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Keplero o Nostradamus?

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Siamo pronti a scommettere che all’edicola siate soliti guardare con sussiego gli acquirenti di riviste astrologiche e divinatorie. Non ce la sentiamo di biasimarvi (anzi!), ma sappiate che potreste pentirvene. State un po’ a sentire…
Come ben sapete, qualche secolo fa era invalsa l’usanza di comunicare le scoperte scientifiche ad amici (e ad avversari) in maniera criptica, tramite anagrammi. In tal modo ci si cautelava dalla concorrenza, si poteva sempre dimostrare la “priorità” e si aveva il tempo di cercare con comodo ulteriori prove a sostegno.
Nell’agosto del 1610, Galileo inviò un messaggio segreto all’ambasciatore toscano a Praga, Giuliano de Medici, perché lo consegnasse a Keplero. Il testo, un’incomprensibile sequenza di 37 lettere, anagramma della frase che annunciava la sua ultima scoperta astronomica, era il seguente:

SMAISMRMILMEPOETALEUMIBUNENUGTTAURIAS

Una stringa neppure scritta in latino, che secondo le intenzioni di Galileo doveva essere ricostruita nella frase: ALTISSIMUM PLANETAM TERGEMINUM OBSERVAVI, ovvero: “Ho osservato il pianeta più alto triplicato”: messaggio annunciante al mondo che il pianeta “più alto” (più lontano) allora conosciuto (Saturno) si mostrava al telescopio con qualcosa di strano ai bordi (le due anse degli anelli). Galileo lo aveva visto “triplicato” perché il suo cannocchiale non era abbastanza potente da risolvere l’immagine degli anelli da quella del pianeta, con il risultato che talvolta Saturno gli appariva come fosse fatto di tre sfere parzialmente sovrapposte
L’astronomo tedesco non si perse d’animo, e da esperto enigmista – prova e riprova – aveva presto ricondotto la stringa a questo verso latino:

SALVE, UMBISTINEUM GEMINATUM MARTIA PROLES!

che si può grosso modo tradurre con “Salve, furiosi gemelli, prole di Marte”.
Sorpresa! Galileo comunicava una notizia, e Keplero ne ricavava un’altra; anche più reale di quella del pisano, se vogliamo (infatti, Marte possiede davvero due satelliti, mentre il Saturno “tergenimum” di Galileo era solo un’approssimazione sulla strada della verità).
Insomma, Keplero era giunto alla conclusione che Galileo avesse scoperto un paio di satelliti di Marte. Cosa che noi sappiamo essere del tutto impossibile per i telescopi dell’epoca (non per nulla furono trovati solo nel 1877).
Si trattò di un caso o di una premonizione? Sicuramente un caso, penseranno i giustamente razionali lettori di questa rivista. Ma…
C’è un “ma”, perché qualche mese dopo, nel dicembre del 1610, Keplero si vide arrivare un nuovo messaggio di Galileo, così concepito: HAEC IMMATURA A ME IAM FRUSTRA LEGUNTUR OY
Il quale, nelle intenzioni del fisico italiano doveva partecipare al mondo scientifico che CYNTHIAE FIGURAS AEMULATUR MATER AMORUM (La madre dell’amore emula le forme di Cynthia). Ovvero, in termini astronomici, che Venere (la madre dell’amore) mostra delle fasi simili a quelle della Luna (Cynthia per i latini).
L’astronomo tedesco si rimette subito al lavoro (non vi sembra di vederlo, accanto al fuoco di un camino, nel gelido inverno di Praga mentre si agita e smania sul foglio ricoperto di frasi?), e dopo non si sa quanto tempo, se ne esce con questo risultato:

MACULA RUFA IN IOVE EST GYRATUR MATHEM ECC.

ovvero: “C’è su Giove una Macchia Rossa che gira in modo matematico, ecc.”

Cerchiamo di capirci bene: una Macchia rossa su Giove, nel 1610! Inutile ricordare che questa caratteristica gioviana fu osservata (da Giovanni Domenico Cassini, o forse anche dall’inglese Robert Hooke) soltanto a partire dal 1665…
A questo punto i “casi” di premonizione diventano due. Un po’ troppi… e l’ipotesi di un Keplero provvisto di capacità visionarie (aveva o no una madre “strega”?) non fatica a ritagliarsi uno spazio sempre più grande, perfino nelle nostre menti matematiche e assolutamente refrattarie a qualsiasi spiegazione di natura irrazionale. Quante probabilità ci sono, infatti, che da due sequenze di lettere si possa estrarne, tra tutte le combinazioni possibili, due frasi che descrivono in modo pressoché perfetto delle realtà astronomiche del tutto sconosciute al tempo?

Comunque rassicuratevi, questa dotta trattazione non ha certo lo scopo di minare la vostra fiducia nella visione razionale delle cose (niente è come sembra, come vedremo nel prossimo numero), ma soltanto quello di introdurre con un minimo di “atmosfera” la presentazione del “problema del mese”.
Immaginate quindi che un amico (o concorrente) astronomo, vi recapiti (non tramite l’ambasciatore, ma più probabilmente via email) un messaggio di questo tenore:

PIU’ PESO UNENDO TRE STELLE

Ebbene, anagrammando opportunamente, riuscireste a scoprire la scoperta scientifica celata in questa apparente ovvietà?

La cometa Schwassmann-Wachmann-3 alla minima distanza dalla Terra!

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La posizione dei frammenti C, B, G della cometa il 14 Maggio 2006.
Frammenti C, B, G della cometa
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Aggiornamento 11/5/2006

La posizione dei frammenti C, B, G della cometa il 14 Maggio 2006.
La posizione dei frammenti C, B, G della cometa il 14 Maggio 2006.

La posizione dei frammenti C, B, G della cometa il 14 Maggio 2006.
Clicca sulla mappa qui a sinistra per ingrandire.

Ci siamo, lo spettacolo annunciato già da parecchi mesi in questa rubrica sta per arrivare alla stretta finale: la cometa 73P/Schwassmann-Wachmann è ormai prossima al passaggio al perielio del prossimo 6 giugno, ma prima ancora, a metà maggio, raggiungerà la minima distanza dalla Terra, arrivando a soli 12 milioni di chilometri (0,0735 UA).

Questo significa che potremo assistere molto da vicino a quanto sta già accadendo da qualche settimana. Come è noto, infatti, la cometa si presenta frammentata in più parti, e dopo le componenti C, B e G, rinvenute rispettivamente il 22 ottobre 2005, il 6 gennaio 2006 e il 20 febbraio 2006, le scoperte sono aumentate a tal punto che mentre scriviamo si contano ormai una ventina di frammenti. Insomma, sta avvenendo qualcosa di molto simile a quanto accadde 12 anni fa alla Shoemaker-Levy 9, che finì la sua corsa impattando su Giove con un “treno” di 21 piccole comete.
Il bello è che ognuno di questi frammenti segue una propria evoluzione fisica e fotometrica, disgregandosi in parti ancora più piccole o accendendosi in improvvisi outburst, come la componente B, ad esempio, che dopo essere aumentata in poche ore di 3 magnitudini agli inizi di aprile ha dato l’impressione di essersi vaporizzato, ma che poi in immagini del 14 è tornato a mostrare il falso nucleo. Al momento, il frammento C sembra sia l’unico in grado di arrivare integro al perielio, mostrandosi (anche ad occhio nudo) con una luminosità che potrebbe raggiungere la mag. 3-4. La situazione è però in continua evoluzione e le sorprese non mancheranno sicuramente.

ATTENZIONE!
Tra il 7 e 8 maggio la componente principale passerà ad un paio di primi d’arco dalla nebulosa planetaria M57 (e forse proprio “sopra” la vicina galassia NGC 1296), raggiungendola la mattina dell’8!
Una grande occasione per realizzare riprese spettacolari!

Tra l’11 ed il 12 la componente principale passerà circa 4 gradi a sud dal Velo del Cigno, e nei giorni a seguire, come una squadra di aerei, le 3 componenti principali attraverseranno la parte occidentale della costellazione del Pegaso.
Si tenga presente che da metà mese in poi diminuirà sempre più l’elongazione dal Sole, per cui le osservazioni si dovranno condurre la seconda parte della notte (la cometa sorgerà dopo la mezzanotte, ma bisognerà attendere un po’ prima di averla abbastanza alta sull’orizzonte). Gli astrofotografi dovranno poi tener conto del veloce moto proprio apparente dei tre frammenti principali nel periodo a cavallo del massimo avvicinamento alla Terra.

Nebulosa planetaria M57
Nebulosa planetaria M57
Nebulosa planetaria M57
Nebulosa planetaria M57

Dalle Stelle alle Stalle

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Mucca
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MuccaNon fidatevi dei luoghi comuni.
Perché i luoghi comuni non arricchiscono mai la mente, e sono invece perfetti per impoverire la fantasia. Ad esempio, tornate con la mente al principale evento astronomico di questa primavera, e riguardate la copertina del numero di Aprile della vostra rivista preferita: avete già la chiave di lettura che chiarisce perché proprio quella sia la copertina più corretta? Credete davvero che siano solo le tende, il deserto egiziano, i filtri sui telescopi a giustificare la foto? Fosse così, allora forse credete ancora che i matematici siano davvero persone refrattarie alle emozioni, persi eternamente in diagrammi e formule. Ancora luoghi comuni insomma, perennemente in agguato… Non fatevi ingannare: o lasciate almeno che siano dei matematici dilettanti a spiegarvi l’arcano della copertina di Aprile. Passando, naturalmente, per una leggenda malese.

Sole e Luna sono entrambe donne; anzi, sono madri. Le Stelle sono i figli di Luna, ma un tempo anche Sole ne aveva altrettanti. Ma troppa luce, troppo splendore rendevano la vista del Cielo impossibile agli uomini, che certo sarebbero morti per il troppo fulgore e la sovrumana bellezza. Cosi, tristemente, Sole e Luna convennero che ognuna avrebbe mangiato i propri figli. Ma mentre Sole divorò davvero la propria progenie, Luna nascose invece i suoi piccoli. Quando poi Luna li lasciò finalmente uscire dal nascondiglio, Sole si infuriò a morte; prese a inseguire Luna per distruggerla, e questa ricorsa dura ancora oggi. Talvolta Sole sembra arrivare abbastanza vicino a Luna da riuscire a morderla, e talvolta è invece Luna che morde Sole, per difesa. Ma è da quel tempo che Luna ancora nasconde i propri figli al Sole per tutta la durata del giorno, e li lascia uscire solo di notte, quando il nemico è lontano.

E diventa allora tutto chiaro: sono una madre e una figlia curiose e preoccupate quelle che guardano il sole dalla copertina di Aprile, perché le antiche leggende asiatiche possono anche essere ben interpretate da europee in terra africana; e soprattutto perché una rivista scientifica come si deve rifuggire le falsità e la superstizione, ma rispetta profondamente le leggende, fantasia creativa dei popoli.

Guardatevi dai luoghi comuni. I matematici e gli astronomi amano le leggende, almeno tanto quanto odiano le serie divergenti e le nuvole maleducate che rendono all’ultimo minuto del tutto inutili i filtri solari ritagliati a misura di binocolo, o anche solo a misura d’occhiale (è quanto è successo a noi tre). Non inveite contro la sfortuna, quando la tanto attesa notte d’osservazione viene devastata da un seeing schifoso. E non prendetevela neppure con Murphy e la sua legge: a ben vedere, Murphy era un ingegnere aerospaziale collaudatore di aeroplani, con un sacrosanto diritto di cittadinanza nel mondo scientifico: e se anche se la sua legge sta ormai dilatandosi in un significato drammaticamente prossimo a quello della scaramanzia, resta il fatto che il suo nobile intento era quello di garantire qualità e limitare al massimo il numero di incidenti ai piloti. E se davvero non siete in grado di distinguere una leggenda da una volgare bufala, allora cominciate a preoccuparvi. In fondo non è difficile: provate a chiedere a qualche astrologo quale sia la fase della Luna in un giorno d’eclissi, e probabilmente vi risponderà che deve consultare le sue carte. Chiedetelo ad un astronomo o a un astrofilo, e riderà della divertente battuta. Leggenda per leggenda, ci siamo ricordati anche quell’antica storia atzeca che raccontava come il disco solare, durante l’eclisse, venisse divorato da un mostro celeste. L’evento richiedeva un buon numero di sacrifici umani per far sì che l’astro tornasse pienamente a risplendere, e l’idea ha indotto in uno di noi – impedito all’osservazione dell’eclissi da improvvido meeting – la voglia di tornare a quelle antiche abitudini pur di sospendere la riunione e godersi l’eclissi parziale. In ogni caso, il fatto che nelle antiche leggende il Sole fosse spesso ritenuto un disco e non una sfera ci ha fatto venire in mente una domanda che ci piace sottoporvi. Supponiamo di essere Allevatori di Mostri Divoratori di Stelle, e di avere a disposizione il disco del Sole per nutrire per due giorni il nostro Mostro Spaziale preferito. Sappiamo bene che i lettori di Coelum non hanno alcun problema ad immaginarsi un famelico Divoratore di Stelle; forse però un Sole piatto potrebbe rappresentare un problema più serio per delle menti astrofile; se così fosse, siete autorizzati ad immaginarvelo come un grosso tappeto giallo di spessore inesistente (anche se a questo punto diventa davvero curioso il fatto che il nostro Mostro se lo voglia mangiare). Il nostro problema sta tutto nel fatto che quel disco deve durare due giorni, e non possiamo lasciare che il Mostro ne mangi liberamente: ne approfitterebbe per spolverarselo tutto in pochi minuti. Possiamo allora legare il nostro Mostro al bordo del disco solare con una corda di lunghezza opportuna, tale che possa mangiare solo metà della superficie del disco; l’indomani lo lasceremo libero di mangiarsi il resto.
Ora, sorvoliamo sui problemi più strettamente pratici tipo “Ma dove legate la corda?” o anche “Che diavolo significano le parole “domani” e “due giorni”, se vi pappate il Sole come fosse un’omelette?”; lo sapete, no, , che noi siamo solo dei teorici… Quello che ci interessa davvero sapere è: quanto deve essere lunga, la corda per fare in modo che il nostro Mostro mangi giusto metà del Sole, il primo giorno?

[E’ ora di finirla con queste metafore fiorite! E’ sufficiente immaginarsi una mucca legata con una corda in un punto di una circonferenza che delimita un bel prato di trifoglio. Quanto dovrà essere lunga la corda per fare in modo che la mucca mangi il primo giorno esattamente metà della superficie del prato? Ma quali Eclissi, ma quali “mostri divoratori”…Tzé! N.d.R.]

La Malesia e il Pianeta Tschai

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Finalmente, qualche anima buona ha deciso di renderlo disponibile.
Ci riferiamo alla versione elettronica dei romanzi di Salgàri (con l’accento sulla seconda “a”), gioia della nostra infanzia e non solo; anche se non ancora tutti, buona parte sono ora scaricabili in formato elettronico su http://www.emiliosalgari.it/testi/testionline.htm
Le ambientazioni esotiche di questi romanzi sono stati in gioventù il primo approccio ad un qualcosa di vagamente simile alla fantascienza, con ampie escursioni nell’esobiologia (ci vuole un po’ di tempo, per rendersi conto che la “bougainvillea” è quel rampicante che dà spettacolo nel giardino del nostro vicino).

Non solo, ma con il suo vago sentore di letteratura (quasi) colta, ci permetteva di leggerli senza troppi mugugni da parte dei nostri genitori. Quello che ci ha sempre colpito, in Salgari, è la sua capacità di descrivere luoghi in cui non era mai stato, il che, ne converrete, lo mette sullo stesso piano di chi scrive le “press release” della NASA parlando di Marte e Titano. Con il solo ausilio di una buona documentazione, senza mai allontanarsi dall’Italia, è infatti riuscito a descrivere luoghi che sembravano non solo all’altro capo della Terra, ma talmente alieni – appunto – da poter essere situati su un altro pianeta.
Prendi la Malesia, e trasformala nel pianeta Tschai, il risultato cambia di pochissimo. Oppure prendi alcuni titoli dei suoi romanzi, come ad esempio, “Alla conquista di un impero” e soprattutto “La caduta di un impero”, e poi dimmi se non ti ricordano la Trilogia di Asimov e il suo “Crollo della galassia centrale”. Ma senza lanciarsi in paragoni azzardati, c’è comunque da dire una cosa misconosciuta da tanti, e cioè che lo scrittore veronese sfidò le visioni futuristiche di Verne con racconti che in parecchi punti affrontano temi più propriamente legati all’astronomia, come “Le meraviglie del duemila”, “Alla conquista della Luna” e “La Stella filante”. Dove si descrivono motori navali a propulsione elettrica, macchine volanti mosse da motori ad aria liquida… Il tutto condito però con una crepuscolare venatura pessimistica nei confronti della scienza e della tecnica: nella “Conquista della Luna” il nostro satellite non viene raggiunto, e la maestosa aeronave precipita dopo un’avaria.
Se di Salgari parliamo in questa sede, deputata alla proposta di percorsi logico-matematici, è perché rileggendo qui e là abbiamo avuto un improvviso corto circuito mentale, associando l’avventura salgariana, intesa come una sorta di mappa virtuale di luoghi e fatti totalmente alieni (anche all’autore), all’uso narrativo di vere e proprie mappe tipiche di certa letteratura da “caccia al tesoro”. E da qui la constatazione di come nella fantascienza vera e propria questo elemento manchi quasi del tutto.
Perché è così difficile trovare racconti di esplorazione planetaria e/o galattica in cui compaiano delle mappe?
In realtà abbiamo sviluppato alcune ipotesi, non sappiamo quanto serie: il fatto che l’universo sia basato su un numero di dimensioni ancora tutto da stabilire è al momento la più quotata, oppure
si potrebbe argomentare che la mappa è uno strumento ausiliario dell’avventura in sé, e non rappresenta (se non per eventuali problemi di decifrazione) il centro dell’azione.
Comunque sia, alla fine siamo riusciti a trovare un esempio in cui la mappa è proprio il problema principale; o meglio, lo è il riuscire a capire dove porta, questa mappa. Ve lo proponiamo, in forma salgariana, e immaginate quindi che sulla pergamena (o nell’ologramma) compaiano le seguenti indicazioni:

“Parti da [illeggibile] e cammina
verso il Promontorio del Naufrago
contando i tuoi passi. Giunto al Promontorio
del Naufrago, gira a sinistra
e cammina lo stesso numero di passi.
Ora pianta un segnale. Ora cammina
dalla Quercia dell’Impiccato verso la
Tomba dell’Olonese, contando i tuoi
passi. Giunto alla Tomba dell’Olonese,
gira a destra e cammina lo stesso numero di passi.
Ora pianta un segnale.
Troverai il tesoro a metà strada tra i
due segnali”.

Ora, ci sono un paio di piccoli guai: la parte illeggibile non riusciamo a capire se è la Quercia dell’Impiccato o la Tomba dell’Olonese, anche se siamo sicuri che sia una delle due; non solo ma, con il passare degli anni, la Quercia dell’Impiccato è ormai assolutamente indistinguibile dalle altre, e in questi anni la sunnominata deve aver messo in atto un periodo di entusiastica riproduzione: siamo in un bosco di querce!
Quello che vi chiediamo è: Dov’è il tesoro?
Anche se sembra strano, la domanda qui sopra rappresenta un “aiutino” per rispondere ad un’altra domanda: Cos’è l’“Illeggibile”?
Issate la bandiera corsara (o quella dell’impero galattico), per mille spingarde!

L’osservatorio “Notte Stellata”

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Nebulosa Trifida
Nebulosa Trifida
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Dopo circa un anno dal suo arrivo ho potuto provare abbastanza a fondo, quello che credo sia il sogno di ogni appassionato della volta celeste, un 60 cm in configurazione equatoriale. Uno strumento di queste dimensioni fino a circa 60 anni fa era considerato uno strumento di punta negli osservatori professionali. Per fortuna oggigiorno può essere alla portata di molte persone. Quello che manca però può essere il sito adatto.
Le dimensioni quasi ciclopiche di tali strumenti li rendono da postazione fissa.  Si ci sono dei dobson trasportabili di questi diametri, però un tale strumento va supportato con una robusta montatura, altrimenti non lo si può spingere al limite. I siti in Italia dotati di una buona volta stellata sono ormai pochi, e gli astrofili così come ormai da anni fanno gli astronomi tendono a spostarsi verso cieli bui in altri continenti. Emblematici gli osservatori tedeschi nati in Namibia, o anche quelli nel continente americano comandati anche in remoto. Per fortuna da anni dispongo di una piattaforma in Aspromonte a pochi chilometri da Reggio Calabria a 1200 m di quota, dove il cielo è abbastanza buio, e il numero di notti serene all’anno è molto elevato, in estate supera il 90%. Inoltre il clima è molto mite in inverno di notte non si scende mai sotto -5°. La presenza del mare su 3 lati dell’Aspromonte garantisce inoltre una stabilità termica molto elevata che favorisce un seeing molto buono. La dimora adeguata per un grosso strumento era stata trovata, non restava che scegliere la configurazione ottica e la montatura. Anni di esperienza astrofotografica mi hanno fatto optare per la configurazione Newton, molti astrofotografi usano la configurazione Ritchey-Chretien ma a mio avviso ha un’ostruzione secondaria molto forte e ciò ne pregiudica sia il contrasto fotografico che l’uso visuale. La montatura equatoriale a forcella inoltre, anche se più costosa, è molto più funzionale e fornisce un’ottima piattaforma per l’uso di strumenti in parallelo. Ho scelto di avere un rapporto focale molto spinto, f 3,6 questo per diverse ragioni, una prima fotografica, per aver un campo molto esteso e tempi di posa veloce, ottimi per riprese cometarie o di nebulose, poi per un uso pratico, la lunghezza del tubo ottico sarebbe stato simile a un classico 40 cm, e nel visuale sarebbe stato abbastanza agevole raggiungere l’oculare. Il telescopio puntato allo zenith raggiunge solo i 2,5 m di altezza.
Fissati i parametri dello strumento non restava che pensare alla sua casa. La soluzione più bella e romantica, che però in costi eguagliava quello del telescopio, era la cupola; ma per un uso pubblico è da sconsigliare. Uno strumento del genere a alta risoluzione risente fortemente della turbolenza prodotta dal calore delle persone, con conseguente effetto camino nella piccola apertura della cupola. La soluzione migliore, ma anche più economica risultò essere il tetto scorrevole, con soli 4.000 euro e olio di gomito ho attrezzato una struttura di 4,5 X 6 metri, un decimo circa del costo di una cupola di 5 metri, ma con un ulteriore vantaggio, la possibilità per i visitatori di ammirare interamente la volta stellata. E posso garantire che molti neofiti sono rimasti affascinati da questa soluzione, un tetto di stelle è veramente accattivante, una visitatrice si è persino sdraiata per terra per ammirarlo al meglio. Poi durante il periodo delle stelle cadenti, è un piacere sentirle contare mentre si osserva al telescopio. Il pavimento naturalmente è in materiale gommoso per attutire la caduta dei preziosi accessori ottici, e effettivamente fino al momento ha funzionato!

Le mie aspettative su tale strumento erano grandi. Sul piano osservativo mi aspettavo di riuscire a cogliere i colori sulle nebulose più brillanti e risolvere le strutture a spirale delle galassie.

Nebulosa Trifida
Nebulosa Trifida

A dire il vero la prima luce è stata un po’ deludente, Giove basso sull’orizzonte lasciava intravedere poco o niente, la Nebulosa Trifida era si evidente in estensione come in foto, ma i colori erano elusivi. Devo però ammettere che ho osservato frettolosamente e senza un adeguato adattamento al buio, qualche mese dopo difatti, il mio amico Michele mi ha fatto notare che sulla parte bassa a sud di M 20 erano visibili, per contrasto, dei delicati colori: sì, con facilità si poteva notare il viola e il rosato di questa parte della nebulosa. Lo stesso Giove osservato altre volte, in 3 occasioni nonostante fosse a soli 25° dall’orizzonte ha fornito una ricchezza di dettagli impressionante. Le bande più chiare erano percorsi da festoni sottilissimi che non avevo mai notato prima se non in foto, gli stessi satelliti medicei venivano risolti in piccoli dischetti. La correzione del primario è attorno a Lambda/10, e quando il seeing lo permette si notano tutti i decimi di correzione.
L’immagine di Saturno a una prima occhiata sembra simile a quella dei migliori telescopi apocromatici da 15 cm, ma poi si capisce che i colori sono molto più vividi e gli stessi anelli sono distinguibili per la loro differenza cromatica, che appare molto evidente.
Osservando gli oggetti nebulari con tale strumento anche se la loro colorazione è quasi assente, appaiono estesi e ricchi in dettaglio come nelle foto riprese da strumenti dell’ordine dei 20cm di diametro. In occasione dell’osservazione di M 42 il visuale supera la fotografia, infatti il maggiore range dinamico dell’occhio umano fornisce una visione della zona centrale del Trapezio mozzafiato. Le 4 stelle del trapezio, sembrano situarsi all’interno di una caverna rischiarata dalla loro straordinaria luce. Qui i chiaroscuri sono forti e i colori vanno dal grigio al verde al rosa. Usando un oculare a bassissimo ingrandimento, tutta l’intera spada di Orione si mostra in tutto il suo splendore, usando un Plossl da 56 mm ho una pupilla d’uscita di circa 15 mm! Ma vedere tutte le nebulose così come in foto è davvero incredibile. Ma questo strumento è soprattutto galattico ed è qui che si nota maggiormente il salto con un 40 cm. La prima della serie NGC 891 non lascia dubbi, è netta come in foto. Poi in inverno la rivelazione: M51 la galassia vortice, completamente risolta in tutta la sua bellezza. La spirale è ovvia e sembra quasi pulsare di vita, è davvero una visione impagabile.

Una cosa che non mi aspettavo in tale strumento è la sua potenza ottica, abituato con un Meade da 35 cm credevo che l’ingrandimento utile fosse, si legato allo strumento, ma soprattutto al seeing, e ritenevo che l’ingrandimento massimo idoneo fosse il 200X. Il 60 invece si muove agevolmente tra le anse delle planetarie o dei globulari a 400X! Sembrano i 70-80 X di uno strumento di 20cm. E’ davvero la lavorazione dell’ottica a fare la differenza.

Velo del Cigno
Velo del Cigno

Un altro oggetto ricco di colori può essere il Velo del Cigno, (visibile agevolmente anche senza filtro interferenziale), qui molti appassionati dicono già di percepire il giallo, il verde o il rosa con un 40 cm. Effettivamente si nota una differenza cromatica ma è difficile stabilire l’esatto colore, una signora mi ha fatto notare che ha un bel rosato; ma mi riservo di abbuffarmi di mirtilli (si sa ottimi per aumentare l’acuità visiva notturna) per poter osservare al meglio tale sfumatura. Comunque a prescindere dalla sua elusiva colorazione la nebulosa Velo rivaleggia visualmente con le migliori foto per ricchezza e finezza dei dettagli.

Helix
Helix

Sulle planetarie in genere tale strumento è eccezionale, facili le nane al centro di M 57, di M27, della Helix, qui addirittura è visibile l’arco esterno all’ ”elica”. Inizialmente credevo fosse un riflesso dell’oculare, ma poi spostando il tele, si notava che era una struttura del fondo cielo. Su M27 la visione è da 3D le orecchiette sono evidentissime così come la stellina centrale. Un’altra piacevole sorpresa è la Eskimo, risolta nei suoi 3 differenti gradi di luminosità o gusci di espansione (naso, faccia, cappello) la cosa inusuale è osservare i 3 distinti salti di brillantezza poiché in generale le nebulose possiedono un’omogenea distribuzione di luminosità.
Però a dire il vero non mi sono mai messo a spingere l’osservazione visuale al massimo, ho sfruttato pochissimo la visione distolta e ho lasciato adattare al buio il mio occhio solo per pochi minuti. Il 60 cm è comandato in remoto tramite Pc e lo schermo LCD del computer anche se messo alla minima luminosità incide negativamente sull’adattamento al buio. Come si sa dopo circa 15 minuti si ha la dilatazione massima della pupilla, dopo di che ci vogliono altri 15 minuti per far produrre all’occhio una speciale proteina che spinge i bastoncelli a guadagnare ulteriori 2 magnitudini in sensibilità.
Però il campo dove il telescopio mi ha lasciato senza parole è l’astrofotografia. Già dal singolo scatto digitale si nota l’incredibile risoluzione e contrasto dello strumento. Dove con strumenti della classe dei 20-30 cm prima erano visibili delle macchie o delle striature nere, ora sono risolte in nubi galattiche in 3 dimensioni. Lo stesso gas nebulare ha una plasticità incredibile. E poi i tempi di posa; allo zenith già con 4 minuti di posa si raggiunge il limite di saturazione del fondo cielo. Inoltre ho paragonato la puntiformità stellare delle mie astrofoto con le riprese effettuate dai migliori astrofotografi americani, anche se loro utilizzano una configurazione Ritchey-Chretien con una focale attorno ai 4000 mm, il mio Newton con soli 2200 mm di focale garantisce una puntiformità superiore a parità di campo inquadrato. Tale performance però richiede una guida automatica con CCD, infatti nonostante abbia provato a guidare in manuale a più di 300X risulta difficile ottenere stelle perfettamente puntiformi, l’eccellente qualità ottica non ammette errori. Per gli scatti utilizzo una Canon modificata accoppiata con uno spianatore di campo Televue. Però non oso immaginare cosa possa venir fuori con un CCD a largo campo dotato di filtri e ottica attiva e uno spianatore di campo più sofisticato. Le foto che fino adesso ho realizzato sono perciò solo un primo risultato, che lasciano intravedere le grandi potenzialità di questo 60 cm.
Una mia amica però mi ha detto che non è giusto che tenga tale strumento sia solo per me, è infatti conto di renderlo accessibile al pubblico in breve tempo. L’osservatorio è situato all’interno di un agriturismo dove si può alloggiare in confortevoli camere o gustare i prodotti aziendali. Credo che poche strutture in Italia possano permettere agli ospiti di dormire a soli 20 metri da un piccolo mostro di 60 cm sotto un cielo trapuntato di stelle. E se si è troppo stanchi dalla montagna si può fare sempre un tuffo nel mare cristallino di Reggio Calabria distante appena 20 km dall’osservatorio “Notte Stellata”.
Ho deciso di dare questo nome alla struttura, in ricordo del quadro di Van Gogh che tra le stelle del suo celeberrimo dipinto, ha riprodotto quello che Lord Ross per primo aveva osservato e disegnato grazie al suo nuovo telescopio di 180 cm: la struttura a spirale di M51, che come detto questo telescopio è in grado di rendere appieno.

russoMassimo Russo, nato nel 1971, sono un astrofotografo mi occupo di astronomia sin da bambino, ho pubblicato articoli astronomici nelle maggiori riviste italiane del settore, le mie foto sono state pubblicate anche su riviste internazionali e dalla BBC. Attualmente gestisco l’agriturismo “Notte Stellata” in Aspromonte e faccio parte della commissione tecnico scientifica del Planetario Pitagora di Reggio Calabria. Amo viaggiare per il mondo in cerca di eventi rari come eclissi, stelle cadenti, comete.

Questo è per te (forse)

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Ci chiedevamo se gli interrogativi che tormentano la mente dell’astrofilo medio siano poi davvero gli stessi che abitano i dubbi delle persone normali. Non che si voglia insinuare con questo che gli osservatori di stelle tanto “normali” non siano; anzi… però, dopo aver frequentato per un po’ il Forum di questa sublime rivista, qualche inevitabile dubbio si affaccia alle nostre timide menti. Avete già provato una simile ebbrezza? No? Ah, dovreste, dovreste davvero… è tutto un susseguirsi di domande tecniche e ancor più tecniche risposte, con solo qualche rara ed isolata discussione (ma il termine esatto è “topic”) che non tratta delle gioie dell’osservazione.
E’ stato però proprio in una di queste discussioni che non trattavano né di montature equatoriali né di Barrow apocromatiche che ci siamo ritrovati a ripercorrer alcuni titoli e frasi celebri della fantascienza: anche perché sentenze quali “La violenza è l’ultimo rifugio degli incapaci”, anche se si ritrova nel ciclo della Fondazione di asimoviana memoria, non sfigurerebbe neanche in un più austero testo di filosofia morale. E allora il gioco delle citazioni può facilmente prendere il via, in una sfida tutta giocata sul ricordare chi, dove, in quale libro e in quale situazione si narra la tal cosa o si dice la tal altra. E da gioco nasce gioco: se gli epigrammi filosofici vi sembrano troppo impegnativi, esiste sempre la possibilità di ripiegare su oggetti meno impegnativi ma certo non meno intriganti.
Allora, non ci vuole molto lasciar correre l’immaginazione: immaginate pure di avere quattro autorevoli rappresentanti di vetuste civiltà galattiche, che abbiano deciso di ritrovarsi per scambiarsi i rituali doni di fine anno (anno galattico standard, naturalmente).Immaginate che questi allegri rappresentanti delle diverse confederazioni abbiano portato ciascuno un regalo per gli altri tre, e che se li siano scambiati, aperti, e che poi si siano recati al pranzo ufficiale (innaffiato con abbondanti libagioni). Al ritorno, inutile dirlo, si sono accorti che non riuscivano minimamente a ricordare chi avesse regalato che cosa a chi.
Il bello è che hanno fisiologie decisamente diverse l’uno dall’altro per quanto riguarda la tolleranza all’alcool; infatti, reduci dai festeggiamenti, uno di loro ricorda tutto perfettamente (quindi tutte le sue affermazioni sono vere), un altro sbaglia un quarto delle affermazioni che fa (e quindi solo i tre quarti delle sue affermazioni sono corrette) e, mentre il terzo che si mantiene a malapena in piedi riesce ad affermare metà delle cose correttamente, il quarto è ormai completamente perso, non ne azzecca una neanche a pagarla.
Di seguito, il dialogo che si svolge tra questi preclari rappresentanti di quattro storiche civiltà.

    Aldebaran: “Sono sicuro che l’ Acqua di Jabra sia per Canopo.”
    Deneb: “La Lente Galattica è mia.”
    Betelgeuse: “Credo che la Lente Galattica sia per Aldebaran.”
    Deneb: “I Cristalli Sognanti e l’Enciclopedia Galattica sono per Aldebaran.”
    Betelgeuse: “No, i Cristalli Sognanti sono per Canopo.”
    Canopo: “E la Maschera del Cacciatore di Draghi è tua, vero?”
    Betelgeuse: “La Coperta Enciclopedica e l’Ansible sono miei.”
    Canopo: “E anche l’Enciclopedia Galattica.”
    Betelgeuse: “Io ho ricevuto l’Olio di Trifide.”
    Canopo: “La Lente Galattica arriva da me.”
    Aldebaran: “Credo l’Enciclopedia Galattica sia per me.”
    Deneb: “Betelgeuse, lo Scudo di Dilithium è tuo.”
    Betelgeuse: “Io ho ricevuto l’Amuleto di Yendor da Aldebaran.”
    Canopo: “Io sono quello che ha regalato l’ Enciclopedia Galattica.”
    Aldebaran: “l’Olio di Trifide arriva da Deneb”
    Deneb: “L’Ipercubo di Rubik è per Aldebaran.”
    Aldebaran: “Io ho ricevuto la Coperta Enciclopedica.”
    Deneb: “E la Maschera del Cacciatore di Draghi è per Canopo.”
    Aldebaran: “La Coperta Enciclopedica e la Maschera del Cacciatore di Draghi sono per Deneb.”
    Canopo: “La Coperta Enciclopedica è da parte mia.”
    Betelgeuse: “Io ho regalato la Lente Galattica, vero?.”
    Canopo: “Io ho regalato i Cristalli Sognanti.”
    Aldebaran: “Credo che lo Scudo di Dilithium fosse un regalo a Betelgeuse da Canopo.”
    Deneb: “L’Olio di Trifide è per Betelgeuse.”
    Canopo: “La Maschera del Cacciatore di Draghi è da parte di Aldebaran.”
    Deneb: “L’Ansible è per Canopo.”
    Betelgeuse: “Credo l’Ansible sia da parte di Aldebaran.”
    Betelgeuse: “Io ho regalato l’Ipercubo di Rubik.”
    Aldebaran: “I Cristalli Sognanti arrivano da Betelgeuse.”
    Deneb: “Io ho regalato l’Acqua di Jabra a Canopo.”
    Canopo: “…e in cambio io ti ho regalato la Spada Jedi.”
    Aldebaran: “Non credo la Spada Jedi sia un regalo da parte tua”

I dialoghi non sono il massimo della lucidità post-prandiale, ma vi assicuriamo che la situazione è pienamente ricostruibile. Come dimostrazione, ci accontenteremmo di sentirvi spiegare chi regala la Spada Jedi a chi. Ma non dimenticate la versione antologica (o meglio “antilogica”) è altrettanto carina: riuscite a ricordare in quali romanzi si trovano i vari regali citati nella storia?


Ci piacerebbe molto raccontarvi di come il quesito del numero scorso abbia generato un feroce imbarazzo per l’attribuzione del premio mensile, ma è quasi certo che rimarreste stupiti dalla cronaca: in realtà imbarazzo c’è stato, e molto anche, ma è stato causato non dal dilemma nello scegliere il vincitore, quanto nell’attribuzione del premio. Il fatto è che indubbiamente Paolo Schiavone ha ampiamente distanziato la concorrenza per capacità analitiche e per piacevolezza scrittoria, quindi non c’è dubbio sul fatto che sia lui a meritarsi la palma della vittoria; ma è anche vero che è già al suo secondo trionfo, e quindi il premio deve differenziarsi un po’…

Viaggio in EGITTO

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Egitto
Tempo di lettura: 4 minuti

EgittoMappa Egitto

Programma

1° giorno, venerdì 24 marzo

ROMA / IL CAIRO
Ritrovo dei partecipanti all’aeroporto di Roma Fiumicino e partenza con volo di linea Egyptair per il IL CAIRO. All’arrivo, disbrigo delle formalità doganali e trasferimento con pullman privato in hotel. Pernottamento.

2° giorno, sabato 25 marzo
IL CAIRO
Trattamento di pensione completa in hotel. Giornata dedicata alla visita della citta: il MUSEO EGIZIO, la più grande e straordinaria raccolta di reperti ed opere d’arte dell’antico Egitto, il Cairo islamica, con sosta alla Cittadella E alla moschea di Mohammad Ali.

3° giorno, domenica 26 marzo
IL CAIRO / ALESSANDRIA (km 230 c.a.)
Prima colazione in hotel e pertenza per la visita delle Piramidi di Giza. Pranzo in ristorante. Nel pomeriggio trasferimento ad Alessandria. Sistemazione in hotel, cena e pernottamento.

4° giorno, lunedì 27 marzo
ALESSANDRIA
Trattamento di pensione completa in hotel. In giornata, visita della città, grande centro culturale dell’antichità, fondata da Alessandro il Grande nel 322 a.C. Si inizia dalla nuovissima biblioteca, erede di quella del periodo tolemaico, per proseguire con il Museo greco romano, le catacombe di Kom El Shuqafa, la moschea di Abu El Abbas, la cosiddetta “colonna di Pompeo”, in realtà edificata in onore dell’imperatore Diocleziano.

5° giorno, martedì 28 marzo
ALESSANDRIA / MERSA MATROUH (km 300 c.a.)
Prima colazionee partenza in direzione ovest, costeggiando le rive del Mediterraneo. Pranzo in ristorante e arrivo, nel pomeriggio, a Mersa Matruh, sistemazione in hotel, cena e pernottamento.

6° giorno, mercoledì 29 marzo
MERSA MATRUH / SOLLUM (ECLISSI DI SOLE) / ALESSANDRIA / IL CAIRO
All’alba trasferimento da Mersa Matruh a Sollum (Km 220 c.a.). Arrivo previsto a Sollum per le ore 08.00. Tempo a disposizione per la sistemazione della strumentazione per assistere alll’eclisse totale di sole (prevista per la tarda mattinata). Pranzo al sacco. Verso le ore 15.00, partenza per il lungo viaggio di rientro al Cairo (750 km c.a.). Cena in ristorante lungo il percorso e arrivo in tarda serata, sistemazione in hotel e pernottamento.

7° giorno, giovedì 30 marzo
CAIRO/ROMA FIUMICINO
In tempo utile, trasferimento all’aeroporto del Cairo. Disbrigo delle formalità doganali e partenza con volo di linea Egyptair per Roma Fiumicino. Fine dei servizi.

Quota di Partecipazione

Quota individuale di partecipazione (minimo 25 persone) € 1.180,00
Supplemento singola (su richiesta se disponibile) € 75,00
Visto di ingresso € 25,00
CONSIDERATA L’ECCEZIONALITÀ DELL’EVENTO, IL TERMINE MASSIMO PER LE PRENOTAZIONI È IL 27 OTTOBRE 2005

La Quota Comprende

• voli di linea Egyptair Roma Fiumicino/Il Cairo/Roma Fiumicino in classe economica
• franchigia bagaglio kg 20
• tasse aeroportuali
• tutti i trasferimenti indicati in programma a bordo di pullman, inclusi i costi del conducente, carburante, pedaggi e posteggi
• visite da programma con guida per tutta la durata del tour
• sistemazione in hotel 4 stelle al Cairo e Alessandria e 3 stelle a Mersa Matruh
• trattamento di pensione completa dal pernottamento del 1° giorno alla prima colazione dell’ultimo giorno
• assicurazione sanitaria, bagaglio e annullamento viaggio.

