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UAI: prossimi appuntamenti con gli astrofili e gli appassionati

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UAILa Commissione Ricerca e Studi dell’Unione Astrofili Italiani (UAI) promuove e coordina a livello nazionale le osservazioni dei corpi celesti e dei fenomeni astronomici più interessanti e le attività di ricerca amatoriale astronomica svolte dalla comunità astrofila, dando informazioni e supporto ai vari gruppi di ricerca e mantenendo stretti contatti di collaborazione con analoghi organismi di altre importanti associazioni all’estero e con i più qualificati professionisti del settore.

Le ricerche condotte dagli astrofili italiani si inseriscono spesso nell’ambito di programmi nazionali e internazionali di ampio respiro e sfociano nella pubblicazione di risultati di rilievo su prestigiose riviste scientifiche. Gli astrofili, citizen scientists per eccellenza, armati di passione, solide conoscenze scientifiche e di strumentazione astronomica all’avanguardia, contribuiscono quindi in maniera significativa all’avanzamento delle conoscenze in campo astronomico e rappresentano una preziosa risorsa per la comunità scientifica professionale e per l’intera collettività.

La Commissione Ricerca e Studi dell’UAI svolge un ruolo chiave nel favorire questo processo di costruzione del sapere scientifico tramite l’attività delle sue sezioni di ricerca, in prima linea nell’osservazione e nello studio dei corpi celesti. Ad oggi esistono dieci sezioni di ricerca, dedicate a: Sole e spaceweather, Luna, pianeti, asteroidi, comete, meteore, stelle variabili, profondo cielo, Radioastronomia, storia e Archeoastronomia. A capo della Commissione di Ricerca dell’UAI c’è l’esperto Salvo Pluchino (ricerca@uai.it), che ricopre anche il ruolo di Vicepresidente dell’Unione Astrofili Italiani.

I lavori delle Sezioni di Ricerca e i risultati conseguiti vengono illustrati nei meeting tematici, proposti durante l’anno dalla Commissione Ricerca UAI e riportati nel calendario astrofilo. I meeting tematici sono deputati anche allo scambio di informazioni, di procedure di lavoro e istruzioni operative e alla definizione dei prossimi obiettivi di ricerca. Si svolgono generalmente in location sparse sul territorio nazionale, fatta eccezione per i meeting tematici del 2020, i quali, causa emergenza sanitaria da Covid-19, si tengono online.

Nei mesi di settembre e ottobre sono previsti ben tre incontri tematici. Sabato 26 settembre è in programma il meeting “Sole – Luna – Pianeti” sulla piattaforma di webconference GoToMeeting. La stessa piattaforma ospiterà nelle mattine del 10 e 11 ottobre il meeting sulla Variabilità, previsto nell’ambito del 28° Convegno Nazionale del Gruppo Astronomia Digitale, e il 31 ottobre il Congresso di Radioastronomia, organizzato dalla Sezione di Ricerca “Radioastronomia UAI” e da IARA – Italian Amateur Radio Astronomy. I meeting tematici sono aperti alla partecipazione degli addetti ai lavori e di tutti gli astrofili interessati.

Le istruzioni per diventare socio dell’Unione Astrofili Italiani sono disponibili al seguente link: https://www.uai.it/sito/associazione/iscriviti-e-sostienici/
Al socio UAI sono offerte tante occasioni di crescita culturale, nonché la possibilità di aderire ai gruppi di ricerca per studiare gli astri sotto la guida di esperti e per dare il proprio contributo alla costruzione delle conoscenze scientifiche.

SOFIA conferma la presenza di acqua sulle superfici soleggiate della Luna

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Nell'illustrazione viene mostrato nel dettaglio il cratere Clavius, dove SOFIA ha trovato molecole di acqua sulla superficie illuminata dal Sole. In basso un'immagine dell'Osservatorio stratosferico per l'astronomia a infrarossi della NASA (SOFIA). Crediti: NASA / Daniel Rutter

Grazie alle osservazioni di SOFIA, lo Stratospheric Observatory for Infrared Astronomy della NASA, si è potuto confermare, per la prima volta, la persenza di acqua sulle superfici della Luna illuminate dal Sole. Fin’ora infatti si pensava si trovasse solo in quelle che vengono chiamate “trappole per il ghiaccio”, zone all’interno di crateri perennemente in ombra, dove le molecoe d’acqua non riescono a sfuggire per le basse e costanti temperature. Questa scoperta indica quindi che l’acqua può essere distribuita sulla superficie lunare e non limitata a pochi e freddi e ombreggiati luoghi. risultati sono stati pubblicati nell’ultimo numero di Nature Astronomy.

Il cratere Calvius, tratto da una elaborazione di immagini del Lunar Reconnaissance Orbiter, NASA.

SOFIA è l’Osservatorio volante della NASA. Viaggia a bordo di un Boeing 747SP modificato dal 2010, osservando il cielo da un punto di vista diverso sia degli Osservatori a Terra che dei Telescopi Spaziali. SOFIA ha potuto così rilevare molecole d’acqua (H2O) nel Cratere Clavius, uno dei più grandi crateri visibili dalla Terra, situato nell’emisfero meridionale della Luna, in prossimità del polo sud.

➜  Leggi anche Guida all’osservazione del Cratere Clavius

In precedenza era stata rilevata una qualche forma di idrogeno, ma non era stato possibile distinguere tra l’acqua e un suo parente chimico stretto, l’idrossile (OH).
«Avevamo indizi sul fatto che la molecola H2O – la familiare formula dell’acqua che conosciamo – potesse essere presente sulle zone soleggiate della Luna», spiega Paul Hertz, direttore della Divisione Astrofisica della Direzione della Missione Scientifica presso la sede della NASA a Washington. «Ora sappiamo che c’è. Questa scoperta mette alla prova la nostra comprensione della superficie lunare e solleva interrogativi intriganti su risorse rilevanti per l’esplorazione dello spazio profondo».

I dati provenienti da questo cratere rivelano una presenza di acqua in concentrazioni comprese tra 100 e 412 parti per milione – più o meno equivalenti a una bottiglia d’acqua da 35 cl –intrappolata in un metro cubo di terreno sparso sulla superficie lunare. A confronto, il deserto del Sahara ha una quantità d’acqua 100 volte superiore a quella rilevata da SOFIA nel suolo lunare, ma nonostante questo ci si chiede come venga creata e come possa persistere sull’arida superficie lunare, priva di un’atmosfera.

La patch della prima fase del programma Artemis.

Resta però da determinare se quest’acqua sia facilmente accessibile per essere utilizzata come risorsa. dato di fondamentale importanza per tutti i programmi di colonozizzazione della Luna, e ovviamente in particolare per il programma Artemis della NASA.

Le osservazioni di SOFIA, e i suoi risultati, poggiano su anni di ricerche che hanno esaminato la presenza di acqua sulla Luna.

Quando gli astronauti dell’Apollo tornarono per la prima volta dalla Luna nel 1969, si pensava che fosse completamente asciutta. Le missioni orbitali e di impatto negli ultimi 20 anni, hanno confermato la presenza di ghiaccio nei crateri in ombra perenne attorno ai poli della Luna. Nel frattempo, diverse sonde – tra cui le missioni Cassini e Deep Impact, nonché la missione Chandrayaan-1 dell’Indian Space Research Organisation e la struttura di telescopi a infrarossi della NASA a terra – hanno esaminato ampiamente la superficie lunare trovando prove di idratazione nelle regioni più soleggiate. Eppure quelle missioni non erano in grado di distinguere, in forma definitiva, la molecola in cui l’idrogeno era presente, se H2O o OH. Come dice Casey Honniball, l’autrice principale dello studio, la sua tesi di laurea presso l’Università delle Hawaii a Mānoa a Honolulu: «Non sapevamo quante, se ce ne fossero, se fossero effettivamente molecole d’acqua – come quella che beviamo ogni giorno – o se fossero qualcosa di più simile a un prodotto sturalavandini».

SOFIA, con questa scoperta,  ha fornito agli scienziati un nuovo modo per studiare la Luna. Volando ad altitudini fino a quasi 14 chilometri, il telescopio di 106 pollici di diametro si trova oltre al 99% del vapore acqueo dell’atmosfera terrestre, potendo così avere visione più chiara dell’universo a infrarossi.

Utilizzando la sua camera a infrarossi per oggetti deboli (FORCAST), SOFIA è stata in grado di rilevare la lunghezza d’onda specifica delle molecole d’acqua, a 6,1 micron, scoprendo così una concentrazione relativamente sorprendente nel soleggiato cratere di Clavius.

«Senza un’atmosfera densa, l’acqua sulla superficie lunare illuminata dal Sole dovrebbe andare persa nello spazio», spiega Honniball, borsista post-dottorato presso il Goddard Space Flight Center della NASA a Greenbelt, nel Maryland. «Eppure in qualche modo lo stiamo vedendo accadere. Qualcosa sta producendo acqua e qualcosa la sta intrappolando lì».

Le diverse forze in gioco in questo ruisultato potrebbero essere le micrometeoriti che piovono sulla superficie lunare, che trasportano e potrebbero depositare l’acqua sulla superficie lunare al momento dell’impatto, o un processo in due fasi in cui il vento solare fornisce idrogeno alla superficie lunare e provoca una reazione chimica con i minerali portatori di ossigeno nel suolo per creare idrossile. Nel frattempo, le radiazioni del bombardamento di micrometeoriti potrebbero trasformare quell’idrossile in acqua.

Ma come verrebbe poi immagazzinata quest’acqua, impedendole di evaporare?  L’acqua potrebbe essere intrappolata in minuscole strutture, a forma di piccole sfere, nel terreno,  formate dal calore elevato creato dagli impatti delle micrometeoriti. Un’altra possibilità è che l’acqua possa essere nascosta tra i granelli di terreno lunare e riparata dalla luce solare. questa seconda ipotesi potrebbe renderla potenzialmente più accessibile dell’acqua intrappolata in piccole sfere.

SOFIA generalmente non viene usata per osservare oggetti vicini come la Luna, ma è progettato per studiare oggetti lontani e deboli come buchi neri, ammassi stellari e galassie. La Luna è infatti così vicina e luminosa che riempirebbe l’intero campo visivo della fotocamera guida, con cui il telescopio individua l’oggetto da osservare tramite le stelle vicine. Senza questa guidanon era sicura che riuscisse a “mettere a fuoco” la superficie lunare. Nell’agosto 2018 hanno così deciso di fare una prova che non solo ha funzionato, ma ha anche generato il risultato che conosciamo oggi.

Naseem Rangwala, project scientist di SOFIA

«In effetti, era la prima volta che SOFIA guardava la Luna e non eravamo nemmeno completamente sicuri di ottenere dati affidabili, ma le domande sulla presenza di acqua sulla Luna ci hanno costretti a provarci», rivela Naseem Rangwala, project scientist di SOFIA presso l’Ames Research Center della NASA (in California). «È incredibile come questa scoperta sia nata da quello che era essenzialmente un test, e ora che sappiamo di poterlo fare, stiamo pianificando più voli per fare più osservazioni».

I voli di follow-up di SOFIA cercheranno l’acqua in ulteriori luoghi illuminati dal Sole e durante le diverse fasi lunari, per trovaer maggiori informazioni su come l’acqua viene prodotta, immagazzinata e spostata sulla superficie lunare. I dati si aggiungeranno al lavoro delle future missioni lunari, come il Volatiles Investigating Polar Exploration Rover (VIPER) della NASA , per creare le prime mappe delle risorse idriche della Luna per la futura esplorazione spaziale umana.

Nello stesso numero di Nature Astronomy, gli scienziati hanno pubblicato uno studio su modelli teorici e dati del Lunar Reconnaissance Orbiter della NASA ,  ipotizzando come l’acqua invece intrappolata in piccole ombre, dove le temperature rimangono sempre sotto lo zero, potrebbe trovarsi in più luoghi di quanto attualmente previsto.

«L’acqua è una risorsa preziosa, sia per motivi scientifici che per l’utilizzo da parte dei nostri esploratori», ha affermato Jacob Bleacher, chief explorist scientist per lo Human Exploration and Operations Mission Directorate della NASA. «Se possiamo usare risorse sulla Luna, allora possiamo trasportare meno acqua e più attrezzature per consentire nuove scoperte scientifiche».


OSIRIS-REx. Svolta con successo la manovra di touch-and-go

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Alle 19:50 ora italiana, la sonda ha acceso i suoi propulsori per uscire dall’orbita attorno a Bennu e avvicinarsi alla superficie. Dopo aver esteso il suo braccio robotico, TAGSAM (Touch-and-Go Sample Acquisition Mechanism), lungo 3,35 metri, ha iniziato una discesa di oltre 4 ore. Si è avvicinata a tal punto da lambire l’insidioso masso grande come un edificio, chiamato Mount Doom, per raggiungere il sito prescelto nell’emisfero settentrionale dell’asteroide, Nightingale. Intorno alle 00:12 ora italiana, TAGSAM è rimasto diversi secondi in contatto con la superficie dell’asteroide, smuovendone la superficie con un flusso di azoto per immagazzinare polvere e piccoli sassi prima che la sonda si allontanasse di nuovo. Dalle prime informazioni filtrate stamattina, il touchdown sarebbe avvenuto a soli 74 cm dal punto nominale previsto.

Se la raccolta dei campioni, nota come manovra Touch-and-Go (TAG) ha fornito materiale sufficiente, il team della missione ordinerà a OSIRIS-REx di stivare il prezioso carico per iniziare il viaggio di ritorno verso la Terra, dove arriverà nel 2023. L’obiettivo è di avere almeno 60 grammi di asteroide. Altrimenti, sarà programmato un secondo tentativo per il 12 gennaio 2021, nel sito di backup vicino all’equatore chiamato Osprey.

«Dopo oltre un decennio di pianificazione, il team è felicissimo del successo del tentativo di campionamento di oggi», ha detto Dante Lauretta, ricercatore principale di OSIRIS-REx presso l’Università dell’Arizona a Tucson. «Anche se abbiamo del lavoro da fare per determinare l’esito dell’evento, il successo del contatto, l’accensione del gas TAGSAM e l’allontanamento da Bennu, questi sono risultati importanti per noi. Non vedo l’ora di analizzare i dati per determinare la massa del campione raccolto».

 

La telemetria ricevuta indica che il TAGSAM è entrato correttamente in contatto con Nightingale. Il meccanismo ha quindi sparato gas di azoto per sollevare polvere e ciottoli dalla superficie, alcuni dei quali dovrebbero essere stati aspirati dal dispositivo di raccolta.
«È difficile esprimere a parole quanto sia stato emozionante ricevere la conferma che il veicolo spaziale ha toccato con successo la superficie e ha sparato gas», ha detto Michael Moreau, vice project manager di OSIRIS-REx presso il Goddard Space Flight Center della NASA nel Maryland . «Il team non vede l’ora di ricevere le immagini dell’evento TAG questa sera tardi e vedere come la superficie di Bennu ha risposto all’evento TAG».

Il filmato della manovra che arriverà nelle prossime ore, sarà la prima testimonianza di quanto materiale è stato raccolto. «Se TAG ha prodotto un disturbo significativo della superficie, probabilmente abbiamo raccolto molto materiale», ha detto Moreau.
Successivamente, il team cercherà di determinare la quantità del campione. Lo farà scattando foto della testa TAGSAM con la fotocamera SamCam, dedicata a documentare il processo di raccolta dei campioni. Un’indicazione indiretta sarà la quantità di polvere intorno alla testa del collettore. Gli ingegneri di OSIRIS-REx tenteranno anche di riprendere l’interno del raccoglitore, se le condizioni di illuminazione lo permetteranno, in modo da ottenere riscontro chiaro del materiale al suo interno.
Come ulteriore prova, si tenterà di determinare anche il cambiamento nel “momento di inerzia” della sonda per cercare di determinare se è presente una massa in più, seppur piccola.  Questa manovra viene eseguita estendendo il TAGSAM e facendo ruotare lentamente il veicolo spaziale attorno a un asse perpendicolare al braccio. Come una persona che gira con un braccio steso mentre tiene una corda con una palla attaccata all’estremità: la persona può percepire la massa della palla dalla tensione nella corda.

