scientifici e alla comprensione di fenomeni celesti complessi. Ma la loro funzione va oltre la scoperta scientifica: sono anche attivi divulgatori, portatori di una conoscenza che affascina e coinvolge le nuove generazioni, stimolando l’interesse per il cielo e per le sue infinite possibilità.

Astroshow nasce proprio con l’intento di rispondere a queste esigenze di condivisione e aggiornamento. Oltre a essere un’opportunità per gli astronomi amatoriali di incontrarsi e scambiarsi idee ed esperienze, l’evento è anche una vetrina per le ultime novità tecnologiche in campo astronomico. Ogni anno, infatti, vengono presentate nuove soluzioni e strumenti sempre più avanzati, pensati per migliorare l’osservazione del cielo e rendere l’astronomia alla portata di tutti.

L’edizione 2024 sarà l’occasione perfetta per scoprire i prodotti più innovativi e confrontarsi con esperti e aziende del settore. Quest’anno, tra i numerosi espositori, troveremo alcune delle più importanti aziende italiane che operano nel settore astronomico. Tra queste spiccano nomi di primo piano come Auriga, Skypoint, Unitron, Tecnosky, Artesky, Astroottica e Geoptik, leader nella produzione e commercializzazione di articoli astronomici. Ogni azienda porterà una selezione delle sue migliori novità, dagli strumenti più sofisticati per l’osservazione e la fotografia del cielo fino agli accessori essenziali per chi vuole iniziare a esplorare l’universo. Saranno disponibili telescopi, montature, camere astronomiche e numerosi altri articoli che renderanno l’esperienza dell’osservazione ancora più affascinante e accurata. Ma Astroshow non è solo una fiera di prodotti astronomici.

Sarà anche un’occasione per entrare in contatto con alcune delle associazioni italiane più attive nel mondo dell’astronomia amatoriale. Tra le associazioni partecipanti, figurano Astro Amici Forlivesi, Astrofili Rheyta A.P.S. di Ravenna, Associazione Deeplab ETS di Bologna, N.A.S.A. Associazione Astrofili di Senigallia, Associazione Astrofili Bolognesi, Astrofili Saludecio di Rimini e Associazione Astrofili Forca Canapine, che animeranno l’evento con attività di divulgazione e workshop dedicati a chi desidera avvicinarsi all’osservazione del cielo. Queste associazioni rappresentano il cuore pulsante della passione astronomica in Italia, offrendo un supporto fondamentale a chiunque voglia approfondire la conoscenza dell’universo.

Un’attenzione particolare sarà riservata ai più giovani, grazie alla presenza di un planetario che sarà operativo per tutta la durata della fiera. Il planetario offrirà spettacoli immersivi dedicati all’esplorazione del sistema solare e delle galassie lontane, rendendo la scienza astronomica più accessibile e divertente. Sarà un momento magico per i bambini, che potranno vivere un’esperienza unica e interattiva, immergendosi nelle meraviglie dell’universo in un contesto educativo e allo stesso tempo coinvolgente. Parallelamente, ci saranno numerosi momenti di divulgazione e approfondimento, con conferenze e incontri che tratteranno temi di grande interesse per il pubblico, dai misteri del cosmo alle tecnologie di osservazione più avanzate. Saranno presenti esperti del settore che condivideranno le loro conoscenze e ricerche, fornendo spunti per un dibattito stimolante e approfondito.

Con onore siamo lieti di anticipare anche l’intervento del Presidente dell’Istituto Nazionale di Astrofisica Roberto Ragazzoni. Per chi è alle prime armi, questo sarà un modo per entrare in contatto con il mondo dell’astronomia, mentre per i più esperti sarà l’occasione di scoprire nuove metodologie e tecniche. L’evento avrà una risonanza significativa anche grazie alla partecipazione di importanti riviste specializzate fra cui Coelum, che offriranno copertura mediatica all’evento, raccontando i momenti più salienti e offrendo interviste esclusive con gli espositori e i protagonisti della fiera. La loro presenza contribuirà a rafforzare la visibilità dell’evento, consolidandolo come uno degli appuntamenti di riferimento nel panorama astronomico italiano.

Con un’offerta così variegata, Astroshow 2024 rappresenta una straordinaria opportunità per tutti gli appassionati di astronomia, per le famiglie e per chiunque voglia avvicinarsi al mondo dell’osservazione del cielo. Un fine settimana all’insegna della scoperta, del divertimento e della condivisione, dove sarà possibile conoscere nuove persone, scambiare opinioni e immergersi nel meraviglioso mondo dell’astronomia.

Perchè partecipare alla fiera?

Una fiera è l’occasione giusta per conoscersi di persona e scambiare due chiacchiere su temi che accomunano visitatori ed espositori. E’ un modo per riconoscersi, per creare dei legami, per abbattere i muri della comunicazione digitale aggiungendo un volto ed un sorriso alle presentazioni.

Perché passare allo stand di COELUM?

TRE buoni motivi per passare da COELUM:

  1. Presso lo stand di Coelum si potranno sottoscrivere gli abbonamenti annuali alla versione cartacea  fruttando le offerte in corso. Sarà possibile acquistare il numero in corso, il 270 di Coelum Astronomia
  2. La direttrice ed alcuni membri dello staff saranno a disposizione per i lettori.
  3. Aggiungendo un like ai canali social di COELUM o lasciando l’indirizzo email per la Newsletter in omaggio verrà consegnato un poster a tema astronomico su carta lucida 50×70 (la disponibilità è limitata ad esaurimento scorte).

INOLTRE

In collaborazione con Latitude 44.5 presso lo stand di Coelum saranno programmate delle interviste ai protagonisti del mondo amatoriale e professionale. Le interviste, trasmesse in diretta sui canali social di Coelum e Latitude 44.5, potranno essere seguite in presenza grazie all’allestimento di un piccolo spazio conferenze con sedute. A breve pubblicheremo il programma.

Omaggi e gadget gratuiti a quanti interverranno.

Orario e costo:

L’Astroshow sarà aperto in entrambi i giorni della manifestazione dalle 9.30 alle 19.30; il biglietto di ingresso costa 10,00 € (i parcheggi sono gratuiti).

Come arrivare:

La fiera di Cesena a Piazzale Vanoni E. 100 – 47522 Pievesestina di Cesena (FC) è facilmente accessibile da diverse direzioni.

Galleria Anteprima IAC Milano 2024

Benvenuti nella nostra galleria fotografica dedicata all’edizione milanese dello IAC 2024. In questa selezione di scatti di anteprima, potrete esplorare gli stand dei principali enti spaziali del mondo, che hanno portato le loro più recenti innovazioni e tecnologie all’attenzione del pubblico internazionale. Troverete anche alcune delle aziende italiane più dinamiche e interessanti, che stanno contribuendo con soluzioni all’avanguardia al settore aerospaziale. Un viaggio visivo tra tecnologia, innovazione e il futuro dello spazio.


In Coelum 271 (prossimo numero) il report completo con gli scatti e le interviste ai protagonisti.

AGGIORNAMENTO: Europa Clipper in viaggio verso Giove

Europa Clipper verso Giove
Lanciata la sonda Europa Clipper in direzione di Giove

La missione Europa Clipper della NASA è stata lanciata con successo il 14 ottobre 2024 alle 12:10 PDT (Pacific Daylight Time) dal Kennedy Space Center in Florida. Il razzo utilizzato per il lancio è stato un Falcon Heavy di SpaceX.

Il lancio, previsto per il 10 ottobre, era stato rinviato il 7 ottobre a causa dell’uragano Milton (leggi gli aggiornamenti in coda a questo stesso articolo). Il team è riuscito a tempo di record a individuare una nuova finestra di lancio e predisporre tutto il necessario per l’operazione.

Circa cinque minuti dopo il decollo, il secondo stadio del razzo si è acceso e la carenatura del carico utile, o il cono anteriore del razzo, si è aperta per rivelare Europa Clipper. Circa un’ora dopo il lancio, la navicella spaziale si è separata dal razzo. I controllori di terra hanno ricevuto un segnale poco dopo e alle 13:13 è stata stabilita una comunicazione bidirezionale con la struttura Deep Space Network della NASA a Canberra, in Australia. I primi rapporti di telemetria hanno mostrato che Europa Clipper è in buona salute e funziona come previsto.

La missione esplorerà la luna Europa di Giove, con l’obiettivo di raccogliere dati sull’oceano nascosto sotto la superficie ghiacciata e studiare le potenziali condizioni per la vita. Maggiori dettagli sono disponibili sul sito della [NASA JPL]

Il video del lancio

Articolo completo NASA

Aggiornamento del 7 ottobre: Europa Clipper lancio RINVIATO

Con un comunicato congiunto a NASA e SpaceX hanno annunciato di aver sospeso il tentativo di lancio di giovedì 10 ottobre della missione Europa Clipper dell’agenzia a causa delle condizioni di uragano previste nella zona. Si prevede che l’uragano Milton si sposterà dal Golfo del Messico questa settimana, dirigendosi verso est verso la Space Coast. Sono previsti forti venti e forti piogge nelle regioni di Cape Canaveral e Merritt Island sulla costa orientale della Florida. I team di lancio hanno messo al sicuro la navicella nell’hangar di SpaceX presso il Launch Complex 39A del Kennedy Space Center dell’agenzia in Florida prima delle condizioni meteorologiche avverse, e il centro ha iniziato i preparativi per l’uragano domenica.

“La sicurezza del personale del team di lancio è la nostra massima priorità e saranno prese tutte le precauzioni per proteggere la navicella spaziale Europa Clipper”, ha affermato Tim Dunn, direttore senior del lancio presso il Launch Services Program della NASA.

Una volta conclusa l’emergenza il team di lancio valuterà la nuova finestra utile per il lancio.

EUROPA CLIPPER lancio il 10 Ottobre: il programma della giornata

Confermato il tentativo di lancio della sonda Europa Clipper per giovedì 10 Ottobre alle 12:31 pm EDT (alle 18:31 ora locale italiana UTC+02), su un razzo SpaceX Falcon Heavy dal Launch Complex 39A presso il Kennedy Space Center della NASA in Florida.

La NASA fornirà la copertura in diretta delle attività di pre-lancio e lancio per Europa Clipper, la missione dell’agenzia per esplorare la luna ghiacciata di Giove Europa.

Oltre alla Terra, la luna di Giove Europa è considerata uno degli ambienti potenzialmente abitabili più promettenti del Sistema Solare. Dopo un viaggio di circa 2,8 miliardi di km, Europa Clipper entrerà in orbita attorno a Giove nell’aprile 2030, dove la sonda condurrà un’indagine dettagliata di Europa per determinare l’esistenza delle condizioni adatte alla vita. Europa Clipper è la più grande sonda spaziale planetario che la NASA abbia mai sviluppato. Trasporterà ben nove strumenti insieme a un esperimento sulla gravità che esaminerà l’oceano sotto la superficie, nel quale dovrebbe trovarsi il doppio dell’acqua liquida degli oceani della Terra.

La copertura della missione della NASA inizia ben due giorni prima, l’8 ottobre e prosegue fino al lancio. Come sempre in questi casi il programma può subire variazioni in base all’andamento delle operazioni.

Martedì 8 ottobre

15:30 EDT (21:30 UTC+02) – Briefing scientifico della sonda Europa Clipper della NASA con i seguenti partecipanti:

  • Gina DiBraccio, direttore ad interim, Planetary Science Division, NASA Headquarters
  • Robert Pappalardo, scienziato del progetto Europa Clipper, Jet Propulsion Laboratory della NASA
  • Haje Korth, vice scienziato del progetto, Europa Clipper, Applied Physics Laboratory (APL)
  • Cynthia Phillips, scienziata dello staff del progetto, Europa Clipper, NASA JPL

La copertura della conferenza stampa scientifica sarà trasmessa in diretta su NASA+ e sul sito web dell’agenzia . Scopri come trasmettere in streaming i contenuti della NASA attraverso diverse piattaforme, compresi i social media.

Mercoledì 9 ottobre

14:00 EDT (20:30 UTC+02) – NASA Social panel presso la NASA Kennedy con i seguenti partecipanti:

  • Kate Calvin, scienziata capo e consulente senior per il clima, sede centrale della NASA
  • Caley Burke, analista di progettazione di volo, programma di servizi di lancio della NASA
  • Erin Leonard, scienziata dello staff del progetto, Europa Clipper, NASA JPL
  • Juan Pablo León, ingegnere di test dei sistemi, Europa Clipper, NASA JPL
  • Elizabeth Turtle, ricercatrice principale, strumento Europa Imaging System, Europa Clipper, APL

Il panel sarà trasmesso in streaming live sugli account YouTube , X e Facebook della NASA Kennedy . I membri del pubblico possono porre domande online pubblicando sui live streaming di YouTube, X e Facebook o utilizzando #AskNASA.

