16 giugno 2016, ore 9.00 – Scuderie Aldobrandini, Frascati
Proponi la tua idea!. L’edizione di #WIRE 16 propone l’assegnazione di tre premi:
– PREMIO MIGLIORE IDEA
– PREMIO INNOVAZIONE
– PREMIO MIGLIOR COMUNICATORE
In netto contrasto cromatico con Dubhe, dalla quale è separata esattamente 5°, è Merak (Beta UMa) che, splendendo di magnitudine 2,34, si colloca al quinto posto tra le stelle più luminose della costellazione; il nome deriva dall’arabo Al-marakk, “il fianco”.
Si tratta di una stella di sequenza principale, anche se più calda (9000 K) e luminosa (73 volte) del Sole. Osservazioni nell’infrarosso suggeriscono che Merak sia circondata da un disco di polveri lontano da essa 45 UA anche se non poi così denso, giacché la massa totale sarebbe circa 1/3 di quella terrestre.
Analizzandone moto e distanza, già nel 1869 l’astronomo R. Proctor notò che questa sembrava muoversi alla medesima velocità e direzione nello spazio delle altre stelle del carro (le due poste all’estremità della figura, Dubhe e Alkaid, non mostravano tale peculiarità), la qual cosa era evidentemente un solido indizio di un reale legame tra queste. Misurando lo spostamento Doppler, che rivela la velocità della stella lungo la nostra linea di vista (se verso di noi o in direzione contraria), individuandone il movimento apparente nel tempo lungo la linea visuale e, infine, calcolandone la distanza (cosa che permette di convertire il moto proprio in una velocità reale attraverso la nostra linea di vista), l’astronomo Huggins confermò quanto affermato da Proctor qualche anno prima: l’appartenenza di queste ad un gruppo in moto nello spazio!
Nate con ogni probabilità all’interno dello stesso apparato nebulare, esse sono dotate delle medesime caratteristiche fisiche e di moto nello spazio; proprio come un gregge, esse si muovono all’interno del braccio di Orione, puntando decisamente verso la parte orientale del Sagittario, sfiorando l’orbita della nostra stella a circa 46 km/s, il cui moto è invece diretto una sessantina di gradi più a nord, tra Ercole e la Lira.
E’ stata valutata in circa un’ottantina di anni-luce la distanza che separa il Sistema solare dal centro geometrico del gruppo, coincidente proprio con le cinque stelle centrali del grande carro; tale distanza, relazionata con l’estensione apparente del gruppo sulla volta celeste, ne permette di determinare anche la reale estensione nello spazio, che sembra quindi aggirarsi entro un ellissoide dagli assi lunghi circa diciotto per trenta anni-luce.
Lo studio delle medesime proprietà di altre stelle nel cielo incrementò le componenti di questa sorta di corrente stellare, che venne chiamata “gruppo in moto dell’Orsa Maggiore”, tanto da rilevarne un centinaio, molte delle quali però più deboli. Tutte le componenti del “Gruppo in moto” sono invece stelle di sequenza principale di classe spettrale A, dotate di una colorazione prettamente bianca (indice della loro temperatura superficiale, valutata in circa 9000° K) tale da farle assomigliare a diamanti stagliati sullo sfondo nero del cosmo; i loro spettri rendono manifesto che anche l’indice di metalli è grossomodo lo stesso tra le varie componenti del gruppo.
Comparando i loro diagrammi HR a quelli di altri ammassi standard dalle caratteristiche fisiche ben note (le Pleiadi o M44), si nota anche qui una certa similitudine che indicherebbe quindi un’età di circa 500 milioni di anni; le stelle del gruppo in moto dell’Orsa maggiore sono quindi piuttosto giovani e, dalla loro nascita avvenuta quasi in contemporanea, avrebbero percorso non più di due orbite galattiche, sempre in mutua peregrinazione. Tenendo conto della distanza media delle componenti, circa un’ottantina di anni-luce, il gruppo dell’Orsa maggiore risulta a tutti gli effetti essere il più vicino “ammasso stellare” al Sistema solare; a poco meno del doppio della distanza (150 a.l.) è situato il secondo ammasso aperto più vicino, le Iadi, mentre Melotte 111 (l’ammasso della Chioma), il terzo della categoria, giace lontano già 280 a.l. Addirittura, dal 1931 il gruppo in moto dell’Orsa maggiore è noto anche con la sigla Collinder 285, redatto dallo svedese Collinder.
Rappresentazione artistica dei due buchi neri all’origine delle onde gravitazionali rivelate da LIGO. Crediti: SXS Lensing
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Rappresentazione artistica dei due buchi neri all’origine delle onde gravitazionali rivelate da LIGO. Crediti: SXS Lensing
LIGO, forse un solo Nobel non basta
Se il lieto fine non vi soddisfa, che ne dite di due? Un po’ come nella fiaba della Bella addormentata, dove non solo il bacio che potrà strapparci all’incantesimo infine arriva, ma addirittura giunge dalle labbra d’un principe. Potrebbe essere accaduto il 14 settembre 2015. Il condizionale è d’obbligo, parliamo d’un’ipotesi con più d’un caveat. Ipotesi, però, abbastanza “pesante” da venir pubblicata domani, 19 maggio, da Physical Review Letters – la stessa rivista sulla quale uscì, lo scorso febbraio, l’annuncio della prima rilevazione di onde gravitazionali.
E infatti proprio di quell’evento si tratta: il cosiddetto “segnale GW150914”, così chiamato dalla data in cui è stato rilevato. Secondo i ricercatori della Johns Hopkins University che hanno scrittol’articolo, fra i qualiil premio Nobel per la fisicaAdam Riess, l’ormai celebre “doppia firma” rivelata quel giorno dai due esperimenti LIGO, oltre a certificare l’esistenza delle onde gravitazionali potrebbe anche essere – allacciate le cinture – la firma della materia oscura.
Sì, proprio così: onde gravitazionali e materia oscura in un colpo solo. Il “segreto” starebbe nella natura di quei due grossi buchi neri la cui fusione è all’origine delle onde: potrebbero infatti essere buchi neri risalenti all’epoca immediatamente successiva al Big Bang. Ed è proprio a una persona che li conosce bene, quei due, essendo stata fra le prime al mondo a predirne l’esistenza, che ci siamo rivolti per capire meglio la portata dello studio: Michela Mapelli, dell’INAF di Padova.
«È un risultato molto interessante, perché apre una nuova prospettiva sullo studio dei buchi neri di origine primordiale[in inglese, primordial black holes, PBHs]. Se lo scenario proposto fosse confermato», dice Mapelli, «gli autori potrebbero fare il “colpaccio”: capire la composizione della materia oscura e allo stesso tempo interpretare l’osservazione delle onde gravitazionali. Tuttavia ci sono incertezze enormi, come gli autori dell’articolo giustamente sottolineano. Ad esempio, questo modello richiede che i buchi neri primordiali possano formare sistemi binari sufficientemente stretti da arrivare a coalescenza in un tempo di Hubble: la cosa è tutt’altro che semplice».
Grandi le incertezze, dunque, ma enormi le potenzialità di questo lavoro della Johns Hopkins University. Lavoro che, oltre al già citato premio Nobel, vede fra gli autori anche un giovane fisico veneziano, Alvise Raccanelli, che si è laureato a Padova nel 2007 e dal 2011 lavora negli Stati Uniti – prima al JPL della NASA e ora alla Johns Hopkins. Lo abbiamo intervistato.
Alvise Raccanelli
Raccanelli, davvero, come suggerisce il titolo del vostro articolo – “Did LIGO detect dark matter?” – c’è la possibilità che l’evento GW150914, la prima firma delle onde gravitazionali, sia stata al tempo stesso la prima firma della materia oscura?
«Sì, potrebbe essere stata anche la prima firma della materia oscura. Nel senso che, nel nostro modello, una miriade di buchi neri primordiali costituiscono quella che viene definita materia oscura. In realtà non abbiamo ancora “visto” la materia oscura, ma ne sentiamo solamente gli effetti gravitazionali. Gli stessi effetti gravitazionali potrebbero essere causati da buchi neri di circa 30 masse solari, formatisi agli albori dell’universo. Questi buchi neri primordiali potrebbero formare sistemi binari e collidere, rilasciando onde gravitazionali. La rilevazione di queste onde gravitazionali sarebbe quindi una traccia dello scontro di due buchi neri di questo tipo».
Quanto potrebbero essere rari, scontri fra buchi neri primordiali come questi?
«Il risultato che abbiamo trovato è che dovrebbero esserci circa 5 eventi per gigaparsec cubico all’anno. La frequenza calcolata da LIGO usando i dati che hanno raccolto finora è compresa tra 2 e 53 per gigaparsec cubico all’anno. Ancora una volta, quindi, il nostro modello non sembra contraddetto dalle osservazioni».
Tutto tornerebbe, dunque?
«Come argomento contrario possiamo dire che è un modello un po’ inaspettato, e per certi versi sorprendente. Bisognerebbe poi ancora spiegare come e quando questi PBHs si sono formati all’inizio dell’Universo, e altri dettagli. Al momento è una proposta, interessante e possibile. Vedremo».
Ma questi buchi neri che renderebbero non più necessaria la materia oscura, in cosa sarebbero diversi, e in cosa uguali, rispetto ai “normali” buchi neri?
«La differenza rispetto ai buchi neri “normali” sta nel fatto, come dicevo, che questi sono buchi neri formatisi nei primi istanti di vita dell’Universo, non come collasso di stelle massive ma per via di complicati meccanismi che accadono nell’Universo primordiale».
Ed è possibile distinguerli dagli altri?
«In un paper che abbiamo sottomesso da poco – s’intitola “Determining the progenitors of merging black-hole binaries” e ne sono il primo autore – proponiamo un metodo per combinare cataloghi di galassie e osservazioni di onde gravitazionali per distinguere tra il modello in cui i PBHs costituiscono la dark matter e modelli più “tradizionali” (con i buchi neri che evolvono da stelle comuni in epoche recenti). Lo possiamo fare perché, secondo i nostri calcoli, fusioni di PBHs di 30 masse solari avvengono in galassie piccole e con pochissime o nessuna stella. Quindi, se troviamo che le onde gravitazionali provengono soprattutto da galassie grandi e con tante stelle, il nostro modello non funziona. Se invece provengono principalmente da galassie piccole e con poche o nessuna stella, questo sarebbe un punto a favore del nostro modello.
In un altro articolo in preparazione (con primo autore un altro ricercatore del nostro gruppo, Ilias Cholis) stiamo cercando di capire se l’eccentricità dell’orbita del sistema binario di buchi neri può servire come ulteriore discriminante. Poi abbiamo anche un altro paio di idee, ma… preferisco non svelarle, per ora :-)».
Torniamo allora alla vostra ipotesi: se fosse confermata, significa che là sotto al Gran Sasso potrebbero smantellare tutti quegli esperimenti per la ricerca di WIMPs o altre particelle didark matter? E la composizione dell’universo, cosa diventerebbe, senza più quella materia oscura che ne costituiva circa un quarto?
«È presto per dirlo, e soprattutto servirebbero indicazioni molto più forti che il nostro modello sia corretto, prima di abbandonare le ricerche di WIMPs. Quanto alla composizione, avremmo circa il 70 percento di dark energy e il 5 percento di materia barionica, proprio come adesso, mentre il restante 25 percento… sarebbe di buchi neri primordiali. Poi, certo, si dovrebbe capire se questi buchi neri primordiali sono fatti di materia barionica oppure no. Insomma, c’è ancora molto lavoro da fare, sia dal punto di vista teorico che osservativo. La ricerca di WIMPs ha comunque contribuito a testare diversi modelli di fisica delle particelle e investigare molti fenomeni quali i raggi gamma, quindi non sarebbe stato in ogni caso lavoro sprecato. Ma ripeto, è presto per dire quale modello è quello corretto: serviranno anni di osservazioni di onde gravitazionali per capirlo».