Se tutto sarà andato per il verso giusto, gli ingegneri ordineranno alla sonda di immagazzinare il campione. Quindi, il braccio robotico porterà la testa del raccoglitore nella Sample Return Capsule (SRC), situata nel corpo della navicella. Il SRC si chiuderà ed il veicolo spaziale si preparerà per la partenza da Bennu nel marzo 2021: questa sarà la prima occasione in cui Bennu sarà allineato correttamente con la Terra per un volo di ritorno più efficiente in termini di consumo di carburante.

Bennu si trova ora a 321 milioni di chilometri dalla Terra. Il team aveva comunicato alla sonda tutti i comandi necessari nella giornata di ieri e la manovra si è svolta in completa autonomia.

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Osiris-Rex. A mezzanotte circa, toccata e fuga sull’asteroide

Il sito primario di campionamento Nightingale sulla superficie dell’asteroide Bennu con l’illustrazione in scala del veicolo spaziale OSIRIS-REx. Crediti: Nasa/Goddard/University of Arizona.
Il sito primario di campionamento Nightingale sulla superficie dell’asteroide Bennu con l’illustrazione in scala del veicolo spaziale OSIRIS-REx. Crediti: Nasa/Goddard/University of Arizona.

Ci siamo. Nella notte fra martedì 20 e mercoledì 21 ottobre assisteremo al touch-and-go della missione Nasa Osiris-Rex. La sonda spaziale scenderà sulla superficie dell’asteroide Bennu a raccogliere un campione di materiale per poi riportarlo a Terra – un’impresa tentata (con successo) solo dalla sonda giapponese Hayabusa 2 con il prelievo di materiale dall’asteroide 162173 Ryugu nel 2019.

L’obiettivo della missione è recuperare un campione incontaminato di regolite carbonacea dalla superficie dell’asteroide, per rispondere a diverse domande sulla composizione e sulla formazione del Sistema solare.

Già dalle prime immagini ravvicinate della superficie di Bennu erano emersi dettagli sorprendenti: non una spiaggia sabbiosa come ci si aspettava in un primo momento ma una superficie rocciosa disseminata di massi delle dimensioni di una casa. Tutt’altro che una passeggiata, quindi.

Fin dal suo arrivo nei pressi dell’asteroide, il 3 dicembre 2018, Osiris-Rex ha fotografato e scansionato in lungo e in largo la sua superficie. Grazie a Ola, un altimetro laser, e la camera 3D PolyCam, sono state ottenute mappe della superficie con un livello di dettaglio mai raggiunto per qualsiasi altro corpo planetario visitato da una sonda spaziale. È grazie a queste mappe che è stato possibile individuare Nightingale (“usignolo”), il sito da cui verrà prelevato il campione del materiale.

Ecco cosa succederà

Poco prima delle ore 20 (ora italiana) si accenderanno i propulsori del veicolo spaziale per portare Osiris-Rex fuori dalla sua orbita attorno a Bennu e condurlo con grande precisione verso la superficie. Queste manovre daranno inizio a una sequenza di eventi meticolosamente pianificate dal team della missione.

Una volta iniziata la discesa verso il suo obiettivo, a guidare la navicella sarà la cosiddetta “mappa dei rischi”: una rappresentazione dettagliata del sito di campionamento con le aree che possono presentare un rischio per il veicolo spaziale, a causa della presenza di grandi rocce o terreno irregolare.

La mappa dei rischi del sito Nightingale sulla superficie di Bennu. Le aree verdi sono le zone ottimali per il touchdown, le aree rosse invece sono le più pericolose. Le zone più promettenti per la raccolta del materiale sono invece evidenziate in viola. Crediti: Nasa/Goddard/University of Arizona.

Poco prima del contatto con la superficie, il veicolo confronterà le immagini ottenute da una delle sue camere con la mappa archiviata nella sua memoria. Se il percorso di discesa portasse il veicolo spaziale ad atterrare in un punto potenzialmente pericoloso, il sistema si attiverebbe in automatico innescando un dietrofront. In base alla simulazioni questo scenario ha una probabilità di verificarsi inferiore al 6 per cento.

Se tutto andrà come previsto, la sonda estrarra il suo meccanismo di acquisizione dei campioni Tagsam (Touch-And-Go-Sample Acquisition Mechanism), agganciato all’estremità di un braccio lungo oltre tre metri. Tagsam – che ricorda vagamente il filtro dell’aria di una vecchia auto – è progettato per raccogliere materiale a grana fine ma è anche in grado di prelevare sassolini di quasi due centimetri. È inoltre capace di raccogliere una quantità di materiale di circa 150 grammi, e in condizioni ottimali potrebbe arrivare addirittura a 1,8 kg.

Il momento clou è previsto poco dopo la mezzanotte, alle 00:12 (ora italiana) del 21 ottobre. Il campione verrà raccolto nel corso di una manovra – chiamata, appunto, di touch-and-go – durante la quale il contatto con la superficie di Bennu durerà circa dieci secondi. Non appena la sonda rileverà l’avvenuto contatto con la superficie, si attiverà una delle tre bombole di azoto a bordo e, proprio come un grande aspirapolvere, il materiale – regolite – verrà sollevato dalla superficie  e aspirato al suo interno prima che la navicella arretri nuovamente. Lo strumento è dotato alla sua estremità anche di una sorta di “pastiglie appiccicose”: una serie di piccoli dischi progettati per raccogliere la polvere qualora non bastasse il potere aspirante dello strumento alimentato dal gas.

Il team monitorerà passo passo tutte le manovre di contatto con la superficie attraverso la camera dedicata proprio alle operazioni di campionamento, SamCam, una delle tre telecamere a bordo del veicolo spaziale. Grazie all’articolazione snodabile con cui SamCam è agganciata al braccio principale, i ricercatori potranno prendere in esame l’ambiente circostante da angolazioni diverse, riuscendo a osservare anche polvere o materiale su un’area del Tagsam diversa dall’estremità, per esempio sul braccio meccanico o sul rivestimento delle bombole del gas.

Dispiegamento del braccio di Tagsam, il “Touch-and-Go Sample Acquisition Mechanism” di Osiris-Rex. Còiccare sull

«Avremo un’ottima indicazione della posizione esatta del contatto con la superficie nel sito Nightingale e potremo confrontarla con la nostra mappa di campionamento, per valutare se siamo atterrati in un’area in cui è presente abbondante materiale campionabile o in una delle posizioni più rocciose», spiega il principal investigator della missione, Dan Lauretta, del Lunar and Planetary Laboratory dell’Università dell’Arizona.

Dopo aver valutato eventuali danni al veicolo e agli strumenti di raccolta a seguito del touch-and-go, il team di ricercatori trascorrerà circa una settimana a valutare la quantità di campione raccolto, utilizzando diversi metodi a partire da un’ispezione visiva. Con il braccio di campionamento esteso, il veicolo spaziale effettuerà una manovra di rotazione attorno a un asse perpendicolare a Tagsam per poter misurare la variazione di massa prima e dopo la raccolta.

«L’obiettivo è raccogliere almeno sessanta grammi effettivi di materiale», dice Lauretta. «Nel caso il quantitativo fosse inferiore, valuteremo con la Nasa lo stato del veicolo e la possibilità di effettuare un secondo touch and go».

In caso di risultato non soddisfacente, la navicella spaziale potrebbe infatti effettuare più tentativi di campionamento, poiché è dotata di tre bombole di azoto gassoso. Se per esempio dovesse atterrare in un luogo sicuro ma senza riuscire a raccogliere un campione sufficiente di materiale, si potrebbe ricorrere ad alcune misure di emergenza sviluppate dai ricercatori per garantire l’obiettivo scientifico primario della missione: raccogliere, appunto, almeno sessanta grammi di materiale dalla superficie di Bennu e portarlo a Terra. In questo caso, il veicolo spaziale sarebbe riportato in orbita e verrebbero effettuate una serie di manovre per rimetterlo in posizione adatta a un nuovo touch and go.

Se invece il campione raccolto dovesse andare bene, la capsula con il prezioso materiale verrà sigillata e preparata per il ritorno sulla Terra, previsto nel 2023.

Sarà possibile seguire l’evento in diretta a partire dalle 23 ora italiana di martedì 20 ottobre.

Tutte le news su Osiris-Rex e Bennu


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Tre giorni con Luna, Giove e Saturno

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Se avremo la pazienza di dedicare qualche minuto all’osservazione del cielo nelle serate dal 21 al 23 ottobre, in orario serale e molto comodo (le 20:30), guardando verso sud potremo godere di una magnifica visione celeste. Sarà molto facile riconoscere gli attori di questo spettacolo, in replica ormai da un paio di mesi: Luna, Giove e Saturno, impegnati nel loro balletto sul palcoscenico offerto dal teatro stellare del Sagittario.

Iniziamo la sera del 21 ottobre, quando una falce di Luna (fase del 21%) alta circa 11° sull’orizzonte di sudovest, sarà in compagnia delle brillanti stelle del Sagittario e in procinto di occultare (dal lembo oscuro) la stella Kaus Borealis (Lambda Sagittarii, mag. +2,8). L’occultazione inizierà alcuni minuti più tardi, alle 20:42 (consigliamo di trovare l’orario esatto per la propria località utilizzando un planetario software e appostarsi per l’osservazione almeno 10 minuti prima) e terminerà, con la riemersione della stella, alle 21:5, con la Luna e la stella prossime al tramonto, bassissime sull’orizzonte. Per fotografare l’occultazione si consiglia di spingere molto con gli ingrandimenti e servirà facilmente l’uso di un telescopio. Per l’osservazione visuale invece, oltre a poter apprezzare a occhio nudo il fenomeno, il consiglio è quello di sfruttare l’ingrandimento offerto da un buon binocolo.

Passiamo ora alla sera del 22 ottobre, sempre alle 20:30: la Luna (ora in fase del 41%) avrà compiuto un balzo in direzione di Giove (mag. – 2,2), abbandonando le brillanti stelle che compongono la “teiera” del Sagittario e portandosi a 2,8° a sudest del gigante gassoso. Si troverà inoltre a circa 7° a nordest di Nunki (Sigma Sagittarii; mag. +2,1). A questo incontro partecipa anche Saturno (mag. +0,1), situato a 2,8° a nordest della Luna e, in modo decisamente meno appariscente, anche il piccolo Plutone (mag. +14,4), che si troverà a 3° a nord della Luna.
Se Giove e Saturno, per non parlare della Luna ovviamente, cattureranno immediatamente la nostra attenzione, a occhio nudo, grazie alla loro brillantezza, non esiste speranza al mondo di poter scorgere Plutone, la cui magnitudine richiederà un telescopio di diametro generoso per poter essere rintracciato. Ci piace però sottolineare la sua presenza per sapere che, in realtà, stiamo osservando anche questo piccolo ma estremamente affascinante corpo celeste.

La sera del 23 ottobre, infine, la Luna (fase del 52%) si sarà portata oltre Saturno, a una distanza di 7,6° dal pianeta, posizionandosi a sudest di esso. Il meglio della congiunzione è passato ma quest’ultimo passaggio permette di completare il quadro che potrà essere ripreso fotograficamente sui tre giorni, componendo uno scatto unico in grado di mettere in evidenza il moto degli astri coinvolti.

Ovviamente, per l’ampiezza della porzione di cielo considerata, sarà necessario utilizzare obiettivi fotografici grandangolari, avendo cura di rendere originale il proprio scatto includendo elementi architettonici o naturali del paesaggio che ci circonda e, perché no, magari creare dei giochi con la composizione sfruttando geometrie o allineamenti particolari con gli oggetti paesaggistici.


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BepiColombo ha sorvolato Venere

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Selfie di BepiColombo con Venere alle spalle, scattato durante il flyby. Crediti: Esa/BepiColombo/Mtm

BepiColombo ha completato il primo flyby di Venere alle 5.58 di questa mattina, sorvolando il pianeta a una distanza di circa 10 720 km dalla superficie. Si tratta del primo dei due sorvoli del pianeta che saranno necessari per inserire la sonda nella corretta traiettoria verso Mercurio, obiettivo della sua missione.

Partito il 20 ottobre 2018, il programma è frutto della collaborazione tra l’Esa e l’agenzia giapponese Jaxa, ed è composto da due sonde: l’europea Mercury Planetary Orbiter (Mpo) e la giapponese Mercury Magnetospheric Orbiter (Mmo). Entrambe viaggiano a bordo di un modulo trasportatore, il Mercury Transfer Module (Mtm), che utilizzerà una combinazione di propulsione ionica e chimica in aggiunta a numerose spinte gravitazionali durante il lungo percorso. La missione ha visto il forte contributo dell’Italia che, grazie al supporto dell’Agenzia spaziale italiana (Asi) e al contributo scientifico dell’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf), ha realizzato 4 dei 16 tra strumenti ed esperimenti a bordo, oltre a una collaborazione internazionale. La sonda giungerà a destinazione a dicembre 2025, dopo sette anni di viaggio.

«Lo scorso 10 aprile BepiColombo ha effettuato il suo primo flyby intorno alla Terra per valutare le prestazioni e il funzionamento di tutta la sua strumentazione a bordo», ricorda Marilena Amoroso, responsabile Asi delle attività scientifiche degli strumenti italiani della sonda. «Il primo flyby intorno a Venere ci ha permesso di utilizzare alcuni degli strumenti a scopo scientifico in ambiente planetario. BepiColombo ha approcciato Venere dal lato illuminato del pianeta e per via della rotazione retrograda di Venere, la sonda si è trovata al momento del closest approach nel pomeriggio venusiano in tempo per attraversare il bow shock, ovvero il confine nel quale il vento solare cade bruscamente a contatto con la magnetopausa planetaria. Al momento del closest approach la sonda era distante 1.16 unità astronomiche dalla Terra e 0.71 dal Sole».

«Venere è un ambiente assai diverso da Mercurio, per il quale sono stati sviluppati gli strumenti a bordo, ma durante il sorvolo di oggi siamo riusciti a prendere misure con ben 12 strumenti», aggiunge Valeria Mangano dell’Inaf, coordinatrice del gruppo di lavoro Esa sui flyby di Venere della missione BepiColombo. «La traiettoria del flyby era perfetta per misurare tutte le regioni dell’ambiente magnetico di Venere, indotte dall’interazione tra Sole e pianeta. Inoltre, abbiamo effettuato misure dell’atmosfera, dalla composizione chimica alla dinamica e temperatura, insieme ad osservazioni coordinate delle sonde giapponesi Akatsuki, in orbita intorno a Venere, e Hisaki, in orbita intorno alla Terra, e di numerosi telescopi professionali e amatoriali da Terra».

I team dei vari strumenti sono ora al lavoro per elaborare i dati ottenuti dal sorvolo, mentre il gruppo operativo valuterà le prestazioni della sonda in attesa della correzione di routine della traiettoria, prevista per il prossimo 22 ottobre. Spingendosi fino ai limiti strumentali di Mertis, uno degli strumenti di bordo, i ricercatori cercheranno anche di rilevare la possibile presenza di fosfina, molecola avvistata recentemente nell’atmosfera di Venere e potenziale indizio di forme di vita microbica sospesa tra le nubi del pianeta.

«La configurazione del primo flyby è ottimale per le indagini dell’atmosfera, della ionosfera e della magnetosfera dell’ambiente vicino di Venere», continua Amoroso. «Gli strumenti a bordo come il magnetometro di Mmo, lo spettrometro Mertis e Phebus (strumento francese a partecipazione italiana), Mipa e Picam di Serena a pi-ship italiana, l’accelerometro italiano Isa e lo strumento More, anch’esso italiano, sono stati attivati durante tutta la cruise intorno a Venere per collezionare dati utili all’analisi scientifica in modo sinergico».

Il secondo sorvolo di Venere è in programma per il 10 agosto 2021, e questa volta la sonda effettuerà il passaggio intorno al pianeta con una configurazione diversa, avvicinandosi a Venere dal lato notturno e volando molto vicino alla superficie, a soli 552 chilometri di altezza. Una distanza così ravvicinata permetterà di rilevare altre informazioni con il supporto di tutta la strumentazione che andrà ad incrementare le conoscenze sul pianeta.

