C’era una volta una regina, una guerriera che guidava con saggezza un popolo di sole donne dalla pelle color ebano. Il suo nome era Califia. Narra la leggenda che lei e le sue donne abitassero un’isola dell’oceano Indiano, la mitica e ricchissima Isola di California, o Califerne, come venne soprannominata nella Chanson de Roland. Le sue gesta furono narrate nella novella “Le avventure di Esplandián”, scritta nel 1510 dallo spagnolo Garci Rodríguez de Montalvo.
Oggigiorno, lo stato americano della California ha ereditato il nome da questa mitica isola grazie ai primi esploratori che, nel 1536, al seguito di Hernán Cortés, così la battezzarono, nella convinzione di essere approdati su di essa. Anche nello spazio c’è un’isola dai mille colori, la cui forma ricorda proprio quella dello stato americano ed i colori di questa immagine evocano proprio i colori del sole e dell’oro. Non a caso la California è soprannominata “The Golden State” (lo Stato dell’oro), in omaggio alla corsa all’oro californiana, iniziata nel 1848 ed anche “Lo Stato del Sole”, a causa del suo clima molto soleggiato e arido. Questa nube molecolare dista soli 1000 anni luce dal braccio di Orione, dove risiede il nostro Sole. E’ una nebulosa ad emissione che si estende per circa 100 anni luce. In essa risplendono di luce rossa gli atomi di idrogeno ionizzati, che si ricombinano con gli elettroni perduti, che erano stati strappati dalla energetica luce di una stella, XiPersei, che risplende a destra della nebulosa. Questa nebulosa non è difficile da osservare. Infatti può essere vista anche con un telescopio a grande campo fluttuare in un cielo scuro nella costellazione di Perseo, non lontano dalle Pleiadi. Ma lontana e per sua stessa natura impalpabile, come lo sono le leggende, resta irraggiungibile, proprio come la leggendaria isola della regina Califia.
NGC 1499, la nebulosa California. Crediti: Yannick Akar
È stato il gruppo di galassie chiamato “Quintetto di Stephan”, osservato dal James Webb Space Telescope della NASA, il primo obiettivo dello strumento WHT Enhanced Area Velocity Explorer (WEAVE), un nuovo e potente spettrografo a multifibre montato al Telescopio William Herschel (WHT) dell’Osservatorio del Roque de los Muchachos a La Palma, nelle Isole Canarie. WEAVE è ora in fase di verifica e presto produrrà i suoi primi dati scientifici. Le osservazioni di quella che in gergo viene chiamata “prima luce” sono state effettuate utilizzando uno dei tre modi di osservazione a disposizione per questo strumento: l’unità a campo integrale LIFU (large integral-field unit fibre bundle). Al progetto collabora anche l’Italia: il gruppo WEAVE Italia coinvolge più di 80 ricercatori e ricercatrici dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), che hanno anche collaborato alla costruzione dello strumento.
Il telescopio William Herschel e lo strumento WEAVE. Il posizionatore di WEAVE è alloggiato nella scatola nera di 1,8 metri sopra l’anello superiore del telescopio. Le fibre ottiche corrono lungo la struttura del telescopio fino all’involucro a sinistra, che ospita lo spettrografo WEAVE. Crediti: Sebastian Kramer.
Gestito dall’Isaac Newton Group of Telescopes (ING) e dalla Collaborazione WEAVE, composta da oltre 500 ricercatori in tutto il mondo, lo spettrografo sarà in grado di osservare gli spettri di diversi milioni di oggetti celesti, stelle e galassie. “WEAVE è il primo degli spettrografi multifibre ad alta risoluzione a grande campo, e l’unico collocato nell’emisfero Nord. Come tale fornisce una visione privilegiata del disco Galattico, principalmente nelle regioni esterne”, racconta Antonella Vallenari, ricercatrice presso l’INAF di Padova e rappresentante nel comitato esecutivo del team WEAVE Italia. E aggiunge: “WEAVE è fondamentale per capire come si sono formate la nostra Galassia e le galassie esterne e per rispondere a domande rilevanti sulla materia oscura e l’energia oscura”.
Daniela Bettoni, associata dell’INAF di Padova e membro del team italiano WEAVE, spiega i risultati: “Le osservazioni con LIFU si sono concentrate sulla coppia di galassie in collisione, NGC 7318a e NGC 7318b, a una distanza di 280 milioni di anni luce dalla Terra nella costellazione di Pegaso. In questa modalità di osservazione, ben 547 fibre hanno registrato il colore della loro luce dall’ultravioletto al vicino infrarosso. Le fibre sono raggruppate in una area esagonale che copre una porzione di cielo delle dimensioni tipiche delle galassie più vicine a noi. Con questi spettri si possono studiare sia il moto delle stelle che quello del gas, la composizione chimica delle stelle come pure le temperature e densità delle nubi di gas di queste due galassie. Queste osservazioni offrono preziosi indizi su come queste interazioni estreme (vere e proprie collisioni) modificano e trasformano le galassie coinvolte”.
Analizzando i dati raccolti con WEAVE, gli esperti hanno notato la presenza di gas ionizzato a est e a sud di entrambe le galassie, ben oltre il disco di ognuna di esse. Nubi di idrogeno, il carburante per la formazione di nuove stelle, sono spinte fuori dalla loro orbita dall’arrivo ad alta velocità – stimata in 800 chilometri al secondo – della galassia NGC 7318b, che si sta muovendo verso la Terra attraversando il centro del “Quintetto di Stephan”. Confrontando le intensità delle linee dell’idrogeno e dell’azoto gli astronomi possono capire quale meccanismo ha ionizzato il gas: l’onda di shock legata alla collisione di nubi di gas oppure la formazione di nuove stelle. La qualità dei dati è eccezionale: WEAVE è riuscito a misurare differenze di velocità dell’ordine di 12,8 chilometri al secondo.
L’immagine del James Webb Space Telescope (JWST) con i dati dell’unità a campo integrale LIFU di WEAVE che punta al Quintetto di Stephan per l’osservazione della cosiddetta “prima luce”. Ogni cerchio nell’immagine indica una fibra ottica di 2,6 secondi d’arco di diametro. L’osservazione fornisce informazioni fisiche da ciascuna regione di ciascuna galassia e dal loro ambiente circostante, coprendo una zona di cielo pari a 120 mila anni luce dall’alto verso il basso. Crediti: NASA, ESA, CSA, STScI (immagine di sfondo); Aladin (sovrapposizione di fibre).
I dati in blu, verde e rosso, secondo le velocità derivate dagli spettri WEAVE, sono sovrapposti a un’immagine composita del “Quintetto di Stephan”, che presenta la luce stellare della galassie (CFHT telescope) e l’emissione di raggi X di gas caldo (banda verticale blu, Chandra X-ray observatory). Le velocità indicano che la galassia NGC 7318b (in blu, nella regione centro-sinistra) è entrata nel gruppo a 800 km/s attraverso il centro del gruppo di galassie. Questa collisione ad alta velocità crea scompiglio in NGC 7318b: nubi di idrogeno gassoso, il combustibile della formazione stellare, vengono strappate via dalla galassia. Si tratta di un fenomeno che probabilmente rallenterà notevolmente la formazione di nuove stelle nella galassia. Crediti: Raggi X (blu) – NASA/CXC/CfA/E. O’Sullivan, Dati ottici (marrone) – Canada-France-Hawaii-Telescope/Coelum, WEAVE’s LIFU: Marc Balcells.
Vallenari sottolinea come sia “importante anche il contributo del Telescopio nazionale Galileo (TNG) dell’INAF, dove risiederà l’archivio pubblico che distribuisce I dati a tutta la comunità scientifica Internazionale”.
Il progetto prevede il completamento di otto progetti di ricerca (o survey in inglese), tre che studiano la nostra Galassia e cinque le galassie esterne, che vanno dallo studio dell’evoluzione stellare, alla comprensione della Via Lattea, fino allo studio della evoluzione delle galassie esterne e della cosmologia. Due survey sono a guida italiana e coinvolgono la struttura del disco della Via Lattea tramite i suoi ammassi stellari (coordinata da Antonella Vallenari) e uno studio dettagliato delle proprietà delle galassie a redshift intermedio (coordinata da Angela Iovino, sempre dell’INAF).
WEAVE è uno strumento molto versatile: oltre alla modalità di osservazione a campo integrale (LIFU), può utilizzare altre due modalità, ovvero il MOS, in grado di osservare contemporaneamente circa 960 stelle o galassie con un delicato sistema di fibre, e il miniIFU che permette di osservare a campo integrale fino a 20 oggetti contemporaneamente. Entrambi sono già montati al telescopio e a breve produrranno i primi dati scientifici.
Lo spettrografo WEAVE in laboratorio. Crediti: NOVA.
Vallenari conclude dicendo che grazie “alle sue caratteristiche (grande campo, numero di fibre, risoluzione spettrale, posizione nell’emisfero Nord), lo spettrografo WEAVE non avrà rivali per i prossimi 10 anni. Si tratta di una macchina formidabile in grado di osservare 30 milioni di spettri per 10 milioni di oggetti in 5 anni di survey. Ci aspettiamo che i progetti di ricerca comincino nei primi mesi del prossimo anno. Ci attendiamo grandi scoperte scientifiche da questi nuovi dati”.
Scott Trager, Project scientist di WEAVE, conclude: “Queste osservazioni mostrano la potenza di WEAVE nell’esaminare i fenomeni complessi coinvolti nell’evoluzione delle galassie durante la storia dell’Universo. Sicuramente WEAVE offrirà al team scientifico e all’ampia comunità scientifica di ING l’opportunità di fare nuove grandi scoperte”.
Per saperne di più il video https://www.ing.iac.es/PR/press/StephansQuintetWEAVE.mp4Il video mostra la coppia di galassie osservate da WEAVE in luce visibile. L’animazione rivela il moto caotico dell’idrogeno ionizzato a due delle galassie nel Quintetto di Stephan. Crediti: S. Trager. Immagine di sfondo: NASA, ESA, CSA, STSc
Per maggiori informazioni:
Il progetto è una collaborazione tra diversi partner: Science and Technology Facilities Council (STFC, UK), Netherlands Research School for Astronomy (NOVA, NL), la Dutch Science Foundation (NWO, NL), the Isaac Newton Group of Telescope (ING, UK/NL/ES), Astrophysical Institute of the Canaries (IAC, ES), the Ministry of Economy and Competitiveness (MINECO, ES), Ministry of Science and Innovation (MCI), the European Regional Development Fund (ERDF), National Institute for Astrophysics (INAF,IT), French National Centre for Scientific Research (CNRS, FR), Paris Observatory – University of Paris Science and Letters (FR), Besançon Observatory (FR), Region île de France (F), Region Franche-Comté (FR), Instituto Nacional de Astrofísica, Óptica y Electrónica (INAOE, MX), National Council for Science and Technology (CONACYT, MX), Lund Observatory (SE), Uppsala University (SE), the Leibniz Institute AIP (DE), Max-Planck Institute for Astronomy (MPIA, DE), University of Pennsylvania (US), and Konkoly Observatory (HU).
Perdasdefogu (NU) presso AVIOSUPERFICIE ALIQUIRRA Sabato 17 dicembre 2022
La terza tappa delle serate all’insegna della divulgazione astronomica organizzata dal gruppo di fotografia astronomica della Sardegna è stavolta ospite dell’associazione Aliquirra presso l’omonima aviosurperficie nel territorio del comune di Perdasdefogu (NU), sotto uno dei cieli più bui ed incontaminati dell’isola. Sarà una serata non solo di osservazione libera al telescopio, ma anche di divulgazione astronomica con dimostrazioni pratiche mediante l’uso degli strumenti messi a disposizione gratuitamente dal G.FAS.
In caso di pioggia o meteo avverso la serata proseguirà al chiuso con la visione di materiale fotografico e video esplicativi.
orario d’inizio 20:30
fine alle 00:30
Gli organizzatori tutti vi aspettano numerosi!!
contatti per partecipare come spettatori:
Ass. Aliquirra – Marco Corongiu 338 622 35 68
contatti G.FAS per partecipare come Astrofili e prenotare una postazione:
Alessandro Bianconi 334 620 80 65
(per partecipare come Astrofili con strumentazione e prenotare una piazzola è necessario compilare il modulo di iscrizione. contattare Emanuele Atzeni per i dettagli. Concentramento alle ore 16:00 per chi deve prendere la postazione e preparare il setup).
La fine è in vista per la storica missione Artemis I della NASA.
Il rientro della capsula Orion senza equipaggio di Artemis I è previsto per domenica pomeriggio (11 dicembre), un ammaraggio nell’Oceano Pacifico al largo della California del sud dopo 26 giorni di viaggio nello spazio vicino, fra la Terra e la Luna.
La capsula Orion si è comportata molto bene fino ad oggi e i membri del team di Artemis I sono fiduciosi che il successo si protrarrà fino a domenica. Ma mai dare nulla per scontato.
“Non abbasseremo la guardia”, ha detto il responsabile della missione di Artemis, Mike Sarafin, durante una conferenza stampa giovedì pomeriggio (8 dicembre). “Abbiamo alcuni passaggi difficili da affrontare”.
In effetti, il ritorno a casa di Orion è una delle fasi più impegnative della missione Artemis I. La capsula entrerà nell’atmosfera terrestre domenica a circa 40.000 km/h, per fare un confronto sono circa 32 volte la velocità del suono!
In questa fase le temperature toccheranno punte di circa 5.000 gradi Fahrenheit (2.800 gradi Celsius), siamo praticamente a circa la metà della temepratura sulla superficie del Sole. Sarà lo scudo termico della capsula a dover sopportare tale carico termico, proteggendo il resto della navicella. Un test impressionante per lo scudo termico completamente nuovo e che non ha mai affrontato condizioni così estreme. Lo scudo, con una larghezza di 5 metri, è il più grande del suo genere.
Completion of Avcoat block bonding on Artemis II Heatshield
“Non esiste un arcjet o una struttura aerotermica qui sulla Terra in grado di replicare il rientro ipersonico con uno scudo termico di queste dimensioni”, ha detto Sarafin.
Se tutto va secondo i piani, Orion affonderà domenica intorno alle 12:40 EST (17:40 GMT,18:40 Roma) nell’Oceano Pacifico, al largo della costa occidentale della Bassa California. Il sito si trova a circa 480 km a sud della zona di atterraggio bersaglio originale, che era vicino a San Diego. La modifica è stata apportata per sfuggire alle previsioni meteorologiche avverse più a nord, hanno spiegato giovedì i membri del team della missione.
Una nave della Marina degli Stati Uniti, la USS Portland, attenderà nell’area per recuperare Orion e riportare la capsula a San Diego. Da lì, Orion si dirigerà verso il Kennedy Space Center della NASA in Florida, dove sarà sottoposto a un completo controllo post-volo.
Sulla via del ritorno sulla Terra, Orion attraverserà anche un periodo di intense radiazioni causato dalle fasce di Van Allen per questo è stato progettato fin dall’inizio per garantire l’affidabilità dei sistemi essenziali del veicolo spaziale durante i potenziali eventi di radiazione e può diventare un rifugio antitempesta improvvisato quando i membri dell’equipaggio utilizzano materiali schermanti per formare una barriera contro le particelle energetiche solari.
Per la missione Artemis I senza equipaggio, Orion sta trasportando diversi strumenti ed esperimenti per comprendere meglio l’ambiente in cui i futuri equipaggi saranno immersi e per fornire informazioni preziose agli ingegneri per sviluppare ulteriori misure protettive. Esistono sensori attivi collegati all’alimentazione che possono inviare letture alla Terra durante il volo, nonché rilevatori passivi che non richiedono alcuna fonte di alimentazione per raccogliere informazioni sulla dose di radiazioni che verranno analizzate dopo il volo.
Il comandante Moonikin Campos (un manichino) è dotato di due sensori di radiazione, oltre a un sensore sotto il poggiatesta e un altro dietro il sedile per registrare l’accelerazione e le vibrazioni durante la missione. Il sedile è posizionato sdraiato con i piedi rialzati, per favorire il flusso sanguigno alla testa per i membri dell’equipaggio nelle future missioni durante la salita e l’ingresso. La posizione riduce anche la possibilità di lesioni consentendo alla testa e ai piedi di non muoversi o subire scossoni durante il decollo e l’atterraggio e distribuendo le forze su tutto il busto durante i periodi di accelerazione e decelerazione elevata, come lo splashdown.
Il manichino con indosso la tuta speciale progettata per Artemis
Le ipotesi prevedono che l’equipaggio sarà sottoposto a due volte e mezzo la forza di gravità durante la risalita e quattro volte la forza di gravità in due punti diversi durante il profilo di rientro pianificato. Gli ingegneri confronteranno i dati di volo di Artemis I con i precedenti test di vibrazione a terra con lo stesso manichino e soggetti umani, per correlare le prestazioni prima di Artemis II.
Oltre ai sensori sul manichino e sul sedile, Campos indossa una tuta pressurizzata Orion Crew Survival System di prima generazione, una tuta spaziale che gli astronauti indosseranno durante il lancio, l’ingresso e altre fasi dinamiche delle loro missioni. Anche se è progettata principalmente per il lancio e il rientro, la tuta Orion può mantenere in vita gli astronauti se Orion dovesse perdere pressione nella cabina durante il viaggio verso la Luna, durante la regolazione delle orbite nel Gateway o sulla via del ritorno a casa. Gli astronauti potrebbero sopravvivere all’interno della tuta fino a ben sei giorni! Lo strato di copertura esterno è arancione per rendere i membri dell’equipaggio facilmente visibili nell’oceano qualora dovessero aver bisogno di uscire da Orion senza l’assistenza del personale di recupero, e la tuta è dotata di diverse caratteristiche per vestibilità e funzionalità.
Orion è decollato su un razzo Space Launch System (SLS) il 16 novembre, dando il via alla missione Artemis 1 è poi scivolato nell’orbita lunare il 25 novembre ed è partito il 1° dicembre. Quattro giorni dopo, la capsula ha eseguito un’accensione del motore di 3,5 minuti durante un sorvolo ravvicinato della Luna per metterla in rotta verso la Terra.
Se l’11 dicembre tutto dovesse conludersi con il successo sperato la NASA potrà finalmente dedicarsi al secondo stadio della misione: Artemis II, con l’obiettivo di inviare astronauti in orbita intorno alla Luna sempre a bordo della capsula Orion. Periodo di riferiemnto 2024. Artemis III dovrebbe far sperare all’allunaggio nei pressi del polo sud lunare fra il 2025 e il 2026.
A seguire molte sono le missioni al vaglio tra cui stabilire un campo base Artemis proprio vicino al polo sud entro la fine degli anni ’20. E da li, negli anni ’30 puntare a Marte. Ma in tanto.. finger cross per domani!
Sul sito di Coelum sarà trasmessa la diretta dal canale Youtube della NASA.
INAF-Osservatorio Astronomico di Capodimonte organizza due serate aperte al pubblico per fare festa insieme con concerti, conferenze e osservazioni ai telescopi del cielo natalizio
16 dicembre ore 20:30
Indice dei contenuti
Margherita Hackcento anni di una stella con una introduzione scientifica di Marcella Marconi, direttrice dell’Osservatorio Astronomico di Capodimonte, una serata dedicata al ricordo della figura della grande scienziata, nel centenario della nascita.
Un concerto a cura dell’Associazione Antonio Cotogni con Arie, canzoni e poesie per una donna e una scienziata straordinaria.Cantano: Giuditta Puccinelli (soprano), Patrizia Pavoncello (mezzosoprano), Salvatore Maligno (tenore), Luigi Francalanza (pianoforte); progetto e direzione artistica Rosa RodriguezPer concludere la serata le osservazioni ai telescopi con l’Unione Astrofili Napoletani.Ingresso libero su prenotazione: https://100hack.eventbrite.it
20 dicembre ore 20:30
Arrivano le Cometequel senso di meraviglia delle visitatrici del cosmo
Presentazione del Cometario: il catalogo delle grandi comete di Sarah Zambello e Susy Zanella, edito da Nomos edizioni in collaborazione con l’Osservatorio Astronomico di Capodimonte, un volume illustrato per bambini che coniuga scienza e immaginario scientifico e che trasmette quel senso di meraviglia per gli antichi e contemporanei visitatori dei nostri cieli.
Comete che vanno, comete che vengonoCome lo studio degli oggetti più affascinanti del nostro cielo può aiutarci a decifrare le nostre origini.conversazione scientifica della professoressa Alessandra Rotundi dell’Università di Napoli Parthenope, una delle massime esperte nello studio delle comete.Per concludere la serata le osservazioni ai telescopi con l’Unione Astrofili Napoletani.
Durante la serata sarà possibile acquistare una copia del Cometario per un regalo natalizio strabilliante.
Ingresso gratuito su prenotazione: https://cometa-natale.eventbrite.it
Una spettacolare occultazione all’alba dell’8 Dicembre riguarderà la Luna e il pianeta Marte.
Innanzitutto il nostro satellite per l’occasione sarà in Plenilunio proprio domani mattina alle ore 05:08 alla distanza di 396719 km dal nostro pianeta e con diametro apparente di 30,12’ ma anche il Pianeta Rosso avrà qualcosa da esibire, infatti sempre domani mattina Marte alle ore 06:35 sarà in opposizione al Sole.
Pertanto non è proprio il caso di lasciarsi scappare una simile occasione!!
Scendendo nei dettagli le fasi iniziali dell’occultazione saranno perfettamente visibili su tutto il territorio nazionale. Infatti a Bolzano l’inizio sarà alle ore 06:04 con la Luna +18°, a Roma alle ore 06:11 con la Luna a +14° ed infine a Catania con le fasi iniziali alle ore 06:16 con la Luna a +10°.
Per quanto riguarda la fine dell’occultazione, le migliori condizioni di osservabilità si avranno nell’Italia settentrionale e centrale con, ad esempio, la zona di Roma con le fasi finali con la Luna a +4° mentre Catania vedrà il termine dell’occultazione col nostro satellite in prossimità dell’orizzonte ad un’altezza di +1°.
Avete mai sognato di poter osservare le bellezze del cielo da casa vostra, magari comodamente seduti sul vostro divano?
Oggi arrivano due strumenti targati Unistellar, nati proprio con l’obiettivo di facilitare l’osservazione del cielo soprattutto a per chi è soggetto ai danni causati dall’inquinamento luminoso che affligge le nostre città (vedi Coelum n°258 ottobre/novembre 2022). Per osservare il cielo, infatti, occorre spesso spostarsi con il proprio telescopio lontano dalle luci, meglio se in montagna, dove il cielo è molto più buio.
Un prodotto innovativo dal punto di vista dell’usabilità, che permetterà a chiunque non solo di vedere in tempo reale gli oggetti celesti più difficili da osservare, ma anche di fotografarli in modo semplicissimo, addirittura dalla città. Il tutto gestito e visualizzato dallo schermo del vostro smartphone o tablet.
Nebulose, galassie e altre meraviglie del cosmo non avranno più segreti grazie alla serie UNISTELLAR EVSCOPE, il nuovo telescopio digitale distribuito in esclusiva per l’Italia da AURIGA srl, dotato di batteria al litio integrata che permette fino a 10 ore di autonomia continua. Potrete portarlo ovunque senza bisogno di pensare alla rete elettrica.
Non c’è bisogno di essere esperti del cielo: il telescopio è in grado di allinearsi automaticamente riconoscendo le stelle, all’utilizzatore resterà solo la fatica di scegliere uno dei più di cinquemila oggetti in memoria per inquadrarlo e osservarlo dal dispositivo Android o iOS. E’ inoltre possibile collegare fino a 10 dispositivi, per un’osservazione ancora più coinvolgente.
