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La sfida decisiva per diventare Homo astronauticus – n. 255 Coelum Astronomia

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    MALATI DI SPAZIO, MALATI PER LO SPAZIO

    A partire dal 1961, l’anno della prima missione spaziale con astronauti a bordo, la storia ha dimostrato che l’uomo può avventurarsi al di fuori dell’orbita terrestre.

    Eppure la sua sopravvivenza deve fronteggiare condizioni ambientali che mettono a serio rischio la sua salute.

    Sebbene disponga di una tuta spaziale e si trovi a vivere e lavorare in un ambiente protetto come la Stazione Spaziale Internazionale o un villaggio lunare, l’uomo non può evitare di esporsi a una combinazione di eventi avversi, tra i quali i più importanti sono le radiazioni e l’assenza di gravità.

    Una spessa atmosfera e una forza di gravità costante in direzione e intensità sono gli elementi che hanno reso possibile la vita sul nostro pianeta. Nello spazio la mancanza di atmosfera e di gravità espone l’uomo all’effetto deleterio delle radiazioni e dell’assenza di peso.

    Si è calcolato che il decondizionamento multi-organo degli astronauti durante i mesi di permanenza nello spazio accelerano il loro invecchiamento di un fattore 10: in termini biologici ogni mese trascorso nello spazio vale quasi un anno sul nostro pianeta.

    L’articolo completo disponibile sul n. 255 Aprile-Maggio

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    Elaborare l’immagine di una cometa – n. 255 Coelum Astronomia

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      Come dice David H. Levy :
      “Le comete sono come i gatti: hanno la coda e fanno esattamente quello che vogliono” e forse è proprio per questo motivo che catturano la mia attenzione.

      Mi piace fotografare le comete, specialmente quando, nel loro viaggiare, attraversano la Via Lattea oppure incontrano oggetti di profondo cielo.

      Cerco sempre di tenermi informata sulle comete più interessanti e sui percorsi che fanno in cielo per fotografarle nel passaggio accanto ad oggetti celesti notevoli. Nella galleria del sito Spaceweather.com si trovano quotidianamente riprese di comete dei migliori astrofotografi “cometari” e leggere le informazioni a corredo delle immagini mi è utile per pianificare le mie sessioni fotografiche.

      Ci sono inoltre anche gruppi nei social dedicati esclusivamente alle comete in cui si riescono a trovare tante indicazioni.

      La notte del 9 settembre 2018 la cometa 21P Giacobini-Zinner transitava in Auriga, in prossimità di un gruppo di nebulose del catalogo Sharpless (SH2-231, SH2-232, S2-233 e SH2-235), un oggetto perfetto per le mie aspettative.

      Ed è così che ho iniziato a pianificare la ripresa e a prepararmi per la successiva fase di elaborazione dell’immagine.

      L’articolo completo disponibile sul n. 255 Aprile-Maggio

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      Un diavolo per capodanno – n. 255 Coelum Astronomia

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        I Dust Devil sono tra i fenomeni naturali più dinamici osservabili su Marte.

        Sono dei vortici di polvere che si formano quando l’aria ruba calore al terreno creando delle sacche calde. Queste, meno dense, si sollevano e, mentre vanno verso l’alto, vengono sostituite dall’aria più fredda che inizia a ruotare guidata dalle forze di Coriolis. All’aumentare dell’aria in entrata nella colonna, la corrente ascendente si fa sempre più vorticosa, come un pattinatore che avvicina le braccia al corpo per girare di più. Quando la rotazione del mulinello diventa più robusta e autosufficiente al livello del suolo, i granelli di sabbia iniziano a rimbalzare e la polvere viene trascinata nel vortice in crescita.

        Nasce così un Dust Devil o diavolo di polvere.

        Per le missioni robotiche, assistere alla formazione e al passaggio dei Dust Devil è una gran fortuna, sia per motivi scientifici, perché sono indicatori delle condizioni atmosferiche e della velocità prevalente del vento, e sia perché concorrono a quelli che vengono chiamati “eventi di pulizia periodica”, ossia ripuliscono naturalmente le superfici dei rover o dei lander dalla polvere fine che gradualmente viene depositata dall’atmosfera marziana su di essi giorno dopo giorno.

        La formazione dei Dust Devil dipende anche dalla geomorfologia del terreno: ci sono aree più proficue di altre.

        Il rover della NASA Perseverance, atterrato nel cratere Jezero (Isidis Planitia) il 18 febbraio 2021, ha già dimostrato di essere molto fortunato.

        Solo nei primi 90 sol (o giorni marziani) di missione ha incontrato più di 100 diavoli di polvere!

        L’articolo completo disponibile sul n. 255 Aprile-Maggio

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        Stelle sul palcoscenico – n. 255 Coelum Astronomia

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          Il rapporto tra astronomia e teatro è una relazione di lunga data, le cui radici culturali sono antiche e profonde.

          Per secoli, il cielo stellato è stato il palcoscenico sul quale intere generazioni hanno messo in scena storie di vita quotidiana e di miti lasciando alle familiari sagome delle costellazioni il ruolo di attori protagonisti.

          “La colpa, caro Bruto,
          non è nelle nostre stelle,
          Ma in noi stessi, che siamo
          uomini dappoco.”
          – Giulio Cesare, scena II

          Qualcosa di indefinibile ci ha condotto alla ricerca delle stesse emozioni, paure, speranze, passioni: lassù nelle profondità del cielo stellato, o quaggiù negli abissi dello spirito umano.

          I miti sono diventati leggende, le leggende sono diventate storie, e le storie hanno continuato ad accompagnarci, incarnandosi in forme diverse, ma restando sempre fedeli a quel filo sottile che unisce, oggi come allora, le stelle al palcoscenico.

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          Gli Estremofili e la vita nello spazio – n. 255 Coelum Astronomia

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            In una melodia un abile musicista ordina le note secondo uno schema rigoroso e omogeneo. Non ci sono codici o regole da seguire ma essa suona come giusta all’orecchio umano. Si può paragonare la nascita della vita ad una melodia perfetta. Un punto di equilibrio e una complessa rete di strade interconnesse, ognuna delle quali contribuisce alla mappa della vita.

            Come in qualsiasi sistema termodinamico aperto per lavorare in maniera corretta i processi interni devono essere ben separati dal mondo esterno. Nelle forme di vita biologiche questa separazione è rappresentata dalla membrana cellulare.

            Sono necessari poi molti elementi chimici Carbonio, Idrogeno, Azoto, Ossigeno, Fosforo e Zolfo e un potentissimo solvente: l’acqua, il principale solvente usato nei processi chimici della biosfera.

            Esiste tuttavia un altro liquido che può fungere alla stesso scopo: l’ammoniaca, in grado di svolgere alcuni compiti in maniera simile all’acqua in ambienti chimici però totalmente dissimili a quello terrestre.

            Ma quanto tempo ci vuole per formare un organismo vivente?

            Questa non è una domanda banale. Si calcola che sulla Terra i primi microfossili si siano formati circa 3,5 miliardi di anni fa e, poiché il Large Heavy Bombardment (LHB), ovvero il periodo di tempo caratterizzato da un gran numero di impatti astronomici che hanno colpito la Terra, si è verificato tra 4,1 e 3,8 miliardi di anni fa, si stima che la vita abbia avuto circa 300 milioni di anni per evolversi e lasciare dietro di sé una traccia fossile.

            Adattabilità degli organismi in ambienti ostili

            L’evoluzione non è un processo casuale, come a prima vista potrebbe sembrare.

            L’evoluzione, citando Luca Signorile, è un orologiaio miope. Essa ha una linea guida, un obiettivo, che è la conservazione dell’organismo il più a lungo possibile, e l’adattamento è la sua strategia. Una strategia a lungo termine e che può operare attraverso la mutazione e la selezione naturale.