La Quota non Comprende

• bevande ai pasti
• escursioni facoltative
• mance, extra personali e tutto quanto non indicato alla voce “La quota comprende”

Documenti

Note

Passaporto individuale, con validità minima di 3 mesi, e visto consolare.
Pur trattandosi di servizi di linea, gli orari dei voli, possono subire modifiche e sono quindi soggetti a riconferma. Le visite potrebbero di conseguenza subire variazioni di ordine organizzativo, fermo restando il giorno 29/03/05 per la visione dell’evento astronomico. Attualmente il pernottamento del 6° giorno è a Mersa Matruh, stiamo verificando la possibilità di pernottare direttamente sul luogo dell’eclisse, il più vicino possibile, eventualmente in campo tendato. Considerata l’importanza dell’evento astronomico potranno verificarsi disagi e variazioni sui servizi.
Validità delle quotazioni: sono al momento in corso notevoli rincari del costo del carburante e delle tasse aeroportuali. La quota di partecipazione è stata calcolata in base al costo dei voli e dei servizi in vigore al 22/08/05 e al tasso di cambio valutario 1 € = 1,35 US$

Prenotazioni e Informazioni

Termine prenotazioni: 27 Ottobre 2005

Per informazioni e prenotazioni:
Centro Turistico Modenese di Robintur spa
Via Bacchini, 15- 41100 Modena
Tel. 059/2133701
E-mail: ctm.gruppi@robintur.it
Web: www.robintur.it

Per informazioni astronomiche:
Massimiliano Di Giuseppe Tel. 338/5264372
Ferruccio Zanotti Tel. 338/4772550
E-mail: columbia@global.it
Web: http://www.ferrara.com/columbia

ATMOS e l’Optical Design

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aberrazione sferica longitudinale e trasversale
Un grafico mostra il comportamento dell’aberrazione sferica longitudinale ed uno di quella trasversale.
Tempo di lettura: 26 minuti

Agli inizi del XVII secolo vi fu una vivace disputa sulla paternità dell’invenzione di un singolare strumento capace di ‘avvicinare’ oggetti lontani grazie ad un’appropriata combinazione di semplici lenti. Ne furono protagonisti l’occhialaio Jan Lippershey di Middelbourg e James Metius di Alkmaar, entrambi autori di una specifica petizione diretta agli Stati Generali olandesi per assicurarsene il brevetto, e forse anche un terzo contendente, Zacharias Jansen. Al di là dei dubbi e delle contese, l’aspetto più rilevante è che nel 1609 Galileo Galilei, durante il suo soggiorno patavino, riuscì a ricostruirne uno, lo chiamò cannocchiale e lo rivolse verso il cielo, segnando in quel momento l’inizio della moderna Astronomia telescopica e di fatto una grande rivoluzione per la Scienza. In principio si trattava di strumenti dalle prestazioni modeste e per decenni le migliorie apportate o suggerite da Kepler, Descartes, Hevelius e Huygens potevano essere considerate piuttosto come il frutto di applicazioni empiriche. I lunghi rifrattori e i nuovi riflettori con specchi in leghe metalliche nati verso la fine di quel periodo e a cavallo del XVIII secolo presentavano limitazioni nell’ampiezza di campo utile e nella qualità delle immagini non legate solo alle procedure di fabbricazione degli obiettivi, ma soprattutto alla presenza di aberrazioni inerenti agli schemi ottici adottati, causate dal comportamento della luce al loro interno e non ancora perfettamente comprese dal punto di vista fisico. La correzione di questi difetti richiedeva un approccio analitico più rigoroso, che cominciò ad apparire nei lavori di ottica teorica di Isaac Newton (1666) e tese a perfezionarsi in quelli successivi di Dollond, il primo a costruire un obiettivo acromatico sulla base di calcoli geometrico-matematici. Altri importanti contributi vennero poi da Fraunhofer, Wollaston, Coddington, Hamilton e Gauss. Deposti i monumentali telescopi di William Herschel, bisognerà giungere al 1840 per avere con Petzval un primo esempio di applicazione generale dei metodi matematici al tema della progettazione di lenti, questa volta destinate ad una nuova straordinaria tecnica di fare immagini, la fotografia, seguito poco più tardi dalla pubblicazione della  teoria delle aberrazioni di Seidel, distinte in due cromatiche, l’aberrazione cromatica longitudinale e quella laterale, e in cinque monocromatiche di terzo ordine, l’aberrazione di sfericità, di coma, l’astigmatismo, la curvatura di campo e la distorsione. Il progressivo affinamento di queste metodiche portò ben presto all’affermazione della nuova disciplina scientifica dell’Optical Design, la quale mira a sviluppare, controllare e ottimizzare sistemi diottrici, catottrici o catadiottrici in grado di creare immagini del mondo reale grazie alle proprietà fisiche della luce, nonché di misurare quantitativamente o di analizzare qualitativamente la radiazione luminosa su un ampio range spettrale. Se per la parte di lavoro del progettista che consiste nel valutare le prestazioni dell’obiettivo a mano a mano che il progetto evolve la teoria delle aberrazioni di Seidel rappresentava di sicuro un valido ausilio, per altri versi si rendeva necessaria un’analisi molto più approfondita della struttura dell’immagine in formazione, utilizzando metodi basati sulla trigonometria e su specifiche leggi, come quella di Snell sulla rifrazione e la riflessione della luce. Ricordiamo che per la prima esiste un rapporto fra l’angolo formato da un raggio di luce con la normale della superficie ottica (ε) e quello del raggio rifratto (ε1) secondo la relazione:

sin e /sin ε1 = n1 / n

dove ( n ed n1) sono gli indici di rifrazione dei mezzi attraversati dalla luce, ad esempio un vetro ottico di una lente e l’aria. La seconda, invece, afferma che l’angolo di incidenza (i) di un raggio di luce su una superficie speculare è uguale a quello di riflessione (i1) in base alla relazione:

i = -i1

Anche il telescopio, come tutti i sistemi ottici, obbedisce a queste due leggi.

Sappiamo che esso è composto da lenti o specchi o entrambi le cui funzioni principali sono il potere risolutivo, cioè la capacità di separare particolari od oggetti tra loro angolarmente molto vicini, considerando i fenomeni connessi alla natura ondulatoria della luce, e quella di aumentare la quantità di luce raccolta che raggiunge il recettore (occhio, pellicola fotografica o sensore digitale). Nonostante la complessa natura della luce, a proposito della quale si parla di onde, particelle e pacchetti di fotoni, nel calcolo e nella progettazione dei sistemi basati su ottiche geometriche si fa riferimento a raggi o a fasci di raggi luminosi, ognuno dei quali è seguito lungo una direzione lineare quando penetra nel sistema ottico, finché non incontra un ostacolo o attraversa un mezzo con caratteristiche dispersive particolari (aria, vetro) e subisce gli effetti di fenomeni come la diffrazione, la rifrazione o l’interferenza. Insieme con i raggi nell’Optical Design si parla anche di fronti d’onda per indicare superfici curve, fisiche o geometriche, normali ai primi. Nel caso di una sorgente luminosa puntiforme e di un mezzo omogeneo che abbia un indice di rifrazione costante i raggi luminosi si possono rappresentare come linee diritte divergenti da quel punto, mentre i fronti d’onda hanno forma sferica con il centro di curvatura sull’oggetto. Un buon sistema ottico deve essere in grado di raccogliere raggi e fronti d’onda della sorgente-oggetto e reindirizzarli, nella maniera più fedele e inalterata possibile, verso i corrispondenti punti e centri di curvatura dell’immagine, ossia sul piano focale dell’obiettivo. La valutazione matematica e qualitativa di questo durante la fase di progettazione richiede il tracciamento di molti raggi geometrici reali o trigonometrici (ray-tracing), che attraversano il sistema ottico, partendo dalla sorgente luminosa e giungendo sul piano ove si forma l’immagine. Per ciascun raggio si applica la legge di Snell, via via che esso incontra le varie superfici con calcoli ripetuti per ogni raggio e per ogni superficie, con i risultatiottica raggiunta negli stadi iniziali del progetto. I termini “ primo e terzo ordine” fanno riferimento a certe proprietà delle funzioni trigonometriche, dal momento che le aberrazioni ottiche dipendono in misura rilevante dagli angoli dell’immagine, soprattutto dalle funzioni del seno e della tangente. Un pregio del metodo di Seidel è che il progettista può  trattare ogni singola aberrazione in luce monocromatica con un calcolo a sé stante, così che diventa facile individuare quale superficie aberrata all’interno dello schema ottico abbia dato il maggior contributo alla formazione dell’immagine non perfetta; 3) il calcolo o disegno del raggio meridionale, un esatto ray-tracing nel quale il percorso di ciascun raggio è calcolato attraverso gli elementi ottici, utilizzando le leggi della rifrazione e della riflessione. Il ray-tracing meridionale è ristretto al piano che passa dal centro degli elementi ottici dell’obiettivo, talvolta detto piano meridionale o tangenziale; 4) infine il tracciamento dei raggi d5113055  raccolti in apposite tabelle. Agli albori dell’Optical Design l’esecuzione di questi calcoli avveniva manualmente con grande dispendio di tempo e di risorse; in seguito si utilizzarono il sistema dei logaritmi e le calcolatrici meccaniche (1930), finché l’avvento del computer (1960) pose fine alle applicazioni manuali e non solo favorì la velocizzazione dei calcoli e delle operazioni geometriche, ma permise anche la creazione di nuovi algoritmi che consentivano di modificare liberamente i parametri dell’obiettivo allo scopo di migliorarne le prestazioni. In sostanza, partendo da una configurazione iniziale, con il computer divenne possibile ottimizzare l’obiettivo attraverso un processo iterativo facilmente controllabile, al termine del quale il progettista aveva la ragionevole sicurezza che la qualità dell’immagine raggiunta fosse la migliore che quell’obiettivo poteva fornire, tenuto conto della configurazione ottica di base, della focale, dell’apertura relativa, del campo di visione, delle lunghezze d’onda selezionate o dei valori di ostruzione scelti. Altra importante conseguenza fu la riqualificazione degli schemi ottici più tradizionali elaborati nei secoli precedenti, i quali potevano essere ricalcolati per ottenere prestazioni più esaltanti o per semplificare i processi di produzione o ancora per sperimentare le caratteristiche di nuovi tipi di vetro ottico naturale o sintetico o, infine, per sviluppare schemi ottici più complessi e innovativi con una maggiore riduzione delle aberrazioni, un miglioramento del potere di contrasto e della definizione grazie all’impiego di vetri con materiali dalle migliori proprietà dispersive e rifrattive o che apparissero più in sintonia con le qualità di imaging dei nuovi rivelatori a stato solido anche nelle regioni estreme dello spettro elettromagnetico.

In linea generale le fasi nelle quali più comunemente si articola l’Optical Design sono:

1) il calcolo parassiale o calcolo di primo ordine.
E’ un metodo applicato per le regioni vicine all’asse ottico entro piccolissime distanze e angoli fuori asse. Esso fornisce la posizione dei piani principali, la lunghezza focale del sistema, informazioni sui raggi di curvatura, gli spessori e le distanze degli elementi ottici, mentre non offre nessun dato relativo alle aberrazioni ottiche.
2) il calcolo di Seidel o di terzo ordine.
Permette al progettista di analizzare i tipi e considerare il peso delle aberrazioni eventualmente presenti, per compiere una rapida valutazione della qualit_liqui (skew ray-tracing), un metodo nel quale si determinano i percorsi di un grande numero di raggi che coprono l’intera pupilla di entrata dell’obiettivo al fine di produrre dei diagrammi a macchie e mostrare con estremo rigore il tipo di immagine finale che il sistema ottico potrà produrre.

Nel configurare un sistema ottico il progettista deve determinare alcuni requisiti fondamentali: ad esempio la natura e combinazione delle ottiche, il livello delle prestazioni da raggiungere, la destinazione d’uso finale, le caratteristiche meccaniche, le variabili che egli è in grado di controllare, la tipologia degli strumenti di registrazione e analisi dell’immagine ai quali l’obiettivo andrà applicato.
Ad una visione generale dovrebbe far seguire un esame più dettagliato:

  1. delle proprietà del sistema di primo ordine
    Esse includono il diametro della pupilla d’entrata (E.P.D.), la lunghezza focale (F), il rapporto focale (f), l’ingrandimento (i), il campo di visione (F.O.V.), lo spazio della cosidetta back focal lenght (B.F.L.), il range di lunghezze d’onda scelte per l’analisi del sistema ottico o per l’osservazione migliore.
  2. dei requisiti dell’imaging
    Questo aspetto riguarda il livello di dettaglio nell’oggetto che deve essere registrato. Le misure dirette sulla qualità dell’immagine comprendono le dimensioni geometriche delle macchie nei relativi diagrammi, l’errore geometrico di fronte d’onda, la risoluzione angolare limite, il trasferimento di contrasto ad una specifica frequenza spaziale calcolato attraverso la funzione di trasferimento della modulazione (M.T.F.), il rapporto Strehl, l ‘Encircled Energy Plot’ (E.E.P.). I requisiti di imaging determinano anche se il campo sarà piano o curvo e la quantità accettabile di distorsione per aberrazioni o diffrazione.
  3. di ulteriori considerazioni particolari.
    Tra le considerazioni speciali troviamo dettagli tecnici tipici di strumenti di analisi della radiazione elettromagnetica come gli spettrografi, i fotometri, i coronografi, gli interferometri, i telescopi a raggi X o per l’infrarosso.

Il progettista ottico può controllare solo alcune variabili del sistema dette gradi di libertà. Un grado di libertà indica l’abilità di fare una libera scelta rispetto ad un parametro ottico: ad esempio può essere utile variare il raggio di curvatura di una lente o la distanza fra due superfici, ricalcolare l’asfericità di una superficie o scegliere un tipo di vetro piuttosto di un altro per via delle differenti proprietà dispersive. Un’efficace correzione delle aberrazioni di immagine di un sistema ottico impone al progettista di disporre di tanti gradi di libertà quanto è il numero di aberrazioni da eliminare. Spesso è necessario contare il numero di variabili che uno strumento ottico consente di cambiare durante le fasi di ottimizzazione del progetto, delle quali occorre stimare quante siano indipendenti ed effettive nel controllare le proprietà e le aberrazioni ottiche. Per i sistemi formati da superfici sferiche centrate le sole variabili sono: le curvature/raggi delle superfici, lo spazio/spessore tra le superfici, i tipi di vetro distinti per indici di rifrazione e dispersione cromatica, la posizione del diaframma all’interno dello schema ottico. Sistemi meno convenzionali hanno altre variabili, che derivano dall’uso di superfici asferiche, inclinate e decentrate, o da prismi o reticoli di diffrazione. Come già accennato, sebbene le formule e i calcoli conducano a soluzioni molto vicine al progetto finale, di norma è necessario un processo conclusivo di ottimizzazione dei sistemi elaborati, ricorrendo a tecniche di ray tracing via via più precise, così da ridurre al massimo le aberrazioni residue assiali ed extrassiali.
Il procedimento si svolge con prove ed errori, tenendo conto di questi e cercando di eliminarli un po’ alla volta, attraverso l’introduzione di piccole variazioni nei parametri ottici: ad esempio modificando la combinazione correttore-secondario nei catadiottrici o cambiando il raggio di curvatura del secondario, nel caso dei riflettori.

In conclusione il progettista al termine del suo lavoro dovrebbe avvicinarsi il più possibile ai criteri indicati da Maxwell per l’immagine perfetta:

  1. nel caso di una sorgente luminosa puntiforme, tutti i raggi che attraversano il sistema ottico devono convergere in un’unica immagine puntiforme, cioè i punti devono essere riprodotti come punti;
  2. se la superficie dell’oggetto-sorgente è un piano perpendicolare all’asse ottico, anche le corrispondenti immagini devono giacere su un piano normale a quell’asse, cioè il sistema ottico deve avere un campo piano;
  3. linee diritte presenti sul piano dell’oggetto-sorgente devono essere riprodotte come linee diritte anche sul piano dell’immagine, cioè il sistema ottico deve essere privo di distorsioni o altre aberrazioni geometriche.

Se da un lato la gran parte delle case produttrici di strumenti ottici hanno sviluppato propri software di Optical Design con criteri direttamente legati alle fasi di creazione industriale dei loro obiettivi, a livello commerciale e ‘amatoriale’ evoluto, invece, i programmi più noti in cui è possibile usare ed approfondire molte delle funzioni prima sommariamente indicate sono OSLO, ZEMAX, MODAS, BEAM 4, TDESIGN, LENSDES e RAYTRACE, questi ultimi tre integranti l’ottimo testo “Telescope Optics” di H.Rutten e M.van Venrooij.

Da qualche anno troviamo accanto ad essi un altro straordinario software di Optical Design prodotto da Massimo Riccardi, ATMOS (Amateur Telescope Maker Optical designer and analysis Software), un programma nato con l’intento di ampliare le capacità offerte dalle funzioni presenti nel lavoro dei due ultimi autori citati, soprattutto con la possibilità di creare diagrammi a macchie per molte lunghezze d’onda contemporaneamente ed offrire all’utente una serie di strumenti di analisi e progettazione dei sistemi ottici completa, veloce, approfondita, flessibile, in grado di giungere a soluzioni tecniche innovative o di perfezionare quelle più tradizionali al fine di elaborare un obiettivo di alte prestazioni e garantire la migliore qualità delle immagini ottiche.

Compilato all’inizio in Qbasic, ATMOS fu in seguito sviluppato in ambiente Windows per poter disporre di una migliore veste grafica e di un’interfaccia utente più ‘amichevole’ grazie alla presenza di finestre, pulsanti e caselle utili all’immissione e alla visualizzazione dei vari dati. ATMOS, che consente di lavorare con sistemi ottici simmetrici per rotazione, assialmente centrati e fuori asse, contiene vari menu a tendine, dai quali si accede alle numerose operazioni di design e analisi delle principali configurazioni ottiche. Vediamole più in dettaglio.

Attraverso il menu (File) l’utente può scegliere tra la creazione di un nuovo progetto ottico, l’apertura di uno dei 36 già esistenti e il salvataggio di quello in corso. Nel primo caso viene visualizzata una tabella in cui andranno inseriti con esattezza alcuni dati preliminari di fondamentale importanza per la definizione teorica del sistema ottico, fra i quali il numero delle superfici (fino a 100, oltre al piano focale e ai cosidetti obscuration screens, ossia alle aree non illuminate presenti nel percorso dei raggi di luce prodotte da elementi ostruttivi), lo stop d’apertura, il semidiametro dell’obiettivo, il raggio di curvatura delle superfici (seguendo le indicazioni fornite nell’help circa la convenzione dei segni), lo spessore delle lenti misurato sull’asse centrale, il mezzo attraversato dalla luce (aria, vetro), il tipo di vetro ottico, scelto dai cataloghi Schott, (persino con riferimento ai nuovi “vetri ecologici” a basso contenuto di arsenico e piombo), Ohara, Hoya e Corning, l’indice di rifrazione, la figura della superficie (sferica, conica o di ordine superiore, come ad esempio può essere una lastra correttrice di Schmidt). E’ possibile selezionare fino a sei lunghezze d’onda operative (per le righe C, e, F del visibile, per la visione scotopica o per quella fotopica), il semidiametro del fascio luminoso in entrata, la distanza, finita o infinita, delle sorgenti, l’angolo di semicampo Alcuni di questi parametri possono essere inseriti anche utilizzando le funzioni di (Edit), come il numero delle superfici, le lunghezze d’onda o i valori lineari delle superfici non centrate e quelli angolari delle superfici inclinate. Una volta immesse queste informazioni numeriche, il programma esegue una serie di calcoli e fornisce i dati relativi alla B.F.L. (back focal lenght), alla lunghezza focale, all’altezza che il raggio principale raggiunge rispetto all’asse ottico sul piano focale e  al rapporto focale dell’obiettivo.

Nell’altro caso, invece, gli esempi presentati appaiono già completi e pronti per l’analisi ottica, che si effettua per mezzo delle funzioni contenute nel menu (Analysis).
Queste sono:

1) Detailed Spot Diagram (diagrammi a macchie dettagliati e policromatici con analisi della vignettatura)

Si tratta di particolari diagrammi nei quali, sulla base di complesse equazioni di ottica geometrica, si analizza un fascio di raggi luminosi monocromatici dentro un sistema ottico di lenti o specchi e si simulano le dimensioni, la forma e la distribuzione della luce proveniente da un oggetto puntiforme, come una stella, quando attraversa un obiettivo per giungere sul piano dell’immagine. Se si trascura la diffrazione, il diagramma costituisce una specie di mappa di tutti i punti di impatto dei fotoni sulla superficie dell’immagine, dando così una esatta visualizzazione della qualità di questa e delle eventuali irregolarità create dalle aberrazioni esistenti. Per i sistemi che formano immagini con luce policromatica o in cui sono impiegati vetri con differenti indici di rifrazione i raggi possono essere migliaia, in relazione alle lunghezze d’onda prescelte. ATMOS può tracciarne fino a 30000, 5000 per ognuno dei 6 colori considerati. L’analisi è condotta anche per i raggi provenienti con angoli fuori asse o a più lunghezze d’onda contemporaneamente, nel caso di lenti. Variando la posizione del piano focale  in avanti e indietro, è possibile esaminare l’effetto del fuocheggiamento sulla struttura del diagramma a macchie, al fine di fissare il cosidetto best focus, ossia la posizione in cui la messa a fuoco fornisce le immagini più puntiformi; la funzione consente anche di tener conto della percentuale di campo vignettato, cioè non del tutto illuminato, soprattutto ai bordi.

2) Multispot Diagram (through focus/field) (diagrammi multispot, in relazione al rapporto fuoco/campo)

Questi diagrammi a macchie sono ottenuti nello stesso tempo sull’asse ottico, sul 70% del campo di visione e sul 100% dello stesso, per diverse posizioni del piano focale, in modo da permettere al progettista di verificare le tolleranze di fuoco del sistema.

3) Matrix Spot Diagram (diagrammi a macchie di tipo matrix)

Sono diagrammi a macchie individuali per ciascuna lunghezza d’onda, visualizzate separatamente e poi comparate con le dimensioni dei corrispondenti dischi di Airy.

4) Total Field Spot Diagram (diagrammi a macchie a campo pieno)

In questo caso un grafico diviso in nove settori fornisce un quadro complessivo delle figure di diagrammi a macchie per angoli e distanze diverse dal centro asse, lungo le coordinate x-y.

5) R.M.S. spot size versus focus, field, wavelenght (dimensioni R.M.S. della macchia in relazione al fuoco, al campo di visione e alla lunghezza d’onda)

Si visualizza un grafico in cui è rappresentata sull’asse delle ordinate il raggio RMS (root mean square) della macchia confrontata con le dimensioni del disco di Airy e su quello delle ascisse la variazione positiva e negativa della B.F.L., o quella dell’angolo di campo o di diverse lunghezze d’onda.. La B.F.L. è la distanza lungo l’asse ottico dal vertice della superficie della lente posteriore o dello specchio primario al fuoco parassiale per un oggetto posto virtualmente all’infinito.

Si passa, quindi, all’esame  delle aberrazioni ottiche assiali ed extrassiali, la cui rilevanza è di assoluta preminenza sulla qualità dell’immagine finale fornita dall’obiettivo. Infatti, se si trascurano gli errori di fabbricazione o di assemblaggio, nonché gli effetti della diffrazione e della turbolenza atmosferica, sono proprio quei difetti che impediscono ad un sistema ottico di creare un’immagine perfetta, ossia un’immagine puntiforme di una sorgente luminosa puntiforme tanto sull’asse ottico, quanto a varie distanze dal medesimo.

6) Spherical Aberration + Coma  (O.S.C.) (Aberrazione sferica e coma)

aberrazione sferica longitudinale e trasversale
aberrazione sferica longitudinale e trasversale

Un grafico mostra il comportamento dell’aberrazione sferica longitudinale ed uno di quella trasversale. L’aberrazione di sfericità si ha quando raggi luminosi paralleli all’asse ottico che entrano a diverse altezze  nell’obiettivo vanno a fuoco su punti differenti lungo l’asse ottico. Quelli più vicini a quest’ultimo si focalizzano ad una distanza maggiore dall’obiettivo, nel cosidetto fuoco parassiale, quelli più lontani in un punto più vicino all’obiettivo, nel fuoco marginale. L’aberrazione sferica longitudinale corrisponde alla differenza tra il fuoco marginale e quello parassiale, quella trasversale alla distanza tra l’asse ottico e i raggi marginali, misurata secondo la normale all’asse ottico sul fuoco parassiale.
L’aberrazione di coma sorge quando i raggi fuori asse paralleli che attraversano la lente o si riflettono su uno specchio vicino ai bordi intersecano la superficie del piano immagine in punti diversi rispetto a quelli prossimi al centro dell’obiettivo, con il risultato di avere per un oggetto luminoso puntiforme un’immagine a forma di ventaglio o di coda di cometa. Per essere libero dal coma un sistema ottico deve soddisfare la condizione dei seni di Abbe, la quale richiede che in un siffatto sistema ogni raggio in uscita di un fascio incidente di raggi paralleli all’asse rispetti la regola:

h/sin U1 = C

dove (h) è l’altezza del raggio prima che entri nel sistema, (U1) l’angolo tra il raggio e l’asse ottico diretto verso il piano focale e (C) una costante, che può essere considerata come la lunghezza focale effettiva di ciascuna zona della pupilla d’entrata. Noto il valore di (C), un altro importante parametro può essere calcolato ai fini dell’identificazione e determinazione del coma, cioè l’O.S.C. (Offense against the Sine Condition), che sarà pari alla differenza frazionale tra il valore assiale di (C)  e quello di (C) all’altezza (h):

O.S.C. = C (h) / C(o) – 1.

Questa formula è valida in assenza di aberrazione sferica e per oggetti posti all’infinito.

ATMOS riproduce questi valori in un grafico, ponendoli in relazione all’altezza del raggio. Ogni scostamento dall’ordinata indicherà la presenza e l’entità dell’aberrazione comatica. I dati relativi sono anche raccolti in una tabella.

7) Field Curvature (Sagittal, Tangential, Average) (Curvatura di campo)

Tale aberrazione, in genere, potrebbe essere trattata insieme con l’astigmatismo, dal momento che un obiettivo affetto da questo presenta sempre  due superfici focali, una o entrambe curve. Per oggetti fuori asse i raggi tangenziali vanno a fuoco sulla superficie focale tangenziale, quelli sagittali sulla superficie sagittale. Pertanto la curvatura di campo e l’astigmatismo potrebbero essere descritti come curvatura di campo tangenziale e sagittale. Oppure essi potrebbero venire interpretati come variazioni della B.F.L. ad angoli di campo e distanze fuori asse. Tra le due superfici focali ne esiste una terza mediale, ove l’immagine di una sorgente puntiforme assume l’aspetto di un discoide noto come circolo di minima confusione. In presenza di curvatura di campo l’immagine si forma su una superficie quasi sferica con la concavità verso l’obiettivo. A seconda del campo che l’utente desidera utilizzare, ATMOS fornisce risultati grafici e tabulari con parametri come la distanza dall’asse, le dimensioni delle superfici tangenziali e sagittali, il raggio di curvatura medio di campo della superficie di miglior fuoco.

8 ) Distortion (Distorsione)

La distorsione è l’aberrazione che mostra quanto e come un oggetto posto su una superficie piana normale all’asse ottico è riprodotto su una superficie d’immagine piana anch’essa perpendicolare all’asse ottico. Se la superficie dell’oggetto appare, ad esempio,  come una griglia rettilinea piana e la relativa immagine è riprodotta nello stesso modo, allora l’obiettivo è ortoscopico cioè privo di distorsione. Ma se le linee fuori asse della griglia appaiono curvate, allora siamo in presenza di distorsione, che può essere a cuscinetto positiva o a barilotto negativa. Essa è causata da una variazione nella scala trasversale dell’immagine o dell’ingrandimento in funzione dell’angolo di campo fuori asse o della distanza. ATMOS visualizza un diagramma con l’andamento dei due tipi di distorsione, insieme con una griglia in cui è rappresentata graficamente l’entità di questa aberrazione.

9) Lateral Color (Aberrazione cromatica laterale) e Chromatic Focal Shift

Se la lunghezza focale effettiva di una lente varia con la lunghezza d’onda, allora anche le dimensioni dell’immagine varieranno con la lunghezza d’onda. A seconda del segno di questa aberrazione, l’immagine nel rosso può risultare più grande o più piccola di quella nel blu. Questo difetto, noto come aberrazione cromatica laterale o differenza cromatica d’ingrandimento, può essere corretto con un metodo molto simile a quello usato per l’aberrazione cromatica longitudinale, ossia accoppiando vetri con differenti indici di dispersione. Rappresentata in un diagramma a macchie policromatico, questa aberrazione si rivelerebbe con degli sfasamenti trasversali nelle macchie d’immagine a varie lunghezze d’onda. ATMOS mostra in un apposito quadro lo spostamento del piano focale e della B.F.L. in relazione alla variazione cromatica.

Sempre nel menu Analysis troviamo un’altra serie di strumenti per valutare in maniera ancora più approfondita la struttura dell’immagine via via che il progetto ottico tende a definirsi, con concetti come l’interferenza, la diffrazione, i colori, il dominio delle frequenze che la semplice ottica geometrica non è in grado di spiegare. In questi casi la luce all’interno del sistema ottico viene considerata anche nella sua natura di onde elettromagnetiche o di pacchetti di fotoni.

10) Ray fan plot

Non sempre le informazioni ricavabili dall’analisi degli spot diagram sono sufficienti per diagnosticare certi tipi di aberrazioni ottiche e le loro entità, soprattutto per quelle che interessano talune zone della pupilla d’entrata che i raggi luminosi attraversano prima di giungere a formare i vari punti della spot d’immagine. A tale scopo risultano molto utili i grafici delle curve di intercettazione dei fasci di raggi luminosi (ray fan plot). Un fascio di raggi è un insieme di raggi provenienti da una sorgente luminosa puntiforme tutti disposti su un piano, che, di norma, è fatto passare per il centro della pupilla d’entrata con il fascio che si estende da un lato della pupilla all’altro. Quando un dato raggio nel fascio passa nella lente diretto verso la superficie dell’immagine, esso attraversa la pupilla d’entrata in una zona con una specifica altezza rispetto all’asse ottico. Nel momento in cui intercetta la superficie d’immagine, esso, di solito, cade a piccola distanza (mai pari a zero) dal raggio principale ( che è quello che parte da un bordo estremo della sorgente, passa per il centro dell’obiettivo, interseca l’asse ottico e prosegue fino al bordo del campo d’immagine). Questa distanza trasversale dal raggio principale è l’errore di altezza, cioè l’aberrazione, del raggio iniziale corrispondente alla zona di altezza della pupilla d’entrata già vista. Il relativo diagramma presenta in forma grafica questi errori di altezza del raggio sulla superficie d’immagine come una funzione della corrispondente altezza nella pupilla d’entrata. Gli errori sono considerati per due specifici fasci di raggi nel piano tangenziale e in quello sagittale, con raggi che intersecano la pupilla d’entrata lungo gli assi y e x, rispettivamente.

11) O.P.D. (Optical Path Difference)

Uno strumento analitico molto usato nell’Optical Design per calcolare e presentare le aberrazioni presenti nelle immagini è l’O.P.D. (Optical Path Difference). In pratica più raggi a varie altezze vengono seguiti attraverso il sistema ottico fin sul piano focale. Quindi si calcola la lunghezza totale del percorso del raggio espressa in unità di lunghezza d’onda. Nel caso in cui i raggi attraversino elementi a rifrazione le lunghezze di trasferimento sono moltiplicate per l’indice di rifrazione del vetro. Se il sistema è otticamente perfetto, le lunghezze del percorso di tutti i raggi saranno esattamente uguali, la luce, cioè, arriverà in fase; se, invece, i raggi arriveranno non in fase, ciò sarà il segno della presenza di aberrazioni ottiche. Quando la variazione della lunghezza del percorso non supera ¼ della lunghezza d’onda della luce utilizzata, il sistema è considerato “limitato dalla diffrazione”. E questo è, di solito, il normale livello di qualità presente negli strumenti astronomici amatoriali. ATMOS tratta le O.P.D. nella forma di ray fan plot, rappresentando graficamente gli errori O.P.D. del fronte d’onda nella pupilla d’uscita come funzione delle altezze di zona nella pupilla d’entrata. L’O.P.D. può essere considerata anche come la distanza lineare lungo un raggio tra l’attuale fronte d’onda aberrato nella pupilla d’uscita e quello ideale privo di aberrazioni.

12) Wavefront (Fronte d’onda)

Secondo la teoria dell’elettromagnetismo una sorgente luminosa emette nello spazio un flusso continuo e non limitato di onde elettromagnetiche che si propagano alla velocità della luce. Per ogni istante temporale la luce di una data lunghezza d’onda emessa da una sorgente puntiforme è in fase. Pertanto su superfici con costante tempo di percorrenza della luce proveniente da una sorgente puntiforme tutte le onde sono in fase, ossia le onde monocromatiche da punto a punto su queste superfici sono spazialmente coerenti. Queste superfici di fase costante sono dette fronti d’onda; se la sorgente è immersa in un mezzo con indice di rifrazione costante, allora i fronti d’onda hanno forma curva sferica con il centro di curvatura sulla sorgente ed essi appaiono come superfici normali ai raggi luminosi. Un sistema ottico privo di aberrazioni produce un flusso di fronti d’onda sferici convergenti in ciascun punto dell’immagine che viene a formarsi sul piano focale. ATMOS considera il fronte d’onda a proposito della valutazione degli effetti dei corrispondenti errori O.P.D., fornendone una mappa con rappresentazione tridimensionale della superficie del fronte d’onda con possibilità di rotazione negli assi x,y,z. Queste irregolarità sono errori di distanza o di percorso misurati longitudinalmente lungo i raggi, intese come separazioni fra il reale fronte d’onda aberrato nella pupilla d’uscita e quello sferico esente da aberrazioni detto anche sfera di riferimento che ha il centro di curvatura sulla superficie di immagine e il vertice su quello della superficie della pupilla d’uscita. Le aberrazioni O.P.D. del fronte d’onda possono essere specificate in vari modi, che troviamo chiari in ATMOS:

  1. range totale dell’O.P.D. peak-to-valley (dallo scostamento estremo positivo a quello estremo negativo rispetto al fronte d’onda di riferimento);
  2. massimo scostamento del valore assoluto del fronte d’onda reale da quello di riferimento;
  3. R.M.S. scostamento del fronte d’onda dalla sfera di riferimento valutato sull’intera pupilla d’uscita;
  4. scostamento del fronte d’onda reale da quello di riferimento espresso con i polinomi di Zernike;
  5. Strehl ratio.

Per ottenere immagini limitate dalla diffrazione non è necessario che un obiettivo abbia prestazioni geometriche assolutamente perfette, cioè che sia del tutto esente da aberrazioni ottiche. Infatti, se le dimensioni della macchia in un relativo diagramma è molto più piccola del disco di Airy, la diffrazione supera le aberrazioni geometriche e le immagini di oggetti puntiformi sono praticamente indistinguibili da una perfetta figura di Airy. Allo stesso modo, se gli errori O.P.D. nella pupilla d’uscita sono molto più piccoli della lunghezza d’onda della luce, le aberrazioni saranno di nuovo indistinguibili. Se un obiettivo è privo di aberrazioni, allora la corrispondente figura di Airy è la più compatta e luminosa immagine che esso è in grado di produrre e l’irradianza al centro del disco di Airy è la massima possibile, mentre, in presenza di aberrazioni, la luce viene sparpagliata entro una certa area e il picco di irradianza dell’immagine aberrata (P.S.F.) appare sempre ridotto. Il rapporto fra questo picco e quello della relativa immagine (P.S.F.) libera da aberrazioni è detto Strehl ratio. Per comuni immagini limitate dalla diffrazione lo scostamento di questo rapporto dalla condizione ideale ( 1% o 100%) dipende dal tipo di strumento e dalle applicazioni pratiche a cui è destinato: valori di 80% – 90% sono più che accettabili. Se vi sono elementi ostruttivi nel percorso ottico o problemi di vignettatura meccanica che comportano un calo della quantità effettiva di luce trasmessa sul piano focale, di questi elementi si tiene conto nel calcolo di entrambi i termini dello Strehl ratio.

13) Interferogram (interferogramma)

Questa funzione è, in sostanza, una differente rappresentazione del Wavefront. La misura dell’O.P.D. per frangia, che di default vale 0,5 o mezza lunghezza d’onda, ci dice che nell’interferogramma visualizzato la distanza tra una frangia e l’altra corrisponderà ad un salto di ½ d’onda. Inoltre la possibilità di introdurre una certa inclinazione nelle direzioni X e Y consente di vedere più frange contemporaneamente, così da valutare la correzione del sistema a seconda della loro deformazione. In definitiva è una buona simulazione delle prestazioni dell’obiettivo da confrontare con gli analoghi sistemi di controllo che nei laboratori ottici vengono usati per testare la qualità dell’obiettivo durante le fasi conclusive della lavorazione.

14) E.E.P. (Encircled Energy Plot)

E’ un calcolo geometrico effettuato sullo spot-diagram. Partendo da un cerchio centrato sul raggio principale o sul centroide, vengono contati quanti sono i raggi non vignettati, e quindi l’energia, che cadono entro cerchietti di diametro crescente.
In ATMOS troviamo un grafico che mostra in ordinata la distribuzione percentuale dell’energia luminosa in funzione della distanza da uno dei punti di riferimento sull’ascissa, affiancato da un tabella dei relativi valori numerici.

15) P.S.F. (Point Spread Function)

Analisi P.S.F
Analisi P.S.F

Il concetto di P.S.F. (Point Spread Function) è utilizzato per spiegare l’impossibilità di ottenere di una sorgente luminosa puntiforme una corrispondente immagine puntiforme perfetta da un punto di vista matematico. La P.S.F. fornisce la corretta distribuzione fisica della luce nell’immagine di un oggetto puntiforme considerando gli effetti delle aberrazioni geometriche e della diffrazione, mentre non si tiene conto dei disallineamenti meccanici, della turbolenza atmosferica e degli errori di lavorazione dell’obiettivo che possono riguardare la curvatura e la figura delle superfici, gli indici di rifrazione e dispersione cromatica, l’omogeneità dell’indice di rifrazione, lo spessore degli elementi ottici o della spaziatura in aria, lo sfasamento assiale, il decentramento trasversale e l’inclinazione delle superfici ottiche.

Una tipica curva P.S.F
Una tipica curva P.S.F

I due principali tipi di P.S.F., prodotti, cioè, dalle aberrazioni geometriche o dalla diffrazione, sono molto utili al progettista perché forniscono una misura della miglior qualità d’immagine che un certo progetto teorico è in grado di assicurare. ATMOS calcola entrambe le P.S.F., mostrando i risultati in forma di mappa bidimensionale di distribuzione dell’intensità dell’energia luminosa e di grafico tridimensionale della superficie del sistema ottico, utilizzando il metodo delle F.F.T. (Fast Fourier Transform), un tipo di calcolo applicato nel campo del dominio delle frequenze spaziali.

Una tipica immagine di P.S.F. rivela un largo picco centrale circondato da una serie di anelli luminosi concentrici di irradianza decrescente verso l’esterno, alternati da anelli scuri che rappresentano i luoghi in cui l’irradianza ha valore zero, sempre a specifiche distanze dal centro. Questa distribuzione di luce limitata dalla diffrazione è detta anche pattern di Airy e il picco al suo centro altro non è che il disco di Airy. E’ chiaro, allora, che quanto più quel picco apparirà stretto e alto, tanto più intensa sarà la concentrazione di luce, a tutto vantaggio di una migliore puntiformità e brillantezza delle immagini stellari, e quanto più regolari e morbidi risulteranno gli anelli concentrici, tanto più l’immagine finale diventerà dettagliata e precisa.

16) M.T.F. (Modulation Transfer Function)

L’ M.T.F. (Modulation Transfer Function) fornisce una misura diretta di come e quanto i vari dettagli a diverso indice di contrasto presenti in un oggetto di riferimento sono contenuti nella corrispondente immagine riprodotta da un sistema ottico sul suo piano focale. E’ nota anche come risposta in frequenza spaziale o risposta dell’onda sinusoidale ed ha valori compresi tra 0% e 100%.  La modulazione (o contrasto)  (M) ad una data frequenza (v) è data dal rapporto:

M(v) = Imax – Imin / Imax + Imin

in cui (I) indica la radianza o intensità luminosa massima e minima. Per la misura del trasferimento di contrasto si utilizza un reticolo composto da linee chiare e scure equidistanti di dimensioni via via più ridotte da porre davanti al sistema ottico. Il rapporto fra il contrasto dell’immagine risultante (Ci) e quello dell’oggetto ripreso (reticolo) (Co) è detto coefficiente di trasferimento del contrasto (CT):

CT = Ci /Co

La relazione tra questo coefficiente e il numero di linee/mm presenti nell’immagine è riproducibile in un grafico della funzione di trasferimento della modulazione (M.T.F.) o di funzione di trasferimento del contrasto (C.T.F.). Per un sistema ottico perfetto si avrà una curva quasi del tutto rettilinea con un piede lievemente degradante. Le curve M.T.F consentono di valutare l’ampiezza delle aberrazioni dell’immagine e degli effetti della diffrazione di un sistema ottico non corretto rispetto al profilo ideale di uno perfetto. Le curve di quello imperfetto non coincideranno quasi mai con quelle di uno schema ideale e dall’esame di questo scostamento si potrà analizzare quanto e per quale causa il contrasto dell’immagine creata dal sistema ottico progettato sarà più basso se confrontato con l’andamento teorico. Ciò può accadere per via della presenza di aberrazioni geometriche oppure per difetti nella lavorazione delle superfici dell’obiettivo o ancora per l’interposizione di elementi ostruttivi lungo il percorso ottico che modifichino la figura di Airy o, infine, per riflessi interni al tubo ottico o raggi parassiti esterni non adeguatamente schermati da un efficace sistema di diaframmi. Attraverso l’analisi delle curve M.T.F. è possibile, quindi, ottimizzare i parametri dell’ottica progettata in modo che fornisca le migliori prestazioni teoriche a seconda del tipo di applicazioni a cui andrà destinata: diametro più grande possibile per sfruttare al meglio la capacità di raccolta di luce e il potere di risoluzione, ostruzione contenuta, riduzione degli errori di fabbricazione, schemi ottici con aberrazioni assiali ed extrassiali minime e controllabili, superfici ottiche rivestite da protezioni antiriflessi per assicurare il più alto trasferimento del contrasto nell’immagine finale. Il tutto per cercare di ottenere curve M.T.F. reali quanto più coincidenti con quelle ideali. ATMOS analizza queste curve sotto il profilo geometrico e della diffrazione, ponendole entrambe in relazione alle variazioni del fuoco e all’ampiezza del campo di visione, che spazia dallo 0%  (coincidenza con l’asse ottico), al 70% e al 100%, sia nel piano tangenziale (curva rossa) che in quello sagittale (curva blu).

