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QUIZ TIME COELUM – 20-06-2024

Quiz Time COELUM del 20-06-2024

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  • il vincitore sarà annunciato nei medesimi canali e contattato dalla redazione

Serpens Nebula- JWST cattura getti bipolari di formazione stellare

Serpens Nebula - JWST
n questa immagine della Nebulosa Serpente ottenuta dalla Near-InfraRed Camera (NIRCam) del telescopio spaziale James Webb della NASA/ESA/CSA, gli astronomi hanno trovato un raggruppamento di deflussi protostellari allineati all'interno di una piccola regione (l'angolo in alto a sinistra). Credito: NASA, ESA, CSA, STScI, K. Pontoppidan (Jet Propulsion Laboratory della NASA), J. Green (Space Telescope Science Institute)

L’allineamento dei getti bipolari fotografata da JWST in Serpens Nebula conferma le teorie sulla formazione stellare

Per la prima volta, un fenomeno che gli astronomi speravano da tempo di poter fotografare direttamente è stato catturato dalla Near-InfraRed Camera (NIRCam) del James Webb Space Telescope della NASA/ESA/CSA. In questa splendida immagine della Nebulosa Serpente, la scoperta si trova nella zona settentrionale di questa giovane e vicina regione di formazione stellare.

Serpens Nebula JWST
Questa immagine del telescopio spaziale James Webb della NASA/ESA/CSA mostra una porzione della Nebulosa Serpente, dove gli astronomi hanno scoperto un raggruppamento di deflussi protostellari allineati. NASA, ESA, CSA, STScI, K. Pontoppidan (Jet Propulsion Laboratory della NASA), J. Green (Space Telescope Science Institute)

Gli astronomi hanno scoperto un intrigante gruppo di flussi protostellari, formatisi quando getti di gas emessi da stelle appena nate si scontrano con gas e polvere vicini ad alta velocità. In genere questi oggetti hanno una varietà di orientamenti all’interno di una regione. Qui, invece, sono tutti inclinati nella stessa direzione, nella stessa misura, come la pioggia che cade durante un temporale.

La scoperta di questi oggetti allineati, resa possibile solo dalla straordinaria risoluzione spaziale e sensibilità di Webb alle lunghezze d’onda del vicino infrarosso, sta fornendo informazioni sui fondamenti di come nascono le stelle.

Quindi, in che modo l’allineamento dei getti stellari è correlato alla rotazione della stella? Quando una nube di gas interstellare collassa su se stessa per formare una stella, ruota più rapidamente. L’unico modo in cui il gas può continuare a muoversi verso l’interno è rimuovere parte dello spin (noto come momento angolare). Intorno alla giovane stella si forma un disco di materiale che trasporta il materiale verso il basso, come un vortice attorno a uno scarico. I campi magnetici vorticosi nel disco interno lanciano parte del materiale in getti gemelli che sparano verso l’esterno in direzioni opposte, perpendicolari al disco di materiale.

Nell’immagine Webb, questi getti sono identificati da strisce rosse luminose, che sono onde d’urto causate quando il getto colpisce il gas e la polvere circostanti. Qui, il colore rosso indica la presenza di idrogeno molecolare e monossido di carbonio.

Stelle della Nebulosa Serpente

La Nebulosa Serpente ha solo uno o due milioni di anni, che è molto giovane in termini cosmici. Ospita anche un ammasso particolarmente denso di stelle di nuova formazione (di circa 100.000 anni) al centro di questa immagine, alcune delle quali alla fine raggiungeranno la massa del nostro Sole (ne abbiamo parlato nella rubrica “Meraviglie del Cosmo” a pagina 30 di Coelum Astronomia n°265).

Serpens Nebula  -JWST
Le frecce della bussola nord ed est mostrano l’orientamento dell’immagine nel cielo. Si noti che la relazione tra nord ed est nel cielo (visto dal basso) è invertita rispetto alla direzione delle frecce su una mappa del terreno (visto dall’alto).
La barra della scala è etichettata in anni luce, che è la distanza percorsa dalla luce in un anno terrestre. Un anno luce equivale a circa 9,46 trilioni di chilometri, o 5,88 trilioni di miglia. Credito:
NASA, ESA, CSA, STScI, K. Pontoppidan (Jet Propulsion Laboratory della NASA), J. Green (Space Telescope Science Institute)

Serpens è una nebulosa a riflessione, il che significa che è una nuvola di gas e polvere che non crea luce propria ma brilla invece riflettendo la luce delle stelle vicine o all’interno della nebulosa.

La regione è stata sede di altre scoperte casuali, tra cui la “Bat Shadow” che batte le ali , che ha guadagnato il suo nome quando i dati del 2020 del telescopio spaziale Hubble della NASA/ESA hanno rivelato che batteva o si spostava. 

Studi futuri

L’immagine straordinaria e la scoperta fortuita degli oggetti allineati sono in realtà solo il primo passo di questo programma scientifico. Il team ora utilizzerà il NIRSpecNear-InfraRed Spectrograph ) di Webb per studiare la composizione chimica della nuvola.

Fonte: https://esawebb.org/news/weic2415/

Solstizio d’Estate 2024: Il Fenomeno Astronomico e le Tradizioni

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Solstizio d'Estate

Domani, 20 giugno 2024, il solstizio d’estate segnerà l’inizio ufficiale dell’estate nell’emisfero nord. Questo evento astronomico avverrà alle 22:50 ora italiana (20:51 GMT), e rappresenterà il giorno più lungo dell’anno, con il maggior numero di ore di luce diurna​.

 

Come Avviene il Solstizio d’Estate

Il solstizio d’estate si verifica quando uno dei poli terrestri raggiunge la sua massima inclinazione verso il Sole. La Terra ruota attorno al Sole su un’orbita ellittica e anche attorno al proprio asse, inclinato di 23° 27′ . Questa inclinazione causa le stagioni. Al solstizio d’estate, il Polo Nord è inclinato direttamente verso il Sole, che raggiunge la sua massima altezza nel cielo, dando luogo al giorno più lungo dell’anno​.

Significato e Tradizioni

Il termine “solstizio” deriva dal latino “solstitium”, che significa “sole fermo”, indicando il momento in cui il Sole sembra fermarsi nel suo movimento nel cielo. Questo evento ha un grande significato simbolico e culturale, celebrato da diverse civiltà nel corso della storia con vari rituali e festività.

In molte culture, il solstizio d’estate è un momento di festa, spesso accompagnato da falò, danze e cerimonie che celebrano la fertilità e l’abbondanza della stagione. Ad esempio, in Svezia, è tradizione danzare attorno a un palo di maggio decorato con fiori, mentre in paesi come la Danimarca e la Norvegia si accendono grandi falò per scacciare gli spiriti maligni e celebrare la luce​​.

Celebrazioni Moderne

Anche oggi, il solstizio d’estate viene celebrato in molti modi. A Stonehenge, in Inghilterra, migliaia di persone si radunano per osservare l’alba allineata con le antiche pietre, in un evento carico di significato storico e spirituale. Simili celebrazioni si tengono in altre parti del mondo, dove le persone accolgono l’estate con eventi comunitari, concerti e altre attività all’aperto​​.

Per visualizzare meglio il solstizio, ecco un’immagine che illustra come la Terra è inclinata rispetto al Sole durante questo evento:

Solstizio d'Estate

In conclusione, il solstizio d’estate non è solo un fenomeno astronomico, ma anche un momento di grande rilevanza culturale e simbolica, celebrato con entusiasmo in tutto il mondo.

Buon solstizio d’estate!

Per maggiori informazioni

TheWom , Star Walk

Il risveglio di un buco nero

Buco Nero
Riproduzione artistica. Alla fine del 2019, la galassia SDSS1335+0728 ha improvvisamente iniziato a brillare più luminosa che mai ed è stata classificata come avente un nucleo galattico attivo, alimentato da un enorme buco nero nel nucleo della galassia.

Gli astronomi vedono un enorme buco nero risvegliarsi in tempo reale

Verso la fine del 2019, la galassia SDSS1335+0728, fino a quel momento del tutto trascurabile, ha improvvisamente iniziato a brillare più luminosa che mai. Per capirne il motivo, gli astronomi hanno utilizzato i dati provenienti da diversi osservatori spaziali e da terra, tra cui il VLT (Very Large Telescope) dell’ESO (Osservatorio Europeo Australe), per seguire le variazioni di luminosità della galassia. In uno studio pubblicato oggi, concludono che stiamo assistendo a cambiamenti mai visti prima, probabilmente il risultato dell’improvviso risveglio del buco nero massiccio nel nucleo.

Immaginate di aver osservato per anni una galassia lontana e che essa sia sempre apparsa calma e inattiva“, afferma Paula Sánchez Sáez, astronoma dell’ESO in Germania e autrice principale dello studio accettato per la pubblicazione su Astronomy & Astrophysics. “All’improvviso, il suo [nucleo] inizia a mostrare evidenti cambiamenti di luminosità, diversi da qualsiasi altro evento tipico osservato finora.” Questo è quello che è successo a SDSS1335+0728, che ora, da quando è diventata così brillane nel dicembre 2019, viene classificata come dotata di un “nucleo galattico attivo” (AGN dall’inglese ‘active galactic nucleus’) – una regione compatta e luminosa alimentata da un buco nero molto massiccio.

Alcuni fenomeni, come le esplosioni di supernova o gli eventi di distruzione mareale – cioè quando una stella si avvicina troppo a un buco nero e viene fatta a brandelli – possono rendere improvvisamente brillanti le galassie. Ma queste variazioni di luminosità durano tipicamente solo poche decine o, al massimo, qualche centinaio di giorni. SDSS1335+0728 continua a diventare sempre più luminosa, più di quattro anni dopo essere stata osservata ‘accendersi’ per la prima volta. Inoltre, le variazioni osservate nella galassia, che si trova a 300 milioni di anni luce di distanza da noi, nella costellazione della Vergine, sono diverse da quelle mai viste prima e indirizzano gli astronomi verso una spiegazione alternativa.

Il gruppo di lavoro ha cercato di comprendere le variazioni di luminosità utilizzando una combinazione di dati di archivio e nuove osservazioni provenienti da diverse strutture, incluso lo strumento X-shooter installato sul VLT dell’ESO nel deserto di Atacama in Cile. Confrontando i dati rivelati prima e dopo il dicembre 2019, hanno scoperto che SDSS1335+0728 ora irradia molta più luce alle lunghezze d’onda ultravioletta, ottica e infrarossa. La galassia ha anche iniziato a emettere raggi X nel febbraio 2024. “Questo comportamento non ha precedenti”, aggiunge Sánchez Sáez, che ha anche un’affiliazione con il Millennium Institute of Astrofisica (MAS) in Cile.

Buco Nero
Questa rappresentazione artistica mostra due fasi nella formazione di un disco di gas e polvere attorno al massiccio buco nero al centro della galassia SDSS1335+0728. Il nucleo di questa galassia si è illuminato nel 2019 e continua a brillare oggi : è la prima volta che osserviamo un enorme buco nero attivarsi in tempo reale.
Credito:
ESO/M. Kornmesser

L’opzione più concreta per spiegare questo fenomeno è che stiamo vedendo il [nucleo] della galassia che sta iniziando a mostrare (…) attività“, afferma la coautrice Lorena Hernández García, del MAS e dell’Università di Valparaíso in Cile. “Se così fosse, questa sarebbe la prima volta che vediamo l’attivazione di un buco nero massiccio in tempo reale”.

Al centro della maggior parte delle galassie, compresa la Via Lattea, si trovano buchi neri molto grandi, con massa pari a oltre centomila volte quella del Sole. “Questi mostri giganti di solito dormono e non sono direttamente visibili“, spiega il coautore Claudio Ricci, dell’Università Diego Portales, sempre in Cile. “Nel caso di SDSS1335+0728, abbiamo potuto osservare il risveglio del buco nero massiccio, [che] improvvisamente ha iniziato a nutrirsi del gas disponibile nei dintorni, diventando molto luminoso”.

[Questo] processo (…) non è mai stato osservato prima“, aggiunge Hernández García. Studi precedenti avevano trovato alcune galassie inattive che dopo diversi anni erano diventate attive, ma questa è la prima volta che il processo stesso – il risveglio del buco nero – è stato osservato in tempo reale. Ricci, che è anche affiliato al Kavli Institute for Astronomy and Astrophysics dell’Università di Pechino, in Cina, aggiunge: “Questo potrebbe accadere anche a Sgr A*, il buco nero massiccio (…) situato al centro della nostra galassia“, ma non è chiaro quanto ciò sia probabile.

Sono necessarie ulteriori osservazioni per escludere spiegazioni alternative. Un’altra possibilità è che stiamo assistendo a un evento di distruzione mareale insolitamente lento, o addirittura a un nuovo fenomeno. Se si trattasse effettivamente di un evento di distruzione mareale, questo sarebbe l’evento più lungo e debole mai osservato. “Indipendentemente dalla natura delle variazioni, [questa galassia] fornisce informazioni preziose su come i buchi neri crescono ed evolvono”, conclude Sánchez Sáez. “Ci aspettiamo che strumenti come [MUSE installato sul VLT o i futuri strumenti di ELT (Extremely Large Telescope)] saranno fondamentali per comprendere [perché la galassia sta diventando più luminosa]”.

Fonte


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STAR PARTY Romagnolo di FINE Estate 2024

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Il gruppo astrofili Astro Amici Forlivesi annuncia il secondo star party Romagnolo 2024. Dopo lo star party Romagnolo di Giugno, ci ritroviamo per chiudere insieme l’estate, in una suggestiva location immersa nel verde tra le prima colline degli appennini. Per info e prenotazioni contatteci alla mail astroamiciforlivesi@gmail.com.

FB: Astro Amici Forlivesi

IG: astroamiciforlivesi

L’Universo in una foto 3 edizione – Contest Fotografico

Ami scattare fotografie? Partecipa alla 3a edizione del concorso “L’Universo in una foto” in cui luna, pianeti, stelle, ma anche nebulose e galassie la fanno da padrone.

Il concorso, a partecipazione gratuita e giunto alla sua terza edizione, è rivolto a tutti i fotografi del cielo notturno, sia astrofotografi professionisti che semplici appassionati, e vuole stimolare l’interesse per l’astronomia tramite l’uso creativo della fotografia.

Tre i temi in cui si articola il concorso:


1. Skyscapes: immagini di paesaggi naturali o soggetti architettonici urbani nelle quali il cielo notturno è un elemento significativo


2. Solar System: immagini di pianeti e oggetti celesti facenti parte del Sistema Solare;


3. Deep Sky: immagini di soggetti astronomici o eventi ad essi collegati, ripresi con fotocamera.


Per partecipare al contest è necessario inviare il materiale tramite il servizio WeTransfer all’indirizzo di posta elettronica sichardtcafe@gmail.com a partire dal 15 giugno ed entro e non oltre il 15 settembre 2024 – ore 23:59.

La Giuria sarà formata da Martina De Maio, astrofisica – Area Astronomia della Fondazione Museo Civico; Gianni Pasquali, astrofilo dedito alla divulgazione, affiliato all’Associazione Internazionale Astronomers Without Borders ed a Volunteer Translator ESO Science Outreach Representative; Adriano Frisanco, fotografo professionista che si occupa di fotografia pubblicitaria, industriale editoriale e di documentazione; Aldo Frisinghelli del Circolo Fotografico l’Immagine di Rovereto e Molisella Lattanzi direttrice della rivista Coelum Astronomia.

Le foto premiate potranno avere abbonamenti omaggio alla rivista Coelum o ingresso gratuito e visite guidate al Planetario del Museo Civico, unico in Italia a unire la precisione della visione del cielo notturno grazie al sistema analogico e i viaggi interplanetari e interstellari garantiti dai più recenti proiettori digitali fulldome.

Il concorso si concluderà con l’allestimento di una mostra temporanea a ingresso gratuito al Museo della Città di Rovereto nella quale saranno esposte le astrofotografie più meritevoli.

ORGANIZZATORI

Sichardt Cafè di Canta Mattia con la collaborazione della Fondazione Museo Civico di Rovereto, dell’associazione CCF Centro Cultura Fotografica @Trento, del Circolo Fotografico l’Immagine di Rovereto e media partner ufficiale la rivista Coelum Astronomia.

TEMA DELLA MANIFESTAZIONE

Dopo il successo della precedenti edizioni, ispirate dalle novità che hanno coinvolto il Planetario della Fondazione Museo Civico di Rovereto, il Sichardt Cafè ha maturato l’idea di rilanciare questo concorso volto a stimolare l’interesse per l’astronomia tramite l’uso creativo della fotografia, coinvolgendo nuovamente la stessa Fondazione Museo Civico.
I partecipanti sono invitati a fotografare la volta celeste in tutte le sue meraviglie… Luna, pianeti, stelle ma anche nebulose e galassie, cercando di coglierli in maniera creativa ed emozionale.
In particolare il contest si articola in tre sezioni:

  1. Skyscapes: immagini di paesaggi naturali o soggetti architettonici urbani nelle quali il cielo notturno è un elemento significativo;
  2. Solar System: immagini di pianeti e oggetti celesti facenti parte del Sistema Solare;
  3. Deep Sky: immagini di soggetti astronomici o eventi ad essi collegati, ripresi con fotocamera.

PARTECIPANTI

Possono partecipare al contest: fotografi, appassionati di fotografia, ma anche semplici utenti che vogliano cimentarsi con l’argomento proposto, che cercano nelle loro notti insonni di catturare la bellezza del cielo. I partecipanti che non hanno compiuto la maggiore età alla data di inizio del contest dovranno avere l’autorizzazione dei genitori o di chi ne fa le veci.
La partecipazione è gratuita.
Sono esclusi dal contest i membri della giuria.

Requisiti e caratteristiche tecniche delle immagini

Ogni partecipante potrà presentare solo una fotografia in b/n o a colori con inquadratura verticale, orizzontale o panoramica per ogni categoria.
È possibile presentare immagini trattate in post produzione con mezzi digitali o analogici purché, alla base, abbiano una o più immagini di natura fotografica (esibibile in originale RAW, JPEG, TIFF, su semplice richiesta della giuria – la mancata esibizione dell’originale comporterà l’esclusione dal concorso).
Le foto dovranno essere in formato jpg (o jpeg) a 300dpi, con il lato lungo di 3000 px e peso non superiore a 10Mb per ciascuna foto.
Le foto non dovranno contenere alcun “watermark” o riferimenti all’autore dello scatto (ad esempio nei dati EXIF), in modo da garantire la completa imparzialità della giuria.
Previo accordo con l’autore potranno essere richieste altre versioni dello scatto (formato del file, dimensioni, risoluzione) se questo verrà selezionato per altri utilizzi (stampe, promozione pubblicitaria).
Attenzione: non saranno ritenute valide le fotografie già inviate nelle precedenti edizioni.

Il REGOLAMENTO completo è disponibile QUI

ANDES, VIA LIBERA ALLO STRUMENTO CHE CI DIRÀ DOVE C’È VITA SU ALTRI MONDI

ANDES
Roberto Ragazzoni, the President of Italy’s National Institute for Astrophysics (INAF), and Xavier Barcons, ESO’s Director General, signed an agreement for the design and construction of the ANDES instrument. ANDES, the ArmazoNes high Dispersion Echelle Spectrograph, will be installed on ESO’s Extremely Large Telescope (ELT), and it will tackle a variety of astronomical questions, from searching for signs of life in exoplanets to testing variations of physical constants.

ANDES, VIA LIBERA ALLO STRUMENTO CHE CI DIRÀ DOVE C’È VITA SU ALTRI MONDI

L’ESO ha firmato l’accordo con un consorzio internazionale guidato dall’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) per la progettazione e la costruzione di ANDES, uno strumento di altissima tecnologia che sarà installato sull’ Extremely Large Telescope (ELT) dell’ESO, in costruzione sulle Ande cilene. ANDES verrà utilizzato per cercare segni di vita negli esopianeti e studiare le prime stelle che si sono accese nell’Universo, ma anche per testare le variazioni delle costanti fondamentali della fisica e misurare l’accelerazione dell’espansione dell’Universo.

 

L’accordo è stato firmato dal Direttore Generale dell’European Southern Observatory (ESO) Xavier Barcons e da Roberto Ragazzoni, Presidente dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), l’Ente che guida il consorzio ANDES. Alla cerimonia della firma erano presenti anche Sergio Maffettone, Console Generale d’Italia a Monaco di Baviera, e Alessandro Marconi dell’Università di Firenze e associato INAF, Principal Investigator di ANDES, oltre ad altri rappresentanti dell’ESO, dell’INAF e del consorzio ANDES, che vede la partecipazione di Istituti, Università ed Enti di Ricerca di 13 Paesi. La firma ha avuto luogo presso il quartier generale dell’ESO a Garching, in Germania.

“ANDES è una macchina che sfrutta molte delle tecnologie sviluppate in Italia e che complementa gli sforzi che come INAF stiamo facendo per individuare mondi alieni” commenta Roberto Ragazzoni, presidente dell’Istituto Nazionale di Astrofisica. “Poterne analizzare chimicamente la composizione delle atmosfere è uno di quei problemi formidabili che mettono a dura prova la filiera tecnologica sia della ricerca che industriale. Anche se al limite delle sue capacità, potrebbe riuscire a fornire misure dirette della espansione dell’universo, ma certamente aprire nuovi quesiti che solleciteranno ulteriori sviluppi tecnologici, in un circolo virtuoso che l’INAF porta avanti da tempo”.

ANDES
Lo strumento ELT ad alta risoluzione ANDES (precedentemente noto come HIRES) consentirà agli astronomi di studiare oggetti astronomici che richiedono osservazioni altamente sensibili. Verrà utilizzato per cercare segni di vita negli esopianeti simili alla Terra, trovare le prime stelle nate nell’Universo, testare possibili variazioni delle costanti fondamentali della fisica e misurare l’accelerazione dell’espansione dell’Universo.

Precedentemente denominato HIRES, ANDES (ArmazoNes high Dispersion Echelle Spectrograph) è un sofisticato spettrografo, uno strumento che divide la luce nelle lunghezze d’onda che la compongono in modo che gli astronomi possano determinare importanti proprietà degli oggetti astronomici, come la loro composizione chimica. Lo strumento avrà prestazioni senza precedenti nelle osservazioni in luce visibile e nel vicino infrarosso e, in combinazione con il potente sistema di specchi ed ottica adattiva che costituiscono ELT, consentirà enormi passi in avanti nello studio dell’Universo.

“ANDES è uno strumento con un enorme potenziale per scoperte scientifiche rivoluzionarie, che possono influenzare profondamente la nostra percezione dell’Universo ben oltre la comunità di scienziati”, afferma Alessandro Marconi.

ANDES permetterà di realizzare indagini dettagliate delle atmosfere di esopianeti simili alla Terra, consentendo agli astronomi di analizzare la loro composizione, alla ricerca di tracce legate alla presenza di vita. Sarà anche in grado di analizzare elementi chimici in oggetti lontani nell’Universo primordiale, rendendolo probabilmente il primo strumento in grado di rilevare le firme delle stelle di Popolazione III , le prime stelle in assoluto che si sono formate nell’Universo. Inoltre, gli astronomi saranno in grado di utilizzare i dati ANDES per verificare se le costanti fondamentali della fisica variano nel tempo e nello spazio. I suoi dati saranno utilizzati anche per misurare direttamente l’accelerazione dell’espansione dell’Universo, uno degli enigmi ancora insoluti dell’astrofisica.

Il contributo di INAF ad ANDES, oltre alla responsabilità di gestione manageriale e ingegneristica del progetto a livello di sistema e di sviluppo software (con le sedi coinvolte di Trieste per il management, Milano per l’ingegneria del sistema e Bologna per la parte di collegamento scientifico), copre anche la progettazione e la successiva realizzazione opto-meccanica e software, di alcuni moduli che compongono ANDES. In particolare, la sede INAF di Firenze con i contributi di quelle di Trieste e Brera è responsabile sia del collegamento in fibra ottica che consentirà il passaggio della luce tra i vari moduli di ANDES che del modulo di ottica adattiva. Oltre all’aspetto tecnologico, quello scientifico vede la partecipazione di ricercatrici e ricercatori di quasi tutte le sedi INAF, con quella di Trieste responsabile anche del coordinamento del pacchetto scientifico che studierà le galassie ed il mezzo intergalattico.

ANDES
L’Extremely Large Telescope (ELT) sarà posizionato sulla cima del Cerro Armazones, a circa 3.046 metri di altezza nel deserto cileno di Atacama, circondato da viste mozzafiato sulle pianure sottostanti. Questa immagine (un rendering artistico) mostra come apparirà il telescopio in cima alla montagna. Il livellamento della cima del Cerro Armazones, in preparazione alla costruzione dell’ELT, è stato completato nel 2015.

Il telescopio ELT dell’ESO è attualmente in costruzione nel deserto di Atacama, nel nord del Cile. Quando entrerà in funzione alla fine di questo decennio, l’ELT sarà il più grande telescopio mai costruito al mondo, che aprirà letteralmente una nuova era nell’astronomia da Terra.

Per maggiori informazioni

https://andes.inaf.it/

https://elt.eso.org/

L’articolo completo a cura di Alessandro Sozzetti sullo strumento ANDES è su COELUM ASTRONOMIA N°264

AGGIORNAMENTO Chang’e-6: Sono arrivati i campioni

Chang'e 6

Chang’e-6: I campioni della Luna rientrati il 25 giugno sono in sicurezza

La capsula cinese Chang’e 6 atterrata il 25 giugno è stata trasferita a Pechino e aperta per accedere al suo prezioso carico. L’evento segna il successo della missione durata 53 giorni e che ha portato la sonda cinese sul lato nascosto della Luna.

La capsula contenente i campioni il 26 giugno ha raggiunto l’Accademia cinese di tecnologia spaziale (CAST) responsabile del progetto della missione ove è stata accolta con una cerimonia.

Il contenitore custodisce ben 2 kg di materiale lunare e i campioni sarà messi in sicurezza per il successivo trasporto nei centri di analisi, stoccaggio e distribuzione.

Come per il materiale raccolto dalla precedente sonda  Chang’e 5 nel 2020 le parti saranno messe a disposizione per lo studio con precedenza ai ricercatori cinesi e dopo due anni potranno essere prenotati per ulteriori indagini da parte delle comunicatà internazionale. I ricercatori NASA hanno invece ottenuto un’autorizzazione speciale e vi accederanno prima.

Il video dell’apertura

Chang’e-6: La Cina Conquista la Faccia Nascosta della Luna

La missione Chang’e-6, lanciata il 3 maggio 2024 dalla base di Wenchang con un razzo Long March 5, rappresenta un ulteriore passo avanti per la Cina nell’esplorazione lunare.

Dopo un viaggio di quattro giorni, la sonda ha raggiunto l’orbita lunare, dove ha iniziato a studiare il sito di atterraggio previsto. Il 1° giugno 2024, Chang’e-6 ha effettuato un atterraggio morbido nel cratere Apollo, situato nella regione del bacino Polo Sud-Aitken (SPA) sulla faccia nascosta della Luna. Questa zona è particolarmente interessante per gli scienziati, poiché si ritiene che possa contenere indizi cruciali sulla storia e l’evoluzione della Luna e del sistema solare.

Le attività della sonda

Il lander di Chang’e-6 ha iniziato immediatamente le operazioni di raccolta dei campioni. Entro 48 ore dall’atterraggio, ha esteso un braccio robotico per prelevare materiali dalla superficie e ha utilizzato un trapano per raccogliere campioni da una profondità di circa 2 metri. Il 3 giugno 2024, il modulo ascendente, contenente circa 2 kg di campioni di suolo e rocce, si è sollevato dalla superficie lunare e ha raggiunto l’orbita, dove si è agganciato al modulo orbitante. I campioni saranno trasferiti al modulo di rientro, progettato per proteggere il materiale durante il rientro nell’atmosfera terrestre, e saranno riportati sulla Terra, con l’atterraggio previsto nella regione di Siziwang Banner, in Mongolia Interna, Cina, il 25 giugno 2024.

La missione Chang’e-6 durerà complessivamente 53 giorni e prevede diverse fasi complesse, simili a quelle della missione Chang’e-5 del 2020, che ha riportato campioni dalla faccia visibile della Luna. Tuttavia, Chang’e-6 affronta sfide uniche, essendo la prima missione a riportare campioni dalla faccia nascosta della Luna, che non è visibile direttamente dalla Terra e richiede l’uso del satellite di comunicazione Queqiao-2 per trasmettere i dati tra la sonda e il centro di controllo missione sulla Terra.

Dettagli tecnici

Dal punto di vista tecnico, la missione Chang’e-6 è un capolavoro di ingegneria. La sonda è composta da quattro elementi principali: un orbiter, un lander, un ascender e un modulo di rientro. L’orbiter rimane in orbita lunare per facilitare le comunicazioni e le operazioni di navigazione, mentre il lander, equipaggiato con strumenti scientifici avanzati, effettua le operazioni di campionamento. L’ascender è responsabile del trasporto dei campioni in orbita, dove saranno trasferiti all’orbiter per il viaggio di ritorno verso la Terra. Il modulo di rientro è progettato per proteggere i campioni durante il rientro nell’atmosfera terrestre e garantire un atterraggio sicuro.

Chang'e-6 lato nascosto luna
La sonda ultimata prima del lancio. Crediti CNSA

Gli strumenti a bordo del lander includono un braccio robotico per la raccolta dei campioni, un trapano capace di raggiungere una profondità di circa 2 metri per prelevare campioni sotterranei, e vari sensori e analizzatori per esaminare le proprietà fisiche e chimiche del suolo lunare. Questi strumenti permettono agli scienziati di raccogliere dati preziosi che contribuiranno a una migliore comprensione della storia e dell’evoluzione della Luna.

Le Comunicazioni

Un altro aspetto cruciale della missione è la comunicazione. Utilizzando il satellite Queqiao-2, la missione supera le difficoltà di comunicazione dovute alla mancanza di linea diretta di vista tra la faccia nascosta della Luna e la Terra. Queqiao-2 funge da ponte di comunicazione, trasmettendo i dati raccolti dal lander al centro di controllo missione sulla Terra.

Il satellite Queqiao-2 in una riproduzione artistica in orbita intorno alla Luna

I progetti dell’esplorazione lunare cinese

La missione Chang’e-6 rappresenta un notevole avanzamento nelle capacità esplorative della Cina, posizionandola come uno dei leader globali nell’esplorazione spaziale. Con il successo delle sue missioni lunari, la Cina continua a prepararsi per future missioni con equipaggio umano e la costruzione di una stazione di ricerca lunare internazionale entro la fine degli anni ’30. Il programma lunare Chang’e, iniziato con le missioni orbitali Chang’e-1 e Chang’e-2, e proseguito con le missioni di atterraggio Chang’e-3 e Chang’e-4, ha mostrato una progressione costante in termini di complessità e ambizione.

Oltre a raccogliere campioni e dati scientifici, la missione Chang’e-6 ha anche l’obiettivo di testare tecnologie chiave per future missioni con equipaggio umano. La Cina ha piani ambiziosi per l’esplorazione spaziale, con missioni programmate per valutare le risorse potenziali nella regione polare sud della Luna e per costruire una stazione di ricerca lunare internazionale entro la fine degli anni ’30. Questi sforzi sono parte di un piano più ampio che prevede la collaborazione internazionale e lo sviluppo di tecnologie avanzate per l’esplorazione spaziale.

In sintesi, la missione Chang’e-6 è un passo significativo verso una nuova era di esplorazione spaziale. Con il successo delle sue missioni lunari, la Cina sta costruendo le basi per una presenza sostenibile sulla Luna e oltre, aprendo la strada a nuove scoperte scientifiche e a un futuro di esplorazione interplanetaria.

Riepilogo della Missione Chang’e-6

Lancio e Arrivo:

  • La sonda Chang’e-6 è stata lanciata il 3 maggio 2024, utilizzando un razzo Long March 5 dalla base di lancio di Wenchang.
  • Ha raggiunto l’orbita lunare dopo circa quattro giorni di viaggio.

