C’è però anche una previsione di Jeremie Vaubaillon che parla di un massimo possibile nelle primissime ore del 12 agosto (dalle due alle sei del mattino, ora estiva italiana), quando il radiante sarà dunque ben alto nel nostro cielo: +42° alle 2:00 e +72° alle 6:00, quando il cielo comincerà
Se il massimo previsto è per il 12 agosto dalle 10:00 alle 24:00, c’è però anche una previsione di Jeremie Vaubaillon che parla di un massimo possibile nelle primissime ore del 12 agosto (dalle due alle sei del mattino, ora estiva italiana), quando il radiante sarà dunque ben alto nel nostro cielo: +42° alle 2:00 e +72° alle 6:00, quando il cielo comincerà tuttavia a schiarire. Nell'immagine la cartina del radiante alle 2:00 del 12 agosto. L'immagine è liberamente utilizzabile con licenza CC BY-NC-ND indicando link all'articolo e crediti: Coelum Astronomia
“San Lorenzo, io lo so perché tanto
di stelle per l’aria tranquilla
arde e cade, perché sì gran pianto
nel concavo cielo sfavilla…”
Giovanni Pascoli
E siamo di nuovo in piena estate, il periodo dell’anno in cui giornali e televisioni, insieme alle altre cose di stagione, tornano ad annunciare l’arrivo delle “Lacrime di San Lorenzo”.
Prima le cattive notizie: quest’anno l’osservazione dello sciame meteorico delle Perseidi potrebbe essere un po’ disturbata dalla presenza di un quarto di Luna crescente, che tuttavia tramonterà prima dell’una di notte del 12 agosto, dalla parte opposta del cielo in cui si starà alzando il radiante del Perseo. Quindi, poco male!
L’attività massima dello sciame meteorico delle Perseidi è prevista per il periodo compreso tra le 10:00 e le 24:00 del 12 agosto (ora italiana estiva). Ma una previsione di Jeremie Vaubaillon parla di un massimo possibile nelle primissime ore del 12 agosto (dalle due alle sei del mattino, ora estiva italiana), quando il radiante sarà dunque ben alto nel nostro cielo: +42° alle 2:00 e +72° alle 6:00, quando il cielo comincerà tuttavia a schiarire, noi abbiamo scelto di mostrarvi il cielo (nella cartina in alto) per le 2:00 della notte tra l’11 e il 12 agosto.
Secondo i calcoli degli esperti russi Mikhail Maslov e Esko Lyytinen ci si può aspettare una attività fino a uno ZHR (Zenithal Hourly Rate) di 180.
Quest’anno Coelum ha dedicato a questo tradizionale appuntamento estivo uno Speciale di ben 20 pagine a partire da pag. 58. Leggilo gratuitamente su Coelum 202! Qui sotto il sommario:
In Italia il progetto coordinato da Frascati Scienza vede impegnate 23 città italiane con oltre 200 eventi tra spettacoli, workshop e laboratori Con la Settimana della scienza dal 24 al 30 settembre attività per adulti e bambini tutti all’insegna del ‘Made in Science’, la filiera della conoscenza
Per i prossimi due anni Frascati Scienza sarà nuovamente capofila di una rete di ricercatori, università e istituti di ricerca che si estendono dal nord al sud dell’Italia nel promuovere il più importante appuntamento europeo di comunicazione scientifica, un evento che in tutta Europa coinvolgerà oltre 300 città europee.
Le prossime due edizioni, a cura di Frascati Scienza previste a settembre 2016 e 2017, saranno all’insegna del MADE IN SCIENCE, per una scienza vista come vera e propria “filiera della conoscenza”, capace di produrre e distinguersi per eccellenza, qualità, creatività, affidabilità, transnazionalità, competenze e responsabilità. MADE IN SCIENCE sarà il marchio che distingue la qualità, l’eccellenza e l’importanza della ricerca italiana e il filo conduttore degli appuntamenti in programma.
Leggi l'articolo (è gratuito!) dedicato all'evento su Coelum 202 di Luglio e Agosto a pag. 170: la storia, l'evoluzione e le novità di quest'anno!
Centinaia gli eventi in Italia, 23 le città italiane coinvolte, e in Europa tutti dedicati alla scienza e all’importanza della figura del ricercatore. In particolare, l’area Tuscolana, dove si trovano le infrastrutture di ricerca fra le più importanti d’Italia ed Europa, sarà l’epicentro dell’evento che coinvolge molte altre città italiane.
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Indice dei contenuti
La Casa della Scienza
Frascati Scienza il 24 settembre, in occasione dell’evento lancio della Notte Europea dei Ricercatori 2016, guiderà il pubblico in un viaggio attraverso una “Casa della Scienza” che sarà allestita a Roma con il contributo della Regione Lazio.
Saranno realizzati spazi che riproducono cucina, camera, soffitta e giardino per promuovere varie attività scientifiche aperte a tutti. I partecipanti, dopo essere stati accolti all’ingresso, potranno visitare la casa attraverso un percorso che li guiderà in cucina per conoscere le “ricette di chimica”, in cameretta per scoprire la fisica dei giocattoli, fino a salire in soffitta per osservare con il telescopio la stella che scalda il nostro pianeta, per riscendere infine in giardino e conoscere da vicino i segreti della biologia.
All’interno di ciascuna stanza le persone vivranno delle brevi esperienze scientifiche che permetteranno loro di guardare con occhi nuovi quello che accade ogni giorno nelle nostre case.
L’idea della casa guiderà tutte le attività che caratterizzeranno la settimana della scienza e la Notte Europea dei Ricercatori: ogni giorno della settimana, dal 26 al 29 settembre sarà, infatti, dedicato a una delle 4 stanze e sarà caratterizzato da attività, laboratori e spettacoli a tema.
Infine, il 30 settembre la casa della scienza verrà ricostruita a Frascati all’interno delle Mura del Valadier e le stanze saranno ampliate così da ospitare un maggior numero di attività e consentire ai visitatori di vivere un numero maggiore di esperienze.
Tutti gli eventi rientrano nella azione Marie Sklodowska-Curie del programma Horizon 2020. In Italia oltre al progetto coordinato da Frascati Scienza sono cinque i progetti vincitori del finanziamento europeo: Sharper, Luna 2016, Closer, Bright e Society.
La Notte Europea dei Ricercatori è un progetto promosso dalla Commissione Europea. Il progetto coordinato da Frascati Scienza è realizzato in collaborazione con Regione Lazio, il Comune di Frascati, ASI, CNR, ENEA, ESA-ESRIN, INAF, INFN, INGV, ISS, CINECA, GARR, ISPRA, CREA, Sardegna Ricerche, con Sapienza Università di Roma, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” e Università degli Studi Roma Tre, Università LUMSA di Roma e Palermo, Università di Cagliari, Università di Cassino, Università di Parma, Università di Sassari, Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia. L’evento vede la partecipazione di G.Eco, Associazione Tuscolana di Astronomia (ATA), Accatagliato, Associazione Arte e Scienza, Gruppo Astrofili Monti Lepini (Osservatorio di Gorga), Associazione Culturale Chi Sarà di Scena, RES Castelli Romani, Associazione Eta Carinae, Associazione Tuscolana Amici di Frascati, Astronomitaly – La Rete del Turismo Astronomico, Explora il Museo dei Bambini di Roma, L.U.D.I.S, Museo Tuscolano delle Scuderie Aldobrandini, Native, Sotacarbo, STS Multiservizi, Science4Biz, Dinosauri in Carne e Ossa.
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Un'impressione artistica del meccanismo di riscaldamento della Grande Macchia Rossa, che spiegherebbe la presenza di temperature così elevate nell'alta atmosfera di Giove nonostante la distanza dal Sole. Credits: Art by Karen Teramura, UH IfA with James O’Donoghue and Luke Moore
Qui sulla Terra, le radiazioni solari riscaldano l’atmosfera fino a quote molto elevate — perfino all’altitudine della Stazione Spaziale Internazionale, dove l’atmosfera si estende a formare una propaggine nota come esosfera. Il profilo termico che caratterizza gli strati esterni dell’atmosfera gioviana è straordinariamente simile a quello terrestre, nonostante il gigante gassoso sia cinque volte più lontano dal Sole. Da decenni gli astronomi hanno cercato senza successo di ricostruire i meccanismi che riscaldano l’atmosfera gioviana fino a temperature così elevate come quelle rilevate.
Analizzando i dati raccolti dal telescopio a infrarossi IRTF della NASA a Mauna Kea, nelle Hawaii, gli astronomi hanno misurato la temperatura a centinaia di chilometri dalla sommità delle nubi gioviane, riscontrando picchi di calore in corrispondenza della Grande Macchia Rossa. Le osservazioni sono state eseguite il 4 dicembre 2012 in una finestra di nove ore.
«Già da subito potevamo vedere che le temperature massime ad alta quota erano al di sopra della Grande Macchia Rossa, una strana coincidenza o un grande indizio?» commenta James O’Donoghue della Boston University e primo autore dell’articolo pubblicato su Nature.
A smascherare il punto caldo sono state le osservazioni dello ione idrogenonio, H3+. Misurando il flusso di radiazioni alle linee d’emissione dello ione, gli scienziati hanno potuto ottenere un profilo termico quasi globale a 600-1000 km dal livello di pressione atmosferica terrestre (1 bar). I dati mostrano che la temperatura 800 km al di sopra della Grande Macchia Rossa è pari a 1330 gradi centigradi.
L’immagine, ottenuta con l'Infrared Telescope Facility della NASA sul Mauna Kea (Hawaii), ci mostra le aurore ai poli mentre nella zona centrale il contrasto è stato aumentato per migliorare la visibilità. Al centro dell'immagine, la linea scura indica la posizione della fessura dello spettrometro utilizzato, allineato all’asse di rotazione del pianeta. Crediti: J. O’Donoghue, NASA/Infrared Telescope Facility (IRTF)
Sono state seguite varie ipotesi per spiegare la natura di questo punto caldo. Una delle più promettenti era quella del trasferimento di energia dalle calde regioni aurorali; tuttavia, la rapida rotazione di Giove sul proprio asse (meno di dieci ore) genera delle forze di Coriolis abbastanza intense da intrappolare l’energia aurorale alle latitudini più elevate. Qui, le aurore forniscono 200 GW di potenza per emisfero, riscaldando le temperature dello spazio vicino fino a 730-1130 gradi centigradi.
I ricercatori si sono quindi concentrati sulla turbolenza generata dai venti all’interno della Grande Macchia Rossa. Secondo la ricostruzione operata dal gruppo, la Grande Macchia Rossa produrrebbe due famiglie di onde energetiche: le onde di gravità, paragonabili al movimento delle corde di una chitarra dopo essere state pizzicate, e le onde acustiche, prodotte dalla compressione di masse d’aria. Le collisioni di queste onde produrrebbero abbastanza calore da riscaldare l’atmosfera superiore.