Guarda il servizio video su MediaInaf Tv:

Leggi anche

Lo speciale sull’ultima scoperta di fosfina tra le nubi di Venere, corredato con un’inchiesta tra gli esperti del settore, sul numero online di Coelum Astronomia.

 


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Associazione Tuscolana di Astronomia

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Per partecipare all’evento compilare il modulo al link presente nella pagina di ogni singolo evento.
Gli incontri si terranno presso il Parco Astronomico “Livio Gratton”, Via Lazio, 14 – Rocca di Papa (Roma).

Speciale spettacolo al Planetario alle ore 17:30 e 18:30 nei giorni 2, 3, 9, 16, 17, 18, 23 e 24 ottobre
Consulta il sito web www.ataonweb.it/wp/eventi per maggiori informazioni

Luna e Venere al mattino

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La mattina del 14 ottobre, alle ore 4:15 – un orario ancora una volta non proprio compatibile con i nostri cicli del sonno – guardando verso oriente, potremo notare due brillanti luci nel cielo del Leone sfiorare letteralmente l’orizzonte: sono la Luna (fase dell’11%) e il pianeta Venere (mag. –4,0).

La falce lunare si collocherà a 3° 16’ a ovest di Venere. L’orario indicato in cartina, le 5:00, oltre a lasciarci qualche minuto in più di riposo, consentirà di osservare con maggior comodità i due soggetti che, a circa 45 minuti di distanza dalla loro levata, avranno guadagnato un po’ di altezza sull’orizzonte, raggiungendo i 10° circa.

Complessivamente, si tratta di un bel quadretto astrale impreziosito dalla Luna in luce cinerea, dalla brillantezza di Venere e dalle stelle del Leone, tra le quali spicca per luminosità Regolo (Alfa Leonis, mag. +1,4).

Per riprendere fotograficamente questo incontro celeste avremo due opzioni: concentrarci su Luna e Venere, forzando quindi l’ingrandimento e centrando l’inquadratura sui due astri (ma ricordandoci di includere sempre qualche oggetto del paesaggio circostante) oppure riprendere più ad ampio campo la congiunzione. In quest’ultimo caso dovremo prediligere l’uso di focali corte, obiettivi grandangolari dunque, nel tentativo magari di riprendere anche le stelle del grande Leone che, ancora vicino all’orizzonte, ci apparirà “rampante” e ancora più grande e maestoso del solito.


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Venere: tracce di fosfina nei dati Pioneer 13

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Un gruppo di ricercatori, coordinato da Rakesh Mogul, biochimico della California State Polytechnic University, ha riesaminato i vecchi dati di archivio, rilevati dallo spettrometro di massa Large Probe Neutral Mass Spectrometer (LNMS) che era a bordo della sonda della NASA Pioneer Venus Multiprobe (PVM). Quest’ultima, nota anche come Pioneer Venus 2Pioneer 13, lanciò quattro sonde nell’atmosfera venusiana il 9 dicembre del 1978, raccogliendo campioni durante la discesa.

Crediti: Mogul et al, 2020

Gli scienziati hanno ora rielaborato i dati cercando quei composti che, semplicemente, erano stati ignorati nelle prime analisi pubblicate negli anni ’70 ed ’80 perché non si pensava potessero esistere su Venere.

Il team ha prima appurato il potere di risoluzione dello strumento, confrontando gli spettri di massa ottenuti per sostanze note con i rispettivi valori di riferimento. Successivamente, ha confermato la presenza di molecole nell’atmosfera venusiana aventi le stesse unità di massa atomica (amu) attese per la fosfina o il suo parente più stretto PH2.

«Troviamo che i dati LMNS supportano la presenza di fosfina. Anche se le origini del gas rimangono sconosciute», hanno scritto gli autori.

«Questa rivalutazione degli spettri di massa di Venere mostra la presenza del fosforo atomico come prodotto di frammentazione da un gas neutro. Inoltre, gli spettri indicano una possibilità allettante per la presenza di PH3, insieme ai suoi frammenti associati. … Sebbene le intensità dei picchi siano basse, sono forse coerenti con le abbondanze di ~20 ppb riportate da Greaves et al.».

I ricercatori ha anche identificato altri elementi che non dovrebbero esistere, secondo le nostri attuali conoscenze, nell’ossidato ambiente venusiano. Alcuni di essi potrebbero essere importanti biofirme, proprio come la fosfina: ossigeno biatomico, metano, ciclopropene, monossido di azoto, idrogeno biatomico, perossido di idrogeno.
«Riteniamo che questa sia un’indicazione di sostanze chimiche non ancora scoperte e / o potenzialmente favorevoli alla vita», conclude lo studio.

Leggi anche

Fosfina nell’atmosfera di Venere. Possibile indicatore della presenza di vita?

L’inchiesta con il parere degli esperti


Riflettori (e telescopi) puntati su Venere e Marte

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Osservatorio Astronomico Fondazione Clément Fillietroz

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Le visite guidate diurne e notturne per il pubblico all’Osservatorio Astronomico della Regione Autonoma Valle d’Aosta si terranno con le nuove modalità, nel rispetto delle indicazioni degli organi competenti per il contenimento della pandemia COVID-19. La prenotazione è obbligatoria sul sito scegliendo la visita guidata di interesse tra quelle disponibili. Le iniziative si svolgono all’aperto: i partecipanti devono rispettare le norme su distanziamento fisico e mascherine, inoltre si ricorda di indossare un abbigliamento adeguato all’altitudine (1.675 m)

13,14, 15.10: Evento speciale per l’opposizione di Marte e la Settimana del Pianeta Terra
Tutte le info qui: https://www.oavda.it
https://www.facebook.com/osservatorioastronomicovalledaosta

AstronomiAmo

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LocCoelum-Ottobre2020

LocCoelum-Ottobre2020Appuntamenti di Ottobre:
15 ottobre, ore 21:30: Una notte sotto il cielo di Atacama. Con Anita Zanella (INAF – Istituto Nazionale di Astrofisica)

Corsi di Astronomia:

Ottobre – Novembre: Galassie e AGN. Docente: Ivan Delvecchio (INAF)

Gennaio – Febbraio: Onde Gravitazionali. Docente: Pia Astone (La Sapienza)

Marzo – Aprile: Atmosfere Planetarie. Docente: Arianna Piccialli (Royal Belgian Institute for Space Aeronomy)

Aprile – Maggio: Accelerazione dell’Universo. Docente: Enrico Trincherini (SNS Pisa)

Tutte le informazioni su https://www.astronomiamo.it/

UAI: prossimi appuntamenti con gli astrofili e gli appassionati

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UAILa Commissione Ricerca e Studi dell’Unione Astrofili Italiani (UAI) promuove e coordina a livello nazionale le osservazioni dei corpi celesti e dei fenomeni astronomici più interessanti e le attività di ricerca amatoriale astronomica svolte dalla comunità astrofila, dando informazioni e supporto ai vari gruppi di ricerca e mantenendo stretti contatti di collaborazione con analoghi organismi di altre importanti associazioni all’estero e con i più qualificati professionisti del settore.

Le ricerche condotte dagli astrofili italiani si inseriscono spesso nell’ambito di programmi nazionali e internazionali di ampio respiro e sfociano nella pubblicazione di risultati di rilievo su prestigiose riviste scientifiche. Gli astrofili, citizen scientists per eccellenza, armati di passione, solide conoscenze scientifiche e di strumentazione astronomica all’avanguardia, contribuiscono quindi in maniera significativa all’avanzamento delle conoscenze in campo astronomico e rappresentano una preziosa risorsa per la comunità scientifica professionale e per l’intera collettività.

La Commissione Ricerca e Studi dell’UAI svolge un ruolo chiave nel favorire questo processo di costruzione del sapere scientifico tramite l’attività delle sue sezioni di ricerca, in prima linea nell’osservazione e nello studio dei corpi celesti. Ad oggi esistono dieci sezioni di ricerca, dedicate a: Sole e spaceweather, Luna, pianeti, asteroidi, comete, meteore, stelle variabili, profondo cielo, Radioastronomia, storia e Archeoastronomia. A capo della Commissione di Ricerca dell’UAI c’è l’esperto Salvo Pluchino (ricerca@uai.it), che ricopre anche il ruolo di Vicepresidente dell’Unione Astrofili Italiani.

I lavori delle Sezioni di Ricerca e i risultati conseguiti vengono illustrati nei meeting tematici, proposti durante l’anno dalla Commissione Ricerca UAI e riportati nel calendario astrofilo. I meeting tematici sono deputati anche allo scambio di informazioni, di procedure di lavoro e istruzioni operative e alla definizione dei prossimi obiettivi di ricerca. Si svolgono generalmente in location sparse sul territorio nazionale, fatta eccezione per i meeting tematici del 2020, i quali, causa emergenza sanitaria da Covid-19, si tengono online.

Nei mesi di settembre e ottobre sono previsti ben tre incontri tematici. Sabato 26 settembre è in programma il meeting “Sole – Luna – Pianeti” sulla piattaforma di webconference GoToMeeting. La stessa piattaforma ospiterà nelle mattine del 10 e 11 ottobre il meeting sulla Variabilità, previsto nell’ambito del 28° Convegno Nazionale del Gruppo Astronomia Digitale, e il 31 ottobre il Congresso di Radioastronomia, organizzato dalla Sezione di Ricerca “Radioastronomia UAI” e da IARA – Italian Amateur Radio Astronomy. I meeting tematici sono aperti alla partecipazione degli addetti ai lavori e di tutti gli astrofili interessati.

Le istruzioni per diventare socio dell’Unione Astrofili Italiani sono disponibili al seguente link: https://www.uai.it/sito/associazione/iscriviti-e-sostienici/
Al socio UAI sono offerte tante occasioni di crescita culturale, nonché la possibilità di aderire ai gruppi di ricerca per studiare gli astri sotto la guida di esperti e per dare il proprio contributo alla costruzione delle conoscenze scientifiche.

Nobel per la Fisica ai segreti più oscuri dell’universo

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Si chiamano Roger PenroseReinhard GenzelAndrea Ghez i due scienziati e la scienziata che oggi hanno ricevuto dall’Accademia svedese per le scienze il Premio Nobel per la Fisica 2020. Metà del premio va a Roger Penrose, che ha  sviluppato ingegnosi metodi matematici per esplorare la teoria della relatività generale di Albert Einstein e ha dimostrato che la teoria porta alla formazione dei buchi neri. L’altra metà va a Reinhard Genzel e Andrea Ghez, alla guida dei due team di ricerca che hanno scoperto il buco nero supermassiccio al centro della nostra galassia, utilizzando molti anni di osservazioni astronomiche di questa regione. È la quarta volta nella storia che il riconoscimento va a una donna.

Il 2020 è stato un anno unico nella storia del Premio Nobel. A causa della pandemia da coronavirus, la cerimonia di premiazione, tradizionalmente tenuta a Stoccolma, è stata sostituita da un evento online. Ricordiamo che l’ultima volta in cui la cerimonia di premiazione fu annullata è stato nel 1944 a causa della seconda guerra mondiale. Normalmente alla cerimonia di premiazione partecipano circa 90 persone, ma oggi erano meno di 30. Molti rappresentanti dei media l’hanno seguita da remoto.


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Accademia delle Stelle

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2020-10 Coelum AdS

2020-10 Coelum AdS Corsi di Astronomia

Si potranno seguire comodamente da casa e, se si perde la diretta, le lezioni saranno online a disposizione dei corsisti. Iscrizioni e riduzioni sul sito.

Astronomia pratica: Come si osserva il cielo, telescopi, binocoli, fotografia, montature e astroinseguitori, accessori e app per astronomia.
Astronomia sorprendente: Aneddoti storici, scoperte inaspettate, i colori degli astri, i record dell’universo, fotometeore, buchi neri e onde gravitazionali
Archeoastronomia: Monumenti allineati alle stelle, astronomia in letteratura, musica, arte, mito. Simboli e numeri celesti, astronomia antica e costellazioni

Per informazioni:
https://www.facebook.com/accademia.dellestelle
https://accademiadellestelle.org/

CICAP FEST EXTRA 2020

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Anche quest’anno torna il CICAP Fest, il Festival della scienza e della curiosità, in un’edizione – la terza – un po’ particolare, che ha dovuto fare i conti con il cambiamento, l’imprevisto e l’improbabile e rivedere i propri temi e le proprie modalità: la terza edizione del CICAP Fest si svolgerà quindi interamente online in un arco di 3 settimane e 4 weekend a partire da venerdì 25 settembre fino a domenica 18 ottobre: sul sito del CICAP Fest e sui canali social sarà possibile seguire un ricchissimo programma di eventi, molti dei quali in live streaming e alcuni con la partecipazione diretta del pubblico.
Oltre al tema classico caro al CICAP, ovvero l’analisi e la verifica di pseudoscienze e fake news, in un’ottica di dialogo con la società e di comprensione della complessità del fenomeno, il Festival ospiterà molti incontri con autori, scienziati, intellettuali (tra gli ospiti di quest’anno Piero Angela, Naomi Oreskes, Jim Al-Khalili, Alessandro Barbero, Stephan Lewandowsky, Paolo Nespoli, Antonella Viola, Carlo Cottarelli, Silvio Garattini, Pif, Luca Perri, Fabio Pagan, Adrian Fartade e tantissimi altri) nell’ambito della ricostruzione: che cosa questa epidemia ci ha insegnato sulla scienza e sulla società, quali problemi ha messo in luce e come possiamo porvi rimedio (per esempio in tema di sostenibilità ambientale, diseguaglianze e gender gap).
Come ogni anno, ci sarà spazio per stimolare la curiosità scientifica: divulgazione fatta con divertimento, perché la scienza è divertente.

Per saperne di più:
Video di presentazione dell’evento youtu.be/lhCszJxYZnU
www.cicapfest.itfacebook.com/CICAPfestinstagram.com/cicap_festwww.cicap.org

Due appuntamenti al mattino con Venere e Regolo, in congiunzione stretta, e Luna e Marte.

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Ottobre inizia con una congiunzione davvero spettacolare, soprattutto per la distanza davvero ravvicinata alla quale i due soggetti si troveranno reciprocamente. Alle 5:00 del mattino del 3 ottobre, il brillante pianeta Venere (mag. – 4,1) si troverà ad appena 12’ dalla stella Regolo (mag. +1,4), la stella Alfa della costellazione del Leone.

Un orario non proprio comodissimo, ma i due astri saranno sorti da appena un’ora e si troveranno alti circa 12° sull’orizzonte est: la distanza tra i due oggetti sarà così esigua da far quasi pensare che, per qualche strana ragione, Regolo abbia aumentato notevolmente la sua luminosità, donando all’imponente figura del Leone che sorge dall’orizzonte uno nuovo aspetto e vigore.

Questa congiunzione potrà essere apprezzata a occhio nudo oppure al binocolo o, ancora meglio, al telescopio, ovviamente a ingrandimenti non spinti. Sarà molto piacevole apprezzare la differenza di colore tra i due astri, cosa che risulterà facilitata dalla loro vicinanza reciproca. In fotografia, si consiglia di stringere l’inquadratura, verso le porzioni più elevate delle focali consentite dai nostri teleobiettivi. Per le riprese più ampie invece, senza esagerare, potrebbe essere un bel risultato riuscire a immortalare il grande Leone celeste con Venere “al posto” della sua stella principale.

Sempre la mattina del 3 ottobre, alle ore 6:00, la nostra “levataccia” (forse ci saremo rassegnati ad alzarci presto dal letto per ammirare anche la stretta congiunzione tra Venere e Regolo) sarà ripagata dalla visione di una seconda congiunzione piuttosto stretta, quasi dalla parte opposto dell’orizzonte. Verso ovest-sudovest, vedremo infatti la Luna, che ha appena sorpassato la fase di Piena (fase del 99%), e il Pianeta Rosso, arancione e splendente (mag. –2,5) fieramente diretto verso l’opposizione di metà mese.

