ASTROINIZIATIVE UAI
Il circuito degli Star Party UAI
1-3 luglio IV Star Party degli Iblei Quarta edizione dello Star Party siciliano, organizzato dal Centro Osservazione e Divulgazione Astronomica Siracusa presso Ferla (SR).
http://www.codas.it
Il circuito degli Star Party UAI
1-3 luglio IV Star Party degli Iblei Quarta edizione dello Star Party siciliano, organizzato dal Centro Osservazione e Divulgazione Astronomica Siracusa presso Ferla (SR).
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La collina di Arcetri, a Firenze, sarà protagonista questa settimana di un evento straordinario: per la prima volta il pianoforte di Einstein verrà suonato in pubblico all’Osservatorio astrofisico dell’INAF. E intorno al pianoforte verrà ripercorsa, giovedì 23 giugno alle ore 21, presso il Teatro del Cielo, un’affascinante storia legata a questo strumento musicale. Il pianoforte a coda, costruito dalla Julius Blüthner Pianofortefabrik a Lipsia nel 1899, fu acquistato di seconda mano da Albert Einstein nel 1931 per la sorella minore Maria, detta Maja, che dal 1922 abitava nei dintorni di Firenze. Maja lo suonava insieme a suo fratello, violinista, e a quattro mani con il giovane amico Hans-Joachim Staude, pittore e appassionato pianista, che abitava non lontano da Arcetri.
Nel 1939 Maja si vide costretta a lasciare l’Italia in seguito alle leggi razziali, raggiungendo il fratello a Princeton. Il pianoforte fu affidato quindi da Maja all’amico Staude e da lui è passato in eredità ai figli Jacopo, astrofisico ad Heidelberg, e Angela, moglie di Tiziano Terzani, che l’hanno conservato nella loro casa di Firenze fino ad oggi. La famiglia Staude ha adesso deciso di lasciarlo in comodato all’Osservatorio di Arcetri, dove rimarrà per molti anni.
Ma intorno al pianoforte si lega un’altra vicenda, che verrà ricordata nella serata del 23 giugno, e riguarda la figura di Robert Einstein, cugino di primo grado di Albert e Maja, anche lui approdato a Firenze a metà degli anni ’30, e protagonista di un eccidio nazista perpetuato nei confronti delle figlie e della moglie a San Donato, vicino a Rignano sull’Arno. Questo episodio è stato descritto nel libro Il Cielo cade da una testimone, Lorenza Mazzetti, che sarà presente ad Arcetri in occasione della serata dedicata al pianoforte di Einstein.
Francesco Palla, astronomo ed ex direttore dell’Osservatorio Astrofisico di Arcetri, scomparso prematuramente lo scorso gennaio, aveva scoperto, studiato e comunicato con passione la storia del pianoforte di Einstein e aveva cominciato poco prima della sua morte, all’insaputa dei più, ad adoperarsi affinché il pianoforte potesse essere ospitato all’interno della Biblioteca dell’Osservatorio. Le sue parole, che qui ricordiamo, esprimono bene la sintesi di passione scientifica, curiosità intellettuale e amore per il paesaggio che avevano ispirato la sua vita e che trovavano nelle vicende delle famiglie Einstein e Staude una perfetta fusione.
“L’elemento naturale che aveva richiamato a Firenze questi quattro personaggi era l’impareggiabile bellezza delle sue colline che permetteva lunghe e solitarie passeggiate a poca distanza dallo storico centro. Il pianoforte di Einstein, giunto fino a noi, è l’unico testimone diretto di una vicenda poco nota che coinvolse gli Einstein e Hans-Joachim Staude in un intreccio dai risvolti umani, artistici e scientifici.”
La serata del 23 giugno è dedicata a Francesco Palla e si chiuderà con un concerto per pianoforte a quattro mani. Qui il programma e informazioni per la prenotazione (obbligatoria).
Per saperne di più:
embed video INAF

“Vagavo solitario come una nuvola” chissà se il poeta Wordsworth nella sua poesia voleva parlare anche di nubi interstellari con particelle ad alta energia come quella che gli astronomi di varie università statunitensi, coordinati dal supporto della NASA, hanno trovato intorno ad una stella molto particolare come la magnetar Swift J1834.9-0846.
Una magnetar è una stella di neutroni con un campo magnetico miliardi di volte quello terrestre, i campi magnetici di una tipica pulsar possono toccare intensità oscillanti tra i 100 e i 100.000 volte quello terrestre; per quanto riguarda le magnetar la forza del campo è centinaia di migliaia di volte più forte.
Questa tipologia di stelle è difficile da trovare a causa della loro brevissima vita, i campi magnetici ultra intensi hanno una vita media di 10,000 anni. Si pensa che la Via Lattea sia piena di Magnetar “spente”: a differenza delle molte stelle di neutroni confermate nel corso degli anni, ad oggi solo 29 stelle con questo campo magnetico fortissimo sono state confermate.

La magnetar è stata rintracciata nel 2011 grazie al satellite Swift, per la conferma della nebulosa circostante è stato necessario l’uso del telescopio a raggi X dell’ESA XMM-Newton.
Il telescopio usato è stato lanciato nel 1999 dalla Guyana francese e da decenni studia il cielo nella banda dei raggi x, l’osservatorio è stato finanziato anche dalla NASA che utilizza, attraverso team di astronomi statunitensi, lo strumento per varie tipologie di osservazioni.
Fino ad oggi mai era stato possibile osservare nebulose intorno a questa classe particolare di stelle, si tratta quindi di una prima volta storica; il post-dottorando della George Washington University George Younes, che ha guidato il team degli astronomi ha commentato: “In questo momento non sappiamo come J1834.9 abbia sviluppato e continui a mantenere la nebulosa, che fino ad oggi era una struttura osservata solo nelle giovani pulsar”.
Le osservazioni ottenute dal team di Younes sono state molteplici: il primo bagliore è stato scovato un mese dopo la scoperta di J1834.9 ad una quindicina di anni luce dalla magnetar, le osservazioni nel corso degli anni sono continuate e, attraverso l’incrocio dei dati di XMM-Newton e Swift, è stato possibile confermare l’esistenza della prima nebulosa intorno ad una magnetar.
L’analisi completa sarà pubblicata sul The Astrophysical Journal, per ora il paper è consultabile su arXiv.com.
Ora fortunatamente, il poeta Wordsworth e noi insieme a lui possiamo vagare nello spazio come nubi galattiche e osservare da vicino anche oggetti come le magnetar.
Per approfondire:
Eventi Patrocinati UAI
25 giugno Occhi su Saturno Una sera in tutta Italia per osservare dal vivo, attraverso i telescopi, Saturno e ricordare le scoperte del grande astronomo G.D.Cassini. Promossa da Associazione Stellaria con il patrocinio UAIhttp://www.occhisusaturno.it
Le dirette di giugno:
25/06/2016 21.30 – OCCHI SU SATURNO
Per informazioni: www.astronomiamo.it
info@astronomiamo.it
Tel: 338-1670432
Sono prodotti dal gruppo californiano Astro Hutech i filtri interferenziali anti inquinamento luminoso IDAS LPS nella versione D1 (ottimizzata per camere a colori). Sono disponibili per Canon EOS Full Frame (6D e 5D Mark II) oppure per Canon EOS APS-C.
Gli IDAS Light Pollution Suppression (LPS) sono progettati per diminuire l’inquinamento luminoso generato dalle luci artificiali lasciando comunque passare le importanti linee di emissioni delle nebulose: in questo modo incrementano il contrasto degli oggetti astronomici, in modo particolare quello delle nebulose ad emissione.
Inoltre, grazie alla tecnologia Multi Bandpass i colori risultano naturali, bilanciati e senza dominanti verdi e blu riscontrabili in altri filtri simili.