Per saperne di più:
Leggi il preprint dell’articolo “Did LIGO detect dark matter?“, di Simeon Bird, Ilias Cholis, Julian B. Muñoz, Yacine Ali-Haïmoud, Marc Kamionkowski, Ely D. Kovetz, Alvise Raccanelli e Adam G. Riess
Nel 2013 abbiamo pubblicato su Coelum astronomia n.171 un bell’articolo di Andrea Boldrini sul suo binoscopio autocostruito “più grande al mondo…” (che potete scaricare in pdf QUI)
Ve ne abbiamo raccontato la storia, come è stato ideato e costruito, e le emozioni suscitate da quel “cielo in 3D” visto dai primi fortunati a poter salire quella scaletta e mettere occhio agli oculari. Quella storia ora è diventata un libro, in formato pdf, che Andrea Boldrini regala a chiunque abbia voglia di condividere con lui questa sua grande emozione.
Andrea Boldrini e Maria Kent Pasquarella posano soddisfatti con il binodobson seconda versione, quella definitiva.
La storia della costruzione di uno strumento che non soltanto ha conquistato il primato di “più grande telescopio binoculare amatoriale del mondo”, ma ha anche confermato nei fatti la sua assoluta eccellenza nell’osservazione visuale di un cielo reso tridimensionale da due occhi da 24″ (61 cm di diametro).
Interrogato sul significato del Tempo, Sant’Agostino risponde: «Quando nessuno me lo chiede, lo so; ma se qualcuno me lo chiede e voglio spiegarglielo, non lo so».
In un certo senso, a me capita la stessa cosa quando mi chiedono le ragioni di questo smisurato telescopio binoculare e di cosa abbia mosso questo progetto. Io forse lo so, ma alla fine non so come spiegarlo!
Costruire un binocolo formato da due specchi di 24″ (61 cm di diametro) sembra in effetti uno di quei sogni destinati a farci compagnia per tutta la vita, ma sempre interrotti dall’immancabile risveglio. Poi si sa come vanno le cose… Anche per i desideri più impossibili basta a volte un pizzico di volontà e la vicinanza di qualcuno che ci crede quanto noi (la realizzazione del binodobson è stato un progetto che ho condiviso con la mia compagna Maria Kent Pasquarella, anche lei appassionata di cose celesti) e tutto all’improvviso si mette in moto…
La azienda Artesky annuncia la disponibilità della nuova Altair Astro GPCAM2 colour, una camera ideale per riprese planetarie, lunari oppure da utilizzare come autoguida con porta ST4! Si presta anche a riprese video astronomiche, TimeLapse a tutto campo (con l’opzionale obiettivo).
La Altair GPCAM2 è la sorella maggiore della GPCAM1, una versione migliorata e con un nuovo sensore, ovvero il SONY Exmor IMX224 CMOS, lo stesso della famosa ASI 224 ZWOptical!
Una delle caratteristiche più interessanti di questa camera, insieme al bassissimo rumore (uno dei più bassi tra le camere che montano questo sensore SONY) e l’elevata sensibilità, è l’altissima risposta nella regione rossa dello spettro, che la rende veramente utile anche per riprese solari. Essendo poi molto sensibile anche nelle regioni dell’infrarosso IR, può essere utilizzata in modalità mono.
La porta USB 2.0 della GPCAM2 è decisamente più veloce: così migliorano i tempi e la stabilità del trasferimento dati sul pc, si riducono quasi completamente i video corrotti o la perdita di fotogrammi, e infine migliora la velocità della frequenza, anche con i portatili meno potenti.
La camera possiede una porta autoguida ST4 che permette di usarla come autoguida con le montature delle migliori marche in commercio.
Può essere completamente controllata con AltairCapture e SharpCap per produrre video .AVI e .SER non compressi per l’imaging del sistema solare, oppure file di immagine in tutti i formati più comuni come JPEG .PNG .TIF .BMP ecc. Supporta la digitalizzazione a 8bit o 12bit in uscita.
La GPCAM2 supporta il “Trigger Mode” che permette di meglio controllare esposizioni superiori a 5 secondi. Con la maggior parte delle fotocamere, in modalità video normale, è necessario completare un’esposizione prima di poter dare un altro comando, ad esempio per interrompere la ripresa per l’arrivo di nuvole, il passaggio di un aereo, o un problema di allineamento ecc. Per lunghe esposizioni, la modalità video normale è scomoda, soprattutto in riprese astronomiche del profondo cielo; con il trigger Mode invece è possibile interrompere la ripresa istantaneamente, modificare le impostazioni, e quindi riprendere il lavoro.
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La Camera GPCAM2 IMX224 Colour Altair Astro è in offerta a 219,00 euro presso Artesky
La sonda europea Rosetta sta per calarsi verso la superficie della cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko. La sonda si trova attualmente in un’orbita a 7-8 chilometri di altitudine; domani, se il piano di volo verrà attuato, Rosetta scenderà fino a soli 5 chilometri di quota.
A inizio mese, Rosetta distava circa 18 chilometri dal nucleo. Da allora, la sonda ha gradualmente abbassato la sua altitudine.
Rosetta resterà in questa orbita a bassa quota “fino a inizio giugno,” commenta Matt Taylor, project scientist della missione, “poi inizieremo a volare su altre traiettorie fino ad agosto, quando ricominceremo ad avvicinarci.”
L'ombra di Rosetta in un'area di 228 per 228 metri, fotografata il giorno di San Valentino dalla sonda stessa a una distanza di solo 6 km dalla superifice, la risoluzione è di 11 cm/pixel. Foto ESA/Rosetta/MPS for OSIRIS Team MPS/UPD/LAM/IAA SSO/INTA/UPM/DASP/IDA
Calandosi a distanze così ravvicinate, gli inseguitori stellari potrebbero scambiare i granelli di polvere emessi dal nucleo della cometa per stelle fisse e non riuscire più a controllare l’assetto della sonda. Gli ingegneri sperano che l’attività cometaria sia calata abbastanza da permettere ai dispositivi di operare correttamente; tuttavia, non sono stati in grado di escludere del tutto che i problemi riscontrati l’anno scorso si ripresentino anche questa volta. “Speriamo di no, altrimenti dovremo riprendere quota,” prosegue Taylor.
Il 14 febbraio 2015, Rosetta si era avvicinata fino a soli 6 km dalla cometa, riuscendo addirittura a fotografare la propria ombra sulla superficie del nucleo. A settembre di quest’anno, Rosetta concluderà la propria missione effettuando un impatto controllato sul nucleo.
Photo credit: ESA/Rosetta/MPS for OSIRIS Team MPS/UPD/LAM/IAA/SSO/INTA/UPM/DASP/IDA
Il produttore italiano Tecnosky di Felizzano (AL) ha da poco aggiunto un nuovo strumento all’omonimo brand di strumenti per l’astronomia: si tratta di un rifrattore acromatico di ben 21 cm di diametro (204 mm di apertura libera) e a fuoco corto (1200 mm f/6), destinato alle osservazioni deep-sky e alla fotografia in banda stretta.
L’ottica è composta da un doppietto trattato antiriflesso multistrato spaziato in aria; le lenti sono inserite in una robusta cella di alluminio collimabile.
L’intubazione, realizzata in Italia, è in alluminio anticorodal da 3 mm con diaframmi interni.
Lo strumento monta il robusto fuocheggiatore a cremagliera in bronzo con denti trasversali Titanium Tecnosky da 2,7″.
Come supporto, invece di usare i soliti due anelli il produttore ha optato per due robuste, ma più leggere mezzelune (vedi foto in alto) collegate tramite una lunga barra “tipo losmandy” della ditta Geoptik.
Il peso complessivo dello strumento è di soli 17 kg.
I test condotti hanno constatato una correzione ottica globale molto buona ed un certo cromatismo su Luna e pianeti gestibile con un filtro Baader Semi Apo. Nonostante sia un telescopio adatto a un utilizzo a ingrandimenti medio-bassi sul deep-sky, è stato comunque capace di restituire una visione dettagliata della Luna e di Giove a 170x (visibili numerose bande e la macchia rossa).
Goliah si presta molto bene per essere trasformato in un gigantesco telescopio h-alpha, ad esempio con un filtro Daystar Quark.
A richiesta Goliath è disponibile anche con focale 1800 mm.
Il rifrattore è proposto al prezzo di 4229 euro, inclusi i supporti a mezza luna, la barra, il supporto per il cercatore e il paraluce.
“Il Cielo di Roma 2016” è una due giorni di immersione nella scienza e nella natura nella città di Roma, nel Parco Regionale dell’Appia Antica, con un nutrito programma di attività per il pubblico, incentrata sui temi dell’osservazione del cielo notturno in tutte le sue sfumature.
Durante la manifestazione sarà possibile osservare il sole e i pianeti con potenti telescopi, ascoltare i rapaci notturni, partecipare a laboratori didattici sui meteoriti, registrare gli ultrasuoni emessi dai pipistrelli al tramonto, vedere gli ultimi modelli delle attrezzature astronomiche presentati dai principali operatori del settore, effettuare esperimenti di fisica, ascoltare conferenze sulle onde gravitazionali, visitare una mostra sulla biodiversità e la citizen science, partecipare alla raccolta dati su specie rare nel parco insieme ai ricercatori, informarsi sull’inquinamento luminoso e molto altro.
L’evento è indirizzato a favorire la partecipazione del pubblico, che troverà la possibilità di passare una giornata attiva nella quale approfondire la conoscenza del territorio del Parco, della sua flora e fauna e del cielo notturno in tutte le sue manifestazioni.
Tra i moltissimi eventi, segnaliamo in breve
(info aggiornate al 18 maggio):
♦29/30 maggioASTROROMA 2016
Area espositiva astronomia.
Mostra con stand delle associazioni di astrofili attivi nella Regione Lazio, di operatori commerciali nel settore dell’astronomia, di enti coinvolti a vario titolo nell’osservazione del cielo.
Organizzato dalla Direzione Ambiente e Sistemi Naturali, Regione Lazio, in collaborazione con UAI – Unione Astrofili Italiani, e la partecipazione di diversi Enti ed esperti del settore.
L’inquinamento luminoso spesso è un tema sottovalutato, anche dalle amministrazioni locali competenti per l’attuazione della normativa regionale, non solo per la limitazione che comporta nella fruizione del cielo stellato da parte degli appassionati e di tutta la cittadinanza, ma anche per le possibili conseguenze sui sistemi biologici che ne possono derivare. Da anni la Regione Lazio ha una propria normativa in materia, grazie anche alle preziose indicazioni dell’Unione Astrofili Italiani, dell’Osservatorio di Campocatino e degli altri esperti interessati alla questione. In quest’ambito sono state sviluppate numerose esperienze di applicazione concreta che hanno approfondito sia le questioni tecniche che gli aspetti procedurali, e messo in luce le difficoltà culturali che sono un necessario presupposto per affrontare correttamente il problema. La giornata nell’ambito dell’iniziativa “Il Cielo di Roma” è indirizzata a fare il punto sulle esperienze in corso, sulle difficoltà applicative, e sulle prospettive di prevenzione dell’inquinamento luminoso nella regione della Capitale.
…e ancora a partire dalle 19.45 del venerdì, fino alle 19 della domenica: conferenze scientifiche divulgative, laboratori per grandi e piccoli, seminari tecnici per astrofili, osservazioni del Sole e del cielo a cura di INAF, UAI, Accademia delle Stelle, ARA-‐Associazione Romana Astrofili, AstronomiAmo, Gruppo Astrofili Monti Lepini, Virtual Telescope, Università Roma 3 e presso gli stand dei partecipanti di ASTROROMA.
♦ EMOZIONI AL PLANETARIOLezioni – conferenze di astronomia in un Planetario professionale con cupola di 7 metri per scuola, bambini e adulti a cura di Università Roma Tre – SpeakScience (vedi orari e modalità di prenotazione nel programma completo).
♦BIOBLITZ “NATURA IN CITTA” (Progetto europeo CSMON-‐LIFE) Una serie di attività per l’osservazione della natura in città e lo sviluppo di attività di Citizen Science. Escursioni guidate nel Parco. Osservazione delle specie di fauna e di flora, partecipazione ai censimenti del progetto CSMON-‐LIFE e prova dell’utilizzo dell’APP CSMON-‐LIFE scaricabile gratuitamente.
♦ MOSTRA “La Scienza dei Cittadini: Natura in Città” Sabato 28 e Domenica 29 maggio Exibit sul progetto europeo CSMON-‐LIFE (Citizen Science Monitoring), mostra fotografica sugli animali e le piante delle aree protette del Lazio, materiali sull’astronomia romana e sull’osservazione del cielo.