La magnitudine di Marte sarà tale da riuscire a farsi spazio nel chiarore lunare, considerando che i due astri saranno separati di appena 1,4°. All’orario indicato, Marte e la Luna, abbracciati tra le flebili stelle dei Pesci, saranno alti circa 25° sull’orizzonte, diretti verso il loro tramonto, che però avverrà solo diverse ore più tardi, quando il cielo sarà già chiaro.

Potremo quindi attendere un po’, soprattutto se vogliamo registrare fotograficamente questo incontro, magari includendo elementi del paesaggio circostante nella nostra inquadratura, ma senza attardarci troppo: il Sole incombe e il cielo diviene rapidamente chiaro, se la Luna non teme troppo la luce, Marte sparirà ben più rapidamente tra le intense luci dell’alba.


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In trappola nella ragnatela del buco nero supermassiccio

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La rappresentazione artistica mostra il buco nero centrale e le galassie intrappolate dalla ragnatela di gas. Il buco nero, che insieme al disco che lo circonda viene chiamato: quasar SDSS J103027.09+052455.0, brilla luminoso mentre si ingozza della materia che lo circonda. Crediti: ESO/L. Calçada
La rappresentazione artistica mostra il buco nero centrale e le galassie intrappolate dalla ragnatela di gas. Il buco nero, che insieme al disco che lo circonda viene chiamato: quasar SDSS J103027.09+052455.0, brilla luminoso mentre si ingozza della materia che lo circonda. Crediti: ESO/L. Calçada

Con l’aiuto del VLT (Very Large Telescope) dell’ESO, alcuni astronomi hanno trovato sei galassie intorno a un buco nero supermassiccio osservato quando l’Universo aveva meno di un miliardo di anni. Questa è la prima volta in cui un raggruppamento così compatto è stato visto così in un tempo così lontano, dopo il Big Bang, e la scoperta ci aiuta a capire meglio come i buchi neri supermassicci, uno dei quali si trova al centro della nostra galassia, la Via Lattea, si siano formati e siano cresciuti fino alle odierne enormi dimensioni così velocemente. La scoperta viene infatti a suupporto della teoria secondo cui i buchi neri possono crescere rapidamente all’interno di grandi strutture, simili a ragnatele, che contengono gas in quantità sufficiente per alimentarli.

«La ricerca è stata guidata principalmente dal desiderio di comprendere alcuni degli oggetti astronomici più impegnativi: i buchi neri supermassicci nell’Universo primordiale. Questi sono sistemi estremi e fino a oggi non abbiamo trovato una spiegazione convincente della loro esistenza», afferma Marco Mignoli, astronomo presso l’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) di Bologna, Italia, e autore principale della nuova ricerca pubblicata oggi dalla rivista Astronomy & Astrophysics Letters.

Le nuove osservazioni effettuate con il VLT dell’ESO hanno rivelato diverse galassie che circondano un buco nero supermassiccio, tutte contenute da una “ragnatela” cosmica di gas che si estende fino a 300 volte le dimensioni della Via Lattea. «I filamenti della ragnatela cosmica sono proprio come i fili di una ragnatela», spiega Mignoli. «Le galassie si formano e crescono dove i filamenti si incrociano e i flussi di gas – che vanno ad alimentare sia le galassie che il buco nero supermassiccio centrale – possono scorrere lungo i filamenti».

Questo grafico mostra l’ubicazione di SDSS J103027.09+052455.0, un quasar alimentato da un buco nero supermassiccio circondato da almeno sei galassie, nella costellazione del Sestante. La mappa indica la maggior parte delle stelle visibili a occhio nudo in buone condizioni osservative: la posizione della struttura è indicata da un cerchio rosso. Crediti: ESO, IAU and Sky & Telescope

La luce proveniente da questa grande struttura simile a una ragnatela, con il suo buco nero da un miliardo di masse solari, ha viaggiato fino a noi da un tempo in cui l’Universo aveva solo 0,9 miliardi di anni. «Il nostro lavoro colloca un pezzo importante nel puzzle in gran parte incompleto della formazione e crescita di oggetti così estremi, ma relativamente abbondanti, tanto rapidamente dopo il Big Bang», aggiunge il coautore Roberto Gilli, anch’egli astronomo dell’INAF di Bologna, riferendosi ai buchi neri supermassicci

I primissimi buchi neri, che si pensa si siano formati dal collasso delle prime stelle, devono essere cresciuti molto velocemente per raggiungere masse di un miliardo di soli entro i primi 0,9 miliardi di anni di vita dell’Universo. Ma gli astronomi non riuscivano a spiegare come quantità sufficientemente grandi di “combustibile per buchi neri” avrebbero potuto essere disponibili per consentire a questi oggetti di crescere fino a dimensioni così grandi in così poco tempo. La nuova struttura offre una spiegazione ragionevole: la “ragnatela” e le galassie al suo interno contengono abbastanza gas per fornire il carburante di cui il buco nero centrale ha bisogno per diventare rapidamente un gigante supermassiccio.

Ma, in primo luogo, ci chiediamo come si sono formate strutture simili a una rete così grandi. Gli astronomi pensano che siano fondamentali gli aloni giganti della misteriosa materia oscura. Si ritiene che queste ampie regioni di materia invisibile attraggano enormi quantità di gas nell’Universo primordiale; insieme, il gas e la materia oscura invisibile formano le strutture simili a reti in cui le galassie e i buchi neri possono evolversi.

«La nostra scoperta dà sostegno all’idea che i buchi neri più distanti e massicci si formino e crescano all’interno di aloni massicci di materia oscura in strutture a larga scala e che l’assenza di precedenti rilevamenti di tali strutture fosse probabilmente dovuta a limitazioni delle osservazioni», suggerisce Colin Norman della Johns Hopkins University di Baltimora, negli Stati Uniti d’America e coautore dello studio.

L’immagine, costruita utilizzando i dati della DSS2 (Digitized Sky Survey 2), mostra il cielo intorno a SDSS J103027.09+052455.0, un quasar alimentato da un buco nero supermassiccio circondato da almeno sei galassie. Crediti: ESO/Digitized Sky Survey 2. Acknowledgement: Davide De Martin

Le galassie che ora vengono rilevate sono tra le più deboli che gli attuali telescopi possano osservare. Questa scoperta ha richiesto osservazioni di diverse ore con i più grandi telescopi ottici disponibili, tra cui il VLT dell’ESO. Utilizzando gli strumenti MUSEFORS2 installati sul VLT all’Osservatorio dell’ESO al Paranal, nel deserto cileno di Atacama, l’equipe ha confermato il collegamento tra quattro delle sei galassie e il buco nero. «Crediamo di aver visto solo la punta dell’iceberg e che le poche galassie scoperte finora intorno a questo buco nero supermassiccio siano solo le più luminose», conclude la coautrice Barbara Balmaverde, astronoma dell’INAF di Torino, Italia.

Questi risultati contribuiscono alla nostra comprensione di come si sono formati ed evoluti i buchi neri supermassicci e le grandi strutture cosmiche. L’ELT (Extremely Large Telescope) dell’ESO, attualmente in costruzione in Cile, sarà in grado di migliorare questa ricerca osservando molte altre galassie più deboli intorno a buchi neri massicci nell’Universo primordiale utilizzando i suoi potenti strumenti.

Ulteriori Informazioni

Questo risultato è stato presentato nell’articolo “Web of the giant: Spectroscopic confirmation of a large-scale structure around the z = 6.31 quasar SDSS J1030+0524” pubblicato da Astronomy & Astrophysics (doi: 10.1051/0004-6361/202039045).


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Torna Space Apps a Napoli

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Space Apps

Space AppsSarà un weekend dedicato alla tecnologia spaziale e alle sue applicazioni terrestri, e i partecipanti lavoreranno in gruppo a diverse sfide, proponendo soluzioni innovative per vincere il titolo di Galactic Problem-Solver.
Ci sono due grandi novità: Space Apps sarà completamente virtuale. Tutti gli eventi locali, incluso quello di Napoli, si svolgeranno esclusivamente online per garantire la salute e la sicurezza della comunità globale. L’altra novità è la partecipazione dell’INAF – Osservatorio di Capodimonte: la più antica istituzione scientifica partenopea si aggiunge alla famiglia dei partner locali, che anche quest’anno confermano la propria attività nell’organizzazione assieme al Consolato degli Stati Uniti a Napoli, il Dipartimento di Ingegneria Industriale dell’Università di Napoli Federico II (DII), l’Istituto per il Rilevamento Elettromagnetico dell’Ambiente (IREA-CNR), e il Center for Near Space (CNS) dell’Italian Institute for the Future.

Tutti i dettagli sull’evento e il link per l’iscrizione sono disponibili sul sito: https://2020.spaceappschallenge.org/locations/naples

Science in the City Festival – Trieste

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Trieste. Science and City Festival ha accompagnato ESOF 2020 prima, durante e dopo la manifestazione (è iniziato a luglio ed è in programma fino ad autunno inoltrato).  Gli eventi, sia online che in presenza richiedono la registrazione.
Tra i prossimi appuntamenti segnaliamo il 2 ottobre la conferenza “Meteoriti antartiche: un tesoro per le scienze planetarie” e fino all’11 ottobre la mostra a cura di magazzinodelleidee.it “XTREME: Vivere in ambienti estremi”: Speleologia, Astrobiologia, Antartide. Tre mondi apparentemente distanti legati dalla straordinaria capacità della vita di sopravvivere in condizioni estreme. Una mostra speciale sulle peculiarità di questi ambienti, su come la nostra specie si possa adattare per esplorarli, e su come la vita possa prosperare anche in scenari ostili.
Nei siti di riferimento il programma completo: scienceinthecity2020.eu

Il Cielo di Ottobre 2020

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La cartina mostra l'aspetto del cielo alle ore (TMEC): 1 Ott > 23:00; 15 Ott > 22:00; 30 Ott > 20:00. Crediti Coelum Astronomia CC-BY

Indice dei contenuti

EFFEMERIDI

Luna

Sole e Pianeti

All’inizio della notte astronomica l’asterismo del “Triangolo Estivo” sarà ancora alto nel cielo, anche se in procinto di cedere la regione zenitale al grande quadrato di Pegaso. Il Boote si starà dirigendo pigramente verso il tramonto mentre l’Ercole lo segue, lasciandoci ancora la possibilità di osservare il suo magnifico ammasso globulare, M 13. A nordest si potrà seguire l’ascesa della coppia Perseo-Cassiopea, con la sua inconfondibile forma a “W”, e il sorgere della brillantissima Capella, con le “tre caprette”, segna la levata dell’Auriga. Faranno poi capolino sull’orizzonte le stelle del Toro, con l’arancione Aldebaran, che assieme alle Pleiadi rappresentano le avanguardie del cielo invernale

➜ continua sul Cielo di Ottobre 2020

e approfondisci con il Cielo di ottobre con la UAI: Viaggio verso M 31

Ora Solare

È da ricordare, per il corretto uso delle effemeridi, che alle ore 3:00 di domenica 25 ottobre finirà il periodo dell’ora legale estiva (TU+2) ed entrerà in vigore l’ora solare (TU+1). Bisognerà pertanto portare indietro le lancette degli orologi alle ore 2:00.

COSA OFFRE IL CIELO

Marte è finalmente nel mese della sua opposizione, l’istante esatto sarà nella notte tra il 13 e il 14 ottobre, poco dopo la mezzanotte (per la precisione alle 1:20 del giorno 14, ora locale) ma non è tanto quello che conta, quanto che in queste settimane sarà alto in cielo e al suo meglio. In questo nuovo numero di Coelum Astronomia trovate dunque uno Speciale dedicato al pianeta, con tante curiosità sulle domande ancora aperte che lo riguardano, un viaggio nella geologia di quelle sue caratteristiche e particolari che vediamo nelle riprese e nelle osservazioni da Terra e tutti i consigli per l’osservazione e la ripresa su…

➜  L’opposizione di Marte del 14 ottobre 2020 in collaborazione con la UAI

E come sempre non dimenticate i consigli dati nelle precedenti opposizioni!

Venere invece lo potremo ancora ammirare alto e brillantissimo nel cielo del mattino. Forse le nuove attenzioni dovute alla scoperta di fosfina (che potrebbe essere indizio di vita microbica) nella sua atmosfera ci faranno guardare con ancora maggior ammirazione questo bellissimo pianeta.

Giove e Saturno continuano il loro viaggio nel cielo della sera tramontando sempre prima, quindi visibili nella prima parte della notte, ma sempre brillanti e diretti verso la loro minima distanza.

Per Mercurio, che questo mese non è decisamente al meglio, e i pianeti più lontani, Urano e Nettuno (ricordiamo che per osservarli è necessario uno strumento), i pianeti nani e gli asteroidi trovate tutti i dettagli come sempre su:

➜  il Cielo di Ottobre all’interno del nuovo numero (sempre in formato digitale e gratuito).


La Luna

Mese dopo mese siamo arrivati anche a ottobre caratterizzato da due pleniluni, precisamente nelle serate di apertura e di chiusura del mese, al secondo dei quali la tradizione assegna la definizione di “Luna Blu”, anche se ben lungi dall’eccessivo clamore mediatico sempre presente in tutte le variegate modalità in cui la nostra sempre bellissima Luna Piena si mostra all’appuntamento serale. Tanto più che stavolta non si potrà nemmeno parlare di “Super” Luna in quanto i due pleniluni di ottobre si verificheranno col nostro satellite alla distanza di 401.454 km e 407.872 km rispettivamente, quindi si tratterà di una quas “Mini Luna Blu” (leggi anche “Guarda che Luna Super!” su Coelum Astronomia 218).

Vediamo dunque con Francesco Badalotti quali formazioni ammirare per ogni fase, quali le zone solitamente nascoste sono interessate dalle principali librazioni e prosegue il viaggio tra le principali formazioni della nostra Luna dal settore sudest verso nord, nei giorni 5 e 6 ottobre oppure la sera del 23 ottobre.

Per quanto riguardainvece l’altro aspetto della Luna, con la sua luce cinerea e le sottili falci l’appuntamento è nella seconda parte della notte e prima dell’alba dal 14 (accompagnata da Venere) al 16 ottobre e, dopo il Novilunio, la sera dal 17 al 19 ottobre.

E ancora su Coelum astronomia 248

➜ Comete. Howell e Atlas nel cielo di ottobre

➜ Leggi le indicazioni di Giuseppe Petricca sui principali passaggi della ISS (N.B. Attenzione! Dopo la stesura dell’articolo è stata fatta una correzione dell’orbita della Stazione Spaziale, le date indicate non sono quindi più valide, si consiglia di controllare sul sito Heavens-Above, inserendo la propria località).

➜ Supernovae: Le tre supernovae nella galassia NGC 819

e il Calendario di tutti gli eventi di ottobre 2020, giorno per giorno con l’immagine di fondo dedicata alla nuova ripresa, del telescopio spaziale Hubble, delle colorate stelle dell’ammasso NGC 1805, con la loro luce intensificata dalle riprese nella banda di spettro dal vicino ultravioletto al vicino infrarosso.

Hai compiuto un’osservazione? Condividi le tue impressioni, mandaci i tuoi report osservativi o un breve commento sui fenomeni osservati: puoi scriverci a segreteria@coelum.com. E se hai scattato qualche fotografia agli eventi segnalati, carica le tue foto in PhotoCoelum!


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Associazione Tuscolana di Astronomia

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Per partecipare all’evento compilare il modulo al link presente nella pagina di ogni singolo evento.
Gli incontri si terranno presso il Parco Astronomico “Livio Gratton”, Via Lazio, 14 – Rocca di Papa (Roma).

01.10, ore 18:45: “Radiazione cosmica di fondo: l’Universo di precisione” di Paolo De Bernardis
Speciale spettacolo al Planetario alle ore 17:30 e 18:30 nei giorni 2, 3, 9, 16, 17, 18, 23 e 24 ottobre
Consulta il sito web www.ataonweb.it/wp/eventi per maggiori informazioni

UAI: prossimi appuntamenti con gli astrofili e gli appassionati

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UAI

UAILa Commissione Ricerca e Studi dell’Unione Astrofili Italiani (UAI) promuove e coordina a livello nazionale le osservazioni dei corpi celesti e dei fenomeni astronomici più interessanti e le attività di ricerca amatoriale astronomica svolte dalla comunità astrofila, dando informazioni e supporto ai vari gruppi di ricerca e mantenendo stretti contatti di collaborazione con analoghi organismi di altre importanti associazioni all’estero e con i più qualificati professionisti del settore.