PERCHE’ SCEGLIERE I TELESCOPI UNISTELLAR?
🛑 Sono telescopi che permetteno di vedere in dettaglio e a colori, anche sotto cieli inquinati, oggetti astronomici fino ad ora fuori dalla portata di qualsiasi strumento ottico.
🛑 Completa autonomia: non occorre conoscere il funzionamento di un telescopio né conoscere il cielo e le coordinate celesti per usarli.
🛑 Altamente didattici, ideali per le scuole, per gli osservatori e per gli eventi pubblici per osservare oggetti al di fuori del Sistema Solare a tutto il pubblico.
🛑 Wireless, non serve alimentazione esterna o un pc per l’utilizzo; scaricando una app gratuita si potranno condividere osservazioni e tempo reale connettendo fino a 10 dispositivi (smartphone, tablet e smart tv).
🛑Leggeri e veloci da montare pesano solo 9 kg ed sono pronti per l’utilizzo in pochi minuti.
I modelli presentati da Unistellar sono due
Indice dei contenuti
eVscope eQuinox
il modello base ed anche più economico della linea, si racconta egregiamente nelle caratteristiche principali:
📌Montaggio ultrarapido, pronto all’uso in meno di 2 minuti dopo accensione
📌Batteria integrata ricaricabile per ore di osservazione senza fili
📌Puntamento automatico degli oggetti senza bisogno di nessun tipo di allineamento, grazie al riconoscimento automatico delle stelle inquadrate.
📌Visione degli oggetti celesti da tablet e smartphone, più dispositivi contemporaneamente
📌Osservazione degli oggetti anche da centri urbani grazie alla routine di pulizia dell’inquinamento Luminoso proprietaria.
📌Community Unistellar con possibilità di osservazione scientifica di asteroidi, comete o esopianeti
📌Una volta scaricata la app non serve la connessione ad internet per l’utilizzo
COME FUNZIONA
Il processo per la prima attivazione è semplice, basta seguire alcuni passaggi guidati.
Innazi tutto scaricare la APP Unistellar e connettersi con il telescopio grazie al ruouter di quest’ultimo. La prima sincronizzazione è autonatica, sarà sufficiente inquadrare un punto a caso del cielo e il telescopio riconoscerà le stelle in quel campo così da individuare la posizione di puntamento. Ora si è già pronti per operare e scegliere l’oggetto da puntare, già suddivisi per categoria o costellazione. Il telescopio punterà una zona di cielo vicino all’oggetto, si ri-sincronizzerà e poi punterà in modo preciso l’oggetto. In pratica fa tutto da solo!
Finalmente ma senza attendere troppo sarà possibile osservare l’oggetto in digitale che a mano a mano che il tempo aumenterà, diventerà via via più dettagliato e luminoso.
CONSIGLI DI UTILIZZO
Particolarmente adatto per Scuole ed universià, divulgazione astronomica, astrofili, osservatori e planetari, hotel e resort ed eventi.
Esempi di Galassie in ambiente sub urbano (10k da Milano)
CARATTERISTICHE
• Diametro 114 mm
• Lunghezza Focale 450mm (f/4)
• Sensore Sony IMX224 a colori
• Ingrandimento equivalente: 50x (digitale fino a 200x)
• Peso totale: 9 Kg
• Memoria interna 64 Gb
• Magnitudine massima: fino a 16 in circa 1 minuto, da un cielo di media qualità, fino a 18 da un cielo buio di montagna con qualche minuto di posa
eVscope 2
Il secondo modello della linea, alle potenzialità del Equinox aggiunge la possibilità di osservare gli oggetti DIRETTAMENTE DALL’OCULARE ELETTRONICO AD
ALTA DEFINIZIONE, come per ogni altro telescopio ma con molto maggior dettaglio e luminosità. Il sensore IMX347 da 4,1 Mp garantirà elevate prestazioni sugli oggetti deboli, con basso rumore elettronico
CARATTERISTICHE
• Diametro 114 mm
• Lunghezza Focale 450mm (f/4)
• Sensore Sony IMX347 a colori da 4,1 Mp
• OCULARE ELETTRONICO AD ALTA
DEFINIZIONE PROGETTATO DA NIKON
• Ingrandimento equivalente: 50x (digitale fino
a 200x)
• Peso totale: 9 Kg
• Memoria interna 64 Gb
• Magnitudine massima: fino a 16 in circa 1 minuto, da un cielo di media qualità, fino a 18 da un cielo buio di montagna con qualche minuto di posa.
👉👉Se volete meglio comprendere il funzionamento di questo nuovo strumento e saggiarne le caratteristiche avanzate, lo potete trovare in visione nel negozio fiorentino di Ottica Tre, dove Nicola Restaino soddisferà ogni vostro dubbio in merito all’eVscope.
Ottica tre si trova in Viale Calatafimi 12-14/R a Firenze.
Per informazioni telefoniche lo potete contattare al numero 055 600057, oppure via email al seguente indirizzo: otticatre@gmail.com
Al via oggi le celebrazioni dell’Osservatorio SKA per l’inizio della costruzione di quello che sarà il più grande radiotelescopio al mondo. Assegnati contratti per un totale di 450 milioni di euro. L’Italia con l’INAF è in prima linea nel progetto. Il Ministro dell’Università e della Ricerca Anna Maria Bernini commenta: “Sono particolarmente orgogliosa di poter dire che questo progetto è molto legato all’Italia”.
Dopo oltre 30 anni di ideazione, progettazione e test, il progetto SKA è ufficialmente una realtà. Hanno avuto luogo oggi, in Australia e in Sudafrica, le cerimonie ufficiali di inizio lavori per quello che sarà il radiotelescopio più importante al mondo. Durante le celebrazioni è stato dato anche l’annuncio dell’assegnazione di 4 grandi contratti del valore di oltre 300 milioni di euro. I gruppi di antenne denominati SKA-Low e SKA-Mid costituiranno le due reti di radiotelescopi più grandi e complesse mai costruite. Promosso dall’Osservatorio SKA (SKAO), questo radiotelescopio è considerato da molti uno degli sforzi scientifici globali più ambiziosi del 21° secolo, coinvolgendo sedici Paesi in cinque continenti. L’Italia vanta una lunga tradizione nel campo della radioastronomia e tramite l’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) è una delle prime nazioni ad aver preso parte al progetto. Grazie alla leadership dell’INAF, tutta la comunità scientifica italiana godrà di un coinvolgimento trasversale in SKA.
Le cerimonie di inizio lavori hanno luogo quasi in contemporanea nei due continenti. La presidente del Consiglio di Amministrazione di SKAO, Catherine Cesarsky, si è recata nella provincia di Northern Cape per rappresentare l’Osservatorio in Sudafrica presso il sito del futuro telescopio a media frequenza (SKA-Mid). Il direttore generale di SKAO, Phil Diamond, ha partecipato invece a una cerimonia simile in Australia occidentale, dove sarà costruito il telescopio SKA-Low, costituito da antenne a bassa frequenza. Durante le cerimonie sono stati resi noti i nomi delle società che si sono aggiudicate i lavori per la realizzazione delle ampie infrastrutture che gestiranno i telescopi, così come le società – anche italiane – che parteciperanno alla realizzazione delle antenne e delle parabole. Presenti i rappresentanti dei governi locali e nazionali, i dirigenti dei partner locali di SKAO, il South African Radio-Astronomy Observatory (SARAO) e l’agenzia scientifica australiana CSIRO.
“Il radiotelescopio SKA non è più solo un progetto, ma una realtà”, sottolinea Anna Maria Bernini, Ministro dell’Università e della Ricerca. “Il più grande radiotelescopio del mondo, con migliaia di antenne sparse su due continenti, è destinato a definire il nostro presente e il nostro futuro. È uno dei progetti più ambiziosi mai intrapresi finora e sono particolarmente orgogliosa di poter dire che questo progetto è molto legato all’Italia. Fin dall’inizio, l’Italia ha avuto un ruolo di primo piano grazie all’Istituto Nazionale di Astrofisica. L’Italia contribuisce al progetto non solo economicamente e in termini di tecnologia, ma, prima di tutto, attraverso le sue eccellenti risorse umane. Qualcosa in cui siamo leader. L’Osservatorio SKA è la dimostrazione che l’Italia ha tutte le risorse per partecipare a pieno titolo all’esplorazione spaziale da terra. È davvero un’impresa straordinaria. Stiamo compiendo un passo fondamentale verso una più ampia comprensione delle leggi che governano l’Universo. E forse anche verso l’espansione della nostra visione del mondo. Come direbbero i nostri antenati latini, “Per aspera ad astra”. I miei migliori auguri per una fruttuosa esplorazione”, conclude.
Il Consiglio di SKAO aveva dato il via libera all’inizio della costruzione 18 mesi fa, nel giugno 2021.In Sudafrica verranno installate 133 antenne a parabola di 15 metri di diametro, in aggiunta alle 64 antenne del telescopio MeerKAT già esistenti: le 197 antenne formeranno uno strumento in grado di captare segnali radio a media frequenza. L’Australia ospiterà un array di telescopi a bassa frequenza di 131.072 antenne, ciascuna alta due metri e a forma di albero di Natale. Il telescopio SKA-Low così composto rileverà segnali provenienti dal Cosmo con frequenze comprese tra 50 e 350 megahertz, mentre SKA-Mid rileverà quelli con frequenze comprese tra 350 megahertz e 15,4 gigahertz.
Nei prossimi 50 anni, gli scienziati di tutto il mondo useranno i telescopi SKA per rispondere a domande cruciali sulle prime fasi di vita dell’Universo e per svelare alcuni dei misteri più profondi dell’astrofisica. Le infrastrutture e le antenne SKA verranno costruite in più fasi e la prima, la cui spesa prevista è di 1,3 miliardi di euro, dovrebbe essere completata nel 2028. L’obiettivo finale è avere migliaia di parabole in Sudafrica e nei paesi partner africani e un milione di antenne in Australia.
Dall’inizio delle attività di costruzione globali nel luglio 2021, SKAO ha assegnato quasi 50 contratti per un valore di circa 450 milioni di euro (150 milioni assegnati finora e 300 milioni annunciati oggi durante le celebrazioni). L’approvvigionamento iniziale si è concentrato sullo sviluppo del software, appaltando società di servizi professionali per aiutare a supervisionare la costruzione e l’acquisto all’ingrosso dei componenti necessari. I quattro contratti annunciati oggi riguardano la costruzione delle infrastrutture in Australia e in Sudafrica e la produzione delle antenne a media e bassa frequenza.
Le aziende italiane hanno contribuito a progettare le antenne SKAO e a costruire i telescopi precursori. Si sono anche impegnate in applicazioni spin-off di nuove tecnologie. Nel corso degli anni, tante realtà industriali italiane hanno collaborato al progetto fornendo supporto ai diversi gruppi di lavoro, nella fase di progettazione e nella produzione di alcuni prototipi. Nelle ultime settimane, diverse aziende italiane si sono aggiudicate contratti considerevoli per la realizzazione di parti e componenti delle antenne SKA-Mid e SKA-Low, e per la costruzione delle antenne SKA-Low.
La costruzione dei telescopi SKA richiederà otto anni e verranno consegnati in più fasi. Il primo importante traguardo dovrebbe essere raggiunto all’inizio del 2024 con il completamento di sei stazioni SKA-Low e delle prime quattro antenne SKA-Mid. Il completamento di due array è previsto intorno al 2028. I telescopi funzioneranno insieme come un telescopio unico, sfruttando la natura dei due array di radiotelescopi, tecnicamente chiamati interferometri, che consentono osservazioni anche con solo un sottoinsieme dell’intero array. I radioastronomi e i tecnici aspettano i primi notevoli risultati scientifici prima che i telescopi siano completati alla fine di questo decennio.
Marco Tavani, presidente dell’INAF, commenta entusiasta la partecipazione italiana: “Sono felice di confermare il nostro sostegno a questo fantastico progetto, uno sforzo internazionale che ci porterà a svelare i segreti dell’Universo. L’Italia fa parte del progetto SKA sin dall’inizio: dopo la creazione dell’organizzazione intergovernativa, e l’inizio della fase operativa, siamo arrivati finalmente alle celebrazioni per l’inizio della costruzione dei telescopi nei due continenti. È un progetto molto ambizioso, e la comunità di radioastronomi e astrofisici italiana è fortemente coinvolta. Voglio assicurare all’Osservatorio SKA il supporto dell’Istituto Nazionale di Astrofisica per il proseguimento di questa fruttuosa collaborazione”.
Sin da subito con un ruolo di protagonista nel progetto, dal 2015 al 2018 l’Italia ha guidato i negoziati multilaterali che hanno portato all’istituzione dell’Osservatorio, dell’organizzazione intergovernativa (IGO) per la supervisione della costruzione della più grande rete di radiotelescopi al mondo. Il 24 maggio 2018, l’Italia è stata la prima nazione a siglare il testo del trattato internazionale (Convenzione). Pochi mesi dopo, il 12 marzo 2019, durante una cerimonia ufficiale presso il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca (MIUR), i Ministri dei primi sei Paesi ad aver aderito hanno ufficialmente firmato il Trattato internazionale dando vita all’Osservatorio SKA (SKAO).
L’intero programma di sviluppo del progetto SKA prevede 12 ambiti tecnologici e l’INAF è attore di rilievo in 5 di questi: antenne a parabola, antenne a dipolo, gestione del telescopio, Central Signal Processor e un programma di sviluppo di strumentazione avanzata sui PAF. Sotto la guida dell’INAF, inoltre, l’Italia contribuisce alla definizione di tutti i casi scientifici del progetto SKA attraverso un’ampia partecipazione agli SKA Science Working Groups (SWG): dalla cosmologia ai test sulla relatività generale tramite lo studio delle pulsar, dall’evoluzione delle galassie allo studio dettagliato della nostra Galassia, dalle onde gravitazionali al magnetismo, passando per l’epoca della reionizzazione. Il personale di 15 strutture INAF e di 14 università italiane è coinvolto in 13 dei 14 SKA SWG: attualmente 6 di questi gruppi (Cosmology, Epoch of Reionization, Gravitational Waves, HI Galaxy Science, Magnetism, Our Galaxy) sono a leadership Italiana, mentre in 9 l’Italia ha ruoli di coordinamento.
Apriamo la rubrica di questo mese con la stupenda notizia di una supernova amatoriale tutta italiana.
Ad ottenerla è stato un veterano della ricerca di supernovae amatoriale italiana, Giancarlo Cortini. Questo 2022 è per lui sicuramente un anno d’oro, con tre scoperte che gli permettono di raggiungere quota 29 scoperte ufficiali e 3 indipendenti.
1) Immagine della SN2022abln in NGC5808 realizzata da Giancarlo Cortini con un telescopio Celestron C14 + Starlight Trius SH-9 esposizione 120 secondi.
Dopo un digiuno di quattro anni, era infatti dal marzo 2018 con la SN2018amb in UGC4870, Giancarlo ha ritrovato una “seconda giovinezza”. Con questi tre successi nel 2022, a livello mondiale amatoriale, Giancarlo occupa in solitario il terzo gradino del podio, dopo i cinesi del programma XOSS di Xing Gao con 10 scoperte e il giapponese Koichi Itagaki con 7 scoperte. Nella notte del 24 novembre l’esperto astrofilo forlivese ha individuato una debole stella di mag.+17,8 nella galassia a spirale barrata NGC5808 posta nella costellazione dell’Orsa Minore a soli 17° dal Polo Nord celeste e distante circa 320 milioni di anni luce. Stranamente questa galassia ha una doppia nomenclatura ed è conosciuta anche come NGC5819. Nella notte del 26 novembre, a completamento di questo importante successo, è arrivata anche la bellissima notizia della conferma spettroscopica ottenuta dall’astrofilo bellunese Claudio Balcon (ISSP). L’impresa non è stata per niente facile. Claudio opera con un telescopio Newton da 200mm F.5 e con la supernova intorno alla mag.+18 sono state necessarie quattro esposizioni da 40 minuti cadauna, per un’esposizione totale di 2 ore e 40 minuti. Mai nessun astrofilo al mondo era riuscito a classificare nel TNS una supernova così debole, a dimostrazione che con tenacia, costanza e professionalità si possono raggiungere dei risultati straordinari.
Lo spettro ottenuto ha permesso di classificare la SN2022abln come una supernova di tipo II scoperta circa due settimane dopo l’esplosione. La supernova era perciò visibile, anche se debole, già da diversi giorni, ma per fortuna nessun programma professionale ha puntato la propria strumentazione verso questa galassia. Questa è la nona supernova scoperta e classificata tutta a livello amatoriale e la seconda tutta italiana; la prima fu la storica SN2020aavb in NGC3697 scoperta da Paolo Campaner e Fabio Briganti e classificata da Claudio Balcon. A Giancarlo vanno i nostri sinceri complimenti per questi successi del 2022 che lo vedono leader a livello mondiale. Se purtroppo il nostro ISSP è ancora fermo al palo, abbiamo per fortuna chi riesce a tenere alta la bandiera italiana.
Questo mese abbiamo inoltre altre due interessanti scoperte amatoriali, la prima delle quali non poteva essere realizzata se non dal solito incredibile ricercatore giapponese Koichi Itagaki. Nella notte del 12 novembre ha individuato una stella nuova nei pressi della galassia a spirale barrata NGC4340, posta nella costellazione della Chioma di Berenice a circa 50 milioni di anni luce di distanza.
4) Koichi Itagaki nella sala controllo del suo osservatorio.
Questa galassia è accompagnata in cielo dalla galassia a spirale NGC4350 ed entrambe sono situate a circa un grado a Nord della galassia M100 ed a circa un grado e mezzo a Sud della galassia M85. Al momento della scoperta il nuovo transiente mostrava una luminosità pari a mag.+17,9 e vista la vicinanza alla galassia ospite NGC4340 che ha un modulo di distanza intorno a 31 ci aspettavamo un rapido incremento di luminosità, che nel caso di una supernova di tipo Ia avrebbe potuto raggiungere la notevole mag.+12 (31-19=12). In realtà l’oggetto è aumentato solo leggermente di luminosità fino a raggiungere la mag.+17. Il perché è dovuto molto probabilmente al fatto che questa supernova non fa parte della galassia NGC4340, ma bensì si trova nella parte Nord della piccola galassia PGC213984 che appare prospetticamente vicina ad NGC4340, ma in realtà è situata molto più lontana a circa 400 milioni di anni luce di distanza. Sono passate oltre due settimane dalla scoperta ed ancora nessun osservatorio professionale ha classificato questo transiente, che pertanto mantiene ancora la sigla provvisoria AT2022zzz.
3) Immagine a colori della AT2022zzz in PGC213984 realizzata da Rolando Ligustri in remoto dal New Messico con un telescopio da 500mm F.4,5 + CCD PL11002 esposizione RGB=120 secondi L=4x180secondi
Il nostro Claudio Balcon aveva provato ad ottenere un primo spettro la notte del 24 novembre, ma il seeing pessimo aveva permesso solo di escludere che si trattasse di una supernova di tipo Ia. Non era infatti visibile la riga del Silicio Si II a 6355A tipico di questo genere di supernovae. Lo spettro era un blu continuo, compatibile con le supernovae di tipo II giovani, ma non potendo identificare righe certe e quindi non garantire la presenza di redshift, potrebbe trattarsi anche di un oggetto della nostra galassia. Senza certezze non era professionale inserire la classificazione nel TNS. Servirebbe un telescopio di dimensioni ben maggiori, ma il fatto che anche i professionisti non hanno ancora emesso un verdetto su questo transiente, la dice lunga su come questo oggetto sia particolare ed ancora pieno di incertezze.
La seconda supernova amatoriale è stata invece scoperta la notte del 15 novembre dall’astrofilo americano Patrick Wiggins, che l’ha individuata nella galassia lenticolare NGC5631 posta nella costellazione dell’Orsa Maggiore a circa 90 milioni di anni luce di distanza. Il bravo astrofilo americano, dal 2014 ad oggi, ha messo a segno otto scoperte, quasi tutte molto luminose, fra cui spicca la famosa SN2017aew in NGC6946 che raggiunse la notevole mag.+12,5.
6) Patrick Wiggins accanto al suo telescopio Celestron C14 all’interno del suo osservatorio.
L’attuale ultima supernova al momento della scoperta brillava già di mag.+16 eppure anche se luminosa, non era un facile oggetto da individuare a causa della vicinanza con il nucleo della galassia ospite. Nella notte del 17 novembre gli astronomi americani del Lick Observatory in California, con il telescopio Shane da 3 metri, hanno ripreso lo spettro di conferma. La SN2022aaiq, questa la sigla definitiva assegnata, è una supernova di tipo Ia scoperta circa 10 giorni prima del massimo di luminosità, con i gas eiettati dall’esplosione che viaggiano ad una velocità di circa 11.600 km/s. La supernova ha infatti raggiunto il massimo di luminosità intorno al 26 novembre, sfiorando la mag.+13. Peccato che la galassia ospite non sia molto fotogenica, perché la supernova è invece la seconda più luminosa visibile in questo periodo, dopo la SN2022zut in NGC3810.
5) Immagine della SN2022aaiq in NGC5631 ottenuta la notte della scoperta da Patrick Wiggins con un telescopio Celestron C14.
Lo ricordiamo con le parole di Maura Tombelli, Giancarlo Cortini, Fabio Briganti e Riccardo Mancini.
Lo scorso 8 novembre, all’età di 85 anni, il reverendo australiano Robert Evans ci ha lasciati. Possiamo considerarlo sicuramente il più famoso astrofilo al mondo, una vera leggenda della ricerca amatoriale di supernovae. E’ stato un grandissimo astrofilo con un’immensa passione per l’universo ed in modo particolare per le supernovae. Ne scopri infatti 42 visualmente e 5 fotograficamente.
1) Robert Evans accanto al suo telescopio Dobson da 40cm
Alla fine degli anni ’90 prima dell’avvento delle camere CCD, era infatti il leader indiscusso come numero di scoperte amatoriali. A quel tempo la ricerca amatoriale di supernovae si svolgeva con metodi visuali e bisognava possedere una profonda conoscenza del cielo per poter osservare decine di galassie per ogni notte di osservazione. Evans possedeva questa dote e riusciva a puntare, avendole memorizzate, centinaia di galassie senza l’ausilio di atlanti o cartine. Un astrofilo vecchio stampo, che faceva tutto manualmente. Lo avevamo intervistato nel 2015 fra i dieci maggiori scopritori di supernovae al mondo e fu molto disponibile raccontandoci la sua storia personale e quella di astrofilo. La nostra conoscenza su Evans è stata però solo tramite uno scambio di mail, così abbiamo deciso di contattare due astrofili italiani che hanno avuto il piacere e l’onore di conoscerlo personalmente. Ringraziamo perciò Maura Tombelli e Giancarlo Cortini per il loro prezioso contributo, che pubblichiamo integralmente.
Robert Evans in compagnia di Maura Tombelli a Hazelbrook nel 2013
“Nel luglio 1990 partecipai con Andrea Boattini al congresso AAVSO a Bruxelles e incontrai Padre Evans per la prima volta. Ricordo l’emozione.