            Sulla Terra sono stati colonizzati anche gli ambienti più aridi e inospitali, dove organismi unici ed estremamente differenti fra loro si sono adattati a vivere nelle proprie nicchie ecologiche.

            Ambiente e microorganismi estremi. CREDIT: ESTREME TOUR CITTÀ DELLA SCIENZA

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            Venere, la gemella “diversa” del nostro pianeta – n. 255 Coelum Astronomia

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              La “prima stella” a sorgere al tramonto e l’ultima a tramontare all’alba, ecco come si presenta Venere ai nostri occhi.
              Eppure, quella brillantezza causata dall’alta riflettività della densa atmosfera, nasconde una storia geologica unica all’interno del Sistema Solare.

              Avvolta dalla densa atmosfera che genera un effetto serra a scala globale con temperature che superano i 400 C° e una pressione di circa 90 atmosfere, la superficie di Venere è stata completamente svelata solo negli anni ’90 grazie alle immagini radar dalla missione NASA Magellan (Saunders et al., 1992).

              Da questi dati, sono emerse diverse peculiarità geologiche tra cui la numerosità e diversità di strutture vulcaniche, la giovane età della superficie (~500 milioni di anni) e la presenza di lunghi (da centinaia a migliaia di km) canali meandriformi.

              I vulcani venusiani hanno tipologie a volte simili a quelle terrestri, in altri casi troviamo delle forme particolarmente complesse: alcune sono state denominate aracnoidi perché appunto ricordano la forma dei ragni, altre sono state chiamate domi pancake perché ricordano le tipiche frittelle americane!

              Queste strutture non sono state identificate in altre pianeti, suggerendo l’unicità geologica di Venere.

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              CANSAT: Non perché sono facili Ma perché sono difficili – n. 255 Coelum Astronomia

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                Il CanSat come attività didattica

                Per quelli che hanno vissuto di persona l’epopea moderna delle missioni Apollo, o per chi ha visto con i suoi occhi l’epoca dei lanci degli Space Shuttle, parole come queste sono ancora capaci di far venire la pelle d’oca.
                Il conto alla rovescia, il boato e l’esplosione di fiamme dei motori.
                E poi la colonna di fumo, il razzo che diventa sempre più piccolo nel cielo, fino a scomparire del tutto. L’emozione pura di un futuro in cui tutto sembrava possibile.

                Ma sono passati più di 10 anni dall’ultimo volo dello Shuttle, e quelli che per gli adulti sono ricordi ancora vivi e recenti, per gli studenti e le studentesse delle scuole sono storia lontana.

                E mentre centinaia di satelliti volano sopra le nostre teste, e perfino la presenza umana in orbita sembra un fatto quasi scontato, si è perso in parte il gusto della frontiera che ha sempre caratterizzato l’avventura nello spazio. Anche la tecnologia, sempre più digitale e virtuale, ha perduto quella sensazione concreta, di “cose” da smontare e rimontare. Per questo, all’interno della didattica non formale, grande valore acquista il laboratorio.

                Perché il modo migliore per insegnare qualcosa è senza dubbio la sperimentazione. E poche cose sono più entusiasmanti di costruire e lanciare il proprio razzo verso il cielo.

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                Il punto sulla fosfina su Venere – n. 255 Coelum Astronomia

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                  Nineteen ALMA antennas on the Chajnantor plateau
                  Cercare segni di vita nello spazio significa trovare le cosiddette impronte digitali che qualche organismo vivente può aver lasciato nell’ambiente circostante.

                  Bisogna cioè cercare una moltitudine di composti molecolari che contengano un mix di elementi chimici fondamentali per la vita, i cosiddetti CHNOPS [ovvero carbonio (C), idrogeno (H), azoto (N), ossigeno (O), fosforo (P) e zolfo (S)], una sorta di cocktail chimico essenziale perché la vita si formi.

                  Guidati da questa idea, un gruppo di ricercatori coordinati dall’astronoma Jane Greaves dell’Università di Cardiff hanno puntando due grandi telescopi verso Venere, il James Clerk Maxwell Telescope realizzato da una cooperazione Inglese, Canadese e Olandese e ALMA (Atacama Large Millimeter/submillimeter Array) il più grande complesso di radiotelescopi mai realizzato costituito dai 66 antenne europee poste sulle Ande cilene.

                  Le osservazioni condotte dal gruppo inglese hanno rivelato negli strati alti dell’atmosfera di Venere a circa 60 km di altezza una molecola insolita, la fosfina, un composto molto reattivo costituito da un atomo di fosforo e tre di idrogeno (PH3).

                  Il risultato pubblicato sulla rivista Nature Astronomy ha subito avuto una grande  risonanza mediatica perché sulla Terra tutta la fosfina presente in atmosfera è prodotta esclusivamente da processi antropogenici o da microorganismi, mentre non conosciamo processi abiotici di tipo geologico o geochimico che possano formare la fosfina.

                  Un’evidenza, anche se indiretta, della possibile presenza di vita nell’atmosfera venusiana.

                  La fosfina quindi potrebbe essere prodotta da batteri che vivono nell’atmosfera ad altezze tali da avere condizioni di temperatura simili a quelle terrestri, molto diverse dalle temperature proibitive (460 °C) che si trovano sulla superfice del pianeta.

                  L’idea non è nuova.

                  Carl Sagan grande scienziato e divulgatore, già 60 anni fa aveva ipotizzato la presenza di batteri nell’atmosfera di Venere. La scoperta della presenza di fosfina potrebbe essere la conferma dell’idea visionaria di Sagan.

                  Ma trovare la fosfina non è sufficiente perché sia presente vita su un pianeta.
                  È ancora troppo poco.

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                  M2 l’era degli ammassi globulari – n. 255 Coelum Astronomia

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                    Dopo la Nebulosa del Granchio, rappresentante tipica dei residui di supernova, il secondo oggetto del Catalogo compilato dall’astronomo francese (“Messier 2”) inaugura una nuova tipologia di corpi celesti, quella degli ammassi globulari: un insieme sferico di centinaia di migliaia o anche milioni di stelle, tutte concentrate in un volume di decine di anni luce di diametro.

                    Gli ammassi globulari sono fra i più antichi, compatti e densi sistemi stellari oggi conosciuti.

                    La loro lunghissima storia inizia all’alba dell’universo e ci racconta come il processo di formazione di questi gruppi di stelle si sia già completato un miliardo di anni dopo il Big Bang. Purtroppo non esiste ancora una spiegazione convincente di come tutto questo sia avvenuto. Le teorie sono tante e la più intuitiva è quella che li considera i mattoni costitutivi delle galassie.

                    Se così fosse, i 161 globulari che orbitano ancora intorno alla Via Lattea a distanze di decine di migliaia di anni luce, dovrebbero essere interpretati come i superstiti di uno sciame che doveva un tempo comprenderne milioni.

                    Gli ammassi globulari ruotano attorno al nucleo di una galassia su orbite di elevata eccentricità e alta inclinazione rispetto al piano galattico, con tempi di rivoluzioni dell’ordine del centinaio di milioni di anni.

                    In questo articolo verrà raccontata la storia della scoperta e classificazione di M2; la posizione nel cielo e le tecniche osservative di questo oggetto stellare così affascinante.

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                    HYDRA part. 1 Una costellazione timida ma ricca di sorprese – n. 255 Coelum Astronomia

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                      HYDRA Part. 1 Occidente

                      Con l’arrivo della primavera la sensazione, propria di molti stargazers ma anche di appassionati neofiti dell’osservazione della volta celeste, è quella di trovarsi quasi smarriti con la scomparsa di tutte quelle figure che, a partire dal sorgere di Auriga e delle Pleiadi, hanno fatto compagnia nelle fredde serate invernali con le loro fulgenti stelle e i loro spazi opulenti di oggetti del profondo cielo tra i più belli offerti dalla volta celeste.