Le ricerche condotte dagli astrofili italiani si inseriscono spesso nell’ambito di programmi nazionali e internazionali di ampio respiro e sfociano nella pubblicazione di risultati di rilievo su prestigiose riviste scientifiche. Gli astrofili, citizen scientists per eccellenza, armati di passione, solide conoscenze scientifiche e di strumentazione astronomica all’avanguardia, contribuiscono quindi in maniera significativa all’avanzamento delle conoscenze in campo astronomico e rappresentano una preziosa risorsa per la comunità scientifica professionale e per l’intera collettività.

La Commissione Ricerca e Studi dell’UAI svolge un ruolo chiave nel favorire questo processo di costruzione del sapere scientifico tramite l’attività delle sue sezioni di ricerca, in prima linea nell’osservazione e nello studio dei corpi celesti. Ad oggi esistono dieci sezioni di ricerca, dedicate a: Sole e spaceweather, Luna, pianeti, asteroidi, comete, meteore, stelle variabili, profondo cielo, Radioastronomia, storia e Archeoastronomia. A capo della Commissione di Ricerca dell’UAI c’è l’esperto Salvo Pluchino (ricerca@uai.it), che ricopre anche il ruolo di Vicepresidente dell’Unione Astrofili Italiani.

I lavori delle Sezioni di Ricerca e i risultati conseguiti vengono illustrati nei meeting tematici, proposti durante l’anno dalla Commissione Ricerca UAI e riportati nel calendario astrofilo. I meeting tematici sono deputati anche allo scambio di informazioni, di procedure di lavoro e istruzioni operative e alla definizione dei prossimi obiettivi di ricerca. Si svolgono generalmente in location sparse sul territorio nazionale, fatta eccezione per i meeting tematici del 2020, i quali, causa emergenza sanitaria da Covid-19, si tengono online.

Nei mesi di settembre e ottobre sono previsti ben tre incontri tematici. Sabato 26 settembre è in programma il meeting “Sole – Luna – Pianeti” sulla piattaforma di webconference GoToMeeting. La stessa piattaforma ospiterà nelle mattine del 10 e 11 ottobre il meeting sulla Variabilità, previsto nell’ambito del 28° Convegno Nazionale del Gruppo Astronomia Digitale, e il 31 ottobre il Congresso di Radioastronomia, organizzato dalla Sezione di Ricerca “Radioastronomia UAI” e da IARA – Italian Amateur Radio Astronomy. I meeting tematici sono aperti alla partecipazione degli addetti ai lavori e di tutti gli astrofili interessati.

Le istruzioni per diventare socio dell’Unione Astrofili Italiani sono disponibili al seguente link: https://www.uai.it/sito/associazione/iscriviti-e-sostienici/
Al socio UAI sono offerte tante occasioni di crescita culturale, nonché la possibilità di aderire ai gruppi di ricerca per studiare gli astri sotto la guida di esperti e per dare il proprio contributo alla costruzione delle conoscenze scientifiche.

Accademia delle Stelle

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2020-10 Coelum AdS Corsi di Astronomia

Si potranno seguire comodamente da casa e, se si perde la diretta, le lezioni saranno online a disposizione dei corsisti. Iscrizioni e riduzioni sul sito.

Astronomia pratica: Come si osserva il cielo, telescopi, binocoli, fotografia, montature e astroinseguitori, accessori e app per astronomia.
Astronomia sorprendente: Aneddoti storici, scoperte inaspettate, i colori degli astri, i record dell’universo, fotometeore, buchi neri e onde gravitazionali
Archeoastronomia: Monumenti allineati alle stelle, astronomia in letteratura, musica, arte, mito. Simboli e numeri celesti, astronomia antica e costellazioni

Per informazioni:
https://www.facebook.com/accademia.dellestelle
https://accademiadellestelle.org/

26 settembre. La Notte della Luna dall’Italia, dalla Svizzera e dalla Namibia

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La Notte della Luna (InOMN – International Observe the Moon Night) – sponsorizzato dalla missione Lunar Reconnaissance Orbiter della NASA e dalla Solar System Exploration Division presso il Goddard Space Flight Center della NASA) – del prossimo 26 settembre, ospiterà un evento internazionale promosso dalla NASA che ha lo scopo di far conoscere il nostro satellite al grande pubblico.

L’edizione del 2019, quindi in epoca pre-COVID, ha coinvolto quasi 2000 luoghi e punti di osservazione in tutto il mondo. La pandemia che ha investito il mondo, ha indotto gruppi e associazioni, a proporre i loro eventi sul web, e questo è pure il nostro caso, con una diretta che avrà il titolo di: La notte della Luna dall’Italia, dalla Svizzera e dalla Namibia, con collegamenti ad alcuni luoghi straordinari. Ecco i quattro collegamenti della serata:

HAKOS FARM – Namibia,
OSSERVATORIO CALINA, Svizzera,
VIRTUAL TELESCOPE,
SOCIETA’ ASTRONOMICA LUNAE,

Da queste località, esperti di astronomia racconteranno la Luna in diretta, attraverso potenti telescopi. Del nostro satellite si parlerà dal punto di vista scientifico, storico, mitologico.

Per seguire la diretta:

via Youtube →  bit.ly/LaNottedellaLuna

via Facebook →  bit.ly/lanottedellaluna_2020

Così, dalla Namibia, il collegamento sarà con la Hakos Farm (la Hakos, localizzata nei pressi dell’incredibile altopiano Gamsberg, accoglie numerosi telescopi sotto un cielo splendido), ed essendo nei pressi del Tropico del Capricorno, in questo periodo la Luna sarà in prossimità dello zenit mentre alle latitudini europee la sua altezza sull’orizzonte non andrà oltre i 20°.

L’Associazione Astronomica Lunae ha sede in Lunigiana, nei pressi dell’antica città romana di Luni, la “Città della Luna”. La storia di questa città sarà raccontata da Roberto Zambelli e dal personale della sovrintendenza archeologica che gestisce il sito archeologico di Luni, attraverso un video appositamente realizzato.

Il Virtual Telescope Project è un set molto potente di telescopi robotici reali, accessibili da remoto online, tramite Internet. È gestito dall’astrofisico e divulgatore Gianluca Masi, che opera via web ormai da oltre un decennio, con risultati di assoluta rilevanza divulgativa e scientifica.

L’Osservatorio Calina è stato inaugurato nel 1960 grazie all’impegno della signora Lina Senn, originaria del Canton S.Gallo. Dal 1960 in Osservatorio si sono avvicendati per più di vent’anni tantissimi appassionati dalla Svizzera interna, dalla Germania, e dall’Europa Alla fine degli anni 70, alla morte della signora Senn il municipio di Carona acquistò dagli eredi l’Osservatorio e si appoggiò alla Società Astronomica Ticinese per aprire la struttura alla popolazione ticinese. Oggi è una struttura pubblica gestita dall’Associazione che può contare, tra gli altri, sull’attività divulgativa di Fausto Delucchi e Francesco Fumagalli.

In conclusione della serata commenti e discussione da parte di personalità del mondo della scienza e della cultura in tavola rotonda.

ORGANIZZATORI E PARTECIPANTI ALL’EVENTO:
Rodolfo Calanca,  www.eanweb.com
Paolo Conte,  www.progettotheia.comwww.radio3scienza.rai.it
Gianluca Alo’,  https://www.facebook.com/EventiAstronomia
Petter Johannesen, console della Namibia in Italia,  info@lanamibia.it
Paolo Bassi, corrispondente dalla Namibia
Hakos Farm – Namibia,  https://www.hakos-astrofarm.com/en/
Gianluca Masi, Virtual Telescope,  https://www.virtualtelescope.eu/
Francesco Fumagalli, Osservatorio Calina, Svizzera,  https://www.astrocalina.ch/
Roberto Zambelli, Associazione Astronomica Lunae,  http://www.astrolunae.it/
Valeria Tienghi, Air Namibia Consultant

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Luna, Giove e Saturno, nuovo atto!

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Nei giorni 24 e 25 settembre si verificherà una classica congiunzione tra Luna e pianeti: nello specifico i protagonisti sono i due maggiori pianeti del Sistema Solare, ossia Giove (mag. –2,4) e Saturno (mag. +0,4).

Iniziamo la sera del 24 settembre, alle ore 23:00 circa: nella regione del cielo del Sagittario, osservabile verso sudovest, a una altezza di circa 14°, sarà facile riconoscere Giove, che ci apparirà come una stella molto brillante, seguita, a poca distanza più in direzione sud, da Saturno. La Luna (fase del 58%) si troverà a 6° e mezzo a sudest di Giove, ponendosi ad appena 1,7° a ovest della stella Nunki (Sigma Sagittarii, mag. +2,1), una delle brillanti stelle del Sagittario che compongono la celebre forma a “teiera”, che ci apparirà decisamente declinante verso l’orizzonte.

Il giorno seguente, il 25 settembre sempre alle ore 23:00, potremo notare lo spostamento della Luna (fase del 69%), che si sarà portata più in prossimità di Saturno, sorpassando Giove. La separazione sarà di circa 3° con il nostro satellite naturale che si troverà a sudest del pianeta con l’anello. Si tratta di una congiunzione piacevole da osservare a occhio nudo e interessante da fotografare, inevitabilmente ad ampio campo, avendo l’accortezza di impreziosire l’inquadratura con elementi del paesaggio che sappiano arricchire l’immagine e fare da giusto contorno ai soggetti celesti.

Considerando che avremo a che fare con astri molto luminosi, ci sarà anche l’occasione di giocare un po’ con i soggetti inventandosi magari qualche interessante allineamento prospettico con gli oggetti paesaggistici.

Per concludere, aggiungiamo che, in realtà, c’è un altro protagonista nella congiunzione, un altro attore primario ma che passa decisamente inosservato: Plutone. Situato a due terzi circa di distanza sulla congiungente Giove-Saturno (più vicino a quest’ultimo), il piccolo pianeta nano sarà lì, assolutamente invisibile a occhio nudo (e molto difficile da scorgere anche al telescopio), ma pur sempre presente! Anche se non apparirà nei nostri scatti fotografici, sappiamo che il remoto corpo celeste sarà in qualche modo incluso nelle nostre immagini!

Il 23 settembre, è anche una delle serate (assieme al giorno 22) consigliate per l’osservazione delle formazioni lunari per questo mese.

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Associazione Tuscolana di Astronomia

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Per partecipare all’evento compilare il modulo al link presente nella pagina di ogni singolo evento. Gli incontri si terranno presso il Parco Astronomico “Livio Gratton”, Via Lazio, 14 – Rocca di Papa (Roma)

26.09, ore 20:15 e 21:30: Notte della Luna
Consulta il sito web www.ataonweb.it/wp/eventi per maggiori informazioni

Origine vulcanica per le antiche rocce di Venere

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Una vista simulata dall’alto di Tellus Tessera, una delle regioni su Venere dove Byrne et al. hanno identificato la presenza di stratificazioni. L’immagine è generata a partire dai dati della missione Magellano della Nasa. Crediti: Nasa, Byrne et al.
Una vista simulata dall’alto di Tellus Tessera, una delle regioni su Venere dove Byrne et al. hanno identificato la presenza di stratificazioni. L’immagine è generata a partire dai dati della missione Magellano della Nasa. Crediti: Nasa, Byrne et al.

Un team internazionale di ricercatori ha scoperto che alcuni dei terreni più antichi di Venere, noti come tesserae – o tessere, dal termine latino che indica il tassello di un mosaico – hanno una stratificazione che sembra coerente con l’attività vulcanica. La scoperta potrebbe fornire approfondimenti sulla storia geologica dell’enigmatico pianeta.

Le tessere sono regioni tettonicamente deformate sulla superficie di Venere che sono spesso più elevate del paesaggio circostante. Costituiscono circa il 7 per cento della superficie del pianeta e sono sempre la caratteristica più antica nelle loro immediate vicinanze, risalenti a circa 750 milioni di anni fa. In un nuovo studio apparso su Geology, i ricercatori mostrano che una porzione significativa delle tessere presenta striature coerenti con una stratificazione.

«Ci sono generalmente due spiegazioni per le tessere: o sono fatte di rocce vulcaniche, oppure sono controparti della crosta continentale terrestre», afferma Paul Byrne, professore associato di scienze planetarie presso la North Carolina State University e primo autore dello studio. «Ma la stratificazione che troviamo su alcune tessere non è coerente con la spiegazione della crosta continentale».

Il team ha analizzato le immagini della superficie di Venere dalla missione Magellano della Nasa del 1989, che ha utilizzato il radar per fotografare il 98 per cento del pianeta attraverso la sua densa atmosfera. Mentre i ricercatori hanno studiato le tessere per decenni, prima di questo lavoro la stratificazione delle tessere non era stata riconosciuta come diffusa. E, secondo Byrne, quella stratificazione non sarebbe possibile se le tessere fossero porzioni di crosta continentale. «La crosta continentale è composta principalmente da granito, una roccia ignea che si forma quando le placche tettoniche si muovono e l’acqua viene subdotta dalla superficie», spiega Byrne. «Ma il granito non forma strati. Se c’è una crosta continentale su Venere, allora è sotto le rocce stratificate che vediamo».

«A parte l’attività vulcanica, l’altro modo per creare roccia stratificata è attraverso depositi sedimentari, come arenariacalcare. Non c’è un solo posto oggi su Venere in cui questo tipo di rocce potrebbe formarsi. La superficie di Venere è calda come un forno autopulente e la pressione è equivalente a quella che si trova a 900 metri sott’acqua. Quindi le prove in questo momento indicano che alcune parti delle tessere sono costituite da roccia vulcanica stratificata, simile a quella trovata sulla Terra».

Byrne spera che lo studio aiuterà a far luce sulla complicata storia geologica di Venere. «Sebbene i dati che abbiamo ora indicano che le tessere hanno origini vulcaniche, se un giorno fossimo in grado di campionarle e scoprissimo che sono rocce sedimentarie, allora si sarebbero dovute formare quando il clima era molto diverso – forse simile a quello sulla Terra» conclude Byrne. «Venere oggi è infernale, ma non sappiamo se è sempre stato così. Forse una volta era come la Terra, ma ha subito catastrofiche eruzioni vulcaniche che hanno rovinato il pianeta. Al momento non possiamo dirlo con certezza, ma il fatto della stratificazione nelle tessere restringe le potenziali origini di questa roccia».

Per saperne di più:


Meraviglie del cielo!

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La notte della Luna

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InOMN

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Notte della Luna 2020, tutte le iniziative delle Delegazioni dell’UAI

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La Luna non avrà più segreti. Torna l’International Observe the Moon Night, l’attesa iniziativa mondiale dedicata alla scoperta e all’osservazione del nostro meraviglioso satellite naturale, in programma – quest’anno – sabato 26 settembre. Tantissimi gli eventi organizzati per l’occasione lungo tutta la penisola dall’Unione Astrofili Italiani, promotrice dell’iniziativa in Italia insieme all’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF). Occasioni uniche per ammirare al telescopio la nostra “vicina di casa” e per scoprire i suoi aspetti meno conosciuti e più affascinanti.

L’International Observe the Moon Night, ribattezzata in Italia con il nome “Notte della Luna”, è organizzata dalla NASA e da altre importanti istituzioni scientifiche. Come ormai consuetudine, lo star party internazionale sarà un’occasione per proporre osservazioni al telescopio dedicate alla Luna e per approfondire temi quali la genesi e le caratteristiche fisiche, le missioni spaziali passate e in programmazione, la mitologia, la poesia, la musica e le diverse espressioni artistiche ispirate al nostro satellite naturale.