♦LABORATORI DIDATTICI PER LE SCUOLEil 28 maggio mattina a cura di Università Roma Tre – SpeakScience e Gruppo Astrofili Monti Lepini (modalità di prenotazione nel programma completo).
♦ COSMIC GRAND TOUR Osservazione in diretta del cielo profondo con il Virtual Telescope. Gianluca Masi, Astrofisico. Accompagna le immagini musica in esecuzione “Live” curata da Emanuele Brizioli e Gianluca Meloni con i loro sintetizzatori. (Sala Conferenze, 28 maggio alle ore 22:00).
• Venerdì 27, dalle 22:00: Aspettando il Cielo di Roma, osservazione del cielo.
• Sabato 28, dalle 10:00 alle 13:00: Osservazione del Sole per scuole e pubblico.
dalle 14:30 alle 17:00: Osservazione del Sole per il pubblico
dalle 22:00: Osservazione del cielo per il pubblico e Workshop di osservazione visuale e fotografica.
• Domenica 29, dalle 10:00 alle 13:00: Osservazione del Sole per il pubblico.
♦ROCKET DAY il 29 maggio dalle 14:30 l‘Associazione ScienzImpresa propone un laboratorio di costruzione e lancio di razzi ad acqua, per grandi e piccoli (vedi orari e modalità di prenotazione nel programma completo).
Europa ripresa dalla sonda della NASA Galileo. Crediti: NASA/JPL-Caltech/ SETI Institute
Europa ripresa dalla sonda della NASA Galileo. Crediti: NASA/JPL-Caltech/ SETI Institute
Un altro satellite gioviano, Io, è il corpo vulcanicamente più attivo di tutto il Sistema Solare, a causa dello stress tettonico, e quindi del calore, prodotto dalle forze di marea di Giove. Gli scienziati hanno a lungo considerato che anche Europa potesse avere attività vulcanica o sorgenti idrotermali ma la nuova ricerca cerca di stabilire il suo potenziale di abitabilità anche in assenza di tali fattori.
Secondo gli scienziati del Jet Propulsion Laboratory della NASA, in alcune nicchie sotterranee le sostanze chimiche verrebbero abbinate nelle giuste proporzioni per alimentare processi biologici. A dimostrarlo una ricerca pubblicata sulla rivistaGeophysical Research Letters che, tramite modelli e simulazioni, mette a confronto il potenziale di produzione di idrogeno e ossigeno su Europa con quello della Terra, attraverso processi che non coinvolgono direttamente il vulcanismo. L’equilibrio di questi due elementi è un indicatore chiave dell’energia disponibile per la vita.
Dai risultati è emerso che gli importi sarebbero paragonabili in scala: su entrambi i mondi la produzione di ossigeno è di circa 10 volte superiore alla produzione di idrogeno.
“Stiamo studiando un oceano alieno usando metodi sviluppati per capire il movimento di energia e nutrienti nei sistemi della Terra. Il ciclo di ossigeno ed idrogeno nell’oceano di Europa è uno degli elementi più importanti per guidare la chimica dell’oceano e di qualsiasi forma di vita, proprio come sulla Terra“, ha dichiarato nel reportSteve Vance, scienziato planetario al JPL ed autore principale dello studio.
Il team ha cercato di indagare anche altri elementi chiave come il carbonio, l’azoto, il fosforo e lo zolfo.
Inizialmente, è stata calcolata la quantità di ossigeno che potrebbe essere prodotta dall’oceano della luna quando l’acqua del mare interagisce con la roccia. Secondo tale processo geochimico metamorfico subacqueo, chiamato serpentinizzazione, l’acqua filtra tra i grani minerali e reagisce con essi formando nuovi minerali e liberando idrogeno. I ricercatori hanno considerato un certo numero di crepe nel fondale marino di Europa, partendo dal presupposto che queste si siano aperte nel corso del tempo durante il raffreddamento del nucleo interno iniziato miliardi di anni fa, dopo la nascita della luna. Naturalmente le fessure più recenti esporranno materiale “fresco” all’acqua del mare, alimentando reazioni con una maggior produzione di idrogeno.
Nella crosta oceanica terrestre, tali fratture possono essere profonde fino a 5 – 6 chilometri ma su Europa gli autori ritengono che possano arrivare fino a 25 chilometri.
Il resto della chimica necessaria per la vita verrebbe fornita dagli ossidanti, ossigeno e altri composti che possono reagire con l’idrogeno, provenienti dalla crosta ghiacciata. Europa, infatti, è avvolta nella radiazione creata dall’enorme campo magnetico di Giove tanto che elettroni e ioni collidono sulla sua superficie con la stessa intensità propria di un acceleratore di particelle. Tali scontri sono in grado di dividere le molecole di ghiaccio d’acqua creando questi elementi. Secondo gli scienziati, la superficie della luna viene riciclata sprofondando verso l’interno con un processo simile alla tettonica a placche, portando quindi gli ossidanti nell’oceano.
“Gli ossidanti provenienti dal ghiaccio sono come il polo positivo di una batteria e le sostanze chimiche dal fondo marino, chiamati riducenti, sono come il polo negativo. Scoprire ee i processi bioloici completano o meno il giro è ciò che motiva la nostra esplorazione di Europa“, ha dichiarato Kevin Hand, altro scienziato planetario del JPL co-autore dello studio.
Intorno alla mezzanotte (per dare modo allo Scorpione di alzarsi un po’ dall’orizzonte), guardando verso sud ci sarà modo di seguire per tre sere di seguito il movimento della Luna, che partendo dalla Bilancia attraverserà poi lo Scorpione e l’Ofiuco. L’altezza sull’orizzonte di Marte, al centrodi tutta la scena, sarà per ovvie ragioni molto limitata (circa +23° alle 23:30). Come al solito tutto dipenderà dalle condizioni atmosferiche… Cliccare sulla cartina per ingrandire
Tutto nello Scorpione, verrebbe da dire… Sì, perché in maggio sarà proprio questa regione celeste al centro di tutto il movimento astronomico del mese. Saturno e Marte, chi prima e chi dopo, saranno in opposizione proprio da quelle parti, ma proprio il giorno dell’opposizione geometrica di Marte – il 22, quando il pianeta avrà la massima luminosità – ecco che arriverà anche la Luna a ravvivare l’ambiente. Fin troppo, visto che si tratterà di un invadente plenilunio…
In quella sera Marte si troverà davanti la testa dello Scorpione, 1,5° da Dschubba (mag. +2,4), con la Luna distante 13° verso est (a 2,5° da Saturno), ma che la sera prima l’aveva avvicinato fino a 5°. Bisognerà sperare in una notte assolutamente cristallina.
Crediti. X-ray: NASA/CXC/GSFC/B. Williams et al; Optical: DSS; Radio: NSF/NRAO/VLA
Nell'animazione la variazione di dimensioni del resto di Supernova negli anni in cui è stata "sotto osservazione". Crediti. X-ray: NASA/CXC/GSFC/B. Williams et al; Optical: DSS; Radio: NSF/NRAO/VLA
Ecco come evolvono i resti di una supernova. In questa immagine in movimento potete vedere il resto della supernova Tycho, esplosa nel 1572 in una maniera così drammaticamente violenta che fu visibile anche di giorno. Nello specifico si tratta dell’esplosione di una nana bianca entrata a far parte della classe di supernovae di tipo Ia che vengono utilizzate per monitorare l’espansione dell’Universo. Di recente un gruppo di astronomi ha studiato nel dettaglio il materiale che si sta espandendo dal centro di ciò che resta da questa esplosione, utilizzando il Chandra X-ray Observatory della NASA, il Karl G. Jansky Very Large Array (VLA) e tanti altri telescopi.
Questo resto di supernova è particolarmente interessante perché è facilmente osservabile ai raggi X e quindi quale occasione migliore per sfruttare la potenza di Chandra. L’osservazione è andata avanti per ben 15 anni, dal 2000 al 2015, e i ricercatori sono riusciti a creare un lungo “film” con 5 scatti che mostrano come l’espansione sia ancora in corso dopo 450 anni. Combinando i dati a raggi X con circa 30 anni di osservazioni in radio con il VLA, gli astronomi hanno anche prodotto un collage in movimento utilizzando tre immagini diverse.
Le osservazioni hanno permesso di misurare la velocità dell’onda d’urto generata dall’esplosione, e date le grandi dimensioni del resto di supernova le misurazioni sono state molto precise. Sebbene il resto sia approssimativamente circolare, ci sono diverse discrepanze nella velocità dell’onda d’urto nelle diverse regioni. La velocità nella zona in basso a destra è circa due volte più grande che nell’area a sinistra. Il team ha scoperto che la velocità massima dell’onda d’urto è di circa 20 milioni di chilometri all’ora. Queste differenze derivano dalla diversa densità del gas presente nel resto, che però ha cambiato il suo stato nel corso degli ultimi tre secoli.
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Per saperne di più:
Leggi lo studio: “An X-ray and Radio Study of the Varying Expansion Velocities in Tycho’s Supernova Remnant“, di Brian Williams (NASA’s Goddard Space Flight Center), Laura Chomiuk (Michigan State University), John Hewitt (University of North Florida), John Blondin (North Carolina State University), Kazimierz Borkowski (NCSU), Parviz Ghavamian (Towson University), Robert Petre (GSFC), e Stephen Reynolds (NCSU).
Spiando la gelida periferia del Sistema Solare, un gruppo di astronomi è riuscito a ottenere preziose informazioni sul pianeta nano 2007 OR10, rivelando un mondo ben più grande del previsto. I dati, ottenuti dai telescopi spaziali Kepler e Herschel, mostrano che il diametro di 2007 OR10, il più grande oggetto del sistema solare privo di un nome ufficiale, è di circa 1535 chilometri, quasi 250 chilometri in più rispetto alle stime precedenti. Questa nuova misurazione rende 2007 OR10 un centinaio di chilometri più grande del pianeta nano Makemake.
Il pianeta nano 2007 OR10 spiato da Kepler. Credits: Konkoly Observatory/László Molnár and András Pál
I nuovi dati indicano anche che questo misterioso mondo alieno presenta una superficie relativamente scura. Inoltre, con un periodo di quasi 45 ore, presenta uno dei moti di rotazione più lenti nell’intero Sistema Solare.
I dati che hanno reso possibili queste scoperte sono stati raccolti dal telescopio spaziale Kepler della NASA nell’ambito della sua missione K2 e dall’osservatorio spaziale europeo Herschel prima che venisse disattivato nel 2013.
Le nuove misurazioni pongono 2007 OR10 in terza posizione tra i pianeti nani del Sistema Solare in termini di dimensioni. Il collega Haumea presenta un diametro massimo maggiore di quello di 2007 OR10; tuttavia, la sua forma particolarmente allungata fa sì che il suo volume interno sia in realtà ben minore di quello di OR10.
“Kepler ha fornito un altro contributo importante nella misurazione delle dimensioni di 2007 OR10,” spiega Geert Barentsen della NASA, “ma ciò che è davvero impressionante è la quantità di informazioni sulle proprietà fisiche di questo oggetto che possiamo ricavare unendo i dati di Kepler a quelli di Herschel.”
La nuova missione K2 prevede che Kepler usi la pressione delle radiazioni solari per bilanciarsi e controllare il proprio assetto, rimediando fino a un certo punto alla perdita di stabilizzazione dovuta al fallimento di due dei quattro giroscopi a bordo del telescopio. Oltre a cercare lievi cali nella luminosità di una stella dovuti al transito di un esopianeta, come già faceva nella sua missione precedente, Kepler ora viene impiegato anche per raccogliere la debole luce proveniente da alcuni degli oggetti più lontani e freddi nel nostro sistema solare.
A complicare l’analisi dei dati è stata proprio la grande distanza del pianeta nano: nonostante la sua orbita lo porti di tanto in tanto all’altezza dell’orbita di Nettuno, in questo momento 2007 OR10 si trova due volte più in là di Plutone. Misurare la lentissima velocità di rotazione dell’oggetto è stato essenziale per poter effettuare una misurazione indiretta del suo diametro. I dati di Kepler, secondo gli scienziati, contengono addirittura degli indizi di potenziali variazioni di luminosità sulla superficie.