15:30 EDT (21:30 UTC+02) – Conferenza stampa pre-lancio dell’Europa Clipper della NASA (al termine della Launch Readiness Review), con i seguenti partecipanti:

  • Amministratore associato della NASA Jim Free
  • Sandra Connelly, vice amministratore associato, Science Mission Directorate, sede centrale della NASA
  • Tim Dunn, direttore del lancio, Launch Services Program della NASA
  • Julianna Scheiman, direttore, missioni scientifiche della NASA, SpaceX
  • Jordan Evans, responsabile del progetto Europa Clipper, NASA JPL
  • Mike McAleenan, ufficiale meteorologo di lancio, 45th Weather Squadron, US Space Force

La conferenza stampa pre-lancio verrà trasmessa in diretta streaming su NASA+ , sul sito web dell’agenzia , sull’app NASA e su YouTube .

17:30 EDT (23:30 UTC+02) – Spettacolo di lancio dell’Europa Clipper della NASA. La copertura sarà trasmessa in diretta su NASA+ , sul sito web dell’agenzia , sull’app NASA e su YouTube .

Giovedì 10 ottobre

11:30 EDT (17:30 UTC+02) – Inizia la copertura in inglese del lancio della NASA su NASA+ e sul sito web dell’agenzia .

11:30 EDT (17:30 UTC+02) – Inizia la copertura del lancio della NASA in spagnolo su NASA+, sul sito web dell’agenzia e sul canale YouTube spagnolo della NASA .

12:31 pm EDT (18:30 UTC+02) – Lancio

Copertura video in diretta prima del lancio

La NASA fornirà un feed video in diretta del Launch Complex 39A circa 18 ore prima del decollo pianificato della missione sul canale YouTube della NASA Kennedy Newsroom . Il feed non verrà interrotto fino all’inizio della trasmissione del lancio su NASA+ .

Copertura del lancio del sito Web della NASA

La copertura della missione il giorno del lancio sarà disponibile sul sito web dell’agenzia . La copertura includerà link allo streaming live e aggiornamenti del blog a partire non prima delle 10:00 del 10 ottobre, quando si verificheranno le pietre miliari del conto alla rovescia. Video e foto in streaming on-demand del lancio saranno disponibili poco dopo il decollo.

Segui la copertura del conto alla rovescia sul blog Europa Clipper .

Partecipa virtualmente al lancio

I membri del pubblico possono registrarsi per partecipare virtualmente a questo lancio. Il programma virtuale per gli ospiti della NASA per questa missione include anche risorse di lancio curate, notifiche su opportunità o cambiamenti correlati e un timbro per il passaporto virtuale per gli ospiti della NASA dopo il lancio.

Per il programma degli eventi live e le piattaforme su cui verranno trasmessi in streaming, visita:

https://go.nasa.gov/europaclipperlive

Per maggiori informazioni sulla missione, visita:

https://science.nasa.gov/mission/europa-clipper/

La Filosofia è Scienza: incontro al Cicap Fest

Nello scatto una splendida veduta della Sala

Al Cicap Fest di quest’anno, a Padova, tra gli eventi più seguiti spicca l’intervento di Filippo Onoranti e Molisella Lattanzi, rispettivamente autore e direttrice editoriale di Coelum Astronomia, che ha offerto una riflessione profonda sul legame indissolubile tra filosofia e scienza. Durante il dialogo, tenuto nella splendida cornice della sala consiliare del Palazzo Santo Stefano, sede della provincia di Padova, Onoranti ha provocatoriamente suggerito che non si dovrebbe parlare di “filosofia e scienza”, ma piuttosto di “filosofia è scienza”, sottolineando l’idea che queste due discipline non siano separabili, ma siano anzi due facce della stessa medaglia.

Una veduta della sala del consiglio di Palazzo Santo Stefano prima dell’inizio dell’evento.

I due relatori hanno affrontato temi centrali per esplorare questo connubio, tra cui il concetto di verità, descritto come un “bias collettivo molto funzionale”. Questa visione, lontana dall’idea di verità assoluta, è stata presentata come un filtro attraverso cui l’umanità costruisce la propria comprensione del mondo, utilizzando concetti e teorie per creare una realtà condivisa e praticabile, pur rimanendo consapevoli dei limiti della conoscenza umana. In questo contesto, sia la scienza che la filosofia vengono viste come strumenti fondamentali per esplorare e ridefinire costantemente questa “verità operativa”.

Un altro tema centrale del dibattito è stato il concetto di “nulla”, affrontato sia da una prospettiva scientifica che filosofica. Mentre la scienza tenta di definire il nulla attraverso l’assenza di materia o energia, la filosofia cerca di esplorarne i significati esistenziali e concettuali, sollevando interrogativi profondi sulla natura dell’esistenza e del vuoto. Questo tema, sebbene astratto, ha stimolato un confronto interessante su come entrambe le discipline, pur partendo da approcci diversi, cerchino risposte a domande fondamentali sulla realtà.

L’evento ha attratto una folta rappresentanza di insegnanti, molti dei quali erano alla ricerca di spunti per avvicinare i giovani alla filosofia attraverso il dialogo con la scienza. In particolare, gli insegnanti hanno mostrato interesse verso l’idea di utilizzare il pensiero scientifico come strumento per rendere la filosofia più accessibile e stimolante per gli studenti. Anche diversi appassionati di scienza erano presenti, affascinati dall’opportunità di esplorare nuove connessioni tra queste discipline apparentemente distinte ma profondamente interconnesse.

L’intervento di Onoranti e Lattanzi ha offerto un’importante riflessione sulla necessità di abbattere le barriere tra le materie umanistiche e scientifiche, promuovendo una visione integrata della conoscenza che può arricchire sia l’insegnamento che il dibattito culturale.

Il Cicap Fest è uno degli eventi più importanti in Italia dedicati alla divulgazione scientifica e al pensiero critico. Organizzato dal Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sulle Pseudoscienze (CICAP), il festival si tiene annualmente a Padova e riunisce scienziati, filosofi, divulgatori e giornalisti per affrontare temi di grande attualità legati alla scienza, alla razionalità e al contrasto delle pseudoscienze. Attraverso conferenze, dibattiti e laboratori interattivi, il Cicap Fest si pone l’obiettivo di promuovere il pensiero critico, l’educazione scientifica e la diffusione della cultura del dubbio.

Vedi il programma dell’edizione 2024 QUI

Aurore boreali: ieri, oggi … e non solo !

Aurora a ventaglio descritta e disegnata dalla città di Kioto in Giappone nel 1770
Aurora a ventaglio descritta e disegnata dalla città di Kioto in Giappone nel 1770

Nel 2022 tra i comuni di Assisi e Bastia, paesi della regione Umbria, è stato oggetto di studio un manoscritto del XVIII secolo. Come non di rado accade, le scoperte significative, grandi o piccole che siano, avvengono per una straordinaria concomitanza di fattori, che in un momento ed un luogo precisi emergono inaspettati in maniera di assegnare a buon diritto l’etichetta di “scoperte per caso”.

In realtà qui il caso non è il protagonista o almeno nel limite in cui uno studioso di storia territoriale, sia anche un fisico che ha lavorato in astronomia.

Difficile che si coniughino due settori così distanti, ma può accadere; si pensi alle cattedre universitarie di storia della scienza.

Fig.1 - Frontespizio del Diario di Don Pietro Lari – Costano 1756-1784
Fig.1 – Frontespizio del Diario di Don Pietro Lari – Costano 1756-1784

L’antico manoscritto in oggetto è il Diario di Don Pietro Lari da Camajore (figura 1), Parroco di Costano, un paese tra Bastia ed Assisi che ha visto il martirio di San Rufino Vescovo di Assisi, morto tra il 238-239 per mano del Proconsole Aspasio, che lo fece gettare nel Fiume Chiascio con una macina al collo, dopo averlo torturato.

Il Diario di Don Pietro Lari, conservato presso l’Archivio Diocesano di Assisi, annota le vicende più rimarchevoli avvenute in loco tra il 1756 ed il 1784.

Tra queste ve ne sono due che saltano all’occhio dell’astrofisico-storico.

La prima è la descrizione manoscritta di una delle comete di Charles Messier, il quale la scoprì l’8 Agosto del 1769 nell’Ariete.

La cometa, che tanto piaceva ai sostenitori di Napoleone Bonaparte nato  il 15 Agosto 1769, ribattezzò addirittura l’anno in oggetto, che diventò per i francesi “L’anno della stella”, col chiaro intento di dare un senso mistico alla nascita del futuro imperatore.

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Uragani: comprenderli con il programma OPAL

Otto immagini di Hubble che mostrano la Grande Macchia Rossa di Giove. La GRS appare come un ovale rosso brillante al centro di bande di nubi color crema. Le immagini tracciano i cambiamenti nelle dimensioni, nella forma, nella luminosità, nel colore e nella torsione della GRS, in un periodo di 90 giorni tra dicembre 2023 e marzo 2024.

Il Programma Outer Planet Atmospheres Legacy (OPAL) è un’iniziativa della NASA che ha lo scopo di monitorare e studiare a lungo termine le atmosfere dei pianeti giganti del Sistema Solare: Giove, Saturno, Urano e Nettuno. Lanciato nel 2014, OPAL utilizza il telescopio spaziale Hubble per raccogliere immagini ad alta risoluzione di questi pianeti su base regolare. Questa attività fornisce una preziosa banca dati che permette agli scienziati di comprendere le dinamiche atmosferiche dei pianeti giganti e i cambiamenti che avvengono nel tempo.

Lo scopo principale di OPAL è creare un archivio di osservazioni a lungo termine, che consenta di rilevare e analizzare fenomeni atmosferici come tempeste, variazioni nei sistemi di nubi e cambiamenti nei venti planetari. Grazie a questo approccio continuativo, OPAL fornisce una visione globale delle evoluzioni atmosferiche che sarebbe impossibile ottenere con osservazioni a breve termine o missioni spaziali occasionali. Questo programma permette anche di identificare eventi rari o transitori, come grandi tempeste o formazioni di vortici.

Nell’ambito di questa ricerca si colloca anche le ultime immagini arrivate dal team Hubble dedicate alla Grande Macchia Rossa GRS.

Le nuove osservazioni di Hubble sulla famosa tempesta rossa, raccolte in 90 giorni tra dicembre 2023 e marzo 2024, rivelano che la GRS non è stabile come potrebbe sembrare anzi la GRS che ondeggia come una ciotola di gelatina.

Il video mostra le immagini del movimento combinate in un time-lapse

“Sebbene sapessimo che il suo moto varia leggermente in longitudine, non ci aspettavamo di vedere oscillare anche le dimensioni.” ha affermato Amy Simon del Goddard Space Flight Center della NASA a Greenbelt, nel Maryland. “Questa è davvero la prima volta che abbiamo avuto la giusta cadenza di imaging del GRS. Con l’alta risoluzione di Hubble possiamo dire che la GRS pulsare mentre si muove a diverse velocità. È un effetto inaspettato e al momento non ci sono spiegazioni idrodinamiche”.

otto immagini del pianeta gigante Giove che abbracciano circa 90 giorni tra dicembre 2023 e marzo 2024. Il pianeta appare a strisce, con bande orizzontali di nuvole marroni e bianche. Queste strisce sono chiamate cinture (aria discendente) e fasce (aria ascendente). Le regioni polari appaiono più screziate.
otto immagini del pianeta gigante Giove che abbracciano circa 90 giorni tra dicembre 2023 e marzo 2024. Il pianeta appare a strisce, con bande orizzontali di nuvole marroni e bianche. Queste strisce sono chiamate cinture (aria discendente) e fasce (aria ascendente). Le regioni polari appaiono più screziate.

Comprendere i meccanismi delle tempeste più grandi del Sistema Solare inserisce la teoria degli uragani sulla Terra in un contesto cosmico più ampio, che potrebbe chiarire ancora aspetti irrisolti della dinamica ed essere applicato per capire anche la meteorologia sui pianeti attorno ad altre stelle.

