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Dostoevskij a Monte Palomar

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Dostoevskij a Monte Palomar

di Enrico Biava

Spettabile redazione di Coelum,

mi permetto di fare alcune critiche ad un vostro collaboratore che in un articolo sulle cosmologie alternative metteva a confronto in modo ingenuo e un po’ goffo l’astronomo Halton Arp con il filosofo Aristotele, basandosi sul semplice fatto che entrambi  sono sostenitori di un universo considerato esistente da sempre. Essere paragonato ad Aristotele, uno dei più grandi geni dell’umanità, è tuttavia motivo di orgoglio e non di vergogna come invece traspare dall’articolo del vostro collaboratore. Il filosofo greco infatti si è occupato, durante tutto il corso della sua vita di logica, di metafisica, di biologia, di politica, di etica e anche di fisica. Il paragone però non è dei più felici perché Aristotele, come tutti i pensatori vissuti in quell’epoca lunghissima che va dall’antica Grecia fino alla metà del XIX secolo, pensa alla scienza come a qualcosa di vero e incontrovertibile. Nel medesimo segno dell’incontrovertibilità viene pensato il sapere scientifico anche da Copernico, Galileo e Newton. “Hypotheses non fingo” affermava con forza lo scienziato inglese.

Arp invece è figlio della rivoluzione epistemologica che considera la scienza come una disciplina ipotetica e controvertibile. Da qui la cura che l’astronomo americano ha sempre avuto per il calcolo delle probabilità. E’ importante notare che ogni sua ipotesi scientifica è sempre stata accompagnata da un accurato calcolo statistico. E’ però necessario dire che non tutti gli scienziati contemporanei hanno accettato tale rivoluzione epistemologica. Per esempio, Stephen Hawking crede ancora oggi che la scienza sarà presto in grado di farci conoscere “la mente di Dio”. Gli stessi Albert Einstein e Fred Hoyle, scienziati così diversi tra loro, non pensavano affatto che le teorie scientifiche fossero delle congetture. Il raffinatissimo pensiero epistemologico di Arp è dovuto da una parte alla sua onestà intellettuale e scientifica, dall’altra agli studi da lui compiuti e al clima culturale che respirava in casa.

La prima volta che io andai a trovare Arp a Monaco di Baviera, mi stupì per la vastità della sua cultura nei diversi campi del sapere come la filosofia, l’arte, la musica e la letteratura. Sapendo egli che mi occupavo di filosofia, mi chiese cosa pensassi del libro di Percy Bridgman intitolato “la logica della fisica moderna” e fu molto felice quando seppe che io avevo un’alta considerazione di tale opera e più in generale della corrente “operazionista”. L’operazionismo infatti non crede che la scienza indichi la verità ma pensa che la prassi e l’operare scientifico costruiscano in modo congetturale il sapere umano.

Posso quindi affermare con cognizione di causa che Arp è l’unico uomo di scienza da me conosciuto in grado di possedere competenze filosofiche di vasto respiro. Egli è riuscito a cogliere il nocciolo di quella radicale rivoluzione realizzata dal cosiddetto “pensiero negativo” nel corso  del XIX e XX secolo.

Mi riferisco in primo luogo alla critica che pensatori diversissimi tra loro come Leopardi, Dostoevskij, Nietzsche e Mach hanno portato all’idea di verità incontrovertibile. Forse si tratta di un semplice caso, eppure Arp durante gli studi universitari compiuti a Harvard, aveva studiato a fondo il capolavoro di Fedor Dostoevskij “I fratelli Karamazov”. Dostoevskij lungo tutto il suo percorso culturale e letterario lottò con veemenza contro ciò che lui chiamava “il muro di pietra”, vale a dire l’idea che potesse esistere una verità incontrovertibile.

“Due più due uguale quattro è la morte” diceva il grande scrittore russo. “Due più due uguale quattro” smetteva di essere verità e diventava una semplice ipotesi di lavoro. Si può quindi affermare che Arp sia diventato per l’astronomia e per la cosmologia ciò che Dostoevskij e Nietzsche sono stati per la letteratura e per la filosofia. Mentre la stragrande maggioranza degli astronomi e dei cosmologi considera la legge di Hubble come un dogma, Arp al contrario considera tale legge un “muro di pietra” da abbattere. La rottura con l’idea di incontrovertibilità presente nel pensiero di Aristotele non potrebbe essere più radicale.