Dal nord al sud Italia si susseguono gli appuntamenti con la “Notte della Luna” a cura delle Delegazioni dell’UAI. Il Gruppo Astrofili di Cinisello Balsamo offre al pubblico osservazioni guidate della Luna e di tutti gli oggetti celesti visibili presso l’Osservatorio astronomico Presolana, Castione della Presolana (Bergamo), nella serata del 26 settembre. Telescopi puntati sul nostro satellite naturale, nella notte del 26 settembre, anche presso l’Osservatorio di Odalengo Piccolo (Alessandria), gestito dal Gruppo Astrofili “Cielo del Monferrato”. Venerdì 25 settembre è invece in programma uno speciale moonwatch party all’Osservatorio astronomico di Punta Falcone, Piombino (Livorno) a cura dell’Associazione Astrofili Piombino. Aperto al pubblico, nella stessa serata e il 26 settembre, anche l’Osservatorio astronomico di Montarrenti, Sovicille (Siena) per ammirare la Luna e tutti gli oggetti celesti visibili con gli esperti dell’Unione Astrofili Senesi.

Al Parco astronomico di Rocca di Papa (Roma) si va alla scoperta del nostro meraviglioso satellite naturale sabato 26 settembre con l’Associazione Tuscolana di Astronomia, che offre al pubblico spettacoli sulla Luna nel planetario – formidabile strumento di simulazione del cielo – proiezioni in sala conferenze, osservazioni ai telescopi e visite guidate alla cupola astronomica. L’Associazione Astronomica del Rubicone (AAR) ha invece in serbo per il pubblico, sabato 26 settembre, uno speciale evento presso il Castello Malatestiano di Longiano (Forlì Cesena), con conferenze, osservazioni ai telescopi e visite alla mostra sulla Luna, con strumenti scientifici, foto astronomiche e disegni della Luna a cura dell’AAR e alla mostra fotografica delle missioni Apollo a cura degli Astrofili Soglianesi “Vega”.

Anche il sud Italia pullula di appuntamenti che vedono protagonista la fascinosa Luna. L’Unione Astrofili Napoletani “si fa in tre” per la Notte della Luna organizzando ben 3 eventi divulgativi e osservativi, patrocinati dall’INAF, a Napoli: venerdì 25 settembre presso il Museo Nazionale Ferroviario di Pietrarsa (S. Giorgio a Cremano) e il Centro “Pertini” (Pomigliano d’Arco) e domenica 27 settembre presso il Tempio di Apollo al Lago d’Averno (Pozzuoli). Gli astrofili dell’ORSA (Organizzazione Ricerche e Studi d’Astronomia), delegazione palermitana dell’Unione Astrofili Italiani (UAI), organizzano nella serata del 27 settembre una serata osservativa gratuita, aperta al pubblico di tutte le età, presso il Belvedere di Monte Pellegrino (Palermo). Telescopi puntati sulla Luna, nella notte del 26 settembre, anche all’Osservatorio e Planetario di Anzi (Potenza), gestito dell’Associazione Teerum Valgemon Aesai, e a Salerno grazie agli esperti del Centro Astronomico Neil Armstrong.

⇒ Maggiori dettagli sugli eventi  a cura delle Delegazioni UAI sono disponibili sul sito UAI nella sezione AstroIniziative, in home page: www.uai.it


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La giornata nazionale dei planetari

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planetarium-3586121_1920Dopo la ridotta partecipazione all’iniziativa nella data ufficiale di marzo per motivi legati all’emergenza sanitaria da COVID-19, il direttivo di PLANit (Associazione dei Planetari italiani) la ripropone in modalità online nella giornata di martedì 22 settembre. Saranno coinvolti nell’iniziativa i planetari e gli osservatori astronomici che li gestiscono.
Tutte le informazioni

Fosfina nell’atmosfera di Venere: possibile indicatore della presenza di vita?

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La rappresentazione artistica mostra la superficie e l'atmosfera del pianeta Venere, con le molecole di fosfina in evidenza (nella realtà sono naturalmente così piccole da non essere visibili). Le molecole sono trasportate dalle nubi spinte dal vento di Venere ad altitudini comprese tra 55 e 80 km e assorbono parte delle onde millimetriche prodotte ad altitudini inferiori. Sono state rilevate nei dati del James Clerk Maxwell Telescope e dell'Atacama Large Millimeter/submillimeter Array, di cui l'ESO è partner. Crediti: ESO/M. Kornmesser/L. Calçada
La rappresentazione artistica mostra il pianeta Venere, nostro vicino nel Sistema Solare, dove gli scienziati hanno confermato il rilevamento di molecole di fosfina, la cui forma è mostrata graficamente nel riquadro. Le molecole nelle nubi venusiane ad alta quota sono state rilevate nei dati del James Clerk Maxwell Telescope e dell'Atacama Large Millimeter/submillimeter Array, di cui l'ESO è partner. Gli astronomi hanno ipotizzato per decenni che potesse esistere vita nelle alte nubi di Venere e la rilevazione della fosfina potrebbe essere una buona indicazione della presenza di una tale vita “aerea” extraterrestre. Crediti: ESO/M. Kornmesser/L. Calçada & NASA/JPL/Caltech

Un’equipe internazionale di astronomi ha annunciato oggi la scoperta di una molecola rara, la fosfina, nelle nubi di Venere. Sulla Terra, questo gas è prodotto solo industrialmente o da microbi che prosperano in ambienti privi di ossigeno. Gli astronomi hanno ipotizzato per decenni che le nubi ad alta quota intorno a Venere potessero offrire ospitalità ai microbi, lasciandoli fluttuare lontani dalla superficie rovente, ma in un ambiente di acidità molto elevata. La rilevazione della fosfina potrebbe indicare la presenza di una vita “aerea” extraterrestre.

Della possibilità di vita tra le nubi di Venere, e delle missioni in corso di progettazione, ne abbiamo parlato nel numero 225, in un articolo firmato da Michele Diodati. Clicca e leggi, ovviamente sempre in formato digitale e gratuito.

«È stato un vero colpo, vedere i primi segnali della presenza di fosfina nello spettro di Venere!», afferma Jane Greaves dell’Università di Cardiff nel Regno Unito, a capo dell’equipe che per prima ha individuato l’impronta della fosfina (detta anche fosfuro di idrogeno) nelle osservazioni del James Clerk Maxwell Telescope (JCMT), gestito dall’Osservatorio dell’Asia orientale, alle Hawaii.

La conferma della scoperta ha richiesto l’utilizzo di 45 antenne di ALMA (Atacama Large Millimeter/submillimeter Array) in Cile, un telescopio più sensibile di cui l’ESO (European Southern Observatory) è partner. Entrambi gli strumenti hanno osservato Venere a una lunghezza d’onda di circa 1 millimetro, molto più lunga di quanto l’occhio umano possa vedere – solo i telescopi ad altitudini elevate possono rilevarla efficacemente. L’equipe internazionale, che comprende ricercatori del Regno Unito, degli Stati Uniti d’America e del Giappone, grazie a queste osservazioni, stima che la fosfina si trovi nelle nubi di Venere a bassa concentrazione, solo una ventina di molecole per ogni miliardo.

Questa rappresentazione artistica mostra un'immagine vera di Venere, ottenuta con ALMA, di cui ESO è un partner, a cui sono sovrapposti due spettri, uno ottenuto con ALMA (in bianco) e l'altro con il James Clerk Maxwell Telescope (JCMT; in grigio). L'abbassamento nello spettro di Venere preso con il JCMT ha fornito il primo indizio della presenza di fosfina sul pianeta, mentre lo spettro più dettagliato di ALMA ha confermato che questo possibile indicatore della presenza di vita è davvero presente nell'atmosfera venusiana. Fluttuando nelle nubi ad alta quota di Venere, le molecole di fosfina assorbono parte delle onde millimetriche prodotte ad altitudini inferiori. Osservando il pianeta nella banda di lunghezze d'onda millimetriche, gli astronomi colgono questa impronta dell'assorbimento di fosfina nei dati come una diminuzione della luce proveniente dal pianeta. Crediti: ALMA (ESO/NAOJ/NRAO), Greaves et al. & JCMT (East Asian Observatory)

A seguito delle osservazioni, gli astronomi hanno verificato se queste quantità potessero derivare da processi naturali non biologici sul pianeta. Tra le idee controllate: luce solare, minerali sospinti verso l’alto dalla superficie, vulcani o fulmini, ma nessuno di questi fenomeni può produrne abbastanza. Si è calcolato che queste sorgenti non biologiche producono al massimo un decimillesimo della quantità di fosfina vista dai telescopi.

Secondo l’equipe, per creare la quantità di fosfina (formata da idrogeno e fosforo) osservata su Venere, ad organismi terrestri basterebbe “lavorare” soltanto al circa il 10% della loro produttività massima. È noto infatti che i batteri terrestri producono fosfina in quantità: assorbono fosfato da minerali o materiale biologico, aggiungono l’idrogeno e infine espellono la fosfina.

Qualsiasi organismo dovesse riuscire a sopravvivere su Venere sarà probabilmente molto diverso dai cugini terrestri, ma sarebbe molto probabilmente anch’esso sorgente di fosfina nell’atmosfera.

La rappresentazione artistica mostra la superficie e l'atmosfera del pianeta Venere, con le molecole di fosfina in evidenza (nella realtà sono naturalmente così piccole da non essere visibili). Le molecole sono trasportate dalle nubi spinte dal vento di Venere ad altitudini comprese tra 55 e 80 km e assorbono parte delle onde millimetriche prodotte ad altitudini inferiori. Crediti: ESO/M. Kornmesser/L. Calçada

Ma quanto solide sono queste rilevazioni? «Con nostro grande sollievo, c’erano buone condizioni per le osservazioni di follow-up con ALMA, nel momento in cui Venere si trovava a un angolo adatto rispetto alla Terra. L’elaborazione dei dati è stata complicata, tuttavia, poiché ALMA di solito non cerca effetti così fini in sorgenti così luminose come Venere», commenta Anita Richards, dell’ALMA Regional Center del Regno Unito e dell’Università di Manchester e membro dell’equipe. «Alla fine, abbiamo scoperto che entrambi gli Osservatori avevano visto la stessa cosa: un debole assorbimento alla giusta lunghezza d’onda per la fosfina gassosa, prodotta dalle molecole retroilluminate dalle nubi sottostanti più calde», aggiunge Greaves, che ha guidato il lavoro pubblicato oggi su Nature Astronomy.

Un altro membro dell’equipe, Clara Sousa Silva del Massachusetts Institute of Technology negli Stati Uniti d’America, ha studiato la fosfina come una “firma biologica” della presenza di vita anaerobica (cioè che non utilizza ossigeno) sui pianeti intorno ad altre stelle, perché i normali processi chimici ne producono così poco. Commenta: “Trovare la fosfina su Venere è stato un regalo inaspettato! La scoperta solleva molte domande, come il modo in cui un qualsiasi organismo potrebbe sopravvivere. Sulla Terra, alcuni microbi possono sopportare fino a circa il 5% di acido nell’ambiente, ma le nubi di Venere sono quasi interamente fatte di acido“.

Una slide, mostrata durante la conferenza stampa della Royal Society, mostra altezze, temperature e pressioni nell'atmosfera di Venere, e la zona temperata in cui è stata trovata la fosfina. Un eventuale forma microbica potrebbe sopravvivere solo in quella stratta fascia, ma le nubi di Venere, come sappiamo, sono permanenti e costanti nelle loro caratteristiche, da milioni di anni, il tempo di sviluppare la vita potrebbe esserci stato.

L’equipe ritiene che la scoperta sia significativa, perché, al momento, è stato possibile escludere tutti i meccanismi di produzione della molecola non biologici noti (che esistono ad esempio nei pianeti gassosi, nelle cui atmosfere tracce di fosfina sono state trovate, ma in condizioni di temperature e pressioni molto diverse, come dichiarato durante la conferenza stampa, n.d.r.), ma allo stesso tempo è evidente che una conferma della presenza di “vita” richiede ulteriori approfondimenti e osservazioni. Infatti, nonostante le nubi in quota di Venere raggiungano una piacevole temperatura di 30 gradi Celsius, sono incredibilmente acide – circa il 90% è acido solforico – ponendo grossi problemi a tutti i microbi che cercano di sopravvivere al loro interno.

Leonardo Testi, astronomo dell’ESO e Direttore Operativo europeo di ALMA, (non ha partecipato al nuovo studio), spiega: «La produzione non biologica di fosfina su Venere è esclusa dalla nostra attuale conoscenza della chimica della fosfina nelle atmosfere dei pianeti rocciosi. Poter confermare l’esistenza di vita nell’atmosfera di Venere sarebbe un importante passo avanti per l’astrobiologia; quindi, è essenziale far seguire a questo risultato entusiasmante studi teorici e osservativi per escludere la possibilità che la fosfina sui pianeti rocciosi possa anche avere un’origine chimica diversa da quella che ha sulla Terra».

Ulteriori osservazioni di Venere e di pianeti rocciosi al di fuori del Sistema Solare, incluso il futuro ELT (Extremely Large Telescope) dell’ESO, potrebbero aiutare a raccogliere indizi su come si può produrre fosfina su di essi e contribuire alla ricerca di segni di vita oltre la Terra.

Ulteriori Informazioni

Questo studio è stato presentato nell’articolo “Phosphine Gas in the Cloud Decks of Venus” pubblicato dalla rivista Nature Astronomy.
Un articolo collegato, di alcuni membri dell’equipe, intitolato “The Venusian Lower Atmosphere Haze as a Depot for Desiccated Microbial Life: A Proposed Life Cycle for Persistence of the Venusian Aerial Biosphere”, è stato pubblicato dalla rivista Astrobiology nell’agosto 2020, mentre un altro studio di alcuni degli stessi autori su un argomento simile, “Phosphine as a Biosignature Gas in Exoplanet Atmospheres“, è stato pubblicato da Astrobiology nel gennaio 2020.

Per approfondire ulteriormente: vedi anche i vari articoli su biomarcatori e ricerca della vita negli esopianeti a cura di Marco Sergio Erculiani

Guarda il servizio video su MediaInaf Tv


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Associazione Tuscolana di Astronomia

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Per partecipare all’evento compilare il modulo al link presente nella pagina di ogni singolo evento. Gli incontri si terranno presso il Parco Astronomico “Livio Gratton”, Via Lazio, 14 – Rocca di Papa (Roma)

18.09, ore 20:15 e 21:30: Il cielo del mese al Planetario
19.09, ore 19:00 e 19:30: Night Star Walk
26.09, ore 20:15 e 21:30: Notte della Luna
Consulta il sito web www.ataonweb.it/wp/eventi per maggiori informazioni

Gruppo Astronomia Digitale

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Tutti gli eventi si terranno alle ore 21:15
16.09: Al di là della Luna. Osservazioni con i telescopi del GAD (visibili Giove, Saturno, e altri oggetti del cielo estivo). Presso Località Zorza – Riomaggiore

Per maggiori informazioni consultare il sito web www.astronomiadigitale.com

Luna, Venere e l’ammasso del Presepe

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La mattina del 13 settembre, alle ore 5:00, dirigendo la nostra attenzione verso est, potremo notare la presenza del brillante pianeta Venere (mag. –4,2) a una altezza di circa 21° sull’orizzonte. Osservando con attenzione sarà possibile distinguere il tenue ammasso stellare aperto noto come Ammasso del Presepe (Beehive Cluster, mag. +3,1), o M 44 del catalogo di Messier, a poca distanza di Venere che si troverà a 2,3’ a sudovest dell’ammasso.

Il teatro in cui si verificherà la congiunzione è quello della costellazione del Cancro, le cui stelle più brillanti faranno da “comparse”, nemmeno troppo secondarie, come vedremo.

Il giorno seguente, il 14 settembre alla stessa ora, a questo già interessante duetto astrale si aggiungerà anche una sottile falce lunare (fase del 15%): la Luna si troverà a 1,7° a nordest dell’ammasso aperto, mentre Venere si sarà spostato percepibilmente, portandosi a poco più di 1° da Asellus Australis (Delta Cancri, mag. +3,9).

La Luna sicuramente completa il quadro, formando un trio di sicuro fascino, considerando anche che in questo giorno sarà possibile osservare la luce cinerea della Luna, che in fotografia apparirà decisamente marcata, soprattutto se allungheremo i tempi di posa, cosa necessaria anche a far risaltare maggiormente le deboli stelle che compongono l’ammasso.