Fase di Atterraggio:

  • Dopo aver orbitato e studiato la superficie per alcune settimane, la sonda ha effettuato un atterraggio morbido il 1° giugno 2024, all’interno del cratere Apollo, situato nel bacino Polo Sud-Aitken (SPA) sulla faccia nascosta della Luna.
  • Questa regione è particolarmente interessante per gli scienziati poiché si ritiene possa contenere indizi cruciali sulla storia e l’evoluzione della Luna e del Sistema Solare.

Operazioni di Raccolta Campioni:

  • Il lander ha iniziato le operazioni di raccolta campioni entro 48 ore dall’atterraggio.
  • Utilizzando un braccio robotico e un trapano, ha prelevato campioni di suolo e rocce sia dalla superficie sia da una profondità di circa 2 metri.
  • I campioni raccolti sono stati trasferiti al modulo ascendente, che si è sollevato dalla superficie lunare il 3 giugno 2024 e ha raggiunto l’orbita lunare per l’aggancio con l’orbiter​.

Ritorno sulla Terra:

  • Il modulo di rientro, contenente i campioni, sarà lanciato verso la Terra e si prevede che atterri nella regione di Siziwang Banner, in Mongolia Interna, Cina, il 25 giugno 2024.
  • La missione avrà una durata totale di 53 giorni​.

Aspetti Tecnici della Missione

Componenti Principali della Sonda:

  • Orbiter: Resta in orbita lunare per facilitare le comunicazioni e le operazioni di navigazione.
  • Lander: Equipaggiato con strumenti scientifici avanzati per la raccolta e l’analisi dei campioni.
  • Ascender: Trasporta i campioni raccolti in orbita lunare per il trasferimento all’orbiter.
  • Modulo di Rientro: Progettato per proteggere i campioni durante il rientro nell’atmosfera terrestre e garantire un atterraggio sicuro​​.

Strumenti a Bordo:

  • Braccio Robotico: Utilizzato per raccogliere campioni dalla superficie.
  • Trapano: Perforatore capace di raggiungere una profondità di circa 2 metri per prelevare campioni sotterranei.
  • Sensori e Analizzatori: Per esaminare le proprietà fisiche e chimiche del suolo lunare​​.

Comunicazioni:

  • Utilizzo del satellite Queqiao-2 per la trasmissione dei dati tra la faccia nascosta della Luna e la Terra, superando le difficoltà di comunicazione dovute alla mancanza di linea diretta di vista​​.

Per ulteriori dettagli, puoi consultare l’articolo completo su SpaceNewsSpace.com


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Problemi per Hubble Space Telescope, l’età avanza

Problemi Hubble Space Telescope
Un membro dell'equipaggio della STS-125 a bordo dello Space Shuttle Atlantis ha catturato questa immagine del telescopio spaziale Hubble della NASA il 19 maggio 2009. La NASA ha detto che il telescopio è entrato in uno stato di ibernazione più di una settimana fa quando uno dei suoi giroscopi -- parte del sistema di puntamento -- è risultato malfunzionante. Hubble è rimasto al sicuro ma inattivo fino a martedì 4 giugno 2024 quando i tecnici hanno stabilito che Hubble continuerà a funzionare ma con un unico giroscopio. Credit: NASA

Problemi Recenti per Hubble Space Telescope

Negli ultimi mesi, l’Hubble Space Telescope ha affrontato diversi problemi tecnici che hanno portato alla sospensione temporanea delle sue operazioni scientifiche. Il principale tra questi problemi riguarda uno dei giroscopi, strumenti fondamentali per mantenere l’orientamento e la stabilità del telescopio nello spazio. Questo articolo esamina le recenti difficoltà tecniche di Hubble, le possibili soluzioni, e il futuro di questo strumento iconico.

Problemi Principali

Il 24 maggio 2024, Hubble è entrato in modalità sicura a causa di letture errate da parte di uno dei suoi tre giroscopi operativi. I giroscopi sono cruciali per determinare la direzione in cui il telescopio è puntato e per mantenerlo stabile durante le osservazioni. Questa non è la prima volta che Hubble affronta problemi con i giroscopi; una situazione simile si era verificata a novembre 2023, quando un altro giroscopio aveva causato l’interruzione delle operazioni scientifiche​​.

Durante l’ultima missione di servizio dello Space Shuttle nel 2009, furono installati sei nuovi giroscopi. Attualmente, tre di questi sono ancora funzionanti, inclusa l’unità che ha recentemente mostrato problemi. Anche se Hubble può operare con un solo giroscopio, questa configurazione ridurrebbe la sua efficienza e capacità di osservazione.

Soluzioni e Piani Futuri

Il team di ingegneri della NASA sta lavorando per identificare soluzioni a breve termine, tra cui la possibilità di riconfigurare Hubble per operare con un solo giroscopio, mantenendo gli altri come riserva. Questa soluzione permetterebbe al telescopio di continuare a funzionare, sebbene con alcune limitazioni operative con un’incidenza pari al circa il 12%. Inoltre, è in corso uno studio di fattibilità per una possibile missione di servizio privata che potrebbe coinvolgere SpaceX. Tale missione avrebbe l’obiettivo di riparare o ri-boostare Hubble, mantenendolo in un’orbita più stabile e prolungandone la vita operativa​​.

La collaborazione con SpaceX, nell’ambito del programma Polaris, potrebbe vedere l’utilizzo della Crew Dragon per un intervento sul telescopio. Questa possibilità è ancora in fase di valutazione, e non ci sono ancora dettagli specifici sui passi successivi. Tuttavia, questa missione rappresenterebbe un’opportunità per dimostrare le capacità di servizio satellitare in orbita da parte di aziende private​.

Contesto Storico e Significato

Lanciato nel 1990, Hubble ha rivoluzionato la nostra comprensione dell’universo, fornendo immagini straordinarie e dati scientifici di inestimabile valore. Durante i suoi oltre trent’anni di servizio, Hubble ha subito cinque missioni di manutenzione da parte degli astronauti dello Space Shuttle, che hanno permesso di aggiornarne gli strumenti e prolungarne la vita operativa​.

Nonostante la sua età, Hubble continua a essere un asset scientifico di grande valore. Le sue osservazioni hanno contribuito a scoperte fondamentali in astrofisica, dall’espansione accelerata dell’universo alla caratterizzazione di pianeti extrasolari. NASA prevede che Hubble continuerà a fare scoperte significative collaborando con altri osservatori, come il telescopio spaziale James Webb, almeno per il prossimo decennio​.

Conclusione

In conclusione, nonostante i recenti problemi tecnici, il Telescopio Spaziale Hubble rimane uno strumento insostituibile per l’astronomia e dovrebbe arrivare ancora operativo al 2035 anno previsto per l’interruzione delle sue funzioni. Le soluzioni in corso di studio, inclusa la possibilità di una missione di servizio privata, offrono speranze per la continuazione delle operazioni scientifiche di Hubble. Con il supporto di nuove tecnologie e collaborazioni, Hubble potrebbe continuare a esplorare l’universo per molti anni a venire, affermando ancora una volta il suo ruolo centrale nella ricerca astronomica.

Fonti


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WASP-77 A b: migliorati i dati grazie alla Citizen Science

Il grafico è la rappresentazione di curve di luce impilate derivante dall'analisi di adattamento globale descritta in Global Fits of Citizen Science e TESS Transit Data for Comparison Sezione 4.3 e 5.1 di WASP-77 A b.

Migliorare le effemeridi degli esopianeti sfruttando i dati scientifici dei professionisti e dei cittadini: un caso di Citizen Science con WASP-77 A b

 

Grazie all’aumento della capacità di trasferimento dati delle nostre reti, la Citizen Science è oramai da diversi anni uno strumento solido e confermato per assistere ed aiutare la ricerca professionale. Un intervento che si dimostra deciso soprattutto quando ogni indagine richiede di miscelare molti dati raccolti da più fonti.

L’articolo, suggerito alla redazione da Nicoletta Iannascoli, coautrice dello studio, illustra come con il giusto impegno sia oggi possibile contribuire alla ricerca mondiale addirittura facilitando il lavoro del colossale James Webb Space Telescope JWST.

Lo studio aiuta a definire meglio i parametri dell’esopianeta WASP-77A b così da facilitare e ottimizzare in termini di precisione le osservazioni future.

Complimenti dalla Redazione di COELUM a tutti i coautori dell’articolo per l’ottimo risultato e l’espressione di grande professionalità!

Abstract

Presentiamo le effemeridi aggiornate e i parametri fisici per l’esopianeta WASP-77A b combinando 64 osservazioni di transito da terra e dallo spazio, 6 osservazioni di eclissi dallo spazio e 32 osservazioni di velocità radiale così da produrre la soluzione orbitale più precisa per questo target fino ad oggi raggiunta. Una simile ottimizzazione aiuterà la pianificazione del James Webb Space Telescope (JWST) e le osservazioni di Ariel negli studi atmosferici.

In risultato dei nuovi calcoli emerge:

  • un nuovo periodo orbitale pari a 1.360029395±5.7×10-8 giorni,
  • un nuovo tempo di transito intermedio di2459957.337860±4.3×10-5 BJDTDB (data giuliana baricentrica nella scala temporale dinamica baricentrica; Eastman et al. (2010) )
  • un nuovo tempo di metà eclissi di2459956.658192±6.7×10-5 BJDTDB.

I metodi utilizzati inoltre contribuiscono a ridurre le incertezze sulla massa del pianeta di 1.6654±4.5×10-3𝑀𝐽⁢⁢𝑃⁢ e periodo orbitale 1.360029395±5.7×10-8 giorni rispettivamente per fattori pari a 15,1 e 10,9.

Attraverso un confronto congiunto dell’analisi di adattamento dei dati di transito presi da iniziative spaziali e guidate dalla ricerca amatoriale, il nostro studio dimostra il potere di includere i dati raccolti dagli cittadini rispetto all’adattamento dei soli dati spaziali. Inoltre, includendo una vasta gamma di dati di citizen science provenienti da ExoClock, Exoplanet Transit Database (ETD) e Exoplanet Watch, è possibile aumentare la base di osservazioni e quindi migliorare costantemente il calcolo delle effemeridi rispetto a ciò che sarebbe ottenibile con i soli dati TESS.

Introduzione

Determinare correttamente le effemeridi di transito di un pianeta è essenziale per la pianificazione efficiente delle osservazioni di follow-up (Zellem et al.,2020) con telescopi come il telescopio spaziale James Webb (JWST), il telescopio spaziale Hubble (HST) o l’imminente missione Ariel, il cui lancio è previsto per il 2029, e che osserverà le atmosfere di 1.000 esopianeti.

Effemeridi accurate aiutano a garantire che questi telescopi spaziali altamente competitivi siano utilizzati nel modo più efficiente possibile per massimizzare la loro produzione scientifica contribuendo a ridurre le spese generali.

I tempi medi di transito precisi dell’esopianeta, per cui un pianeta passa direttamente davanti alla sua stella ospite, sono cruciali per caratterizzare l’atmosfera di un esopianeta attraverso la spettroscopia di trasmissione.

A causa delle incertezze delle effemeridi, i buffer del tempo di osservazione devono essere inclusi prima e dopo il tempo di transito intermedio previsto per garantire che l’intero transito venga catturato oltre alle misurazioni di base pre e post transito del solo flusso della stella ospite. Man mano che un pianeta completa orbite aggiuntive attorno alla sua stella ospite, le incertezze sul suo tempo di transito intermedio aumentano, creando la necessità di ripetute osservazioni di follow-up e nuove analisi.

Poiché il numero di esopianeti e candidati esopianeti confermati continua ad aumentare, le previsioni dicono che supereranno i 10.000 esemplari solo dalla missione TESS della NASA, ci sarà una forte domanda di effemeridi aggiornate sugli esopianeti per consentire analisi ottimizzate.

Studi precedenti hanno dimostrato che è possibile aggiornare con successo il tempo di transito medio di un esopianeta attraverso collaborazioni con professionisti e “scienziati cittadini” che utilizzano piccoli telescopi terrestri.

Fra gli esempi quello degli studenti iscritti a un corso di ricerca completamente online presso l’Arizona State University che hanno acquisito osservazioni del pianeta WASP-104 b effettuate con un telescopio robotico da 6 pollici a terra. Gli studenti sono stati in grado di migliorare l’incertezza sul tempo di transito intermedio per questo particolare obiettivo del 2,7% rispetto alla pubblicazione più recente. Sforzi come questi gettano le basi per continue collaborazioni scientifiche tra professionisti e cittadini che possono aiutare con il mantenimento delle effemeridi degli esopianeti.

Insieme al tempo di transito medio di un pianeta, anche il tempo di metà eclissi è un parametro cruciale per gli astronomi che caratterizzano le atmosfere esoplanetarie.

Durante l’eclissi, il pianeta passa dietro la stella che così ne blocca temporaneamente la luce riflessa e l’emissione termica. Le eclissi, quando il pianeta passa dietro la sua stella ospite, consentono agli astronomi di misurare la luce riflessa e l’emissione termica di un pianeta. Determinare il tempo di metà eclissi di un pianeta quando un’eclissi ancora non è stata osservata in precedenza, richiede non solo di conoscere bene il suo tempo di transito medio, ma anche di sapere qual è l’eccentricità della sua orbita e quanto passa al periastro, parametri che possono essere dedotti dalle misurazioni della velocità radiale. Pertanto, l’inclusione dei dati di velocità radiale nell’analisi migliora significativamente la precisione nella previsione del transito e dei tempi dell’eclissi, e l’orbita del pianeta per la pianificazione delle osservazioni JWST e Ariel.

In questo sforzo, utilizziamo WASP-77 A b per dimostrare la potenza della combinazione di un’ampia gamma di dati fotometrici di transito ed eclissi (raccolti sia da scienziati cittadini che da telescopi spaziali) con dati di archivio sulla velocità radiale per acquisire parametri orbitali e planetari precisi. WASP-77 A b, un Giove caldo in orbita attorno a una stella di tipo spettrale G8 V con V-mag = 10,294 ± 0,007.

WASP-77A b: migliorati i dati grazie alla Citizen Science

Vi invitiamo a leggere l’articolo completo e relativi riferimenti su arXiv:2405.19615v1

 

UNIVERSO IN FORTEZZA – Festival dell’Astronomia

universo in fortezza

FORTEZZA NUOVA

presenta

 

UNIVERSO IN FORTEZZA
Venerdì 14 giugno H 18-24
Sabato 15 giugno H 10-24
Domenica 16 giugno H 10-24

Fortezza Nuova, Scali della Fortezza nuova, Livorno

Seconda edizione del festival di astronomia

Dal 14 al 16 giugno 2024, alla Fortezza Nuova, torna “Universo in Fortezza”, seconda edizione del festival di astronomia che nel 2023 ha riscosso grande successo. Organizzato dall’Alsa, Associazione livornese scienze astronomiche attiva sul territorio da oltre trent’anni, il festival promuove la divulgazione scientifica con un format coinvolgente, rivolto a  a un pubblico generico e appassionato, trasversale per età. Con l’obiettivo di spostare l’asticella oltre le 3000 presenze accorse da tutta Italia per assistere conferenze tenute da luminari della scienza, per immergersi nelle suggestive mostre a tema astronomico e per le emozionanti serate osservative al telescopio, quest’anno sono previsti anche laboratori per bambini e realtà virtuale.

Patrocinata dal Comune di Livorno e dal Museo di storia naturale del Mediterraneo, la manifestazione continuerà a godere della partecipazione di importanti enti, come l’Osservatorio gravitazionale europeo Ego-Virgo, insignito del premio Nobel per la fisica nel 2017 per aver contribuito alla scoperta delle onde gravitazionali, l’azienda aerospaziale Kayser Italia, specializzata nella ricerca scientifica e tecnologica a bordo di piattaforme spaziali, l’Osservatorio astrofisico di Arcetri Inaf, la rivista Coelum, il progetto Cultura immersiva, il laboratorio teatrale Manifattura Lizard, @TOMOSpodcast e, come media partner, PuntoRadio.


“Da sempre l’umanità si interroga sul proprio posto all’interno dell’universo e l’astronomia accende passione e curiosità in persone di ogni età e cultura. La meraviglia che genera in noi il cielo stellato e la bellezza affascinante dell’universo fanno da guida in questo festival dove appassionati, bambini e adulti incontrano astronomi e astrofili e scoprono la passione che anima la ricerca e la divulgazione scientifica. Questa manifestazione di astronomia costituisce, quindi, una novità nel territorio livornese e si colloca all’interno di un percorso divulgativo della astronomia e della scienza in generale, che rientra nello statuto Alsa”
affermano gli organizzatori Alessio Biondi, Daniele Righetti. E proseguono: “Ci piacerebbe che l’evento continuasse ad essere riproposto ogni anno, creando un appuntamento fisso per la cittadinanza, in modo da contribuire all’offerta culturale sul territorio livornese e alla valorizzazione di una struttura come la Fortezza Nuova, che costituisce un “salotto” per la città”.

Universo in fortezza
Locandina Universo in Fortezza Festival dell’Astronomia

La mostra di astrofotografia

Per tutta la durata del festival, nella Sala degli archi, circa 50 fotografie astronomiche in grande formato scattate dai soci Alsa ai cieli livornesi condurranno il visitatore tra i corpi celesti dalla luna ai quasar. Si tratta di un continuum con la mostra dell’anno precedente e con “Immagini dall’Universo” del 2022, che prevede diversi scatti inediti.

Le conferenze

Perla del festival, le conferenze raduneranno scienziati dell’Osservatorio di onde gravitazionali Ego-Virgo, ricercatori dell’Osservatorio di Arcetri Inaf e di Kayser Italia, esponenti culturali della rivista astronomica Coelum  per approfondire appassionanti temi astronomici come le esplorazioni spaziali e si svolgeranno tra la sala del forno durante le ultime ore di sole e il palco all’aperto di sera.

Le videoproiezioni

Parallelamente, durante l’arco della giornata, affascinanti videoproiezioni di galassie e nebulose curate dai soci Alsa saranno diffuse sulle pareti del tunnel ad accogliere i visitatori e proseguiranno nella sala del forno.

La realtà virtuale

Nella sala degli archi, saranno installati alcuni visori che, con la supervisione di personale specializzato, condurranno il pubblico in un emozionante viaggio immersivo nell’universo. L’attrazione, proposta dalla startup “Cultura immersiva”, è stata selezionata tra i primi 5 migliori progetti culturali dall’Unione Europea ed è presente in più di 10 città italiane dove ha raccolto, assieme all’expo di Dubai, più di 50 mila utenti. L’esperienza, a pagamento, è prenotabile sul sito del progetto www.culturaimmersiva.it

I laboratori per bambini

Grande novità di quest’anno sarà l’estensione della proposta divulgativa ai bambini. Sotto la tensostruttura, dalle 17, “Le costellazioni raccontano” Valentina Lisi (Manifattura Lizard) coinvolgerà il giovane pubblico con una narrazione di teatro di carta incentrata sulla mitologia delle costellazioni. L’iniziativa è gratuita, consigliata dai 6 anni in poi a gruppi di massimo 12 bambini e richiede la prenotazione a manifatturalizard@gmail.com.

Le serate osservative al telescopio

Per chiudere in bellezza l’offerta, anche quest’anno sarà possibile tutto il weekend dalle 21:30 osservare la luna, le stelle doppie e gli ammassi stellari con i potenti telescopi in dotazione all’Alsa. Saranno, inoltre, proiettati su schermo i risultati della visione per i presenti che intendano assistere, guidati dagli esperti.

I servizi bar e ristorazione

Fortezza Nuova ospita, durante tutta la stagione estiva, servizi bar e ristorazione. È possibile in loco, per gli avventori della rassegna, scegliere in un ampio ventaglio di attività commerciali che vanno dal beverage allo street food ai cibi caratteristici per colazioni, merende, caffè, gelati, stuzzichini, aperitivi, pasti e dopo cena.

PROGRAMMA COMPLETO

Venerdì 14 giugno

18:00 | Apertura e presentazione del festival con ospiti e autorità

19:00 | Apertura mostra astrofotografia, opere olio su vela di Paola Turio e video proiezioni

21:00 | Conferenza “Il lato oscuro dell’universo. Dai buchi neri alla materia oscura: esplorare il cosmo che non vediamo” con: Barbara Patricelli (ricercatrice di Virgo, UniPi), Federico Lelli (Inaf – Osservatorio astrofisico di Arcetri). Modera: Vincenzo Napolano (Osservatorio gravitazionale Europeo)

Dalle 21:30 | Osservazione al telescopio  della luna, delle stelle doppie e degli ammassi stellari

 

Sabato 15 giugno

10:00-24:00 | Sala degli archi | Mostra astrofotografia, opere olio su vela di Paola Turio e video proiezioni

10:00-24:00 | Sala del forno | Video proiezioni curate da Damiano Esposito (Alsa) con i soci Silvia Porciani, Virginia Gnan, Michele Scardigli, Gabriele Comandi

10:00- 24:00 | @TOMOSpodcast, curato da Iramar Amaral

11:00-19:00  | Sala degli archi | Realtà virtuale, su prenotazione a pagamento: https://culturaimmersiva.it/livorno/

17:00-19:00 | Sotto la tensostruttura | Laboratori per bambini, su prenotazione, gratuito: manifatturalizard@gmail.com

18:00 | Sala del forno | Conferenza “Alla scienza serve la filosofia? Sì. E perché mai?!” con Molisella Lattanzi (direttrice di Coelum Astronomia) e Filippo Onoranti (filosofo)

21:00 | Palco esterno | Conferenza  “Ottica adattiva: perchè gli astronomi  hanno bisogno di specchi deformabili,  piramidi di vetro e laser per vedere più  chiaramente l’universo”. Relatore: Runa Briguglio (Inaf – Osservatorio astrofisico di Arcetri).

Dalle 21:30 | Osservazione al telescopio  della luna, delle stelle doppie e degli ammassi stellari

 

Domenica 16 giugno

10:00-24:00 | Sala degli archi | Mostra astrofotografia, opere olio su vela di Paola Turio e video proiezioni

10:00-24:00 | Sala del forno | Video proiezioni curate da Damiano Esposito (Alsa) con i soci Silvia Porciani, Virginia Gnan, Michele Scardigli, Gabriele Comandi

10:00- 24:00 | @TOMOSpodcast, curato da Iramar Amaral

11:00-19:00  | Sala degli archi | Realtà virtuale, su prenotazione a pagamento: https://culturaimmersiva.it/livorno/

17:00-19:00 | Sotto la tensostruttura | Laboratori per bambini, su prenotazione, gratuito: manifatturalizard@gmail.com

18:00 | Sala del forno | Conferenza | “L’immensità dell’universo. Dai sistemi solari alle galassie remote” con Armado Bracci (socio Alsa ed ex professore del liceo scientifico Cecioni)

21:00 | Palco esterno | Conferenza  “Misure impossibili. Tecnologie all’avanguardia da Virgo all’esplorazione dello Spazio” con Federico Lavorenti (Kayser), Fiodor Sorrentino (ricercatore Virgo, Infn). Modera: Giada Rossi (Osservatorio gravitazionale Europeo)

Dalle 21:30 | Osservazione al telescopio  della luna, delle stelle doppie e degli ammassi stellari

Ingresso gratuito
Orari:
Venerdì 14 giugno H 18:00-24:00
Sabato 15 giugno H 10:00-24:00
Domenica 16 giugno H:00-24:00

Info:

www.alsaweb.it
FB: ALSALivorno
Evento Fb: https://www.facebook.com/events/3828165977462025/
Instagram: https://www.instagram.com/p/C6odJKUIbnF/

QUIZ TIME COELUM – 02-06-2024

Quiz Time COELUM del 02-06-2024

Segui @coelumastronomia su Facebook e Instagram o su www.coelum.com partecipa ai quiz

 e vinci immediatamente una copia di Coelum!

La rapidità è fondamentale: scrivi le risposte giuste nei commenti solo il più veloce

si aggiudicherà il premio!

 

*I Quiz sono a cura di Francesco Veltri

  • lo stesso utente potrà vincere una sola copia per ogni uscita di Coelum
  • le copie saranno spedite con servizio Postale Piego Libri
  • le risposte devono essere scritte nei commenti sotto i post (social e sito)
  • il vincitore sarà annunciato nei medesimi canali e contattato dalla redazione

Congresso 2024 della Società Astronomica Italiana a Capodimonte

Capodimonte capitale dell’astronomia con il congresso della Società Astronomica Italiana

Astrofisici di fama internazionale provenienti da tutta Italia saranno a Napoli dal 3 al 7 giugno per il LXV Congresso Nazionale della Società Astronomica Italiana.

Nata nel 1871 come Società degli Spettroscopisti Italiani, è stata la prima società professionale specializzata in “astronomia fisica”. Da sempre i suoi congressi sono apprezzati come straordinaria occasione di incontro e confronto per tutti gli astrofisici italiani attivi nei vari ambiti scientifici e tecnologici.

“Un incontro importante che vuole fare il punto sui risultati raggiunti nei vari campi dell’astrofisica, con uno sguardo al futuro e alla crescita di nuovi talenti” sottolinea Marcella Marconi, organizzatrice della conferenza.

Il congresso, che ritorna a Napoli dopo 14 anni, ha per titolo “Dagli Universi isola all’astronomia multimessaggera: 100 anni di rivoluzioni” e intende celebrare i successi e i progressi che hanno caratterizzato la ricerca astrofisica. E’ infatti trascorso solo un secolo da quando l’astronomo americano Edwin Hubble dimostrò che Andromeda non faceva parte della Via Lattea, ma era una diversa, seppur vicina, galassia distante circa due milioni di anni luce da noi e che pertanto la nostra galassia non era la sola nell’Universo.

La scoperta degli Universi isola aprì la strada alla misura dell’espansione dell’Universo, alla scala delle distanze cosmiche, alla cosmologia e all’astrofisica moderna. Tali scoperte e i paralleli sviluppi tecnologici hanno rivoluzionato lo stato delle conoscenze del cosmo a partire dal Sistema solare, fino alla recente rivelazione delle onde gravitazionali con la nascita dell’astronomia multimessaggera.


Il congresso è ospitato dall’Osservatorio Astronomico di Capodimonte, sede napoletana dell’Istituto Nazionale di Astrofisica, il principale ente di ricerca italiano per lo studio dell’universo. “Un privilegio ospitare a Napoli colleghi da tutta Italia per porre le basi delle nuove scoperte che saranno possibili con i telescopi e gli strumenti del futuro” commenta orgoglioso il direttore dell’Osservatorio di Capodimonte Pietro Schipani.
Una sessione del congresso è dedicata alla diffusione della cultura astronomica e alla didattica dell’astrofisica nelle scuole con la partecipazione di personale docente delle scuole secondarie superiori per sottolineare lo stretto legame tra lo sviluppo delle conoscenze e la formazione.

Il sito ufficiale del congresso: https://indico.ict.inaf.it/e/sait2024

Coelum Astronomia 268 III/2024 Digitale

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T Coronae Borealis l’esplosione della stella torna dopo 80 anni

Esplosione della stella

L’Esplosione della Stella T Coronae Borealis: Un Fenomeno Celeste Straordinario

In questo periodo si sente parlare spesso della nuova imminente esplosione che interesserà la stella T Coronae Borealis, o la “Stella della Corona Boreale”. Si tratta di un evento astronomico di rara bellezza e potenza ma non molti sanno che fra i primi a scoprirla ci fu il signor Giovanni Bernasconi, un distinto dilettante di Como.

Ma andiamo con ordine.

La stella è situata nella costellazione della Corona Boreale, ed è nota per le sue esplosioni ricorrenti, che si verificano circa ogni 80 anni.

Il Meccanismo dell’Esplosione della Stella

La T Coronae Borealis è un sistema binario composto da una nana bianca e una gigante rossa. La nana bianca, un residuo stellare denso e caldo, raccoglie materiale dalla sua compagna più grande. Quando la pressione e la temperatura raggiungono un punto critico, si verifica un’esplosione termonucleare, una nova, che causa un aumento drammatico della luminosità della stella.

Osservare la Stella Dopo l’Esplosione

Dopo l’esplosione, la T Coronae Borealis diventa visibile ad occhio nudo e può essere osservata senza l’ausilio di telescopi. Il periodo di massima luminosità dura alcuni giorni, dopodiché la stella inizia a sbiadire, ma rimane osservabile con binocoli per circa una settimana.

Testimonianze dell’Evento di 80 Anni fa

L’ultima esplosione della stella T Coronae Borealis documentata risale al 1946. Gli astronomi dell’epoca osservarono con stupore l’aumento di luminosità, registrando un evento che non si ripeteva dal 1866. Queste osservazioni storiche forniscono preziose informazioni sul comportamento di questa intrigante stella.

esplosione della stella
Nel sito https://articles.adsabs.harvard.edu/ è disponibile l’articolo sullo studio dello spettro della Nova T Coronae Borealis nell’esplosione del febbraio 1946.

Nell’archivio SAO/NASA Astrophysics Data System ad opera dello Smithsonian Astrophysical Observatory sostenuto da un contratto cooperativo con la NASA, è conservato l’articolo “lo Spettro della Nova T Coronae Borealis nell’Esplosione del Febbraio 1946” a cura di L. Gratton e E. C. Kruger del Centro di Fisica Stellare del CNR Osservatorio di Merate. Nell’articolo è descritto lo spettro misurato ben 80 anni fa e le ipotesi individuate al tempo alla base del fenomeno.

La notizia dell’esplosione della Nova pervenne a Merate il mattino dell’11 Febbraio per comunicazione diretta di uno degli scopritori, il signor Giovanni Bernasconi, un distinto dilettante di Como, ed è stata immediatamente telegrafata all’estero ed ai principlai Osservatori Italiani“.

Nel documento l’evento viene descritto come:

I fenomeni descritti si possono interpretare con il seguente modello per la Nova T Cr B:

a. una stella nuova che nel febbraio 1946 subì una esplosione tipica, con un massimo al febbraio 8.5;
b. una gigante di tipo spettrale M;
c. una nebulosa che circonda ambedue le stelle e del diametro apparente dell’ordine di alcuni secondi.”

Nel testo si cita: “si sottolinea l’eccezionale importanza di questa esplosione della TcrB, in relazione al problema generale della Nove e delle variabili cicliche tipo SS Cygni.

Scarica l’articolo in allegato

Consigliamo ai più volenterosi ed appassionati di scaricare l’articolo completo per conoscere i risultati dell’indagine sull’esplosione della stella avvenuta 80 anni fa. Il pdf è disponibile in download QUI

Conclusione

I nuovi dati raccolti durante l’esplosione della stella che si attende nei prossimi mesi, saranno utili e necessari per confermare le deduzioni formulate 80 anni fa e comprendere meglio il fenomeno.

 

 

Stasera la ISS facile da osservare

Non perdere il transito della ISS Stazione Spaziale Internazionale.

Serata favorevole per seguire i passaggi: 28 maggio.

Tempo permettendo un questo fine maggio incerto, subito dopo le 21 ottimo transito della ISSStazione Spaziale Internazionale guardando ad ovest per vedere il cielo solcato da Nord Ovest sino a Sud Est.

28 Maggio

L’ultimo transito notevole del mese sarà avvistabile da tutto il paese, il 28 Maggio. Dalle 21:04 alle 21:13, da NO a SE. Magnitudine di picco a -3.8 per il secondo miglior transito serale del mese.


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L’Intelligenza Artificiale, vede dove il telescopio Fermi non vede

Intelligenza Artificiale telescopio Fermi
Rappresentazione artistica di una galassia con un nucleo galattico attivo.

