Si chiama P/2013 P5 e si trova nella cinta di asteroidi tra Marte e Giove. Cosa c’è di strano? Sembrerebbe un banale asteroide che orbita attorno a dei pianeti, normale amministrazione. In realtà tutto sembra tranne che un asteroide. La sua forma bizzarra a ventaglio e le sue sei code fanno proprio pensare che sia una cometa, anche se gli astronomi stanno ancora cercando una spiegazione perché sembrerebbe quasi impossibile.
È già successo qualche tempo fa, ma al contrario:una cometa che si travestiva da asteroide. con Spitzer, gli astronomi avevano scoperto che l’oggetto chiamato 3552 Don Quixote, vicino alla Terra di circa 19 km di diametro, presentava una chioma e una debole coda, nonché un albedo basso.
In questo caso, invece, i ricercatori hanno utilizzato il telescopio orbitante Hubble per studiare lo strano oggetto. Normalmente gli asteroidi appaiono come dei puntini bianchi, senza coda o strascichi di povere e gas. In questo caso, invece, le code sono ben sei e sono state osservate lo scorso settembre.
“È difficile pensare che si tratti di un asteroide”, ha detto David Jewitt dell’Università della California (UCLA). “Siamo rimasti a bocca aperta quando l’abbiamo scoperto. La struttura delle sue code è cambiata totalmente nel giro di 13 giorni mentre si liberava della polvere stellare”.
Una possibile interpretazione è che la velocità di rotazione dell’asteroide aumenti a tal punto che la sua superficie abbia iniziato a sgretolarsi, rilasciando, dalla scorsa primavera, polvere e detriti simili a quelli che seguono la chioma di una cometa. Il team ha escluso un recente impatto dell’asteroide con altri oggetti poiché una grande quantità di polvere sarebbe stata dispersa immediatamente nello spazio. Questo oggetto ha continuato a espellere polvere per almeno cinque mesi, ha detto Jewitt.
Per la prima volta P/2013 P5 è stato avvistato con il telescopio Pan-STARRS alle Hawaii, ma le code sono state scoperte da Hubble successivamente (il 10 settembre scorso). Tredici giorni dopo la prima osservazione la forma e la direzione delle code erano totalmente cambiate. Le code potrebbero essersi formate da una serie di eventi esplosivi. Il primo evento simile si è verificato il 15 aprile e l’ultimo il 4 settembre. Nel mezzo ci sono state esplosioni il 18 luglio e 24 luglio, l’8 agosto e il 26 agosto. L’effetto simile a quello della coda di una cometa è dato dalla luce del Sole che passa attraverso la polvere illuminandola.
Se la velocità di rotazione dell’asteroide aumentasse la sua debole forza di gravità non sarebbe più in grado di tenerlo insieme. Potrebbe verificarsi una valanga di polvere verso l’equatore dell’oggetto per finire nello spazio formando altre code. Finora, solo una piccola frazione della massa dell’asteroide – forse da 100 a 1000 tonnellate di polvere – è stata persa, ha detto il ricercatore. Il nucleo di 700 metri di raggio è migliaia di volte più massiccio.
Il team di studiosi crede che ci possano essere altri esemplari simili tra Marte e Giove: potrebbe essere questo il modo in cui gli asteroidi finiscono il loro ciclo di vita.
Lo studio è stato pubblicato su The Astrophysical Journal Letters.
10.11, ore 15:00: “Il racconto del cielo per grandi e piccini” (al planetario) e osservazione del Sole.
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La formazione e la crescita dei buchi neri al centro delle galassie è uno dei più grandi misteri attualmente studiati dagli astronomi di tutto il mondo. È noto ormai che i buchi neri sono oggetti massicci nell’universo con una forza gravitazionale talmente potente che neanche la luce riesce ad uscire per arrivare a noi (per questo sono neri). Gli esemplari più “piccoli” si formano al momento del collasso di una stella (per questo vengono spesso definiti “di massa stellare”). I buchi neri più massicci, invece, contengono fino a un miliardo di volta la massa del nostro Sole. Nel corso di miliardi di anni, i buchi neri di dimensioni più ridotte possono arrivare a dimensioni considerevoli, agglomerando stelle, materiale galattico e altri buchi neri limitrofi.
La domanda che ancora si pongono gli esperti è quando e in quanto tempo si siano formati i buchi neri nell’universo primordiale. Secondo gli esperti i buchi neri più massicci si sarebbero formati meno di un miliardo di anni dopo il Big Bang. Qualche prima risposta viene da un recente studio del California Institute of Technology (Caltech). Un gruppo di ricercatori guidati da Christian Reisswig della NASA ha scoperto che alcuni modelli di crescita dei buchi neri contemplano la presenza di quello che viene chiamato “seme”, che risulta proprio dalla morte delle prime stelle apparse nell’universo e aumenta di massa assorbendo materiale espulso durante l’ultima fase della stella, gas e polvere (processo noto come “accrescimento”).
«In questi modelli non era previsto abbastanza tempo affinché i buchi neri potessero raggiungere grandi dimensioni, poco dopo la nascita dell’universo”, ha detto il ricercatore primo firmatario dello studio pubblicato su Physical Review Letters lo scorso ottobre. “Una così repentina crescita sembra possibile solo se questo seme fosse già abbastanza grande”.
Il team di ricerca si è concentrato su un modello che prende in considerazione stelle supermassicce, le quali si pensa siano esistite solo per un breve periodo di tempo nelle prime fasi dell’universo. A differenza delle normali stelle, queste più grandi sono per lo più stabilizzate contro la forza di gravità grazie alla loro stessa radiazione di fotoni (il flusso di fotoni che viene generato a causa delle temperature molto elevate all’interno dell’oggetto). Le stelle supermassicce collassano dopo qualche milione di anni, a causa della perdita di questi fotoni e della riduzione delle dimensioni. Si pensa che dopo il collasso rimanga un oggetto dalla forma sferica. Proprio la rotazione dell’oggetto può causare la perdita di qualche frammento, che andrebbe a orbitare intorno al frammento della stella morta, aumentando man mano di temperatura. A temperature così alte si innescherebbero, secondo gli studiosi, delle reazioni tra elettroni e positroni creando delle coppie, che creerebbero due piccoli buchi neri. È proprio in questo caso che l’interazione fra i due porterebbe alla nascita di un buco nero di più grandi dimensioni.
La conclusione del team di ricerca è, quindi, che da un singolo collasso di una stella si formerebbero due piccoli buchi neri, invece che uno solo. Per provare la loro teoria gli esperti hanno usati simulazioni al computer e osservazioni da terra con l’Interferometer Gravitational-Wave Observatory (LIGO) del Caltech, alla ricerca della radiazione gravitazionale.
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Questa straordinaria immagine, sicuramente la migliore mai ripresa per questo genere di oggetti, mostra la “Shell galaxy” NGC 474, fotografata con il 3,6 metri del Canada-France-Hawaii Observatory. Oggetto dell'articolo "il mistero delle galassie a guscio" pubblicato su Coelum 157 che ha rinfocolato il dibattito sulle teorie cosmologiche alternative. Foto di Jean-Charles Cuillandre e Giovanni Anselmi.
Come anticipato sulla rivista (vedi Coelum 173 pag. 19) pubblichiamo online le “contro repliche”, e i commenti dei lettori, arrivate in redazione a seguito dell’articolo di Alberto Cappi Qualche chiarimento sulle Cosmologie Alternative, pubblicato in tre puntate (vedi link più in basso) e che ha affrontato il difficile compito di analizzare le argomentazioni delle teorie cosmologiche alternative contro l’attuale Modello Standard.