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I filtri IDAS LPS sono rivestiti con trattamento IGAD (Ion Gun Assisted Deposition coating technology) e induriti al quarzo per una pulizia senza rischi; un trattamento che rende il filtro anche meno sensibile alle variazioni di temperature e umidità, riducendo lo spostamento dello spettro di solo ±1nm. La superficie ottica del filtro esaminata al microscopio non presenta alcun tipo di difetto (UPF – ultra fine polish).
I filtri IDAS LPS per APS-C sono compatibili compatibile con Canon 300D, 350D, 400D, 450D, 500D, 1000D, 20D, 30D e 40D. Non lo sono con gli obiettivi Canon serie EF-S.
La ditta Skypoint di Udine li propone a 234 euro della versione per APS-C e 357 euro per il formato full frame.
Il prossimo 30 giugno si terrà la seconda edizione dell’Asteroid Day, evento internazionale lanciato lo scorso anno con l’intento di avviare una campagna informativa globale, consentendo alle persone di tutto il pianeta di scoprire il mondo degli asteroidi e ciò che noi possiamo fare perproteggerci da possibili impatti futuri. Un tema questo da sempre di grande richiamo presso il pubblico, spesso confuso da trattazioni poco ortodosse dell’argomento.
Per l’edizione del 2016, sulla scorta del successo registrato nel 2015 e su accordo ufficiale con il board internazionale, il Virtual Telescope Project si fa promotore dell’Asteroid Day in Italia con Coelum Astronomia come media partner.
Coelum Astronomia parteciperà all’evento trasmettendo in streaming su www.coelum.com la sessione osservativa offerta dal Virtual Telescope in occasione dell’#asteroidday2016.
Con commento dal vivo a cura dell’astrofisico Gianluca Masi, resposanbile scientifico del Virtual Telescope, avente per oggetto proprio gli asteroidi near-Earth, alla diretta parteciperanno l’astronauta Nasa Thomas D. Jones, quattro volte nello spazio con lo Shuttle e specialista in scienze planetarie, e Grigorij Richters, co-fondatore dell’Asteroid Day. L’evento si svolge in collaborazione con il canale “Scienza & Tecnica” di Ansa.
Indice dei contenuti
Chiunque, singoli e associazioni culturali, potranno organizzare un evento sul tema, condividendo presso la propria sede la diretta del Virtual Telescope (vedi box qui a lato), laddove non fosse possibile osservare in proprio questi corpi celesti. Sarà inoltre possibile collaborare all’evento online, inviando sempre allo staff del Virtual Telescope, le proprie immagini di asteroidi near-Earth.
Associazioni, osservatori e appassionati sono caldamente invitati ad organizzare attività culturali e osservative proprie, registrandole sul sito internazionale. Per una migliore diffusione, vi invitiamo a segnalarle anche allo staff del Virtual Telescope. Il tema degli asteroidi e il relativo rischio d’impatto associato è tra quelli di maggiori richiamo per il pubblico, sicché l’Asteroid Day è una occasione preziosa per fornire informazioni corrette, contando sull’appeal dell’argomento.
Troverete la lista aggiornata degli eventi italiani su www.virtualtelescope.eu/adi2016 oltre che sulle pagine internazionali dell’evento www.asteroidday.org.
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Per maggiori informazioni:I canali social ufficiali dell’Asteroid Day: www.facebook.com/asteroidday www.twitter.com/asteroidday www.youtube.com/asteroidday
www.instagram.com/asteroiddayorg
www.asteroidday.org
www.asteroidday.it – www.virtualtelescope.eu/adi2016


Un corpo celeste dall’aspetto irregolare e in formato mignon, ricoperto di uno strato di ghiaccio d’acqua: è questo il ritratto di Notte, uno dei cinque satelliti naturali che orbitano intorno a Plutone, tracciato dalla sonda New Horizons della NASA.
La piccola luna, che misura solo 48 chilometri in ampiezza, è stata scoperta nel 2005 dal telescopio spaziale Hubble insieme alla sua ‘collega’ Idra. Il profilo di Notte, soprattutto dal punto di vista dei dati spettrali, è opera dello strumento Ralph/LEISA(Linear Etalon Imaging Spectral Array) ed è stato effettuato a una distanza di circa 60 mila chilometri proprio nel giorno in cui la sonda raggiungeva il pianeta nano.
L’identikit spettrale di Notte presenta la ‘firma’ di uno strato di ghiaccio particolarmente limpido che si avvicina molto allo spettro del ghiaccio di acqua puro e che risulta comunque più cristallino rispetto a quelli di Idra e Caronte, la luna di Plutone più grande e la prima a essere scoperta nel 1978. Il confronto è riportato nello schema qui sotto.

I dati relativi a Notte, insieme a quelli di Idra resi noti ai primi dello scorso mese di maggio, sono ritenuti di grande interesse per comprendere i meccanismi che hanno portato alla formazione del sistema di satelliti naturali di Plutone. Il team scientifico di New Horizons, infatti, ha ipotizzato che le lune possano essersi costituite dai detriti derivanti dall’impatto di un piccolo pianeta su Plutone, quando l’ex nono pianeta del Sistema Solare era ancora molto ‘giovane’.
Di conseguenza, gli studiosi ritengono che le lune siano fatte dello stesso materiale, comprese Stige e Cerbero, scoperte nel 2011 e nel 2012, di cui ancora non si hanno i dati spettrali, ma delle quali l’elevata capacità riflettente induce a pensare che anche questi due piccoli corpi celesti possano avere una superficie ghiacciata.
Infine, pur avendo caratteristiche simili, Idra e Notte presentano alcune discrepanze che sono al vaglio dei ricercatori, quali una diversa consistenza del ghiaccio in superficie e una differente capacità riflettente nelle lunghezze d’onda del visibile.
Quattro serate in aula e due in osservatorio per avvicinarsi alla passione astronomica o per approfondirla.
Roma Eur:
18/05/2016, 25/05/2016, 08/06/2016, 15/06/2016
Osservatorio C.DelSole Cervara di Roma:
11/06/2016, 18/06/2016
Per informazioni:
Tel. 338-1670432
Email: info@astronomiamo.it


Dopo la storica rivelazione delle onde gravitazionali associate a due buchi neri in procinto di fondersi, confermata ufficialmente lo scorso febbraio ma avvenuta il 14 settembre 2015, tutti sapevano che il vaso di Pandora era stato scoperchiato e che quell’evento sarebbe rimasto unico per poco tempo. Pochi, forse, avrebbero però sperato che nel momento in cui i ricercatori stavano effettuando tutte le conferme e i calcoli, l’esperimento LIGO aveva già rivelato altre onde gravitazionali.

Con la conferenza stampa del 15 giugno, il team di LIGO, a cui collabora anche l’esperimento italiano VIRGO, ha infatti confermato una seconda rivelazione di onde gravitazionali avvenuta il 26 dicembre 2015 alle ore 4:38:53 italiane (in pratica la sera di Natale negli Stati Uniti!), associate sempre a un sistema molto esotico, poco prima della sua fusione. Sebbene gli attori siano gli stessi, due buchi neri, e la fine la medesima, la trama che ha portato all’inevitabile fine, con associata l’emissione di onde gravitazionali, si è sviluppata in modo diverso rispetto all’evento osservato a settembre 2015.

Indice dei contenuti
I due buchi neri di questa nuova danza cosmica ad altissima energia hanno una massa stimata di circa 14 e 8 masse solari, circa la metà dell’evento precedente, e distano da noi circa 1,4 miliardi di anni luce (!). La spirale mortale che li ha portati alla fusione ha generato onde gravitazionali più deboli, ma che sono state ricevute per più tempo, circa un secondo. Sembra poco, ma per l’Universo di queste estreme energie equivale ad aver osservato le ultime 55 orbite di questi due mostri celesti, contro le appena 10 del primo evento, con un’emissione di energia pari a quella contenuta in una massa solare.
Per capire l’incredibile energia emessa sotto forma di onde gravitazionali possiamo ricordarci la famosa equazione di Einstein: E = Mc^2 e sostituire la massa del Sole, pari a circa 2 x 10^30 kg, e la velocità della luce al quadrato, che è di 9 x 10^16 metri al secondo, tutto al quadrato. Il risultato è espresso in Joule ed è un numero che ha 47 zeri! Per confronto, una bomba atomica di media potenza ha un’energia di circa 10^11 Joule, 36 ordini di grandezza inferiore a quella emessa da questi due buchi neri in un secondo attraverso le onde gravitazionali. Quanti sono 36 ordini di grandezza in più? Sono miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di volte di più!
Anche in questo frangente le onde gravitazionali sono state ricevute da entrambe le stazioni LIGO, una in Lousiana e l’altra nello stato di Washington, e hanno provocato spostamenti periodici e infinitesimi dello spazio, di gran lunga inferiori al diametro di un atomo. Nonostante questa piccolissima distanza, le onde sono state rivelate con una confidenza di 5 sigma, ovvero il segnale associato a questo evento ha una probabilità di essere reale di oltre il 99,999%.
Questa nuova scoperta conferma che le onde gravitazionali sono ormai alla nostra portata e la loro osservazione ci aiuterà a capire molto delle proprietà e della distribuzione dei buchi neri di taglia stellare, oggetti impossibili da osservare in qualsiasi altro modo ma che alla luce di questo nuovo risultato potrebbero essere più abbondanti di quanto si pensasse. A confermare questa idea c’è anche un’altra probabile sorgente di onde gravitazionali, rivelata da LIGO il 10 ottobre 2015, meno di un mese dopo il primo segnale, che però è risultata troppo debole per poter essere confermata, sebbene l’idea è che si tratti di un altro sistema di due buchi neri che si sono fusi.

Alcuni ricercatori si sono addirittura spinti a ipotizzare che gran parte della materia oscura che permea l’Universo e che è circa 10 volte più abbondante di quella che possiamo osservare, potrebbe essere fatta di buchi neri, la cui origine risalirebbe ai primi istanti di vita dell’Universo. Come insaziabili divoratori, poi, molti sarebbero cresciuti mangiando grandi quantità di materia o attraverso fusioni, fino a raggiungere masse pari, o superiori, a quelle delle stelle più massicce che conosciamo.
Sono davvero tempi entusiasmanti per chi ha l’ambizione di scoprire e caratterizzare l’Universo invisibile, di certo la sfida scientifica più ambiziosa della nostra storia, fino a questo momento.