Per approfondire: https://esawebb.org/news/weic2324/

Verità e altre umili amenità

Indice dei contenuti

ABSTRACT

L’articolo intitolato “Verità e altre umili amenità” esplora il concetto di verità partendo dall’idea che siamo animali con bisogni concreti e storici, pertanto anche la verità assume una dimensione storica. L’autore confronta due principali scuole filosofiche: il realismo, che considera la verità un assoluto, e il nominalismo, che invece nega il significato del termine. La scienza, fortemente radicata nel realismo, cerca di tradurre la complessità del mondo in modelli comprensibili attraverso la matematica. Tuttavia, l’assolutismo della verità può portare a pericoli morali e sociali, come dimostrato nella storia.

Il nominalismo, pur negando la verità assoluta, è visto come un antidoto contro l’arroganza intellettuale e politica. L’autore conclude che la verità è uno strumento utile per comprendere la realtà e comunicare tra di noi, pur riconoscendo che essa è incompleta e storicamente determinata. La ricerca della verità, dunque, non riguarda l’assoluto, ma procedure che ci avvicinano ad essa, come accade nella scienza, la quale evolve nel tempo migliorando le sue approssimazioni della realtà.

La Verità

Siamo animali. Questo è vero; questo è un fatto; dimenticarlo quindi è un errore. O meglio, ragionare senza tenere in considerazione questo fatto (vero) è un errore…

Questa evidente – ma non ovvia – considerazione sarà la guida del ragionamento che tenteremo di svolgere da qui in poi.

Per il fatto che siamo animali, che abbiamo esigenze, bisogni di ordine squisitamente pratico, concreto e proprio per questo persino (anche se non solamente) la “verità” è per noi un qualcosa di profondamente storico. Radicato per così dire nella nostra coscienza; a mezza via tra abitudine e memoria, tra istinto e apprendimento.

Tale giudizio circa la storicità della verità, farebbe rabbrividire una buona parte dei – cosiddetti – filosofi. Che in buona sostanza si dividono, volendo semplificare una diatriba millenaria, in due grandi scuole: quelli che pensano alla verità come ad un assoluto, che la scrivono con la “V” rigorosamente maiuscola e che – nel corso della storia di cui sopra – ne hanno fatto anche uno dei nomi del Dio del monoteismo; possiamo ricondurre questa visione teoretica sotto l’etichetta di realismo. Sull’altro fronte, quelli che irridono la verità e negano quasi il senso stesso del termine, che per loro non designa alcunché. Addirittura sostengono che nemmeno possa attribuirsi a questa o a quella cosa, poiché le cose sono solo cose e non possono essere né vere né false; e le parole, sono come le altre cose, e niente altro, in fondo, che aria della bocca; questa seconda visione può rientrare sotto la qualifica di nominalismo.

Con la prima prospettiva il rischio è quello di ignorare la realtà; di fare della teoria, delle idee, cose più sostanziose, cose più vere del supporto fisico su cui state leggendo che avete proprio ora davanti agli occhi. Ma come tutte le medaglie ha anche un’altra faccia, e questa è fertile per la scienza; in particolare l’animo della matematica è profondamente radicato in questa visione realista del mondo. Lo si potrebbe definire – almeno a giudizio di chi vi scrive – un gioco così magnifico e capace di così raffinata bellezza, che avrebbe valore anche se non fosse di altra utilità. Eppure di utilità ne ha e non poca. Ci permette, in buona sintesi, di tradurre la complessità infinita della natura che siamo e nella quale siamo immersi, entro approssimazioni, non perfette (come il matematico sogna) ma utili a sufficienza da comunicare a distanza di spazio e di tempo. Dall’agrimensura degli antichi sumeri, alla triangolazione GPS gentilmente offerta dalla relatività generale di Einstein, è difficile trovare un angolo di mondo che non leggiamo grazie alla scienza della quantità: la matematica. Il Vero le sfugge, ma la sua indefessa ostinazione nel cercarlo, nel sognarlo appena oltre l’orizzonte, ci ha offerto buona parte di quel che oggi chiamiamo “progresso”.

Nel farlo siamo passati per le crociate, l’inquisizione e tutte le forme di dispotismo che ancora oggi ammorbano questo puntino blu a spasso nel cosmo. Non certo la matematica in sé, ma quell’idea secondo la quale esiste “La Verità”; e conseguentemente che qualcuno che la conosce, quasi fosse un suo possesso, è legittimato nelle sue azioni più di chi, a suo dire, non la conosce. Se esiste un Vero esiste un Falso. Il Vero assoluto è una discriminante impietosa. Un confine. Nella pratica, cioè in un ambito che non ha più a che fare con il pensiero ma con le azioni; su un fronte che non è più teoretico ma morale e quindi sociale e politico, si traduce in Bene e Male. Ma anche questi, scritti come nomi propri, non esistono nella realtà; non esiste un fatto che è Il Bene o uno che è Il Male; esistono però cose buone o cose cattive, che sono nei fatti niente altro di ciò che per noi – che siamo animali – è desiderabile o indesiderabile.

Un salto abbastanza lungo all’apparenza. Dal sogno del Vero che spinge un antico matematico a cercare il rapporto tra il diametro e la circonferenza, alla scelta di un gruppo umano di eleggere a proprio valore un certo precetto o di adottare di principio un determinato comportamento.

A questo punto ecco che può tornare in scena la scuola nominalista. Perché se irridendo la verità e negandole ogni possibilità non si fa molta scienza e si rischia di vivere in un mondo di casualità; di eventi singoli ed irrelati tra loro. Un mondo di accidenti senza regole, la negazione è anche un formidabile antidoto ad ogni presunzione – pratica, quindi sociale e politica – di poter distinguere senza il minimo indugio tra il bene ed il male. Dice un moderno nominalista – chissà se avrebbe accettato l’epiteto – come Oscar Wilde: “preferisco le persone ai principi, e le persone senza principi a tutto il resto.”.

Ecco sono le due sponde tra cui si vuole quella verità, che non accetta di non esistere, ma che rifiuta la presunzione di potersi firmare con la lettera maiuscola. Che accetta la sua minorità, la sua parzialità; in un certo senso, se l’argomento vi ha in qualche modo coinvolti, che accetta, riconosce e persino ricerca la sua storicità. La verità della scienza, quella che non cerca “Il Vero” ma le cose vere, quella che cerca i fatti. Ecco un altro elemento che accomuna tutte le scienze alla storia, scienza a sua volta anche se non siamo abituati a pensarla come tale.

Chiarito – almeno chi vi scrive lo spera – cosa si possa molto sommariamente intendere con la parola che suona “verità” e quali sfide porti con se il semplice pronunciarla, a noi umani, quando serve? Si è azzardato poco sopra a sostenere che sia una faccenda storica e pratica in quanto noi umani come animali abbiamo bisogni storici e pratici. Se ciò è vero… allora la verità deve avere una qualche utilità. E quale potrebbe essere?

L’intendersi. Vero è ciò che ci permette di approdare alla stessa baia seguendo le medesime indicazioni; di ottenere la stessa torta applicando una comune ricetta. Ma come sanno tutti coloro che hanno tentato il secondo esperimento rispolverando il vecchio quaderno della nonna… non viene mai come ce la ricordavamo. Perché le nonne hanno sempre un qualche ingrediente segreto, un piccolo trucco che non scrivono, spesso anche soltanto perché lo danno per scontato, al punto che non vale la pena perdere tempo ad annotarlo. In fisica Einstein ha chiamato “l’ingrediente segreto” della natura variabili nascoste. Sulla scorta di Laplace, altro grande scienziato ed altro grande realista, l’idea alla base di questa concezione è che, dietro le verità alla nostra portata, quelle minuscole, ne esista una maiuscola: La Verità, e che sia ciò che ricerchiamo, ciò di cui lo scienziato è incessantemente al seguito. Un segreto celato a cui sia possibile togliere il velo.

Ci serve per fidarci dei nostri reciproci discorsi. Per così dire, torna utile per perdonarci i piccoli errori che – come sentiamo – puntano in una medesima direzione. E’ l’orizzonte che unifica i nostri tentativi di intenderci. Invisibile ed evanescente, nondimeno funge da pietra angolare di ogni studio e ricerca, e ci porta a costruire, nella storia, modelli di interpretazione della realtà sempre meno approssimativi; capaci di previsioni sempre più soddisfacenti. Dall’oroscopo di Galileo al suo telescopio al James Webb; dalla teoria degli umori di Galeno alla mappatura del genoma. Gli esempi sono innumerevoli, ma tutti radicalmente lontani dallo scorgere l’assoluto oltre, l’orizzonte.

Eppure, e questo non può essere dimenticato, tra l’oroscopo ed il James Webb la differenza c’è ed è radicale. Non tanto quanto quella tra questi due e il sogno dell’assoluto, nondimeno radicale.

La verità ci serve quando ci poniamo una domanda come metro della fiducia che è desiderabile riporre nelle possibili risposte. Da questo si può chiarire la sua stretta parentela con il metodo della scienza: le verità delle scienze non sono “cose”, non sono inamovibili monoliti e meno che mai dogmi, bensì procedure per giungere il più vicini possibile all’orizzonte. Algoritmi, ovvero ricette – un po’ come quelle delle nonne – che ci permettono di avvicinarci a quel risultato ideale, che la memoria di profumi e sentimenti d’infanzia forse renderanno irraggiungibile nella maturità, e che tuttavia avranno comunque la forza di consegnare il testimone a chi proseguirà la storia accanto e dopo di noi.

Una procedura che non si limita a dire il cosa, ma tenta di condividere i come ed i perché; che non sono scientifici in senso proprio, ed appartengono forse più alla sfera delle – impropriamente dette – scienze umane, ma che innegabilmente sono il contesto in cui la ricerca muove i suoi passi. Per questo non possono non farne parte ed occorrono alle generazioni che verranno per capire noi e le nostre umili verità, così come a noi servono i contesti dei grandi del passato per capire le loro.

La verità diventa così quel comune anello mancante ad ogni epoca, ad ogni stirpe, ad ogni singolo essere umano capitato all’esistenza, indipendentemente da quando egli accadrà. E proprio in questa mancanza comune diviene un comune denominatore dell’esperienza e parte integrante di quel legame che ci permette quella “social catena” che è il viaggio della conoscenza.

FILIPPO ONORANTI E MOLISELLA LATTANZI Direttrice Editoriale di Coelum VI ASPETTANO IL 13 OTTOBRE AL CICAP FEST DI PADOVA

Appuntamento alle 14:30 presso il Palazzo Santo Stefano (dietro il Palazzo del Bo) per il dialogo sul tema della Verità e come introdurre questi argomenti anche in ambiente scolastico.

L’evento non ha bisogno di prenotazione ma per partecipare al Cicap Fest è indispensabile registrarsi QUI

L’articolo è pubblicato in COELUM 270 VERSIONE CARTACEA

FILIPPO ONORANTI E MOLISELLA LATTANZI Direttrice Editoriale di Coelum VI ASPETTANO IL 13 OTTOBRE AL CICAP FEST DI PADOVA.

MESSIER 18 – Ammasso Globulare

© The Two Micron All Sky Survey at IPAC

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ABSTRACT

Dopo Messier 11, torniamo agli ammassi stellari definiti “aperti”. A differenza degli ammassi globulari, questa tipologia di oggetti celesti è formata da un gruppo (che può essere anche di migliaia) di stelle nate nello stesso periodo da una gigante nube molecolare. Un esempio facile da ricordare per questa categoria è l’ammasso delle Pleiadi (M45) nella costellazione del Toro.

Ne sono stati scoperti più di mille solo nella nostra galassia e rimangono oggetti molto interessanti da un punto di vista scientifico, dato che offrono una visione chiave nello studio dell’evoluzione stellare. In media, un ammasso aperto risulta essere un oggetto celeste giovane (in termini astronomici), che riesce a mantenere la sua coesione per almeno mezzo miliardo di anni. Passata questa soglia, interferenze gravitazionali esterne causate dall’orbitare intorno al centro della galassia, causano disturbi che, con il passare del tempo, sono in grado di sfaldare l’ammasso aperto stesso.

Storia delle osservazioni

La prima osservazione registrata di Messier 18 è attribuita proprio a Charles Messier, che il 3 Giugno del 1764 scriveva a tal proposito: “Un ammasso di piccole stelle, poco sotto la nebulosa numero 17, circondato da una lieve nebbia, meno apparente del precedente numero 16; appare confuso in un telescopio da 3 piedi e mezzo; con un telescopio migliore si possono osservare singole stelle.”