Questo scenario è in accordo con le osservazioni di IRTF. Gli astronomi, infatti, hanno osservato un picco termico nelle regioni settentrionali della Grande Macchia Rossa, proprio dove i venti sono più rapidi. Visto lo spostamento di masse d’aria a ben 270 chilometri orari, la turbolenza generata è massima, e l’energia trasportata verticalmente in forma di calore risulta maggiore che nelle altre regioni della tempesta.
«Le temperature estremamente elevate osservate al di sopra della tempesta sono la prova inconfutabile di questo trasferimento di energia,» prosegue O’Donoghue. «Questa scoperta conferma che il riscaldamento su scala globale è una spiegazione plausibile per la ‘crisi energetica’, ovvero il problema per cui le temperature dell’atmosfera superiore risultano centinaia di gradi più elevate di quanto previsto modellando solo la luce solare».
Un processo simile è all’opera al di sopra delle Ande, e c’è il sospetto che possa avere un ruolo di primo piano anche in altri ambienti del Sistema Solare, in particolare oltre la fascia asteroidale che cinge l’orbita marziana.
A inizio mese, la sonda americana Juno ha iniziato la sua missione di 20 mesi in orbita attorno al gigante gassoso, completando una drammatica manovra di inserimento orbitale. Nelle prossime settimane, Juno inizierà la sua campagna scientifica, e a Ottobre si porterà sulla sua prima orbita operativa. Uno dei suoi obiettivi principali sarà proprio quello di far luce sulle dinamiche atmosferiche.
L’Accedemia delle Stelle, scuola di astronomia e gruppo astrofili di Roma, organizza due STARPARTY – VACANZE ASTRONOMICHE in località Passignano sul Trasimento (PG) e Piancastagnaio (Monte Amiata, SI):
– giovedi 28 – domenica 31 luglio
– mercoledì 3 – domenica 7 agosto
Soggiorni a partire da 2 notti.
A seconda dell’offerta (vedere qui):
– Piazzola dedicata per i telescopi (è possibile lasciarli montati per tutto il tempo della permanenza),
– piscina,
– terme gratuite nelle vicinanze,
– eccellente cucina tipica.
Ogni notte:
– guida al cielo e assistenza ai neofiti
Ogni giorno:
– conferenza di astronomia,
Pensione completa, bevande incluse a partire da 62 €.
Villa Guglielmi ore 20.15 – Via di Villa Guglielmi – Fiumicino (RM) Inizio ore 20:15. Ingresso libero.
Clicca sulla locandina per ingrandire.
Nel contesto della manifestazione Fiumicino Estate, si terrà una serata dedicata all’astronomia e in particolare a Saturno.
Dopo la conferenza sul “Signore Degli Anelli” (Sala Conferenze di Villa Guglielmi) quattro telescopi saranno puntati al cielo per dare la possibilità alle persone di ammirare il pianeta e altre meraviglie dell’Universo, il tutto a cura di Giuseppe Conzo in collaborazione con Alessandro Vittorini, Gabriele Spaziani e Sante Ferretti.
Le osservazioni si terranno nello spazio antistante la Villa. L’ingresso pedonale è dal parcheggio di Villa Guglielmi, ultimo cancello. Qui la mappa con tutte le indicazioni.
Evento appartenente al programma #FiumicinoEstate organizzato dal Comune di Fiumicino.
Media sponsor Frascati Scienza e COELUM Astronomia
Gli ingegneri dell’Agenzia Spaziale Europea hanno selezionato la regione Ma’at, sul nucleo della cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko, come teatro dell’impatto controllato che porrà fine alla straordinaria missione della sonda Rosetta.
La sonda si appoggerà sulla superficie della cometa alle 12:30 ora italiana del 30 settembre. La scelta del sito di atterraggio è ricaduta su Ma’at a causa dell’elevato potenziale scientifico dei numerosi punti attivi che popolano questa regione. Ma’at è situata sul lobo minore di 67P.
Rosetta ha trascorso più di dodici anni nello spazio profondo, di cui due nei paraggi di una cometa attiva. Inoltre, dopo aver doppiato il perielio della sua orbita un anno fa, la cometa 67P sta ora risalendo verso l’altezza dell’orbita di Giove, allontanandosi sempre di più dal Sole. Entro fine anno, i pannelli solari di Rosetta non saranno più in grado di generare abbastanza energia da alimentare tutti i sistemi di bordo.
A partire dal 2011, Rosetta era stata in ibernazione per ben 31 mesi. Tuttavia, non si era mai avventurata fino a distanze dal Sole simili a quelle dell’afelio di 67P — circa 850 milioni di chilometri. A distanze così grandi, gli scienziati temono che nemmeno in fase di ibernazione la sonda possa mantenere la sua temperatura interna abbastanza elevata da sopravvivere. Da qui, la decisione di terminare la missione entro la fine di quest’anno. Lo scenario del finale di missione era già stato proposto nel 2014.
Durante gli ultimi attimi della sua drammatica discesa, Rosetta sarà in grado di ottenere dati mai raccolti prima. Le comunicazioni con la sonda termineranno non appena essa toccherà il suolo della cometa.
La discesa della sonda verso il nucleo inizierà circa 12 ore prima dell’impatto, quando Rosetta eseguirà un’ultima manovra a 20 km di quota. L’impatto avverrà a una velocità di circa 50 centimetri al secondo, pari alla metà di quella di Philae.
La sera del 30 luglio, verso le 21:00, ci sarà la possibilità di mettere alla prova la propria abilità tentando l’osservazione della congiunzione stretta tra Mercurio (mag. –0,2) e la stella Regolo, nel Leone. I due oggetti a quell’ora saranno distanti l’uno dall’altro appena 18', una separazione facilmente apprezzabile con un buon binocolo, ma bisognerà fare i conti con un’altezza sull’orizzonte di appena +6° e con un cielo ancora così chiaro da rendere difficoltosa la visione di Regolo (mag. +1,4).
La sera del 30 luglio ci sarà la possibilità di mettere alla prova la propria abilità tentando l’osservazione della congiunzione stretta tra Mercurio (mag. –0,2) e la stella Regolo, nel Leone. I due oggetti a quell’ora saranno distanti l’uno dall’altro appena 18', una separazione facilmente apprezzabile con un buon binocolo, ma bisognerà fare i conti con un’altezza sull’orizzonte di appena +6° e con un cielo ancora così chiaro da rendere difficoltosa la visione di Regolo (mag. +1,4).
Ancora più difficile della precedente, la congiunzione tra Mercurio (mag. –0,2) e Regolo (mag. +1,4), che verso le 21:00 del 30 luglio saranno “osservabili” verso ovest-nordovest separati da una distanza angolare di soli 18′; ma anche, ahinoi, alti solo +5° sull’orizzonte!
A quell’ora il cielo sarà ancora decisamente luminoso, e riuscire a individuare il puntino di Regolo sarà impresa al limite dell’impossibile. Provarci sarà comunque un esperimento utile, a prescindere dai risultati.
E a destra della coppia, 7° verso ovest, alta solo +3° ci sarà anche Venere a fare da banco di prova per la propria capacità osservativa!
Abell S1063 è un ammasso di galassie osservato da Hubble. L’enorme cluster è una lente gravitazionale e permette di osservare oggetti ancora più lontani. Crediti: NASA, ESA, and J. Lotz (STScI)
Abell S1063 è un ammasso di galassie osservato da Hubble. L’enorme cluster è una lente gravitazionale e permette di osservare oggetti ancora più lontani. Cliccare per ingrandire ed apprezzare anche i più piccoli particolari! Crediti: NASA, ESA, and J. Lotz (STScI)
Siamo arrivati sulla Luna. Viviamo e lavoriamo nella Stazione spaziale internazionale. Siamo arrivati su una cometa e su Marte ci sono più robot che batteri. Credete che ormai le avventure nello spazio siano arrivate a uno stallo? Credete che ormai non ci resti più nulla da scoprire? Non è così, lì fuori i misteri sono dietro l’angolo e l’ultima frontiera non è stata ancora raggiunta. Proprio per questo gli astronomi sfruttano al massimo i telescopi spaziali come Hubble, di NASA ed ESA. Il prossimo passo sarà quello di studiare nel dettaglio l’ammasso galattico Abell S1063: un’indagine prevista nell’ambito del progetto Frontier Fields, nato per catturare oggetti lontanissimi sfruttando l’effetto chiamato lente gravitazionale, cioè una sorta di lente d’ingrandimento galattica che fa apparire la galassia alle sue spalle più grande e più luminosa. È necessario però che la galassia più distante sia quasi perfettamente situata dietro la “galassia lente”. Il fenomeno, previsto da Einstein nella sua Teoria della relatività generale, permette di osservare oggetti molto lontani, quindi impossibili da raggiungere con la strumentazione classica.
I ricercatori credono che Abell S1063 possa ospitare milioni di mondi sconosciuti. Nell’immagine qui vicino, il cluster si mostra com’era 4 miliardi di anni fa, anche se tramite l’effetto di lente gravitazionale possiamo guardare ancora più lontano nel tempo, proprio dove nessun telescopio da terra od orbitante può arrivare. Grazie ad Abell S1063 è stata già scoperta una galassia nana lontanissima e giovanissima (vedi Media INAF): si tratta di ID11, nata quando l’Universo aveva 2 miliardi di anni dopo. La sua luce è un miliardo di volte più debole della stella meno luminosa ancora visibile a occhio nudo. Grazie a Hubble e ad Abell S1063, è stata classificata come la galassia più debole fotografata a tale distanza.
Immagine di Abell S1063 vista da terra. Crediti: NASA, ESA, Digitized Sky Survey 2 Acknowledgement: Davide De Martin
Sempre sfruttando Abell S1063 sono state identificate altre 16 galassie sullo sfondo, studiando le quali gli astronomi possono migliorare la loro conoscenza della materia oscura così come della materia ordinaria.
Ma Abell S1063 non è l’unico ammasso di galassie capace di distorcere e modellare la luce in moda da far “viaggiare nel tempo” i ricercatori. Nell’ambito dello stesso programma ci sono altri tre cluster, e ulteriori due verranno osservati nei prossimi anni. Insomma, una vera e propria flotta di aiutanti galattici per guardare lì dove l’occhio umano e l’occhio robotico non possono arrivare. L’Hubble Frontier Fields è un programma di tre anni, che prevede 840 orbite e che produrrà la più profonda vista sull’Universo mai ottenuta fino a oggi, combinando la potenza di Hubble con l’amplificazione gravitazionale della luce intorno a sei diversi ammassi di galassie per esplorare le regioni più lontane dello spazio.