I dati di Kepler hanno consentito agli astronomi di misurare la frazione della luce riflessa dalla superficie di 2007 OR10, mentre quelli di Herschel hanno rivelato la frazione di luce assorbita e poi riflessa nella porzione infrarossa dello spettro elettromagnetico. Unendo queste due informazioni, gli astronomi sono riusciti a risalire alle dimensioni e alla luminosità dell’oggetto.
Il fatto che gli studi precedenti avessero sottostimato il reale diametro di 2007 OR10 indica che anche i dati sulla gravità e sulla luminosità di questo mondo debbano essere rivisti. A parità di luce riflessa, infatti, un diametro maggiore è indicativo di una superficie meno riflettente.
“Le nostre nuove stime sulle dimensioni di 2007 OR10 rendono sempre più probabile che il pianeta nano sia coperto da ghiacci volatili come il metano, il monossido di carbonio e l’azoto, che probabilmente sarebbero persi nello spazio,” spiega Andràs Pàl del Konkoly Observatory. “È emozionante rivelare dettagli come questo su un mondo così lontano e nuovo – soprattutto vista la sua superficie straordinariamente scura e rossastra.”
Un valore aggiunto per l’opposizione 2016 di Marte consisterà nel fatto che il pianeta rosso darà il meglio di sé in una delle costellazioni più famose e affascinanti del cielo: lo Scorpione… affiancandosi alla “rivale” Antares e mostrandosi per di più in compagnia di un brillante Saturno. Ovviamente c’è un prezzo da pagare, quello della limitata altezza sull’orizzonte e del rischio di una turbolenza che potrebbe creare problemi alle osservazioni visuali o fotografiche in alta risoluzione. L’illustrazione mostra il percorso apparente di Marte nei mesi di maggio, giugno, luglio e metà agosto. La posizione occupata è quella che il pianeta avrà il 1° maggio. Come spiegato in altra parte dell’articolo, questa opposizione è gemella – per distanze, luminosità, orari e posizioni – di quella che si verificò nel 1937, 79 anni fa.
Mancano ancora due anni alla “Grande opposizione” del 2018, quando la Terra si troverà tra il Sole e Marte e quest’ultimo ci apparirà luminoso e grande come non mai. Chi ha potuto assistere a quella dell’agosto 2003 sa bene che si tratta di un’esperienza che va molto al di là del normale aspetto osservativo.
L’emozione provocata dal periodico e raro avvicinamento del pianeta Rosso alla Terra è infatti legata a un insieme di suggestioni non solo scientifiche, ma anche letterarie e storiche (Schiaparelli, i canali, la vita, il mistero, la guerra dei mondi di Wells, e quella radiofonica di Orson Welles…); ed è probabilmente in nome di quelle sensazioni che tra una grande opposizione e l’altra ci si scopre a desiderare che passino in fretta le opposizioni intermedie, di solito liquidate come “afeliche”, e cioè con il pianeta troppo lontano per arrivare ad accendere certe emozioni.
Quella di quest’anno è però da considerarsi ben più di una “opposizione afelica”; Marte raggiungerà infatti un diametro angolare di quasi 19 secondi d’arco, un valore che la tecnica di acquisizione in digitale ha reso ormai più che sufficiente per regalare delle ottime opportunità di studio e divertimento.
Le orbite della Terra e di Marte viste dal polo nord del piano dell'eclittica. Ogni circa 26 mesi (780 gg) Marte raggiunge l’opposizione, portandosi così alla minima distanza dalla Terra.
22 maggio 2016 Marte raggiunge l’opposizione geometrica, la luminosità è al suo massimo (mag. –2,06).
30 maggio 2016 Marte è alla minima distanza dalla Terra (0.50321 AU = 75.28 milioni di chilometri). Il diametro angolare arriva alla massima estensione (18,6″), la luminosità inizia a scendere (mag. –2,0).
Coelum vi regala inoltre uno speciale con due articoli approfonditi in cui trovare tutto quello che si può osservare del Pianeta Rosso, e come osservarlo, guidati da Remondino Chavez, e cosa riprendere e come con i sempre ottimi consigli di Daniele Gasparri. La consultazione è gratuita e ottimizzata per qualsiasi dispositivo:
Costruire un planisfero completo di Marte è una delle attività più interessanti e spettacolari. Questo si riferisce all’opposizione del 2005, in cui il pianeta aveva dimensioni angolari non troppo diverse rispetto a quanto potremo sperimentare in questa apparizione. Sono state utilizzate 6 immagini ottenute a distanza di circa una settimana ciascuna.
Dopo il successo dello scorso anno torna #WIRE16: l’evento si terrà il 16 giugno 2016 presso le Scuderie Aldobrandini di Frascati.
Ascoltare le necessità delle imprese, condividere le idee della ricerca e coinvolgere finanziatori per migliorare la catena dell’innovazione nel Lazio. Questi i principali obiettivi di #WIRE16 – Workshop Impresa, Ricerca ed Economia – che intende favorire e incentivare la realizzazione di un ecosistema favorevole alla ricerca, l’innovazione e allo sviluppo di realtà imprenditoriali che incrementino le competenze, le opportunità per i giovani e accrescano le potenzialità dell’area.
L’evento, ideato da Frascati Scienza, si terrà il 16 giugno alle ore 9:00, presso le Scuderie Aldobrandini di Frascati (RM) in Piazza Marconi 6. Imprenditori, ricercatori e finanziatori avranno 5 minuti per poter raccontare in modo semplice e comunicativo chi sono, cosa fanno, le loro esigenze ed idee per migliorare il mondo in cui viviamo.
I temi potranno spaziare dalla ricerca e le sue applicazioni, alle innovazioni nel campo del design, della tecnologia, e dell’informatica, alle idee per creare infrastrutture, laboratori e opportunità di lavoro per i giovani, o semplicemente per mettere in rete le proprie conoscenze e competenze.
C’è tempo fino al 29 maggio per compilare il form di iscrizione completo di curriculum/scheda del proponente e presentare la propria idea. L’iscrizione è gratuita e non esistono vincoli di età, genere, ambito o qualifica per i soggetti ammissibili al concorso.
Grazie al supporto dell’ESA-ESRIN saranno assegnati dei premi per:
• Premio migliore idea: 2000 euro
• Premio innovazione: 1500 euro
• Premio miglior comunicatore: 1500 euro
Ciascuna proposta verrà valutata da un comitato scientifico composto da professionisti nei diversi ambiti dell’innovazione, della ricerca, della finanza e della comunicazione scientifica. Il 10 giugnosaranno resi noti i progetti selezionati che verranno presentati durante l’evento #WIRE16.
L’evento è realizzato da Frascati Scienza e vede il supporto della Commissione Europea, del comune di Frascati e di ESA-ESRIN. Inoltre sono partner organizzatori della manifestazione ASI, CNR, ENEA, INAF, INFN, INGV, ISS, Sapienza Università di Roma, Università degli Studi di Roma Tre, Università Telematica Internazionale Uninettuno, AISCRIS, BCC Banca di Frascati, Engineering, ELIS, Fondazione Economia Tor Vergata, Fondazione Italia Camp, InTech, Native, Associazione PIIU, Rai Tre Scienza, Telecom Italia.
WIRE16 è parte degli eventi lancio della Notte Europea dei Ricercatori 2016 e s’inserisce all’interno della più ampia iniziativa “Lazio Pulse” volta a realizzare attraverso l’eScience la crescita economica e sociale del territorio (www.laziopulse.it).
In un colpo solo, la NASA ha annunciato la scoperta di 1284 nuovi esopianeti da parte del telescopio spaziale Kepler, un nuovo record che porta il numero totale di mondi in orbita attorno a stelle aliene a oltre 3200. La scoperta è stata effettuata analizzando i dati raccolti dal potente occhio robotico di Kepler nel Luglio del 2015. L’analisi ha portato all’identificazione di 4302 candidati, ovvero potenziali esopianeti. Per 1284 di questi candidati, il livello di fiducia a più del 99% è sufficiente per confermare la loro natura planetaria.
Il numero di esopianeti scoperti ogni anno, a partire dalla prima individuazione, risalente al 1995. In arancione, gli esopianeti annunciati oggi. In azzurro, i pianeti individuati in passato da Kepler. In blu scuro, gli esopianeti individuati tramite altri telescopi. Credits: NASA Ames/W. Stenzel; Princeton University/T. Morton
“Questo annuncio raddoppia il numero di pianeti scoperti da Kepler,” spiega Ellen Stofan della NASA. “Ora abbiamo più fiducia che da qualche parte là fuori, attorno a una stella simile alla nostra, ci sia davvero un’altra Terra.”Per altri 1327 dei 4302 candidati spiati da Kepler, le probabilità che siano realmente dei pianeti extrasolari è del 50% o più. Altri 984 candidati erano già stati confermati o validati. Per quanto riguarda i restanti 707 candidati, gli scienziati sospettano che qualche altro fenomeno astrofisico sia all’opera, oppure che si tratti semplicemente di errori nei dati.
La campagna di analisi dei candidati di Kepler spesso richiede la collaborazione di diversi telescopi, anche terrestri, e di diversi metodi, come quello della velocità radiale o della fotografia diretta. Credits: NASA
“Prima che il telescopio spaziale Kepler decollasse, non sapevamo se gli esopianeti fossero rari o comuni nella galassia,” spiega Paul Hertz della NASA. “Grazie a Kepler e alla comunità di ricerca, oggi sappiamo che potrebbero esserci più pianeti che stelle.”Il metodo di individuazione di Kepler si basa sull’osservare periodici cali nella luminosità di una stella dovuti al transito davanti al suo disco di uno o più esopianeti – un po’ come il transito di Mercurio di fronte al Sole che ieri ha meravigliato il mondo intero. Prima che la perdita di un secondo giroscopio costringesse gli ingegneri a progettare da capo una nuova missione che vede Kepler bilanciarsi e controllare il proprio assetto sfruttando la pressione delle radiazioni solari, il telescopio spaziale monitorava costantemente oltre 150 mila stelle tra le costellazioni del Cigno, della Lira e del Dragone.
A differenza delle scoperte precedenti, in cui gli scienziati avevano analizzato una a una le curve di luce di ciascuna stella nel campo visivo di Kepler, l’analisi dei 4302 candidati è stata portata a termine tramite un metodo statistico in grado di valutare più candidati allo stesso tempo.
La campagna di analisi dei candidati di Kepler spesso richiede la collaborazione di diversi telescopi, anche terrestri, e di diversi metodi, come quello della velocità radiale o della fotografia diretta. Credits: NASA
Il nuovo metodo si basa su due simulazioni differenti che analizzano la struttura dei transiti osservati da Kepler e le probabilità, a livello puramente statistico, che una data stella ospiti un sistema planetario o che si tratti di un falso allarme. Confrontando queste due informazioni, l’algoritmo assegna un voto da 0 a 1 a ciascun candidato; i candidati con un voto di 0.99 o più diventano pianeti di fatto, senza bisogno di lunghe e costose campagne di osservazione per confermare la loro natura planetaria.”I candidati planetari possono essere visti come delle briciole di pane,” spiega Timothy Morton della Princeton University. “Se lasci cadere un paio di grosse briciole sul pavimento, puoi raccoglierle una ad una. Ma se rovesci un intero sacco pieno di briciole piccole, avrai bisogno di una scopa. Questa analisi statistica è la nostra scopa.”
Lo stato attuale dei 4302 candidati annunciati oggi: 1284 sono stati confermati, 1327 devono ancora essere confermati ma sono probabilmente pianeti reali, 707 sono probabilmente falsi e 984 erano già stati confermati o validati in precedenza. Credits: NASA Ames/W. Stenzel; Princeton University/T. Morton
Dei 1284 pianeti individuati da Kepler nel Luglio del 2015, quasi 550 presentano dimensioni indicative di una composizione rocciosa. Nove di questi si trovano nelle fasce abitabili dei loro sistemi planetari, ovvero a distanze dalle proprie stelle alle quali l’acqua potrebbe essere stabile allo stato liquido sulle loro superfici. Questi nove pianeti si vanno ad aggiungere agli altri 12 pianeti potenzialmente abitabili già conosciuti.