Nel 1992, sapendo che sarebbe stato ospite al Congresso UAI di Forli, gli chiedemmo di trattenersi in Italia per qualche giorno in più e sarebbe stato mio ospite. Padre Evans accettò e in due giorni, visitammo Firenze, Vinci, Pisa oltre incontrarsi con Beppe Forti ad Arcetri e Riccardo Bettarini all’osservatorio di Piazzano. Il 4 dicembre 2002 ci fu una eclissi totale di sole e mi recai in Australia per assistere all’evento nel deserto, lo avevo organizzato da tempo con un gruppo di astrofili americani. Avendo amici in Sidney, mi trattenni in zona tre settimane e una settimana fui ospite di Padre Evans. Emozione pura osservare con lui, ma il bello fu l’incontro con gli astrofili australiani e osservare con loro da Coonabarabran e a seguire una visita guidata all’osservatorio di Siding Spring dove incontrammo Robert McNaught. Nel 2013 tornai in Australia per partecipare ad uno star party a Viruna con un’amica di Sydney, eravamo in macchina e quando riconobbi la strada di Hazelbrook dove Bob abitava, lo contattammo e fummo felicissimi tutti di rivedersi al bar del paese, poi fummo invitate a pranzo e ricordo con piacere l’abbraccio con sua moglie. La foto è di quest’ultimo incontro. Lo voglio ricordare così. Buon viaggio Bob!!!
Maura Tombelli
3) Robert Evans in mezzo a Giancarlo Cortini e Mirco Villi al congresso UAI del 1992
La settimana scorsa ho purtroppo appreso una notizia molto triste: Mirco Villi, sempre attento a tante novità, mi ha comunicato la scomparsa del grande astrofilo australiano Robert Evans, avvenuta il giorno 8 Novembre, all’età di circa 85 anni e mezzo. L’avevo conosciuto di fama già agli inizi degli anni ’80, quando aveva iniziato la sua meravigliosa ricerca di supernovae extragalattiche, coronata da successi di scoperte, anche fino a 5 – 6 all’anno, e tutte con il metodo visuale, tramite i suoi telescopi riflettori newtoniani (prima un 25 cm. , poi il famoso 40 cm. col quale ha portato ad 47 le scoperte totali!) Un record nel record, certamente inarrivabile per chiunque, soprattutto considerando la difficoltà della ricerca visuale, ed anche le sue ovvie limitazioni. Quando poi, nel 1990, decisi assieme a Mirco Villi e Stefano Moretti, di costituire il primo gruppo di ricerca di SNe in Italia, Bob Evans era già una star mondiale acclamata; e fu in quel periodo che gli chiedemmo aiuti e consigli per iniziare anche noi l’attività di ricerca. E la sua risposta fu certamente la più bella e generosa che potevamo aspettarci: ci inviò, come regalo!, una serie di diapositive di centinaia di galassie utili per la ricerca stessa, senza chiederci nulla in cambio. Un gesto notevole, che ci fece capire la statura morale e l’animo del caro reverendo della “United Church of Australia”. Nel Settembre 1992 la U.A.I. lo invitò poi per un tour in Italia, e per ricambiare la sua generosità lo ospitammo a Forli’ in occasione del Congresso U.A.I. . Ricordo ancora come adesso la sua simpatica persona quando arrivò alla sede del Gruppo Astrofili Forlivesi il 22 Settembre, e quando gli feci conoscere i miei genitori; e come dulcis in fundo, la visita prima al colle di Monte Colombo, dove Mirco ed io scoprimmo la famosa SN 1991 T, coscoperta naturalmente con Bob; poi la sua visita all’osservatorio astronomico di Asiago. Da allora purtroppo non ci incontrammo più, e come spesso succede tra comuni mortali, ci sentimmo solo in rare occasioni. Non posso certo dimenticare questa bella esperienza di conoscenza con Bob, anche se sono passati così tanti anni.
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La magia del mese di dicembre pervade la volta celeste, addobbata di scintillanti astri e celebri costellazioni…
Già da diverse settimane abbiamo potuto osservare un assaggio di cielo invernale, quando da Sud/Sud-Est hanno fatto il loro ingresso Orione, Toro, Gemelli, Auriga e Cane Maggiore.
Il dettaglio sulla costellazione di Perseo, Eridano e quanto possiamo osservare in queste brillanti notti invernali, disponibili all’articolo Le Costellazioni di Dicembre 2022 a cura di Teresa Molinaro
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Mercurio
01/12 Sorge: h 08:26 Tramonta: h 17:19
31/12 Sorge: h 08:28 Tramonta: h 17:59
Novembre ha segnato il passaggio di Mercurio dalle sue apparizioni mattutine a quelle serali a seguito della congiunzione superiore con il Sole. A inizio dicembre lo troveremo ancora piuttosto accostato alla nostra stella, concedendoci solo brevi istanti per la sua osservazione al tramonto. La situazione varierà di poco a fine mese, ma insieme a Venere ci regalerà una stretta congiunzione il giorno 29 con meno di 2° di separazione: un bellissimo abbraccio che ci accompagnerà fino l’ultimo giorno di dicembre. Per dovere di cronaca segnaliamo una triangolazione Luna-Venere-Mercurio il 24 dicembre, con il nostro satellite in una sottilissima falce nel giorno successivo al Novilunio.
Venere
01/12 Sorge: h 08:06 Tramonta: h 17:16
31/12 Sorge: h 08:47 Tramonta: h 18:08
Non è ancora un buon periodo per l’osservazione del bel pianeta Venere, che si fa sempre desiderare, concedendosi pochi istanti solo alle ultime luci del giorno. Dovremo attendere la fine del mese per godere qualche attimo in più della sua presenza, con il già citato stretto abbraccio con Mercurio a farci compagnia già dal periodo natalizio, e il giorno della Vigilia troveremo Venere in afelio durante l’incontro con la sottilissima falce lunare.
Marte
01/12 Sorge: h 16:53 Tramonta: h 08:25
31/12 Sorge: h 14:15 Tramonta: h 05:43
Marte continua a farci sognare con la sua bellissima triangolazione tra Aldebaran e Betelgeuse: tre vertici rossi incastonati nel cielo che ci accompagnano già dalle prime ore serali. Marte infatti fa capolino sin subito dopo il tramonto e ci tiene compagnia tutta la notte: è un ottimo periodo per sfidare il freddo e concederci delle lunghe nottate fotografiche! Il giorno 7, in particolare, ci attende uno splendido quadro celeste con la Luna quasi piena (il Plenilunio sarà l’8 dicembre) frapposta tra il pianeta rosso e l’infuocato occhio del Toro. Nella stessa data Marte sarà in opposizione, brillando ancor di più nel buio della notte. Segnaliamo inoltre l’occultazione del pianeta rosso da parte della Luna l’8 dicembre.
Giove
01/12 Sorge: h 13:28 Tramonta: h 01:28
31/12 Sorge: h 11:35 Tramonta: h 23:38
Iniziamo dicembre con l’incontro tra Giove e la Luna – una congiunzione che avevamo anticipato già nello scorso numero di Coelum -, con una separazione tra i due astri di poco più di 6°. Giove anticiperà sempre di più il suo tramontare, andandosene per mezzanotte a fine mese e facendo capolino già dai primi orari pomeridiani. Ci prepariamo a salutarlo, attendendolo la sua splendida compagnia la prossima estate!
Saturno
01/12 Sorge: h 11:54 Tramonta: h 22:04
31/12 Sorge: h 10:03 Tramonta: h 20:19
Si fa sempre più stretta la finestra di osservazione del pianeta ad anelli, che per fine mese di dicembre ci concederà sempre meno la sua compagnia serale. Non ci farà mancare però una bella congiunzione con una Luna crescente il giorno 26: poco più di 4° di separazione in un’ottima angolazione per degli scatti suggestivi nelle prime ore dopo il tramonto!
Urano
01/12 Sorge: h 15:17 Tramonta: h 05:31
31/12 Sorge: h 13:16 Tramonta: h 03:29
Urano ci tiene ancora compagnia sostando sotto le stelle dell’Ariete per tutto il mese. Il giorno 5 ci aspetta l’occultazione del pianeta da parte della Luna, che vedremo sovrapporsi completamente a Urano nelle prime ore serali. Il nostro satellite tornerà a far visita al pianeta l’ultimo giorno del mese, ma una congiunzione veramente degna di nota non sarà apprezzabile prima del 1 gennaio 2023.
Nettuno
01/12 Sorge: h 13:17 Tramonta: h 01:01
31/12 Sorge: h 11:20 Tramonta: h 23:01
Il mese di dicembre si apre con Nettuno in compagnia di Giove e Luna nella congiunzione già citata tra il gigante gassoso e il nostro satellite. Come già anticipato, in questo mese invernale Nettuno anticiperà sempre più il suo tramontare e per fine dicembre lo saluteremo già nelle primissime ore notturne. Segnaliamo infine che il 3 dicembre invertirà il suo moto: da retrogrado ritornerà al muoversi nuovamente verso Est.
SOLE
Previsioni attività solare – Dicembre 2022
L’articolo a cura di Daniele Bonfiglio sarà disponibile i primi giorni di dicembre su www.coelum.com
LUNA
Si entra nel primo mese invernale e siamo quasi a chiusura di questo 2022. E quindi dedichiamo le ultime notti dell’anno anche all’osservazione del nostro satellite!
Tutti gli approfondimenti sull’osservazione e i fenomeni celesti legati al nostro satellite disponibili per il mese di Dicembre 2022, a cura del nostro autore Francesco Badalotti.
Quali asteroidi potremo osservare nel mese di dicembre? Inoltre: prosegue il nostro viaggio alla scoperta dei più famosi asteroidi: questa volta è il turno di Vesta!
A dicembre la ISS – Stazione Spaziale Internazionale sarà rintracciabile nei cieli della nazione ad orari tardo pomeridiani, nella prima parte del mese, e al mattino, prima dell’alba, nella seconda.
Avremo 6 transiti notevoli con magnitudini elevate, auspicando come sempre in cieli sereni!
Una nuova scoperta da parte dell’italiano Cortini (classificata da Balcon) arrivata lo scorso weekend, un’altra scoperta amatoriale dell’astrofilo americano Wiggins e un nuovo bel colpo da parte del giapponese Itakagi ci attendono!
L’articolo a cura di Fabio Briganti e Riccardo Mancini sarà disponibile i primi giorni di dicembre su www.coelum.com
Cieli sereni a tutti!
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Prosegue il nostro viaggio tra i più grandi e famosi asteroidi! Questa volta è il turno di (4) Vesta, scopriamo insieme i suoi segreti!
(4) Vesta, con il suo diametro medio di 525 chilometri, è il secondo asteroide per dimensioni della Fascia dopo (1) Ceres.
Da solo contiene all’incirca il 9% della massa dell’intera fascia degli asteroidi ed è l’unico protopianetaroccioso conosciuto il cui interno risulta differenziato, con un nucleo metallico al centro di circa 200 chilometri di diametro, ricoperto da un mantello roccioso e da una crosta superficiale spessa 10 chilometri.
Una grande quantità di frammenti di Vesta si pensa siano stati espulsi a seguito di collisioni con altri asteroidi (avvenute tra uno e due miliardi di anni fa), che formarono due enormi crateri occupanti gran parte dell’emisfero meridionale, il cratere Rheasilvia ed il cratere Veneveia, rispettivamente di 500 e 400 chilometri di diametro.
Questi catastrofici impatti hanno dato origine alla famiglia di asteoridi Vesta (i Vestoidi) che conta più di 15.000 membri. Alcuni detriti sono precipitati anche sulla Terra sotto forma di meteoriti howardite-eucrite-diogenite (HED) ed è anche grazie all’analisi di questi preziosi reperti che si sono potute ricavare informazioni di dettaglio sulla struttura geologica di questo pianetino.
La regione equatoriale di Vesta è scolpita da una serie di ampi canali paralleli denominati Fossae, la cui ampiezza varia tra 10 e i 20 chilometri della Divalia Fossa e i 40 chilometri della Saturnalia Fossa. Si pensa che anche queste strutture geologiche siano correlate alla formazione dei due crateri da impatto Rheasilvia e Veneveia.
Vesta è stato oggetto di esplorazione da parte della sonda Dawn della NASA che lo ha studiato a partire dal luglio 2011 fino a settembre del 2012, per poi fare rotta verso la sua destinazione finale, Cerere.
Dal punto di vista osservativo, (4) Vesta è il pianetino più luminoso visibile dalla Terra. Le sue grandi dimensioni e l’alta riflettività della sua superficie lo rendono particolarmente brillante fino a raggiungere, nelle opposizioni più favorevoli, la quinta magnitudine.
GLI ASTEROIDI DI DICEMBRE
(349) Dembowska
(349) Dembowska è un asteroide di fascia principale che compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.830 giorni (5,01anni) ad una distanza compresa tra le 2.66 e le 3.19 unità astronomiche (rispettivamente, 397.930.336 Km al perielio e 477.217.208 Km all’afelio).
È stato così nominato in onore dell’astronomo italianoHercules Dembowski. Scoperto da Auguste Charlois il 9 Dicembre 1892, questo grande asteroide (circa 140 km di diametro) sarà in opposizione il 1 Dicembre. In questo frangente raggiungerà la massima brillantezza con una magnitudine di 9.8.
Il suo moto sarà di 0,58 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (349) Dembowska trasformarsi in una bella striscia luminosa di 23 secondi d’arco.
(532) Herculina
(532) Herculina è un asteroide di fascia principale che compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.680 giorni (4,60 anni) ad una distanza compresa tra le 2.27 e le 3.27 unità astronomiche (rispettivamente, 339.587.166 km al perielio e 489.185.037 km all’afelio).
È stato scoperto il 20 Aprile 1904 dall’astronomo tedesco Max Wolf. L’origine del nome non è chiara: si ritiene che derivi dalla figura mitologica di Ercole, ma potrebbe anche essere stato dedicato dallo scopritore ad sua conoscente di nome Ercolina.
Questo imponente asteroide (circa 170 Km di diametro) sarà in opposizione il 2 Dicembre, momento nel quale raggiungerà la massima luminosità brillando di magnitudine di 10.1.
Il suo moto sarà di 0,62 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (532) Herculina trasformarsi in una bella striscia luminosa di 24 secondi d’arco.
Bentornati su Marte!
In questo sesto appuntamento vi racconto qualche aggiornamento su Perseverance. E c’è anche il nuovo volo di Ingenuity che nel frattempo ha scaricato gli aggiornamenti.
Un nuovo campione finalmente al sicuro
I tecnici NASA hanno tribolato per alcune settimane, ma sono finalmente venuti a capo di un problema che affliggeva il rover marziano da ottobre. Nel quarto aggiornamento delle nostre news vi avevo raccontato dei tentativi falliti di sigillare il 14esimo campione, denominato Mageik. In quell’occasione sembrava che il team avesse deciso di rinunciare al carotaggio e ripiegare sulla chiusura del tubo vuoto, accettando di conservare “solo” un campione atmosferico. Quest’ultimo era stato messo al sicuro chiudendo il tubo tramite il sigillo con numero di serie 073, come vi avevo mostrato nell’immagine.
Ma in realtà vi avevo detto una cosa imprecisa. Infatti l’apparato Sample Handling di cui Perseverance è dotato ha la possibilità di conservare per lungo tempo i campioni prelevati e nel frattempo proseguire le attività, spostamenti compresi, come se nulla fosse.
Raffigurazione con evidenziata la posizione del complesso apparato per la manipolazione dei campioni.
Dettaglio dei dispositivi per il sample handling qui fotografati nell’agosto 2019 durante l’assemblaggio di Perseverance. Crediti: NASA/JPL-Caltech
Conservare Mageik e nel frattempo studiare una soluzione è stata così la scelta dei tecnici, mentre facevano prendere a Perseverance la strada verso nord per proseguire le esplorazioni nell’area chiamata Yori Pass.
Analisi del problema
Sfruttando la CacheCam, la camera dedicata alle macro delle fiale durante le operazioni di sigillatura, i controllori di missione si sono potuti fare un’idea più chiara.
Sembra infatti che la finissima e invadente polvere marziana si fosse infiltrata nell’imboccatura della fiala, impedendo la chiusura completa del contenitore e facendo sì che l’operazione venisse arrestata automaticamente.
Imboccatura della fiala fotografata il 22 ottobre dalla CacheCam. La sottile polvere circonda l’intera circonferenza esterna del foro.
Possibile che questo impalpabile strato di polvere sia sufficiente a bloccare un’operazione meccanica?
La ragione va cercata nella tolleranza necessaria per ottenere il livello di ermeticità richiesto dai criteri di missione: 2 millesimi di millimetro. Si è ipotizzato che altra polvere fosse depositata anche all’interno del tubo, ma non è stato possibile eseguire una verifica a causa dei limiti oggettivi su ciò che la CacheCam può riprendere.
Per dare una ripulita è stato così sfoderato per la prima volta il Bore Sweeping Tool integrato nel Sample Handling, un dispositivo studiato proprio per spolverare questa parte così delicata delle fiale.
Alcune decine di cicli di pulizia e svariati tentativi di sigillatura sono stati eseguiti tra fine ottobre e quasi tutto il mese di novembre, finché nella sera di mercoledì 23 è giunta la conferma tanto attesa: Mageik, il campione numero 14, è finalmente chiuso e al sicuro sotto il sigillo con numero di serie 030!
Mageik finalmente sigillato, foto della CacheCam nel Sol 619.
Orme sulla sabbia
Il 21 ottobre, nel Sol 593, Perseverance ha eseguito una strana manovra. Ha leggermente deviato dal suo percorso in direzione nord e, per mezzo della sua ruota anteriore destra, ha a tutti gli effetti scavato leggermente nella regolite.
Con il termine regolite ci riferiamo genericamente al materiale costituito da sabbia e particelle di roccia che abbonda sulla superficie di Marte. Studiare questa miscela eterogenea rientra a pieno titolo tra gli obiettivi di Mars 2020, ed è per questo che il rover è dotato di una punta appositamente progettata per raccogliere la regolite e inserirla nelle familiari fiale di titanio.
L’operazione con la ruota aveva lo scopo di portare alla luce materiale più fresco, da analizzare in previsione della raccolta di una coppia di campioni. La manovra si è svolta girando di 90 gradi la ruota e poi facendola strisciare sul terreno. Complessivamente l’operazione si è svolta in 15 minuti, potete vedere alcune delle fasi qui sotto nel breve video.
Nei giorni successivi molti strumenti di Perseverance sono stati impegnati nello studio della regolite: camere di ripresa, analisi spettrografiche con il laser della SuperCam e nei raggi X con lo strumento PIXL.
Di seguito un po’ di immagini acquisite nei Sol tra il 594 e il 602. Fate caso alle solite macro incredibili della camera Watson, ospitata nel braccio del rover, e ai fori nella regolite generati dal laser della SuperCam che ha sparato i suoi lampi potentissimi in almeno tre occasioni su pattern lineari.
Lo studio della regolite è importante perché si tratta di un materiale che, pure su un pianeta con un’atmosfera estremamente tenue come Marte, viene facilmente trasportata dal vento per lunghissime distanze. Dall’osservazione di campioni in una singola località si è in grado di trarre indicazioni su aspetti di regioni molto più estese e comprendere meglio i processi che si sono susseguiti nel corso di miliardi di anni.
Un nuovo volo per Ingenuity
Lungamente atteso (e inizialmente annunciato oltre due settimane fa) il 34esimo volo dell’elicottero marziano è avvenuto il 22 novembre.
Come per il volo numero 30, anche questo è stato un test senza spostamenti orizzontali.
Durante i 18.3 secondi di hovering a 5 metri d’altezza è stata verificata la funzionalità del nuovo corposo aggiornamentodel software di bordo, il quarto da quando Ingenuity ha toccato il suolo di Marte. Un volo breve ma che ha dato enormi soddisfazioni al piccolo team di ingegneri che gestisce le operazioni del drone.
Le migliorie introdotte dall’update sono due.
Ora l’elicottero ha una gestione avanzata per il rilevamento di ostacoli in fase di atterraggio e può fare affidamento a delle mappe altimetriche per agevolare la navigazione.
Entrambe le funzionalità si sono rese necessarie dal momento che Ingenuity sta ormai volando su terreni molto diversi da quelli pianeggianti e privi di ostacoli per cui è stato sviluppato, e le cose continueranno a diventare sempre più critiche con l’avvicinamento alla regione del delta.
La presenza di rocce al suolo riduce la disponibilità di luoghi sicuri per l’atterraggio, la cui scelta era sinora affidata alla precisione dei tecnici nel programmare i voli e di Ingenuity nell’eseguire le istruzioni. Questo aggiornamento software permette ora all’elicottero di impiegare la sua camera di navigazione per riconoscere ostacoli e selezionare in autonomia le aree adatte all’atterraggio. Il drone compirà così le manovre necessarie per portarsi sopra il punto prescelto e portare a termine il volo.
L’uso delle mappe altimetriche è un ulteriore miglioramento che affina la precisione con cui Ingenuity calcola la distanza percorsa durante gli spostamenti. Questa misura viene effettuata tramite la camera di navigazione assumendo che il terreno sia perfettamente piatto. Tuttavia nel caso di salite o discese si inizia a introdurre un errore sulla distanza percorsa, perché il software di navigazione è portato a stimare che l’elicottero non stia più volando in linea retta.
Questa incertezza intrinseca era ben nota ai tecnici, che infatti programmavano gli spostamenti su terreni accidentati cercando di compensare l’errore. Ma nel caso di voli molto lunghi, nei quali l’errore potenziale aumenta proporzionalmente, si dovevano selezionare per l’atterraggio aree molto ampie e sgombre da ostacoli per non rischiare di finire sopra uno di essi.
Dotando Ingenuity di una mappa digitale del cratere Jezero il computer sarà in grado di differenziare tra le variazioni dovute all’altimetria del terreno e quelle effettivamente legate alla navigazione. Questo permetterà di aumentare la precisione con cui vengono programmati i voli, e così poter selezionare per l’atterraggio aree relativamente piccole.
Anche per questo aggiornamento è tutto, alla prossima!
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La ISS – Stazione Spaziale Internazionale sarà rintracciabile nei cieli della nazione ad orari tardo pomeridiani, nella prima parte del mese, e al mattino, prima dell’alba, nella seconda.
Avremo 6 transiti notevoli con magnitudini elevate, auspicando come sempre in cieli sereni!
3 Dicembre
Si inizierà il giorno 3 Dicembre, dalle 17:49 verso NO alle 17:55 verso ENE.
Visibilità migliore dal Nord-Est Italiano e dalle regioni Adriatiche per questa occasione, con magnitudine di picco a -3.1. Un buon transito per iniziare il mese, osservabile senza problemi anche dal resto della nazione!
4 Dicembre
Si replica il 4 Dicembre, dalle 18:37 alle 18:42, osservando da NO a SE. La ISS sarà ben visibile dall’occidente d’Italia in questo transito parziale e raggiungerà la magnitudine massima di -3.2 prima di svanire nell’ombra della Terra.
5 Dicembre
Passiamo al giorno 5 Dicembre, dalle 17:48 in direzione NO alle 17:58 in direzione ESE.
Un classico transito individuabile senza alcun problema da ogni parte d’Italia, meteo permettendo! Magnitudine di picco a -3.9 per il miglior passaggio del mese.
19 Dicembre
Si passa ai transiti mattutini, prima dell’alba.
Il 19 Dicembre, la Stazione Spaziale Internazionale sarà visibile nuovamente da orizzonte a orizzonte da tutta Italia, dalle 06:22 alle 06:32, da OSO a NE, con magnitudine massima di -3.5.