Diagramma MTF
Diagramma MTF

Il menu Analysis si chiude con le tabelle relative al tracciamento dei raggi reali (Real Rays) e al calcolo parassiale (Parassial Calculation), quest’ultimo articolato in un setup, nella raccolta dei dati per il raytrace, nei coefficienti di Seidel per le aberrazioni ottiche trasversali e longitudinali.

Troviamo, poi, un grafico che mette in evidenza la percentuale di vignettatura presente nel sistema ottico (Vignetting Plot), ossia la porzione di campo non perfettamente illuminato dell’obiettivo a causa di un inesatto dimensionamento delle componenti ottiche o meccaniche ( ad es. una lastra correttrice di diametro uguale a quello dello specchio primario in una camera di Schmidt).

Catadiottrico Schmidt Cassegrain
Layout 2D di un Catadiottrico Schmidt Cassegrain

Infine lo schema ottico dello strumento progettato prende forma attraverso il Layout 2D o 3D, in cui ATMOS disegna su un piano bidimensionale o tridimensionale la struttura, il numero degli elementi ottici in forma lineare o solida, il percorso seguito da una quantità variabile di raggi luminosi all’interno dello schema stesso.

Nel menu (Telescope Predesign) sono contenuti una serie di quadri preimpostati relativi a molte delle principali configurazioni ottiche per uso astronomico: riflettore Newton, riflettori a due specchi Cassegrain, Gregory e Coudé-Schwarzschild, Camera Schmidt e Wright ad uno specchio, Catadiottrici Schmidt Cassegrain in versione compatta con ottiche sferiche e asferiche e in versione non compatta o monocentrica, Maksutov ad uno specchio e Maksutov Cassegrain a due specchi, Lurie Houghton ad uno specchio sferico o asferico e Houghton Cassegrain, ed infine gli obiettivi a rifrazione doppietti e tripletti, acromatici e apocromatici.

Catadiottrico Schmidt Cassegrain
Schema preimpostato di un Catadiottrico Schmidt Cassegrain

Per ogni sistema  prescelto ATMOS offre lo schema della combinazione ottica con alcuni importanti parametri geometrici e le distanze degli elementi ottici. Si richiede l’inserimento di specifici dati come la lunghezza focale effettiva, il diametro dell’eventuale correttore, la distanza dal vertice del primario al piano focale, il diametro lineare del campo non vignettato che si desidera, le lunghezze d’onda selezionate, il tipo di vetro ( con relativa automatica determinazione dell’indice di rifrazione), lo spessore dell’eventuale correttore, la posizione della zona neutra.

Dopo aver fornito queste indicazioni tecniche ATMOS provvede a calcolare il raggio di curvatura del primario, del secondario e del correttore, la distanza primario-secondario, il diametro del primario e del secondario, l’ingrandimento di quest’ultimo, soprattutto nei sistemi Cassegrain, la B.F.L., la percentuale di ostruzione lineare, il rapporto focale, la distanza primario-correttore nei sistemi catadiottrici, la potenza del correttore.
Completano gli strumenti a disposizione del progettista i diagrammi dei vetri ottici, una serie di grafici contenuti in un apposito menu (Glass Diagram) relativi alle caratteristiche di un gran quantità di vetri prodotti da Schott, Ohara, Corning e Hoya. Di essi si prendono in considerazione gli indici di rifrazione e i valori della dispersione cromatica (numeri di Abbe). I primi sono dati per le linee d (a 587,56 nm) ed e (a 546,07 nm), mentre i secondi si ottengono dalla differenza tra gli indici di rifrazione per le linee F (a 486,13 nm) e C (a 656,27 nm) e per le linee F1 (a 479.99 nm) e C1 ( a 643,85 nm) rispettivamente. I vetri sono selezionabili sia puntando il  mouse all’interno dei suddetti grafici, sia da apposite tabelle comprendenti i cataloghi dei prodotti con la specificazione degli indici di rifrazione per tutte le principali linee e lunghezze d’onda spettrali, i numeri di Abbe ed i valori di dispersione relativa parziale.

Il lavoro progettuale non può dirsi concluso se non è rifinito con l’ottimizzazione del sistema ottico. Questo processo, che troviamo trattato in ATMOS nel menu (Tools- Optimization), richiede una valutazione complessiva dell’esattezza dei metodi via via applicati, per giungere attraverso varie iterazioni alle migliori prestazioni. Naturalmente il software deve essere in grado di identificare questo obiettivo finale, deve, cioè, disporre di una misura di qualità che viene chiamata anche funzione di merito o funzione di errore. Nel caso di un sistema ottico perfetto il suo valore sarebbe pari a zero, ma la presenza di aberrazioni residue aumentano sempre i valori reali. Per mezzo dell’ottimizzazione il progettista cerca di ridurre il valore della funzione di merito il più possibile, approssimandola a zero, agendo su tutti i parametri ottici, parassiali, gaussiani, meccanici, nonché sulle aberrazioni che incidono sulla definizione e distorsione dell’immagine. I singoli elementi della funzione di merito sono detti operandi di ottimizzazione, in pratica delle funzioni di raggi, fronti d’onda o altre proprietà costruttive dell’obiettivo sui quali si desidera intervenire. Il controllo sugli operandi viene effettuato con il metodo dei minimi quadrati, il quale permette di regolare i parametri ottici in modo che la somma dei quadrati pesati degli errori rilevati per tutti gli operandi nella funzione di merito sia la più piccola possibile.

Sempre in (Tools) troviamo le funzioni (Best Focus) che fornisce la posizione del punto focale ove l’immagine è più corretta sull’asse ottico R.M.S. e a pieno campo in luce mono e policromatica; (Scale factor) e (New Focal Lenght) necessarie per calcolare un nuovo sistema ottico del quale si è semplicemente ridotta la scala o variata la focale; (Sagitta Table) (Element Volume) per avere i dati della sagitta e di volume del sistema ottico; (Aberrations Allowances) per disporre dei dati numerici riferiti alle tolleranze di aberrazione, assumendo come parametro di riferimento il limite di Rayleigh del quarto d’onda; (System Data Report), il riassunto finale tabulare dei dati ottenuti.

ATMOS è, dunque, un software di Optical Design molto completo e indispensabile per i progettisti di ottica ma che non mancherà di entusiasmare anche gli astrofili, gli autocostruttori e gli appassionati  di telescopi ed altri accessori ottici, che desiderino comprendere a fondo il funzionamento dei loro semplici e meravigliosi strumenti e migliorarne le prestazioni. Unici nei rilevati nella versione 7.0 sono la mancanza di un manuale o di un help in linea più ricco di informazioni e spiegazioni delle varie funzioni, alcune delle quali potrebbero risultare di non facile comprensione e applicazione, nonché della possibilità di salvare i quadri di lavoro nei più comuni formati grafici.

bottariClaudio Bottari, di formazione giuridico umanistica, imprenditore, coltiva i suoi particolari interressi astronomici nei campi della strumentazione ottica e dell’imaging digitale. Si occupa di ricerca di supernovae (sua è la scoperta della SN 1996 ai in NGC 5005) e di asteroidi N.E.O.

Psyche e Parthenope

Somma di 10 immagini
Somma di 10 immagini
Tempo di lettura: 2 minuti

Ecco le immagini pervenuteci in Redazione: sono il risultato delle riprese dai lettori di Coelum Giulio Cherini di Trieste, Roberto pellin di Monastier (TV), Gianluca Zenier di Basiliano (UD), Tito Bruno di Imperia e Elisabetta e Gerardo Sbarufatti di Caselle Landi (LO), che seguendo il suggerimento di Talib Kadori della rubrica “Gli asteroidi” (Coelum n° 92 di Febbraio 2006), non hanno perso l’occasione di immortalare la favolosa congiunzione degli asteroidi PsycheParthenope.

Psyche e Parthenope: Congiunzione – di Giulio Cherini

Congiunzione

Tecnica di Ripresa
Per registrare la loro congiunzione, essendo questi asteroidi molto luminosi sono state sufficienti pose molto brevi (pose di 10 secondi). Infine ho allineato quattro immagini ed ho tracciato con una linea i rispettivi percorsi indicando le date e l’ora civile della ripresa.
Strumentazione utilizzata:
Rifrattore APO 13 cm
CCD SXV-H9 risoluzione 1.54“ per pixel
Parthenope e Psyche – di Roberto Pellin

Somma di 10 immagini

Tecnica di Ripresa
Fotografie scattate la sera del 5 e 7 febbraio alle ore 20:30 Somma di 10 immagini da 10 secondi l’una di esposizione.
Strumentazione
Canon Eos 350 D su riflettore Newton 800 F4.
Psyche e Parthenopee 3 Febbraio 2006 ore 23:40 – di Gianluca Zanier

3 Febbraio 2006 ore 23:40

Tecnica di Ripresa
Somma di 7 foto da 30 s a 800 ISO. Ripresa del 3 Febbraio 2006 ore 23:40.
Preprocessing ed elaborazione Iris software
Strumentazione
Canon EOS300d al fuoco diretto di un Celestron 8
Località
Basiliano UDINE
Psyche e Parthenope: sequenza dell’incontro – di Tito Bruno

Sequenza dell’incontro

Tecnica di Ripresa
Riprese dell’evento a distanza di 40 min. una dall’altra a partire dalle 20.10 del 04/02/06. Riprese da 1 min. ciascuna.
Strumentazione
Telescopio C11 a F/4.7 e CCD MX716 con filtri IR Cut e SkyGlow per attenuare il chiarore lunare.
11 Parthenope e 16 Psyche: congiunzione – di Elisabetta e Gerardo Sbarufatti

Congiunzione

data 	 	ora TU
02-02-2006	19:42
03-02-2006	20:10
04-02-2006	20:22
05-02-2006	20:11
06-02-2006	22:18

Tecnica di Ripresa
Media di 12 pose da 30 secondi ciascuna
Strumentazione
Telescopio Celestron 8 + riduttore-correttore Celestron f/6,3

CCD Starlight-Xpress SXR
Località:
Caselle Landi

Recensione: “Il Calendario e l’Orologio” – Piero Tempesti

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libro
Tempo di lettura: 3 minuti

È con grande diletto che leggo quest’ultima fatica di uno dei grandi “vecchi” dell’astronomia italiana che quest’anno compirà 90 anni, splendidamente portati.
Il prof. Tempesti è sempre stato un appassionato e brillante divulgatore, chiarissimo ed incisivo. Gli amatori di astronomia nostrani, quelli che, in particolare, hanno svolto o tuttora svolgono serie osservazioni di fotometria stellare, sanno bene di avere un forte debito di riconoscenza nei suoi confronti.
In questo suo nuovo lavoro sono molte le cose che mi hanno colpito e stimolato, perché tra di esse diverse fanno leva sulla mia mai sopita passione per la storia dell’astronomia. E, dobbiamo dire, che di storia della nostra disciplina il libro è letteralmente, felicemente, intriso. Piacevolissime le pagine dedicate alla “Storia del calendario” (capitolo 2), una vasta rassegna che parte dagli antichissimi calendari medio-orientali e giunge fino alla riforma gregoriana. Il tutto raccontato con entusiasmo, estrema competenza ed un linguaggio da grande divulgatore.
Confesso, però, di aver particolarmente apprezzato, per motivi meramente utilitaristici, il capitolo 3, “Le ore e l’orologio attraverso i secoli”. Infatti, qualche tempo fa, in occasione di una mia piccola ricerca sulla grande meridiana di Cassini in S. Petronio a Bologna (si veda Coelum n. 82, pp. 74-78) mi sono imbattuto o per meglio dire, scontrato, con quella autentica babele costituita dalla misura del tempo in Europa prima della rivoluzione francese. Un modo particolare di dividere le ore del giorno è infatti direttamente tracciato sulla meridiana cassiniana, ed è indicato con i termini “ore italiche”, il cui utilizzo non è di immediata comprensione. La documentazione moderna esistente sull’argomento (intendo dire quella più facilmente accessibile al non specialista) delle ore uguali e di quelle temporarie, è piuttosto abborracciata e qualitativamente insoddisfacente. Finalmente, nel libro di Tempesti, ne ho trovato una spiegazione, approfondita in poche pagine, veramente intuitiva ed esauriente.
L’altra parte del libro che ho letto con particolare attenzione è nel capitolo 4, “Il problema della Pasqua”. Determinare la data della Pasqua, quella cioè della principale solennità cristiana, ha costituito, per oltre un millennio, un formidabile problema astronomico. Tempesti racconta dettagliatamente come si è giunti a calcolarla con precisione, a partire dal Concilio di Nicea del 325, durante il quale fu stabilito che essa si sarebbe dovuta celebrare la prima domenica che segue il primo plenilunio dopo l’equinozio di primavera. Detta così può sembrare un problema già risolto in partenza, ma come ben sa chi si occupa dell’argomento, nei calcoli entrano in ballo alcune grandezze astronomiche, splendidamente spiegate nel libro, che li complicano assai. Il capitolo merita una lettura attenta perché solo così si possono apprezzare e comprendere fino in fondo i problemi celesti che furono risolti dagli astronomi per determinare, senza errori, la data di questa fondamentale festa cristiana.
Infine, segnalo come d’indispensabile lettura l’Appendice A che tratta del tempo siderale e universale, una concisa trattazione di eccezionale utilità per gli astronomi amatori che spesso si trovano a trafficare con il tempo delle stelle, tempo medio, ecc., senza avere ben chiaro a cosa servano e come si calcolano.
Inutile dire che il libro mi è veramente piaciuto e mentre lo leggevo, mi sono reso conto che questo lavoro di Tempesti non è solamente un libro di divulgazione ma anche un ottimo testo didattico che racchiude un’insieme straordinario di conoscenze (nell’ambito della storia, dell’astronomia, della fisica, ecc.) con un’alta valenza didattica. In sostanza, potrebbe certamente essere utilizzato per lo svolgimento di un progetto didattico multidisciplinare di elevato contenuto cognitivo.
La lettura è consigliata a tutti coloro che coltivano interessi culturali profondi, non solo a livello astronomico, ma anche storico, filosofico e religioso.

Il Calendario e l’Orologio
Piero Tempesti
Gremese Editore 2006.
formato 17 x 21 cm
pp. 192
Prezzo di copertina: 18,00 euro
Prezzo Scontato per il Lettori di Coelum
ISBN: 8884404460

Fai la Mossa Giusta

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Tempo di lettura: 15 minuti

Beh, è inevitabile: è da quando è iniziata questa rubrica che continuiamo a inviare e ricevere messaggi, a scambiare disegnini e metodi elementari di calcolo, ad attraversare deserti e pianeti acquatici nella speranza di incontrarli. Quindi, tanto vale toglierci il dente: prima o poi, con qualche strana razza di Alieni finiremo davvero con l’entrare in contatto, e non ci resta che sperare che questa possa essere fonte di problemi interessanti (almeno per noi: non ci sentiamo di accomunare in questo aggettivo gli omini verdi coinvolti nell’incontro). Come ebbe a dire Theodore Sturgeon (in “Sotto il segno di Marte”), la convinzione che la nostra visione dei rapporti sociali sia universalmente valida porta ad una veloce quanto dolorosa disillusione; non è affatto detto che quelli che noi consideriamo comportamenti “corretti” siano considerati tali anche dalle popolazioni aliene.

E infatti una serie quasi infinita di problemi si basano sul fatto che alcuni “Aliens” (nel senso più britannico del termine, che non a caso sembra giocosamente oscillare tra il significato di “straniero” e quello di “alienato”) siano divisi in due categorie, una delle quali dice sempre la verità mentre l’altra è razza spudoratamente bugiarda che mente in ogni occasione. Nulla ci esime dal pensare che le popolazioni aliene possano davvero considerare valide entrambe queste visioni del mondo: come ebbe a dire uno dei padri fondatori della logica, un canale di trasmissione che sbaglia sempre è un canale perfetto: basta prendere il contrario di quello che dice e non occorre nessun codice di controllo.

Il più semplice di questi problemi, presumibilmente già noto a tutta la popolazione terrestre, è quello dell’incontro dell’esploratore con due alieni, dei quali l’unica cosa che si sa è che sono di razze diverse: uno di loro è un mentitore, mentre l’altro è un veritiero; ma il povero esploratore non è in grado di distinguerne la natura. Il nostro eroe è davvero interessato a sapere se gli indigeni sono pacifici o se invece stanno già affilando le scimitarre laser, e il rischio fatale per l’esploratore è proprio quello di scoprirlo nel peggiore dei modi, lasciando che la propria carotide incontri il filo della lama aliena. Poiché questa è rubrica di quesiti logici e non di fan di Freddy Krueger, all’esploratore è concesso il tempo di porre ad uno di loro una sola domanda:.che domanda dovrebbe fare?

Dennis Sciama, celebre cosmologo di Cambridge, sviluppò un’interessante variazione: il nostro esploratore sa che “Pish” e “Tush” sono i termini equivalenti per gli alieni dei nostri “Si” e “No”, ma il nostro eroe (come al solito) non ricorda se “Pish” voglia dire “Sì” o “No”; mettendovi nelle stesse condizioni dell’esploratore di cui sopra, che domanda fate, in questo caso?

I problemi di questo tipo sembrano ragionevolmente semplici, ma è possibile crearne di decisamente complicati: ad esempio, immaginate di trovarvi di fronte a cinque alieni (tutti pacifici, questa volta) dei quali sapete con certezza che uno (ma non sapete quale) è un mentitore mentre tutti gli altri appartengono ad una stranissima razza che alterna regolarmente verità a menzogna: vi sono concesse ben due domande per stabilire chi sia il veritiero; che domande fate, in questo caso?

Il problema di questo tipo più complicato in assoluto (almeno tra quelli che conosciamo noi), prevede la presenza di ben dieci alieni, di cui sappiamo che cinque sono veritieri e cinque menzogneri. E’ curiosamente ambientato alle propaggini di un sistema solare dotato di tre pianeti di cui uno solo dei tre è abitato. I dieci alieni sono stati accolti nella nostra dorata astronave alla stregua di naufraghi alla deriva nello spazio, ed è ora nostra intenzione chiedere loro quale sia il pianeta abitato del sistema. La cosa sorprendente è che solo cinque sanno da quale pianeta arrivano: gli altri vivono in beata ignoranza di questo dato fondamentale. In compenso, ciascuno di loro sa bene a quale categoria (bugiarda o veritiera) appartengano gli altri. I nostri dieci amici alieni si mettono ordinatamente in fila e, uno alla volta, rilasciano le seguenti dichiarazioni, a voce sufficientemente alta da farsi sentire dal successivo compagno nella fila:

1: “Veniamo dal primo pianeta”
2: “Veniamo dal terzo pianeta”
3: “Non veniamo dal secondo pianeta”
4: “Veniamo dal terzo pianeta”
5: “Non veniamo dal terzo pianeta”
6: Veniamo dal terzo pianeta”
7: “Non veniamo dal terzo pianeta”
8: “Veniamo dal primo pianeta”
9: “Veniamo dal secondo pianeta”
10: “Non veniamo dal primo pianeta”

E, in questo caso, la domanda è: verso quale pianeta vi dirigete?

Certo, supponendo che alla fin fine si voglia proprio atterrare sul loro pianeta… Ma siamo sicuri di voler incontrare gente del genere?

Nel quesito del numero scorso non vi abbiamo chiesto di esprimere le distanze in chilometri anzichè in drevenet perché non era possibile ricavarlo: eguagliando la formula della superficie della sfera con quella del volume si riesce soltanto a capire che un drevenet vale 1/3 del raggio del pianeta.

Per quanto riguarda il resto, definiamo 0.5 drevenet come 1 “unità”: si avrà allora che con un pieno si percorre 1 unità, con 2 pieni se ne percorrono 1+1/3, con 3 pieni 1+1/3+1/5…

In generale, con n pieni si percorreranno

unità; e poiché la serie è divergente, in teoria è percorribile una distanza infinita. Nel nostro caso specifico, dopo aver percorso una distanza di 1+1/3+1/5 unità ci resta da percorrere soltanto 1/15 di unità: alla fine si consumeranno 3.466… pieni di carburante, in 16 viaggi e in totale si percorreranno 1.733 drevenet.
La circumnavigazione del mondo d’acqua si può effettuare con tre VESPA; il sistema prevede che si effettuino dei “rabbocchi volanti” a 1/8 e 2/8 di equatore, perché in tal modo uno dei VESPA riesce ad arrivare sino a 6/8, mentre gli altri riescono sia a tornare alla base che a ripartire versol’altra parte; dell’equatore, ripetendo al contrario lo schema iniziale, con un consumo totale di sei pieni.

Susanna Nembri ha brillantemente risolto il problema della circumnavigazione planetaria, così come Massimo Andreolli; Massimo tenta anche la soluzione dell’attraversamento del deserto, anche se il suo risultato di 30 passi non è ottimale; in compenso, è stato l’unico ad accorgersi del problema “nascosto” di quanto fosse lungo un drevenet.

Un bel numero di solutori ha risolto i problemi di Dreven e Verten; Susanna Nembri ha ben circumnavigato, Massimo Andreoli anche, e in più ha attraversato il deserto, risolvendo anche la relazione tra raggio del pianeta e drevenet; Paolo Schiavone ha nuovamente mostrato la sua magistrale abilità, e anche Fabiano Limonio non si è lasciato spaventare dall’oceano e dalle dune. Anche se la menzione speciale del mese va a Valerio Pecoraro, che non solo risolve, ma riconosce perfino la mano nascosta di Alcuino da York in questo quesito e latinamente ce lo racconta, la Redazione decide di premiare la bella soluzione di Daniela Savoini, che con ferrea levità ha coniugato logica e carta, calcoli e disegni. A lei va l’abbonamento semestrale a COELUM, a tutti gli altri un po’ di gloria nella sezione “Soluzioni” del sito, dove avranno più spazio di quanto è possibile dar loro in queste poche righe.

GLOSSARIO – Alcuni termini utilizzati in astronomia digitale

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ADU, (Analog to Digital Unit, Unità da analogico a digitale) – In un’immagine digitale, esprime l’unità di misura del numero di elettroni presenti in un fotoelemento del sensore. Il convertitore analogico/digitale A/D della fotocamera (tradizionale o CMOS) converte il segnale analogico, prodotto gli elettroni immagazzinati nei singoli pixel del sensore, nei valori ADU.

Bias – E’ il rumore generato dalla fotocamera durante un’esposizione di durata uguale a zero. Ha origine dall’elettronica di gestione della fotocamera che tiene in un continuo stato di carica il sensore per far sì che i fotoni possano essere convertiti in elettroni.

Blooming – Il numero di elettroni contenuto nei pixel di un sensore è limitato (si veda la voce full well capacity). Quando questo numero massimo è superato, gli elettroni liberati fluiscono all’esterno del pixel e invadono quelli adiacenti sulla stessa colonna, formando la ben nota strisciata di luce che può invadere l’intera colonna. Il blooming può essere ridotto con opportuni accorgimenti. Ad esempio, intorno ad un pixel si dispongono dei particolari “contatti” elettrici che hanno il compito di raccogliere gli elettroni in eccesso scaricandoli a massa. Questo accorgimento, però –come si legge nel testo dell’articolo- limita il range di linearità del sensore, riducendone le prestazioni fotometriche.

Charge Transfer Efficiency – (CTE, efficienza del trasferimento di carica). Durante la lettura del sensore, è la percentuale degli elettroni trasferiti da un pixel a quello adiacente.

Dark Current (corrente di buio) – E’ costituita dagli elettroni emessi dal sensore anche in totale assenza di luce. E’ prodotta dall’agitazione termica degli atomi di silicio ed è espressa in elettroni al secondo ad una determinata temperatura. La corrente di buio, che aumenta man mano che cresce la temperatura del sensore, si misura attraverso un’esposizione ad otturatore chiuso. In realtà, il dark frame così ottenuto è costituito dalla somma del bias, del rumore termico e del rumore elettronico.

Deviazione standard – (σ). E’ un indice di variabilità, definito come la radice quadrata della media aritmetica dei quadrati degli scarti dei valori osservati rispetto alla media.

Dinamica – E’ il rapporto tra il segnale effettivamente raggiungibile ed il rumore corrispondente. Per gamma dinamica di un sensore si intende la sua intrinseca capacità di discernere differenti livelli di intensità luminosa in una immagine. Tradizionalmente si esprime in decibel, anche se spesso si preferisce rappresentarla come un rapporto semplice.

Efficienza quantica – (QE). Esprime il rapporto tra il numero di fotoni incidenti sul sensore e quelli che generano elettroni all’interno dei pixel. L’efficienza quantica varia con la lunghezza d’onda dei fotoni incidenti.

Flat field – (letteralmente: campo piatto). E’ l’immagine di un oggetto uniformemente illuminato nella quale appaiono tutti i difetti fotometrici prodotti dal sistema ottico e dal sensore (polvere, vignettatura, differenze di sensibilità dei fotoelementi, ecc.). Per correggere l’immagine astronomica la si divide matematicamente, pixel per pixel, per quella di flat field.

Full Well Capacity – (FWC, capacità di contenimento). E’ la capacità massima di contenimento di ogni fotoelemento del sensore, espressa in elettroni. In buona misura dipende dalle dimensioni del fotoelemento. Una grande FWC corrisponde ad un intervallo dinamico maggiore che consente di riprendere immagini con grandi differenze di luminosità.

FWHM – (Full Width at Half Maximum). E’ il diametro di una stella misurato a metà del valore di picco della sua luminosità

Guadagno (gain): Il guadagno fissa il rapporto tra il numero di elettroni contenuti nel fotoelemento ed il valore numerico che misura questa quantità all’uscita del convertitore analogico/digitale A/D. Si misura in e-/ADU.

Istogramma: Grafico in cui i pixel sono raggruppati per valore.

Rapporto segnale/rumore – (S/N ratio). E’ un indice della qualità dell’immagine. Rappresenta il rapporto tra il segnale misurato e la sua variabilità dal punto di vista statistico ed ha un’importanza fondamentale in quanto, con un unico valore numerico, fornisce un indice di qualità di un’immagine digitale.

Readout Noise – (RON, rumore di lettura). E’ il rumore introdotto dall’elettronica quando scarica il sensore e procede alla conversione del segnale A/D; si esprime in e-/pixel. La deviazione standard σ, calcolata sull’insieme dei fotoelementi di un’immagine di bias, è una misura del valore del RON.

Rumore – Il rumore in una fotocamera, CCD o CMOS, è una sorta di segnale casuale, del tutto imprevedibile che, in certi casi, può però essere determinato con metodi statistici.

Il Deserto di Dreven

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Inutile negarlo: eravamo convinti che l’idea di farvi interpretare l’augusto ruolo di un potente Ambasciatore Galattico vi sarebbe piaciuta molto, ma a giudicare dalle risposte ricevute dobbiamo proprio ricrederci. Così siamo ancora qui, a domandarci se il magro esito del quiz del mese scorso dipenda da un’innata antipatia nei confronti della diplomazia o da un’assoluta idiosincrasia nei riguardi del calcolo delle probabilità. In ogni caso, ci sembra di capire che la vostra visione del resto dell’universo sia maggiormente solleticata dall’epica visione di un’avventurosa esplorazione piuttosto che da una burocratica nnessione politica. Anche se il nostro spirito eternamente adolescenziale è pienamente d’accordo con voi, la nostra noiosa razionalità tende a ricordarvi che di solito gli ambasciatori lasciano questa valle di lacrime in veneranda età e dopo vita agiata e densa di soddisfazioni, mentre per gli avventurosi esploratori il motivo della dipartita è quasi sempre catalogato sotto la voce “incidente sul lavoro”, e le due date incise sulle lapidi sono quasi sempre vicine in modo preoccupante.
E’ anche vero che esistono intere discipline dedicate al tentativo di ridurre questi “incidenti sul lavoro”, e quasi tutte queste novelle scienze pongono particolare attenzione al concetto di “pianificazione”; non di meno, in alcuni casi la pianificazione sembra essere decisamente complessa. Un problema classico in questo campo è quello dell’attraversamento del deserto. La matematica necessaria alla sua risoluzione è assolutamente elementare: quel che serve in casi come questi è soprattutto una sana mentalità organizzativa.
Supponiamo allora di essere atterrati su Dreven, pianeta da poco colonizzato dove risiede un’amichevole razza di indigeni con la quale siamo riusciti ad entrare in comunicazione. L’atterraggio è avvenuto ai bordi di un deserto di dimensioni considerevoli: gli autoctoni (che non hanno generato una civiltà tecnologica, ma che sono tutt’altro che sprovveduti: sono creature prevalentemente contemplative) ci hanno infatti detto che è largo 0,8 “drevenet”. Il drevenet è una loro misura di lunghezza, e il significato letterale della parola potrebbe tradursi con “planetario”. I nostri indigeni contemplativi l’hanno scelta in modo tale che la superficie del pianeta, espressa in “planetari quadrati”, sia esattamente uguale al volume dello stesso espresso in “planetari cubici”. Beh, drevenet o planetari che dir si voglia, non ci abbiamo davvero messo molto a capire che 0,8 drevenet di deserto non sono affatto uno scherzo, anche perché l’autonomia dei nostri VOLPE (Veicoli d’Ordinanza della Legione Pianeti Extrasolari: dei grossi camion, in pratica) è di mezzo drevenet esatto.
I VOLPE non possono trasportare carburante oltre a quello che trova spazio nell’apposito serbatoio. E’ però possibile “estrarne” una parte e lasciarla, accuratamente protetta, lungo la strada del deserto, creando così dei depositi intermedi. L’obiettivo è quello di raggiungere la nostra seconda base dall’altra parte del deserto (anche arrivando a serbatoio completamente asciutto), per consegnare posta e rifornimenti. Come organizzate la sequenza dei depositi per attraversare il deserto nel minor tempo possibile? E quanti drevenet percorrerete, in totale? (Per favore, mandateci la soluzione espressa in chilometri, se potete: anche se Dreven ha le stesse identiche dimensioni di Marte, noi facciamo sempre fatica a cambiare unità di misura…)
Mentre stavamo pianificando la traversata del deserto, il vecchio sergente si è messo a ricordare del problema analogo affrontato su Verten, un pianeta totalmente coperto dalle acque. In quel caso la missione era di natura scientifica, e occorreva fare l’intero giro intero del pianeta (sorvolandone per intero l’equatore) per becere misurazioni astronomiche. Naturalmente, quella missione era equipaggiata non con dei VOLPE, ma con dei VESPA (Velivoli per l’Esplorazione Stanziale dei Pianeti Acquatici)
Ne avevano a disposizione un buon numero ma, come sempre, c’erano delle limitazioni logistiche mica da poco. I VESPA sono infatti in grado di decollare e di atterrare solo da una piattaforma apposita (e ne avevano sistemata una sola su quel pianeta, proprio sull’equatore) e, anche se sono in grado di effettuare il rifornimento in volo, la capacità del loro serbatoio è tale da permettere di effettuare solo metà del giro del pianeta: senza rifornimenti, arrivati agli antipodi della piattaforma si sarebbero ritrovati a secco.
Il sergente rideva come un matto, nel raccontare la storia, perché i VESPA costano quanto un motore gravitazionale, e ciononostante ci fu chi propose un metodo che prevedeva di far schiantare in mare alcuni VESPA pur di far completare il giro del pianeta ad uno di essi. Ci volle un po’, per convincere il comandante della missione che non era necessario sacrificare alcun velivolo. Avete un’idea di come ci siano riusciti?

L’astronomia e l’ottica di Leonardo da Vinci

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camera oscura
Camera Oscura
Tempo di lettura: 20 minuti

Ma quella [scienzia] delle linee visuali ha

partorito la scienzia dell’astronomia, la

quale è semplice prospettiva, perché son

tutte linee visuali e piramidi tagliate.

Leonardo, Libro di Pittura.

Per vedere la natura delli pianeti apri il tetto…

Codice Arundel, f. 279v

LEONARDO E IL BIASIMO DEI CONTEMPORANEI COLTI

Leonardo, l’uomo delle chimere.

Così lo definiva, con scarsa benevolenza, il raffinatissimo letterato Baldassarre Castiglione (1478-1529) nel Libro del cortigiano (1528): “Un altro dei primi pittori del mondo sprezza quell’arte dove è rarissimo, ed èssi posto ad imparar filosofia; nella quale ha così strani concetti e nove chimere, che esso con tutta la sua pittura non sapria dipingerle”.

D’altro canto, uno studioso moderno, L.M. Barkin, annota acutamente: “il Rinascimento si osservava in Leonardo, come in uno specchio, riconoscendosi e non riconoscendosi, restando ammirato ed infastidito”.

Questo ambiguo atteggiamento faceva sì che Leonardo godesse dell’incondizionata ammirazione di principi e re ma, allo stesso tempo, fosse oggetto del biasimo degli uomini di cultura suoi contemporanei. Le sue molteplici e, a volte, incomprensibili ricerche “filosofiche”, attraverso le quali avidamente indagava con stupefacente acutezza, e in totale solitudine, in ogni recesso dello scibile umano, sembravano fatte apposta per sollevare dubbi e recriminazioni.

La disapprovazione si esprimeva con parole simili a queste di Pietro da Novellara in una lettera ad Isabella d’Este, marchesa di Mantova e protettrice delle arti: “la vita di Leonardo è varia et indeterminata forte sì che par vivere a giornata […] dà opra forte alla geometria, impazientissimo al pennello”.

Ma che cosa gli veniva rimproverato?

Il noto studioso André Chastel sostenne la tesi che in Italia, e particolarmente alla corte papale, agli inizi del Cinquecento, la “[sua] capacità speculativa e [la sua] versatilità, risultavano insopportabili”.

Da buon francese, Chastel ci fa presentire che solo la superiore sensibilità di un re francese, Francesco I, poteva apprezzare la vastità di quel genio capace di affascinare e conquistare i sovrani più raffinati ed illuminati. Quello stesso genio così insensibilmente vilipeso dalle italiche genti.

In realtà Leonardo era un personaggio fuori e al disopra dei canoni intellettuali e culturali del tempo. Non si era mai visto nessuno prima di lui (“omo sanza lettere”, come, celiando, amava definirsi, riprendendo alla lettera le parole di Cicerone: homo sine ingeniis, sine litteris) capace di spaziare, con una profondità analitica sbalorditiva, dall’arte alla tecnologia, dagli arditi studi architettonici all’anatomia, dalla minuziosa analisi del volo degli uccelli ai tentativi di comprendere i meccanismi della visione.

Ciò che sconcertava i suoi contemporanei era il fatto che se si cercava l’artista ecco apparire d’incanto l’uomo di scienza. Quando si sarebbe voluto un pittore, ecco un architetto, uno scultore, un ingegnere, il disegnatore di scene teatrali, il progettista di giardini…

Ma, con buona pace di Chastel, ciò che più aveva colpito Francesco I era la sua straordinaria abilità di allestitore di scene teatrali e festaiole, ma anche quella di grande “affabulatore” e di inventore di rebus linguistici che rendevano tanto entusiasmanti le serate al castello sforzesco.

In Europa non si era infatti mai spento l’eco delle spettacolari feste di Lodovico il Moro (prima della sua rovinosa caduta), sapientemente realizzate dallo stesso Leonardo in ogni minimo dettaglio, dai costumi alle scene fino alla stesura delle pièce teatrali.

Recensione “La Terra nel Mirino”

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Copertina de La terra nel mirino
Copertina de La terra nel mirino
Tempo di lettura: 4 minuti

Asteroidi e probabilità di collisione – di Alessandro Manara

Copertina de La terra nel mirino

Fino a qualche decennio fa lo studio degli asteroidi era un settore dell’astronomia di limitato rilievo scientifico. La scoperta di asteroidi doppi e, soprattutto, la sempre maggior consapevolezza che questa categoria di oggetti costituisce il residuo non aggregato di antichissimo materiale risalente ai primordi del Sistema Solare, ha contribuito a rivalutarne l’importanza dal punto di vista cosmogonico. L’interesse per gli asteroidi è poi aumentato a dismisura quando è diventato drammaticamente evidente che un numero elevato di questi frammenti rocciosi, almeno un migliaio con un diametro superiore al chilometro, i NEA (Near Earth Asteroids), asteroidi che possono transitare in prossimità della Terra, è potenzialmente pericoloso per il nostro pianeta.
Un fatto curioso, e apparentemente inspiegabile, è che solo dagli anni ‘60-‘70 del secolo scorso si è comunemente accettato che gli impatti degli asteroidi possono aver avuto un ruolo importante sia nella storia della Terra che nel condizionare l’indirizzo della successiva evoluzione delle forme viventi che la popolano.
L’idea di possibili interazioni tra la Terra e corpi extraterrestri non è però nuova. Risale alla fine del Seicento, a seguito della pubblicazione degli studi di Newton sui parametri orbitali della grande cometa del 1680. Astronomi della levatura di David Gregory, professore ad Oxford agli inizi del Settecento, invitavano i filosofi naturali a non sottovalutare il pericolo per il nostro pianeta costituito dalle comete che ne intersecano l’orbita. Naturalmente, Gregory avrebbe detto lo stesso degli asteroidi se ne avesse intuito l’esistenza!
In pieno secolo dei Lumi, quando divennero note le complesse ricerche matematiche di Clairaut e Lagrange sulle perturbazioni che alterano le orbite cometarie, furono subito prospettati dei catastrofici scenari di impatti di nuclei cometari con la superficie terrestre. L’astronomo francese J.J. de Lalande provocò ad arte un’autentica ondata di panico collettivo quando annunciò pubblicamente che, sul lungo periodo, era alta la probabilità di una collisione cosmica.
La scoperta dei primi asteroidi nell’Ottocento, confinati tra le inaccessibili e sicure orbite di Marte e Giove, non risollevò, tra gli astronomi, l’inquietante interrogativo di un possibile rischio collisionale con il nostro pianeta.
Solo molto lentamente si è accettata l’idea che le comete ed i NEA possono costituire un autentico pericolo per il pianeta e per l’umanità. Nel mutare delle opinioni, non poco hanno contribuito eventi catastrofici che hanno come naturale spiegazione l’impatto di corpi extraterrestri. Infatti, non è più possibile ignorare eventi come quello di Tunguska del 1908, autentici campanelli d’allarme per l’umanità.
Molto si è scritto sul rischio costituito dagli asteroidi killer, troppo spesso però in modo eccessivamente sensazionalistico e fumoso.
Il piccolo libro di Alessandro Manara, per quarant’anni astronomo all’Osservatorio di Brera, affronta questo tema “caldo” con chiarezza e rigore scientifico e questo sicuramente costituisce il suo principale merito. Ma, a differenza di altri sull’argomento, non è un libro “facile”: va letto ed assimilato attraverso una lettura meditata.
L’Autore, nell’introduzione, avverte che “ho cercato di usare un linguaggio molto semplice evitando per quanto possibile il ricorso alla matematica anche se… così facendo, è sì possibile dare una descrizione di ciò che avviene, ma in molti casi rimane preclusa la possibilità di darne una spiegazione o dimostrazione”. Credo però che già descrivere, così come ha fatto Manara nel suo lavoro, sia un’operazione divulgativa assai efficace per un pubblico colto che, a differenza dello specialista, non ha la necessità di entrare nei dettagli matematici, bensì di formarsi un quadro d’insieme del “problema asteroidi” il più possibile esauriente e comprensibile.

I successivi due capitoli, con i quali si chiude l’opera, analizzano l’evoluzione nel tempo delle orbite, la probabilità di collisione, le fonti dell’errore di osservazione e, infine la previsione e la prevenzione.
In questa ultima sezione del lavoro, Manara cerca di dare una risposta alla cruciale domanda: “che cosa è possibile fare e che cosa si sta facendo per prevenire il rischio rappresentato dagli impatti di asteroidi?”.
In primo luogo, Manara sostiene che le possibilità attuali di una previsione “sicura” di una collisione con la Terra dipende dalla nostra capacità di scoprire tutti i NEA con diametro superiore al chilometro, quelli, in altre parole, che possono causare una catastrofe su scala globale. Forse l’obiettivo sarà raggiunto nei prossimi 10-20 anni e, da quel momento sarà possibile prevedere gli incontri ravvicinati con un anticipo di parecchi decenni. Secondo l’Autore, una volta individuato un asteroide (o anche una cometa) a rischio, a causa della natura caotica del loro moto, sarebbe più facile modificarne l’orbita piuttosto che tentare, drasticamente, di distruggerli.
È opportuno ripetere che il libro analizza il problema della possibilità di collisioni cosmiche da una prospettiva assai complessa. Ciò non toglie che la sua lettura è consigliata non solo agli astronomi e agli appassionati del cielo ma anche, e forse soprattutto, ai politici, perché è spesso dalle loro scelte che dipendono i destini dei popoli.
Una piena presa di coscienza dei politici di tutto il mondo dei rischi connessi agli asteroidi, può portare allo stanziamento di adeguate risorse per il loro studio e per l’individuazione dei mezzi più idonei per annullare il pericolo di catastrofi planetarie.

La Terra nel Mirino.
Asteroidi e probabilità di collisione.
di Alessandro Manara
Ed. Il Castello, 2003
Formato 17×24 cm, pp. 98
Prezzo 16,00 €

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Attenzione: Seti@Home fa BOINC!

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E’ giunta l’ora di passare a BOINC! Dal 15 Dicembre 2005 il Seti@Home Classic chiuderà definitivamente e non sarà più possibile utilizzare il vecchio client per l’elaborazione delle unità.