L’ Intelligenza Artificiale, vede dove i telescopi non vedono, e aiuta a comprendere le strutture e le alte energie del cosmo

Il cielo azzurro che ci sta sopra nasconde un luogo violento dove le energie presenti raggiungono valori incredibili. L’anno scorso è stato rilevato un raggio cosmico invisibile ad occhio nudo e ribattezzato « OMG , Oh My God ! » . In termini numerici, il livello di energia misurato è stato di 244 exa-elettronvolt (EeV). Per chi non ha familiarità con queste grandezze basti sapere che un EeV = 6.2415064799632E+18 electron volt, ovvero 624.000.000.000.000.000.000 volt. Se volete compredere l’energia di quel raggio cosmico moltiplicate il 624…. per 244,  comunque ricordando che per accendere una lampadina di volt ne bastano solamente 220/230.

Capire, o almeno tentare di capire, dei fenomeni di alta energia è quindi un impegno chiave dell’astrofisica moderna per la comprensione della struttura dell’universo. Nello spettro elettromagnetico le energie più elevate sono collegate ai fenomeni più carichi di energia, come quelli che coinvolgono i buchi neri, i lampi di raggi gamma e i nuclei galattici attivi. Già nel 2018 l’intelligenza artificiale (AI) è diventata uno strumento importante per gli astrofisici proprio nello studio dei nuclei galattici attivi dando una mano agli scienziati dove i telescopi non riescono ad arrivare.

L’11 giugno 2008 la NASA lanciò  il telescopio spaziale FERMI. Si tratta di un telescopio per i raggi gamma ad alta energia che copre un intervallo energetico fino a 300 Giga elettronvolt (GeV). Il satellite Fermi è in grado di monitorare l’intero cielo ogni due orbite (cioè ogni 2,96 minuti) e questo rende lo strumento ancor oggi più adatto per un monitoraggio quasi continuo e la ricerca di variabilità delle sorgenti di radiazione gamma. Il satellite FERMI è gestito da una collaborazione scientifica internazionale di oltre 400 scienziati ed anche chi vi scrive ne fa parte.

intelligenza artificiale astronomia - fermi telescope
Il telescopio spaziale Fermi @NASA

Che cosa cerchiamo con FERMI?

Oggetti cosmici che emettono radiazioni gamma.  I principali sono galassie con un nucleo attivo (AGN) cioè che emette radiazioni.

Non tutte le galassie sono galassie attive. Il telescopio FERMI, per le sue caratteristiche costruttive è in grado di rivelare getti energetici che puntino verso FERMI per angoli sufficientemente piccoli , mentre la sua sensibilità diminuisce notevolmente fino ad azzerarsi quando vengono osservate galassie orientate per grandi angoli rispetto a FERMI. Sappiamo che esistono nell’universo, e probabilmente sono la maggioranza, nuclei galattici attivi non allineati (MAGNs) e quindi  invisibili, o quasi per FERMI. Lo studio dei MAGNs e del loro ambiente nel cielo dei raggi gamma è estremamente interessante, perché queste galassie sono considerate le popolazioni genitoriali dei blazars che rappresentano più del 50% delle sorgenti di raggi gamma conosciute.

Per dare una mano a FERMI a superare i limiti strumentali e comunque individuare nuovi candidati MAGN sono state quindi messe a punto tecniche di intelligenza artificiale ad apprendimento automatico (AI) in grado di confrontarsi anche con metodi più rigorosi come lo spettro ottico.

Il ruolo dell’intelligenza artificiale

Un processo AI inizia con un dialogo tra lo scienziato e la macchina ediIl linguaggio attraverso il quale “l’umano” dialoga con AI è un algoritmo matematico opportunamente costruito per quello scopo.  L’algoritmo viene “educato” a riconoscere le caratteristiche degli oggetti ideali e testato su oggetti cosmici  individuati in maniera approssimativa dal telescopio FERMI.

Così facendo l’algoritmo “impara” ciò che è giusto è ciò che è sbagliato, ritornando allo scienziato un’informazione espressa nella probabilità che quella galassia sia proprio del tipo che si sta ricercando. Facendo lavorare l’algoritmo più volte (anche centinaia) su campioni diversi tra loro, questo “si autocorregge” e diventa sempre più efficiente, indipendente ed intelligente fino a valori di probabilità pari a 0,9998 che si avvicinano moltissimo alla certezza.

Una simile tecnica di intelligenza artificiale consente inoltre di analizzare migliaia di oggetti in un tempo brevissimo, e visto l’affollamento cosmico, si tratta di una manna dal cielo per lo scienziato ricercatore. Per fare un esempio sul reale, il telescopio FERMI su circa 1000 galassie gamma  aveva evidenziato solamente 15 galassie del tipo MAGN, l’ applicazione dell’AI ai soggetti incerti di FERMI ne ha scorto altre 35. Questo significa che l’AI  “vede” di più del telescopio spaziale? In “un certo senso” , si.

intelligenza artificiale telescopio fermi
Non tutte le galassie sono orientate in modo da essere visibili al telescopio Fermi

Le conferme sui risultati raggiunti dall’Intelligenza Artificiale

Sarà stato l’algoritmo sufficientemente preciso? Gli oggetti che ha individuato saranno veramente delle galassie attive? Per ottenere questa conferma sono necessarie analisi multi-lunghezza d’onda, iniziando con le controparti radio degli oggetti scelti dall’AI. Trattandosi di galassie dovremmo aspettarci strutture radio estese. Relativamente allo studio in oggetto, l’analisi sulla morfologia dei candidati è stata eseguita tramite un’indagine sui dati VLA Faint Images of the Radio Sky at Twenty-Centimeters (FIRST) survey, prodotto del Karl Guthe Jansky Very Large Array il raggruppamento di radiotelescopi situati a Socorro, nel Nuovo Messico.

intelligenza artificiale telescopio fermi
VLA Array del National Radio Astronomy Observatory a Socorro, Mexico

Lo studio della morfologia radio ha mostrato una sequenza molto bella di strutture galattiche estese  confermando l’abilità dell’algoritmo di AI  di “vedere anche dove non si vede”  e di individuare “i soggetti difficili”. Probabilmente, senza l’uso dell’AI, non ne sapremmo delle alte energie cosmiche quanto ne sappiamo ora. La nuova astrofisica passerà inevitabilmente attraverso nuove intelligenze, sia pur artificiali.

A seguire le immagini morfologiche dei candidati AI rilevate ai radiotelescopi VLA. La struttura estesa conferma la natura galattica degli oggetti gamma e quindi la bontà del dato prodotto da AI.

Intelligenza Artificiale Telescopio Fermia
Una delle immagini morfologiche dei candidati AI rilevate ai radiotelescopi VLA. La struttura estesa conferma la natura galattica degli oggetti gamma e quindi la bontà del dato prodotto da AI.

 

Per approfondeire: arXiv:1808.05881  Hunting misaligned radio-loud AGN (MAGN) candidates among the uncertain γ-ray sources of the third Fermi-LAT Catalogue

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Le 10 comete più luminose degli ultimi anni

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Nel riquadro il primo piano della coma della cometa Neowise ripresa dal telescopio spaziale Hubble. È la prima volta che Hubble fotografa una cometa di questa luminosità e a tale risoluzione dopo il suo perielio. L'immagine di fondo è stata ripresa invece da Terra, il 16 luglio scorso, da Zoltan G. Levay, dall'emisfero nord. Credits: NASA, ESA, STScI, Q. Zhang (Caltech); immagine da terra copyright © 2020 by Zoltan G. Levay, used with permission

Le 10 comete più luminose in ordine decrescente

Dall’archivio di COELUM un viaggio fra le 10 comete più luminose che hanno solcato i nostri cieli negli ultimi 15 anni circa.

C/2020 F3 NEOWISE

mag. 0,9 anno 2020 (1° fra le comete più luminose degli ultimi anni)

Dopo oltre due decenni, ecco arrivare la NEOWISE, che ha raggiunto una notevole
luminosità di picco (mag. +0,6) e sfoggiato una lunga coda di polveri facilmente visibile a occhio nudo oltre a una ancora più lunga coda di ioni, più tenue ma rilevabile anche in piccoli strumenti sotto un cielo buio. Per tutte queste sue caratteristiche che, come già ricordato, hanno saputo attirare l’attenzione anche al di fuori della cerchia di appassionati, la NEOWISE sarà probabilmente ricordata come “la grande cometa del 2020”.
Inizialmente, la presenza della Luna e le luci dell’alba hanno leggermente penalizzato le osservazioni e l’hanno quindi parzialmente limitata nella sua maestosità, permettendo però agli astrofotografi di ottenere foto panoramiche davvero meravigliose, che hanno
incastonato la cometa in suggestivi sfondi paesaggistici.

10 comete - C/2020 F3 Neowise
C/2020 F3 Neowise di Corrado Gamberoni

Il report completo sulla cometa C/2020 F3 NEOWISE pubblicato in COELUM ASTRONOMIA N°247 è disponibile per il download QUI

46P/Wirtanen

mag. 3 anno 2018  (2° fra le comete più luminose degli ultimi anni)

Il 2018 è stato un anno che, dal punto di vista delle osservazioni cometarie, ci ha regalato un po’ di movimento, soprattutto nella sua seconda metà. In particolare, il finale dell’anno è risultato molto frizzante per la presenza nel cielo di un bell’astro chiomato che nel mese di dicembre è cresciuto di luminosità fino a raggiungere la magnitudine +4,5 (nel momento in cui scriviamo).
Sto parlando ovviamente della cometa 46P/ Wirtanen, ben presto ribattezzata la “Cometa di Natale”.
L’estrema vicinanza alla Terra (il 16 dicembre la cometa ha raggiunto la minima distanza dalla Terra) è stata responsabile del sensibile moto proprio dell’oggetto che in un mese “percorrerà” quasi 100° in cielo passando dalle declinazioni australi della Balena a quelle abbondantemente boreali della Lince, divenendo infine circumpolare a fine dicembre. Questo ha fatto sì che l’osservazione risultasse sempre differente, con la cometa che si è mostrata giorno dopo giorno in uno scenario astrale sempre diverso.

10 comete - 46P/Wirtanen
Cometa 46P/Wirtanen con le Pleiadi di Antonio Finazzi

Il report completo sulla cometa 46P/ Wirtanen pubblicato in COELUM ASTRONOMIA N°229 è disponibile per il download QUI

C/2021 A1 Leonard

mag. 3,2 anno 2022 (3° fra le comete più luminose degli ultimi anni)

In tanti sono rimasti delusi, perché è stata una cometa elusiva, che è cresciuta in luminosità proprio quando le condizioni osservative si sono fatte difficili. È però andata oltre le previsioni dato che un probabile outburst verso metà dicembre l’ha portata a brillare di terza magnitudine, forse addirittura qualcosa in più.

Purtroppo in quel momento si è mostrata appena dopo il tramonto in un cielo molto chiaro ed in procinto di tramontare, cosa che l’ha resa obbiettivo di pochi, ma ciò ne fa comunque un oggetto di tutto rispetto. Pensavamo di averla salutata il 12 dicembre, giorno del suo massimo avvicinamento alla Terra ed ultima giornata in cui si mostrava in un cielo buio ed invece è rimasta inaspettatamente protagonista anche la settimana successiva, quando personalmente le ho dato la caccia in molte serate, riuscendo prima a fotografarla e poi ad osservarla in condizioni estreme il 17 dicembre.

10 Comete - C/2021 A1 Leonard
C/2021 A1 Leonard di Fabrizio Aimar

12P/Pons-Brooks

mag. 3,8 anno 2024 (4° fra le comete più luminose degli ultimi anni)

Di ritorno dopo oltre settant’anni non si può dire che non abbia fatto parlare di sé, riempiendo per molti mesi le nottate degli appassionati. Eravamo convinti, consultando le previsioni, che sarebbe stato un oggetto da seguire con interesse solo da febbraio, ormai non lontana dal perielio programmato per il 21 aprile. Invece già nel luglio del 2023 un potente outburst l’ha portata agli onori della cronaca. In quell’occasione passò improvvisamente dalla magnitudine 16,5 alla 11,5. Successivamente altri outburst più modesti continuarono a mantenerla più luminosa del previsto, permettendo anche agli osservatori dotati di strumentazione modesta di poterla a seguire. Nell’ultima parte del suo avvicinamento al Sole si è invece mantenuta sui valori previsti, salvo aumentare di circa una magnitudine nei primissimi giorni di aprile a causa un altro evento, che l’ha portata a raggiungere il valore di 3,8 mag. In seguito, soprattutto dopo la prima decade del mese, il suo avvicinamento prospettico (e reale) al Sole ed il conseguente abbassamento sull’orizzonte hanno impedito osservazioni proficue nel momento topico del suo passaggio al perielio. Personalmente l’ho osservata per l’ultima volta con un binocolo di grandi dimensioni il giorno 11, quindi dieci giorni prima del suo massimo avvicinamento alla nostra stella, constatando come l’oggetto che solo una settimana prima, brillando di mag. 4,5, sfoggiava una notevole e luminosa chioma compatta ed una evidente seppur corta coda si era ridotto ad una “cometina” ancora ben percepibile ma penalizzata dalla scarsa altezza sull’orizzonte, dal cielo non completamente buio, dalla Luna crescente e dalla foschia dell’orizzonte. Buon viaggio di ritorno nelle profondità del Sistema Solare ed appuntamento a fra settant’ anni Pons-Brooks.

10 comete - 12P/Pons-Brooks
Il casale e la cometa! di Giuseppe Conzo

Il report completo sulla cometa 12P/Pons-Brooks pubblicato in COELUM ASTRONOMIA N°268

C/2013 R1 Lovejoy

mag. 4,5 anno 2013 (5° fra le comete più luminose degli ultimi anni)

La C/2013 R1 (Lovejoy), scoperta il 9 settembre 2013, è una cometa che io stesso ho avuto modo di confermare quando è stata inserita tra i NEOCP (NEO Confirmation Page: la lista di oggetti appena scoperti e in attesa di definizione degli elementi orbitali) e che in queste settimane si sta dimostrando parecchio attiva, molto più di quanto ci si potesse aspettare. A novembre, per osservarla dovremo cercarla nel cielo nella seconda parte della notte, quando attraverserà velocemente numerose costellazioni dal Cancro al Boote spostandosi più di 3° al giorno e passando dalla magnitudine +8,5 alla +6,5 […].

10 comete - COMETA C/2013 R1 LOVEJOY
COMETA C/2013 R1 LOVEJOY di Benito Morabito

C/2022 E3 ZTF

mag.4,6 anno 2023 (6° fra le comete più luminose degli ultimi anni)

Il nome non è certo dei più simpatici, come spesso accade per gli oggetti scoperti da zelanti astronomi o appassionati, non è però espressione di poca fantasia quanto la necessità, al di là dell’interesse suscitato, di catalogare ogni oggetto celeste in modo che risulti poi negli annuali come facile da rintracciare. Tutte le lettere ed i numeri del nome hanno quindi un significato:

C –> non periodica, la cometa quindi torna a farci visita (forse) ogni lasso di tempo superiore a 200 anni almeno

2022 –> anno in cui è stata scoperta
E –> mese in cui è stata scoperta Marzo
3 –> il terzo oggetto di quel mese
ZTF –> è la sigla dell’osservatorio che l’ha individuata nello specifico Zwicky Transient Facility

oggi la cometa, che sembra avere un periodo (quanto tempo trascorre da un passaggio ravvicinato alla Terra e il successivo) di quasi 50.000 anni viene più facilmente etichettata come Cometa di Neanderthal supponendo che proprio gli individui di questa specie siano stati gli ultimi a vederla. Il calcolo sembra essere congruo tuttavia abbiamo davvero pochi elementi per dare per certa questa notizia. Il fatto scientificamente interessante invece è la rottura della coda che l’ha letteralmente divisa in due tronconi visibili anche negli scatti amatoriali. Le cause in questi casi sono incerte ma, dalle nozioni acquisite sulle strutture delle Comete, la rottura, o l’apparente tale, potrebbe essere dovuta all’espulsione di una massa dalla corona sottoposta a notevoli pressioni dal vento solare durante il suo avvicinamento. Un fatto non nuovo a cui siamo oramai abituati, basti ricordare la cometa Encke del 2007 e la Leonard del 2021.

10 comete - C/2022 E3 ZTF
Cometa C/2022 E3 ZTF fra le nebulose a riflessione VdB29 e VdB31 di Cristina Cellini

C/2014 Q2 Lovejoy

mag. 4,8 anno 2015 (7° fra le comete più luminose degli ultimi anni)

10 comete - C/2014 Q2 Lovejoy
9 mesi di cometa C/2014 Q2 Lovejoy di Adriano Valvasori

C/2012 S1 ISON

mag. 5 anno 2013 (8° fra le comete più luminose degli ultimi anni)

La cometa C/2012 S1, meglio conosciuta come cometa ISON, è stata una delle comete più discusse e osservate degli ultimi anni. Scoperta il 21 settembre 2012, questa cometa non periodica ha catturato l’attenzione di astronomi e appassionati di tutto il mondo per la sua promessa di diventare uno degli oggetti più brillanti nel cielo notturno.

La cometa ISON aveva un’orbita altamente eccentrica e radente, che l’ha portata a passare molto vicino al Sole. Questo passaggio ravvicinato, noto come perielio, è avvenuto il 28 novembre 2013. Prima del suo perielio, ISON è stata oggetto della campagna di osservazione coordinata più grande della storia, con più di una dozzina di veicoli spaziali e numerosi osservatori terrestri che hanno raccolto quello che si ritiene essere il più grande dataset cometaio singolo della storia.

10 comete - C/2012 S1 ISON
Cometa C/2012 S1 ISON di Adriano Valvasori

C/2014 E2 Jaques

mag. 6 anno 2014 (10° fra le comete più luminose degli ultimi anni)

La cometa C/2014 E2, conosciuta come Jacques, è stata una delle comete più affascinanti degli ultimi anni. Scoperta il 13 marzo 2014 dal team di astronomi brasiliani Cristóvão Jacques, Eduardo Pimentel, João Ribeiro de Barros e Marcelo Dias, questa cometa a lungo periodo ha offerto uno spettacolo celeste memorabile.

La cometa Jacques è stata individuata presso l’osservatorio SONEAR in Brasile. Con un’orbita altamente eccentrica, ha un periodo orbitale che varia da circa 12.000 a 22.000 anni, a seconda delle soluzioni barycentriche per le epoche 1950 e 2050. Nel marzo 2014, Jacques appariva con una coma densa e luminosa, visibile anche con telescopi di 8 pollici. Ha raggiunto il perielio, il punto più vicino al Sole nella sua orbita, il 2 luglio 2014, e ha raggiunto una magnitudine apparente di circa 6 a metà luglio, diventando visibile con binocoli sopra il bagliore del crepuscolo mattutino.

Conclusione

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Missione Euclid: le 5 nuove immagini

Euclid Messier 78
Un velo filamentoso arancione copre una brillante regione di formazione stellare. Lo sfondo è scuro, punteggiato di stelle e galassie che vanno da piccoli punti luminosi a forme stellate. Il velo in primo piano si estende dall'alto a sinistra all'angolo in basso a destra e ricorda un cavalluccio marino. Le stelle luminose illuminano le regioni degli "occhi" e del "petto" con una luce viola. All'interno della coda, tre punti luminosi si trovano in una formazione simile a un semaforo. CREDITO ESA/Euclid/Euclid Consortium/NASA, elaborazione delle immagini di J.-C. Cuillandre (CEA Parigi-Saclay), G. Anselmi

Diffuse le nuove immagini dell’Universo remoto catturate da Euclid

Il 23 maggio l’ESA Agenzia Spaziale Europea e il consorzio Euclid  hanno reso pubblico il secondo blocco di immagini catturate da Euclid che segue, a distanza di mesi, la prima pubblicazione avvenuta il 7 novembre 2023 Qui i primi scatti

Le nuove immagini fanno parte delle Osservazioni sulla pubblicazione anticipata di Euclid. Accompagnano i primi dati scientifici della missione, anch’essi resi pubblici oggi, e 10 articoli scientifici di prossima pubblicazione. Il tesoro arriva meno di un anno dopo il lancio del telescopio spaziale e circa sei mesi dopo che ha restituito le prime immagini a colori del cosmo.

Presentiamo ora le immagini per poi approfondire successivamente le note sul rilascio:

Abell 2390

Euclid Abell 2390
Migliaia di stelle e galassie punteggiano l’immagine su uno sfondo nero come la pece. Alcune stelle luminose mostrano sei picchi di diffrazione provenienti da un alone luminoso centrale. Altre stelle e galassie sono solo piccoli punti luminosi, come granelli di vernice distribuiti sull’immagine. La stella più luminosa si trova nell’angolo in alto a sinistra. Al centro dell’immagine, i minuscoli punti luminosi sono più abbondanti. CREDITI
ESA/Euclid/Euclid Consortium/NASA, elaborazione delle immagini di J.-C. Cuillandre (CEA Parigi-Saclay), G. Anselmi

L’immagine di Euclid dell’ammasso galattico Abell 2390 rivela più di 50.000 galassie e mostra una bellissima visualizzazione della lente gravitazionale, raffigurante giganteschi archi curvi nel cielo, alcuni dei quali sono in realtà viste multiple dello stesso oggetto distante. Euclid utilizzerà il lensing (dove la luce che arriva a noi da galassie lontane viene piegata e distorta dalla gravità) come tecnica chiave per esplorare l’Universo oscuro, misurando indirettamente la quantità e la distribuzione della materia oscura sia negli ammassi di galassie che altrove. Gli scienziati di Euclid stanno anche studiando come le masse e il numero degli ammassi di galassie nel cielo siano cambiati nel tempo, rivelando di più sulla storia e sull’evoluzione dell’Universo.

Il ritaglio di Euclid di Abell 2390 mostra la luce che permea l’ammasso proveniente dalle stelle che sono state strappate via dalle loro galassie madri e si trovano nello spazio intergalattico. Osservare questa “luce intraammasso” è una specialità di Euclide, e questi orfani stellari potrebbero permetterci di “vedere” dove si trova la materia oscura.

Messier 78

 

Euclid Messier 78
Un velo filamentoso arancione copre una brillante regione di formazione stellare. Lo sfondo è scuro, punteggiato di stelle e galassie che vanno da piccoli punti luminosi a forme stellate. Il velo in primo piano si estende dall’alto a sinistra all’angolo in basso a destra e ricorda un cavalluccio marino. Le stelle luminose illuminano le regioni degli “occhi” e del “petto” con una luce viola. All’interno della coda, tre punti luminosi si trovano in una formazione simile a un semaforo.
CREDITO
ESA/Euclid/Euclid Consortium/NASA, elaborazione delle immagini di J.-C. Cuillandre (CEA Parigi-Saclay), G. Anselmi

Questa immagine mozzafiato presenta Messier 78, un vibrante vivaio stellare avvolto nella polvere interstellare. Euclid ha scrutato in profondità questo vivaio utilizzando la sua fotocamera a infrarossi, esponendo per la prima volta regioni nascoste di formazione stellare, mappando i suoi complessi filamenti di gas e polvere con un dettaglio senza precedenti e scoprendo stelle e pianeti appena formati. Gli strumenti di Euclid possono rilevare oggetti solo poche volte la massa di Giove, e i suoi “occhi” a infrarossi rivelano oltre 300.000 nuovi oggetti solo in questo campo visivo. Gli scienziati stanno utilizzando questo set di dati per studiare la quantità e il rapporto tra le stelle e gli oggetti più piccoli (substellari) trovati qui, fondamentali per comprendere le dinamiche di come le popolazioni stellari si formano e cambiano nel tempo.

NGC6744

Euclid NGC 6744
Una galassia a spirale su uno sfondo scuro punteggiato di punti luminosi. La spirale in senso orario ha molti bracci, non completamente distinguibili l’uno dall’altro, che si estendono da un punto centrale luminoso. C’è una sottile struttura nuvolosa proprio sopra la galassia, alla periferia del suo braccio più lontano. In basso a sinistra dell’immagine due punti luminosi sono circondati da un alone di luce.
CREDITO
ESA/Euclid/Euclid Consortium/NASA, elaborazione delle immagini di J.-C. Cuillandre (CEA Parigi-Saclay), G. Anselmi

In questa immagine Euclide mostra NGC 6744, un archetipo del tipo di galassia che attualmente forma la maggior parte delle stelle nell’Universo locale. L’ampio campo visivo di Euclide copre l’intera galassia, catturando non solo la struttura a spirale su scala più grande ma anche dettagli squisiti su piccola scala spaziale. Ciò include strisce di polvere simili a piume che emergono come “speroni” dai bracci della spirale, mostrati qui con incredibile chiarezza. Gli scienziati stanno utilizzando questo set di dati per capire come la polvere e il gas sono collegati alla formazione stellare; mappare come le diverse popolazioni stellari sono distribuite nelle galassie e dove le stelle si stanno attualmente formando; e svelare la fisica dietro la struttura delle galassie a spirale, qualcosa che non è ancora del tutto compreso dopo decenni di studio.

Abell 2764 (e stella luminosa)

Un cielo stellato su uno sfondo scuro. La stella grande e luminosa si trova nella parte inferiore dell’immagine. Nell’angolo in alto a destra le galassie si raggruppano e embrano piccole sfere luminose ed ellissoidi. In tutta l’immagine, piccoli punti luminosi e una manciata di sfere luminose sono distribuiti uniformemente.
CREDITO
ESA/Euclid/Euclid Consortium/NASA, elaborazione delle immagini di J.-C. Cuillandre (CEA Parigi-Saclay), G. Anselmi

Questa vista mostra l’ammasso di galassie Abell 2764 (in alto a destra), che comprende centinaia di galassie all’interno di un vasto alone di materia oscura. Questa visione completa di Abell 2764 e dintorni, ottenuta grazie al campo visivo straordinariamente ampio di Euclid, consente agli scienziati di accertare il raggio dell’ammasso e di vederne la periferia con le galassie lontane ancora nell’inquadratura. Le osservazioni di Euclid di Abell 2764 stanno inoltre consentendo agli scienziati di esplorare ulteriormente le galassie nelle lontane epoche buie cosmiche, come con Abell 2390.

Qui si vede anche una stella in primo piano molto luminosa che si trova all’interno della nostra galassia (V*BP-Phoenicis/HD 1973, una stella all’interno della nostra galassia e nell’emisfero meridionale che è quasi abbastanza luminosa da essere vista dall’occhio umano). Quando osserviamo una stella attraverso un telescopio, la sua luce viene dispersa verso l’esterno in un alone circolare diffuso a causa dell’ottica del telescopio. Euclid è stato progettato per ridurre al minimo questa dispersione. Di conseguenza, la stella provoca pochi disturbi, permettendoci di catturare deboli galassie distanti vicino alla linea di vista senza essere accecati dalla luminosità della stella.

Dorado Group

Euclid Dorado Group
Un cielo stellato su sfondo nero con tre grandi strutture luminose. I due più grandi, al centro e al centro-destra dell’immagine, hanno centri molto luminosi circondati da grandi aloni sferici. Le periferie di questi aloni sembrano toccarsi. Una terza struttura luminosa è presente in basso a sinistra e sembra una piccola versione ellissoidale delle altre due. Infine, nell’angolo in alto a sinistra si trova una sottile ellisse allungata e luminosa.
CREDITO
ESA/Euclid/Euclid Consortium/NASA, elaborazione delle immagini di J.-C. Cuillandre (CEA Parigi-Saclay), G. Anselmi

Qui, Euclid cattura le galassie che si evolvono e si fondono “in azione” nel gruppo di galassie Dorado, con bellissime code e conchiglie di marea viste come risultato di interazioni continue. Gli scienziati stanno utilizzando questo set di dati per studiare come si evolvono le galassie, per migliorare i nostri modelli di storia cosmica e capire come si formano le galassie all’interno degli aloni di materia oscura. Questa immagine mostra la versatilità di Euclid: qui è visibile un’ampia gamma di galassie, da molto luminose a molto deboli. Grazie alla combinazione unica di Euclid di ampio campo visivo, notevole profondità e alta risoluzione spaziale, è in grado di catturare caratteristiche minuscole (ammassi stellari), più ampie (nuclei di galassie) ed estese (code di marea) tutto in un unico fotogramma. Gli scienziati stanno anche cercando singoli ammassi di stelle distanti conosciuti come ammassi globulari per tracciare la loro storia e dinamica galattica.

Dove si trovano nel cielo i primi oggetti fotografati da Euclid

Euclid mappa 10 foto
CREDITO
ESA/Euclid/Consorzio Euclid.

Questa mappa del cielo mostra le posizioni di 10 dei primi oggetti astronomici presi di mira dalla missione spaziale Euclid dell’ESA. Gli obiettivi sono fissati su una proiezione ovale del nostro cielo notturno, con le aree che Euclid osserverà durante la sua missione di rilevamento della durata di sei anni mostrate in blu, e le aree di rilevamento profondo in giallo.

La Missione Euclid: Uno Sguardo nell’Oscurità dell’Universo

La missione Euclid rappresenta uno dei progetti più ambiziosi e significativi nel campo dell’astrofisica e della cosmologia. Progettata per scrutare gli angoli più remoti e oscuri dell’universo, Euclid si pone come un faro di conoscenza per comprendere meglio la materia e l’energia oscura che permeano il cosmo.

Progettazione e Finanziamento della Missione Euclid

Euclid è stata concepita come la seconda missione di classe Medium (M2) del Programma Scientifico dell’ESA, approvata dal Science Programme Committee (SPC) nel giugno 2012. Il progetto ha visto la luce grazie al contributo di un consorzio europeo di oltre mille scienziati e più di cento istituti in tredici nazioni, con la partecipazione significativa della NASA, che ha fornito i rivelatori per uno degli strumenti principali. L’Italia, in particolare, ha giocato un ruolo cruciale nel coordinamento generale del Ground Segment scientifico (SGS), essenziale per il successo della missione.

Lancio e Operazioni

Il telescopio Euclid è stato lanciato il 1 luglio 2023 a bordo di un Falcon 9 di SpaceX, segnando l’inizio di una nuova era nell’esplorazione spaziale. Dopo il lancio, il telescopio è entrato in orbita attorno al punto lagrangiano L2 del sistema Sole-Terra, una posizione strategica per le osservazioni astronomiche.

Caratteristiche Tecniche

Euclid è dotato di un telescopio Korsch anastigmatico a tre specchi nel visibile e infrarosso, con uno specchio del diametro di 1,2 metri. Questa configurazione gli permette di catturare immagini ad alta risoluzione di vasti tratti di cielo, fornendo dati preziosi per la mappatura tridimensionale dell’universo.

Risultati della Missione

Le prime immagini rilasciate dall’ESA il 7 novembre 2023 hanno rivelato dettagli senza precedenti dell’universo. Euclid ha catturato immagini astronomiche di vaste porzioni di cielo con una nitidezza mai vista, dimostrando il suo potenziale nel creare la più estesa mappa 3D dell’universo mai realizzata. Queste immagini hanno mostrato l’ammasso di galassie del Perseo e altre miriadi di galassie sconosciute e lontanissime, fornendo una visione senza precedenti dell’universo.

 

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La APOC n°2 è stata assegnata a Federico Pelliccia per la Cometa 12P/PONS-BROOKS

12P/Pons-Brooks di Federico Pelliccia

Astrofotografia da città: Milano

Astrofotografia da città nebulose
Foto 14 Nebulosa di Orione M42 e Nebulosa Testa di Cavallo, distanti circa 1.344 anni luce ( Askar 230, Asi 2600Mc, Optolong L-Enhance 29 marzo 2023)

Astrofotografia da città…….si può fare!

Fino a pochi anni fa era impossibile pensare di “fare” astrofotografia dal città ma poi i tempi cambiano si sa e per fortuna la tecnologia ci viene in aiuto.

Le nuove camere astronomiche e i nuovi filtri anti inquinamento luminoso costituiscono un eccellente sostegno per chi, come me, si dedica alla sua passione dal balcone di casa di una città ad alto inquinamento luminoso ma anche atmosferico.

Da Milano, esattamente dove abito, sono poche le serate limpide, c’è sempre foschia o cielo velato dovuto al tasso di umidità elevato e a polveri sottili, sempre più presenti in Pianura Padana. Problemi ai quali oltretutto va aggiunto quello principale presente anche nei mesi estivi: l’inquinamento luminoso.

