Una spettacolare formazione rocciosa lunare immortalata ad alta definizione, è quella che gli scienziati hanno ribattezzato “Piramide di roccia”. Crediti: Chinese Academy of Sciences/China National Space Administration/The Science and Application Center for Moon and Deepspace Exploration/Emily Lakdawalla
Una spettacolare formazione rocciosa lunare immortalata ad alta definizione, è quella che gli scienziati hanno ribattezzato “Piramide di roccia”. Crediti: Chinese Academy of Sciences/China National Space Administration/The Science and Application Center for Moon and Deepspace Exploration/Emily Lakdawalla
È piccolo, assai longevo e viene dal lontano oriente: è Yutu, o Coniglio di Giada come è più noto in occidente, il piccolo lander cinese allunato con la missione Chang’e-3 nel dicembre 2013. Coniglio sì, ma con un occhio di lince: è lui infatti che ha realizzato la serie di scatti della superficie lunare che ce la mostrano con una nitidezza mai raggiunta prima e diffusi in questi giorni dall’Agenzia Spaziale Cinese.
Un’immagine di Yutu, il rover conosciuto come Coniglio di Giada, scatta dal lander Chang’e 3 il 23 dicembre 2013 Credits: Chinese Academy of Sciences / China National Space Administration / The Science and Application Center for Moon and Deepspace Exploration / Emily Lakdawalla
Yutu – che prende il nome da una creatura immaginaria presente nella mitologia di molti paesi dell’Estremo Oriente, in particolare di Cina e Giappone, un coniglio, appunto, che vivrebbe sulla Luna – è il primo rover spaziale ad allunare dai tempi della missione sovietica Luna 21, nel 1973, e detiene ad oggi il record di longevità ed operatività tra i rover lunari.
Il Coniglio di Giada però ha cominciato ad accusare i segni dell’età già a metà della sua missione, che sarebbe dovuta durare tre mesi. Nel gennaio 2014, a causa probabilmente di un guasto ai pannelli solari (che sarebbero dovuti entrare in stand-by per superare i 14 giorni della fredda notte lunare) ha iniziato ad avere difficoltà a muoversi e da allora è stato lasciato lì, fermo, sulla superficie della Luna. Ma la strumentazione del rover è ancora funzionante, ed è grazie ad essa che è riuscito ad inviare a terra le bellissime foto che sono state diffuse.
Il fatto che l’Agenzia Spaziale Cineseabbia preso questa decisione è già di per sé una notizia, infatti a differenza di NASA ed ESA, che pubblicano quotidianamente dati e immagini dall’Universo, la CNSA raramente procede alla stessa maniera, e il suo lavoro è molto più “segreto”. La differenza culturale fa la sua parte: il sito web dell’Agenzia, interamente in cinese, non è infatti di semplice utilizzo per gli utenti non cinesi.
Ma per fortuna le immagini, numerose e in alta definizione, sono state caricate da Emily Lakdawalla sul sito web della Planetary Society, dove tutti possono fruirne e ammirare nei colori reali la superficie della Luna a una definizione mai vista, le tracce dello stesso rover e impressionanti formazioni rocciose.
Per vedere le altre immagini scattata da Yutu clicca qui.
La CNSA ha in programma altre missioni di esplorazione lunari: nel 2020 è previsto il lancio del razzo Chang’e-4, con una sonda che vorrebbe raggiungere la parte più lontana del nostro satellite.
Ogni lezione è composta da una parte teorica e una più pratica dove i ragazzi lavoreranno in squadra e si cimenteranno in esperienze a diretto contatto con l’argomento trattato di volta in volta. La scuola avrà inizio il 6 febbraio 2016 e prevederà incontri della durata di circa due ore ed una Fiera finale allestita con modelli, esperimenti, lavori realizzati dai ragazzi. Per partecipare è obbligatoria una prenotazione online per tutti i ragazzi .
Luogo: Osservatorio Astronomico di Roma – via Frascati 33 Monte Porzio Catone (Rm)
Orari: 16:00-18:30 (il primo incontro inizierà alle 15:30)
www.estrellasplanetas.org
Luigi Pizzimenti vicino a Casper, il mockup 1:1 del Modulo di Comando delle missioni Apollo
Luigi Pizzimenti vicino a Casper, il mockup 1:1 del Modulo di Comando delle missioni Apollo
I fondatori sono: il Presidente Luigi Pizzimenti, Storico delle Missioni Apolloe Curatore del Padiglione Spazio presso il Museo del Volo Volandia,(Presidente di ADAA), il Tesoriere e Segretario Roberto Crippa, ex Presidentedi Foam13, e Dario Kubler nel ruolo di Vice Presidente.I tre fondatori sono supportati da numerosi appassionati che hanno”sposato” il progetto. Uno dei primi incarichi ricevuti da ADAA sarà la gestione del Padiglione Spazio-Planetario del Museo del Volo (Volandia). L’attività di ADAA, comprenderà: programmi divulgativi nel Padiglione Spazio-Planetario, didattici con proposte per le scuole di ogni grado, conlezioni e laboratori, realizzazione di mockup spaziali come “Casper” il Modulo di Comando delle missioni Apollo, realizzato nel 2012 ed oggi esposto presso il Museo di Volandia, attività scientifiche nell’ambito astronomico e astronautico nonchè l’organizzazione di eventi come convegni, meeting, congressi, incontri con altri Osservatori Astronomici e Enti che si occupano di Astronautica, Università e Istituzioni Scientifiche.L’obiettivo di ADAA è quello di contribuire in modo concreto ed accessibile alla diffusione della cultura astronomica e astronautica e favorire la scoperta del cielo e l’ispirazione delle nuove generazioni.
IL PADIGLIONE SPAZIO / PLANETARIO
L’universo di Volandia: cammina tra Pianeti e satelliti, esplora la volta celeste con il Planetario e rivivi tutte le missioni spaziali umane, i grandi astronauti, le loro tute e la capsula Apollo in scala 1:1. Il padiglione Spazio- Planetario, gestito dall’Associazione per la Divulgazione Astronomica Astronautica (ADAA) e realizzato con la Collaborazione dell’Agenzia Spaziale Italiana, dell’European Space Agency e di Finmeccanica. L’Associazione amplierà la già vasta proposta didattica del museo con una serie di nuovi laboratori e percorsi astronomico-astronautici, da proporre nel padiglione Spazio-Planetario di Volandia. Inoltre i Volontari e gli Esperti dell’ADAA effettueranno delle visite guidate al rinnovato padiglione.
Questa immagine, che mostra una parte del cratere Messor, è stata la prima pubblicata nel catalogo ufficiale per l'orbita LAMO. E' stata ripresa il 19 dicembre 2015 da un'altitudine di 385 chilometri. La risoluzione è 35 metri per pixel. Credit: NASA/JPL-Caltech/UCLA/MPS/DLR/IDA
Questa immagine, che mostra una parte del cratere Messor, è stata la prima pubblicata nel catalogo ufficiale per l'orbita LAMO. È stata ripresa il 19 dicembre 2015 da un'altitudine di 385 chilometri. La risoluzione è 35 metri per pixel. Credit: NASA/JPL-Caltech/UCLA/MPS/DLR/IDA
Il video è stato realizzato dal team del Centro Aerospaziale Tedesco DLR, utilizzando le immagini raccolte dalla sonda della NASA Dawn durante l’orbita HAMO (High Altitude Mapping Orbit), durata da agosto a ottobre 2015, durante la quale la sonda ha mappato il pianeta nano da una distanza di 1470 chilometri.
I colori sono stati migliorati per evidenziare le sottili differenze compositive della superficie: gli scienziati ritengono che le zone blu siano le più giovani, formate da materiale più recente.
«Il sorvolo simulato mostra la vasta gamma di forme di crateri incontrati su Cerere. L’osservatore può vedere le pareti a strapiombo di Occator e anche di Dantu e Yalode, che sono molto più piatti», ha detto Ralf Jaumann, scienziato della missione presso il DLR.
La sonda Dawn, arrivata a Cerere a marzo 2015, sta ora percorrendo la sua orbita di mappatura più bassa, Low Altitude Mapping Orbit (LAMO), a soli 385 chilometri dalla superficie.
Tutti i primi lunedì del mese:
UNA COSTELLAZIONE SOPRA DI NOI
In diretta web con il Telescopio Remoto UAI Skylive dalle ore 21:30 alle 22:30, ovviamente tutto completamente gratuito.
Un viaggio deep-sky in diretta web con il Telescopio Remoto UAI – tele #2 ASTRA Telescopi Remoti.
Osservazioni con approfondimenti dal vivo ogni mese su una costellazione del periodo. Basta un collegamento internet, anche lento. Con la voce del Vicepresidente UAI, Giorgio Bianciardi http://telescopioremoto.uai.it
Per assistere alla prima congiunzione celeste di febbraio sarà necessario alzarsi molto presto il giorno 1 e rivolgere lo sguardo verso sudest. L’ora consigliata è quella delle 5:45, quando il cielo sarà ancora sufficientemente scuro da mostrare il puntino luminoso di Marte (mag. +0,8) 2,9° a sud (riferimento altazimutale) dell’ultimo quarto di Luna.
Tre giorni dopo, sempre alla stessa ora, la Luna (molto più affilata) si sarà spostata verso l’Ofiuco, circa 6° alla sinistra di Saturno (mag. +0,5). Tutto dipenderà dalle condizioni atmosferiche, ma se la trasparenza dell’aria sarà buona come talvolta accade in febbraio, anche queste “normali” congiunzioni potranno regalare qualche piccola emozione all’osservatore mattiniero.
Per quanto riguarda l’aspetto del cielo, nella prima parte della notte predomineranno ancora le costellazioni invernali; verso le 21:00 saranno infatti in meridiano il Cane maggiore e Orione, con l’Auriga alla zenit. A ovest staranno invece già tramontando Pegaso e la Balena, mentre ad est il cielo sarà già occupato dagli asterismi primaverili, tra cui saranno facilmente riconoscibili il Leone e le prime propaggini della Vergine. Più tardi sorgerà anche la brillante Arturo nel Boote, mentre a ovest comincerà ad essere evidente il declino di Orione verso l’orizzonte. Molto più in alto, quasi immobile a nord, il Grande Carro sembrerà in procinto di rovesciarsi.
Per ciò che riguarda i pianeti visibili ad occhio nudo, solo Giove, situato tra Leone e Cancro, sarà osservabile la sera, mentre per vedere Saturno e Marte, tra Scorpione e Libra, bisognerà attendere la seconda parte della notte.
Sole
Il 16 febbraio il Sole si sposterà dal Capricorno all’Acquario (ovviamente stiamo parlando di costellazioni, non di “segni astrologici”), proseguendo nel contempo la “risalita” dell’eclittica a una velocità media in declinazione di circa 20′ al giorno. Partendo dai -17°,4 di inizio mese, supererà i -10° alla fine, e da questo ne deriverà un corrispondente aumento dell’altezza sull’orizzonte al momento del passaggio in meridiano. Aumenteranno così le ore di luce, tanto che la sera, in media, si potrà iniziare ad osservare con il massimo contrasto non prima delle 19:15, fino alle :30 del mattino dopo. La durata della notte astronomica, in continua diminuzione, in febbraio sarà in sostanza di poco superiore alle 10 ore.
Fenomeni e congiunzioni
Il mese che precede l’inizio della primavera offrirà poco più dell’ordinaria amministrazione agli infreddoliti spettatori in cerca di emozioni forti. Qualche congiunzione, sì, ma tutte abbastanza larghe, e per di più scomodamente posizionate nel cielo del mattino. Fra tutte si segnala però una suggestiva congiunzione a tre, anzi a quattro, tra un’esilissima falce lunare con Venere, Mercurio; più… un altro invisibile ospite.
Andiamo a visitare le varie sezioni della mostra, raccogliendo le opinioni in libertà di uno scettico curioso incontrato lungo il suo percorso.
Villa Farsetti a Santa Maria di Sala
Nei duecento metri di prato davanti alla facciata della Villa settecentesca, le scolaresche fanno una passeggiata interplanetaria, sostando davanti al Sole fermandosi per una pausa, passando attraverso i vari pianeti, mangiando un panino o un frutto, e si avverte un ooohhhh nell’aria e il click di una foto ricordo di un bambino che sorride accanto agli anelli di Saturno.
Il Planetario è in funzione: un gruppo di ragazzini sta uscendo. Si sentono le loro urla, la loro fantasia è infiammata, dopo un viaggio lungo mezz’ora tra le costellazioni del cielo, frutto della fantasia degli uomini, e le stelle della nostra Galassia, che sono poi quasi tutto quello che possiamo vedere a occhio nudo. E’ un viaggio in un cielo senza inquinamento, quel cielo che ora abbiamo perduto e dove i nostri antenati avevano facilità a identificare i loro miti e tradizioni. Lo stupore di allora è quello di oggi, e si spera che non sia soltanto dentro a un Planetario. Nel frattempo, un bambino, seduto accanto a Giove si è appisolato per la stanchezza, la sosta spaziale-ricreazione sta per concludersi, così alcuni suoi compagni lo scuotono. Hanno ragione, non è questo il momento per addormentarsi, ora altre curiosità li aspettano: il cielo al tempo dei Faraoni, il cielo visto dal Polo Nord e dall’equatore, l’esplosione di una supernova ricreata con effetti speciali, la formazione di nuove stelle. No, non c’è tempo per appisolarsi tra i pianeti.
Davanti all’ingresso della Villa, dei telescopi posizionati in semicerchio. E’ una bella giornata, cosa mai si riuscirà a vedere? “Le macchie solari”, mi dicono, ma cosa mai saranno? Comunque, sono tante e chiare con il loro alone, quasi il Sole fosse diventato una mela a puntini. E da questo telescopio non si vede nulla? “Guarda bene”, mi suggeriscono. Sì, ecco il Sole tutto rosso, mai visto così rosso, solo sui libri e sulle riviste, che meraviglia! Ma le macchie non si vedono più. “Guarda bene sul bordo” mi ripetono. Ed è lì che vedo le fiammate, le vampate con le eruzioni… Flare, brillamenti solari… All’improvviso, non sento più quello che mi si dice, me le godo tutte, sono una, due, tre, una minuscola e una gigantesca. Ora ascolto, mi dicono che sono grandi anche più della Terra! Noi… noi siamo nulla. Riprendo a guardare meglio, mi gira la testa, non vado più via. Voglio stare qui a contemplare il Sole. C’è, purtroppo, qualcuno che dietro di me aspetta il suo turno.
Così, a malincuore, decido che è il momento di entrare in Villa. Tutto sommato, capisco che il bello è appena all’inizio. Sezione pianeti extrasolari. Ma sono proprio tanti questi pianeti! Nuovi mondi scoperti attorno a stelle diverse dal nostro Sole, pianeti che fino a vent’anni fa avevamo soltanto immaginato e ipotizzato esistere ed ora, con una App nel telefonino, li posso contare, li posso immaginare, visitare e, ogni volta che ne scoprono uno, c’è un bip-bip che mi avverte. Chissà se qualcuno di questi mondi è abitabile…su qualcuno inospitale ci manderei tutta la gente cattiva, e su quelli ospitali, perché no, ci andrei a fare una vacanza inviando cartoline spaziali a tutti i miei cari amici con scritto: “Saluti da Kepler-16b! Qui tutto bene, mi trovo in orbita attorno a due stelle”. A me che piace Star Wars, questo sistema ricorda proprio Tatooine. Qui un esperto sta dicendo che di Tatooine ne sono stati scoperti oltre una decina, sono più comuni di quanto si pensasse. Se sia la fantascienza a superare la realtà o la realtà a superare la fantasia, ancora non l’ho capito. Forse mio nipote lo capirà, ma l’esperto ora rovina tutto, dice che non si sono ancora trovati pianeti ospitali e il viaggio per andarci è troppo lungo, anche una volta la transiberiana era inavvicinabile, non si sapeva neppure dove fosse, ma ora le cose non stanno più così.
La parte dedicata alla missione ExoMars, materiale dell’ASI-Agenzia Spaziale Italiana, sembra fantasia pura, eppure dicono che il giorno che si sbarcherà su Marte si avvicina sempre di più. La stessa astronauta Samantha Cristoforetti è disponibile ad andarci, mah! Questo modellino di Stazione Spaziale Internazionale mi fa pensare alla lattuga romana che hanno coltivato lassù e al primo fiorellino che è nato, Zinnia, dai petali arancioni e dal fogliame verde scuro. Dicono che queste mini-serre lassù a 400 chilometri di quota, sono fondamentali per l’alimentazione degli astronauti nelle future missioni spaziali umane, come quella su Marte. Ho sempre pensato che fare giardinaggio fosse importante anche a casa mia! Perbacco, anche una tuta spaziale! Guardiamola per bene, un domani potrebbe essere la mia.