A proposito: la prassi consolidata di dividere gli scienziati e gli intellettuali tra ortodossi ed eretici è basata proprio sull’idea aristotelica di verità. Il rogo degli eretici non ci sarebbe mai stato senza questa idea. Il “muro di pietra” della verità incontrovertibile è la struttura su cui si basa quello che noi oggi chiamiamo “pensiero unico”.

Auguriamoci che la futura generazione di astronomi e di cosmologi sia in grado, come Arp è riuscito a fare, di cogliere la crisi interna al sapere scientifico e di riuscire a contrastare ogni forma di sapere assoluto.

Cordiali saluti,

Enrico Biava, co-curatore dell’edizione italiana di Seeing red

P.S. Il filosofo Friedrich Nietzsche affermava che non esistono “fatti” ma solo “interpretazioni”. Impedire la libera circolazione delle diverse interpretazioni privilegiandone una sola significa precipitare nel totalitarismo.

Il totalitarismo scientifico-cosmologico dei giorni nostri tende a promuovere un’interpretazione unica che pensa se stessa come verità. E se l’interpretazione diventa unica, essa cessa di essere interpretazione per diventare “il muro di pietra” di cui parlava Dostoevskij.

Un intelligente “allievo” di Nietzsche come Michel Foucault aveva capito che “il potere più che dall’esercizio repressivo-punitivo, trae la sua forza da meccanismi di censura e gratificazione in grado di avvalersi della connivenza dei sottomessi”. Tale analisi fenomenologica è validissima anche per la “microfisica del potere” presente nella prassi scientifica che oggi si attua sia nei grandi Osservatori astronomici che nelle piccole riviste specializzate.


Risposta di Alberto Cappi

Caro Sig. Biava,

la ringrazio per aver letto i miei articoli e per avermi inviato copia della sua lettera a Coelum.
Penso ci sia un equivoco: lei mi critica perché avrei paragonato “in modo ingenuo e un po’ goffo” Arp ad Aristotele. Le assicuro che il paragone non voleva essere irrispettoso. Ho, come lei, la massima stima di Aristotele, che è stato uno dei grandi geni della storia umana, e a riprova di ciò, e di cosa penso di certe affermazioni “filosofiche” di scienziati anche illustri, la invito a leggersi la mia recensione al libro di Hawking e Mlodinow, pubblicato sul Giornale di Astronomia e visualizzabile su questo sito.

Le assicuro anche che ho il massimo interesse e rispetto verso la filosofia, e la sua lettera presenta degli spunti interessanti su temi molto importanti e profondi. Mi lasci solo notare che a mio parere il “rogo degli eretici” non è una conseguenza dell’idea aristotelica di verità: pensando ad Ipazia, Giordano Bruno e tanti altri è chiaro che sono il fanatismo religioso e quello ideologico ad aver mietuto innumerevoli vittime.

Ma per quanto questi problemi siano profondi e interessanti, alla domanda se le galassie si trovino o no alla distanza che si deduce dal loro redshift assumendo che l’universo sia in espansione non possiamo rispondere attraverso la filosofia, ma solo attraverso il metodo scientifico. E tutte le numerose misure indipendenti confermano che le galassie si trovano alla distanza corrispondente al loro redshift: la legge di Hubble è dunque non un dogma ma un risultato delle osservazioni (benché nei modelli cosmologici relativistici sia effettivamente una conseguenza dell’ipotesi di omogeneità e isotropia dell’universo).

Le assicuro infine che l’idea di un totalitarismo scientifico-cosmologico è quanto di più lontano possa esserci dalla realtà dei fatti: credo non vi siano mai state in cosmologia tante ipotesi e teorie concorrenti come quelle che circolano attualmente (benché tutte riconoscano la validità della teoria del Big Bang).

Certo, nessuna teoria è mai definitiva e nessun sapere è assoluto, concordo con lei. Ma non tutti i saperi sono equivalenti o hanno uguale probabilità di rivelarsi corretti, e non vi può essere alcun progresso adottando quello che mi piace chiamare il “relativismo assoluto”. La Terra è sferica, non piatta, e le stelle non sono puntini luminosi attaccati ad una sfera celeste: non credo che neppure lei voglia mettere in discussione queste affermazioni. Ebbene, il fatto che più grande à il redshift, maggiore è la distanza di una galassia, è un’osservazione più complicata che richiede un bagaglio di conoscenze maggiore rispetto alle prove che la Terra è sferica: ma il “livello di incertezza” nei due casi, mi creda, è molto simile, anche se Arp non vuole ammetterlo.

La saluto cordialmente,

Alberto Cappi