                      A sud di queste, il cielo diventa nuovamente popolato da deboli stelle; non fosse per una luminosa, di seconda grandezza, che attrae l’attenzione proprio per la solitudine di una stella luminosa all’interno di un’area celeste del tutto priva di altri fulgidi astri.

                      Vi sono molte vaste costellazioni nel cielo di cui solo due lunghissime: ma mentre Eridanus appare nel cielo autunnale, ecco che la costellazione la cui testa e cuore si rendono ora evidenti è solo una.

                      La più grande di tutte le 88 costellazioni della volta celeste: Hydra.

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                      Una rosa brillante di stelle – n. 255 Coelum Astronomia

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                        Credits: ESA/Hubble
                        La Nebulosa Rosetta è una nube interstellare di gas ionizzati e polveri, una regione dello spazio ricca del materiale necessario per la nascita di nuove stelle.

                        In aree come questa, addensamenti nebulari collassano formando generazioni di stelle, che inizialmente sono annidate nelle loro polverose culle native e non possono essere osservate in luce visibile.

                        In questa sorprendente immagine i dati a raggi X dell’osservatorio Chandra della NASA sono mostrati in rosso e rivelano la presenza di centinaia di giovani stelle addensate al centro dell’immagine e altri ammassi meno luminosi in entrambe le zone laterali.

                        I dati in banda ottica della Digitized Sky Survey e del Kitt Peak National Observatory (in viola, arancio, verde e blu) evidenziano invece vaste aree di gas e polveri, inclusi immensi pilastri, rimasti intatti dopo che la bruciante radiazione delle stelle massicce ha eroso il materiale più diffuso e meno denso.

                        Nel cuore della Nebulosa Rosetta trovano dimora molte stelle giganti, radunate in un ammasso aperto centrale, catalogato come NGC 2244, nato pochi milioni di anni fa a partire dal materiale nebulare.

                        I venti e le radiazioni emesse da queste grandi stelle scolpiscono e illuminano le vaste nebulosità residue che le circondano.

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                        Una galassia elegante dal cuore oscuro – n. 255 Coelum Astronomia

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                          credit: ESA/Hubble
                          La galassia a spirale barrata NCG 5728 appare tranquilla ed elegante in questa immagine ripresa dalla Wide Field Camera 3 (WFC3) del telescopio Hubble.
                          La scena inquadra la regione centrale della galassia, la barra di stelle e polveri che attraversa il nucleo e la struttura esterna ad anello, percorsa da ammassi di giovani stelle blu.

                          I bracci a spirale principali, al di fuori della ripresa, sono debolmente luminosi. La visione di Hubble cattura la luce visibile e infrarossa, ma oggetti come NGC 5728 possono emettere molti altri tipi di radiazione, che la camera WFC3 non è in grado di osservare e che possono svelare sorprendenti misteri.

                          Nonostante l’aspetto tranquillo, infatti, annidato nel cuore di NGC 5728 si nasconde un segreto oscuro: un mostruoso buco nero con massa 34 milioni di volte quella solare divora voracemente gas, polveri e perfino stelle che si avventurano nelle sue vicinanze.

                          Questo materiale che si raccoglie in un disco di accrescimento mentre precipita verso le fauci del buco nero, si surriscalda ed è in grado di irradiare immense quantità di energia.

                          Eppure, osservando la galassia in banda ottica e infrarossa, non c’è alcuna traccia del suo cuore brillante ed energetico. 

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                          La nuova esplorazione di Venere – n. 255 Coelum Astronomia

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                            Venere è spesso indicato come il pianeta gemello della Terra anche se in realtà le similarità riguardano anche Marte o Mercurio, insomma tutti i pianeti rocciosi del nostro Sistema Solare.

                            Infatti, pur avendo le stesse dimensioni della Terra, le differenze con il nostro pianeta non sono affatto trascurabili.

                            Venere ha un’atmosfera molto più spessa (ben 90 volte quella terrestre!) e nessun campo magnetico.

                            Venere detiene un primato assoluto nell’esplorazione spaziale, essendo stato il primo pianeta avvicinato da una missione spaziale, la Mariner 2, nell’oramai lontano 1962, ma abbiamo dovuto attendere fino al 1990 per una sonda in orbita costante, la Magellan. Il potente radar montato a bordo di quest’ultima ci ha fornito le prime attendibili misure della superficie, dati indispensabili per la corretta interpretazione del pianeta la composizione e l’evoluzione geologica.

                            In risposta alla pressante richiesta di nuove informazioni l’Agenzia Spaziale Europea (ESA) nel 2005 ha finalmente lanciato la missione Venus Express in grado, per la prima volta, di fornire una visione globale, e a volte di dettaglio, dell’atmosfera di Venere. Una missione rocambolesca, nata si potrebbe dire quasi per caso per coprire un bus “in avanzo” e assemblata con copie di strumenti a bordo di Mars Express e Rosetta.

                            Dal 2005 arriviamo fino al 2021, per fissare un altro anno memorabile per l’esplorazione di Venere con l’approvazione di ben 3 missioni, due della NASA e una dell’ESA.

                            A giugno dello scorso anno infatti la NASA ha selezionato DAVINCI+ e VERITAS, entrambe nell’ambito del programma Discovery. Il programma della NASA introdotto nel 1992 per selezionare missioni piccole, seguendo la regola faster better and cheaper.

                            Solo, se così si può dire, 500 milioni di dollari è il budget per ciascuna missione.

                            L’articolo completo disponibile sul n. 255 Aprile-Maggio

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                            ESOPIANETI a quota 5000 in trent’anni di osservazioni

                            …E siamo a quota 5000!

                            Un traguardo cosmico dopo trent’anni di telescopi spaziali

                            È il 1995 e dall’Osservatorio di Ginevra viene annunciata l’ufficializzazione della scoperta del primo pianeta extrasolare di massa paragonabile a quella di Giove: si tratta di 51 Pegasi b collocato nella costellazione del Pegaso.

                            Oggi siamo giunti a oltre 5000!

                            Il “contachilometri planetario”, così definito dai tecnici NASA, si è arricchito ulteriolmente il 21 marzo con l’ultimo lotto di 65 esopianeti aggiunto all’archivio dell’agenzia spaziale americana. L’archivio registra le scoperte di esopianeti che appaiono in articoli scientifici sottoposti a revisione paritaria e che sono state confermate utilizzando più metodi di rilevamento o tecniche analitiche.

                            Chi più ne ha più ne metta

                            Gli oltre 5.000 pianeti trovati finora includono piccoli mondi rocciosi come la Terra, giganti gassosi (molte volte più grandi di Giove!) e “hot Jupiters” (cosiddetti “Giovi caldi”) in orbite ravvicinate attorno alle loro stelle.

                            Ci sono “super-Terre” (mondi rocciosi più grandi del nostro dove sarebbe possibile trovare forme di vita), così come “mini-Nettuno“! Aggiungete a questo mix anche pianeti in orbita attorno a due stelle contemporaneamente e pianeti ostinatamente in orbita attorno ai resti collassati di stelle morte.

                            Non perdere il video sul canale ufficiale NASA!

                            Scoperte non banali

                            «Non è solo un numero! Ognuno di loro è un nuovo mondo, un pianeta nuovo di zecca. Mi emoziono per tutti perché non sappiamo nulla di loro» afferma Jessie Christiansen, responsabile scientifico dell’archivio e ricercatrice presso l’Exoplanet Science Institute della NASA al Caltech di Pasadena.

                            La nostra galassia contiene potenzialmente centinaia di miliardi di tali pianeti. Il ritmo costante di scoperte degli ultimi trent’anni e l’arrivo di orbita di telescopi spaziali quali il Transiting Exoplanet Survey Satellite (TESS), lanciato nel 2018, e il più recente James Webb (JWST) promettono di incrementare questo numero in modo esponenziale.