Quei ragazzini che osservano ammirati il pendolo di Foucault forse non capiscono nulla, non solo loro, ma il dubbio desta l’attenzione… auguriamoci di diventare grandi e di capirlo veramente.
Con le costellazioni, la mitologia greca prende il sopravvento: si accende l’immaginazione e prendono vita draghi, orse; si sognano eroi, re, ancelle, animali e strumenti conosciuti e immaginari, a non finire.
Anche la precessione degli equinozi è un osso duro … ma se dicono che è così, ci crediamo … speriamo che non succeda l’irreparabile e ci caschi qualcosa addosso.
Ma ecco una vasca da bagno, cosa c’è? La Terra al centro e il Sole che gira attorno, forse ora mi dicono che Copernico ha sbagliato tutto e ritorniamo al Sistema Tolemaico, è dura la vita ragazzi !!
No, per fortuna è tutto regolare, proprio come mi hanno detto a scuola: Copernico, Keplero e Galileo hanno ancora ragione, però qui ne fanno una proprio grossa: è inaccettabile che i periodi dello Zodiaco me li stravolgano… Io dell’Ofiuco?!? Neanche per sogno! Mai sentito dire, è pura invenzione! Mi scardinano le uniche certezze che avevo! E ogni periodo dello Zodiaco ha cambiato momento dell’anno e durata, fino a 45 giorni, come la Vergine oppure solo 6 giorni come il Sagittario. Per me la durata di ogni periodo dello Zodiaco è sempre stata di un mese, dall’Ariete fino ai Pesci, sempre un mese… E’ incredibile come le cose siano cambiate in così poco tempo! L’avevo detto che non dovevo venire!
Andiamo avanti. Il Sistema Solare in movimento, al buio, dove ogni pianeta va via per conto suo, un marchingegno straordinario ma per fortuna che è solo fino a Marte, sennò sarebbe uscito fino in mezzo al prato della Villa per venir completato con gli altri pianeti… è un bel tourbillon.
Finalmente vedo i colori, i colori della luce: un po’ di luce e un po’ di colore, riflessi strani e bellissimi, fosforescenti o bianchissimi, combinazioni di colori molto interessanti. Meno male, questa sezione è piacevole però qualche volta i colori combinati assieme danno il nero, qualche altra volta il bianco… Questi astrofili qui sono come i maghi: mi danno da bere qualsiasi cosa, eppure non usano trucchi, è tutto vero! Devo tornare e stare più attento a quello che dicono perché solo nelle parole c’è la magia di quello che osservo.
I modellini della Stazione Spaziale Internazionale, della base di lancio americana e dello Space Shuttle sono dei veri capolavori di miniaturizzazione: tutti a fare foto, non riesco neppure a vederli. Devo aspettare in coda il mio turno, come fossimo davanti a una star.
Una sezione di libri. Ancora libri, ora che c’è l’ebook? In effetti,il profumo della carta, l’emozione di guardare le immagini astronomiche in carta stampata non ha prezzo. Sono dei veri capolavori, non c’è elettronica che tenga …
Ecco la sezione delle bilance: finalmente mi peso sulla Luna, poi mi peso su Marte, ma non mi sognerò mai di farlo su Giove o su Saturno. Chissà mai perché la gravità aumenta e diminuisce! Resta un mistero? No, è solo tutta questione di massa del pianeta, mi dicono. Bè, io mi tengo la mia e procedo.
E poi, la stanza del cielo profondo: che fantasticherie! Ti fanno sedere su panchine, ti fanno sentire i suoni dell’universo, sì, una meraviglia. Le immagini, è vero, ci sono anche in alcuni libri, ma qui è tutto più sorprendente! Questo universo è veramente enorme!Oltre che difficile immaginarlo!
Qui vengono mostrati gli esperimenti del Gruppo Astrofili: le foto della Luna, delle macchie e protuberanze solari e delle nuove stelle variabili scoperte proprio da loro: è bello e interessante, chissà come faranno questi astrofili.. Che pazienza e poi, a che cosa serve tutto questo?
Altri esperimenti, questa volta di fisica: si riesce a capire qualcosa, gli astrofili si impegnano a spiegarci per bene, ma sono così tanti questi esperimenti e a capirli tutti ci vorrebbe una giornata! Ecco come si propagano le onde sonore e come si comporta la corrente. La corrente elettrica, proprio lei, che ci ha salvato dal buio pesto della notte, illuminando le nostre città, ma che ci ha sottratto anche la bellezza del cielo.
Più in là, viene spiegato il Teorema di Pitagora, che era così palloso quando andavo a scuola, lo imparavi a memoria, forse anche senza capirlo per davvero. Pensavo di non rivederlo più eppure è anche qui… allora vuol dire che è davvero importante!Qui ci sono palline che si muovono in modo strano e a volte impossibile, sembra sia tutto contro il senso comune, ma ecco la spiegazione: certo che è ovvio, non può essere altrimenti, le cose vanno così, ma certo che un’attenzione così lunga fa venire il mal di testa… Però sono bravi questi astrofili, battutine scherzose ed esilaranti, domande trabocchetto, escono risate e si sdrammatizza tutto! Meno male, non sono più tra i banchi di scuola, non mi sento interrogato, è un divertimento stare qui, anche se il capire come funzioni quella carrucola mi sembra piuttosto complesso,non ho mai provato, lo faccio ora.
Eccoci al“gran finale”, come lo ha definito un ragazzino mentre usciva da questa sala: il viaggio spaziale! Si va in orbita! Rumore assordante,su una rampa di lancio un razzo di un numero sterminato di tonnellate che si alza un po’ alla volta e sparisce nel cielo, ma no! Lo vediamo anche quando dalla Terra non si vede più, possiamo sederci alla guida e vedere strumentazione e comandi … è fantastico quello che si è riusciti a fare per esplorare lo spazio… A questo punto, bisogna andare a fare l’astronauta, ma anche no. Dicono che basterebbe essere ospiti o comprare un biglietto di andata e ritorno, ma chissà quanto costa e quando succederà!
La visita si è conclusa, non mi ero accorto che anche la giornata volge al termine. Sono stato qui dentro così a lungo? Sento che la testa è ancora su quel razzo, le onde che si propagano dentro il tubo sono davanti ai miei occhi ma in realtà sbircio il Pendolo di Foucault che nel frattempo ha descritto un piccolo archetto, A tutti noi che usciamo da questa mostra, ora toccherà affrontare il domani, come sempre, su questo piccolo puntino blu, un puntino divenuto sempre più affollato, e anche la bolletta che devo pagare è diventata sempre più … Eppure, questi astrofili sono bravi, chi avrebbe mai detto che in questo posto ci sarebbe stata una mostra così interessante… Aspetta che, prima di andare via, mi prendo un po’ di materiale-ricordo, non si sa mai; vediamo: mostra, corso, osservatorio, estate … Forse un pensierino vale la pena di farlo. Sono cose nuove, stupende, ti aiutano a superare alcune bassezze umane e a sentirti un gradino più su, dove non ci sono sconti per nessuno, dove lo spazio è così grande che ognuno può viaggiare libero nella sua galassia, dove non si può fare i furbi, o forse si, bè comunque il viaggio e le prospettive sono allettanti… Forse vale la pena di tener duro e andare avanti.
Una simulazione di quanto si potrà osservare la mattina del 30 gennaio guardando verso sud. Alle 6:45 il Sole (per una località posta a 42°N) sarà sotto l’orizzonte di -8° e già illuminerà debolmente l’orizzonte est, dove magari aiutandosi con un binocolo si potrà individuare Mercurio. Dopo di che, spostando lo sguardo verso ovest e salendo leggermente, troveremo Venere, poi Saturno, Marte e Giove.
Era dal gennaio 2005 che non succedeva, anche se allora fu più un assembramento che un allineamento…
Questa volta i 5 pianeti osservabili ad occhio nudo si disporranno invece sulla linea immaginaria dell’eclittica a intervalli assolutamente regolari, come tanti passeri su di un cavo della luce.
Ma per riuscire a osservarli, nel breve intervallo che passa dal momento in cui anche il più basso sarà uscito dall’orizzonte a quello in cui il cielo comincia a schiarire, sarà necessario fare un piccolo sacrificio alzandosi prima dell’alba. L’ora che consigliamo, come si può vedere anche dall’illustrazione, è quella delle 6:45.
La data? Beh, l’allineamento resisterà per parecchi giorni, divenendo tuttavia sempre più disordinato, ma il giorno migliore sarà senz’altro quello del 30 gennaio, quando a Mercurio, Venere, Saturno, Marte e Giove si aggiungerà (alla giusta distanza dagli altri, quasi a rispettare la cadenza!) anche un magnifico ultimo quarto di Luna.
Il primo febbraio la Luna, autentica mina vagante, si avvicinerà a Marte e il 4 febbraio a Saturno, per poi affiancarsi a Venere il 6. Una sottilissima falce sarà invece osservabile appena sotto Mercurio il 7 febbraio.
Di sfondo, saranno forse visibili (dipenderà dalla trasparenza e dall’oscurità del cielo) anche le stelle più luminose, come Antares nello Scorpione, Spica nella Vergine e Regolo nel Leone.
I cinque pianeti saranno di nuovo osservabili tutti insieme, ma nel cielo notturno, il prossimo agosto.
In realtà, 47’ a sud di Mercurio ci sarà anche il “passero” Plutone a tentare di unirsi al gruppo… ma sarà ovviamente inosservabile (e al momento anche privo della qualifica di pianeta, necessaria per entrare a fare parte del club).
Nei giorni a seguire la configurazione (a parte la Luna, che si sposterà velocemente verso est, divenendo anche sempre più sottile) rimarrà approssimativamente stabile, per cui i dati presenti in questa breve nota si potranno considerare validi almeno fino al 5 febbraio.
Equipaggio del STS-51-L Prima fila da sinistra a destra: Michael John Smith, Dick Scobee, e Ronald McNair. Seconda fila da sinistra a destra: Ellison Onizuka,Christa McAuliffe, Gregory Jarvis, e Judith Resnik. (NASA)
L'equipaggio della missione STS-51-L. Dall'alto da sinistra: Ellison Onizuka,Christa McAuliffe, Gregory Jarvis, e Judith Resnik, Michael John Smith, Dick Scobee, e Ronald McNair (NASA).
La mattina del 28 gennaio 1986 la costa di Cape Canaveral, in Florida, è affollata di turisti, curiosi, appassionati. Migliaia di occhi, allineati lungo le strade, sono puntati nella stessa direzione: la base di lancio del Kennedy Space Center da cui avverrà il lift-off.
All’accensione dei motori il silenzio è improvviso, ma dura pochissimi istanti: subito, mentre la sagoma maestosa del Challenger si alza verso il cielo per la decima volta, tra la folla si diffonde un gigantesco applauso.
L’entusiasmo dura poco: 73 secondi dopo il lancio è già finito, il silenzio cala di nuovo, improvviso, sulle strade di Cape Canaveral. La tragedia, vissuta in mondovisione, è trasmessa in diretta dalla CNN.
Il Challenger, coinvolto in quella che sulle prime sembra un’esplosione (si scoprirà dopo che la dinamica dell’incidente fu più complessa) finisce in pezzi e i resti precipitano nell’oceano, sparpagliati in un’area vasta quasi 2mila km quadrati. Per i sette membri dell’equipaggio non c’è nulla da fare. E’ il primo incidente di questa portata per il programma spaziale americano dai tempi dell’Apollo 1 nel 1967.
Più tardi verrà appunto appurato che lo Shuttle, il cui lancio era stato rinviato più volte, dal previsto 22 gennaio, per una serie di inconvenienti tecnici concatenati al maltempo, non era davvero esploso. La prima causa del disastro fu il guasto a una guarnizione (O-ring) del segmento inferiore del razzo a propellente solido, che provocò la disintegrazione del serbatoio esterno dello shuttle. Questo a sua volta ha causato il distacco della cabina dell’equipaggio, mentre i due razzi SRB continuavano separatamente a ‘volare’.
L’aspetto più terribile, appurato solo in seguito, è che almeno qualche membro dell’equipaggio doveva essere ancora vivo e cosciente dopo la rottura dello shuttle: lo dimostra l’attivazione di tre delle sette riserve di ossigeno di emergenza dei caschi degli astronauti. Ciò che invece è stato sicuramente fatale è l’impatto della cabina con l’oceano, uno schianto avvenuto a circa 333 Km/h.
La tragedia del Challenger segna una battuta d’arresto dello Space Shuttle Programme, che si ferma per oltre due anni.
Il Programma era iniziato nel 1981 con il lancio della navicellaColumbia, e per gli anni successivi era andato avanti a gonfie vele: prima l’inaugurazione del Challenger nell’83, poi delDiscovery e dell’Atlantis rispettivamente nell’84 e nell’85. Quella del 28 gennaio 1986 doveva essere la venticinquesima missione Shuttle, nome in codice STS-51L, ed era attesa con particolare trepidazione: si trattava della prima spedizione nello spazio di un civile, l’insegnante Sharon Christa McAuliffe.
Il governo americano puntava a sensibilizzare le nuove generazioni di studenti al tema dell’esplorazione del cosmo, e la McAuliffe era stata scelta tra centinaia di candidati per unirsi all’equipaggio del Challenger e dare una lezione di scienze direttamente dallo spazio.
30 anni fa:
La perdita della navetta Challenger
Lo Space Shuttle era una macchina meravigliosa, ma complessa e pericolosa. Pensare di inviare gli uomini e le donne nello Spazio e farli rientrare sulla Terra con un gigantesco e pesantissimo “Aliante” era un miracolo della tecnica, ma comportava rischi enormi…
La sua morte, insieme a quella del pilota Michael Smith, degli specialisti di missione Judith Resnik, Ronald McNair ed Ellison Onizuka e dello specialista di carico Gregory Jarvis, segna una profonda crisi nell’opinione pubblica americana. Le missioni successive vengono cancellate e inizia un biennio buio per la NASA, che oltre a indagare le cause della tragedia del Challenger deve rivedere la sua strategia nella corsa allo spazio.
Eppure l’arresto che molti si sarebbero aspettati non si verifica. Non solo: il Programma Shuttle riprende alla fine del 1988 con due lanci in soli tre mesi del Discovery e dell’Atlantis, che tornano così a superare l’atmosfera terrestre. Le missioni vanno a buon fine, altre cinque ne vengono programmate per l’anno successivo: si apre una nuova era per la conquista americana dello spazio.
Come si spiega una ripresa così rapida? Per provarci occorre fare un passo indietro, intorno alla fine degli anni ’50. Siamo in piena guerra fredda, e la rivalità tra il blocco americano e quello sovietico trova uno dei suoi culmini proprio nella corsa allo spazio.
L’URSS guadagna il record del primo satellite spedito in orbita, lo Sputnik 1, precedendo di un soffio gli USA in questa impresa. Ancora, riesce a mandare il primo uomo nello spazio, Jurij Gagarin, che oltrepassa l’atmosfera terrestre nel 1961 a bordo della capsula spaziale Vostok 1.
Di fronte a questa doppia vittoria sovietica, gli USA cominciano a investire tutte le loro energie in un progetto ancora più ciclopico: spedire un uomo sulla Luna. Traguardo che raggiungono nel 1969, con il primo passo sul nostro satellite compiuto da Armstrong eAldrin.
Ed è nello stesso anno che il Programma Space Shuttle viene concepito: la NASA apre alle industrie aerospaziali un bando per la progettazione di un “sistema di trasporto riutilizzabile”: il primo shuttle, appunto, che inizia a essere costruito negli anni ’70. Ci vorrà un altro decennio per arrivare al lancio della prima navicella, ma lo Space Shuttle Programme resta in qualche modo figlio della contrapposizione USA-URSS. Lo dimostra la reazione dell’Unione Sovietica, che poco dopo la partenza di Columbia investe una grandissima quantità di denaro nel programma Buran, per certi versi molto simile a quello americano, anche se meno fortunato.
All’interno di questo contesto storico-politico si spiega meglio la “febbre” che accompagna la corsa allo spazio tra gli anni ’60 e ‘90: lo stesso spirito che spinge l’America a far ripartire il programma Shuttle dopo la tragedia del Challenger. Serve però un cambio di direzione. La NASA lo trova nel suo nuovo amministratore Daniel Goldin, che inaugura la politica del Faster, Better, Cheaper.