Indice dei contenuti
Pubblicato oggi su Science Advances il “New World Atlas of Artificial Night Sky Brightness”, l’edizione aggiornata dell’atlante mondiale dell’inquinamento luminoso. Uno studio che documenta quanto il cielo notturno del nostro pianeta sia “sporcato” dalla luce artificiale. Un fenomeno, quello della perdita del cielo buio, che oltre a disperare gli appassionati di astronomia ha conseguenze anche sugli organismi notturni e sugli ecosistemi in cui vivono.

A guidare il team internazionale di ricercatori che ha realizzato l’opera, l’italiano Fabio Falchi, docente di fisica all’Istituto Statale di Istruzione Superiore “Galileo Galilei” di Ostiglia, in provincia di Mantova, nonché ricercatore all’ISTIL, l’Istituto di Scienza e Tecnologia dell’Inquinamento Luminoso.
Ricercatore, ci tiene a sottolineare, su base volontaria, così come volontari sono i molti cittadini che hanno fornito dati fondamentali per lo studio, basato sì sulle osservazioni del satellite americano Suomi NPP ma anche sulle calibrazioni effettuate a terra, appunto, da migliaia di appassionati.
Oltre 30 mila misure di brillanza del cielo, sia da parte di amatori, come coloro che hanno raccolto dati con la app “Loss of the night”, che di astronomi professionisti, per esempio all’Università di Madrid.
«I citizen scientists hanno fornito circa il 20 percento dei dati totali utilizzati per la calibrazione, e senza di loro non avremmo avuto dati di calibrazione per i paesi al di fuori dell’Europa e del Nord America», dice uno dei coautori dello studio, Christopher Kyba, del GFZ Research Centre for Geosciences tedesco.
Ma quali sono i risultati ottenuti? Media INAF lo ha chiesto direttamente a Fabio Falchi.
Anzitutto, come si colloca l’Italia, rispetto agli altri paesi, nel vostro nuovo atlante mondiale della brillanza artificiale del cielo notturno?

«All’interno del gruppo dei G20, l’Italia è, insieme alla Corea del Sud, la nazione più inquinata in assoluto. Se andiamo a vedere le mappe, non esiste più alcuna zona del nostro paese esente dall’inquinamento luminoso. E anche se facciamo un confronto tra città, Milano rispetto a Monaco di Baviera per esempio, paragonabili quanto ad abitanti sia come città che come aree metropolitane, mentre Milano appare nelle mappe come una macchia brillantissima, Monaco di Baviera risulta quasi difficile da trovare, proprio perché è molto meno inquinata. Stessa cosa se confrontiamo le aree metropolitane di Roma e Berlino, che ha addirittura più abitanti».
E questo a che cosa è dovuto?
«Semplicemente al fatto che i tedeschi usano livelli d’illuminazione inferiori ai nostri. Non hanno tecnologie più avanzate, anzi: la nostra industria illuminotecnica è fra le migliori del mondo. Ma in Italia, purtroppo, come anche in Spagna, usiamo un numero maggiore di dispositivi per l’illuminazione stradale».
Insomma, siamo più spreconi?
«Siamo più spreconi, sicuramente».
E all’interno dei confini nazionali, quali sono le regioni più virtuose e chi ha invece la maglia nera – o meglio, la “maglia brillante”, visto il tema?
«Le zone più buie sono sicuramente in Sardegna e nel Sud Tirolo, ma anche in Maremma, in parte dell’Appennino e anche in parte della Calabria troviamo zone non troppo inquinate. La peggiore è invece senz’altro la Pianura Padana, una fra le regioni più ampie al mondo dove si è persa la possibilità di vedere la Via Lattea».
Nel vostro studio mettete in guardia contro il rischio che potrebbe rappresentare la diffusione dell’illuminazione led, che pure sul fronte del risparmio energetico sembra assai più efficiente, rispetto alle altre fonti di luce artificiale. Perché?
«Il problema è che quelli che stanno installando hanno una temperatura di colore elevatissima. Dunque con un elevato contenuto della parte più blu dello spettro elettromagnetico. Rispetto allo spettro d’una lampada al sodio tradizionale, di colore giallastro, i nuovi led hanno un aspetto brillante e azzurrognolo».
Questo cosa comporta? Cos’hanno di più nocivo?
«Esposto alla luce con componente blu, il nostro corpo produce meno melatonina, e di conseguenza il ritmo circadiano, il nostro orologio biologico, viene alterato, con possibili conseguenze per la salute. Questo per quanto riguarda la biologia. Ma c’è anche un aspetto più estetico e culturale».
In che senso?
«Il nostro occhio, quando guarda il cielo di notte, lontano dalle luci artificiali, è in condizione di visione notturna, scotopica, caratterizzata da una sensibilità superiore alla parte blu dello spettro rispetto alla visione diurna. Questo comporta che, se a parità di tutte le altre condizioni sostituissimo interamente le lampade al sodio per l’illuminazione notturna con led bianchi a elevata temperatura di colore, la brillanza in cielo percepita dal nostro occhio aumenterebbe dalle due alle quattro volte. Ma questo non è un difetto intrinseco della tecnologia a led: basterebbe scegliere led con una tonalità più calda, e dunque una temperatura di colore inferiore. Scelta che, fra l’altro, sarebbe più apprezzata anche esteticamente, considerando che, là dove sono stati installati, i led a luce bianca e azzurrognola sono risultati troppo abbaglianti. Le persone li trovano fastidiosi».
Per saperne di più:
Guarda il servizio video su INAF-TV:
La notte del 19, verso le 2:00, si avrà il momento migliore per seguire il passaggio di una Luna quasi
piena nella regione dell’Ofiuco-Scorpione, interessata dalla presenza di Saturno e Marte
Giunta nel 2016 alla sua quinta edizione “Occhi Su Saturno” è una grande iniziativa diffusa in tutta Italia grazie alla collaborazione di associazioni astrofili, singoli appassionati, osservatorio astronomici e planetari. Nata nel 2012 da un’idea dell’associazione di promozione sociale Stellaria di Perinaldo per celebrare i 300 anni dalla scomparsa di Gian Domenico Cassini, il grande astronomo del ‘600 nato proprio nel piccolo borgo ligure.
Si tratta di un’ottima occasione per chi desidera avvicinarsi al mondo dell’astronomia.
Saturno è un pianeta splendido anche sotto cieli non troppo bui e darà sicuramente grandi soddisfazioni a chi si sofferma nella sua osservazione, soprattutto se aiutato dalla guida persone esperte e con l’ausilio dei giusti strumenti. Per essere aggiornati sulle iniziative organizzate e trovare l’evento più vicino si faccia riferimento alla pagina:
Indice dei contenuti
LINK UTILI
…e ancora su Saturno su Coelum 201:
|

| Località | Entrata | Uscita | Altezza Luna |
| Bolzano | 01:07 | 01:26 | +8,8° |
| Milano | 01:08 | 01:20 | +7,5° |
| Piacenza | 01:10 | 01:17 | +7,7° |
| Torino | 01:10 | 01:16 | +6,5° |
| Trieste | 01:09 | 01:24 | +10,5° |
| Venezia | 01:09 | 01:22 | +9,5° |
| Roma* | 01:06 | 1,5′ | +9,6° |
| Palermo* | 01:01 | 3,5′ | +10,5° |
Intorno all’1:10 del 26 giugno, la Luna avrà un incontro ravvicinato con Nettuno.
Per la maggior parte della penisola si tratterà soltanto di un congiunzione, con il pianeta che arriverà a lambire, a un paio di primi di distanza, la parte meridionale del nostro satellite.
Per le località poste a nord del 45° parallelo (vedi la tabella qui sopra) si verificherà invece una parziale o una totale occultazione, sia pure della durata di pochi minuti.
Seguire l’evento sarà comunque una vera sfida, sia per il forte disturbo luminoso, in cui probabilmente si perderà Nettuno con la sua debole magnitudine di +7,8, sia perché il tutto si verificherà con la Luna molto bassa sull’orizzonte est.
Riteniamo tuttavia che con un cielo cristallino e senza umidità, zoomando il lembo lunare per escludere quanto più possibile del disturbo luminoso, si potrebbe anche riuscire nell’impresa di fotografare il debole puntino.
Da notare che, proprio nel momento dell’occultazione di Nettuno o del suo massimo avvicinamento, ci sarà anche da tenere d’occhio l’uscita dal bordo scuro della stella lambda Aquarii (mag. +3,7), occultata quasi un’ora prima.