Insomma ad essere fortunati nn discreto cielo stellato si può vedere 5-10 volte all’anno.

Astrofotografia da città postazione
Foto 1 la mia postazione dal balcone di casa di Milano

La Luna

Rinunciare da subito o provare? La Luna e qualche pianeta, sono sempre un buon inizio per chi vuole avvicinarsi all’astrofotografia tanto vale almeno una volta tentare e confermare i dubbi oppure lasciarsi stupire dai risultati. Per non sbagliare si può, ad esempio, utilizzare in principio delle attrezzature economiche, come una reflex collegata ad un rifrattore o al classico Newton 130/900 e montatura Eq3 motorizzata per poter inseguire l’oggetto inquadrato. Nel mercato dell’usato e presso i più noti rivenditori specializzati si possono trovare occasioni davvero interessanti. Un setup entry level con il quale mi sono tolto le prime soddisfazioni.

astrofotografia da città luna
Foto 3 Luna Mare Crisium ( 20 marzo 2022 con Skywatcher 150-750, Asi 224Mc, Barlow 2x)

Non dimenticherò mai l’emozione provata con la prima foto di Saturno scattata con una Canon 450d collegata al telescopio Skywatcher 130/900 di mia nipote, che ho subito condiviso su Facebook ricevendo commenti come se avessi fatto una foto col telescopio Hubble, e uno startrails con una semplice macchina fotografica compatta e cavalletto (Fig.2). In una notte senza Luna e con 4 ore di scatti si sono mostrate visibili le tracce delle stelle più luminose, certo insieme alle scie degli aerei che si vedono in lontananza partire e atterrare dall’aeroporto di Linate! La mia prima foto che Coelum ha pubblicato in formato digitale!

Sole e Pianeti

Con la stessa tecnica sfruttata per catturare la Luna si possono immortalare anche i Pianeti mentre diversa è la situazione con il Sole, target più facile per il centro città rispetto a zone più favorevoli tuttavia gli strumenti restano specifici e in alcuni casi costosi.

Astrofotografia da Città ISS
Foto 9 Passaggio Stazione Spaziale Internazionale Iss (10 ottobre 2023 ore 10,28-Tecnosky 80Edt, Baader Astrosolar 3.8)

Nebulose e Galassie

E ora la parte più difficile per l’astrofotografia da città, riuscire a fotografare Nebulose e Galassie dalla città è impresa davvero ardua. Per fortuna ci vengono in aiuto i filtri anti inquinamento luminoso, visto che per ora è difficile eliminare le luci a led ancora presenti. Ma vediamo cosa si riesce a fare.

Astrofotografia da Città - Nebulose
Foto 12 Nebulosa Gabbiano Ic2177, distante circa 3.700 anni luce dalla Terra (Askar 230, Asi 2600Mc, Optolong L-Enhance, 2 febbraio 2023)

 

Astrofotografia da città nebulose
Foto 14 Nebulosa di Orione M42 e Nebulosa Testa di Cavallo, distanti circa 1.344 anni luce ( Askar 230, Asi 2600Mc, Optolong L-Enhance 29 marzo 2023)

 

Certo il cielo scuro è meglio, invidio i cieli più belli ma se possiamo accedere a solo quello di una metropoli è importante non scoraggiarsi. Bisogna divertirsi, fare esperienza, avere un po’ di pazienza, integrare molte ore di ripresa e qualcosa di buono sicuramente salterà fuori, e poi volete mettere la soddisfazione?

Dal non è semplice fare astrofotografia da città ma @egiverga con impegno e passione ha ottenuto risultati eccellenti e mette a disposizione dei lettori di COELUM tutta la propria esperienza, offrendo suggerimenti utili da cui iniziare a sperimentare. L’articolo completo è in Coelum Astronomia n°268.

STORIA DELLA RICERCA DELLE GALASSIE LONTANE

Galassie Lontane
Fig. 1 A sinistra l’Hubble Deep Field, la prima survey profonda effettuata da Hubble che nel 1995 ha aperto il campo della ricerca delle galassie lontane. Immagine in tricromia ottenuta con i filtri U (300 nm, blu), B (435 nm, blu) e V (606 nm rosso). A destra l’Hubble Ultra Deep Field osservato nel 2006 con evidenziate nei riquadri 28 sorgenti di alto redshift. Immagine in tricromia ottenuta da immagini nei filtri B (435 nm, blu), V+I (606nm e 775 nm, verde) e z (850nm, rosso).

Storia della Ricerca delle Galassie Lontane

Quanto lontano possono vedere i vostri telescopi? È una domanda che gli astronomi si sentono rivolgere spesso, potrebbe sembrare un po’ ingenua ma la risposta è meno banale di quello che si può pensare e tutto sommato non è affatto una cattiva domanda. Infatti, sono gli astronomi i primi a chiedersi come spingere le proprie osservazioni sempre più lontano nello spazio e quindi nella storia dell’Universo.

Sono molti i motivi per studiare galassie sempre più distanti e cercare le prime galassie formatesi poche centinaia di milioni di anni dopo il Big Bang. Nell’Universo vicino osserviamo galassie che si differenziano tra loro per morfologia (spirali, giganti ellittiche, irregolari), massa, livello di formazione stellare, contenuto di gas e polvere, ambiente (ammassi e gruppi di galassie), e presenza di buchi neri supermassicci di centinaia di milioni o addirittura miliardi di masse solari. Solo osservando i loro progenitori nell’Universo lontano, e i loro primi “mattoni” nell’Universo primordiale possiamo veramente capire quali fenomeni fisici hanno maggiormente influito sulla loro evoluzione.

Inoltre, nella Via Lattea e nelle galassie vicine osserviamo diversi tipi di popolazioni stellari, contraddistinte principalmente da diverse abbondanze degli elementi chimici che si formano a seguito della combustione nucleare all’interno delle popolazioni stellari precedenti e che vengono poi dispersi da venti stellari ed esplosioni di supernovae.

Successivamente al Big Bang l’Universo era costituito essenzialmente dai soli idrogeno ed elio: ricostruire nelle galassie via via più lontane la storia dell’arricchimento di elementi quali carbonio, ossigeno, azoto vuol dire seguire quel filo che ha portato dal Big Bang alla formazione non solo della Via Lattea, ma anche del nostro Sole e infine alla vita.

Negli Anni ’60

Di fatto la “rincorsa” a cercare sorgenti sempre più distanti è iniziata molti anni fa, negli anni ‘60 con la scoperta dei primi quasar e radiogalassie a distanze “cosmologiche” (redshift maggiore di 1) ma è solo da metà degli anni ‘90 che gli astronomi hanno sviluppato metodi e strumenti adatti a osservare normali galassie lontane in epoche in cui l’Universo aveva non più di 2 miliardi di anni di vita, cioè meno del 15% dell’età attuale.

La possibilità di esplorare la natura di galassie lontane è giunta grazie ad Hubble Space Telescope e alla coraggiosa iniziativa di osservare dei cosiddetti “campi fondi”, piccole zone di cielo di pochi arcmin2 su cui acquisire dati per decine e a volte centinaia di ore si osservazione. Il primo esempio fu l’Hubble Deep Field (HDF) nel 1995, a cui sono seguite negli anni numerose “survey” concepite in modo simile, la più celebre delle quali è probabilmente l’Hubble Ultra Deep Field (Fig. 1).

Galassie Lontane Hubble Survey
Fig. 1 A sinistra l’Hubble Deep Field, la prima survey profonda effettuata da Hubble che nel 1995 ha aperto il campo della ricerca delle galassie lontane. Immagine in tricromia ottenuta con i filtri U (300 nm, blu), B (435 nm, blu) e V (606 nm rosso). A destra l’Hubble Ultra Deep Field osservato nel 2006 con evidenziate nei riquadri 28 sorgenti di alto redshift. Immagine in tricromia ottenuta da immagini nei filtri B (435 nm, blu), V+I (606nm e 775 nm, verde) e z (850nm, rosso).

Le osservazioni HDF e di survey simili contengono molte migliaia di sorgenti, ma grazie all’acquisizione di immagini in più filtri si può misurare la forma dello spettro delle galassie e isolare la piccola frazione di sorgenti remote. In particolare, per studiare le prime epoche di formazione delle galassie è necessario avere osservazioni oltre la regione del visibile: dalle lunghezze d’onda del vicino infrarosso (circa 1 micron) a quelle del medio infrarosso (oltre i 3 micron) che rispettivamente misurano l’emissione ultravioletta (UV) di galassie da redshift circa 6 a redshift 12 e oltre, cioè da 1 miliardo a meno di 300 milioni di anni dal Big Bang.

La camera ottica ACS, e dal 2010 quella infrarossa (WFC3) di HST, insieme ai grandi telescopi da terra (Very Large Telescope, Keck) hanno dunque permesso di studiare le popolazioni di galassie risalenti al periodo tra circa 600 milioni di anni e 2 miliardi di anni dopo il Big Bang (redshift da 3 a circa 9).

Si è trovato che al crescere del redshift la luminosità tipica delle galassie diminuisce e aumenta la frazione di galassie lontane intrinsecamente deboli. Queste galassie sono via via più piccole, con dimensioni tipiche inferiori a 1 kpc (meno di 1/3 della Via Lattea), in buona parte di morfologia irregolare, sempre più attive in termini di formazione stellare in rapporto alla loro massa e con un sempre minore contenuto sia di polvere che di elementi quali ossigeno e carbonio.

Nel primo miliardo di anni

Queste osservazioni hanno permesso di indagare un periodo della storia dell’Universo entro il primo miliardo di anni che è estremamente importante perché è quando avviene il grosso del processo cosiddetto di reionizzazione (Fig. 2).

Galassie Lontane
Fig. 2. Visualizzazione artistica della prima fase di evoluzione delle galassie lontane. Dopo la ricombinazione lo spazio è permeato da gas neutro che viene reionizzato dalla radiazione emessa dalle prime sorgenti. Comprendere questa fase detta di “reionizzazione” che termina all’incirca 1 miliardo di anni dopo il Big Bang è uno degli scopi principali della ricerca sulle prime galassie.

Dal momento della ricombinazione (300.000 anni dopo il Big Bang) lo spazio è permeato da gas neutro, e sono proprio i fotoni energetici emessi dalla prime sorgenti luminose a separare protoni ed elettroni dell’idrogeno diffuso nello spazio intergalattico, ionizzandolo nuovamente. Uno degli scopi principali nello studio delle galassie lontane è proprio misurare l’andamento temporale e spaziale di questo processo, e soprattutto determinare quali sorgenti ne siano state maggiormente responsabili, se le galassie più o meno luminose o i primi nuclei galattici attivi.

Nonostante i progressi osservativi, la nostra conoscenza dei primordi dell’Universo era limitata. Hubble ha una sensibilità fino a 1.6 micron, mentre i telescopi terrestri come VLT e Keck possono osservare fino a circa 2.5 micron, ma l’emissione atmosferica limita la profondità delle osservazioni. Spitzer aveva una sensibilità limitata e non poteva esplorare l’Universo primordiale. JWST è stato sviluppato per osservare nell’infrarosso con maggiore sensibilità rispetto a Hubble e Spitzer.

L’articolo completo su LA CORSA ALLE PRIME GALASSIE con lo sviluppo della ricerca fino ai nostri giorni e le nuove scoperte ottenute grazie anche al JWST è pubblicato su Coelum Astronomia 268.

Astrofisica: cosa studia e come specializzarsi

astrofisica ngc2020 e ngc2014
Il ritratto mostra la nebulosa gigante NGC 2014 e la sua vicina NGC 2020. Crediti: NASA, ESA e STScI

L’astrofisica è una disciplina scientifica che si colloca all’intersezione tra astronomia e fisica, dedicata allo studio delle leggi fisiche che governano l’universo e i suoi componenti, come stelle, pianeti, galassie e la materia interstellare. Si occupa di comprendere i processi fisici alla base dei fenomeni celesti, utilizzando le conoscenze della fisica per interpretare le osservazioni astronomiche.

La Nascita dell’Astrofisica

La nascita dell’astrofisica è strettamente legata allo sviluppo della spettroscopia, una tecnica che permette di analizzare la luce emessa o assorbita da un oggetto per determinarne la composizione chimica, la temperatura, la densità, la velocità e altre proprietà fisiche. Questo approccio ha permesso agli scienziati di studiare gli astri non solo in termini di posizione e movimento, ma anche di composizione e struttura interna.

astrofisica Spettroelettromagnetico
Grafico dello spettroelettromagnetico

Nella seconda metà dell’Ottocento, l’astrofisica ha iniziato a distinguersi come campo di studio autonomo, grazie all’impiego di metodi e tecniche sperimentali propri della fisica applicati all’astronomia. La spettroscopia, in particolare, ha giocato un ruolo cruciale in questo processo, consentendo agli astronomi di indagare la natura dei corpi celesti e di fare ipotesi sulla loro evoluzione.

Figure chiave nella storia dell’astrofisica includono scienziati come Gustav Kirchhoff e Robert Bunsen, che hanno gettato le basi dell’analisi spettrale, e Margherita Hack, una delle più famose astrofisiche italiane, nota per le sue scoperte sulle Cefeidi e per il suo ruolo nella divulgazione scientifica.

L’astrofisica continua a essere un campo in rapida evoluzione, con nuove scoperte che ampliano costantemente la nostra comprensione dell’universo. Dai buchi neri alle onde gravitazionali, dall’energia oscura alla materia oscura, l’astrofisica svela i segreti più profondi dello spazio e del tempo, offrendo una finestra sul passato cosmico e sulle leggi fondamentali che regolano la realtà.

Gli ambiti di studio

L’astrofisica è una branca dell’astronomia che analizza le proprietà e le interazioni degli oggetti cosmologici sulla base di leggi fisiche note. Questo campo scientifico si avvale delle conoscenze della fisica per interpretare le osservazioni astronomiche e comprendere i processi fisici alla base dei fenomeni celesti. Ecco alcuni aspetti chiave dell’astrofisica:

  • Astrofisica osservativa: Gli astrofisici raccolgono dati osservando il cielo con telescopi e altri strumenti. Analizzano la luce emessa o assorbita dagli oggetti celesti per determinarne la composizione chimica, la temperatura, la densità e altre proprietà fisiche.
  • Astrofisica di laboratorio: In laboratorio, gli astrofisici simulano condizioni estreme presenti nello spazio per studiare i processi fisici che avvengono all’interno delle stelle, delle galassie e dei buchi neri. Questo può includere esperimenti con plasma, reazioni nucleari e altre condizioni estreme.
  • Astrofisica teorica: Gli astrofisici sviluppano modelli matematici e teorie per spiegare i fenomeni osservati. Questo richiede una buona conoscenza della fisica teorica e dell’astrofisica matematica. Attraverso queste teorie, cercano di spiegare l’origine dell’universo, la formazione delle galassie, l’evoluzione delle stelle e molti altri fenomeni presenti nello spazio.

Diventare Astrofisico o Astrofisica

Per diventare astrofisico, è necessario seguire un percorso di studi avanzato in fisica e matematica. Generalmente, il percorso inizia con una laurea triennale in fisica o in un campo affine, seguita da una laurea magistrale e infine da un dottorato di ricerca in astrofisica o astronomia. Durante questo percorso, gli studenti acquisiscono una profonda conoscenza delle leggi fisiche e delle tecniche matematiche applicate allo studio dell’universo.

Ecco i passaggi tipici per diventare astrofisico:

  1. Scuola Superiore: Concentrarsi su materie scientifiche come matematica, fisica e chimica.
  2. Laurea Triennale: Iscriversi a un corso di laurea in fisica o in un campo correlato.
  3. Laurea Magistrale: Specializzarsi in astrofisica o astronomia.
  4. Dottorato di Ricerca: Svolgere una ricerca originale nel campo dell’astrofisica.
  5. Post-Dottorato: Alcuni astrofisici proseguono con un post-dottorato per approfondire ulteriormente la loro specializzazione.

Durante il dottorato e il post-dottorato, gli astrofisici spesso partecipano a progetti di ricerca, pubblicano articoli scientifici e collaborano con istituti di ricerca e osservatori astronomici. È importante anche acquisire esperienza pratica attraverso stage o collaborazioni con gruppi di ricerca.

Inoltre, la conoscenza dell’inglese è fondamentale, poiché è la lingua principale utilizzata nella comunità scientifica internazionale. La capacità di utilizzare strumenti di osservazione e software specifici per l’analisi dei dati è altrettanto cruciale.

Infine, diventare astrofisico richiede passione, dedizione e una forte curiosità per i misteri dell’universo.

Nomi celebri dell’Astrofisica

Ecco alcuni dei più famosi astrofisici del mondo, con una breve biografia e la loro principale scoperta:

Stephen Hawking:

      • Biografia: Stephen Hawking è stato un cosmologo, fisico, astrofisico e divulgatore scientifico britannico. Nato a Oxford nel 1942, ha superato le sfide di una grave malattia degenerativa per diventare uno dei più noti fisici teorici al mondo.
      • Scoperta: È famoso per i suoi studi sui buchi neri e la cosmologia quantistica, in particolare per la teoria della radiazione di Hawking, che prevede che i buchi neri emettano radiazioni a causa degli effetti quantistici vicino all’orizzonte degli eventi.

Margherita Hack:

      • Biografia: Margherita Hack è stata un’astrofisica italiana, nata a Firenze nel 1922. È stata la prima donna a dirigere un osservatorio astronomico in Italia e ha avuto un ruolo significativo nella divulgazione scientifica.
      • Scoperta: È conosciuta per i suoi studi sulle Cefeidi e sulla classificazione spettrale di numerose categorie di stelle.

Patrizia Caraveo:

      • Biografia: Patrizia Caraveo è un’astrofisica italiana, direttrice dell’Istituto di Astrofisica Spaziale e Fisica Cosmica di Milano.
      • Scoperta: Ha contribuito significativamente alla ricerca astrofisica con numerose pubblicazioni e citazioni, attestando l’importanza delle sue ricerche nel settore.

Edwin Hubble:

        • Biografia: Edwin Hubble è stato un astronomo americano, nato nel 1889. È noto per il suo lavoro all’Osservatorio di Mount Wilson, dove ha fatto osservazioni che hanno cambiato radicalmente la nostra comprensione dell’universo.
        • Scoperta: Hubble ha scoperto che ci sono altre galassie oltre la Via Lattea e ha formulato la legge di Hubble, che descrive l’espansione dell’universo, fornendo la prima evidenza osservativa per il modello del Big Bang.
Subrahmanyan Chandrasekhar:
        • Biografia: Subrahmanyan Chandrasekhar è stato un astrofisico indiano-americano, nato nel 1910 in India. Ha trascorso la maggior parte della sua carriera professionale negli Stati Uniti, lavorando principalmente all’Università di Chicago.
        • Scoperta: Chandrasekhar è meglio conosciuto per il suo studio sulla struttura e l’evoluzione delle stelle, in particolare per il limite di Chandrasekhar, che prevede la massima massa che una stella di neutroni o una nana bianca può avere prima di collassare in un buco nero o in una supernova.

Carl Sagan:

        • Biografia: Carl Sagan è stato un astronomo, astrofisico e cosmologo americano, nato nel 1934. È stato anche un prolifico autore e presentatore del famoso programma televisivo “Cosmos”.
        • Scoperta: Sebbene non sia noto per una singola scoperta, Sagan ha contribuito significativamente alla divulgazione dell’astrofisica e alla comprensione del potenziale per la vita extraterrestre. Ha anche lavorato sulle missioni spaziali Mariner, Viking, Voyager e Galileo, che hanno esplorato altri pianeti del nostro sistema solare.

la CINTURA DI VENERE: Fenomeni ottici tra scienza e mito

cintura di venere
crediti Teresa Molinaro

Tra i fenomeni appartenenti alla categoria dell’ottica atmosferica, uno dei più affascinanti è quello che viene indicato con l’appellativo di Cintura di Venere.

La Cintura di Venere

Una fascia di un rosa delicato cinge l’orizzonte, immergendo il paesaggio in un’atmosfera surreale: questo evento può essere individuato all’alba o al tramonto in direzione opposta a quella in cui si trova il Sole, nel punto detto proprio antisolare o antelio: poco prima dell’alba il fenomeno è visibile ad Ovest, mentre dopo il tramonto l’evento ottico si evidenzia ad Est.

cintura di venere
crediti: autrice Teresa Molinaro

La Cintura di Venere ha anche il nome di arco anti-crepuscolare, proprio perché si verifica durante il crepuscolo e il bagliore rosato che tinge il cielo, circonda come un arco l’orizzonte opposto al Sole.

Il fenomeno è prodotto dalla luce del Sole, arrossata, riflessa sull’atmosfera: infatti, quando la nostra stella si trova sotto l’orizzonte, i suoi raggi riescono comunque a raggiungere l’osservatore, fino ad arrivare nel punto antisolare dove vengono retro diffusi dall’atmosfera terrestre.

Questo affascinante fenomeno è quasi sempre accompagnato, al di sotto, da una fascia di colore blu o viola scuro, detta anche segmento scuro e meglio nota come Ombra della Terra, che altro non è (ce lo suggerisce già il nome) che l’ombra che il nostro pianeta proietta sull’atmosfera.

Più il Sole sarà basso sotto l’orizzonte (Est o Ovest) maggiore sarà l’intensità dei due fenomeni e anche la loro altezza nel punto opposto, dove il paesaggio sarà completamente immerso in un silenzio surreale che viene presto inondato dalla luce dell’alba, nel caso in cui si tratti del crepuscolo mattutino o sfumerà, al contrario, nel buio della notte.

Benché dunque la Cintura di Venere sia una caratteristica del crepuscolo, non è detto che essa si palesi con costante frequenza, anche perché un cielo nitido e delle ottimali condizioni atmosferiche giocano un ruolo chiave nella manifestazione del fenomeno ottico, che in ogni caso non lascia mai indifferenti, soprattutto quando ad impreziosire la scena si aggiungono altri oggetti celesti, come ad esempio la Luna o i pianeti.

Come astrofotografa e amante di tutto ciò che accade sulla volta celeste sia di giorno che di notte, devo confessare che poter ammirare la Cintura di Venere è uno dei momenti della giornata che preferisco in assoluto.

Nelle foto di seguito potrete ammirare diversi scatti che ho potuto realizzare in circostanze davvero propizie: talvolta calcolando ogni dettaglio e altre volte (nella maggior parte) venendo colta di sorpresa.

cintura di venere
Cintura di Venere e Ombra della Terra dopo il tramonto, con il promontorio di Capo Zafferano, provincia di Palermo. Aprile 2024 Crediti Teresa Molinaro

cintura di venere
crediti Teresa Molinaro

cintura di venere
Ombra della Terra e Cintura di Venere dalla spiaggia di San Vito lo Capo, provincia di Trapani. Luglio 2021 Crediti Teresa Molinaro

LA CINTURA DI VENERE NELLA MITOLOGIA

E come ogni cosa che riguarda la volta celeste, anche il fenomeno della Cintura di Venere trova un richiamo nella mitologia: narra la leggenda che la dea dell’amore e della bellezza, che per gli antichi greci era Afrodite e per i romani Venere, possedeva una cintura dalle qualità magiche che aveva il potere di infondere fascino, bellezza e un’irresistibile sensualità a qualsiasi donna la indossasse, sia che si trattasse di una mortale che di una dea dell’Olimpo.

Pare che anche la dea Era talvolta ne usufruisse per richiamare a sé il suo fedifrago marito, Zeus; vi è traccia di un episodio nel XIV libro dell’Iliade, dove Omero narra così:

“E dal seno disciolse una fascia trapunta,
versicolore, ove tutte raccolte le illècebre aveva.
Era l’Amore quivi, la cupida Brama, il Colloquio
lusingatore, che toglie di senno fin anche i piú saggi.
Questa alla Diva porse, le volse cosí la parola:
«Su’, Diva, prendi, adesso, e avvolgi al tuo sen questa fascia
versicolore, ove tutte s’accolgon le illècebre; e certo
non tornerai, che tutta compiuta non sia la tua brama».
Cosí parlava. Ed Era dagli occhi lucenti sorrise;
e quando ebbe sorriso, sul seno si pose la fascia”.

Anche Afrodite stessa si serví dei poteri della sua cintura per far cadere tra le sue braccia il bellissimo e giovane Adone, conteso con Persefone.
Tra i comuni mortali, nelle antiche popolazioni greche e romane, era un’usanza assai diffusa per le giovani spose quella di indossare un accessorio chiamato cinto o cesto di Venere (dal latino cestus, dal greco κεστός) nel giorno del matrimonio, come buon auspicio per un matrimonio felice e fecondo e in onore della dea Afrodite.

In un gioco di richiami tra la scienza e il mito, quel che è vero è che la Cintura di Venere ha davvero il magico potere di attrarre l’osservatore, lasciandolo incantato dinanzi a un orizzonte colorato di rosa, le cui tinte sembrano plasmare la notte che cala sulla Terra e adornare di luce il giorno che verrà.

Siete sicuri di sapere quanto è grande l’universo?

Non si sa se l’Universo inteso nel suo complesso sia finito o infinito nelle sue dimensioni lineari e nel volume, anche se la maggior parte dei teorici al momento ipotizza che anche in assenza di un confine spaziale potrebbe comunque essere spazialmente finito. Questo può essere compreso mediante un’analogia bidimensionale: la superficie della Terra non ha confini, ma ha comunque un’area finita e misurabile. Per quanto riguarda invece il cosiddetto Universo osservabile, è possibile evincere che esso sia finito, ma si ritiene che sia comunque molto più esteso di quanto farebbe pensare il malinteso valore di 13,7 miliardi di anni luce, che sta ad indicare soltanto l’età dell’universo e non il suo raggio. Per mettere un po’ di ordine in un argomento così delicato come quello della reale dimensione dell’Universo, l’articolo passa in rassegna i concetti che possono aiutare nella comprensione della domanda e di una eventuale risposta: la geometria dello spazio è di tipo euclideo? Ossia, come si dice a volte impropriamente, l’universo è piatto? L’universo è topologicamente connesso? Tutti concetti assolutamente poco intuitivi, capaci però di restituire scenari davvero impensabili, come quello che addirittura ipotizza un universo popolato da immagini multiple di una stessa galassia. Ma a parte queste stranezze, e in definitiva: quanto è grande l’Universo?

Universo e distanze

Questa è una domanda molto antica, che sorge spontanea quando si alza lo sguardo verso il cielo stellato, e che può essere suddivisa in due parti distinte: ci possiamo chiedere infatti quale sia la distribuzione della materia nello spazio e quale sia l’estensione dello spazio. Ad esempio, fino agli inizi del XX secolo molti astronomi ritenevano che la Via Lattea fosse l’unico sistema di stelle in uno spazio vuoto di estensione infinita (o comunque insondabile). Oggi sappiamo invece che la Via Lattea non è che una fra le centinaia di miliardi di galassie osservabili che popolano l’intero spazio.

Ma quanto lontano possiamo osservare? Per rispondere dobbiamo fare alcune considerazioni. Innanzitutto, sappiamo che la velocità della luce non è infinita: nel vuoto vale 299 792,458 km/s. Ciò significa che quanto più una stella è lontana, tanto più la vediamo indietro nel tempo. Ad esempio, vediamo Alfa Centauri come era poco più di quattro anni fa, Vega 26 anni fa, Deneb almeno 1600 anni fa… Il cielo stellato è dunque un caleidoscopio di tempi diversi!

Non tutto si espande, nell’universo

L’espansione metrica dello spazio è l’aumento medio della distanza metrica (cioè misurata) tra due oggetti nell’universo al variare del tempo. Questa è un’espansione intrinseca, cioè è definita dalla relativa separazione delle regioni dell’universo e non dal movimento esterno in uno spazio preesistente.
L’espansione è una caratteristica fondamentale della teoria del Big Bang ed è stata espressa matematicamente con la metrica di Friedmann – Lemaître – Robertson – Walker, un modello valido nell’epoca attuale solo su scale relativamente ampie, ovvero all’incirca sulla scala dei superammassi galattici e oltre (nella foto in basso a destra l’ammasso Abell 2218, distante due miliardi di anni luce).

Su scale minori (ad esempio al livello del nostro universo locale) la materia si è agglomerata sotto l’influenza dell’attrazione gravitazionale e questi agglomerati non si espandono singolarmente (una galassia, infatti, non si espande!), anche se continuano ad allontanarsi gli uni dagli altri.

L’espansione attuale è stata causata dalle condizioni iniziali dell’universo. In un primo tempo la velocità di espansione è diminuita, a causa della gravità esercitata dalla materia che aveva una densità molto elevata; in un secondo tempo la velocità di espansione ha cominciato ad accelerare a causa del predominio di una forza repulsiva di cui non si conosce ancora esattamente la natura.
Se questa forza è descritta da una costante cosmologica, allora l’accelerazione continuerà in futuro e l’espansione non avrà mai fine.

Notiamo anche che questi tempi espressi in anni coincidono per definizione con le distanze rispettive delle stelle espresse in anni-luce: infatti l’anno-luce è la distanza che la luce percorre in un anno e vale circa 9500 miliardi di chilometri. Dire che vediamo Vega com’era 26 anni fa significa dunque che la stella si trova a 26 anni-luce di distanza.

Lo stesso discorso si può fare per le galassie vicine, quelle che appartengono al nostro Gruppo Locale, e che sono legate fra loro dalla mutua attrazione gravitazionale: la galassia di Andromeda (per inciso, l’oggetto più lontano che si possa vedere a occhio nudo) è situata a poco meno di due milioni e mezzo di anni-luce, ed è dunque vista com’era due milioni e mezzo di anni fa. Per quanto riguarda le galassie più lontane il discorso però si complica: non vale più la semplice equivalenza “anni indietro nel tempo = distanza in anni-luce”. Infatti da quando il nostro Universo è nato, 13,7 miliardi di anni fa (il momento del Big Bang), lo spazio si sta espandendo: le galassie che non appartengono agli stessi gruppi o ammassi si allontanano le une dalle altre, e la velocità con cui si allontanano è proporzionale alla loro distanza (legge di Hubble). La luce partita da una galassia lontana si trova dunque a viaggiare in uno spazio che si espande: quando finalmente giunge a noi la distanza attuale della galassia da cui è partita è molto maggiore di quella iniziale. Ad esempio, galassie che vediamo come erano 10 miliardi di anni fa, si trovano attualmente a una distanza non di 10 ma di 16 miliardi di anni-luce.

Notiamo inoltre che l’estensione dell’universo visibile varia col tempo. Se l’espansione stesse rallentando, col passare del tempo riceveremmo via via la luce di oggetti sempre più lontani: l’Universo visibile aumenterebbe. Ma oggi sappiamo che l’espansione sta accelerando e, se così sarà anche in futuro, allora la luce degli oggetti lontani non riuscirà più a raggiungerci: col passare del tempo scompariranno dalla nostra vista prima le galassie più lontane, poi via via quelle sempre più vicine, finché in un lontano futuro saranno visibili solo le galassie entro qualche milione di anni-luce.

Il diametro dell’universo è di…

La cosmologia moderna ha le sue basi nella relatività generale, dove le misure di spazio e tempo sono delicate e fonte di equivoci persino fra specialisti. Non deve stupire dunque che si trovino in articoli e libri di testo interpretazioni differenti ed alcuni errori, che riguardano anche la definizione delle dimensioni dell’universo. In questa scheda ne riportiamo alcuni, accompagnati da un breve commento.

…13,7 miliardi di anni luce

Scorretto. Questo valore indica in realtà l’età dell’Universo: non è né il diametro né il raggio dell’universo. L’età dell’universo coinciderebbe con il suo raggio soltanto se non esistesse l’espansione cosmologica. Come abbiamo spiegato, mentre la luce si propaga da una galassia all’altra la separazione fra le galassie aumenta: così in un intervallo di tempo di 13,7 miliardi di anni la luce percorre 46,5 miliardi di anni-luce. Questa distanza costituisce l’orizzonte e definisce l’universo visibile o osservabile.