Anche John Herschel, figlio dell’astronomo inglese William Herschel, osservò lo stesso ammasso stellare intorno al 1840, descrivendolo come: “Un ammasso povero e grezzo. Contiene circa una dozzina di stelle di decima magnitudine, e da 15 a 20 stelle dalla dodicesima alla quindicesima magnitudine.”

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Coelum Astronomia al IAC 2024 di Milano: Media Accreditato per il Congresso di Importanza Mondiale

Siamo entusiasti di annunciare che Coelum Astronomia, la rivista di divulgazione scientifica leader in Italia nel campo dell’astronomia e dell’esplorazione spaziale, parteciperà ufficialmente come media accreditato al 75° International Astronautical Congress (IAC), che si terrà a Milano dal 14 al 18 ottobre 2024. l’evento rappresenta uno degli appuntamenti più importanti a livello globale per la comunità astronautica, un’occasione unica per confrontarsi su tematiche di avanguardia legate allo spazio, alla scienza e alla tecnologia.

Che cos’è l’IAC?

L’International Astronautical Congress è un evento annuale che riunisce migliaia di esperti del settore spaziale, rappresentanti delle agenzie spaziali più importanti del mondo, accademici, professionisti del settore, imprenditori e studenti. Organizzato dalla International Astronautical Federation (IAF) in collaborazione con enti come l’European Space Agency (ESA), la NASA, e altre istituzioni internazionali, l’IAC 2024 rappresenterà un’importante piattaforma di discussione e networking per tutti coloro che sono interessati all’evoluzione dell’esplorazione spaziale e delle tecnologie associate.

Milano avrà l’onore di ospitare questa edizione speciale, e l’evento si prospetta come un vero e proprio catalizzatore per nuove idee, collaborazioni e sviluppi nel campo dell’astronomia, delle missioni spaziali e delle scienze applicate allo spazio. Le sessioni previste includeranno discussioni su missioni spaziali recenti, esplorazione lunare e marziana, tecnologie emergenti, e l’impatto delle attività spaziali sulla società e l’economia globale.

Tutte le informazioni dettagliate sull’evento sono disponibili sul sito ufficiale: www.iac2024.org.

La missione di Coelum Astronomia al IAC

Coelum Astronomia, con la sua storica tradizione nella divulgazione scientifica, è stata scelta come media accreditato per coprire l’evento, assicurando ai suoi lettori una visione approfondita e di prima mano di ciò che accadrà durante il congresso.

Essere presenti all’IAC 2024 significa avere l’opportunità di dialogare con i principali attori del mondo spaziale: dalle agenzie governative ai nuovi protagonisti del settore privato, dalle università agli istituti di ricerca. Coelum si impegna a raccogliere testimonianze, opinioni e approfondimenti che saranno successivamente pubblicati sia sul sito web che sulle pagine della rivista cartacea. La nostra redazione sarà attivamente coinvolta in interviste esclusive, incontri con esperti di fama internazionale e nella raccolta di informazioni direttamente dai protagonisti dell’evento.

Sarà un’occasione unica per approfondire tematiche come l’esplorazione di Marte, le future missioni lunari, le innovazioni tecnologiche nel campo dell’astrofisica e della navigazione spaziale, nonché per capire come le nuove frontiere dello spazio possono influenzare la nostra vita quotidiana.

Programma delle Attività

Nel corso della presenza di Coelum all’IAC, saranno programmate una serie di interviste con le aziende e gli istituti protagonisti del congresso. Tra i partecipanti, ricordiamo alcuni dei nomi più importanti del settore spaziale, come NASA, ESA, ASI e molte altre. Il nostro obiettivo sarà quello di fornire ai lettori una panoramica completa sugli sviluppi più recenti nel settore, le tendenze future e le prospettive per l’esplorazione umana e robotica dello spazio.

Inoltre, la redazione seguirà con attenzione le sessioni scientifiche e tecniche, partecipando ai dibattiti più accesi e alle presentazioni delle nuove scoperte e tecnologie. Sarà un’occasione per riportare non solo i successi delle missioni spaziali recenti, ma anche le sfide e i traguardi che ci attendono nei prossimi anni.

Coelum in Diretta

Durante l’IAC, Coelum offrirà aggiornamenti in tempo reale tramite i propri canali digitali. Sul sito web di Coelum Astronomia e sui profili social della rivista.

Inoltre, la redazione produrrà un report finale approfondito che sarà pubblicato nella successiva edizione di Coelum, includendo una sintesi degli argomenti trattati, le opinioni degli esperti e una visione d’insieme delle nuove prospettive nel mondo della ricerca e delle tecnologie spaziali.

L’importanza della divulgazione scientifica

La partecipazione di Coelum all’IAC 2024 riflette la nostra missione di promuovere la divulgazione scientifica e di rendere accessibile a tutti l’affascinante mondo dell’astronomia e delle scienze spaziali. In un’epoca in cui lo spazio sta assumendo un ruolo sempre più centrale nella nostra vita quotidiana, è essenziale fornire informazioni accurate, aggiornate e comprensibili anche per i non addetti ai lavori.

L’IAC rappresenta una vetrina globale per la scienza e la tecnologia, e Coelum è orgogliosa di farne parte, portando ai lettori italiani le voci e le storie dei protagonisti dello spazio. Grazie alla nostra presenza, vogliamo offrire un’opportunità unica per conoscere le novità del settore, scoprire come le tecnologie spaziali stanno evolvendo e cosa ci riserva il futuro dell’esplorazione cosmica.

Conclusione

Non perdete l’occasione di seguire Coelum Astronomia durante l’IAC 2024! Dal 14 al 18 ottobre, Milano diventerà il centro del mondo astronautico, e noi saremo lì per raccontarvi ogni momento saliente. Vi invitiamo a seguirci sui nostri canali e a non perdere gli aggiornamenti quotidiani, le interviste esclusive e i contenuti speciali che pubblicheremo durante e dopo il congresso.

Per ulteriori informazioni su Coelum Astronomia, vi invitiamo a visitare il nostro sito Coelum.com dove potrete trovare una vasta gamma di articoli, approfondimenti e risorse dedicate all’astronomia e allo spazio.

Preparatevi per una settimana all’insegna della scienza, dell’innovazione e della scoperta, con Coelum Astronomia sempre in prima linea!

 

Incontri ravvicinati in Sardegna (seconda parte)

Nelle uscite astrofotografiche notturne specie in solitudine può capitare di vivere delle situazioni di disagio, una sensazione che in alcuni casi può tramutarsi in paura o addirittura terrore di incontri ravvicinati. A giocare un ruolo fondamentale è il buio che mina la nostra zona di comfort: riuscire a vedere solo con il fascio luminoso della nostra torcia suscita inconsciamente una insicurezza che ci fa sentire inermi e indifesi, esposti ai pericoli e a possibili attacchi da parte di estranei.
Posso affermare con assoluta certezza che il 99% dei momenti in cui percepiamo un senso di paura nelle attività notturne non è dovuto ad un reale pericolo che minaccia la nostra incolumità ma è esclusivamente una questione psicologica, una battaglia interiore, da combattere con calma e razionalità. Diciamoci la verità: nel mondo reale imbattersi in un malintenzionato che si aggira in luoghi remoti ed isolati per “accoppare” fotografi notturni è piuttosto improbabile tuttavia essere in due o più avvolte non è poi così sbagliato. La mia esperienza è che siano più frequenti invece gli incontri con personaggi curiosi.
A Masua mentre studiavo la composizione con la Pentax su cavalletto, un altro fotografo si piazza 10 metri davanti a me; alla Torre di Piscinnì un altro pretendeva l’esclusiva per essere arrivato prima. A Piscinas un gruppo di ragazzi durante le proprie sessioni dispensava di urla e minacce chiunque accendesse una torcia in spiaggia. Può capitare di ricevere visite dalle forze dell’ordine ma il più delle volte il tono è amichevole e cordiale. I curiosi non mancano mai e una serata di acquisizione può tramutarsi in una lezione di astronomia con tanto di puntatore laser. Il nostro tipo di passione ci spinge su luoghi isolati e poco battuti che ci espone però spesso ad altri pericoli, più subdoli e celati, senza scrupoli o rimorsi, il cui unico motivo di vita magari in quel momento è nutrirsi.
Curiosi a Masua
È ormai noto il fenomeno degli avvistamenti di cinghiali o maiali selvatici nelle spiagge di tutta Italia e della Sardegna. Non è mai stato raro nell’isola percorrere di notte una strada extraurbana secondaria, specie nell’entroterra, e avvistare dei cinghiali attraversare la carreggiata o nel ciglio della strada fuggendo dai fari abbaglianti delle auto. È consigliabile, a tal proposito, in questi tipi di vie moderare sempre la velocità e porre attenzione per evitare di investirli. Mi é capitato tantissime volte di avvistarne, a Is Arutas, Siris, Sardara, Ingurtosu, Masua, nel montearci, sempre comunque dove presente una ricca vegetazione. La novità è stata trovarli dove da almeno 2 anni faccio acquisizioni deepsky, in un piccolo altipiano nel comune di Villanovaforru, nei pressi dell’Antenna, lontano da boschi o foreste. La sorpresa è stata sentirli per vari giorni consecutivi, fino al giorno della loro apparizione in pubblico a 5 metri dal mio telescopio: ci siamo guardati nelle tenebre, smorzate solo dai led del setup, 3 secondi di indecisione, non so proprio chi abbia avuto più timore di chi..alla luce poi della torcia frontale mamma cinghiale ha “sgommato” nell’asfalto attraversando la stradina, seguita poi dai suoi 4 cuccioli che intanto facevano capolino tra gli arbusti.
scatto in zona Pistis
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Incontri ravvicinati (prima parte)

Introduzione

L’osservazione del cielo notturno è un’esperienza affascinante che porta spesso l’appassionato di astronomia a spingersi in luoghi remoti, lontano dalle luci della città, dove il buio è più profondo e le stelle brillano con maggiore intensità. Ma in queste zone incontaminate, il silenzio della notte è spesso interrotto dai rumori della natura, e non è raro imbattersi in creature che popolano il buio, svolgendo la loro vita lontano dagli occhi dell’uomo. Nella raccolta di testimonianze di questo articolo esploreremo gli incontri notturni di diversi astrofili, che durante le loro osservazioni sotto il cielo stellato hanno avuto la fortuna – o talvolta la sorpresa – di incrociare il cammino di animali selvatici. L’esperienza narrata dall’autore che segue è solo uno dei tanti esempi di come la contemplazione del cosmo possa offrire un contatto ravvicinato con la natura più selvaggia, in un intreccio tra il mondo terrestre e quello celeste che lascia sempre un’impronta indelebile nella memoria di chi lo vive.