Le misure di sicurezza vengono incrementate, e allo stesso tempo i costi si riducono notevolmente: il Programma Shuttle arriva a far risparmiare fino a un terzo rispetto al budget iniziale. Questo approccio, che caratterizza la filosofia degli anni ’90 dell’agenzia spaziale americana, viene applicato con successo anche ad altri ambiziosi progetti NASA, come quello embrionale della Stazione Spaziale Internazionale.
Lo Space Shuttle Columbia, lanciato il 16 gennaio verso la Stazione Spaziale, missione STS-107, esplode sopra il Texas nella fase di rientro, il 1 febbraio 2003, uccidendo l'intero equipaggio.
All’inizio degli anni duemila la politica del Faster, Better, Cheaper viene però messa sotto accusa dopo un’altra grande tragedia che colpisce lo Shuttle: l’1 febbraio 2003, durante la missione STS-107, il Columbia esplode nella fase di rientro nell’atmosfera. Anche questa volta, i sette componenti dell’equipaggio perdono la vita.
Ma come nel caso dell’incidente del Challenger, il programma Shuttle viene soltanto sospeso. Altri due anni di pausa, poi un nuovo inizio in grande stile, con ben 22 missioni che si succedono fino al 2011. È questo l’anno di chiusura dello Space Shuttle Programme, che con luci e ombre ha contribuito a scrivere una delle più importanti pagine nell’esplorazione americana dello spazio.
135 voli, 355 uomini e 179 satelliti in 30 anni: sono questi i numeri dello Shuttle, il cui termine, cinque anni fa, non ha certo segnato la fine del sogno della NASA. L’era del “post-Shuttle” si è infatti aperta coi nuovi progetti di Space Transport, portando con sé una grandissima eredità in termini di scoperte scientifiche e tecnologiche. Eredità che, tra l’altro, riguarda anche il trasporto cargo. E che proprio oggi, nel trentennale dalla tragedia del Challenger, la NASA celebra con una giornata dedicata a quanti hanno perso la vita nella causa dell’esplorazione umana del cosmo.
Ma con uno sguardo sempre rivolto al futuro: è attualmente aperto il bando per la ricerca di nuovi astronauti, che saranno selezionati a partire dalla metà di febbraio. Primo obiettivo, Marte: la nuova grande sfida della NASA, che continua a portare avanti la sua missione di esplorazione del cosmo nonostante episodi come la tragedia del Challenger.
Edward White, Virgil Grissom e Roger Chaffee (NASA)
Edward White, Virgil Grissom e Roger Chaffee (NASA)Tratto da Pizzimenti Blog del 26 gennaio 2016
La tragedia avvenne sulla rampa di lancio durante il test finale della missione inizialmente denominata Apollo 204. Sarebbe stata lanciata il 21 febbraio 1967, ma gli astronauti Virgil Grissom, Edward White e Roger Chaffee persero la vita nell’incendio del modulo di comando.
Gli astronauti erano entrati nella capsula alle ore 13 di Venerdì 27 Gennaio 1967. Il primo problema fu quando Gus Grissom entrato nella navicella dopo aver collegato la sua fornitura di ossigeno al veicolo spaziale, disse di aver sentito uno strano odore nella tuta spaziale come un “odore acre”… L’equipaggio si fermò per vedere se l’aria tornava ad essere normale, il centro di controllo dopo averne discusso con Grissom decise di continuare il test.
Il problema successivo fu un forte flusso di ossigeno che periodicamente attivava il master allarm. Anche in questo caso si continuò con la promessa che se ne sarebbero occupati dopo…
Un terzo problema sorse nelle comunicazioni. In un primo momento, le comunicazioni difettose sembravano essere unicamente tra il comandante Grissom e la sala di controllo. Più tardi, la difficoltà si estesero a tutto l’equipaggio, alla sala di controllo e al complesso di lancio 34. Grissom disse: “Come pensate di comunicare dalla Terra alla Luna, se non riusciamo a comunicare a tre isolati di distanza!”.
Quest’ultimo problema nelle comunicazioni, spostò di circa 30 minuti il conteggio dalle 5:40 pm alle 06:31 pm, quando i controllori di volo stavano per far ripartire l’orologio, gli strumenti a terra mostrarono un aumento inspiegabile del flusso di ossigeno nelle tute spaziali. Uno dei membri dell’equipaggio, presumibilmente Grissom, si era spostato leggermente.
Quattro secondi dopo, l’astronauta Chaffee urlò: “Fuoco, sento odore di fuoco“. Due secondi dopo, la voce diWhite si fece più insistente: “Fuoco nella cabina di guida!”
Le procedure per la fuga di emergenza richiedevano normalmente 90 secondi, ma in pratica l’equipaggio non aveva mai compiuto questa operazione in soli 90 secondi… Adesso si trattava di farlo con il fuoco e il fumo che avvolgeva i tre uomini!
Fiamme e spesse nuvole di fumo nero riempirono la white room. L’istinto fece allontanare molti uomini, ma altri cercarono di salvare gli astronauti. Il calore intenso e il denso fumo resero impossibile l’intervento, purtroppo era troppo tardi. Gli astronauti erano morti. Una commissione medica stabilì che gli astronauti erano morti per asfissia da monossido di carbonio. L’incendio aveva distrutto il 70% della tuta spaziale di Grissom, il 20% della tuta di White e del 15% della tuta di Chaffee.
Dopo la rimozione dei corpi, la NASA sequestrò tutto ciò che al momento del lancio era nel complesso 34.
Il 3 febbraio, l’Amministratore della NASA Webb, istituì una commissione d’esame per indagare a fondo sulla questione. Gli ingegneri smontarono per per pezzo la navicella e dimostrarono che l’incendio era divampato vicino a uno dei fasci di cavi proprio di fronte al sedile di Grissom sul lato sinistro della cabina.
Nella primavera del 1967, il dottor George E. Mueller, Amministratore associato per i voli con equipaggio della NASA, annunciò che la missione prevista per Grissom, White e Chaffee sarebbe stata denominata Apollo 1 per onorare la memoria dei tre astronauti scomparsi.
Il Programma lunare era appena iniziato, ed aveva già chiesto il suo tributo agli uomini.
Uno screenshot del software per l’analisi immagini in remoto. Crediti: Dustin Lang / University of Toronto.
Uno screenshot del software per l’analisi immagini in remoto. Crediti: Dustin Lang / University of Toronto.
La galassia lontana lontana è finalmente a portata di mano. E non c’è bisogno di un pericoloso salto nell’iperspazio per raggiungerla. È più che sufficiente avere una buona connessione internet.
Si chiama DECaLS (Dark Energy Camera Legacy Survey) la nuova mappa 3D dell’Universo, interamente navigabile online e che raccoglie la bellezza di 40 milioni di galassie e oltre 2,5 milioni di quasar. Grazie alle immagini a risoluzione 520 megapixel della Dark Energy Survey Camera si raddoppiano le dimensioni dell’Universo perlustrabile rispetto alla prima versione del progetto DESI(Dark Energy Spectroscopic Instrument) rilasciata lo scorso maggio e di cui abbiamo parlato anche noi di MediaINAF.
DESI è stato concepito per migliorare la comprensione e il ruolo che ha l’energia oscura nell’espansione dell’Universo. Gestito dal dipartimento Energia del Lawrence Berkeley National Laboratory, Stati Uniti, California, si sta adoperando alla costruzione del telescopio da 4 metri Mayall, presso il Kitt Peak National Observatory. L’obiettivo è ottenere una nuova mappatura 3D dell’Universo a una risoluzione senza precedenti, partendo dai “cieli” più vicini per raggiungere una distanza di 12 miliardi di anni luce.
Tutti i dati e le immagini raccolte sono comodamente fruibili da remoto, grazie a un software sviluppato da Dustin Lang, ricercatore dell’Università di Toronto, Canada. Attualmente DECaLS triplica in profondità le mappe della survey precedente, la Sloan Digital Sky Survey, e ampliano a un terzo del cielo l’area sottoposta a indagine.
«L’ultima versione di DECaLS raccoglie circa 370 milioni di oggetti fra stelle e galassie», spiega David Schlegel, co-responsabile del progetto al Berkeley Lab. «Quando avremo finito con il lavoro (presumibilmente nel 2018) avremo un paio di miliardi di oggetti con immagini in tre diverse bande di colore». Una profondità di dieci volte maggiore alla Sloan Digital Sky Survey.
Intanto, parallelamente allo sviluppo del progetto, procede il lavorio degli astrofisici per sviluppare algoritmi matematici buoni per identificare automaticamente gli oggetti “fotografati” nelle immagini raccolte.
L’interfaccia di Galaxy Zoo. Crediti: www.galaxyzoo.org
«Le immagini in RAW sono già disponibili a tutti e il codice che stiamo utilizzando è open source», spiega Schlegel. «Mi sembra corretto, dal momento che le risorse che ci consentono di lavorare al progetto arrivano direttamente dai contribuenti».
C’è un mondo di immagini tutto da studiare e potrebbe tornare utile il contributo della piattaforma di citizen science Galaxy Zoo, che da anni si avvale di bravi volontari e appassionati di scienza in collaborazioni con ricercatori e università. La piattaforma ha già importato un primo lotto di circa 30.000 galassie fra quelle “fotografate” da DECaLS, con l’obiettivo di raccogliere qualcosa come 1,2 milioni totali di classificazioni (40 per ogni galassia).
• Il sito dellaDECam Legacy Survey con l’archivio delle immagini e lo Sky Viewer per esplorare il cielo alla scoperta delle galassie
• Il sito in italiano del progetto di citizen science Galaxy Zoo, per la classificazione delle nuove galassie identificate da survey internazionali (Hubble, SDSS), alle quali ora si aggiungono le immagini di DECaLS
Nell’immagine le lune di Saturno Giano e Teti riprese dalla camera ad angolo stretto a bordo della sonda Cassini della NASA il 27 ottobre 2015. Crediti: NASA/JPL-Caltech/Space Science Institute
Dopo quasi dodici anni di attività la sonda Cassini della NASA non smette di regalarci emozioni. Le operazioni pianificate negli ultimi mesi e per tutto il 2016 riguardano soprattutto flyby (ovvero sorvoli ravvicinati) delle lune più interessanti. Giano e Teti sono due satelliti naturali di Saturno e il 27 ottobre scorso sono stati immortalati dalla camera ad angolo stretto a bordo della sonda, regalandoci l’immagine spettacolare che potete ammirare qui sotto.
Nell’immagine le lune di Saturno Giano e Teti riprese dalla camera ad angolo stretto a bordo della sonda Cassini della NASA il 27 ottobre 2015. Crediti: NASA/JPL-Caltech/Space Science Institute
Le due lune di Saturno mostrano in questo scatto una serie di differenze essenziali che distinguono tra loro le lune più piccole da quelle più grandi.
Le lune come Teti, ad esempio, che ha un diametro pari a 1.062 km, sono abbastanza grandi da poter essere state modellate dalla loro stessa forza di gravità. Il materiale di cui sono fatte (nel caso di Teti principalmente ghiaccio) è stato plasmato durante la sua formazione fino ad assumere una forma sferica. Vista da vicino, la superficie di Teti è ricca di crepe causate dalle numerose fratture del ghiaccio che la compone.
Giano appartiene invece alla classe delle lune più piccole. Con un diametro di appena 179 km e una superficie estremamente craterizzata (alcuni dei crateri più grandi arrivano fino a 30 km di diametro) presenta poche strutture lineari sulla superficie. La sua densità molto bassa e l’albedo relativamente alta fanno pensare che Giano sia un corpo ghiacciato e poroso. Come accade per tutte le lune di “piccola taglia”, anche Giano è un corpo non abbastanza massiccio da far sì che la sua forza gravitazionale riesca ad influenzarne la forma, e infatti si presenta con una morfologia irregolare.
Sovrapposti alle due lune ci sono anche, visti di taglio, l’anello F e il bordo esterno dell’anello A, che sembrano dividere l’immagine a metà. Questa inquadratura è stata ottenuta puntando la camera ad angolo stretto, uno degli strumenti a bordo della sonda Cassini, verso il lato non illuminato degli anelli a circa 0.23 gradi rispetto al piano degli anelli.
Questa visuale è stata ottenuta ad una distanza di circa 1 milione di km da Giano. La risoluzione, per quanto riguarda Giano, è di circa 6 km per pixel. Teti invece si trovava a una distanza di 1.3 milioni di km e la risoluzione, in questo caso, è pari a circa 8 km per pixel.
«Innanzitutto, l’immagine illustra il problema della prospettiva», ha dichiarato a media INAF Jonathan Lunine, professore della Cornell University e membro del team scientifico della missione Cassini,«Giano è piccolo rispetto Teti, ma si trova molto più vicino alla telecamera e questo ci fornisce un’impressione falsata delle loro dimensioni reciproche. In secondo luogo, Giano e le altre piccole lune che si trovano vicino agli anelli, grazie alle loro superfici polverose e alle forme strane che hanno, ci forniscono informazioni preziose circa l’ambiente che si trova dentro e intorno agli anelli: sono le nostre sonde naturali in questa regione estremamente interessante».
L’immagine di Giano e Teti assomiglia molto a uno dei tre obiettivi scientifici proposti per l’edizione di quest’anno del concorso Cassini Scientist for a Day rivolto ai ragazzi di scuole medie e superiori. Cassini Scientist for a Day è una gara internazionale, indetta dalla NASA e promossa in europa dall’Agenzia Spaziale Europea (ESA), grazie alla quale i ragazzi dai 10 ai 18 anni hanno la possibilità di avvicinarsi al lavoro dello scienziato studiando tre immagini prodotte dalla missione Cassini. Per partecipare i ragazzi devono scegliere quale immagine tra le tre proposte è secondo loro la più interessante e motivare la loro scelta con un elaborato di massimo 500 parole. La scadenza di partecipazione per quest’anno è fissata alle 23:59 del 26 febbraio 2016.
Per aiutare studenti e insegnanti a documentarsi sui tre target proposti e a scoprire qualcosa di più sulla sonda Cassini Media INAF ha deciso di organizzare per mercoledì 3 febbraio alle ore 16:00 una chiacchierata in diretta con alcuni membri del team scientifico della missione. Jonathan Lunine è uno degli ospiti speciali ai quali potrete fare domande attraverso i nostri canali social. Rimanete in contatto: nei prossimi giorni vi daremo maggiori dettagli!
Ha fatto rapidamente il giro del web e come al solito alcuni siti, anche importanti (per fortuna pochi), hanno cavalcato con grande entusiasmo la notizia appena diffusa ma l’hanno fatto, come solito, nel modo (o con tono) sbagliato. La notizia riportata da alcune parti (evito di fare nomi) è la seguente: è stato scoperto un nuovo pianeta nel Sistema Solare, molto distante e almeno 10 volte più massiccio della Terra, in pratica una via di mezzo tra il nostro pianeta e il gigante gassoso Nettuno. Detto in questi termini, però,l’annuncio trionfalistico è falso: non è stato scoperto nessun pianeta di questo tipo nel nostro Sistema Solare e con piacere noto che questa volta la gran parte dei mass media, soprattutto online, ha riportato la notizia in modo corretto.
La notizia in realtà è ben diversa da quanto è stato in più luoghi raccontato. Come faccio a saperlo? Sono il solito disfattista? Nient’affatto.
Quando si viene raggiunti da un annuncio scientifico, a maggior ragione se sembra incredibile, occorre sempre fare un minimo lavoro di ricerca e risalire alla fonte primaria. La cosa positiva è che tutte le scoperte scientifiche vengono pubblicate, con calcoli/osservazioni/dimostrazioni convincenti su riviste specializzate che passano al setaccio l’articolo prima che venga pubblicato per vedere se contiene errori, inesattezze o veri e propri strafalcioni. In pratica, questo evita la pubblicazione di bufale, il ché, nell’anarchia informativa di internet, è una bellissima cosa.
Nel nostro caso, la fonte primaria è un interessante articolo di Batygin e Brown, del Caltech (California Istitute of Technology) pubblicato sull’Astronomical Journal e disponibile a tutti per la letturaa questo link. Bene, ora che abbiamo a disposizione la fonte a cui si riferiscono tutte le notizie lette e sentite possiamo spendere mezz’ora del nostro tempo e leggere le 12 pagine per capire di cosa veramente si parla. Se vi fidate del sottoscritto vi faccio un piccolo e semplificato riassunto, così vi risparmio del tempo e un mal di testa assicurato nel cercare di decifrare quanto detto dai ricercatori; alla fine è proprio questo il ruolo di un divulgatore.