                            Non perdere l’ultimo numero di Coelum con un ricco dossier sul JWST!

                            Gli oltre 5.000 esopianeti confermati finora nella nostra galassia includono una varietà di tipi: alcuni simili ai pianeti del nostro sistema solare, altri molto diversi. Tra questi c’è una misteriosa varietà conosciuta come “super-Terre” perché sono più grandi del nostro mondo e forse rocciose. Credit: NASA/JPL-Caltech

                            Fonti:

                            Cosmic Milestone: NASA Confirms 5,000 Exoplanets

                            SI SPEDISCE! In partenza il numero 255

                            sta partendo!

                            Siamo pronte con la spedizione del n. 255 Aprile-Maggio!

                            In giro di pochi giorni potrete ricevere direttamente a casa vostra il nuovo numero Coelum: nuove rubriche, 4 pagine in più e un ricco dossier sul JWST!

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                            E in più…

                            Lo scorso weekend (e quello precedente) siete venuti a trovarci davvero in tanti e per noi è stato davvero un piacere conoscere affezionati lettori e nuove persone incuriosite e appassionate di Astronomia ⭐🔭
                            Se volete conoscere la Redazione, farvi un emozionante viaggio in realtà virtuale e acquistare la rivista in loco l’appuntamento è al primo weekend di aprile:

                            San Benedetto del Tronto sabato 02 e domenica 03 aprile presso il Centro Commerciale Portogrande – ultima data (per ora!) di Coelum in tour! 🚴

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                            Così si può misurare la salinità dell’Artico da satellite

                            Salinità e cambiamenti climatici

                            I cambiamenti nella distribuzione dell’acqua dolce nell’Oceano Artico possono essere collegati ai cambiamenti nella circolazione termoalina – la componente di circolazione globale oceanica influenzata dalla densità delle masse d’acqua, a sua volta determinata da temperatura e salinità – che a sua volta può avere ripercussioni (o dipendere) dal clima globale.

                            Il più difficile da misurare fra i due parametri menzionati sopra, soprattutto su larga scala da satellite, è la salinità, a causa della complessa relazione che la lega alla temperatura di luminosità, il parametro misurato direttamente dallo spazio. Un passo avanti, a livello metodologico, è stato recentemente presentato in un articolo (https://essd.copernicus.org/articles/14/307/2022/#section5) pubblicato su Earth System Science Data, che presenta un nuovo metodo computazionale di utilizzo dei dati da satellite per ricavare misure di salinità.

                            Una mappa della salinità artica realizzata nello studio e relativa al periodo 11-19 Agosto 2012. Credit: Justino Martínez et al.

                            Partiamo dalla definizione: la salinità, in chimica, è il rapporto fra la massa di sali (misurata in grammi) contenuta in una determinata quantità di acqua e la quantità di acqua stessa, misurata in litri o chilogrammi. Il modo più preciso per misurare questo parametro localmente è farlo in situ, ma vi sono condizioni meteorologiche estreme in cui questo è difficile, o addirittura quasi impossibile. È il caso dell’Oceano Artico centrale, in cui il ghiaccio è in grado di distruggere le infrastrutture di misura come galleggianti, ormeggi o alianti.

                            Grafico che rappresenta un errore di salinità derivato dall’errore radiometrico con sezione di questa mappa dal Mare di Barents al Mare della Siberia orientale. Credit: BEC SMOS

                            Un metodo alternativo, e che consente di coprire anche regioni più ampie, è la misura da satellite, che però è spesso poco sicura e affidabile, specialmente nel caso di acque fredde. Nel nuovo studio, per misurare la salinità delle acque artiche dallo spazio sono stati utilizzati rivelatori di microonde che catturano l’energia elettromagnetica (o radiazione) emessa dalla superficie marina e che dipende dalla temperatura e dalla salinità. Il parametro considerato, la temperatura di luminosità, come dicevamo, diminuisce la sensibilità alla salinità con l’abbassarsi della temperatura dell’acqua, e la mancanza di misure in situ costituisce una limitazione importante in questo caso perché impedisce un confronto e una validazione delle misure da satellite.

                            Dettaglio del prodotto Arctic+ v3.1 insieme alla concentrazione minima di ghiaccio marino fornita da OSI SAF per il periodo 11–19 agosto 2012. Stessa regione ma per Arctic+v2.0. La barra dei colori di destra indica la concentrazione di ghiaccio marino mentre la barra dei colori di sinistra indica la salinità. Credit: BEC SMOS.

                            Gli scienziati dell’Istituto delle Scienze del Mare di Barcellona, in collaborazione con il centro italiano ESA ESRIN e Telespazio, hanno utilizzato i dati raccolti dal Soil Moisture and Ocean Salinity (SMOS) dell’ESA per implementare un modello informatico di analisi che consenta di prevedere le variazioni e l’andamento della circolazione marina nella regione artica. La missione SMOS, lanciata nel 2009, è la prima ad ospitare un radiometro in banda L che permette di misurare la salinità della superficie marina dell’oceano. La banda di frequenza (a 1,43 GHz, la banda L appunto) è ottimale per misurare la salinità, poiché questa regione elettromagnetica è protetta dalle emissioni elettromagnetiche umane, mentre la sensibilità alla salinità – sebbene diminuisca con la temperatura – è abbastanza alta.

                            Grazie ai dati raccolti dalla missione in nove anni (dal 2011 al 2019) e all’implementazione del nuovo modello presentato nell’articolo, sarà possibile ottenere un quadro più preciso – e spazialmente esteso – delle condizioni dell’artico e delle variazioni di salinità nel tempo e nello spazio. Le connessioni, a livello climatico, riguardano non solo le precipitazioni atmosferiche, l’evaporazione dell’acqua, la quantità di acqua dolce, ma anche la sopravvivenza delle specie animali.

                            Lampi radio veloci in transito

                            La storia delle lampi radio veloci (FRB) potrebbe essere più complicata di quanto si immaginava. È difficile capire le origini degli FRB poiché sono così brevi, così luminosi che sembrano provenire da numerose regioni del cielo.

                            La maggior parte di queste esplosioni cosmiche sembra verificarsi in giovani galassie.

                            Un nuovo studio, pubblicato di recente su Science, ha esaminato una piccola popolazione di FRB ripetuti, esaminando le proprietà della loro luce e in particolare la loro polarizzazione.

                            Fenomeni ad alta energia

                            Un lampo radio veloce (in inglese fast radio burst, FRB) è un fenomeno astrofisico ad alta energia che si manifesta come un impulso radio transitorio, con durata di pochi millesecondi. Si tratta di lampi molto luminosi nella banda radio, provenienti da regioni esterne alla Via Lattea.

                            «L’emissione di un FRB attraversa un’enorme distanza prima di colpire la Terra, passando attraverso regioni che possono dare una svolta particolare alla polarizzazione radio, ovvero la direzione dell’oscillazione del campo elettrico», affermano i ricercatori del Green Bank Observatory in West Virginia, autori del progetto, «Per questo motivo, lo studio della polarizzazione degli FRB ci parla degli ambienti in cui sono nati e di tutto lo spazio intermedio».

                            Immagine che mostra la posizione delle esplosioni radio veloci nel cielo notturno. (Credit: NRAO Outreach/T. Jarrett (IPAC/Caltech); B. Saxton, NRAO/AUI/NSF)

                            Il team di ricerca ha scoperto che, nei cinque FRB ripetuti che hanno esaminato, i dettagli chiave della polarizzazione dipendono dalla radiofrequenza che viene osservata. Queste proprietà possono anche cambiare molto rapidamente in breve tempo.

                            Cambiamenti repentini

                            Rapidi cambiamenti di FRB possono verificarsi se l’emissione ripetuta passa attraverso un ambiente complesso attorno alle sorgenti di scoppio. Ad esempio, la luce FRB potrebbe muoversi attraverso i resti di una supernova e il gas denso che circonda i resti di una stella si muoverebbe in rapida rotazione vicino a enormi buchi neri.