…15,8 miliardi di anni luce

Scorretto. Questa dimensione è stata ottenuta allo stesso modo della precedente, ma partendo da un’errata età dell’Universo riportata nella stampa non specializzata della metà del 2006 .

…27,4 miliardi di anni luce

Scorretto. Un diametro ottenuto moltiplicando per due il valore di 13,7 miliardi di anni luce, creduto essere il raggio dell’universo.

…78 miliardi di anni luce

Questo è un valore corretto, ma bisognerebbe specificare che si riferisce al limite inferiore per il diametro dell’intero universo, basato sulla analisi della mappa della radiazione cosmica di fondo.

Se l’intero Universo fosse più piccolo di questa sfera, allora la luce avrebbe avuto il tempo di circumnavigarlo dal big bang a oggi, creando multiple immagini che si mostrerebbero come tracce circolari nella radiazione cosmica di fondo.

Neil Cornish, della Montana State University ha cercato questo effetto fino a una scala equivalente a una distanza di 78 miliardi di anni luce senza però riuscire a trovarlo. Gli autori hanno anche previsto che con “minor rumore e mappe CMB a più alta risoluzione (grazie all’estensione della missione WMAP’s e alla sonda Plank), saremo in grado di cercare cerchi ancora più piccoli fino a portare il limite a circa 91 miliardi di anni luce)”. C’è però da notare che anche con dati al massimo della risoluzione teorica, tale valore potrebbe solo arrivare a pareggiare il diametro dell’universo osservabile, pari a 93 miliardi di anni luce.

…156 miliardi di anni luce

Scorretto. Questa cifra è stata ottenuta moltiplicando per due il valore corretto di 78 miliardi di anni-luce, evidentemente scambiato per il raggio. Cifra largamente riportata da numerose fonti.

…180 miliardi di anni luce

Scorretto. Questa stima si accompagnava, in alcune fonti, a un’età dell’universo di 15,8 miliardi di anni; venne calcolata aggiungendo il 15% alla cifra (errata) di 156 miliardi di anni luce del punto precedente.

 

 

Il fatto che la velocità della luce sia finita e che l’universo abbia un’età finita ha una conseguenza importante: non possiamo osservare arbitrariamente lontano. Questo perché possiamo osservare soltanto quegli oggetti la cui distanza ha potuto essere percorsa dalla luce entro il tempo trascorso da quando il nostro universo è nato, ovvero in meno di 13,7 miliardi di anni; invece la luce emessa da oggetti più lontani non ha ancora avuto il tempo di raggiungerci. Perciò l’universo visibile (detto anche universo osservabile) rimane limitato; ma non dobbiamo confonderlo con l’universo nel suo complesso. In effetti se è vero che, nei primi istanti di vita, l’universo ha subito un’accelerazione enorme e lo spazio si è dilatato a dismisura (è la cosiddetta epoca dell’inflazione), allora l’universo, se non infinito, deve essere comunque enormemente più grande di quel che possiamo osservare.

È bene ribadire che la dimensione dell’Universo osservabile NON dipende dalle capacità tecnologiche impiegate, ma è da intendere come un limite fisico indipendente da qualsiasi progresso in campo osservativo.

Ma se l’Universo che possiamo osservare è limitato, come possiamo sapere quanto è davvero grande l’Universo?

Una possibilità c’è, ma per arrivarci dobbiamo affidarci alla teoria, e soprattutto è necessario prima faticare su certi concetti non proprio intuitivi.

Entra in gioco la geometria dello spazio

Universo
Un esperimento importantissimo, decisivo nel discriminare la reale geometria dell’universo, fu quello del BOOMERanG, che nel 2000 ha misurato la radiazione cosmica di fondo tramite tre voli sub-orbitali di un pallone di alta quota. Nell’illustrazione, l’immagine rilevata dal BOOMERanG (parte superiore della figura) è confrontata con le simulazioni al computer corrispondenti ai tre modelli geometrici dell’universo: a geometria sferica (al centro a sinistra), “piatta” (al centro) e iperbolica (a destra). Come si può notare, la disposizione e la grandezza delle anisotropie locali è in ottima corrispondenza con quella simulata nella figura B, dove viene descritto un universo “piatto”, a geometria euclidea. La dimensione angolare delle anisotropie osservate dipende infatti da quale curvatura viene attribuita all’universo (parte inferiore dell’illustrazione).

È risaputo che si possono concepire spazi nei quali le normali proprietà della geometria euclidea non valgono più. Ad esempio, la somma degli angoli interni di un triangolo vale 180 gradi, ma solo se questo triangolo è disegnato su un piano, mentre se è disegnato sulla superficie di una sfera la somma degli angoli interni vale più di 180 gradi. Questi spazi sono però rimasti nel regno della matematica, finché con la relatività generale Einstein non ha legato la geometria dello spazio alla distribuzione di materia ed energia. In particolare, se supponiamo che nell’universo materia ed energia siano distribuite uniformemente (il che dovrebbe essere vero a grande scala), la geometria dello spazio dipende unicamente dal valore della densità di materia ed energia.

Se la densità supera un valore critico, la gravità “chiude” lo spazio, che ha un volume finito ma senza limiti. Non potendo visualizzare uno spazio curvo a 3 dimensioni, dobbiamo ricorrere all’analogia bidimensionale della superficie di una sfera, che è finita ma illimitata: in un Universo chiuso, partendo dalla Terra e viaggiando sempre nella stessa direzione ci ritroveremmo alla fine nuovamente sulla Terra!

Se la densità ha invece esattamente il valore critico, allora lo spazio è infinito e valgono le normali regole della geometria euclidea: il suo analogo in due dimensioni è la superficie di un piano.

Se infine la densità è inferiore al valore critico, lo spazio è infinito ma non valgono più le regole della geometria euclidea e la sua rappresentazione in due dimensioni è un po’ più complicata (ha la forma di una sella).

Gli astronomi per numerosi decenni hanno tentato di fare l’inventario della quantità di materia ed energia presente nell’universo e sapere così qual è la geometria dell’universo. Però quello che era un compito già difficile si è rivelato via via sempre più complicato (e anche molto più interessante!).

Infatti non basta contare le stelle e le galassie: una grande quantità di materia è presente sotto forma di gas e non emette luce nel visibile ma ad altre frequenze, spesso osservabili solo dallo spazio. Inoltre gli astronomi hanno scoperto che la materia visibile rappresenta solo una minima parte di quella presente nell’universo: ne esiste una forma nuova, la materia oscura, che non si manifesta in alcun modo se non attraverso i suoi effetti gravitazionali. Infine da una decina d’anni sappiamo che su tutto domina una misteriosa forma di energia repulsiva, che è la causa dell’attuale accelerazione dell’espansione.

L’universo come un videogame

Il discorso non finisce qui: infatti la relatività generale ci permette di stabilire la curvatura dell’universo, ma non ci dice nulla della sua geometria globale, ovvero di quella che i matematici chiamano la topologia dello spazio.
Di che si tratta? Molti lettori ricorderranno il classico videogioco “Asteroids”: il giocatore guida una piccola astronave che deve distruggere o evitare grossi asteroidi che arrivano via via più veloci e numerosi. I movimenti avvengono sullo spazio bidimensionale dello schermo e il giocatore vede l’astronave dall’esterno. Una particolarità è che i bordi dello schermo non sono invalicabili: sia l’astronave che gli asteroidi, superando il bordo superiore, ricompaiono dal bordo inferiore, o superando il bordo sinistro ricompaiono da quello destro. Ma se vivessimo nell’Universo di Asteroids, ovvero fossimo creature bidimensionali nello schermo, allora non vedremmo alcun bordo. Avremmo invece l’illusione di uno spazio che si estende all’infinito intorno a noi e osservando con attenzione sufficientemente lontano vedremmo immagini ripetute del nostro mondo, con gli stessi oggetti e noi stessi, ripetuti a intervalli regolari. L’Universo di Asteroids ha una geometria “piana”, non curva (la somma degli angoli interni di un triangolo vale sempre 180 gradi), eppure non ha le proprietà normali di un piano che si estende all’infinito: è quello che i matematici chiamano un “toro”, ed è solo un semplice esempio di spazio “multiconnesso”, ovvero “finito”. Ma può lo spazio in cui viviamo avere proprietà analoghe e se sì, come possiamo stabilire che tipo di spazio è?

Il metodo più semplice sarebbe quello di osservare sempre più lontano e cercare di scoprire se a intervalli regolari si vedono immagini duplicate delle stesse galassie, ma la cosa non è di fatto praticabile (lo sarebbe se l’universo fosse molto piccolo), anche se sono comunque stati applicati metodi più sofisticati (detti di “cristallografia cosmica”) nell’analisi della distribuzione delle galassie e degli ammassi, con risultati negativi. Ma la possibile indicazione che lo spazio possa essere multiconnesso è venuta dalla radiazione cosmica di fondo. Essa presenta infatti un’anomalia: le fluttuazioni di temperatura sulle scale più grandi sono significativamente meno forti di quanto previsto dalla teoria.

Nel 2003, in una lettera pubblicata sulla celebre rivista Nature, un gruppo guidato dall’astrofisico francese Jean-Pierre Luminet e dal matematico americano Jeffrey Weeks ha mostrato che questa anomalia potrebbe essere una conseguenza del fatto che il volume dell’Universo è finito e troppo piccolo per poter contenere fluttuazioni a più grande scala, ed è riuscito a riprodurre le osservazioni supponendo che l’universo sia fatto come uno spazio dodecaedrico di Poincaré.

Ma come è fatto questo spazio? Ha ovviamente la forma di un dodecaedro (un solido con dodici facce pentagonali), e quando si attraversa una delle facce si rientra in quella opposta (analogamente al gioco Asteroids).

In realtà c’è una complicazione, nel senso che non è un dodecaedro euclideo ma sferico; le immagini adiacenti del dodecaedro sferico riempiono completamente un’ipersfera (una sfera nelle quattro dimensioni). È in effetti una cosa un po’ complicata e non visualizzabile in tre dimensioni, ma per fortuna possiamo ricorrere alla solita analogia a due dimensioni. Abbiamo allora una superficie sferica ricoperta da pentagoni: da qui la metafora del pallone da calcio, usatissima dai media per presentare la notizia.

Universo
Poco dopo la presentazione del modello a pallone di calcio, nel 2004 il tedesco Frank Steiner dell’Università di Ulm ne ha proposto uno ancora più strano chiamato “il corno di Picard”, da un’idea di universo iperbolico teorizzata da Henry Picard nel 1884. La forma assomiglia stavolta a quella di un imbuto, con il gambo che diventa sempre più stretto fino ad allungarsi all’infinito…ma così stretto che alla fine il volume totale dell’imbuto (e quindi dell’universo) è comunque finito! Ed essendo finito è anche un universo multiconnesso, per cui anche anche in questo caso vale la geometria degli “Asteroids” e qualsiasi oggetto che uscisse da un bordo rientrerebbe dall’altro. La curvatura dello spazio stavolta non sarebbe positiva come nel dodecaedro di Poincaré, ma negativa.

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La possibilità di un Universo multiconnesso può piacere o meno (a me per la verità suscita una certa claustrofobia) però è davvero affascinante; il problema è che si basa su un’anomalia che può avere spiegazioni alternative più semplici. Effettivamente in un articolo pubblicato quest’anno, dove sono analizzati i dati ottenuti in 7 anni di osservazione dal satellite americano WMAP, gli autori concludono che l’anomalia è statisticamente compatibile con le predizioni teoriche.

C’è in realtà un altro metodo che permetterebbe di avere la prova che il nostro spazio è multiconnesso: infatti, a seconda del tipo di forma dello spazio, dovremmo poter osservare sulla mappa di temperatura della radiazione di fondo delle tracce caratteristiche che riflettono la periodicità dello spazio, sotto forma di coppie di cerchi. L’analisi è delicata e controversa; per il momento, comunque, si può affermare che questi cerchi non sono stati trovati. Dunque se lo spazio ha una geometria multiconnessa, le dimensioni dell’universo devono essere così grandi che noi non siamo in grado di rivelarla.

La risposta

Ma allora quale risposta possiamo dare alla domanda: quanto è grande l’Universo?

Se ci limitiamo all’Universo visibile, ovvero a ciò che in linea di principio possiamo osservare, allora la risposta è quasi banale dato che la stessa Relatività generale ci dice che tenendo conto dell’espansione e della velocità con cui si propaga la luce, la distanza dell’orizzonte cosmologico è di circa 46,5 miliardi di anni luce, tanta infatti è la distanza che la luce ha percorso in un tempo pari all’età dell’Universo.

In altre parole, l’Universo a cui abbiamo o potremo teoricamente avere accesso in futuro ha un diametro di 93 miliardi di anni luce: un valore enorme e inconcepibile per mancanza di termini di paragone.Non possiamo invece sapere quali sono le dimensioni dell’Universo reale, che include anche tutto ciò che non possiamo e probabilmente non potremo mai osservare. Sulla base del fatto che non sono state trovate le tracce di uno spazio multiconnesso nella radiazione cosmica di fondo, tutto ciò che si può fare è stimare che il diametro minimo dell’universo reale debba valere almeno 78 miliardi di anni-luce, ovviamente un valore del tutto sottodimensionato dato che risulta ancora più piccolo di quello dell’universo osservabile…

Il fatto è – l’abbiamo detto poco sopra – che proprio a causa dei limiti teorici imposti dal concetto di “orizzonte cosmologico”, nessuna informazione ci può arrivare atta a farci superare il limite dei 93 miliardi di anni luce.

Ed è comunque probabile che l’Universo reale sia enormemente più grande dei valori che abbiamo menzionato, tanto che se anche lo spazio fosse davvero multiconnesso, le sue immagini replicate si troverebbero probabilmente molto al di là del limite dell’universo visibile. Possiamo dunque concludere che lo spazio o è infinito o, a tutti i fini pratici, può essere considerato infinito.

E se poi non fosse infinito, ma solo immensamente grande, non si può escludere che vi siano altri universi… ma questa, quella dei multiversi, è ovviamente un’altra storia.


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L’Astronomia dalle origini ad oggi

immagine simbolica astronomia
Crediti: NASA, ESA, Joseph Olmsted (STScI)

L’Alba dell’Astronomia: Uno Sguardo alle Origini Celesti

Introduzione

L’astronomia, una delle più antiche scienze, ha affascinato l’umanità fin dall’alba dei tempi. La necessità di comprendere i cicli diurni e stagionali, per motivi pratici e religiosi, ha portato all’osservazione sistematica del cielo e alla nascita dell’astronomia come disciplina scientifica.

L’Origine dello Studio del Cielo

Le prime civiltà osservarono il cielo per orientarsi, per misurare il tempo e per pianificare le attività agricole. Monumenti come Stonehenge testimoniano l’importanza dei corpi celesti nella vita quotidiana dei popoli antichi.

La Nascita della Scienza

L’astronomia si distaccò dall’astrologia con l’avvento del metodo scientifico. La creazione di calendari e la comprensione dei “meccanismi celesti” furono i primi passi verso una scienza sistematica del cielo.

Le Principali Scoperte dei Popoli Antichi

I popoli antichi svilupparono conoscenze astronomiche indipendenti, che includevano:

  • La misurazione del tempo basata su lunazioni e solstizi.
  • L’orientamento attraverso la posizione delle stelle e dei pianeti.
  • La creazione di costellazioni basate su miti e leggende.

astronomia archeastronomia
La sovrapposizione delle tre piramidi con tre stelle richiede di poter ruotare e dilatare una delle due mappe, in questo modo si può sempre giungere alla sovrapposizione di due apici pramidali con due stelle. La precisione con cui si sovrappone la terza piramide consente di calcolare la probabilità di un evento casuale di Alberto Cora

L’Evoluzione dell’Astronomia

Con l’invenzione del telescopio, l’astronomia si è evoluta da una pratica osservativa a una scienza esatta, permettendo scoperte rivoluzionarie come le leggi del moto planetario e la struttura dell’universo.

Per saperne di più sulla storia dell’astronomia segui ARCHEOASTRONOMIA

Astronome e Astronomi influenti nel passato

  1. Galileo Galilei (1564-1642)
    • Scoperte: Satelliti di Giove, fasi di Venere, macchie solari.
    • Biografia: Galileo è considerato il padre dell’astronomia moderna. Ha rivoluzionato l’uso del telescopio per l’osservazione celeste e ha sostenuto il modello eliocentrico di Copernico.
  1. Nicolaus Copernicus (1473-1543)
    • Scoperte: Modello eliocentrico del Sistema Solare.
    • Biografia: Astronomo polacco, la sua opera “De revolutionibus orbium coelestium” ha segnato l’inizio della Rivoluzione Astronomica.
  1. Johannes Kepler (1571-1630)
    • Scoperte: Leggi del moto planetario.
    • Biografia: Astronomo tedesco, le sue leggi hanno descritto per la prima volta le orbite ellittiche dei pianeti.
  1. Claudio Tolomeo (100 d.C. circa – 170 d.C. circa)
    • Scoperte: Sistema geocentrico, Almagesto.
    • Biografia: Astronomo e geografo dell’antico Egitto, Tolomeo ha influenzato l’astronomia per oltre mille anni con il suo modello geocentrico.
  1. Tycho Brahe (1546-1601)
    • Scoperte: Osservazioni precise delle stelle e dei pianeti.
    • Biografia: Astronomo danese, le sue osservazioni accurate hanno fornito la base per le leggi di Kepler.
  1. Edwin Hubble (1889-1953)
    • Scoperte: Espansione dell’universo, classificazione delle galassie.
    • Biografia: Astronomo americano, la legge di Hubble ha rivelato che l’universo si sta espandendo
  1. Caroline Herschel (1750-1848)
    • Scoperte: Comete, nebulose.
    • Biografia: Astronoma tedesca naturalizzata britannica, fu la prima donna a ricevere un salario per il suo lavoro scientifico.
  1. Carl Sagan (1934-1996)
    • Scoperte: Contributi alla comprensione delle atmosfere planetarie, esobiologia.
    • Biografia: Astronomo americano, divulgatore scientifico, autore di “Cosmos” e promotore della ricerca di vita extraterrestre.
  1. Hipparchus (190 a.C. circa – 120 a.C. circa)
    • Scoperte: Precessione degli equinozi, catalogo stellare.
    • Biografia: Astronomo greco antico, considerato uno dei più grandi astronomi dell’antichità.
  1. Henrietta Swan Leavitt (1868-1921)
    • Scoperte: Relazione periodo-luminosità delle Cefeidi.
    • Biografia: Astronoma americana, il suo lavoro sulle stelle variabili Cefeidi ha permesso di misurare le distanze intergalattiche.

Vita da Astronomo

Essere un astronomo oggi significa dedicarsi allo studio dell’universo e dei suoi fenomeni. Gli astronomi osservano e analizzano corpi celesti come stelle, pianeti, galassie e nebulose per comprendere la loro origine, struttura, evoluzione e posizione. Utilizzano una vasta gamma di strumenti, dai telescopi terrestri ai satelliti in orbita, per raccogliere dati su tutto lo spettro elettromagnetico.

Le attività principali di un astronomo includono:

  • Osservazione: Utilizzo di telescopi e altri strumenti per raccogliere dati astronomici.
  • Analisi: Elaborazione e interpretazione dei dati raccolti per comprendere meglio i processi fisici e chimici dell’universo.
  • Ricerca: Conduzione di studi scientifici per scoprire nuovi pianeti, galassie o fenomeni celesti.
  • Sviluppo di Modelli: Creazione di modelli teorici per spiegare i fenomeni osservati.
  • Pubblicazione: Redazione di articoli scientifici per condividere scoperte e progressi nel campo.

Un ricercatore in astronomia si occupa di:

  • Creare Nuove Ipotesi: Formulare nuove teorie sull’universo e i suoi componenti.
  • Sviluppare Proposte: Ideare progetti di ricerca innovativi.
  • Conduzione di Ricerche Specifiche: Investigare argomenti particolari, come la formazione delle stelle o l’individuazione di pianeti extrasolari.
  • Utilizzo di Attrezzature Specializzate: Impiego di telescopi avanzati e telecamere satellitari per l’osservazione spaziale.
  • Redazione di Documenti di Ricerca: Sintetizzare i risultati delle ricerche in documenti scientifici.

L’astronomia è una disciplina in continua evoluzione, e gli astronomi sono spesso al confine tra la conoscenza attuale e l’esplorazione dell’ignoto, contribuendo significativamente alla nostra comprensione dell’universo e del nostro posto in esso.

Le discipline dell’Astronomia

L’astronomia è un campo vasto e multidisciplinare che si estende oltre lo studio degli oggetti celesti per includere diverse sotto-discipline, ognuna con il proprio focus unico. Ecco una panoramica di alcune delle principali discipline dell’astronomia:

Cosmologia: È lo studio dell’universo nel suo insieme, comprese le sue origini, la sua struttura a grande scala, l’evoluzione e il destino finale. La cosmologia cerca di rispondere a domande fondamentali sull’universo e utilizza teorie come il Big Bang e l’inflazione cosmica per spiegare le osservazioni astronomiche.

Astrofisica: Questa disciplina si concentra sulle proprietà fisiche degli oggetti celesti e sui fenomeni che avvengono nello spazio. L’astrofisica applica le leggi della fisica e della chimica per studiare stelle, galassie, buchi neri e altri fenomeni cosmici.

Geologia Planetaria: Anche nota come esogeologia, si occupa dello studio della composizione, formazione ed evoluzione geologica dei corpi celesti come pianeti, lune, asteroidi, comete e meteoriti. Gli scienziati in questo campo esaminano le superfici planetarie e i processi geologici che le hanno modellate.

Astrobiologia: È lo studio dell’origine, evoluzione e distribuzione della vita nell’universo. L’astrobiologia esplora la possibilità di vita al di fuori della Terra e cerca di comprendere le condizioni necessarie per la vita come la conosciamo.

Astrochimica: Si occupa dello studio degli elementi chimici nello spazio, in particolare nelle nubi di gas molecolare. L’astrochimica esamina la formazione, l’accrescimento, l’interazione e la distruzione di questi elementi e molecole nello spazio interstellare.

Archeoastronomia: Questa disciplina combina l’astronomia con l’archeologia per studiare come gli antichi popoli comprendevano e utilizzavano i fenomeni celesti. L’archeoastronomia può rivelare molto sulle credenze e le pratiche culturali legate al cielo degli antichi.

Ingegneria Spaziale: È il campo dell’ingegneria che si occupa della progettazione, dello sviluppo, dei test e della gestione di missioni spaziali e dei relativi veicoli, come satelliti e navicelle spaziali. Gli ingegneri spaziali lavorano su tecnologie che permettono l’esplorazione e l’utilizzo dello spazio.

Ognuna di queste discipline contribuisce a una comprensione più completa dell’universo e del nostro posto in esso, fornendo conoscenze che spaziano dalla fisica fondamentale alla possibilità di vita oltre la Terra.

Dove e cosa studiare Astronomia

Oggi, per studiare astronomia o astrofisica, ci sono diverse università e istituti che offrono programmi di studio dedicati. In Italia, ad esempio, l’Università degli Studi di Padova offre un corso di laurea triennale in Astronomia e Astrofisica e un corso di laurea magistrale in Astrofisica1. Anche l’Università degli Studi di Bologna propone un corso di laurea triennale in Fisica e Astrofisica e un corso di laurea magistrale in Astrofisica.

Il percorso per diventare astronomo generalmente inizia con una laurea triennale in Astronomia o Fisica, che fornisce le basi matematiche e fisiche necessarie. Dopo la laurea triennale, si prosegue con una laurea magistrale di due anni in Astrofisica o Cosmologia, che approfondisce ulteriormente la conoscenza e le competenze specifiche nel campo. Infine, per entrare nel mondo della ricerca e diventare un astronomo professionista, è necessario conseguire un dottorato di ricerca in Astronomia, che di solito ha una durata di tre anni.

Durante il percorso di studi, è importante acquisire esperienza pratica attraverso stage, progetti di ricerca e lavorando in osservatori o laboratori astronomici. Questo aiuta a sviluppare competenze tecniche e di ricerca indispensabili per la carriera di astronomo.

 

Il Sistema Solare: nozioni fondamentali

sistema solare NASA
Crediti: NASA

Formazione

Il Sistema Solare si è formato circa 4,6 miliardi di anni fa dalla contrazione gravitazionale di una nube molecolare gigante. Il processo ha portato alla formazione di un disco protoplanetario da cui sono emersi il Sole e i corpi celesti.

Composizione

Il Sistema Solare è composto dal Sole, una stella di tipo G2V, una nana gialla ancora nella sua fase di stabilità, e da una miriade di oggetti che includono pianeti, lune, asteroidi, comete, e la polvere interplanetaria.

Sole al centro del Sistema Solaredi Fabio Giordano
Sole di Fabio Giordano

Oggetti che compongono il Sistema Solare

Gli oggetti principali del Sistema Solare sono:

  1. Pianeti: Corpi celesti in orbita attorno al Sole che sono abbastanza massicci da essere resi sferici dalla propria gravità e hanno pulito le vicinanze della propria orbita.
  2. Satelliti Naturali: Corpi che orbitano attorno ai pianeti, comunemente noti come lune.
  3. Asteroidi: Piccoli corpi rocciosi che orbitano principalmente nella cintura di asteroidi tra Marte e Giove.
  4. Comete: Corpi ghiacciati che sviluppano un’atmosfera (coma) e una coda quando si avvicinano al Sole.
  5. Meteoroidi: Piccoli frammenti di asteroidi o comete.
  6. Polvere Interplanetaria: Particelle minuscole lasciate da comete e collisioni tra asteroidi.

Elenco e Descrizione dei Pianeti

  1. Mercurio: Il più piccolo e interno dei pianeti, noto per le sue estreme variazioni di temperatura.
  2. Venere: Simile in dimensioni e composizione alla Terra, ma con un’atmosfera densa e tossica.
  3. Terra: L’unico pianeta noto per sostenere la vita, con un’atmosfera ricca di ossigeno e acqua liquida in superficie.
  4. Marte: Il “pianeta rosso”, famoso per il suo terreno desertico e la possibilità di acqua passata.
  5. Giove: Il gigante gassoso più grande, con una famosa Grande Macchia Rossa, una tempesta gigante.
  6. Saturno: Notabile per i suoi spettacolari anelli, è un altro gigante gassoso.
  7. Urano: Un gigante ghiacciato con un asse di rotazione estremamente inclinato.
  8. Nettuno: Simile a Urano, noto per i forti venti e la tempesta chiamata Grande Macchia Scura.

La Fascia di Kuiper

La Fascia di Kuiper è una regione del Sistema Solare esterna all’orbita di Nettuno, popolata da corpi ghiacciati, tra cui i pianeti nani come Plutone. Gli oggetti della Fascia di Kuiper sono residui della formazione del Sistema Solare.

Le Comete

Le comete sono corpi celesti composti principalmente da ghiaccio, polvere e roccia. Quando si avvicinano al Sole, il calore lo fa evaporare, creando una caratteristica coda luminosa.

Cometa del sistema solare 12P-Pons Brooksdi Vincenzo Mirabella
Cometa 12P-Pons Brooks di Vincenzo Mirabella

I Pianeti Nani

I pianeti nani sono corpi celesti che non hanno pulito l’area attorno alla propria orbita. I primi cinque per grandezza sono:

  1. Plutone
  2. Eris
  3. Haumea
  4. Makemake
  5. Gonggong

Composizione dello Spazio Interplanetario

Lo spazio interplanetario è composto principalmente da vuoto, con la presenza di polvere cosmica, radiazione solare, e campi magnetici.

Curiosità

Il Sistema Planetario più Vicino Il sistema planetario più vicino al nostro è quello di Alpha Centauri, a circa 4,37 anni luce di distanza.

Scienziati Determinanti per la Comprensione del Sistema Solare Tra gli scienziati che hanno contribuito significativamente alla comprensione del Sistema Solare ci sono:

  1. Nicolaus Copernicus: Propose il modello eliocentrico.
  2. Galileo Galilei: Utilizzò il telescopio per osservazioni che supportavano l’eliocentrismo.
  3. Johannes Kepler: Formulò le leggi del moto planetario.
  4. Isaac Newton: Definì la legge di gravitazione universale.
  5. Edwin Hubble: Dimostrò l’esistenza di altre galassie oltre la Via Lattea.

Dati Significativi

Ecco alcuni dati rilevanti sul nostro affascinante Sistema Solare:

Dimensioni del Sistema Solare

  • L’estensione complessiva del Sistema Solare è di circa 6 miliardi di chilometri, pari a circa 39 unità astronomiche (UA). Un’UA è la distanza media tra la Terra e il Sole, che corrisponde a circa 150.000.000 km.
  • Tuttavia, i corpi celesti che compongono il Sistema Solare occupano in realtà un volume molto piccolo rispetto alle dimensioni complessive.

Età del Sistema Solare

  • Il Sistema Solare si è formato circa 4,6 miliardi di anni fa da una gigantesca nube di gas e polveri interstellari, nota come nebulosa solare.
  • La teoria più accettata sulla formazione del Sistema Solare prevede che la gravità abbia iniziato a comprimere la materia all’interno della nebulosa, formando una massa centrale che sarebbe poi diventata il Sole. Intorno al Sole, i materiali si sono successivamente aggregati per formare i pianeti, le lune, gli asteroidi e le comete.

Posizione

  • Il Sistema Solare è situato nella Via Lattea, una galassia a spirale.
  • Si trova nel Braccio di Orione, uno dei bracci a spirale della Via Lattea, a circa 27.000 anni luce dal centro galattico.
  • La velocità media del Sistema Solare rispetto al centro della Via Lattea è di circa 828.000 chilometri all’ora.

News da Marte #28: Perseverance Ingenuity

News da Marte #28: Perseverance Ingenuity

Bentornati su Marte!

In questo 28esimo appuntamento della rubrica continuiamo a seguire le esplorazioni di Perseverance nel cratere Jezero con tantissime immagini e vari dettagli tecnici. C’è anche qualche nuova fotografia scattata a Ingenuity e uno sviluppo sulla missione dell’elicotterino. Si parte!

Riprendiamo il filo

A fine marzo abbiamo lasciato Perseverance nei pressi della roccia Bunsen Peak da cui aveva estratto pochi giorni prima il carotaggio denominato Comet Geyser, il suo 21esimo campione roccioso nonché 24esimo in totale. Altre due fiale sono state riempite di regolite nell’ottobre 2022 (vedi News da Marte #6) e una contiene dell’atmosfera marziana.
Anche il nome Comet Geyser deriva da un’attrazione del Parco di Yellowstone così come Bunsen Peak fa riferimento all’omonima montagna di 2610 metri all’interno del parco.

News da Marte #28: Perseverance Ingenuity
Bunsen Peak ripresa dalla Left NavCam, Sol 1088. NASA/JPL-Caltech

Gli scienziati guardano con molto interesse a questa roccia. Le analisi svolte sembrano infatti suggerire che il campione Comet Geyser sia composto principalmente da due minerali: carbonato e silice. Entrambi sono materiali con ottime potenzialità per la conservazione delle biosignature, antichi segni di vita batterica, e preservano inoltre le tracce delle condizioni ambientali in cui si sono formati. La scoperta di carbonato in Bunsen Peak offre preziose indicazioni sul passato del cratere Jezero. Questo composto, insieme alla presenza di silice, suggerisce un ambiente in cui acqua, biossido di carbonio e altri elementi chimici hanno reagito con le rocce circostanti, formando questi minerali. L’analisi di tali composti può fornire importanti informazioni sul clima passato e sulla possibilità di vita antica su Marte.

La conservazione di biosignature in carbonato e silice è un fenomeno noto anche sulla Terra, dove queste rocce possono preservare tracce di vita per milioni, se non miliardi, di anni. Alcune delle prove più antiche di vita sulla Terra provengono proprio da rocce contenenti frammenti di cellule microbiche, fossilizzate nel corso del tempo grazie all’azione della silice. Di conseguenza, le rocce contenenti questi minerali sono considerate di vitale importanza per comprendere se Marte abbia mai ospitato vita batterica.