Incontri Ravvicinati

Molti astrofili, e io sono uno di quelli, quando possibile amano andare a fare osservazioni e fotografie sul campo, ed è veramente emozionante riuscire a vedere un cielo molto più buio di quello che abbiamo normalmente nelle nostre città. Si percorrono decine e a volte centinaia di km sulla propria auto con tutta la pesante attrezzatura per andare in luoghi specialmente montani, ma una volta arrivati a destinazione si è “carichi” perché il paesaggio con poco inquinamento luminoso permetterà di catturare scatti unici.
Quando ancora c’è un po’ di luce solare si inizia a montare il set-up astrofotografico e poi seguono lunghe ore di riprese fino quasi all’albeggiare. Ma a volte le emozioni non arrivano solo dal cielo. Col buio alcuni animali selvatici si possono avvicinare curiosi, attratti dalle lucine della nostra attrezzatura e dal computer collegato al telescopio. Se siamo poco distanti da qualche paesino è facile trovare qualche gatto o cane girovagare. Ma voglio raccontarvi una mia esperienza che in un secondo si è tramutata da motivo di spavento a bellissima sorpresa. Una sera estiva ho trovato una postazione tranquilla vicino alle cave di marmo di Carrara e mentre stavo riprendendo col telescopio ho piazzato anche il cavalletto con l’astro inseguitore e reflex per fotografare la Via Lattea ben visibile. Dopo qualche minuto ho sentito uno strano odore ma non capivo cosa fosse, prima non c’era. Finita la sessione con la reflex smonto il cavalletto. Nel toccarlo noto che è molto appiccicoso e sento ancora quello strano odore. Boh, mi risiedo in postazione telescopio e dopo un attimo mi sento “toccare” la sedia da dietro. Con un salto e un urlo mi alzo, accendo la luce frontale e chi trovo? Una bellissima volpe che naturalmente si è spaventata più di me! L’odore acre che sentivo era la sua urina, io avevo invaso il suo territorio, e per farmelo capire aveva bagnato il cavalletto (e anche un po’ smangiucchiato). Ma poi la sua curiosità ha preso il sopravvento e da lì è nata la nostra amicizia con diverse visite nelle sere successive, puntuale verso mezzanotte, veloce giretto e poi via nella boscaglia. L’urina di volpe ha un odore molto acre e per questo è usata (venduta anche dal più noto sito di vendite online) per tenere lontani altri animali.
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QUIZ TIME COELUM 06-10-2024

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Il Meteorite di Renazzo

Il francobollo emesso per l’anniversario dei 200 anni dalla caduta del meteorite
Il francobollo emesso per l’anniversario dei 200 anni dalla caduta del meteorite

1824-2024

200 anni dalla caduta del più importante meteorite italiano

Renazzo è un piccolo, tranquillo borgo, frazione del comune di Cento, a cavallo tra la provincia di Ferrara e quella di Bologna. Questo villaggio, immerso nella pianura padana, ha dato i natali a Ferruccio Lamborghini, fondatore dell’omonima casa automobilistica. Basterebbe questo per dare al paese il suo ruolo nella storia, ma 200 anni fa, in una fredda sera invernale (il 15 o il primo gennaio: le cronache non sono concordi)  i paesani furono spaventati da forti boati, descritti come “scoppi di cannone” e diversi meteoriti (o com’erano allora chiamati “aeroliti”) caddero nei campi ed uno in vicinanza della chiesa.  Informato dell’accaduto, un professore dell’università bolognese, Mons. Ranzani, arrivò una quindicina di giorni dopo e raccolse (o acquistò) diversi frammenti per analizzarli. Uno di questi meteoriti, del peso di 307 grammi è attualmente esposto al museo Luigi Bombicci di Bologna, ma molti altri frammenti sono conservati in una quindicina di musei sparsi per il mondo e da alcuni collezionisti privati, con una massa totale conosciuta, attorno al chilo.
La caduta di meteoriti, non è una cosa così comune ma ciò non basterebbe a rendere questo oggetto così particolare. La sua importanza sta nel fatto che ha dato il nome ad un tipo di meteoriti;  le CR (Condriti “tipo” Renazzo) e che lo studio di questo meteorite ha dato l’avvio ad una nuova branca dell’astrofisica, l’astrofisica nucleare che indaga sulle prime fasi della formazione del Sistema Solare e della nebulosa pre-solare, che interagiva con lo spazio circostante, arricchita da elementi provenienti dal mezzo interstellare. Sappiamo, che molti elementi si formano all’interno di stelle massicce, venendo poi dispersi per il cosmo nelle esplosioni di Supernova e che nei gusci delle stesse supernove si formano ulteriori elementi pesanti. Anche i venti stellari delle giganti rosse inseminano   lo spazio di materiali elaborati nelle loro tenui e fredde atmosfere. Tutto ciò arricchisce le nebulose che vanno a formare le generazioni successive di stelle e i loro pianeti (vedi nello stesso numero articolo “Esplosioni Stellari in 3D”).
Tutto ciò accadeva anche alla nebulosa che 4,5 miliardi di anni fa stava formando  il Sistema Solare, ma la quasi totalità di questa “materia interstellare” è andata perduta nei processi di riscaldamento che hanno portato alla formazione di pianeti ed asteroidi, rimanendo nascosta, “segregata”, all’interno di corpi che conservavano quasi inalterate le loro primitive caratteristiche; le condriti carbonacee, come la condrite di Renazzo.
Le condriti, sono brecce[1] e sono classificate in vari gruppi, basati sulla loro composizione chimica, mineralogica e sul grado di alterazione dovuto a episodi di idratazione o riscaldamento. Nelle condriti di tipo Renazzo (CR) le alterazioni dovute alla presenza di acqua dimostrano che questi oggetti non sono stati sottoposti a forti riscaldamenti (<70 C°), conservando così il materiale primitivo. La struttura del meteorite è formata da due costituenti fondamentali. Le condrule (o condri) e la matrice, all’interno della quale si distinguono dei clasti neri, irregolari.
Il campione di Renazzo conservato al museo Luighi Bombacci di Bologna (Foto Paolo Mazzi, su permesso UNIBO SMA)
Il campione di Renazzo conservato al museo Luighi Bombacci di Bologna (Foto Paolo Mazzi, su permesso UNIBO SMA)
I condri sono strutture sferoidali composte principalmente da silicati, in particolare olivina e pirosseni, con abbondanti inclusioni metalliche di ferro-nichel (Fe-Ni inoltre sono caratterizzati da una composizione povera di ossidi di ferro e ricchi di metallo. La simmetria sferica e struttura a strati sovrapposti mostra che si sono formati nel vuoto, attraverso diverse fasi di accrescimento e raffreddamento. Le dimensioni dei condri variano generalmente tra 0,1 e 1 mm di diametro, ma possono essere presenti anche esemplari più grandi.
In termini di abbondanza, i condri del meteorite Renazzo rappresentano una frazione significativa rispetto alla matrice in cui sono inseriti. La matrice è costituita principalmente da silicati ricchi di ferro e materiali carboniosi. I clasti neri irregolari presenti nella matrice, sono ricchi di materiali carboniosi e contengono microcondri. Essi testimoniano una storia di alterazione idrotermale e impatti multipli, che hanno rimescolato e amalgamato materiali di diversa origine all’interno del corpo parentale del meteorite Renazzo.
Fin qui abbiamo parlato di materiale primitivo sì, ma pur sempre appartenente alla nebulosa solare.  Per cercare la materia interstellare, è necessaria una “firma” che la contraddistingua. Questa firma fu cercata, nel 1964 da Reynolds e Turner della Berkeley, che identificarono, in campioni di Renazzo, anomalie isotopiche in gas rari come lo xenon. Lo xenon è formato da una miscela di isotopi stabili, che si mantiene omogenea all’interno del Sistema solare così presenza di anomalie isotopiche in questa miscela si rifletterebbe su un diverso peso atomico del gas ed indicherebbe che il campione contiene materiali di provenienza extra solare.
Il francobollo emesso per l’anniversario dei 200 anni dalla caduta del meteorite
Il francobollo emesso per l’anniversario dei 200 anni dalla caduta del meteorite
Il successo della loro ricerca, mostrò come le condriti carbonacee fossero “scrigni” che custodivano al loro interno materia proveniente da altre stelle, forse dalla stessa supernova che aveva dato l’avvio alla formazione nostro sistema solare. Il passo successivo fu trovare della “polvere di stelle”, identificata a partire dal 1987, in “grani presolari”: minuscoli agglomerati di carburo di silicio, grafite, diamante o ossidi di alluminio.  Si tratta di particelle solide (da pochi namometri a qualche micrometro) che provengono dai gusci di supernova o dalle fredde atmosfere di giganti rosse e sono distribuiti all’interno della matrice del meteorite, spesso associati ai componenti più fini e primitivi, come le inclusioni ricche di carbonio.
Ma le condriti carbonacee non finiscono ancora di stupire. L’ultima sorpresa è la presenza in alcuni meteoriti di questo gruppo di composti organici.  Tale materia organica è principalmente costituita da composti carboniosi complessi, inclusi idrocarburi aromatici policiclici, acidi carbossilici, amminoacidi e altre molecole organiche. La sua origine è da collocare in parte in nubi molecolari interstellari ed in parte da processi all’interno del disco protoplanetario o da quelli mediati dalla circolazione idrotermica, sul corpo progenitore del meteorite. Gli amminoacidi trovati nelle meteoriti differiscono però da quelli terrestri, per la mancanza di una chiara chiralità[2]. Inoltre la materia organica nelle Carbonacee e più ricca di isotopi pesanti rispetto ai composti organici terrestri, indicando una formazione in zone lontane dal sole.
[1] Un meteorite brecciato è un tipo di meteorite che è composto da frammenti di rocce e minerali preesistenti, cementati insieme da una matrice più fine. La formazione delle brecce avviene a seguito di impatti.
[2] E’ detta chirale una molecola di non sovrapponibile alla propria immagine riflessa. 
Nome Renazzo
Anno e luogo del ritrovamento Renazzo (BO)
Massa 1000g . (307.55 g. custoditi presso Museo Bombacci BO)
Classificazione CR2  (Condrite tipo Renazzo 2)
Storia della classificazione Grady, M.M. (2000) Catalogue of Meteorites 5th edition -Cambridge Univ. Press Edimburg UK
Letture consigliate Meteoriti storiche (Un metodo per indagare il passato) In Riga edizioni  Astronomia
Link Meteoritical Bullettin: https://www.lpi.usra.edu/meteor/metbull.php?code=22586

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IL CATALOGO MESSIER DENTRO UN BINOCOLO 25X100

L'autore Claudio Pra con il suo binocolo 25x100
L'autore Claudio Pra con il suo binocolo 25x100

Il catalogo Messier rappresenta un universo di meraviglie celesti che, attraverso il binocolo 25×100, regala emozioni uniche. In questo viaggio di sette mesi, l’autore riscopre 110 oggetti del profondo cielo, da galassie a nebulose, vivendo la bellezza della volta celeste con passione autentica. Nonostante le difficoltà, l’esperienza ha mostrato come anche strumenti semplici possano offrire spettacoli indimenticabili.

Introduzione

Tra gli appassionati è risaputo che gli oggetti più belli e luminosi del profondo cielo (con poche esclusioni) appartengono al Catalogo Messier, pubblicato nel diciottesimo secolo. In esso sono contenuti 27 ammassi aperti, 29 ammassi globulari, 40 galassie (considerando anche la discussa M 102), 5 nebulose ad emissione, 4 nebulose planetarie, 1 nebulosa a riflessione, 1 resto di supernova, 1 nube stellare, una stella doppia (scambiata nei modesti strumenti dell’epoca per un oggetto nebulare), 1asterismo formato da quattro deboli stelle ravvicinate (a sua volta scambiato per un oggetto nebulare). Sicuramente tutti avranno osservato in più occasioni il più bel ammasso globulare dell’emisfero boreale ovvero il Grande Ammasso dell’Ercole, oppure la enorme e luminosa galassia di Andromeda, la Nebulosa Anello (celebre planetaria della Lira) o la splendida nebulosa ad emissione che ha preso il nome di Grande nebulosa di Orione. E poi M1, il famoso residuo di supernova del Toro e ancora la coppia di luminose galassie ravvicinate M 81-82 dell’Orsa Maggiore. Tutte perle del cielo che insieme ad altre contenute nel catalogo deliziano chi alza occhi e strumenti al cielo. Oltre a tanti gioielli ce ne sono molti altri meno pregiati ed altri ancora di “poco valore”, snobbati dai più, cosa che mi fa sorgere spontanea una domanda: ­ “Quanti hanno osservati tutti e centodieci gli oggetti Messier?”. Personalmente l’osservazione dell’intero catalogo fu uno tra i miei primi obbiettivi. Due Maratone Messier mi permisero poi di riosservarli praticamente tutti ed in seguito mi dedicai alla loro fotografia. In 25 anni di attività ho avuto comunque modo di guardarli e riguardarli con diversi strumenti, dal piccolo telescopio fino ad uno molto grande. Ma spesso ho usato il binocolo, da un piccolo 10×50 fino ad arrivare ad apertura doppia.

L'autore Claudio Pra con il suo binocolo 25x100
L’autore Claudio Pra con il suo binocolo 25×100

Nel dicembre scorso ho deciso di ripercorrere tutto il catalogo usando unicamente un binocolo 25×100 (25 ingrandimenti e 10 cm. di apertura delle lenti), progetto completato in circa sette mesi, più di quelli previsti a causa del meteo davvero sfavorevole che ha colpito il nord Italia dalla primavera ad inizio estate. È estata una bellissima esperienza che voglio condividere soprattutto, ma non solo, con chi si accosta o si è accostato da poco all’osservazione del cielo. Un “binocolone” come quello usato ha ovviamente diversi limiti rispetto al telescopio, soprattutto l’apertura tutto sommato modesta e gli ingrandimenti bassi, ma per contro ha anche indubbi vantaggi (comodità, intuibilità e facilità d’uso, campo visivo ampio). Ed un prezzo alla portata, a meno che non si vada a scegliere modelli sofisticati e di grande qualità. A fare una grande differenza sarà però il cielo sotto il quale si osserva che, se preservato dall’inquinamento luminoso, regalerà grandi soddisfazioni pur se scrutato con uno piccolo strumento.