Le idee espresse in questi interventi non sono necessariamente condivise dalla nostra redazione, ma abbiamo comunque ritenuto doverosa la pubblicazione per intero delle varie argomentazioni espresse nella convinzione che, assieme agli articoli pubblicati sulla rivista (di cui riportiamo un corposo elenco in calce), possa aiutare i lettori nello sviluppare un’opinione consapevole sui problemi che attraversano l’odierna Cosmologia.
Questi i link della presentazione delle tre parti dell’articolo di Alberto Cappi:
Qui di seguito invece i link per leggere i contributi arrivati (o che arriveranno, la pagina verrà aggiornata man mano) sul tema, e l’elenco completo degli articoli pubblicati in passato. Sarà possibile commentare direttamente nelle pagine relative ai singoli interventi.
Galassie a guscio e redshift anomali. Alcune considerazioni in risposta alle obiezioni di un discepolo di Halton Arpdi Alberto Cappi – Coelum n.161 – 2012
Segui i progressi e partecipa anche tu per entrare nel Club dei 100 asteroidi!
Nel mese di novembre l'asteroide (216) Kleopatra si muoverà nel Toro, in direzione delle stelle xi e omicron, raggiungendo l'opposizione geometrica (e la massima luminosità) il giorno 15, mentre la minima distanza verrà raggiunta il 12 novembre. Segui i progressi e partecipa anche tu per entrare nel Club dei 100 asteroidi!
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Anche questo mese la rubrica ha trovato facilmente la sua regina. Certo, in questo caso il nome ha aiutato, ma sentirete tra poco che il titolo, dovuto anche per motivi prettamente astronomici, è del tutto meritato.
Sto parlando di (216) Kleopatra, e immagino che la storia di questo asteroide sia ormai bene conosciuta dai miei lettori; anche perché, per effetto della notorietà di cui gode per la sua forma così strana, quasi ogni sua opposizione viene commentata anche su questa rivista. Comunque, per riassumere brevemente, Kleopatra fu scoperto il 10 aprile 1880 a Pola dall’astronomo austriaco Johann Palisa, ma fu solo negli scorsi anni Ottanta che la sua disordinata curva di luce suggerì l’ipotesi che fosse formato da due asteroidi praticamente a contatto; il che fu poi confermato nel 1999 all’Osservatorio cileno di La Silla quando il 3,5 metri, assistito da un sistema di ottica adattiva, permise di risolverlo nella famosa forma a “osso di cane” ribadita da alcune modellizzazioni realizzate su immagini radar ottenute ad Arecibo. […]
Difficile crederlo, ma esiste anche un altro grande asteroide che si comporta allo stesso modo (di Bamberga, vedi Coelum 173 e 174), e per di più negli stessi anni! Sto parlando di (505) Cava, un pianetino di discrete dimensioni scoperto il 21 agosto 1902 dall’allora giovane astronomo americano Royal Harwood Frost (1879-1950), distaccato per conto dell’Harvard University alla stazione astronomica di Arequipa (Perù). […]
Leggi tutti i dettagli e i consigli per l’osservazione, con tutte le immagini, nella Rubrica Asteroidi di Talib Kadori presente a pagina 66 di Coelum n.175.
se bastasse un bigino per archiviare in tre puntate (Coelum 171, 172, 173) una controversia che ha impegnato per tutta la vita astronomi del calibro di Eleanor Margaret Burbidge, Geoffrey Burbidge e Halton Arp, allora le sue osservazioni in Alta Provenza sarebbero sulla bocca di tutti. Ma se “i lettori alle prime armi” a cui lei si rivolge desiderano farsi un’opinione meno angusta e più rispettabile delle interpretazioni cosmologiche alternative, possono andarsi a cercare nel web la “Open Letter to the Scientific Community” apparsa sul New Scientist del 22 aprile 2004 per trovarvi, con le motivazioni, anche un gran numero di nomi sorprendenti. Se poi non temono lo choc culturale, possono leggere le ultime esternazioni di Margherita Hack (“Il perchè non lo so”, Sperling & Kupfer, 2013) in cui la nostra scienziata, dopo sessant’anni di articoli, libri e conferenze a sostegno del Big Bang, si consegna a un universo infinito nel tempo e nello spazio, “che sempre è esistito e sempre esisterà”.
Lei non avrebbe mai dovuto trattare in modo così sommario e superficiale alcuni dei più noti (e non risolti) casi di redshift discorde. Quando, eludendo anche la sintassi, afferma che “il Quintetto di Stephan è un caso risolto e che non c’è in questo caso alcun redshift anomalo”, proprio i lettori alle prime armi meriterebbero di capire perchè è così facile spiegare discordanze di 1000 km/s (NGC 7318 A e B, NGC 7320 C) e così difficile accettarne dell’ordine di 5000 km/s (NGC 7320).
Nell’inverosimile concentrazione di “scherzi di prospettiva” che si accaniscono sul Gruppo di Stephan dal 1960, è scandaloso che non trovi nemmeno una menzione il quasar con z=2.11 scoperto in prossimità del nucleo di NGC 7319 (ApJ, 620, 2005), né il filamento luminoso in Ha con redshift equivalente a 6500 km/s che si staglia senza troncature sul disco di NGC 7320 (785 km/s), filamento che dovrebbe allora trovarsi DIETRO, non DAVANTI alla galassia presunta di primo piano (Gutierrez, Corredoira, Prada e Eliche, ApJ, 579, 2002). Evidentemente per chi si è inventato un’intera scienza moltiplicando incondizionatamente gli spostamenti verso il rosso per la velocità della luce, è del tutto naturale far passare per scoperta l’ipotesi di un “intruder” periodico in grado di rinfocolare le violente interazioni che si osservano nel Quintetto. Se intende promuovere la congettura a scoperta scientifica per il fatto che è stata suggerita da un ex-collaboratore di Arp (J. Sulentic), allora non solo i lettori alle prime armi potrebbero cominciare a storcere il naso.
Poiché mi aspetto che Coelum tuteli l’integrità della mia replica ma non lo spazio che necessiterebbe per dibattere gli altri casi così grossolanamente abbozzati, mi limiterò a una foto che compare a pag.21 del numero 171 che merita assolutamente una precisazione. Vi sono mostrate con altri oggetti le due galassie NGC 191 e IC 1563 che sono note da molto tempo per avere all’incirca lo stesso redshift z=0.020. Nella caption si legge però che “è bastato all’autore dell’articolo di prendere una misura precisa dei due redshift per avere una perfetta corrispondenza nella velocità di recessione dei due oggetti, e ciò a fronte di una letteratura che da anni catalogava l’oggetto (?) Arp 127 come un caso di redshift anomalo”. Se presumo che sia lei l’autore di questa didascalia, devo domandarle di che parla e a quale “letteratura” fa riferimento. Arp descrive questa configurazione nel suo Atlas (che non è una raccolta di oggetti “singoli”) semplicemente come “close and perturbing galaxies”: vogliamo allora evidenziare con una freccia a beneficio dei lettori che non intendono confondere i redshift anomali con gli errori di Catalogo qual’è il terzo oggetto con mag.18.3 (di cui Arp non parla) e con redshift z=0.046 equivalente a 13652 km/s?