                            «Con queste misurazioni, iniziamo a vedere la tendenza evolutiva degli FRB, con sorgenti più attive in ambienti più complessi e cambiamenti di polarizzazione più grandi in esplosioni più giovani», afferma l’autore principale dello studio Yi Feng, scienziato dello Zhejiang National Lab di Hangzhou in Cina, «Tutto ciò è molto entusiasmante poiché potrebbe trattarsi di una popolazione di FRB distinta. Altri indagini ci permetteranno di svelare il mistero».

                            Fonti:

                            Science (March 2022): “Frequency-dependent polarization of repeating fast radio bursts-implications of their origin” by Yi Feng, Di Li, Yuan-Pei Yang, Yongkun Zhang, Weiwei Zhu, Bing Zhang, Wenbin Lu, Pei Wang, Shi Dai, Lei Zhang.

                            Minerva: la nuova missione di Samantha Cristoforetti

                            Il nome Minerva si ispira alla dea romana della saggezza, dell’artigianato e delle arti… un omaggio alla competenza e alla maestria degli uomini e delle donne straordinari di tutto il mondo che rendono possibile il volo spaziale!

                            Il tweet dell’astronauta italiana Samantha Cristoforetti che ha svelato il logo della sua nuova missione sulla ISS

                            “Minerva” è il nome scelto per la missione di Samantha Cristoforetti. Ispirato alla dea romana, incarna anche il rigore e la forza richiesti agli astronauti in preparazione a un lancio nello spazio.

                            Il logo

                            In questo logo molto particolare ritroviamo una civetta stilizzata, simbologia associata proprio alla dea Minerva. L’occhio del rapace è una luna gialla che proietta un bagliore bianco sul pianeta Terra. Il suo becco allude alla forma della Stazione Spaziale Internazionale con i suoi caratteristici pannelli solari. Le due linee simboleggiano anche le due missioni di Samantha nello spazio. Il corpo della civetta è composto da onde blu scure, che dovrebbero affrontare gli astronauti ad affrontare sfide sempre più ardue. Mentre gli occhi della civetta si rivolgono verso il futuro dell’esplorazione spaziale.

                            La nuova missione “Minerva” di Samantha Cristoforetti. Credit: ESA

                            Il lancio

                            Il lancio è in programma il 15 aprile.

                            Gli astronauti partiranno a bordo di un razzo Falcon 9 e nella Crew-4 di SpaceX. Per circa 6 mesi la Cristoforetti sarà impegnata a svolgere nuovi esperimenti scientifici sulla ISS, ricoprendo il ruolo di specialista della missione. Inoltre, una volta saliti a bordo della stazione, l’astronauta italiana sarà leader del segmento americano della ISS, ovvero responsabile di tutte le operazioni all’interno della parte occidentale della stazione.

                            Fonti:

                            Release ESA: https://www.esa.int/Science_Exploration/Human_and_Robotic_Exploration/Minerva

                            È nata una Baby Galaxy

                            La nascita di una galassia è cosa rara, specialmente nel nostro cortile cosmico. Questa volta abbiamo avuto per la fortuna di osservare questo fenomeno sul nascere.

                            L’evento è stato avvistato dal Dragonfly Array, ovvero uno strumento formato da 48 teleobiettivi Canon con sensori molto sensibili collegati che coprono ben sei gradi quadrati di cielo, trenta volta la dimensione della Luna piena. Questo ha il vantaggio di favorire la visione di un’area di cielo molto più ampia, per poi così poter scattare immagini molto profonde.

                            Tecniche innovative

                            Per osservare la particolare nascita della baby galaxy, il team dietro a Dragonfly ha provato a testare diverse tecniche di osservazione. Quella più riuscita ha permesso la creazione di una versione Pathfinder dell’array utilizzando solo tre obiettivi, ma sono dotati di un filtro speciale che consente di vedere solo una gamma molto ristretta di lunghezze d’onda (colori). Il gas idrogeno nello spazio può avere i suoi atomi eccitati, energizzati da diversi processi, tra cui stelle calde vicine, sbattere contro altre nuvole e così via. Questo gas emette quindi luce a una lunghezza d’onda molto specifica, chiamata H-alfa, che si trova nella parte rossa dello spettro a 656,5 nanometri.

                            Un filtro progettato per guardare solo quella lunghezza d’onda elimina molta luce estranea e vede solo idrogeno gassoso. Un telescopio estremamente sensibile ad ampio campo che vede solo la luce dell’idrogeno può essere utilizzato per cercare la formazione stellare e altri oggetti interessanti come appunto la nascita della baby galaxy.

                            Uno scatto di rara bellezza

                            A soli 12 milioni di anni luce dalla Terra si trova il gruppo M81, un piccolo gruppo di galassie che è uno dei più vicini alla Via Lattea. M81 è una galassia a spirale osservata spesso quasi di taglio, e presenta una forma irregolare, come se al suo interno si stesse verificando un esplosione. Questo oggetto celeste viene chiamato galassia starbust, la quale sta subendo al suo interno la nascita di una nuova stella. Nel suo centro si stanno sviluppando così tante stelle massicce che i loro venti stellari combinati stanno soffiando gas fuori dalla galassia stessa. Inoltre, alcune centinaia di milioni di anni fa, un passaggio ravvicinato con la vicina M81 ha estratto molto gas da M82, la gravità della galassia più grande ha creato lunghe stelle filanti da M82, chiamate code di marea.

                            La vicina galassia Starburst M82 sta espellendo enormi quantità di gas idrogeno (rosso) mentre le stelle nascono a milioni al suo centro. Foto: Crediti: NASA, ESA e The Hubble Heritage Team (STScI/AURA); Ringraziamenti: J. Gallagher (Università del Wisconsin), M. Mountain (STScI) e P. Puxley (National Science Foundation).

                            Tutto ciò rende questa area del cielo un bersaglio perfetto per la versione di prova dell’array filtrato Dragonfly. Nella primavera del 2020 sono state effettuate centinaia di osservazioni sulla galassia, per così creare un’immagine H-alfa con un’esposizione totale di 95 ore. E sul bordo del disco di M82 è stata vista una macchia luminosa di emissione di H-alfa, che è stata nominata DF-E1 (Dragonfly Emission source 1), il primo emettitore di H-alfa scoperto dal piccolo array. Questo si sovrappone a una delle code di marea di M82, e questo rende molto probabile che si stia condensando del gas dopo essere stato strappato via.

                            M82 è una galassia osservata da molto tempo. Chi la studia ha trovato diversi piccoli nodi in DF-E1 che risultano essere giovani ammassi stellari che si formano dal gas che si osserva. I radiotelescopi mostrano anche che lì c’è molto idrogeno atomico a temperature molte basse, indicando che il gas si sta raffreddando per poi formare delle nuove stelle.

                            Il futuro della baby galaxy

                            Gli spettri presi usando l’enorme telescopio Keck alle Hawaii sono stati usati per determinare la velocità di DF-E1, e scoprono che si sta muovendo rispetto a M82 a circa 75 chilometri al secondo, abbastanza veloce da essere molto probabilmente non legato alla galassia; cioè probabilmente non rallenterà e ricadrà. La massa totale nel gas è circa 50 milioni di volte la massa del Sole. Nel complesso, queste informazioni rendono probabile che DF-E1 sia una galassia a sé stante, anche se piccola.

                            Quale potrebbe essere allora il suo destino? DF-E1 potrebbe ricadere su M82, poiché la velocità non è perfettamente determinata; o in caso contrario potrebbe unirsi al gruppo di altre piccole galassie del gruppo M81.

                            Il bello della faccenda è che DF-E1 non è un oggetto, cosmologicamente parlando, lontano dalla Terra, quindi di facile osservazione. E’ una neonata galassia nuova di zecca, nata dalle viscere strappate da M82, e la si può guardare quasi in tempo reale.