Segue il report dei risultati

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NON SOLO TSUCHINSHAN-ATLAS, IN ARRIVO UN’ALTRA POTENZIALE COMETA LUMINOSA: C/2024 S1 ATLAS

Nella mappa il percorso della cometa C/2024 S1 ATLAS che durante il mese di ottobre si avvicinerà sempre più all'eclittica tanto a incontrare il Sole negli ultimi giorni del mese.
Nella mappa il percorso della cometa C/2024 S1 ATLAS che durante il mese di ottobre si avvicinerà sempre più all'eclittica tanto a incontrare il Sole negli ultimi giorni del mese.

NOTIZA FLASH

NON SOLO TSUCHINSHAN-ATLAS, IN ARRIVO UN’ALTRA POTENZIALE COMETA LUMINOSA: C/2024 S1 ATLAS

Ottobre potrebbe essere un mese da ricordare per gli appassionati di comete. Della promettente C/2023 A3 Tsuchinshan-ATLAS, che attendiamo con impazienza di veder uscire dalla luce solare verso metà ottobre, abbiamo già ampiamente scritto. Doveva essere l’unico “astro chiomato” brillante del mese ed invece a fine settembre è giunta notizia di una nuova scoperta da parte del sistema automatizzato ATLAS (Asteroid Terrestrial impact Last Alert System) designata come C/2024 S1 ATLAS. Il calcolo della sua orbita ha svelato la sua appartenenza alla famiglia Kreuz Sungrazer, ovvero di comete originatesi dalla frammentazione di un corpo più grande con un’orbita che le porta a sfiorare il Sole. Spesso il loro passaggio ravvicinatissimo è per loro letale ma in qualche caso, se sopravvivono, possono rivelarsi luminosissime offrendo spettacoli indimenticabili. È il caso della famosissima C/1965 Ikeya-Seky, che raggiunse la mostruosa magnitudine di -10! Più recentemente, la C/2011 W3 Lovejoy raggiunse il valore di -4 mag. deliziando gli osservatori australi.
Questo nuovo oggetto transiterà al perielio il 28 ottobre, momento in cui si troverà a poco più di un milione di chilometri dal Sole. Un incontro talmente ravvicinato da far temere seriamente per la sua sorte. Ma d’altra parte, come abbiamo già ricordato, questa è una caratteristica delle Kreuz e la prerogativa che le porta, se sopravvivono, a rivelarsi così brillanti. Da noi il periodo migliore per osservarla, che durerà pochi giorni, sarà dopo il passaggio al perielio, quindi gli ultimissimi giorni di ottobre e i primissimi di novembre all’alba, pur in un contesto sfavorevolissimo data la vicinanza al Sole. Occorrerà quindi che sia davvero molto brillante per sperare di poterla scorgere con molta fatica. Le previsioni in merito sono molto incerte e condizionate dall’aspetto al momento della scoperta quando, sia pur ancora distante, è risultata piuttosto luminosa e dotata di una bella chioma, il che potrebbe far pensare ad un oggetto non proprio piccolo e ricco di polvere. Ma in altri casi membri della stessa famiglia, luminosi al momento dell’avvicinamento, si sono in seguito affievoliti a causa delle loro reali ridotte dimensioni, non lasciando traccia del loro passaggio. Ad ogni modo alcune curve di luce per questa nuova cometa indicano un picco che la porterà a brillare più di Venere, sempre che sopravviva alla pressione del Sole. Di certo, se anche lo farà, le condizioni prospettiche e il ridottissimo lasso di tempo in cui dovrebbe risultare luminosissima, non offrono purtroppo grandi speranze.
Nella mappa il percorso della cometa C/2024 S1 ATLAS che durante il mese di ottobre si avvicinerà sempre più all'eclittica tanto a incontrare il Sole negli ultimi giorni del mese.
Nella mappa il percorso della cometa C/2024 S1 ATLAS che durante il mese di ottobre si avvicinerà sempre più all’eclittica tanto a incontrare il Sole negli ultimi giorni del mese.

Obbligatorio però seguirla perché con le comete non si sa mai…Ne riparleremo comunque più avanti.

Luce che va, luce che viene con i retroriflettori

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Figg. 7 e copertina articolo: Scatti ottenuti il 20 agosto del 2024 eseguiti con montatura Skywatcher EQ5 SynScan ad inseguimento motorizzato, al fuoco di Telescopio solare Lunt LS60T (D=60 mm, F. 500 mm.) con filtro di bloccaggio B1200 in Halfa, camera di acquisizione ASI 178 MM (monocromatica risoluzione 3096x2080 pixel pari a 6,4 MP), elaborata con AutoStakkert 2.6.8 e Photoshop CS6 (64bit). Al momento dello scatto l’evelazione del Sole era di circa 4 gradi sopra l’orizzonte teorico.
Figg. 7 e copertina articolo: Scatti ottenuti il 20 agosto del 2024 eseguiti con montatura Skywatcher EQ5 SynScan ad inseguimento motorizzato, al fuoco di Telescopio solare Lunt LS60T (D=60 mm, F. 500 mm.) con filtro di bloccaggio B1200 in Halfa, camera di acquisizione ASI 178 MM (monocromatica risoluzione 3096x2080 pixel pari a 6,4 MP), elaborata con AutoStakkert 2.6.8 e Photoshop CS6 (64bit). Al momento dello scatto l’evelazione del Sole era di circa 4 gradi sopra l’orizzonte teorico.

Abstract

L’articolo “Luce che va luce che viene” di Roberto Ragazzoni e Marco Barella esplora il fenomeno del retroriflettore, un dispositivo capace di riflettere la luce esattamente verso la fonte da cui proviene, indipendentemente dall’angolazione d’incidenza. L’analisi parte da un concetto semplice, l’effetto creato da due specchi posti ad angolo retto, per poi estendere la discussione ai retroriflettori a tre specchi, utilizzati comunemente nei catarifrangenti e in altre applicazioni industriali e scientifiche.

Gli autori mostrano come questi dispositivi siano utilizzati in vari contesti, dai segnali stradali alle giacche ad alta visibilità, fino alle missioni spaziali come quelle lunari e marziane. L’articolo evidenzia come, nonostante il principio sia lo stesso, i retroriflettori impiegati in contesti spaziali presentino piccole ma fondamentali differenze. Ad esempio, le superfici riflettenti non sono montate esattamente a 90 gradi, ma leggermente inclinate per compensare l’effetto di aberrazione della luce, un fenomeno ben noto in astronomia.

Ragazzoni e Barella arricchiscono l’articolo con un racconto personale, descrivendo un esperimento effettuato presso l’AeroClub di Rovigo per catturare immagini dell’antisole. Dopo mesi di tentativi, gli autori riescono finalmente a ottenere una sequenza di scatti spettacolari che mostrano questo raro fenomeno celeste. Questo esperimento, che combina astronomia e passione per il volo, riflette lo spirito di curiosità e perseveranza degli autori.

Fig. 5: Gli autori riflessi dal retroriflettore costruito per l’occasione. Con i suoi 60cm di lato è facilmente visibile di giorno da una decina di kilometri quando si consegue il dovuto allineamento con la nostra stella.

Articolo di Roberto Ragazzoni e Marco Barella


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Spenti altri strumenti scientifici sonda Voyager 2

Gli ingegneri lavorano sulla Voyager 2 della NASA al JPL nel marzo 1977, prima del lancio della navicella spaziale di agosto. La sonda trasporta 10 strumenti scientifici, alcuni dei quali sono stati spenti nel corso degli anni per risparmiare energia. Credito: NASA
Gli ingegneri lavorano sulla Voyager 2 della NASA al JPL nel marzo 1977, prima del lancio della navicella spaziale di agosto. La sonda trasporta 10 strumenti scientifici, alcuni dei quali sono stati spenti nel corso degli anni per risparmiare energia. Credito: NASA

Gli ingegneri della missione Voyager 2 della NASA hanno spento lo strumento scientifico al plasma a bordo della sonda spaziale a causa della progressiva riduzione dell’alimentazione elettrica.

Viaggiando per oltre 20,5 miliardi di chilometri dalla Terra, la sonda spaziale continua a utilizzare quattro strumenti scientifici per studiare la regione al di fuori della nostra eliosfera, la bolla protettiva di particelle e campi magnetici creata dal Sole. L’obiettivo è mantenere abbastanza potenza per continuare ad esplorare questa regione con almeno uno strumento scientifico operativo fino al 2030.

Lo strumento che misura la quantità di plasma (atomi elettricamente carichi) ha raccolto dati limitati negli ultimi anni a causa del suo orientamento rispetto alla direzione in cui scorre il plasma nello spazio interstellare.

La sonda è alimentata dal plutonio in decadimento e perde, come la sua sorella Voyager 1, circa 4 watt di potenza ogni anno. Dopo che le due sonde Voyager completarono l’esplorazione dei pianeti giganti negli anni ’80, il team della missione spense diversi strumenti scientifici che non sarebbero stati utilizzati nello studio dello spazio interstellare. Un gesto che diede subito alla sonda un sacco di potenza extra fino di cui può aver goduto fino a qualche anno fa ma da allora, il team ha continuato a spegnere altri sistemi fra cui tutti i sistemi di bordo non essenziali per il funzionamento delle sonde, compresi alcuni riscaldatori. 

Risultati del monitoraggio

Il 26 settembre, gli ingegneri hanno impartito il comando di spegnere lo strumento scientifico al plasma. Il segnale inviato dal Deep Space Network della NASA, ha impiegato19 ore per raggiungere Voyager 2, e il segnale di ritorno ha impiegato altre 19 ore per raggiungere la Terra. Il team ha confermato che il comando di spegnimento è stato eseguito senza incidenti e che la sonda sta funzionando normalmente.

Nel 2018, lo strumento scientifico del plasma si è rivelato fondamentale per determinare l’abbandono della eliosfera da parte di Voyager 2. Lo strumento scientifico del plasma è costituito da quattro “coppe”. Tre coppe puntano nella direzione del Sole e hanno osservato il vento solare mentre si trovavano all’interno dell’eliosfera. Una quarta punta ad angolo retto rispetto alla direzione delle altre tre e ha osservato il plasma nelle magnetosfere planetarie, nell’eliosfera e ora nello spazio interstellare.

Quando la Voyager 2 uscì dall’eliosfera, il flusso di plasma nelle tre coppe rivolte verso il Sole crollò drasticamente. I dati più utili della quarta coppa finirono per arrivare solo una volta ogni tre mesi, quando la sonda di fatto compie una virata di 360 gradi sull’asse puntato verso il Sole. Proprio questo il fattore quindi che ha influito sulla decisione della missione di spegnere prima questo strumento rispetto ad altri.

Il team della Voyager continua a monitorare lo stato di salute della sonda e le risorse disponibili per prendere decisioni ingegneristiche che massimizzino i risultati scientifici della missione.

Per maggiori informazioni sulle missioni Voyager della NASA, visitare: https://www.jpl.nasa.gov/news/nasa-turns-off-science-instrument-to-save-voyager-2-power 

NASA Space Apps Challenge torna a Napoli: si comincia da Capodimonte

Innovazione e spazio: conto alla rovescia per il NASA Space Apps Challenge


5-6 ottobre presso il Polo tecnologico dell’Università di Napoli Federico II a San Giovanni a Teduccio 

Dopo 2 anni torna in città NASA Space Apps Challenge, l’hackathon più grande del mondo. L’obiettivo dell’evento, dedicato a innovatori, programmatori, scienziati, designer, artisti, narratori, tecnologi, studenti e appassionati, è proporre idee e soluzioni innovative alle 20 sfide globali selezionate dalla NASA per la vita sulla terra e nello spazio, utilizzando i dati messi a disposizione dall’Agenzia spaziale americana e da 13 agenzie spaziali partner, tra cui l’europea ESA e l’italiana ASI.


La sessione napoletana dell’hackathon NASA Space Apps Challenge 2024 è organizzata dal Consolato Generale degli Stati Uniti d’America a Napoli e dal Distretto Aerospaziale della Campania – DAC, in collaborazione con l’Osservatorio Astronomico di Capodimonte dell’INAF, il Center for Near Space dell’Italian Institute for the Future, il Dipartimento di Ingegneria Industriale dell’Università Federico II e l’Istituto per il Rilevamento Elettromagnetico dell’Ambiente del CNR, con il sostegno della Camera di Commercio Irpinia-Sannio, la partecipazione di UNINA Rockets e Intesa Sanpaolo, sotto il patrocinio della Regione Campania.