Bene, iniziamo dalla conclusione, poi risaliremo la china: non è stato scoperto alcun nuovo pianeta. Lo studio dei due ricercatori è meramente teorico; non è stato fisicamente osservato alcun nuovo pianeta. Sebbene quindi l’approccio sia puramente fisico-matematico, è comunque interessante e insieme possiamo cercare di capire meglio la situazione.
Negli ultimi anni si sono continuati a scoprire nuovi corpi celesti remoti. Molti di questi fanno parte della grande famiglia chiamata fascia di Kuiper (detti KBO, Kuiper Belt Objects): un serbatoio di oggetti ghiacciati, delle vere e proprie potenziali comete giganti, il cui capostipite è Plutone. Altri corpi celesti sono ancora più interessanti perché sembrano essere un collegamento tra la fascia di Kuiper e il gigantesco alone che circonda tutto il Sistema Solare, fino a oltre un anno luce di distanza, chiamato nube di Oort. Il capostipite di questi oggetti è Sedna, un corpo celeste alquanto misterioso che ha un’orbita molto allungata che lo porta fino a quasi 146 miliardi di km dal Sole.
Il numero crescente di corpi celesti, in particolare di nuovi KBO, ha permesso ai ricercatori del Caltech di cominciare a fare uno studio statistico approfondito sulle loro proprietà orbitali. In pratica hanno tracciato le orbite di tutti questi corpi celesti e hanno cercato di capire se ci fosse qualcosa che li accomunasse. Con un po’ di sorpresa hanno scoperto che i corpi della fascia di Kuiper finora conosciuti tendono ad avere un’orientazione delle orbite concentrata attorno ad alcuni valori particolari. Poiché la fascia di Kuiper si pensa essere costituita da milioni di corpi celesti che possiedono orbite differenti e che non dovrebbero avere alcun collegamento le une alle altre, il fatto che invece queste sembrano avere delle proprietà comuni ha fatto venire più di un sospetto. Inoltre, Batygin e Brown hanno scoperto (e dimostrato) che non solo questi corpi celesti hanno orbite con orientazioni simili ma non sono neanche disposti in modo uniforme nello spazio, preferendo raggrupparsi in determinate regioni.
Insomma, i KBO, come gli esseri umani, preferiscono stare in gruppi. Se per noi è una cosa normale, per degli oggetti grandi decine o centinaia di chilometri, non dotati di cervello, non è scontato, anzi. Calcoli alla mano, infatti, la probabilità che questi corpi celesti abbiano assunto in modo casuale questa disposizione orbitale è dello 0.007%. Esagerando un po’, in pratica è come mischiare un mazzo di 52 carte e sperare che casualmente queste si dispongano tutte in fila: difficile, molto difficile. Se quindi dovessimo trovare un mazzo in cui tutte le carte fossero messe in ordine crescente e divise per semi, cosa ci verrebbe da pensare? Che non c’entra il caso: qualcuno le ha ordinate di proposito.
A una conclusione del genere sono arrivati i due ricercatori del Caltech: qualcosa, molto probabilmente, ha ordinato le orbite altrimenti disordinate degli oggetti della fascia di Kuiper. Bene, chi è stato a mettere ordine in questa remota stanza del Sistema Solare e a mantenerlo per miliardi di anni?
In viola sono indicate le orbite anomale dei sei oggetti della Fascia di Kuiper analizzate nello studio, mentre in giallo è indicata quella che sarebbe l'orbita del "nono pianeta" in grado di far "tornare i conti". Crediti: Caltech/R. Hurt (IPAC)
Dopo complesse simulazioni al computer, Batygin e Brown sono arrivati a una possibile soluzione. Se si inserisce nel Sistema Solare esterno un pianeta 10 volte più massiccio della Terra e lo si colloca nella giusta orbita, questo può svolgere la mansione che mia madre, per 19 lunghi anni, ha sperato io facessi con la mia stanza. Da qui la previsione, del tutto teorica, che nella periferia del Sistema Solare potrebbe trovarsi un altro pianeta, che è sfuggito a tutte le osservazioni fatte fino a questo momento. Tra tutti gli scenari esplorati, questo sembra essere quello che, sulla base delle attuali conoscenze delle periferie del Sistema Solare, appare più probabile.
Come potete vedere, la scoperta trionfale con cui è stato annunciato il nuovo corpo celeste si è ridimensionata, anche se lo studio effettuato è molto intrigante e non fa che confermare le sensazioni di molti planetologi. Il nuovo pianeta spiegherebbe in modo naturale il flusso di nuove comete dalla nube di Oort, il comportamento bizzarro delle orbite di Sedna e della famiglia che si porta appresso e anche la presenza di alcuni oggetti della fascia di Kuiper con orbite fortemente inclinate. Insomma, mettendo ad hoc un pianeta con queste caratteristiche per giustificare l’allineamento orbitale degli oggetti della fascia di Kuiper, molte delle anomalie presenti e passate dei corpi celesti remoti si spiegherebbero in modo relativamente semplice.
Naturalmente, tra l’ipotizzare qualcosa che riesce a spiegare delle anomalie di un gruppo di oggetti che conosciamo a malapena (e a cui mancano ancora migliaia, se non milioni, di corpi all’appello) e parlare di scoperta c’è di mezzo il metodo scientifico, ovvero l’osservazione di questo fantomatico pianeta. Sono gli stessi Batygin e Brown a concludere il loro articolo con una chiamata alle armi, come per dire: “Signori, questi sono i nostri calcoli, ora cerchiamo il pianeta e vediamo se c’è o no”.
Il pianeta ipotizzato potrebbe essere una superterra, un oggetto che si pensa sia una via di mezzo tra un corpo roccioso e un pianeta gassoso. Di superterre ne conosciamo diverse in altri sistemi stellari ma non abbiamo idea delle loro caratteristiche perché non ne abbiamo a disposizione (a questo punto FORSE) nel Sistema Solare. Un simile oggetto non dovrebbe essere difficile da rivelare con i moderni grandi telescopi date le sue, ipotetiche, generose dimensioni e un’orbita che non dovrebbe essere troppo diversa da altri, remoti KBO (e qui lancio un dubbio che tra poco proverò a spiegare: abbiamo scoperto oggetti di qualche centinaio di km di diametro con un’orbita simile, come ha fatto a sfuggire un pianeta che risulterebbe migliaia di volte più brillante?).
Il grosso problema sarà riconoscerlo tra le milioni di stelle del cielo. Come si fa infatti a distinguere una stella da un pianeta tanto lontano che risulterebbe sempre un punto indistinto? L’unico modo è osservarlo per un intervallo di tempo sufficientemente lungo e rivelare il lento moto attraverso le stelle, segno che si tratta di un corpo celeste molto più vicino che orbita attorno al Sole. Il problema è che questo pianeta, se davvero esistesse, si troverebbe così lontano dal Sole che si muoverebbe molto, molto lentamente nel cielo. La scienza moderna, purtroppo, non ama le osservazioni prolungate nel tempo e senza la minima garanzia di successo, perché di mezzo ci sono gli esseri umani e la smania di produrre risultati per ottenere (o continuare a mantenere) preziose risorse economiche. L’ipotetico pianeta potrebbe avere un’inclinazione orbitale elevata, quindi disporsi un po’ ovunque nel cielo (e il cielo è grande!), oppure, a causa della forte eccentricità orbitale, potrebbe trovarsi nel punto più lontano dal Sole, a centinaia (o migliaia) di miliardi di chilometri dal Sole e risultare molto debole. Resta ancora l’alternativa che il pianeta non è stato trovato fino a questo momento perché semplicemente non c’è.
Qualunque sia la verità, si è riaperto in modo fragoroso un interessante campo della ricerca. Con l’articolo di Batygin e Brown sono sicuro che a molti planetologi verrà la curiosità di approfondire la questione e molti enti di ricerca saranno di certo più propensi ad accettare una campagna osservativa di lunga durata, la cui posta in gioco ora sembra più concreta rispetto a qualche giorno fa.
Tornano anche quest’anno I Venerdì dell’Universo, organizzati dal Dipartimento di Fisica e Scienze della Terra dell’Università degli studi di Ferrara e dall’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare in collaborazione con il Gruppo Astrofili Columbia e Coop. Sociale Camelot. L’iniziativa, nata come una serie di seminari di approfondimento e aggiornamento su temi di Astronomia e Astrofisica, si è progressivamente evoluta diventando una manifestazione dedicata alla divulgazione scientifica nel senso più ampio del termine. I Venerdì dell’Universo si rivolgono a tutta la cittadinanza, in particolar modo ai giovani, nella speranza che possano aiutarli a maturare non solo curiosità ma anche spunti per i loro studi professionali e amatoriali.
03.02: “Onde gravitazionali: come si rivelano, cosa potremo imparare” di Francesco FIDECARO.
10.02: “Uomini, Web-Bot e Robot: chi controlla chi? Dino LEPORINI.
24.02: “Origine e conseguenze del sisma in Italia centrale” di Mario TOZZI.
10.03: “Interfacce tra il cervello e i computer” di Luciano FADIGA.
24.03: “Antartide: un anno su Marte Bianco, tra curiosità e scienza” di Luciano MILANO.
31.03: “Nello spazio alla ricerca dell’universo invisibile” di Giuseppe MALAGUTI.
Per informazioni: Dipartimento di Fisica e Scienze della Terra via G. Saragat, 1 – Tel. 0532/ 974211 – venerdiuniverso@fe.infn.it – fst.unife.it – www.fe.infn.it
Il carnet dei migliori fenomeni celesti del mese si chiude la sera del 27 con una nuova congiunzione tra la Luna e Giove, sempre sull’orizzonte est. Questa volta, rispetto all’incontro del 1 gennaio, la fase lunare sarà più luminosa e i due oggetti più vicini tra loro (circa 2°).
“Il 10 è la somma data dai primi quattro numeri naturali che insieme formano la tetraktis. 10 Hygea è il nome di un asteroide. Il 10 corrisponde al numero atomico del Neon. Il 10 è considerato un numero “felice”. E felici siamo noi di potervi annunciare la decima edizione del Premio Letterario Galileo per la divulgazione scientifica!”
La Giuria scientifica della decima edizione del Premio Galileo, presieduta per il 2016 dallo psichiatra, scrittore e sociologo Paolo Crepet, il 15 gennaio scorso a Padova ha selezionato la cinquina finalista delle opere da sottoporre al giudizio della Giuria popolare, formata da circa 2.500 studenti delle IV superiori di tutte le Province italiane. Sarà questa Giuria a scegliere il libro che il prossimo 6 maggio riceverà il Premio Galileo 2016 in una cerimonia presso il Palazzo della Ragione di Padova.
Questi i cinque volumi scelti:
Umberto Bottazzini con “Numeri. Raccontare la matematica”, Il Mulino, 2015;
Dario Bressanini-Beatrice Mautino con “Contro Natura. Dagli OGM al “bio”, falsi allarmi e verità nascoste del cibo che portiamo in tavola”, Rizzoli Editore, 2015;
Paolo Gallina con “L’anima delle macchine. Tecnodestino, dipendenza tecnologica e uomo virtuale”, Edizioni Dedalo, 2015;
Till Roenneberg con “Che ora fai? Vita quotidiana, cronotipi e jet lag sociale”, Edizioni Dedalo, 2015;
Lucia Votano con “Il fantasma dell’Universo. Che cos’è il neutrino”, Carrocci Editore-Città della scienza, 2015.
I cinque libri verranno presentati in alcuni incontri pubblici che si svolgeranno nei prossimi mesi a Padova. Per informazioni: premiogalileo@comune.padova.it,www.padovacultura.it
Indice dei contenuti
Incontri con gli autori finalisti Centro culturale Altinate/San Gaetano, via Altinate, 71 – Padova
I cinque finalisti del Premio letterario Galileo presentano le loro opere durante un ciclo di incontri. Gli orari per gli incontri sono alle 11:30 per le scuole e alle 20:00 per il pubblico.
1 marzo Dario Bressanini e Beatrice Mautino presentanoControNatura
11 marzo Lucia Votano presentaIl neutrino
17 marzo Paolo Gallina presenta L’anima delle macchine
21 marzo Umberto Bottazzini presentaNumeri
5 maggio Till Roenneberg presentaChe ora fai?
Quest’anno le consuete conferenze con gli autori verranno accompagnate da più incontri in collaborazione con il CICAP, voluti per i dieci anni del Premio Galileo:
28 febbraio, alle ore 21:00 Indagare misteri con la lente della scienza. Incontro con Massimo Polidoro
12 aprile, alle ore 21:00 Scienza e Misteri. Incontro con Luigi Garlaschelli
6 maggio, alle ore 21:00 “A cosa serve la scienza?”. Incontro con Piero Angela, conduce Marco Motta (Radio3 Scienza).
Nelle pagine che seguono le schede dei cinque libri in concorso. Invitiamo tutti i lettori a leggerli e a esprimere la propria opinione.
La prima foto del lato opposto della Luna, ripresa dalla sonda russa Luna 3 il 7 ottobre 1959. A = Mare Moscoviense, B = cratere Tsiolkovsky, C = Mare Smythii Credit: Roscosmos
La prima foto del lato opposto della Luna, ripresa dalla sonda russa Luna 3 il 7 ottobre 1959. A = Mare Moscoviense, B = cratere Tsiolkovsky, C = Mare Smythii Credit: Roscosmos
L’emisfero lunare opposto alla Terra è stato fotografato per la prima volta nel 1959 ma non è mai stato visitato direttamente. Per questo, forse, ha sempre suscitato curiosità, racconti e fantasie.
La sonda cinese Chang’e-4 verrà lanciata nel 2018 e sarà il primo pioniere inviato in un angolo ancora inesplorato del nostro satellite.
Qui si trova il Bacino Polo Sud-Aitken, il più grande cratere meteoritico conosciuto nel Sistema solare che, con i suoi 2.500 chilometri di larghezza e 13 chilometri di profondità, potrebbe mostrare materiale esposto del mantello e della crosta lunare svelando la storia della sua formazione.
“Il lander ed il rover Chang’e-4 effettueranno un atterraggio morbido sul lato opposto della Luna e lavoreranno ad indagini sul posto e nei dintorni”, ha dichiarato Liu Jizhong, capo del programma cinese di esplorazione lunare.
A settembre 2015, lo State Administration for Science, Technology and Industry for National Defense (SASTIND) aveva annunciato che il modulo di servizio della missione Chang’e 5-T1 aveva ripreso ad alta risoluzione il sito del futuro l’allunaggio ma senza svelare troppi dettagli: la zona era rimasta enigmatica e priva di riferimenti topografici. E sempre con il dovuto riserbo, un articolo uscito sul Daily Today riporta che un satellite per le comunicazioni verrà lanciato a giugno 2018 e si posizionerà nel punto di Lagrange L2, da dove sarà in grado di vedere sia il lato lontano della Luna che la Terra. D’altra parte, la Cina ha già sperimentato orbite in L2 con il modulo di servizio della missione dimostrativa Chang’e-5-T1.
Non si hanno informazioni sul payload se non che “Chang’e-4 sarà molto simile a Chang’e-3 nella struttura ma potrà gestire più strumenti”, come citato da Xinhua news. L’articolo del Daily Today, inoltre, sembra accennare ad un coinvolgimento pubblico di Enti, Università, aspiranti scienziati… sicuramente un approccio nuovo per gli standard cinesi.
Nel 2013 Yutu, il piccolo rover della missione Chang’e 3, era sbarcato nella Baia degli Arcobaleni (Mare Imbrium), toccando di nuovo il suolo lunare dopo quasi quarant’anni.
I basalti del sito di atterraggio si sono rivelati diversi da qualsiasi altri analizzati fino ad oggi grazie alle missioni Apollo.
I dati sono stati studiati da due gruppi di scienziati, della Shandong University di Weihai (China) e della Washington University di St. Louis, ed i loro risultati sono stati pubblicati sulla rivista Nature Communications il 22 dicembre 2015.
Questo successo per la Cina, che punta anche a realizzare una stazione spaziale orbitante permanente entro il 2020 e a far tornare l’uomo sulla Luna, è una grande dimostrazione della sua forza militare, del suo progresso tecnologico e del suo crescente affermarsi a livello mondiale.