Il rover torna in marcia

Otto giorni dopo le ultime osservazioni su Bunsen Peak Perseverance ha ripreso a muoversi verso ovest senza attraversare l’antico canale sabbioso denominato Neretva Vallis bensì costeggiandolo da sud.

Il Sol 1110 di missione (4 aprile) Perseverance scatta una serie di foto rivolto verso nord con le sue camere zoom.

News da Marte #28: Perseverance Ingenuity
Posizione di Perseverance nel Sol 1110. NASA/JPL-Caltech

Nell’ampia panoramica di 24 immagini inquadra ancora il suo compagno, l’elicottero Ingenuity, svelando nuovi dettagli sul problema fatale occorso a quest’ultimo il 18 gennaio.

News da Marte #28: Perseverance Ingenuity
Panoramica acquisita da Perseverance nel Sol 1110. NASA/JPL-Caltech/MSSS/Piras

News da Marte #28: Perseverance Ingenuity
Zoom del panorama. NASA/JPL-Caltech/MSSS/Piras

Grazie allo spostamento verso ovest, Perseverance è ora in grado di scorgere il versante nascosto della duna di Valinor Hills (nome dato al luogo dove Ingenuity è atterrato al termine del suo 72esimo e ultimo volo) e nella sabbia scorgiamo le tracce lasciate dall’atterraggio violento dell’elicottero.

Nuovi dettagli svelati dalle foto del Sol 1110. NASA/JPL-Caltech/MSSS/Piras

Grazie all’interpolazione dell’immagine e un potente zoom, sul versante ovest della duna (ovvero a sinistra della foto) si scorgono nitidamente altri segni lasciati da Ingenuity come conseguenza del primo contatto con il terreno.

In qualche modo l’elicottero potrebbe poi essere “rimbalzato” sull’altro versante (le gambe di atterraggio sono connesse al corpo tramite delle lamelle di metallo che fungono da ammortizzatori) toccando nuovamente la sabbia e scivolando leggermente verso est come documentato in altre foto più dettagliate degli scorsi mesi. Vale infine la pena evidenziare che il pezzo dell’elica, quello scagliato a 15 metri di distanza dall’elicottero, ha cambiato posizione rispetto alla foto del 24 febbraio.

Sopra: immagine di Ingenuity scattata il 24 febbraio con il RMI SuperCam, NASA/JPL-Caltech/LANL/CNES/CNRS. Sotto: nuova foto del 4 aprile, NASA/JPL-Caltech/MSSS/Piras

Nonostante i venti su Marte siano solo delle leggerissime brezze a causa dell’atmosfera rarefatta, questo non dovrebbe sorprenderci del tutto in quanto l’elica pesa solo 18 grammi ed è pur sempre una superficie alare, studiata per reagire in modo efficace ai flussi d’aria.

Verso ovest

Successivamente al prelievo da Bunsen Peak Perseverance ha marciato verso ovest percorrendo in tutto circa 1285 metri in poco più di 50 Sol. Tutto il tragitto è mostrato nelle mappe elaborate dalla NASA e messe a disposizione della community di appassionati. Il marker rosso a destra indica la posizione in cui è stato eseguito il prelievo mentre la posizione di Perseverance (aggiornata al 18 maggio, Sol 1153) è il marker blu a sinistra.

1285 metri in circa 50 Sol non è una gran velocità per il rover, che ci ha abituati a spostamenti giornalieri di svariate centinaia di metri eseguiti grazie alle eccellenti abilità del suo sistema di navigazione autonoma.

Perseverance ha un computer specializzato nell’elaborazione in tempo reale delle immagini acquisite da vari dispositivi fotografici: ci sono le note NavCam, ospitate nella “testa” e quindi in posizione molto rialzata, ma anche le Hazard Avoidance Cameras montate nella parte bassa del rover (quattro anteriori e due posteriori) che osservano il terreno davanti e dietro. Questi input sono analizzati costantemente per mezzo di ricostruzioni stereo così da rilevare eventuali ostacoli e stimarne la pericolosità. Lo scopo finale è elaborare autonomamente il percorso per giungere nella destinazione programmata schivando grandi rocce o trappole di sabbia.

Questo software ha dimostrato nel tempo di lavorare incredibilmente bene ma la sua efficienza dipende dalle asperità del terreno affrontato, e andando a indagare nel dettaglio del percorso fedelmente riportato nella mappa scopriamo alcune occasioni in cui Perseverance sembra aver rinunciato ad andare avanti in attesa di istruzioni specifiche da parte dei tecnici.

Sono situazioni in cui appare che il rover abbia iniziato a girare in tondo, sia tornato indietro, abbia sterzato completamente per cercare una strada differente oppure, più semplicemente, si sia mosso di soli pochi metri. Lo vediamo qui in alcuni esempi che sono delle ottime scuse per ammirare paesaggi marziani mozzafiato: a causa di queste tappe forzate c’è stato il tempo per acquisire numerosi mosaici fotografici.

Sol 1106

Questo Sol il rover si è trovato di fronte a un’area disseminata di rocce che è stata probabilmente giudicata troppo pericolosa da attraversare. L’intervento dei piloti da Terra ha risolto l’impasse programmando una leggera deviazione verso destra per poi proseguire in direzione ovest.

Posizione nel Sol 1106

Sol 1106. NASA/JPL-Caltech/Piras

Sol 1107. NASA/JPL-Caltech/Piras

Sol 1108

In questo giorno Perseverance tenta alcune volte di avanzare, torna indietro e infine si arrende. Vediamo questa lotta nelle tracce lasciate sulla sabbia.

Posizione nel Sol 1108

NavCam, Sol 1108. NASA/JPL-Caltech/Piras

Visuale posteriore delle Rear HazCam, Sol 1108. NASA/JPL-Caltech/Piras

Mosaico della Right MastCamZ, Sol 1110. NASA/JPL-Caltech/MSSS/Piras

Mosaico della Left MastCamZ, Sol 1115. NASA/JPL-Caltech/MSSS/Piras

Mosaico della Right MastCamZ, Sol 1118. NASA/JPL-Caltech/MSSS/Piras

Mosaico della Left MastCamZ, Sol 1119. NASA/JPL-Caltech/MSSS/Piras

Sol 1122

Parecchie difficoltà per il rover che nell’arco di 10 Sol deve fare delle acrobazie per uscire da un terreno che presenta la doppia insidia di sabbia e rocce appuntite.

Tre marker point indicano le posizioni nei Sol 1122, 1129 e 1131

NavCam, Sol 1123. NASA/JPL-Caltech/Piras

NavCam, Sol 1124. NASA/JPL-Caltech/Piras

NavCam, Sol 1124. NASA/JPL-Caltech/Piras

NavCam, Sol 1129. NASA/JPL-Caltech/Piras

NavCam, Sol 1131. NASA/JPL-Caltech/Piras

Sol 1138

Un’altra piccola complicazione per Perseverance che si trova di fronte ad altre rocce insidiose e non sa come procedere. Da questo punto il rover gode di una incredibile visuale verso nord della sabbiosa Neretva Vallis, il letto prosciugato del fiume che scorreva qui miliardi di anni fa.

Posizione nel Sol 1138

Left NavCam rivolta a nord, Sol 1138. NASA/JPL-Caltech/Piras

Mosaico della Right MastCam-Z puntata verso sud, Sol 1139. La differente tonalità delle rocce in alto è dovuta a differenze di esposizione nelle foto originali. NASA/JPL-Caltech/MSSS/Piras

Da questa posizione c’è anche una piccola sorpresa fotografica. Il 3 maggio i tecnici programmano il rover per puntare ancora una volta il piccolo telescopio della RMI SuperCam in direzione di Ingenuity, distante da qui circa 510 metri.

Ingenuity fotografato di nuovo dalla SuperCam, Sol 1139. Immagine bilanciata e interpolata. NASA/JPL-Caltech/ LANL/CNES/CNRS/Piras

Cambia ancora una volta la prospettiva dalla quale il rover può osservare l’elicottero che inizia ora a essere nascosto dalla duna. Ben evidenti le quattro impronte delle gambe di atterraggio e più in basso si scorge anche l’elica danneggiata.

Ritaglio dell’immagine. NASA/JPL-Caltech/ LANL/CNES/CNRS/Piras

Inoltre è possibile che, durante i giorni in cui ha costeggiato Neretva Vallis, Perseverance sia comparso dentro il campo inquadrato della camera RTE a colori di Ingenuity, che potrebbe così averlo immortalato a sua volta. Infatti questa regione risulta nell’angolo superiore destro della visuale dell’elicottero.

Uno degli ultimi scatti a colori ricevuti da Ingenuity, eseguito nel Sol 1065 (18 febbraio). NASA/JPL-Caltech/Piras

Ritaglio dell’immagine

Ma questo vuol dire che Ingenuity è ancora in funzione? Ve lo racconto dopo…

Tornando al lungo spostamento del rover, un’immagine del Sol 1145 (e così nel frattempo siamo arrivati al 10 maggio) trasmette efficacemente l’idea delle condizioni in cui Perseverance sta operando, e la marcata inclinazione dell’orizzonte ci ricorda che il terreno qui è in discesa verso la valle a nord.

Left NavCam, Sol 1145. NASA/JPL-Caltech/Piras

Dopo il lungo viaggio, qualcosa sotto i denti

È il Sol 1150 (15 maggio) quando Perseverance raggiunge la posizione finale mostrata nella mappa all’inizio di queste cronache. Davanti a lui le NavCam mostrano una piana sabbiosa costellata di piccole rocce affioranti.

Sol 1050, dopo tanti giorni il rover è di nuovo impegnato in scienza di contatto. Left NavCam. NASA/JPL-Caltech/Piras

La piccola roccia che spunta di poco dal centro dell’area sabbiosa di fronte al rover è quella che, per ragioni ancora non chiarite dei canali di divulgazione NASA, ha attirato le attenzioni dei geologi. Il flusso di azioni si attiva rapidamente, e già all’indomani del suo arrivo Perseverance è in azione.

Si parte con le osservazioni ravvicinate tramite la camera WATSON condotte alle ore 13:15 locali.

Osservazione con la camera WATSON, Sol 1051. NASA/JPL-Caltech

Il braccio robotico è fotografato dal basso mentre indaga la roccia con la camera macro WATSON. Sol 1051. NASA/JPL-Caltech/Piras

Pochi minuti dopo, alle 13:24, Perseverance è già pronto a intaccare la roccia. Sul trapano è installata una delle note frese e nell’arco di 18 minuti l’operazione viene portata a termine, documentata nel video realizzato con una delle HazCam frontali.

Avvio dell’operazione di fresatura catturato dalla Front Left HazCam, Sol 1051. NASA/JPL-Caltech/Piras

Le successive osservazioni con WATSON vengono eseguite immediatamente per evitare che della polvere, soffiata dal vento, vada a coprire l’area appena raschiata compromettendo parzialmente la qualità dei rilievi. Un’immagine aggiuntiva viene poi acquisita dopo il tramonto del Sole, in luce artificiale, impiegando i led UV della camera per evidenziare potenziali effetti di fluorescenza da parte dei minerali inclusi nella roccia.

NASA/JPL-Caltech

NASA/JPL-Caltech

Osservazione notturna con illuminazione artificiale. NASA/JPL-Caltech

Staremo a vedere se i risultati delle osservazioni saranno rilevanti e se spingeranno i tecnici NASA a prelevare un nuovo campione, o se questa sosta era solo una rapida tappa intermedia per valutare cambiamenti geologici lungo il percorso. Il rover è attualmente diretto verso il confine ovest dell’Unità Marginale, in una località denominata Bright Angel. Questa regione è ritenuta di grande interesse scientifico e rappresenterà il primo contatto con le rocce molto antiche che costituiscono il bordo del cratere Jezero.

Un aggiornamento sulla camera SHERLOC-ACI

Vi ricordate dei problemi con il tappo della camera SHERLOC? Ne abbiamo parlato qui e qui.

Una breve novità riguarda il fatto che i tecnici potrebbero aver fatto un importante passo avanti, almeno da quello che si può vedere nelle immagini grezze. Infatti nel Sol 1047 è stato eseguito un test inquadrando uno dei target di calibrazione della camera. Nel corso del test è stata fatta variare la distanza di messa a fuoco. 23 immagini individuali hanno scandito questa verifica, durata complessivamente 50 minuti, e ce le possiamo gustare in sequenza in questo video.

 

L’ultimo incarico di Ingenuity

Il 16 aprile il Deep Space Network della NASA ha ricevuto l’ultima comunicazione da parte di Ingenuity, ma questo non significa che l’elicottero sarà spento per sempre. Il giorno precedente era stato caricato un aggiornamento software ed è iniziata per lui una lunga seconda vita come stazione permanente marziana.

Da adesso Ingenuity si risveglierà una volta al giorno. Attiverà i computer di volo, rileverà informazioni sulla carica delle batterie, acquisirà le temperature da sensori dislocati in vari punti del suo hardware e scatterà anche una foto a colori. Tutto questo ogni singolo giorno marziano, finché sarà nelle condizioni di farlo.
Scienziati e ingegneri del JPL ritengono che questo tipo di raccolta dati gioverà ai progettisti di velivoli e veicoli del futuro, e darà un’inedita prospettiva di lungo termine allo studio del meteo e dei movimenti della sabbia marziana. Con l’attuale spazio di memoria disponibile, si stima che Ingenuity potrà raccogliere informazioni potenzialmente per 20 anni.

E se la sua elettronica dovesse smettere di funzionare o i pannelli non produrranno più abbastanza energia, i dati non andranno persi ma resteranno al sicuro. In futuro, quando magari Valinor Hills sarà visitata di nuovo da un rover, un velivolo o persino degli astronauti, il testamento scientifico di Ingenuity sarà recuperato. Anche con un’ala rotta, questo incredibile elicottero continuerà a studiare Marte per noi.

Sorrisi, commozione e anche qualche lacrima: è la festa di saluto a Ingenuity in occasione della ricezione della sua trasmissione finale. NASA/JPL-Caltech

Anche per questo aggiornamento da Marte è tutto, alla prossima!

Hubble e NGC4753 Polvere lenticolare in dettaglio

hubble ngc 4753
Crediti: NASA/ESA

Hubble cattura veli di polvere che avvolgono NGC4753

In questa nuova immagine del telescopio spaziale Hubble della NASA/ESA c’è una vista quasi di taglio della galassia lenticolare NGC 4753 che ha una forma ellittica e bracci a spirale non ben definiti.

NGC 4753 si trova a circa 60 milioni di anni luce dalla Terra nella costellazione della Vergine e fu scoperta per la prima volta dall’astronomo William Herschel nel 1784. È un membro del gruppo di galassie NGC 4753 all’interno della nube della Vergine II, che comprende circa 100 galassie e ammassi di galassie.

Si ritiene che questa galassia sia il risultato di una fusione galattica con una galassia nana vicina avvenuta circa 1,3 miliardi di anni fa e che le strisce di polvere attorno al nucleo siano state accumulate durante evento di fusione. 

L’ipotesi dominante è che la maggior parte della massa della galassia si trovi in ​​un alone sferico leggermente appiattito di materia oscura. La materia oscura è una forma di materia che attualmente non può essere osservata direttamente, ma si ritiene che comprenda circa l’85% di tutta la materia nell’Universo. Viene definito “oscura” perché non sembra interagire con il campo elettromagnetico e quindi non sembra emettere, riflettere o rifrangere la luce.

Questo oggetto è anche di interesse scientifico per testare diverse teorie sulla formazione delle galassie lenticolari dato l’ambiente a bassa densità in cui si trova e la struttura complessa. Inoltre, questa galassia ha ospitato due supernovae di tipo Ia conosciute.

Il Telescopio Spaziale Hubble

Da oltre tre decenni, il Telescopio Spaziale Hubble (HST) ha servito come uno degli strumenti più significativi per l’astronomia moderna. Lanciato il 24 aprile 1990, Hubble ha rivoluzionato la nostra comprensione dell’universo, fornendo immagini senza precedenti di galassie lontane, nebulose e stelle.

Perché un Telescopio nello Spazio?

La Terra è avvolta da un’atmosfera che, sebbene vitale per la vita, distorce la luce proveniente dallo spazio. Questo fenomeno, noto come distorsione atmosferica, ha limitato la capacità degli astronomi di osservare l’universo con chiarezza. Hubble è stato posizionato oltre questa barriera, a circa 550 km di altitudine, dove può osservare l’universo nelle lunghezze d’onda dell’ultravioletto, della luce visibile e dell’infrarosso vicino1.

Innovazioni e Scoperte

Con uno specchio primario di 2,4 metri di diametro, Hubble ha una precisione di puntamento tale da poter colpire una monetina a 320 km di distanza con un laser. Questa precisione ha permesso di osservare dettagli finora inaccessibili.

Tra le scoperte più significative di Hubble ci sono:

  • La determinazione dell’età dell’universo, stimata in circa 13,8 miliardi di anni.
  • L’osservazione di galassie in formazione nei primi anni dell’universo.
  • La scoperta dell’espansione accelerata dell’universo, che ha portato alla teoria dell’energia oscura.

La Storia di Hubble

Il concetto di un telescopio spaziale fu proposto per la prima volta nel 1923 dal fisico tedesco Hermann Oberth e sviluppato successivamente dall’astrofisico americano Lyman Spitzer nel 1946. Dopo decenni di sviluppo e collaborazione tra la NASA e l’Agenzia Spaziale Europea (ESA), Hubble è diventato realtà.

Per approfondimenti

Hubble e Webb (HST e JWST), 2 geni a confronto

 

Comprendere la Meccanica Quantistica

meccanica quantistica

Se la meccanica quantistica richiede che ci sia sempre un osservatore, chi osserva l’universo?

Sempre più spesso si vedono titoli di articoli divulgativi che dichiarano che la meccanica quantistica ha dimostrato che la realtà oggettiva non esiste, e che invece sono gli osservatori che creano ciò che osservano. Quindi la Luna non c’è se non la osserva nessuno e l’albero che cade nella foresta non fa rumore.  Sicuramente affascinante. Ma è vero?

[..]

L’elettrone è onda o particella?

esperimenti meccanica quantistica
Figura1: esperimento delle due fenditure per particelle.

meccanica quantistica esperimento
Figura 2: esperimento delle due fenditure per onde.

Il motivo per cui viene insegnato che la meccanica quantistica non può essere d’aiuto nel capire il mondo è che sembrano esserci degli esperimenti in cui, nel momento in cui tentiamo di descrivere cosa succede in essi dal punto di vista microscopico, ci troviamo in contraddizione. L’esempio più famoso di tutti è probabilmente l’esperimento delle due fenditure. Immaginiamo una sorgente che genera elettroni, una specie di cannone elettronico che spara, uno alla volta, questi elettroni verso un pannello su cui ci sono due fenditure (figura 1 e 2).

 

Se l’elettrone finisce sul pannello viene assorbito, mentre se passa attraverso una delle fenditure viene rilevato da uno schermo poco distante, che, per esempio mostra un puntino blu. Che cosa dovremmo aspettarci se il cannone elettronico spara, sempre uno alla volta, molti elettroni? Come appare l’immagine fatta dalla combinazione dei puntini blu, corrispondenti agli elettroni arrivati sullo schermo? Siccome si pensa che gli elettroni siano particelle, dovremmo vedere sullo schermo un’immagine con una alta densità di puntini in corrispondenza delle due fenditure: l’elettrone passa o in una o nell’altra fenditura, altrimenti viene bloccato dal pannello, e quindi i puntini blu si ammasseranno in corrispondenza a dove sono passati gli elettroni. Invece quello che si osserva è una figura di interferenza, fatta di un alternarsi di zone ad alte e basse densità di puntini blu, e con la zona a densità più alta corrispondente alla porzione di schermo in mezzo alle due fenditure.

Tale figura è tipicamente generata da onde: l’onda incidente viene “sdoppiata” dalle fenditure, che quindi generano due onde secondarie che poi interagiscono, interferendo tra di loro. Come spiegare quindi la figura di interferenza, se si hanno particelle? Abbiamo forse sbagliato nel considerare gli elettroni come particelle? Sono invece onde? Non è così immediato sciogliere il dilemma, perché altri esperimenti, come quelli dei rivelatori usati nei moderni acceleratori, mostrano che gli elettroni lasciano tracce continue, e quindi hanno traiettorie, cosa che invece le onde, essendo intrinsecamente delocalizzate, non hanno. Quindi gli elettroni sono onde o particelle? La risposta che si trova nei libri è: sono entrambi; a volte si comportano come onde, a volte come particelle. E se si cerca di trovare da che parte è passato l’elettrone, per esempio mettendo un rivelatore su una delle due fenditure cosicché si possa stabilire se è passato di lì, lo si “forza” a diventare particella, perché la figura d’interferenza scompare. La situazione è pazzesca. Nonostante questo, si legge nei libri che esiste un teorema, provato dal famoso fisico ungherese John von Neumann, uno dei padri fondatori della meccanica quantistica, che ha mostrato come non si possa far meglio di così: nessuna teoria quantistica può fornire una descrizione della realtà più esauriente di questa.

La realtà viene creata dall’osservatore

Ma non è finita: di conseguenza a quanto appena visto spesso si legge anche che la realtà viene creata dall’osservatore. Infatti, la meccanica quantistica ha due equazioni fondamentali che descrivono l’evoluzione temporale di un oggetto chiamato funzione d’onda. La prima, che va sotto il nome di equazione di Schrödinger (dal fisico austriaco Erwin Schrödinger, che la propose),

meccanica quantistica equazione di Schrödinger
equazione di Schrödinger

è valida solo fintantoché non viene fatta una misura. Tale equazione descrive come una generica onda si comporterebbe anche classicamente (con qualche differenza essenziale, discussa in seguito). In particolare, come deve essere per le onde, qualsiasi somma di soluzioni, detta anche sovrapposizione, è ancora soluzione dell’equazione di Schrödinger.
Descrive quindi un possibile modo in cui può essere il mondo. Oltre all’equazione di Schrödinger però abbiamo bisogno anche di qualcosa d’altro. Infatti, prendiamo il nostro cannone elettronico, che però questa volta produce un elettrone la cui funzione d’onda è la sovrapposizione di un elettrone diretto verso destra e uno verso sinistra. Per mezzo di uno schermo sferico che ci dice dove è finito l’elettrone, siccome la funzione d’onda è in sovrapposizione, dovremmo vedere una sovrapposizione di puntini blu: uno a destra e uno a sinistra. Ma questo è assurdo, è una contraddizione logica: l’elettrone non può logicamente essere “a destra” e “non a destra” allo stesso momento! Ed infatti è così, tali sovrapposizioni macroscopiche non vengo mai osservate: l’elettrone è rilevato o a destra oppure a sinistra (non a destra). Questo viene spiegato dicendo che tutte le volte che si fa una misura, l’equazione di Schrödinger cessa di valere e subentra una seconda equazione di evoluzione, chiamata “collasso” o “riduzione” di von Neumann (il quale si accorse che era necessario). Tale “collasso” cancella in maniera casuale ed istantanea tutti i termini della sovrapposizione tranne uno, cioè quello effettivamente osservato. Il collasso garantisce che le previsioni della teoria siano in accordo con i dati sperimentali attraverso quella che si chiama regola di Born, che descrive la probabilità di trovare un dato risultato a seguito di un dato esperimento.

Se ci si ferma un attimo a pensare si vede subito che non tutti i misteri sono scomparsi, tutt’altro: cosa vuol dire che l’atto di fare una misura cambia l’equazione di evoluzione? Fare una misura non è un processo fisico come gli altri? Forse quello che fa la differenza non è la misura ma la presenza di un misuratore? Cioè, forse quello che succede è che sono io, in qualità di essere cosciente, che nel guardare la sovrapposizione prodotta dall’equazione di Schrödinger, la “riduco” a uno dei suoi termini? Quindi forse è la mia coscienza che cambia la realtà microscopica solo perché la guardo?

 

Tipicamente viene replicato appellandosi al teorema di von Neumann: “secondo la teoria l’osservatore crea la realtà guardandola; sarà strano non possiamo fare di meglio, quindi mettiti il cuore in pace e torna a lavorare.

In effetti, questo è quello che è storicamente accaduto: tutti hanno gettato la spugna e accettato di “star zitti e fare i conti”, per usare una citazione del fisico americano David Mermin.

Gli Astrofisici alle prese con il dogma della Meccanica Quantistica

Questo atteggiamento non creò problemi essenzialmente a nessuno, eccetto che agli astrofisici, i quali si trovano nell’imbarazzante posizione di non avere alcun osservatore a cui appellarsi per far collassare la funzione d’onda: chi osserva l’universo? Inoltre, in astrofisica è fondamentale considerare, oltre alla meccanica quantistica, l’altra importante teoria sviluppata nel secolo scorso. Sto pensando alla relatività generale di Einstein, che descrive la struttura della spazio-tempo ed elimina la forza di gravità di Newton: lo spaziotempo “simula” la forza gravitazionale tramite la sua curvatura sotto il peso della materia. Siccome i suoi effetti sono importanti soprattutto in presenza di entità molto massive, come gli oggetti celesti, la relatività generale non può essere ignorata in astrofisica. Uno dei postulati fondamentali della relatività prescrive che ci sia una velocità, quella della luce, al di là della quale niente può andare, neanche l’interazione tra oggetti: se sento la terra tremare sotto i miei piedi, quello che succede è che le vibrazioni generate da una scossa di terremoto avvenuta pochi secondi fa in qualche zona poco distante mi hanno raggiunto. Questo è uno dei motivi per cui Einstein riteneva che la meccanica quantistica fosse incompleta. Ricordo che tutti i sistemi fisici sono descritti da una funziona d’onda e che le funzioni d’onda possono stare in sovrapposizione di stati. Nel caso di sistemi composti da più elementi, come un sistema composto da due particelle, la funzione d’onda può anche essere “aggrovigliata”(entangled): le due particelle non sono descritte ognuna da una funzione d’onda singola ma hanno una funzione d’onda in comune. Ora consideriamo due particelle che viaggiano in direzione opposta e che sono aggrovigliate. Quello che si può mostrare è che se io misuro una delle due particelle, quindi istantaneamente collasso il suo stato, dato che le due sono in uno stato aggrovigliato allora collasso anche lo stato dell’altra particella, indipendentemente da quanto questa sia lontana. In altre parole, la mia influenza su una particella (la misura che ho effettuato su di essa, “collassandola”) ha influenzato istantaneamente anche quell’altra, che potrebbe essere su Alfa Centauri. Questo vuol dire che il collasso agisce a velocità maggiore della velocità della luce, contraddicendo la relatività.

La teoria dei Molti Mondi

A partire dagli anni ’60 alcuni astrofisici che lavoravano nella cosiddetta gravità quantistica, che cerca di unificare le due teorie, tra cui l’americano Bryce de Witt iniziarono a interessarsi a possibilità alternative al collasso, non tanto per la tensione con la relatività ma più che altro perché, più semplicemente, non è possibile in questo contesto appellarsi ad un osservatore che “collassi” tutto, come accennato prima. Si accorsero (o riscoprirono) dell’esistenza di pochi “valorosi” che avevano resistito al dogma sin dagli anni ‘20, e che avevano proposto teorie alternative al collasso di von Neumann. In primis, fu riscoperta e pubblicizzata la teoria proposta dallo studente americano Hugh Everett III nella sua tesi di dottorato, presumibilmente perché non richiede nessuna modifica del formalismo quantistico. L’idea di Everett è che non ci sia nessun collasso e che la funzione d’onda evolva sempre secondo l’equazione di Schrödinger, a patto che però si interpreti la funzione d’onda a dovere. Secondo la versione di Everett preferita da de Witt, che va sotto il nome di teoria dei molti mondi, i singoli termini della sovrapposizione della funzione d’onda vanno interpretati come appartenenti a mondi diversi, che non interagiscono tra loro e che quindi per definizione non sono osservabili.

Quindi, una sola equazione, lineare e deterministica, nessun osservatore privilegiato, nessun collasso istantaneo. Bene, ma non benissimo: secondo questa teoria ci sono infiniti mondi non osservabili che continuano a formarsi ogni volta che si ha una sovrapposizione. Ogni volta che osserviamo qualcosa che è in sovrapposizione, ci sdoppiamo in infinite copie, ognuna in un universo diverso che non incontreremo mai. È davvero credibile? Questa sembra fantascienza, non scienza. Davvero non c’è nulla di meno convoluto?

Teoria dell’onda pilota

meccanica quantistica traiettorie teoriche
Figura 3: Traiettorie teoriche delle particelle all’uscita delle due fenditure (figura 3 in Philippidis, C., C. Dewdney, and B.J. Hiley, 1979, “Quantum Interference and the Quantum Potential”, Il Nuovo Cimento B, 52(1): 15–28; adattata daGernot Bauer).

Potrete immaginare la mia grande sorpresa quando scoprii che esiste una teoria senza collasso, senza osservatore, senza molti mondi, ed esiste dal 1923 quando il francese Louis de Broglie, anche lui studente di dottorato, ne gettò le basi, e che nel 1951 fu riscoperta e completata dal fisico americano David Bohm. La teoria è molto semplice: ci sono particelle puntiformi il cui movimento è governato da una legge, chiamata equazione di guida, in cui appare la funzione d’onda descritta dall’equazione di Schrödinger. Tale legge ha come soluzione delle traiettorie

traiettorie misurate meccanica quantistica
Figura 4:Traiettoriemisurate con la tecnica del ‘weak measurement’ (tratto da Kocsis, S., B. Braverman, S. Ravets, M.J. Stevens, K.L. Shalm, and A.M. Steinberg, 2011, “Observing the average trajectories of single photons in a two-slit interferometer”, Science 332, 1170-1173).

altamente non classiche, tanto da spiegare l’esperimento delle due fenditure senza misteri (figura 3). Infatti, mentre classicamente ci si aspetta di vedere oggetti che vanno dritti se non c’è nulla che li disturba, questo non è vero nel caso della teoria in questione: le particelle hanno traiettorie tortuosissime, veramente strane, secondo gli standard classici, ma che recentemente sono anche state osservate sperimentalmente (figura 4). Che si potrebbe chiedere di meglio?

Questa teoria viene chiamata teoria dell’onda pilota perché la funzione d’onda è ancora presente nel formalismo della teoria. Altri nomi per questa teoria sono: teoria di de Broglie-Bohm o meccanica Bohmiana. Mille domande sorgono spontanee, la prima delle quale potrebbe essere: “ma se era così semplice, perché la teoria dell’onda pilota non viene insegnata nei corsi di fisica al posto della meccanica quantistica? Ci deve essere qualche cosa di sbagliato, per forza. Sì, deve essere così: non hai mica detto prima che von Neumann ha provato un teorema che stabilisce che fare meglio della meccanica quantistica è impossibile? Quindi questa teoria non può essere giusta.”

La teoria del collasso spontaneo

Un’altra possibile alternativa alla meccanica quantistica di cui non ho ancora parlato è la teoria del collasso spontaneo, proposta dai fisici italiani GianCarlo Ghirardi, Tullio Weber e Alberto Rimini nel 1986, e quindi chiamata teoria GRW, dalle iniziali dei loro nomi. In questa teoria l’equazione di Schrödinger e il collasso vengono sostituite da un’unica equazione non lineare e stocastica. In tale teoria le sovrapposizioni collassano da sole, perché l’equazione non è più lineare. Inoltre, mentre nella teoria dell’onda pilota la materia è fatta da particelle, nella teoria del collasso spontaneo la natura delle cose sembra essere ondulatoria, descritta dalla funzione d’onda. Questo però è implausibile: infatti, come fatto notare immediatamente da de Broglie, Schrödinger e Einstein (loro lo dissero nel contesto della meccanica quantistica, dove si potrebbe affermare la stessa cosa, non in quello della teoria del collasso spontaneo che ai loro tempi ancora non esisteva), matematicamente la funzione d’onda non oscilla nello spazio fisico (tridimensionale) ma è definita in uno spazio astratto ad altissime dimensioni.