Altra evocativa congiunzione sarà quella che avrà luogo nei dintorni dello Scorpione le prime ore della notte del 19 giugno. La Luna prossima al plenilunio avvicinerà Saturno (mag. +0,1) fino a una distanza angolare di 2,5°, con il luminosissimo Marte (–1,7) a 18° a sudovest, nella Libra.
La Luna sarà decisamente invasiva con il suo chiarore, ma anche così gli astrofotografi più bravi riusciranno senz’altro a ricavare suggestivi accostamenti tra il cielo e gli elementi del paesaggio. Come al solito tutto dipenderà dalle condizioni atmosferiche…
Indice dei contenuti
Quattro serate in aula e due in osservatorio per avvicinarsi alla passione astronomica o per approfondirla.
Roma Eur:
18/05/2016, 25/05/2016, 08/06/2016, 15/06/2016
Osservatorio C.DelSole Cervara di Roma:
11/06/2016, 18/06/2016
Per informazioni:
Tel. 338-1670432
Email: info@astronomiamo.it

Come già annunciato il mese scorso, SpaceX sta lavorando per lanciare una serie di capsule Dragon verso Marte. Un progetto molto ambizioso per una singola azienda privata, ma condividendo gli stessi interessi, la NASA si è subito mostrata interessata a dare il proprio supporto.
La Chief Scientist NASA Ellen Stofan ha spiegato, lo scorso 9 giugno, una conferenza presso l’Agenzia Spaziale Italiana, che questa collaborazione con SpaceX consente alla NASA di avere più opportunità per testare tecnologie che sono necessarie per missioni manned su Marte.
La famosa Journey to Mars che gli americani hanno iniziato a ‘percorrere’ con la prima amministrazione Obama è ricca di ostacoli. La NASA si è da sempre mostrata aperta a collaborare con partner istituzionali per la realizzazione di strumenti e tecnologie necessarie per una missione umana su Marte. Ma questo non esclude partner privati, come in questo caso SpaceX.
Per la prima missione Red Dragon è stata esclusa la costruzione di unpayload per ovvi motivi tempistici. 24 mesi sono troppo pochi per poter concepire e costruire un carico utile funzionante. Ma quello che la NASA può fornire a SpaceX sono una serie di tecnologie che possono essere testate durante il viaggio.
Saranno principalmente comunicazione e sistemi di navigazione deep-space per la missione nel 2018, che casualmente cade lo stesso anno del lancio del lander NASA Insight, che atterrerà anch’esso sul Pianeta Rosso.
In cambio SpaceX fornirà alla NASA utilissime informazioni sull’atterraggio del Red Dragon su Marte, dati che sono vitali se si vuole far atterrare grandi masse sul pianeta. La capsula testerà, infatti, un sistema di retropropulsori supersonici che potrebbero facilitare l’atterraggio di carichi pesanti.
Il discorso si fa più interessante per le missioni Red Dragon post-2018. La NASA sta considerano, infatti, di testare le tecnologie per lo sfruttamento di risorse in situ (ISRU), per generare acqua, ossigeno e metano per il combustibile, elementi essenziali per future missioni umane. Il rover 2020 della NASA che verrà lanciato quell’anno sperimenterà queste stesse tecnologie. Ma grazie alle missioni Red Dragon la NASA avrà più opportunità per studiare la ISRU.
Sembra quindi che questa collaborazione pubblico-privata possa alleggerire il carico di lavoro della NASA, che punta ad una prima missione umana per Marte vero la fine degli anni 2030.

Le dirette di giugno:
16/06/2016 21.30 – LIFT-OFF! Mensile di astronautica
Per informazioni: www.astronomiamo.it
info@astronomiamo.it
Tel: 338-1670432


Il potente occhio del telescopio spaziale Spitzer ha studiato le atmosfere di diciannove gioviani caldi – esopianeti simili in dimensioni a Giove, ma situati su orbite molto più vicine alle proprie stelle. Su questi pianeti, le temperature superficiali possono raggiungere fino a 1100 gradi centigradi. Di conseguenza, l’acqua che popola questi mondi esiste esclusivamente nello stato di vapore acqueo.
Dalle poche atmosfere studiate finora, gli astronomi hanno già potuto notare una straordinaria diversità: alcuni gioviani caldi sembrano impregnati di vapore acqueo, mentre altri ne sembrano quasi del tutto privi.
Per far luce su questo mistero, gli scienziati hanno puntato l’occhio di Spitzer in direzione di 19 gioviani caldi già osservati in precedenza da Hubble. La WFC 3 a bordo di Hubble aveva rilevato la traccia spettrale del vapore acqueo in 10 di questi pianeti, non riscontrando alcuna firma nelle atmosfere degli altri nove. Tuttavia, le analisi erano state condotte nell’arco di più studi, da ricercatori diversi e seguendo tecniche d’analisi dei dati molto differenti.
Per far chiarezza quindi, questi diciannove mondi alieni sono stati nuovamente studiati analizzando tutti i dati allo stesso modo.
«Volevamo studiare questi pianeti tutti assieme, per vedere se avessero delle proprietà atmosferiche in comune,» spiega Aishwarya Iyer della California State University. La conclusione è che, su alcuni pianeti, formazioni di nubi o strati di foschia potrebbero nascondere parte del contenuto acquoso dell’atmosfera agli occhi dei nostri telescopi spaziali.
Secondo quanto suggeriscono i dati, le nubi in sé avrebbero composizioni chimiche diverse da quelle dell’acqua. “Sembra che su ogni pianeta che abbiamo studiato ci siano nubi o foschia,” prosegue Iyer. “che bisogna prendere in considerazione per non rischiare di sottovalutare la quantità di acqua contenuta nell’atmosfera di un esopianeta.”
Lo studio sembra in linea con quanto concluso a fine 2015 da un altro gruppo di ricercatori, nel quale tutti i dati sono stati uniti per generare un unico spettro di luce da confrontare successivamente con un modello di un’atmosfera del tutto priva di nubi e una con nubi di crescente spessore. Così facendo, hanno potuto determinare che quasi tutti i pianeti risultano nascosti di almeno la metà da uno spesso strato di nubi o foschia.
«Su alcuni di questi pianeti, riusciamo a vedere l’acqua che “sporge la testa” al di sopra delle nubi, e potrebbe essercene dell’altra al di sotto,» prosegue Iyer. Purtroppo, gli scienziati non sono stati ancora in grado di determinare la natura o la composizione chimica delle nubi.
«Il fatto che ci siano nubi su tutti questi pianeti è piuttosto sorprendente,» spiega Robert Zellem del JPL.
«Si sono formati nelle loro posizioni attuali oppure sono migrati dall’esterno verso le loro stelle?» prosegue Zellem. «Comprendere l’abbondanza di molecole come l’acqua ci aiuterà a rispondere a questa domanda.»

Per assistere dall’Italia a un’occultazione di Giove da parte della Luna (che manca dal luglio 2012) si dovrà probabilmente aspettare il 28 novembre 2019, e nel frattempo ci si dovrà accontentare di congiunzioni più o meno strette; come ad esempio quella che si verificherà la sera dell’11 giugno alle 23:30 quando un robusto crescente di Luna avvicinerà il pianeta fino a una distanza di 2,4°.
La separazione minima (circa 2°) sarà raggiunta verso le 20:30, quando però i due oggetti saranno alti circa +48° e isolati nel cielo, così che per realizzare riprese fotografiche di effetto, consigliamo di attendere qualche ora per dar modo ai due oggetti di scendere sull’orizzonte ovest (a circa +20°) e di circondarsi di un’adeguata cornice scenica. L’incontro avverrà sotto la “pancia del Leone”, dove da diverso tempo sta stazionando Giove.
Indice dei contenuti
Quattro serate in aula e due in osservatorio per avvicinarsi alla passione astronomica o per approfondirla.
Roma Eur:
18/05/2016, 25/05/2016, 08/06/2016, 15/06/2016
Osservatorio C.DelSole Cervara di Roma:
11/06/2016, 18/06/2016
Per informazioni:
Tel. 338-1670432
Email: info@astronomiamo.it

La sonda europea LISA Pathfinder ha raggiunto e superato gli obiettivi della sua missione, secondo quanto riferito il 7 giugno dall’Agenzia Spaziale Europea. La sonda era stata inviata nel punto lagrangiano L1 per verificare il funzionamento di una serie di tecnologie indispensabili per la rilevazione nello spazio profondo di onde gravitazionali – le increspature nello spaziotempo, il tessuto dell’Universo, identificate per la prima volta alla fine dell’anno scorso dall’esperimento LIGO.
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Le numerose fonti di disturbo di cui è vittima LIGO – principalmente di natura sismica e termica – impediscono al rilevatore di osservare le onde gravitazionali a frequenze al di sotto dei 100 hertz. Raccogliere le delicate onde gravitazionali provenienti da alcune delle più violente e drammatiche interazioni nel cosmo, come la collisione di buchi neri supermassicci al centro di galassie in fase di fusione, richiede il raggiungimento di una sensibilità strumentale disponibile solamente nello spazio.
L’obiettivo della missione LISA, di cui LISA Pathfinder costituisce le fondamenta, è osservare minuscole variazioni nelle posizioni di una serie di masse poste in punti diversi del Sistema Solare – variazioni causate dal passaggio di una o più onde gravitazionali. Per verificare la fattibilità di questo progetto, LISA Pathfinder è decollata con due cubi di una lega di oro e platino, ognuno largo, alto e profondo circa 46 millimetri. L’obiettivo è quello di utilizzare un interferometro laser per determinare la posizione delle due masse e osservare eventuali variazioni. Per farlo, però, un futuro Osservatorio Spaziale di onde gravitazionali dovrà innanzitutto isolare ed eliminare qualunque possibile fonte di interferenza, per assicurarsi che i blocchi siano soggetti esclusivamente alla forza di gravità.
I risultati, a detta degli stessi scienziati, hanno di gran lunga superato le aspettative. Le forze non-gravitazionali – ovvero tutte le sorgenti di disturbo e interferenza – sono state ridotte a livelli addirittura inferiori rispetto a quelli desiderati.
«Le misurazioni hanno superato tutte le nostre più ottimistiche aspettative», spiega Paul McNamara dell’ESA. «Abbiamo raggiunto il livello di precisione richiesto dopo un solo giorno, e abbiamo trascorso le settimane seguenti a migliorarlo fino a cinque volte tanto.»
«LISA Pathfinder è sempre stata vista come una pietra di passaggio per raggiungere il livello di performance necessario in un vero osservatorio di onde gravitazionali, ma questi risultati ci dicono che abbiamo già eseguito l’intero salto», spiega Ira Thorpe della NASA. «Un Osservatorio identico a LISA Pathfinder sarebbe in grado di raggiungere gli obiettivi scientifici preposti.»