Indice

  • Introduzione
  • Come Funziona?
  • Le novità
  • Per essere operativi
  • L’interfaccia
  • boinc

    Domande, continue domande ed una incessante sete di risposte: questa la costante che ha caratterizzato l’essere umano fin dalla sua nascita e ne descrive l’essenza. Una delle domande più antiche, che risale alla prima volta che l’uomo ha alzato gli occhi al cielo, è: “Siamo soli nell’universo? Chissà se in uno di quei deboli puntini luminosi c’è qualcuno che si sta facendo la medesima domanda in questo momento…” Questa domanda è custodita nel nostro intimo e molti di noi non sanno come poter trovare una risposta.
    Grazie alla tecnologia oggi disponiamo di mezzi sufficienti per tentare di dare finalmente una risposta: proprio per questa ragione nacque il progetto SETI, ormai famoso e conosciuto in tutto il mondo. Il SETI, Search for Extraterrestrial Intelligence – Ricerca di Intelligenza Extraterrestre – è uno sforzo scientifico e tecnologico volto a determinare la presenza di civiltà intelligenti ed avanzate nell’universo. L’ipotesi di base è che tali civiltà sfruttino le onde radio per comunicare, esattamente come facciamo noi. Intercettando tali segnali si avrebbe quindi la conferma dell’esistenza di vita intelligente al di fuori della Terra.
    I moderni radiotelescopi presenti in ogni continente scandagliano incessantemente il cielo raccogliendo informazioni sottoforma di onde radio. Tutti i dati sono successivamente elaborati per determinare la presenza di informazioni razionali come, ad esempio nel caso del progetto SETI, segnali extraterrestri provenienti da una civiltà intelligente posta in un remoto sistema solare della nostra galassia.
    Oggi il programma continua con grande tenacia la ricerca grazie a finanziamenti privati, senza più alcun supporto dagli enti governativi. Ciò implica maggiori difficoltà nella gestione dei dati ricevuti dai radiotelescopi impiegati, dovute essenzialmente alla necessità di elaborare una enorme mole di dati senza adeguate infrastrutture a disposizione. Fortunatamente, grazie alla nuova frontiera di Internet, è stato possibile aprire una nuova strada, la via del calcolo distribuito.
    Molto brevemente, il calcolo distribuito consente di sfruttare la potenza di elaborazione di milioni di PC dislocati in tutto il pianeta creando virtualmente un colossale unico supercomputer dalla fantastica potenza computazionale impossibile da ricreare nemmeno con uno dei più recenti super-processori, presi singolarmente. In più il fatto veramente positivo è che il costo di tutta questa potenza è infinitesimo, dal momento che la richiesta di risorse ad ogni singolo computer è estremamente piccola, poichè sono le risorse che normalmente restano inutilizzate ad essere impiegate. All’università di Berkeley si sono subito intuite le potenzialità di tale forma di calcolo ed è stata così sviluppata la tecnologia necessaria a sfruttare queste capacità, inventando una procedura di suddivisione e distribuzione dei dati molto semplice ed efficace: i dati grezzi ricavati dai radiotelescopi vengono spezzettati in pacchetti e inviati tramite internet ai vari PC di tutto il mondo; ad elaborazione ultimata i dati vengono inviati nuovamente al centro di raccolta ed analisi. Nasce così a Berkeley il programma Seti@Home incaricato di gestire le elaborazioni ed i flussi di dati.
    Sono trascorsi ormai sette anni dall’avvio del sistema Seti@Home ed inevitabilmente in tutto questo tempo il panorama tecnologico ed informatico è profondamente mutato. In pochi anni l’informatica ha compiuto passi da gigante infrangendo e superando ampiamente, in termini di frequenza di calcolo, la barriera del gigahertz (1000 MHz). Anche Internet è notevolmente cambiata: se nel 1999 erano in pochi a disporre di “veloci” connessioni a 56Kbps, oggi invece sono le velocissime connessioni a banda larga ad essere ormai diffuse capillarmente, fornendo capacità di scambio dei dati inimmaginabili anche solo fino a pochi anni fa. Sono queste le ragioni che hanno spinto il team di programmazione dell’Università della California a Berkeley a realizzare BOINC (http://boinc.berkeley.edu/), il nuovo programma di calcolo distribuito che il 15 Dicembre 2005 sostituirà integralmente il vecchio client Seti@Home.
    E’importante notare che aderire ad un progetto di calcolo distribuito non comporta per noi alcun impegno vincolante: non ci sono quantità minime di dati da elaborare necessariamente né obblighi di alcun genere: il modo in cui si partecipa è del tutto personale, con i mezzi, il tempo e le risorse che si vogliono mettere a disposizione del mondo scientifico. Inoltre è possibile revocare l’adesione in qualsiasi momento senza dovere alcuna spiegazione.


    Recensione Planetario Software RedShift 5

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    Redshift
    Redshift
    Tempo di lettura: 3 minuti

    Redshift

    Arrivato ormai alla sua quinta versione, Redshift si vanta di essere “Il planetario software definitivo”, come recita la confezione, e francamente mi riesce difficile trovare qualche spunto per mettere in dubbio quest’ambiziosa affermazione, dato che l’imponente atlante stellare, completo di circa 20 milioni di stelle e corredato di 70 000 oggetti del cielo profondo, il dettagliato atlante planetario, il simulatore del Sistema Solare e i diversi “tools” di cui è dotato ne fanno un software astronomico di ampio respiro.
    L’installazione, durante la quale è stato richiesto l’inserimento di un codice di sicurezza e di una veloce registrazione da fare on-line, è stata semplice e veloce. La registrazione è necessaria per acquisire il diritto di scaricare gli aggiornamenti del programma e degli archivi di oggetti, direttamente dal sito del produttore, e per far funzionare il software senza che sia richiesto l’inserimento del CD originale sul lettore.
    Dopo essermi goduto la clip di presentazione del prodotto, sono stato finalmente introdotto alla simulazione della volta stellata, corredata da numerosi pannelli di controllo.
    La prima cosa da fare è impostare il proprio punto di osservazione, selezionandolo dalla lista delle città o inserendone manualmente le coordinate. Chi vuole, può situarsi in orbita o sulla superficie di uno qualsiasi dei corpi celesti, compresi comete ed asteroidi, o “imbarcarsi” su una qualche sonda spaziale per osservare l’aspetto del cielo da quella posizione privilegiata.
    La data, l’ora, il livello di zoom, la direzione verso la quale vogliamo osservare, tutti possono essere cambiati facendo uso dei rispettivi pannelli. Aumentando lo zoom agiremo anche sul numero di stelle visibili, simulando la visione del cielo con l’ausilio di strumenti ottici via via più potenti. Gli oggetti visualizzati possono altresì essere filtrati in base alla loro magnitudine, classe spettrale, distanza dal Sole, variabilità, ecc. L’archivio stellare è davvero completo e comprende anche i relativamente recenti cataloghi Hipparcos e Tycho, oltre all’ormai noto Hubble Guide Star. Per quanto riguarda gli oggetti del cielo profondo vi sono tutti i più comuni cataloghi, quali il Messier, l’NGC, l’IC, il PGC. Anche qui le possibilità di filtratura sono limitate solo dalla fantasia dell’utilizzatore e comprendono anche la classificazione delle galassie, quasar, sorgenti radio o X, e chi più ne ha più ne metta. Per molti oggetti è possibile visualizzarne un’immagine dell’aspetto fotografico, ed è possibile anche caricare altre immagini, provenienti da internet o fatte da voi.
    Ogni oggetto è identificabile per mezzo di un semplice click e l’aiuto di un pannello ci informa di tutti i dati che lo caratterizzano, compresi i grafici di visibilità che ne mostrano la posizione in configurazione altazimutale, cioè quella a noi più familiare, rispetto all’orizzonte. Per inciso, l’attivazione di questo pannello creava dei problemi sul mio personal, risolti brillantemente scaricando dal sito della Focus Multimedia l’ultima patch disponibile.

    Gli archivi includono circa 50 mila asteroidi e 1500 comete. La visualizzazione di quest’ultime può essere impostata per mostrarne l’aspetto, il corretto orientamento e la dimensione apparente della coda. È consigliabile aggiornare sovente via internet questi database, come quello dei satelliti artificiali così da garantirsi di disporre sempre dei dati orbitali più aggiornati e completi delle ultime scoperte effettuate.
    Molto utile si è rivelato lo “sky diary” che ci consente di cercare in un dato lasso di tempo eclissi di Sole o Luna, congiunzioni planetarie o stellari e altri fenomeni celesti.
    Mi sono poi goduto una bella visione dei pianeti giganti a 400 ingrandimenti, Saturno e Giove coi rispettivi satelliti. La simulazione è di buon livello e le formazioni superficiali sono ben rappresentate, con la nomenclatura delle formazioni morfologiche principali.

    Completano Redshift 5 una lunga serie di utilità, come il dizionario enciclopedico astronomico multilingue, che mostra i termini in inglese, francese e tedesco e le definizioni in inglese, una galleria fotografica, ulteriormente impinguabile dall’utente, una curiosa e ricchissima lista dei Guinness dell’astronomia (la più grande stella, la galassia più distante, ecc.). E ancora, un registratore di filmati, utile ad esempio per preparare presentazioni animate di eventi come eclissi o congiunzioni da mostrare al planetario o agli amici. Infine un esauriente help in linea utile per prendere dimestichezza con le molte funzionalità del programma.
    In definitiva, il mio giudizio su questo software è certamente positivo e lo ritengo consigliabile sia ai curiosi del cielo sia agli astronomi dilettanti più esperti che necessitino di uno strumento per pianificare le proprie nottate al telescopio o anche solo per divertirsi al computer quando le osservazioni non sono possibili. La precisione esibita dal software nel calcolo delle posizioni planetarie e stellari lo rendono adatto anche per la ricerca di eventi celesti particolari o la rivisitazione di fenomeni passati.

    Redshift 5 è proposto ad un prezzo piuttosto aggressivo (45 Euro), che certamente contribuirà ad accrescerne ulteriormente la sua popolarità, oltre a renderlo ancor più raccomandabile.

    Fermiamo anche questa!

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    Monte Mucrone
    Monte Mucrone
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    Monte Mucrone
    Monte Mucrone

    Dopo la vicenda dei faraglioni di Capri, ecco l’ennesimo politico che ci riprova, in una regione come il Piemonte la cui legge anti inquinamento luminoso, “pensata” da Paolo Soardo, consente opere di questo tipo. Come per il Pilone di Messina, l’Etna e i Faraglioni di Capri: si può tentare di fare qualcosa ?
    Giancarlo Gotta – Alessandria (ggotta@hotmail.com)

    Stralcio articolo La Stampa, 5 dicembre 2003

    Il Mucrone illuminato come il Cervino
    Due potenti riflettori renderanno visibile la vetta dalla pianura

    La Giunta Scanzio: «E’ IL NOSTRO DONO DI NATALE AI BIELLESI».
    L’inaugurazione la sera di martedì 23

    BIELLA. Il monte Mucrone illuminato come la torre Eiffel: è l’inatteso regalo di Natale che la giunta Scanzio ha pronto per i biellesi. La Provincia, accogliendo la proposta dell’associazione Alpina di Sordevolo e della società Pietro Micca, si è lanciata a capofitto nell’insolita impresa. Il fascio di luce bianca rischiarerà gli ultimi 300 metri della vetta, e sarà realizzato da due mega-proiettori da 20 kilowatt che saranno posizionati sui paravalanghe all’altezza dell’alpeggio Sette Fontane. La montagna illuminata sarà visibile a 20 chilometri di distanza: l’impianto, azionabile attraverso un cellulare, entrerà in funzione nelle vacanze natalizie dalle 21,30 all’1,30. Il costo totale è di 42 mila euro: la Provincia contribuirà con 20 mila euro, pari al 48% della spesa, mentre la rimanente cifra è stata raccolta dai due promotori. La cerimonia d’inaugurazione, con tanto di spettacolo pirotecnico, si svolgerà martedì 23 alle 21,30 al colle San Grato, dove si esibiranno le corali alpine e il gruppo «Quintarua». «L’iniziativa ha un’importanza turistica notevole, e nasce sull’onda di operazioni analoghe come quella del Cervino – ha spiegato il presidente della Provincia Orazio Scanzio – Abbiamo pensato di offrire all’intera comunità biellese un dono che non avesse scadenze temporali».

    Gli indirizzi per dare voce a chi desidera esprimere la propria opinione in merito all’ennesima esibizione di cattiva gestione economica e pessimo gusto da parte della pubblica amministrazione.

    Presidente della Provincia di Biella
    Dott. Orazio Scanzio
    Via Quintino Sella 12
    13900 Biella BI
    Fax 015/8480853
    uff_presid@provincia.biella.it

    Prefetto di Biella
    Via Italia 54
    13900 Biella BI
    Fax 015/3590432
    prefetto.biella@utgprefettura.it

    L’Ambasciatore Terrestre

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    Vi ricordate il romanzo “Galassia che vai”, di Eric Frank Russell? In un prossimo futuro, dopo l’invenzione della “Propulsione Blieder” (sulla quale non vengono forniti molti dettagli, per fortuna) l’umanità si precipita a colonizzare con ritmo esponenziale un mucchio di pianeti e, come in ogni funzione esponenziale che si rispetti, questi pianeti perdono rapidamente e senza troppi rimpianti i contatti con la Terra.

    In un futuro ulteriore, il Governo Terrestrre decide di riallacciare i contatti e manda una spedizione a vedere cosa sia successo: e di cose sembra ne siano successe molte, anche perchè i coloni hanno idee politiche e visioni del mondo decisamente diverse da quelle governative.
    Ricordo che, alla prima lettura, l’unica pecca che ero riuscito a trovare al romanzo era stata quella di limitarsi a tre pianeti. E ricordo anche il personaggio del Primo Ambasciatore (forse non si chiamava così, ma il concetto era quello). Aveva la possibilità di scegliere il pianeta sul quale risiedere e stabilire il Consolato Terrestre; però doveva tenere nella dovuta onsiderazione il fatto che si sarebbe trattato di una decisione immediata e definitiva: senza poter aspettare di vedere anche TUTTI i rimanenti prima di scegliere.
    Fermo restando che Russell disegna la figura del Primo Ambasciatore con tratti tali da farvi ardentemente sperare che non scelga il vostro pianeta, il problema che si pone a questo personaggio è piuttosto interessante. Cerchiamo di calarci nei poco confortevoli panni di colui che prima o poi dovrà prendere la decisione.
    Supponiamo che ci sia giunto (in triplice copia, chiaramente) l’ordine di guidare una spedizione che visiterà cento pianeti; noi, nel ruolo del Primo Ambasciatore, ogni volta che ne visitiamo uno possiamo dire “Sì!”, nel qual caso successivamente ad un discorso di accettazione dell’incarico trasferiremo lì armi e bagagli; oppure “No!”, e allora non rivedremo mai più quel pianeta (con indubbio sollievo degli indigeni).
    Che strategia dovremmo utilizzare, per massimizzare le probabilità di scegliere il pianeta migliore?
    L’idea è naturalmente quella di rifiutarne un certo numero e poi scegliere il primo che sia più bello di tutti i precedenti (sperando che ne arrivi uno), ma quello che vorremmo sapere è quanto vale quel “certo numero”. Sarebbe anche interessante sapere che probabilità abbiamo, con la strategia prescelta, di trovare proprio il pianeta migliore tra i cento da visitare. Se siete riusciti a rispondere alle domande precedenti, potreste pensare a qualche generalizzazione: ad esempio, èabbastanza probabile che entro breve tempo il Primo Ambasciatore venga eliminato dagli indigeni (palesando così come la sua scelta non sia stata proprio delle migliori). Ed è anche abbastanza probabile che, visto il successo (da un punto di vista terrestre) della spedizione, il Governo decida di rimediare alla prossima sovrabbondanza di burocrati organizzando un nuovo identico tour.
    Il Primo Ambasciatore di questo secondo viaggio conosce la strategia applicata dal suo (non troppo) compianto collega della prima spedizione, e quindi sa che la semplice ripetizione del suo metodo non conduce a risultati particolarmente soddisfacenti (almeno per lui: gli indigeni sembra che si divertano moltissimo).
    Come gli suggerireste di cambiare la strategia di scelta?
    E c’è comunque il rischio che la storia si ripeta ancora: e se va avanti così, prima o poi tutti i burocrati dovranno studiarsi un metodo che tenga conto del fatto che tutte le scelte precedenti erano, per un verso o per l’altro, sbagliate. Come vi comportereste allora, in funzione del numero d’ordine della spedizione?

    La Luce è Vita e Progresso a proposito di inquinamento “LUMINOSO”

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    Nel numero 43 di Famiglia Cristiana, Antonino Zichichi ha espresso il proprio parere in tema d’inquinamento luminoso, con ragionamenti e affermazioni a dir poco singolari. I lettori potranno leggere qui sotto la trascrizione completa di quanto affermato dal fisico siciliano, e decidere in piena libertà sulla necessità o meno di indirizzare al direttore del settimanale Beppe del Colle le rimostranze per un messaggio che raggiungendo milioni di persone ha fortemente nuociuto all’immagine di quanto si sta costruendo per ovviare a questo problema. L’indirizzo e-mail è: famigliacristiana@stpauls.it

    L’industria che produce scaricando veleni nelle acque di un fiume va condannata per il delitto d’inquinamento. Se tutto diventa emergenza, crolla l’impegno per combattere le “emergenze planetarie”. Abusare del termine “inquinamento” porta ad abbassare la guardia contro i nemici del vivere civile. A tutti piacciono lo spettacolo di una notte stellata e il fascino di quella strana sorgente di luce – la Via Lattea – che per millenni si pensava fosse il riflesso della luce solare e che sappiamo invece essere una distesa sterminata di stelle come il nostro sole.

    Sarebbe segno di grande civiltà se si arrivasse, con una certa periodicità ad avere una notte senza luci artificiali, per avere a portata di mano lo spettacolo del cielo stellato e della Via Lattea. Le città spente, per atto di civiltà. Non perché le luci artificiali sono fonte di “inquinamento”. La luce non avvelena l’aria come fanno gli scarichi di tante industrie. La luce non rende sordi come fa l’inquinamento sonoro. La luce non provoca il cancro ai polmoni come fa il fumo passivo di cui continuiamo a essere vittime, nonostante le leggi che lo proibiscono.

    Diciamo quindi ai nostri amici astrofili che il loro impegno per educate la gente a volgere gli occhi verso il cielo stellato e la Via Lattea non deve avere conseguenze diseducative verso l’impegno a combattere le pericolose sorgenti di inquinamento ambientale. I nostri amici astrofili debbono agire da educatori facendo capire al grande pubblico che la luce non è sorgente d’inquinamento. La luce artificiale è una delle più grandi conquiste dell’intelletto umano.

    Per millenni e millenni, in tutti i continenti, tutte le civiltà avevano cercato di decifrare questo formidabile mistero del Cosmo: cos’è la luce?

    Ci sono voluti 200 anni di esperimenti per arrivare alla superba sintesi di Maxwell (il grande fisico scozzese vissuto nel XIX secolo), le cui quattro equazioni rappresentano l’atto di nascita dell’elettromagnetismo. Questo atto di nascita ha permesso di capire che la luce è una delle innumerevoli manifestazioni di quella forza fondamentale della Natura generata da quella quantità fisica cui è stato dato il nome di “carica elettrica”. Colori, sapori, tatto, gusto, olfatto, udito, vista, sono esempi di ciò che produce questa carica. Facendo vibrare questa “carica elettrica” si producono onde elettromagnetiche di energia diversa.

    Al livello minimo ci sono le onde radio. Poi vengono le onde radar. Poi vengono le onde tv. Più in alto ci sono le onde radar. Ancora più in alto la luce. Poi i raggi X e a livello estremo i raggi detti “gamma”. L’ultima novità delle scoperte astrofisiche sono i “lampi raggi di gamma”. Fenomeni celesti ancora tutti da capire.

    Lo spettacolo di un cielo stellato è certamente affascinante. Ma la scoperta delle equazioni di Maxwell è dotata di fascino ancora più potente. Da queste formule matematiche nascono la luce delle nostre lampade, la radio, la televisione e l’enorme quantità di strumenti tecnologici a noi indispensabili, inclusi i rivelatori dei “lampi cosmici di raggi gamma”.

    Se l’uomo si fosse fermato a contemplare lo spettacolo delle notti stellate, saremmo ancora all’età della pietra.

    La luce nelle città è indice di progresso. E infatti le immagini sei satelliti parlano chiaro. La sacca di disperazione e di morte per inedia è in quelle zone del mondo rimaste ancora nel buio, nonostante le equazioni di Maxwell. In quelle zone muoiono ogni anno milioni di nostri fratelli e sorelle. Sono zone in cui vivono – secondo le stime più recenti – 800 milioni di persone che ogni sera possono godersi lo spettacolo di un cielo stellato, ma non hanno luce per leggere, né cibo per sfamarsi, né medicine per curarsi.

    Noi amanti delle stelle abbiamo il sacrosanto diritto di osservare lo spettacolo di una notte stellata; a questo traguardo dobbiamo però arrivare non dicendo che la luce è fonte di “inquinamento”, ma ancorando le nostre legittime richieste al fascino delle conquiste legate alla scoperta dell’elettromagmetismo.

    Ambigui Messaggi Arrivati dallo Spazio

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    Esempio di decodifica di calcoli alieni
    Esempio di decodifica di calcoli alieni
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    E’ davvero difficile immaginare cosa si possa provare nel ricevere un messaggio da una civiltà aliena. Immaginiamo che sia un momento davvero emozionante, ma il condizionale è d’obbligo, visto che a noi non mai è capitato nulla del genere (benché alcune risposte al problema del mese scorso palesino una provenienza certamente transplutoniana); siamo però ragionevolmente sicuri che, appena placata l’euforia iniziale e i relativi festeggiamenti, un dubbio attanaglierà la nostra mente: “E adesso, cosa rispondiamo?”.
    Non è domanda da poco: anzi, forse è proprio per questa ragione che noi ci siamo già affrettati (“noi” intesi come “esseri umani”, non come “tenutari della rubrica”) ad inviare messaggi esplorativi; parlare per primi è un gran bel modo per scaricare la patata bollente negli altrui tentacoli (o pseudopodi, o escrescenze, o mani, o qualsiasi cosa ne faccia le veci; e sempre che siano in grado di sostenere una patata).
    Cosa dovrebbe contenere un messaggio di risposta? Trascuriamo per un instante i quasi insormontabili problemi di tempo e spazio, e concentriamoci soltanto sui contenuti: probabilmente il messaggio iniziale ha già codificato una sorta di “sintassi”, e inevitabilmente dovremmo mostrare di sapere usare la stessa, se non altro per palesargli che siamo una specie sufficientemente intelligente. E visto che lo avranno già fatto loro, non sarà certo il caso di mettersi lì a ripetere le costanti universali o i numeri primi. Occorrerebbe trasmettere, insomma, qualcosa che sia al tempo stesso per loro comprensibile, ma anche “caratteristico” della nostra specie. Una buona ipotesi potrebbe essere quella di descrivere un metodo per fare qualcosa che ogni civiltà evoluta deve saper fare, ma che verosimilmente ogni civiltà evoluta fa in maniera diversa dalle altre. Sembra una cosa davvero complessa da immaginare; cosa ci può mai essere di abbastanza comune da poter essere presupposto in una civiltà aliena e nel contempo anche abbastanza alieno, da poter essere fatto in maniera diversa?
    Beh, noi conosciamo cinque modi diversi per fare una moltiplicazione (quello solito, a??? veneziana, russo, egizio e cinese), ottenendo sempre lo stesso risultato: e siamo certi che di metodi ne esistono anche di più. Potrebbe essere questa la strada da percorrere? Riuscirebbero i nostri amici tentacolati e pluriocchiuti a capirci?

    Esempio di decodifica di calcoli alieni
    Esempio di decodifica di calcoli alieni

    Per verificare questo punto facciamo una prova: supponiamo che una popolazione aliena riceva uno dei messaggi inviati dalla Terra e decida di rispondere spiegandoci, attraverso una serie di esempi, il loro modo per calcolare un prodotto tra interi. Siamo riusciti a tradurre il messaggio quasi interamente, e ci mancano solo due simboli che sembrano strettamente legati al metodo utilizzato per far di conto; sono quelli che nella tabella indichiamo con “” e ““. Tutti gli altri simboli sono già tradotti e i numeri compaiono nella nostra solita forma decimale; quel che abbiamo capito è che, secondo gli alieni, nella colonna sinistra abbiamo l’operazione compiuta (così come la scriveremmo anche noi), mentre a destra è indicato proprio il calcolo vero e proprio che loro fanno per ottenere il risultato.
    Ora, per evitare di sospendere i rapporti interstellari ancora prima di iniziarli, quello che vorremmo sapere è quando si usa un simbolo e quando l’altro. O come si decide “quanti” usarne; insomma, cosa sono, i due simboli?


    Se questo problema vi sembra troppo facile, potreste provare con il messaggio simile arrivato dagli appartenenti ad una terza civiltà; questi ultimi, decisamente più laconici, si sono limitati a due sole moltiplicazioni, che trovate nella seconda tabella.

    Altro esempio di decodifica
    Altro esempio di decodifica

    E anche qui bisognerebbe proprio capire cosa mai possano essere quei “” e “”. Se pensate che da informazioni come queste sia impossibile ricavare notizie interessanti su chi le ha inviate, sappiate che c’è stato qualcuno che ne ha ricavato abbastanza per fare la seguente affermazione “…l’origine della prima civiltà è evidentemente legata ad attività stanziali di tipo agropastorale…” e anche che “…devono esserci stati contatti in tempi remoti tra le due civiltà…”. Non pretendiamo che riusciate a giustificare queste affermazioni dalla sola analisi delle tabelle (anche se, ripetiamo, c’è chi lo ha fatto), e non ci sentiamo neppure di considerare questo come un aiuto nella soluzione, ma non si può mai dire…

    Tuffiamoci con le Pleiadi nelle onde della Luna

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    posizioni Luna
    Figura 1. Posizioni occupate dalla Luna a partire dalle ore 18 TU del 18/2/94 (posizione 0), ad intervalli costanti di 27.3215 giorni, corrispondente ad 1 periodo siderale medio.
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    E’ una metafora bizzarra? Non troppo, come vedremo! Sta per iniziare un periodo di sei anni in cui la Luna incontrerà le Pleiadi ogni mese, dando luogo ad un ciclo di occultazioni, delle quali poco più di una ventina osservabili dall’Italia (la prima sarà di Atlante, il 20/10/2005, visibile dalla Sicilia). Passata questa ondata, dopo il febbraio 2011, occorrerà aspettare fino al 2023 per averne una nuova, anch’essa della durata di sei anni. Ma le Pleiadi sono in fondo una scusa per porci una domanda: come mai questa attesa? Ovvero, come mai la Luna, nel suo moto di rivoluzione, non segue sempre lo stesso percorso, proiettandosi sempre nelle stesse posizioni del cielo?

    posizioni Luna
    Figura 1. Posizioni occupate dalla Luna a partire dalle ore 18 TU del 18/2/94 (posizione 0), ad intervalli costanti di 27.3215 giorni, corrispondente ad 1 periodo siderale medio.

    Ebbene, di tutti gli oggetti del Sistema Solare, la nostra Luna è proprio quello il cui moto è più ondivago e più difficile da descrivere matematicamente. Non dico che si muova come un marinaio ubriaco, ma almeno un po’ alticcia lo è, basta guardare la Figura 1. Questa rappresenta una regione della volta celeste attorno alle Pleiadi, con le posizioni occupate dalla Luna “fotografate” ad intervalli costanti di 27.3215 giorni (corrispondenti al periodo medio siderale di rivoluzione). Per ricavare matematicamente quelle ali di farfalla, anche se solo con la precisione di un mezzo minuto d’arco, sarebbero necessari centinaia di termini correttivi da aggiungere a quelli che descrivono una semplice orbita Kepleriana. E’ chiaro che, usando un modello e uno strumento di calcolo che tengano conto di tutte le perturbazioni (in massima parte dovute all’attrazione gravitazionale del Sole), la posizione della Luna in ogni istante può essere ricavata con precisione senza problemi, ma la nostra ambizione di visualizzare e comprendere concettualmente, anche se in maniera approssimativa, il percorso celeste del nostro satellite, affoga così nel guazzabuglio della complessità matematica. In questo mare agitato, è possibile trovare non dico una scialuppa, ma almeno un salvagente?

    sfera celeste con l’eclittica e la traccia dell’orbita lunare
    Figura 2. La sfera celeste con l’eclittica e la traccia dell’orbita lunare. La luna percorre l’orbita in senso antiorario. Per effetto della gravità solare la linea dei nodi ruota in senso orario, facendo un giro competo in 18.61 anni.

    Proviamo a fare una semplificazione, tagliando via il grosso del problema e tenendocene appena un pezzetto. Interessiamoci solo del percorso seguito dalla Luna sulla volta celeste, senza preoccuparci del momento in cui si troverà in ciascun punto di quel percorso, né della distanza da noi. Abbiamo così rimosso la variabile tempo.
    Immaginiamo ora di orientare la sfera celeste, ruotandola in modo che il piano “orizzontale” coincida con il piano dell’eclittica.
    Il percorso della Luna sulla sfera sarà un cerchio massimo che interseca il nostro piano “orizzontale” lungo una retta (chiamata linea dei nodi), formando un angolo i (chiamato inclinazione), che è in media 5.16° (Figura 2). Immaginiamo ora di aprire la sfera come la buccia di un’arancia, dopo averne rimosse le calotte superiore e inferiore, e di distendere poi su di un piano ciò che rimane. La superficie della corona sferica si trasforma così in un rettangolo, il cui asse orizzontale indicherà la longitudine eclittica e quello verticale la latitudine eclittica (Figura 3).

    Planisfero celeste in coordinate eclittiche, con la sinusoide che descrive il percorso della Luna nel Febbraio-Marzo 2005.
    Figura 3. Planisfero celeste in coordinate eclittiche, con la sinusoide che descrive il percorso della Luna nel Febbraio-Marzo 2005. Per esaltare l’ampiezza della sinusoide la scala verticale (riportante la latitudine celeste) è stata raddoppiata, per cui le costellazioni appaiono distorte.

    Ed ecco che in questa mappa il percorso della Luna si è trasformato in una curva che chi mastica un po’ di trigonometria riconoscerà come una sinusoide (a rigore non lo è, ma ci si avvicina quasi esattamente). I “nodi” della sinusoide, cioè i punti in cui questa interseca l’asse orizzontale, corrispondono proprio ai nodi ascendente e discendente dell’orbita (vedi Figura 2), mentre l’ampiezza è uguale alla inclinazione i (5.16°). Ad ogni rivoluzione, della durata media di 27.3215 giorni, la Luna percorrerà la curva da destra verso sinistra… ma non sarà sempre la stessa sinusoide. Già, perché il principale effetto dell’attrazione solare è di far ruotare la linea dei nodi nel piano dell’eclittica in direzione opposta al moto della Luna, con un giro completo ogni 18.61 anni. A causa di questa “precessione dei nodi” la nostra curva si sposta verso destra nel piano orizzontale in media di circa 1.45° ad ogni rivoluzione, “uscendo” da destra e “rientrando” da sinistra, fino a tornare nella posizione originale dopo 18.61 anni. Volendo essere un po’ più precisi, c’è da dire che l’inclinazione non è costante, e la precessione dei nodi non è uniforme, ma entrambe subiscono delle piccole oscillazioni attorno al loro valore medio, introducendo così un po’ di imprecisione nel nostro modello di sinusoide mobile, di cui si terrà però debito conto.

    Siamo ora quasi del tutto equipaggiati con uno strumento adatto a descrivere i cicli di occultazioni. Ci manca solo un’altra considerazione. Quanto detto fin’ora vale per una Luna puntiforme, che sia vista dal centro della Terra. La Luna ha invece un raggio apparente (cioè l’angolo visuale che sottende nel cielo) di 0.26 ± 0.02° (a seconda della distanza). Inoltre noi non la osserviamo dal centro della Terra, ma da un punto della sua superficie che, a seconda della località e del moto diurno del nostro pianeta, può “vedere” la Luna in una posizione che differisce da quella “geocentrica” fino a 1° (vedi Figura 4).

    Effetto della parallasse e della rotazione terrestre
    Figura 4. Effetto della parallasse e della rotazione terrestre: vista dall’ Oceano Indiano, fra le Seichelles e le Maldive, il 5/3/2006 la Luna “schiva” le Pleiadi. Le linee superiore e inferiore rappresentano i percorsi del centro della Luna visti rispettivamente dal Polo Sud e dal Polo Nord.

    Ne consegue che, perché in qualche punto della Terra sia visibile l’occultazione di una data stella, basta che la Luna passi entro 1.2° dalla stessa (± 0.1° a seconda della distanza della Luna). Possiamo allora concludere che una occultazione si può verificare solo se la sinusoide di Figura 2 passa a meno di 1.2° dalla stella, con un margine massimo di incertezza di ± 0.25°, che tiene conto sia dell’intervallo entro il quale può variare la distanza Terra-Luna, sia di quello entro cui può variare l’inclinazione dell’orbita lunare.

    Il gioco è fatto! Possiamo tornare alle Pleiadi, e per esse riferirci alla stella più brillante dell’ammasso, η Tauri, Alcyone. Supponiamo di essere al Capodanno del 2005: la longitudine media λ della Luna è 165.0°. Con l’aiuto di un software grafico, o anche solo di una matita, un foglio di carta millimetrata e una calcolatrice tascabile, possiamo disegnare la sinusoide di Figura 5. Per farlo ci basta conoscere un solo dato: la longitudine media del nodo ascendente all’epoca considerata, (28.3° al 1/1/05), mentre l’ampiezza la conosciamo già, perché è uguale alla inclinazione media, cioè 5.16°. La Luna percorrerà la sinusoide da destra verso sinistra, partendo dalla longitudine di 165°, alla velocità media di 13.1764° al giorno, ma potrà essere in anticipo o in ritardo rispetto alla posizione “media” fino a 8°, corrispondenti a circa 0.6 giorni. Sopra e sotto la sinusoide ne sono tracciate altre due, sfalsate di ± 1.2° in verticale rispetto alla prima, che delimitano la zona del grafico, entro la quale deve trovarsi una stella perché sia osservabile (da qualche punto sulla Terra) una occultazione.

    Posizione e percorso “medi” della Luna alle 0 TU del 1/1/2005
    Posizione e percorso “medi” della Luna alle 0 TU del 1/1/2005 (curva centrale). Le curve nere superiore ed inferiore delimitano la fascia di osservabilità di una occultazione. La banda verde indica la zona in cui le occultazioni sono certe, mentre le bande arancioni indicano le zone entro cui il verificarsi dell’ evento dipende dalla deviazione istantanea della Luna dal percorso “medio”, ed è tanto più probabile quanto più si è vicini alla banda verde. Per effetto della precessione dei nodi, le curve si spostano verso destra di 1.45° ad ogni periodo lunare, completando il percorso di 360° in 18.61 anni.

    Il contorno di questa fascia non è netto, ma è sfumato nelle zone arancioni della figura, corrispondenti al margine di incertezza visto prima di ± 0.25° in latitudine. Nel grafico sono state inserite, ricavandole da un catalogo, le posizioni di alcune stelle brillanti situate in vicinanza dell’eclittica. Alcyone viene a trovarsi all’esterno della sinusoide superiore, distante da questa circa 2° di longitudine, ma entro la “zona arancione”. Secondo il nostro strumento grafico, ciò significa che in Gennaio una occultazione potrebbe essere possibile (anche se non molto probabile): quando? Se la longitudine (media) di partenza è 165°, la Luna dovrà percorrere 255° (“uscendo” da sinistra e “rientrando” da destra), e, alla velocità media di 13.1764 °/giorno, raggiungerà le Pleiadi dopo 255/13.1764 = 19.35 ± 0.6 giorni, cioè il 19 o il 20 gennaio. Di fatto la Luna sarà (o è stata) in congiunzione con le Pleiadi alle 22 TU del 19 gennaio, ma senza dare occultazioni. Ora immaginiamo di traslare le curve pian piano verso destra nel movimento della precessione dei nodi. Quattro settimane dopo si sono spostate di 1.45°, e Alcyone tocca la sinusoide superiore: una occultazione diventa abbastanza probabile, ma il punto di vista deve trovarsi abbondantemente al di sotto dell’eclittica, quindi nell’emisfero meridionale. Di fatto ci sarà, il 16 Febbraio, la prima occultazione, visibile nel Pacifico meridionale. Nei mesi successivi la nostra “onda”, continuando a spostarsi verso destra in media di 1.45° ad ogni periodo lunare, “sommergerà” Alcione, e ci sarà così una occultazione ad ogni passaggio della Luna. Continuando lo spostamento, la stella rimarrà costantemente entro la fascia di visibilità delle occultazioni, riemergendone solo dopo uno scorrimento complessivo di 116°.

    Quanto tempo impiega la sinusoide a scorrere di 116° ? Se ci vogliono 18.61 anni a fare tutto il giro di 360°, il tempo necessario sarà 18.61•116/360 = 6.0 anni dal Capodanno del 2005. Per avere poi la occultazione successiva, occorrerà ritornare pressappoco nelle condizioni della prima, il che avverrà dopo 18.61 anni dal febbraio del 2005, quindi nel settembre del 2023.
    Ora, la Tabella 1 riporta una selezione delle occultazioni (visibili e non) di Alcione nel prossimo e nel successivo ciclo, calcolate con il programma SOLEX (vedi Coelum no. 64) e tutta la precisione possibile. L’ultima del prossimo ciclo (quasi invisibile nella luce crepuscolare a Sud della Terra del Fuoco, bassissima sull’orizzonte) vi sarà il 19/12/2010: mancheranno pochi giorni a 6.0 anni! La prima del successivo ciclo (visibile nel Mare Antartico a Sud dell’Australia) si avrà il 5 settembre 2023!
    Direi che il salvagente per non affogare con la mente nelle onde del moto lunare lo abbiamo trovato! Anzi, forse è anche qualcosa di più, dato che la variabile tempo, uscita dalla porta, è poi in parte rientrata dalla finestra… La nostra mappa eclittica di Figura 2, insieme a un righello e a una matita, ci può infatti servire a prevedere se e quando sarà possibile una occultazione lunare di una qualsiasi stella, e quanto durerà il ciclo di occultazioni della stessa. Ci può mostrare ad esempio che una stella molto vicina all’eclittica (es. Regulus) non darà un solo e prolungato ciclo di occultazioni in un periodo di 18.6 anni, ma due più brevi, o che la prossima occultazione di Aldebaran ci sarà fra 10 anni… ma non vorrei dilungarmi troppo, e non vorrei togliere a chi fosse interessato la soddisfazione di provare da solo! Naturalmente le previsioni sono solo approssimative, e una parte delle occultazioni potrebbe avvenire di giorno e perciò non essere visibile. Questo purtroppo le nostre sinusoidi non ce lo possono dire, come pure non possono dirci esattamente quando e dove sarà osservabile ciascuna occultazione. Ma in fondo un semplice salvagente (o un canottino) servono per restare a galla, non per doppiare Capo Horn!

    Tabella 1. Selezione delle occultazioni di Alcione nei prossimi due cicli (sono dati i tempi della minima distanza geocentrica). Quelle marcate da un asterisco sono visibili dal territorio italiano. β è la latitudine della Luna.


    No.

    Data
    Ora
    (TDT)

    Dmin (°)

    β (°)
    1 2005/02/16 05:35 1.084 2.969
    2 2005/03/15 13:59 0.897 3.157
    3 2005/04/11 23:09 0.844 3.209
    4 2005/05/09 07:43 0.875 3.178
    5 2005/06/05 14:50 0.877 3.176
    ……….
    22* 2006/09/12 21:06 0.739 4.789
    23 2006/10/10 06:13 0.707 4.757
    24 2006/11/06 16:54 0.621 4.672
    25* 2006/12/04 03:13 0.605 4.655
    ……….
    51* 2008/11/13 20:26 0.736 4.787
    ……….
    60* 2009/07/18 02:57 0.540 4.590
    ……….
    76 2010/09/28 06:20 1.012 3.041
    77 2010/10/25 11:56 1.183 2.871
    78 2010/12/19 03:45 1.198 2.856
    79 2023/09/05 20:52 1.113 2.941
    80 2023/10/03 05:47 0.991 3.062
    81 2023/10/30 15:51 0.988 3.065
    ……….
    92* 2024/08/26 03:39 0.125 4.176
    ……….
    100* 2025/04/01 20:57 0.644 4.695
    101 2025/04/29 07:05 0.568 4.618
    102 2025/05/26 17:53 0.535 4.585
    103* 2025/06/23 03:29 0.612 4.662
    ……….
    135* 2027/11/14 18:58 0.497 4.547
    136 2027/12/12 04:38 0.527 4.577
    137 2028/01/08 15:11 0.609 4.659
    138* 2028/02/05 00:32 0.610 4.660
    ……….
    155 2029/05/14 04:02 1.104 2.949
    156 2029/06/10 10:52 1.082 2.971
    157 2029/07/07 18:44 1.072 2.982

    Nota: Le occultazioni più interessanti per l’osservazione sono quelle che si verificano dalla metà di Febbraio alla metà di Aprile, perché in questo periodo la posizione del Sole è tale che la Luna nelle Pleiadi, si trova entro il quarto crescente, e quindi il primo contatto con la stella avviene sul lembo oscuro e non su quello illuminato.

    Libia 2005: Anello di Fuoco nel Deserto

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    Leptis Magna
    Leptis Magna
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    cammello
    Cammello

    Dopo l’ultimo viaggio all’isola di Sal dell’arcipelago di Capo Verde nel Febbraio di quest’anno, Coelum Viaggi ritorna in pista con destinazione Libia, per l’osservazione dell’eclisse anulare di Sole del 3 Ottobre 2005 e dello sciame delle Draconidi, per le quali è previsto quest’anno un possibile outburst, in coincidenza col ritorno della cometa progenitrice, la 21P/Giacobini Zinner. La scelta del luogo, tiene conto della durata massima dell’eclisse ,delle statistiche meteo e naturalmente della possibilità di abbinare alle osservazioni astronomiche un interessantissimo tour nel Sahara, visitando località di straordinario interesse naturalistico e archeologico.