Dopo il “mistero” delle galassie a guscio segnalato nei Pesci (Coelum 157, 161, 163, 165), le scie congruenti di materia così ben fotografate nel Quintetto di Stephan (Coelum 171 pag.17) e ora con la segnalazione dell’oggetto (APMUKS – BJ – BOO 3628.87.091656.7) nel campo di NGC 191 e IC 1563 (Arp 127), il suo “prontuario” contro le interpretazioni alternative sta diventando sempre più contraddittorio! E quando fraseggia “che si limita a togliere qualsiasi significato alle argomentazioni di Arp cominciando col dire che la distanza cosmologica degli ammassi di Abell è del tutto corrispondente al redshift delle componenti” (Coelum 172 pag.23), o gli scostamenti che si riscontrano sono reali o lei parla a casaccio. E’ del tutto ovvio che il redshift degli ammassi equivale a una distanza solo se la loro distanza corrisponde ai redshift che si rilevano, ma perfino i più inflessibili paladini della legge di Hubble ammettono qui deviazioni dell’ordine di 30000 km/s!! La conclusione evidente è che sebbene gli ammassi con galassie meno luminose tendono ad avere redshift più alti, non c’è l’ombra di una relazione di proporzionalità redshift-magnitudine apparente che possa legittimare un rapporto lineare con la distanza stessa di quegli ammassi (“Seeing Red”, H. Arp, pag.198).
L’invalidabilità osservativa della relazione di Hubble ha conseguenze drammatiche sulla genesi delle galassie e sulla loro distribuzione in ammassi. La più rilevante è che i nuclei stessi diventano meramente i luoghi di formazione della materia cosmica. Se la materia non proviene da un unico punto (Big Bang), allora deve provenire da tutti i punti: qual’è dunque il meccanismo universale e apparentemente ininterrotto che commuta il freddissimo “vuoto cosmico” in nascenti galassie e quasar? Sono questi solo alcuni fra i temi “tabù” dibattuti nel salotto californiano dei Burbidge a La Jolla, una specie di Radio Londra sulla Pacific Coast a cui partecipavano scienziati, intellettuali e appassionati di mezzo mondo.
Lei può alterare solo con un falso la condivisione profonda che ha legato per tutta la vita Geoff, Margaret e lo stesso Fred Hoyle a “Chip” Arp, per il quale i quasar e le galassie non si trovano alla distanza dei loro spostamenti spettrali. Nessuno di questi astronomi ha mai creduto al primo giorno della Creazione (Hoyle la chiamava “un’idea da preti”) e tantomeno che la radiazione di Penzias e Wilson rappresenti il residuo “fossile” di un’atavica esplosione che avrebbe originato dal nulla l’intero universo. Contrariamente a quanto lei lamenta a proposito delle tesi di Arp, è proprio la fisica dell’ ”inizio” che è completamente scollegata da ogni fisica. Se adesso questa radiazione non rappresentasse nemmeno”l’inizio dell’universo nella sua totalità”(Coelum 173, pag.17), è la stessa cosmologia del XX secolo che cede di schianto.
mi permetto di fare alcune critiche ad un vostro collaboratore che in un articolo sulle cosmologie alternative metteva a confronto in modo ingenuo e un po’ goffo l’astronomo Halton Arp con il filosofo Aristotele, basandosi sul semplice fatto che entrambi sono sostenitori di un universo considerato esistente da sempre. Essere paragonato ad Aristotele, uno dei più grandi geni dell’umanità, è tuttavia motivo di orgoglio e non di vergogna come invece traspare dall’articolo del vostro collaboratore. Il filosofo greco infatti si è occupato, durante tutto il corso della sua vita di logica, di metafisica, di biologia, di politica, di etica e anche di fisica. Il paragone però non è dei più felici perché Aristotele, come tutti i pensatori vissuti in quell’epoca lunghissima che va dall’antica Grecia fino alla metà del XIX secolo, pensa alla scienza come a qualcosa di vero e incontrovertibile. Nel medesimo segno dell’incontrovertibilità viene pensato il sapere scientifico anche da Copernico, Galileo e Newton. “Hypotheses non fingo” affermava con forza lo scienziato inglese.
Arp invece è figlio della rivoluzione epistemologica che considera la scienza come una disciplina ipotetica e controvertibile. Da qui la cura che l’astronomo americano ha sempre avuto per il calcolo delle probabilità. E’ importante notare che ogni sua ipotesi scientifica è sempre stata accompagnata da un accurato calcolo statistico. E’ però necessario dire che non tutti gli scienziati contemporanei hanno accettato tale rivoluzione epistemologica. Per esempio, Stephen Hawking crede ancora oggi che la scienza sarà presto in grado di farci conoscere “la mente di Dio”. Gli stessi Albert Einstein e Fred Hoyle, scienziati così diversi tra loro, non pensavano affatto che le teorie scientifiche fossero delle congetture. Il raffinatissimo pensiero epistemologico di Arp è dovuto da una parte alla sua onestà intellettuale e scientifica, dall’altra agli studi da lui compiuti e al clima culturale che respirava in casa.
La prima volta che io andai a trovare Arp a Monaco di Baviera, mi stupì per la vastità della sua cultura nei diversi campi del sapere come la filosofia, l’arte, la musica e la letteratura. Sapendo egli che mi occupavo di filosofia, mi chiese cosa pensassi del libro di Percy Bridgman intitolato “la logica della fisica moderna” e fu molto felice quando seppe che io avevo un’alta considerazione di tale opera e più in generale della corrente “operazionista”. L’operazionismo infatti non crede che la scienza indichi la verità ma pensa che la prassi e l’operare scientifico costruiscano in modo congetturale il sapere umano.
Posso quindi affermare con cognizione di causa che Arp è l’unico uomo di scienza da me conosciuto in grado di possedere competenze filosofiche di vasto respiro. Egli è riuscito a cogliere il nocciolo di quella radicale rivoluzione realizzata dal cosiddetto “pensiero negativo” nel corso del XIX e XX secolo.
Mi riferisco in primo luogo alla critica che pensatori diversissimi tra loro come Leopardi, Dostoevskij, Nietzsche e Mach hanno portato all’idea di verità incontrovertibile. Forse si tratta di un semplice caso, eppure Arp durante gli studi universitari compiuti a Harvard, aveva studiato a fondo il capolavoro di Fedor Dostoevskij “I fratelli Karamazov”. Dostoevskij lungo tutto il suo percorso culturale e letterario lottò con veemenza contro ciò che lui chiamava “il muro di pietra”, vale a dire l’idea che potesse esistere una verità incontrovertibile.
“Due più due uguale quattro è la morte” diceva il grande scrittore russo. “Due più due uguale quattro” smetteva di essere verità e diventava una semplice ipotesi di lavoro. Si può quindi affermare che Arp sia diventato per l’astronomia e per la cosmologia ciò che Dostoevskij e Nietzsche sono stati per la letteratura e per la filosofia. Mentre la stragrande maggioranza degli astronomi e dei cosmologi considera la legge di Hubble come un dogma, Arp al contrario considera tale legge un “muro di pietra” da abbattere. La rottura con l’idea di incontrovertibilità presente nel pensiero di Aristotele non potrebbe essere più radicale.
A proposito: la prassi consolidata di dividere gli scienziati e gli intellettuali tra ortodossi ed eretici è basata proprio sull’idea aristotelica di verità. Il rogo degli eretici non ci sarebbe mai stato senza questa idea. Il “muro di pietra” della verità incontrovertibile è la struttura su cui si basa quello che noi oggi chiamiamo “pensiero unico”.