I risultati indicano che LISA Pathfinder ha ridotto i livelli di interferenza non-gravitazionale fino a 10 mila volte in meno rispetto alle missioni precedenti. In particolare, la sensibilità a frequenze tra 1 e 60 millihertz è migliorata in seguito alla progressiva fuga verso lo spazio esterno delle poche molecole di gas rimaste intrappolate nel sensore. Al di sotto di un millihertz, gli astronomi hanno osservato una debole forza centrifuga agire sulle due masse. Gli ingegneri sospettano che la presenza di questa forza sia dovuta a una combinazione tra la forma della sonda e il rumore indotto dai tracciatori di stelle, i dispositivi utilizzati per il controllo dell’assetto della sonda. Secondo gli esperti, questa interferenza sarebbe molto meno importante in un osservatorio costituito da più sonde distanti milioni di chilometri l’una dall’altra e collegate tra di loro tramite laser.
Un’altra possibile fonte di interferenza è la carica elettrica trasferita durante il passaggio di un raggio cosmico, minimizzata proiettando radiazioni ultraviolette sui cubi, in modo da rimuovere la carica senza contatto.
Infine, un’altra sorgente di disturbo è la progressiva perdita di massa della sonda causata dal consumo del carburante dal sistema di controllo dell’assetto. Per fortuna, questa variazione può essere facilmente misurata ed eliminata dai dati.
«Questi impressionanti risultati indicano che LISA Pathfinder ha dimostrato con successo alcune delle avanzate tecnologie necessarie per un futuro osservatorio spaziale di onde gravitazionali,» spiega Paul Hertz della NASA. «L’ESA sta attualmente pensando di lanciare una simile missione negli anni ’30, e la NASA sta collaborando nell’esplorazione di una possibile partnership come è accaduto per LISA Pathfinder.»


Utilizzando la schiera di parabole che compone il Very Large Array in Nuovo Messico, un gruppo di astronomi ha prodotto la più dettagliata mappa radio dell’atmosfera di Giove, rivelando l’imponente flusso di gas di ammoniaca che scorre al di sotto dello spesso strato di colorate e vorticose nubi superficiali.
Nella loro ricerca, pubblicata sull’ultimo numero di Science, i ricercatori hanno misurato le emissioni radio dell’atmosfera di Giove a specifiche lunghezze d’onda, alle quali le nuvole risultano trasparenti, riuscendo a determinare la quantità di ammoniaca presente fino a una profondità di circa 100 chilometri al di sotto dello strato superiore. Si tratta di una fascia in gran parte inesplorata, ma particolarmente interessante perché è quella in cui le nuvole si formano.
Studiando queste regioni dell’atmosfera del pianeta, gli astronomi contano infatti di riuscire a descrivere come la circolazione globale e la formazione delle nubi siano guidate dalla potente fonte di calore interno di Giove. Un modello da applicare in maniera simile anche agli altri pianeti giganti nel nostro Sistema solare, ma anche ai pianeti extrasolari giganti recentemente scoperti intorno a stelle lontane.

«Abbiamo in sostanza creato un’immagine tridimensionale del gas di ammoniaca presente nell’atmosfera di Giove», spiegaImke de Pater, professoressa di astronomia alla Università della California a Berkeley e prima autrice dello studio. «Un’immagine da cui si possono ricostruire i movimenti verso l’alto e verso il basso all’interno della turbolenta atmosfera». Secondo la ricercatrice, questa nuova mappa reca una sorprendente somiglianza con le immagini in luce visibile.
La nuova mappa radio evidenzia infatti le nubi superficiali, ricche in ammoniaca, che determinano l’aspetto del pianeta e sono il principale elemento visibile dall’esterno. Si tratta di uno strato di idrosolfuro di ammonio, a una temperatura attorno ai 200° Kelvin (-73° C), e di uno strato di ghiaccio di ammoniaca fluttuante nell’aria fredda a circa 160 Kelvin (-113° C).
Inoltre, la nuova analisi mostra come i cosiddetti hotspot – punti “caldi” dell’atmosfera che appaiono luminosi sia in radio che nelle termografie ad infrarossi – siano regioni povere in ammoniaca, che circondano il pianeta come una cintura appena a nord dell’equatore. Fra gli hotspot sono localizzate delle “risorgive” che trasportano ammoniaca in superficie dagli strati più profondi dell’atmosfera planetaria.

«Grazie alle osservazioni radio possiamo scrutare attraverso le nuvole e vedere che quei punti caldi sono intercalati da pennacchi di ammoniaca in risalita dalle profondità del pianeta, configurando le ondulazioni verticali di un sistema di onde equatoriali», dice l’astronomo della UC Berkeley Michael Wong.
Queste osservazioni vengono rese note quando manca ormai meno di un mese prima dell’arrivo a Giove della sonda Juno della NASA, previsto per il prossimo 4 luglio 2016. La missione prevede, tra l’altro, di misurare la quantità di acqua presente nelle parte più profonda dell’atmosfera, là dove il radiotelescopio Very Large Array ha misurato i valori per l’ammoniaca.
«Mappe come la nostra possono aiutare a inquadrare i dati ottenuti da Juno nel più ampio sistema dei movimenti atmosferici di Giove», commenta de Pater, notando in conclusione come il suo team di ricerca continuerà a osservare Giove in radio con il VLA in contemporanea alle osservazioni in microonde compiute da Juno alla ricerca dell’acqua.
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“Per aspera ad astra” ci dice Galileo Galilei, padre della fisica moderna e del metodo scientifico. E proprio Galileo, durante il convegno ” Spazio Italia” sarà insignito di numerose attenzioni e onori.
Con il patrocinio dell’Accademia delle Stelle, Unione Astrofili Italiani e Astronomitaly, il convegno “Spazio Italia” ci offrirà due ore e mezza di ricerca amatoriale e professionale, spiegate splendidamente da esperti del settore i quali Mario Di Sora, Presidente UAI, Paolo Colona astrofisico e Presidente “Accademia delle Stelle” e Claudia Antolini, Astrofisica. Ospite d’eccezione in videoconferenza l’astronauta Maurizio Cheli. I relatori assieme a Maurizio Cheli ci mostreranno come l’Italia ricopre la sua importante posizione sul panorama internazionale di ricerca e le missioni spaziali alle quali partecipa senza sosta!
Conducono l’evento gli organizzatori Cristian Sicorschi e Linda Raimondo, “due giovani adolescenti con un sogno da inseguire”.
Vi aspettiamo numerosissimi nell’Aula Magna dell’Istituto “Azzarita” alle 17:10 del 15 giugno!!
Prima del convegno, verrà attrezzata una postazione con telescopi per l’osservazione del Sole.
Speciale videoconferenza con il Tenente Colonnello Maurizio Cheli – STS-75
Durante l’evento interverranno:
Per maggiori informazioni:
Social > Evento Facebook
Web > http://convegnospazioitalia.weebly.com/


Questa fantastica immagine di Plutone è stata ripresa dalla New Horizons solo pochi minuti dopo il massimo avvicinamento del 14 luglio 2015.
La ripresa di Plutone in controluce è stata programmata proprio per riuscire a vederne e studiarne l’atmosfera, ma non solo: immagini come questa riescono infatti a dare informazioni sulle nebbie di Plutone, ma anche su proprietà e caratteristiche della sua superficie, che non possono essere ottenute da altre immagini del Fly-by.
L’inserto in alto a destra mostra una parte di questo “crescente” di Plutone, in cui si nota un intrigante filamento luminoso (vicino al centro) lungo decine di chilometri, che potrebbe indicare la presenza di nubi a bassa quota nell’atmosfera di Plutone; al momento le uniche identificate tra le immagini della New Horizons. Queste nubi– se di nubi si tratta – sono così luminose e visibili per lo stesso motivo per cui lo sono gli strati di foschia: l’illuminazione radente dovuta alla luce del Sole. La scena in questo inserto è di 230 chilometri di larghezza.
È la prima volta che in un comunicato NASA si parla esplicitamente di nubi, ma l’ipotesi aleggia già da tempo.
Infatti, come dichiarato a inizio marzo in un articolo pubblicato su New Scientist, già il 13 settembre dello scorso anno, pochi giorni prima del rilascio pubblico delle prime immagini di questo contro luce, Grundy, del Lowell Observatory in Arizona, aveva inviato una e-mail a una lista di discussione sull’analisi dei dati di New Horizons che riguardano l’atmosfera di Plutone. Allegando l’immagine qui sotto scrisse: «Ci sono alcune formazioni a bassa quota abbastanza localizzate, appena sopra il lembo dove indicano le frecce, ma anche un paio di “cose” brillanti a forma di nube, che sembrano essere sospese e attraversano la topografia nella zona cerchiata».