“La Cina vanta già una scienza e una tecnologia avanzata per l’invio di una sonda sulla faccia nascosta della Luna ed è aperta alla cooperazione con la società internazionale”, scrive Xinhua citando Liu.
La prima foto a colori del più grande criovulcano del Sistema solare? Se confermato si tratta di un'immagine di STRAORDINARIA bellezza ma anche di straordinaria importanza. Crediti: NASA / JHUAPL / SWRI.
Plutone: possibile criovulcanismo
Wright Mons a colori. A più di sei mesi dallo storico flyby di Plutone, avvenuto lo scorso 14 luglio, la sonda NASA New Horizons ci regala una nuova e straordinaria immagine del pianeta nano. Nell’obiettivo dello strumento LORRI (Long Range Reconnaissance Imager) montato su New Horizons si compongono una serie di immagini a risoluzione di 450 metri per pixel e scattati da un’altezza di quasi 50mila chilometri sulla superficie di Plutone. Immagini arricchite dai dati “a colori” raccolti da un altro strumento montato sulla sonda NASA, il Ralph / Multispectral Visible Imaging Camera, che invece ha osservato la stessa area da un’altezza di 34mila chilometri e con una risoluzione di 650 metri per pixel.
Uno scatto che dunque abbraccia 230 chilometri in tutto e che fornisce nuove e importanti informazioni su uno dei due potenziali vulcani di ghiaccio osservati dagli scienziati fin dalle prime rilevazioni del luglio 2015.
Il criovulcanismo, ovvero l’estrusione di ghiaccio dalla superficie di un corpo celeste, è un fenomeno piuttosto diffuso all’interno del Sistema Solare. Questo è vero. Ma se il Wright Mons (così battezzato in onore dei fratelli Wright, pionieri del volo umano) fosse confermato come criovulcano ci troveremmo di fronte al più grande del suo genere, almeno per quanto concerne l’intero Sistema Solare esterno: con il suo diametro di 150 chilometri e uno sviluppo in altezza di 4 chilometri, davvero enorme.
Il gruppo di ricerca di New Horizons è incuriosito dalla scarsa distribuzione di materiale rosso nell’immagine e si interroga sul perché non sia più abbondante. È altrettanto strano che sull’intera superficie dell’ipotetico vulcano sia stato avvistato un unico e grosso cratere, come a dire che la sua formazione e la crosta sottostante è di relativa recente formazione. E che la sua attività deve essersi concentrata nella tarda storia del pianeta nano.
La regione dove trova il Wright Mons, nel contesto generale di Plutone. Crediti: NASA / JHUAPL / SWRI.
Simulazione 3D di onda gravitazionale prodotta da due buchi neri orbitanti. Crediti: Henze, NASA
Simulazione 3D di onda gravitazionale prodotta da due buchi neri orbitanti. Crediti: Henze, NASA
C’è grande fermento, da qualche mese, nella comunità degli astrofisici che si occupano di onde gravitazionali: tutta colpa di un tweet del settembre scorso, subito ripreso sulle pagine di Nature, nel quale il cosmologo Lawrence Krauss accennava a rumors – voci non confermate, dunque, indiscrezioni ufficiose non meglio attribuite – secondo le quali LIGO, il più grande osservatorio al mondo per le onde gravitazionali, avrebbe captato un segnale. Indiscrezioni, dicevamo, ribadite da un secondo tweetdi lunedì scorso, di nuovo dello stesso Krauss e di nuovo non attribuite.
Ora, se davvero LIGO ha intravisto qualcosa, la tensione all’interno della collaborazione dev’essere altissima, ed è comprensibile. Da una parte c’è la pressione mediatica sempre più insistente, con il clima divenuto rovente dopo quest’ultimo tweet. Dall’altra c’è l’incubo dell’abbaglio, temutissimo sempre, ma se possibile ancor di più dopo le recenti figuracce internazionali con i neutrini superluminali di Opera e dell’impronta di onde gravitazionali – in quel caso, addirittura primordiali – nei dati di Bicep2. Ma rispetto alla già complicata situazione di tutti gli altri esperimenti al limite delle possibilità tecnologiche, i ricercatori della collaborazione LIGO/Virgo hanno un precedente in più con il quale fare i conti:Big Dog. Più precisamente, l’eventualità che – se davvero le voci di corridoio fossero confermate e dunque l’interferometro avesse captato un segnale – a generarlo non sia stato uno scontro fra buchi neri o qualche altro evento di portata cosmica, bensì una cosiddetta blind injection.
«Le blind injections sono dei segnali che riproducono i segnali gravitazionali che noi ci attendiamo, e che vengono inseriti, all’insaputa di tutti (da cui appunto blind), nelle osservazioni», spiega a Media INAF Marica Branchesi, ricercatrice all’Università di Urbino, associata INAF e membro della collaborazione LIGO/Virgo. «È una procedura che è già stata utilizzata in passato, in una circostanza poi ribattezzata “Big Dog” [ndr: dal nome della costellazione nella quale avrebbe avuto origine la “finta onda”, quella del Canis Major]. Nel 2010 fu inserito nei dati di LIGO e di Virgo un evento che riproduceva il segnale di una coalescenza di una stella di neutroni e di un buco nero. Nessuno se ne accorse, e per un po’ di mesi la collaborazione ci lavorò sopra: sono state fatte le analisi, le interpretazioni ed è stato scritto addirittura un paper. E solo alla fine di questo duro lavoro è stata rivelata l’identità – falsa – dell’evento».
Insomma, una verifica rigorosa al limite del masochismo, come potrebbe essere una prova delle procedure antincendio che ci facesse restare in pigiama, al gelo e sotto la pioggia, per un’intera notte – anzi, per parecchi mesi. Non ci fu un’insurrezione, fra le ricercatrici e i ricercatori della collaborazione? «No, perché siamo consapevoli che si tratta d’una procedura estremamente utile, soprattutto nel nostro caso: permette di testare procedure di analisi dati estremamente complicate. Poi non dimentichiamo che si parla di rilevazione diretta di onde gravitazionali: qualcosa di davvero importante, che confermerebbe dopo cento anni le predizioni di Einstein e aprirebbe un nuovo modo d’osservare l’universo. Quindi bisogna essere certi di avere rivelato veramente un’onda gravitazionale. Queste procedure servono proprio a questo. E devo dire che anche il mondo astronomico lo ha capito», garantisce Branchesi.
Già, perché a essere investiti dalle conseguenze di un’eventuale blind injection non sarebbero solo i fisici di LIGO-Virgo ma anche i tanti astronomi della collaborazione, fra i quali molti dell’INAF. «Nell’aprile del 2014, INAF ha firmato un accordo grazie al quale, quando un possibile segnale gravitazionale viene rivelato dagli interferometri di LIGO e Virgo, i ricercatori di INAF vengono avvisati e hanno accesso ai dati sulla stima della posizione in cielo da cui proviene l’eventuale onda gravitazionale. Su questa base si è avviato il progetto INAF Gravitational Wave Astronomy with the first detections of adLIGO and adVIRGO experiments», ricorda il principal investigator del progetto stesso,Enzo Brocato, dell’INAF Osservatorio Astronomico di Roma.
«In caso di “alert” il nostro team INAF», spiega Brocato, «che lavora H24 (ed è composto da ricercatori di Napoli, Roma, Pisa, Urbino, Bologna, Padova e Milano), è in grado di recepire l’informazione e attivare le osservazioni ai telescopi, primo fra tutti il VST, che è in grado di ottenere rapidamente immagini profonde e dettagliate su un campo di 1 grado quadrato. Nel caso in cui questo telescopio, o altri di gruppi con cui collaboriamo, individuino degli oggetti (non noti) che abbiano variato la loro luminosità in modo significativo nelle ultime ore/giorni, siamo pronti ad attivare i telescopi della classe 4/8 metri e ottenere gli spettri per caratterizzarne la natura ed eliminare i tanti ‘falsi’ candidati che ci si aspetta di trovare in un’area di cielo cosi vasta. Nel caso venisse identificato un candidato importante, si seguirebbe la sua evoluzione in tutte le bande elettromagnetiche, per ricavare tutti i dati possibili per studiare la fisica dell’evento combinando le misure gravitazionali ed elettromagnetiche».
Ma anche questo imponente dispiegamento di forze, rapidissimo e su scala globale, potrebbe venire innescato da una blind injection? Ebbene sì, conferma Brocato: «Naturalmente, nel siglare l’accordo con la collaborazione LIGO/Virgo se ne accettano le condizioni. Dunque, anche quella della blind injection, che garantisce l’efficienza e l’affidabilità dell’apparato sperimentale e dei relativi canali di analisi dati. Questa procedura non dovrebbe sorprendere», osserva Brocato, «perché è utilizzata in diversi settori scientifici. Nel nostro caso, l’attivazione degli alerts avviene nel giro di poche ore dall’eventuale rivelazione dell’onda gravitazionale e dunque, come i colleghi di LIGO/Virgo, tutta la comunità internazionale degli astrofisici che ha siglato l’accordo non può sapere se si tratta o meno di una blind injection».
Voci infondate, vere onde gravitazionali o il ritorno del Big Dog? Al momento non possiamo fare altro che attendere.
Mai nessuna sonda alimentata a pannelli solari si era avventurata così lontano dal Sole come la sonda americana Juno, in rotta verso Giove, che si è aggiudicata il primato alle 20 ora italiana di ieri, 13 gennaio 2015. La sonda si trova attualmente a 793 milioni di chilometri dalla nostra stella, avendo appena superato la massima distanza dal Sole raggiunta ad Ottobre 2012 dalla sonda Rosetta, che deteneva il record prima di Juno.
“L’essenza di Juno è spingere i limiti della tecnologia per aiutarci a risalire alle nostre origini,” spiega Scott Bolton dell’SwRI. “Useremo ogni tecnica conosciuta per penetrare attraverso le nubi di Giove e rivelare i segreti sull’origine del sistema solare. Mi sembra giusto che sia il Sole a permetterci di comprendere l’origine di Giove e degli altri pianeti.”
Decollata nel 2011, Juno è stata progettata per andare dove nessuna sonda a pannelli solari si era mai spinta. La sonda è alimentata da tre pannelli solari di silicio e arseniuro di gallio lunghi 9 metri l’uno, per un totale di 18698 celle solari e 24 metri quadri di superficie.
“Giove è cinque volte più lontano dal Sole della Terra, e la luce solare che lo bagna è 25 volte meno potente,” spiega Rick Nybakken della NASA. “Anche se i nostri massicci pannelli solari genereranno solo 500 W presso Giove, Juno è stata progettata per essere molto efficiente, e 500 W saranno più che sufficienti.”
Nella storia dell’esplorazione spaziale, solo altre otto sonde oltre a Juno – tutte alimentate a energia nucleare – si sono spinte fino all’altezza dell’orbita di Giove. Nel corso della sua missione di 16 mesi, la massima distanza di Juno dal Sole sarà di circa 832 milioni di chilometri.
“È bello avere già un record,” prosegue Bolton, “ma il meglio deve ancora venire. Ci stiamo avventurando così lontano per un motivo – comprendere il più grande mondo nel sistema solare e capire da dove veniamo.”
Juno raggiungerà Giove il 5 Luglio ora italiana, diventando la prima sonda a inserirsi in un’orbita polare attorno al gigante gassoso. La manovra di inserimento durerà poco più di mezz’ora e permetterà alla sonda statunitense di calarsi in un’orbita preliminare estremamente ellittica. Dopo una manovra di correzione, il 19 Ottobre Juno riaccenderà per l’ultima volta il suo motore principale, un Leros 1b, e si calerà nella prima delle sue 33 orbite scientifiche, passando a meno di 5000 chilometri dalle nubi di Giove ogni 14 giorni.
Nell’arco della sua missione, Juno studierà l’ambiente magnetico, il campo gravitazionale, la struttura interna, le aurore e l’atmosfera di Giove.
Una bella infografica con tutti i risultati conseguiti ad oggi dalle sonde alimentate a energia solare. Cliccare l'immagine per aprirla alla massima risoluzione. NASA/JPL-Caltech
La sonda Dawn ha trasmesso nuove foto dalla sua ultima orbita intorno a Cerere, circa 385 chilometri al di sopra della superficie del pianeta nano. Le immagini, scattate tra il 19 e il 23 Dicembre 2015, rivelano sempre più dettagli nei crateri, nelle montagne e nelle pianure costellate di cicatrici da impatto.
Il fondale del cratere Dantu. Nella prima foto, il cratere Kupalo. Credits: NASA/JPL-Caltech/UCLA/MPS/DLR/IDA
Una delle immagini ritrae il cratere Kupalo, uno dei più recenti tra quelli studiati finora da Dawn, fotografato a una risoluzione di 35 metri per pixel. Lungo i bordi del cratere si notano striature di materiale chiaro che gli scienziati sospettano essere sale. Sarà interessante capire se vi è o meno un collegamento tra queste striature chiare e i famosi puntini bianchi all’interno del cratere Occator. Kupalo misura 26 chilometri di diametro e si trova in prossimità del tropico australe.
“Questo cratere e i suoi recenti depositi saranno un ottimo primo bersaglio per il team, mentre Dawn continua a esplorare Cerere nella sua fase finale di mappatura,” spiega Paul Schenk del Lunar and Planetary Institute.
Un cratere a ovest di Dantu. Credits: NASA/JPL-Caltech/UCLA/MPS/DLR/IDA
La Framing Camera, l’occhio robotico di Dawn, ha ripreso anche una rete di fratture che solcano il fondale del cratere Dantu, largo 126 chilometri. Un’ipotesi preliminare avanzata dagli scienziati è che le fratture si siano formate in seguito al raffreddamento post-impatto o a un rialzamento del terreno.
Un altro cratere largo 32 chilometri e situato poco più a ovest di Dantu è invece costellato di scarpate e creste curvilinee, simili a quelle osservate nel cratere Rheasilvia sull’asteroide Vesta, esplorato proprio da Dawn tra il 2011 e il 2012. Si pensa che queste strutture geologiche abbiano avuto origine dal parziale collasso del cratere durante la sua formazione.
Il cratere Messor, largo 40 km. Credits: NASA/JPL-Caltech/UCLA/MPS/DLR/IDA
Mentre la Framing Camera continua a scrutare la superficie di Cerere, gli altri strumenti a bordo di Dawn hanno acquisito la priorità scientifica. Il rilevatore GRaND, in particolare, sta mappando la distribuzione degli elementi sulla superficie di Cerere, rivelando importanti tasselli del puzzle dell’evoluzione del pianeta nano. Lo spettrometro sta invece analizzando la superficie a varie lunghezze d’onda nel visibile e nell’infrarosso.
La fine della missione primaria è prevista per il 30 Giugno 2016. La sonda resterà nella sua orbita attuale per tutta la durata della missione, e oltre. In questo momento, l’unica risorsa che sta incominciando a scarseggiare è l’idrazina, diventata indispensabile per il controllo dell’assetto dopo il fallimento delle ruote di reazione.
“Quando abbiamo lasciato Vesta alla volta di Cerere, ci aspettavamo nuove sorprese dalla nostra nuova destinazione. Cerere non ci ha delusi,” commenta Chris Russell, a capo della missione. “Ovunque guardiamo, vediamo incredibili formazioni geologiche che testimoniano il carattere unico di questo sorprendente mondo.”
Indice dei contenuti
Leggi le notizie di Pietro Capuozzo anche nel nuovoCoelum Astronomia!
Osservando i due oggetti con un telescopio si riuscirà ad apprezzarne l’aspetto reale (Venere in fase e Saturno con anelli e satelliti) mantenendoli in un campo di una decina di primi d’arco. L'immagine qui sopra rappresenta la visuale attraverso l'oculare del telescopio. Cliccare l'immagine per ingrandirla.
Due giorni dopo il verificarsi della congiunzione a triangolo, grazie al suo veloce moto apparente, Venere raggiungerà Saturno, avvicinandolo fino a una distanza di circa 5′.
Questa congiunzione è storicamente interessante in quanto sarà la più stretta che si sia potuta osservare dall’Italia da almeno 130 anni a questa parte. Tutte le altre verificatesi nel corso di questi anni, più o meno strette, si sono infatti verificate sotto l’orizzonte o con il cielo troppo chiaro.
Abbiamo dato l’addio a un anno davvero sensazionale per l’esplorazione spaziale.