    Il viaggio, come di consueto viene organizzato in collaborazione con il Gruppo Astrofili Columbia di Ferrara, la Coop Camelot e l’agenzia di viaggi CTM Robintur di Modena e conta 15 partecipanti: i veterani Ferruccio Zanotti, Esther Dembitzer, Maurilio Grassi e Paolo Minafra e le new entry Carlo Baletti, Luca Baletti, Laura Porta, Walter Brogi, Cosimo Brogi, Anna Francini, Monica Bauso, Luciano Padovani, Ulia Silingardi e Alena Ellen Pokutova, oltre naturalmente al sottoscritto.

    Ci imbarchiamo a Roma il 30 Settembre con un volo della Libyan Arab Airlines in forte ritardo e in serata arriviamo all’aeroporto di Tripoli in cui ci scontriamo immediatamente con le prevedibili lungaggini burocratiche relative a timbri, visti, controlli e passaporti, che addirittura sfociano nel sequestro dei due telescopi Pentax 75 SDHF, appartenenti ad Esther e Luca, per imprecisati motivi di sicurezza, con la promessa della restituzione soltanto al nostro ritorno.
    Anwer, la nostra guida, che sarà fondamentale e disponibilissimo per tutta la durata del viaggio, purtroppo in questo frangente non è in grado di aiutarci, rammaricandosi di come nel suo paese, possano verificarsi episodi veramente assurdi.

    Leptis Magna
    Leptis Magna

    A riprova di ciò, altra strumentazione astronomica in nostro possesso come il mastodontico Dobson da 25 cm, riesce a passare i controlli senza alcun problema. Prima di cenare all’Hotel Bab Albahar, in cui pernotteremo, Anwer ci accompagna a visitare l’arco di Marco Aurelio e la pittoresca città vecchia, tra nugoli di bambini, bancarelle con le mercanzie più varie e le onnipresenti gigantografie del colonnello Gheddafi.
    Sabato 1 Ottobre ci attende la visita della famosa Leptis Magna, un sito archeologico che conserva resti imponenti e spettacolari dell’antica Roma, come l’arco dei Severi, le terme di Adriano, la strada colonnata che giunge al porto, il Foro, la Basilica dei Severi, il mercato ed il teatro, veramente grandioso, nel cielo limpido e con il mare sullo sfondo.

    dobson
    Autisti e cuochi

    Dopo il pranzo in un vicino ristorante, visitiamo il museo e l’anfiteatro, prima del volo in serata per Sebha, la cittadina da cui partono le spedizioni che si addentrano nel deserto.
    Dopo una notte al modesto Hotel Fezzan, carichiamo gli innumerevoli bagagli sui fuoristrada che ci accompagneranno nell’impegnativo tour e facciamo conoscenza con gli autisti ed i cuochi, che dovranno provvedere al nostro sostentamento, visto che per diversi giorni saremo assolutamente isolati dal resto del mondo.

    parry
    Arco di Parry

    Il cielo, velato da un sottile strato di cirri e da sabbia in sospensione dà luogo ad un fenomeno di alone, sormontato da un rarissimo arco di Parry dalla forma a cuneo, mai visto prima d’ora. Partiamo per l’oasi di Al Fogaha, 200 km a NE di Sebha, nelle cui vicinanze l’indomani osserveremo l’eclisse e ci prepariamo ad incontrare Romano Serra, grande esperto di meteoriti e vecchia conoscenza dei nostri viaggi, che ci ha dato appuntamento, con tanto di coordinate proprio nel primo pomeriggio.

    Egli è già sul luogo da alcuni giorni, per cercare meteoriti nella regione del Dar El Ghani, dopo esservi giunto con un fuoristrada direttamente dall’Italia e grande è la speranza di poterci veramente incontrare. Purtroppo un guasto ad una delle nostre jeep ci fa arrivare tardi sul luogo dell’appuntamento e quando il GPS segna le coordinate stabilite, non vediamo nessuno ad attenderci. Gli autisti ed i cuochi si danno quindi da fare per preparare il pranzo appostandosi all’ombra di un palmeto in un vicino canyon e riparandosi dal caldo sempre più opprimente.

    dune
    Dune

    Mi consulto con Anwer e decidiamo di effettuare un altro sopralluogo per cercare Romano, prima di abbandonare definitivamente le speranze e questa volta la fortuna ci dà una mano: magicamente, in lontananza sul lungo rettilineo della strada per Al Fogaha, in direzione opposta ala nostra, vediamo giungere un veicolo che procede lentamente, quasi un miraggio. Ci affianchiamo e un uomo in canottiera dall’aspetto stanco e accaldato, con la barba lunga di giorni, ci guarda incredulo.

    E’ lui, Romano! Saltiamo fuori dalle auto e festeggiamo l’incredibile incontro, facendo presto conoscenza anche con gli altri 4 componenti della sua spedizione. Tutti assieme, ci dirigiamo così nel punto previsto per l’osservazione dell’eclisse (lat. 27° 37.630 N e long. 16° 07.500 E ) e gli autisti allestiscono il campo tendato per la nostra prima notte nel deserto. L’emozione è grande, il luogo si presenta come una distesa desolata e assolutamente piatta in tutte le direzioni ed il silenzio è assoluto. Comincio a prendere confidenza con la mia tenda igloo, mentre alcuni di noi preparano la strumentazione, altri attendono la cena ed Ellen, Monica ed Esther, sullo sfondo del Sole al tramonto, rapite dall’atmosfera si danno allo yoga. In serata il cielo è spettacolare, ma mentre mangiamo, annuvolamenti si alternano a schiarite ed addirittura cade qualche goccia di pioggia.

    Romano
    Romano

    Non è il momento di montare il Dobson, e approfittiamo di qualche squarcio per illustrare un po’ di costellazioni al pubblico con il potente laser verde di Ferruccio. Lunedì 3 ottobre, ci si sveglia all’alba, con il vociare degli autisti che preparano la colazione, osservando un cielo plumbeo, quasi padano. Ci guardiamo un po’ preoccupati e tutti quanti speriamo nella buona sorte. Nell’attesa dell’evento Romano ci mostra il suo personale bottino di meteoriti, una ventina di condriti ordinarie ed una molto probabilmente di origine marziana, trovate in questi giorni nelle sue peregrinazioni. Fortunatamente il cielo si rasserena e quando alle ore 10.03 locali inizia l’eclisse, tutti si armano di occhialini e di filtri iniziando a filmare e fotografare il fenomeno.

    Anello
    Anello

    Tutto procede bene fino al momento del secondo contatto, alle 11.33 locali, quando, con una precisione che ha dell’incredibile, una leggera nuvolaglia comincia a coprire il Sole, che in quel momento ha un’altezza sull’orizzonte di 54,3°.

    Anello
    Anello

    Con nostro sollievo, tuttavia, si tratta di nubi sufficientemente trasparenti, da permetterci l’osservazione del momento clou senza l’uso dei filtri e di ammirare quindi il sottile anello luminoso di Sole (la grandezza dell’eclisse è circa 0,9), ad occhio nudo in uno scenario altamente suggestivo creato dal contorno di nubi chiare e scure che in alcuni punti assumono addirittura una colorazione giallo-arancione.

    Eclisse
    Eclisse

    Luca ha le lacrime agli occhi dall’emozione e tutto intorno a noi il calo di luce è sensibile. La durata dell’anularità è di 4 minuti e 25 secondi, il terzo contatto avviene alle 11.38 locali e l’eclisse termina alle 13.14 locali.

    filtro
    Filtro

    Nel primo pomeriggio smontiamo il campo, salutiamo Romano ed i suoi amici, che proseguono le loro ricerche e andiamo noi stessi a caccia di meteoriti una trentina di km più a sud, anche se gli unici ritrovamenti degni di nota sono alcune rocce di arenaria con inclusioni di ematite, che testimoniano un lungo contatto della roccia con l’acqua, del tutto simili ai “mirtilli” marziani scoperti dalle sonde Spirit e Opportunity.

    Dopo aver ammirato un canyon veramente grandioso, facciamo il campo nelle vicinanze e procediamo in serata con l’osservazione binoculare e con il telescopio dei principali oggetti celesti del periodo, accompagnati dai canti degli autisti seduti attorno al fuoco, e notiamo come Scorpione e Saggittario, nonché Fomalauth del Pesce Australe, siano veramente alti rispetto alle nostre latitudini. Il giorno 4, dopo circa 300 km di scossoni e caldo sempre più deciso, ci concediamo una doccia, al campo fisso di Tekerkiba, località di accesso alla splendida regione dei laghi, che visiteremo l’indomani e qui abbiamo la lieta sorpresa di udire una voce familiare che non ci saremmo mai aspettati di risentire: è Romano, anch’egli di transito in questo campo.

    Tolto lo strato di sabbia che da giorni ci accompagna, andiamo nuovamente ad insabbiarci, poiché in serata montiamo il campo sulle vicine dune di Ubari, in un paesaggio di incomparabile bellezza. Giunge finalmente il momento di montare il Dobson: il cielo è perfetto. Ma c’è appena il tempo di cenare ed ecco che si alza un vento teso ed il cielo si copre irrimediabilmente. Ci ripariamo velocemente nelle tende eccetto Paolo che si attarda a sorseggiare il thè assieme a Ellen, Anwer e gli autisti. Si accorge così troppo tardi che una raffica di vento di inusitata potenza ha sradicato la sua tenda facendola volare all’orizzonte e rimane alcuni minuti incredulo a fissare il vuoto.
    Le ricerche della tenda proseguiranno tutta la notte senza dare purtroppo alcun esito e lo sfortunato compagno di viaggio viene ospitato successivamente da Maurilio, nella sua tenda monoposto. Il 5 Ottobre si presenta con un bel cielo limpido, l’ideale per ammirare al meglio una delle attrazioni principali del deserto libico: i laghi di Ubari. Gli autisti conoscono il deserto come le loro tasche e cavalchiamo sicuri le gigantesche dune che sembrano onde di un mare in tempesta, ed ecco che dal nulla compare il primo lago, Mavo, che suscita un senso di merviglia, come solo l’acqua nel deserto è in grado di fare. Proseguiamo con il grande lago Gebraoun nelle cui acque ipersaline alcuni di noi si lasciano galleggiare, circondati dalle palme e dalle alte dune rossicce.

    E’ il momento del terzo incontro con Romano, sempre più esilarante. Prima di ripartire, Ellen decide addirittura di noleggiare gli sci e sperimentare una discesa dalla duna più alta. La mattinata si conclude con la visita ai laghi Umm al Maa, uno specchio d’acqua turchese circondato da un fitto palmeto e Mandara, purtroppo quasi prosciugato, nelle cui vicinanze facciamo la sosta pranzo.

    cammello
    Cammello

    Nel pomeriggio prosegue la nostra corsa nel deserto fino al ritorno sulla strada asfaltata per fare il pieno agli automezzi. L’operazione si rivela lunga e difficoltosa e per questo motivo giungiamo tardi al luogo previsto per il campo, dopo aver attraversato una bassa savana cespugliosa, abitata purtroppo da grossi aracnidi. L’urlo di Monica segnala il primo avvistamento di quello che a prima vista pare un ragno. Una ciabattata di Hussein, mette fine alla corsa del povero animale e sul luogo del sinistro giunge Luciano, esperto entomologo, che ci rassicura dicendo che si tratta di uno pseudo scorpione, un aracnide a metà strada tra il ragno e lo scorpione ma assolutamente innocuo.

    Sarà, ma l’atmosfera si fa tesa e in lontananza giunge un altro grido e poi un altro ancora, il luogo è letteralmente infestato da questi animali e Luca ne scopre uno intento a salire sui suoi pantaloni. Tra le risate degli autisti ci sistemiamo in cerchio con le torce puntate a terra per sventare altri assalti, mentre Monica colta da una crisi di panico si rifugia in tenda senza cenare. Controlliamo tutti accuratamente le tende e io scopro un piccolo topo del deserto che mi osserva con sguardo interrogativo.

    Di osservazioni questa sera non se ne parla e ci affrettiamo a cenare prima di ritiraci definitivamente in tenda; l’unico contento della situazione è Luciano che nel corso della serata raccoglierà insetti rarissimi per la sua collezione. All’alba ci svegliamo in un luogo incantevole, di fronte alle altissime dune di Idehan Murzuq, che possono raggiungere anche i 400m, poi, smontato il campo ci dirigiamo verso il Wadi Methkandoush, un letto di fiume prosciugato, che ospita una delle più grandi concentrazioni di incisioni rupestri del mondo, risalenti almeno a 12.000 anni fa.

    Naturalmente non poteva mancare Romano, che troviamo intento ad esaminare una delle incisioni, secondo lui una possibile rappresentazione del passaggio di un’antica cometa. Nel cocente pomeriggio ( il termometro sfiora i 45°), affrontiamo il Msak Settafet, ovvero il massiccio nero, una pietraia arroventata in cui i fuoristrada sono costretti a frequenti soste per problemi ai radiatori e di seguito il Msak Mellet o massiccio bianco, in cui ci fermiamo per la notte. Gli autisti sono distrutti, a maggior ragione per il fatto che ci troviamo nel periodo del Ramadan e di conseguenza sono costretti a fare centinaia di km sotto il sole impietoso senza poter bere o mangiare. Ma finalmente è giunto il momento del Dobson, la serata è quella giusta e assieme a Luca Cosimo, Anwer ed Ellen prendiamo di mira alcune costellazioni troppo basse alle nostre latitudini come ad esempio lo Scultore.

    Qui dopo una impressionante osservazione della famosa galassia a spirale NGC 253 di magnitudine 7 ed estesa ben 22’,che mostra tutta una serie di chiaro scuri mai visti così bene, scendiamo nella parte meridionale della costellazione ed individuiamo altre due galassie : l’irregolare NGC 55 , dall’aspetto molto allungato e con un lato tronco( 25’X3’e magnitudine 8,2 ) e la spirale vista di fronte NGC 300 ( 20’X10’e mag. 8,7 ), più tondeggiante e granulosa.

    E’ la volta poi dell’ammasso di galassie della Fornace accanto al lungo Eridano che possiamo osservare in tutta la sua estensione fino alla alfa Achernar. Riusciamo a distinguere almeno 7 componenti dell’ammasso (NGC 1399 di 10,7,NGC 1404 di 9,9, NGC 1427 di 10,9, NGC 1387 di 10,7, NGC 1379 di 11,04, NGC 1374 di 11,89, NGC 1380 di 10,1), visibili come tenui macchie sfumate entro 45’ dalla coppia di stelle SAO 194435 e SAO 194426.

    Arco naturale di Affzzejer
    Arco naturale di Affzzejer

    Il venerdì 7 Ottobre entriamo nella regione montuosa dell’Acacus, nell’estremo sud della Libia, al confine con Algeria e Niger, passando attraverso le dune di sabbia dorata di Wan Caza e ammirando l’arco naturale di Affzzejer alto quasi 150 m, una delle formazioni rocciose più spettacolari dell’Acacus. Nel pomeriggio entriamo nel Wadi Tashwinat ricco di numerose pitture rupestri raffiguranti svariate scene di caccia e animali quali giraffe , elefanti bovini, ecc. dalle proporzioni perfette.

    Qui risiede una delle ultime famiglie Tuareg dell’Acacus, che visitiamo nella loro modesta capanna prima del tramonto. Ci accampiamo quindi per la notte sulla sommità di una duna con vista sulla vallata altamente scenografica e cerchiamo di posizionare le tende in modo da evitare il vento che si insinua tra le rupi vicine sulle quali rimbalza l’eco delle onnipresenti battute di Walter. Una sottile falce di Luna crescente accanto alla luminosa Venere ci accolgono al tramonto e il nostro satellite, visto al telescopio, viene salutato da Anwer, Ramadan e gli altri libici da urla di meraviglia.

    Una lunga nottata di osservazioni ci attende ostacolata di tanto in tanto da forti raffiche di vento e sabbia. Le osservazioni più interessanti riguardano la facile localizzazione al binocolo 7X50 delle nebulose diffuse California NGC1499, in Perseo, osservata poi anche al Dobson col filtro H Beta, della Cocoon IC 5146 nel Cigno a poca distanza dell’ammasso M39 lungo il filamento oscuro B168 e della IC 1396 nel Cefeo.

    Ne approfittiamo anche per cominciare il monitoraggio delle Draconidi. Queste meteore, che normalmente mostrano uno ZHR inferiore a 10, hanno dato luogo in passato a veri e propri spettacoli pirotecnici, in coincidenza col passaggio al perielio della cometa progenitrice, che ha un periodo di 6,6 anni. Ad esempio nel lontano 1933 sfoggiarono un tasso orario superiore a 50.000! Anche l’ultimo passaggio del 1998 è stato di tutto rispetto, con uno ZHR attorno a 700 e secondo gli esperti, quest’anno è possibile osservare alcuni picchi di attività rispettivamente alle 8TU e alle 16TU dell’8 Ottobre, e fra le 21 TU dell’8 Ottobre e l’1 TU del 9 Ottobre, anche se nessuno si sbilancia sull’eventuale ZHR

    Sasso
    Sasso

    Nel corso della notte, ne osserviamo solo una decina, lentissime (hanno una velocità geocentrica di 23 Km/sec), con scia persistente, mediamente luminose e dal colore bianco-verde. Più frequenti le sporadiche, speriamo di rifarci la notte successiva.

    Il nostro viaggio sta volgendo al termine e ci attende l’ultimo spettacolare giorno nell’Acacus, addentrandoci nella vallata di Awiss, con i suoi pinnacoli di roccia nera erosi dal vento nelle forme più assurde, che sembrano poggiare in precario equilibrio sulla sabbia e sul far della sera nell’altrettanto suggestiva vallata di Adad, in cui ci fermiamo.

    La serata è totalmente dedicata, dopo l’ultima cena nel deserto con tanto di pane arabo cotto sotto la sabbia , all’attesa per le Draconidi e ci stendiamo comodamente sui materassini ammirando un cielo buio e limpidissimo, il migliore da quando siamo in Libia (si scorge la galassia M 33 ad occhio nudo!). Purtroppo il picco previsto non si verifica e come la sera precedente osserveremo con delusione soltanto una manciata di meteore appartenenti a questo sciame, col radiante nella testa del Drago.

    Fungo
    Fungo

    Lo show è quindi rimandato al prossimo passaggio del 2011, per il quale diversi ricercatori, quali J. Vaubaillon, P.Jenniskens e P.Brown , prevedono condizioni geometriche nell’incontro fra le nubi di meteoroidi e la Terra molto simili a quelle del 1933. Tra l’altro il fenomeno dovrebbe avvenire alle 20.40 TL dell’8 Ottobre, favorendo quindi l’Europa nelle osservazioni. Staremo a vedere. Il 9 Ottobre procediamo al lungo ritorno verso Sebha ( più di 400 km ), per poi prendere l’aereo per Tripoli, che raggiungiamo soltanto a notte fonda.

    Una doccia e un brevissimo riposo su di un letto vero e poi di nuovo all’aeroporto, questa volta con destinazione Roma, che raggiungiamo naturalmente con alcune ore di ritardo. Al ritorno rimarrà comunque in tutti noi, al di là degli aspetti astronomici, il ricordo di un’esperienza unica, che ci ha fatto assaporare in pieno il deserto in tutte le sue innumerevoli sfaccettature e naturalmente un grazie sincero và ad Anwer, a Ramadan agli altri autisti e ai cuochi che ci hanno veramente dato tutto l’aiuto possibile e fatto vivere questi momenti in assoluta sicurezza e serenità.

    Come Decifrare un Codice Interstellare

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    Decodifica della prima sequenza
    Decodifica della prima sequenza
    Tempo di lettura: 7 minuti

    Passare davanti agli scaffali delle librerie, di questi tempi, significa fare un’abbuffata di codici. L’onda lunga del “Codice da Vinci” di Dan Brown si sente non tanto nelle onnipresenti copie del romanzo con la Monna Lisa in copertina, quanto nella miriade di cloni che contengono la parola “codice” nel titolo.
    Sembra quasi che il concetto di codice sia una novità del terzo millennio, una scoperta recente e alla moda quanto il sudoku. In realtà, “codice” è parola che copre significati anche molto diversi, che hanno in comune forse solo il principio base di “portatore di informazioni”.
    I codici inventati dall’uomo possono essere suddivisi in due categorie: quelli che tendono a restringere il numero dei destinatari (come tutti i codici militari e spionistici) e quelli che invece tendono ad aumentarlo, cercando di ottimizzare la trasmissione delle informazioni: tutto quanto viaggia in rete o nell’etere è strettamente codificato e protocollato, con procedure tanto complesse da far impallidire Enigma, la macchina che crittografava i messaggi tedeschi durante l’ultima guerra mondiale: ma lo scopo è proprio quello di garantire la corretta comunicazione.
    Puntare un telescopio verso il cielo richiede l’utilizzo di codici cui siamo tanto abituati da non riconoscerli più come tali: questo non significa che non siano complessi. Sappiamo che i fotoni emessi da una stella vengono catturati da un sistema ottico e guidati fino alla nostra rètina, e da qui trasmessi al cervello: ma come faccia il cervello ad interpretarli fino alla produzione di una emozione di meraviglia è tutt’altro che chiaro. Ma se volessimo invece costruirci un radiotelescopio amatoriale, dovremmo per forza essere preparati ad interpretare codici meno comuni. Le grandi parabole che, anziché guardare, “ascoltano” il cielo sono alla ricerca di segnali complessi e particolari: bisogna saper riconoscere il tracciato d’una radiosorgente stellare; e bisogna aguzzare l’attenzione nella speranza di riconoscere un segnale dalla possibile natura artificiale.
    La cosa positiva di questa ricerca è che è legittimo presupporre che gli extraterrestri, se davvero hanno mandato un messaggio in giro per il cosmo, lo avranno fatto con l’intenzione di essere compresi. E avranno allora preso le dovute precauzioni perché il messaggio risulti il più universale possibile, indipendente dalle particolarità della loro specie e del loro pianeta locale. E’ la stessa cosa che faremmo noi: anzi, è quello che abbiamo già fatto. E oggi puntiamo i nostri radiotelescopi nella speranza di trovare il segno di una sequenza chiaramente artificiale: a parte la lunghezza d’onda di trasmissione, l’unica cosa che può variare è la durata dell’impulso stesso. Se intercettiamo un impulso elettromagnetico che dura un certo tempo, seguito da un altro lungo il doppio, e poi da un terzo e da un quarto che raddoppiano ulteriormente la durata, possiamo ben “decodificare” questo trillo elettromagnetico con la sequenza numerica 1-2-4-8: e se la sequenza dovesse ripetersi ad intervalli ben regolati, sarebbe certo lecito ipotizzare la natura artificiale del messaggio. Il problema essenziale sta però nel fatto che il messaggio, oltre a palesare la sua natura artificiale, dovrebbe anche trasportare informazioni reali; meglio ancora, dovrebbe costruire le basi interpretative di sé stesso. Le distanze astronomiche obbligano a lunghi monologhi, e non è mai possibile dire “Avete capito?”, e aspettare la risposta.

    Sareste portati per un simile lavoro di “crittoanalisi”? Supponiamo che siate così desiderosi di cercare la vita extraterrestre da portare sempre una maglietta con sopra scritto “Viva il SETI” e da fare domanda per un lavoro all’Osservatorio Radioastronomico di Arecibo. E immaginiamo anche che il vostro esaminatore voglia testare le vostre capacità deduttive. Dopo avervi illustrato il lavoro che si svolge nelle viscere dell’enorme parabola, vi racconta anche che c’è una grossa eccitazione nell’ambiente a causa d’un breve messaggio che sembra proprio essere d’origine aliena. Voi subodorate il trucco fin dall’inizio (una notizia del genere dovrebbe – almeno si spera – raggiungere anche le prime pagine dei quotidiani, quelli sportivi compresi), ma decidete di stare al gioco, e chiedete ulteriori informazioni sul presunto messaggio.


    Sequenza A:
    14 – 5 – 1 – 5 – 2 – 4 – 2 – 2 – 2 – 1 – 2 – 5 – 1 – 5 – 2 – 3 – 1 – 1 – 1 – 2 – 5 – 5 – 1 – 5 – 2 – 3 – 3 – 1 – 1 – 3 – 2 – 5 – 1 – 5 – 2 – 2 – 1 – 2 – 1 – 1 – 1 – 2 – 3 – 5 – 1 – 5 – 2 – 2 – 1 – 1 – 2 – 1 – 1 – 1 – 1 – 1 – 5 – 1 – 5 – 2 – 14

    Sequenza B:
    14 – 2 – 1 – 5 – 1 – 2 – 2 – 1 – 1 – 7 – 1 – 1 – 3 – 2 – 1 – 3 – 1 – 2 – 4 – 9 – 3 – 5 – 1 – 5 – 2 – 5 – 1 – 5 – 2 – 2 – 1 – 5 – 1 – 2 – 3 – 2 – 1 – 3 – 1 – 2 – 4 – 3 – 3 – 3 – 3 – 1 – 1 – 7 – 1 – 1 – 2 – 2 – 1 – 5 – 1 – 2 – 14

    Al che il vostro interlocutore sorride, si fruga un po’ nelle tasche, e alla fine tira fuori due striscioline di carta coperte da una sfilza di numeri (come quella rappresentata nella figura a lato) dicendo: “Oh, facendo la copia devo aver sbagliato qualcosa, adesso come faccio a capire qual è quella giusta?”
    Voi non credete neppure per un istante a quella mediocre sceneggiata, ma incominciate a preoccuparvi, intuendo una incombente e crudele verifica.
    E lui infatti estrae dalla tasca del camice un notes, una matita e una gomma: ve li porge con noncuranza, e comincia a dirigersi verso la porta.
    “Secondo te, qual è la sequenza giusta?” – sibila prima d’uscire – “Tornerò fra un’oretta circa, se potessi aiutarmi a capirlo, te ne sarei davvero grato…”
    Quale sequenza decidete di prendere sul serio? Non tirate ad indovinare, è certo che l’esaminatore vi chiederà anche di motivare la scelta: questi ricercatori scientifici sono così noiosi…

    Cometa 9P/Tempel 1 Deep Impact vicino alla meta

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    La missione Deep Impact
    La missione Deep Impact
    Tempo di lettura: 5 minuti

    La missione Deep Impact
    La missione Deep Impact

    Il 4 luglio 2005 la sonda della NASA Deep Impact (vedi Coelum n. 85 pag 31, giugno 2005) sarà im prossimità della Cometa 9P/Tempel 1 e rilascerà un veicolo da impatto del peso di 360 kg, che con un motore proprio punterà diritto sul nucleo della cometa. L’impatto avverrà alla velocità di 37000 km/h e scaverà un cratere di circa 100 metri di raggio. L’energia  che si svilupperà nell’urto sarà pari all’esplosione di 4.5 tonnellate di tritolo e produrrà una enorme nuvola di gas e polvere attorno al nucleo della cometa, che avendo dimensioni di circa 6 km non verrà distrutto.

    La sonda Deep Impact a bordo del razzo Delta II sulla rampa di lancio.
    La sonda Deep Impact a bordo del razzo Delta II sulla rampa di lancio.

    E’ la prima volta che non si effettua una semplice osservazione, ma viene programmato un vero  e proprio esperimento cosmico, sulla cui importanza si è già molto discusso. Il materiale costituente le comete è infatti quello originale della nube protosolare, rimasto congelato ed inalterato per miliardi di anni nel nucleo di questi corpi erranti del sistema solare. Il veicolo madre, deviata la sua traettoria, effettuerà osservazioni dell’impatto dalla distanza di 500 chilometri, fornendo nuove e preziose informazioni

    • sulla formazione del sistema solare,
    • sulla costituzione dei nuclei delle comete,
    • sul ruolo che gli impatti cometari possono aver giocato nel corso delle prime fasi di formazione della Terra e dell’inizio della vita.

    Per la piena riuscita dell’esperimento risulta cruciale l’acquisizione e la disponibilità del maggior numero di dati possibili sia precedenti, sia successivi all’impatto. A tal fine l’European Southern Observatory ha sponsorizzato il progetto della NASA e parteciperà attivamente alle osservazioni dopo l’impatto.
    Nella notta tra il 4 ed il 5 luglio, non appena la cometa Tempel 1 sarà visibile dal Cile, e per l’intera settimana successiva, tutti i più grandi telescopi di ESO (le 4 unità da 8.2 m del VLT del Picco Paranal, il telescopio da 3.6 m, il 3.5 m NTT ed il 2.2 m di La Silla)  contemporaneamente volgeranno i loro specchi per osservare la cometa in modo coordinato con il team del progetto. Ciò sarà fatto anche in molti altri  osservatori sparsi per il mondo sia professionali, sia amatoriali. A seguito di ciò la comunità scientifica internazionale entrerà in possesso di un’incredibile quantità di dati, che una volta ridotti, contribuiranno ad accrescere la nostra conoscenza sulle origini del sistema solare e sulla costituzione delle comete.

    Il Binocolo

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    Il Binocolo
    Tempo di lettura: 3 minuti

    Il Binocolo“Grazie, se ne avrò bisogno la chiamerò”. Liquidato il personale di sicurezza richiuse la porta e si guardò intorno.
    L’ambiente gli sembrò più che spazioso. La grande scrivania e l’ampia vetrata alle spalle davano all’ufficio un’aria di lussuosa efficienza, e notò con piacere che al centro della sala, posato sul tavolo di un piccolo salotto, qualcuno aveva già provveduto a recapitare il contenitore dei suoi effetti personali.
    Come un bambino curioso andò subito a sedersi sulla comoda poltrona. Un odore di legno nuovo e di vernice impregnava ogni cosa. Era soddisfatto.
    Una piccola spinta e la sedia ruotò su se stessa. Un Sole rosso, solcato da sottili nubi, si stava alzando all’orizzonte promettendo una giornata stupenda, e per qualche minuto stette ad osservarlo rincorrendo pensieri disordinati. Una luce dorata gli colorava leggermente il viso affilato e scuro.
    Dopo un po’ si scosse, e raggiunto il contenitore cominciò a tirarne fuori piccoli oggetti che poi andava riponendo nei molti cassetti della scrivania. Sentiva che la breve euforia per l’incarico prestigioso a cui era stato chiamato andava già spegnendosi, e gli venne subito in mente il problema dell’antenna nord, con il test programmato da mesi che stava per essere annullato.
    La cassa era ormai quasi vuota, quando trovò il binocolo.
    Lo posò sulla scrivania con cura, arretrò di qualche passo, lo riprese in mano, guardò alla finestra e si sedette nella poltrona.
    Con un fazzoletto pulì con cura le lenti residue – soltanto tre, perché era sempre mancato l’oculare di sinistra – e con una piccola spinta volse la poltrona verso l’ampia finestra. Puntò lo strumento verso l’orizzonte, naturalmente con l’occhio sinistro chiuso, e tra mille riflessi causati dalla fioritura della resina nei doppietti intravide la grande parabola dell’istituto di radioastronomia, che confinava con la piana dell’interferometro.
    Dopo alcuni minuti posò il binocolo sulla scrivania, chiuse ambedue gli occhi e vide.
    Vide un bimbo sorridente che usciva di corsa da una montagna di spazzatura fumante.
    Aveva appena trovato il binocolo. Era felice.
    Con la maglietta pulì le lenti, lo avvicinò agli occhi e si accorse che funzionava. È vero che mancava un oculare, ma funzionava!
    Corse a perdifiato verso la baraccopoli di Pune, nel riparo dove viveva con i genitori, nascose il tesoro sotto il letto e tornò con gli amici sulla collina ricoperta di rifiuti, dove la mattinata terminò con altri recuperi di poco conto. Il suo pomeriggio, come per tanti altri bimbi, sarebbe stato dedicato alla “vendita” degli oggetti in mercatini improvvisati nei sobborghi meno poveri della città.
    Tornato a casa, dedicò molto tempo alla pulizia di quella cosa meravigliosa, che considerava “sua” e che mai avrebbe messo in vendita. Tentò anche di aprirlo, ma senza successo.
    Poi venne sera e lo puntò verso il cielo nero, l’unica cosa pulita di quel suo mondo disperato (e che però a lui sembrava bellissimo e rassicurante). E questo accadde per molte e molte serate a seguire. E tante erano le domande che andava facendo a tutti sul significato di quelle cose che vedeva in cielo, che un giorno suo padre rinunciò a mezza rupia, una giornata di paga, per comprargli un libretto dove si parlava di stelle, pianeti, e dove per la prima volta vide scritta la parola “astronomia”.
    Poi vennero altri libri, e il ragazzo – come nelle storie più belle – un giorno prese il treno. Una grossa borsa conteneva tutte le sue povere cose. Voleva continuare a studiare. Voleva sapere.
    Un linguaggio nuovo aprì la sua mente. Lo trovò divertente. Ed il ragazzo, fattosi uomo, imparò anche a raccontare, nella forma logico-matematica utilizzata dal mondo, le sue teorie, le sue soluzioni, i suoi pensieri.
    E ogni volta che c’era da superare un ostacolo non mancava di prendere in mano quel suo vecchio binocolo, che non lasciava mai e che gli ricordava come tutto può nascere da una casualità, e come tutto può ricadere su se stesso se non si colgono i segnali che la vita continuamente ci manda. Spesso i suoi pensieri tornavano alla sua casa, ai suoi amici, ai suoi genitori. Quante volte era tentato di tornare alla sua montagna di spazzatura…
    Tornò a guardare nel presente, sorvolando con il binocolo lo sterminato campo sotto il quale correvano i condotti di Fabry- Perot. Lì sotto stava la speranza di riuscire, un giorno non lontano, a rilevare la presenza di minuscoli segnali in concomitanza con l’esplosione di qualche supernova. O, meglio ancora, di segnalare al mondo, “in tempo reale”, l’avvenuta esplosione e la zona di provenienza.
    Sono anni ormai che lavora a questo progetto. È necessario non lasciare nulla al caso, ed è sicuro che la sua creatura non lo tradirà. Sarà certamente in grado di rilevare le onde gravitazionali, da tanto tempo previste e mai rilevate con la necessaria certezza.
    Quel piccolo binocolo, testimone e viatico del suo passato lontano, ancora una volta gli darà la forza per giungere alla meta.

    Viaggio a CAPO VERDE

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    Capo Verde
    Tempo di lettura: 3 minuti

    Capo VerdeInoltre sarà possibile, con la guida di esperti astrofili, ammirare le meraviglie del Cielo stellato Australe ad occhio nudo e con l’ausilio di strumentazione astronomica.

    Soluzioni

    HOTEL VILA DO FAROL BRAVO CLUB

    Il bravo Club Vila Do Farol si trova sull’isola di Sal, una delle 10 isole ( di cui 9 abitate) che compongono l’arcipelago di Capo Verde. Il villaggio: situato all’interno di un ampio giardino affacciato direttamente sulla splendida spiaggia, una delle attrattive di maggiore rilievo dell’isola di Sal, che si affaccia su un mare cristallino incontaminato. Il corpo centrale comprende la hall, la discoteca,la boutique, la sala tv, la sala conferenze, il cinema, il ristorante, il bar terrazza, la ludoteca. Fra il corpo centrale e la spiaggia si trova la piscina con area bambini. Gazebo, lettini e teli mare a disposizione gratuitamente in spiaggia e piscina, fino ad esaurimento. I pasti principali sono serviti a buffet presso il ristorante principale, ma è anche disponibile uno snack-bar in spiaggia, un bar alla piscina e uno allo lobby con piano bar. Le camere: 236 camere tutte accoglienti e gradevolmente arredate, dispongono di servizi privati con doccia e asciugacapelli, aria condizionata, regolabile individualmente, telefono, tv, satellite, minibar, cassetta di sicurezza.

    FORMULA ALL INCLUSIVE

    Trattamento di pensione completa (prima colazione, pranzo e cena) tutti con allestimento buffet con bevande alla spina ai pasti: soft drink, acqua minerale naturale, birra e vino della casa; open bar (dalle ore 10.00 alle ore 24.00) con soft drink alla spina, birra alla spina, acqua(non in bottiglia) vino della casa, tè, caffè, liquori nazionali, cocktail alcolici ed analcolici; open snacks (dalle ore 10.00 alle ore 18.30) con spuntini dolci e salati. Note: tutte le bevande in bottiglia e in lattina sono a pagamento. Sono comprese le seguenti attività sportive: wind-surf, body-surf, kitesurf, surf da onda (assicurazione facoltativa), tiro con l’arco, beach-volley (3 campi), beach-soccer, beach-tennis, calcetto, basket, acquagym, step, ginnastica aerobica, pallanuoto, freccette, ping-pong, bocce,calcio-balilla, jogging. A pagamento: centro diving.

    Programma

    1° giorno, mercoledì 02 febbraio 2005
    VERONA/ISOLA DI SAL
    Ritrovo dei partecipanti, all’aeroporto di Verona, disbrigo delle formalità doganali e partenza per l’Isola di Sal. Arrivo, transfer in pullman presso l’Hotel Bravo Club Vila Do Farol e pernottamento.

    2°/7° giorno, giovedì/martedì 03/08 febbraio 2005
    ISOLA DI SAL
    Trattamento di all inclusive. Giornate dedicate al relax, alle attività balneari alle escursioni facoltative e all’animazione. Nel corso delle serate osservazioni astronomiche facoltative.

    8° giorno, mercoledì 09 febbraio 2005
    ISOLA DI SAL/VERONA
    In tempo utile, trasferimento all’aeroporto, disbrigo delle formalità doganali e partenza per Verona.

    Quota di Partecipazione

    Quota individuale di partecipazione a 25 persone € 790,00
    Supplemento camera singola, s.d € 160,00

    La Quota comprende

    • voli ITC in classe economica Verona/Sal/Verona
    • franchigia bagaglio kg 20
    • tasse aeroportuali italiane
    • transfer in pullman apt/hotel/apt
    • sistemazione in Villaggio Hotel Vila Do Farol – Bravo Club, in camere doppie con servizi privati, aria condizionata, tv satellite
    • trattamento con formula All Inclusive (tutto incluso)
    • assistenza di personale qualificato in hotel e negli aeroporti
    • copertura assicurativa, sanitaria, medico, bagaglio e penali annullamento viaggio

    La Quota non comprende

    • spese ottenimento Visto Consolare e Security Tax (€ 9,81)
    • mance
    • eventuali escursioni diurne e notturne con auto a noleggio.
    • extra in genere e tutto quanto non espressamente indicato alla voce “La quota comprende”.

    Documenti e Vaccinazioni

    Documenti di viaggio:
    passaporto individuale regolarmente bollato in corso di validità di almeno 6 mesi dalla data d’ingresso del paese e visto consolare.

    Prenotazioni e Informazioni

    Termine iscrizioni: 31 dicembre 2004

    Per informazioni e prenotazioni:
    Centro Turistico Modenese di Robintur spa
    Via Bacchini, 15- 41100 Modena
    Tel. 059/2133717
    Fax 059/214809
    E-mail: CTM.Bacchini@Robintour.it

    Per informazioni astronomiche:
    Massimiliano Di Giuseppe Tel. 338/5264372
    Ferruccio Zanotti Tel. 338/4772550
    E-mail: columbia@global.it
    Web: http://www.ferrara.com/columbia

    Recensione: “Il nostro ambiente cosmico” – Martin Rees

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    Tempo di lettura: 3 minuti

    Martin Rees, Astronomo Reale a Greenwich e Research Professor all’Università di Cambridge in Inghilterra è un autore prolifico ma solitamente i suoi libri divulgativi sono di ottima qualità. Non fa eccezione questo volume che raccoglie i suoi interventi alle Scribner Lectures, una serie di lezioni tenute all’Università di Princeton, nelle quali voleva “descrivere a grandi linee una certa attività scientifica di frontiera oggi molto vivace, mettendo in evidenza alcune idee nuove e rendendole accessibili al grande pubblico”.

    Il libro prende le mosse da una descrizione del sistema solare e dall’esistenza di altri sistemi planetari, accertata con sicurezza solo nel corso dell’ultimo decennio del secolo scorso.

    L’autore pone poi il problema della vita e dell’intelligenza al centro di un’indagine che comprende, come componente primaria, la più onnicomprensiva delle scienze “ambientali”, la cosmologia. Egli è convinto che anche se le forme di vita di tipo primitivo fossero comuni, l’emergere di forme progredite o intelligenti potrebbe non esserlo affatto. Sul nostro pianeta le forme di vita più semplici si sono evolute molto rapidamente, ma ci sono voluti invece circa tre miliardi di anni perché entrassero in scena i più elementari organismi pluricellulari. È lecito supporre che vi siano ostacoli molto gravi alla formazione di organismi complessi: l’intelligenza potrebbe essere estremamente rara anche se la vita ai livelli più primitivi non lo fosse.

    A pagina 46 Rees sostiene che “sarebbe per certi versi deludente se la ricerca di un’intelligenza extraterrestre fallisse, ma, in compenso, ciò darebbe all’uomo un pretesto per avere una più alta opinione di sé: se la nostra piccola Terra fosse l’unica dimora dell’intelligenza, il suo significato cosmico sarebbe molto superiore a quello che avrebbe qualora la Galassia pullulasse di vita complessa”. Mi pare che si tratterebbe di una ben grama consolazione a fronte di una assoluta e desolante solitudine cosmica!

    Rees dice che per noi la sfida del nuovo millennio è la risposta a questa domanda: “Com’è che 13 miliardi di anni di evoluzione ci hanno portato da condizioni iniziali semplici ad un ambiente complesso, in cui gli atomi si uniscono a formare creature capaci di riflettere sulle proprie origini?”

    È indubbiamente vero che una stella è più semplice di un insetto e che i biologi devono affrontare sfide ben più dure di quelle che vengono poste agli astronomi.