Una curiosità: Plutone è stato notoriamente retrocesso dallo status di pianeta nel 2006, ed è ora ufficialmente un pianeta nano, ma proprio queste immagini di nuvole potrebbero far aumentare le possibilità della presentazione di una richiesta di reintegrazione. La complessità sempre più evidente dell’atmosfera di Plutone infatti gli consente di passare senza ombra di dubbio quello che Alan Stern (Principal Investigator della missione New Horizons e primo sostenitore convinto della necessità di rivedere i criteri di catalogazione) chiama il test di “Star Trek”: sai già che si tratta di un pianeta appena lo vedi fuori dalla finestra, non hai bisogno d’altro…
L’inserto in basso a destra mostra invece più in dettaglio il lato notturno di Plutone. Le formazioni del terreno possono essere viste perché illuminate da dietro dalla luce del Sole diffusa dalle nebbie che delineano il profilo del pianeta. La topografia qui appare abbastanza accidentata, sono evidenti ampie vallate e rilievi con cime appuntite per un totale di 5 chilometri. Questa immagine, realizzata da distanza ravvicinata, da molte più informazioni delle immagini di queste stesse zone, riprese però diversi giorni prima del massimo avvicinamento a più bassa risoluzione. un raro sguardo dettagliato della configurazione di queste zone di terreno purtroppo ancora misteriose, essendo state viste ad alta risoluzione solo nella penombra di queste immagini. La scena in questo inserto è di 750 chilometri di larghezza.
Tutti i primi lunedì del mese:
UNA COSTELLAZIONE SOPRA DI NOI
In diretta web con il Telescopio Remoto UAI Skylive dalle ore 21:30 alle 22:30, ovviamente tutto completamente gratuito.
Un viaggio deep-sky in diretta web con il Telescopio Remoto UAI – tele #2 ASTRA Telescopi Remoti. Osservazioni con approfondimenti dal vivo ogni mese su una costellazione del periodo. Basta un collegamento internet, anche lento. Con la voce del Vicepresidente UAI, Giorgio Bianciardi telescopioremoto.uai.it

La serata di sabato 11 giugno 2016 sarà un incontro tutto dedicato all’Astronomia, infatti presso la Parrocchia Santi Filippo e Giacomo nel borgo di Palidoro si potranno ammirare le meraviglie del cosmo. Con ben 4 telescopi si potranno osservare oggetti come la Luna, il pianeta Giove e il pianeta Saturno e le osservazioni saranno accompagnate dalle spiegazioni dell’astrofilo Giuseppe Conzo che condurrà i visitatori in un viaggio indimenticabile nell’Universo.
Il “party astronomico” sarà arricchito con cena a base di pizza e nell’occasione saranno presentati i corsi di Astronomia 2016/2017 che si svolgeranno nella Chiesa di Palidoro a partire da ottobre 2016.
Un’occasione di cultura, cibo e compagnia all’insegna della condivisione e dell’amicizia che assolutamente non si deve perdere.
Per maggiori info giuconzo@gmail.com
oppure collegarsi alla pagina Facebook dell’evento al seguente link: https://www.facebook.com/events/602789323213075/
Continua il Tour che nel 2015 ha fatto sognare migliaia di persone. Realizzato da Luigi Pizzimenti, in collaborazione con Paolo Attivissimo, anche quest’anno potrete conoscere la storia geologica di una roccia antichissima che rievoca la cataclismica formazione della Terra e della Luna, e potrete rivivere, con foto e riprese video rare e restaurate, l’avventura e il viaggio che l’hanno portata tra noi.
Il campione di Luna di quest’anno è un frammento raccolto nella regione lunare di Fra Mauro dagli astronauti di Apollo 14, Alan Shepard e Edgar Mitchell, ed è uno dei più grandi fra quelli offerti dalla NASA per esposizioni pubbliche. Quest’anno il tour italiano vedrà la partecipazione e collaborazione (in alcune località) di: Paolo Attivissimo, Paolo D’Angelo e Paolo Miniussi.
Tutte le date, le località e le informazioni necessarie le trovate nel CALENDARIO degli APPUNTAMENTI


Il programma spaziale Apollo, che a cavallo tra gli anni ‘60 e ‘70 del secolo scorso ci ha permesso di conoscere più da vicino la Luna, ha anche portato a Terra un enorme quantitativo di campioni lunari. Dalle prime analisi risultava che queste rocce fossero completamente prive di acqua, mentre analisi più accurate hanno mostrato che, sebbene in piccole quantità, l’acqua è presente sul nostro satellite naturale. Secondo quanto afferma un nuovo studio pubblicato sulla rivista Nature Communications, la maggior parte dell’acqua presente all’interno della Luna è stata portata da asteroidi tra 4.5 e 4.3 miliardi di anni fa.
Nell’era del programma Apollo la Luna è stata spesso descritta come un corpo privo di acqua. Grazie al progressivo miglioramento delle tecniche di analisi, gli scienziati si sono resi conto che l’acqua è presente nel sottosuolo lunare, ma in quantità così piccole da non essere rilevabili all’epoca del rientro a Terra dei primi campioni.
La scoperta di acqua nella Luna apre un nuovo dibattito circa la sua provenienza. Nello studio gli scienziati hanno confrontato la composizione chimica e isotopica dei materiali volatili lunari con quella dei volatili trovati in comete e campioni meteorici di asteroidi. Il team ha poi calcolato la proporzione di acqua che potrebbe essere stata trasportata da queste due popolazioni di oggetti, e i risultati indicano la maggior parte (più dell’80 percento) dell’acqua lunare deriva da asteroidi simili alle meteoriti condritiche carbonacee. Le condriti sono meteoriti rocciose che non sono state modificate da processi di fusione o differenziazione, e sono quindi costituite da materiale primitivo del Sistema solare, che si è addensato da grani e polveri a formare asteroidi. Le condriti carbonacee sono caratterizzate dalla presenza di carbonio e suoi composti, tra cui amminoacidi.

L’acqua sembra dunque arrivata sulla Luna quando questa era ancora circondata da un oceano di magma, molto prima che si formasse la crosta che vediamo ora, e che impedisce agli oggetti che impattano sul nostro satellite di portare quantità significative di materiale negli strati più profondi. Per quanto riguarda l’arrivo dell’acqua sulla Terra, deve essere accaduto qualcosa di molto simile, all’incirca nello stesso intervallo di tempo.
Per saperne di più:
Il primo star-party tosco-romagnolo sarà un appuntamento dedicato agli astrofili ma sono previste attività per chi, incuriosito, vorrà godersi un fine settimana immerso nella natura. I principali punti dIi osservazione saranno il piazzale dei Fangacci, i Parati della Burraia e i prati di Campigna.
Escursioni serali a cura dell’associazione “Quota900” accompagneranno i partecipanti ai Prati della Burraia dove alcuni astrofili mostreranno e racconteranno il cielo della tarda primavera. Al parcheggio dei Fangacci gli astrofili osserveranno e riprenderanno il cielo la sera e il Sole nel pomeriggio di sabato con i propri telescopi. Sabato mattino il Planetario di Stia sarà aperto al pubblico con attività dedicate ai bambini. Dalle ore 15 sempre del Sabato, inoltre, sono previste conferenze e convegni per astrofili al centro visite del Parco (Campigna).
Lo star-party è organizzato dalle associazioni astrofile di Arezzo (NuovoGruppo Astrofili di Arezzo), Ravenna (A.R.A.R.), Firenze (S.A.F.), Savignano sul Rubicone (A.A.R.), Imola (A.A.I.), Società Astrofili Cesena, dall’Ente Parco Foreste Casentinesi con la collaborazione degli astrofili di Forlì, Sogliano al Rubicone, Faenza, dell’Unione Astrofili Italiani e del Planetario di Stia.
Per informazioni: Nuovo Gruppo Astrofili di Arezzo (presidente@arezzoastrofili.it)
Associazione Ravennate Astrofili Rheyta (info@arar.it)
Al Planetario Osservatorio Astronomico di Basilicata inizia “Stelle in Famiglia”, tutte le domeniche e festivi, fino a fine giugno, nelle ore pomeridiane, una serie di Serate Astronomiche adatte ai grandi e ai piccini!
Si parlerà di stelle e costellazioni, un percorso adatto alle famiglie con bambini. Quale maniera migliore per avvicinare i bambini all’astronomia?
Possibilità di pernotto presso le strutture convenzionate.
Per info e prenotazioni: Tel. 097.11650633 – cell. 3202236876 –
planetarioanzi@gmail.com
http://planetarioosservatorioanzi.blogspot.it