Conclusione sulla Meccanica Quantistica

A questo punto, non ho risposte certe; ho solo domande. Ma a naso, se fosse davvero necessario abbandonare l’idea stessa di interazione per salvare la struttura spaziotemporale relativistica […] preferisco sacrificare la relatività per una teoria quantistica deterministica. Il che non significa diminuire la grandezza di Einstein: dopo tutto anche la meccanica classica non è strettamente vera, ma nessuno pensa che Newton non sia stato un gigante della fisica!

Nota sull’articolo

L’articolo è un estratto del contributo di Valia Allori pubblicato in Coelum Astronomia 261. Per ragioni di spazio ed anche di lettura sono stati esclusi alcuni passaggi che possono tuttavia aiutare ulteriormente a seguire il ragionamento.

Ci mancava solo l’equazione dell’amore.

equazione dell'amore equazione di dirac

o (forse) Equazione di Dirac

Lei disse: “Dimmi qualcosa di bello!”. Lui rispose:

(δ + m) ψ = 0

È l’equazione di Dirac (…). Grazie ad essa si descrive il fenomeno dell’entanglement quantistico. Il principio afferma che: “Se due sistemi interagiscono tra loro per un certo periodo di tempo e poi vengono separati (…) in qualche modo diventano un unico sistema (…) quello che accade a uno di loro continua ad influenzare l’altro, anche se distanti chilometri o anni luce”. Se due persone entrano in relazione e si instaura tra di loro, nel tempo, un rapporto di amicizia o di amore e poi vengono separate, esse non possono essere definite come due soggetti differenti ma, in qualche modo, ne diventano uno solo (e questa dovrebbe essere l’equazione dell’amore..)

Questo è quello che si legge in rete su tanti siti che parlano dell’equazione di Dirac. In un incredibile copia/incolla mondiale, questa serie di frasi, che in realtà nulla hanno a che vedere con l’equazione di Dirac, sta spopolando. E poi c’è anche chi, credendo di aver visto la Luce, si fa addirittura tatuare “l’equazione dell’amore” addosso, a volte giusta, ma molto spesso perfino sbagliata.

Che – voglio dire – almeno informati, no? È come se uno che dicesse di amare Dante e la Divina Commedia alla follia si facesse tatuare sul braccio: “Durante il cammin di nostra vita…”;

A parte che non si capisce come mai l’entanglement fra due persone che all’inizio si sono amate ma poi si sono lasciate debba manifestarsi necessariamente solo con l’amore eterno e la bontà, e non eventualmente anche con le corna e i lanci di piatti, la cosa buffa è che l’equazione di Dirac non ha proprio nulla a che vedere con l’entanglement quantistico, né, tantomeno, con l’amore! Essa descrive infatti il comportamento di una (singola!) particella di spin ½ (ad esempio l’elettrone) tenendo conto della Relatività Ristretta. L’entanglement, invece, è un fenomeno quantistico che implica più particelle coinvolte simultaneamente, e con l’equazione di Dirac, che descrive appunto il comportamento di un singolo elettrone, non ha proprio niente a che fare.

Come però sempre succede, se si vuole cercare la meraviglia nelle conquiste della Scienza, non c’è proprio bisogno di inventarsi cose che non esistono, perché possiamo ricavare stupore e fascino in abbondanza già da ciò che la Scienza ci racconta.

L’equazione di Dirac permise infatti la previsione teorica del positrone, l’antiparticella dell’elettrone, particella di uguale massa ma con proprietà – chiamiamole – opposte, tra cui ad esempio la carica elettrica. L’esistenza delle antiparticelle è infatti insita nelle soluzioni dell’equazione stessa. La verifica sperimentale arrivò poco dopo, nel 1932, quando nei raggi cosmici fu osservata una particella di caratteristiche uguali a quelle dell’elettrone, ma che curvava in direzione opposta in presenza di un campo magnetico. L’antimateria, di cui altrimenti non si conosceva né si immaginava l’esistenza, è stata prevista a tavolino in base alle soluzioni matematiche di un’equazione.

Chi è Dirac

Dirac, uno dei più grandi fisici teorici di tutti i tempi, fu per questo insignito del premio Nobel nel 1933. Le particelle di antimateria, sebbene appaiano misteriose nell’immaginario collettivo, sono oggi comunemente prodotte negli esperimenti agli acceleratori di particelle, e vengono perfino usate in medicina, in tecniche diagnostiche come la PET, Positron Emission Tomography.

E la domanda che gli scienziati si pongono, oggi, non è perché esiste l’antimateria, ma perché ce n’è così poca! Infatti le leggi della Natura funzionano esattamente allo stesso modo per materia e antimateria. Non fanno praticamente nessuna differenza, e tutto ciò che può avvenire per la materia, può avvenire anche per l’antimateria. Un mondo fatto di antimateria sarebbe identico al nostro mondo che per convenzione definiamo fatto di materia. I bicchieri cadrebbero allo stesso modo quando ci sfuggono di mano, il Sole fatto di antimateria ci scalderebbe allo stesso modo. Tutto sarebbe uguale.

Antimateria fatta in casa oltre che Equazione dell’Amore

Quasi tutto, in realtà. Soltanto in una ristretta categoria di fenomeni, confinato nell’ambito delle interazioni nucleari deboli, materia e antimateria si comportano in modo leggermente diverso. Una differenza però troppo esigua per spiegare come mai l’Universo ci appaia fatto solo di quella che per convenzione chiamiamo materia, e non ci sia traccia di antimateria, se non in una ristrettissima classe di fenomeni. E su questo la fisica delle particelle sta indagando tramite esperimenti dedicati.

Tuttavia, nonostante la presenza dell’antimateria sul palcoscenico del Mondo sia relegata a fenomeni molto particolari e tutto sommato rari, tutti noi abbiamo in realtà inconsapevolmente maneggiato una sorgente di antimateria senza rendercene conto: una banana. Ebbene sì, una comunissima banana emette particelle di antimateria.

equazione di dirac equazione dell'amore

La banana contiene infatti Potassio, e l’isotopo 40 di questo elemento è instabile e decade radioattivamente. Nella maggioranza dei casi il Potassio 40 decade trasformandosi in un nucleo di Calcio, con l’emissione di un elettrone. Si chiama, in gergo, decadimento Beta. Tuttavia, nell’ambito dei possibili decadimenti del Potassio 40, una piccola frazione, appena lo 0.001%, avviene emettendo positroni, le antiparticelle degli elettroni. Mediamente ogni 75 minuti una banana emette un positrone, una particella di antimateria.

banana positrone equazione di dirac equazione dell'amore

Una ventina di positroni ogni giorno. Da oggi, ne sono certo, guarderemo con occhi divers

 

i il cesto di frutta che abbiamo in cucina! Lo credevamo solo una risorsa di vitamine e sali minerali, e invece passa il suo tempo anche a sparare antimateria in giro per la stanza!

Ma non basta. Anche il nostro corpo contiene naturalmente Potassio, e come per le banane, una piccola frazione di esso decade emettendo positroni, per un totale di qualche migliaio al giorno. I positroni che vengono emessi dentro di noi incontrano poi gli elettroni dei nostri atomi, e con essi si annichilano, dando luogo ad altrettanti piccoli lampi di raggi gamma. Tutto questo, grazie all’equazione dell’amore.

Per Approfondire

L’ITALIANO VINCENZO VAGNONI DELL’INFN ALLA GUIDA DELLA COLLABORAZIONE LHCB AL CERN

Nuova teoria post-quantistica della gravità rigetta l’esistenza della materia oscura

Titano satellite di Saturno: geologia esotica

Titano e le sue strutture in superficie
Figura 2. La variabilità della superficie di Titano riportata su un mosaico globale di immagini ottenuto dalla camera ISS a bordo della missione Cassini che è riuscita nelle finestre spettrali meno assorbenti ad attraversare la densa atmosfera e fotografare la superficie evidenziando la variabilità di albedo. Queste aree rappresentano i principali processi geologici identificati dai dati della missione Cassini e sono considerati potenziali siti di atterraggio di future missioni. Il sito di atterraggio della sonda Huygens rappresenta l’unica informazione in situ che abbiamo di un probabile sistema fluvio-lacustre. Il cratere Sinlap situati nelle aree con campi di dune, è ritenuto essere il cratere più giovane sulla superficie di Titano; al suo interno è stato trovato ghiaccio d’acqua e variazioni composizionali che fanno supporre attività di alterazione ancora in corso. Menrva è il più grande cratere da impatto, circa 425 chilometri di diametro e presenta la maggiore variabilità composizionale e al suo interno si sono sviluppati reticoli fluviali, testimonianza della presenza di liquidi. Crediti: Univ. Nantes and CIGAL/LESIA

Laghi di idrocarburi liquidi e ciottoli di ghiaccio, la geologia esotica di Titano

Grazie alle immagini acquisite tra il 2004 il 2017 dalla sonda Cassini, una missione internazionale che ha visto la collaborazione tra ASI, NASA ed ESA, è stato possibile completare la prima mappa delle principali caratteristiche geomorfologiche di Titano (Figura 1), il secondo satellite del Sistema Solare per dimensioni e l’unico corpo che presenta liquidi in superficie oltre la Terra. Nascosta dalla densa atmosfera, solo con le osservazioni radar della sonda Cassini è stato possibile svelare le unicità di questa luna di Saturno. Oltre alradar, le immagini della camera e dello spettrometro acquisite in una piccola finestra spettrale del vicino infrarosso hanno evidenziato variazioni composizionali e di albedo della superficie (Figura 1 e 2), variabilità che suggerisce un pianeta geologicamente attivo.

Titano satellite di Saturno
Figura 1.
La prima carta geologica a scala globale di Titano, basata sulle immagini radar, visibile e infrarosso acquisite dalla missione Cassini che ha orbitato attorno Saturno dal 2004 al 2017. I colori della legenda rappresentano le principali unità geomorfologiche che risultano variare a seconda della latitudine. Gli altopiani con i labirinti sono zone fratturate dall’attività tettonica che spesso contengono network fluviali.
Titano è l’unico corpo celeste del nostro Sistema Solare dopo la Terra che presenta liquidi in superficie ma invece di avere acqua troviamo metano in forma liquida probabilmente miscelato ad altri idrocarburi. Con i suoi 1000 km di lunghezza, il Mare Kraken è il più esteso bacino presente su Titano, confrontabile come grandezza al nostro Mare Adriatico. La regione di Xanadu presenta una risposta radar diversa rispetto alle circostanti aree ed è stata interpretata come un residuo di un antico cratere da impatto.
Crediti: NASA/JPL-Caltech/ASU

Un recente lavoro di cartografia a scala globale (Lopez et alii, 2020) delle morfologie identificate dalle immagini multisensore, mette in evidenza che alcune unità hanno una chiara distribuzione a seconda della latitudine e che alcune tipologie sono più estese rispetto ad altre: ampie aree a bassa riflettività occupano la fascia equatoriale e corrispondono ad estesi campi di dune prodotti dal trasporto eolico, sistemi lacustri e mari caratterizzano le fasce polari, mentre ampie zone pianeggianti occupano gran parte della superficie (Figura 1).

Le aree in rilievo ad alta riflettività radar, presentano una morfologia complessa anche con fasce montuose, suggerendo dinamiche crostali simili a quelle terrestri; però non ci sarebbe un mantello con magma fluido all’interno del satellite ad innescare i movimenti crostali, ma un oceano salato e ricco di idrocarburi in forma liquida miscelati ad altre sostanze organiche (probabilmente ammoniaca). Diversi sono i modelli della struttura interna di Titano basati su varie combinazioni di minerali e composti organici, ma tutte concordano sul fatto che sia presente una struttura con densità differenziata e un flusso di calore capace di mantenere uno strato fluido al di sotto della crosta. Questa dinamicità interna di Titano sarebbe anche responsabile di strutture da criovulcanismo identificate nella fascia equatoriale (Figura 2).

Titano e le sue strutture in superficie
Figura 2.
La variabilità della superficie di Titano riportata su un mosaico globale di immagini ottenuto dalla camera ISS a bordo della missione Cassini che è riuscita nelle finestre spettrali meno assorbenti ad attraversare la densa atmosfera e fotografare la superficie evidenziando la variabilità di albedo. Queste aree rappresentano i principali processi geologici identificati dai dati della missione Cassini e sono considerati potenziali siti di atterraggio di future missioni.
Il sito di atterraggio della sonda Huygens rappresenta l’unica informazione in situ che abbiamo di un probabile sistema fluvio-lacustre. Il cratere Sinlap situati nelle aree con campi di dune, è ritenuto essere il cratere più giovane sulla superficie di Titano; al suo interno è stato trovato ghiaccio d’acqua e variazioni composizionali che fanno supporre attività di alterazione ancora in corso.
Menrva è il più grande cratere da impatto, circa 425 chilometri di diametro e presenta la maggiore variabilità composizionale e al suo interno si sono sviluppati reticoli fluviali, testimonianza della presenza di liquidi.
Crediti: Univ. Nantes and CIGAL/LESIA

Altopiani di Titano con struttura a ‘labirinto’

Di particolare interesse sono gli altopiani con struttura a ‘labirinto’, così chiamati perchè la loro complessa geometria causata da un insieme di deformazioni tettoniche, erosione fluviale e processi di sublimazione dei ghiacci ricchi di idrocarburi (clatrati), ricorda la pianta di un labirinto. Sono queste le aree che sembrano più ricche di composti organici e quindi un potenziale target per l’esplorazione astrobiologica.

L’unicità di Titano è di avere un sistema idrologico molto probabilmente ancora attivo, basato però su idrocarburi in forma liquida con piogge di metano ed etano che alimentano fiumi e laghi (Figura 3). La distribuzione, struttura e densità dei network fluviali cartografati dalle immagini radar (Miller et alii, 2021), suggeriscono sia una variabilità alle diverse latitudini della tipologia di substrato, sia una variazione delle condizioni climatiche nel passato. Purtroppo i dati a disposizione non permettono studi approfonditi per redimere questi aspetti, dovremo aspettare le future missioni.

Mare Ligeia su Titano
Figura 3.
Il Mare Ligeia nella fascia polare settentrionale di Titano in un mosaico di immagini radar a falsi colori. Con circa 400 km di diametro e le sue coste che si estendono per più di 3000 km, è il secondo mare di Titano per dimensioni. Si nota molto bene il sistema fluviale connesso al bacino e caratterizzato dal complesso pattern dendritico.
Crediti:NASA/JPL-Caltech/ASI/Cornell

Le immagini acquisite dalla sonda europea Huygens (Figura 2), parte della missione Cassini e atterrata su Titano nel 2005, mostrano la presenza di ciottoli di clatrati di forma allungata e arrotondata, tipici dell’ambiente fluviale. Il sito di atterraggio era stato individuato come un potenziale sistema lacustre, ma la sonda registrò condizioni di aridità. In realtà, acquisizioni ripetute nel tempo durante la missione Cassini, hanno mostrato variazioni di albedo del sito di atterraggio, suggerendo periodici eventi di inondazione e quindi l’esistenza di un sistema fluvio-lacustre ancora attivo.

Crateri da impatto su Titano

I crateri da impatto su Titano sono pochi, ulteriore evidenza di attività geologica superficiale che li ha cancellati, e possono essere classificati in due gruppi sulla base della loro risposta spettrale (Solomonidouet alii, 2020): quelli sulle dune e quelli sulle piane. Questi ultimi sembrano contenere anche ghiaccio d’acqua insieme ai composti organici e mostrano un trend di alterazione diverso rispetto a quelli sulle dune. Queste differenze suggeriscono un processo erosivo differenziato nelle due aree, probabilmente dominato dall’erosione fluviale nelle piane. L’anomalia è rappresentata dal cratere Sinlap (Figura 2), considerato il cratere più giovan ee sebbene si trovi nella regione equatoriale dominata dalle dune, contiene ghiaccio d’acqua. È quindi possibile che i crateri delle dune avessero originariamente ghiaccio d’acqua esposto in superficie che è stato poi ricoperto dalla deposizione di materiale organico. Questo sembrerebbe essere un processo di alterazione rapido e continuo. La recente età di Sinlap indica che questo processo sia ancora in corso.

I dati della missione Cassini-Huygens hanno svelato un satellite con una storia geologica complessa, legata a dinamiche interne e atmosferiche ancora poco comprese ma con una forte similitudine a quelle terrestri. Quanto sia ancora geologicamente attivo Titano e le sue variazioni ambientali troveranno risposta solo con le future missioni.

Astrobiologia su Titano

Titano, la più grande luna di Saturno, è l’unico satellite del Sistema Solare a possedere una chimica complessa che lo rende oggetto di studio molto interessante per l’esplorazione planetaria.

Come anticipato nell’articolo precedente da Gabriele Cremonese la missione Cassini-Huygens che ha orbitato attorno a Saturno,rilasciando la sonda atterrata sulla superficie di Titano, ha rivelato una superficie che, nonostante le temperature bassissime di circa 100 K presenta materiale organico complesso probabilmente correlato ai processi chimici che avvengono in atmosfera. Non solo. Huygens ci ha mostrato una superficie solcata da canali, un po’ come quelli visti su Marte. Quindi dei liquidi devono aver solcato la superficie tuttavia non è un mistero che l’acqua a quelle temperature si trova solo sotto forma di ghiaccio. Quindi cosa può essere successo o sta succedendo su Titano?

Oggi sappiamo, sempre grazie alla missione Cassini, che su Titano avvengono complesse reazioni chimiche le quali portano alla formazione in atmosfera di una grande quantità di aerosol composto da materia organica che successivamente si deposita sulla superficie di Titano.

Titano possiede un’atmosfera 1,5 volte più densa di quella terrestre composta principalmente da N2 con la presenza di una piccola percentuale di metano. Queste due semplici componenti costituiscono la base per un’incredibilmente ricca chimica organica, da cui si producono complessi molecolari basati su CHON. Un altro aspetto che ha del sorprendente è la presenza di metano in condizioni vicine al suo punto triplo, in cui cioè le tre fasi solido, liquido e gassoso sono presenti contemporaneamente.

Astrobiologia su Titano
Figura 2. Questa immagine mostra la luce solare riflessa da un lago presente suTitano. Questo tipo di luccichio, noto come riflesso speculare, è stato rilevato dallo strumento italiano VIMS. Lo. spettrometro visibile e infrarossopresente sulla missione spaziale Cassini della NASA.
Credit: NASA/JPL/University of Arizona/DLR/ASI

Titano ha un asse inclinato di 26,71 gradi simile alla Terra. Questa caratteristica permette alla luna di Saturno di godere di stagioni che si alternano durante i 29,5 anni che il pianeta impiega a completare la sua orbita attorno al Sole. Il metano gassoso condensa in atmosfera formando nubi dalle quali si originano precipitazioni di metano liquido sulla superficie. Il metano poi evapora, condensa e precipita sulla superficie in forma liquida. In pratica il metano su Titano, è responsabile di un ciclo analogo al ciclo idrologico terrestre, caratterizzato da attività nuvolosa, precipitazioni, che a sua volta si raccolgono in reti fluviali e laghi.

Titano è un enorme laboratorio chimico dove avvengono processi complessi che potrebbero avere importanti implicazioni per i processi chimici che hanno dato origine alla vita. L’abbondante e complesso materiale organico depositato sulla superficie di Titano lo rende una destinazione ideale per studiare le condizioni di abitabilità di un ambiente extraterrestre molto distante dal Sole ma anche per comprendere come potrebbe essere stata la Terra primordiale prima che la vita facesse la sua comparsa. Per tale ragione, può considerarsi un corpo davvero unico nel Sistema Solare.

Altro primato importante, Titano è l’unico corpo, oltre al nostro pianeta, a possedere liquidi sulla superficie che la sonda Cassini ci ha mostrato di raccolti in laghi di metano.

Dragonfly si librerà su Titano

Appassionati di droni, questa è la vostra missione!!

Mi riferisco a Dragonfly selezionata dalla NASA nel 2019 nell’ambito del programma New Frontiers, le missioni di classe media, collocato tra il programma Discovery e le flagship. Il lancio è previsto per il 2027 con arrivo in orbita nel 2034.

Dragonfly su Titano
Figura 1, visualizzazione di come funzionerà Dragonfly. Arriverà in prossimità della superficie utilizzando un paracadute, poi si apriranno gli 8 rotori e comincerà la ricerca di siti di atterraggio. Crediti NASA

L’obiettivo della missione è Titano il satellite più grande di Saturno, con un diametro di 5150 km è più grande di Mercurio, e anche l’unico satellite del Sistema Solare con un’atmosfera importante. La pressione atmosferica arriva a 1.5 volte quella terrestre e la densità a livello della superficie 4 volte superiore, è composta per il 95% di azoto, 5% di metano e tracce di idrogeno ed altri idrocarburi.

L’unica sonda che ha esplorato Titano, sino ad ora, è stata la sonda Cassini che è arrivata nel sistema di Saturno nel 2004 e ha sganciato il lander Huygens il quale grazie ad un paracadute è lentamente atterrato sulla superficie di Titano eseguendo delle misure dell’atmosfera e nei pressi della posizione di atterraggio fornendo anche diverse immagini. La Cassini poi, negli anni successivi è riuscita a passare più volte sopra Titano ottenendo altri dati che insieme a quelli del lander, ci hanno consentito di capire che sono gli idrocarburi, raccolti in laghi siti in regioni ove si pensava ci fosse acqua, e molto probabilmente diverse molecole organiche, a caratterizzare il satellite. Titano diviene così interessante anche da un punto di vista astrobiologico, ma resta comunque difficile da esplorare.

La temperatura sulla superficie è di -179 gradi Celsius e la quantità di luce solare che arriva è ridotta, ben 100 volte minore di quella che arriva sulla Terra a causa della maggiore distanza eliocentrica pari a circa 9 AU, a cui va aggiunto un ulteriore fattore 10 per la densa atmosfera. E’ quindi chiaro che l’energia solare non potrà mai essere una fonte utile per un qualunque lander o rover che vorrà esplorare Titano.

La brillante idea della proposta di Dragonfly consiste nell’esplorare Titano volando sopra la superficie, partendo dall’esperienza del piccolo drone Ingenuity, sganciato su Marte insieme a Perseverance, utilizzando  un ottacottero, dotato cioè di otto rotori.

Dragonfly alla fine peserà 500 kg e potrà raggiungere una velocità di 36 km/h e alzarsi fino a 4000 metri dalla superficie.

Per Approfondire

L’articolo completo su Titano è disponibile in COELUM ASTRONOMIA 261

Dragonfly goes on Titan: what an incredible mission! – Pt. 1

Dragonfly goes on Titan: what an incredible mission! – Pt. 2

il 24 maggio congresso CAESAR – Space Weather

CAESAR SPACE WEATHER

24 maggio p.v.

Congresso dedicato al progetto implementativo CAESAR (Comprehensive Space Weather Studies for the ASPIS Prototype Realization)

AUDITORIUM dell’AGENZIA SPAZIALE ITALIANA (ASI)

Via del Politecnico snc – ROMA

(Roma) Il 24 maggio p.v. la sede dell’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) ospita, nell’ambito del programma ASPIS (ASI Space Weather InfraStructure), il congresso dedicato al progetto implementativo CAESAR (Comprehensive Space Weather Studies for the ASPIS Prototype Realization), che si avvia alla chiusura.

“La giornata di lavori del 24 maggio, ospitata dalla sede dell’ASI, è un’occasione importante per presentare i risultati del progetto CAESAR, che si avvia alla chiusura. Frutto della collaborazione di circa cento scienziati –  spiega Monica Laurenza, Primo ricercatore presso l’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), coordinatrice del progetto CAESAR – che si occupano di meteorologia spaziale, il progetto ha effettuato studi scientifici molto promettenti per capire le cause e gli effetti sulla salute dell’uomo e sulla società dei fenomeni che avvengono dal Sole alla Terra, fino agli ambienti planetari, in conseguenza delle eruzioni solari. Soprattutto il progetto ha realizzato il prototipo della prima banca dati di meteorologia spaziale di cui si dota l’ASI. Grazie a CAESAR dunque, nel nostro Paese nasce il prototipo di una infrastruttura di rilevanza strategica e ad uso di tutta la comunità scientifica dello Space Weather.”

CAESAR è stato selezionato e supportato da ASI e INAF nell’ambito dell’accordo attuativo ASI-INAF per “Attività di studio per la comunità scientifica dello Space Weather per il popolamento del centro dati scientifico ASPIS.

“CAESAR è il prototipo dell’infrastruttura dati di ASI per lo Space Weather, ASPIS, il cui obiettivo è diventare il nodo di aggregazione e sviluppo delle attività scientifiche legate alla Ricerca sullo Space Weather della comunità scientifica Italiana” spiega Giuseppe Sindoni, capo Progetto di ASPIS per ASI.  “La Scienza supportata da ASPIS ha l’obiettivo di permettere alla comunità scientifica nazionale di cogliere le opportunità di partecipazione che si apriranno in ambito EU e internazionale, sia nell’ ambito della modellistica e analisi dati, che in quello della strumentazione, fornendo supporto e strumenti per lo studio dell’ambiente lunare, cislunare o marziano, per valutare gli effetti sui payload e sugli astronauti, per lo studio delle magnetosfere e delle superfici planetarie”.

Gli scienziati coinvolti nel progetto appartengono a tre enti di ricerca (INAF, Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia), sette università italiane (Calabria, Catania, Genova, L’Aquila, Perugia, Roma Tor Vergata, Trento) ed alcuni istituti stranieri. Info più dettagliate sul sito: https://caesar.iaps.inaf.it/

Tra gli obiettivi del progetto la volontà di ampliare la comprensione dell’origine e dell’evoluzione dei fenomeni  e fornire dati, codici e modelli sia nuovi che consolidati. A ciò si aggiunge l’obiettivo di progettare, implementare e popolare con tali prodotti il prototipo ASPIS in un’infrastruttura flessibile e di facile utilizzo e, infine, aprire la strada a future capacità di previsione avanzate. Ultimo obiettivo: la garanzia di un’efficace diffusione e promozione per gli studi futuri.

CAESAR space Weather congresso
Locandina CAESAR space Weather congresso

Cosa si intende per Space Weather?

“La definizione europea è stata messa a punto nel 2006 da un gruppo di lavoro specifico di cui ho fatto parte nell’ambito dell’azione europea 724 della COST (Cooperation in Science and Technology), denominata “Developing the Scientific Basis for Monitoring, Modelling and Predicting Space Weather”. Questa definizione è stata poi adottata dall’Agenzia Spaziale Europea ESA, che la utilizza nei suoi documenti ufficiali.
Il termine Space Weather (Tempo meteorologico dello spazio) indica lo stato fisico e fenomenologico degli ambienti spaziali naturali. La disciplina associata (Meteorologia dello spazio) ha lo scopo, tramite l’osservazione, il monitoraggio, l’analisi e la modellistica, di comprendere e prevedere lo stato del Sole e degli ambienti interplanetari e planetari e le perturbazioni di origine solare e non solare che li interessano e di prevedere a lungo ed a breve termine i potenziali impatti sui sistemi biologici e tecnologici.” di MAURO MESSEROTTI, ASSOCIATO INAF CON INCARICO DI RICERCA, SENIOR ADVISOR FOR
SPACE WEATHER PRESSO LA DIREZIONE SCIENTIFICA DELL’INAF.

 

Le 4 nebulose più famose della via Lattea

Le bellissime nebulose a emissione M8 e M20 di Roberto Ciri
Le bellissime nebulose a emissione M8 e M20 di Roberto Ciri

Le nebulose, con la loro maestosa bellezza e complessità, sono tra gli oggetti più affascinanti dell’universo. Questi immensi agglomerati di gas e polvere sono testimoni silenziosi della nascita e della morte delle stelle, e giocano un ruolo cruciale nell’evoluzione delle galassie. In questo articolo, esploreremo i vari tipi di nebulose, le teorie sulla loro formazione, alcune delle nebulose più note e dove si trovano generalmente nell’Universo. Inoltre, approfondiremo la natura specifica delle nebulose planetarie.

Tipi di Nebulose

Le nebulose possono essere classificate in diverse categorie in base alla loro natura e origine:

  • Oscure: Sono nubi di gas e polvere così dense da bloccare la luce delle stelle alle loro spalle.
  • a Riflessione: Riflettono la luce delle stelle vicine, spesso assumendo una colorazione blu a causa della dispersione della luce.
  • a Emissione: Conosciute anche come regioni H II, queste nebulose brillano in rosso perché il gas ionizzato emette luce a specifiche lunghezze d’onda.
  • Planetarie: Formate dagli strati esterni espulsi di stelle morenti, queste nebulose spesso presentano forme simmetriche e colori vivaci.
  • Resti di Supernova: I resti di stelle esplose in supernove, questi oggetti sono fonti importanti di elementi pesanti nell’universo.

Teorie sulla Formazione delle Nebulose

La formazione delle nebulose è strettamente legata ai processi di vita e morte delle stelle. Le nebulose oscure e a riflessione sono spesso associate alla nascita di nuove stelle, mentre le nebulose planetarie e i resti di supernova segnano il termine del ciclo vitale stellare.

  • da Formazione Stellare: Si formano in regioni di spazio ricche di gas e polvere, dove l’attrazione gravitazionale fa collassare la materia, innescando la nascita di nuove stelle.
  • da Morte Stellare: Quando una stella esaurisce il suo combustibile nucleare, può espellere i suoi strati esterni nello spazio, creando una nebulosa planetaria. Se la stella esplode come supernova, i resti possono formare una nebulosa di questo tipo.

Oggetti Noti e Conosciuti

Alcune delle nebulose più famose includono:

  • Nebulosa di Orione (M42): Una delle nebulose a emissione più brillanti e facilmente osservabili.

La regina fra le nebulose del cielo invernale di Andrea Iorio
La regina fra le nebulose del cielo invernale di Andrea Iorio

  • Nebulosa Testa di Cavallo: Una nebulosa oscura situata nella costellazione di Orione.

Svelando la nebulosa Testa di Cavallodi Giulio Davide Frugoni
Svelando la nebulosa Testa di Cavallo di Giulio Davide Frugoni

  • Nebulosa dell’Aquila (M16): Famosa per i “Pilastri della Creazione”, colonne di gas e polvere che ospitano nuove stelle in formazione.

Le Nebulose NGC6604, SH2-54 e Simeis 3-123 di Cristina Cellini
Le Nebulose NGC6604, SH2-54 e Simeis 3-123 di Cristina Cellini

  • Nebulosa del Granchio (M1): Il resto di una supernova osservata nel 1054.

Messier 1 – Nebulosa del Granchio – Resto di supernova nella costellazione del Torodi Alessandro Curci
Messier 1 – Nebulosa del Granchio – Resto di supernova nella costellazione del Toro di Alessandro Curci

Ubicazione delle Nebulose

Questi oggetti estesi si trovano principalmente nello spazio interstellare, le regioni tra le stelle all’interno delle galassie. Le nebulose visibili dalla Terra o dal nostro Sistema Solare sono tutte contenute all’interno della Via Lattea. La nebulosa più vicina a noi è la Nebulosa Elica, situata a circa 700 anni luce di distanza. La nebulosa elica è una nebulosa planetaria situata a circa 650 a.l. di distanza dal nostro sistema solare e può essere considerata tra le più vicine.
Calcolando la velocità di espansione dei gas più interni e di quelli esterni, gli astronomi hanno calcolato un età media di questo oggetto di circa 12.000 anni.
La nebulosa, si è formata a seguito delle violente reazioni termonucleari di una stella morente.
Tale stella di medie dimensioni ha espulso i gas più esterni, creando così questa particolare forma con filamenti che si espandono in modo radiale partendo dal centro, dove si trova la stella nana bianca (che originariamente aveva una massa di circa 0.8 – 8 volte quella del nostro sole).
La zona più esterna della nebulosa invece presenta una colorazione rosso arancio ed’è formata da gas più freddi mentre la parte interna di colore verde azzurro è ricca molecole di gas e materia più calda e che riflettono maggiormente la luce della stella situata all’interno.