21 Dicembre
Il penultimo si avrà il giorno 21 Dicembre, dalle 06:23 da O alle 06:30 a NE, con magnitudine massima a -3.4. Visibilità eccellente dal Centro Nord Italia.
22 Dicembre
L’ultimo transito notevole del mese, il 22 Dicembre, sarà nuovamente parziale e visibile al meglio dalle regioni Adriatiche.
Dalle 05:36 alle 05:41 da NE a NE. Magnitudine di picco a -3.3 non appena la ISS uscirà dall’ombra della Terra.
N.B. Le direzioni visibili per ogni transito sono riferite ad un punto centrato sulla penisola, nel centro Italia, costa tirrenica. Considerate uno scarto ± 1-5 minuti dagli orari sopra scritti, a causa del grande anticipo con il quale sono stati calcolati.
C/2022 E3 ZTF Il viaggio della bella cometa continua ad appassionarci!
Lenta ma costante, così si può descrivere la crescita graduale della E3 ZTF.
In passato, per altre comete, abbiamo assistito più volte ad exploit ancora lontani dal perielio, salvo poi rimanere delusi nel momento della verità. Speriamo quindi che questo trend sia un buon segnale per i mesi che verranno, quando ci si aspetta una bella cometa almeno di quinta magnitudine.
Intanto, per inizio dicembre, dovrebbe scendere al di sotto della decima magnitudine ed a fine mese essere cresciuta di almeno una magnitudine.
Le ore migliori per osservarla vanno dalla notte inoltrata a poco prima che il cielo inizi a schiarire. Nella prima decade dovremo cercarla nella porzione settentrionale del Serpente, per poi valicare il confine della Corona Boreale dove rimarrà fino a metà gennaio.
La carta riporta la posizione della C/2022 E3 ZTF alle 4.00 ora solare. Le stelle più deboli sono di mag. 10
C/2020 V2 ZTF Ancora ci tiene compagnia nei nostri cieli invernali
Un po’ più debole e con meno prospettive di crescita, la C/2020 V2 ZTF durante dicembre risulterà circumpolare ed osservabile proficuamente a qualsiasi ora durante la notte astronomica.
Dal Dragone (attraverso la Giraffa) si sposterà nel Cefeo, sfilando non distante dalla Stella Polare.
Partendo dall’undicesima magnitudine dovrebbe crescere fin oltre la decima. Nella nottata del 21 dicembre transita tra la galassia ellittica NGC 2300 (mag. 11,1) e la spirale NGC 2276 (mag. 11,6), momento da non perdere per un’osservazione o una fotografia suggestiva!
La carta riporta la posizione della C/2020 V2 ZTF alle 19.00 ora solare. Le stelle più deboli sono di mag. 9
a cura di Marco Iozzi, con le testimonianze di Maura Tombelli, Luca Grazzini, Matteo Lombardo, Massimiliano Mannucci e Nico Montigiani, Andrea Mattei e Lorenzo Franco.
“Ad un certo momento viene naturale chiedersi se le nostre attività di astrofili possano essere di una qualche utilità in ambito scientifico. La divulgazione, quella l’abbiamo nel sangue: vi ricordate quando avete rinunciato ad osservare la vostra lista di oggetti, pronta dal novilunio precedente, per illustrare le bellezze del cielo notturno all’inatteso ospite? Molti di noi sono impegnati in questo senso nel contesto delle attività svolte dall’associazione di cui fanno parte, ma quale è il nostro rapporto con la ricerca scientifica? È possibile per noi astrofili fare scienza e se si, quali sono i mezzi necessari?”
Yes, We Can!
(…)
“Il nostro gruppo (il GrAM) è nato perchè all’Osservatorio di San Marcello Pistoriese scoprimmo per caso il primo asteoroide NEA in Italia, (15817) Lucianotesi, e a seguito del clamore generato dalla notizia mi fu chiesto di organizzare un gruppo astrofili nella mia zona, per poter costruire e gestire un Osservatorio Astronomico pubblico. La cosa ha avuto successo visto che dai 7 soci fondatori, adesso si è passati a più di 100 iscritti, con soci 40 attivi! Forse il segreto è che da noi si cerca di rendere semplici anche le cose difficili…..” Prosegue Maura “Scoprire nuovi asteroidi adesso è estremamente difficile, ma ci sono tante cose da studiare in cielo che servono alla scienza e che ci danno l’oportunità di lasciare una traccia del nostro passaggio nei libri di storia. Non dimentichiamoci che tutti siamo orgogliosi e ambiziosi (un pizzico di orgoglio e di ambizione ci vogliono sempre) e se sai una cosa ma la tieni per te, con te muore, mentre se la condividi la moltiplichi, e rimane. Il segreto è condividere! Se un giorno verrà deviato un asteroide e su quell’asteroide c’è una nostra misura, sarà come aver vinto alla lotteria. Divertirsi e fare nel contempo qualcosa di utile!” Alla richiesta di un consiglio su come inziare, Maura sorride “Il segreto è quello di iniziare dalle cose facili, come riconoscere le costellazioni e sapere all’interno cosa trovarci, ma una volta sbuzzolati (dopo aver fatto esperienza ndt) occorre appoggiarsi a professionisti per sapere cosa osservare e come. Ricordiamoci che quando si vede il nostro nome su di una circolare internazionale, ci garba! (ci piace ndt)” e chiosa: “Non comprate un telescopio finché non sapete cosa volete cercare perché si richia di rovinare un giovane!”
Osservatorio Beppe Forti K83
L’osservatorio “Beppe Forti” si trova a Montelupo Fiorentino in provincia di Firenze ed è uno degli Osservatori Astronomici Italiani più attivi nell’ambito della divulgazione e della ricerca sui corpi minori del Sistema Solare. E’ gestito dal gruppo Astrofili Montelupo Forentino (GrAM), il cui team di ricerca (del quale chi scrive è membro) è fortemente specializzato in astrometria ed in operazioni di Follow UP di asteroidi NEA (Near Earth Asteroid), con all’attivo osservazioni su oltre 700 asteroidi e 87 comete, ed è presente in 513 circolari MPEC (Minor Planet Electronic Circular), di cui 182 di scoperta.
La storia del GrAM è legata a doppio filo a quella di un’ altra associazione di astrofili, il Gruppo Astrofili della Montagna Pistoiese (GAMP) che gestisce l’osservatorio Astronomico della Montagna Pistoiese (MPC 104). Racconta Paolo Bacci del GAMP e coordinatore del Gruppo di Ricerca Asteroidi UAI:
“L’Osservatorio Astronomico della Montagna Pistoiese, struttura del Comune di San Marcello Piteglio, si occupa principalmente dell’attività amatoriale di ricerca sugli asteroidi. Con 309 asteroidi scoperti è il primo osservatorio amatoriale in questa attività in Italia. Tra questi, l’asteroide (15817) Lucianotesi è il primo NEA scoperto in Italia nel 1994, mentre il secondo NEA è stato scoperto nel 2006 e recentemente numerato (495102) 2011 UU106.
Dal 2010 la principale attività nello studio degli asteroidi è il follow-up dei NEA; in questo settore sono state ottenute oltre 3600 circolari MPEC del Minor Planet Center, portando l’osservatorio 104-San Marcello al 21° posto nel mondo tra gli osservatori che svolgono questa attività.
Nel corso degli anni gli astrofili del GAMP sono stati citati in oltre 60 pubblicazioni scientifiche, tra le quali The Astrophysical Journal, Astronomy and Astrophysic, Minor Planet Bulletin, European Physical Journal, Monthly Notices of the Royal Astronomical Society.
Inoltre sono stati scoperti, in collaborazione con professionisti e astrofili, 6 asteroidi di natura binaria. Nell’ambito dell’attività fotometrica sono state ottenute oltre 100 curve di luce di cui 33 NEA; è di 10 di essi è stato calcolato il periodo di rotazione.
Il Gruppo Astrofili della Montagna Pistoiese è stato protagonista della scoperta del primo famoso oggetto interstellare 1I/’Oumuamua poiché sono stati i primi a misurarlo dopo gli scopritori. Tra le osservazioni più peculiari, vi è sicuramente l’asteroide 2022 EB5 che è stato osservato fino a 4 minuti prima dell’impatto sulla Terra e le cui misure sono state vagliate da astronomi professionisti quali Davide Farnocchia del JPL, Marco Micheli dell’ESA, Bill Gray del Project Pluto, Albino Carbognani dell’INAF e Peter Veres del Minor Planet Center.
Ma indubbiamente il risultato più significativo è stata la scoperta dell’anello intorno al pianeta nano Haumea, avvenuta a seguito di una occultazione stellare il 21 gennaio 2017, che ha permesso di essere citati come co-autori dell’articolo “The size, shape, density and ring of the dwarf planet Haumea from a stellar occultation” pubblicato sulla prestigiosa rivista Nature il 12 Ottobre del 2017″.
Dopo questa carrellata di successi però al lettore un dubbio potrebbe sorgere: “Tutto molto bello, ma state parlando di cosa sono in grado di fare osservatori astronomici veri e propri, che dispongono di strumenti che costano un patrimonio. Io non ho certamente questi mezzi!”
L’autore, Marco Iozzi, con il suo Dobson
Questa riflessione, assolutamente lecita peraltro, è sensata? oppure no?
E’ vero, abbiamo portato ad esempio due gruppi di astrofili che nel panorama della ricerca rappresentano un’eccellenza e che dispongono di infrastrutture importanti e di strumentazioni di livello e qualità, sicuramente fuori della portata dell’astrofilo medio, ciò non di meno la strada della ricerca è accessibile anche agli astrofili che dispongono di strumentazioni, passatemi il ternime, più “umane”. Il mio personale viaggio ha inizio da ragazzino di 14 investendo le poche lire (sic) della paghetta nell’acquisto di un piccolo telescopio, di quelli che ogni tanto si trovano ancora oggi in edicola, in fascicoli dalle uscite settimanali. Era un piccolo rifrattore con le lenti in plastica, corredato da un minuscolo treppiedi che si sciancò irrimediabilmente all’atto del montaggio, lasciando il tubo traballante come non mai. Con quello “strumento” riuscii con mille difficoltà ad osservare Saturno dal terrazzo di casa, puntando quella che all’apparenza sembrava una piccola stella solitaria, incorniciata nella finestra della piccola cucina di allora. Sono fondamentalmente un astrofilo visualista, niente mi connette con il “tutto” come lo stare in silenzio, in ascolto del respiro del cielo: sono momenti di una profondità che è difficile esprimere compiutamente con le parole. Tutt’oggi mi potreste trovare ad osservare in compagnia di “Belfagor”, Dobson da 30cm, fido compagno di scorribande nelle notti di novilunio. Ad un certo momento ho però sentito crescere in me l’esigenza di entrare nel merito di quello che osservavo: iniziai così a cimentarmi nello studio delle stelle variabili, stimandone la luminosità visuale e inviando le stime di magnitudine all’AAVSO. L’incontro con il GRaM e con Maura Tombelli è stato l’inizio della mia avventura nell’ambito della ricerca dei corpi minori del Sistema Solare, e una delle due pietre miliari della mia esperienza di astrofilo ricercatore. L’altra, la partecipazione ad un corso di “Fotometria Asteroidale” tenuto da Lorenzo Franco presso l’Osservatorio della Montagna Pistoiese, dal quale sono uscito entusiasta e fermamente deciso a intraprendere seriamente lo studio della fotometria.
La strumentazione di cui dispongo non è nulla di eccezionale: il telescopio è uno Schmidt Cassegrain (MEADE LX90) da 20 cm ridotto a F6 e la camera è una ATIK 383L+. L’originale montatura a forcella è stata sostituita da una montatura equatoriale monobraccio realizzata appositamente per me dalla RM Engineering, mentre per l’elettronica ho scelto di utilizzare un controller Arduino con a bordo il firmware Onstep. Nel 2020 ho ottenuto dal Minor Planet Center il codice internazionale (L63) che identifica il mio osservatorio, l’HOB Astronomical Observatory: è “l’osservatorio sul terrazzo”, di fatto anche stavolta il balcone di casa, dove ho installato in postazione fissa il mio telescopio.
Postazione di Controllo L63 – Marco Iozzi
(….)
L’articolo, un racconto piacevole e avventuroso alla scoperta di asteroidi, continua con le testimonianze degli astrofili Luca Grazzini, Matteo Lombardo, Massimiliano Mannucci e Nico Montigiani, Andrea Mattei e Lorenzo Franc,o dalle loro rispettive postazioni.
In omaggio con il numero 259 di Coelum Astronomia l’Almanacco Astronomico 2023
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Si entra nel primo mese invernale e siamo quasi a chiusura di questo 2022. E quindi dedichiamo le ultime notti dell’anno anche all’osservazione del nostro satellite: scopriamo insieme tutto quello che c’è da sapere sulla Luna di Dicembre!
L’ultimo mese dell’anno si apre col nostro satellite che nella prima serata utile (1 Dicembre) intorno alle ore 17:30 sarà in fase di 7,7 giorni ad un’altezza di +36° in attesa di transitare in meridiano alle ore 19:10, rendendosi poi visibile fino alle prime ore della notte successiva ed esibendo agli appassionati di osservazioni lunari una parte del suo vastissimo repertorio di formazioni geologiche di qualsiasi dimensione!
Alle ore 05:08 dell’8 Dicembre la fase crescente giungerà al capolinea col Plenilunio alla distanza dal nostro pianeta di 397352 km e con un diametro apparente di 30,07’ mentre l’altezza sull’orizzonte sarà di +26°.
Ovviamente si tratterà di una notte di Luna Piena col nostro satellite visibile dal tramonto all’alba [notare il punto di massima librazione in corrispondenza del mare Australe – a Sudest -]
Iniziata la fase calante, alle ore 09:56 del 16 Dicembre la Luna sarà in Ultimo Quarto in fase di 22,4 giorni, pertanto per effettuare osservazioni telescopiche dell’emisfero occidentale lunare potrà essere utile la nottata precedente e/o la seguente.
Segnalo nel caso specifico la massima Librazione lungo il bordo sudovest alla latitudine fra il mare Humorum ed il cratere Schickard.
Il Novilunio si avrà alle ore 11:17 del 23 Dicembre da cui sarà immediata la ripartenza di un nuovo ciclo lunare. Il nostro satellite, che in prossimità della Luna Nuova ci appare confinato alle più profonde ore della notte, dalle prime sottilissime falci incrementerà sempre più la sua superficie illuminata dalla luce solare via via che progressivamente si avvicinerà al Primo Quarto previsto per le ore 02:21 del 30 Dicembre mentre si troverà a -20° sotto l’orizzonte. Naturalmente per osservazioni al telescopio basterà attendere le ore 17:30 circa della medesima serata del 30 [massima librazione ad Est del cratere Cleomedes].
Andiamo così a chiudere il 2022 con le ultime due serate del mese di Dicembre col nostro caro satellite nelle migliori condizioni osservative; a volte “snobbato” dal mondo degli astrofili, ma altrettanto capace di esibire spettacolari e straordinari paesaggi con le sue imponenti strutture geologiche fino ai più minuscoli ed elusivi dettagli!
Il tutto viene ricondotto a “cosa vogliamo vedere sulla Luna” perché, mi piace ricordare, quel piccolo mondo grigio e polveroso non è solamente “un’arida sfera piena di buchi”!
Le Falci lunari di Dicembre
Per gli appassionati di falci lunari primo appuntamento per le ore 04:01 del 20 Dicembre quando sorgerà una falce di 26 giorni che si renderà visibile fino all’alba, quanto basta per ammirarne la notevole differenza di albedo fra le scure rocce basaltiche del settore più occidentale dell’Oceanus Procellarum rispetto alle più chiare rocce anortositiche che ricoprono i vasti altipiani Sudovest e Sud senza perdere una visita l’inconfondibile “isola nera” del vasto cratere Grimaldi.
Il 21 Dicembre alle ore 05:17 sorgerà una falce di 27,2 giorni, ma la breve finestra osservativa sarà sufficiente solo per una rapida occhiata ed alcune foto prima che la luce del Sole prevalga su tutto.
In Luna Crescente appuntamento per il tardo pomeriggio del 25 Dicembre con una falce di 2,3 giorni che alle ore 19:01 scenderà sotto l’orizzonte, sulla cui superficie sarà possibile individuare il mare Humboldtianum a Nordest, la parte più orientale del mare Crisium con l’adiacente mare Marginis ad Est e le cuspidi Nord e Sud.
N.B. Per questa tipologia di osservazioni, oltre agli ormai noti parametri osservativi, risulterà determinante disporre di un orizzonte il più possibile libero da ostacoli.
Librazioni di Dicembre
(In ordine di calendario, per i dettagli vedere le rispettive immagini)
Si precisa che, per ovvi motivi, non vengono indicati i giorni in cui i punti di massima Librazione si discostano dalla superficie lunare illuminata dal Sole.
Librazioni Regione Nordest-Est-Sudest:
01 Dicembre. Fase 07,80 giorni – Massima Librazione mare Humboldtianum – cratere Gauss
02 Dicembre. Fase 08,80 giorni – Massima Librazione est cratere Gauss
03 Dicembre. Fase 09,86 giorni – Massima Librazione est cratere Gauss
04 Dicembre. Fase 10,90 giorni – Massima Librazione est Crisium, Marginis
05 Dicembre. Fase 11,90 giorni – Massima Librazione mare Smythii
06 Dicembre. Fase 12,96 giorni – Massima Librazione sudest cratere Vendelinus
07 Dicembre. Fase 14,00 giorni – Massima Librazione mare Australe
Librazioni Regione Sud-Sudovest:
11 Dicembre. Fase 17,10 giorni – Massima Librazione Regione Polare Meridionale
12 Dicembre. Fase 18,14 giorni – Massima Librazione Regione Polare Meridionale
13 Dicembre. Fase 19,17 giorni – Massima Librazione sud cratere Bailly
14 Dicembre. Fase 20,20 giorni – Massima Librazione sudovest cratere Phocylides
15 Dicembre. Fase 21,23 giorni – Massima Librazione ovest cratere Wargentin
16 Dicembre. Fase 22,26 giorni – Massima Librazione ovest cratere Schickard
17 Dicembre. Fase 23,29 giorni – Massima Librazione ovest mare Humorum/Orientale
Librazioni Regione Nordest:
29 Dicembre. Fase 06,28 giorni – Massima Librazione est cratere Gauss
30 Dicembre. Fase 07,31 giorni – Massima Librazione est cratere Cleomedes
31 Dicembre. Fase 08,34 giorni – Massima Librazione est Crisium, Marginis
Note:
– Immagini “Librazioni “: Mappe di F. Badalotti su immagini tratte dal globo di “Virtual Moon Atlas”.
– Dati e visibilità delle strutture lunari: Software “Stellarium” e “Virtual Moon Atlas”.
– Immagine “Mare Orientale” di F. Badalotti.
– Ogni fenomeno lunare e rispettivi orari sono rapportati alla Città di Roma, dati rilevati tramite software “Stellarium” e dal sito http://www.marcomenichelli.it/luna.asp
Il 29 settembre l’astronauta italiana Samantha Cristoforetti è diventata la comandante della Stazione Spaziale Internazionale. Un risultato di prestigio rimbalzato su tutti i media, e fra le mille manifestazioni di plauso espresse dai connazionali orgogliosi non è sfuggito ai più i numerosi commenti, meno gratificanti, sull’aspetto della comandante.
Unendoci al coro della solidarietà, in maniera giocosa, ma chiara, la nostra direttrice Molisella Lattanzi ha voluto testimoniare la propria “idea” di sostegno pubblicando una autoscatto simpatico ma chiaro: se il prezzo per stare nello spazio è avere i capelli in su, beh non abbiamo dubbi, e che capelli siano!
Il post è stato ripreso dal Gruppo Astrofile e rimbalzato su tutti i loro canali e la “sfida” è stata raccolta da tantissime appassionate:
“Vogliamo tutte essere la Cristoforetti!
Noi Astrofile abbiamo risposto all’appello di Molisella con foto nostre. Inizialmente per gioco, sono poi diventate molte ed ognuna ha voluto mettere la propria faccia in risposta alle critiche sui capelli del Comandante Samantha.
Lo facciamo per mandare un messaggio di solidarietà a tutte le persone che quotidianamente subiscono questo tipo di discriminazioni e per sensibilizzare il pubblico sui social!”
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Il Sole è stato il punto di riferimento di innumerevoli generazioni dall’alba della vita su questo pianeta, un Dio dispensatore di luce, bene o male in molte religioni, mentre la sua temporanea mancanza nelle eclissi è stata fonte di sgomento e terrore: e tutto ciò perché esso è una sorgente inestinguibile di luce e calore, ma cos’è la luce? Il termine luce (dal latino lux) si riferisce alla porzione dello spettro elettromagnetico visibile dall’occhio umano, approssimativamente compresa tra 400 e 700 nanometri di lunghezza d’onda. Questo intervallo coincide con il centro della regione spettrale della luce emessa dal Sole che arriva al suolo attraverso l’atmosfera ed è visibile dall’occhio umano. Tuttavia la gamma di radiazione elettromagnetica che arriva dalla nostra stella è molto più vasta, e può andare da frequenze molto piccole, a quelle dell’IR , generanti calore. La parte di radiazione solare pericolosa per l’uomo, che giunge sulla terra come l’UvC e parte dell’IR è assorbita dall’atmosfera terrestre, ma tuttavia quella residua oltre il visibile rende impossibile l’osservazione del sole ad occhio nudo, pena, oltre all’abbagliamento, severi danni alla vista.
Il Sole è anche la stella a noi più vicina,e costituisce un gigantesco laboratorio dove possono essere studiati fenomeni fisici che, per la loro scala, non sono accessibili alla sperimentazione terrestre e non possono essere studiati in stelle più lontane: proprio per questo il loro studio ha contribuito, e contribuisce in modo notevole, al progresso generale dell’astrofisica.
La ricerca professionale sul sole si avvale di strumentazioni sofisticate basate a terra, come, ad esempio , il Big Bear Solar Observatory e lo Swedish Solar Telescope a la Palma (Canarie), la torre solare di Mount Wilson e, ancor di più di strumentazioni satellitari come le famose SOHO (Solar and Heliosheric Observatory) , SDO (Solar Dynamics Observatory) e le meno conosciute, IRIS, Stereo, Parker Solar pProbe ed altre ancora.
Ma veniamo alla domanda più interessante: come si pongono gli astrofili nei confronti dell’osservazione solare e come può la passione per l’astronomia e quindi per oggetti a noi più lontani come nebulose e galassie, coniugarsi con la passione per una stella che, per la sua vicinanza, potrebbe apparire un oggetto di osservazione quasi scontato se non banale. La risposta è semplice e complessa allo stesso tempo:
L’osservazione solare viene effettuata di giorno, e resta quindi più agevole per molti astrofili che non hanno la possibilità di recarsi in luoghi bui e lontani per ammirare o fotografare gli oggetti del cielo profondo.
L’inquinamento luminoso e quello indotto dalla miriade di satelliti che gravitano sopra le nostre teste non incide in alcun modo sull’osservazione e , ancor di più, sull’imaging solare.
Contrariamente a quanto si crede, il sole costituisce un oggetto di osservazione estremamente mutevole ed interessante per la continua variabilità delle sue strutture.
Il fenomeno ricorrente e caratteristico delle macchie solari, che già nei secoli scorsi aveva colpito scienziati del calibro di Galileo, affascina ancora oggi non solo gli astrofili, ma anche coloro che non seguono l’astronomia.