Auguriamoci che la futura generazione di astronomi e di cosmologi sia in grado, come Arp è riuscito a fare, di cogliere la crisi interna al sapere scientifico e di riuscire a contrastare ogni forma di sapere assoluto.
Cordiali saluti,
Enrico Biava, co-curatore dell’edizione italiana di Seeing red
P.S. Il filosofo Friedrich Nietzsche affermava che non esistono “fatti” ma solo “interpretazioni”. Impedire la libera circolazione delle diverse interpretazioni privilegiandone una sola significa precipitare nel totalitarismo.
Il totalitarismo scientifico-cosmologico dei giorni nostri tende a promuovere un’interpretazione unica che pensa se stessa come verità. E se l’interpretazione diventa unica, essa cessa di essere interpretazione per diventare “il muro di pietra” di cui parlava Dostoevskij.
Un intelligente “allievo” di Nietzsche come Michel Foucault aveva capito che “il potere più che dall’esercizio repressivo-punitivo, trae la sua forza da meccanismi di censura e gratificazione in grado di avvalersi della connivenza dei sottomessi”. Tale analisi fenomenologica è validissima anche per la “microfisica del potere” presente nella prassi scientifica che oggi si attua sia nei grandi Osservatori astronomici che nelle piccole riviste specializzate.
Risposta di Alberto Cappi
Caro Sig. Biava,
la ringrazio per aver letto i miei articoli e per avermi inviato copia della sua lettera a Coelum.
Penso ci sia un equivoco: lei mi critica perché avrei paragonato “in modo ingenuo e un po’ goffo” Arp ad Aristotele. Le assicuro che il paragone non voleva essere irrispettoso. Ho, come lei, la massima stima di Aristotele, che è stato uno dei grandi geni della storia umana, e a riprova di ciò, e di cosa penso di certe affermazioni “filosofiche” di scienziati anche illustri, la invito a leggersi la mia recensione al libro di Hawking e Mlodinow, pubblicato sul Giornale di Astronomia e visualizzabile su questo sito.
Le assicuro anche che ho il massimo interesse e rispetto verso la filosofia, e la sua lettera presenta degli spunti interessanti su temi molto importanti e profondi. Mi lasci solo notare che a mio parere il “rogo degli eretici” non è una conseguenza dell’idea aristotelica di verità: pensando ad Ipazia, Giordano Bruno e tanti altri è chiaro che sono il fanatismo religioso e quello ideologico ad aver mietuto innumerevoli vittime.
Ma per quanto questi problemi siano profondi e interessanti, alla domanda se le galassie si trovino o no alla distanza che si deduce dal loro redshift assumendo che l’universo sia in espansione non possiamo rispondere attraverso la filosofia, ma solo attraverso il metodo scientifico. E tutte le numerose misure indipendenti confermano che le galassie si trovano alla distanza corrispondente al loro redshift: la legge di Hubble è dunque non un dogma ma un risultato delle osservazioni (benché nei modelli cosmologici relativistici sia effettivamente una conseguenza dell’ipotesi di omogeneità e isotropia dell’universo).
Le assicuro infine che l’idea di un totalitarismo scientifico-cosmologico è quanto di più lontano possa esserci dalla realtà dei fatti: credo non vi siano mai state in cosmologia tante ipotesi e teorie concorrenti come quelle che circolano attualmente (benché tutte riconoscano la validità della teoria del Big Bang).
Certo, nessuna teoria è mai definitiva e nessun sapere è assoluto, concordo con lei. Ma non tutti i saperi sono equivalenti o hanno uguale probabilità di rivelarsi corretti, e non vi può essere alcun progresso adottando quello che mi piace chiamare il “relativismo assoluto”. La Terra è sferica, non piatta, e le stelle non sono puntini luminosi attaccati ad una sfera celeste: non credo che neppure lei voglia mettere in discussione queste affermazioni. Ebbene, il fatto che più grande à il redshift, maggiore è la distanza di una galassia, è un’osservazione più complicata che richiede un bagaglio di conoscenze maggiore rispetto alle prove che la Terra è sferica: ma il “livello di incertezza” nei due casi, mi creda, è molto simile, anche se Arp non vuole ammetterlo.
08.11: “Navigando tra le acque del mare celeste (Pesci, Balena, Acquario, Eridano, Delfino)”.
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osservatorio@osservatoriocadelmonte.it
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08.11: “Favole dal cielo: Andromeda e Perseo, un fantastico viaggio tra scienza e mitologia.”. Al telescopio: Un tour su tutti gli oggetti principali delle costellazioni di Cassiopea, Andromeda e Perseo.
Per info: 346.8699254 astrofilicentesi@gmail.com
www.astrofilicentesi.it
Le due comete più brillanti del mese (a parte ovviamente la ISON, di cui parliamo in un articolo dedicato, vedi Sommario del n. 175 online) saranno anche così veloci, specialmente la Lovejoy, da coprire decine di gradi nel corso del loro spostamento. Questo impedisce ovviamente di fornire ai lettori delle cartine molto dettagliate per la loro ricerca (quella che vedete qui in alto è solo indicativa) e pretende che si usino le effemeridi calcolate giorno per giorno pubblicate online (cercatele al link nel riquadro in basso a destra).
Indice dei contenuti
EFFEMERIDI di NOVEMBRE
Disponibili ONLINE nella sezione “Cielo del mese”, nelle relative rubriche, e ai link seguenti:
Voglio innanzi tutto congratularmi con Terry Lovejoy per la scoperta della sua quarta cometa. Davvero un grande risultato, soprattutto in tempi come questi, in cui i sistemi automatizzati hanno il sopravvento sulle scoperte individuali.
La C/2013 R1 (Lovejoy), scoperta il 9 settembre scorso, è una cometa che io stesso ho avuto modo di confermare quando è stata inserita tra i NEOCP (NEO Confirmation Page: la lista di oggetti appena scoperti e in attesa di definizione degli elementi orbitali) e che in queste settimane si sta dimostrando parecchio attiva, molto più di quanto ci si potesse aspettare. A novembre, per osservarla dovremo cercarla nel cielo nella seconda parte della notte, quando attraverserà velocemente numerose costellazioni dal Cancro al Boote spostandosi più di 3° al giorno e passando dalla magnitudine +8,5 alla +6,5 […].
La seconda cometa binoculare del mese è una vecchia conoscenza; anzi, possiamo ben dire che si tratta della più vecchia conoscenza che abbiamo tra le comete periodiche, dopo la Halley. Stiamo infatti parlando della 2P/Encke, l’inossidabile oggetto che orbita attorno al Sole ogni 3,3 anni, regalandoci talvolta degli avvicinamenti alla Terra che la portano anche alla visibilità ad occhio nudo (come nel 1805 e 1829) o a magnitudini intorno alla +5 (nel 1964) e +6 (nel 1997). Quest’anno sembra che la Encke potrà arrivare nel periodo del perielio (21 novembre) fino alla mag. +5 […].
Leggi tutti i dettagli e i consigli per l’osservazione, con tutte le immagini, nella Rubrica Comete di Rolando Ligustri presente a pagina 72 di Coelum n.175.