Dopo un 2014 che ci aveva stupito con il record di ben quattro supernovae esplose nelle galassie Messier, il 2015, per contrapposizione, è stato avaro per quanto riguarda questo tipo di scoperte. Finalmente, dopo poco più di un anno e mezzo, il 2016 ci regala la sua prima supernova rilevata in una galassia Messier. Si tratta della SN2016cok esplosa nella bella galassia a spirale barrata M66 posta a circa 35 milioni di anni luce, nella costellazione del Leone.
La supernova è stata individuata la notte del 28 maggio dal programma professionale di ricerca denominato “All Sky Automated Survey for SuperNovae” (ASAS-SN) con il quadruplo telescopio da 14 cm “Brutus” posto sul monte Haleakala nelle isole Hawaii. Al momento della scoperta, la supernova mostrava una luminosità intorno alla mag. +16,5 ma in aumento. Dopo poche ore dalla scoperta, i primi a riprenderne lo spettro sono stati i cinesi del LiJiang Gaomeigu Station of Yunnan Astronomical Observatories con il telescopio da 2,4 metri. Lo spettro ha permesso di classificare la supernova di tipo IIP scoperta alcuni giorni prima del massimo, con i gas eiettati dall’esplosione che viaggiano a un velocità di circa 9000 km/s.

M66 aveva ospitato in passato altre quattro supernovae: la SN1973r di tipo II scoperta il 19 dicembre 1973 dal nostro Leonida Rosino; la SN1989b di tipo Ia scoperta il 30 gennaio 1989 dall’australiano Robert Evans e dal nostro Federico Manzini; la SN1997bs scoperta il 15 aprile 1997 dal programma professionale Lick Observatory Supernova Search (LOSS), che poi si rivelò essere un LBV Supernova Impostor; la SN2009hd di tipo IIP scoperta il 2 luglio 2009 dal sudafricano Berto Monard.
La galassia ospite M66 è una bellissima spirale, assieme alla vicina M65 e a NGC3628 formano il famoso Tripletto del Leone. Quella che si prospetta è un’ottima occasione per ottenere delle stupende immagini di queste tre galassie insieme alla supernova.

Il circuito degli Star Party UAI
3-5 giugno Star Party delle Foreste Casentinesi Lo Star Party (rinnovato) del centro-nord Italia, organizzato dalle
associazioni di astrofili della Romagna presso Campigna (AR) nel cuore del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi (vedi il box qui).
http://www.arar.it

Pronto il Bando della VI edizione del Premio Internazionale Federico II e i Poeti tra le stelle, concorso aperto a studenti e autori di opere poetiche e narrative e artistiche, pitture, fotografie e, da questa edizione, anche disegni. Obiettivo del Premio, ideato nel 2008, è quello di dar voce alla “Poesia del Cosmo”. Il Premio è stato ideato dalla The Lunar Society Italia, associazione nata per la divulgazione
scientifica, ed è organizzato in collaborazione con Società Astronomica Pugliese, associazione per la divulgazione astronomica, Osservatorio Astronomico Comunale di Acquaviva delle Fonti (provincia di Bari), la più importante struttura astronomica esistente in Puglia (Apulia), Virtual Telescope Project, una delle piattaforme astronomiche robotiche più evolute ed attive al mondo nella ricerca e nella divulgazione in campo astrofisico e astronomico e la rivista italiana di divulgazione scientifica Coelum Astronomia.
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Scadenza di presentazione delle opere 10 GIUGNO 2016 Proroga al 31 LUGLIO 2016!
Le opere saranno pubblicate sul sito del premio www.poetitralestelle.com, ora riportante quelle della V edizione 2014.
L’ammissione delle opere sarà sottoposta alla preventiva valutazione da parte della Commissione organizzativa del Premio in merito alla coerenza di queste al tema e alle modalità di presentazione.


Componenti che riteniamo cruciali per l’origine della vita sulla Terra sono stati rilevati sulla cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko, oggetto di studio della sonda Rosetta dell’ESA da circa due anni. Tra gli ingredienti rilevati compaiono l’amminoacido chiamato glicina, che si trova comunemente nelle proteine, e il fosforo, uno degli elementi chiave del DNA e delle membrane cellulari.
La comunità scientifica ha dibattuto a lungo la possibilità che l’acqua e le molecole organiche siano state portate sulla Terra da asteroidi e comete, e che così facendo i piccoli corpi del Sistema solare ci abbiano fornito alcuni degli elementi costitutivi principali per la nascita della vita. Se è vero che alcune comete e asteroidi hanno mostrato di contenere acqua con una composizione simile a quella degli oceani terrestri, è anche vero che Rosetta ha trovato differenze significative nella composizione dell’acqua di 67P, alimentando il dibattito sulla genesi dell’acqua sulla Terra.
I nuovi risultati raccolti mostrano che le comete potrebbero comunque aver svolto un ruolo fondamentale nel manifestarsi della vita come noi la conosciamo. Gli amminoacidi sono composti organici contenenti carbonio, ossigeno, idrogeno e azoto, e costituiscono la base per le proteine, quindi giocano un ruolo biologicamente fondamentale. Tracce del più semplice tra gli amminoacidi, ovvero la glicina, sono stati trovati nei campioni riportati a Terra nel 2006 dalla cometa Wild-2, oggetto di studio della missione Stardust della NASA. Tuttavia, l’alta probabilità di contaminazione terrestre dei campioni aveva reso i risultati delle analisi piuttosto deboli. Ciò che ha ottenuto Rosetta, invece, sono rilevazioni di glicina direttamente nella chioma della sua cometa.
«Si tratta della prima rilevazione inequivocabile di glicina in una cometa», dice Kathrin Altwegg, principal investigator dello strumento ROSINA che ha effettuato le misurazioni e autrice principale dello studio pubblicato su Science Advances. «Allo stesso tempo abbiamo rilevato anche la presenza di altre molecole organiche, che possono essere precursori della glicina, fornendo indizi sui modi in cui questo amminoacido può essersi formato»
Le misure sono state effettuate prima che la cometa raggiungesse il suo punto di massimo avvicinamento al Sole, detto perielio, che è avvenuto nel mese di agosto del 2015. La prima rilevazione è stata ottenuta nell’ottobre 2014, mentre Rosetta si trovava a 10 km dalla cometa. L’occasione successiva si è presentata durante un sorvolo ravvicinato a marzo 2015, quando la sonda si trovava a 15-30 km dal nucleo cometario. La glicina è stata osservata anche in altre occasioni, associate alle emissioni di getti durante il mese precedente al perielio, quando Rosetta si trovava a più di 200 km dal nucleo, ed era circondata da grandi quantità di polvere.