    Infatti, secondo i cosmologi oggi è possibile descrivere quello che è accaduto nei primi secondi della storia cosmica, con un margine di sicurezza del 99% (almeno così afferma Rees a p. 80) e, soprattutto, che tutto è cominciato con un big bang, le cui proprietà essenziali sono relativamente semplici da descrivere.

    Si ritiene che la prova che agli inizi del tempo il cosmo fosse piccolissimo, densissimo e caldissimo sia stata acquisita cinquant’anni fa con la scoperta della radiazione di fondo, l’eco della creazione. Rees mette però le mani avanti quando afferma che anche la teoria dello stato stazionario, che a lungo ha contrastato quella del big bang, potrebbe essere quella giusta, specialmente nella versione del “bang continuo”, messa a punto da Hoyle poco prima di morire. Forse l’errore commesso da Hoyle, Bondi e Gold è di aver attribuito al cosmo delle dimensioni troppo piccole. È infatti possibile che il nostro big bang sia solo uno fra i molti “bang” disseminati in un universo che su di una scala gigantesca permane in un eterno stato stazionario che eternamente si riproduce.

    Come ultima chicca voglio riportare sinteticamente quale potrebbe essere il destino della “quintessenza” secondo i moderni cosmologi (tra i quali, naturalmente, lo stesso Rees).

    Dice Rees (p. 134): “non sappiamo che fine farebbe quella misteriosa energia dello spazio … come energia residua, potrebbe convertirsi in qualche nuovo tipo di particella. Mentre si degrada, questa energia residua potrebbe invece formare delle bolle … C’è però un’eventualità ancora più sconcertante, ed è che lo spazio vuoto possa subire una trasmutazione catastrofica. Magari l’attuale “vuoto” è metastabile e potrebbe trasformarsi in un universo del tutto diverso…”.

    Mi fermo qui per un breve commento: questa non è più scienza, è pura e semplice, ed eccessivamente fantasiosa, speculazione. In almeno un paio di occasioni, nel suo libro, Rees si richiama, per illustrare concetti immaginifici, a quanto scrivono abili autori di fantascienza come Vonnegut e Stapledon e, in effetti, quanto oggi stanno masticando i cosmologi teorici assomiglia molto a science fiction di serie B: straordinari voli di fantasia assolutamente non verificabili attraverso l’osservazione.

    Per carità, Rees è un ottimo scienziato in grado di scrivere affascinanti saggi divulgativi, ma non è che questa volta si sia lasciato prendere la mano per venali motivi di cassetta?

    [Pubblicato su Coelum n. 85]

    .

    Scheda tecnica

    Il nostro ambiente cosmico

    Martin Rees

    Adelphi, 2004.

    Formato 14×22 cm, pp. 227.

    Prezzo 18,50 euro

    Ci vediamo tra un anno

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    Ci vediamo tra un anno
    Tempo di lettura: 3 minuti

    Ci vediamo tra un anno“Senti, perché stanotte non ce ne andiamo ad osservare le perseidi? Dicono che quest’anno non sarà male”.
    “Certo, con piacere! Cosa ci portiamo? La macchina fotografica in parallelo al telescopio? Oppure la mettiamo fissa su un cavalletto? Porto anche un registratore ed i moduli da compilare, non si sa mai. Se ce ne venisse voglia…“.
    “No! Niente di tutto questo, questa volta vorrei osservare soltanto. Steso sulla sdraio. Ti dispiace?”.
    “Va bene, vengo a prenderti verso mezzanotte”.
    È tanto che non si esce assieme. La sua compagnia mi ha sempre fatto piacere. È un ragazzo in gamba. Calmo e sereno, sempre pronto, sia per la battuta sia per i discorsi importanti. E noi appassionati di discorsi importanti ne facciamo continuamente. Un po’ di cosmologia, la vita nell’universo, i primi tre minuti, gli effetti della relatività. Temi che riempiono i dialoghi di una intera notte.
    E cosi, ognuno con la propria sdraio caricata dietro, andiamo al solito posto.
    Mezz’ora di auto, un ampio prato con l’erba a foraggio appena tagliata.
    Come sempre io sono velocissimo, e in men che non si dica sono steso con un occhio al cielo e l’altro al mio compagno che con calma si prepara per l’osservazione. La debole luminosità del cielo sull’orizzonte mi permette di guardarlo con più attenzione.
    Magro, spalle curve.
    La sua altezza, che gli ha sempre dato un’aria distinta ed importante, ora lo rende più impacciato. Altro che ragazzo, per la prima volta mi accorgo che è quasi vecchio, che tutti e due siamo ormai quasi vecchi, che abbiamo passato i sessanta, e da un pezzo.
    Che strano cielo in piena estate! Il triangolo estivo è al tramonto, le Pleiadi sono già alte, M31 è ormai allo zenit. Abbiamo davanti a noi il grande quadrilatero di Pegaso…
    “Eccola!” – Una traccia luminosissima, quasi al meridiano, si spegne proprio sotto Markab.
    Tento un inizio di conversazione, ma sento subito che qualcosa non funziona.
    “È tanto che non ci vediamo. Va tutto bene?”.
    “Insomma” – risponde a mezza bocca, subito distratto da una piccola sporadica nella Lira.
    Mi pare che voglia cambiare discorso. Con un po’ di fatica si alza per prendere una giacca, che indossa nonostante il caldo.
    “L’umidità del mattino è quella che ti frega!”, dice con un sorriso, e si stende nuovamente.
    Le meteore si presentano con sempre minor intervallo.
    Bellissime! Alcune sono molto luminose. Peccato che non abbiamo la macchina fotografica. Molte avrebbero certamente impressionato la pellicola. Le nostre esclamazioni segnalano ogni scia che transita in cielo, tutte provenienti rigorosamente dalla costellazione che ha dato loro il nome.
    Improvvisamente lo sento dire – “È impossibile!”.
    “È impossibile cosa?” – chiedo.
    “Non c’è tempo per esprimere il desiderio, è proprio una bella presa in giro! Quanto dura la vita di una stella cadente?”
    “Mah, forse le più longeve arrivano al secondo, altre molto meno!”.
    “Vedi? è proprio una presa in giro”
    – risponde con un’amarezza che riesco a cogliere nitidamente.
    Mi scuoto, e la notte continua, ed è bellissimo! Senza preoccupazioni di telescopi, macchine fotografiche, tempi, rullini, sdraiati su un prato soltanto per osservare.
    Forse ognuno di noi dovrebbe cominciare così, senza strumenti, lasciando che la fantasia corra ovunque desideri andare.
    Le meteore aumentano la loro frequenza ed il loro splendore. Ancora per poco…
    Il tempo, inesorabile, trascorre lentamente sino a farci notare un impercettibile chiarore che da levante si impadronisce di tutto il cielo. È l’ora del rientro.
    Ci alziamo con fatica dai nostri giacigli e carichiamo le sdraio nel bagagliaio.
    E dico: “Bravo! È stata veramente un’idea stupenda. Mai più con strumenti! Sono veramente soddisfatto di questa nottata di osservazione.
    Mi prenoto già per il prossimo anno. Torniamo qui per l’undici agosto?”.
    “Purtroppo no. Mi piacerebbe, ma non ci sarò”.
    “Verrò a casa tua a prenderti con la forza!”
    “Non sarò neanche a casa!”.
    “Perché, hai intenzione di partire?”
    Un attimo di silenzio e poi – “Si! Partirò ”.
    “Verrò a prenderti anche in capo al mondo!” .
    “Non mi troverai. Ma ti prometto che, se potrò far qualcosa, le prossime perseidi saranno entusiasmanti.
    Tu tornerai qui ed io sarò al tuo fianco, anche se non mi vedrai”.
    Adesso non posso fare a meno di fissarlo negli occhi e gli chiedo – “Ma che significa?”.
    “Mi restano sei mesi. Un tempo lunghissimo in fondo, se pensi a quanto vive una meteora.”.
    Non so che dire. Sono affranto. Ho voglia di piangere.
    E lui, sorridendo – “Ah, dimenticavo, l’anno prossimo porta una sdraio e una giacca anche per me. Sai l’umidità del mattino…”.
    Lo guardo, incapace del minimo gesto.
    “Dai, non ti preoccupare, appena arrivo lassù fondo una associazione di gente strana come noi. Chissà che cielo stupendo ci sarà lì. E quando sarai stufo di questo inquinamento mi raggiungerai!”.

    Recensione: “Se l’Universo brulica di alieni… dove sono tutti quanti?” di Stephen Webb

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    Se l’Universo brulica di alieni…
    Se l’Universo brulica di alieni…
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    Se l’Universo brulica di alieni…
    Se l’Universo brulica di alieni…

    Sironi Editore, 2004
    Formato 14×21 cm, pp. 379
    Prezzo euro 19,50

    Stephen Webb, autore di questo splendido e divertente volume, con il quale è stato finalista all’Aventis Prize nel 2003, è un noto divulgatore scientifico che vive in Inghilterra.
    Nella prefazione egli riassume con queste parole il tema centrale del suo affascinante lavoro: “questo libro parla del paradosso di Fermi, ossia della contraddizione insita nel fatto che non vediamo gli alieni mentre ci attenderemmo segnali o indizi della loro esistenza”.

    La formulazione del “paradosso di Fermi” risale ad un giorno d’estate del 1950, quando il grande fisico italiano si trovava a Los Alamos in compagnia di Edward Teller e Herbert York. L’argomento del discorso era l’ondata di avvistamenti di dischi volanti che in quelle settimane aveva scosso gli Stati Uniti.
    Nel mezzo della conversazione Fermi chiese: “Dove sono tutti quanti?”, riferendosi al fatto che gli alieni, fino ad allora, non si erano mai manifestati, mentre, sulla base di rapidi calcoli eseguiti al momento, egli concludeva che “dovremmo essere stati visitati già molto tempo fa, e più di una volta”.
    Secondo l’Autore, Fermi sarebbe giunto alla stima di un milione di civiltà extraterrestri che, in questo momento, potrebbero essere in grado di comunicare con noi. Allora perché non sentiamo nulla, nemmeno da alcune di loro? Anzi, perché non sono già qui? Webb scrive: “se alcune di queste civiltà si fossero sviluppate in tempi estremamente remoti dovremmo aspettarci di vederle colonizzare la Galassia, o di averlo fatto addirittura prima che sulla Terra si sviluppasse la vita pluricellulare. La Galassia dovrebbe brulicare di civiltà extraterrestri. Però non ne vediamo alcun segno. Dovremmo già essere a conoscenza della loro esistenza, ma non è così. Dove sono? Questo è il paradosso di Fermi”.

    Webb, nei capitoli 3-4-5, presenta 49 soluzioni del paradosso delle quali, quelle del capitolo 3 sono basate sull’idea che le CET (acronimo per civiltà extraterrestre) siano già qui (intendendo con qui non solo la Terra ma anche l’intero sistema solare). Nel capitolo 4 cerca invece di dimostrare l’esistenza delle CET anche se non abbiamo trovato prove della loro presenza. Infine, nel capitolo 5, l’Autore avanza le proposte che ci vedono soli nell’Universo. Ad esempio, al capitolo 3 (della serie: gli alieni sono già qui) ecco la “Soluzione 2: sono qui e si immischiano negli affari degli uomini”. A tal proposito, Webb ricorda che Kenneth Arnold, il 24 giugno 1947, per la prima volta vide un disco volante. Molti diedero per scontato che i dischi volanti fossero pilotati da alieni. Come scrive Webb, “Se i dischi volanti esistono davvero e sono effettivamente pilotati da alieni, il paradosso di Fermi è risolto all’istante. Di tutte le soluzioni al paradosso che sono state proposte, questa gode del maggior sostegno da parte del pubblico”.

    L’Autore giustamente aggiunge che “La scienza non è un processo democratico: l’esattezza o l’errore delle ipotesi non si dimostrano per votazione. Non importa quante persone credano alla verità di una particolare ipotesi… Quindi la domanda è questa: quanto regge l’ipotesi che i dischi volanti siano prove dell’esistenza di CET?”. Webb, prima di entrare nel merito della domanda, puntualizza il significato di UFO, acronimo di “Unidentified Flying Object”, per gli avvistamenti di luci o oggetti strani in cielo. Purtroppo c’è una certa confusione nell’uso dei termini “UFO” e “disco volante”. Nell’accezione corretta, però, un UFO è solamente questo: un fenomeno aereo “non identificato”. Tutto ciò che vediamo nell’atmosfera è un UFO oppure un IFO (un oggetto volante “identificato”): “solo in seguito ad apposite ricerche un UFO può diventare un IFO; un IFO potrebbe rivelarsi un disco volante! In base a questa definizione è innegabile che gli UFO esistano! Bastano alcune ricerche per trasformare quasi tutti gli UFO in IFO. Ogni anno, però, ne restano alcuni per i quali non è disponibile una spiegazione razionale… Ciò non toglie che molte persone… vogliano una spiegazione per tutti gli avvistamenti”.

    Webb è del parere che “ogni straordinaria affermazione sui dischi volanti non è mai sostenuta da straordinarie prove. Tutt’altro: riceviamo menzogne, risposte evasive e montature. Tra le spiegazioni del paradosso di Fermi l’ipotesi dei dischi volanti sarà anche la più popolare, ma sicuramente ce ne sono di migliori”.

    Infine, un cenno a quella che è la soluzione del paradosso di Fermi, a parere dell’Autore. Secondo Webb, c’è una sola, unica e nitida verità: alle nostre orecchie l’Universo rimane silenzioso.
    Nonostante ciò (p. 314), “mi piace pensare che un giorno potrebbe avverarsi qualcosa di simile alla civiltà galattica descritta da Asimov nei suoi classici racconti della Fondazione. Ma queste speranze sono in contrasto con il paradosso di Fermi: se noi colonizzeremo la Galassia, perché loro non l’hanno già fatto? … L’unica soluzione che sia coerente con l’assenza di extraterrestri e che al contempo dia sostegno ai miei pregiudizi – l’unica soluzione del paradosso di Fermi che personalmente ritengo logica – è che siamo soli”.

    L’Autore ritiene che il fatto stesso che Fermi abbia formulato il suo “paradosso” ha procurato uno shock che ci obbliga ad esaminare l’idea diffusa che il grande numero di pianeti esistenti “basti a garantire l’esistenza di vita intelligente extraterrestre”.
    Webb fa uso, per le sue stime, della famosa equazione di Drake (della quale si è spesso parlato sulle pagine di COELUM), secondo la quale se uno dei suoi fattori è pari a zero, allora dobbiamo concludere che la nostra specie è sola. Ma, aggiunge: “sospetto che l’unicità del genere umano derivi non tanto da un’unica soluzione del paradosso quanto da una combinazione di fattori, un prodotto di varie soluzioni”.
    Per aver conferma delle sue ipotesi, Webb applica un “crivello”, analogo a quello di Eratostene (si trattava di un metodo che consentiva, filtrando i numeri, di individuare quelli primi), che lui chiama “crivello di Fermi”: naturalmente, lascio al lettore il piacere di scoprire le raffinatezze di questa interessantissima tecnica e le sue notevoli implicazioni.

    Finisco dicendo che ho trovato questo libro straordinario, leggero e profondo, divertente, malinconico e mai banale: assolutamente da leggere.

    L’ascensore

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    18 aprile 1955.

    “ Buongiorno e ben arrivato! ” disse il vecchio signore dai capelli bianchi.
    “ Ciao! ” rispose il piccolo bimbo sorridente.
    Il vecchio signore dai baffi bianchi aveva un’aria scanzonata, ironica, saggia.
    Al bimbo pareva un nonno divertente, colto, sereno. Il bambino era nudo, indifeso, curioso.
    Il dialogo sgorgò spontaneo.
    “ Il mio nome è Alberto ” disse il vecchio “ Ed il tuo? ”.
    “ Io sono Kim , so quasi solo questo. Ignoro molte cose ”.
    “ Anch’io. Sei coreano? ”.
    “ Centro! ” rispose felice il bimbo “ Sei bravo, sai? ”.
    “ Oh… non molto. E dimmi: cosa vorresti fare da grande? Il calciatore? L’attore? Il generale? ”.
    “ No, vorrei diventare il Presidente delle due Coree unificate ”.
    “ Accipicchia! ” si lasciò scappare l’anziano signore “ Non si può certamente dire che tu non abbia le idee ben chiare. Complimenti! Perché questa aspirazione? ”.
    “ Mi hanno detto che le due nazioni sono in guerra e per questo il mio popolo soffre indicibili pene ”.
    “ Sei proprio un bimbo estremamente assennato, ne nascessero tanti così! ”.
    “ Che problemi avete? ”.
    “ Molti popoli, non solo il tuo, soffrono a causa di guerre o calamità naturali, ma se quest’ultime sono inevitabili, le prime invece sono un monumento all’imbecillità umana.
    Schiere di uomini, donne e bambini soffrono e muoiono per consentire ad alcuni fortunati potenti di arricchirsi ulteriormente o di riportare effimere vittorie sui campi di battaglia. Se tu potessi stare qui, da lontano, a guardare per un centinaio di anni due grandi nazioni europee , cosa vedresti? Dapprima la Plancia invade e conquista una striscia della Spigna, la quale nella seconda guerra punica se la riprende aggiungendovi per buon peso anche una zona trapezoidale del territorio dalla Plancia, la quale poi nella guerra dei cento mesi se la riconquista e penetra per un triangolo di 80 chilometri nella terra della Spigna, che durante la prima guerra mondiale se lo riprende e tutto ritorna come prima. Risultato dopo mille anni? STESSI CONFINI, GLI STESSI !
    Alcuni politici e generali passati alla storia ( più famosi di artisti e scienziati, incredibile! ), alcuni ricchi un po’ più ricchi ed un mucchio di giovani soldati ventenni morti. MORTI PER NIENTE ! ”.
    “ Cosa sono i confini? ”.
    “ Sono una cosa che divide i popoli. Da quassù non si vedono, ma non si vedono neppure quando li attraversiamo. Esistono sono sulle cartine geopolitiche …..e nelle zucche vuote. Triste, vero?
    Ma ora io devo andare, d’altronde vedo che non hai bisogno di molti consigli né raccomandazioni, sono stato fortunato ”.
    “ Perché? ”.
    “ Perché hai già capito cosa significa vivere con saggezza. Molti bimbi la possiedono e poi, inspiegabilmente, perdono questo straordinario dono nell’adolescenza, che trascorrono generalmente come idioti completi, tranne poi rinsavire un po’ nell’età adulta e ridivenire saggi sul finire dell’esistenza. Se al mondo ci fossero solo vecchi e bambini vivremmo certo in modo meno doloroso: il carico di sofferenze subite ogni anno dall’Umanità è spaventoso ”.

    “ Ma perché devi proprio andare? ”.
    “ Mi aspettano. Anche tu, d’altro canto, devi andare. Sai quale bottone premere? ”.
    “ Sì! Quello con la lettera T che sta per “ TERRA” . Dove ti aspettano? ”.
    “ Lassù, lontanissimo, nel mondo dei più ”.
    “ Il mondo dei più? E’ pieno di addizioni? ”.
    “ No ” sorrise il vecchio dai lunghi capelli bianchi pensando che però di croci era pieno “ è un modo di dire. Sto per morire e per raggiungere coloro che mi hanno preceduto. Sono molti di più di quelli che si muovono freneticamente laggiù. Li vedi? ”.
    “ No. Da qui non si possono scorgere ”.
    “ E’ vero. Penso che quando il mondo dei più diventerà quello dei meno, e prima o poi succederà senz’altro con l’esplosione demografica in atto, le cose andranno ancor peggio! ”.
    “ Perché? ”.
    “ Mi piaci ”.
    “ Perché? ”.
    “ Perché chiedi spesso “perché” ”.
    “ Sono molto piccolo ”.
    “ Certo! Comunque le cose laggiù andranno peggio, perché già ora molti bimbi che nascono trovano, alla sosta intermedia dei cento chilometri, vuoto l’ascensore che sale e non possono ottenere le informazioni, i consigli e le raccomandazioni indispensabili per condurre una vita orientata al bene.
    In un lontano futuro sarà sempre peggio, gli appuntamenti tra chi va e chi viene saranno sempre più rari. Mancherà il travaso di conoscenza ed esperienza, purtroppo! ”.
    “ Funziona così? Tu sei quello che deve accogliermi? Una vita va ed una viene? ”.
    “ Sì! C’è chi nasce e c’è chi muore, per dirla in altro modo ”.
    “ Tanto va la gatta al lardo….”.
    “ No ” sorrise il distinto signore “ questa frase riguarda qualcos’altro. Comunque, non tutti i bambini nascono così maturi come te e devono avere un’accoglienza adeguata.
    Chissà! Forse le cose hanno incominciato ad andar storte quando le nascite hanno superato le morti, tanto tempo fa. Ma ora il tempo concessoci per conversare è terminato, addio dunque, e buona fortuna! ”.
    “ Quale tasto devi schiacciare tu? ”.
    “ Il più alto, quello con il simbolo di un otto coricato. Siamo molto stanchi, noi anziani…e anche i nostri numeri lo sono ” scherzò il vecchio.
    “ L’otto è coricato perché è stanco? ”.
    “ Non proprio ” sorrise il signore “ non vado all’ottavo piano, ci sono tre bottoni soltanto, vedi?
    T100?.
    Significano TERRA, 100 CHILOMETRI e INFINITO.
    L’ascensore che scende e quello che sale si incontrano a cento chilometri dalla superficie del pianeta, e l’otto coricato è il simbolo dell’infinito ”.
    “ Dov’è l’infinito? ”.
    “ Un po’ più in là di laggiù laggiù ”.
    “ Allora ci impiegherai TANTO TEMPO! ”.
    “ Arriveremo insieme ”.
    “ COOOME? ” Domandò sbigottito il quasi-neonato.
    “ Perché e come: certo che tu fai sempre domande pertinenti. Comunque è vero. Arriveremo insieme, tu laggiù ed io lassù ”.
    “ Non ci credo ”.
    “ Potresti fare anche lo scienziato. Però di ascensori io me ne intendo. Credimi ”.
    “ Ma non è possibile, cento chilometri in confronto al…..tutto ”.
    “ Tra la Terra e 100 chilometri ci sono esattamente tanti posti quanti tra 100 chilometri e l’infinito, quindi arriveremo insieme ”.
    “ Ancora non capisco ”.
    “ Quando tu sarai a 50 chilometri ( cioè 100 diviso 2 ) dal terreno, io sarò a 200 chilometri ( 100 per 2 ). I due punti 50 e 200 sono sposati tra loro o, se preferisci vista la tua giovane età, sono gemelli, collegati insomma. E quando tu sarai a 10 chilometri ( 100 diviso 10 ) dalla Terra, io sarò a 1000 chilometri ( 100 per 10 ). 10 e 1000 sono gemelli!
    Come vedi ci sono tanti punti tra la Terra e la fine dell’atmosfera quanti tra questa e il paradiso ”.
    “ BELLO! ” disse Kim e, dopo aver salutato con la piccola manina il vecchio signore, schiacciò la grossa T.
    Un attimo dopo a Seul nasceva un bellissimo bambino a cui fu dato il nome Kim Soo Kim, ed un attimo dopo Albert Einstein raggiungeva l’infinito.

    L’ultima missione del Columbia segna una pietra miliare nell’astronautica

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    Il grosso frammento fotografato è una parte del portellone di accesso alla cabina dell’equipaggio, sul mid-deck. (CAIB – NASA)
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    La crew della missione STS-107 nella posa tradizionale all'interno dello Space Shuttle Columbia. Da sinistra in basso Kalpana Chawla; il comandante Rick D. Husband; Laurel B. Clark and Ilan Ramon. In alto, sempre da sinsitra, David M. Brown, il pilota William C. McCool e Michael P. Anderson. Crediti: NASA

    Alle ore nove del mattino, ora del Texas, del primo febbraio 2003, lo shuttle Columbia conclude anzitempo, disintegrandosi durante il rientro nell’atmosfera, la sua vita operativa, portandosi via anche quella di sette astronauti. Le immagini della scia luminosa che si frammenta nel cielo fanno il giro del mondo in pochi minuti. Compiutasi a soli sedici minuti dalla fine della missione, un’altra tragedia ci ricorda che i voli spaziali non sono ancora routine. Il Columbia era alla sua ventottesima missione e ricordiamo che questa navetta spaziale aveva fatto storia inaugurando l’era dei veicoli spaziali riutilizzabili il dodici aprile 1981, pilotata dai grandi astronauti John Young e Robert Crippen.

    Lo stemma della missione della STS 107. (CNN – NASA)
    Lo stemma della missione della STS 107. (CNN – NASA)

    Cosa è successo sulla navetta più storica della NASA? Proviamo a dare una risposta, cercando di riassumere una impressionante quantità di informazioni che grazie a internet sono state via via accumulate nel corso di questi mesi.

    Il CAIB, Columbia Accident Investigation Board, la commissione che ha condotto l’inchiesta sulle cause dell’incidente occorso alla navetta Columbia durante il rientro il primo febbraio 2003 quando mancavano solo pochi minuti all’atterraggio, ha pubblicato il 26 agosto del 2003 i risultati delle indagini. Il volume, che sarà seguito da altri lavori ancora più analitici, è stato immediatamente reso disponibile su internet e questo aspetto è una novità assoluta per la storia dell’astronautica.

    Non è questa la sede per addebitare colpe e per fornire consigli alla NASA, oggi evidentemente in un momento delicato della sua storia, come è del resto riconosciuto dal CAIB stesso. Scopo di questo lavoro è soprattutto cercare di fornire al lettore un breve riassunto dei fatti che si sono succeduti dal momento dell’inizio della missione a quello della raccolta dei frammenti della navetta e dei dati e della loro minuziosa analisi, un lasso di tempo di quasi sette mesi. Forse, adesso che sono passati alcuni mesi, l’amarezza è meno forte. Tento così di ricostruire la vicenda che ha nuovamente, diciassette anni dopo quella del Challenger, unito il mondo in un profondo senso di cordoglio.

    Subito dopo l’incidente, dunque, è stata avviata l’inchiesta e il CAIB (Columbia Accident Investigation Board), una commissione indipendente formata da tredici membri presieduta da Harold W. Gehman, ammiraglio della Marina Usa (ritirato), ha nel corso dei mesi rilasciato una lunghissima serie di aggiornamenti sulle indagini in corso. Nulla è stato tenuto nascosto, anche se la complessità dell’indagine, evidentemente, è qualcosa di incredibile, dato che si lavorava sui dati della telemetria, sui frammenti che sono stati pazientemente e testardamente raccolti da un esercito di funzionari e in qualche caso anche da volontari, su centinaia di interviste estremamente riservate a personale NASA, su una enorme quantità di documenti cartacei ed elettronici (messaggi di posta elettronica scambiati a qualsiasi livello entro la NASA). Circa il quaranta per cento in peso della navetta è stato rinvenuto in numerosissimi frammenti, ognuno dei quali fotografato, numerato, catalogato per posizione e luogo di ritrovamento.

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    Il grosso frammento fotografato è una parte del portellone di accesso alla cabina dell’equipaggio, sul mid-deck. (CAIB – NASA)

    Un colossale data-base informatico costituisce il fondamento dell’inchiesta. Il documento ufficiale rilasciato dal CAIB rappresenta una sorta di pietra miliare nell’astronautica, perché contiene una serie di considerazioni che cercano di dare una risposta a quello che doveva essere un incidente quasi impossibile. E le implicazioni di carattere tecnico, umano ed economico saranno vastissime e segneranno significativamente il futuro della NASA e dell’astronautica mondiale. Nulla sarà più come prima ma, soprattutto, come risulta chiaro fin dalle prime pagine del report, una nuova coscienza dovrà crescere nella nazione americana. Il report del CAIB non è un atto di accusa bensì un’opportunità per fare rinascere un nuovo programma spaziale che metta al centro dell’attenzione l’uomo e il suo futuro nello spazio. Inutile dire che questo modo di intendere il prezioso documento ci trova assolutamente d’accordo. Il volume è dedicato, oltre che ai sette astronauti scomparsi, anche a due tecnici morti nelle operazioni di recupero in un incidente con un elicottero.

    La navetta Columbia è decollata per la sua ventottesima missione giovedì 16 gennaio 2003 alle ore 9,39 (ora di Houston). I media italiani hanno trattato in maniera piuttosto superficiale l’evento, dato che si trattava, in fondo, dell’ennesimo lancio. Era inoltre una missione scientifica, che non prevedeva nemmeno l’attracco alla stazione spaziale internazionale, e per questo motivo non risultava molto interessante.
    Ma interessante lo diventava, in Italia (e certamente in tutto il mondo), nel primo pomeriggio del primo febbraio, dopo che un’agenzia riportava un “urlo” statunitense che informava che la navetta era stata “persa” sui cieli del Texas durante le fasi finali del rientro. Da quel momento tutto il mondo è stato invaso da un’incredibile serie di messaggi informativi e in pochi minuti è stato chiaro che il Columbia si era disintegrato in volo durante il rientro nell’atmosfera.

    Ho continuato incessantemente, nel corso di questi mesi, a leggere report e articoli dei media USA, a raccogliere tutte le immagini che ho potuto, e anche a raffrontare le informazioni che trovavo su diversi siti. Con la speranza di illustrare a tutti gli appassionati di astronautica come me le cause di questa tragedia vi rapporto un pochino dell’ultima missione del Columbia partendo proprio dalla fine, da quel momento a soli sedici minuti dal previsto atterraggio sulla pista del Kennedy Space Center, in Florida, a pochi chilometri da cui era partito due settimane prima.

    Commander Rick Husband
    Pilot William McCool
    Mission Specialist Kalpana Chawla
    Mission Specialist David Brown
    Mission Specialist Michael Anderson
    Mission Specialist Laurel Clark
    Payload Specialist Ilan Ramon

    Il Seeing del Cerro Paranal

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    jup_zano
    Jupiter
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    jup_zano
    Jupiter

    E’ da alcuni anni che mi occupo di riprese planetarie in alta risoluzione, ed è risaputo come per questo genere d’osservazioni il principale fattore limitante sia la turbolenza atmosferica.
    Le condizioni ideali per sfruttare appieno il potere risolutivo del telescopio si hanno quando il seeing (termine che indica il grado di turbolenza dell’aria ) è ideale e ciò si verifica in particolari momenti ( alta pressione atmosferica stabile, assenza di turbolenze locali, ecc… ) e particolari luoghi.

    Anche In Italia si possono verficare, condizioni di seeing ottimali, e certi astroimager sono riusciti a registrare nelle proprie riprese webcam dettagli al limite del potere risolutivo strumentale, ad esempio c’è chi è arrivato a discernere dettagli planetari di 0,25″ con telescopi da 25 cm. In ogni caso nel nostro paese le condizioni di seeing sono molto variabili e per ottenere risultati di tale portata bisogna costantemente essere pronti a riprendere appena l’alta pressione la fa da padrone.

    Ultimamente si sono visti spettacolari risultati ottenuti nelle riprese planetarie con webcam e telescopi amatoriali da diversi luoghi nel mondo, dove la turbolenza atmosferica si assesta stabilmente nel tempo su valori ottimali, ( Cina, Texas, Pic Du Midi Francia ), uno dei luoghi al mondo migliore in assoluto è il Cerro Paranal nel deserto di Atacama, sito del VLT, dove si registra un seeing medio annuale di 0,6-0,7″ con punte di 0,1″

    Fra gli scopi del nostro viaggio in Cile, c’era anche la possibilità di saggiare le potenzialità nelle riprese in alta risoluzione ( chiaramente a livello amatoriale ), proprio del Cerro Paranal.

    INTES ITALIA MCT 180 Challenger Maksutov Cassegrain 180/1800 f:10
    INTES ITALIA MCT 180 Challenger Maksutov Cassegrain 180/1800 f:10

    Per effettuare la prova occorreva uno strumento che potesse garantire elevate performance in alta risoluzione, un potere risolutivo adeguato all’eventuale ottimo seeing, e nello stesso tempo un contenuto ingombro e peso.
    La scelta è caduta sull’INTES ITALIA MCT 180 Challenger Maksutov Cassegrain 180/1800 f:10, messo gentilmente a disposizione dalla ditta il Diaframma.

    Il sensore di ripresa utilizzato la classica webcam Philips Toucam Pro, già collaudata in Italia, accoppiata a diversi strumenti.
    La prova si presentava particolarmente stimolante per il fatto che avremmo potuto confrontare per la prima volta, le nostre stime del seeing a quanto registrato dagli strumenti appositi installati nell’area del VLT, dove un telescopio, utilizzando la c (differential image motion method), è in grado di misurare la qualità del seeing in tempo reale.

    Nel pomeriggio durante la visita ai telescopi del VLT, gli astronomi ci spiegano come la temperatura fosse in calo repentino, e come ciò non facesse presagire nulla di buono sul fronte della turbolenza dell’aria.

    Ci rechiamo al nostro sito osservativo, un colle a fianco del VLT, ed effettivamente appena il Sole tramonta, la temperatura cala velocemente e si assesta a valori prossimi allo zero.
    Montiamo gli strumenti e lasciamo che il telescopio si adatti alla rigida temperatura. Nel frattempo diamo un occhiata alla Luna anche con un dobson da 25 cm autocostruito, l’immagine del nostro satellite periodicamente appare percorsa da ampi tremolii, complice sicuramente il fatto che non si trovava ad altezze elevate sull’orizzonte. ( 25° ).

    Stessa cosa per Venere alto circa 15°, che presenta un’immagine quasi completamente distrutta dalla turbolenza.

    Il grande atteso però è Giove, alto circa 55°, che non aspetta altro che essere ripreso, sotto un cielo diventato nero come l’inchiostro. Il Maksutov è andato in temperatura e dopo una accurata collimazione, viene puntato sul gigante gassoso e lo stesso fa Claudio Balella con un Pentax 75 APO. Le immagini vengono visualizzate attraverso la webcam sullo schermo del PC, e lavorando con una barlow ad una focale di 8 metri, si fa parecchia fatica a mettere a fuoco, lo stesso accade con il piccolo Pentax ed una focale equivalente ben minore. Effettuo altre riprese a 7 metri di focale e con un Giove meno ingrandito, l’immagine appare più nitida, anche se continua ad apparire come soggetta ad una sfocatura dei microdettagli ( stessa sensazione avuta osservando anche da altri luoghi del deserto di Atacama ). La cosa strana è che non si avvertono tremolii dell’immagine, Giove appare immobile ma sfocato, lo stesso con il Pentax, tolgo la webcam e anche ad una ispezione visuale la sensazione è la stessa, rimane la microsfocatura.

    Elaboriamo le immagini e i risultati non mancano, i dettagli ci sono ( distinguiamo particolari sull’ordine dei 0,6″ in accordo col potere risolutivo teorico dello strumento ), anche se non rimango completamente soddisfatto, ho visto strumenti dello stesso diametro arrivare in serate eccezionali ad almeno 0,4″.
    Lo strumento dopo averlo testato anche in Italia ( star-test e prove preliminari webcam e visuali ) è apparso ottimo.

    Purtroppo non altrettanto ottimo è stato il seeing della nottata cilena, dai dati del DIMM telescope del VLT ci rendiamo conto come quella notte il seeing si fosse assestato mediamente attorno allo scarso valore di 2″, valore compatibile anche con l’effetto di microsfocatura delle immagini e tipica della turbolenza “veloce” d’alta quota in grado di generare tremolii dell’immagine così rapidi da essere rilevati dall’occhio solo come una generale sfocatura.

    In seguito a questa esperienza, e dopo anni di monitoraggio del seeing attraverso osservazioni planetarie compiute in Italia, da tutta una serie di appassionati dell’alta risoluzione, e da altre spedizioni all’estero come quella al Pic du Midì dell’Italian Planet Team dello scorso febbraio ( anche in quel caso il seeing non fu all’altezza della fama del luogo ), nonostante nel mondo vi siano luoghi privilegiati per l’osservazione planetaria, mi sento di affermare che anche in Italia abbiamo condizioni di seeing eccellente più spesso di quel che si pensa e soprattutto in certi luoghi ( anche se parecchio fluttuante in relazione alla intrinseca variabilità del clima europeo ).

    Ad esempio nella mia esperienza ad Ostellato ( FE ), ho verificato che all’instaurarsi di un’alta pressione stabile, il seeing quasi certamente lo si ritrova dal buono all’ottimo ( anche utilizzando strumenti di diametro elevato, fino a 45 cm ).

    In questo genere d’osservazioni è la costanza che paga e visto che anche il nostro paese può fornire buone opportunità, perché non creiamo una sorta di censimento dei luoghi dell’alta risoluzione in Italia, come viene fatto per i luoghi d’alta montagna dal cielo limpido e buio? La risposta ai lettori.

    Il Nuovo Planetario di Roma

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    Zeiss Jena modello II
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    Zeiss Jena modello II

    L’appuntamento è al Museo della Civiltà Romana all’EUR, un imponente palazzo che ora ospita anche il nuovo Planetario di Roma. Nel luminoso atrio di ingresso fa bella mostra di sé il glorioso proiettore Zeiss Jena modello II. Unico superstite tra gli esemplari installati nei planetari di tutto il mondo, esso originariamente mostrava il cielo stellato nel vecchio planetario della capitale, chiuso da vent’anni, nella Sala della Minerva alle Terme di Diocleziano.

    Il nuovo planetario, tanto atteso dai romani, è composto in realtà da tre strutture, oltre al planetario vero e proprio è infatti presente un bel Museo mentre è in corso di realizzazione un Centro documentale di scienze astronomiche.

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    Ferri e Vomero

    Qui incontriamo il Dott. Vincenzo Vomero, Direttore dei Musei Scientifici della Sovrintendenza ai Beni Culturali del Comune di Roma. Persona indubbiamente oberata da impegni, Vincenzo Vomero ha acconsentito con piacere ad essere intervistato per i lettori di Coelum.

    Iniziamo la nostra visita proprio dal museo.
    Come si colloca questa nuova struttura nel contesto della divulgazione scientifica della Capitale?

    museo-geode-video
    Museo Geode

    “Planetario, museo astronomico e piccolo centro di documentazione che stiamo mettendo in piedi, fanno di questa struttura un nucleo a Roma importante per la comunicazione dell’astronomia.
    Questo museo io lo chiamo “teatro astronomico”: a Roma già abbiamo il museo di M. Mario (presso l’omonima sede storica dell’Osservatorio Astronomico di Roma – OAR ) che contiene importantissimi strumenti antichi, lo “science center” di Monte Porzio Catone (nella sede presso Frascati dell’OAR esiste una mostra/laboratorio interattiva, Astrolab), mentre questo occupa una nicchia tutta particolare dove si vuole innanzitutto colpire l’animo del visitatore.

    museo osservatorio virtuale
    Museo Osservatorio Virtuale

    Teatro astronomico nel senso che tutte le persone che entrano devono essere colpite profondamente nell’animo. Lo scopo è suscitare la curiosità delle persone, fare in modo che si sviluppi un interesse verso la scienza in genere e l’astronomia in particolare. Non vogliamo dare l’idea che la scienza risponde a tutto, noi stimoliamo tanti perché e vogliamo che chiunque venga a visitare questo museo, ad ogni perché che gli balena davanti e per il quale trova una prima risposta, aggiunga 10000 altri perché; è bello procedere in questo modo perché la conoscenza è una reazione a catena. Queste tre strutture lavorano in sinergia per aumentare la conoscenza dell’astronomia.”
    Il percorso della visita, partendo dalla Terra fa un viaggio ideale nel sistema solare, per arrivare alla galassia ed ancora oltre; c’è un tema comune di fondo oltre alla semplice descrizione dei corpi celesti?

    museo sala cielo profondo
    Museo Sala Cielo Profondo

    “Noi abbiamo 3 parole chiave in questo museo: tempo, spazio ed origine degli elementi. Dare al pubblico una nozione corretta di tempo e spazio è tra le cose più difficili, noi siamo legati al metro delle cose umane, mentre il tempo e le dimensioni reali dell’universo sono assolutamente fuori dalla nostra comprensione e dalla sensazione umana di ogni giorno. Inoltre è importante far capire che ogni pezzettino di noi stessi, del nostro vestito, del nostro orologio è fatto di elementi che (quasi tutti) si sono formati nel nucleo di una stella di grosse dimensioni.

    Il messaggio fondamentale è la piccolezza dell’uomo di fronte alla grandezza dell’universo, che può suscitare nel visitatore anche delle riflessioni più profonde.”

    museo-sala-pianeti
    Museo Sala Pianeti

    Il percorso museale è molto curato scenograficamente, le sale vogliono dare l’idea del buio dello spazio. Ci sono bei modelli dei pianeti sospesi in questi alti spazi neri, “ mi piacerebbe pure che in questi ambienti ci fosse il gelo dello spazio” dice sorridendo Vomero, con al disotto di essi pannelli con brevi testi esplicativi sulla loro geologia, l’esplorazione, ma anche curiosità. Evidentemente non c’è la pretesa di spiegare tutto, ma di dare degli stimoli affinché il pubblico continui ad informarsi e magari senta il bisogno di approfondire. Alle sale dedicate alla Terra ed alla Luna seguono, senza trascurare i vari vettori usati dall’Uomo per esplorare lo spazio, quelle sui pianeti rocciosi ed i pianeti gassosi. Non mancano postazioni interattive e due diorami evocativi della superficie della Luna e di Europa, con una sezione dedicata alla ricerca di vita sul lontano satellite gioviano.

    Museo Sala Pianeti
    Museo Sala Pianeti

    Infine in alto campeggia un pannello di ben 9 metri con lo schema orbitale completo del sistema solare. Usciti dal sistema planetario il visitatore incontra delle rappresentazioni della distribuzione delle stelle più vicine al nostro Sole, realizzate tramite piccole luci disposte in 3D. Allo stesso modo è rappresentato anche il gruppo locale e gli ammassi di galassie. Vomero ci dice che questi “alberelli di luce” colpiscono molto il visitatore e gli dischiudono la cognizione della scala dell’Universo. Simpatico l’allestimento di un piccolo osservatorio virtuale con tanto di cupola e telescopio che simula l’osservazione diretta del cielo. Tramite un computer, attraverso lo strumento è anche possibile conoscere l’aspetto che assumono i vari oggetti astronomici nelle varie regioni dello spettro elettromagnetico. Una saletta un po’ in disparte è riservata ad uno spettacolo di immagini e suoni dedicato al modo con cui l’Uomo ha guardato allo Spazio: è anche il momento della riunione della Scienza con l’Arte.