“Si dice di non contare i pulcini prima che siano nati, ma è esattamente ciò che questi risultati ci permettono di fare basandoci sulle probabilità che ciascun uovo, o candidato nel nostro caso, si trasformi in un pulcino, o un pianeta confermato,” spiega Natalie Batalha della NASA. “Questo studio permetterà a Kepler di raggiungere il suo potenziale massimo offrendoci una comprensione più approfondita del numero di stelle che ospitano pianeti terrestri potenzialmente abitabili – un numero che è fondamentale conoscere per poter progettare future missioni in grado di cercare ambienti abitabili e mondi abitati.”
I ventuno pianeti potenzialmente abitabili individuati finora da Kepler. In arancione, i nove annunciati oggi. Credits: NASA Ames/N. Batalha and W. Stenzel
Ancora una congiunzione tra Luna e Giove nelle prime ore delle notti del 15 e 16 maggio. Forse la meno spettacolare degli ultimi tempi in quanto a separazione osservabile (circa 7°), ma pur tuttavia un’occasione per andare alla ricerca di paesaggi adatti a valorizzare il fenomeno. L’incontro avverrà sotto la “pancia del Leone”, dove da diverso tempo sta stazionando Giove. All’ora indicata (1:45), i due oggetti saranno alti circa +12° sull’orizzonte ovest.
L’incontro avverrà sotto la “pancia del Leone”, dove da diverso tempo sta stazionando Giove. All’ora indicata (1:45), i due oggetti saranno alti circa +12° sull’orizzonte ovest.
Le notti del 14/15 e del 15/16 maggio, il primoquarto di Luna apparirà nei pressi di Giove, nelcorso di una congiunzione abbastanza larga.
La separazione minima osservabile – (o almeno quella in orario più comodo!) di circa 6° – sarà raggiunta verso le 21:45 del 15, quando però i due oggetti saranno alti circa +54° e isolati nel cielo.
Per realizzare riprese fotografiche di effetto sarà forse meglio attendere le prime ore del 16, anche se la separazione sarà salita a più di 7°.
La Luna sarà decisamente invasiva con il suo chiarore, ma anche così gli astrofotografi più bravi riusciranno senz’altro a ricavare suggestivi accostamenti tra il cielo (il Leone declinante) e gli elementi del paesaggio.
Una vista delle pianure vulcaniche del nord di Mercurio. In basso a destra si nota il bacino da impatto Mendelssohn di 291 chilometri di diametro. Nella parte superiore dell'immagine, la regione arancione mostra la posizione di una bocca vulcanica. Crediti: NASA/JHUAPL/Carnegie Institution of Washington
Una vista delle pianure vulcaniche del nord di Mercurio. In basso a destra si nota il bacino da impatto Mendelssohn di 291 chilometri di diametro. Nella parte superiore dell'immagine, la regione arancione mostra la posizione di una bocca vulcanica. Crediti: NASA/JHUAPL/Carnegie Institution of Washington
La mappa fa parte dell’ultimo rilascio del Planetary Data System (PDS), un’organizzazione finanziata dalla NASA che si occupa della pubblicazione dei dati scientifici delle missioni planetarie. La missione MESSENGER, che si è conclusa il 30 aprile dello scorso anno con un impatto sulla superficie del pianeta, ha condiviso ad oggi oltre 10 terabyte di informazioni, tra cui quasi 300.000 immagini e milioni di spettri.
Il nuovo modello è stato realizzato combinando insieme più di 100.000 foto riprese con geometrie ed illuminazione molto diverse.
Rivela una serie di caratteristiche interessanti, tra cui il punto più alto e più basso del pianeta rispettivamente di 4,48 chilometri sopra l’elevazione media appena a sud dell’equatore e 5,38 chilometri sotto l’elevazione media nel pavimento del bacino Rachmaninoff, un bacino da impatto che ospiterebbe alcuni tra i più recenti depositi vulcanici di Mercurio. E fornisce una vista senza precedenti della regione vicino al polo nord dove generalmente il Sole, basso sull’orizzonte, getta ombre molto lunghe che oscurano le caratteristiche del terreno.
Nel video che segue, un’animazione del DEM il nuovo modello globale digitale di elevazione creato dalle immagini del MESSENGER. La superficie di Mercurio è colorata in base alla sua topografia, con la regioni più elevate colorate di marrone, giallo e rosso, e quelle di bassa elevezione in blu e porpora. Credits: NASA/U.S. Geological Survey/Arizona State University/Carnegie Institution of Washington/JHUAPL
E Coelum compie numeri!! Leggilo subito… è gratis!
EVENTI NAZIONALI UAI 9 maggio: Il transito di Mercurio L’evento astronomico
più importante dell’anno! Il transito di Mercurio davanti
al Sole, un evento raro che in Italia è stato osservato per
l’ultima volta nel 2003
http://divulgazione.uai.it
Nell’immagine sono illustrati i risultati ottenuti dallo strumento CRISM a bordo del Mars Reconnaissance Orbiter della NASA nella regione del Sisyphi Montes. Il sito si trova lontano da qualsiasi strato di ghiaccio recente, in una zona dove la morfologia dei rilievi è stata interpretata come il risultato di un vulcanismo subglaciale. I minerali rilevati dalla sonda sembrano rafforzare la solidità di questa ipotesi. Crediti: NASA/JPL-Caltech/JHUAPL/ASU
Stando a quanto suggeriscono gli ultimi dati inviati a Terra dal Mars Reconnaissance Orbiter (MRO) della NASA, miliardi di anni fa su Marte alcuni vulcani hanno eruttato al di sotto di uno strato di ghiaccio. La ricerca riguardante questi vulcani ha permesso dunque di dimostrare che in passato, su Marte, c’era un vasto strato di ghiaccio.
A questa scoperta si aggiungono una serie di preziose informazioni sull’ambiente presente all’epoca sul pianeta rosso: una combinazione di calore e umidità che avrebbe potuto fornire condizioni favorevoli allo sviluppo di vita microbica.
Sheridan Ackiss, ricercatore presso la Purdue University, in Indiana, insieme ai suoi collaboratori ha utilizzato lo spettrometro in grado di mappare la presenza di minerali sulla superficie marziana che si trova a bordo di MRO. I ricercatori hanno indagato una regione con una struttura peculiare che si trova nell’emisfero sud di Marte e che si chiama Sisyphi Montes, ovvero il monte di Sisifo. La regione è circondata da montagne di quota ridotta, e già altri ricercatori avevano notato la somiglianza di questi rilievi con vulcani eruttati sotto strati di ghiaccio.
La regione del Sisyphi Montes si estende a partire da circa 55 gradi fino a 75 gradi di latitudine sud. Alcuni dei siti che hanno morfologie e composizioni compatibili con eruzioni vulcaniche subglaciali si trovano a circa 1.600 km dalla calotta polare a sud di Marte. Attualmente la calotta ha un diametro di circa 350 km
«Le rocce raccontano storie. Studiandole possiamo scoprire come si sia formato un vulcano o come sia evoluto nel corso del tempo», spiega Ackiss. «L’obiettivo di questa ricerca era capire meglio la storia che ci stavano raccontando le rocce di questi vulcani».
Quando sulla Terra un vulcano erutta al di sotto di uno strato di ghiaccio, il vapore generato porta alla frattura del ghiaccio e all’espulsione i cenere in atmosfera. Ad esempio, la famosa eruzione del vulcano islandese Eyjafjallajökull del 2010 ha comportato il rilascio di ceneri e polveri che hanno compromesso i trasporti aerei in tutta Europa per circa una settimana.
I minerali caratteristici prodotti da questo tipo di vulcanismo sono principalmente zeoliti, solfati e argille. E sono proprio questi che ha scovato sui rilievi del Sisyphi Montes lo strumento Compact Reconnaissance Imaging Spectrometer (CRISM) a bordo di MRO, spingendosi fino a una risoluzione di 18 metri per pixel.
«Non avremmo mai potuto ottenere un risultato di questa portata senza l’alta risoluzione di cui è dotato CRISM», conclude Ackiss.
CielOstellato, organizzato dal Gruppo astrofili Columbia, la Coop.
Camelot, la rivista Coelum, in collaborazione con la Coop.
Atlantide, Robintur e il patrocinio del Comune di Ostellato, giunge alla sua ventesima edizione e si conferma lo Star-Party nazionale dedicato all’alta risoluzione.
Oltre allo Star Party con i consueti spazi dedicati all’osservazione e alla ripresa, alle ditte di strumentazione astronomica che presenteranno le novità del settore (confermati al momento Astrottica eTeleskop Service Italia), durante la giornata sarà possibile seguire una serie di conferenze. Anche quest’anno il tema sarà dedicato ai viaggi astronomici: racconti di viaggio alla ricerca dei cieli più incontaminati, a caccia dei fenomeni più spettacolari, come eclissi totali di sole, comete, tempeste di meteore, aurore polari, nei contesti più straordinari e suggestivi del pianeta. ore 15:00: “Un ragazzo del Kenia e la scoperta del cielo“ a cura di Emanuele Cambiotti. ore 16:00: ” Aver ragione avendo torto” a cura di Maurilio Grassi. ore 17:00: “L’eclisse indonesiana” a cura di Massimiliano Di Giuseppe e Ferruccio Zanotti. ore 18:00: “Fenomeni luminosi alle alte latitudini” a cura di Esther Dembitzer.
Per informazioni:
Ferruccio Zanotti 338/4772550 – Massimiliano Di Giuseppe 338/5264372
e-mail: esploriamoluniverso@gmail.com
https://esploriamoluniverso.com
GRUPPO ASTROFILI COLUMBIA: Alessandro Farinelli 340/2834050 – Davide Andreani 338/7594852-
Matteo Negri 328/1547402 – Martino Artioli 335/5962215
www.astrofilicolumbia.it
Dove si trova il “sol dell’avvenire”? Secondo un gruppo di ricerca, guidato da Michaël Gillondell’Institut d’Astrophysique et Géophysique dell’Università di Liegi, in Belgio, bisogna guardare verso la costellazione dell’Acquario, a circa 40 anni luce dalla Terra.
Un immaginario panorama dalla superficie di uno dei tre pianeti in orbita intorno a una stella nana ultra-fredda a soli 40 anni luce dalla Terra, scoperti dal telescopio TRAPPIST all’Osservatorio dell’ESO a La Silla. In questa veduta uno dei pianeti interni sta transitando di fronte al disco della sua stella madre, minuscola e poco luminosa. Crediti: ESO/M. Kornmesser
Utilizzando l’occhio di TRAPPIST, un telescopio robotico belga da 0,6 metri di diametro operante all’Osservatorio dell’ESO di La Silla in Cile, per osservare la stella 2MASS J23062928 – 0502285(conosciuta in breve come TRAPPIST-1), i ricercatori hanno scoperto che attorno a questo astro, molto più piccolo e freddo del Sole, ruotano tre pianeti di dimensioni simili alla Terra. I risultati sono stati pubblicati oggi sulla rivista Nature.
Nonostante sia relativamente così vicina alla Terra, TRAPPIST-1 è troppo debole e troppo rossa per essere vista a occhio nudo, o anche con un telescopio ottico amatoriale. È un tipo di stella che gli astronomi definiscono nana ultra-fredda, a significare che è molto meno calda – e quindi piùrossa – del Sole, e di dimensioni ridotte, risultando poco più grande del pianeta Giove. Queste stelle, assai longeve, sono molto comuni nella Via Lattea, rappresentando circa il 15% delle stelle nei dintorni del Sole. Tuttavia, questo è il primo caso in cui vi si trovano anche dei pianeti attorno.
«Questo è un vero cambiamento di paradigma per quanto riguarda la popolazione planetaria e il percorso alla ricerca della vita nell’universo», commenta entusiasticamente Emmanuël Jehin dell’Università di Liegi. «Finora l’esistenza di questi “mondi rossi” in orbita intorno a stelle nane ultra-fredde era solo stata teorizzata, ma ora abbiamo trovato non solo un singolo pianeta, ma addirittura un sistema completo di tre pianeti attorno a una di queste fioche stelle!».