Abbiamo effettuato la prima ricognizione di un pianeta nano, con l’inserimento orbitale della sonda Dawn attorno a Cerere. Ci siamo goduti, seppur di sfuggita, i panorami ghiacciati di Plutone, l’ultimo dei pianeti classici ad essere rimasto inesplorato, grazie a New Horizons. Abbiamo trovato tracce di acqua liquida sulla superficie marziana con MRO, abbiamo scortato una cometa attraverso il suo perielio con Rosetta, abbiamo iniziato a far luce sui meccanismi della perdita atmosferica di Marte con MAVEN, ci siamo disintegrati nell’atmosfera di Venere con Venus Express e poi siamo tornati in orbita con Akatsuki, ci siamo schiantati contro la superficie di Mercurio con MESSENGER, abbiamo assaggiato le acque dell’oceano alieno che si nasconde sotto la crosta ghiacciata di Encelado con Cassini, abbiamo scoperto nuovi pianeti abitabili oltre i confini del nostro sistema solare con Kepler, abbiamo preparato il terreno per la propulsione a raggi solari con LightSail, e molto altro.
Per fortuna, il 2016 promette di essere un anno altrettanto importante per l’esplorazione del sistema solare: ecco tutti gli eventi spaziali dei prossimi 365 giorni da non perdersi, pianeta dopo pianeta.
Mercurio
Purtroppo, il pianeta più interno del sistema solare rimarrà da solo per tutto il 2016. Il lancio della missione euro-giapponese BepiColombo, inizialmente previsto per Luglio 2016,è stato rimandato a Gennaio 2017. L’arrivo delle due sonde a destinazione è invece programmato per l’inizio del 2024, quindi non c’è fretta.
Nessuna missione lunare è prevista per il 2016. Tuttavia, la sonda americana Lunar Reconnaissance Orbiter continuerà a raccogliere dati. La missione era stata cancellata dalla Casa Bianca ma è stata salvata all’ultimo minuto dal Congresso.
Marte
La flotta di sonde già in orbita e sulla superficie marziana che continueranno a esplorare il Pianeta Rosso per tutto il 2016 – in orbita, le americane MRO, MAVEN e Mars Odyssey, l’europea Mars Express e l’indiana Mars Orbiter Mission; sulla superficie, i rover americani Curiosity e Opportunity – sarà raggiunta dalle prime due sonde del programma euro-russo ExoMars. Il Trace Gas Orbiter (TGO) e il modulo sperimentale Schiaparelli partiranno alla volta di Marte in cima a un razzo Proton nella finestra di lancio tra il 14 e il 25 Marzo 2016. Le due sonde, che hanno raggiunto il sito di lancio pochi giorni fa, raggiungeranno Marte a Ottobre, concludendo una crociera interplanetaria di sette mesi. Schiaparelli tenterà uno storico atterraggio in Meridiani Planum il 19 Ottobre 2016. Il Trace Gas Orbiter invece si inserirà in un’orbita preliminare e, tramite una serie di manovre di aerofrenaggio, inizierà la sua campagna scientifica a Dicembre 2017. Con l’arrivo di TGO e Schiaparelli (che purtroppo opererà sulla superficie marziana solo tre o quattro giorni), il numero delle missioni attive sul Pianeta Rosso salirà a nove — un record.
Asteroidi
La sonda giapponese Hayabusa 2, che recentemente ha eseguito con successo una manovra di fionda gravitazionale con la Terra, continuerà il suo cammino verso l’asteroide Ryugu. Hayabusa raggiungerà Ryugu nel 2018 e farà rientro sulla Terra tra il il 2020 e il 2021 con dei campioni prelevati dall’asteroide. Tra il 3 Settembre e il 12 Ottobre 2016, un’altra sonda decollerà su un viaggio di andata e ritorno verso un asteroide: si tratta dell’americana OSIRIS-REx, che raggiungerà l’asteroide Bennu nel 2018 e rientrerà sulla Terra nel 2023. Poche settimane fa, la sonda della NASA ha ricevuto il suo ultimo strumento.
Comete
Il 2016 vedrà la fine di una delle più straordinarie missioni spaziali di sempre: la sonda europea Rosetta, che sta scortando il nucleo della cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko nel suo viaggio in giro per il sistema solare già da un anno e mezzo, continuerà a risalire a distanze sempre più lontane dal Sole, dove i suoi pannelli solari avranno sempre più difficoltà a generare energia sufficiente ad alimentare i sistemi vitali. Proprio per questo, a Settembre 2016 la sonda concluderà la propria missione appoggiandosi sul nucleo della cometa, facendo così compagnia al semivivo robottino Philae. Conoscendo Rosetta, però, ci aspettano ancora molte altre sorprese scientifiche prima della fine della missione!
Giove
Il 2016 sarà l’anno di Giove: il re dei pianeti verrà visitato dalla sonda americana Juno, che si inserirà in orbita nella notte tra il 4 e il 5 Luglio 2016. Juno sarà la prima sonda alimentata a pannelli solari a esplorare Giove, e la prima a inserirsi in un’orbita polare. Juno, che in questo momento sta proseguendo la sua crociera interplanetaria senza difficoltà, si concentrerà in particolare sulla struttura interna di Giove, indispensabile per ricostruire la formazione e l’evoluzione dell’intero sistema solare, e sulla magnetosfera del gigante gassoso.
Saturno
Come sempre, il gigante con gli anelli potrà godersi la compagnia della sonda Cassini. La missione, che terminerà nel 2017, continuerà ad aumentare gradualmente l’inclinazione della sua orbita, portandosi sempre più al di sopra dei poli di Saturno. A metà anno, poi, inizierà il gran finale della missione: la sonda si tufferà attraverso gli anelli interni di Saturno ben 22 volte – una manovra rischiosissima, che però gli ingegneri sono disposti a compiere vista l’imminente fine della missione. Ogni anno, Cassini ci regala incredibili sorprese da Saturno e dalle sue esotiche lune, ma il 2016 promette un tocco di azione in più.
Urano e Nettuno
Purtroppo, i due giganti ghiacciati del sistema solare resteranno inesplorati anche nel 2016.
Plutone
La sonda New Horizons, che ha sfiorato Plutone a Luglio di quest’anno, è già più di 200 milioni di chilometri alle spalle del pianeta nano, ormai in rotta verso la sua seconda destinazione, un piccolo KBO che raggiungerà nel 2019. Tuttavia, la sonda continuerà a esplorare i suoi dintorni e soprattutto a trasmettere i dati raccolti durante l’incontro con Plutone. Con ancora più della metà dei dati custoditi gelosamente a bordo del computer di New Horizons e con la maggior parte di quelli già arrivati ancora da analizzare, l’esplorazione di Plutone continuerà senza sosta per tutto l’anno. La missione primaria di New Horizons terminerà a fine 2016, ma gli scienziati e gli ingegneri del progetto chiederanno alla NASA di estendere la missione per esplorare anche la seconda destinazione.
Indice dei contenuti
Leggi le notizie di Pietro Capuozzo anche nel nuovoCoelum Astronomia!
Parte il secondo ciclo di appuntamenti della serie Aperitivo con le Stelle a Trieste, organizzati dal Circolo Culturale Astrofili Trieste sotto la coordinazione di Laura Pulvirenti.
In “APERITIVO CON LE STELLE 2” ci saranno numerose novità, prima tra tutte tra i relatori, oltre ai soci del Circolo quest’anno avremo numerosi astrofisici di fama.
Il primo di questi nuovi appuntamenti, che si terrà Sabato 9 Gennaio p.v., avrà come relatore Mauro Messerotti con “Tempeste spaziali e società: nuovi aspetti”, in cui l’astrofisico triestino relazionerà sulle interazioni dinamiche tra Sole e Terra esponendo, tra l’altro, alcune importanti novità in questo campo di studio.
Altre novità presenti in questa seconda edizione comprendono:
> mostra fotografica “RITRATTI DEL COSMO”, di David Kralj;
> esposizione di quadri surreali “SPACE – ART”, di Adriano Janezic;
> esposizione di modellini inerenti l’Astronautica, di Giovanni Chelleri;
> “Accenno alla radioastronomia amatoriale”, con materiale audio e video esplicativi da parte di Franco Tedeschi;
> “Viaggio nel cielo stellato con il Planetario”, di Stefano Schirinzi
Vi aspettiamo nell‘accogliente atmosfera dell’Hotel NH TRIESTE (in Corso Cavour 7).
La mattina del 7 gennaio, sempre alle ore 6:00, una sottilissima falce di Luna calante sipresenterà sull’orizzonte sudest in congiunzione con Saturno e Venere, poco alla sinistra dello Scorpione e della sua brillante Antares.
I tre oggetti, mediamente alti una decina di gradi, formeranno un triangolo isoscele con il vertice in basso. Venere disterà da Saturno un paio di gradi, e dalla Luna poco meno di quattro.
Uno spettacolo davvero mozzafiato, specialmente in presenza di un cielo cristallino come solo il mese digennaio sa di solito offrire.
Caricate le vostre immagini su Photocoelum e potreste vederle pubblicate sul prossimo numero della rivista! Per effemeridi di Luna e Pianeti vedi il cielo del mese di dicembre
Ogni inizio anno è caratterizzato dalmanifestarsi più o meno discreto dello sciamedelle Quadrantidi, il cui nome deriva dalladimenticata costellazione del QuadranteMurale (introdotta da Lalande nel 1795 eabolita nel 1922) che un tempo occupava laregione situata nella parte nordorientale di Boote (dove quindi è situato il radiante).
Le Quadrantidi hanno in genere una velocità dicirca 40 km/s (piuttosto lente se paragonatealle Perseidi, capaci di sfrecciare a più di 70km/s), e le tracce, di colore prevalentementeblu, sono discretamente brillanti (anche semolte sono telescopiche). L’attività sarà ditutto rispetto: mediamente lo ZHR è di 70, manel recente passato ha toccato anche punte di200.
Il massimo dell’attività, favorito anchedall’assenza del disturbo lunare, si avràquest’anno nelle prime ore del 4 gennaio. Aquell’ora il radiante, che è circumpolare, saràvisibile a nordest, alto una trentina di gradi.
In diretta web con il Telescopio Remoto UAI Skylive dalle ore 21:30 alle 22:30, ovviamente tutto completamente gratuito. Un viaggio deep-sky in diretta web con il Telescopio Remoto UAI – tele #2 ASTRA Telescopi Remoti. Osservazioni con approfondimenti dal vivo ogni mese su una costellazione del periodo. Basta un collegamento internet, anche lento. Con la voce del Vicepresidente UAI, Giorgio Bianciardi telescopioremoto.uai.it – uai.it
La mattina del 3 gennaio guardando verso sud-sudest ci sarà la possibilità di assistere ad un autentico spiegamento di oggetti planetari lungo l’eclittica. Verso le 6:00, ora per la quale è statacostruita l’illustrazione, molto bassi sull’orizzonte sudest (rispettivamente +6° e +11°) ci saranno Saturno e Venere, situati nello Scorpione; più sulla destra, nella Vergine, spiccherà Marte, alto già+35°; e ancora più su (a +50°) e a sud, nei pressi della stella stella beta Virginis, Giove chiuderà la lunga teoria.
Ad impreziosire lo scenario, ci sarà anche la presenza di una falce di Luna sempre piùsottile, che dal 3 al 7 gennaio percorrerà l’eclittica dando luogo a svariate congiunzioni, la piùspettacolare delle quali sarà quella “a triangolo” con Venere e Saturno del giorno 7.
La prima congiunzione celeste dell’anno, per chi avrà la possibilità di affacciarsi a una terrazza subito dopo i brindisi per il nuovo anno, sarà osservabile verso est, dovemolto bassi sull’orizzonte (in media +10°) e distanziati di 4°, Luna e Giove sorgeranno l’uno sopral’altra nei pressi della stella beta Virginis (mag. +3,6). Il nostro satellite si presenterà all’ultimoquarto, mentre Giove brillerà di mag. -1,9.
Ma il nostro progetto non si limita ad un semplice free-press a tema, andrà invece a comporsi un’insieme di iniziative atte a rafforzare e aumentare l’interesse attivo degli Italiani per l’astronomia, supportando e organizzando eventi e lanciando un network esteso tra tutti i soggetti e le persone che desiderano perseguire il medesimo obiettivo.
Molti ci chiedono il perchè di tale cambiamento, la ragione è nell’evoluzione che il mondo dell’informazione ha avuto e nella continua trasformazione che lo caratterizza. Come molti sanno Coelum è stato il primo magazine a tema disponibile anche in digitale, ed è anche stato il primo ad essere gratuitamente disponibile in tale formato per gli abbonati all’edizione cartacea.
Da sempre la Redazione di Coelum ha voluto distinguersi per innovazione, qualità e selezione critica dei contenuti. Da sempre la linea editoriale è stata ferma nel voler rendere Coelum accessibile a quanti più appassionati possibile, mantenendo costantemente il prezzo più basso del mercato e invariato per oltre 12 anni.
Putroppo la crisi degli ultimi 6 anni e la crescente indifferenza per le materie scientifiche e per gli approfondimenti critici hanno reso più arduo il nostro compito, costringendoci a rinunciare alla distribuzione in edicola e a contenere i costi quanto più possibile. Nonostante i nostri sforzi ci siamo trovati di fronte alla necessità di aumentare il prezzo e di ridurre ulteriormente i costi, rischiando quindi di dover allineare Coelum a standard di mercato che palesemente ne avrebbero minato le fondamenta.
Per questi motivi abbiamo raggiunto la decisione di fare un passo importante, nuovo e in parte incerto: rendere Coelum gratuito e accessibile a tutti, rivolgendoci non più esclusivamente a pochi “fedelissimi” ma a tutti i nostri “follower” che ad oggi contano più di 25.000 appassionati di astronomia. Visti i numeri, forse un po’ cinicamente, ci siamo voluti investire di un compito decisamente arduo: quello di supportare il lavoro di tutti gli appassionati, dei Gruppi Astrofili, delle Associazioni, delle Università, dei Professionisti e degli Enti per rendere sempre più diffusa la passione per il cielo, sempre più profonda la sua conoscenza da parte di quante più persone possibile, e sempre più ampio il numero di …nasi all’insù!
Coelum manterrà la qualità dei contenuti e il proprio taglio critico e imparziale, cercando di dare sempre qualcosa in più rispetto all’informazione altrimenti disponibile su altre riviste o su Internet.
Beninteso, la decisione di lasciare la carta è stata per noi un duro colpo: non è facile lasciare alle spalle il profumo dell’edizione stampata, l’emozione di controllare le prime copie in tipografia, come anche le litigate per la taratura dei colori! Ci mancherà la vecchia carta, grazie alla quale le nottate spese ad ingobbirsi davanti ai computer si trasformavano in qualcosa di reale, palpabile, da sfogliare e apprezzare sognando cieli limpidi e osservazioni entusiasmanti. Quella che può ad alcuni apparire come una scelta dettata solo da ragioni imprenditoriali è al contrario una decisione sì ben ponderata, ma guidata soprattutto dal cuore: la passione per il cielo e il desiderio di far rinascere l’interesse per l’Astronomia in un mondo sempre più guidato da sterili informazioni di consumo.
Come i nostri più affezionati lettori sanno, Coelum si è sempre contraddistinta per la qualità dei contenuti e per il proprio taglio critico e imparziale, cercando di dare sempre qualcosa in più rispetto all’informazione altrimenti disponibile su altre riviste o su Internet. Così proseguiremo, ma utilizzando un canale molto più potente e diffuso, oramai, rispetto alla carta stampata: Internet.
Il percorso che abbiamo intrapreso, per la Redazione tutt’altro che semplice, ci conduce ora a proporre ancora a tutti gli appassionati di Astronomia di voler credere in questo progetto… questa volta senza chiedere nulla in cambio, se non di leggerci e seguirci, partecipare alle iniziative e condividere foto, esperienze, proposte e idee.
L’appello che rivolgiamo a tutti quanti ancora provano meraviglia nel trovarsi di fronte all’infinita bellezza di un cielo stellato è semplicemente questo: seguiteci, leggeteci, usateci per diffondere il vostro contributo alla divulgazione e condivisione di questa nostra passione per l’Astronomia.
Curiosity: la duna Namib in un panorama 360° del sol 1197 (cliccare per ingrandire). Credit: NASA/JPL-Caltech - Processing: Elisabetta Bonora & Marco Faccin / aliveuniverse.today
Fa una certa impressione a vederla ma è diventata la star del momento nelle foto marziane inviate dal rover della NASA Curiosity. Si tratta della grande duna di sabbia chiamata Namib, nel campo di dune attive “Bagnold”, alle pendici del Monte Sharp.