Aspetto del cielo per una località posta a Lat. 42°N - Long. 12°E La cartina mostra l’aspetto del cielo alle ore (TMEC): 1 novembre > 01:00 15 novembre > 00:00 30 novembre > 23:00
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EFFEMERIDI di NOVEMBRE
Disponibili ONLINE nella sezione “Cielo del mese”, nelle relative rubriche, e ai link seguenti:
Le notti si allungano e assumono già una certa caratteristica invernale, compensata però da una maggiore limpidezza del cielo. Cielo che verso le 21:00 sarà già completamente scuro (la notte astronomica inizia intorno alle 18:30), così che in presenza di buone serate ci saranno a disposizione diverse ore per godere delle costellazioni autunnali e dei più “alti” in declinazione tra i declinanti asterismi estivi. Verso la mezzanotte si avvicinerà al “mezzocielo superiore” (il punto in cui l’equatore celeste taglia il meridiano, che alle nostre latitudini è situato a circa 48° di altezza) l’inconfondibile Orione, accompagnato da Toro, Gemelli e Cane Maggiore. Più in basso, il meridiano sarà attraversato dalla estesa ma debole costellazione dell’Eridano, mentre più in alto transiteranno le Pleiadi. Cigno e Pegaso saranno al tramonto sull’orizzonte ovest, mentre dalla parte opposta del cielo starà sorgendo il Leone.
All’inizio di novembre il Sole si troverà ancora nella costellazione della Bilancia e solo il giorno 23 entrerà nello Scorpione, in cui si “fermerà” soltanto una settimana. L’eclittica, infatti, passa nella parte alta di questa figura celeste e l’attraversa solo per un breve tratto, tanto che il giorno 30 il Sole sarà già nella costellazione di Ofiuco. Nel corso del mese continuerà la discesa della nostra stella verso declinazioni e culminazioni al meridiano sempre più basse. Alle ore 0:00 del 1 novembre la sua declinazione sarà di –14,3°, mentre alle stessa ora del 1 dicembre avrà già raggiunto i –21,7°: questo si tradurrà in una perdita del periodo di luce (variabile secondo la latitudine) di circa 1 ora. La notte astronomica, pertanto, comincerà in media verso le 18:30 e terminerà alle 5:30 circa.
Leggi tutti i dettagli e i consigli per l’osservazione di Sole, Luna e pianeti, con tutte le immagini, nella Rubrica Il cielo di novembredi Luigi Becchi e Remondino Chavez presente a pagina 58 di Coelum n.175.
Questi gli appuntamenti mensili.
UAI con SKYLIVE Una Costellazione sopra di Noi – Il Primo venerdì di ogni mese, a cura di Giorgio Bianciardi (vicepresidente UAI). 07.11: La Costellazione dei Pesci. SKYLIVE con UAI Rassegnastampa e cielo del mese – Quarto giovedì del mese a cura di Stefano Capretti.
www.skylive.it
www.uai.it
Eventi: Calendario giorno per giorno disponibile online.
Tra seminari, dibattiti, conferenze, spettacoli, animazioni, laboratori etc…
Laboratori interattivi: Per tutta la durata del Festival saranno disponibili laboratori interattivi di: fisica,
matematica, biologia, chimica, geologia etc…
Mostre permanenti: Potrete ammirare splendidi “oggetti” di fisica e matematica o osservare dei pannelli
di storia della scienza.
Exhibit:
Sarà presente nel piazzale dell’Exmà una vera postazione di meteorologia
Visite guidate:
In occasione del Festival sarà possibile visitare alcune delle mostre più interessanti della città
PROGETTO: “L’ABC dell’Universo”.
Un progetto appositamente realizzato per il Festival dall’Osservatorio Astronomico di Cagliari.
Immagini del flash. La serie di fotografie riprese nello stesso istante (1 agosto 2013 alle 02:21:55.7 UT) da quattro diversi telescopi che mostrano il flash luminoso: da sinistra a destra, da Andrea Manna (Cugnasco, Svizzera, con un riflettore di 200 mm), Raffaello Lena (Roma, con un rifrattore di 130 mm) e Stefano Sposetti (Gnosca, Svizzera, rispettivamente con un rifrattore da 150 mm e un riflettore di 280 mm). La sovrapposizione tra le immagini indica inoltre che il flash non manifesta una parallasse misurabile, nonostante la base assai lunga tra Roma e il Canton Ticino (maggiore di 500 km).
Registrazioni simultanee di un flash in Italia e Svizzera che supportano un impatto sul suolo lunare occorso il 1 agosto 2013
La possibilità di poter osservare, e documentare, eventi straordinari è uno degli aspetti più interessanti da un punto di vista astronomico. Tra questi, un evento spettacolare e raro è rappresentato, senza ombra di dubbio, dall’osservazione della collisione tra corpi celesti, come avvenuto per la seconda volta in quindici anni, sul più grande dei pianeti del nostro sistema solare: Giove. Nel corso del 1994, quando avvenne l’impatto dei frammenti della cometa Shoemaker-Levy 9, molti lettori non avevano probabilmente cominciato la loro attività di astrofilo.
Più recentemente, il 19 luglio 2009, l’astrofilo australiano Anthony Wesley scoprì sul pianeta gassoso una nuova formazione scura, provocata dalla collisione di un’asteroide o una cometa. Anche noi riuscimmo a produrre varie immagini documentando al meglio questi avvenimenti: in particolare la forma e l’estensione della macchia, localizzata alle alte latitudini meridionali di Giove. L’assidua e costante osservazione di questi fenomeni può rappresentare un campo di interesse scientifico particolarmente fertile per l’astrofilo. Grazie poi anche alla diffusione di Internet queste osservazioni vengono scambiate e condivise fra gruppi di astrofili.
Ma gli impatti non sono poi così rari nell’universo, e un altro esempio è rappresentato dalla Luna. Il nostro satellite, come avvenuto in modo più intenso e devastante miliardi di anni fa, subisce ancor oggi impatti di meteoroidi. Anni orsono la NASA, tramite il MEO (Meteoroid Environment Office, Marshall Space Flight Center) ha fatto presente la possibilità di osservare questi fenomeni sulla Luna appunto, semplicemente con l’uso di un piccolo telescopio e una telecamera. Il MEO ha già registrato oltre trecento flash e l’ultimo impatto ufficialmente pubblicato risale al 17 marzo scorso.
La ricerca dei flash originati da impatti di meteoroidi sulla porzione di superficie lunare non illuminata dal Sole, tramite osservazione visuale, era già stata proposta fin dal 1939 da Walter Haas, fondatore dell’ALPO (Association of Lunar and Planetary Observer). La ricerca di questi eventi, purtroppo caratterizzata da numerosi insuccessi, ha ricevuto però una nuova attenzione dopo i primi risultati ottenuti negli Stati Uniti nel corso del 1999, con la registrazione da parte di diversi osservatori di probabili impatti. La notte del 18 novembre di quell’anno, durante il massimo delle sciame delle Leonidi, David Dunham dello IOTA (International Occultation Timing Association), con una telecamera collegata al suo telescopio, registrò una serie di flash di magnitudine visuale stimata fra la 3 e la 7. Questi eventi furono anche registrati simultaneamente dai colleghi dell’ALPO. Nel corso degli anni successivi sono stati riportati altri risultati positivi, in particolare da monitoraggi condotti da gruppi di ricercatori in Spagna ed in Giappone, che numerosi risultati di singoli osservatori; quest’ultimi rimasti però privi di conferme.