«Ci si potrebbe chiedere perché ci stiamo tanto sforzando di individuare pianeti di dimensione paragonabile alla Terra attorno alle stelle più piccole e più fredde a noi vicine. La ragione è semplice: i sistemi planetari attorno a queste minuscole stelle», spiega Gillon, «sono gli unici luoghi in cui possiamo rivelare l’eventuale presenza di vita su un esopianeta di dimensioni terrestri con le tecnologie attuali. Se vogliamo trovare la vita ora da qualche altra parte nell’Universo, è qui dove dobbiamo iniziare a cercare».
Questa immagine mostra il Sole e la nana ultra-fredda TRAPPIST-1, in scala. La debole stella ha un diametro pari all’11% del diametro del Sole e ha un colore molto più rosso. Crediti: ESO
Gli astronomi cercheranno tracce della presenza di vita studiando l’effetto che l’atmosfera di un pianeta in transito di fronte alla sua stella ha sulla luce che vi filtra attraverso. Generalmente, per pianeti di dimensioni paragonabili al nostro in orbita attorno a una stella di dimensioni “normali”, questo effetto non è rilevabile, in quanto sopraffatto dalla luce della stella stessa. Secondo i ricercatori, solo nel caso delle stelle nane ultra-fredde, come TRAPPIST-1, questo effetto è abbastanza grande da potere essere osservato con i telescopi esistenti o quelli disponibili a breve.
Nel nuovo studio, successivamente a quelle compiute con il TRAPPIST, sono state eseguite osservazioni con telescopi più grandi, come il VLT da 8 metri dell’ESO in Cile. Le analisi con lo strumento tra cui lo strumento HAWK-I hanno mostrato che i pianeti in orbita intorno alla stella TRAPPIST-1 hanno dimensioni simili a quelle della Terra. Due dei pianeti hanno un periodo orbitale di1,5 e 2,4 giorni, mentre il terzo ha un periodo meno determinato, compreso tra i 4,5 e i 73 giorni.
«Questi periodi orbitali così brevi indicano che i pianeti si trovano da 20 a 100 volte più vicini alla loro stella di quanto lo sia la Terra al Sole. La struttura di questo sistema planetario è molto più simile, in scala, al sistema delle lune di Giove, piuttosto che al Sistema solare», aggiunge Gillon.
Se c’è atmosfera sugli esopianeti appena scoperti, presto gli scienziati saranno in grado di analizzarla alla ricerca di tracce di vita grazie a nuovi potenti telescopi. Crediti: ESO/M. Kornmesser
Anche se le loro orbite sono molto vicine alla stella nana, i due pianeti interni ricevono, rispettivamente, solo quattro e due volte la quantità di radiazione ricevuta dalla Terra, dal momento che la stellina è molto più debole del Sole. Questo li collocherebbe troppo vicini alla stella per rientrare nella zona abitabile del sistema, ma i ricercatori ritengono che non si possa escludere del tutto che possano ospitare delle regioni sulla superficie con presenza di acqua liquida. L’orbita del terzo pianeta, più esterno, non è ancora ben nota, ma probabilmente questo riceve sì meno radiazione quanta ne riceva la Terra, ma è forse ancora sufficiente per farlo rientrare nella zona abitabile.
«Grazie a diversi telescopi giganti attualmente in costruzione», dice in conclusione Julien de Wit, coautore dal Massachusetts Institute of Technology (MIT) negli USA, «tra cui l’E-ELT dell’ESO e il James Webb Space Telescope della NASA/ESA/CSA, il cui lancio è previsto nel 2018, saremo presto in grado di studiare la composizione atmosferica di questi pianeti e di indagare, per la prima volta, la presenza di acqua e di tracce di attività biologica. È un passo gigante verso la ricerca della vita oltre il Sistema solare».
Leggi su Nature l’articolo “Temperate Earth-sized planets transiting a nearby ultracool dwarf star“, di Michaël Gillon, Emmanuël Jehin, Susan M. Lederer, Laetitia Delrez, Julien de Wit, Artem Burdanov, Valérie Van Grootel, Adam J. Burgasser, Amaury H. M. J. Triaud, Cyrielle Opitom, Brice-Olivier Demory, Devendra K. Sahu, Daniella Bardalez Gagliuffi, Pierre Magain e Didier Queloz
Guarda il servizio video di INAF-TV:
Leggi anche gli articoli di Paolo Molaro e Caterina Boccato sull’importanza dello studio dei transiti per la ricerca di vita in pianeti extra solari, pubblicato in occasione del transito di Mercurio 2016 su Coelum n. 200:
I convegni e le iniziative dell’UAI 6-8 maggio XLIX Congresso dell’Unione Astrofili Italiani a Prato.
Il più importante appuntamento dell’astrofilia italiana: tre giorni di conferenze e di condivisione esperienze
formative alla presenza di importanti personaggi del mondo della cultura astronomica nazionale ed internazionale.
Organizzazione a cura della Delegazione UAI: Museo di Scienze Planetarie di Prato.
http://www.uai.it/astrofilia/congressouai.html
Il lancio della seconda fase della campagna di esplorazione marziana ExoMars, inizialmente previsto per il 2018, è slittato a non prima del 2020. Dopo il Trace Gas Orbiter e il modulo sperimentale d’atterraggio Schiaparelli, attualmente in viaggio alla volta del Pianeta Rosso, sarà il turno di altre due sonde: una piattaforma scientifica russa e un rover europeo.
Alla fine del 2015, l’ESA e la Roscosmos avevano istituito assieme ai loro partner industriali una squadra speciale per cercare di recuperare i ritardi accumulatisi nel corso degli anni rispetto alla tabella di marcia originale. Di fronte ai membri delle due agenzie spaziali e del settore industriale, riunitisi a Mosca per l’occasione, la commissione speciale ha annunciato il suo verdetto, indicando che l’entità dei ritardi è tale da compromettere qualunque tentativo di decollare in orario, ovvero nel 2018.
A causa della meccanica orbitale, la finestra di lancio successiva cade nel Luglio 2020.
“Gli esperti russi ed europei hanno fatto del loro meglio per raggiungere la finestra di lancio del 2018,” si legge in un comunicato stampa diffuso il 2 maggio dall’ESA. “La commissione ha concluso che, prendendo in considerazione i ritardi nelle attività industriali europee e russe e nella consegna del carico scientifico, decollare nel 2020 è l’opzione migliore.”
La decisione finale è stata presa dai direttori generali delle due agenzie, Johann-Dietrich Woerner e Igor Komarov. Le due agenzie collaboreranno per assicurarsi che le attività da entrambe le parti procedano secondo gli orari dettati dalla nuova tabella di marcia.
Mercoledì 04/05/2016 ore 21.30 INCONTRI DI ASTRONOMIA
In diretta streaming su AstronomiAmo, ospite la Dott.ssa ARIANNA PICCIALLI, ricercatrice all’Osservatorio di Parigi.
Da martedì 3 a sabato 7 maggio 2016, a Cascina si terrà la prima edizione de “Il festival della scienza”, promosso dal Comune di Cascina in collaborazione con l’associazione La nuova limonia e il patrocinio e il contributo della Regione Toscana. Cinque giorni di mostre, incontri, giochi, osservazioni, riflessioni e approfondimenti su scienza, tecnologia, astrofisica e futuro.
Di seguito alcuni appuntamenti dedicati all’astronomia a cura di A.C.A. Associazione Cascinese Astrofili. Il programma completo può essere scaricato QUI. 05.05: ore 16:00/16:45: Osservazione del Sole con il telescopio dalla Terrazza Bulleri della Biblioteca
Peppino Impastato di Cascina. In caso di condizioni meteo sfavorevoli collegamento con la sonda Soho
per vedere il sole in modo istantaneo con le immagini che ci arriveranno dallo spazio, via internet.
ore 22:30: Osservazione di Giove con il telescopio dalla Piazza Gramsci, nei pressi del ristorante Pasta e
Vino di Cascina. 06.05: ore 9:00: “Evoluzione stellare: la vita delle stelle ” a cura di: A.C.A. presso il Liceo Russoli (sede di
Cascina).
ore 9:50: “Il progetto A.M.I.C.A. Asteroids Mitigation: Information and Coordination Activity” di Domenico
Antonacci (A.C.A.).
ore 10:15: Osservazione del Sole con il telescopio, nel giardino del Liceo. 07.05: ore 21:00: Presentazione del libro “Storie di Stelle” a cura della casa editrice Merchetti di Pisa,
nell’occasione parleremo di costellazioni con particolare riferimento a quelle dello zodiaco.Presso la
Biblioteca Comunale Peppino Impastato di Cascina.
PORTE APERTE a EGO: turni di visite guidate su prenotazione all’interferometro (ore 10/15/17).
ore 16:00: OSSERVAZIONE DEL SOLE con i telescopi, fino alle ore 19:30 circa.
ore 21:00: Spettacolo teatrale “GRAVITON” con la compagnia I Teatri Della Resistenza.
ore 22:00: Osservazione in notturna ai telescopi “Imitando Messier…” www.comune.cascina.pi.it
Daniele Gasparri in diretta ed in esclusiva TS Italia effettuerà osservazioni del Sole in H-Alpha con un telesocpio solare Lunt messo a disposizione da Teleskop Service. Ogni 15-20 minuti metterà a disposizione le sue elaborazioni in tempo reale per una visione 100% Gasparri-HD! - See more at: http://transitodimercurio.teleskop-express.it/#sthash.cbAbG2cJ.dpuf
Indice dei contenuti
Lunedì 9 maggio, a partire dalle 12:30, il TRANSITO DI MERCURIO in diretta streaming su Coelum con Daniele Gasparri e TS Italia
In caso di mal tempo più in basso le dirette dell’Osservatorio Astronomico INAF di Asiago (con collegamenti con le conferenze a Padova e le osservazioni da Tenerife)
In caso di maltempo, cliccate qui sotto per avviare la diretta dall’Osservatorio Astrofisico INAF di Asiago, con collegamento da Tenerife.
Restate sintonizzati …e nel frattempo scoprite tutto quello che bisogna sapere su questo prezioso e raro evento!
Il 9 maggio un pianeta attraverserà lentamente il disco del Sole, spostandosi da ovest verso est. Come avviene nell’arte, dove l’apprezzamento del grande pubblico per un dipinto o una statua è dato da un insieme di fattori legati un po’ al suo presunto valore estetico (che è comunque un dato soggettivo e condizionato dai dettami stilistici di una determinata epoca) e molto al fascino che deriva dall’essere percepito come “molto antico”, allo stesso modo gli eventi astronomici più apprezzati prescindono a volte dalla spettacolarità e vedono invece premiata una qualità altrettanto preziosa: la rarità.
Nella pagina qui a lato (clicca l’immagine per ingrandire oppurevai a pag. 57 del numero per la piena risoluzione) le tabelle con tutti gli orari per alcune delle principali città. Nella tabella in alto sono riportati gli orari del transito per le principali località italiane. Aosta e Torino sono quelle località per cui il transito può essere osservato in modo completo. La tabella indica gli orari dei momenti salienti del transito, ossia i contatti tra Mercurio e il Sole e il momento in cui Mercurio transita più vicino al centro del Sole (fase centrale).
La tabella subito sotto riporta i nomi di alcune città in cui è possibile osservare il transito completo di Mercurio sul Sole. L’altezza alla fine dell’evento è stata calcolata non considerando l’estinzione atmosferica e quindi è il valore peggiore. Nella realtà, con un orizzonte libero, dovremo avere almeno mezzo grado di tolleranza, quindi la fine del transito potrebbe essere visibile anche da Varese. Tutti i luoghi più a est, o a nord, di queste città consentiranno l’osservazione completa del fenomeno. Le due immagini ai lati schematizzano le posizioni di Mercurio (in nero) e del Sole (in arancione) in corrispondenza dei contatti.
Tutte le informazioni sul transito, da quelle storiche, alle curiosità, ai consigli per osservarlo e riprenderlo al meglio, le potete trovare negli speciali pubblicati su Coelum 199 e 200 (che potete sfogliare online, o scaricare in pdf, in modo completamente gratuito e da qualsiasi dispositivo!).