A differenza delle semplici increspature, queste mostrano un versante sottovento piuttosto ripido e, invece di essere ricoperte da polvere chiara, sono scure a causa di una composizione basaltica, a base di olivina e cristalli di pirosseno. Gli scienziati usano il loro movimento per studiare la circolazione dei venti all’interno del cratere e mettere a punto i modelli meteorologici. Questa è la prima volta in cui tale fenomeno viene studiato in situ su un pianeta diverso dalla Terra.
Il rover ha dapprima eseguito alcuni test di mobilità sulla prima sabbia incontrata, raccogliendo molte foto ravvicinate con il MAHLI.
Curiosity MAHLI sol 1182. Credit: NASA/JPL-Caltech - Processing: Elisabetta Bonora & Marco Faccin / aliveuniverse.today
Le immagini mostrano una grande varietà compositiva dei grani, per dimensioni, forme e colori. Alcuni mostrano dei piccoli fori, altri sono quasi trasparenti ma potete divertirvi voi stessi ad osservare i dettagli offerti da queste due immagini appositamente elaborate per differenziare i materiali.
Cliccate per vedere le immagini alla massima risoluzione, uno spettacolo! Curiosity MAHLI sol 1184.
Oltre all’interesse scientifico, le dune del campo Bagnold stanno regalando paesaggi unici del cratere Gale.
Namib è una duna davvero impressionante e stupefacente allo stesso tempo.
Qui sotto un dettaglio del fronte più ripido che si staglia davanti a Curiosity, ripreso con la Mastcam durante il sol 1197, reso monocromatico. L’immagine in bianco e nero aiuta a focalizzare le molteplici caratteristiche che disegnano il muro di sabbia.
Qui a destra una versione circolare dello stesso mosaico (un’altra ancora, ottimizzata dal punto di vista del rover, era stata protagonista nella nostraimmagine del giorno del 23 dicembre).
Nell’immagine, raccolta dalla sonda Dawn della NASA il 10 dicembre scorso, una zona alle medie latitudini sud del pianeta nano Cerere, nei dintorni della regione denominata Gerber Catena. Molte delle depressioni e scanalature presenti su Cerere si sono probabilmente formate a seguito di impatti, ma alcuni sembrano avere origine tettonica. Al momento dell’acquisizione di questa immagine, la sonda Dawn si trovava sulla sua orbita di bassa quota, a una distanza approssimativa da Cerere di 385 km. Crediti: NASA/JPL-Caltech/UCLA/MPS/DLR/IDA
Nell’immagine, raccolta dalla sonda Dawn della NASA il 10 dicembre scorso, una zona alle medie latitudini sud del pianeta nano Cerere, nei dintorni della regione denominata Gerber Catena. Molte delle depressioni e scanalature presenti su Cerere si sono probabilmente formate a seguito di impatti, ma alcuni sembrano avere origine tettonica. Al momento dell’acquisizione di questa immagine, la sonda Dawn si trovava sulla sua orbita di bassa quota, a una distanza approssimativa da Cerere di 385 km. Crediti: NASA/JPL-Caltech/UCLA/MPS/DLR/IDA
La sonda Dawn della NASA si trova in questi giorni lungo la sua orbita più bassa attorno al pianeta nano Cerere, e grazie a questo punto di vista privilegiato, ci restituisce delle immagini spettacolari. Il nuovo set di dati fornisce numerosi dettagli della superficie, piena di crateri e fratture.
Il 10 dicembre scorso Dawn ha raccolto una serie di immagini del polo sud di Cerere da una quota approssimativa di 380 km, la più bassa mai affrontata. La sonda rimarrà a questa altitudine per il resto della sua missione, e anche quando il tempo nominale della missione sarà terminato. La risoluzione delle nuove immagini è di circa 35 metri per pixel.
Tra le visuali più sorprendenti spicca senza dubbio una serie di crateri chiamata Gerber Catena, che si trova a ovest del grande cratereUrvara. Depressioni e fratture sono caratteristiche molto comuni su corpi planetari di grandi dimensioni, e sono causate da contrazioni e sollecitazioni varie della crosta, a causa di urti o formazione di grandi montagne, come ad esempio il Monte Olimpo su Marte. Le fratture trovate lungo tutta la superficie di Cerere indicano che potrebbero essersi verificati processi simili, nonostante le sue modeste dimensioni (il diametro di Cerere è pari a circa 940 km). Molte delle avvallature e dei canali presenti su Cerere si sono probabilmente formati a seguito di impatti, ma alcuni sembrano di origine tettonica, ovvero frutto di tensioni interne che hanno comportato la rottura della crosta.
Questa immagine è stata scattata dalla sonda Dawn della Nasa il 10 dicembre scorso e mostra una regione a sud del pianeta nano Cerere. La zona inquadrata si trova nelle vicinanze del cratere chiamato Samhain Catena, una catena in questo caso significa un gruppo di crateri o avvallamenti allineati e ravvicinati. Al momento dello scatto la sonda si trovava a circa 385 km dalla superficie di Cerere. Crediti: NASA/JPL-Caltech/UCLA/MPS/DLR/IDA
«Non abbiamo ancora capito perché le fratture presenti sulla superficie di Cerere siano così marcate, ma molto probabilmente sono legate alla struttura complessa della sua crosta», ha dichiarato Paul Schenk, membro del team scientifico di Dawn presso il Lunar and Planetary Institute di Houston.
Le immagini sono state raccolte nella fase di un test della camera di backup a bordo di Dawn. La camera primaria, che è sostanzialmente identica, ha iniziato la sua campagna di raccolta dati lungo questa orbita bassa solo il 16 dicembre. Entrambe le camere godono di ottima salute.
Anche gli altri strumenti a bordo di Dawn hanno iniziato un periodo di intensa osservazione, questo mese. Lo spettrometro nel visibile e nell’infrarosso (VIR, costruito grazie alla leadership scientifica dell’Istituto di Astrofisica e Planetologia Spazialidell’INAF) permetterà di individuare la composizione di Cerere osservando come la luce a diverse lunghezze d’onda viene riflessa dalla sua superficie. Anche il rivelatore di raggi gamma e neutroni è operativo e fornirà informazioni preziose circa le abbondanze di alcuni elementi sul pianeta nano.
Questa visuale su Cerere, raccolta dalla sonda Dawn della NASA il 10 dicembre scorso, mostra un’area nell’emisfero sud del pianeta nano. Le ombre allungate sono dovute al fatto che al momento dello scatto il Sole si trovava vicino all’orizzonte. La sonda ha scattato questa immagine quando si trovava a una distanza da Cerere di circa 385 km. Crediti: NASA/JPL-Caltech/UCLA/MPS/DLR/IDA
Nei primi giorni di dicembre i membri del team scientifico di Dawn hanno scoperto che il misterioso materiale brillante trovato al centro di alcuni imponenti crateri, come Occator, sembrerebbe essere correlato alla presenza di sale, e hanno proposto che si tratti di un particolare solfato di magnesio chiamatoesaidrite. Un altro team di scienziati ha scoperto che Cerere contiene ammoniaca. Siccome l’ammoniaca è abbondante nel sistema solare esterno, questa scoperta indica che Cerere potrebbe essersi formato nelle vicinanze di Nettuno e aver poi migrato verso l’interno, oppure potrebbe essersi formato sul posto, da materiale che era migrato da regioni esterne del sistema solare.
«Mentre raccogliamo dati su Cerere alla massima risoluzione possibile, continuiamo ad esaminare le nostre ipotesi e a fare scoperte sorprendenti su questo mondo misterioso», ha detto Chris Russell, principal investigator della missione Dawn, e ricercatore presso l’Università della California.
A sinistra, la scia lasciata dall'ascesa del Falcon 9. A destra, le scie delle due accensioni del rientro del primo stadio.
A sinistra, la scia lasciata dall'ascesa del Falcon 9. A destra, le scie delle due accensioni del rientro del primo stadio.
La SpaceX ce l’ha fatta, nonostante a detta di molti fosse impossibile. La compagnia di Elon Musk ha scritto nuovamente la storia dell’esplorazione spaziale: dopo essere diventata con il proprio veicolo di rifornimento Dragon la prima agenzia privata a raggiungere la Stazione Spaziale Internazionale, la SpaceX è riuscita pochi minuti fa in qualcosa di straordinario e senza precedenti: riportare sulla terraferma il primo stadio di un razzo – il Falcon 9, che era decollato verso l’orbita terrestre meno di dieci minuti prima. Il successo della SpaceX è stato totale: dal lancio alla separazione degli 11 satelliti della Orbcomm, passando naturalmente per l’atterraggio del primo stadio, tutto è andato alla perfezione, nonostante la straordinaria tensione prima del lancio. Quello di oggi, infatti, è stato il primo volo della nuova versione del Falcon 9 (il Falcon 9-FT), il primo tentativo di rientro sulla terraferma, il primo tentativo di rientro mostrato in diretta televisiva e, soprattutto, il primo volo dopo il disastro di Giugno.
Il filmato dello storico rientro sulla terraferma del primo stadio di un Falcon 9 — un evento che secondo molti esperti "ha cambiato tutto" nel settore dell'industria aerospaziale. Tutti i dettagli su questa storica missione: www.pollucenotizie.com/2015/12/22.html
L’atterraggio del Falcon 9 di oggi potrebbe aver inaugurato una nuova era nell’esplorazione spaziale, un’era caratterizzata da veicoli almeno parzialmente riutilizzabili e da costi di lancio ridotti drasticamente. Non a caso, gli occhi di tutto il mondo dell’astronautica erano puntati su questo lancio, un lancio che altrimenti sarebbe rimasto piuttosto anonimo.
Il Falcon 9 è decollato alle 2:29 ora italiana di stamattina, all’inizio di una finestra di lancio di cinque minuti. A circa 10 minuti dal lancio, il primo stadio ha tentato un rientro senza precedenti sulla terraferma. I due tentativi di rientro effettuati in precedenza dalla SpaceX – entrambi risultati in esplosioni, ma con incoraggianti segnali di miglioramento – avevano visto il primo stadio tentare di atterrare su una chiatta robotica in mezzo all’Atlantico: mai prima d’ora la SpaceX aveva tentato di riportare un primo stadio usato sulla terraferma.
Nonostante tutto, lo storico tentativo di rientro è andato alla perfezione, con il Falcon 9 che si è adagiato sul suolo della Landing Zone 1 poco meno di dieci minuti dopo il decollo.
Quasi cinquanta anni fa venne catturata forse la più iconica foto di questo evento, il sorgere del nostro pianeta azzurro dall’orizzonte lunare. Lo scatto, raggiungibile qui, venne ripreso il 24 dicembre 1968 durante la missione Apollo 8 (la prima con equipaggio umano a circumnavigare la Luna) e testimoniava in modo inequivocabile la bellezza del nostro pianeta. Andando un po’ più indietro nel tempo, la prima foto in assoluto venne scattata dalla sonda automatica Lunar Orbiter 1, nel 1966, e potete trovarla qui.
In questa ultima foto, appena rilasciata dalla NASA, e scattata lo scorso 12 ottobre, possiamo ammirare senza fatica una delle meraviglie del cosmo: la nostra Terra sorgere dall’orizzonte lunare!
Naturalmente questa risoluzione non rende giustizia, quindi se vi recate a questo link, potrete apprezzarla (e scaricarla) in tutta la sua originale maestosità.
In primissimo e primo piano naturalmente abbiamo la nostra Luna, una vista che ci accompagna giorno dopo giorno per noi terrestri. Ma certamente questa angolazione è stata visibile solo agli astronauti, oppure alla sonda LRO – Lunar Reconaissance Orbiter, che dal 2009 continua a fornirci preziosissimi dati ed informazioni riguardo il nostro satellite naturale, oltre ad una miriade di foto.
In basso troviamo il cratere Compton, poco visibile dal nostro pianeta in quanto profondamente dentro quella che si definisce ‘zona delle librazioni’ (vedi nota in fondo), appartenente al lato lontano della Luna. Il cratere ha un diametro generoso, di circa 160 km) e possiede, come visibile dall’immagine, un complesso picco centrale, circondato da sistemi di rimae e di una zona concentrica formata da piccole colline.La sua esatta profondità non è nota, ma viene stimata nei dintorni dei 3 km; l’intero fondo è stato riempito dalla lava, che gli ha fornito una colorazione più scura rispetto ai suoi bordi, costellati di scarpate e terrazzamenti.
In alto, troviamo il nostro pianeta, con il continente africano in totale evidenza con la zona desertica del Sahara, del Sahel e della sottostante savana. E’ visibile anche la penisola arabica sulla destra, mentre oltre l’Oceano Atlantico al centro troviamo l’America meridionale. Verso nord invece, ecco il Mare Nostrum, il Mediterraneo, e la nostra Italia, parzialmente immersa nelle nubi come il resto del continente europeo
Ma come è stato possibile realizzare questa favolosa immagine? La composizione allegata qui sopra ci da una risposta.
La sonda LRO si trovava a circa 130 km di altezza sul cratere Compton, come illustrato, ed è stata ruotata di 67 gradi (in questa occasione) per avere una visuale completa del nostro pianeta. Inoltre, il tutto è stato pianificato per massimizzare la presenza dell’orizzonte lunare nell’inquadratura dello strumento LROC’s Narrow Angle Camera. Il tutto mentre la sonda viaggiava a circa 5700 km/h rispetto alla superficie lunare sottostante!
Quindi, si sono dovute integrare le riprese dello strumento Narrow Angle Camera (NAC), che scatta fotografie in alta risoluzione ma in toni di grigio (per una resa migliore dei dettagli) insieme alle informazioni sul colore della Terra acquisite dalla Wide Angle Camera (WAC). Quindi il primo provvede alla risoluzione, e il secondo al colore.
Il successivo problema da affrontare è stato avere sufficienti immagini della Terra per formare una vista con adeguata risoluzione, cosa che è stata risolta appunto in fase di acquisizione degli scatti (maggiori informazioni qui, in inglese). Il tutto per creare questa vista, reale, di due mondi così vicini e familiari tra loro.
Buone Osservazioni a Tutti!
Nota. La librazione è un movimento oscillante della Luna rispetto alla Terra, che ci permette di vedere qualche punto percentuale in più della sua superficie, arrivando come scritto, intorno al 59% del totale.
Questo fenomeno è causato dall’eccentricità orbitale della Luna, ovvero dal fatto che la sua orbita non è perfettamente circolare, ma in realtà ellittica. Quindi si muove più velocemente quando è vicina alla Terra (perigeo) e più lentamente quando è lontana (apogeo): il risultato è che solo il 41% della superficie è sempre visibile, e il 41% rimane sempre nascosto. Un 18% comprende la cosiddetta zona delle librazioni dove in differenti lunazioni possiamo vedere differenti oggetti sul suolo lunare.
Fritz Helmut Hemmerich, dall'altezza dei 1800 metri sul livello del mare sull'isola di Tenerife (Canarie) ha realizzato questa splendida fotografia che mostra la cometa in tutta la sua affascinante e spettacolare figura.
Fritz Helmut Hemmerich, dall'altezza dei 1800 metri sul livello del mare sull'isola di Tenerife (Canarie) ha realizzato questa splendida fotografia che mostra la cometa in tutta la sua affascinante e spettacolare figura.
La cometa ha da poco passato il perielio, il punto della sua orbita più vicino al Sole, e proprio dopo questo transito ravvicinato si è inserita in una traiettoria iperbolica. Questo vuol dire che non tornerà mai più indietro nel Sistema Solare interno, e che andrà a perdersi nelle profondità dello spazio. Prima di essere spinta dalla Nube di Oort aveva un periodo orbitale di alcuni milioni di anni, e dopo una singola visita, sparirà dalla nostra vista per sempre.
La cometa C/2013 US10 Catalina ripresa da Rolando Ligustri il 17/12/2015 (www.astrobin.com/232615/0/).
Essendo stata riscaldata dal calore della nostra stella mostra due splendide code, una di ioni e una di polveri che si dirigono in direzioni differenti. Il coma centrale (la zona di gas vicina al nucleo cometario) appare di un colore blu-verdastro, prodotto dall’emissione dei gas CN e C2 mentre la coda di ioni mostra tinte bluastre, a testimonianza dell’emissione delle molecole di gas CO+, come è normale per comete che hanno appena effettuato il loro transito solare ravvicinato.
Passiamo quindi alle domande che tutti abbiamo: potremo osservarla? Dove e quando? E con cosa?