                            Fonti:

                             

                            Ultima ora: ExoMars Sospeso

                            E’ di qualche minuto la notizia ufficiale che il programma ExoMars è stato temporaneamente sospeso.

                            La notizia, nell’aria già da un pò è stata diffusa in maniera ufficiale dall’ufficio stampa ESA oggi 17 marzo alle ore 14:00.

                            Nel comunicato si legge come il Consiglio Direttivo dell’ESA, dopo aver valutato la situazione derivante della guerra in Ucraina ha riconosciuto all’unanimità l’attuale impossibilità di continuare la cooperazione in corso con l’agenzia Roscosmos sulla missione rover Exo Mars con il lancio previsto entro il 2022 ed ha incaricato il Direttore Generale dell’ESA a condurre uno studio accelarato per definire e valutare opzioni alternative disponibili al fine di continuare il programma.

                            L’ESA, cita il comunicato, in quanto organizzazione intergovernativa incaricata di sviluppare e attuare programmi spaziali nel pieno rispetto dei valori europei, deplora profondamente le vittime umane e le tragiche conseguenze dell’aggressione all’Ucraina. Pur riconoscendo l’impatto sull’esplorazione scientifica dello spazio, l’ESA è pienamente allineata alle sanzioni imposte alla Russia dai suoi Stati membri.

                            Inoltre, a seguito della decisione di Roscosmos di ritirare il proprio personale dallo spazioporto europeo nella Guyana francese, tutte le missioni programmate con lancio Soyuz sono state sospese. Si tratta essenzialmente di quattro missioni istituzionali per le quali l’ESA è l’ente di appalto dei servizi di lancio (Galileo M10, Galileo M11, Euclid e EarthCare) e un lancio istituzionale aggiuntivo.

                            Note sulla Stazione Spaziale Internazionale

                            Il programma della Stazione Spaziale Internazionale continua a funzionare nominalmente. L’obiettivo principale è continuare le operazioni sicure della ISS, compreso il mantenimento della sicurezza dell’equipaggio.

                            Qui la notizia ufficiale https://www.esa.int/Newsroom/Press_Releases/ExoMars_suspended

                             

                            Inizia la Primavera, si aprono le porte dell’INAF

                            Coelum Astronomia vi ricorda gli appuntamenti per la primavera promossi dall’INAF

                            Dal 20 al 28 marzo 2022 si svolgerà “Light in Astronomy”, manifestazione nazionale in cui le sedi dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) sparse sul territorio nazionale
                            aprono le porte al pubblico proponendo laboratori, conferenze, osservazioni del cielo e molto altro, sia in presenza che in streaming. Per l’occasione, lunedì 21 marzo la diretta speciale della serie “Il cielo in salotto” alla scoperta del patrimonio storico e culturale custodito nei musei astronomici delle sedi INAF di Milano, Napoli, Padova e Roma.

                            Per celebrare questa occasione, lunedì 21 marzo, all’indomani dell’equinozio, andrà in onda la diretta “Equinozio al museo” a partire dalle 18:30 sui canali YouTube e Facebook di EduINAF, la rivista online di didattica e divulgazione dell’Ente. La trasmissione, parte della serie “Il cielo in salotto”, offrirà una esclusiva visita virtuale ai musei astronomici delle sedi INAF di Milano, Napoli, Padova e Roma, accompagnando spettatrici e spettatori in un viaggio attraverso lo spazio e il tempo alla scoperta dell’astronomia italiana, della sua storia e di alcuni dei suoi protagonisti.

                            “Light in Astronomy” è una manifestazione nazionale dell’INAF nata nel 2015 per celebrare l’Anno Internazionale della Luce. L’iniziativa è stata riproposta ogni anno, a novembre, fino al 2019, per poi subire una pausa nel 2020-2021 a causa dell’emergenza Covid-19.

                            Per ulteriori informazioni:

                            Il programma degli eventi dal 20 al 28 marzo è disponibile alla pagina Eventi di EduINAF: https://edu.inaf.it/events/light-in-astronomy-2022-torna-la-settimana-della-luce-dellinaf/

                            Il programma e il link per seguire la diretta “Equinozio al museo” lunedì 21 marzo sono disponibili alla pagina Dirette di EduINAF: https://edu.inaf.it/diretta/

                            Contatti:

                            Ufficio stampa INAF – Marco Galliani, 335 1778428, ufficiostampa@inaf.it

                            ARRIVATO! – n. 255 Coelum Astronomia

                            Il numero 255 è arrivato!

                            Con tanta emozione ci troviamo a sfogliare questo secondo numero della nuova serie di Coelum

                            Ci avete scritto davvero in tanti e abbiamo raccolto quanti più suggerimenti possibili per arricchire ancor di più questo nuovo numero che, come si nota in copertina, comprenderà un ampio dossier sul “JWST una sfida vinta“.

                            Troverete anche due interviste a chi il Webb lo ha “toccato con mano“: parliamo di Massimo Stiavelli, astronomo dello Space Telescope Science Institute (STSCI) a Baltimora dove è mission head di JWST; e Antonella Nota, astronoma del STSCI a Baltimora e project scientist di Hubble e JWST per l’ESA.

                            Ma non solo

                            Gli altri articoli presenti in questo numero:

                            • Gli Estremofili e la vita nello spazio a cura di Marco Sergio Erculiani
                            • Selenocromatica – Imaging mineralografico lunare a cura di Aldo Ferruggia

                            E in più, due nuove rubriche:

                            • Domande e Risposte: la redazione e gli autori rispondono
                            • Dalle Costellazioni al Deep Sky: torna la rubrica a cura di Stefano Schirinziuna maratona di osservazione che può durare tutta una notte.

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                            JWST Updates: l’Allineamento degli Specchi

                            Oggi 16 marzo la NASA si terrà un briefing virtuale con i media per fornire gli ultimi aggiornamenti sull’allineamento dello specchio del telescopio spaziale. Puoi seguire l’incontro qui

                            I partecipanti condivideranno i progressi compiuti nell’allineamento degli specchi di Webb, ottenendo un’immagine completamente focalizzata di una singola stella.

                            Maggiori approfondimenti sul JWST sul nuovo numero 255 di Coelum: il ricco dossierJWST una sfida vinta” – non perdere la prevendita qui!

                            Una missione dai nuovi orizzonti

                            Il James Webb è un telescopio spaziale a raggi infrarossi, lanciato il 25 dicembre 2021, dallo spazioporto di Arianespace a Kourou, nella Guinea Francese, trasportato in orbita solare da un razzo Ariane 5.

                            Rappresentazione grafica del telescopio. Credit: NASA

                            Nelle ultime settimane, il team di ricercatori responsabili del progetto ha catturato con successo la luce delle stelle attraverso ciascuno dei 18 segmenti speculari di Webb. Questi 18 singoli punti di luce sono stati quindi perfezionati e impilati uno sopra l’altro, per formare un’immagine di allineamento iniziale di una singola stella. Da allora, in fasi di allineamento chiamate “fasatura grossolana” e “fasatura fine”, gli ingegneri hanno apportato piccoli aggiustamenti alle posizioni dei 18 segmenti dello specchio primario in modo che agissero come uno solo, producendo un’immagine singola e focalizzata.

                            Webb, che ricordiamo comprendere una partnership internazionale anche con l’ESA (Agenzia spaziale europea) e l’Agenzia spaziale canadese, si è dispiegato nella sua forma finale nello spazio ed ha raggiunto con successo la sua destinazione a 1 milioni di miglia dalla Terra. Ora è in fase di preparazione per le operazioni scientifiche. Il team Webb rilascerà le prime immagini e dati scientifici del telescopio quest’estate dopo aver completato l’allineamento del telescopio e aver preparato gli strumenti.