SPECIALE Il Transito di Mercurio sul Sole – Seconda parte (Coelum 200 di maggio)
– Informazioni per l’osservazione
– Guida all’osservazione e alla ripresa dell’evento
– Il valore scientifico del Transito di Mercurio sul Sole
– Tutti gli eventi organizzati per il transito presso gli Osservatori INAF
Tutti i primi lunedì del mese:
UNA COSTELLAZIONE SOPRA DI NOI
In diretta web con il Telescopio Remoto UAI Skylive dalle ore 21:30 alle 22:30, ovviamente tutto completamente gratuito.
Un viaggio deep-sky in diretta web con il Telescopio Remoto UAI – tele #2 ASTRA Telescopi Remoti.
Osservazioni con approfondimenti dal vivo ogni mese su una costellazione del periodo. Basta un collegamento internet, anche lento. Con la voce del vicepresidente UAI, Giorgio Bianciardi telescopioremoto.uai.it
Continua il Tour che nel 2015 ha fatto sognare migliaia di persone. Realizzato da Luigi Pizzimenti, in collaborazione con Paolo Attivissimo, anche quest’anno potrete conoscere la storia geologica di una roccia antichissima che rievoca la cataclismica formazione della Terra e della Luna, e potrete rivivere, con foto e riprese video rare e restaurate, l’avventura e il viaggio che l’hanno portata tra noi.
Il campione di Luna di quest’anno è un frammento raccolto nella regione lunare di Fra Mauro dagli astronauti di Apollo 14, Alan Shepard e Edgar Mitchell, ed è uno dei più grandi fra quelli offerti dalla NASA per esposizioni pubbliche. Quest’anno il tour italiano vedrà la partecipazione e collaborazione (in alcune località) di: Paolo Attivissimo, Paolo D’Angelo e Paolo Miniussi.
Una splendida fotografia a grande campo della P/252 Linear, ripresa il 10 aprile scorso nel sud della Spagna (Andalusia) da una quota di 1700 metri. La cometa, situata allora nell’Ofiuco, è il batuffolino color verde indicato dalla freccia. Cortesia di J. Jimenez.
Questa vecchia conoscenza, che avevamo perso tra la luce solare qualche mese fa, è transitata al perielio il 20 aprile ed ora si sta avvicinando alla Terra. Passerà alla minima distanza dal nostro pianeta il 22 giugno (0,640 UA), raggiungendo secondo le stime, la quinta o sesta magnitudine. In quel periodo per noi sarà persa, ed è per questo che dovremo tentare di avvistarla tra maggio e i primi giorni di giugno, quando tuttavia sarà probabilmente un po’ più debole.
Una splendida fotografia a grande campo della P/252 Linear, ripresa il 10 aprile scorso nel sud della Spagna (Andalusia) da una quota di 1700 metri. La cometa, situata allora nell’Ofiuco, è il batuffolino color verde indicato dalla freccia. Cortesia di J. Jimenez.
Come si può vedere dalla cartina, gli asteroidi (7) Iris e (432) Pythia si muoveranno in maggio tra Ofiuco e Scorpione, compiendo con moto indiretto un tratto apparente di circa 7°. L’opposizione verrà raggiunta a fine mese. Sotto un cielo molto scuro e limpido i due pianetini potrebbero essere individuati anche con un buon binocolo, ma la difficoltà starebbe nel riconoscerli tra nugoli di stelle. Meglio quindi usare uno strumento a focale più lunga, per ridurre il campo. La posizione di Saturno e Marte è quella che i due pianeti avranno la sera del 15 maggio.
Anche se… a guardar bene, qualcosa d’interessante ci sarebbe stato, come ad esempio la grande opposizione di (516) Amherstia. Ma il piccolo asteroide, come si può vedere dalla tabella “Gli ASTEROIDI in opposizione nel periodo” presente nelle pagine seguenti, si muoverà a declinazioni impossibili per gli osservatori italiani.
Nel gruppo degli “oppositori” c’è poi anche il grande (511) Davida, che però incapperà in una delle sue apparizioni più sfavorevoli; e anche (241) Germania, pianetino inaspettatamente grande (180 km), ma anche molto scuro e distante, tanto da essere sconosciuto ai più a causa della sua sempre modesta luminosità. Alla fine, sfogliando la rosa, restano in mano solo due petali: la classica, grande e luminosa Iris e la piccola Pythia. Vediamo perché.
Come si può vedere dalla cartina, gli asteroidi (7) Iris e (432) Pythia si muoveranno in maggio tra Ofiuco e Scorpione, compiendo con moto indiretto un tratto apparente di circa 7°. L’opposizione verrà raggiunta a fine mese. Sotto un cielo molto scuro e limpido i due pianetini potrebbero essere individuati anche con un buon binocolo, ma la difficoltà starebbe nel riconoscerli tra nugoli di stelle. Meglio quindi usare uno strumento a focale più lunga, per ridurre il campo. La posizione di Saturno e Marte è quella che i due pianeti avranno la sera del 15 maggio.
A quasi due anni di distanza dal successo di Pisa, cantonate, errori e bufale scientifiche tornano protagonisti e sbarcano in Sicilia, alle falde dell’Etna, infatti, il museo Città della Scienza – Università di Catania ospiterà la seconda edizione della mostra, curata dall’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare in collaborazione con l’Università degli Studi di Catania. Un’occasione in più per lasciarsi guidare alla scoperta di abbagli e coincidenze che hanno segnato la storia della scienza.
La mostra vi racconterà come gli errori accompagnano inevitabilmente il desiderio dell’uomo di conoscere: grandi scoperte – fatte qualche volta anche per caso – si intrecciano con clamorose sviste. Gli scienziati infatti portano in laboratorio, ed è difficile fare altrimenti, le proprie convinzioni religiose, filosofiche e culturali. In realtà, però, correggere i propri errori è l’essenza stessa del metodo scientifico, inaugurato da Galileo più di 400 anni fa. Ciò che conta è non perdere meraviglia e curiosità di fronte al mondo. Sbagliarsi fa parte del gioco.
Info e prenotazioni: ballediscienza@ct.infn.it
www.ballediscienza-catania.it
Credit: NASA, ESA, and A. Parker and M. Buie (SwRI)
Il potente occhio del telescopio spaziale Hubble è riuscito a individuare una piccola luna in orbita attorno al pianeta nano Makemake. La luna, nota provvisoriamente come S/2015 (136472) 1 o MK 2, è circa 1300 volte meno luminosa di Makemake e dista 21 mila chilometri dalla superficie del pianeta nano. Gli astronomi ritengono che MK 2 abbia un diametro di circa 160 chilometri, il che la renderebbe quasi 9 volte più piccola del pianeta nano.
Rappresentazione artistica del sistema composto dal pianeta nano Makemake e il suo satellite. Crediti: NASA/ESA/A. Parker (Southwest Research Institute)
Makemake, scoperto nel 2005, è il terzo pianeta nano per luminosità e il secondo nella fascia di Kuiper dopo Plutone. Orbitando in media 46 volte oltre la Terra, Makemake si trova nella periferia del Sistema solare, popolata da altri tre pianeti nani – Plutone, Haumea ed Eris – e un gran numero di oggetti trans-Nettuniani minori.
Dei quattro pianeti nella fascia di Kuiper, Makemake prima d’oggi era l’unico di cui non erano conosciuti satelliti naturali. Le immagini che hanno portato alla scoperta di MK 2 sono state scattate nell’aprile 2015 dalla Wide Field Camera 3 a bordo del telescopio spaziale Hubble. Le osservazioni sono risultate particolarmente difficoltose, in quanto la luna era quasi del tutto nascosta dal bagliore di Makemake.
La tecnica che ha permesso agli astronomi di distinguere MK 2 è la stessa che aveva portato all’identificazione delle quattro lune minori di Plutone tra il 2005 e il 2012.
“Le nostre stime preliminari indicano che l’orbita della luna risulta di lato (vista dalla Terra),” spiega Alex Parker dell’SwRI. “Ciò significa che ci sono buone probabilità che, nelle osservazioni precedenti, la luna fosse semplicemente nascosta nell’alone luminoso di Makemake.”
Caratterizzare i parametri orbitali di questa nuova luna permetterà agli scienziati di effettuare una stima relativamente precisa della massa totale del pianeta nano e del sistema – un elemento chiave nel ricostruire la formazione e l’evoluzione dei due corpi.
“Makemake fa parte della piccola famiglia dei plutoidi, quindi trovare un compagno è una scoperta importante,” prosegue Parker. “La scoperta di questa luna ci offre l’opportunità di studiare Makemake molto più a fondo di quanto sarebbe stato possibile se non ci fosse stato un satellite naturale.”
A detta degli scienziati, questa scoperta avvicina ulteriormente Makemake a Plutone. Su entrambi i mondi, infatti, sono state identificate le tracce spettrali del ghiaccio di metano. Studiare MK 2 permetterà agli scienziati di calcolare un profilo di densità per Makemake, il che consentirà un confronto tra la sua struttura interna e quella di Plutone per verificare se la somiglianza tra questi due mondi si estende anche al di sotto delle loro superfici ghiacciate.
“Questa scoperta apre un nuovo capitolo nella planetologia comparativa del sistema solare esterno,” commenta Marc Buie dell’SwRI. I dati preliminari indicano che la luna si trova in un’orbita circolare con un periodo di almeno 12 giorni. Tuttavia, ulteriori osservazioni saranno necessarie per confermare o eventualmente correggere questi dati.
Conoscere la forma dell’orbita è di particolare importanza per poter ricostruire lo scenario di formazione del satellite. Un’orbita circolare, infatti, sarebbe indicativa di una collisione tra Makemake e un altro oggetto della fascia di Kuiper. Un’orbita eccentrica, invece, suggerirebbe che la luna fosse in origine un oggetto indipendente, poi catturato dalla gravità del pianeta nano.
In passato, una serie di studi avevano individuato delle chiazze scure sulla superficie di Makemake. Secondo le ricostruzioni dell’epoca, queste chiazze erano dovute alla sublimazione dei ghiacci provocata dal calore del Sole. Tuttavia, la scoperta di MK 2 suggerisce che le chiazze calde individuate nell’infrarosso potessero semplicemente essere dovute alla presenza della scura superficie della luna.
Gli astronomi stanno ancora cercando di comprendere come due oggetti così vicini possano essere così diversi – uno candido come la neve, e l’altro nero come il carbone. Una teoria preliminare prevede che la luna non eserciti un’attrazione gravitazionale sufficiente a trattenere i ghiacci una volta sublimati, il che risulterebbe nell’esposizione degli strati più interni e scuri.
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Aspetto del cielo per una località posta a Lat. 42°N - Long. 12°E. La cartina mostra l’aspetto del cielo alle ore (TMEC): 1 maggio alle 00:00 ♦ 15 maggio alle 23:00 ♦ 30 maggio alle 22:00
Verso le 22:00 del 15 maggio il cielo si presenterà con le ultime costellazioni invernali (Cane Minore, Gemelli, Auriga…) ormai declinanti o prossime al tramonto, e con il Leone (in cui si muoverà ancora un maestoso Giove) a dominare tutta la parte ovest.
In meridiano si mostreranno invece le costellazioni primaverili (la Vergine e Boote, con la brillante Arturo), mentre più in basso, vicino all’orizzonte sud, faranno capolino le stelle più settentrionali del Centauro (tra tutte, la luminosa Menkent, di mag. +2).
Più a est, l’inconfondibile profilo dello Scorpione e il puntino rosso di Antares (e ancora più quello di un Marte brillantissimo) annuncerà l’arrivo delle costellazione estive (Ercole, Corona Borealis, Ofiuco, Aquila) che già cominceranno ad alzarsi nella parte orientale del cielo.
Verso nordest sarà già osservabile anche la Lira con la fulgida Vega, seguita dappresso dal Cigno.
Nella nostra galassia quanti sono i pianeti simili alla Terra? E nell’Universo? C’è vita intelligente lassù?
Il programma dell'evento. Cliccare per ingrandire.
Domande alle quali si tenterà di dare una risposta mercoledì 27 aprile, durante una giornata dedicata all’argomento che, dopo incontri nelle scuole con esperti, terminerà con un appuntamento aperto a tutti alle ore 21, presso la Sala convegni del Palazzo della Granguardia di Verona dal titolo: “Pianeti extrasolari: vita ed intelligenza nel cosmo?”. Ad onorare la serata ci sarà il Maestro Eugenio Finardi, grande appassionato di astronomia e di ricerca della vita extraterrestre. Gli verrà consegnata una targa che attesta la dedica di un asteroide a memoria futura, donato dallo scopritore Vittorio Goretti, e la cui motivazione verrà esposta da Enzo Gallori, Presidente della Società Italiana di Astrobiologia.