Alle precedenti considerazioni se ne aggiunge un’altra, che appartiene più al campo della psicologia che a quello dell’astrofisica: esiste probabilmente in noi una componente ancestrale che inconsciamente ci attrae verso la nostra stella.
Tra questi motivi, primeggia quello della variabilità dei fenomeni che avvengono sul Sole. Il ciclo delle macchie solari, che pur ripetendosi con cadenza undecennale è sempre diverso come intensità, forza magnetica e dimensioni delle macchie stesse, i flares, le mutevoli ed emozionanti caratteristiche cromosferiche come le protuberanze, ne sono un esempio. L’osservazione solare è andata quindi crescendo in modo notevole negli ultimi anni, coinvolgendo un numero sempre maggiore di astrofili, grazie all’evoluzione tecnologica della strumentazione per l’osservazione visuale e l’imaging del sole, ed al fatto che anche coloro che si interessano principalmente di osservazione del cielo profondo l’osservazione solare viene comunque effettuata a latere dell’interesse principale.
Inutile dire che tale tipo di osservazione va effettuata con la massima accortezza, e la consapevolezza che approcci superficiali possono causare gravi danni agli occhi, data l’intensità ed il calore della radiazione che ci giunge dal nostro astro. Occorre quindi conoscere a fondo la propria strumentazione ed usare sistemi di filtraggio della luce idonei e certificati, e mai affidarsi a filtri dei quali non si conosce la provenienza e la qualità o, peggio ancora, fatti in casa.
Ma cosa si può osservare sul sole?
(….)
Al contrario della ricerca amatoriale del profondo cielo, dove bastano un telescopio di medie dimensioni, una camera CCD o CMOS per accedere a supernove, fotometria, astrometria, per inagare il Sole la strumentazione necessaria è molto più complessa e costosa e in genere del tutto al di fuori della portata degli astrofili. L’unica attività nella quale, a mio avviso il contributo degli amatori resta possibile e fattivo è quella del monitoraggio e della ricerca dei flares, gigantesche esplosioni dovute a fenomeni di ricombinazione magnetica che accelerano particelle cariche e le portano in collisione col plasma: tenuto conto che non sempre la copertura satellitare per la rilevazione di tali fenomeni è garantita, il monitoraggio da parte di una notevole quantità di astrofili solari potrebbe essere utile, come nel caso della campagna osservativa F-CHROMA del 2015 . Dal 19 al 27 settembre di quell’anno, F-CHROMA acronimo di “Flare Chromospheres: Observations, Models and Archives” ha coordinato 10 giorni quasi di osservazione ad alta risoluzione di flares solari, in cui sono stati coinvolti diversi dei principali Osservatori e strumenti sia da Terra che dallo spazio, tra cui CRISP@SST, IBIS@DST e IRIS. Questi strumenti forniscono dati spettrali preziosissimi, in particolare per quel che riguarda il problema della deposizione dell’energia nella “bassa” atmosfera solare, ma hanno campi di vista molto limitati (tra 1 e 2 minuti d’arco). L’acquisizione di immagini di contesto risulta quindi fondamentale per una completa comprensione della genesi dei flares, ed in tale ambito la partecipazione degli astrofili solari si è rivelata di grande utilità. La campagna è stata quindi un interessante episodio di collaborazione professionisti-amatori nell’intento finale di una migliore comprensione dei fenomeni che avvengono in cromosfera, che mi auguro venga ripetuta.
La repentina evoluzione di due piccoli flares osservata in luce H alpha da chi scrive nel corso della campagna F-CHROMA
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La magia del mese di dicembre pervade la volta celeste, addobbata di scintillanti astri e celebri costellazioni…
Già da diverse settimane abbiamo potuto osservare un assaggio di cielo invernale, quando da Sud/Sud-Est hanno fatto il loro ingresso Orione, Toro, Gemelli, Auriga e Cane Maggiore.
Nel mese di dicembre transita al meridiano una costellazione molto interessante dal punto di vista astronomico e anche mitologico: quella di Perseo.
PERSEO NELLE FREDDE NOTTI INVERNALI
Famosa per il suo ammasso doppio e per lo sciame di meteore di cui rappresenta il radiante – le Perseidi -, oltre che per essere identificato con l’eroe che uccise il mostro Medusa, la costellazione di Perseo si trova collocata tra quella di Andromeda e l’Auriga e contiene 136 stelle già visibili ad occhio nudo da un luogo particolarmente buio. L’astro principale è Mirphak (α Persei), una supergigante gialla che ha una magnitudine di 1,79.
Ma se Mirphak è la stella alfa della costellazione, Algol (β Persei) è quella che gode di maggior fama: si tratta di un sistema stellare distante 93 anni luce dal sistema solare con la caratteristica di essere una stella doppia a eclisse, dove la componente principale, Algol A, viene eclissata con una certa regolarità dalla componente secondaria (Algol B).
OGGETTI NON STELLARI IN PERSEO
Questa e molte altre immagini le trovate nella sezione PhotoCoelum del sito! (clicca sull’immagine)
Oltre alla presenza di stelle doppie e stelle variabili, Perseo contiene diversi oggetti del profondo cielo: il più noto, osservato e fotografato è certamente l’Ammasso Doppio (h+χ Per), composto da una coppia di ammassi apertiparticolarmente luminosi (NGC 869 e NGC 884) che è possibile osservare anche ad occhio nudo e in maniera più dettagliata già con l’ausilio di un binocolo; mentre, attraverso un telescopio di 200 mm di apertura, lo spettacolo è più che assicurato!
La costellazione ospita anche l’Ammasso di Alfa Persei (Mel 20), un oggetto molto luminoso posto nella parte settentrionale di Perseo, in cui domina la stella Mirphak. Si segnala anche la presenza di una piccola nebulosa planetaria scarsamente luminosa (M76) nota anche come Piccola Nebulosa Manubrio.
La Piccola Nebulosa Manubrio protagonista anche sul nostro profilo Instagram! Seguici su @coelum_astronomia
PERSEO NELLA MITOLOGIA
opera di Benvenuto Cellini, Loggia dei Lanzi (Firenze)
L’alone mitologico che circonda Perseo è certamente uno dei più celebri, fatto di una narrazione che si intreccia con altre costellazioni, quali quella di Andromeda, Cefeo, Cassiopea, Pegaso (vedi articolo sulle Costellazioni di Novembre).
Perseo era il figlio mortale di Giove e di Danae. Al giovane venne affidato l’incarico di cercare e di uccidere il mostro Medusa, una Gorgone con serpenti al posto dei capelli e il potere di pietrificare con un solo sguardo chiunque avesse incrociato il suo.
«Volgiti ’n dietro e tien lo viso chiuso;
ché‚ se ’l Gorgón si mostra e tu ’l vedessi,
nulla sarebbe di tornar mai suso».
Così Dante narrava del potere della Medusa nel IX canto dell’Inferno.
Medusa viveva su un’isola situata oltre l’oceano, insieme alle altre due Gorgoni Steno e Eurialo, mortali a differenza di Medusa. Perseo vi giunse dopo aver ricevuto in sogno da Minerva una spada con la quale decapitare il temuto mostro e uno scudo riflettente affinché Medusa non potesse pietrificare l’eroe; infine le tre ninfe del Nord, incontrate sul suo cammino, gli consegnarono un elmo speciale per renderlo invisibile e una sacca per riporre la testa del mostro.
Attraverso rocce sperdute e impervie, attraverso orride forre,
giunse alla casa della Gorgone, e qua e là per i campi e per le strade
vedeva figure di uomini e di animali
tramutati da esseri veri in statue per aver visto Medusa.
(Ovidio, Metamorfosi, IV, 778-781)
Perseo riuscì dunque nell’impresa di uccidere Medusa, dal cui sangue nacque Pegaso, il cavallo alato di cui Perseo si servì per fuggire e con il quale potè trarre in salvo Andromeda, incontrata nel suo viaggio di ritorno mentre era incatenata su una scogliera per colpa di sua madre Cassiopea (vedi articolo Costellazioni di Novembre per tutta la storia).
Per le sue gloriose gesta, da sempre rappresentate attraverso l’arte, Perseo si guadagnò un posto sulla volta celeste a risplendere per l’eternità.
ERIDANO NEL CIELO DI DICEMBRE
Nel cielo di dicembre incrociamo la costellazione di Eridano, che transita al meridiano giorno 15.
Si tratta di una costellazione australe tanto estesa quanto poco luminosa, posta a Sud-Ovest di Orione.
Individuarla nel cielo boreale non è così semplice: l’oggetto si compone di una sinuosa linea di stelle che, come il percorso di un fiume, attraversa la porzione di cielo in cui è situata.
Achernar o α Eridani è una stella bianco-azzurra, la principale della costellazione di Eridano, che con la sua magnitudine di + 0,45 rappresenta la nona stella più brillante del cielo, visibile però dall’emisfero Sud del pianeta.
L’astro rappresenta la “foce” del fiume celeste Eridano, mentre la “sorgente” è indicata dalla stella Cursa (β Eridani) posta nei pressi di Rigel, astro della costellazione di Orione.
OGGETTI NON STELLARI IN ERIDANO
La costellazione di Eridano contiene diverse stelle doppie come HD 10360 e HD 10361: sistema composto da due stelle arancioni di pari magnitudine, che risultano visibili ad occhio nudo.
Credit: Tommaso Stella. Questa e molte altre immagini della splendida nebulosa su PhotoCoelum! (clicca sulla foto)
La costellazione è priva di oggetti del profondo cielo particolarmente luminosi: vicino al confine con Orione è però presente la suggestiva nebulosa diffusa IC 2118 nota come Nebulosa Testa di Strega.
In Eridano è presente una galassia a spirale barrata (NGC 1300) distante 69 milioni di anni luce, oltre a un sistema planetario oggetto di studio (ε Eridani): il sistema stellare più vicino alla Terra e posto a 10 anni luce da Sole. Attorno ad esso ruota un disco di polveri e un esopianeta di tipo Gioviano.
Interessante la cosiddetta Bolla di Eridano: una struttura filamentosa nebulare molto estesa, la cui area copre parte del Toro, di Eridano e di Orione.
ERIDANO NELLA MITOLOGIA
credit: Uranographia, Johann Bode
Il mito di Eridano è strettamente legato alla figura di Fetonte, figlio del Dio Sole, Elio.
Fetonte si era messo in testa di voler attraversare il cielo con il carro del padre, nonostante egli disapprovasse fermamente. Tuttavia, all’alba di un giorno fatale, Fetonte salí sul carro mettendosi alla guida: i cavalli però ben presto si innervosirono e in poco tempo, quella che era cominciata come una bravata mossa dall’incoscienza del giovane, prese una brutta piega.
Fetonte perse il controllo del carro che impazzì, avvicinandosi sempre più pericolosamente alla Terra e bruciando ogni cosa.
Solo il provvidenziale intervento di Zeus pose fine a quella rocambolesca corsa: il padre degli dei infatti colpì il carro con un fulmine e Fetonte precipitò nel fiume Eridano, annegando.
PICCOLA CURIOSITÀ: Il mitologico fiume Eridano oltre ad essere associato al Nilo, al Rodano e all’Eufrate, viene identificato con l’attuale Po.
L’Agenzia spaziale europea ha scelto 17 nuovi candidati astronauti tra gli oltre 22 500 provenienti da tutti i suoi Stati membri. In questa nuova classe 2022 di astronauti dell’ESA ci sono cinque astronauti in carriera, 11 membri di una riserva e un astronauta con disabilità.
Il direttore generale dell’ESA, Josef Aschbacher, ha presentato oggi al Grand Palais Éphémère di Parigi, in Francia, i membri della classe di astronauti dell’ESA del 2022, le prime nuove reclute in 13 anni, poco dopo la conclusione del Consiglio dell’ESA a livello ministeriale.
“Oggi diamo il benvenuto ai 17 membri della nuova classe di astronauti dell’ESA 2022. Questa classe di astronauti dell’ESA sta portando ambizione, talento e diversità in molte forme diverse, per guidare i nostri sforzi e il nostro futuro.
I nuovi candidati astronauti dell’ESA prenderanno servizio presso l’European Astronaut Centre di Colonia, in Germania. Saranno addestrati al più alto livello di standard come specificato dai partner della Stazione Spaziale Internazionale.
Frank De Winne, capo del Centro Astronautico Europeo e Responsabile del programma della Stazione Spaziale Internazionale dell’ESA, ha dichiarato: “Siamo entusiasti di dare il benvenuto alla nuova classe di astronauti dell’ESA del 2022 e non vedo l’ora di vedere tutti questi giovani e ambiziosi candidati astronauti in carriera unirsi a noi per il loro primo addestramento presso il Centro Astronautico Europeo dell’ESA nella primavera del 2023, andando avanti per esplorare e plasmare l’esplorazione dello spazio.
Dopo il completamento dell’addestramento di base di 12 mesi, i nuovi astronauti saranno pronti per entrare nella successiva fase di addestramento della Stazione Spaziale e, una volta assegnati a una missione, il loro addestramento sarà adattato a specifici compiti della missione.
Per la prima volta, l’ESA ha istituito un pool di riserva di astronauti. Questo elenco di riserva è composto da candidati astronauti che hanno superato l’intero processo di selezione ma che non possono essere reclutati in questo momento. Gli astronauti nella riserva rimangono con i loro attuali datori di lavoro e riceveranno un contratto di consulenza e supporto di base. Inizieranno l’addestramento di base nel caso in cui sia stata identificata un’opportunità di volo.
L’ESA ha anche selezionato un candidato astronauta con una disabilità fisica. Prenderà parte al Parastronaut Feasibility Project per sviluppare opzioni per l’inclusione di astronauti con disabilità fisiche nel volo spaziale umano e possibili missioni future.
La classe di astronauti ESA 2022 comprende cinque astronauti in carriera, 11 astronauti di riserva e un astronauta con disabilità fisica.
Fra i nominati due italiani entrambi come riserva sono: Anthe Comellini e Andrea Patassi, a loro e a tutti gli altri i più sinceri complimenti ed auguri da parte di tutta la redazione!
La passione per l’Astronomia si evolve durante la vita di una persona per manifestarsi poi a fasi e in diversi momenti.
All’inizio tutto è di solito mosso da una semplice curiosità che spinge a volgere lo sguardo verso il cielo, ci si dedica alla ricerca di informazioni sui segreti cielo degli oggetti luminosi, delle costellazioni, dei movimenti della sfera celeste e dei pianeti che la percorrono. È la fase in cui si sviluppano le basi culturali indispensabili.
Il periodo di apprendistato è stato descritto già approfonditamente nello scorso numero di Coelum, col primo articolo di questa rubrica (vedi Coelum Astronomia n°258 di ottobre/novembre), in cui è stata trattata l’osservazione del cielo ad occhio nudo e col binocolo.
Vedremo ora come proseguire, sempre senza fare passi più lunghi della gamba.
L’astronomia è una passione relativamente poco diffusa e tuttavia è altrettanto vero che ci sono moltissimi curiosi (anche persone completamente estranee a questo mondo che un giorno sfoglieranno queste pagine), che avrebbero piacere di approfondire, ma che sono timorosi di affrontare temi troppo difficili o in genere scientificamente complessi.
Sono quelli che io definisco (simpaticamente e con riferimenti non troppo velati agli ultimi anni che abbiamo vissuto), “portatori sani”: ovvero persone che covano in loro gli elementi patogeni di questa passione senza presentare una sintomatologia evidente di “malattia”.
I “portatori sani”, dicevamo, se non hanno occasione di incontrare qualcuno già appassionato di astronomia, difficilmente riescono a trovare in se lo stimolo per il passo decisivo. Certo mi baso sulla mia esperienza quando ancora adolescente con la curiosità verso il cielo ormai sbocciata e definitivamente contagiato, ho dovuto affrontare un periodo piuttosto difficile non conoscendo nessuno con una passione simile e altrettanto forte con cui condividere notti insonni o escursioni notturne per andare ad osservare il cielo.
Molto spesso da solo, o al massimo con mio padre quando poteva, mi trovai ad andare in giro col mio piccolo telescopio mi sarebbe piaciuto al tempo coinvolgere qualcun altro ma come avrei potuto fare?. Mi venne in soccorso una soluzione “indiretta”, un modo per mostrare facilmente agli altri la visione degli oggetti celesti pur non essendo sul posto con me
Si trattava di realizzare immagini fotografiche, trasportabili, in grado di mostrare la bellezza del firmamento non necessariamente di notte al telescopio, ma in un secondo momento, a casa, in classe, agli amici…uno strumento per convincere più facilmente qualcuno ad avvicinarsi al cielo.
Ho attraversato questa fase alla fine degli anni ’80, decennio in cui per ottenere immagini c’era un’unica strada percorribile: usare una fotocamera reflex analogica e rullini… tanti rullini…
Tanti rullini, si, proprio così: perché scattando su pellicola chimica, la scarsa luce tipica dei soggetti astronomici crea difficoltà da superare: l’inquadratura degli oggetti deboli, ad esempio, veniva eseguita quasi sempre “alla cieca”scrutando attraverso un mirino completamente buio alla ricerca di qualche stella di riferimento, diciamo “più o meno li”! Azzeccare poi la corretta esposizione era un terno al lotto nonostante l’esistenza di alcune mistiche tabelle che proponevano una stima del tempo necessario per ciascuna tipologia di oggetto. Superati questi due aspetti, rimanevano in agguato le vibrazioni, che ad ogni più piccolo movimento o anche allo scatto stesso della macchina fotografica insinuavano il dubbio di aver irrimediabilmente rovinato una foto.
La messa a fuoco poteva fortunatamente essere un po’ più semplice, grazie al fine corsa degli obiettivi fotografici completamente manuali ma solo nei casi in cui si usavano ottiche fotografiche, al momento di applicare il solo corpo macchina al telescopio la situazione cambiava drasticamente tramutando il fine corsa inuna delle principali fonti di errore.
In aggiunta a tutto questo, si finiva per utilizzare spesso costosi ed “esotici” rullini di pellicole ad altissima sensibilità e granuli grossi come fagioli i cui risultati tanto faticosamente ottenuti si potevano poi verificare solo dopo lo sviluppo e la stampa della pellicola, la quale avveniva, nel migliore dei casi, dopo qualche giorno presso un laboratorio fotografico.
Ammetto che gli insuccessi sono stati numerosissimi ma considero ancora quel periodo come una palestra durissima ma indispensabile, da cui acquisire esperienze a ed un metodo di lavoro molto attento e scrupoloso in grado di aumentare sempre di più la percentuale di immagini riuscite.
I tanti sforzi profusi ebbero alla fine però portarono ai primi risultati: le immagini ottenute, nonostante agli occhi di oggi facciano un po’ sorridere, lasciavano stupefatte le persone osservavano gli avventori di allora, consentendomi di convincere più di qualcuno a provare l’emozione di osservare direttamente al telescopio. Obiettivo raggiunto!
una primordiale immagine lunare da me ottenuta nel 1990 con una reflex a pellicola attraverso un rifrattore autocostruito da 67mm di diametroe focale 600mm di Cristian Fattinnanzi
(….)
L’astroinseguitore, come indica la parola stessa, consente di seguire l’oggetto puntato trascurando quindi il mosso dovuto alla rotazione terrestre, allungando le pose fino anche ad alcuni minuti.
Non è sempre lecito ma in queste poche righe (spero la redazione non me ne voglia) mi permetto di suggerirvene uno in particolare, il Minitrack. E’ un mio progetto, brevettato nel 2013, e da diversi anni acquistabile come un prodotto di serie. Il Minitrack è il più semplice, leggero ed economico astroinseguitore sul mercato: non ha bisogno di batterie e il suo moto è regolato da un timer ad orologeria che lo rende apprezzatissimo dagli escursionisti, i quali spesso raggiungono, lungo i loro percorsi, punti particolarmente panoramici da cui scattare foto astronomiche.
L’astroinseguitore in questione, ma anche alcuni altri modelli ad onor del vero, si montano su un comune cavalletto fotografico dotato di testa orientabile, da puntare verso il polo Nord celeste (abbiamo descritto nel precedente articolo come individuarlo, vedi Coelum Astronomia n°258 pag. 44).
La fotocamera andrà successivamente installata sopra alla testa sferica dell’astroinseguitore, una posizione comoda per individuare l’inquadratura preferita prima di iniziare gli scatti.
una reflex digitale montata su un astroinseguitore “Minitrack” ed un cavalletto fotografico. Un setup molto leggero ma che permette già di ottenere ottimi risultati
(….)
La fotografia astro-paesaggistica astronomica più di tutte le altre tecniche (vedi Coelum Astronomia n°254 pag. 72), concede al fotografo creatività e uno strumento per trasferire emozioni. Conosco tanti eccellenti astrofotografi che pur ottenendo immagini stupefacenti con potentissimi telescopi e sensori CCD, non hanno resistito all’attrazione di provare questa esperienza: perché più che in altre tecniche, la ricerca di un luogo a volte con richiami storici o naturalistici, lo studio della conformazione del suolo e dell’orientamento del cielo, la scelta di voler includere una determinata costellazione o un allineamento particolare degli astri con elementi terrestri, sono azioni che trasferiscono un’anima al risultato finale, che sarà poi gratificante riscoprire successivamente negli occhi dello spettatore finale. Il limite è solo la fantasia!
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Double Asteroid Redirection Test DART è la prima missione lanciata dalla NASA per colpire un asteroide e dimostrare che è realmente possibile ridurre il rischio di un impatto pericoloso per la Terra. Al lancio la DART aveva una massa di 610 kg e portava con se un solo strumento, la camera DRACO (basata su LORRI, la camera a bordo della missione New Horizons che ha esplorato Plutone). DRACO aveva un massa di 8.66 kg (al momento in cui scriviamo questo articolo la sonda DART si è già schiantata sul suo obiettivo e quindi il passato è doveroso) e una lunghezza focale di 2.6 m, il che determina una risoluzione spaziale di 20 cm poco prima dell’impatto. Le ultime immagini trasmesse da questo strumento, per altro estremamente importanti, hanno messo in mostra una superficie piena di piccoli sassi, simili a quelle ottenute dalla camera OSIRIS a bordo della missione Rosetta poco prima dell’impatto con la cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko. (..)
Indice dei contenuti
Gli obiettivi Scientifici della missione e la ricerca
Come target della missione DART è stato scelto l’asteroide binario Didymos. Intorno all’asteroide più grande, Didymos, con diametro di 780 metri, orbita la luna più piccola, Dimorphos, di 160 metri di diametro. Prima dell’impatto di DART, il periodo orbitale di Dimorphos attorno a Didymos era di 11 ore e 55 minuti e la distanza tra i due corpi di 1,18 chilometri. Per dichiarare che lo scontro frontale della sonda DART fosse un meccanismo valido, e quindi un meccanismo in grado di raggiungere gli scopi di deviazione, essa doveva modificare il periodo orbitale di Dimorphos. L’impatto è avvenuto con una precisione sorprendente il giorno 26 settembre 2022, a una velocità di circa 22.000 chilometri orari.