Alcuni volti di ESASky. Da sinistra: Bruno Merín, responsabile scientifico del progetto, Maria Henar Sarmiento, ingegnere del software, e Fabrizio Giordano, responsabile tecnico del progetto
Una schermata dell’interfaccia ESASky. I poligoni colorati sono i “footprints”, le aree di cielo coperte dalle osservazioni. Crediti: ESAC
Tre ingegneri, due scienziati e una sola consegna: «avete un mese di tempo per tirare fuori un’idea innovativa», gli avevano detto. Sembra Google, Mountain View. Invece accadeva qualche anno fa a ESAC, Madrid. Sede dello European Space Astronomy Centre: il centro per i dati astronomici dell’ESA, l’Agenzia spaziale europea. Quell’idea innovativa, quel prototipo, venne poi presa in mano da un team di softwaristi e astronomi. E ora, dopo quasi due anni di lavoro, è diventata ESASky: un tool interattivo accessibile via browser in modo che più immediato non si potrebbe, senza registrazioni né altri passaggi. Ma, soprattutto, un tool pensato veramente per chiunque: curiosi e appassionati, certo, ma anche astrofili e scienziati. Tutti i dati che stano dietro all’universo virtuale di ESASky provengono direttamente dalle basi dati delle missioni spaziali ESA: le stesse usate ogni giorno nel mondo dagli astrofisici di professione.
«La prima cosa che si vede sono le mappe, tutte realizzate con dati astronomici veri. Mappe scientifiche e validate. Organizzate per le diverse lunghezze d’onda, così da coprire l’intero spettro elettromagnetico», spiega a Media INAF Fabrizio Giordano, una vita precedente trascorsa facendo ogni giorno su e giù da Anguillara Sabazia a Frascati – un’ora a scendere e una a salire quando andava bene, e in mezzo Roma tutt’intera. Circa due anni fa la svolta. «La qualità della vita era pessima. Io e mia moglie avevamo avuto da poco un bambino, all’epoca aveva un anno. E ci siamo detti che no, non poteva andare», racconta a Media INAF. Così hanno iniziato a guardarsi attorno, c’era quella call dell’Agenzia spaziale europea, Giordano ha mandato il curriculum. «Già era passata la deadline, pensavo che non mi avessero scelto, e invece…».
E invece ora è alla guida dell’intero team di sviluppo, la squadra che in due anni ha estratto e costruito – da quel bozzolo d’idea innovativa di cui parlavamo all’inizio – l’ESASky completo e funzionante che vediamo oggi in rete.
Alcuni volti di ESASky. Da sinistra: Bruno Merín, responsabile scientifico del progetto, Maria Henar Sarmiento, ingegnere del software, e Fabrizio Giordano, responsabile tecnico del progetto
«Con ESASKy volevamo realizzare un tool fruibile anche da persone normali, come me del resto, che non sono uno scienziato», sottolinea Giordano. «Un tool che però permettesse, con pochi clic, di accedere anche ai dati astronomici. Una persona che visita il sito semplicemente per curiosità andrà così a cercare le galassie, a vedere le immagini. Aprendo il pannello dei dati si può però accedere a un altro livello d’informazioni, che può essere d’interesse anche per gli astrofili per esempio, dove si possono vedere i dettagli delle osservazioni e i cosiddetti footprints, i poligoni che mostrano le aree di cielo osservate dalle missioni spaziali. Ancora un altro clic e si ha accesso diretto ai file dei dati astronomici, i cosiddetti file FITS, rivolti principalmente agli scienziati».
Un’interfaccia alla portata di tutti e che guarda al futuro. Già ora le sue mappe si nutrono dei dati raccolti dai telescopi spaziali dell’ESA e non solo: INTEGRAL, XMM-Newton, SUZAKU, HST, Hipparcos, ISO, Herschel e Planck – qui l’elenco completo, diviso per bande dello spettro elettromagnetico. Mano a mano che si aggiungeranno nuove osservazioni e nuove missioni, ESASky verrà aggiornato. E presto comprenderà anche dati di tipo diverso di grande interesse per gli astronomi, come quelli spettroscopici, previsti per la prossima release in arrivo entro fine anno. Insomma, non vi resta che provarlo.
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Il Viking 1 atterra su Marte, e comincia a inviare foto in bianco e nero della superficie marziana, ma la foto più suggestiva è sicuramente quella che scattò un giorno dopo l'atterraggio, il 21 luglio 1976 e che una volta elaborata dal team del JPL (è un'immagine composita su tre riprese a tre diverse lunghezze d'onda), diventa la prima immagine a colori della superficie marziana. Credit: NASA JPL Image Processing Team . L'immagine simbolo del primo atterraggio sulla Luna in una elaborazione artistica per ricordare anche l'anniversario della "conquista di Marte", 7 anni dopo infatti la NASA porterà anche la prima sonda ad atterrare con successo sulla superficie di Marte. Credit: NASA/JPL-Caltech
Era il 20 agosto del 1975 quando da Cape Canaveral la NASA diede il via al programma Viking. Il 20 luglio 1976, il lander della Viking 1 tocca il suolo della Chryse Planitia su Marte diventando il primo veicolo spaziale ad effettuare con successo un atterraggio su un altro pianeta.
Il lander in realtà avrebbe dovuto atterrare su Marte il 4 luglio (giorno della Festa dell’Indipendenza per gli americani), ma il Centro Controllo a Terra si riservò la possibilità di verificare ed eventualmente modificare, il luogo dell’atterraggio in base alle prime immagini ravvicinate della superficie inviate dall’orbiter. E così fu… il punto di atterraggio venne considerato non sicuro e la destinazione modificata a favore della Chryse Planitia, a circa 575 chilometri più a ovest.
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Questa invece la prima immagine in assoluto arrivata dalla superficie di Marte (20 luglio, 1976).
La missione Viking era costituita da due sonde gemelle, Viking 1 e Viking 2, ognuna delle quali composta da un modulo orbitante (orbiter) e un modulo di atterraggio (lander). Il lander della Viking 2 atterrerà 45 giorni dopo il primo.
Un mosaico di Marte ottenuto con le immagini dell'orbiter Viking 1
Gli obiettivi primari della missione erano la mappatura della superficie del pianeta (da parte degli orbiter) e la raccolta di immagini a terra da parte dei lander; caratterizzare la struttura e la composizione sia dell’atmosfera sia della superficie del pianeta (furono osservate le tempeste di sabbia stagionali) e la ricerca di tracce di vita. I lander infatti condussero tre esperimenti di biologia progettati appositamente per la ricerca di microorganismi, ma il risultato resterà ambiguo e fonte di continui studi e revisioni della mole di dati raccolti… ma nessuna prova definitiva della presenza di microorganismi in prossimità dei luoghi di sbarco.
Phobos visto per la prima volta da vicino dalla Viking 1.
L’orbiter del Viking 1 passerà anche a 90 chilometri da Phobos inviando le prime immagini ravvicinate della grande luna interna di Marte.
La missione fu dichiarata definitivamente terminata il 21 maggio 1983, più di 6 anni e mezzo dopo la data prevista inizialmente dai progettisti.
Primo Star Party presso il Lajatico Astronomical Centre (Pisa)
Osservazioni e Conferenze. Prenotazione richiesta. Per il programma, vedere su www.astronomiamo.it
Una delle celebri foto scattate da Aldrin delle proprie impronte sulla superficie lunare, diventata una delle foto simbolo della missione (e spesso erroneamente indicata come immagine del primo passo sulla Luna di Armstrong). Credit: NASA
Quarantasette anni fa, il 20 luglio 1969, alle ore 22:56 EDT (ora italiana 4:56 del 21 luglio) l’astronauta americano Neil Armstrong fu il primo uomo a mettere piede sul suolo lunare. La missione Apollo 11, iniziata il 16 luglio, dal Centro spaziale Kennedy della NASA in Florida, aveva a bordo tre astronauti: il Comandante della missione Neil A. Armstrong, il pilota del modulo di comando Michael Collins e il pilota del modulo lunare Edwin E. Aldrin Jr. che fu anche il secondo uomo a mettere piede sulla Luna.
Nel 2009, in occasione del quarantesimo anniversario dell’impresa, Paolo Attivissimo ha dato il via al progetto Moonscape, un documentario gratuito e liberamente condivisibile dedicato al primo sbarco sulla Luna, che permette di vivere l’allunaggio e l’escursione lunare attraverso gli occhi degli astronauti. Negli anni, volontari e appassionati, coordinati da Attivissimo, hanno raccolto immagini fotografiche e filmati autentici della missione lunare, spesso inediti o poco conosciuti, in forma restaurata e riscandita partendo dagli originali alla massima qualità disponibile. Esclusivamente materiale presente negli archivi online della NASA e (a pagamento) presso società specializzate in restauro e riacquisizione d’immagini, come Footagevault.com.
Le fotografie che furono scattate in sequenza sono state riunite per formare delle panoramiche; le riprese televisive e quelle a colori su pellicola sono presentate sincronizzandole con le registrazioni delle comunicazioni radio (sottotitolate anche in italiano) e con le fotografie, dandoci la possibilità di cogliere dettagli rari e insoliti dello storico evento da angolazioni multiple e con una nitidezza senza precedenti grazie all’uso delle migliori scansioni e digitalizzazioni disponibili del materiale originale.
Godiamoci quindi, a 47 anni di distanza, i momenti salienti di quella storica giornata (e per noi italiani lunga notte a cavallo tra il 20 e il 21 luglio), con le immagini ad alta risoluzione e… a colori!
Dopo quattro giorni di viaggio, i tre astronauti entrano in orbita attorno alla Luna. Armstrong e Aldrin salgono sul LEM “Eagle” (Lunar Excursion Module – Modulo Lunare) e si sganciano dal modulo di servizio Columbia, dove rimane Collins per assicurare il rientro a Terra della navetta. Alle 22:17 ora italiana del 20 luglio il LEM atterra nel Mare della Tranquillità…
Il portello del modulo lunare fu aperto alle 4:39 (22:39 del 20 per la NASA, EDT), e Armstrong iniziò a scendere i nove scalini della scaletta: un’operazione non semplice, dal momento che la tuta gli impediva di vedersi i piedi. La storica frase “That’s one small step for a man…one giant leap for mankind” (un piccolo passo per un uomo… un enome balzo per l’umanità) fu pronunciata alle 4:56 del 21 luglio 1969 (22:56 EDT, per la NASA era ancora il 20 luglio): per la prima volta nella storia un essere umano aveva messo piede su un corpo celeste diverso dalla Terra.
Dopo una ventina di minuti anche Aldrin segue Armstrong sul suolo lunare: iniziano a sistemare le apparecchiature scientifiche, raccolgono frammenti di suolo lunare e piantano la bandiera degli Stati Uniti. L’attività all’esterno del LEM (EVA) durerà circa 2 ore e 40 minuti.