L’incontro della tavola rotonda, voluto e realizzato dall’Associazione Scientifico Culturale Empiricamente, in collaborazione con la web community EANweb, con il Patrocinio del Comune di Verona, della Società Astronomica Italiana e della Società Italiana di Astrobiologia sarà sviluppato da uomini di scienza e religiosi. Interverranno: Don Borgonovo, esegeta e arciprete del Duomo di Milano, Ivano Dal Prete, storico della scienza, della Yale University, Enzo Gallori, Presidente della Società Italiana di Astrobiologia e consulente della Nasa, dell’Università di Firenze, Massimo Mazzoni, fisico, Segretario della Società Astronomica Italiana, dell’Università di Firenze,Roberto Ragazzoni, astrofisico, dell’Università di Padova, Pietro Aliprandi; aspirante astronauta del Progetto MarsOne ed Eugenio Finardi, artista. L’incontro sarà moderato da Luigi Bignami, giornalista scientifico.
Durante la serata si osserverà in diretta il transito del pianeta extrasolare denominato HAT-P-22b davanti al disco della stella madre. Si osserverà una calo della luce della stella nel momento in cui il pianeta passerà di fronte ad essa. E’ questa una delle tecniche che si usano per cercare pianeti extrasolari. L’evento verrà realizzato in singergia con l’Osservatorio di Libbiano, grazie alla collaborazione di Alberto Villa e dell’Associazione Astrofili Valdera. In sala, l’evento sarà fatto seguire da Daniele Gasparri.
La serata aprirà la manifestazione “Seconda stella a destra – Terza Edizione” che si terrà negli spazi dell’Ex Arsenale di Verona dal 29 aprile al 4 maggio, grazie alla coorganizzazione della 2^ Circoscrizione – Comune di Verona. Il tema principale dell’evento sarà l’astronomia con lo scopo principale di divulgare conoscenza scientifica e culturale in generale. Durante le giornate si darà particolare spazio alle scuole, mentre nelle ore serali e nel fine settimana si apriranno le porte a tutti gli appassionati.
A disposizione del pubblico vi saranno diversi planetari che permetteranno ai visitatori di realizzare “viaggi” a tema proposti da esperti divulgatori. Ad affiancare l’attività dei planetari vi saranno dei laboratori ludico/didattici tenuti dalla Società Reinventore, dove le scolaresche potranno realizzare diversi esperimenti. Durante le giornate verranno programmate alcune conferenze su temi di interesse pubblico aperti a tutti, ma con particolare riguardo ad insegnanti ed astrofili. Durante il fine settimana saranno presenti esperti dell’Associazione Scientifico Culturale EmpiricaMente i quali, con la collaborazione di altri astrofili, daranno modo di osservare il cielo in diverse ore della giornata, di giorno il Sole con appositi filtri, di notte con vari telescopi. A coronare le attività saranno presenti vari stand con materiali di tipo diverso, dai libri ai telescopi, dai gadget ad altra strumentazione.
Il cratere Haulani in tutta la sua bellezza. Nell'immagine i colori sono stati esaltati per evidenziarne la struttura e i diversi materiali presenti sulla superficie (le parti in blue sono associate alle strutture più recenti). I dati utilizzati per creare l'immagine sono stati raccolti quando la sonda si trovava a 1470 km dalla superficie. Credit: NASA/JPL-Caltech/UCLA/MPS/DLR/IDA/PSI
Dalla sua orbita bassa di mappatura, a soli 385 chilometri dalla superficie di Cerere (più o meno quanto la Stazione Spaziale dalla Terra), in queste nuove immagini ad alta risoluzione, Dawn ci mostra nuovi spettacolari scorci del pianeta nano. Due i crateri protagonisti di questa ultima realease, Haulani (accompagnato da una bellissima immagine a colori) e il piccolo sorprendente Oxo.
Il cratere Haulani nell'immagine ripresa dalla Framing Camera in orbita bassa, a 385 km di distanza. credit: NASA/JPL-Caltech/UCLA/MPS/DLR/IDA/PSI
Il cratere Haulani, con un diametro di 34 chilometri, mostra segni di frane ai bordi, mentre all’interno il fondo appare liscio con una cresta centrale. L’immagine in falsi colori (sopra) permette di evidenziare i diversi materiali di cui è composto e come si distribuiscono rispetto alla morfologia sulla superficie. In colore blu spicca il materiale più “giovane” espulso probabilmente in seguito all’impatto.
«Haulani mostra esattamente le proprietà che ci si aspetta da un impatto “fresco” sulla superficie di Cerere. Il fondo del cratere è in gran parte privo di segni, ed è in forte contrasto con il colore delle parti più antiche della superficie», ci spiega Martin Hoffmann, co-investigatore del team della Frame Camera di Dawn, con sede presso l’Istituto Max Planck (Germania).
Degna di nota è la natura poligonale del cratere, la cui forma sembra essere disegnata con una serie di segmenti retti, contrariamente alla maggior parte dei crateri di qualsiasi altro corpo planetario, inclusa la Terra, che risultano essere sempre praticamente circolari. Probabilmente, questa caratteristica presente anche in altri crateri di Cerere, deriva da difetti e formazioni preesistenti della superficie, dovuti a stress causati da meccanismi interni.
Il piccolo cratere Oxo, ripreso sempre dall'orbita bassa di mappatura, ma fin'ora trascurato a causa della sua posizione "limitrofa". Il cratere si è invece rivelato fonte importante per lo studio della superficie del pianeta nano. Si tratta del secondo più luminoso cratere ripreso su Cerere e il fondo, a differenza degli altri, presenta una depressione invece che creste o rigonfiamenti. Image credit: NASA/JPL-Caltech/UCLA/MPS/DLR/IDA/PSI
Un tesoro nascosto si è rivelato essereOxo, un cratere di soli 10 km di diametro, ma il secondo più brillante di tutto il pianeta nano. L’unica formazione a batterlo in luminosità è la famosa zona centrale del cratere Occator con i suoi “white spot”.
Oxo però si trova nei pressi del meridiano zero, al bordo delle mappe per le quali è sempre stato usato più come riferimento, e quindi sempre trascurato.
Grazie a queste nuove immagini, si è potuta invece evidenziare un’altra sua caratteristica che lo rende unico: una depressione al centro con i materiali che si trovano sul pavimento del cratere che sembrano essere di natura diversa rispetto al resto della superficie del pianeta nano. Ed ecco che Oxo si ritrova così ad avere una parte di enorme importanza nello studio della crosta superficiale di Cerere. Ne sentiremo parlare sicuramente ancora…
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Una simulazione della distorsione dello spaziotempo in prossimità di due buchi neri poco prima della loro fusione, vedi anche video qui in basso. Credit: NASA/J. Bernard Kelly (Goddard), Chris Henze (Ames) and Tim Sandstrom (CSC Government Solutions LLC)
Meno di mezzo secondo più tardi, il telescopio spaziale Fermi della NASA ha rilevato un debole lampo di luce ad alta energia provenire dalla stessa porzione di cielo delle onde gravitazionali. Le analisi degli scienziati mostrano che le probabilità che si tratti di una semplice coincidenza sono dello 0.2 percento. La scoperta è piuttosto inaspettata, in quanto i principali modelli prevedono che la fusione di due buchi neri come quella responsabile delle onde rilevate da LIGO non dovrebbe produrre radiazioni elettromagnetiche.
Nella simulazione, le increspature arancione rappresentano le distorsioni spazio-temporali causate dalle masse dei due buchi neri in collisione, che si disperdono e indeboliscono diventando onde gravitazionali (in viola). Le sfere nere rappresentano gli orizzonti degli eventi dei due buchi neri. Credits: Media INAF
Secondo la ricostruzione degli scienziati, le onde gravitazionali – increspature nello spaziotempo, il tessuto dell’Universo – sarebbero state prodotte 1.3 miliardi di anni fa dalla collisione di due buchi neri. Dotati di 29 e 36 masse solari e larghi circa 150 chilometri l’uno, i due buchi neri si sarebbero scontrati viaggiando a metà della velocità della luce, fondendosi in un unico buco nero 62 volte più massiccio della nostra stella. Le tre masse solari mancanti sarebbero state rilasciate sotto forma di un’onda gravitazionale, rilevata con sette millisecondi di differenza da due diversi esperimenti negli USA.
Mentre LIGO ha “ascoltato” la collisione, Fermi – sempre che i suoi dati non mentano – ne ha osservato il bagliore a raggi gamma e raggi X.
“Ci sono poche probabilità che questa interessante scoperta sia un falso allarme, ma prima di poter iniziare a riscrivere i libri di testo dovremo osservare altri lampi associati ad onde gravitazionali da fusioni di buchi neri,” spiega Valerie Connaughton, autrice dello studio riguardo i dati di Fermi.
In futuro, le osservazioni di Fermi potrebbero rivelare preziosi dettagli su questi drammatici eventi. Lo strumento GBM, responsabile della scoperta, opera ad energie comprese tra 8000 e 40 milioni di elettronvolt. La luce visibile, per confronto, va da 2 a 3 eV. GBM è progettato per analizzare i lampi gamma più brevi, che in media durano meno di due secondi. Si pensa che questi fenomeni siano dovuti allo scontro tra oggetti compatti, quali stelle di neutroni e buchi neri. Le stesse fusioni produrrebbero anche onde gravitazionali.
“Con un solo evento, i raggi gamma e le onde gravitazionali ci diranno esattamente cosa causa un lampo gamma,” spiega Lindy Blackburn di LIGO. “C’è una sinergia incredibile tra le due osservazioni: i raggi gamma ci rivelano dettagli sull’energia e sull’ambiente delle sorgenti, mentre le onde gravitazionali sondano le dinamiche che portano all’evento.”
Purtroppo, per quanto avanzati, gli interferometri come LIGO dispongono di una bassa risoluzione spaziale. L’incertezza sulla posizione celeste dello storico evento osservato a Settembre, ad esempio, è di circa 600 gradi quadrati.
Nel video come sono state sovrapposte le aree delle sorgenti dell’onda gravitazionale rivelata da LIGO e del raggio gamma individuato da Fermi, immaginando che provengano dalla stessa sorgente. In questo modo, l’area di ricerca LIGO è diminuita di due terzi.
Credits : NASA Goddard Space Flight Center
“È un pagliaio piuttosto grande da setacciare se il tuo ago è un lampo gamma veloce e debole, ma qui entra in gioco il nostro strumento,” spiega Eric Burns dell’Università dell’Alabama. “Identificare un lampo gamma ci permette di ridurre l’area di incertezza di LIGO e di sfoltire significativamente il pagliaio.”
Il lampo osservato da Fermi immediatamente dopo LIGO è durato circa un secondo. Purtroppo, il lampo ha colpito il rilevatore quasi di lato, complicando la ricostruzione della sua traiettoria. Tuttavia, il fatto che la Terra bloccasse parte dell’area di incertezza di Fermi ha consentito agli scienziati di migliorare le loro stime sulla posizione della sorgente del lampo.
Assumendo che il lampo gamma di Fermi e le onde gravitazionali di LIGO siano stati prodotti dallo stesso evento, i dati raccolti dal telescopio della NASA permetterebbero ai ricercatori di ridurre l’area di incertezza di due terzi, fino a meno di 200 gradi quadrati. In futuro, con un angolo di impatto un po’ più favorevole, Fermi sarà in grado di raggiungere una precisione ancora maggiore.
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Tra il 25 e 26 aprile ci sarà, come già in marzo, la congiunzione planetaria più “popolata” del mese. Ai pianeti Saturno e Marte, situati tra Scorpione e Ofiuco, si aggiungerà infatti la Luna che verso le 0:30 del 25 si troverà 5° a nord di Marte e 10° a nordovest di Saturno. Il giorno dopo, il nostro satellite si troverà invece 3,3° a est di Saturno e 10° da Marte. Uno spettacolo magnifico… senza contare la presenza di Antares e dello Scorpione stesso!
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