DART cablaggio elettrico e i sottosistemi sui pannelli del veicolo spaziale Crediti: NASA/Johns Hopkins APL/Ed Whitman
L’osservatore speciale è stato posto a bordo di DART. LICIACube Light Italian Cubesat for Imaging of Asteroids, un nanosatellite dell’Agenzia Spaziale Italiana realizzato dalla Argotec e a guida scientifica di INAF-Osservatorio Astronomico di Roma, ha ripreso lo schianto della sonda americana da una distanza ravvicinata di circa 51 km grazie a due camere: LEIA e LUKE. LEIA è una telecamera pancromaticaad alta risoluzione, mentre LUKE è una camera a colori a 3 bande grandangolari RGB (LICIACube è descritto con dovizia nel box a seguire)
Durante le fasi di avvicinamento a Dimorphos la camera pancromatica DRACO a bordo di DART ha acquisito fino a poco prima dell’impatto un’immagine al secondo del sistema binario. Le immagini che ci sono giunte hanno mostrato la vera natura dei due corpi. La fig. 1, mostra una delle immagini ad alta risoluzione ottenute pochi secondi prima dell’impatto, Dimorphos ha una struttura cosiddetta “rubble pile”, ovvero è un aggregato disorganizzato di frammenti di rocce di varie dimensioni tenute insieme dalla loro gravità.
Ma come si forma un oggetto di questo tipo? Oggi non è ancora chiaro se gli asteroidi binari si formino tutti allo stesso modo o seguano processi diversi. Sappiamo che quando due corpi vengono distrutti da una collisione, i loro detriti non solo si disperdono nello spazio in frammenti monolitici, ma ci si aspetta che le varie rocce disperse si riaccumulino sotto la forza di gravità, formando nuovi corpi. Questo processo dipende da vari fattori, in particolare dalle masse e velocità di collisione relative tra asteroide bersaglio e proiettile. La frantumazione causata da una collisione del corpo genitore e il riaccumulo dei frammenti potrebbero essere stati i passaggi essenziali nella storia passata del sistema binario Didymos-Dimorphos. Ma questo non è il solo meccanismo in grado di spiegare la natura di Dimorphos. Un’altra ipotesi ritiene che la rapida rotazione di Didymos abbia causato una fissione rotazionale, in cui frammenti dell’asteroide principale sono stati rilasciati nello spazio. Nel corso di milioni di anni tale materiale si è accumulato formando la luna Dimorphos. Da qui Didymos potrebbe aver iniziato a ruotare più velocemente a causa di un meccanismo di nome effetto YORP, in cui la luce infrarossa emessa in modo non uniforme dalla superficie dell’asteroide riscaldata dal Sole provoca una forza di torsione o coppia che può aumentare la velocità di rotazione. (..)
Questa immagine ripresa dal satellite italiano LICIACube mostra i getti di materiale espulso dall’asteroide Dimorphos dopo l’impatto della sonda DART. Ogni rettangolo rappresenta un diverso livello di contrasto ottenuto per migliorare la visionedella struttura fine dei getti. Studiando questi flussi di materiale, saremo in grado di saperne di più sulla natura dell’asteroide e sul processo di impatto. Credit: ASI/NASA/APL.
DON CHISCIOTTE NELLO SPAZIO
L’utilizzo di un impattore cinetico – termine tecnico per indicare una sonda che si schianti contro un asteroide cambiandone la traiettoria quel tanto che basta perché la Terra non sia più nel mirino – ci permetterebbe di giocare d’anticipo e viene considerata l’opzione più realistica. I tempi sono maturi per approfondire la questione: l’Agenzia Spaziale Europea (ESA) lancia una competizione per determinare quale sia il miglior concetto originale di una missione spaziale in grado di contribuire in maniera significativa a prevedere e mitigare il rischio asteroidale. A luglio 2004 un comitato di esperti nomina il vincitore con la seguente motivazione:
“Il comitato ritiene che la missione Don Chisciotte risponda al meglio ai requisiti della competizione. Don Chisciotte ha la capacità di fornire informazioni essenziali non solo sulla struttura interna di un NEO ma anche di come si possa interagire meccanicamente con un oggetto di questo tipo. Don Chisciotte è l’unica proposta in grado di fornire l’anello mancante nella catena di azioni che lega l’individuazione di un rischio asteroidale alla sua mitigazione. Delle sei missioni analizzate il comitato raccomanda che l’ESA dia la massima priorità alla realizzazione dello scenario proposto da Don Chisciotte”. (…)
HERA: il gran finale
La Missione Hera è attualmente in fase di realizzazione nell’ambito del programma Space Safety dell’Agenzia Spaziale Europea, con lancio previsto nell’ottobre 2024. Per soddisfare le condizioni necessarie a immettersi in orbita attorno al suo obiettivo il viaggio durerà poco più di 2 anni e Didymos verrà raggiunto a dicembre 2026. Hera completerà lo scenario dell’iniziativa AIDA Asteroid Impact and DeflectionAssessment il cui scopo è effettuare il primo esperimento di deflessione asteroidale nello spazio. Rimanendo per ben 6 mesi all’interno del sistema binario di Didymos la sonda europea potrà studiare in dettaglio gli effetti dell’impatto dell’americana DART testimoniato da LICIACube dell’ASI. Dall’analisi della forma e delle dimensioni del cratere formatosi si potrà risalire alle proprietà fisiche di Dimorphos, come ad esempio alla sua struttura interna, la cui conoscenza è di fondamentale importanza per mettere a punto la tecnica della deflessione cinetica in modo che possa essere impiegata efficacemente nel caso una minaccia diventi reale. I principali obiettivi di Hera sono:
misurare la massa di Dimorphos per calcolare accuratamente l’impulso ricevuto da DART;
analizzare il cratere prodotto da DART per comprendere le modalità di craterizzazione delle superfici asteroidali;
osservare effetti dinamici come la variazione della rotazione di Dimorphos che risulterebbero difficilmente rilevabili da osservazioni da terra; (…)
Uno sguardo da vicino a LICIACube
Un ruolo cruciale nella missione DART è giocato da LICIACube Light Italian CubeSat for Imaging of Asteroids, interamente realizzato in Italia: LICIACube è il primo CubeSat europeo a volare nello spazio profondo, fuori dalla protezione dell’atmosfera e della magnetosfera della Terra, nonché il primo CubeSat in assoluto a visitare un sistema di asteroidi.
I CubeSat sono satelliti miniaturizzati, costruiti in gran parte con moduli standard di tipo commerciale, molto più economici dei componenti sviluppati ad hoc per lo spazio: un aspetto essenziale per una missione a basso costo come quella di DART.
LICIACube è un CubeSat contenente 6 moduli e grande come una scatola di scarpe se si escludono i pannelli solari, progettato, costruito e testato dall’azienda torinese Argotec, che ha un’esperienza preziosa nel campo dei satelliti miniaturizzati: tra le altre cose ha costruito anche il CubeSat Argomoon, che volerà con Artemis 1 e trasmetterà a terra immagini mirate a dimostrare il corretto svolgimento della missione diretta alla Luna.
Il team scientifico di LICIACube è guidato dall’Istituto Nazionale di Astrofisica, con la partecipazione del CNR, dell’Università Parthenope di Napoli, dell’Università di Bologna e del Politecnico di Milano. Tutto il programma è coordinato dall’Agenzia Spaziale Italiana.
Dopo essere stato rilasciato da DART lo scorso 12 settembre, LICIACube ha sorvolato l’asteroide Dimorphos a poche decine di chilometri, con una traiettoria accuratamente studiata che gli permettesse di assistere da vicino all’impatto di DART, evitando allo stesso tempo la nuvola di frammenti generati dalla collisione. (…)
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Oggi sono sempre meno i fortunati che, dalla propria abitazione, durante le notti di cielo stellato, possono alzare gli occhi e godere delle meraviglie del firmamento (vedi Coelum Astronomia 258 pag. 22 “Inquinamento luminoso”).
Noi appassionati di astrofotografia, spinti dalla costante ricerca di luoghi isolati e lontani dai bagliori cittadini, siamo soliti ad escursioni fuoriporta, ma non sempre le condizioni meteo ottimali coincidono con le nostre possibilità di pernottamento all’aperto.
Quindi, in che modo è possibile non rinunciare alla fotografia del cielo profondo rimanendo nel nostro ambiente cittadino residenziale?
Negli ultimi anni, le case produttrici di filtri interferenziali per astrofotografia, hanno migliorato nettamente la selettività delle radiazioni cromatiche, riducendo così al minimo l’intervallo delle frequenze luminose passanti – da cui nasce il nome di “filtri a banda stretta”.
Questi filtri, oltre a permettere il passaggio di un’unica frequenza visibile specifica, sono anche in grado di arrivare ad una tolleranza di soli 3 nanometri “ultra banda stretta” bloccando di conseguenza il passaggio di tutte le altre frequenze cromatiche, quindi di tutte quelle luci che non ci interessano o che creano disturbo – il così detto “inquinamento luminoso”.
Ma quali sono le frequenze cromatiche migliori su cui realizzare dei filtri così accurati?
La scelta ricade sulle specifiche degli elementi che si trovano nello spazio e che, a seconda della loro quantità e agglomerazione, formano gli oggetti così tanto amati da noi astrofotografi: le nebulose diffuse.
Si tratta di nubi caratterizzate da diversi tipi di gas e polveri interstellari che emettono luce o per riflessione da stelle vicine o per emissione poiché ionizzate da radiazioni.
Il loro elemento principale é l’Idrogeno anche se, in quantità minori e a seconda della nebulosa, nella loro composizione possono trovarsi anche altri gas come Ossigeno e Zolfo
I filtri a banda stretta catturano proprio le frequenze cromatiche corrispondenti a questi tre gas Idrogeno (H-alpha) Ossigeno (Oiii) e Zolfo (Sii) di cui sono costituite le nebulose diffuse.
L’utilizzo dei filtri a banda stretta – o ancor meglio “ultra stretta” – permette quindi di fotografare tutti quegli oggetti del profondo cielo ricchi dei tre gas, anche quando le riprese sono effettuate da luoghi non perfettamente ideali per l’astrofotografia “deep sky”.
Nel grafico fig.1 è rappresentata la selettività di taglio dei filtri ultra banda stretta da 3 nanometri impostati sulle frequenze cromatiche specifiche di Idrogeno, Ossigeno e Zolfo rispetto all’intera gamma visibile dove prevalgono i bagliori delle luci cittadine più comuni
Oltre alla selettività di taglio, nel grafico fig.1 si nota anche un altro fattore molto importante che rende questi gas ideali per la fotografia e quindi per la realizzazione dei filtri interferenziali: la lunghezza d’onda specifica di questi tre gas risiede nei canali principali della fotografia digitale RGB (red, green, blue), ossia l’Idrogeno (Halpha) e lo Zolfo (Sii) nel rosso, l’Ossigeno (Oiii) nel verde.
I sensori digitali a colori hanno come componente una matrice di Bayer, un vetrino colorato RGB (rosso verde e blu) a forma di scacchiera che distribuisce i tre colori in modo omogeneo e sequenziale sui pixel di tutto il sensore. Questo fa si che, ad ogni singola foto, si avvii un processo detto di debayerizzazione attraverso il quale i colori catturati dai vari pixel vengono raggruppati e divisi nei tre canali fondamentali che compongono l’immagine a colori RGB.
Tale soluzione ha spinto le case produttrici a realizzare un unico filtro con una doppia banda passante denominato “bibanda” in cui le frequenze luminose passanti corrispondono a Idrogeno e Ossigeno. L’utilizzo di questi filtri bibanda nelle fotografie di nebulose effettuate con camere digitali a colori e il processo di debayerizzazione combinati insieme fanno si che i due gas vengano distribuiti nei vari canali colore: Halpha nel canale rosso e Oiii nel canale verde e blu.
La banda passante relativa allo Zolfo è volutamente tralasciata perché, avendo lo Zolfo una lunghezza d’onda vicina a quella dell’Idrogeno, verrebbe distribuito anch’esso nel canale rosso e, dato che l’Idrogeno è l’elemento principale delle nebulose, quest’ultimo andrebbe a mascherare completamente le quantità minori di Zolfo.
(…)
Le riprese con il set up monocromatico sono delle notti tra il 16 e il 21 settembre, con la luce della luna che illuminava ancora il cielo al’ultimo quarto. Come soggetto invece ho scelto la nebulosa Cuore IC1805, perché ricca dei tre gas e perfetta come campo inquadrato a 380 mm.
Il bel tempo mi ha assistito regalandomi ben cinque notti consecutive di cielo sereno, permettendomi di spingere al massimo le mie sessioni fotografiche alternando i vari filtri ad esposizioni di 900 secondi per posa.
Nella fig.2 il risultato della somma dei singoli gas Idrogeno (Halpha) Ossigeno (Oiii) e Zolfo (Sii) prima della miscelazione dei canali RGB
Nebuolsa Cuore IC1805 Somma delle riprese effettuate con camera monocromatica sui singoli gas utilizzando i filtri a banda ultra stretta da 3nm in ambiente urbano
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Il panorama del cielo invernale è senz’altro uno dei più spettacolari che la visione della volta celeste possa offrire; la Via Lattea, non certo preponderante come quella estiva o quella autunnale, passa attraverso un campo popolato da una moltitudine di stelle luminose, di prima e seconda grandezza, che delineano alcune tra le più note e meglio visibili costellazioni ed asterismi. Tra questi ultimi, il più rilevante è senz’altro il grande triangolo equilatero (15° ogni lato!) ai cui vertici risplendono le luminose Procyon (Alpha Canis Minoris), Betelgeuse (Alpha Orionis) e Sirius (Alpha Canis Majoris), che segna il vertice meridionale: è questo il famoso triangolo invernale, asterismo all’interno del quale giace una costellazione che certamente sfigura in stelle se mesa a confronto con i “portenti” da cui è circondata ma che riserva una quantità di oggetti del profondo cielo, stelle variabili e sistemi stellari multipli da non far invidia a ciò che vi è attorno: parliamo di Monoceros, ricca di storie e segreti che nascondono numerose soprese che ora ci accingiamo a conoscere.
Indice dei contenuti
NELLA STORIA
A differenza delle costellazioni da cui è circondata, presenti tra le 48 originarie elencate da Tolomeo nell’Almagesto, Monoceros risale a tempi – si fa per dire – più recenti. Sembra sia stato il cartografo olandese Petrus Plancius il primo a riportare su un globo celeste (molto in voga all’epoca) pubblicato nel 1612 o, forse, un anno più tardi, questa nuova figura; successivamente, l’astronomo tedesco (nonché genero di Keplero) Jakob Bartsch, in una mappa celeste pubblicata nel 1624, ne cambiò il nome in Unicorn, riferendosi al mitologico cavallo dotato di un corno sulla fronte. E così, da lì in poi, apparve rappresentata sulle mappe celesti.
Molti non sanno però che il termine Monoceros si riferisce, in realtà, ad una fantastica chimera: un animale con corpo di cavallo, testa di cervo, zampe di elefante e coda di cinghiale, sulla cui fronte fa bella mostra di se un corno nero sagomato in anelli o spirali; stando ai racconti, tale creatura, che era in grado di emettere potenti e discordanti muggiti, non amava essere circondato da consimili, vivendo quasi sempre da solitario tranne che per accoppiarsi. Questo animale leggendario sembra sia stato nominato per la prima volta dallo storico e medico greco Ctesia di Cnido, che rimase per diciassette anni alla corte di Dario II in Persia descrivendo un mondo molto lontano e diverso da quello conosciuto in occidente. Nellasua opera Indikà descrisse – con un’accuratezza proporzionale alla fantasia ivi utilizzata – la flora e la fauna del mondo indiano; tra le numerose storie e personaggi paradossali descritti come tigri con volti umani ed esseri umani con una sola gamba, descrisse la presenza di asini grandi come cavalli, dal corpo bianco ma dal capo rosso e con un lungo corno multicolore posizionato sulla fronte; non solo: la loro velocità era talmente straordinaria che nessun altro animale poteva eguagliarla.
Il racconto fantasioso potrebbe aver avuto ispirazione (anche se non si capisce come) dal rinoceronte indiano, dotato di un corno che dalle opache tonalità rossastre e nerastre, e dall’asino selvatico, che esibisce una colorazione rossiccia sul dorso e grigia nel resto del corpo. A creare confusione sembra si fosse aggiunto anche Megastene, diplomatico macedone vissuto nel IV secolo a.C. che venne inviato dal sovrano macedone Seleuco quale ambasciatore, guarda caso, in India. Anche il grande naturalista Plinio il Vecchio citò questo monoceros nella sua Historia Naturalis; e così fece anche Strabone, fornendo miseri dettagli su di esso. Successivamente, lo scrittore Claudio Eliano, vissuto tra il II e III secolo, fornì invece un riassunto molto più completo su questo essere, riferendo che chi beveva dal suo corno veniva preservato da malattie e veleni. Ad ogni modo, dopo che gli europei stabilirono contatti più stretti con l’India, nessuno fu in grado di verificare le fantastiche creature descritte da questi autori, tra le quali lo stesso monoceros. Ad alimentare ancora tali credenze fu il sacerdote francescano Girolamo Merolla, il quale riportò la testimonianza di un missionario, a sua volta appresa dai cinesi, secondo la quale questi monoceri viventi in Asia passarono a miglior vita lo stesso giorno in cui Gesù Cristo fu crocifisso! Il mito del monoceros venne ancora alimentata nel XVII secolo dall’autore olandese Arnoldus Montanus, il quale riferì di una creatura che questsa volta viveva nelle desolate foreste canadesi la quale, a quanto sembra, assomigliava molto al monoceros.
Concludiamo il quadro storico, come sempre, con l’atlante Coelum Stellatum Christianum dell’abate Julius Schiller, pubblicato nel 1627 ad Augusta: nel tentativo di cristianizzare il cielo stellato, convertendo le costellazioni storiche in figure che facevano riferimento alla tradizione cristiana, ecco che le stelle di Monoceros vennero utilizzate per – è proprio il caso di dirlo – fabbricare gli attrezzi di falegnameria di San Giuseppe, quest’ultimo rappresentato nelle attigue stelle di Orione. Possiamo dire che questo fu l’unico evento che mise sottosopra le stelle di Monoceros; da allora, questo curioso essere – che, a differenza della pura creatura presente nelle favole potremmo relegare al mondo dei mostri e delle chimere – passa tranquilla il suo tempo fornendo agli studiosi spunti di estremo interesse.
ASPETTO E VISIBILITA’
Essendo quasi interamente compresa nel triangolo invernale, Monoceros transita al meridiano subito dopo la mezzanotte…di Capodanno: in pieno inverno, quindi. Torneremo a menzionare questa particolarità più avanti trattando, in particolare, una precisa stella di questa costellazione. L’area occupata da Monoceros giace esattamente lungo l’equatore celeste e si estende su 482° quadrati, posizionando tale figura al 35° posto in ordine di estensione tra tutte le 88 costellazioni. Sono in tutto 36 le stelle visibili con luminosità inferiore alla magnitudine 5,5 presenti i questo campo che ha la forma grossolana di una T rovesciata; purtroppo, anche se attraversata dalla Via Lattea, Monoceros presenta solo due astri appena più luminosi della quarta grandezza. Tuttavia, osservando il grande triangolo invernale, non sarà difficile notare come le stelle di Monoceros diano, e senza neanche tanta fantasia, l’idea della figura di un animale intento a correre, a zampe spiegate, verso occidente.
LUNGO IL CORNO
La porzione di cielo in questione è quella rintracciabile a circa 1/3 del segmento che unisce Betelgeuse a Procyon, è un’area talmente ricca di meraviglie celesti tanto da poter essere definita “il campo dei miracoli di Monoceros”, che non sfigura davanti al ben più famoso presente in Sagittarius. L’astro più luminoso di questa zona è ε Monocerotis, che è anche la prima stella che andiamo qui a visitare. Quinta stella in ordine di luminosità della costellazione, splende di magnitudine 4,39 da una distanza pari a 122 anni-luce. La luminosità di questa stella è in realtà somma di quella emessa da due astri legati dalla mutua attrazione gravitazionale in un periodo orbitale lungo circa 331 giorni. La componente principale è una subgigante bianca di tipo A5 IV (7.900 K) e dalla massa doppia di quella solare; con un diametro 2,5 volte maggiore, ε Monocerotis A irradia 25 volte più del Sole. La componente secondaria splende di magnitudine apparente di 6,72 ed è separata da essa da 12,3″, valore che permette alla coppia di essere alla portata di risoluzione di telescopi di modesto diametro, dove il colore della componente primaria appare decisamente di un azzurrino-grigio acciaio mentre la secondaria decisamente giallognola.
Nelle pagine della rivista gli approfondimenti sulla Nebulosa Variabile di Hubble
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Fin dai primi giorni che ho iniziato a fare astrofotografia, uno dei miei obiettivi era arrivare ad elaborare immagini in Hubble palette, una composizione di colori molto bella e affascinante che ha anche una finalità scientifica. Per questo motivo a metà Giugno di quest’anno ho deciso di acquistare un filtro SII (Zolfo ionizzato) per provare a fare un po’ di banda stretta con la mia camera a colori, avendo già a disposizione un filtro dual-band dal quale poter estrarre i segnali dell’Idrogeno e dell’Ossigeno ionizzati, completando il tutto con un filtro a banda larga per prendere il colore delle stelle.
La palette di Hubble è un tipo di tecnica elaborativa ideata dai tecnici della NASA per mettere in risalto i tre gas più importanti che compongono le nebulose ad emissione, ossia Zolfo (simbolo chimico S), Idrogeno (H) e Ossigeno (O). Questo è possibile assegnando arbitrariamente il segnale dello Zolfo al canale rosso (R), il segnale dell’Idrogeno al canale verde (G) e il segnale dell’Ossigeno al canale blu (B), ottenendo un’immagine RGB in falsi colori che viene indicata con la sigla SHO, dai simboli chimici dei gas ionizzati.
Nella composizione che vedere di seguito ho voluto mettere a confronto la classica palette bicolor HOO, che generalmente si fa con le camere a colori, con la palette SHO di 12 nebulose molto diverse tra loro, sia per composizione chimica che per luminosità superficiale. L’immagine racchiude tutto quello che sono riuscito a fare da casa in 4 mesi puntando i miei 2 telescopi (Konus 200/1000 e SW Evostar 80ED) verso nebulose a Nord/Nord-Est situate nelle costellazioni di Cefeo, Cassiopea, Perseo e Auriga e sfruttando ogni piccolo sprazzo di cielo sereno. In totale, sono riuscito a macinare 265h e 49min di integrazione con i filtri L_eXtreme (da poco sostituito da L_Ultimate), SII e UV/IR-cut.
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Ieri la foto della Terra ripresa dalla sonda Orion è diventata virale e giustamente scelta dalla NASA come APOD Astronomical Picture of the Day. Ecco però che in redazione arriva un commento.
“L’immagine che ha rilasciato la NASA è inspiegabilmente allungata in senso orizzontale, andrebbe ridotta in larghezza al 90% della dimensione proposta…. La Terra così come è raffigurata appare schiacciata, quasi come un pallone da rugby…. ” ci scrive il nostro affezionato collaboratore Cristian Fattinnanzi.
Probabilmente lo schiacciamento è dovuto ad impostazioni tecniche ed al formato delle riprese, ma abbiamo colto l’invito di Cristian e qui pubblichiamo una sua rielaborazione, con dimensioni leggermente ritoccate e proporzioni più gradevoli. Che ne pensate?