Attendendo ulteriormente per alcuni minuti, fino alle 5:25 circa, potremo osservare la Luna che, con il suo incedere, occulterà la stella Asellus Borealis (Gamma Cancri, mag. +4,7). l’occultazione terminerà alle ore 6:22 circa.

Complessivamente, questo fenomeno che si articola in due giorni di osservazione, risulterà particolare per i soggetti coinvolti: un facile oggetto deep sky qual è M 44, il brillante pianeta Venere e la Luna con una fase compatibile con l’osservazione e la ripresa fotografica, soprattutto dell’ammasso. La concomitanza dei giorni in cui il nostro satellite si presenta in luce cinerea, inoltre, non farà altro che aggiungere magia e fascino alla ripresa.

Consigliamo di osservare la congiunzione a occhio nudo o con l’aiuto di un binocolo, mentre per la fotografia sarà sicuramente interessante tentare di stringere l’inquadratura sull’area di cielo in cui dimora l’ammasso aperto. Sarà altresì possibile immortalare questo incontro celeste anche in fotografie più a largo campo, in cui sarà indispensabile costruire un’inquadratura considerando gli elementi del paesaggio circostante, includendo elementi naturali o architettonici per incorniciare adeguatamente i soggetti celesti. Sconsigliamo l’uso di obiettivi eccessivamente grandangolari che non sarebbero in grado di rendere evidenti i dettagli lunari o di rendere adeguatamente le stelle dell’ammasso.



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Materia oscura: la ricetta va perfezionata

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Questa immagine del telescopio spaziale Hubble mostra l’enorme ammasso galattico MACJ 1206. All’interno dell’ammasso sono visibili le immagini distorte di galassie lontane, sotto forma di archi e figure deformate. Queste distorsioni sono causate dalla quantità di materia oscura nell’ammasso, la cui forza di gravità deflette e amplifica la luce da galassie lontane, un effetto chiamato lensing gravitazionale. Oltre alla materia oscura distribuita uniformemente all’interno dell’ammasso, gli astronomi hanno scoperto che una gran parte di essa è concentrata nelle galassie dell’ammasso. Infatti, molte di queste galassie sono sufficientemente massicce e dense da distorcere e ingrandire anche le sorgenti lontane. Le galassie nei tre riquadri rappresentano esempi di tali effetti. Crediti: Nasa, Esa, G. Caminha (University of Groningen), M. Meneghetti (Inaf-Observatory of Astrophysics and Space Science of Bologna), P. Natarajan (Yale University), and the Clash team
Questa immagine del telescopio spaziale Hubble mostra l’enorme ammasso galattico MACJ 1206. All’interno dell’ammasso sono visibili le immagini distorte di galassie lontane, sotto forma di archi e figure deformate. Queste distorsioni sono causate dalla quantità di materia oscura nell’ammasso, la cui forza di gravità deflette e amplifica la luce da galassie lontane, un effetto chiamato lensing gravitazionale. Oltre alla materia oscura distribuita uniformemente all’interno dell’ammasso, gli astronomi hanno scoperto che una gran parte di essa è concentrata nelle galassie dell’ammasso. Infatti, molte di queste galassie sono sufficientemente massicce e dense da distorcere e ingrandire anche le sorgenti lontane. Le galassie nei tre riquadri rappresentano esempi di tali effetti. Crediti: Nasa, Esa, G. Caminha (University of Groningen), M. Meneghetti (Inaf-Observatory of Astrophysics and Space Science of Bologna), P. Natarajan (Yale University), and the Clash team

Un po’ come uno chef assaggiando una pietanza sconosciuta cerca di individuarne gli ingredienti e le loro proporzioni, così gli astronomi stanno cercando di scoprire la natura e le proprietà della materia oscura, studiandola indirettamente grazie agli effetti che essa produce. Uno di questi effetti, predetto dalla teoria delle Relatività Generale, è la deflessione della luce, particolarmente forte ad opera di oggetti molto massicci come gli ammassi di galassie. Questo fenomeno, noto come “lensing gravitazionale” può causare grandi distorsioni della forma osservata delle sorgenti che emettono la luce, o addirittura far sì che queste sorgenti vengano viste più di una volta.

Un team internazionale di ricercatori, guidato da Massimo Meneghetti dell’Istituto nazionale di astrofisica, ritiene che nelle attuali “ricette” che descrivono la materia oscura potrebbe mancare qualche ingrediente: nello studio pubblicato nell’ultimo numero di Science gli scienziati hanno scoperto un’inaspettata e notevole discrepanza tra le osservazioni e i modelli teorici che predicono come la materia oscura dovrebbe essere distribuita negli ammassi di galassie. I risultati dell’indagine mostrano che le concentrazioni di materia su piccole scale sono così grandi che gli effetti di lente gravitazionale che producono sono dieci volte più intensi del previsto. Il lavoro si basa su osservazioni di alcuni enormi ammassi di galassie effettuate dal telescopio spaziale Hubble della Nasa e dal Very large telescope (Vlt) dell’Eso, in Cile.

La materia oscura è il collante invisibile che tiene unite le stelle all’interno di una galassia e ne rappresenta la frazione dominante della sua massa. Su scala molto più vasta, è l’impalcatura invisibile del nostro universo che lega le galassie tra loro in lunghe strutture filamentose. La materia oscura non emette, assorbe o riflette la luce: sembra essere totalmente inerte. La presenza della materia oscura è nota solo attraverso l’attrazione gravitazionale che essa esercita sulla materia visibile, oltre che, come detto, sulla luce. L’ipotesi comunemente accettata sulla base di varie evidenze osservative dell’universo su grande scala è che la materia oscura sia costituita da particelle massive, non-collisionali e “fredde”.

Gli ammassi di galassie, le strutture più massicce presenti nell’universo, sono anche i più grandi serbatoi di materia oscura. Gli ammassi sono composti da singole galassie che sono tenute insieme dalla potente attrazione gravitazionale esercitata dalla materia oscura. Ma anche singole galassie negli ammassi contengono a loro volta grandi quantità di materia oscura. La materia oscura negli ammassi è quindi distribuita su varie scale spaziali.

«Gli ammassi di galassie sono laboratori ideali per studiare la materia oscura e la sua interazione con la materia luminosa», dice Meneghetti, ricercatore all’Inaf di Bologna, primo autore dell’articolo pubblicato su Science. «Abbiamo condotto numerosi e accurati test per confrontare i dati osservativi con simulazioni numeriche che descrivono come la materia dovrebbe essere distribuita negli ammassi di galassie in base al modello di materia oscura fredda. Abbiamo trovato una notevole discrepanza sulla scala delle galassie d’ammasso, che indica che c’è qualche caratteristica dell’Universo reale che non stiamo riproducendo col nostro attuale modello teorico. Potrebbe mancare qualche elemento fisico chiave nelle simulazioni che abbiamo utilizzato o potremmo non aver compreso la vera natura della materia oscura».

La distribuzione dettagliata della materia oscura negli ammassi di galassie viene tracciata grazie agli effetti di lente gravitazionale che essi producono, amplificando e deflettendo la luce proveniente da oggetti celesti situati dietro di essi rispetto alla nostra linea di vista. Più è elevata la concentrazione di materia oscura in un ammasso, maggiore è la distorsione delle immagini delle galassie di sfondo. La presenza di agglomerati di materia oscura su scala ridotta associati alle singole galassie che compongono gli ammassi aumenta il livello di distorsione. In un certo senso, l’ammasso di galassie agisce come una lente su larga scala che ha molte lenti più piccole incorporate al suo interno.

L'immagine di apertura con le indicazioni di nomi e distanze.

Le osservazioni di Hubble hanno permesso di individuare decine di galassie lontane che subiscono gli effetti di lensing da parte della materia distribuita su più grande scala negli ammassi in esame. Con grande sorpresa del team, diverse di queste sorgenti sono fortemente deformate o sdoppiate in immagini multiple anche intorno a singole galassie d’ammasso. I ricercatori ritengono che questi effetti di lensing su piccola scala siano dovuti alla presenza di forti concentrazioni di matteria oscura associate a queste galassie.

Per confermare questa ipotesi, il team del quale fanno parte, tra gli altri, anche ricercatori Inaf di Bologna, Napoli e Trieste, ha utilizzato una nuova tecnica per ottenere la mappatura della distribuzione di materia negli ammassi. I ricercatori hanno usato lo spettrografo Muse del Vlt per misurare la velocità con la quale le stelle si muovono in alcune delle galassie d’ammasso e l’hanno utilizzata per misurare la loro massa. Hanno quindi combinato queste misure con gli effetti di lensing osservati nelle immagini di Hst. «Grazie alle nostre indagini spettroscopiche, siamo riusciti a identificare la presenza di centinaia di galassie negli ammassi e delle sorgenti distanti che subiscono l’effetto di lensing» dice Piero Rosati, dell’Università di Ferrara. «La misura delle velocità stellari ci ha permesso di ricavare una stima della massa di diverse galassie, compreso il contributo della materia oscura» aggiunge Pietro Bergamini, dell’Inaf di Bologna.

Le ricostruzioni così ottenute mostrano la presenza di aloni diffusi di materia oscura, simili a massicci montuosi, con sovrapposti aguzzi pinnacoli, che rappresentano la materia concentrata nelle galassie. La qualità dei dati dello studio ha permesso al team di verificare se questi paesaggi nell’universo osservato corrispondono a ciò che la teoria prevede nel caso di ammassi simili per dimensioni e distanze. Per questo confronto sono state utilizzate avanzate simulazioni cosmologiche ad alta risoluzione. Gli ammassi in queste simulazioni non mostrano lo stesso livello di concentrazione di materia sulle scale più piccole e non sono in grado di spiegare il numero di effetti di lensing scoperti intorno alle galassie osservate.

«Questo lavoro costituisce un salto nella conoscenza della formazione delle strutture nell’Universo e presenta una sfida ai modelli cosmologici» conclude Elena Rasia, dell’Inaf di Trieste. «Uno dei grandi problemi che recentemente affliggeva la cosmologia numerica era la mancata riproduzione del numero delle galassie satelliti attorno alla nostra galassia, poiché risultavano più numerose nelle simulazioni rispetto alle osservazioni. Risolta quella complicazione con l’aggiunta di una sofisticata descrizione della fisica barionica, stiamo ora scoprendo un’inconsistenza opposta nelle regioni centrali degli ammassi. L’enigma che ora dobbiamo affrontare è come riconciliare due andamenti contrastanti attorno alla nostra galassia e al centro degli ammassi di galassie».

Per saperne di più:

Guarda su MediaInaf Tv l’intervista a Massimo Meneghetti :


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La meteorite di capodanno si chiamerà «Cavezzo»

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Nell'immagine vediamo una sezione sottile di un frammento della meteorite Cavezzo, illuminata con luce polarizzata. In questo modo si evidenziano in colori dovuti a diverse zone con proprietà riflettenti diverse, come ad esempio le condrule. Si tratta di piccole inclusioni di forma sferica, goccioline fuse o parzialmente fuse nello spazio prima di essere inglobate nell'asteroide di origine, che danno il nome alla tipologia di meteoriti dette, appunto, condriti. Crediti: Vanni Moggi Cecchi
Nell'immagine vediamo una sezione sottile di un frammento della meteorite Cavezzo, illuminata con luce polarizzata. In questo modo si evidenziano i vari colori dovuti a zone con diverse proprietà riflettenti, come ad esempio le condrule. Queste sono piccole inclusioni di forma sferica, goccioline fuse o parzialmente fuse nello spazio prima di essere inglobate nell'asteroide di origine, che danno il nome alla tipologia di meteoriti dette, appunto, condriti. Crediti: Vanni Moggi Cecchi

Il 5 settembre scorso la Commissione per la Nomenclatura della Meteoritical Society ha ufficializzato nome e tipologia della meteorite ritrovata il giorno di Capodanno 2020 grazie ai calcoli della rete PRISMA (Prima Rete Italiana per la Sorveglianza sistematica di Meteore e dell’Atmosfera), una collaborazione promossa e coordinata dall’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF).

Il più grande dei due frammenti ritrovati a inizio anno. Crediti INAF/Prisma

Il nome: “CAVEZZO” fa riferimento al luogo dove sono stati ritrovati i frammenti, in provincia di Modena.

La classificazione: si tratta di una Condrite L5, cioè con basso contenuto di ferro, che presenta però delle caratteristiche peculiari tali da essere considerata anomala. È finora unica nel suo genere tra le oltre 64.000 meteoriti catalogate.

«La particolarità di questa meteorite è dovuta a vari fattori tra cui la forte dicotomia fra la composizione dei silicati e la esigua quantità di metallo nonché la rilevante presenza di clinopirosseni. Ma la caratteristica più sorprendente è la marcata differenza minero-petrografica che si riscontra nei due frammenti rinvenuti» sottolinea Giovanni Pratesi, geologo dell’Università di Firenze, responsabile delle analisi di laboratorio effettuate sui campioni di “Cavezzo”.

In Italia, si ha notizia di una quarantina di ritrovamenti di meteoriti negli ultimi secoli, tutti casuali eccetto la meteorite “Cavezzo”, caduta il giorno di Capodanno del 2020 e ritrovata qualche giorno dopo proprio sulla base delle indicazioni fornite da PRISMA.

«Cavezzo è la prima meteorite italiana tra le appena venti al mondo recuperate grazie a precisi calcoli effettuati da un sistema di sorveglianza dedicato. Questo già di per sé rende il ritrovamento un evento di eccezionale importanza scientifica» dice Daniele Gardiol, dell’INAF di Torino e Coordinatore nazionale della rete PRISMA. «Sapere che si tratta inoltre di una meteorite molto rara ci riempie ancora di più di orgoglio e soddisfazione».

Sul numero di febbraio di Coelum Astronomia, l'articolo di Daniele Gardiol dedicato all'avvistamento del bolide e al ritrovamento della meteorite Cavezzo. Come sempre in formato digitale e gratuito: clicca sull'immagine e leggi!

Si tratta infatti del primo esempio italiano (e uno dei pochissimi a livello internazionale) nel quale si è potuto prevedere la zona di caduta del corpo celeste e il ritrovamento dopo breve tempo rendendo possibile l’esame scientifico di una “meteorite fresca”, cioè caduta da poche ore e quindi pressoché incontaminata dall’ambiente terrestre.

I calcoli per il ritrovamento della meteorite e i risultati delle analisi di laboratorio sono oggetto di due articoli in corso di pubblicazione su riviste scientifiche specializzate di rilevanza internazionale.

Il progetto PRISMA è basato su una rete di videocamere all-sky, installate in diverse località del territorio italiano, da dedicare all’osservazione di meteore brillanti – i cosiddetti “bolidi” – con il fine di determinare le orbite degli oggetti che le provocano e delimitare con un buon grado di approssimazione le aree dell’eventuale caduta di meteoriti, che può essere associata a questi eventi.

La cosiddetta “prima luce”, cioè il debutto operativo del progetto, è avvenuto all’inizio del mese di marzo 2017. Attualmente sono installate e in funzione oltre quaranta videocamere su tutto il territorio nazionale, acquistate da diversi enti (tra cui alcune grazie al sostegno della Fondazione CRT che supporta il progetto nel suo complesso), tutte con le stesse caratteristiche in modo da rendere scientificamente confrontabili i dati da esse acquisiti.

Fanno parte della rete oltre 60 enti e associazioni pubbliche e private di varia tipologia (osservatori astronomici professionali e amatoriali, dipartimenti universitari, istituti scolastici, associazioni culturali). L’obiettivo finale del progetto è quello di creare una rete di stazioni osservative, con maglie che non superino i 100 km di ampiezza, che si estenda su tutta l’Italia e che coinvolga soggetti pubblici e privati impegnati nella ricerca scientifica, nella divulgazione della scienza, nell’insegnamento. La rete, seppure ancora in fase di ulteriore sviluppo, già si interconnette con un analogo programma internazionale già in funzione in alcuni paesi europei, tra cui Francia, Germania e Olanda.

Gli studi, in corso presso l’Università di Firenze e il Laboratorio del Monte dei Cappuccini di Torino, condurranno in breve tempo alla pubblicazione di altri lavori scientifici oltre a quelli già inviati a riviste scientifiche internazionali.