Nei primi anni del nuovo millennio alcuni di noi iniziarono a dedicarsi alla ricerca di impatti di meteoroidi sulla Luna, aggiungendo questo nuovo campo alla loro abituale attività di ricerca astronomica (Stefano Sposetti nel campo delle occultazioni asteroidali e nella ricerca di pianetini, e Raffaello Lena nello studio sui domi lunari associati alla loro classificazione). Questi studi preliminari, in accordo con quanto proposto da W. Haas, suggerirono che un impatto lunare deve essere confermato da almeno un secondo osservatore distante qualche decina di chilometri. Nel corso dei monitoraggi, come quelli effettuati dal nostro team, è necessario che le registrazioni video soddisfino i due fondamentali criteri di contemporaneità e di stessa localizzazione sul suolo lunare. Questi due fattori sono la premessa per poter assegnare il label di “probabile impatto” alla visione di un flash luminoso.
I raggi cosmici sono particelle, principalmente protoni ed elettroni, che viaggiano a velocità vicine a quelle della luce. Dalla collisione con gli atomi degli strati superiori dell’atmosfera, essi producono particelle secondarie rilevabili dalle matrici CCD. La maggior parte dei raggi cosmici lasciano un segnale puntiforme rilevabile in un frame o, in alcuni casi, sono registrabili come doppietti o più raramente tripletti, o dalle forme atipiche a “ L” o “S”. Anche la radioattività naturale, circostante il sito osservativo, è in grado di produrre segnali luminosi sui sensori CCD.
Questo aspetto, per quanto semplice possa sembrare, è fondamentale, così come lo è la sincronizzazione delle riprese da siti diversi. Per avere la ragionevole certezza di un impatto lunare è infatti necessario escludere altre cause, quali i segnali spuri causati dalla riflessione della luce solare da parte di satelliti che vagano sempre più numerosi nello spazio, eventuali meteore che dovessero impattare “head-on” contro l’atmosfera terrestre, e soprattutto i raggi cosmici che, colpendo il sensore, generano lampi luminosi anche in condizioni di completa oscurità (come verificabile dalle prove di “dark test”, cioè con camere CCD accoppiate a telescopi tappati, vedi box a lato).
L’eventuale transito di satelliti può essere verificato attraverso appositi programmi o, ad esempio, via web, attraverso il servizio offerto da Calsky, di Arnold Barmettler. Per approfondimenti i lettori interessati potranno trovare ulteriori dettagli e spiegazioni sui segnali spuri nel capitolo 11 “Spurious flash or true impact event?” (scritto da uno di noi, R. L. con il GLR group e l’American Lunar Society) nel libro di B. Cudnick dal titolo “Lunar Meteoroid Impacts and how to observe them”, pubblicato da Springer nel 2009.
Il nostro team, costituito da tre postazioni osservative in Svizzera (Marco Iten, Andrea Manna e Stefano Sposetti) e una a Roma (Raffaello Lena), da tempo esegue riprese simultanee facendo proprio il criterio fondamentale della lunga distanza tra gli osservatori; nel nostro caso quella tra Roma ed il Canton Ticino, che è maggiore di 500 km. Infatti, in questa situazione è estremamente improbabile che un flash registrato simultaneamente e nello stesso luogo lunare possa essere di origine spuria. In Italia, negli anni passati, ci sono state alcune singole segnalazioni di flash senza alcuna conferma da parte di altri osservatori, e quindi non rientranti nei criteri di confidenza che è necessario adottare per questi eventi.
In Svizzera, negli anni 2011-12, erano stati identificati 13 probabili impatti da parte di M. Iten e S. Sposetti. Queste osservazioni erano state pubblicate sulla rivista on-line, Selenology Today, del GLR group.
Il flash osservato sulla Luna la mattina del 1 agosto 2013 funge da primo evento nazionale, poiché fino ad allora in Italia non era stato ancora registrato un flash da impatto che fosse confermato simultaneamente da altri osservatori.
Ecco la nostra strumentazione:
Strumentazione di Raffaello Lena (Roma) impiegata nel monitoraggio: rifrattore di 130 mm, con accanto il suo Mak-Cassegrain da 180 mm.
– Un rifrattore da 130 mm dotato di una camera Mintron MTV-12V1C-EX (25fps), che si trova a Roma (R. Lena);
– Un rifrattore da 150 mm ed un riflettore da 280 mm entrambi equipaggiati con una camera Watec 902H2 (25fps), situati a Gnosca, in Svizzera (S. Sposetti);
Strumentazione di Andrea Manna (Cugnasco, CH) impiegata nel monitoraggio: riflettore di 200 mm.
– Un riflettore da 200 mm dotato di una camera Watec 120N+ (25fps), situato a Cugnasco, in Svizzera (A. Manna).
Alle 02:21:55.7 UT, i quattro strumenti rilevano simultaneamente un lampo breve ed intenso.
Immagini del flash. La serie di fotografie riprese nello stesso istante (1 agosto 2013 alle 02:21:55.7 UT) da quattro diversi telescopi che mostrano il flash luminoso: da sinistra a destra, da Andrea Manna (Cugnasco, Svizzera, con un riflettore di 200 mm), Raffaello Lena (Roma, con un rifrattore di 130 mm) e Stefano Sposetti (Gnosca, Svizzera, rispettivamente con un rifrattore da 150 mm e un riflettore di 280 mm). La sovrapposizione tra le immagini indica inoltre che il flash non manifesta una parallasse misurabile, nonostante la base assai lunga tra Roma e il Canton Ticino (maggiore di 500 km). Localizzazione del flash. Immagini sovrapposte con il bordo del disco lunare generato, dopo il calcolo delle librazioni, da due software: il Lunar Terminator Visualization Tool (LTVT) di Mosher e Bondo ed il Virtual Moon Atlas (VMA) di Legrand e Chevalley. La mappa indica le coordinate determinate a 73 ° ± 4 ° Est e 27 ° ± 3 ° Nord, nella regione vicino al cratere Seneca C.
Sovrapponendo le tre immagini, il punto luminoso non manifesta alcuna parallasse evidente, nonostante la base assai lunga tra Roma ed il Canton Ticino. La simultaneità delle osservazioni e la presenza del flash nella stessa posizione sulla superficie lunare indica che, con alta probabilità, l’evento registrato sia dovuto ad un impatto di un piccolo meteoroide. Lo strumento con maggiore apertura mostra il flash per una durata di circa 80 millisecondi; negli altri strumenti (più piccoli) il flash appare più breve. L’intensità di picco del flash è pari a circa 8 mag V. La verifica della presenza di eventuali satelliti terrestri lungo la linea di vista è negativa per un diametro di 3 gradi. Le coordinate del flash vengono determinate a 73 ° ± 4 ° Est e 27 ° ± 3 ° Nord, nella regione vicino al cratere Seneca C, a nord est del Mare Crisium.
Considerando l’attività meteorica di inizio Agosto, caratterizzata soprattutto dalle alpha-Capricornidi e dalle Perseidi, è probabile che l’oggetto che ha impattato la superficie lunare appartenga ad uno di questi due sciami, più probabilmente il primo considerando il massimo predetto per la notte del 30 luglio. In questo caso la velocità relativa di impatto di una tipica alpha-Capricornide si attesta attorno ai 23 km/s.
Curva di luce. Curva di luce del flash registrata dallo strumento di 280 mm. Ogni valore orizzontale corrisponde a 20 millisecondi.
Attraverso l’uso di modelli fisici che tengono conto della velocità di un meteoroide e dell’efficienza luminosa relativa alla trasformazione dell’energia cinetica in energia luminosa, è possibile stimare sia la massa del corpo impattante che il diametro del cratere formato. Le stime di questo tipo (che utilizzano la legge di Gault) sono ovviamente teoriche considerando le incertezze relative alla velocità dello sciame, la densità del corpo impattante e il valore dell’efficienza luminosa adottata. Comunque, considerando tutte queste incertezze, le stime eseguite indicherebbero che la massa del meteoroide potrebbe essere dell’ordine del chilogrammo ed il diametro del cratere dell’ordine di 1-10 metri; potrebbe quindi essere rilevato dal Lunar Reconnaissance Orbiter, per confronto con immagini ottenute in precedenza.