Una delle prime osservazioni realizzate con il telescopio spaziale James Webb lo scorso giugno ritrae due galassie tra le più antiche mai osservate, che popolavano l’universo quando aveva solo 350 e 450 milioni di anni, rispettivamente. Lo conferma lo studio di un team internazionale, guidato da ricercatori dell’Istituto Nazionale di Astrofisica e pubblicato su The Astrophysical Journal Letters
Appena pochi giorni dall’inizio delle operazioni scientifiche, il James Webb Space Telescope (JWST) è stato in grado di rivelare la luce proveniente da due galassie tra le primissime dell’universo primordiale, tra 350 e 450 milioni di anni dopo il Big Bang. Sono i risultati dell’analisi di osservazioni del lontanissimo ammasso di galassie Abell 2744 e di due regioni del cielo ad esso adiacenti, realizzate dal potente telescopio spaziale tra il 28 e il 29 giugno 2022 nell’ambito del progetto GLASS-JWST Early Release Science Program. “Questo lavoro mostra innanzitutto la capacità di JWST di selezionare sorgenti nell’epoca della cosiddetta ‘alba cosmica’. Non meno importante il fatto di avere trovato, tra le altre, due sorgenti brillanti in un’area relativamente piccola”, afferma Marco Castellano, ricercatore INAF a Roma e primo autore dell’articolo che descrive la ricerca di queste due lontanissime galassie, pubblicato recentemente su The Astrophysical Journal Letters. “Sulla base di tutte le previsioni, pensavamo che avremmo dovuto sondare un volume di spazio molto più grande per trovare tali galassie. I risultati invece sembrano indicare che il numero di galassie brillanti sia molto maggiore di quanto ci si aspettasse, forse per effetto di una maggiore efficienza di formazione stellare”.
Il gruppo di ricerca guidato da Castellano è stato tra i primi a usare i dati di JWST, pubblicando un preprint sulla piattaforma open-access arXiv a luglio, solo 5 giorni dopo che i dati erano stati resi disponibili. “C’era molta curiosità nel vedere finalmente cosa JWST poteva dirci sull’alba cosmica, oltre naturalmente al desiderio e all’ambizione di essere i primi a mostrare alla comunità scientifica i risultati ottenuti dalla nostra survey GLASS”, aggiunge il ricercatore. “Non è stato facile analizzare dei dati così nuovi in breve tempo: la collaborazione ha lavorato 7 giorni su 7 e in pratica 24 ore su 24 anche grazie al fatto di avere una partecipazione che copre tutti i fusi orari”. Alla collaborazione internazionale, che vede numerosi ricercatori e ricercatrici dell’INAF coinvolti sin dalla presentazione della proposta osservativa, hanno partecipato anche colleghi dello Space Science Data Center dell’Agenzia Spaziale Italiana e delle università di Ferrara e Statale di Milano.
La distanza delle due galassie in questione dovrà essere confermata con maggior precisione mediante osservazioni spettroscopiche, ma si tratta già dei candidati più robusti selezionati ad oggi con dati JWST. A confermare l’affidabilità dei risultati è proprio l’accordo con quanto riscontrato anche in altri studi, tra cui il lavoro guidato da Rohan Naidu dell’Harvard Center for Astrophysics, negli Stati Uniti, che analizza gli stessi dati del progetto GLASS, apparso lo stesso giorno su arXiv e attualmente in corso di pubblicazione, anch’esso su The Astrophysical Journal Letters.
Due delle galassie più lontane mai osservate, catturate dal telescopio spaziale JWST nelle regioni esterne del gigantesco ammasso di galassie Abell 2744. Le galassie, evidenziate da due piccoli quadrati indicati con i numeri 1 e 2, e in maggior dettaglio nei due riquadri centrali, non fanno parte dell’ammasso, ma si trovano a molti miliardi di anni luce al di là di esso. Oggi osserviamo queste galassie come apparivano rispettivamente 450 (nel riquadro 1, a sinistra nell’immagine) e 350 milioni di anni (nel riquadro 2, a destra) dopo il big bang. Crediti: Analisi scientifica: NASA, ESA, CSA, Tommaso Treu (UCLA); elaborazione delle immagini: Zolt G. Levay (STScI)
“Queste osservazioni sono rivoluzionarie: si è aperto un nuovo capitolo dell’astronomia” commenta Paola Santini, ricercatrice INAF a Roma e coautrice del nuovo articolo. “Già dopo i primissimi giorni dall’inizio della raccolta dati, JWST ha mostrato di essere in grado di svelare sorgenti astrofisiche in epoche ancora inesplorate”. A differenza degli strumenti usati in precedenza – dal telescopio spaziale Hubble ai più grandi osservatori disponibili a terra – JWST ha una sensibilità e risoluzione nell’infrarosso che permettono di cercare oggetti così distanti. “Stiamo esplorando un’epoca a poche centinaia di anni dal Big Bang che in parte era sconosciuta e in parte a malapena esplorata, con molte incertezze al limite delle possibilità dei telescopi precedenti”, ricorda Castellano.
Come e quando si sono formate le prime galassie e la primissima generazione di stelle – la cosiddetta popolazione III – è una delle grandi domande ancora aperte dell’astrofisica. “Queste galassie sono molto diverse dalla Via Lattea o altre grandi galassie che vediamo oggi intorno a noi”, spiega Tommaso Treu, professore all’Università della California a Los Angeles e principal investigator del progetto GLASS-JWST. “La domanda era: quando vedi le stelle più rosse e più vecchie con Webb, vedi che in realtà la galassia è molto più grande di quello che sembrava dalle osservazioni nell’ultravioletto?” Le nuove osservazioni di JWST sembrano indicare che le galassie nell’universo primordiale fossero molto più luminose, anche se più compatte del previsto. Se ciò fosse vero, potrebbe rendere più facile per il potente osservatorio trovare un numero ancor maggiore di queste galassie precoci nelle sue prossime osservazioni del cielo profondo.
“La sorgente più lontana è effettivamente molto compatta”, sottolinea Adriano Fontana, responsabile della divisione nazionale abilitante dell’astronomia ottica ed infrarossa dell’INAF e coautore dello studio. “I colori di questa galassia sembrano indicare che la sua popolazione stellare sia particolarmente priva di elementi pesanti, e potrebbe contenere anche alcune stelle di popolazione III. La conferma verrà dai dati spettroscopici di JWST”. Osservare le galassie più distanti, come quelle rivelate in queste osservazioni di JWST, è un passo fondamentale per iniziare a capire come si sono formate le primissime sorgenti luminose nella storia del cosmo e comprendere le prime fasi della lunghissima evoluzione che ha portato l’universo a essere così come lo vediamo oggi, con la nostra galassia, il Sole, la Terra e noi umani che la abitiamo. Occorreranno ulteriori sforzi sia osservativi, per confermare e caratterizzare il risultato, che teorici, per comprenderne la fisica sottostante.
Così vogliamo aprire il commento a questa immagine, che forse commento non ha, e chissà se tacere, difronte ad un sogno o all’immensità, non sarebbe almeno per questa volta la scelta giusta.
L’immagine immortalata in questo scatto da una delle 4 telecamere montate sul modulo di servizio ORION della missione Artemis 1, strappa stupore e lascia immobili, incapaci forse di accettare che tutto sia racchiuso in quella minuta biglia blu.
Si chiama “overview effect”, la reazione dell’essere umano nel vedere la Terra dall’esterno. Scoperto e studiato fin dal 1987 da Frank White, questo stato di meraviglia e di timore
reverenziale, di unità con la natura, di trascendenza e di fratellanza universale ha avuto un influenza importante anche sulla nascita dei movimenti ecologisti. “La vista della Terra dallo spazio presenta le ben note caratteristiche naturali ed umane da un punto di vista remoto e offre una visione della Terra totale, che oscura le differenze demografiche
e i confini nazionali. Prese insieme queste caratteristiche possono disporre lo spettatore ad un accresciuto senso di unità internazionale e forse anche di attitudini umanitarie” (Yaden e altri). (tratto da “Psicologia Spaziale” a cura di Remo Rapetti Coelum Astronomia n°259 dicembre2022/gennaio 2023)
Annoveriamo questa immagine fra gli archivi di Coelum certi che con il lancio di Artemis 1 saranno moltissime le riprese simili che finalmente torneranno ad animare desideri di coesione e di fratellanza.
Alle ore 07:47 CET (06:47 BST, 01:47 ora locale), la missione Artemis I ha iniziato il suo viaggio verso la Luna: il nuovo razzo lunare della NASA è decollato dal Kennedy Space Center in Florida, USA, e ha messo in orbita il veicolo spaziale Orion e il suo Modulo di Servizio Europeo.
Dopo aver trascorso due ore in orbita intorno alla Terra, il veicolo spaziale sta funzionando come previsto, ed ha iniziato poco fa il suo viaggio di dieci giorni verso il nostro satellite naturale.
Lo Space Launch System (SLS) della NASA è il razzo più potente mai costruito finora ed è stato progettato appositamente in funzione del Orion, veicolo destinato a trasportare astronaute, astronauti e moduli del Gateway sulla Luna. Il volo di prova di Artemis I è senza equipaggio, ma i prossimi tre veicoli spaziali sono già in produzione con componenti forniti da oltre 20 aziende in dieci paesi europei e vedranno l’integrazione della figura umana.
“Il Modulo di Servizio Europeo e il veicolo spaziale Orion nascono da decenni di eccellente collaborazione tra l’ESA e la NASA“, afferma Josef Aschbacher, Direttore Generale dell’ESA.
“Dai telescopi Hubble e Webb e dal satellite di osservazione della Terra Sentinel-6 fino alla Stazione Spaziale Internazionale e adesso anche Artemis, l’ESA è orgogliosa di essere il partner privilegiato della NASA e, con questo lancio, di portare insieme l’umanità sulla Luna“.
L’ESA si è occupata della supervisione dello sviluppo del modulo di servizio dell’Orion, il componente del veicolo spaziale che fornisce aria, elettricità e propulsione. Analogamente al motore di un treno che traina le carrozze passeggeri e fornisce energia, il Modulo di Servizio Europeo porterà Orion sulla Luna e si occuperà anche del suo ritorno sulla Terra.
“Abbiamo annunciato la collaborazione tra Orion e il Modulo di Servizio Europeo nel 2013 e, sebbene il lancio di oggi rappresenti un punto culminante della missione, segna solo l’inizio della missione Artemis I e delle nostre più importanti ambizioni in ambito lunare“, afferma David Parker, Direttore dell’ESA per l’Esplorazione Umana e Robotica.
“Nei prossimi anni verranno lanciati moduli europei per costruire il Gateway lunare internazionale e l’obiettivo ESA è protare un astronauta e un’astronauta europei in orbita intorno alla Luna entro la fine del decennio“.
Fino alla Luna e ritorno
La missione Artemis I vedrà Orion e il Modulo di Servizio Europeo impegnati in una missione di 42 giorni verso la Luna e ritorno. Trascorrerà circa due settimane in orbita intorno alla Luna, con il Modulo di Servizio Europeo che accenderà i suoi 33 motori per mantenere il veicolo spaziale in rotta e nella posizione migliore per ricevere la luce del Sole sui quattro pannelli solari lunghi 7 metri.
Il Modulo di Servizio Europeo, inoltre, manterrà il veicolo spaziale che contiene tutti i serbatoi di carburante per i motori, alle temperature ottimali e nelle future missioni Artemis, il Modulo di Servizio Europeo fornirà aria e acqua agli astronauti e alle astronaute che lavoreranno nel modulo di equipaggio di Orion.
Per tutta la durata della missione, il personale del Centro Spaziale Europeo per la Ricerca e la Tecnologia dell’ESA (ESTEC) nei Paesi Bassi è a disposizione per fornire competenze e conoscenze approfondite sul Modulo di Servizio Europeo al controllo principale della missione presso il Johnson Space Center della NASA, a Houston, negli Stati Uniti.
Artemis I tornerà sulla Terra con uno splashdown nell’Oceano Pacifico, al largo della costa della California, negli Stati Uniti. Il Modulo di Servizio Europeo si separerà e brucerà in modo innocuo nell’atmosfera poco prima dello splashdown del modulo di equipaggio.
Coelum Astronomia è sempre ricco di contenuti e del contributo di nomi importanti delle ricerca professionale ma mai come numero 259 a farla da padrone sono i tantissimi astrofili e astrofile che hanno partecipato. Scoprili tutti!
Aperta la prevendita di Coelum Astronomia n° 259 di Dicembre 2022/Gennaio 2023
Tema del numero “Astronomia all’Italiana”, un occasione per raccogliere le testimonianze di quanti con impegno e costanza in Italia fanno Astronomia nel vero senso della parola. Per dimostrare che, a discapito dell’inquinamento luminoso, in Italia la ricerca amatoriale offre un contributo importante a tutta la comunità professionale internazionale.
In questo numero
La testimonianza di Fulvio Mete, per la spettroscopia solare, Marco Iozzi e la ricca squadra di cacciatori di Asteroidi (Maura Tombelli, Paolo Bacci, Luca Grazzini, Massimiliano Mannucci e Nico Montigiani, Andrea Mattei e Lorenzo Franco), Ernesto Guido esperto in comete (nel gruppo E. Bryssinck, M. Fulle, G. Savini, A. Valvasori) e Salvo Lauricella per la fotografia solare.
Speciale Esclissi, le tantissime foto arrivate in redazione e caricate nella sezione PhotoCoelum. Si ringrazia Rossana Miani per la bellissima ripresa in copertina, e poi ancora Salvo Lauricella, Bruno Conti, Fausto Lubatti, Massimo Bubani, Cristina Cellini e Fiorenzo Mazzotti, Fabrizio Aimar, Samuele Pinna, Robert Erriquez, Fadio di Stefano, Cristian Fattinnanzi, Roberto Ortu, Andrea Rapposelli, Roberto Ciri, Gerlando lo Savio, Giuseppe Granato, Mauro Muscas e Vincenzo Mirabella.
Non è stato possibile inserire ogni singola immagine, non avremmo riempito tutta la rivista ma quasi, a tutti coloro che hanno inviato la propria foto ma non l’hanno vista pubblicata i complimenti dalla Redazione, faremo quanto possibile per dare visibilità a ogni lavoro attraverso altri canali.
Approfondimento “DART salverà la Terra!”, ben otto pagine con tutti i dettagli della missione a cura di Gabriele Cremonese (INAF), John Robert Brucato (INAF), Ettore Perozzi (ASI), Ian Carnelli (ESA) e Andrea Ferrero per LICIACube.
E ancora.. le rubriche tecniche:
Vita da Astrofilo, iniziamo a fare sul serio a cura di Cristian Fattinnanzi
Astrofotografia: prime elaborazioni delle immagini grezze del JWST a cura di Elisabetta Bonora, e soluzioni e suggerimenti per fotografare in Deep Sky da ambienti urbani a cura di Stefano Camaeti
Per “la tecnica ci salverà!” interviene Gabriele Iocco a parlarci di “Lampi di Fluorescenza”, un esperimento da fare.
Un grazie speciale alle amiche del Gruppo Astrofile per il sostegno all’hastag #ancheiovoglioesserelacristoforetti, nel numero due pagine con tutte le immagini delle astrofile che anno aderito all’appello per sostenere la comandante Cristoforetti.
Uno sguardo al passato con Mauro Gargano (INAF) e Paolo Palma (Unione Astrofili Napoletani) dedicato ad Annibale de Gasparis astronomo partenopeo acclamato “Re degli Asteroidi”.
I fatti in evidenza e le curiosità, i primi a cura di Luca Nardi e Arianna Ricchiuti, le chicche invece nelle mani di Giuseppe Petricca per il Catalogo Messier, Paola Giorgini che ci parla di panico marziano (?), Stefano Marcellini (INFN) e la fisica nucleare al servizio della legge! Barbara Bubbi, in collaborazione ancora con Cristian Fattinnanzi, e la sua attenta selezioni delle Meraviglie del Cosmo; Pierdomenico Memeo a disposizione di didattica e divulgazione per raccontare il progetto San Marco della Space Economy e i modellini di sistemi solari, approssimativi ma molto efficaci per l’apprendimento.
Con questo numero si conclude la rubrica dedicata alla Moon Village Association, il grazie a tutti gli autori che in questi mesi hanno collaborato con Coelum, alla direzione e a Remo Rapetti che si fa carico del commiato lanciando un sasso significativo: la Psicologia Spaziale.
I classici:
La galleria PHOTOCOELUM che per questo bimestre pubblica le immagini di Andrea Iosi, Fabrizio Piras, Paul Waddington, Luca Marinelli, Federica Panzarella, Egidio Maria Vergani e Soumy Adeep Mukheriee. Non perdete il mosaico a cura di Massimo di Fusco, vi lascerà senza parole!
Dalle Costellazioni alle Profondità del Cosmo 𝑺𝒕𝒆𝒇𝒂𝒏𝒐 𝑺𝒄𝒉𝒊𝒓𝒊𝒏𝒛𝒊 ci accompagna nella dettagliata lettura di 𝘔𝘰𝘯𝘰𝘤𝘦𝘳𝘰𝘴, costellazione ricca di sorprese dep periodo invernale.
Il Cielo del Bimestre: tutti i fenomeni dei prossimi due mesi.
E in arrivo una sorpresa per tutti i lettori di Coelum 259 (abbonati e non) .. ancora qualche giorno di pazienza!
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Negli ultimi 60 anni l’ESO (European Southern Observatory) ha consentito agli scienziati di tutto il mondo di scoprire i segreti dell’Universo. Celebriamo questo traguardo presentandovi la nuova spettacolare immagine di una fabbrica di stelle, la Nebulosa Cono, scattata con il VLT (Very Large Telescope) dell’ESO.
Il 5 ottobre 1962 cinque paesi hanno firmato la convenzione per creare l’ESO. Ora, sei decenni dopo e sostenuto da 16 tra stati membri e partner strategici, l’ESO riunisce scienziati e ingegneri di tutto il mondo per sviluppare e gestire in Cile osservatori da terra all’avanguardia che permettono di ottenere scoperte astronomiche rivoluzionarie.
In occasione del 60° anniversario dell’ESO, pubblichiamo questa nuova straordinaria immagine della Nebulosa Cono, catturata all’inizio di quest’anno con uno dei telescopi dell’ESO e selezionata dallo staff dell’ESO. L’immagine fa parte di una campagna che celebra il 60° anniversario dell’ESO e si svolgerà alla fine del 2022, sia sui canali social con l’hashtag #ESO60years, sia con eventi locali negli Stati membri dell’ESO e in altri paesi.
Nella nuova immagine, vediamo al centro della scena il pilastro della Nebulosa Cono, lungo sette anni luce, che fa parte della più ampia regione di formazione stellare NGC 2264 ed è stata scoperta alla fine del XVIII secolo dall’astronomo William Herschel. Troviamo questa nebulosa a forma di corno nella costellazione del Monoceros (l’unicorno), un nome sorprendentemente appropriato.
Ubicata a meno di 2500 anni luce di distanza da noi, la Nebulosa Cono è relativamente vicina alla Terra, il che ne fa un oggetto molto ben studiato. Ma questa veduta è più drammatica di qualsiasi altra ottenuta prima, poiché mostra l’aspetto scuro e impenetrabile della nebulosa in un modo che la fa assomigliare a una creatura mitologica.
La Nebulosa Cono è un perfetto esempio delle forme simili a pilastri che si sviluppano nelle gigantesche nubi di gas molecolare freddo e polvere, note per la creazione di nuove stelle. Questo tipo di pilastro si forma quando le stelle blu brillanti e massicce di nuova formazione emettono venti stellari e intense radiazioni ultraviolette che spazzano via il materiale dalle loro vicinanze. Mentre il materiale viene spinto via, il gas e la polvere più lontani dalle giovani stelle vengono compressi in forme dense, scure e alte simili a pilastri. Questo processo aiuta a creare l’oscura Nebulosa Cono, che punta lontano dalle stelle brillanti di NGC 2264.
In questa immagine, ottenuta con lo strumento FORS2 (FOcal Reducer and low dispersion Spectrograph 2) installato sul VLT dell’ESO in Cile, l’idrogeno gassoso è rappresentato in blu e lo zolfo gassoso in rosso. L’uso di questi filtri fa sì che le stelle che indicano la recente formazione stellare, che altrimenti sarebbero blu e molto luminose, appaiano quasi dorate, in contrasto con il cono scuro quasi come luminarie.
A partire da questi 60 anni di esperienza nello sviluppo, nella scoperta e nella cooperazione dell’astronomia, l’ESO continua ad aprire nuove strade per l’astronomia, la tecnologia e la collaborazione internazionale. Con le strutture attuali e il prossimo ELT (Extremely Large Telescope) dell’ESO, continueremo ad affrontare le più grandi domande dell’umanità sull’Universo e consentire scoperte inimmaginabili.
PUNTAMENTI AUTOMATICI CON SISTEMI GOTO E COORDINATE CELESTI: VEDIAMO DI CAPIRCI
Al giorno d’oggi quasi tutti possono permettersi un telescopio con sistema di puntamento automatico; questi supporti a controllo elettronico, comunemente chiamati montature equatoriali GoTo, sono estremamente comodi per le osservazioni visuali mentre diventano assolutamente essenziali per chi pratica astrofotografia.
Credo che tanti, come me, si siano domandati come funzionassero senza però aver mai approfondito realmente l’argomento, accontentandosi (io in primis) di usarli senza “stressarsi” troppo. Un approccio diciamo “zen” vincente finché però la strumentazione non inizia a presentare i primi problemi. E prima o poi tranquilli..capita!
Quando ci troviamo fuori casa al buio e al freddo, senza avere una conoscenza approfondita dello strumento, un qualsiasi malfunzionamento, anche un semplice bug temporaneo, potrebbe innescare nella nostra testa un effetto domino tale da amplificare le ansie, la ricerca della soluzione diventa una vera odissea, ed insomma si rovina di fatto tutta una sessione. Dopo anni di pratica mi sono convinto che, tra tutti i temi tecnici discussi dagli astrofili, ce ne siano alcuni davvero poco trattati, sopratutto a causa di una carenza cronica di documentazione reperibile online.. e su questi mi concentrerò. Avere una buona conoscenza della propria cassetta attrezzi consente di affrontare con più sicurezza e lucidità serate sotto al cielo stellato, concedendo la giusta serenità per goderne a pieno!
La prima domanda: come diamine fa la mia montatura ad essere cosi’ precisa?! Purtroppo alcune informazioni si trovano solo sui siti dei costruttori (quasi sempre in lingua straniera) oppure su portali altamente specializzati. Altre informazioni invece
riguardano nozioni che tutti gli Astrofili dovrebbero avere, non tanto per appagare la propria curiosità, ma come bagaglio base delle proprie competenze; per creare un quadro generale da cui partire inizieremo proprio da queste; cercherò di spiegarle nel modo più semplice possibile per essere compreso anche da chi è alle prime armi.
IL FUNZIONAMENTO BASE DI UNA MONTATURA EQUATORIALE.
Tutti sappiamo che la terra ruota attorno al proprio asse e che questo movimento crea il cosiddetto moto apparente della volta celeste: l’unico punto fisso nel cielo, la prosecuzione dell’asse terreste, vede ruotare attorno a se tutto il resto. Ogni oggetto esterno al nostro Sistema Solare, che sia una stella, una galassia o una nebulosa percorrerà sempre la stessa traiettoria disegnando di fatto un cerchio attorno a questo punto. L’idea di base usata per poterli inseguire e tenerli sempre inquadrati è quella di creare un supporto per il telescopio che effettui gli stessi movimenti: l’asse della montatura, proprio come se fosse un compasso, analogamente al puntale, va orientato esattamente al centro del cerchio (il polo nord celeste); in base all’angolo di apertura (declinazione) si intercetta la traiettoria dell’oggetto e lo si insegue facendo ruotare lo strumento attorno al proprio asse (asse di ascensione retta).