    Museo sale Luna e Terra
    Museo sale Luna e Terra

    Scorrono su uno spettacolare geode-video dipinti e sculture ispirate al cielo e vari soggetti astronomici per finire con le splendide riprese di Hubble, il nostro ultimo “occhio nello spazio”. Presso il pannello dedicato ai buchi neri si lasciano le sale espositive e dalle lontane regioni dell’universo, tramite un corridoio con immagini del cielo profondo, possiamo tornare direttamente al punto di inizio della nostra visita.
    Possiamo certamente dire che l’allestimento è di buon livello, molti i monitor con interessanti filmati, sufficientemente chiari i testi : l’obbiettivo di affascinare il visitatore ci pare raggiunto. Conoscendo un po’ come vanno le cose in Italia l’unica preoccupazione è la manutenzione di tutti gli apparati presenti, cosa di cui Vomero appare conscio. Ma è giunto finalmente il momento di visitare la struttura vera e propria che ospita il planetario.
    Può descrivercelo?

    planetario
    Planetario

    “Noi abbiamo ricavato questa cupola dentro uno spazio esistente. Questa grande sala ha 25 metri di lunghezza, 15 di larghezza e 16 di altezza . la cupola non poteva quindi essere più larga di 14 metri. Abbiamo lasciato a vista lo scheletro esterno della struttura e il visitatore è accolto da una luce soffusa, una rappresentazione del Globo Farnese dà il benvenuto prima di accedere nella sala di proiezione.

    Nonostante il finanziamento non sia stato enorme, abbiamo cercato di ottimizzare in tutti i modi il prodotto in base alle risorse disponibili.

    planetario
    Planetario

    Sotto la cupola abbiamo 100 posti, anche qui una scelta strategica, se ne potevano mettere molti di più ma il pubblico sarebbe stato scomodo, si è cercato il massimo confort nella visione del cielo proiettato, adottando poltrone da teatro opportunamente modificate.

    Pur essendo solo un planetario con cupola di 14 metri ci siamo sforzati di offrire un ambiente gradevole. Abbiamo anche installato 12 proiettori di immagini statiche, posti lungo l’emisfero della cupola, che danno un unica immagine “all sky”, abbiamo poi 3 proiettori video che mandano immagini fruibili dai 3 settori di posti. Siamo anche in grado di visualizzare immagini che generiamo in diretta con un software di grafica 3D.

    Planetario
    Planetario

    Aggiungo che questo planetario lavora molto anche col suono, quindi l’acustica è stata particolarmente curata e sono stati installati costosi diffusori direzionali. Da una piccola consolle, tramite un monitor ed una tastiera si comandano 3 personal computer, dedicati ai vari sottosistemi quali la grafica, la parte meccanica, ecc, interfacciati ad un elaboratore centrale.”
    In effetti l’effetto è notevole, ci si trova immersi in una piacevole luce azzurrina, le poltroncine disposte in file concentriche sono comode, il proiettore è poco voluminoso, un bel contrasto col vecchio sistema. Vediamo di saperne di più:
    Il cuore del planetario è l’apparato di proiezione. Quali sono le sue caratteristiche?

    ”Lo Zeiss glorioso e antico è stato rimontato e ne abbiamo fatto un’ icona, purtroppo non è stato possibile ripararlo. Non potendo utilizzare lo Zeiss con le sue ottiche strepitose, abbiamo acquistato questo nuovo strumento Automation RSA Cosmos che è un proiettore squisitamente opto meccanico. Esso ha una grossa lampada ad arco al centro ed è dotato di una gran quantità di servomotori che permettono tutti i movimenti possibili. Visualizza 4500 stelle, ha i proiettori dei pianeti indipendenti e lavora sui due emisferi. La scelta di questa giovane ditta francese è stata motivata dal rapporto qualità/prezzo molto favorevole. Questo esemplare di proiettore, in particolare, non esiste in commercio poiché si tratta di un modello integrato da ulteriori sistemi per le nostre specifiche necessità.“
    Chi ha assicurato il finanziamento dell’opera?

    proiettore
    Proiettore

    “Questo planetario è stato realizzato grazie ad un primo finanziamento della Regione Lazio, che è stato il più cospicuo ,ai fondi della legge per Roma Capitale ed a fondi della Sovrintendenza alla Cultura del Comune di Roma. L’insieme di questi ha fatto sì che con un budget veramente basso si sia riusciti a costruire tutta la struttura. Nel progetto iniziale non era compreso il museo, però ci è sembrata una cosa ottima farlo, in tal modo si realizza un vero sistema che comprende il planetario, il museo astronomico ed il centro di documentazione. Noi avremo qui un posto dove tutti possono trovare documentazione, libri, materiale multimediale per approfondire questi argomenti.”

    Alla consolle di gestione del planetario incontriamo Stefano Giovanardi, uno dei giovani curatori scientifici, a lui chiediamo: Quali ritieni siano i punti di forza di questo planetario? Quale è la filosofia con cui lavorate?

    Stefano Giovanardi
    Stefano Giovanardi

    “Di particolare qui c’è la parte digitale. Ciò aggiunge tutta una serie di potenzialità al tipo di divulgazione che si può fare in un planetario. Noi possiamo trattare gli argomenti classici come i moti della Terra, i moti dei pianeti, il mutare della volta celeste, però tutto questo lo vogliamo integrare con elementi di approfondimento verso l’astrofisica moderna. E lo possiamo fare soprattutto grazie alla componente digitale che aiuta il pubblico a capire come l’astronomia moderna studia l’Universo in grande profondità. E’ difficilissimo affrontare questi temi con un planetario classico, visto che si va a parlare fondamentalmente di oggetti che non si vedono nelle proiezione normale. In questo modo riusciamo a trattare sia in senso divulgativo che didattico anche argomenti di grande attualità e questo ci sembra molto importante.”

    planetario-consolle
    Planetario: consolle

    “Tutti noi veniamo non solo da una formazione scientifica, astronomica in particolare, ma anche da una formazione in comunicazione della scienza, ad esempio io ho fatto il master della SISSA a Trieste. Combinando i due percorsi formativi in effetti ci rendiamo conto che nel planetario ci serve, più che la pedanteria sui contenuti, una grande attenzione a come veicolarli. Qui si ha a disposizione un ambiente interessante per l’atmosfera che crea e per le risorse di cui dispone e si può quindi proporre un discorso sull’universo combinando una serie di elementi che vanno dal cielo stellato stesso ad immagini, video e simulazioni tridimensionali che si possono fare in tempo reale, ad esempio una navigazione tra i pianeti, per ottenere non tanto di insegnare qualcosa a qualcuno, perché non siamo una scuola, ma di stimolare l’attenzione e la curiosità delle persone parlando di astronomia in modo scientifico”.
    Credo che sia già possibile stilare un primo bilancio, siete soddisfatti? Che feedback avete dal pubblico?
    “Il nostro obiettivo è riuscire ad interessare le persone e indurle a fare delle domande. E devo dire che questo succede abbastanza spesso, alla fine degli spettacoli molte persone vengono da noi a chiederci qualcosa. Se tu hai “acceso” la mente delle persone questo è un grandissimo risultato. Finora il feedback del pubblico è stato tanto ed è stato molto spontaneo. Sia direttamente alla fine degli spettacoli sia via email, sia per contatti vari che la gente ha piacere di prendere. Questo sicuramente significa che c’è un interesse e c’è una richiesta di astronomia a livello pubblico molto forte e noi stiamo riuscendo a stimolarla.
    Certamente abbiamo molto ancora da lavorare su tanti aspetti ma tutto questo è incoraggiante.
    Il tipo di pubblico che troviamo è sicuramente composto in buona parte da appassionati, oltre a molti astrofili ci sono anche i semplici curiosi e quelli che cercano un rapporto romantico con il cielo: già sono nati diversi amori sotto la cupola del planetario. Ma c’è anche una buona dose di persone esigenti che vogliono trattazioni più approfondite.”
    Tenete conto delle richieste del pubblico per ottimizzare o avete un programma fisso, sempre quello?
    “No, il programma è molto variegato, forse più di quanto accada in altri planetari perché spesso questi fanno a ripetizione sempre lo stesso spettacolo registrato, noi invece cerchiamo di avere un atteggiamento diverso inserendo tipologie di spettacoli che vanno da quelli di introduzione alla conoscenza del cielo, all’approfondimento astrofisico, agli spettacoli interattivi con i bambini, alle sperimentazioni tra musica e astronomia, agli sconfinamenti dell’astronomia verso altre discipline. Quindi in realtà la varietà di proposta è notevole, ci sono circa 20 titoli diversi che utilizziamo nella programmazione. Soprattutto la caratteristica di quasi tutti è che sono spettacoli fatti dal vivo, non registrati e devo dire che questo il pubblico lo apprezza tantissimo, c’è gente che è venuta a dirci: siamo contenti perché il vostro planetario non è “freddo” come potrebbe essere uno molto più grande e sofisticato che però ti fa vedere sempre lo stesso spettacolo.”
    Idee nuove quindi e gente entusiasta del proprio lavoro. Ebbene questi ci sembrano i giusti requisiti per fare di questa struttura un punto di riferimento della divulgazione astronomica nel nostro Paese. Auguriamo al Planetario di Roma il pieno successo.

    Planetario e Museo Astronomico
    presso Museo della Civiltà Romana – Piazza G.Agnelli, 10 – 00144 Roma
    Tel. 06/82077304
    Apertura: lun-gio h 9-16; venerdì h 9-13
    Web: www.comune.roma.it/planetario
    E-mail: planetario@comune.roma.it

    Fotografie di Maria Luisa Manai

    Cile: un paradiso per gli astrofili

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    Partecipanti al viaggio
    Tempo di lettura: 14 minuti

    Si spengono le luci dell’aereo nel lungo volo notturno Madrid-Santiago del Cile e una ventina di bizzarri personaggi inizia ad agitarsi e a fare schiamazzi col naso incollato all’oblò, osservando l’incredibile cielo dei 10.000 m di quota, tra gli sguardi un po’ perplessi delle hostess e degli altri passeggeri.

    Ormai questo è un rituale obbligato, da quando il Gruppo Astrofili Columbia di Ferrara, ha iniziato ad organizzare in collaborazione con Coelum, l’agenzia di viaggi CTM Robintur di Modena e la coop Camelot, viaggi astronomici in giro per il mondo, per osservare eclissi, piogge di meteore ed altri fenomeni celesti.

    Questa volta la meta è il Cile, per ammirare da uno dei cieli migliori al mondo, per caratteristiche di trasparenza e seeing, il raro fenomeno offerto dalla presenza contemporanea di due comete visibili ad occhio nudo la Linear C/2002 T7 e la Neat C/2001 Q4. Si coglie inoltre l’occasione per visitare, grazie all’aiuto dell’astronomo Renato Falomo, alcuni tra i più importanti osservatori astronomici di questo paese.

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    Partecipanti al viaggio

    Il viaggio raccoglie un buon numero di partecipanti, oltre al sottoscritto, Ferruccio Zanotti, Davide Andreani, Germano Dalfra, Giulio Nobile, Claudio Balella, Fausto Ballardini, Diego Pizzinat, Viviana Beltrandi, Giuseppe Michelini, Liliane Tiar, Paolo Minafra, Claudio Vitucci, Bruno Giacomozzi, Esther Dembitzer e Maurilio Grassi. Prima dell’alba, dopo aver contato tutta notte parecchie Eta Acquaridi, scrutando dal finestrino, abbiamo il primo impatto con la Linear T7, che ci appare ad occhio nudo accanto a Mercurio, senza coda, come una luminosa stella sfuocata. Anche se manca ancora una settimana al momento della sua massima luminosità, capiamo tuttavia subito che, pur essendo una cometa più che rispettabile, siamo lontani dalle ottimistiche stime di magnitudine che la davano vicina alla 0. Poco dopo il Sole illumina le cime delle Ande e fa un certo effetto notare come l’immensa perturbazione che ci ha tenuto compagnia per tutto il sorvolo della foresta Amazzonica, si arresti ora di colpo contro queste aride montagne. Attorno alle 7.00 del mattino del 14 Maggio arriviamo a Santiago, e qui ci attende il successivo volo per La Serena, in cui noleggiamo i fuoristrada che ci portano fino a Vicuna, campo base per le escursioni dei prossimi giorni.

    ande
    Ande

    Al tramonto, siamo tutti pronti nel giardino con piscina del nostro residence Hosteria Vicuna, per saggiare la strumentazione al seguito, tra cui il vecchio Dobson da 25 cm autocostruito, un Pentax APO da 75 mm, un Maksutov 90 e un Maksutov-Cassegrain 180, gentilmente fornito dalla ditta “Il Diaframma”. Rivedo con emozione, dopo 5 anni il meraviglioso cielo cileno: Alfa Centauri e la Croce del sud allo zenit, poi a sud la Grande e la Piccola nube di Magellano, immerse in una moltitudine di stelle che lasciano letteralmente senza fiato.

    Ma la vera star della serata, verso cui si concentrano le prime foto e osservazioni, è la cometa Neat Q4, ancora immersa nei bagliori del crepuscolo. E’ ben visibile ad occhio nudo nel Cancro, vicino al Presepe, e si indovina la sottile coda di circa 3°, che diventa facile al binocolo, mentre con strumenti più grandi appare evidente la colorazione verde della luminosa chioma.

    q4
    cometa Neat Q4

    La stima della magnitudine è compresa tra la seconda e la terza ed anche in questo caso, registriamo una luminosità inferiore rispetto alle prime previsioni che prevedevano il 7 Maggio al perielio un valore di 0,9. Dopo qualche ora di osservazione, la stanchezza si fa sentire e ci concediamo un meritato riposo prima delle visite previste il giorno dopo agli osservatori di Las Campanas e La Silla. E così il 15 maggio, dopo 2 ore e mezzo di auto da Vicuna, e dopo circa 200 Km in direzione Nord-Est, siamo nei pressi del complesso di osservatori americani di Las Campanas, tra cui spiccano i due telescopi gemelli del Magellan Project, entrambi con uno specchio primario di ben 6.5 metri a cui è applicato il sistema dell’ottica attiva.

    Magellan I
    Magellan I

    Gli osservatori si trovano a 2300 m sulla cima del Cerro Manqui e sono nati da una collaborazione tra l’Istituto Carnegie di Washington, le Università di Harvard, Michigan, Arizona e del MIT . Insieme alle guide visitiamo l’interno dell’enorme cupola che ospita il Magellan I, operativo dal Settembre 2000 e dedicato all’astronomo Walter Baade. Ha una configurazione ottica variabile Cassegrain- Nasmyth- Gregory su montatura altazimutale.

    Dopo un veloce sguardo dall’esterno al Magellan 2, inaugurato nel Settembre 2002 e dedicato all’astronomo Landon Clay ci spostiamo successivamente di una trentina di km per raggiungere gli osservatori dell’ESO ( European Southern Observatory) di La Silla, a 2350m di quota.

    La Silla
    La Silla

    Il nome del luogo deriva dalla conformazione orografica , che ricorda quello di una sella. All’ingresso ci accoglie Hernan Illanes, l’addetto dell’ESO ai tour guidati e veniamo condotti, dopo una proiezione introduttiva , a visitare l’NTT ( New Technology Telescope), un riflettore da 3,5 metri, su montatura altazimutale in configurazione Ritchey Chretien.

    la silla - zanotti
    La Silla - Zanotti

    E’stato il primo telescopio ad applicare la rivoluzionaria tecnica dell’ottica adattiva, ovvero uno specchio flessibile controllato elettronicamente per adattarsi alle variazioni del seeing dovute alla turbolenza atmosferica.

    Anche la cupola, di dimensioni piuttosto ridotte, ha lo scopo di ridurre la turbolenza e l’edificio si muove assieme al telescopio, analogamente al TNG ( Telescopio Nazionale Galileo delle Canarie), che riprende la stessa tecnologia e che visitai nel Novembre ’99, in occasione della spedizione di Coelum a La Palma per la pioggia delle Leonidi.

    cupola
    cupola

    Entriamo poi nella gigantesca cupola di 30 m che ospita il vecchio riflettore da 3,6 m , realizzato nei primi anni 70, con una robustissima montatura a disco polare. Quindi Hernan ci conduce alla grande parabola di 15 m del radiotelescopio SEST ( Swedish Submillimeter Telescope), utilizzato dall’87 per investigare le frequenze comprese tra i 70 e i 365 Ghz.

    Radiotelescopio Sest
    Radiotelescopio Sest

    Il giorno 16 sfuma purtroppo la visita all’osservatorio di Cerro Tololo, a causa di rigide misure di sicurezza imposte dopo gli attentati dell’11 Settembre, nei giorni non aperti al pubblico.

    La nostra spedizione quindi si divide in 2: alcuni raggiungono il suggestivo Paso de Aguanegra a 4800 m di quota al confine con l’Argentina, mentre altri, tra cui il sottoscritto, preferiscono prepararsi alle osservazioni serali, rintracciando il sito osservativo utilizzato 5 anni fa, ovvero uno spiazzo a circa 1000 m di quota con un ampia visibilità su tutto l’orizzonte e immerso nella più completa oscurità, lungo la tortuosa strada a strapiombi che collega Vicuna a Ovalle.

    Via Lattea
    Via Lattea

    Siamo prossimi all’inverno australe e il Sole tramonta attorno alle 18.00, facendo calare la temperatura a 7 gradi, anche se ci conforta una totale assenza di vento e umidità. La Neat Q4 si mostra con facilità con una coda di gas di una decina di gradi e col binocolo si intuisce anche la seconda coda di polveri. Il cielo in questi anni si è mantenuto superlativo e la Via Lattea esplode sulle nostre teste fra grappoli di stelle e nebulose brillanti e oscure.

    Passiamo in rassegna gli oggetti australi più famosi ( Omega Centauri, lo Scrigno, Centaurus A ecc. ) e poi andiamo alla ricerca di qualcosa di più difficile puntando il Dobson all’interno della Grande Nube, nella costellazione del Dorado per osservare ad esempio il piccolo ammasso aperto NGC 1910 di 1’di diametro e la nebulosa diffusa NGC1936, ben visibile e di aspetto rettangolare. Nel Tucano accanto alla Piccola Nube e al brillante globulare 47 Tucanae, individuiamo il meno noto NGC 362, di dimensioni medio piccole ( 12’,9) ma ben risaltabile ( magnitudine 6,6) sul fondo nerissimo del cielo. Infine un terzetto di galassie nel Pesce Volante NGC 2397, 2434 e 2442, piccole nubecole al limite delle possibilità dello strumento, La magnitudine e le dimensioni sono rispettivamente: ( 13-2’,2);(11,2-2’,5) e ( 11-6’).

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    Centauro Croce Sud

    Il mattino dopo partiamo in pullman per Choros per la prevista visita guidata con una piccola imbarcazione alle Isla Damas, sulle cui scogliere osserviamo numerose colonie di leoni marini, pinguini di Humboldt e altri uccelli acquatici. Il 18 maggio, abbandoniamo Vicuna e prendiamo l’aereo per Antofagasta, importante città costiera del Cile e da qui in fuoristrada ci dirigiamo a S.Pedro de Atacama, il caratteristico pueblo a 2300 m nel cuore del deserto, ai confini con il Salar de Atacama.

    All’arrivo in hotel una robusta mangiata di ottima carne cilena unita alla stanchezza del viaggio e alla quota ci induce a rinunciare alle osservazioni, ci rifaremo il giorno dopo. Il mattino è dedicato alla visita di S.Pedro, del suo museo archeologico, della pittoresca chiesetta e dei negozietti di artesianas, tutti tradizionalmente costruiti in pietra.

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    Tramonto Valle Luna

    Le attrazioni principali sono però gli splendidi panorami naturali della zona circostante, come la suggestiva Valle della Luna, che visitiamo nel pomeriggio, aspettando un tramonto che ci regala colori indimenticabili tra le dune e le stravaganti forme assunte dalle rocce modellate dal vento.

    Qualche nube che staziona sopra la valle, ci costringe a spostarci verso ovest , dove il cielo è sgombro, salendo su un passo a 3200m di quota.

    Il cielo è più buio e ricco di stelle che a Vicuna ( impressionante il rigonfiamento galattico nei pressi del Sagittario e dello Scorpione) ed ecco che la cometa Linear T7, divenuta visibile al tramonto, và a formare finalmente la coppia con la Q4. Ad occhio nudo ci appare come una nuvoletta nella costellazione della Lepre a 70° circa di distanza dalla Q4, mentre al binocolo ci mostra una chioma bianco-azzurra, luminosa e sviluppata, che stimiamo di una magnitudine compresa tra 2 e 2,5 ed una coda debole e filiforme di 5-6°.

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    Costellazione

    Pur non essendo due “grandi comete”, sono comunque entrambe ben visibili ad occhio nudo e la loro contemporanea presenza in cielo, rappresenta una rarità assoluta. Rimaniamo a contemplare lo spettacolo alcune ore, poi, vinti dal freddo, ritorniamo sui nostri passi.

    Il giorno 20 di buon mattino, procediamo verso il Salar de Atacama e la laguna Chaxa, dove il bianco del sale si alterna al rosa dei fenicotteri alla ricerca di alghe e poi arriviamo al confine con la Bolivia, a 4000m, alle lagune d’alta quota Minique e Miscanti, con le acque turchesi che risaltano sotto gli omonimi vulcani tra il bruno del terreno ed il giallo delle sterpaglie andine.

    Il riposo notturno è breve, poiché alle 3.30 partiamo per raggiungere la caldera del Tatio e i suoi geyser.

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    Grande Nube

    In piena oscurità attraversiamo guadi e affrontiamo dure salite, immaginando gli strapiombi che sprofondano nelle tenebre oltre il bordo degli stretti sentieri sterrati. Un’ora dopo siamo già oltre i 4200 m e decidiamo di fermarci per ammirare la lingua lucente della luce zodiacale che da est si assottiglia fino allo zenit e oltre nel tenuissimo chiarore del Gegenschein. Scendiamo dalle auto, la Via Lattea sembra un fiume impetuoso che divide a metà la volta stellata, mentre le nubi di Magellano sono luminosissime, quasi sovraesposte: mai visto nulla del genere!

    Quasi non mi accorgo dei 15 gradi sotto zero e del vento gelido che mi sta ibernando. A malincuore abbandoniamo le osservazioni e procediamo nuovamente; inizia ad albeggiare quando siamo sulla caldera del Tatio a 4300 m ed il cielo ad est inizia ad assumere un colore blu elettrico. Coi primi raggi del sole, i fumi bianchi dei geyser si innalzano nel cielo limpidissimo, dalle spaccature del terreno in un paesaggio degno dell’inferno dantesco. Passeggiando tra gli zampilli bollenti dei vulcanelli, osserviamo con meraviglia l’ombra della nostra testa sui fumi, contornata dall’aureola della “gloria”, un fenomeno ottico piuttosto raro.

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    Geyser

    In serata osserviamo ancora la coppia di comete dalla Valle della Luna, con al centro un sottile spicchio di Luna crescente, un elemento in più che contribuisce ad abbellire questo splendido quadretto celeste e grazie alle eccezionali condizioni atmosferiche osserviamo chiaramente la luce cinerea della Luna fino alla sua scomparsa sotto l’orizzonte! L’indomani, 22 Maggio, caricati i bagagli sulle jeep, abbandoniamo il nostro residence Hotel Kimal, poichè ci aspetta un interessante fuori programma, consigliatoci da Romano Serra del planetario di S.Giovanni in Persiceto (BO) e grande collezionista di meteoriti.

    Andremo alla ricerca del cratere meteorico Monturaqui, situato un centinaio di km a sud di S.Pedro, in un territorio impervio e assolutamente fuori dalle rotte turistiche. Mai come in questo caso ci viene in aiuto il GPS di Davide, utilizzato anche nei precedenti spostamenti assieme ai Walkie-Talkie, poichè al di là di un ultimo spettrale paesino chiamato Tilomonte, non esistono più strade e dobbiamo affidarci alle coordinate in nostro possesso. A passo d’uomo, cercando di schivare i macigni più taglienti, dopo 2 ore , siamo ancora in marcia: mancano 4Km all’obbiettivo, poi 2 poi 500m, la freccia del GPS è sull’obbiettivo.

    Ci fermiamo, scendiamo dalle auto, siamo saliti a 3000 m e ormai il cratere dovrebbe essere sotto i nostri occhi.Invece nulla. Prendiamo diversi abbagli con profili tondeggianti dell’altopiano o con canyon e dobbiamo ricorrere diverse volte alle foto del cratere, poi finalmente vediamo in lontananza gesticolare festanti Paolo e Claudio: l’hanno trovato! E’ bellissimo, con un diametro di 460 m, profondo 50 e con al centro una vistosa chiazza bianca di sale. Questo cratere si è formato dopo un impatto avvenuto 100.000 anni fa con un corpo ferroso di 13,4m .

    La spedizione è entusiasta, consapevole della difficoltà della ricerca e raccogliamo diversi campioni di quella che potrebbe essere breccia da impatto. Ma il Sole sta rapidamente calando ed è opportuno abbandonare quel luogo sperduto e tornare su strade più buone prima che faccia buio. L’impresa non è semplice e la jeep di Diego rimane incastrata con le ruote tra grossi macigni e occorre l’aiuto degli altri equipaggi per ricuperarla. Ci tuffiamo nel bianchissimo Salar de Atacama e raggiungiamo nella notte Antofagasta ed il nostro albergo Diego de Almagro Costanera.

    Cerro Paranal
    Cerro Paranal

    23 Maggio: è il giorno dell’importantissima visita al Cerro Paranal, con i suoi giganteschi telescopi del VLT ( Very Large Telescope).

    Percorriamo nuovamente i lunghissimi rettilinei della strada Panamericana verso sud , poi svoltiamo per una strada sterrata , in direzione Tal Tal alzandoci nuovamente di quota. Il cielo è cristallino, non una nuvola, non facciamo fatica a credere che a memoria d’uomo in questa zona non sia mai piovuto, e che ci sia una media di 330 notti serene all’anno. Attraversiamo un paesaggio di un’aridità assoluta che ricorda Marte in modo impressionante.

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    VLT

    Poi, in mezzo al nulla, troviamo un monolito con la scritta ESO Paranal Observatory ed una strada che si inerpica fino a 2635m sull’omonima montagna : l’emozione è grande, ecco le 4 sagome squadrate dei colossali osservatori, campeggiare sulla cima spianata del Cerro Paranal! Siamo di fronte ad Antu (il Sole), Kueyen (la Luna), Melipal (la Croce del Sud ) e Yepun ( Venere), così come sono stati chiamati gli osservatori nella lingua Mapuche locale. Troviamo ad attenderci di nuovo Hernan che ci fa visitare, l’unità UT2 ovvero Kueyen. Ognuno dei 4 telescopi principali, dal 2001 tutti operativi, possiede uno specchio di ben 8,2 m di diametro e sono in fase di realizzazione ( i lavori dovrebbero terminare nel 2006 ), altri 4 telescopi ausiliari di 1,80m, che daranno vita al VLTI, un gigantesco interferometro, che verrà impiegato per le osservazioni ad altissima risoluzione.

    Per ora , ci mostra Hernan, è stato realizzato il primo di questi ausiliari, ovvero l’AT1 ed inoltre sono stati compiuti i primi test, ottenuti combinando i raggi lunimosi di 2 dei 4 telescopi principali, con risultati veramente incoraggianti. I telescopi principali sono equipaggiati sia con il sistema di ottica attiva che con quello di ottica adattiva, chiamato NAOS-CONICA.

    Nel modo interferometrico, i 4 telescopi forniranno la stessa capacità di un singolo specchio di 16 m, rendendoli lo strumento ottico più grande del mondo. Il VLTI ha come obbiettivo la risoluzione di 0,001 secondi d’arco alla lunghezza d’onda di un micron nel vicino infrarosso ovvero un oggetto di 2m sulla superficie lunare!

    Troveranno posto sul Cerro Paranal, nei prossimi anni anche altri 2 osservatori: il VST, di cui purtroppo è andato in frantumi recentemente lo specchio di 2,5m durante il trasporto ed il VISTA con un diametro di 4m. La visita si conclude nella sala di controllo in cui ci vengono mostrati sul computer i valori del seeing medio del luogo, pari a 0,66 arcsec, con punte di 0,14 . Oggi purtroppo la temperatura si è abbassata ed il seeing sicuramente ne risentirà in negativo, ci avvertono gli astronomi.

    Salutiamo Hernan che ci dà il permesso di fare osservazioni nelle vicinanze dell’osservatorio, con la raccomandazione di non accendere per nessun motivo i fari delle auto o torce elettriche, per non disturbare il lavoro degli astronomi. Il cielo è splendido e al tramonto, l’ultimo lembo di Sole, prima di scomparire dietro l’orizzonte, ci regala un flash blu-viola, rarissimo fenomeno di rifrazione atmosferica, visibile solo in condizioni eccezionali di limpidezza.

    Mangiamo il consueto panino e attendiamo che lo spicchio di Luna tramonti dietro le cupole del VLT, poi, al cospetto di questi giganti che guardano dall’alto, la nostra ben più limitata strumentazione, diamo inizio alle osservazioni. Nella Croce del Sud individuiamo l’ammasso aperto NGC 4337 e nella Vela, NGC 2547 ( mag 5 dim 15’), simile ad M38 nell’Auriga. Mi sposto nell’anonimo Hydrus, o Idra maschio, e qui osserviamo la galassia NGC 1511 ( 12-3’,3), una pallida nube tondeggiante.

    rotazione
    Rotazione

    Il freddo si fa intenso, con sferzate di vento gelido e fra una pausa e l’altra, siamo costretti a riscaldarci in auto.

    La nostra vista ormai è perfettamente adattata all’oscurità e solo allora , notiamo verso nord una piccola cupola di luce: è Antofagasta! Anche il sito astronomico più importante del mondo comincia a soffrire i problemi dell’inquinamento luminoso…

    Terminiamo le osservazioni con l’ammasso aperto NGC 5715 nel Compasso, piccolo e allungato ( 10- 6’) e con la nebulosa planetaria NGC 3195 di 36”, grigio azzurra, nel Camaleonte, molto vicino a Sigma Octantis, la stella polare del sud.

    antares
    Antares
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    Eta Carinae
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    Pipa Dark

    Un luminoso bolide che si frammenta mette il suggello a questa indimenticabile notte al Paranal ed il giorno dopo si conclude la nostra permanenza ad Antofagasta con una visita alla caratteristica scogliera la Portada, prima del volo per Santiago. A questo punto salutiamo alcuni amici della nostra spedizione che tornano in Italia , mentre io Ferruccio, Esther, Claudio, Beppe, Liliane , Paolo Bruno e Giulio, decidiamo di proseguire questo incredibile viaggio con 4 giorni di permanenza alla misteriosa Isola di Pasqua, situata a circa 4000 Km al largo delle coste cilene in pieno Oceano Pacifico.

    Finalmente si realizza il sogno di vedere da vicino le enigmatiche statue dei Moai, uno dei misteri della cultura del Pacifico, in un’isola in cui si confondono mito e realtà. Veniamo accolti all’aeroporto di Hanga Roa da un clima umido, che purtroppo pregiudicherà le ultime osservazioni astronomiche e dalle tipiche ghirlande polinesiane, familiarizzando subito con gli isolani dal carattere allegro e informale. Il giorno dopo, 27 Maggio, siamo pronti per il primo incontro con i misteriosi Moai e con le jeep a noleggio ci addentriamo nell’interno verdeggiante di Rapa Nui ( nome dell’isola nella lingua locale), dominata da alti coni vulcanici.

    Ecco in lontananza le 7 statue di Ahu Akivi ( ahu sta per piattaforma ove solitamente poggiano i Moai), rivolte verso il punto in cui il Sole tramonta. Secondo la leggenda rappresentano i primi 7 esploratori, che sbarcarono sull’isola, provenienti dalle lontane isole polinesiane, mandati dal re Hotu Matu’a. Scendiamo dalle auto e con timoroso rispetto ci avviciniamo alle in quietanti sagome, che incuranti dei visitatori continuano a fissare l’oceano con le loro orbite vuote.

    I giorni successivi visitiamo i più importanti siti archeologici dell’isola, tra cui i 15 altissimi Moai (alcuni alti più di 10 m) di Ahu Tongariki, il cratere Rano Raraku, la vera e propria officina dei Moai, in cui queste gigantesche statue venivano scolpite e poi trasportate in tutta l’isola, il villaggio cerimoniale di Orongo in cui si compiva il crudele rituale dell’Uomo Uccello e la statua di Ahu Huri a Urenga, rivolta verso il punto in cui sorge il Sole il solstizio d’inverno. Il viaggio si conclude con un tuffo nel Pacifico, dalla splendida spiaggia di Anakena, con tanto di palmeto e sabbia bianchissima, da cui spuntano i Moai di Ahu Nau Nau, in un connubio insolito e unico al mondo.

    Viaggio in CILE

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    Isola di Pasqua
    Tempo di lettura: 7 minuti

    Isola di PasquaLa primavera 2004 potrebbe entrare nella storia con l’indimenticabile visione offerta da due brillanti comete: la Neat C/2001 Q4 e Linear C/2002 T7 che saranno visibili contemporaneamente in cielo, solamente nell’emisfero australe.
    Se le previsione saranno rispettate la Neat arriverà attorno alla mag.1, mentre la Linear sarà di mag. 0.
    Grazie a Coelum sarà possibile inoltre la visita degli Osservatori astronomici più rinomati al mondo, anche in giorni normalmente non aperti al pubblico.

    Programma

    1° giorno, giovedì 13 maggio 2004
    BOLOGNA/MADRID/SANTIAGO DEL CILE
    Partenza nel pomeriggio da tutte le località italiane collegate da Iberia a Madrid:Torino, Milano, Venezia, Bologna, Roma, Pisa. Disbrigo delle formalità e proseguimento per Santiago del Cile con Volo Iberia/Lan Chile diretto.

    2° giorno, venerdì 14 maggio 2004
    SANTIAGO DEL CILE/LA SERENA/VICUNA
    Transito in volo a Santiago del Cile e proseguimento per La Serena. Arrivo, ritiro delle vetture riservate e proseguimento per la vicina Vicuna. Sistemazione presso l’ hotel Hosteria Vicuna, nelle camere riservate Pasti liberi e pernottamento in hotel.

    3° giorno, sabato 15 maggio 2004
    VICUNA/CERRO TOLOLO/ VICUNA
    Prima colazione in hotel. Trasferimento all’osservatorio Cerro Tololo. Pasti liberi. Pernottamento presso l’Hosteria Vicuna. Osservazioni astronomiche facoltative in serata.

    4° giorno, domenica 16 maggio 2004
    VICUNA/LA CAMPANA/LA SILLA/VICUNA
    Prima colazione in hotel Trasferimento all’ osservatorio La Campana e La Silla. Pasti liberi. Pernottamento presso l’ Hosteria Vicuna. Osservazioni astronomiche facoltative in serata.

    5° giorno, lunedì 17 maggio 2004
    VICUNA/LE ISLA DAMAS/VICUNA
    Prima colazione in hotel, pranzo e merendina inclusa. Intera giornata dedicata alla visita delle Isla Damas con guida parlante spagnolo. Partenza alle ore 08.00 alla volta di Caleta Punta de Choros, famosa per la colonia di Pinguini di Humboldt. Per ammirare le colonie di pinguini e di leoni marini è previsto un giro in barca di circa 40 minuti verso l’isola Choros; la navigazione prosegue poi verso l’Isola Damas. Una numerosa colonia di delfini vive in queste acque, e con un po’ di fortuna potrete vederli nelle loro simpatiche evoluzioni. Dopo la sosta si attracca sull’isola per rilassarsi nelle acque turchesi e sulle spiagge bianchissime. A metà pomeriggio rientro si prosegue per la caletta Punta de Choros, e al termine partenza per Vicuna, con arrivo in serata. Osservazioni astronomiche facoltative.

    6° giorno, martedì 18 maggio 2004
    VICUNA/LA SERENA/ANTOFAGASTA/SAN PEDRO DE ATACAMA
    Prima colazione in hotel. Trasferimento all’aeroporto di La Serena, rilascio delle vetture e partenza con volo interno Lan Chile per Antofagasta. All’arrivo ritiro delle nuove vetture e proseguimento per San Pedro di Atacama. Arrivo previsto nel tardo pomeriggio (circa 300 km su strada buona) e sistemazione presso l’ hotel Kimal con servizio di prima colazione inclusa per tutto il periodo. Facciamo presente che la zona di San Pedro de Atacama è sconsigliata ai cardiopatici in quanto si raggiungono anche altezze oltre i 4300 metri. Osservazioni astronomiche facoltative

    7° giorno, mercoledì 19 maggio 2004
    SAN PEDRO DE ATACAMA
    Prima colazione in hotel. Visita della città di San Pedro, culla delle popolazioni precolombiane. La città vanta bellissimi edifici coloniali e il museo famoso in tutto il mondo per la quantità e l’ottima conservazione delle mummie indie. Proseguimento per la Valle delle Luna, famosa per le stravaganti forme assunte dalle formazioni rocciose. Pasti liberi. Pernottamento in hotel.
    Osservazioni astronomiche facoltative.

    8° giorno, giovedì 20 maggio 2004
    SAN PEDRO DE ATACAMA
    Prima colazione in hotel. Trasferimento con autovetture private alla lagune di Menique e Miscanti, situate al confine con la Bolivia. Sia il Menique che Miscanti sono alimentati dalle fonti d’acqua sotto la superficie della terra. Lo spettacolo naturale è straordinario per il contrasto tra il deserto dell’Atacama e le montagne dalle punte innevate. Pasti liberi. Pernottamento in hotel. Osservazioni astronomiche facoltative.

    9° giorno, venerdì 21 maggio 2004
    SAN PEDRO DE ATACAMA
    In primissima mattinata trasferimento con autovetture private per la visita dei geyser di El Tatio, zona di acque termali, situati a 4.300 metri di altezza. L’intera zona è estremamente affascinante prima del sorgere del sole in quanto i getti di fumo si innalzano dal terreno. Rientro in hotel per la prima colazione. Proseguimento verso le acque termali di Puritana dove eventualmente sarà possibile fare il bagno nelle piscine di acqua termale. Pasti liberi. Pernottamento in hotel.

    10° giorno, sabato 22 maggio 2004
    SAN PEDRO DE ATACAMA/ANTOFAGASTA
    Prima colazione in hotel. Trasferimento con le autovetture private al villaggio di Toconao, noto per il tufo con cui sono state costruite le case. Proseguimento per le saline di Atacama dove il bianco sale si alterna ai rosa dei fenicotteri, raggiungendo Baquedano oppure allungando su pista, raggiungere il Pan de Azucar e il piccolo ed esausto salar de Navidad. Arrivo ad Antofagasta, la città più importante del Nord del Cile. Nel suo porto, il più attivo del Paese, sono stivati il rame e gli altri minerali estratti nella zona di Chuquicamata, situata alle spalle della città. Attività che conferiscono alla città un certo benessere, riscontrabile dall’animazione che pervade le sue strade al tramonto. Sistemazione nelle camere riservate in hotel. Pasti liberi. Pernottamento in hotel. Osservazioni astronomiche facolative.

    11° giorno, domenica 23 maggio 2004
    ANTOFAGASTA
    Prima colazione in hotel. Pasti liberi. Pernottamento in hotel. Escursione all’osservatorio di Paranal.
    Osservatorie astronomiche accanto alle cupole del Very Large Telescope.

    12° giorno, lunedì 24 maggio 2004
    ANTOFAGASTA
    Prima colazione in hotel ed intera giornata in escursione alla scogliera di Portada. Pasti liberi. Pernottamento in hotel.

    13° giorno, martedì 25 maggio 2004
    ANTOFAGASTA/SANTIAGO DEL CILE/MADRID
    Prima colazione in hotel. Trasferimento con autovetture private all’aeroporto di Antofagasta. Disbrigo delle formalità di imbarco con Lan Chile e partenza con volo diretto a Santiago de Chile. Arrivo all’aeroporto di Santiago, disbrigo delle formalità di transito e partenza con volo di linea Lan Chile diretto a Madrid.

    14° giorno, mercoledì 26 maggio 2004
    MADRID/BOLOGNA
    Arrivo all’aeroporto di Madrid di prima mattina. Disbrigo delle formalità di transito e partenza con volo Iberia diretto alle località di provenienza. Disbrigo delle formalità di sbarco. Termine del viaggio.

    Quota di Partecipazione

    Quota individuale (min. 16 partecipanti) € 2.380,00 Tasse aeroportuali € 85,00
    Supplemento camera singola su richiesta e secondo disponibilità.
    Tasse aeroportuali € 25,00 c.a.

    N.B. Cambio applicato: 1 euro = 1,14 US$ eventuali adeguamenti valutari e di tariffa aerea verranno comunicati al momento del saldo viaggio, ex legge 1084 del 27 dicembre 1977

    La Quota comprende

    • trasferimento aereo a/r in classe economica con voli della compagnia aerea Iberia Italia/Madrid
    • trasferimento aereo a/r in classe economica con voli della compagnia aerea Lan Chile
    • Madrid/Santiago del Cile e viceversa
    • Trasferimenti aerei interni con Lan Chile come specificato nel programma
    • Sistemazione in hotel di categoria 3 stelle con servizi privati durante il tour in Cile e sistemazione in Bed & Breakfast per l’eventuale estensione all’Isola di Pasqua
    • Trattamento di pernottamento e prima colazione
    • Noleggio autovetture come indicato da programma tipo Toyota Space Runner 4×4 con ruote motrici e Van Chevrolet Astro minivan con coperture assicurative obbligatorie richieste
    • Intera giornata con guida e pranzo alle Isla Damas da Vicuna
    • Assicurazione sanitaria, bagaglio e annullamento
    • Omaggio

    La Quota non comprende

    • Tasse nazionali ed internazionali aeroportuali
    • I pasti e le bevande
    • Ingressi previsti nel programma, escursioni facoltative non previste in programma
    • Mance, extra personali in genere e tutto quanto non specificato alla voce “La quota comprende”

    Note

    Le coperture assicurative autovetture obbligatorie in Cile, incluse alla voce “La quota comprende” sono: chilometraggio illimitato – tasse governative – full CDW (Collision Damage Waiver) – cambio vettura in caso di danneggiamento, incidenti o riparazioni gravi (ricordiamo inoltre che la CDW anche se di tipo totale, non copre mai i danneggiamenti alle ruote e prevede in caso di incidente una copertura totale previa deduzione di una franchigia di 700 Usd.
    Non sono incluse nel costo del noleggio: PAI (personal accident insurance) usd 3 al giorno – SACA ASSICURAZIONE SUL FURTO DI ACCESSORI usd 4 al giorno, dette assicurazioni non sono obbligatorie e vanno richieste e pagate sul posto.