                            Lo scopo è quello di esplorare ogni fase della storia cosmica, dall’interno del nostro Sistema Solare alle galassie più lontane nell’Universo primordiale e tutto il resto. Così Webb rivelerà nuove e inaspettate scoperte e aiuterà l’umanità a comprendere le origini dell’Universo.

                            Il pubblico potrà seguire i progressi del telescopio tramite un “Dov’è Webb?”, un tracker interattivo proposto dalla NASA.

                            Fonti:

                            Release: https://www.nasa.gov/press-release/nasa-to-discuss-progress-as-webb-telescope-s-mirrors-align

                            È aperta la prevendita del n. 255 di Coelum Astronomia con l’approfondimento sul JWST

                            Hai già prenotato la tua copia?  → Disponibile qui

                            Coelum_Astronomia_242_03_2020

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                            Coelum Astronomia 248 10 2020

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                            Coelum Astronomia 249 11 2020

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                            Coelum Astronomia 250 12 2020

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                            L’addio a Paolo Campaner – il toccante saluto di Roberto Ragazzoni

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                            L’11 marzo ci ha lasciato Paolo Campaner, l’amico carissimo, scopritore instancabile di Supernovae in epoca recente, recentissima.
                            In una epoca dominata da telescopi giganti e robotizzati lui, con il suo osservatorio da Ponte di Piave (altitudine 12 metri sul livello del mare, più i 3 m della sua terrazza, che fanno 15…) con un telescopio Marcon da 40cm mieteva scoperte di questi ultimi e maestosi momenti della vita delle stelle.
                            Conosciuto davvero bene grazie agli AstroVen e alle iniziative di un altro caro amico che ci ha lasciato anzitempo, colpiva per la sua gentilezza, modestia e al contempo competenza di astrofilo, anzi di astronomo amatore – quasi che la dizione di altri tempi gli sia più consona -.
                            Collaborava con professionisti di Padova e Asiago tra gli altri e sono numerosi i riferimenti di articoli su riviste professionali e non, sugli Astronomical Telegrams, nonché nelle discussioni tecniche su questa o quella soluzione per tenere il fuoco dello strumento nonostante temperatura e umidità non collaborassero.
                            Dai modi gentili che sei tentato di definire “d’altri tempi“, allo stupore con cui continuava a cavalcare lo sviluppo delle nuove tecnologie, sua una lezione memorabile sull’uso del cellulare come strumento astronomico.

                            Da quando ho saputo che ci ha lasciato, ho immaginato facesse tutta quella luce che le Supernovae, anzi, le “sue” Supernovae, facevano in quell’attimo estremo.

                            Cercando tra le fotografie ne ho trovate diverse con questo o quel telescopio, anche impegnato in momenti sbarazzini, ma alla fine ho scelto questa.
                            Eravamo nell’agosto del 2018 a San Vigilio di Marebbe per qualche conferenza e uno StarParty, tutti insieme in un gruppo meraviglioso che ora sta piangendo la scomparsa di un’altra delle sue anime. In un’escursione vicino ad una baita c’era un angolo con della sabbia e dei giocattoli di escavatori. Lui si è seduto ed ha cominciato ad esaminarli, magari pensando ai nipotini.
                            Ma ho colto con uno scatto il Paolo Campaner sempre fanciullo.
                            Curioso del mondo e che con l’età e l’esperienza aveva solo aumentato il raggio di azione del suo impulso di scoprire l’universo intorno a sé. Per lui, solo per lui, ho voluto scomodare niente di meno che la frase finale dell’introduzione del “Piccolo Principe”.
                            A Paolo Campaner, il Principe delle Supernovae, alla sua curiosità da fanciullo che ha resistito fino all’ultimo. Ciao Paolo…
                            Roberto Ragazzoni
                            La Redazione si unisce a quanti hanno ringraziato Campaner per i suoi contributi, alcuni pubblicati anche qui su Coelum (tra altri autori nella rubrica Vintage). Pur non conoscendolo personalmente, ci rammarica questa perdita enorme per il mondo dell’astrofilia.

                            Coelum_Astronomia_253_03_2021

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                            C’è vita nel Sistema solare? – Fabio Nottebella

                            Da sempre l’uomo volgendo lo sguardo verso il firmamento si è chiesto: C’è vita nell’Universo? Se sì, dove? Che forme assume?

                            Sono queste le domande a cui Fabio Nottebella con il suo romantico e affascinante racconto “C’è vita nel Sistema solare?” prova a rispondere. Con la curiosità che contraddistingue la specie umana, la narrazione ci conduce virtualmente su Encelado, piccola luna del sistema planetario di Saturno. Questo lontano mondo offre sorprese inaspettate, come i suoi misteriosi oceani, dove alcune ricerche scientifiche ipotizzano ci siano le condizioni per la presenza di vita aliena.

                            Basadonsi su assunzioni teoriche precise ed accreditate, Nottebella tenta di descrivere come potrebbe presentarsi ai nostri occhi la vita extraterrestre su Encelado. Le disquisizioni tecnico scientifiche si mescolano piacevolmente ad un stile poetico e avventuroso, dando l’impressione al lettore di approdare come un astronauta in esplorazione sulla piccola luna di Saturno.

                            La narrazione viene poi interrotta da dettagliate illustrazioni di microorganismi e del sistema planetario di Saturno, implementando il testo di un comparto visivo che può aiutare il lettore ad immaginarsi questo mondo lontano e misterioso.

                            “C’è vita nel Sistema Solare?” si presenta quindi come un delizioso racconto che introduce, con termini semplici e chiari al mondo dell’astronomia e dell’astrobiologia, anche chi non è avvezzo alla realtà dello spazio profondo.

                            Breve Biografia dell’Autore:
                            Autore: Fabio Nottebella

                            Fabio Nottebella, è un divulgatore scientifico in ambito astronomico. Appassionato studioso di lune ghiacciate, collabora con l’Osservatorio Astronomico della Regione Autonoma della Valle d’Aosta, per il quale cura alcune rubriche sul tema del Sistema solare diffuse sui principali canali social dell’Osservatorio.

                            Per acquistare il libro su Amazon clicca qui.

                            Io ne ho visto cose che voi non potreste immaginarvi … – Claudio Pra

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                            Capita a volte che nella nostra vita s’incontrino persone che pur rimanendoci fisicamente distanti riescono comunque ad avere un ruolo importante in quello che andiamo costruendo. 

                            Claudio Pra, per quanto mi riguarda, è sicuramente una di queste. Per tutto l’arco della nostra reciproca conoscenza, che dura al momento da quasi 25 anni, non abbiamo mai avuto modo di guardarci negli occhi o di stringerci la mano; io sempre impegnato nella direzione della rivista di astronomia, lui sempre perso in qualche mirabolante safari astronomico sulle Dolomiti del Bellunese.

                            La collaborazione e poi l’amicizia iniziarono credo nel 1998, quando Claudio cominciò a scrivere alla nostra redazione: da giovane appassionato desideroso di comunicare il suo entusiasmo per le cose che riusciva a realizzare con i telescopi e le macchine fotografiche, e per quelle che facevamo noi con i nostri articoli e le nostre iniziative.

                            La sua disponibilità mi colpì talmente che cominciai a incoraggiarlo e a coinvolgerlo sempre di più certe piccole sfide osservative, fino a che non divenne una presenza importante nella redazione allargata dalla rivista, quella dei collaboratori esterni più fidati.

                            Comete, eclissi, congiunzioni tra pianeti

                            Non c’era avvenimento astronomico per cui subito dopo non inviasse alla rivista un articolo, o anche solo un report osservativo, accompagnato da fotografie sempre straordinarie. In questo favorito dal fatto di abitare in una zona delle montagne bellunesi, quella di Alleghe, ancora incontaminata dal punto di vista della qualità del cielo.