Fin qui tutto abbastanza semplice no? No, e infatti ora le cose si complicano.
Inserire una funzione di puntamento automatico deve tener conto che la posizione delle stelle cambia a seconda del luogo di osservazione e la perplessità più ovvia, forse la prima che si può avere, è che non sia possibile memorizzare in un hardware una mappa del cielo corrispondente ad ogni singola località del mondo. Sarebbe necessario dare risposta a molte domande tipo: a quante località si dovrebbe far riferimento? Quanto distanti tra loro per avere una sufficiente precisione? Quasi infinite suppongo. Se poi ad ogni località dovesse corrispondere una mappa esatta del cielo per ogni singolo momento del tempo (che consideriamo indefinito) avremmo così tante combinazioni corrispondenti ad una capacità di storage incalcolabile! L’alternativa per avere un puntamento preciso ovunque (sia nello spazio che nel tempo) è quella di fornire dei riferimenti per calcolare le relative coordinate celesti facendo un match con un unico transito tenuto in memoria. Ad esempio memorizzando il transito al meridiano di una singola stella ad un orario ed in un luogo specifico (ad esempio al meridiano di Greenwich) le coordinate verranno ricalcolate per il luogo d’osservazione scelto, in tempo reale, sfruttando algoritmi che meglio vedremo in seguito.
La comprensione del funzionamento passa attraverso la conoscenza delle diverse misure del tempo che entrano in gioco in questi calcoli, senza scendere troppo nello specifico con spiegazioni matematiche complesse; esse sono importantissime sia per gli astronomi che per gli astrofili: sono il tempo solare ed il tempo siderale.
TEMPO SOLARE E TEMPO SIDERALE
Il sistema di conteggio del tempo usato dagli uomini, il tempo solare, non è universale, seppur venga chiamato UTC (Universal Coordinated Time). Animali strani gli uomini che chiamano universale ciò che riferito solo alla Terra sulla base dei movimenti di una minuscola stellina al centro del nostro sistema planetario, il Sole. Il tempo solare, chiamato UTC solo per convenzione, è calcolato in base alla posizione del Sole rispetto alla linea verticale che passa sopra le nostre teste, il meridiano. Quando un astro passa allo zenith, il punto più alto nel cielo, si dice che transita al meridiano (da qui diremo solo transito). Dopo un giro della Terra su se stessa il Sole non apparirà nuovamente sopra la nostra testa come potremo pensare: questo perché contemporaneamente al moto di rotazione il moto di rivoluzione ci ha spinti un po’più avanti. La Terra dovrà compiere quindi ancora circa un grado di giro attorno al proprio asse per rimettere il Sole allo zenit. (vedi la fig. 2).
Come evidenziato in fig.2, le stelle (lontane abbastanza da essere considerate ad una distanza prossima all’infinito) ritornano sempre al meridiano dopo un giro esatto della terra: 360 gradi. Il Sole invece transita dopo un giro abbondante, circa 361 gradi. Sulla base di questo ragionamento è chiaro capire che il sole ci mette sempre un po’ di più per tornare al meridiano rispetto alle stelle.
In passato per gli uomini è stato senz’altro più ovvio prendere come riferimento l’astro più luminoso e facilmente individuabile nel cielo, il Sole e da qui la scelta del giorno solare come riferimento per misurare il tempo. Il tempo invece usato prendendo come riferimento le stelle si chiama tempo siderale dal latino sidereus appunto (delle stelle). Fissato quindi un giorno solare di 24 ore si può calcolare che una stella lontana (una qualsiasi) torni al meridiano ogni 23 ore e 56 minuti (tempo medio approssimato ndr.) che è il vero tempo impiegato dalla Terra per compiere una rotazione attorno al proprio asse. Il tempo siderale resta indietro di circa 4 minuti al giorno rispetto al tempo solare, ed a lungo andare, nel giro degli anni, questa discrepanza aumenta tantissimo. Per questo non si può pensare di trovare corrispondenza tra un orologio solare ed un orologio siderale!! Al momento di scrivere questo articolo, ad esempio, in Italia, erano le 14:57 mentre il mio tempo siderale locale indicava le 10:52.
Ogni volta che penso a questo mi chiedo quale sia il vero tempo universale, se quello creato da noi uomini sulla base dei riferimenti che troviamo dietro l’angolo o quello di stelle infinitamente lontane, che oramai possiamo ammirare solo abbandonando le città e tornando a guardare il cielo notturno incontaminato.
Oggi, grazie alla tecnologia, è semplice tenere conto del tempo siderale grazie a molteplici strumenti in grado di compiere rapidi calcoli, ma in passato fu necessario ingegnare una diversa soluzione. In astronomia servivano metodi precisi e l’idea fu quella di dividere il cielo in 24 spicchi verticali con delle linee che confluivano verso la prosecuzione dell’asse terrestre: il polo nord celeste, molto vicino alla stella polare. In questo modo il cielo divenne un grosso orologio astronomico ed ogni astro compreso in una di queste “fasce” ottenne le sue coordinate espresse in ore, minuti e secondi; queste vennero chiamate coordinate di ascensore retta (AR o RA in inglese). Quando una stella passa allo zenit i suoi valori di ascensione retta indicheranno il tempo siderale locale (TSL o LST in inglese). LOCALE! Bisogna fare attenzione a questa parola: una stella che transita al meridiano, cioè posta allo zenit ora, era al meridiano qualche ora fa in Turchia e sarà allo zenit tra qualche ora a Greenwich! Questo perché la terra ruota e tutti gli astri sorgono ad Est e tramontano ad ovest tracciando, come già accennato in precedenza, una traiettoria ben precisa nel cielo.
DIFFERENZA TRA TEMPO SOLARE E SIDERALE: LA CHIAVE DI VOLTA PER CALCOLARE I TRANSITI LOCALI
Fatte queste doverose premesse e sulla base di quanto detto basterà fornire alla strumentazione l’ora solare locale ed il suo computer farà un match con l’ora siderale memorizzata. Usando poi le nostre coordinate terrestri potrà capire di quanto il transito locale è avanti o indietro rispetto a quello in memoria e calcolare accuratamente l’ora siderale locale, ottenendo finalmente le coordinate celesti degli oggetti che stanno passando al meridiano nel nostro luogo d’osservazione. Praticamente un passaggio semplice, tuttavia nel box “un esempio pratico” spiego in dettaglio con un esempio appunto qual è il calcolo sottointeso).
Gli esempi pratici e gli scatti dell’autore sulla corretta impostazione della strumentazione sono disponibili nel numero 258 di Coelum Astronomia
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Il telescopio Gemini North alle Hawaii rivela il primo buco nero dormiente di massa stellare nel nostro cortile cosmico
Gli astronomi che utilizzano l’International Gemini Observatory, gestito dal NOIRLab della NSF, hanno scoperto il buco nero più vicino alla Terra sino ad ora conosciuto. Questa è la prima rilevazione inequivocabile di un buco nero di massa stellare dormiente nella Via Lattea. La sua vicinanza alla Terra, a soli 1600 anni luce di distanza, offre un interessante obiettivo di studio per migliorare la nostra comprensione dell’evoluzione dei sistemi binari.
I buchi neri sono gli oggetti più estremi dell’Universo. Versioni supermassicci di questi oggetti inimmaginabilmente densi probabilmente risiedono al centro di tutte le grandi galassie. I buchi neri di massa stellare – che pesano da cinque a 100 volte la massa del Sole – sono molto più comuni, con una stima di 100 milioni nella sola Via Lattea. Solo una manciata è stata confermata fino ad oggi e quasi tutti questi sono “attivi”, il che significa che brillano ai raggi X mentre consumano materiale da una vicina compagna stellare, a differenza dei buchi neri dormienti che non lo fanno.
Il buco nero è stato soprannominato Gaia BH1, è circa 10 volte più massiccio del Sole e si trova a circa 1600 anni luce di distanza nella costellazione dell’Ofiuco. La nuova scoperta è stata resa possibile studiando il movimento della compagna del buco nero, una stella simile al Sole che orbita attorno al buco nero all’incirca alla stessa distanza della Terra rispetto al Sole.
“Prendi il Sistema Solare, metti un buco nero dove si trova il Sole, e il Sole dove si trova la Terra, e ottieni questo sistema “, ha spiegato Kareem El-Badry, astrofisico del Center for Astrophysics | Harvard & Smithsonian e il Max Planck Institute for Astronomy e l’autore principale dell’articolo che descrive questa scoperta. “Sebbene siano stati molti i rilevamenti dichiarati di sistemi come questo, quasi tutte queste scoperte sono state successivamente confutate. Questa è la prima rivelazione inequivocabile di una stella simile al Sole in un’ampia orbita attorno a un buco nero di massa stellare nella nostra Galassia.“
“Ho cercato buchi neri dormienti negli ultimi quattro anni utilizzando un’ampia gamma di set di dati e metodi “, ha affermato El-Badry. “I miei tentativi precedenti, così come quelli di altri, hanno prodotto un serraglio di sistemi binari mascherati da buchi neri, ma questa è la prima volta che la ricerca ha dato i suoi frutti. “
Il team ha originariamente identificato il sistema come potenzialmente sede di un buco nero analizzando i dati della navicella spaziale Gaia dell’Agenzia Spaziale Europea. Gaia ha catturato le minuscole irregolarità nel movimento della stella causate dalla gravità di un oggetto massiccio invisibile. Per esplorare il sistema in modo più dettagliato, El-Badry e il suo team si sono rivolti allo strumento Gemini Multi-Object Spectrograph su Gemini North, che ha misurato la velocità della stella compagna mentre orbitava attorno al buco nero e ha fornito una misurazione precisa del suo periodo orbitale. Le osservazioni di follow-up di Gemini sono state cruciali per vincolare il movimento orbitale e quindi le masse dei due componenti nel sistema binario, consentendo al team di identificare il corpo centrale come un buco nero circa 10 volte più massiccio del nostro Sole.
“Le nostre osservazioni di follow-up sui Gemelli hanno confermato oltre ogni ragionevole dubbio che la binaria contiene una stella normale e almeno un buco nero dormiente “, ha elaborato El-Badry. “Non siamo riusciti a trovare uno scenario astrofisico plausibile che possa spiegare l’orbita osservata del sistema che non coinvolga almeno un buco nero. “
Il team ha fatto affidamento non solo sulle superbe capacità di osservazione di Gemini North, ma anche sulla capacità di Gemini di fornire dati in tempi rapidi, poiché il team aveva a disposizione solo una breve finestra temporale in cui eseguire le osservazioni di follow-up.
“Quando abbiamo avuto le prime indicazioni che il sistema conteneva un buco nero, avevamo solo una settimana per prepararci prima che i due oggetti fossero alla massima separazione nelle loro orbite. Le misurazioni a questo passaggio sono essenziali per effettuare stime di massa accurate in un sistema binario “, ha affermato El-Badry. “La capacità di Gemini di fornire osservazioni in tempi brevi è stata fondamentale per il successo del progetto. Se avessimo perso quella stretta finestra, avremmo dovuto aspettare un altro anno. ”
Gli attuali modelli degli astronomi dell’evoluzione dei sistemi binari hanno difficoltà a spiegare come potrebbe essere sorta la peculiare configurazione del sistema Gaia BH1. In particolare, la stella progenitrice che in seguito si è trasformata nel buco nero appena rilevato sarebbe stata almeno 20 volte più massiccia del nostro Sole. Ciò significa che avrebbe vissuto solo pochi milioni di anni. Se entrambe le stelle si fossero formate contemporaneamente, questa stella massiccia si sarebbe rapidamente trasformata in una supergigante, gonfiandosi e inghiottendo l’altra stella prima che avesse il tempo di diventare una vera e propria stella di sequenza principale , che brucia idrogeno, come il nostro Sole.
Non è per niente chiaro come la stella di massa solare possa essere sopravvissuta a quell’episodio, finendo come una stella apparentemente normale, come indicano le osservazioni del binario del buco nero. I modelli teorici che consentono la sopravvivenza prevedono tutti che la stella di massa solare avrebbe dovuto finire su un’orbita molto più stretta di quella effettivamente osservata.
Ciò potrebbe indicare che ci sono importanti lacune nella nostra comprensione di come si formano ed evolvono i buchi neri nei sistemi binari e suggerisce anche l’esistenza di una popolazione ancora inesplorata di buchi neri dormienti nei binari.
” È interessante notare che questo sistema non è facilmente adattabile ai modelli di evoluzione binaria standard “, ha concluso El-Badry. “ Pone molte domande su come si è formato questo sistema binario e su quanti di questi buchi neri dormienti ci siano là fuori. “
“Come parte di una rete di osservatori spaziali e terrestri, Gemini North non ha solo fornito prove evidenti del buco nero più vicino fino ad oggi, ma anche del primo sistema di buchi neri incontaminati, non ingombrato dal solito gas caldo che interagisce con il buco nero ” , ha affermato Martin Still, responsabile del programma Gemini di NSF. “ Sebbene questo possa potenzialmente augurare future scoperte della prevista popolazione di buchi neri dormienti nella nostra Galassia, le osservazioni lasciano anche un mistero da risolvere: nonostante una storia condivisa con il suo vicino esotico, perché la stella compagna in questo sistema binario è così normale? “
Bentornati su Marte con il quinto appuntamento delle nostre news!
Oggi vi voglio aggiornare sugli ultimi progressi dei due rover della NASA e su delle recentissime pubblicazioni rese possibili dai dati raccolti dal lander Insight la vigilia di Natale dello scorso anno. Si parte!
Un compleanno in viaggio
Ad agosto abbiamo celebrato 10 anni dal suo atterraggio nel cratere Gale. Il tempo è volato, ma Curiosity è su Marte addirittura dal 2012. Durante questi anni ha percorso quasi 29 km, scattato foto incredibili dei panorami marziani e delle lune del pianeta rosso in transito davanti al Sole, ma soprattutto posto delle pietre miliari nella nostra conoscenza di Marte. Tra le scoperte più importanti ci sono quelle che hanno determinato l’antica presenza di acqua allo stato liquido sul pianeta insieme, per almeno decine di milioni di anni, ai nutrienti potenzialmente in grado di sostenere la vita.
Negli ultimi mesi Curiosity è stato impegnato in uno spostamento che l’ha visto attraversare paesaggi di transizione mentre risale lentamente la formazione chiamata Aeolis Mons, una montagna che si solleva per 5500 metri dal centro del cratere Gale.
Si ipotizza che le regioni attualmente percorse si siano formate in seguito all’evaporazione dell’acqua, che ha lasciato dietro di sé minerali salati come solfato di magnesio e solfato di calcio, nonché il ben familiare cloruro di sodio.
Unendo la visuale dall’alto che traccia gli spostamenti di Curiosity con le immagini scattate dal rover, possiamo provare a immergerci nei paesaggi che il rover ha attraversato. Nel farlo vi propongo tre momenti che vanno dal Sol 3549 al 3572 (dal 31 luglio al 24 agosto).
Durante questi giorni marziani Curiosity si è spostato verso sud valicando il Paraitepuy Pass, un piccolo canyon che si allunga in mezzo alle collinette Deepdale e Bolivar.
Tracciato percorso
Sol 3549, panoramica a 360° composta a partire da 31 immagini scattate con la Right NavCam ospitata sulla torretta di Curiosity. Crediti: NASA/JPL-Caltech
Sol 3563, Curiosity avanza all’interno del Paraitepuy Pass come documentato da quest’altra ampia panoramica. La prospettiva estremamente distorta confonde i nostri punti di riferimento, ma ci troviamo dentro al canyon! La collina sulla destra è Bolivar mentre quella sulla sinistra è Deepdale. Evidentissime in direzione nord le tracce che il rover lascia sulla sabbia. Crediti: NASA/JPL-Caltech/MSSS
Sol 3572, con questa vista rivolta a ovest Curiosity celebra il successo dell’attraversamento del canyon. La collinetta sulla destra è ancora una volta Bolivar. Crediti: NASA/JPL-Caltech/MSSS
Lo spostamento non è stato privo di rischi: così come rocce dure e taglienti danneggiano le ruote del rover, il terreno sabbioso è altrettanto insidioso perché può portare Curiosity a perdere trazione e restare fatalmente bloccato. Ecco perché questo spostamento di poche decine di metri ha richiesto quasi un mese di caute pianificazioni sul percorso da compiere.
Un’attenzione particolare è stata rivolta anche alle comunicazioni radio, che rischiavano di essere ostruite dalle alte colline adiacenti. Questo ha richiesto che il rover restasse sempre orientato nella direzione più favorevole per puntare la propria antenna verso la Terra per comunicazioni dirette, e qualche rallentamento si è avuto nel corso delle trasmissioni con gli orbiter satellitari (che grazie alla loro potenza e alle grandi antenne permettono data rate molto maggiori svolgendo il ruolo di nodo nelle comunicazioni tra Terra e rover).
Al termine dell’attraversamento e nei primi giorni di esplorazione dell’area, i piloti del rover hanno istruito il robot per fargli eseguire il 36esimo foro con il suo trapano, avvenuto con successo il 3 ottobre sulla roccia battezzata Canaima.
Foro eseguito da Curiosity il 3 ottobre, Sol 3624. Il dettaglio in alto è ripreso dalla camera MAHLI, mentre l’immagine d’insieme è realizzata dalla MastCam. Crediti: NASA/JPL-Caltech/MSSS
A differenza di Perseverance, Curiosity non è sviluppato per conservare i campioni che preleva ma piuttosto per svolgere analisi in situ con gli strumenti CheMin e SAM.
In seguito all’usura di alcuni meccanismi di blocco degli snodi del braccio robotico, l’operazione di foratura della roccia è diventata ulteriormente complessa. Attualmente si vuole minimizzare l’uso dell’azione percussiva del trapano su rocce troppo dure per non sollecitare il braccio. Per il momento questa strategia non sta dando problemi, e quest’ultimo campione è stato prelevato persino senza alcuna percussione.
Curiosity ha davanti a sé un nuovo capitolo di esplorazione molto interessante in questa regione, con nuove sfide che si apriranno ai controllori della missione. “Più i risultati scientifici diventano interessanti, maggiori sono gli ostacoli che Marte sembra metterci davanti” ha commentato Elena Amador-French, coordinatrice delle operazioni scientifiche del rover.
Perseverance può gioire: NASA ed ESA confermano gli impegni
Con un accordo formale finalizzato il 19 ottobre, l’agenzia spaziale statunitense e quella europea hanno confermato i reciproci impegni con la grande missione per portare sulla Terra campioni di roccia marziana.
Il prossimo passo è così la creazione, figurata ma non solo, del deposito dei campioni. Prossimamente Perseverance prenderà la strada verso la regione Three Forks, designata per le sue caratteristiche fisiche come luogo ideale per il rilascio al suolo delle preziose fiale.
Il momento della deposizione al suolo dei campioni sarà una tappa fondamentale nella missione di Sample Return. Marcherà in modo forte l’impegno scientifico a tornare in un luogo ben preciso, con un nuovo lander e obiettivi ambiziosi.
“Il fatto che possiamo implementare il piano [di rilascio campioni] così presto nella missione è la prova delle competenze della squadra internazionale di ingegneri e scienziati al lavoro su Perseverance e sulla Mars Sample Return” ha commentato David Parker, direttore del dipartimento Human and Robotic Exploration dell’ESA.
Il rilascio al suolo delle fiale è anche una sorta di assicurazione, finalizzata a mettersi al riparo da eventuali malfunzionamenti che dovessero colpire il rover Perseverance rendendolo impossibilitato a liberarsi delle fiale con i preziosi campioni.
Un meteoroide da record per Insight
Nella terza uscita di questa rubrica vi avevo raccontato come gli scienziati fossero riusciti, analizzando i dati registrati dal lander NASA, prima a stimare con buona precisione e poi a individuare quattro eventi di impatto con i loro relativi crateri.
Come descritto in due recenti pubblicazioni, uscite sulla rivista Science il 27 ottobre, la scoperta si ripete per la quinta volta e adesso è da record.
Il 24 dicembre 2021 un meteoroide di dimensione stimata tra i 5 e i 12 metri è penetrato nella sottile atmosfera marziana e ha impattato nella regione Amazonis Planitia generando un cratere di circa 150 metri di diametro e profondo 20. Parte del materiale è stato catapultato sino a 37 km di distanza. Quello stesso giorno Insight registrò un movimento sismico catalogato col quarto grado di magnitudine, ma al tempo non si poteva conoscere la causa della scossa.
La scoperta è giunta in seguito al confronto tra le immagini rilevate dal Mars Reconnaissance Orbiter, con il nuovo cratere che è stato individuato l’11 febbraio.
Confronto tra le immagini rilevate dalla Context Camera in bianco e nero del satellite MRO. Crediti: NASA/JPL-Caltech/MSSS
Da lì si è poi andati a ritroso nelle immagini della camera MARCI che quotidianamente osserva, con risoluzione modesta ma sufficiente agli scopi, l’intera superficie di Marte. Questo ha permesso di individuare una finestra di appena 24 ore per l’evento, e correlare così l’osservazione visuale con la rilevazione strumentale di Insight.
Si tratta dell’evento di impatto più violento nell’intero sistema solare che abbiamo potuto vedere avvenire quasi davanti ai nostri occhi.
Un risvolto molto interessante ci è offerto dalla ripresa in alta risoluzione della camera HiRISE, sempre a bordo di MRO.
Ripresa in alta risoluzione e a colori da parte della camera HiRISE. Crediti: NASA/JPL-Caltech/University of Arizona
Le zone bianche sono ghiaccio d’acqua emerso in seguito all’impatto, e si tratta del suo ritrovamento più vicino all’equatore marziano mai compiuto sinora. Questo offre interessanti riflessioni nell’ottica di una futura missione umana su Marte, perché la presenza del prezioso composto a latitudini temperate e più agevoli per un atterraggio rappresenta un indubbio vantaggio.
Dal punto di vista sismologico questa è stata la prima rilevazione extraterrestre di onde sismiche superficiali, un tipo di oscillazione che si propaga sulla parte esterna della crosta di un pianeta. Si tratta di un’osservazione preziosissima, che permette di avere nuovi dati a disposizione con cui caratterizzare la superficie di Marte anche in regioni lontane da quella immediatamente sottostante al lander.
Lo studio della stratificazione della crosta marziana aggiungerà informazioni con cui comprendere i processi di formazione ed evoluzione del pianeta, rivelandoci qualcosa di più sulle condizioni di Marte miliardi di anni fa.
La situazione energetica di Insight, come raccontato nelle precedenti news, continua a essere molto precaria. La colossale tempesta di sabbia delle scorse settimane ha portato il team a controllo della missione a spegnere temporaneamente anche l’ultimo strumento scientifico ancora operativo, il sismometro, che è stato riattivato solo recentemente in seguito alla riduzione dell’oscuramento atmosferico. In un breve aggiornamento del primo novembre è stato comunicato che i pannelli del lander stanno producendo tra i 280 e i 290Wh di energia al giorno, con un calo drammatico rispetto ai già pochi 420 di metà settembre. Per avere un riferimento, al momento dell’atterraggio i Wh/Sol prodotti erano 5000.
Di questo passo pare che a Insight non restino che pochissime altre settimane di funzionalità. Il termine della missione sarà decretato quando il lander mancherà l’appuntamento con due comunicazioni programmate di fila, ma comunque per scrupolo il Deep Space Network della NASA resterà in ascolto ancora per qualche tempo prima di dichiarare ufficialmente conclusi i lavori.
Anche per questo aggiornamento dal pianeta rosso è tutto, alla prossima!
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