Cos’è una Nebulosa Planetaria

Una nebulosa planetaria è il risultato finale della vita di una stella di piccola o media massa. Dopo aver esaurito il suo combustibile nucleare, la stella espelle gli strati esterni, che vengono illuminati dalla radiazione ultravioletta del nucleo caldo rimanente. Questi strati di gas ionizzato formano la nebulosa planetaria, che può assumere forme spettacolari e colori vivaci.

Per Approfondire

Piccoli Setup per Grandi Campi

DEEP SPACE CCD ATLAS di John C. Vickers

Hubble e Webb (HST e JWST), 2 geni a confronto

“La prima volta che si sentì parlare del James Webb Space Telescope (JWST) era il 1989 e il telescopio spaziale Hubble doveva ancora entrare in funzione, sarebbe stato lanciato infatti appena l’anno dopo e ben presto si iniziò a definirlo come il successore di Hubble.”

di Antonella Nota

Hubble Space Telescope e James Webb Space Telescope a confronto

Che l’Hubble sarebbe rimasto in funzione così a lungo, e così a lungo avrebbe contribuito ad alcune fra le più importanti scoperte astronomiche degli ultimi trent’anni, nessuno poteva pensarlo, così come nessuno avrebbe potuto immaginare che ci sarebbe voluto così tanto tempo per realizzare il JWST. Trentatré anni from concept to reality, per la precisione. Ma possiamo davvero continuare a pensare che l’osservatorio spaziale dallo specchio dorato sia semplicemente il successore del telescopio spaziale che ha fatto la storia? Lo abbiamo chiesto ad Antonella Nota, astronoma del STSCI a Baltimora e project scientist di Hubble e JWST per l’ESA.

Il lancio di Hubble
The Space Shuttle Discovery on it’s way to space with the Hubble Space Telescope (HST).

“All’inizio le ipotesi di durata di Hubble puntavano ai dieci anni, oggi siamo già a 32, come l’energizer bunny, è super strong. Il termine successore quindi perde valore già solo per questioni temporali, sono infatti inaspettatamente operativi contemporaneamente finendo per creare una sinergia. Una sorpresa molto utile per la scienza. Con Hubble che ha uno specchio di due metri e mezzo e Webb di 6 metri e mezzo, sia ha la copertura di tutto lo spettro, a partire dall’ultravioletto e fino all’infrarosso medio. Ciò ribalta completamente l’approccio iniziale ed è indispensabile che ora passi l’idea corretta ceh questi due strumenti in realtà si potenziano a vicenda. Abbiamo anche creato sui social media la campagna “best friends in space. Ci sono un sacco di programmi di ricerca che li usano entrambi, ci aspettiamo risutlati incredibili”.

Quali sono le ragioni per cui dire che JWST è il successore di Hubble è fuorviante e quali quelle per cui può essere considerato tale?

Allora, pensandoci un attimo, l’unico modo in cui vedo una successione è la sfida che abbiamo: portare Webb allo stesso livello di Hubble, quanto a visibilità nella comunità e nel pubblico. Hubble è iconico, è diventato un nome riconosciuto in qualunque parte del mondo, un vero e proprio brand. La gente riconosce le foto di Hubble che sono oramai dappertutto: nei film, nell’arte, ovunque vi sia un’immagine astronomica con grande probabilità si tratta di un’immagine di Hubble. Riuscire a ripercorrere gli stessi step di Hubble in 30 anni stabilendo questa connessione intima con le persone in tutto il mondo: è questa la sfida per noi. Webb sarà il successore di Hubble se riusciremo a portarlo allo stesso livello di visibilità, comprensione e ammirazione.

Hubble in orbita
Image credit: NASA/ESA

Perché è così importante che ci si affezioni a una missione spaziale come Hubble e Webb?

Per me non è importante che ci si affezioni, ma capita, succede. È una conseguenza quasi naturale. Se ci pensi, con Rosetta è successa un po’ la stessa cosa perché sono avventure di esplorazione e fanno vivere a tutti le stesse emozioni, e normale che un po’ le persone ci si identifichino. Che Hubble fosse diventato una presenza quasi antropomorfica, che fosse più di un telescopio, però l’abbiamo scoperto quando la NASA ha provato a cancellare l’ultima servicing mission nel 2009: c’è stata una rivolta del pubblico, ricevevamo lettere di bambini che ci mandavano il salvadanaio, la paghetta settimanale, delle cose incredibili. Con Webb la campagna di conquista del pubblico prima del lancio non ha funzionato, Webb è considerato “il costoso”, e certo i ritardi non hanno aiutato. Ora è importante far arrivare il messaggio che i ritardi sono stati condizionati dalla necessità di realizzare un lavoro ben fatto. Che i membri dei team hanno operato con serietà e rispetto per il progetto così ambizioso e importante per il futuro della scienza.

E come sta andando ora?

La mia impressione è che si siano già fatti passi da gigante in questo primo mese. Grazie al fatto che il lancio è stato fantastico e con il contributo della NASA che ha gestito la campagna di comunicazione sul deployment in modo eccezionale, abbiamo visto infatti la nostra following base moltiplicarsi di giorno in giorno. Il nostro profilo su Twitter, e parlo solo di quello europeo, aumenta di duemila follower al giorno. Sono tutti lì che seguono, che vogliono vedere la fine, e quindi per noi la sfida è quella di continuare a tenere tutti informati, ma anche approfittare di questo momento per attrarre l’interesse del pubblico nei confronti dell’astronomia e della scienza. Gli astronomi hanno vita facile: è facile ispirare un pubblico facendo vedere immagini bellissime o parlando di fenomeni celesti ma per me oggi, a livello di educazione scientifica, si potrebbe fare molto di più e missioni così hanno proprio il potenziale di allargare gli orizzonti, creare curiosità e formare la prossima generazione di scienziati, che non devono essere necessariamente astronomi.

JWST James Webb Space Telescope durante la preparazione
Credits: NASA/Chris Gunn

L’orbita di Webb è molto diversa da quella di Hubble, in primo luogo per via della distanza. Cosa succederebbe se qualcosa dovesse funzionare male, come accaduto ad Hubble?

Nella scelta di posizionare Webb in L2, scienziati e ingegneri erano assolutamente consci dei rischi: Webb avrebbe dovuto funzionare dal primo momento, e non ci sarebbero state possibilità di riparazione. E la differenza fra una missione che funziona e una che fallisce è proprio la preparazione, tornando quindi al motivo per cui sono stati spesi tanti anni per i test, con il risultato di essere immersi in un’esperienza gratificante ed entusiasmante in cui tutto sembra andare nel verso giusto e non per fortuna ma per professionalità. Webb avrà anche un lunga ed inaspettata durata: grazie una manovra di intersezione nell’orbita praticamente perfetta, è stato risparmiato molto carburante durante le minime correzioni, lasciandone una buona scorta per le operatività future. Si parla di oltre vent’anni per una missione che doveva durarne a malapena 5 o al massimo 10, un grandissimo successo.

Qualcuno parla della possibilità di impiegare missioni robotiche…

Gli ingegneri sono sempre estremamente creativi, e abbiamo visto in passato che hanno il pregio di non fermarsi di fronte a nulla. Quindi non escludo, per quanto non ci sia nulla di programmato, che i team potrebbero stupirci in qualche “diavoleria” in caso di un’inattese criticità. Al momento tutto sta andando benissimo. A metterci tranquilli è l’esperienza vissuta con Hubble quando c’è stato il problema dell’aberrazione sferica, le cose alla fine si sono aggiustate, certo non immediatamente e ci sono voluti due o tre anni, però la comunità scientifica è stata molto reattiva. Personalmente quindi sono molto fiduciosa e una missione robotica sarebbe l’unica opzione, l’intervento degli astronauti è da escludere: Webb è troppo lontano ed è troppo pericoloso e oggi ancora non esiste un modo per metterli in sicurezza. Poi è vero anche che non si esclude mai nessuna ipotesi a priori. “The sky’s the limit”, non c’è limite alla creatività del cervello umano.

Come saranno le immagini di Webb rispetto a quelle di Hubble?

Allora le immagini saranno diverse. Saranno bellissime, sì certamente, ma saranno diverse per due motivi. Intanto Webb è cento volte più potente di Hubble e quindi riuscirà a vedere i dettagli che con Hubble erano assolutamente non visibili. Qualsiasi cosa osservata con un in gradimento 100 invece di 10 sarebbe assolutamente diversa: un universo completamente nuovo. Webb poi, come dicevamo, opera nell’infrarosso, che è una regione dello spettro ancora abbastanza sconosciuta. Abbiamo già avuto satelliti infrarossi (come Spitzer o ancora prima Iras), stiamo parlando però di strumenti piccoli e di conseguenza con una capacità limitata in risoluzione (l’abilità di vedere separati due oggetti deboli). Con uno specchio da sei metri e metri e mezzo JWST cambierà completamente la visione dell’universo.

Confronto fra le immagini si Hubble e Webb HST e JWST
I pilastri della creazione ripresi sia da Webb che da Hubble
CREDIT
NASA, ESA, CSA, STScI; J. DePasquale, A. Koekemoer, A. Pagan (STScI).

Facciamo un esempio: Hubble con uno specchio di 2 metri e mezzo è riuscito ad allargare l’orizzonte dell’universo osservato fino a 400-500 milioni dopo il Big Bang, e quindi ha osservato galassie che si erano formate 400-500 milioni di anni dopo il momento iniziale. La speranza è che Webb superi quel limite e arrivi ai primi 100 milioni di anni fino ad osservare veramente come si sono formate le prime galassie. Mi chiedono ogni tanto, riuscirà Webb a vedere anche le prime stelle? Forse, questa è il grande sogno. Le prime stelle probabilmente sono comparse proprio nei primi 100 milioni di anni, siamo proprio al limite quindi delle potenzialità.

Per JWST inoltre, dobbiamo tener conto che, a differenza di Hubble,  che la sua attività scientifica principale non dipenderà esattamente dalle immagini.

Ci spieghi meglio…

JWST è, principalmente, un telescopio spettroscopico. Questa è una cosa a cui il pubblico dovrà abituarsi, e sarà una sfida per noi spiegare la differenza tra fare astronomia usando solo immagini e fare astronomia avendo informazioni quantitative che vengono dagli spettri. Gli strumenti che ci aspettiamo che faranno faville, nel caso di Webb, sono appunto gli spettrografi: quello europeo Nirspec, in particolare, nel corso del primo anno osserverà per ben il 40 per cento del tempo. Gli spettri sono fondamentali perché permettono agli astronomi di capire di capire la composizione di ciò che stanno guardando. Non solo come si mostra ma quali sono le proprietà chimiche, fisiche, la temperatura, la gravità e i moti. Sarà una rivoluzione della comunicazione perché dobbiamo riuscire a spiegare al pubblico che vede uno spettro, molto simile ad un elettrocardiogramma, l’importanza che tutti quei tracciati hanno per le scoperte che Webb farà.

Considerando la diversità negli strumenti e il diverso regime di lunghezza d’onda, potremmo quindi dire che JWST prende in carico quello che ha fatto Hubble per migliorarlo da un lato e completarlo dall’altro?

Assolutamente si!

 

Quindi, per questo, possiamo dire che JWST è il successore di Hubble: ha un’eredità da cui partire.

Si, forse questo è l’unico aspetto in cui considerare JWST il successore di Hubble ha senso. Diciamo che è una crescita rispetto alla missione precedente. Hubble ha messo le fondamenta e Webb costruirà la casa, o forse il grattacielo, non c’è dubbio. Però ci tengo a precisare che continueranno a lavorare insieme perché sono di fatto complementari ed è importantissimo: Webb lavora solamente nell’infrarosso, vicino e lontano, mentre l’ottico e l’ultravioletto li ha solo Hubble. Secondo me continueremo a vedere le immagini bellissime di Hubble che ci spiegheranno le incredibili scoperte astrofisiche che farà Webb. Questa è la mia predizione: che questa sinergia fra i due ci presenterà una visione del cielo sempre più ricca, la nostra comprensione dell’Universo in generale diventerà molto più completa e per questo dovremo ringraziare questi due “colossi scientifici” che lavorano in sinergia.

 

Biografia

Antonella Nota ricopre il ruolo di Project Scientist del telescopio spaziale James Webb per l’Agenzia Spaziale Europea (ESA) allo Space Telescope Science Institute (STSCI) di Baltimora. Nata a Venezia, Nota è sempre stata appassionata di astronomia. Dopo la laurea all’università degli studi di Padova ha ottenuto una posizione come ricercatrice postdoc all’ESA, in Germania. Un anno e mezzo dopo si è trasferita a STSCI, negli Stati Uniti, per lavorare a uno degli strumenti del telescopio spaziale Hubble, la Faint Object Camera. Dopo aver ottenuto una posizione permanente per l’ESA nello stesso istituto, ha assunto il ruolo di capo del Science Mission Office, dirigendo circa 150 scienziati dell’istituto, per poi cominciare a curare la parte scientifica del telescopio spaziale Hubble e James Webb. Attualmente, per l’osservatorio spaziale Webb, si occupa di comunicazione di policy scientifiche alla comunità scientifica e con il pubblico.

Per Approfondire

L’articolo completo su JWST è in COELUM ASTRONOMIA N°255

JWST novità dal centro galattico

Nubi alte su Giove

Il Sole visto dalla Terra a 149 milioni di Km

AR3664 macchia del Sole e Terra di Alberto Civiello
AR3664 macchia del Sole e Terra di Alberto Civiello

Il Sole e cosa osservare dalla Terra

Il Sole è stato il punto di riferimento di innumerevoli generazioni dall’alba della vita su questo pianeta, un Dio dispensatore di luce, bene o male in molte religioni, mentre la sua temporanea mancanza nelle eclissi è stata fonte di sgomento e terrore: e tutto ciò perché esso è una sorgente inestinguibile di luce e calore, ma cos’è la luce?

La Luce

Il termine luce (dal latino lux) si riferisce alla porzione dello spettro elettromagnetico visibile dall’occhio umano, approssimativamente compresa tra 400 e 700 nanometri di lunghezza d’onda. Questo intervallo coincide con il centro della regione spettrale della luce emessa dal Sole che arriva al suolo attraverso l’atmosfera ed è visibile dall’occhio umano. Tuttavia la gamma di radiazione elettromagnetica che arriva dalla  nostra stella è molto più vasta, e può andare da frequenze molto piccole, a quelle dell’IR , generanti calore. La parte di radiazione solare pericolosa per l’uomo, che giunge sulla terra come l’UvC e parte dell’IR è assorbita dall’atmosfera terrestre, ma tuttavia quella residua oltre il visibile rende impossibile l’osservazione del sole ad occhio nudo, pena, oltre all’abbagliamento, severi danni alla vista.

Il Sole è anche la stella a noi più vicina, e costituisce un gigantesco laboratorio dove possono essere studiati fenomeni fisici che, per la loro scala, non sono accessibili alla sperimentazione terrestre e non possono essere studiati in stelle più lontane: proprio per questo il loro studio ha contribuito, e contribuisce in modo notevole, al progresso generale dell’astrofisica.

Strumenti professionali per lo studio del Sole

La ricerca professionale sul Sole si avvale di strumentazioni sofisticate basate a terra, come, ad esempio , il Big Bear Solar Observatory e lo Swedish Solar Telescope a la Palma (Canarie), la torre solare di Mount Wilson  e, ancor di più di strumentazioni satellitari come le famose SOHO (Solar and Heliosheric Observatory) , SDO (Solar Dynamics Observatory) e le meno conosciute, IRIS, Stereo, Parker Solar Probe ed altre ancora.

Ma cosa si può osservare sul sole?

Le principali strutture osservabili da terra del disco solare sono:

La Fotosfera

lo strato superficiale del Sole, spesso circa 500 Km, al di sotto del quale la stella diviene opaca alla luce; si tratta dunque del primo strato visibile, dal quale l’energia proveniente dall’interno è libera di propagarsi nello spazio. È sede di fenomeni come i granuli ,celle ascendenti e discendenti di plasma della zona di convenzione di circa 1000 Km di diametro medio, e le macchie solari. Queste ultime, pur essendo molto calde (tra 2700- 4200 °C ) appaiono scure per contrasto rispetto alla restante superficie solare a circa 5500 °C. Esse normalmente si mostrano in coppie aventi opposta polarità magnetica. Nell’immagine  che segue (fig 1) un gruppo di macchie e la granulazione riprese in luce bianca.

Corona del Sole
Fig. 1- Un gruppo multipolare di macchie solari riprese in luce bianca dall’autore con un prisma di Herschel

 

Il numero delle macchie solari cresce da un minimo ad un massimo con cadenza undecennale (cd “ciclo solare”). Attualmente ci troviamo nel ciclo solare 25, iniziato nel dicembre 2019 che, contrariamente alle previsioni, si preannuncia più interessante del 24. Un gruppo di scienziati sponsorizzati dalla NASA aveva previsto che il ciclo 25 sarebbe stato simile al 24 , quindi con un numero di macchie al di sotto della media, mentre le ultime previsioni, sulla scorta anche dell’attività sinora registrata e dello studio di Scott Mc Intosh e altri pubblicato su Solar Physics, fanno prevedere un’attività ben superiore a quella del ciclo precedente. L’immagine che segue (fig. 2), (fonte NASA blogs-solar cycle 25) dà un’idea molto precisa della situazione attuale delle previsioni sino al 2035.

Ciclo Macchie Solari
Fig. 2- Nel grafico la curva verde mostra le macchie osservate, che sembrano avere un trend che le avvicina più all’andamento della curva del lavoro di Mc Intosh (rossa) che a quella delle precedenti previsioni (blu)

 

La Cromosfera

La cromosfera è l’atmosfera del Sole: una sottile fascia spessa circa 2300 km al di sopra della fotosfera, con temperatura che, di circa 6000 K ai confini della fotosfera, comincia a decrescere immediatamente dopo sino a 3800 K, per poi crescere nuovamente sino ai 10000 K e poi 20000 K nei suoi strati più alti. Essa prende il suo nome dal greco chroma, chromatos, colore, a causa dei suoi brillamenti colorati visibili subito prima e subito dopo le eclissi totali di Sole. È un sottile involucro costituito da gas rarefatto che appare di colore rossastro; in realtà, lo strato è trasparente. La colorazione rossastra è dovuta agli atomi di idrogeno, in particolare di Idrogeno ionizzato alla lunghezza d’onda di 6562.8 A (rosso profondo) che alle più basse pressioni ed alte temperature della cromosfera emettono radiazioni di tale colore. La cromosfera non è normalmente visibile senza appositi filtri o telescopi solari, che vedremo in seguito; tuttavia essa è visibile in occasione delle eclissi solari totali, insieme alle protuberanze. Le caratteristiche  più interessanti della cromosfera sono:

-Il Cd Cromospheric Network che evidenzia le celle di supergranulazione, meglio visibile in luce Idrogeno Alfa a Calcio ionizzato, con supergranuli di diametro di circa 30.000 Km, quindi molto più grandi dei granuli fotosferici

-Le Plages, strutture brillanti intorno alle macchie fotosferiche, dovute alla concentrazione di attività magnetica in tali zone cd.”Attive”.

-Le Protuberanze, getti di materia che si estendono oltre la superficie solare per effetto di forti campi magnetici.

-I Filamenti, strie di colore scuro, protuberanze proiettate sul disco, che appaiono scure per contrasto.

-Le Spicules, l’erba della cromosfera, piccole eiezioni di plasma sulla base della cromosfera.

cromosfera del Sole
Fig. 3 – Una bella protuberanza ad arco ripresa in luce H alpha. Crediti Fulvio Mete

 

La Corona del Sole

La corona è la parte esterna dell’atmosfera solare, non ha limiti definiti, e si estende nello spazio per decine di milioni di chilometri in modo molto tenue. È costituita da plasma a elevatissima temperatura (oltre un milione di gradi °C). È sede di fenomeni come le CME (espulsioni di massa coronale). La corona non è normalmente visibile, ma lo è in occasione delle eclissi totali di sole, ovvero con uno speciale strumento detto coronografo, che simula un eclisse occultando il disco solare, naturalmente in luoghi con atmosfera tersa e  molto limpida, non certo dalle città.

Eclissi di Sole
Fig. 4- Immagine della corona solare ripresa dagli astrofili  Roberto Volsa e Mauro Di Lorenzo in occasione del’eclisse totale di sole dell’8 luglio 2019 da La Silla, in Cile,con un rifrattore sharpstar 65q , una montatura Skywatcher AZ GTI ed una camera Canon EOS 6D

Perchè Osservare il Sole?

Ma veniamo alla domanda più interessante: come si pongono gli astrofili nei confronti dell’osservazione solare e come può la passione per l’astronomia e quindi per oggetti a noi più lontani come nebulose e galassie, coniugarsi con la passione per una stella che, per la sua vicinanza, potrebbe apparire un oggetto di osservazione quasi scontato se non banale. La risposta è semplice e complessa allo stesso tempo:

  • L’osservazione solare viene effettuata di giorno, e resta quindi più agevole per molti astrofili che non hanno la possibilità di recarsi in luoghi bui e lontani per ammirare o fotografare gli oggetti del cielo profondo.
  • L’inquinamento luminoso e quello indotto dalla miriade di satelliti che gravitano sopra le nostre teste non incide in alcun modo sull’osservazione e , ancor di più, sull’imaging solare.
  • Contrariamente a quanto si crede, il sole costituisce un oggetto di osservazione estremamente mutevole ed interessante per la continua variabilità delle sue strutture.
  • Il fenomeno ricorrente e caratteristico delle macchie solari, che già nei secoli scorsi aveva colpito scienziati del calibro di Galileo, affascina ancora oggi non solo gli astrofili, ma anche coloro che non seguono l’astronomia.
  • Alle precedenti considerazioni se ne aggiunge un’altra, che appartiene più al campo della psicologia che a quello dell’astrofisica: esiste probabilmente in noi una componente ancestrale che inconsciamente ci attrae verso la nostra stella.

Tra questi motivi, primeggia quello della variabilità dei fenomeni che avvengono sul Sole. Il ciclo delle macchie solari, che pur ripetendosi con cadenza undecennale  è sempre diverso come intensità, forza magnetica e dimensioni delle macchie stesse, i flares, le mutevoli ed emozionanti caratteristiche cromosferiche come le protuberanze, ne sono un esempio. L’osservazione solare è andata quindi crescendo in modo notevole negli ultimi anni, coinvolgendo un numero sempre maggiore di astrofili, grazie all’evoluzione tecnologica della strumentazione per l’osservazione visuale e l’imaging del sole, ed al fatto che anche coloro che si interessano principalmente di osservazione del cielo profondo l’osservazione solare viene  comunque effettuata a latere dell’interesse principale.

Inutile dire che tale tipo di osservazione va effettuata con la massima accortezza, e la consapevolezza che approcci superficiali possono causare gravi danni agli occhi, data l’intensità ed il calore della radiazione che ci giunge dal nostro astro. Occorre quindi conoscere a fondo la propria strumentazione ed usare sistemi di filtraggio della luce idonei e certificati, e mai affidarsi a filtri dei quali non si conosce la provenienza e la qualità o, peggio ancora, fatti in casa.

Le Teorie della Formazione del Sole

La formazione del Sole è un argomento che ha affascinato gli scienziati per secoli. Le teorie sulla nascita della nostra stella si sono evolute nel tempo, grazie ai progressi nelle osservazioni astronomiche e nella comprensione dei processi fisici dell’universo.

L’Ipotesi Nebulare

La teoria più accreditata sulla formazione del Sole è l’ipotesi nebulare. Secondo questa teoria, circa 4,6 miliardi di anni fa, una vasta nube di gas e polveri, nota come nebulosa solare, ha iniziato a collassare sotto la propria gravità. Questo processo ha portato alla formazione di un disco protoplanetario e, al centro, di una protostella, il futuro Sole.

Il Collasso della Nebulosa

Il collasso della nebulosa solare ha provocato un aumento della temperatura e della pressione al suo interno. Quando la temperatura ha raggiunto circa 10 milioni di gradi Celsius, si sono innescate le reazioni di fusione nucleare, trasformando l’idrogeno in elio e liberando enormi quantità di energia. Questo ha segnato la nascita del Sole come stella della sequenza principale.

La Formazione del Disco Protoplanetario

Attorno al protosole si è formato un disco di gas e polveri. All’interno di questo disco, i materiali più densi e pesanti hanno iniziato ad aggregarsi, formando i cosiddetti planetesimi. Questi corpi, attraverso processi di accrescimento e collisioni, hanno dato origine ai pianeti del sistema solare.

L’Influenza delle Supernovae

Alcune teorie suggeriscono che il collasso della nebulosa solare possa essere stato innescato o accelerato da eventi esterni, come l’esplosione di una supernova vicina. L’onda d’urto di una supernova avrebbe potuto comprimere la nebulosa, favorendo il collasso e la formazione del Sole e dei pianeti.

Conclusione

Le teorie sulla formazione del Sole continuano ad essere oggetto di studio e di dibattito. Ogni nuova scoperta astronomiche può fornire ulteriori indizi su come la nostra stella, e con essa il sistema solare, sia venuta alla luce. La missione Solar Orbiter dell’ESA, ad esempio, potrebbe fornire nuove informazioni sulla fisica solare che potrebbero influenzare la nostra comprensione della formazione stellare.

Il Sole in dati

  • Distanza dalla Terra: Il Sole si trova a circa 150 milioni di chilometri dalla Terra, per l’esattezza la distanza fra Terra e Sole è chiamata Unità Astronomica e corrisponde a  149.597.870.707. di metri, o anche circa 149 milioni di km.
  • Luce Solare: Per percorrere questa distanza, la luce impiega circa 8 minuti e 19 secondi per raggiungere il nostro pianeta.
  • Diametro: Il Sole ha un diametro di circa 1,4 milioni di chilometri.
  • Massa: La massa del Sole è circa 330.000 volte superiore a quella della Terra.
  • Temperatura della Corona: La corona solare, lo strato più esterno dell’atmosfera del Sole, ha una temperatura di oltre 1 milione di kelvin.
  • Campo Magnetico: Il Solar Dynamics Observatory (SDO) della NASA studia la struttura del campo magnetico solare e come la sua energia viene immagazzinata e convertita nello spazio sotto forma di vento solare.
  • Attività Solare: L’attività solare segue cicli lunghi in media undici anni, durante i quali le macchie solari aumentano progressivamente fino a raggiungere un picco.

Per approfondire

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Video del Sole catturato dalla sonda Solar Orbiter

Il Sole immortalato da vicino in questo video catturato dalla sonda Solar Orbiter dell’ESA

L’Agenzia Spaziale Europea (ESA) ha distribuito questo video dal paesaggio ultraterreno e fantascientifico.

Si tratta della ripresa da vicino del Sole effettuata dalla sonda Solar Orbiter dell’ESA. Il Sole appare in continuo movimento e la sonda ha filmato la transizione dall’atmosfera inferiore del Sole alla corona esterna, molto più calda. Le strutture simili a capelli sono costituite da gas carico (plasma), che segue le linee del campo magnetico che emergono dall’interno del Sole.

Le regioni più luminose sono intorno al milione di gradi Celsius, mentre il materiale più freddo appare scuro poiché assorbe le radiazioni.

Il video è stato registrato il 27 settembre 2023 dallo strumento Extreme Ultraviolet Imager (EUI) su Solar Orbiter.  In quel momento (traccia la posizione in tempo reale della sonda) la navicella spaziale si trovava a circa un terzo della distanza della Terra dal Sole (circa 149 milioni di km) e il 7 ottobre si sarebbe avvicinata ancor di più, sino a 43 milioni di km.

Una squadra vincente: Solar Orbiter e Parker Solar Probe

Nello stesso giorno in cui è stato registrato questo video,  la Parker Solar Probe della NASA  ha sfiorato appena  7,26 milioni di km  dalla superficie solare. Parker misura le particelle e il campo magnetico nella corona solare e nel vento solare e l’occasionale presenza di entrambe le sonde così vicino al Sole è stata un’opportunità perfetta per le  due missioni di collaborare. Con gli strumenti di telerilevamento del Solar Orbiter guidato dall’ESA hanno osservato la regione di origine del vento solare che avrebbe successivamente attraversato la Parker Solar Probe.

I dettagli del video

In angolo in basso a sinistra: una caratteristica intrigante visibile per tutta la durata del film: è il gas luminoso che crea delicati motivi simili a merletti attraverso il Sole. Si tratta di piccoli laghi. Di solito appare intorno alla base di grandi anse coronali che sono troppo calde o troppo tenui per essere viste con le impostazioni dello strumento prescelte.

Sull’orizzonte solare: picchi di gas, noti come spicole, si estendono dalla cromosfera del Sole fino a raggiungere anche altezze di 10 000 km.

Tempo 0:22: una piccola eruzione al centro del campo visivo, con materiale più freddo sollevato verso l’alto prima di ricadere in gran parte verso il basso. Ma non lasciatevi ingannare dall’uso del termine “piccolo”: questa eruzione è più grande della Terra!

Centro-sinistra intorno al tempo 0:30: la pioggia coronale “fresca” (probabilmente inferiore a 10.000 °C) appare scura sullo sfondo luminoso di grandi anelli coronali (circa un milione di gradi). La pioggia è costituita da grumi di plasma ad alta densità che ricadono verso il Sole sotto l’influenza della gravità.

La missione

La missione Solar Orbiter dell’European Space Agency (ESA) rappresenta un passo avanti significativo nella comprensione della nostra stella più vicina, il Sole. Fu concepita per rispondere a domande fondamentali sulla fisica solare e sulla sua influenza sull’eliosfera, l’ambiente spaziale che abbraccia tutto il nostro Sistema Solare.

Solar Orbiter artistico

Storia della Realizzazione

Il Solar Orbiter è il laboratorio scientifico più complesso mai inviato verso il Sole. La sua realizzazione è frutto di un’ambiziosa collaborazione internazionale che ha visto la partecipazione di diverse agenzie spaziali e istituti di ricerca. Il progetto è stato selezionato come la prima missione di classe media del programma Cosmic Vision 2015-2025 dell’ESA.

Oltre all’ESA, che ha la responsabilità principale della missione, la NASA ha fornito un sensore aggiuntivo e uno strumento rimanente. L’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) e l’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) hanno contribuito con il coronografo METIS e la Data Processing Unit di SWA (Solar Wind Analyzer), con ulteriori contributi da Germania e Repubblica Ceca.

Lancio e Traiettoria della Solar Orbiter

La sonda è stata lanciata il 10 febbraio 2020 dalla base di Cape Canaveral in Florida, a bordo di un razzo Atlas V fornito dalla NASA.

Percorso Durante i suoi 21 mesi di crociera, Solar Orbiter ha sfruttato la gravità della Terra e di Venere per posizionarsi nella corretta orbita attorno al Sole. L’orbita scientifica ellittica della sonda, con un punto più vicino a 42 milioni di km dalla superficie del Sole, la porterà all’interno dell’orbita del pianeta Mercurio. Utilizzando la gravità di Venere, gli operatori hanno potuto avvicinarsi al Sole e inclinare gradualmente l’orbita della sonda per osservare i poli solari.

Obiettivi

Gli obiettivi principali di Solar Orbiter includono:

  • Studiare il ciclo di attività magnetica del Sole di 11 anni.
  • Comprendere il riscaldamento della corona solare, che raggiunge temperature di milioni di gradi Celsius.
  • Investigare la generazione e l’accelerazione del vento solare.
  • Osservare le regioni polari inesplorate del Sole.
  • Misurare la composizione del vento solare e collegarla alla sua area di origine sulla superficie solare.

Conclusione

Solar Orbiter è una missione pionieristica che promette di svelare i segreti del Sole e di migliorare la nostra comprensione degli effetti dell’attività solare sul nostro pianeta e sull’intero Sistema Solare. Con i suoi strumenti avanzati e la sua traiettoria unica, Solar Orbiter ci permetterà di osservare il Sole come mai prima d’ora.

Per Approfondire

Solar Orbiter cattura Mercurio

Solar Orbiter: giganti eruzioni solari

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