                            E dev’essere stato questo, quando Claudio realizzò di trovarsi al centro di un territorio perfetto, ricolmo di bellezza e sovrastato dal mistero cosmico che gli si apriva ogni sera, a trasformare la sua passione per l’astronomia in qualcos’altro… in una specie di missione terrena.

                            O almeno, questo è quello che io m’immaginavo di lui vedendomi arrivare nella casella di posta i suoi reportage fotografici. Sembrava come se la sua curiosità per l’astronomia classica (e per il piccolo campo telescopico degli alti ingrandimenti), avesse partorito uno spin-off tutto orientato a congelare nella fotografia i momenti in cui cielo e terra si uniscono in un qualche modo particolare. Ed allora ecco anche il Claudio Pra escursionista, capace di camminare ore tra le cenge e i ghiaioni delle sue montagne per riuscire a scovare l’inquadratura assoluta, la roccia, la fenditura, il profilo di una cosa che avrebbe valorizzato e resa unica la foto della cometa, dei satelliti di Giove o di chissà che altro.

                            Ma c’era anche dell’altro

                            All’astronomia paesaggistica continuava a sovrapporsi in Claudio il fascino per i nomi, le storie e i personaggi dell’astronomia “di posizione”, specialmente quella degli asteroidi. Un campo particolare, in cui subito trovò un’intesa con il nostro esperto in materia Talib Kadori, fino a collaborare con lui in molte campagne osservative che dalle pagine della nostra rivista risollevarono non poco tra gli osservatori la popolarità di queste piccole (e grandi) montagne volanti.

                            Adesso Claudio, essendo un ottimo scrittore, si è finalmente deciso a mettere insieme gran parte delle cose che ha prodotto in questi 23 anni. Ne ha fatto un libro, questo libro. Che spero arrechi a tutti voi lo stesso piacere che ho provato io nel leggerlo.

                             

                            Per ulteriori informazioni e per richiedere una copia del libro, contattare l’autore Claudio Pra all’indirizzo e-mail  thevoyager1998@gmail.com 

                             

                             

                            M’illumino di Meno – 11 marzo 2022

                            Per questo anno la celebre campagna “M’illumino di Meno, voluta da Caterpillar, cade oggi 11 marzo 2022.

                            Anche Coelum Astronomia vuole ricordare questa diciottesima edizione, promuovendo la consapevolezza scientifica sull’urgenza ambientale che si esplica su più livelli.

                            Nel campo astronomico ricordiamo il problema dell’inquinamento luminoso, fenomeno ormai risaputo da anni che impedisce una corretta osservazione del cielo.

                            80% del cielo “inquinato”

                            Stando alle ultime analisi, l’83% della popolazione mondiale (tra in particolar modo Europa e Stati Uniti) vive sotto un cielo più luminoso del 10% rispetto a quanto dovrebbe essere naturalmente.

                            Il continente europeo è quello più colpito dall’inquinamento luminoso.

                            Tra le nazioni più colpite c’è anche l’Italia, dove non c’è praticamente alcuna regione senza un cielo completamente incontaminato. Infatti, i 3/4 degli italiani non può osservare la Via Lattea.

                            Ridurre l’intensità dell’illuminazione. 

                            È chiaro che bisogna invertire la tendenza.

                            Gli scienziati riconoscono l’importanza di iniziare a progettare con maggiore consapevolezza i sistemi di illuminazione. C’è la necessità di ridurre gli sprechi (magari tramite un programma di risparmio ben regolamentato), per garantire una riduzione dell’intensità luminosa ed avere un firmamento più terso anche nei centri urbani e suburbani.

                            Il danno che infatti ne consegue è una completa “sparizione del cielo stellato”, da sempre fonte di ispirazione per la cultura e la scienza. L’inquinamento luminoso produce un bagliore velato ad ampio campo superficiale, che occlude la visione delle stelle e degli oggetti celesti, di norma visibili ad occhio nudo.

                            Una normativa ben pianificata ancora non esiste, perciò con iniziative come “M’illumino di Meno”, sta a noi cambiare le cose.

                            Faccio tutti uno sforzo e incentiviamo l’iniziativa del risparmio energetico; così che potremmo tornare ad ammirare una volta celeste variopinta di stelle.

                            Per saperne di più:

                             

                            La Matematica, chiave per svelare i segreti dell’Universo

                            Unire una descrizione macroscopica a quella microscopica delle leggi della Natura

                            La grande sfida della fisica teorica moderna: trovare una teoria unificata in grado di descrivere tutte le leggi della Natura all’interno di un unico quadro.

                            Da una parte la teoria della relatività generale di Einstein e la descrizione dell’Universo su larga scala, dall’altra la meccanica quantistica e il mondo delineato a livello atomico.

                            È possibile unificare la teoria della gravità di Einstein con la meccanica quantistica? Questa “unione” potrebbe fornirci una visione profonda su fenomeni come i buchi neri e maggiori dettagli sulla nascita dell’Universo.

                            Se ne parla in un nuovo articolo pubblicato in Nature Communications della Chalmers University of Technology, in Svezia, in collaborazione con l’istituto americano MIT – Massachusetts Institute of Technology.

                            Un linguaggio universale: la Matematica

                            «Ci sforziamo di comprendere le leggi della Natura e il linguaggio in cui sono scritte è la matematica» Daniel Persson, professore del Dipartimento Mathematical Sciences dell’università svedese.

                            «Quando cerchiamo risposte a domande in fisica, siamo spesso portati a nuove scoperte anche in matematica. Questa interazione è fondamentale nella ricerca relativa alla gravità quantistica, dove è estremamente difficile eseguire esperimenti».

                            Un esempio di fenomeni che richiedono questo tipo di unione tra fisica e matematica? I buchi neri

                            La descrizione quantomeccanica dei buchi neri è ancora agli inizi, ma sicuramente coinvolge la matematica più avanzata e spettacolare.

                            Un modello semplificato per la gravità quantistica

                            Holographic principle – “principio olografico”, ovvero un modello semplificato per descrivere la gravità quantistica, su cui si basa l’articolo citato.

                            «Proprio come accade nei fenomeni quotidiani, come ad esempio il flusso di un liquido che si sviluppa (ovvero “emerge”, in termini tecnici) da movimenti caotici di singole goccioline, vogliamo descrivere come la gravità emerge (si sviluppa) dal sistema della meccanica quantistica a livello microscopico» racconta il professor Robert Belman, collega di Persson «Tutto ciò sviluppando teorie matematiche più precise di quelle conosciute finora».

                            Quindi un mondo complesso, ma che ci aiuterà a risolvere tante “questioni”: ad esempio offrendo nuove informazioni sulla misteriosa materia oscura.

                            La geometria dell’Universo e della materia oscura

                            Illustrazione materia oscura. “Dark matter map of KiDS survey region (region G9)” Credit:
                            Kilo-Degree Survey Collaboration/H. Hildebrandt & B. Giblin/ESO

                            Nella sua teoria della relatività generale, Einstein descrive la gravità come fenomeno geometrico: la forma dell’Universo può infatti piegarsi sotto il peso di oggetti celesti pesanti (semplificando all’osso! ndr).

                            Ma, secondo la teoria di Einstein, anche lo “spazio vuoto” ha una ricca struttura geometrica. Se fosse possibile ingrandire e guardare questo vuoto a livello microscopico, si vedrebbero fluttuazioni o increspature legate alla meccanica quantistica, note come materia oscura (o energia oscura). È questa misteriosa forma di materia che, da una prospettiva più ampia, è responsabile dell’espansione accelerata dell’Universo.

                            Si cerca quindi di portare alla luce nuove intuizioni su come e perché si verificano queste microscopiche increspature, nonché approfondire la relazione tra la teoria della gravità di Einstein e la meccanica quantistica, cercando qualcosa che sia sfuggito agli scienziati per decenni.

                            Fonti

                            L’articolo: Emergent Sasaki-Einstein geometry and AdS/CFT

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