La pagina della Meteoritical Society dedicata alla meteorite Cavezzo


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Il primo “Starlight Stellar Park” italiano

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Il cielo di Saint-Barthélemy. Crediti OAVdA
Il cielo di Saint-Barthélemy. Crediti OAVdA

Il vallone di Saint-Barthélemy, in Valle d’Aosta, è tra i migliori luoghi al mondo per vedere le stelle. Lignan, frazione montana del Comune di Nus, ha infatti ottenuto la certificazione Starlight Stellar Park, rilasciata dalla Fundación Starlight. È la prima località in Italia a ricevere il prestigioso riconoscimento, grazie all’impegno dell’amministrazione comunale di Nus e dell’Osservatorio Astronomico della Regione Autonoma Valle d’Aosta, rispettivamente Capofila e Soggetto attuatore del Progetto “EXO/ECO – Esopianeti – Ecosostenibilità – Il cielo e le stelle delle Alpi, patrimonio immateriale dell’Europa”, finanziato dal Programma di Cooperazione transfrontaliera Italia-Francia Alcotra 2014/20.

Come suggerisce il nome Starlight Stellar Park, si tratta di una qualifica analoga a quella di un parco naturale, che però riguarda la parte superiore del nostro orizzonte, la volta celeste. Grazie al Progetto “EXO/ECO” sono stati promossi interventi che, pur illuminando la frazione, mantengono buio il cielo di Lignan e permettono di godere di una meravigliosa visione a occhio nudo e al telescopio. Il marchio di qualità è riconosciuto dall’UNESCO, l’Agenzia delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura nota per individuare i siti patrimonio dell’umanità, nell’ambito dell’azione internazionale Starlight Initiative per la difesa del cielo notturno. Inoltre è riconosciuto dall’organizzazione mondiale del turismo UNWTO e dall’IAU, l’associazione che raccoglie circa 14.000 astronomi professionisti da 107 nazioni diverse.

La certificazione sarà simbolicamente consegnata alla comunità sabato 19 settembre 2020, in occasione della presentazione al pubblico del Planetario di Lignan, completamente rinnovato nel sistema di proiezione digitale a tutta cupola, grazie ancora al Progetto “EXO/ECO”. Jean Marc Christille, direttore della Fondazione Clément Fillietroz-ONLUS, che gestisce l’Osservatorio Astronomico e il Planetario, la riceverà da Nicolò D’Amico, presidente dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), il principale ente di ricerca del nostro Paese per lo studio dell’universo, e da Fabio Falchi, presidente di CieloBuio, associazione no-profit per la protezione dell’ambiente notturno, tra i maggiori esperti di inquinamento luminoso in campo internazionale.

Crediti: OAVdA

«Siamo orgogliosi che Lignan sia il primo Starlight Stellar Park in Italia», dichiara Christille. «È stato un percorso lungo e complesso, i cui passi iniziali risalgono addirittura al 2009, quando l’allora direttore, il prof. Enzo Bertolini, venne a conoscenza della Starlight Initiative. Anni dopo siamo riusciti a portarlo a compimento grazie al Progetto europeo “EXO/ECO”, che si conclude a fine settembre dopo oltre tre anni di lavoro e nonostante le recenti difficoltà dovute all’emergenza sanitaria».

«Avere accesso a un cielo ricco di stelle è importante per chi studia il cosmo, come fanno i ricercatori dell’INAF e di tutte le nazioni, e per ognuno di noi, perché cambia la prospettiva e gli orizzonti culturali con cui guardiamo il mondo», commenta D’Amico. «INAF è coinvolto nell’ottenimento di un analogo riconoscimento, Dark Sky Park, per l’altopiano di Asiago, dove si trova l’Osservatorio Astronomico di Padova. Sapremo avvalerci dell’esperienza valdostana, che ha già raggiunto il prezioso obiettivo».

«L’inquinamento luminoso, oltre a provocare un danno culturale incalcolabile impedendo la vista del cielo stellato che da sempre ha ispirato l’umanità, ha conseguenze negative, spesso letali, sulla fauna», aggiunge Falchi, che è anche ricercatore all’Istituto di Scienza e Tecnologia dell’Inquinamento Luminoso di Thiene. «Non dimentichiamo poi lo spreco energetico: servono 10 alberi per assorbire la CO2 prodotta per far funzionare un singolo lampione e in Italia ne abbiamo oltre 10 milioni! Assieme alla Corea del sud, siamo il paese del G20 con il maggiore inquinamento luminoso».

L'Osservatorio Astronomico della Regione Autonoma Valle d’Aosta, in estate.

“EXO/ECO” è coordinato in qualità di Capofila dal Comune di Nus, in partenariato con la Communauté de communes Haute-Provence Pays de Banon. «Il Progetto “EXO/ECO” ha permesso di potenziare i due poli astronomici di Saint-Michel-l’Observatoire, in Haute-Provence, e di Saint-Barthélemy», spiega Paolo Calcidese, ricercatore e responsabile delle attività di didattica e divulgazione dell’istituto valdostano. «L’obiettivo è attrarre sul territorio il turismo culturale, dagli appassionati di astronomia ai semplici curiosi. Abbiamo stabilito sinergie con le realtà locali che si occupano di accoglienza e ringraziamo l’intera comunità per il sostegno ricevuto».

A Lignan, “EXO/ECO” ha consentito l’allestimento di laboratori per attività didattiche innovative indirizzate alle scolaresche in visita all’Osservatorio Astronomico, i cui contenuti sono stati elaborati grazie allo scambio di esperienze e buone pratiche con i colleghi francesi del Centre d’Astronomie a Saint-Michel-l’Observatoire. Sono stati inoltre portati a termine il rinnovamento del Planetario di Lignan dal punto di vista della classificazione energetica e del sistema di proiezione digitale, la riqualificazione dell’ampio spazio verde dell’Area Leyssé, infine la ristrutturazione dell’impianto di illuminazione pubblica, finalizzata all’ottenimento della certificazione Starlight Stellar Park.

I nuovi lampioni installati a Lignan e nelle frazioni vicine sono dotati di corpi illuminanti a stato solido che permettono un notevole risparmio energetico e contribuiscono all’ulteriore miglioramento del grado di oscurità del cielo, impedendo la dispersione della luce verso l’alto. Grazie a queste soluzioni, la località valdostana ha superato la dura selezione degli astronomi della Fundación Starlight dell’Istituto di Astrofisica delle Canarie, grandi esperti di qualità del cielo.

Conclude il direttore Christille: «Il nostro centro si sostiene grazie alla ricerca scientifica di base che svolgiamo in collaborazione con vari enti, a cominciare dall’INAF. La ricerca costituisce anche un volano fondamentale per lo sviluppo economico del territorio, perché genera le conoscenze originali capaci di attrarre migliaia di persone all’anno per visitare l’Osservatorio Astronomico e il Planetario. Essere il primo Starlight Stellar Park in Italia rappresenta un investimento per il presente e un impegno per il futuro: la certificazione andrà mantenuta nel tempo, con la collaborazione di residenti e turisti per il rispetto dell’ambiente unico di Saint-Barthélemy».

Dove siamo: Google Maps is.gd/OAVdA_Maps * Open Street Map is.gd/OAVdA_OSM


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Associazione Tuscolana di Astronomia

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Per partecipare all’evento compilare il modulo al link presente nella pagina di ogni singolo evento. Gli incontri si terranno presso il Parco Astronomico “Livio Gratton”, Via Lazio, 14 – Rocca di Papa (Roma)

11.09, ore 20:15 e 21:30: 26 aprile 1920, il grande dibattito pubblico sulla Scala dell’Universo
18.09, ore 20:15 e 21:30: Il cielo del mese al Planetario
19.09, ore 19:00 e 19:30: Night Star Walk
26.09, ore 20:15 e 21:30: Notte della Luna
Consulta il sito web www.ataonweb.it/wp/eventi per maggiori informazioni

Un disco planetario per tre stelle

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Le nuove osservazioni hanno rivelato che questo oggetto ha un disco di formazione planetaria deformato, con un anello disallineato. In particolare, l'immagine di SPHERE (pannello di destra) ha permesso agli astronomi di vedere, per la prima volta, l'ombra che questo anello proietta sul resto del disco. Questo li ha aiutati a capire la forma tridimensionale dell'anello e del disco in generale. Il pannello di sinistra mostra una rappresentazione artistica della regione interna del disco, compreso l'anello, basata sulla forma tridimensionale ricostruita dall'equipe. Crediti: ESO/L. Calçada, Exeter/Kraus et al.
Le nuove osservazioni hanno rivelato che questo oggetto ha un disco di formazione planetaria deformato, con un anello disallineato. In particolare, l'immagine di SPHERE (pannello di destra) ha permesso agli astronomi di vedere, per la prima volta, l'ombra che questo anello proietta sul resto del disco. Questo li ha aiutati a capire la forma tridimensionale dell'anello e del disco in generale. Il pannello di sinistra mostra una rappresentazione artistica della regione interna del disco, compreso l'anello, basata sulla forma tridimensionale ricostruita dall'equipe. Crediti: ESO/L. Calçada, Exeter/Kraus et al.

Un’equipe di astronomi ha identificato la prima prova diretta che gruppi di stelle possono lacerare il disco di formazione planetaria, lasciandolo deformato e con anelli inclinati. Questa nuova ricerca suggerisce che all’interno di anelli inclinati in dischi ripiegati intorno a stelle multiple possano formarsi pianeti esotici, non diversi da Tatooine di Star Wars. I risultati sono stati resi possibili grazie alle osservazioni effettuate con il VLT (Very Large Telescope) dell’ESO (European Southern Observatory) e con ALMA (Atacama Large Millimeter/submillimeter Array).

Il nostro Sistema Solare è sorprendentemente piatto, con i pianeti che orbitano tutti sullo stesso piano. Ma questo non succede sempre, soprattutto per i dischi planetari che circondano stelle multiple, come l’oggetto del nuovo studio: GW Orionis. Questo sistema, situato a poco più di 1300 anni luce di distanza da noi nella costellazione di Orione, ha tre stelle e un disco deformato e spezzato che le circonda.

«Le nostre immagini rivelano un caso estremo in cui il disco non è affatto piatto, ma è deformato e ha un anello disallineato che si è staccato dal disco», afferma Stefan Kraus, professore di astrofisica presso l’Università di Exeter nel Regno Unito e a capo della ricerca i cui risultati vengono pubblicati il 3 settembre dalla rivista Science. L’anello disallineato si trova nella parte interna del disco, vicino alle tre stelle.


La nuova ricerca rivela anche che questo anello interno contiene polvere in quantità pari a 30 masse terrestri, che potrebbe essere sufficiente per formare nuovi pianeti. «Tutti i pianeti che si formeranno all’interno dell’anello disallineato percorreranno orbite molto oblique intorno alla stella e prevediamo di scoprire molti pianeti su orbite oblique e ampia separazione nelle future campagne di ricerche di pianeti per immagini, per esempio con l’ELT», dice il membro del gruppo Alexander Kreplin dell’Università di Exeter, riferendosi all’Extremely Large Telescope dell’ESO, che dovrebbe entrare in funzione prima della fine di questo decennio. Poiché più della metà delle stelle in cielo nascono con uno o più compagne, ciò solleva una prospettiva entusiasmante: potrebbe esserci una popolazione sconosciuta di esopianeti che orbitano intorno alle loro stelle su orbite molto inclinate e ampie.

Per arrivare a queste conclusioni, il gruppo ha osservato GW Orionis per oltre 11 anni. A partire dal 2008, hanno utilizzato gli strumenti AMBERGRAVITY, successivamente, installati sul VLTI (l’interferometro del VLT) dell’ESO in Cile, che combina la luce di diversi telescopi VLT, per studiare la danza gravitazionale delle tre stelle nel sistema e mappare le loro orbite. «Abbiamo scoperto che le tre stelle non orbitano sullo stesso piano, ma le loro orbite sono disallineate l’una rispetto all’altra e rispetto al disco», conclude un altro membro del gruppo, Alison Young delle Università di Exeter e Leicester.

I ricercatori hanno osservato il sistema anche con lo strumento SPHERE sul VLT dell’ESO e con ALMA, di cui l’ESO è un partner, e sono stati in grado di visualizzare l’anello interno e confermare il suo disallineamento. SPHERE dell’ESO ha anche permesso loro di vedere, per la prima volta, l’ombra che questo anello proietta sul resto del disco, fatto che ha aiutato a capire la forma tridimensionale dell’anello e del disco in generale.

L'immagine di ALMA (a sinistra) mostra la struttura ad anelli del disco, con l'anello più interno separato dal resto del disco. Le osservazioni con SPHERE (a destra) hanno permesso agli astronomi di vedere, per la prima volta, l'ombra che questo anello interno proietta sul resto del disco. In questo modo è stato possibile ricostruire la forma distorta. Crediti: ALMA (ESO/NAOJ/NRAO), ESO/Exeter/Kraus et al.
L'immagine di ALMA mostra la struttura ad anelli del disco, con l'anello più interno (parte del quale visibile come un piccolo segmento proprio al centro dell'immagine) separato dal resto del disco. Crediti: ESO/Exeter/Kraus et al., ALMA (ESO/NAOJ/NRAO)

Il gruppo internazionale, che comprende ricercatori provenienti da Regno Unito, Belgio, Cile, Francia e Stati Uniti d’America, ha quindi combinato le proprie esaustive osservazioni con simulazioni al computer per meglio comprendere cosa fosse accaduto al sistema. Per la prima volta, sono stati in grado di collegare chiaramente i disallineamenti osservati al teorico “effetto di lacerazione del disco”, il che suggerisce che l’attrazione gravitazionale conflittuale delle stelle in piani diversi può deformare e rompere i dischi.

Le simulazioni hanno mostrato che il disallineamento nelle orbite delle tre stelle potrebbe causare la rottura del disco circostante in anelli distinti, che è esattamente ciò che si vede nelle loro osservazioni. La forma osservata dell’anello interno corrisponde anche alle previsioni di simulazioni numeriche sul modo in cui il disco si potrebbe strappare.

È interessante notare che un altro gruppo che ha studiato lo stesso sistema utilizzando ALMA ritiene che sia necessario un altro ingrediente per comprendere il sistema. «Pensiamo che la presenza di un pianeta tra questi anelli sia necessaria per spiegare perché il disco si è lacerato», spiega Jiaqing Bi dell’Università di Victoria in Canada che ha condotto uno studio di GW Orionis pubblicato da The Astrophysical Journal Letters a maggio di quest’anno. Il suo gruppo ha identificato tre anelli di polvere nelle osservazioni di ALMA; l’anello più esterno è il più grande mai osservato nei dischi di formazione planetaria.

Future osservazioni con l’ELT dell’ESO e altri telescopi potrebbero aiutare gli astronomi a svelare completamente la natura di GW Orionis e rivelare giovani pianeti in formazione intorno alle sue tre stelle.

Ulteriori Informazioni

Questa ricerca è stata presentata nell’articolo “A triple star system with a misaligned and warped circumstellar disk shaped by disk tearing” pubblicato da Science (doi: 10.1126/science.aba4633).


Meraviglie del cielo!

La cometa C/2020 F3 NEOWISE, il ritorno di Mira la “stella con la coda”, diario dai cieli incontaminati di Atacama, ma anche astroinformatica e astroparticelle.
Tutto il cielo da rivedere, osservare e scoprire!

Coelum Astronomia di Settembre 2020
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Congresso nazionale UAI

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Congresso Nazionale UAI

Congresso Nazionale UAISi svolgerà sabato 12 settembre 2020 in modalità online, sulla piattaforma di web conference GoToMeeting, il 53º Congresso dell’Unione Astrofili Italiani (UAI): il più importante appuntamento degli appassionati di astronomia in Italia, dedicato all’aggiornamento, al confronto culturale, allo scambio di idee ed esperienze e alla definizione delle principali attività su cui focalizzarsi nel 2021.
Programma dettagliato del Congresso e informazioni relative alla modalità di partecipazione: https://www.uai.it/sito/congresso-uai-2020-home/

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