Dopo le prime comunicazioni apparse nel Lunar Photo of the Day (LPOD) dell’astronomo Charles Wood, e successivamente attraverso le pagine web del Lunar Pioneer, e nel notiziario dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), il nostro report è stato trasmesso alla dottoressa Danielle Moser, l’addetta del Marshall Space Flight Center della NASA, che si occupa di raccogliere questo tipo di segnalazioni. E’ stata fonte di soddisfazione ricevere la sua risposta, confermando che questa nostra osservazione sarà inclusa nella lista NASA, attraverso il Meteoroid Environment Office.
La cartina riassume le circostanze dell’eclisse parziale di Sole che, verso le 14:20 del 3 novembre (13:20 TU??? linea verde), interesserà le regioni meridionali del nostro paese. La linea gialla segna il confine più settentrionale della zona di penombra proiettata dal disco lunare (vedi anche alla pag. ??? la figura che ritrae l’andamento generale dell’eclisse, dove in rosso è tracciata la linea della totalità). A nord della linea non sarà possibile osservare nessuna sovrapposizione del disco lunare a quello solare, mentre a sud la percentuale di diametro apparente occultato aumenterà con il diminuire della latitudine. Le linee rosse parallele segnano i punti geografici da cui si osserva una identica percentuale di occultazione del disco solare. I valori, come si può notare, sono tutti molto piccoli e vanno da un minimo di 0 (dalla linea gialla in su) a un massimo di circa 0,08 (che dal punto di vista angolare equivale a una porzione di disco occultata di circa 2,4') nel punto più a sud della Sicilia.
La cartina riassume le circostanze dell’eclisse parziale di Sole che, verso le 14:20 del 3 novembre (13:20 TU linea verde), interesserà le regioni meridionali del nostro paese. La linea gialla segna il confine più settentrionale della zona di penombra proiettata dal disco lunare (vedi anche in basso la figura che ritrae l’andamento generale dell’eclisse, dove in rosso è tracciata la linea della totalità). A nord della linea non sarà possibile osservare nessuna sovrapposizione del disco lunare a quello solare, mentre a sud la percentuale di diametro apparente occultato aumenterà con il diminuire della latitudine. Le linee rosse parallele segnano i punti geografici da cui si osserva una identica percentuale di occultazione del disco solare. I valori, come si può notare, sono tutti molto piccoli e vanno da un minimo di 0 (dalla linea gialla in su) a un massimo di circa 0,08 (che dal punto di vista angolare equivale a una porzione di disco occultata di circa 2,4') nel punto più a sud della Sicilia.
Il primo in ordine di tempo, nella lista dei fenomeni del mese, sarà il 3 novembre un’eclisse parziale di Sole, che per quel ci riguarda sarà però osservabile soltanto nel meridione d’Italia. L’eclisse sarà vista come anulare e totale nell’Africa centrale, e quello che interesserà le nostre regioni sarà soltanto il limite nord della penombra. Come si può vedere dalla figura qui sopra, il confine della penombra passerà a sud di Roma, città da cui l’eclisse non sarà quindi visibile, mentre da gran parte del Sud si potrà seguire una piccolissima occultazione del disco solare, che anche all’estremo sud della Sicilia non supererà l’8% dell’intero diametro apparente.
Questa sì che si chiama banda larga. Seicentoventidue Megabit al secondo in download, e 20 al secondo in upload. Se un operatore telefonico offrisse queste prestazioni sbaraglierebbe la concorrenza, che nella migliore delle ipotesi arriva a 100 Megabit per secondo. Se poi quella velocità di connessione viene raggiunta comunicando con una sonda che orbita attorno alla Luna, allora siamo davvero di fronte a un record storico. La NASA lo ha stabilito nei giorni scorsi, inviando informazioni in forma di luce laser alla sonda LADEE (Lunar Atmosphere and Dust Environment Explorer), che oltre a studiare l’atmosfera lunare ha a bordo lo strumento Lunar Laser Communication Demonstration (LLCD). L’esperimento vuole aprire la strada a una nuova tecnica di comunicazione con le sonde interplanetarie. Ad oggi si usano le onde radio per inviare e ricevere dati alle sonde. Ma più aumenta la distanza, più è necessario aumentare la potenza del segnale, e le dimensioni delle antenne usate per ricevere dati a Terra. Voyager 1, ormai fuori dalla spazio interstellare, viene “ascoltato” da un’antenna di ben 70 metri di diametro.
L’uso di impulsi di luce laser, cioè di un raggio di luce concentrato e “coerente”, sulla carta consente di trasmettere maggiori quantità di dati, più velocemente e con apparati meno ingombranti. Il trucco è riuscire a dirigere quel raggio con precisione su un ricevitore posto a una distanza enorme: in questo caso erano 380 mila chilometri dalla Terra, e parliamo “solo” della Luna che è il corpo celeste più vicino a noi. Basta che il raggio laser cada qualche centimetro più in qua o più in là e la comunicazione cade.
L’esperimento della NASA è andato a gonfie vele, riuscendo a trasmettere e ritrasmettere dalla Luna un segnale video ad alta definizione su due canali contemporanei. Il ricevitore posto su LADEE pesa la metà di un ricevitore radio tradizionale e usa un quarto dell’energia in meno.
I prossimi test dovranno stabilire quanto il sistema regga anche quando utilizzato durante il giorno (finora tutti i test sono stati condotti di notte), e come migliorare la sua efficienza quando la Luna è bassa sull’orizzonte, costringendo il segnale ad attraversare una parte maggiore di atmosfera terrestre, che introduce interferenze. LLCD è solo il precursore di un futuro progetto più ambizioso, il Laser Communications Relay Demonstration, che verrà lanciato nel 2017 e dovrà aprire la strada a un utilizzo in grande stile delle comunicazioni laser per le sonde interplanetarie.
Molto interessante, la mattina del 2 novembre, la congiunzione stretta tra Luna e Spica, la stella alfa della Vergine. Il nostro satellite, infatti, potrebbe risultare del tutto inosservabile a causa del fatto che sarà ormai vicinissimo alla fase di Luna Nuova (fase = 2%).
Un’ottima occasione per verificare osservativamente come si presentano certi oggetti in condizioni di visibilità estreme. La Luna si troverà, verso le ore 6:00, a 27 primi dalla stella e a un’altezza di +6° sull’orizzonte di est-sudest.