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Moonscape è un progetto, coordinato da Paolo Attivissimo, in continua evoluzione, reso possibile dalle donazioni e dal lavoro di tante persone. Se vi piace quello che vedete e volete aiutare (e avere il vostro nome o il nome della vostra ditta nei titoli di coda come sponsor),fate una donazione via Paypal dal sito dell’iniziativa o offritevi per collaborare per continuare a migliorare Moonscape: acquistando ulteriori riversamenti digitali restaurati in alta definizione delle riprese originali delle missioni Apollo, incaricando uno speaker professionista come voce narrante e aggiungendo ulteriori dettagli (per esempio altre foto, riprese dal Controllo Missione, animazioni e mappe).
• La riproduzione della targa rimasta sulla Luna ancorata a una zampa del LEM con la storica frase “Qui gli uomini del pianeta Terra per la prima volta posero il loro piede nel luglio dell’Anno del Signore 1969. Siamo venuti in pace per tutta l’umanità“.
I convegni e le iniziative dell’UAI
GiugnoMeeting nazionale UAI Sistema Solare Il Meeting tematico UAI sulle osservazioni planetarie, solari e lunari.
Organizzato dalle SdR Pianeti, Sole e Luna (sede da definire). http://pianeti.uai.it – http://sole.uai.it – http://luna.uai.it
25-28 luglioScuole Estive di metodologie didattiche della scienza – Campo Catino (FR) e Modica (RA) Le scuole estive di
astronomia dell’UAI, dedicate agli insegnanti, ma non solo, da quest’anno in doppia sede: presso l’Osservatorio Astronomico di Campo Catino a Guarcino (FR) e a Modica (RG)
a cura del Centro Ibleo Studi Astronomici. http://didattica.uai.it
In questo montaggio, l’osservatorio di Mauna Kea, il telescopio spaziale Kepler e il cielo notturno con quattro delle regioni osservate da K2 e – rappresentati dai puntini gialli – i nuovi sistemi planetari scoperti. Crediti: Karen Teramura/IFA , Miloslav Druckmüller, NASA
Credits: NASA/JPL
Poi dicono che è importante sapersi riciclare… Giusto, ma come ti ricicli quando ti trovi magari a qualche decina di milioni di km dalla Terra e un tuo componente fondamentale va fuori uso, com’è accaduto tre anni fa al cacciatore di esopianeti Kepler della NASA? Occorre molta creatività, un ottimismo incrollabile e ingegno come se piovesse. In compenso, i risultati possono premiare ampiamente lo sforzo. È quanto sta accadendo con la missione K2, la cosiddetta second light: un riadattamento in corsa degli obiettivi e della strategia osservativa originale di Kepler che sta dando grandi soddisfazioni. Ultima in ordine di tempo, in uscita su Astrophysical Journal Supplement Series, la scoperta di oltre cento nuovi pianeti.
In questo montaggio, l’osservatorio di Mauna Kea, il telescopio spaziale Kepler e il cielo notturno con quattro delle regioni osservate da K2 e – rappresentati dai puntini gialli – i nuovi sistemi planetari scoperti. Crediti: Karen Teramura/IFA , Miloslav Druckmüller, NASA
È andata così. Kepler (o meglio, K2 appunto), non potendo più concentrarsi esclusivamente sul suo bersaglio iniziale – ricerca di pianeti simili alla Terra, attorno a stelle simili al Sole, in una ben precisa fettina di cielo dell’emisfero nord – e non essendo più in grado di fare tutto da solo, ha ampliato il terreno di caccia e ha delegato ai telescopi terrestri alcuni compiti. Tipicamente, ciò che avviene è che, quando il telescopio spaziale NASA individua potenziali esopianeti, l’onere di caratterizzarli e di confermare che di veri pianeti si tratta viene delegato a telescopi terrestri.
Ebbene, dei 197 mondi in sospeso finiti nel mirino di K2, 63 sono rimasti tali, 30 si sono rivelati falsi positivi ma ben 104 hanno ottenuto l’ambito bollino di pianeta extrasolare confermato. A conferirlo, dopo attento follow-up, una “squadra” che comprende quanto di meglio esista oggi sulla Terra per l’osservazione del cielo: i due gemelli da 10 metri dell’Osservatorio del Keck, in cima al vulcano dormiente di Manua Kea (Hawaii), la coppia di occhi da oltre 8 metri di diametro ciascuno del Gemini Observatory (uno anch’esso alle Hawaii, l’altro in Cile), il 2.4 metri robotico Automated Planet Finder, in California, ed LBT, il telescopio binoculare di Mount Graham, in Arizona, per un quarto di proprietà INAF.
Fra i nuovi pianeti, quattro più degli altri suscitano curiosità: fanno parte dello stesso sistema planetario, hanno dimensioni paragonabili a quelle della Terra (dal 20 al 50 percento in più) e potrebbero essere – si attendono conferme – tutti e quattro rocciosi. Potrebbero anche essere adatti a ospitare la vita? Non si può escludere, dice il primo autore dello studio, Ian Crossfield, dell’università dell’Arizona. Benché orbitino a distanza molto ravvicinata rispetto alla stella madre, inferiore a quella che separa Mercurio dal Sole, la stella in questione è piccola e debole. Due dei quattro pianeti, in particolare, ricevono un flusso di radiazioni paragonabile a quello che il Sole riversa sulla Terra.
Rappresentazione artistica di un ammasso stellare circondato da tre resti di supernova. Crediti: Gabriel Pérez/SMM (IAC)
Rappresentazione artistica di un ammasso stellare circondato da tre resti di supernova. Crediti: Gabriel Pérez/SMM (IAC)
Utilizzando il telescopio William Herschel alle Canarie per cercare bolle di gas incandescente in espansione nella vicina Galassia del Triangolo (o M33), un gruppo di ricercatori ha scovato un vero e proprio esempio dimatrioska cosmica. Si tratta, infatti, del primo caso conosciuto di tre resti di supernova uno dentro l’altro. Nell’illustrazione a fianco possiamo ammirare come si presenterebbero alla vista questi tre “gusci” concentrici, in rapida espansione attorno a un ammasso stellare, composti sia dal gas violentemente espulso da stelle morenti che da materiali del mezzo interstellare circostante, spazzati dall’onda d’urto.
I ricercatori si chiedono ora dove il secondo e il terzo guscio abbiano potuto rastrellare il materiale che li compone, visto che la prima supernova avrebbe dovuto fare “piazza pulita”. La risposta può venire dal gas circostante e dal mezzo interstellare non omogeneo. «Questo fenomeno deve essere dovuto al fatto che il mezzo interstellare non è affatto uniforme», spiega Artemi Camps Fariña dell’Istituto di Astrofisica delle Canarie, fra gli autori della scoperta, «presentando zone più dense di gas, circondate da spazi con gas a densità molto inferiore. Una supernova non solo spazza il gas, ma fa anche evaporare le parti esterne degli addensamenti, lasciando così un po’ di gas disponibile per formare il secondo e il terzo guscio».
L’idea che il mezzo interstellare non sia omogeneo non è nuova, ma questa bolla tripla permette una valutazione molto più chiara e quantitativa della sua struttura. La presenza di “bolle” nel mezzo interstellare spiega peraltro come mai la formazione stellare sia stata più lenta di quanto prevedessero i modelli cosmologici più semplici, che non tenevano in conto l’effetto “freno” delle supernove e di altri fenomeni cosmici sull’accensione di nuove stelle. «Senza questo rallentamento», sottolinea in conclusione Camps Fariña, «le galassie a spirale, come la nostra, avrebbero avuto una vita molto breve, e la nostra stessa esistenza sarebbe stata improbabile».
Ecco quello che hanno visto i telescopi: queste mappe mostrano la velocità di espansione rilevata in ciascun punto per le tre bolle, dove i contorni indicano l’emissione dell’idrogeno ionizzato. Le bolle sono approssimativamente concentriche ed esiste una progressione inversa tra dimensioni e velocità di espansione. Crediti: Artemi Camps Fariña (IAC)
Per saperne di più:
Leggi su Monthly Notices Letters of the Royal Astronomical Society l’articolo “Three supernova shells around a young star cluster in M33”, di Artemi Camps Fariña, John E. Beckman, Joan Font, Alejandro Borlaff, Javier Zaragoza, Philippe Amram
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Una rappresentazione artisitca della linea di neve dell'acqua intorno alla stella V883 Orionis, come vista da ALMA. Crediti: A. Angelich (NRAO/AUI/NSF)/ALMA (ESO/NAOJ/NRAO)
ALMA (Atacama Large Millimeter/submillimeter Array) ha osservato per la prima volta la “linea di neve” dell’acqua all’interno del disco protoplanetario di una giovane stella. Questa linea segna il punto in cui la temperatura del disco che circonda una giovane stella scende abbastanza perché si formi la neve. Solitamente non è possibile osservare questa linea perché troppo vicina alla stella, ma un aumento notevole della luminosità della giovane stella V883 Orionis ha riscaldato la parte interna del disco, spostando la linea della neve relativa all’acqua a distanze molto maggiori di quanto sia normale per una protostella e rendendola osservabile per la prima volta. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista Nature il 14 luglio scorso.
Questa invece l'immagine del disco protoplanetario intorno alla giovane stella V883 Orionis ottenuta da ALMA nella sua modalità a lunga base. L'anello scuro a metà del disco è la linea di neve dell'acqua, il punto in cui la temperatura e la pressione sono sufficientemente bassi perché si formi il ghiaccio d'acqua, fotografata direttamente per la prima volta. Nell'immagine, per confronto, sono indicate anche le dimensioni delle orbite di Nettuno e Plutone. Crediti: ALMA (ESO/NAOJ/NRAO)/L. Cieza
Le giovani stelle sono spesso circondate da un denso disco di gas e polvere in rotazione, noto come disco protoplanetario, da cui nascono i pianeti. Il calore di una tipica stella di tipo solare implica che l’acqua all’interno di un disco protoplanetario si trova nello stato gassoso fino a distanze pari a circa 3 unità astronomiche (UA) dalla stella – 3 volte la distanza media tra la Terra e il Sole – o circa 450 milioni di chilometri. Più all’esterno, a causa della pressione molto bassa, le molecole di acqua passano direttamente dallo stato gassoso a quello solido, formando una patina di ghiaccio sui grani di polvere e di altre particelle. La zona del disco protoplanetario in cui l’acqua passa da gas a solido viene chiamata “linea di neve” dell’acqua.
Ma la stella V883 Orionis è insolita. Un aumento notevole della sua brillanza ha spostato la linea di neve dell’acqua a una distanza di circa 40 UA (circa 6 miliardi di chilometri, o circa la dimensione dell’orbita di Plutone nel nostro Sistema Solare). Questo enorme aumento, combinato con la risoluzione di ALMA alle lunghezze di base più grandi ha permesso a un’equipe guidata da Lucas Cieza (Millennium ALMA Disk Nucleus e Universidad Diego Portales, Santiago, Cile) di risolvere per la prima volta la linea di neve dell’acqua in un disco protoplanetario.