Potremo certamente osservarla, tuttavia non ad occhio nudo, in quanto la sua luminosità massima prevista (a meno di sorprese) potrà permetterne l’osservazione solo da cieli scuri e senza Luna, lontano dalle luci cittadine. Al momento è attorno alla quinta/sesta magnitudine, proprio al limite dell’osservazione ad occhio nudo. Conviene quindi attrezzarsi con binocoli (anche i classici 7×50 o 10×50) oppure con telescopi, dove maggiore sarà il diametro e più dettagli riusciremo a carpire.
Potrete utilizzare la mappa qui sopra (cliccate l’immagine per ingrandirla) per pianificare a dovere le vostre osservazioni. L’appuntamento sarà sempre prima dell’alba, all’orizzonte orientale (SE per la precisione).
La cometa C/2013 US10 (Catalina) ripresa da Damian Peach l'8 dicembre scorso (cliccare per ingrandire).
La cometa ha attraversato, nella prima metà del mese, buona parte della costellazione della Vergine, per arrivare sul finire dell’anno in quella del Bootes. A parità di orario sarà sempre più alta nel cielo. Diventerà quindi sempre più immediato poterla rintracciare, dato che non sarà nascosta nelle luci dell’alba. L’aspetto che avrà sarà quello di una stella sfocata, oppure di un piccolo batuffolo di polvere sospeso nello spazio e circondato da stelle puntiformi. Anche se sarete alla vostra prima osservazione cometaria, non potrete mancarla, dato che il suo aspetto coglierà immediatamente l’attenzione.
Per concludere, un calendario con le prossime date salienti per la sua osservazione:
24 dicembre – Entra nella costellazione del Bootes;
1 gennaio – Transita a meno di un grado dalla luminosa Arcturus (Alpha Bootes);
17 gennaio – Distanza minima dalla Terra 0.725 AU (112.3 milioni di km);
1 febbraio – Probabilmente la magnitudine sarà scesa intorno ad un valore di +10, rendendo la sua osservazione possibile solo da chi possiede telescopi professionali.
Il 18 dicembre 2015 prende il via a Schio (VI), presso lo spazio espositivo Lanificio Conte_SHED, la mostra “Oltre il sogno: dal volo allo spazio”, un percorso immersivo che conduce il visitatore-viaggiatore nel sogno dell’Uomo di volare, dai primi tentativi di volo alle ultimissime frontiere dell’esplorazione spaziale. La mostra è la prima espressione del progetto “Distretto della scienza e tecnologia”, nato per valorizzare un territorio con una ricca storia industriale e d’innovazione tecnologica ancora poco conosciuta e di assoluta eccezione nel panorama nazionale e internazionale. Un’occasione unica che coniuga sogno, visione imprenditoriale, innovazione tecnologica e scienza!
La mostra “Oltre il sogno: dal volo allo spazio”, ideata e organizzata da Pleiadi, è espressione della volontà del Comune di Schio e il raggruppamento Schio-Thiene di Confindustria Vicenza, e coinvolge un importante panel scientifico.
La mostra offre al visitatore, che diventa un vero e proprio viaggiatore trovandosi al check di un aeroporto, un’esperienza interattiva ed emozionale attraverso i grandi traguardi dell’Uomo in tema di volo e di esplorazione spaziale. Si parte da una dimensione storica e suggestiva che affonda le radici nel mito di Icaro, passando per Leonardo da Vinci fino ad arrivare alle mongolfiere, ai dirigibili e al primo vero volo dei fratelli Wright. La destinazione finale di questo viaggio è lo spazio, affrontato attraverso l’avanzamento tecnologico aerospaziale per arrivare alle attuali frontiere di conoscenza, che ci conducono infine “oltre il sogno”.
La mostra spiega i principi fisici alla base del volo e della razzistica, e dimostra in modo pratico l’evoluzione della conoscenza umana nel campo aeronautico e aerospaziale. Exhibit, macchine funzionanti, simulatori, pannelli esplicativi, modelli originali e documenti storici rendono comprensibile un tema altamente affascinante e interessante al grande pubblico, coinvolgendo tutti i visitatori, dai più esperti ai semplici appassionati, dai bambini alle persone mature. Una particolare attenzione è riservata al mondo scuola, con visite guidate e laboratori studiati per ogni ciclo scolastico, dall’infanzia alla secondaria di secondo grado.
La mostra si avvale del contributo di un comitato scientifico, formato da studiosi, scienziati, astronauti e piloti, e la collaborazione di importanti istituzioni. In questo contesto l’Aeronautica Militare con la Rete Nazionale dei Musei Aeronautici, di cui fanno parte il Museo Storico dell’Aeronautica militare, il Museo dell’Aeronautica Gianni Caproni, il Museo Francesco Baracca, il Parco e Museo del Volo – Volandia e il Museo Piana delle Orme, ha contribuito con importanti prestiti di reperti storici e con la consulenza scientifica per l’ambito aeronautico. Il settore aerospaziale è invece rappresentato, all’interno del comitato, dall’Agenzia Spaziale Italiana, dall’Istituto Nazionale di Astrofisica – Osservatorio Astronomico di Padova, da Thales Alenia Space, dal Centro di Ateneo di Studi e Attività Spaziali “Giuseppe Colombo” – Università degli Studi di Padova, da Genav a.s.d. e Officina stellare.
“Oltre il sogno: dal volo allo spazio”
dove: Schio (VI) – Lanificio Conte_SHED, via Pasubio 99
quando: dal 18 dicembre 2015 al 30 marzo 2016
orari per le scuole e i gruppi su prenotazione:
da martedì a venerdì: 9.00 – 15.00
orari di apertura al pubblico:
giorni feriali: 15.30 – 19.30
sabato, domenica e festivi (24 dicembre, dal 28 al 31 dicembre, dal 4 al 6 gennaio, dall’8 al 10 febbraio e dal 24 al 29 marzo): 10.00- 19.30
chiuso il lunedì non festivo, 25 dicembre e 1° gennaio
This image shows an artistâs impression of the ten hot Jupiter exoplanets studied by David Sing and his colleagues. From top left to to lower left these planets are WASP-12b, WASP-6b, WASP-31b, WASP-39b, HD 189733b, HAT-P-12b, WASP-17b, WASP-19b, HAT-P-1b and HD 209458b. The images are to scale with each other. HAT-P-12b, the smallest of them, is approximately the size of Jupiter, while WASP-17b, the largest planet in the sample, is almost twice the size. The planets are also depicted with a variety of different cloud properties. There is almost no information about the colours of the planets available, with the exception of HD 189733b, which became known as the blue planet (heic1312). The hottest planets within the sample are portrayed with a glowing night side. This effect is strongest on WASP-12b, the hottest exoplanet in the sample, but also visible on WASP-19b and WASP-17b. It is also known that several of the planets exhibit strong Rayleigh scattering. This effect causes the blue hue of the daytime sky and the reddening of the Sun at sunset on Earth. It is also visible as a blue edge on the planets WASP-6b, HD 189733b, HAT-P-12b, and HD 209458b. The wind patterns shown on these ten planets, which resemble the visible structures on Jupiter, are based on theoretical models.
Un'impressione artistica dei 10 gioviani caldi studiati da David Sing e il suo gruppo. Da sinistra in alto: WASP-12b, WASP-6b, WASP-31b, WASP-39b, HD 189733b, HAT-P-12b, WASP-17b, WASP-19b, HAT-P-1b and HD 209458b. Le immagini rappresentano i pianeti in scala tra loro. Sono indicati di colori diversi, anche se in realtà non si conoscono quelli reali, ad eccezione di HD 189733b, noto anche come "blue planet" (heic1312). NASA, ESA, and D. Sing (University of Exeter)
Grazie ai telescopi spaziali Hubble e Spitzer della NASA, gli astronomi potrebbero essere riusciti a risolvere un importante mistero nel campo degli esopianeti.
Dei quasi duemila pianeta extrasolari conosciuti, circa seicento rientrano nella categoria dei cosiddetti gioviani caldi, ossia pianeti gassosi simili al nostro Giove in termini di massa ma con orbite ben più corte, in molti casi addirittura più di quella di Mercurio. La loro estrema vicinanza alle stelle madri li rende difficili oggetti di studio; tuttavia, quando finalmente gli scienziati sono riusciti a puntare l’occhio di Hubble verso le atmosfere di questi pianeti, ciò che hanno scoperto li ha lasciati piuttosto sorpresi. I dati preliminari, infatti, indicano che molti gioviani caldi contengono meno acqua di quanto previsto dai nostri modelli atmosferici.
Per far luce su questo mistero, gli astronomi hanno realizzato il più grande catalogo spettroscopico delle atmosfere di pianeti extrasolari. Tutti i pianeti inclusi nel catalogo sono orientati in modo da poter essere studiati con il metodo dei transiti, ovvero analizzando i loro passaggi di fronte al disco delle loro stelle madri. Studiando come la luce stellare viene filtrata attraverso l’atmosfera dei pianeti, possiamo ricostruire molte informazioni sulle proprietà degli involucri gassosi.
“L’atmosfera lascia un’impronta unica nella luce stellare che possiamo studiare quando la luce ci raggiunge,” spiega Hannah Wakeford della NASA.
Per rendere il catalogo il più esaustivo possibile, gli scienziati hanno deciso di includere anche i dati raccolti dal telescopio spaziale Spitzer nella porzione infrarossa dello spettro elettromagnetico. Le lunghezze d’onda infrarosse sono in grado di penetrare più in profondità nell’atmosfera di un pianeta rispetto a quelle visibili; di conseguenza, un pianeta con un’atmosfera nebbiosa risulta essere leggermente più grande nel visibile rispetto all’infrarosso. E sono stati proprio i dati di Spitzer a permettere agli scienziati di individuare una correlazione tra la trasparenza delle atmosfere e le quantità di acqua rilevate.
“Sono entusiasta di vedere finalmente i dati da questo vasto gruppo di pianeti: è la prima volta che abbiamo avuto una copertura di lunghezze d’onda sufficiente a confrontare diverse strutture da un pianeta all’altro,” spiega David Sing dell’Università di Exeter. “Abbiamo scoperto che le atmosfere planetarie sono molto più varie di quanto ci aspettassimo.”
Lo studio si è concentrato in particolare sulle atmosfere di 10 gioviani caldi: WASP-12b, WASP-17b, WASP-19b, HD 209458b (già protagonisti di un altro studio sulla presenza di acqua nelle loro atmosfere), HD 189733b (il primo esopianeta di cui conosciamo il colore reale – un blu intenso – e che abbiamo osservato a raggi-X) WASP-39b, WASP-31b, WASP-6b, HAT-P-12b e HAT-P-1b.
“I nostri risultati suggeriscono che siano le nubi a nascondere l’acqua da occhi indiscreti, il che elimina la teoria che i giovani caldi siano pianeti secchi,” spiega Jonathan Fortney dell’Università della California a Santa Cruz. “L’alternativa è che questi pianeti si siano formati in un ambiente privo di acqua, ma ciò ci obbligherebbe a rivalutare da zero tutta la nostra comprensione sulla formazione planetaria.”
Il cratere Occato, elaborato in falsi colori per dare risalto ai differenti elementi presenti sulla superficie. NASA/JPL-Caltech/UCLA/MPS/DLR/IDA
Dawn ha mappato più di 130 aree luminose sulla superficie di Cerere, la maggior parte delle quali sono associate a crateri da impatto. Secondo uno studio guidato da Andreas Nathues del Max Planck Institute for Solar System Research, la composizione del materiale chiaro è compatibile con la presenza di un solfato di magnesio noto come esaidrite. Si pensa che le aree chiare ricche di sale si siano formate in seguito alla sublimazione di acqua ghiacciata.
“La natura globale dei punti luminosi di Cerere suggerisce che questo mondo abbia uno strato sotterraneo di ghiaccio d’acqua,” spiega Nathues.
Tra tutte le aree chiare che costellano la superficie di Cerere, le più luminose sono le due strutture all’interno di Occator, un cratere largo circa 90 km. I due punti, uno dei quali è situato in corrispondenza della fossa centrale, larga 10 chilometri e profonda 0.5, riflettono circa il 50% della luce che ricevono. La fossa, inoltre, è attraversata da una serie di solchi e fratture. Il cratere, con i suoi bordi marcati, è considerato dagli scienziati una delle più recenti formazioni apparse su Cerere, con un’età stimata intorno ai 78 milioni di anni.
Il cratere Occator, elaborato in falsi colori per dare risalto alle differenti componenti della superficie. NASA/JPL-Caltech/UCLA/MPS/DLR/IDA
Le immagini mostrano anche una sorta di foschia sospesa al di sopra di Cerere, una scoperta che potrebbe spiegare l’identificazione di vapore acqueo attorno al pianeta nano effettuata dal telescopio spaziale Herschel nel 2014. La foschia è presente nelle immagini scattate verso mezzogiorno ora locale ed è invece assente all’alba e al tramonto. Gli scienziati ritengono possibile che un fenomeno simile a quello che caratterizza le attività cometarie sia all’opera nel cratere Occator, con minuscole particelle di polvere e ghiaccio residuo che vengono sollevate in aria dal vapore acqueo. Tuttavia, saranno necessari dati a risoluzioni maggiori per poter far luce sui meccanismi alla base di questo fenomeno.
“Il team di Dawn sta ancora discutendo su questi risultati e analizzando i dati per comprendere meglio la situazione nel cratere Occator,” spiega Chris Russell, responsabile della missione.
Un altro notevole risultato raggiunto da Dawn in questi mesi è l’identificazione di argille ricche di ammoniaca, una scoperta effettuata dallo spettrometro italiano VIR.
La temperatura superficiale di Cerere è troppo elevata per poter consentire la presenza stabile di ammoniaca ghiacciata; tuttavia, le molecole di ammoniaca posso rimanere stabili se chimicamente legate ad altri minerali, ed è esattamente ciò che gli scienziati hanno individuato nei dati di Dawn.
La presenza di ammoniaca, del tutto inaspettata, suggerisce che Cerere non si sia formato nella cintura asteroidale tra Marte e Giove dove si trova oggi, ma che abbia avuto origine molto più in là. Un altro scenario plausibile è che Cerere abbia raccolto i materiali residui provenienti dal sistema solare esterno.
“La presenza di ammoniaca suggerisce che Cerere sia composto di materiale formatosi in un ambiente dove l’ammoniaca e l’azoto erano abbondanti,” spiega Maria Cristina de Sanctis dell’INAF. “Pensiamo che questo materiale abbia avuto origine nel sistema solare esterno.”
Nonostante questa particolarità, altre regioni dello spettro di Cerere mostrano delle somiglianze a quelle di alcuni meteoriti, in particolare delle condiriti carbonacee, meteoriti ricchi di carbonio che però presentano concentrazioni di acqua pari solo al 15-20%, contro il 30% di Cerere.
I dati di Dawn mostrano inoltre che la temperatura superficiale varia da -90 a -33 gradi centigradi, con picchi termici nelle regioni equatoriali.
Per fornire le migliori esperienze, utilizziamo tecnologie come i cookie per memorizzare e/o accedere alle informazioni del dispositivo. Il consenso a queste tecnologie ci permetterà di elaborare dati come il comportamento di navigazione o ID unici su questo sito. Non acconsentire o ritirare il consenso può influire negativamente su alcune caratteristiche e funzioni.
Funzionale
Sempre attivo
L'archiviazione tecnica o l'accesso sono strettamente necessari al fine legittimo di consentire l'uso di un servizio specifico esplicitamente richiesto dall'abbonato o dall'utente, o al solo scopo di effettuare la trasmissione di una comunicazione su una rete di comunicazione elettronica.
Preferenze
L'archiviazione tecnica o l'accesso sono necessari per lo scopo legittimo di memorizzare le preferenze che non sono richieste dall'abbonato o dall'utente.
Statistiche
L'archiviazione tecnica o l'accesso che viene utilizzato esclusivamente per scopi statistici.L'archiviazione tecnica o l'accesso che viene utilizzato esclusivamente per scopi statistici anonimi. Senza un mandato di comparizione, una conformità volontaria da parte del vostro Fornitore di Servizi Internet, o ulteriori registrazioni da parte di terzi, le informazioni memorizzate o recuperate per questo scopo da sole non possono di solito essere utilizzate per l'identificazione.
Marketing
L'archiviazione tecnica o l'accesso sono necessari per creare profili di utenti per inviare pubblicità, o per tracciare l'utente su un sito web o su diversi siti web per scopi di marketing simili.