Giovedì 3 ottobre gli partecipanti all’hackathon si ritroveranno all’Osservatorio Astronomico di Capodimonte per il local bootcamp e riceveranno l’incitamento di Pietro Schipani, Direttore dell’Osservatorio di Capodimonte, Tracy Roberts-Pounds, Console Generale degli Stati Uniti a Napoli, Luigi Carrino, presidente del Distretto Aerospaziale della Campania e Valeria Fascione, Assessore alla Ricerca, Innovazione e Startup della Regione Campania; special guest del bootcamp John Mankins, Vicepresidente della Moon Village Association e già direttore dell’Office of Advanced Concepts and Technology della NASA e Madhu Thangavelu della Southern California University. Gli sfidanti del Nasa Space Apps Challenge potranno osservare il cielo di Napoli ai telescopi con gli astronomi di Capodimonte e l’Unione Astrofili Napoletani.


In Italia le città dove si svolgerà l’hakathon sono Napoli, Roma, Torino e Venezia e i partecipanti dovranno ritrovarsi nelle sedi per realizzare un progetto/ prodotto relativo alla sfida scelta, rispetto a quelle proposte dalla Nasa
I partecipanti sia singoli che in team saranno ospitati in presenza delle relative sedi in cui sono scritti. Gli iscritti in maniera singola possono scegliere se associarsi o meno ad altri team.

 
È ancora possibile registrare all’hackathon il proprio team di progetto al link https://www.spaceappschallenge.org/nasa-space-apps-2024/2024-local-events/napoli scegliendo una delle 20 sfide identificate dalla NASA. Ogni skill e competenza conta! Non ci sono limiti di età.

 

I numeri dell’edizione 2024 di Nasa Space Apps Challenge sono da record: più di 280.000 registrazioni in oltre 185 paesi, con 2400 eventi locali in 600 città nel mondo, in Italia partecipano Napoli, Roma, Torino e Venezia, e il partenariato di 15 Agenzie spaziali. A Napoli si sono già registrati oltre 130 sfidanti costituiti in 10 team.

NASA Space Apps fornisce una piattaforma per i problem solver in tutto il mondo per usare dati gratuiti e aperti dalla NASA e dalle agenzie spaziali partner. I team di NASA Space Apps Challenge usano queste risorse per risolvere sfide scritte da esperti della NASA, che trattano argomenti che spaziano dalla narrazione allo sviluppo di software, astrofisica, esplorazione spaziale e altro ancora.


Ogni anno migliaia di team inviano progetti che dimostrano creatività, collaborazione e potenziale per risolvere le sfide che affrontiamo sulla Terra e nello spazio. I progetti vengono sottoposti a più round di valutazione per determinare in una prima fase i vincitori locali;

L’organizzazione di Napoli mette in palio 3 premi in denaro offerti dal Consolato americano e dal DAC, e un premio speciale offerto dal Center for Near Space al team che meglio interpreterà la prospettiva di una Città Cislunare di mille abitanti entro la fine del secolo. I team vincitori a livello locale saranno candidati alla competizione internazionale e potrebbero essere selezionati come vincitori globali della NASA International Space Apps Challenge con partecipazione alla cerimonia finale nel quartier generale della NASA a Washington.

 

Barnard B un esopianeta molto vicino

Rappresentazione grafica delle distanze relative tra le stelle più vicine e il Sole. La stella di Barnard è il secondo sistema stellare più vicino al Sole e la stella singola più vicina a noi.
Rappresentazione grafica delle distanze relative tra le stelle più vicine e il Sole. La stella di Barnard è il secondo sistema stellare più vicino al Sole e la stella singola più vicina a noi.

È notizia di poche ore fa la conferma di un esopianeta intorno alla nota e vicina Stella di Barnard: il pianeta è stato denominato Barnard B

La Stella di Barnard, situata a soli sei anni luce dal nostro Sistema Solare, è una delle stelle più studiate dagli astronomi, grazie alla sua vicinanza e alle caratteristiche uniche. Si tratta di una nana rossa con una massa pari a circa il 14% di quella del Sole e, nonostante la sua luminosità molto bassa, è stata al centro dell’attenzione per diverse scoperte scientifiche. Tra queste, è di oggi il comunicato che annuncia la scoperta di un esopianeta orbitante attorno a essa, noto come Barnard’s Star b o Barnard B, un mondo con una temperatura superficiale di 125°C e poco più piccolo della nostra Terra. La scoperta è stata ottenuta grazie all’utilizzo di due strumenti noti installati preosso il telescopio VLT dell’ESO. Si tratta di ESPRESSO spettroscopio dedicato proprio alla ricerca di pianeti rocciosi successore dello storico HARPS-N. 

La storia della Stella di Barnard risale a inizio Novecento, quando l’astronomo Edward Emerson Barnard identificò il movimento proprio di questa stella, che risultava essere il più veloce tra tutte le stelle conosciute. Nonostante sia più vecchia del nostro Sole, con un’età stimata di circa 10 miliardi di anni, la Stella di Barnard è notevolmente stabile, il che la rende un oggetto di studio particolarmente interessante per comprendere l’evoluzione stellare.

La scoperta di Barnard’s Star b ha alimentato il dibattito scientifico sulla possibile esistenza di altri pianeti attorno alle nane rosse. Queste stelle, più piccole e meno luminose del Sole, rappresentano circa il 70% delle stelle nella nostra galassia, e la scoperta di pianeti attorno a esse è considerata un’opportunità per esplorare nuovi territori nella ricerca di esopianeti abitabili. Nonostante la bassa temperatura di Barnard’s Star b, la sua scoperta ha dimostrato che pianeti massicci possono formarsi anche attorno a stelle di piccola massa e che le nane rosse potrebbero ospitare un numero significativo di esopianeti, alcuni dei quali potrebbero trovarsi nella cosiddetta zona abitabile.

La prima ipotesi sulla presenza di esopianeti intorno alla stella fu annunciata nel 2018 e dopo 6 anni circa finalmente arriva la scoperta.

La Stella di Barnard, quindi, rappresenta non solo una pietra miliare nella storia dell’astronomia per il suo movimento proprio unico, ma anche un laboratorio naturale per lo studio degli esopianeti. La scoperta di Barnard’s Star b ha aperto nuove prospettive nello studio delle atmosfere planetarie e nella ricerca di pianeti potenzialmente abitabili attorno alle nane rosse, confermando che l’esplorazione del cosmo è ancora ricca di sorprese e scoperte.

Barnard b [2], come viene chiamato l’esopianeta appena scoperto, è venti volte più vicino alla stella di Barnard di quanto Mercurio lo sia al Sole. Orbita intorno alla stella in 3,15 giorni terrestri e ha una temperatura superficiale di circa 125 °C. “Barnard b è uno degli esopianeti di massa più piccola trovati finora e uno dei pochi noti con una massa inferiore a quella della Terra. Ma il pianeta è troppo vicino alla stella ospite, più vicino rispetto alla zona abitabile“, spiega González Hernández. “Anche se la stella è circa 2500 gradi più fredda del Sole, in quella posizione fa troppo caldo perché si possa mantenere acqua liquida sulla superficie“.

L’annuncio della scoperta è stato accolto con entusiasmo dalla comunità scientifica internazionale, poiché rappresenta una prova ulteriore che i sistemi planetari attorno a stelle diverse dal Sole sono comuni. In particolare, i telescopi dell’ESO hanno svolto un ruolo chiave nel rilevamento del pianeta, dimostrando ancora una volta la loro importanza nella ricerca astronomica avanzata.

Fonte: ESO

Le Meraviglie del Sole: macchie solari e ponti di luce

Tutti sappiamo che il Sole, questo astro grandioso, dietro il suo aspetto apparentemente immutabile è incredibilmente dinamico. Un gigantesco motore che con la sua prodigiosa quantità di calore e luce mette in azione le macchina della vita terrestre.

Le macchie solari (sunspots, in inglese) sono la manifestazione più evidente della sua dinamicità: in sintesi, si tratta di concentrazioni del campo magnetico solare nella fotosfera.

Sono state monitorate e osservate dagli astronomi per secoli ma la svolta nella nostra comprensione della natura delle macchie solari avvenne solo con l’avvento della fisica atomica, all’inizio del XX secolo George Ellery Hale – astronomo americano interessato all’evoluzione del Sole e delle stelle – misurò per la prima volta un campo magnetico nelle macchie solari.

George Ellery Hale utilizzò l’effetto Zeeman (fenomeno in cui avviene la separazione delle linee spettrali di atomi e molecole in presenza di un campo magnetico) con uno spettroelioscopio modificato per dimostrare che le macchie solari presentano campi magnetici forti e concentrati.

Da allora, il campo magnetico è stato riconosciuto come il processo centrale che determina le proprietà delle macchie solari.

George Ellery Hale e una divisione Zeeman indotta magneticamente nello spettro di una macchia solare

L’osservazione del Sole ci ha permesso di scoprire costantemente nuove e affascinanti caratteristiche che ci aiutano a comprendere meglio la sua struttura. Un esempio sono gli affascinanti ponti di luce che attraversano le macchie solari. 

Le macchie solari formano il cuore di una regione attiva, al cui interno si osservano una serie di fenomeni dinamici come i ponti di luce (in inglese, light bridges). L’indagine sui ponti di luce ci aiuta a comprendere gli aspetti chiave delle macchie solari.

4 maggio 2024 Alberto Civiello Unione Astrofili Napoletani. Newton 150/750, barlow 3x, camera planetaria Asi 585mc, astrosolar filtro.

Francesco Berrilli, professore ordinario di Fisica solare e Climatologia spaziale presso l’Università degli Studi di Roma Tor Vergata ci spiega la loro natura:

I ponti di luce sono strutture brillanti lunghe e strette che dividono in una o più parti l’ombra di una macchia solare. L’ombra è la regione più scura di una macchia dove l’intenso campo magnetico solare emerge quasi perpendicolare alla superficie e inibisce la convezione dall’interno stellare. I ponti di luce spesso mostrano strutture filamentose o granulari simili alla granulazione del sole quieto. Si pensa che queste strutture siano manifestazioni di convezione turbolenta all’interno del forte campo magnetico dell’ombra. Infatti, se osservate ad alta risoluzione, esse mostrano una sottile linea scura centrale, con moti di plasma verso l’alto, e strutture granulari laterali associate a moti di plasma verso il basso.

Immagine dettagliata della superficie del sole catturata Alberto Civiello socio dell’ Unione Astrofili Napoletani mostra un ponte di luce che attraversa la macchia solare  AR 3780

Un ponte di luce attraversa la macchia AR 3838 Rossana Miani  Daystar Quark cromosfera, ERF,80ED Skywatcher, Player One Filtro ERF, ASI174MM ZWO AM5,

I ponti di luce sono tra le sottostrutture più sorprendenti sulla superficie solare. A volte mostrano comportamenti dinamici come espulsioni di plasma, aumenti di intensità e rapidi flussi di gas nella fotosfera e nella cromosfera inferiore. La loro durata è più breve di quella delle macchie solari che li ospitano e sono molto dinamici. Possono essere categorizzati in base alla forma geometrica, alla luminosità o alla polarità magnetica dei nuclei d’ombra circostanti. Possono svilupparsi come un’intrusione di un filamento penombrale all’interno dell’ombra oppure possono essere di natura granulare. Spesso sono associati alla rottura delle macchie solari nel decadimento o nel processo di unione di regioni magnetizzate che porta alla formazione di una nuova macchia.

7 settembre 2023 AR 3423 ripresa in varie lunghezze d’onda. Foto di  Rossana Miani  Daystar Quark Calcium H-Line, 100ED Skywatcher, Optolong luminance filter, Barlow 5x ASI174MM, Skywatcher  AZEQ5

Il Sole è l’unica stella di cui possiamo osservare in dettaglio la mutevole superficie. La conoscenza di fenomeni peculiari come i ponti di luce può aiutarci ad approfondire la nostra comprensione dell’Universo e delle forze che lo governano.

Coelum Astronomia 270 V/2024 Digitale

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Vita da Astrofilo

Introduzione 

Dal numero 258 al numero 262, Coelum Astronomia ha ospitato la rubrica “Vita da Astrofilo” di Cristian Fattinnanzi. Fattinnanzi con il suo ricco bagaglio di esperienze maturato sapientemente in tanti anni di paziente preparazione e pratica, ha messo a disposizione dei tanti lettori, suggerimenti e trucchi per alimentare le tecniche per l’osservazione e l’astrofotografia, partendo dalle basi acquisite ancora giovane e inesperto fino a giungere alle sofisticate tecniche e soluzioni implementate oggi, dopo oltre trent’anni di operatività per una passione che non sembra mostrare segni di cedimento. 