Ecco qui sopra come l'esplosione sulla giovane stella V883 Orionis ha spostato la linea di neve dell'acqua molto più lontana dalla stella e l'ha resa visibile da ALMA. Crediti: ALMA (ESO/NAOJ/NRAO)/L. Cieza
L’improvviso aumento di luminosità di V883 Orionis è un esempio di cosa accade quando una grande quantità di materiale del disco che circonda una giovane stella cade sulla sua superficie. V883 Orionis è solo il 30% più massiccia del Sole, ma grazie all’esplosione che la scuote è al momento ben 400 volte più luminosa – e molto più calda – del Sole. Fa parte infatti di un tipo di stelle chiamate FU Orionis, dalla prima stella trovata con questo comportamento, in cui la fase esplosiva può durare per centinaia di anni.
Il primo autore Lucas Cieza spiega: «Le osservazioni di ALMA sono state una sorpresa per noi. Le nostre osservazioni dovevano osservare la frammentazione del disco che porta alla formazione dei pianeti. Non abbiamo visto nulla del genere, ma abbiamo scoperto qualcosa che sembrava un anello a circa 40 UA. Questo risultato mostra bene quanto sia potente ALMA, che ci regala scoperte emozionanti anche se non sono quelle che stavamo cercando».
Nella cartina la posizione della giovane stella V883 Orionis nella famosa costellazione di Orione. Sono indicate la maggior parte delle stelle visibili a occhio nudo in una notte buia e serena, mentre la posizione di V883 Orionis è indicata da un cerchio rosso. La stella è molto debole e per vederla serve un grande telescopio amatoriale. Crediti: ESO/IAU and Sky & Telescope
La bizzarra idea della neve che orbita nello spazio è un’idea fondamentale per la formazione dei pianeti. La presenza di ghiaccio d’acqua regola infatti l’efficienza della coagulazione dei grani di polvere – il primo passo nella formazione dei pianeti. Si pensa che i pianeti più piccoli, rocciosi, come il nostro, si formino all’interno della linea di neve, dove l’acqua è sotto forma di vapore. All’esterno della linea di neve, la presenza di ghiaccio d’acqua permette la formazione rapida di palle di neve cosmica, che finiscono con il formare pianeti massicci e gassosi come Giove.
La scoperta che queste esplosioni possano spostare la linea della neve fino a 10 volte il raggio tipico è importante per lo sviluppo di un buon modello di formazione planetaria e potrebbero essere uno stadio dell’evoluzione della maggior parte dei sistemi planetari. In questo caso, questa potrebbe essere solo la prima osservazione di un evento in realtà frequente, e le osservazioni di ALMA potrebbero contribure significativamente a una miglior comprensione di come si siano formati ed evoluti i pianeti in tutto l’Universo.
L’Accedemia delle Stelle, scuola di astronomia e gruppo astrofili di Roma, organizza due STARPARTY – VACANZE ASTRONOMICHE in località Passignano sul Trasimento (PG) e Piancastagnaio (Monte Amiata, SI):
– giovedi 28 – domenica 31 luglio
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Soggiorni a partire da 2 notti.
A seconda dell’offerta (vedere qui):
– Piazzola dedicata per i telescopi (è possibile lasciarli montati per tutto il tempo della permanenza),
– piscina,
– terme gratuite nelle vicinanze,
– eccellente cucina tipica.
Ogni notte:
– guida al cielo e assistenza ai neofiti
Ogni giorno:
– conferenza di astronomia,
Pensione completa, bevande incluse a partire da 62 €.
Verso le 21:00 del 16 luglio, sull’orizzonte di ovest-nordovest avrà luogo una delle più interessanti congiunzioni del periodo, con Mercurio (mag. –1,1) e Venere (–3,8) che si avvicineranno fino alla distanza minima osservabile di 31'. A quell’ora i due oggetti saranno alti solo +4°, e questo costituirà ovviamente un problema. A seconda delle condizioni atmosferiche si potrà valutare se iniziare le osservazioni (almeno con un binocolo) fino a una mezz’ora prima.
La sera del 16 luglio, verso le 21:00, il Sole sarà tramontato da pochi minuti e il cielo sarà ancora molto chiaro. E tuttavia, sarà questo il momento “migliore” a disposizione per riuscire a scorgere sull’orizzonte di ovest-nordovest due puntini luminosi alti in quel momento solo +4°.
Sarebbe un peccato non provarci perché si tratterà di una delle più interessanti congiunzioni del periodo, con Mercurio (mag. –1,1) e Venere (–3,8) che si avvicineranno fino alla distanza minima osservabile di 31′.
Quasi certamente servirà un binocolo, e anche così tutto dipenderà alla fine dalla foschia più o meno densa. Inutile dire che la cosa migliore di tutte, per questa e altre congiunzioni del periodo, sarà quella di osservare da una qualche località montana.
This artist's impression depicts the accretion disc surrounding a black hole, in which the inner region of the disc precesses. "Precession" means that the orbit of material surrounding the black hole changes orientation around the central object. Credits: ESA/ATG medialab
Questa impressione di artista raffigura il disco di accrescimento che circonda un buco nero, con la precessione della regione interna. Per "precessione" della regione interna si intende che l'orbita del materiale che circonda il buco nero cambia orientamento attorno all'oggetto centrale. Credits: ESA/ATG medialab
Oggi, dopo un mistero durato 30 anni, gli astronomi possono mappare il comportamento della materia a ridosso dei buchi neri, aprendo la porta a futuri test della relatività di Einstein.
La materia che cade verso un buco nero si riscalda e, prima di perdersi laddove non può più esser vista, raggiunge milioni di gradi di temperatura, range nel quale emette radiazione X.
Negli anni Ottanta fu notato per la prima volta che la radiazione X proveniente da buchi neri di taglia stellare varia seguendo un determinato pattern. Quando la radiazione inizia a variare, l’affievolimento e il ripristino della luminosità impiegano circa 10 secondi a completarsi. Con i giorni, le settimane e i mesi, il periodo diminuisce fino a dar vita a fenomeni simili in misura di 10 volte al secondo. Poi, tutto si ferma.
Quasi Periodic Oscillation (QPO) è il termine coniato per questi eventi, affascinanti poiché provenienti dalle immediate vicinanze dei buchi neri.
Negli anni Novanta gli astronomi hanno iniziato a sospettare che i QPO fossero legati agli effetti predetti dalla Relatività Generale, a vortici gravitazionali creati da oggetti rotanti in grado di influenzare il moto di tutto quello che si trova nei paraggi: ne segue che in caso di orbita inclinata ci sono cambi di orientamento rispetto all’oggetto centrale, e il tempo necessario a tornare alla situazione di partenza è detto precessione.
Nel 2004, la NASA ha lanciato Gravity Probe B per misurare questo effetto di trascinamento, detto Lense-Thirring, intorno alla Terra, grazie al quale è stato possibile confermare che la sonda completerà un ciclo di precessione in 33 milioni di anni.
Intorno a un buco nero l’effetto è chiaramente molto più marcato visto che le forze gravitazionali in gioco sono decisamente maggiori, tanto marcato da arrivare a un periodo di pochi secondi se non meno. Un tempo che si avvicina molto a quello dei QPO, tanto da lasciar ipotizzare che possa trattarsi dello stesso effetto.
Lo studio ha analizzato dapprima il disco di accrescimento intorno ai buchi neri, la struttura creata dal materiale che spiraleggia intorno ai buchi neri prima di finirvi dentro. Si è pensato che, nelle zone più interne, il materiale possa divenire plasma caldo, nel quale gli elettroni vengono strappati ai propri atomi. Questo flusso si restringe nel giro di settimane e mesi, divorato dal buco nero. Nel 2009 è stato ipotizzato che i QPO siano guidati dalla precessione Lense-Thirring di questo plasma caldo, il che spiegherebbe come mai quando il flusso interno diminuisce e la vicinanza al buco nero si riduce, più veloce appare il ciclo.
Ok, ma come provarlo?
Il flusso interno rilascia radiazione altamente energetica che colpisce il disco di accrescimento più esterno, rendendo gli atomi di ferro presenti in quest’ultima zona fluorescenti. Il ferro rilascia raggi X a una singola lunghezza d’onda, una sola linea spettrale.
Dal momento che il disco ruota, la linea del ferro appare distorta dall’effetto Doppler: nel lato in “avvicinamento” appare stirata verso il blu, mentre nel lato opposto verso il rosso. Se il flusso interno è sottoposto davvero a precessione, allora sarà brillante a volte in una parte e a volte nell’altra, provocando una oscillazione durante il ciclo.
E qui entrano in gioco XMM-Newton e NuSTAR: uno studio guidato da Ingram e colleghi – delle Università di Amsterdam, Cambridge, Southampton e Tokyo – ha utilizzato l’osservatorio X per lunghe osservazioni al fine di “vedere” ripetuti QPO. L’oggetto scelto è il buco nero H 1743-322, con QPO di 4 secondi. Sono stati osservati 260 mila secondi tramite XMM-Newton e altri 70 mila tramite NuSTAR e alla fine è stata confermata l’oscillazione della linea del ferro oltre a un’altra evidenza della precessione, il tutto perfettamente in linea con le previsioni della Relatività Generale.
L’effetto Lense-Thirring è stato quindi misurato per la prima volta in un campo gravitazionale molto forte e la tecnica consentirà di mappare la materia nelle zone più interne dei dischi di accrescimento dei buchi neri.
La missione X-ray Multi-Mirrordell’Agenzia spaziale europea è stata lanciata nel dicembre 1999. Si tratta del più grande satellite scientifico costruito in Europa ed è anche uno degli Osservatori a raggi X più sensibili nello spazio. Più di 170 sottilissimi, specchi cilindrici dirigono la radiazione incidente verso tre telescopi ad alta capacità di trasmissione a raggi X. L’orbita di XMM-Newton si trova a quasi un terzo della strada verso la Luna, consentendo per lungo tempo una ininterrotta vista degli oggetti celesti.
NUSTAR è una missione “Small Explorer” guidata dal Caltech di Pasadena e gestita dal Jet Propulsion Laboratory, sempre a Pasadena, per il Science Mission Directorate della NASA a Washington. Qui sotto un video introduttivo della missione (nelle impostazioni, la rotellina, è possibile impostare i sottotili con traduzione automatica in italiano).
Questa spettacolare immagine della Nebulosa di Orione è stata ottenuta da esposizioni multiple utilizzando lo strumento agli infrarossi HAWK-I montato sul Very Large Telescope dell’ESO in Cile. Cliccare sull’immagine per vedere il file ad alta risoluzione. Crediti: ESO/H. Drass et al.