    Informazioni

    Clima: arido e secco al nord, mediterraneo e continentale-umido nelle regioni centro meridionali, freddo e ventoso nelle regioni patagoniche del sud. Sussistono continuamente due stagioni con frequenti cambiamenti climatici.
    Elettricità: 220 volt si consiglia un adattatore per le prese a spina piatta o un adattatore universale.
    Mance: sono comuni anche se non obbligatorie. Si considera un 10% del servizio.
    Moneta: Nuovo Peso Cileno, pari a circa € 0,0012. molto usato il $ americano, è comune l’uso della carta di credito, soprattutto Visa ed American Express.
    Fuso orario: il Cile è a 5 ore in meno rispetto all’Italia, 6 quando in Italia vige l’ora legale. L’isola di Pasqua invece è a meno sette ore rispetto all’Italia, meno 8 quando in Italia vige l’ora legale.
    Guida: è richiesta patente internazionale insieme a quella italiana. Si guida a destra ed è obbligatoria la cintura di sicurezza. Sono severissimi sui limiti di velocità. L’età minima richiesta per la guida 25 anni.

    Note: la realizzazione del programma comporta il noleggio di autovetture (guidate da componenti del gruppo) il cui costo sarà quantificabile in funzione del numero totale dei partecipanti. Sono previste escursioni/osservazioni notturne proposte direttamente in loco e non incluse nelle quota di partecipazione.

    OPERATIVO VOLI PREVISTO: * del giorno successivo
    13/05/04 MXP/MAD IB3643 18.55/21.05
    13/05/04 MAD/SCL LA705 23.45/07.30 *
    14/05/04 SCL/LSC LA326 11.25/12.25 *
    18/05/04 LSC/ANF LA188 11.20/12.35
    25/05/04 ANF/SCL LA331 10.00/11.45
    25/05/04 SCL/MAD LA704 19.00/14.00*
    26/05/04 MAD/MXP IB3642 15.45/18.00

    Possibilità di estensione all’ISOLA DI PASQUA

    13° giorno, martedì 25 maggio 2004
    ANTOFAGASTA/SANTIAGO
    Prima colazione in hotel. Rientro con il gruppo a Santiago e trasferimento libero all’ hotel Torremayor. Giornata a disposizione per visitare liberamente la città.

    14° giorno, mercoledì 26 maggio 2004
    SANTIAGO/ISOLA DI PASQUA
    Prima colazione in hotel. Trasferimento libero in aeroporto e partenza per l’ Isola dei Moai. Arrivo e trasferimento in minivan in Bed & Breakfast. (la vettura non viene consegnata in aeroporto in quanto si arriva di sera e le strade dell’ Isola di Pasqua non hanno segnaletica apprezzabile)

    Dal 15° giorno, giovedì 27 al 18 ° giorno, domenica 30 – maggio 2004
    ISOLA DI PASQUA
    Il mattino del primo giorno consegna presso il bed & breakfast della vettura fuoristrada prenotata. Caratteristiche di noleggio come per le precedenti vetture prenotate durante il tour del Cile. Giornate a disposizione per esplorare liberamente l’isola, le sue bellezze archeologiche e naturalistiche. Rapa Nui è uno dei misteri della cultura del Pacifico, un’isola in cui si confondono mito e realtà.

    19° giorno, lunedì 31 maggio 2004
    ISOLA DI PASQUA/SANTIAGO/MADRID
    Prima colazione inclusa. Rilascio della vettura in aeroporto e partenza per il rientro in Italia via Santiago del Chile – Madrid.

    20° giorno, martedì 1 giugno 2004
    MADRID/ITALIA
    Transito a Madrid e proseguimento per l’Italia, nelle rispettive località di provenienza collegate da Iberia.
    Supplemento individuale estensione Isola di Pasqua (min.2 persone) in camera doppia € 995,00

    OPERATIVO VOLI PREVISTO:
    26/05/04 SCL/ISOLA DI PASQUA LA833Y 16.45/20.05
    31/05/04 ISOLA DI PASQUA/SCL LA834Y 11.15/17.55
    31/05/04 SCL/MAD LA704Y 19.00/14.00
    01/06/04 MAD/MXP IB3642Y 15.45/18.00

    Note: Il supplemento applicato per l’estensione Isola di Pasqua, su base minimo due partecipanti, è applicabile solo se vi sarà disponibilità sui voli da e per Santiago in classe K economica. Si raccomanda pertanto di non prenotare all’ ultimo minuto per non incorrere in spiacevoli aumenti di costo non imputabili al nostro operato.

    Documenti e Vaccinazioni

    Documenti di viaggio:
    passaporto valido, con scadenza non inferiore a 6 mesi dalla data di arrivo in Cile. Non è richiesto il visto di ingresso.

    Prenotazioni e Informazioni

    Per informazioni e prenotazioni:
    Centro Turistico Modenese di Robintur spa
    Via Bacchini, 15- 41100 Modena
    Tel. 059/2133717
    Fax 059/214809
    E-mail: CTM.Bacchini@Robintour.it

    Per informazioni astronomiche:
    Massimiliano Di Giuseppe Tel. 338/5264372
    Ferruccio Zanotti Tel. 338/4772550
    E-mail: columbia@global.it
    Web: http://www.ferrara.com/columbia

    Qualcosa Accadrà

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    Qualcosa Accadrà
    Tempo di lettura: 4 minuti

    Qualcosa AccadràTornato da poco nella casa della sua giovinezza, dove aveva scelto di vivere, dopo la cerimonia e i saluti commossi di quel giorno d’estate aveva passato il pomeriggio ad esplorare le stanze dell’antica casa paterna ricevuta in eredità.
    Per ultima, con scelta consapevole, aveva tenuto la grande soffitta, e mentre saliva le scale accadde che il velo del tempo si lacerò in più punti, precipitandolo in uno dei tanti momenti serali di vent’anni prima Continuando a salire, con più fatica di un tempo, rivide suo padre come se lo immaginava ogni volta che in tutti quegli anni gli era tornato in mente, seduto su una sedia di paglia a cui aveva accorciato le gambe, l’occhio al cercatore del grande strumento che si era autocostruito in vent’anni di volontaria assenza dal mondo.
    E gli venne da pensare a tutte le volte che quei gradini consunti li aveva saltati d’un fiato, tanto che ancora a metà dell’ultima rampa sentiva gridare dall’alto “Non correre Franco, qui balla tutto!”
    E a quando socchiudeva la porticina dipinta d’azzurro – lo stretto necessario per ricevere altri rimbrotti per la luce che filtrava fin dentro la stanza dove ticchettava quello strano e lentissimo macchinario sempre in movimento – gridando forte “Papà, stavolta mamma si arrabbia. Vieni giù che si fredda tutto!”
    E via di nuovo giù, a capofitto verso il tepore luminoso della cucina, con l’odore di sigaro che invadeva il piccolo ballatoio.

    Adesso non c’era più nessuno a brontolare per la luce o le sue corse sulle scale, né per la cena che si freddava.
    Entrò, chiudendosi la porta alle spalle.

    Il lucernaio era chiuso, e la macchina, il grande telescopio, sembrava nella poca luce anch’esso un povero vecchio con il mantello polveroso addosso. Più piccolo di come se lo ricordava, e come in attesa.
    Spolverò una sedia e si mise a sedere davanti l’Olivetti che gli aveva regalato tanti anni prima. Dio che nostalgia di quei giorni, che pure gli erano sembrati così noiosi. Tutta l’estate per riuscire ad insegnargli come usarlo…
    – Il computer mi serve – ripeteva testardo.
    – Vedi che fotografie fanno gli altri? – diceva mostrandogli misteriose riviste che gli arrivavano per posta. Per lui gli altri erano gli americani.
    – Questo è il futuro, la camera digitale! E ci vuole il computer… Quanto tempo era passato? Dieci anni? Chissà se era mai riuscito ad usarlo davvero quel computer, e quella piccola camera.
    Lui aveva partecipato alla passione di suo padre in tempi meno “moderni”, quando insieme nei mesi estivi si tenevano compagnia fino a tardi, e aveva il permesso di “guidare” il telescopio con piccoli colpetti sui comandi.

    Ascensione retta, azimut… Ora gli tornavano alla mente quei termini dimenticati, e i nomi delle stelle, le cartine, i disegni e le foto malriuscite.
    Quante notti suo padre aveva dormito lì! Quante volte dalla sua camera da ragazzo aveva udito, dalla soffitta, un leggero bip della sveglia, alle ore più impreviste della notte, seguito da un leggero fruscio di passi. Il ronzio monotono di un piccolo motore lo riaccompagnava nel mondo dei sogni

    Gli venne voglia di accendere il computer, ma la presa era distante.
    Si alzò in cerca della prolunga e notò alla parete un intero scaffale riempito di grandi classificatori traboccanti di carte. Ognuno sul dorso portava una data, un anno: 1993, 1994…
    L’ultimo era dell’anno appena trascorso. Lo aprì appoggiandolo sul tavolo, allentando i robusti spaghi che lo chiudevano, e ne uscirono mucchi di stampe, sbiadite fotografie del cielo con pochi puntini bianchi in un campo grigio scuro. Guardò la prima, che in un angolo portava la data del 3 marzo 2003. E un’annotazione a mano: “Il cielo si sta velando”.

    Ne prese un’altra. Era uguale alla prima. Una seconda, una terza…
    Erano tutte uguali!
    Che stranezza disse tra sé… Tirò giù il faldone del 1993, sbattendolo per liberarlo dalla polvere. Foto di dieci anni prima… Ne tirò fuori un mucchio, sparpagliandolo per tutto il tavolo.
    Non è possibile, disse frugando sempre più stupito, sono tutte identiche! Possibile che mio padre in tutti questi anni abbia fotografato sempre la stessa fetta di cielo?
    Tutti i contenitori aperti gli diedero la risposta: dieci anni, circa duemila fotografie dello stesso campo, ognuna con la sua brava data e il tempo di posa.

    Guardò meglio. Che si trattasse di un campo speciale? Che si fosse impegnato in una specie di sorveglianza programmatica? Lui ormai ne sapeva poco di astronomia, ma gli pareva di ricordare che suo padre passasse da una galassia a un’altra in attesa che si accendesse una stella. Ma no… in quelle immagini non c’erano galassie, pochi puntini chiari, un paio più grandi, e basta. Chi mai sarebbe stato in grado di ritrovare quel minuscolo pezzetto di cielo Davvero un bel mistero.

    – C’è nessuno? – Una voce lo distolse dai suoi pensieri. Era Berto, il vicino.
    Da sempre amico di suo padre.
    Era lui che lo aveva aiutato a costruire il lucernaio sul tetto. Molto spesso gli faceva compagnia in soffitta.
    – Vieni – disse – Sono quassù.
    Dalla scala si presentò il volto rosso e sorridente del vecchio amico.
    – Hai visto? Il telescopio è ancora perfetto, potrebbe riprendere l’attività da subito.
    E già, manca soltanto l’astronomo pensò lui, con un po’ di amarezza.
    – Tu nei sai qualcosa? – Gli fece indicando il mucchio di contenitori.
    – Ah, quelle… Le hai viste?
    – Ne sai qualcosa?
    – Beh… soltanto che un giorno gli chiesi di accompagnarmi al bar, era sabato e dovevo giocare la schedina.
    Copiati i simboli sulla nuova giocata, si stupì che non leggessi le partite.
    Non serve a niente, risposi, sono anni che gioco sempre le stesse colonne…
    Rimase colpito da questa cosa, e tempo dopo mi confidò che anche per il cielo avrebbe usato lo stesso sistema.
    Diceva che le cose accadono, e che noi possiamo solo aspettare.
    Poi non so altro – concluse Berto mettendosi sulla difensiva – E adesso me ne vado, ero solo venuto a portarti questa.
    Una busta rossa, piegata in due, con il suo nome scritto sopra.
    – Me l’ha data lui parecchi mesi fa – disse Berto – solo per te.

    All’interno solo un piccolo foglio a quadretti, strappato come tutto fosse stato deciso all’ultimo momento, e pochi segni in pennarello verde: AR 03 14 15 – Dec + 27 18 28

    Guardò Berto, che era rimasto come in attesa di una risposta, e poi la piccola sedia di paglia. Sentì immediatamente una gran voglia di cominciare.

    Primi passi verso la Radioastronomia

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    Tempo di lettura: 3 minuti

    A completamento dell’articolo “introduzione all’astronomia amatoriale”, pubblicato nel numero di gennaio 2004, ecco una selezione di emissioni radio provenienti da stelle Pulsar, alcune delle quali è possibile ricevere anche con strumentazioni autocostruite (cortesia Thierry LOMBRY).

    Pulsar
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    Una pulsar normale, PSR 0329+54, con periodo di rotazione vicino a 0.715 sec o 1.4 rotazioni/sec. Registrata al Jodrell Bank

    real 155 KB La pulsar Vela PSR 0833-45, resto di una supernova, con periodo di rotazione di 89.3 millisecondi o 11 rotazioni al secondo. Registrata al Jodrell Bank
    logo-hpred1 294 KB Tracciato di un impulso individuale (89.3ms) della PSR 0833-45. Segnale elaborato da Thierry Lombry
    real 165 KB La famosa Crab pulsar, PSR B0531+21, con periodo di rotazione di 1/30 di secondo o 30 rotazioni al secondo. E’ ciò che rimane di una supernova che esplose nel 1054. La pulsar è ancora visibile come una debole stella al centro della nebulosa M1. Registrato al Jodrell Bank
    real 162 KB Una pulsar, PSR J0437-4715 con periodo di rotazione di 5.75 millisecondi o 174 rotazioni al secondo ! S tratta di una vecchia pulsar che si è costituita grazie al materiale sottratto dalla compagna binaria mentre si espandeva nella sua fase di gigante rossa. Registrato al Jodrell Bank
    real 212 KB La pulsar più veloce, PSR 1937+21 con periodo di rotazione di 1.56 millisecondi o 642 rotazioni al secondo. La superficie dei questa pulsar si muove alla velocità di circa 1/7 della velocità della luce! Registrato al Jodrell Bank
    logo-hpred1 314 KB Tracciato di un impulso individuale (1.56ms) di PSR 1937+21. Segnale elaborato da Thierry Lombry
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    16 tra le 22 pulsar con periodo di rotazione di millisecondi scoperte nell’ammasso globulare 47 Tucanae. Il loro periodo varia tra 2 e 8 millisecondi. Registrato al Jodrell Bank

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    Una sequenza di suoni di pulsar scoperte in 47 Tuc come suonano a causa della variazione di intensità causata dalla scintillazione. Registrato al Jodrell Bank

    HESSDALEN 2003 – Luci misteriose in Norvegia

    la luce anomala
    La luce anomala
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    Report del viaggio

    gruppo
    Gruppo

    Tutto nasce dalla lettura di un articolo di Flavio Gori e Simona Righini, pubblicato sul n° 56 di Coelum ( Ottobre 2002 ), in cui vengono descritte le fenomenologie luminose anomale osservate da anni nella valle norvegese di Hessdalen e i risultati delle missioni italiane EMBLA del CNR, svoltesi dal 2000 al 2002.
    Gli studiosi, nonostante diverse indicazioni interessanti, non sono però in grado di dare una risposta certa alla natura delle enigmatiche “luci”e tengono banco le più svariate ipotesi: dai fulmini globulari, alla fisica del plasma, dai fenomeni piezoelettrici, ai monopoli magnetici e ai mini buchi neri. Una cosa comunque è sicura, i dati e gli avvistamenti raccolti sono veramente molti, confermati anche dalla stazione di rilevamento automatica Blue Box e ciò fa ritenere, che il fenomeno esista, ma che sfugga per ora ad una classificazione.
    Partecipando, qualche mese dopo, ad un simposio a Gabicce organizzato da Gianfranco Lollino, presidente del Gruppo Astrofili N.Copernicus, veniamo a conoscenza di fenomeni analoghi anche in altre località del mondo, tra cui proprio l’Adriatico, al largo di Gabicce. Al simposio partecipano anche l’astrofisico Massimo Teodorani e l’ingegnere elettronico dell’Istituto di radioastronomia di Medicina Jader Monari, che ci raccontano le loro esperienze norvegesi, nell’ambito del progetto EMBLA mostrando le immagini di numerosi avvistamenti. Viene voglia di saperne di più e con un occhio all’Adriatico che è opportuno di tanto in tanto monitorare, il Gruppo Astrofili Columbia di Ferrara organizza assieme a Coelum, l’agenzia viaggi CTM Robintur e la Coop Camelot, un viaggio in Norvegia dal 23 al 29 Settembre 2003.
    Il viaggio diviene un’occasione per osservare anche lo splendido fenomeno delle aurore boreali e un’opportunità per compiere escursioni tra i fiordi e gli emozionanti paesaggi nordici. Durante l’estate, facciamo poi la conoscenza con il disponibilissimo Renzo Cabassi presidente del CIPH ( Comitato Italiano Progetto Hessdalen ), a cui illustriamo gli scopi turistico-scientifici del nostro viaggio. Cabassi ci offre tutta una serie di utili riferimenti logistici, sui punti di osservazione nella valle di Hessdalen e non ultimo la possibilità di incontrarci poco prima della nostra partenza, con Jader Monari direttamente al radiotelescopio di Medicina. Jader, appena tornato da una missione in Norvegia ci fornisce ulteriore materiale e ci mette in guardia da facili entusiasmi ( non è detto di essere così fortunati da vedere qualche “luce” in così poco tempo) e ci esorta, assieme a Cabassi, ad analizzare gli eventuali avvistamenti nel modo più critico e rigoroso possibile, poiché ogni dato significativo raccolto, potrà essere utile alla comunità scientifica.
    La spedizione conta ben 19 partecipanti: oltre al sottoscritto, Ferruccio Zanotti e Davide Andreani del Columbia, si uniscono all’avventura l’immancabile Claudio Balella, la delegazione di S.Giovanni in Persiceto (BO) composta da Romano Serra, Marco Cocchi, Adriano Furlani, Valentino Luppi e Valerio Monteguti, Marco Rinaldi, con noi all’eclisse di Antigua del ’98, Gloria Ruju ed Esther Dembitzer, con noi in Zambia nel 2001, Paolo Minafra vedi Leonidi 2002 in Arizona, Piero Cavina e Rita Ronchetti ( vedi Tunisia 2002) e le nuove entrate Lara Rosaverde, Feliciana Cenerini, Germano Dalfra e Valeria Deconti.

    aurora verde smeraldo
    Aurora verde smeraldo

    La mattina del 23 Settembre l’aereo per Copenhagen è puntuale e dopo un breve e comodo viaggio atterriamo nella capitale danese in cui attendiamo il successivo volo per la città norvegese di Trondheim. L’aeroporto tuttavia è stranamente buio, i tabelloni con i voli sono spenti ed i passeggeri si aggirano disorientati. Si tratta purtroppo di un black out generale ( ormai una moda di questi tempi) e dobbiamo attendere alcune ore prima che la situazione si ristabilisca e sia disponibile un volo che faccia al caso nostro. Arriviamo a Trondheim dopo uno scalo a Oslo, sotto un cielo piovigginoso ed una temperatura rigida, quando sono ormai le 22.30, e solo dopo altre 2 ore recuperiamo i bagagli dati ormai per dispersi. Stanchi e trafelati, procediamo sotto la pioggia con le auto a noleggio alla ricerca della Valle di Hessdalen, situata 120 km più a sud. Quando sono circa le 2.30, a nord-ovest, si apre uno squarcio tra le nubi e un’impressionante aurora verde smeraldo, in velocissima evoluzione, compare tra le cime degli alberi. “ Fermati Claudio!”. L’ordine è perentorio e una volta scesi dall’auto ci appare uno spettacolo pirotecnico: lunghe bande verdi verticali, si innalzano e si abbassano dall’orizzonte Nord, spingendosi a volte fin quasi allo zenit ed anche ad Est sono visibili chiazze biancastre e strani lampi temporaleschi. Rimaniamo un’ora a contemplare lo straordinario spettacolo della natura, sotto un cielo limpidissimo, ringraziando il black out, che ci ha fatto trovare nel posto giusto al momento giusto, rammentando inoltre che le previsioni meteo per il resto della settimana sono estremamente incerte. Infatti poco dopo il cielo si copre nuovamente e ci rimettiamo in marcia. Alzandoci di quota, entriamo nella regione di Holtalen e alle 4.00 ci scorre a fianco il piccolo paesino di Alen. Comincia a nevicare, la temperatura si sta abbassando bruscamente, dove sarà il nostro albergo e soprattutto ci sarà qualcuno ad attenderci a quest’ora?

    Bjorgasen Fjellstue
    Bjorgasen Fjellstue

    Dopo qualche Km finalmente l’indicazione che cerchiamo: Bjorgasen Fjellstue, la neve ormai fa presa sul terreno, il buio è totale, l’atmosfera è tetra e continuiamo a salire nel fitto del bosco. Dopo 6 Km siamo in vista dell’Hotel, o meglio del rifugio che ci ospiterà e farà da campo base per i prossimi giorni, ma la neve è alta e le auto slittano sul fondo ghiacciato. Superiamo anche quest’ultima difficoltà e con grande sollievo notiamo che l’albergatore ci ha lasciato la porta aperta e le chiavi appoggiate sul bancone. Un ultimo sguardo al cielo prima del meritato riposo ed ecco che nuove aurore bianco azzurre fanno capolino tra le nubi. Un’aurora particolarmente impressionante rimarrà per sempre nella mia memoria: una splendente banda percorsa in tutta la sua lunghezza da ondate luminose lampeggianti, incredibile! Come primo giorno non c’è male. Il mattino dopo, mentre facciamo colazione osserviamo il panorama selvaggio e innevato che circonda l’albergo, con una fitta foresta di abeti larici e betulle, che si estende a perdita d’occhio fino all’orizzonte, in cui si scorgono svariate renne. Il programma della giornata prevede innanzitutto una visita diurna alla famigerata valle di Hessdalen, che evoca in tutti noi il mistero e l’imperscrutabilità di fenomeni luminosi al limite tra scienza e ufologia.

    La strada si inerpica nuovamente e il Sole lascia il posto ad una vera e propria bufera di neve quando siamo nei pressi del paesino di Hessdalen che consiste in 4 case ed una chiesetta con ai piedi le lapidi di un cimitero. A poca distanza, prendendo una strada secondaria si giunge al Vista Point, uno dei luoghi di osservazione dei ricercatori del CNR, che offre una buona visuale sulla vallata. Siamo tutti veramente ansiosi di tornare sul luogo alla sera, ma prima deviamo verso Roros, un paese minerario che conserva ancora molte case in legno dal tetto coperto di torba. La strada principale ospita svariati negozietti di artigianato locale e veramente numerosi sono i riferimenti alle saghe nordiche con tanto di Troll, Elfi ecc. Curioso il proprietario di uno di questi, Bjorn, con barba e capelli lunghissimi, che ci racconta di svariati avvistamenti di luci, fra cui quello del vecchio sindaco del paese, avvenuto nel 1930, testimone di sfere luminose che entravano ed uscivano dal lago Ojungen, non lontano da Hessdalen. Dopo una cena a base di salmone affumicato, giunge il momento tanto atteso, prepariamo la strumentazione e ci vestiamo a dovere. Il tempo è pessimo, coperto e piovigginoso, ma non dovrebbe influire sulla visibilità delle “luci”, che spesso si manifestano a bassa quota o anche al livello del suolo. Giungiamo al Vista Point e con un po’ di inquietudine iniziamo le osservazioni. Nulla. E poi ancora nulla. Ma ecco una luce che si accende all’orizzonte, vicino al paese…anzi no, sono i fari di un’auto lontana, falso allarme. Scendiamo dalle auto che finora ci hanno protetto dalla pioggia, poiché si sta aprendo qualche squarcio e puntualmente verso nord compaiono le aurore, anche se meno intense della notte precedente. Improvvisamente verso sud, in direzione della valle, a pochi gradi sull’orizzonte, una piccola nuvoletta diventa improvvisamente luminosa, si allarga si restringe, diventa una sorgente puntiforme luminosissima. Ci siamo, è una luce! Fuori i cavalletti, le telecamere…un attimo…una domanda sorge sibillina. A che altezza dovrebbe trovarsi Marte a quest’ora in Norvegia? .
    Anche stavolta, niente da fare! Rimaniamo fino alle 2.00, poi un ulteriore peggioramento climatico unito alla stanchezza accumulata nel giorno precedente ci induce a tornare in albergo. Tutti si ritirano nelle camere eccetto Romano, che si aggira nella hall pensieroso. Mi vede e mi prende in disparte:” Penso…penso di aver visto qualcosa stasera al Vista Point…” Si guarda intorno poi riprende “…una bolla viola fosforescente…molto debole, in mezzo agli alberi. Si è gonfiata e ristretta due volte, prima di scomparire…”Gli rispondo che la cosa merita un approfondimento e l’indomani notte controlleremo sicuramente il bosco. Il giorno dopo, 25 Settembre, al mattino visitiamo Trondheim, la terza città della Norvegia e importante porto del Mare del Nord, sotto l’ombrello ( pioverà l’intera giornata), ammirando la splendida cattedrale gotica di Nidaros e alcune pittoresche case a palafitta. Nel pomeriggio ci arrampichiamo poi su un colle boscoso nei pressi di Hegra, alla scoperta di interessantissime pitture rupestri di epoca vichinga. Al nostro ritorno in hotel ci attende Peder Skogaas, un anziano giornalista-scrittore, figura carismatica della valle, che abbiamo preventivamente contattato su consiglio di Cabassi, ed invitato a cena. Ci presentiamo, esponendogli il nostro programma di ricerca e gli chiediamo qualche informazione. “Mr. Peder, lei ha mai visto queste luci?”. Peder, si liscia la barba bianca, e si aggiusta gli occhiali . “Ebbene, queste luci hanno avuto un vero e proprio exploit nel 1982 e per i primi anni ’80, con fenomeni molto numerosi e molto evidenti e dall’84 l’ingegnere Erling Strand ha avviato una missione di studio scientifico.” Capiamo che non è facile avere informazioni troppo personali, d’altronde Cabassi ci ha avvertito di una certa prudenza nei confronti degli stranieri da parte dei valligiani e solo alla fine della cena e dopo che Romano lo incuriosisce col suo racconto della luce viola, ritorniamo sull’argomento. “Quindi Mr Peder, personalmente, ha mai visto qualche luce?”. Peder sorseggia il caffè preparato da Valentino con la moca. “Anni fa, un mio vicino mentre tornava a casa, ha visto una di queste luci attraversargli la strada.” Lo guardiamo incuriositi. “Questa sera, verrò con voi al vista point!”

    Il cielo è nuvoloso, come di consueto, ed io insieme a Ferruccio, Lara, Davide ed Esther decidiamo di incamminarci nel bosco, proprio dove la sera prima Romano ha fatto il suo avvistamento. Peder e gli altri rimangono nei pressi delle auto e ci guardano con apprensione. L’atmosfera è lugubre e la fioca torcia di Davide illumina a fatica gli arbusti davanti a noi senza togliere un vago senso di inquietudine che aumenta ad ogni passo. Siamo ormai nel fitto della boscaglia, spegniamo la torcia, buio completo. Da lontano, molto lontano, ci giunge l’eco della voce di Claudio, per il resto nessun rumore. Rimaniamo immobili e con gli occhi sgranati per diversi minuti, in attesa di qualcosa che purtroppo non si verifica, poi ,un po’ delusi, lentamente ritorniamo sui nostri passi. Anche questa notte, dopo qualche ora di osservazione, si conclude con un nulla di fatto, salutiamo Peder, che contiamo di rivedere domenica, prima della nostra partenza e facciamo in tempo, quando sono le 2.30 a vedere qualche aurora lampeggiante tra le nubi. Il giorno 26 ci alziamo di buon’ora, poiché è prevista un’escursione in Svezia, alla ricerca del cratere meteorico di Lockne. Dobbiamo coprire una distanza di 400 Km e solo attorno alle 14.00 giungiamo nei pressi della città di Ostersund, dopo aver attraversato splendide foreste dai colori autunnali. Un laghetto contornato da verdi prati è tutto ciò che rimane di un impatto avvenuto 400 milioni di anni fa, che ha prodotto un cratere di 7 km di diametro. Chiediamo a qualche locale se esiste una sorta di museo o una strada per avvicinarsi il più possibile al lago e una volta rintracciato il bordo del cratere, raccogliamo diversi campioni di breccia da impatto, ovvero un antico fondo marino deformato e sconvolto dall’urto cosmico. Ma il tempo è tiranno e siamo subito pronti per il lungo ritorno, che ci porterà nei pressi del Bjorgasen soltanto alle 22.30, con Tohr, il nostro albergatore, in paziente attesa. Quella notte, soltanto io, Ferruccio, Davide e Romano tentiamo una nuova osservazione al Vista Point, con risultati analoghi alle sere precedenti. Il 27, passiamo una rilassante giornata tra i fiordi di Trondheim, che ci offrono incantevoli panorami illuminati da un limpido Sole e assaporiamo da vicino il Mare del Nord con il suo vento gelido. Nel viaggio di ritorno ammiriamo numerosi arcobaleni dai colori estremamente vividi che si formano addirittura a pochi metri da noi! In serata, al Vista Point, il cielo è a tratti meraviglioso, con una Polare in posizione inconsueta, altissima sulle nostre teste, a 62° dall’orizzonte, ma stavolta niente aurore. Puntuali invece arrivano le nubi, la pioggia e addirittura la neve a testimonianza di un clima davvero variabilissimo. I fari di un’auto si avvicinano, è un cameraman olandese che sta realizzando un documentario sulle luci, guardo la mia telecamera in funzione su cavalletto sperando che entro la fine del viaggio riesca a registrare qualcosa di interessante. Il 28 è l’ultimo giorno, ultima chance, per cercare di essere testimone di un avvistamento. Dopo un rinfrancante riposo, raggiungo Romano, che sta raccogliendo piccoli tronchi d’albero, al Vista Point, per studiarne gli anelli di accrescimento. E’ convinto che gli alberi siano degli straordinari registratori, capaci di conservare negli anelli di accrescimento, le testimonianze di particolari mutamenti dell’ambiente , come gli è capitato di notare nei campioni da lui prelevati a Tunguska. Se negli anni passati a Hessdalen è capitato qualcosa di strano, gli alberi l’hanno probabilmente “visto”. Andiamo a mettere qualcosa sotto i denti ad Alen, all’UFO Center, un ristorante che raccoglie foto e testimonianze di svariati avvistamenti, un po’ come l’A’le’inn, visitato lo scorso anno in Nevada, nei pressi dell’Area 51 e nel pomeriggio ci incontriamo con Peder sulla strada per il misterioso lago Ojungen. Lo troviamo nella foresta intento a raccogliere legna per l’inverno assieme alla moglie e gli diamo una mano per completare il carico sul suo furgone. Ringraziandoci per l’aiuto, decide lui stesso di accompagnarci al lago, che ci appare dopo qualche Km in tutta la sua magia. Un posto incantevole, illuminato dalla luce radente del Sole al tramonto, con acque di un azzurro intensissimo, contornate da sterminate distese di boschi e dolci rilievi innevati.

    Rapiti dalla pace e dal silenzio scattiamo numerose fotografie, e Peder, sorridendo compiaciuto, decide di mostrarci il suo personale paradiso. Lo seguiamo e poco dopo ci appare una casetta bassa in mezzo al nulla, la sua dimora estiva e ci invita tutti ad entrare e a scrivere un pensiero come ricordo su una piccola agenda. Assorti a meditare guardando il cielo blu cupo, di questo monumento al grande nord, prendiamo la solenne decisione di tornare sul posto dopo cena, per l’ultima notte di osservazioni in Norvegia. Salutiamo Peder, che ci fa gli in bocca al lupo, dicendosi sicuro che stavolta qualcosa vedremo e dopo una rapida cena a base di funghi porcini raccolti dal nostro Germano, siamo pronti per l’ultima avventura. Ancora una volta il clima cambia e il cielo si copre, fatta eccezione per una piccola striscia di sereno verso ovest, proprio in direzione del lago. Sono l’unico ad essere convinto di trovare il sereno, osservando il movimento delle nubi che si mantengono parallele all’orizzonte e alla fine si uniscono a me solo Ferruccio, Davide Lara ed Esther, mentre la maggior parte del gruppo preferisce fermarsi al Vista Point, dove purtroppo il cielo si manterrà coperto tutta notte. Al bivio per il lago Ojungen, ci appare una Via Lattea spettacolare e giunti alla meta il cielo è quasi interamente sgombro.

    la luce anomala
    La luce anomala

    Sto armeggiando col cavalletto quando si ode un grido di Lara: “Una luce anomala, correte!” Mi precipito assieme agli altri e sulla riva opposta del lago, una forte luce rossa sta lampeggiando ritmicamente, poi improvvisamente svanisce. Anche se strano, non diamo troppo peso al fenomeno, troppo artificiale e troppo vicino all’unica abitazione illuminata di tutta la zona, per considerarla una “luce” autentica. A nord intanto, proprio sopra l’orizzonte, si nota da qualche minuto una costante luminosità azzurro verdastra e dato che non esiste inquinamento luminoso, è evidente che si tratta del cerchio aurorale, questa sera purtroppo a latitudini troppo elevate per dare spettacolo.

    Volgiamo lo sguardo al lago oscuro ed ecco accendersi e spegnersi velocemente una piccola luce bianca, non troppo lontana da quella precedente. Dopo un’ora di osservazioni il freddo e la stanchezza si fanno sentire e ci accomodiamo nell’auto con riscaldamento acceso. Scrutando dai finestrini, Ferruccio vede qualcosa attorno all’1.18 nel Grande Carro. Una luce bianca, un flash della durata di un secondo e poco dopo ne avvista una molto intensa giallo-rossastra, di aspetto non proprio puntiforme. Passa qualche minuto e anch’io vedo una luce bianca accendersi nella Lira, poco sotto Vega.

    gli avvistamenti
    Gli avvistamenti

    Scendo dall’auto e giro la telecamera verso nord e improvvisamente ne vedo una gialla molto luminosa ( mag. -2 ) sotto il timone del Grande Carro, avverto gli altri che però non fanno in tempo a vederla. Abbiamo subito escluso possano trattarsi di qualche stella che emerge dalle nubi di un cielo divenuto molto variabile, vista la peculiarità dell’apparizione, cosi come sono da escludere, aerei, satelliti artificiali ( iridium flare compresi. L’aspetto del fenomeno può ricordare una meteora puntiforme, ovvero quelle meteore che si muovono dal radiante in direzione dell’osservatore, ma sappiamo essere molto rare, e ancor più rara se non impossibile, l’attività di diversi sciami di meteore sconosciuti in grado di produrre meteore puntiformi nel giro di pochi minuti. Siamo abbastanza stupiti e poco dopo anche Esther ne vede un’altra presso Vega.

    Gli avvistamenti
    Gli avvistamenti
    luci di Hessdalen
    Luci di Hessdalen

    Stiamo osservando le famose luci di Hessdalen? Nella letteratura si citano anche luci di durata brevissima (elettrificazione della valle), oltre le più note persistenti e semoventi, potremmo in effetti proprio l’ultima sera , aver fatto il colpo grosso , basterà attendere l’analisi delle ore di filmati registrati, per fugare ogni dubbio su sensazioni o abbagli.

    Verso le 3.00, smontiamo tutto e abbandoniamo quel luogo incredibile, rituffandoci nelle nubi della vallata e del nostro Bjorgasen.

    Abbiamo tempo per due ore di riposo, poi la sveglia suona inesorabile, ci attende il lungo ritorno a casa.

    Quattro Sentieri per il Lago

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    Quattro Sentieri per il Lago
    Tempo di lettura: 3 minuti

    Quattro Sentieri per il LagoLo spicchio di luna che sta tramontando illumina debolmente i quattro amici appena giunti al posto di osservazione.
    Ora gli strumenti sono pronti, e il cielo è diventato completamente nero.
    Andrea dice: “Il cielo è abbastanza buio, vedrai come te la prendo al volo…”
    Consulta un voluminoso atlante del cielo, porta l’occhio all’oculare e: “…tre stelle allineate… un gruppetto a forma di seggiolino… un aquilone… Ed eccola là, proprio sulla punta! “
    – La vedi? – dice facendo posto a Dario. E Dario: “Io non vedo niente!”
    Andrea: “Certo che no, muovi leggermente lo strumento ed osserva con la visione distolta…”
    Dario: “con la visione che…?”
    Andrea: “Distolta… Insomma guarda di traverso!”
    Dario: “Ecco… mi pare… Una leggera nebulosità, ma non si distingue altro…”
    Andrea: “E che vuoi vedere di più… Togliti che ne proviamo un’altra”.
    Andrea ha una grande abilità nel trasformare le stelline di un atlante nei piccoli punti luminosi che si osservano negli oculari. La sua vera soddisfazione è quella di riuscire a puntare gli oggetti più difficili saltando di stella in stella, e nutre poco interesse per ciò che riesce ad inquadrare nel campo dell’oculare.
    Bruno appena giunto sul posto di osservazione aveva intanto piazzato lo strumento e puntato la polare tenendo conto dell’ora e del giorno. Adesso fa le ultime correzioni, punta una stella, mette a segno l’ascensione retta, ed è finalmente pronto. Non ha nessun atlante, ha soltanto un catalogo NGC, fitto di colonne di numeri.
    Bruno è in gamba, conosce a perfezione il proprio strumento; se è ben orientato, i suoi piccoli cerchi graduati sono in grado di puntare il telescopio con uno scarto massimo di 30 primi. Quasi sempre trova le piccole nebulose nel campo del grande oculare da due pollici.
    È innamorato del proprio strumento. Guai se dovesse tradirlo.
    Bruno: “Dario, vieni all’oculare, questa era dentro al primo colpo. Osserva con calma, cosa vedi?”.
    Dario non ha il coraggio di dire che non vede niente. Finge di ammirare in silenzio, con la testa scuote leggermente il telescopio per far muovere l’immagine, guarda “per traverso” e finalmente la vede: una nuvoletta, identica a quella mostratagli da Andrea, in una zona di cielo completamente diversa.
    Con un certo timore dice: “Mi pare di vederla in alto, vicino al bordo…” Bruno si riappropria in modo brusco dello strumento, poi osserva con calma e dice: “Ma no… è quasi al centro, leggermente in basso”. E poi aggiunge, sollevato: “Mi pareva strano un errore così grande…”.
    Bruno è felice, il telescopio si comporta magnificamente e lui è bravissimo ad orientarne l’asse polare in modo che i piccoli cerchi graduati non sbaglino un colpo. È come Andrea, poco interessato alla natura delle cose, e molto alla precisione geometrica della ricerca.
    La preparazione per Carlo è stata diversa. Dopo aver piazzato il cavalletto e la montatura ha inserito lo strumento, da cui esce una quantità incredibile di cavi elettrici.
    Le parti terminali dei cavetti di collegamento sono “variopinti”. Rosso con rosso, verde con verde. “Dunque vediamo… i decoder, i motori… l’alimentazione, la pulsantiera, la centralina. Mi pare tutto a posto”.
    Collega l’alimentazione e legge sul piccolo schermo. Risponde a tutte le domande con tranquillità e sicurezza. Punta una stella, ne punta una seconda, dà gli ultimi comandi alla centralina ed è pronto.
    – “Adesso che ho aggiornato la libreria voglio proprio vedere… L’altra sera l’ho mancata, ma era un problema di coordinate sbagliate…”.
    Risponde a tutte le domande della centralina, e poi preme l’enter.
    Il tubo comincia a muoversi prendendo velocità, si avvicina alla zona richiesta, rallenta e si ferma.
    Carlo osserva nell’oculare, fa una piccola correzione aggiorna il computer con la certezza che, d’ora in poi, l’oggetto richiesto sarà sempre al centro dell’oculare.
    –“Vieni a vedere” – fa rivolto a Dario. E Dario la vede. Esattamente al centro dell’oculare, una piccola nuvoletta leggermente più chiara del cielo nero.
    Carlo non ha nessun atlante, nessun catalogo, il computer è in grado di dargli tutte le informazioni necessarie. Si affida al computer come Andrea alla propria mappa mentale e Bruno ai principi della astronomia sferica.
    E come loro, difficilmente si sofferma a ragionare su ciò che ha puntato. La serata si protrae fino alle due di notte. Andrea, Bruno e Carlo sono felici, ognuno di loro è contento della padronanza con la quale trovano facilmente ogni pur debole oggetto del cielo. Stasera tutti hanno avuto grandi soddisfazioni.
    Stanno smontando i telescopi quando Carlo chiede: “Allora, Dario, quale strumento ti comprerai, qual è il migliore”?
    E Dario, sconsolato, risponde: “Non ho trovato grandi differenze. Io vorrei un telescopio che, puntato verso una galassia, mi permettesse di osservarla nei dettagli più fini.
    Guardare di sfuggita delle nuvolette evanescenti, una dopo l’altra, così velocemente… No, preferisco puntarne una sola, piuttosto, e passarci sopra una serata intera”!

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