«La glicina è l’unico amminoacido noto per essere in grado di formarsi senza acqua liquida, e il fatto che lo osserviamo insieme alle molecole precursori e la polvere suggerisce che si sia formata all’interno dei grani ghiacciati di polvere interstellare o dall’irradiazione del ghiaccio da parte di luce ultravioletta, per poi venire conservato per miliardi di anni nella cometa», aggiunge Altwegg.
La glicina si trasforma in gas solo quando raggiunge temperature prossime ai 150° C, e questo significa che per la maggior parte del tempo di vita della cometa la quantità di glicina rilasciata dalla superficie è infinitesimale, considerate le basse temperature. Questo spiega perché Rosetta è riuscita a rilevarla solo durante brevi finestre temporali.
Un’altra rilevazione interessante descritta nell’articolo è quella del fosforo, uno degli elementi chiave per tutti gli organismi viventi. Ad esempio, possiamo trovarlo nella struttura del DNA e nelle membrane cellulari, ed è utilizzato per il trasporto di energia all’interno delle cellule.
«C’è ancora molta incertezza per quanto riguarda la chimica che era presente sulla Terra primordiale, e c’è anche, ovviamente, un enorme gap evolutivo da colmare tra l’arrivo di questi ingredienti con gli impatti cometari e il presentarsi della vita», dice Hervé Cottin, co-autore dello studio. «L’aspetto più importante è che le comete non hanno avuto modo di cambiare negli ultimi 4.5 miliardi di anni, e quindi ci forniscono un accesso diretto ad alcuni degli ingredienti che sono probabilmente finiti nella grande zuppa prebiotica che ha poi portato la vita sulla Terra».
«La moltitudine di molecole organiche già individuate da Rosetta, unite ora all’entusiasmante conferma di ingredienti fondamentali come glicina e fosforo, rafforza la nostra ipotesi che le comete abbiano abbiano il potenziale per fornire gli elementi chiave per la chimica prebiotica», spiega Matt Taylor, scienziato della missione Rosetta. «Riuscire a dimostrare che le comete contengono il materiale più primitivo del Sistema solare e potrebbero aver trasportato gli elementi fondamentali per la vita sulla Terra è uno degli obiettivi principali della missione Rosetta, quindi siamo particolarmente soddisfatti di questo importante risultato».
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Come si sa, quando un pianeta è in opposizione viene a trovarsi nelle migliori condizioni di osservabilità; essendo infatti nel punto più vicino alla Terra, e diametralmente opposto al Sole, è visibile per tutta la notte e si mostra con un diametro apparente e una luminosità maggiori che in altri periodi. Le opposizioni di Saturno si ripetono con un intervallo periodo sinodico) di circa 378 giorni, ma dal punto di vista osservativo non sono tutte uguali… per effetto della orbita moderatamente eccentrica del pianeta (e = 0,056), ogni circa 29 anni si ha un’opposizione perielica, o “grande opposizione” (in cui la distanza dalla Terra raggiunge minimi assoluti di circa 8,02 UA), seguita dopo 14,5 anni da un’opposizione afelica in cui il pianeta può arrivare a distare fino a 9,05 UA.
In questo periodo storico, le prime si verificano quando il pianeta si trova nella parte più boreale dell’eclittica (tra Gemelli e Toro), mentre le seconde quando si trova nella parte più australe (Sagittario e Ofiuco), così che il periodo in assoluto migliore per l’osservazione di Saturno coincide (contrariamente a quanto avviene per Marte) con l’opportunità di puntarlo molto alto sull’orizzonte.
L’ultima grande opposizione di Saturno c’è stata nel dicembre 2003, con gli anelli che raggiunsero le dimensioni apparenti record di 46,8” (vedi la figura a destra ) e per assistere alla prossima si dovrà aspettare il dicembre 2032. Attualmente il pianeta si trova in una fase di opposizioni abbastanza modeste, anzi, addirittura afeliche (il prossimo 3 giugno gli anelli misureranno solo 42”), con il minimo assoluto che verrà raggiunto nel giugno 2018 (diametro di 41,8”).
Saturno in opposizione significa anche poter seguire con più facilità le numerose lune del pianeta, le più luminose delle quali – Tethys (mag. +10,2), Dione (+10,4), Rhea (+9,7) e Titano (+8,3) – potrebbero essere teoricamente alla portata di un buon binocolo.
Nel grafico al link abbiamo tabulato le loro posizioni per ogni notte del mese di giugno alle ore 0:00 ora italiana (visione eclittica, con il nord in alto e l’est a sinistra).
In tema di satelliti, attenzione a non confonderli con la stella SAO 184541 (mag. +6,3), che la sera del 23 si troverà ad appena 1′ a sudest dal pianeta, o con la debole SAO 184540 (+9,5).
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…e due sfide!

Il primo evento interessante del mese potrà essere seguito (da chi avrà la voglia o la forza di alzarsi per tempo) guardando verso est verso le cinque del mattino del 3 giugno.
A quell’ora si aprirà una breve finestra temporale, dove in presenza di un cielo limpido si dovrebbe riuscire a scorgere Mercurio (mag. +0,6) come un puntino situato 3,8° a est di una sottile falce di Luna calante.
I due oggetti saranno alti solo +6°, per cui in caso di orizzonte non proprio limpidissimo ci si dovrà aiutare con un binocolo.
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Va all’Italia la più grande commessa mai assegnata per un progetto di Astronomia da Terra: il 25 maggio è stato firmato, presso la sede dell’European Southern Observatory (ESO), il contratto dall’importo complessivo di circa 400 milioni di euro per la costruzione della cupola e della struttura meccanica di supporto del telescopio E-ELT (European Extremely Large Telescope) che con il suo specchio principale di 39 metri di diametro, sarà il più grande telescopio ottico/infrarosso mai costruito.
La commessa è stata assegnata al consorzio di Società italiane ACe, composto da Astaldi, Cimolai ed EIE group subcontractor nominato.
Il telescopio E-ELT è anche frutto dell’intellettualità scientifica e tecnologica sviluppata all’interno dell’Istituto Nazionale di Astrofisica, consolidata nel Paese attraverso un continuo coinvolgimento dell’Industria nazionale.
Per il Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Stefania Giannini, “oggi nella prestigiosa sede dell’ESO festeggiamo un altro successo della ricerca pubblica e dell’eccellenza industriale italiana in Europa. Con l’assegnazione del contratto per realizzare la struttura meccanica e la cupola del telescopio europeo estremamente grande (EELT) l’Italia conferma la sua capacità di leadership in settori scientifici di alta tecnologia che puntano lo sguardo a mondi da sempre di grande fascino per l’umanità. Una sfida – aggiunge il Ministro Giannini – vinta grazie a una positiva e attiva alleanza tra una ricerca di qualità, da noi sostenuta non solo economicamente, e imprese italiane dinamiche, solide e di livello internazionale. Il Programma Nazionale della Ricerca da 2,5 miliardi rappresenterà un acceleratore e un moltiplicatore di opportunità anche in altri ambiti, incoraggiando l’interazione positiva tra pubblico e privato”.

Il contratto è stato siglato dal Direttore Generale di ESO Tim de Zeeuw, dal presidente di Astaldi, Paolo Astaldi e dal presidente di Cimolai, Luigi Cimolai. Alla cerimonia della firma erano presenti il Ministro dell’Istruzione, Università e della Ricerca, On. Stefania Giannini, il Console Generale d’Italia a Monaco Renato Cianfrani, il presidente del Council di ESO Patrick Roche e i delegati italiani al Council di ESO, ovvero il Presidente dell’Istituto Nazionale di Astrofisica, Nicolò D’Amico, e Matteo Pardo, Addetto scientifico presso l’Ambasciata Italiana a Berlino, oltre al presidente di EIE Gianpiero Marchiori e altri rappresentanti del consorzio.
La progettazione esecutiva di questi due mastodontici componenti del futuro super telescopio è dunque conclusa. Il contratto comprende la progettazione, la realizzazione, il trasporto, la costruzione, l’assemblaggio sul sito dove sarà collocato E-ELT e la verifica finale della cupola e della struttura meccanica del telescopio.
La realizzazione di queste due strutture è una vera e propria sfida ingegneristica, che vedrà la realizzazione di una cupola del diametro di 80 metri completamente rotante che avrà una massa complessiva di circa 5000 tonnellate, ma anche la montatura del telescopio e la struttura dove verranno alloggiate le sue ottiche, con una massa complessiva movimentabile di oltre 3000 tonnellate. Per dare un’idea delle dimensioni complessive di E-ELT, l’altezza complessiva della sua struttura, pari a circa 90 metri, è quella di un palazzo di 30 piani e la superficie della sua pianta è circa quella di un campo da calcio.
Il telescopio è in fase di costruzione sul Cerro Armazones, sulle Ande cilene, a una quota di 3000 metri e a circa 20 chilometri di distanza dall’Osservatorio del Paranal dell’ESO. Le opere per la realizzazione della strada di servizio e di livellamento del sito dove si ergerà E-ELT sono state completate e l’avvio dei lavori per la costruzione della cupola è previsto per il 2017.
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Semaforo verde per E-ELT – Coelum 188
Traguardi e sfide dell’Astronomia – Coelum 200 (leggi online)
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LunaSole e PianetiGiove e satelliti medicei |
Durante il mese di giugno l’inizio della notte astronomica (Sole sotto l’orizzonte di almeno –18°) si farà attendere fin quasi alle 23:00, così che alla mezzanotte il cielo apparirà dominato verso sud dal Sagittario e dalla caratteristica sagoma dello Scorpione, mentre più in alto si passerà dall’Ofiuco all’Ercole, con quest’ultimo quasi allo zenit. Il Leone, con Giove, si starà invece avviando al tramonto, mentre verso est comincerà ad alzarsi il “Triangolo estivo” formato da Vega, Deneb e Altair (le stelle più brillanti di Lira, Cigno e Aquila) e i ricchissimi campi stellari che compongono la Via Lattea. Sull’orizzonte nordest farà capolino la Galassia di Andromeda (M31), che raggiungerà una buona altezza sull’orizzonte giù prima dell’alba, precedendo il sorgere delle Pleiadi.
Per ciò che riguarda gli altri pianeti, gli unici osservabili a quell’ora saranno Saturno, in Ofiuco, in procinto di passare al meridiano, e Marte nella Libra: uno a sinistra e l’altro a destra della testa dello Scorpione.
Continua l’apparente moto di risalita del Sole, che nei primissimi minuti del giorno 21 raggiungerà il punto di massima declinazione nord dell’eclittica (pari a +23° 27′); in quel momento si verificherà il solstizio estivo, che nell’emisfero boreale sancirà l’inizio della estate astronomica.
Da 1 giugno 2016 al 5 giugno 2016: L’accademia delle Stelle, scuola di astronomia e gruppo astrofili di Roma, organizza due StarPartu – vacanze astronomiche a giugno a Piancastagnaio (SI)
Per informazioni: https://www.accademiadellestelle.org/vacanze-astronomiche-in-toscana/
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