Questa spettacolare immagine della Nebulosa di Orione è stata ottenuta da esposizioni multiple utilizzando lo strumento agli infrarossi HAWK-I montato sul Very Large Telescope dell’ESO in Cile. Cliccare sull’immagine per vedere il file ad alta risoluzione. Qui l'immagine invece originale a piena risoluzione (1,1 GB!) https://www.eso.org/public/archives/images/original/eso1625a.tif - Crediti: ESO/H. Drass et al.
La costellazione di Orione è sicuramente tra le più spettacolari e facilmente riconoscibili del cielo. Al centro della sua spada, che pende dalla cintura, c’è la Nebulosa di Orione, una vera e propria fucina di stelle. Lo strumento agli infrarossi HAWK-I, montato sul Very Large Telescope (VLT) dell’ESO, ha scrutato in profondità questa nube, facendo emergere un numero di nane brune e oggetti isolati di massa planetaria dieci volte maggiore di quanto osservato fino a ora. Questa scoperta apre nuove sfide per gli scenari che ci permettono di ricostruire la storia di formazione stellare nelle nebulose simili a quella di Orione.
L’immagine prodotta dallo strumento HAWK-I rappresenta l’osservazione più profonda e completa mai ottenuta per la Nebulosa di Orione, oltre a essere una ripresa di spettacolare bellezza (nel video qui a destra la differenza tra le nuove riprese HAWK-I e quelle in luce visibile della camera WFI al telescopio MPG/ESO di 2,2 metri di diametro). La Nebulosa di Orione, visibile ad occhio nudo dalla Terra, appare come una nuvoletta priva di una forma precisa. La presenza di stelle calde e giovani al suo interno fa sì che la nube sia illuminata da un’enorme quantità di radiazione ultravioletta, che ionizza il gas presente nella nube, che risulta quindi brillante.
Uno dei motivi per cui la Nebulosa di Orione è così famosa e studiata è che si trova a soli 1.350 anni luce da noi. Questa vicinanza la rende un banco di prova ideale per comprendere meglio il processo di formazione di nuove stelle, e per determinare quale sia il numero di stelle che si formano per diversi valori di massa.
«Capire quanti oggetti di piccola massa si trovano nella Nebulosa di Orione è molto importante per restringere il campo per i modelli di formazione stellare», dice Amelia Bayo, ricercatrice presso l’Università di Valparaíso e l’Istituto Max-Planck Institut für Astronomie, nonché co-autrice dell’articolo che riporta i risultati di questa ricerca. «Grazie ai dati raccolti ora ci rendiamo conto che il modo in cui si formano questi oggetti di piccola taglia dipende dall’ambiente in cui si trovano».
La nuova immagine raccolta dal VLT ha destato molto interesse nella comunità scientifica, poiché rivela un’inaspettata ricchezza di oggetti di taglia piccola e molto piccola (fino a dimensioni planetarie). Questo dato suggerisce che la Nebulosa di Orione potrebbe favorire la formazione di oggetti piccoli, molto più di quanto osservato in altre regioni di formazione stellare.
Questa immagine mostra alcuni particolari della Nebulosa di Orione ottenuti dalla campagna osservativa con lo strumento HAWK-I del Very Large Telescope dell’ESO in Cile. Anche di questa immagine è possibile avere le versioni alla risoluzione orginale al link: https://www.eso.org/public/italy/images/eso1625b/ - Credit: ESO/H. Drass et al.
Lo studio della quantità di oggetti di piccola taglia presenti nelle regioni come la Nebulosa di Orione permette agli astronomi di comprendere meglio il processo di formazione stellare. Prima di questa analisi, le stelle più piccole osservate in questa regione avevano masse pari a un quarto di quella del Sole. L’esistenza di un’estesa popolazione di oggetti con masse molto inferiori cambia completamente il quadro teorico che definisce la distribuzione di massa della nebulosa.
I dati raccolti dal VLT suggeriscono, tra l’altro, che all’interno della nebulosa potrebbe esserci una quantità ancora maggiore di oggetti di dimensioni planetarie. Sebbene attualmente non esista una tecnologia in grado di fornirci informazioni dettagliate su oggetti di questa taglia, il telescopio del futuro progettato dall’ESO e chiamato European Extremely Large Telescope (E-ELT) ha tra i suoi obiettivi proprio questo tipo di osservazioni.
«Vedo il nostro risultato come un primo sguardo in una nuova era della scienza planetaria e della formazione stellare», conclude Holger Drass, ricercatore presso l’Università della Ruhr a Bochum e primo autore dello studio. «L’enorme numero di pianeti che si aggirano nel cosmo al limite di osservazione attuale mi fa sperare che scopriremo un gran numero di piccoli pianeti, simili alla Terra, quando E-ELT sarà operativo».
Si è chiusa la Maratona, un evento unico e straordinario che il prossimo anno assumerà una dimensione europea, con il coinvolgimento diretto delle Associazioni Nazionali degli appassionati di astronomia dell’Unione Europea.
Il bilancio di questa prima edizione, legata all’Asteroid Day, è indubbiamente positivo, con un buon numero di iscritti ed alcune migliaia di immagini realizzate nei dieci giorni dell’evento. Chi ha aderito, ha tempo fino al 31 luglio per inviarci le immagini e le informazioni sugli asteroidi ripresi.
Alcuni fatti notevoli accaduti nel periodo:
All’Osservatorio di San Marcello Pistoiese è stato osservato, dopo ben quattro anni dall’ultima ripresa, l’asteroide 162173 RYUGU, verso il quale si sta dirigendo la sonda giapponese HAYABUSA 2, un bel colpo, complimenti a Paolo Bacci e alllo splendido team!
L’altro magnifico colpo l’ha fatto Paolo Campaner che nella nottata al telescopio del 5 luglio, dedicata alla Maratona, ha scoperto la SN AT2016cyw in IC 1702, una galassia nei Pesci, bravissimo Paolo!
Purtroppo, proprio in questi giorni dedicati agli asteroidi, è venuto a mancare un caro amico, il prof. Vittorio Goretti, un grande astrofilo della vecchia guardia, insegnante di fisica nelle scuole superiori di Bologna, eccellente osservatore (ha scoperto 32 asteroidi), mente straordinariamente acuta e creativa, capace di concepire idee rivoluzionarie e tuttora non smentite; consigliamo la lettura della pagina di wikipedia (non ancora aggiornata) a lui dedicata e l’articolo di Rodolfo Calanca, apparso su Astronomia Nova, dove sono riportate le sue idee a proposito della precisione delle distanze delle stelle a noi vicine, nei principali cataloghi astrometrici.
Indice dei contenuti
21-22 ottobre, Milano:FIAMME VOLANTI, ASTEROIDI, INCONTRI E SCONTRI COSMICI
A ottobre, il 21 e 22 del mese, saranno premiati i vincitori della Maratona, il premio sarà intitolato a Vittorio Goretti. L’evento di ottobre è di quelli davvero straordinari, un cosa mai vista in Italia! Già il titolo è una promessa: “FIAMME VOLANTI, ASTEROIDI, INCONTRI E SCONTRI COSMICI”.
Si inizia il 21 ottobre con un incontro pubblico: premiazione dei vincitori della Maratona e serata con la partecipazione di personaggi di spicco che dibatteranno sul tema asteroidi e i rischi di impatto, da diversi punti di vista. Per non appiattire l’evento gli astronomi saranno affiancati da studiosi di altre discipline, da artisti e scrittori. In tutto avremo una decina di relatori (sotto la sapiente regia di Luigi Bignami). Nel corso della serata, si effettuerà un collegamento con un Osservatorio astronomico in Cile per ricevere le immagini telescopiche in diretta dell’asteroide DARIOFO.
I relatori, già cooptati del 21 ottobre, sono straordinari:
– Luigi BIGNAMI, giornalista, conduttore della serata
– Pietro ALIPRANDI, candidato astronauta per la missione MarsOne verso Marte (vedi anche www.wired.it/scienza/spazio/2015/02/17/mars-one-marte-italiano/)
Il 22 ottobre si avrà l’altro straordinario evento pubblico, che ruoterà attorno alla costituzione e alle future attività culturali del CLUB DEGLI ASTEROIDI ILLUSTRI, una libera e assolutamente informale associazione alla quale appartengono, di diritto, personaggi italiani della cultura, delle scienze, delle arti e dello spettacolo ai quali sono stati dedicati i nomi di asteroidi. Il decano del Club sarà il premio Nobel Dario Fo (a cui è stato dedicato l’asteroide DARIOFO).
Saranno invitati alla riunione del Club, grandi personaggi, ciascuno titolare del nome di un asteroide: Andrea Bocelli, Eugenio Finardi, Piero Angela, Roberto Benigni, Giovanni Caprara, Carlo Conti, Adriano Celentano, Fabio Fazio, Piero Ferrari, Fabiola Gianotti, Gianni Morandi, Gino Strada, Giovanni Allevi, Franco Malerba, Mario Tozzi, Paolo Nespoli, Piergiorgio Odifreddi, Renzo Piano e molti altri.
Ci aspettiamo la partecipazione effettiva di un certo numero di invitati; nel corso della giornata, gli ospiti del Club terranno dei brevi interventi per illustrare le loro attività culturali. In serata, come di prammatica, si terrà la cena sociale.
In arancione, l’orbita di RR245. Sono etichettati tutti gli oggetti più luminosi del pianeta nano appena scoperto. Crediti: Alex Parker OSSOS team
Ecco la sequenza d’immagini che mostrano RR245 in lento movimento. Crediti: OSSOS team
«E all’improvviso era lì, sullo schermo. Un puntino luminoso dall’andamento così lento che doveva per forza trovarsi a una distanza dal Sole pari ad almeno il doppio di quella di Nettuno», ricorda ancora emozionata Michele Bannister, la ricercatrice postdocdella University of Victoria, nella British Columbia, che per prima lo ha “avvistato”.
Lui, l’avvistato, è 2015 RR245 (questo il suo nome – si spera – temporaneo). Un pianeta nano nuovo di zecca, nel senso che è stato scoperto solo a febbraio scorso spulciando fra le immagini – ecco il perché delle virgolette attorno ad avvistato – acquisite cinque mesi prima, nel settembre del 2015, dal telescopio franco-canadese-hawaiiano di Maunakea, alle Hawaii, nel corso della surveyOSSOS. Tanto che, anche se la notizia ha iniziato a circolare sui canali ufficiali solo in queste ore (qui l’annuncio sul sito del Minor Planet Center della IAU), già dallo scorso giugno 2015 RR245 ha la sua pur scarna pagina su Wikipedia.
In arancione, l’orbita di RR245. Sono etichettati tutti gli oggetti più luminosi del pianeta nano appena scoperto. Crediti: Alex Parker OSSOS team
Un “nano” di tutto rispetto. Se le stime sono corrette, stiamo parlando di un nuovo corpo del Sistema Solare le cui dimensioni si aggirano attorno ai 700 km. Cerere, per dire, ne misura 950, dunque non tanto di più. Stando al Minor Planet Center, si tratta del 18esimo oggetto, per dimensioni, fra quelli nella fascia di Kuiper. Abbastanza grande, dunque, da suscitare negli scienziati un comprensibile entusiasmo.