Riproponiamo qui la serie completa delle cinque puntate a disposizione degli abbonati che in tal modo possono tornare a consultare la miniserie anche in formato responsive.

Per i non abbonati o per quanti volessero la versione completa impaginata e stampabile, il pdf è prenotabile QUI


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La serie completa è comparsa nei numeri 258, 259, 260, 261 e 262

ARRIVA LA TSUCHINSHAN-ATLAS

Arriva la cometa che tutti gli appassionati stanno attendendo al varco da un anno, la Tsuchinshan-ATLAS, che transiterà al perielio il 27 settembre passando a meno di sessanta milioni di chilometri dal Sole per poi avvicinarsi alla Terra fino a “toccare” la distanza minima di 70 milioni di chilometri dal nostro pianeta il 12 ottobre.

Sarà proprio da questo momento in poi che la Tsuchinshan-ATLAS dovrebbe dare il meglio di sé uscendo gradualmente dalla luce solare che in precedenza tenterà di nascondercela.

L’ “astro chiomato” andrà però tenuto d’occhio poco prima dell’alba già da fine settembre, pur in un contesto prospettico sfavorevole a causa della scarsa altezza sull’orizzonte e della minima elongazione dal Sole perché la coda, sorgendo prima della chioma, potrebbe se ben sviluppata fare capolino ed in ogni caso anche la testa, se particolarmente luminosa, potrebbe mostrarsi pur nel cielo ancora chiaro. L’ottimismo comunque cresce dopo i tanti dubbi dei mesi scorsi. La Tsuchinshan-ATLAS si sta infatti già mostrando tra le luci del crepuscolo serale nell’emisfero australe e le riprese di tanti amatori testimoniano il suo buon stato di salute.

Al momento in cui scriviamo (24 settembre) la sua luminosità in costante aumento è stata stimata attorno alla magnitudine 3,5 con la coda che, pur non ancora non particolarmente sviluppata, pare a sua volta promettere bene.

La fiducia deriva soprattutto dal grado di emissioni delle polveri che pare essere molto buono. Se il nucleo reggerà all’incontro con il Sole lo spettacolo nel periodo seguente potrebbe essere davvero notevole, consegnandoci una cometa facilmente visibile ad occhio nudo dopo il tramonto. Stampa, tivù e social vari l’hanno frettolosamente definita “la cometa del secolo”. Come sempre nel nostro paese, quando si parla di astronomia, si cerca il sensazionalismo ed i titoli “acchiappa like” e attenzione si sprecano, quasi sempre senza motivo. Da parte nostra ci auguriamo davvero che stavolta abbiano ragione (anche se alla fine del secolo manca ancora parecchio), ma le certezze non vanno molto d’accordo con le comete, notoriamente gli oggetti più imprevedibili del Sistema Solare. Quindi preferiamo stare con i piedi ben piantati per terra ed attendere gli eventi con la speranza, quella sì, di assistere a qualcosa di indimenticabile.

Nell’immagine tratta dal sito in-the-sky.org la posizione della cometa Tsuchinshan-ATLAS all’alba alle 06:00 del 25 settembre 2024. Località Roma.

Ulteriori dettagli a fine mese nella rubrica on-line pubblicata su www.coelum.com e soprattutto nel numero di ottobre della rivista.

JWST ARP 107 nuova occhiata alle collisioni galattiche

Arp 107 catturata dalla telecamera MIRI del JWST. Credit: NASA, ESA, CSA, STScI
Arp 107 catturata dalla telecamera MIRI del JWST. Credit: NASA, ESA, CSA, STScI

Un’interazione tra una galassia ellittica e una galassia a spirale più grande, note collettivamente come Arp 107, sembra aver dato alla spirale una prospettiva più felice grazie ai due ‘occhi’ luminosi e all’ampio ‘sorriso’ semicircolare che ne sono derivati. Questa immagine è un composito, che combina osservazioni del MIRI (Mid-InfraRed Instrument) e della NIRCam (Near-InfraRed Camera) di Webb.

Arp 107
Questa immagine composita di Arp 107, creata con i dati della NIRCam (Near-InfraRed Camera) e del MIRI (Mid-InfraRed Instrument) del telescopio spaziale James Webb. Coppia di galassie interagenti. La più grande delle due galassie è leggermente a destra del centro ed è composta da un centro bianco nebbioso e luminoso e da un anello di filamenti gassosi, che sono diverse tonalità di rosso e arancione. Verso il basso a sinistra e in basso a destra dell’anello ci sono filamenti di gas che si muovono a spirale verso il nucleo. In alto a sinistra dell’anello c’è un notevole spazio vuoto, delimitato da due grandi sacche arancioni di polvere e gas. La galassia più piccola è composta da gas e polvere nebbiosi e bianchi, che diventano più diffusi allontanandosi dal suo centro. In basso a sinistra di questa galassia, c’è una nuvola di gas più piccola e diffusa che si diffonde verso i bordi dell’immagine. Molte galassie rosse, arancioni e bianche sono sparse ovunque, alcune hanno un aspetto più nebuloso e altre hanno schemi a spirale più definiti. Credit: NASA, ESA, CSA, STScI

NIRCam evidenzia le stelle all’interno di entrambe le galassie e rivela la connessione tra di esse: un ponte trasparente e bianco di stelle estratte da entrambe le galassie durante il loro passaggio. I dati MIRI , rappresentati in rosso-arancio, mostrano regioni di formazione stellare e polvere composta da molecole organiche simili a fuliggine note come idrocarburi aromatici policiclici. MIRI fornisce anche un’istantanea del nucleo luminoso della grande spirale, sede di un buco nero supermassiccio.

La galassia a spirale è classificata come galassia di Seyfert, uno dei due gruppi più grandi di galassie attive, insieme alle galassie che ospitano quasar. Le galassie di Seyfert non sono luminose o distanti come i quasar, quindi sono posti migliori per studiare fenomeni simili in luce a bassa energia, come l’infrarosso.

Questa regione è molto simile alla galassia Cartwheel, una delle prime galassie interagenti osservate da Webb. Arp 107 potrebbe essersi rivelata molto simile nell’aspetto alla Cartwheel, ma poiché la galassia ellittica più piccola ha avuto una collisione decentrata anziché un colpo diretto, la galassia a spirale se l’è cavata con solo i suoi bracci a spirale disturbati.

La collisione non è così brutta come sembra. Sebbene prima si verificasse molta formazione stellare, le collisioni tra galassie possono comprimere il gas, migliorando le condizioni necessarie alla formazione di più stelle. D’altro canto, come rivela Webb, le collisioni disperdono anche molto gas, privando potenzialmente le nuove stelle del materiale di cui hanno bisogno per formarsi.

Webb ha catturato queste galassie nel processo di fusione, che richiederà centinaia di milioni di anni. Mentre le due galassie si ricostruiscono dopo il caos della loro collisione, Arp 107 potrebbe perdere il suo sorriso, ma inevitabilmente si trasformerà in qualcosa di altrettanto interessante da studiare per i futuri astronomi.

Arp 107 si trova a 465 milioni di anni luce dalla Terra, nella costellazione del Leone Minore.

Arp 107 schema dati
Credit: NASA, ESA, CSA, STScI

 

Fonte: https://esawebb.org/news/weic2324/

Quando ti assegnano i superpoteri avanzati

Esistono gli esseri umani normali, come la maggior parte di noi, e poi esistono i Supereroi. I Supereroi sono quella categoria ristretta di esseri speciali che nella quotidianità, per la maggior parte del tempo, appaiono come tutti noi, con i soliti pregi e difetti, ma poi, all’occasione, sfoderano i loro superpoteri, di cui sono stati misteriosamente dotati da forze sconosciute. Ed ecco che c’è chi è capace di leggere nella mente, passare attraverso i muri, compiere balzi prodigiosi, sprigionare raggi laser potentissimi dai polpastrelli, o trasformarsi in esseri muscolosissimi come Hulk, che a causa di questo superpotere ha dilapidato un patrimonio in camicie strappate e non più aggiustabili.


Non sappiamo come avvenga la distribuzione dei superpoteri agli umani da parte dell’Ente Supremo che li gestisce. Non sappiamo come questo misterioso Comitato decida di affidare al signor Brambilla la capacità di superare la velocità della luce, e alla signora Luisa quello dell’invisibilità. Sappiamo però che a volte la Cupola dei Supereroi si trova a raschiare il fondo della pentola dei superpoteri rimasti ancora disponibili, e quindi può capitare che una mattina un tranquillo signore qualunque si svegli e si ritrovi con un superpotere che – diciamo – difficilmente gli tornerà utile per salvare il mondo. È il caso di una signora italiana (le cui generalità sono state giustamente occultate dal Gruppo di Coordinamento Mondiale dei Supereroi) che, alcuni anni fa, ha avuto in dono il superpotere di mummificare le uova.


Ebbene sì, c’è chi riesce a passare attraverso i muri, chi diventa invisibile, chi fonde l’acciaio con la mente, e chi invece ha il superpotere di mummificare le uova con la sola imposizione delle mani. Questa signora, resasi improvvisamente conto di avere acquisito questo inaspettato dono, presa da un reale sconcerto ha contattato il Cicap, il Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sulle Pseudoscienze, con l’intento di capire cosa le stava succedendo. Della serie: why me?!


La signora ha raccontato agli esperti del Cicap che le bastava rompere un uovo su un piattino, imporre le mani, lasciare l’uovo a riposare per qualche giorno, e incredibilmente, alla fine, invece di marcire e produrre l’insopportabile puzza di uovo marcio, l’uovo vetrificava e si seccava senza puzzare, come la mummia di Similaun.


A parte che ci sarebbe da discutere su cosa scatti nella mente di un essere umano quando decide di rompere un uovo e, invece che friggerlo mettendoci sopra due fette di pancetta, imporci le mani e lasciarlo su una mensola per vedere se marcisce, ma non stiamo a farci domande a cui non è possibile dare risposta. Fatto sta che, ancor prima di capire in che modo il mondo avrebbe potuto essere salvato da questo inaspettato dono che le era stato assegnato, la signora voleva capire cosa le fosse realmente successo, e per questo si è rivolta al Cicap.


Gli esperti del Cicap (tutta gente serissima e noiosissima che non ride mai e non crede mai a niente), invece di stupirsi di questo incredibile superpotere, hanno chiesto alla signora di poter fare una prova semplicissima: accanto alle uova sulle quali la signora aveva imposto le mani, hanno chiesto di poter mettere altre uova, rotte da un socio Cicap che non aveva ricevuto nessun dono speciale se non quello di essere uno scettico rompiballe.

Le uova sono restate buone buone per alcuni giorni, sia quelle a cui erano state imposte le mani, sia quelle del Cicap, identiche in tutto e per tutto escluso il fatto di non aver ricevuto la speciale infusione. Infine, dopo alcuni giorni – magia! – tutte le uova si erano mummificate allo stesso modo, sia quelle benedette, che quelle del Cicap.


Il motivo, spiegato dalla chimica e dalla fisica, è che in un ambiente secco quale era quello dove la signora aveva riposto le uova, l’acqua in esse contenuta evapora velocemente, prima ancora che i batteri riescano a far partire il processo che creerebbe muffa e cattivo odore. Il risultato è che le uova si vetrificano direttamente, senza passare per lo stadio di uova marce e puzzolenti. Un semplice effetto dei fenomeni naturali, che ha illuso un Supereroe mancato.


Cosa ci insegna tutto questo? Ci insegna l’importanza del campione di controllo, un ingrediente fondamentale della metodologia scientifica, sia che si ricerchi il bosone di Higgs, la cura per la sciatica o la mummificazione delle uova. Ovvero, andare a verificare se il fenomeno cercato si manifesta  anche in situazioni in cui non dovrebbe verificarsi, ovvero quando è assente la causa che si ritiene faccia accadere il fenomeno (in questo caso l’imposizione delle mani). E per colpa del Cicap, della metodologia scientifica e di un briciolo di razionalità, il mondo è stato privato di un potenziale Supereroe. Che comunque – diciamocelo – non avrebbe ricevuto chiamate urgenti molto spesso. Magari, al limite, da qualche chef che voleva stupire con un menù di tendenza.


L’articolo è pubblicato in COELUM 267 VERSIONE CARTACEA

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