La sala di controllo dell’ESOC a Darmstadt, in Germania, dalla quale è stato inviato il comando che ha messo fine alla missione Planck
La sala di controllo dell’ESOC a Darmstadt, in Germania, dalla quale è stato inviato il comando che ha messo fine alla missione Planck
Per raccogliere i fotoni dell’alba del cosmo, s’era spinto alle sorgenti del tempo. Ma il tempo, nel mentre, ha continuato indifferente la sua corsa. E alla fine la campana ha suonato anche per Planck. Alle 14.10 di mercoledì 23 ottobre, dalla sala di controllo dell’ESOC (lo European Space Operations Centre dell’ESA), a Darmstadt, in Germania, è stato inviato l’ultimo comando. Quello definitivo: switch-off. Comando giunto al termine d’una lunga e complessa sequenza, messa in atto nelle ultime settimane sotto l’abile regia dello spacecraft operations manager dell’ESA Steve Foley, atta a garantire l’ibernazione permanente – la chiamano proprio così – del satellite. Ma se questo assicura che da Planck non giungerà mai più il benché minimo segnale, non significa certo che di questo spettacolare telescopio spaziale e della sua impresa non sentiremo più parlare, anzi: l’eredità scientifica che ci lascia, con dati raccolti su nove frequenze, in quattro anni e mezzo d’osservazione ininterrotta dell’intero cielo a microonde, è immensa. Un’eredità che comprende la mappa più accurata mai ottenuta della CMB (la radiazione di fondo a microonde), una stima dell’età dell’universo a due decimali (13,82 miliardi di anni) e addirittura una nuova ricetta per il cosmo, con il dosaggio dei sui ingredienti più oscuri rivisto e aggiornato. Ed è un’eredità che abbiamo appena iniziato a intaccare: sono attese per il 2014, per esempio, le mappe in polarizzazione, dalle quali potrebbe emergere – si augurano gli scienziati – l’impronta delle onde gravitazionali generate al momento del Big Bang.
Ma cosa comporta “ibernare permanentemente” un satellite distante un milione e mezzo di chilometri? Perché è stato necessario farlo? E come si è proceduto? «Non è per niente facile. La nostra attività principale è quella di tenere i satelliti attivi e in funzione, non quella di spegnerli», spiega Paolo Ferri, responsabile delle operazioni di volo dell’ESA. Già nel gennaio dello scorso anno Planck aveva esaurito il liquido refrigerante necessario a mantenere HFI, lo strumento ad alta frequenza, alla temperatura di funzionamento, prossima allo zero assoluto. I ricevitori a bassa frequenza dello strumento LFI (finanziato dall’ASI e realizzato in gran parte in Italia), potendo operare anche a temperature lievemente superiori, hanno invece potuto continuare a lavorare fino allo scorso agosto, permettendo così a Planck di compiere, nel corso della sua missione, ben otto survey complete del cielo, cinque delle quali con entrambi gli strumenti. Grazie al perfetto funzionamento di ogni componente del satellite (il downtime è da record: appena poche ore di buco nei dati sull’intera durata della missione), Planck è stato dunque mantenuto in vita ben oltre ogni aspettativa, come ha sottolineato Jan Tauber, il project scientist ESA della missione. Ed è così arrivato il momento di quello che in gergo viene chiamato “clean disposal”, lo smaltimento corretto.
Anzitutto, usando una parte degli oltre cento chili di carburante ancora presente nel serbatoio (lascito d’un lancio e d’un’inserzione in orbita impeccabili), s’è dato il via alla manovra di deorbiting, tesa a liberare Planck dal laccio gravitazionale che lo teneva ancorato a L2 (il punto lagrangiano secondo), e dunque alla Terra, lasciandolo così andare alla deriva attorno al Sole. A manovra in corso, ha avuto inizio la bonifica della navicella – passivating, nel gergo degli addetti ai lavori: le batterie sono state scollegate, la catena di trasmissione spenta, e i serbatoi del combustibile e dei liquidi criogenici svuotati fino all’ultima goccia. Per avere un’idea di quanto ESA curi questi aspetti, basti pensare che è stato eseguito addirittura un aggiornamento del software di bordo al fine d’impedire ogni futura trasmissione. Questo perché, nell’improbabile eventualità che Planck riuscisse a “riprendersi” dallo spegnimento (d’altronde, con tutti i raggi cosmici che passano da quelle parti, non si sa mai), tenterebbe immediatamente di comunicare con la Terra. La patch applicata previene appunto questi tentativi.
Insomma, un po’ come prendere a martellate il motore della vecchia auto, fedele compagna di mille avventure, prima di consegnarla col groppo in gola allo sfasciacarrozze. Ma se dal punto di vista sentimentale – sono centinaia i ricercatori e i tecnici sparsi nel mondo, molti dei quali in Italia e all’INAF, che a Planck hanno dedicato anni della propria vita – lo switch-off inviato oggi è un addio di quelli senz’appello, dal punto di vista scientifico la strada da percorrere in compagnia del telescopio spaziale ESA è ancora lunga. «La missione Planck è stata per me come scalare la montagna più alta del mondo: siamo arrivati fino in cima, raggiungendo un grandissimo successo. Ma Planck non muore: l’eredità che lascia con i dati di astronomia e cosmologia», sottolinea infatti il responsabile di LFI Reno Mandolesi, associato INAF, «continueranno a dare i loro frutti per molto tempo».
La cometa C/2012 X1 è entrata in fase di “outburst”, caratterizzata da una rapida espansione della sua chioma. Ed è stato un gruppo di astrofili italiani a riportare l’evento, registrando un repentino aumento di luminosità di 250 volte dell’oggetto. L’atmosfera della cometa o ” chioma” ora assomiglia a quella della 17P/Holmes esplosa nel 2007.
“La cometa è stata scoperta nel dicembre del 2012 dal programma LINEAR, che ha già individuato migliaia di comete e asteroidi”, ha detto a Media INAF Ernesto Guido, membro del gruppo di astrofili “Associazione Friulana di astronomia e meteorologia” e autore dell’osservazione assieme a Nick Howes e Martino Nicolini. ”Sembrava un oggetto comune, non si prevedevano grandi luminosità fino al perielio, che è previsto nel febbraio 2014. Si prevedeva un massimo di magnitudine 11″, ha aggiunto.
Un gruppo di osservatori europei, tra cui Guido e i suoi colleghi, utilizzando un telescopio di 500 mm in New Mexico controllato da remoto, hanno ripreso questa immagine dell’esplosione. La magnitudine prevista della cometa per il 20 ottobre era di circa 14, “ma il 21 ottobre un astrofilo giapponese ha riferito di averla osservato con magnitudine 8,5. I miei colleghi ed io allora abbiamo puntato i nostri strumenti verso la cometa per studiare la situazione: c’era un salto di 6 magnitudini, un salto importante, vuol dire aumento di luminosità di 250 volte”, ha detto poi Guido.
La cometa è visibile nella costellazione della Chioma di Bernice e si trova a 450 milioni di chilometri dalla Terra (circa 3 AU). ”La posizione della cometa non è favorevole perché è visibile solo un’ora prima del sorgere del Sole – ha spiegato -. Ma siamo riusciti a fare comunque alcune riprese. La cometa aveva sviluppato una chioma circolare in seguito all’outburst di due primi d’arco: visto che la cometa è a tre unità astronomiche, vuol dire circa 260 mila chilometri”.
Questa esplosione non significa necessariamente che la cometa sia stata disintegrata. Una vena o caverna nel nucleo cometario possono essere stati esposti alla luce solare, provocando la rapida evaporazione delle sostanze volatili all’interno. Cosa ha causato davvero l’esplosione? “Sono fenomeni abbastanza comuni ma per ora non si può dire – ha spiegato ancora Guido -. L’esplosione sembra simile a quella della 17/P Homes nel 2007 anche se lì ci fu salto di un milione di volte luminosità. Alcuni pensano che potrebbe frammentarsi, ma è presto per dirlo. Dovremo continuare a osservarla e vedere come si evolverà questo outburst”.
25.10: “Space Debris: identificare i rifiuti spaziali con la Croce del Nord”.
Se siete interessati ad una data non ancora pubblicata, info e prenotazioni: 327 7672984
osservatorio@osservatoriocadelmonte.it
www.osservatoriocadelmonte.it
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