«I mondi ghiacciati che orbitano oltre Nettuno ci aiutano a ricostruire il processo di formazione dei pianeti giganti e la storia del Sistema solare», dice Bannister, «ma sono quasi tutti penosamente piccoli e fiochi. Perciò è davvero eccitante imbattersi in uno grande e luminoso a sufficienza da poter essere studiato in dettaglio».
Ora, sulle dimensioni non c’è certezza, visto che non se ne conoscono ancora le altre proprietà (come forma e riflettanza) che ne possono influenzare la luminosità apparente. Ma quel che è certo, sottolinea Bannister, è che si tratta di un mondo o piccolo e brillante oppure grande e opaco.
Stabilire quale sia l’alternativa corretta dovrebbe essere solo questione di tempo. RR245 infatti, fanno notare gli scienziati, è stato a oggi osservato per meno di uno su gli oltre 700 anni che impiega per orbitare attorno al Sole. Non solo. Dopo aver trascorso centinaia di anni a oltre 12 miliardi di km, ora RR245 sta viaggiando verso di noi, e continuerà a farlo fino al 2096, anno in cui dovrebbe toccare la sua distanza minima dal Sole: circa 5 miliardi di km, e il calcolo dell’orbita è corretto. Insomma, non solo c’è tutto il tempo per studiarlo come si deve, ma le condizioni per farlo sono destinate a migliorare. È dunque ragionevole prevedere aggiornamenti a breve.
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Permanently shadowed regions capable of accumulating surface ice were identified in the northern hemisphere of Ceres using images taken by NASA’s Dawn mission combined with sophisticated computer modeling of illumination. Credits: NASA/JPL-Caltech
Nell'emisfero nord di Cerere, analizzando le immagini raccolte dalla sonda Dawn con un sofisticato modello di illuminazione della superficie, sono state individuate delle regioni in ombra perenne capaci di intrappolare, e conservare, per millenni ghiaccio d'acqua. Credits: NASA/JPL-Caltech
La sonda americana Dawn ha mappato una serie di regioni perennemente in ombra nei poli del pianeta nano Cerere. Gli scienziati della NASA sospettano che queste regioni abbiano custodito depositi di acqua ghiacciata per almeno un miliardo di anni, alimentando le probabilità che tali depositi siano ancora presenti oggi.
“Le condizioni su Cerere sono quelle giuste per l’accumulo di depositi di acqua ghiacciata,” spiega Norbert Schorghofer dell’Università delle Hawaii. “Cerere ha appena abbastanza massa per trattenere le molecole d’acqua, e le regioni perennemente in ombra che abbiamo identificato sono estremamente fredde – ancor più fredde di quelle sulla Luna o su Mercurio.
“Queste regioni si trovano perlopiù in corrispondenza dei fondali, e delle pareti rivolte verso il polo, dei crateri situati a latitudini elevate. Queste “trappole” ricevono solamente illuminazione indiretta, tanto che le loro temperature possono mantenersi costantemente al di sotto di -151 gradi centigradi, intrappolando così qualunque riserva di acqua ghiacciata presente.
Gli astronomi si sono concentrati sull’emisfero nord di Cerere, che finora ha ottenuto una copertura migliore dalla sonda Dawn. Utilizzando le fotografie scattate dalla sonda a una risoluzione di 500 metri per pixel hanno potuto ricostruire un modello tridimensionale della superficie e studiare le variazioni di illuminazione solare nel corso di un’orbita completa. Così facendo, hanno potuto mappare le aree che non ricevono mai luce solare. Infatti l’evoluzione dell’asse di inclinazione e dell’orbita del pianeta nano, potrebbe aver mantenuto queste aree perennemente in ombra per miliardi di anni.
Un gran numero di queste regioni costellano il polo nord del pianeta nano; sorprendente è anche la varietà di queste regioni in termini di dimensioni. La più vasta di queste aree si trova in un cratere largo 16 chilometri e situato a meno di 65 chilometri dal polo nord. In totale, le aree perennemente in ombra ricoprono 1800 chilometri quadri, pari allo 0.13% dell’emisfero nord del pianeta.
Si tratta di dati simili a quelli di Mercurio, tuttavia, essendo Cerere molto più lontano dal Sole, è probabile che le temperature in queste regioni perennemente in ombra siano molto più basse.”Su Cerere, queste regioni rappresentano trappole fredde fino a latitudini relativamente basse,” spiega Erwan Mazarico della NASA. Il limite inferiore di latitudine per la presenza di queste aree è stato riscontrato di circa 69 gradi nord. “Sulla Luna e su Mercurio, solo le regioni perennemente in ombra molto vicine ai poli sono abbastanza fredde da garantire la stabilità del ghiaccio al loro interno”.
Secondo la ricostruzione operata dagli scienziati, nell’arco di un anno, corrispondente a 1682 giorni terrestri, lo 0,14% delle molecole d’acqua su Cerere, finirebbero intrappolate in queste regioni. A questa velocità, depositi di dimensioni macroscopiche si sarebbero potuti formare nell’arco di un centinaio di migliaia di anni circa.
“Anche se eravamo già a conoscenza di possibili depositi di acqua ghiacciata sulla Luna e su Mercurio, Cerere potrebbe essersi formato con molta più acqua,” spiega Chris Russell, a capo della missione. “Alcune osservazioni indicano che Cerere potrebbe essere, inoltre, un mondo ricco di volatili non dovuti a sorgenti esterne.”
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I punti blu indicano i siti all’interno di Valles Marineris dove sono state rinvenute le recurring slope lineae (RSL). Crediti: NASA/JPL-Caltech/Univ. of Arizona
I punti blu indicano i siti all’interno di Valles Marineris dove sono state rinvenute le recurring slope lineae (RSL). Crediti: NASA/JPL-Caltech/Univ. of Arizona
Tornano alla ribalta le recurring slope lineae(o RSL in breve), strisce di sabbia bagnata che compaiono stagionalmente su alcuni pendii della superficie di Marte e si riaccende l’attenzione sull’attuale presenza di acqua allo stato liquido sul Pianeta rosso. Un nuovo studio pubblicato sulla rivista Journal of Geophysical Research pone l’attenzione su alcune migliaia di queste striature di colore scuro, così come appaiono dalle immagini dello strumento HiRise a bordo del Mars Reconnaissance Orbiter della NASA. Lo studio guidato da Matthew Chojnacki dell’università dell’Arizona ha interessato le regioni orientali e centrali di Valles Marineris, dove le RSL risultano concentrate in corrispondenza dei numerosi canyon che solcano la sua superficie. In ciascuno dei 41 siti identificati, le recurring slope lineae individuate oscillano tra poche unità e più di mille. Esse appaiono come linee scure che si estendono lungo i pendii durante la stagione calda, per poi dissolversi durante i periodi più freddi dell’anno Marziano. Il ciclo si ripropone, con questa alternanza, di anno in anno.
Le frecce bianche indicano le numerose RSL individuate, dopo ripetute osservazioni dall'orbita, nella zona dei Monti Coprates, nella Valles Marineris. Queste righe scure si allungano lungo il pedio durante la stagione calda, e svaniscono durante quella fredda, diventando così uno degli indizi più forti della presenza di acqua liquida su Marte, pur se per brevi periodi. La scena copre un'area di circa 2,5 km. Image Credit: NASA/JPL-Caltech/Univ. of Arizona
«La presenza di RSL in questi canyon è molto più diffusa di quanto finora noto» osserva Chojnacki. «Per quanto ne sappiamo, questo è il raggruppamento più elevato di simili strutture sul pianeta. Quindi se le RSL sono effettivamente associate a processi che anche ai giorni nostri vedono coinvolta l’acqua, questo sistema di canyon diventa ancora più interessante di quanto non sia già per la spettacolare geologia che lo caratterizza».
Ma se c’è davvero lo zampino dell’acqua nella formazione delle RSL, qual è il processo che le fa comparire e poi sparire ciclicamente? Molte delle recurring slope lineae finora individuate si trovano sulle pareti interne dei crateri da impatto. La loro presenza in quei siti può essere spiegata dalla risalita di acqua sotterranea dovuta allo schianto del corpo celeste che ha prodotto il cratere stesso. Ma questa situazione non si può applicare alle RSL osservate su Valles Marineris, che ha una conformazione geologica del tutto differente.
In questa immagine a falsi colori, le RSL individuate lo scorso anno sul cratere Hale. Per evidenziare meglio le formazioni l'immagine (estratta da un modello 3D della zona ottenuto da due osservazioni HiRISE - MRO) è stata allungata verticalmente di un fattore 1,5 rispetto alle dimensioni orizzontali. Image Credit: NASA/JPL-Caltech/Univ. of Arizona
Entra allora in gioco un altro possibile meccanismo, già proposto per giustificare l’esistenza delle RSL, ovvero che alcuni tipi di sali presenti nel suolo marziano hanno una elevata capacità di assorbire vapor d’acqua dall’atmosfera del pianeta, restituito poi sotto forma di liquido salmastro che va a impregnare alcune strisce di terreno. Il nuovo studio sembra rafforzare questa ipotesi, ma come sottolinea lo stesso Chojnacki , le cose non sono così semplici: «Ci sono problemi anche nello spiegare il meccanismo che prevede l’estrazione dell’acqua dall’atmosfera». I ricercatori infatti hanno stimato che se sono davvero le infiltrazioni d’acqua assorbita dai sali del terreno a produrre le caratteristiche striature scure delle RSL, la quantità di acqua allo stato liquido necessaria ogni anno per dar vita solo a quelle presenti nella porzione di Valles Marineris oggetto dell’indagine, ammonterebbe a un volume che oscilla tra 10 a 40 volte quello di una piscina olimpionica. Vale a dire un valore compreso tra 30mila e 100mila metri cubi.
In effetti la quantità di vapore acqueo nell’atmosfera che sovrasta l’intera Valles Marineris è più grande di quella richiesta per “accendere” le RSL, ma i ricercatori non hanno ancora identificato un processo abbastanza efficiente in grado di far condensare tutta l’acqua necessaria per giustificare quanto mostrato dalle immagini di MRO.
«Ci sembra che siano presenti diversi processi grazie ai quali l’atmosfera e la superficie di Marte interagiscono nei canyon rispetto che in altre regioni più piatte» ribadisce Chojnacki. «Forse le interazioni tra atmosfera e superficie in questa regione sono legate alla grande abbondanza di RSL. Non lo possiamo escludere, ma un meccanismo che spieghi questa connessione è ancora tutt’altro che chiaro».
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Sulla sinistra un'immagine d'archivio della galassia IC 1702 a destra, la foto della SN scoperta la notte scorsa da Paolo.
Paolo Campaner, bravissimo astrofilo, con il suo magnifico riflettore di 40 centimetri, la notte tra il 6 e 7 luglio era a caccia di asteroidi, nell’ambito della Maratona degli Asteroidi e certo non si aspettava di scoprire, nella galassia IC 1702 nella costellazione dei Pesci, la sua ottava supernova!
Questo straordinario risultato premia la costanza e la bravura di un astrofilo impegnato nella difficile ricerca di oggetti interplanetari (in questi giorni con la Maratona…) e di stelle in esplosione in altre galassie!
Paolo Campaner al "lavoro" con il suo riflettore da 40 cm.
L’Asteroid Day Italia quest’anno si arricchisce di un evento a portata nazionale, in onore di Giuseppe Piazzi il primo al mondo a scoprire un asteroide (Cerere): la Maratona degli Asteroidi 2016. A partire dalla notte del 30 giugno e fino all’11 luglio, tutti a caccia di asteroidi!
Si tratta di un’entusiasmante sfida tra appassionati del cielo che si metteranno a caccia di asteroidi. Coloro che metteranno a segno il maggior numero di osservazioni di singoli asteroidi, saranno proclamati vincitori della maratona con un evento straordinario a ottobre!
Immagini dell’asteroide attivo 324P/La Sagra prese dal telescopio spaziale Hubble tra settembre e dicembre del 2015. Crediti: Jewitt et al., 2016
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IL SUO NOME È 324P/LA SAGRA
Con le sue riprese dello spazio profondo, il telescopio spaziale Hubble ci ha regalato e continua a regalarci una carrellata dei più lontani oggetti celesti che popolano l’universo più remoto. Ma a volte non disdegna di gettare il suo occhio ipertecnologico in ambienti assai più vicini. Come nel caso delle sue recenti osservazioni condotte su un asteroide alquanto singolare, che scorrazza nel nostro Sistema Solare e ogni tanto prova a comportarsi come una cometa. 324P/La Sagra – questo il suo nome – è un asteroide attivo, perché mostra periodi in cui sviluppa una chioma e una coda, che sono i segni distintivi proprio delle comete.
Da cosa può essere dovuta questa intermittente metamorfosi? I motivi possono essere molteplici: impatti con altri corpi celesti, fratture della struttura del nucleo dovuta a stress termici, instabilità rotazionali e fenomeni di sublimazione del ghiaccio. In effetti gli astronomi non hanno ancora trovato accordo per classificare questi curiosi oggetti: c’è chi propone di chiamarli “comete della fascia principale” perché orbitano attorno al Sole nella zona della fascia principale degli asteroidi, mentre altri preferiscono considerarli più semplicemente come asteroidi che mostrano attività legata all’emissione di polveri.
Conoscere più in dettaglio i processi che sostengono la loro spettacolare attività diventa così imprescindibile per scoprire anche la loro natura. Ecco perché David Jewitt dell’Università della California, a Los Angeles, ha proposto e ottenuto la possibilità di osservare insieme al suo team 324P con Hubble, proprio nel suo ultimo periodo di migliore visibilità, ovvero a cavallo del passaggio al perielio (il punto di minima distanza dal Sole) registrato il 30 novembre 2015.
I ricercatori hanno così scoperto che le dimensioni dell’asteroide sono talmente piccole che non potrà continuare a mostrare la sua attività ancora per molto, almeno in termini astronomici: centomila anni di sbuffi di gas e abbondanti fughe di polveri, poi niente più. Il team ha stimato che l’asteroide perde circa 40.000 tonnellate in particelle di polvere nel corso di un’orbita. A questo ritmo, l’esistenza di 324P sarebbe limitata a circa 16mila orbite, che tradotta in termini temporali, equivale appunto a cento millenni. Ma forse il suo destino potrebbe riservargli un’esistenza più longeva, se supponiamo che questo come altri periodi di attività passati e futuri abbiano durate relativamente brevi e magari siano innescati da fenomeni episodici, come la collisione con un altro corpo più piccolo.
«Per esempio, l’asteroide potrebbe risultare attivo per dieci orbite, ma non altrettanto per le successive diecimila. Se così fosse, dobbiamo concludere che 324P / La Sagra è la punta di un iceberg, e che là fuori ci siano molti altri asteroidi ghiacciati, ma inattivi», ha detto Jewitt, che però aggiunge: «La prolungata attività e perdita di massa che abbiamo riscontrato per quest’oggetto in prossimità del suo massimo avvicinamento al Sole non ci fanno ritenere che questi fenomeni siano dovuti a un impatto, ma alimentati dal ghiaccio presente nell’asteroide. Questo ghiaccio potrebbe essere primordiale, nel senso che è stato inglobato nel corpo celeste nella stessa remota epoca in cui si sono formati gli asteroidi, gli stessi che poi hanno portato grandi quantità di questo materiale sulla Terra, dando origine ai nostri oceani». Ipotesi affascinante, che gli scienziati proveranno a confermare con altre osservazioni di 324P negli anni a venire, soprattutto durante il suo prossimo passaggio al perielio.
Per saperne di più:
leggi il preprint dell’articolo Hubble Space Telescope Observations of Active Asteroid 324P/La Sagra di D. Jewitt et al. accettato per la pubblicazione sulla rivista Astronomical Journal
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Anche quest’anno Frascati Scienza sarà capofila di una rete di ricercatori, università e istituti di ricerca che si estendono dal nord al sud dell’Italia nel promuovere il più importante appuntamento europeo di comunicazione scientifica, quello in cui i ricercatori, in oltre 300 città europee a fine settembre, si uniscono per mostrare l’ebbrezza della scoperta, la passione e l’importanza del lavoro più bello del mondo: il ricercatore.
Le prossime due edizioni, a cura di Frascati Scienza previste a settembre 2016 e 2017, saranno all’insegna del MADE IN SCIENCE, per una scienza vista come vera e propria ‘filiera della conoscenza’, capace di produrre e distinguersi per eccellenza, qualità, creatività, affidabilità, transnazionalità, competenze e responsabilità.
Come il Made in Italy è il simbolo del nostro Paese, MADE IN SCIENCE sarà il marchio che distingue la qualità, l’eccellenza e l’importanza della ricerca italiana e il filo conduttore degli appuntamenti in programma; sarà l’immagine con la quale le migliaia di ricercatori partecipanti comunicheranno alla società i valori della scienza in occasione della Settimana della Scienza e Notte Europea dei Ricercatori 2016 e 2017.
Leggi l'articolo (è gratuito!) dedicato all'evento su Coelum 202 di Luglio e Agosto a pag. 170: la storia, l'evoluzione e le novità di quest'anno!
“L’obiettivo della Notte è di avvicinare i ricercatori alla popolazione, al fine di porre l’accento sul valore aggiunto del loro lavoro per la vita quotidiana, la competitività, la creazione d’occupazione, il benessere, il progresso sociale, nonché stimolare la “vocazione” scientifica nei giovani mostrando ricercatori che oltre ad un lavoro affascinante riescono ad avere hobbies e una vita privata. – spiega Colette Renier, Coordinatrice della Notte Europea dei Ricercatori presso la Commissione europea – Inoltre, la manifestazione ha anche, senza dubbio, un impatto positivo sui ricercatori stessi che possono comprendere meglio l’importanza di comunicare sulla loro ricerca e sviluppano le loro capacità di comunicazione. Dunque un’iniziativa che negli anni sta diventando sempre di più un punto di riferimento per il mondo della scienza e per la quale l’Unione europea ha stanziato 8 milioni di euro per gli eventi 2016-2017″.
Dal 24 al 30 settembre 2016 l’area Tuscolana, dove si trovano le infrastrutture di ricerca fra le più importanti d’Italia ed Europa, sarà quindi epicentro di un evento nazionale che coinvolge molte altre città italiane: Bari, Cagliari, Carbonia, Cassino, Catania, Ferrara, Firenze, Frascati, Genova, Gorga, Grottaferrata, Lecce, Milano, Modena, Monte Porzio Catone, Napoli, Palermo, Parma, Pavia, Reggio Emilia, Roma, Sassari, Trieste che assieme agli altri partner italiani sparsi sul territorio nazionale saranno in prima linea nella diffusione della cultura scientifica, avvicinando in particolare i giovani al mondo della scienza e della ricerca.
L’evento vede la partecipazione di G.Eco, Associazione Tuscolana di Astronomia (ATA), Accatagliato, Associazione Arte e Scienza, Gruppo Astrofili Monti Lepini (Osservatorio di Gorga), Associazione Culturale Chi Sarà di Scena, RES Castelli Romani, Associazione Eta Carinae, Associazione Tuscolana Amici di Frascati, Astronomitaly – La Rete del Turismo Astronomico, Explora il Museo dei Bambini di Roma, L.U.D.I.S, Museo Tuscolano delle Scuderie Aldobrandini, Native, Sotacarbo, STS Multiservizi, Science4Biz.
Il progetto è finanziato dalla Commissione Europea nell’ambito della call MSCA-NIGHT-2016/2017 (Grant Agreement No. 722952).
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Alle 22:30 dell’8 luglio, la Luna e Giove torneranno a incontrarsi, stavolta in una congiunzione che però sarà molto larga: circa 7,4° di separazione. All’orario indicato i due oggetti saranno alti una decina di gradi sull’orizzonte ovest. Alla stessa ora della sera dopo la separazione si sarà ridotta a 5,3°.
Alle 22:30 dell’8 luglio, la Luna e Giove torneranno a incontrarsi, stavolta in una congiunzione che però sarà molto larga: circa 7,4° di separazione. All’orario indicato i due oggetti saranno alti una decina di gradi sull’orizzonte ovest. Alla stessa ora della sera dopo la separazione si sarà ridotta a 5,3°. N.B. Per esigenze grafiche la dimensione del dischetto lunare è due o tre volte superiore alla giusta scala immagine.
Ennesima congiunzione tra Luna e Giove, ma questa volta non particolarmente stretta, alle 22:30 dell’8 luglio.
Una robusta falce crescente apparirà bassa sull’orizzonte ovest sotto la pancia di un declinante Leone, con Giove posizionato 7,4° a nordest. A quell’ora, il gigante gassoso si troverà anche 4′ a sudovest della stella Sigma Leonis, di mag. +4. Il giorno dopo, alla stessa ora, la falce lunare si sarà portata alla sinistra di Giove, 5,3° verso est, e la congiunzione apparirà dunque più stretta e più alta sull’orizzonte (circa +13°).
Numero doppio questo mese, con la cartina del cielo centrata sulla mezzanotte del 31 luglio ma utilizzabile, cambiando l’orario, anche per le date intermedie. Aspetto del cielo per una località posta a Lat. 42°N - Long. 12°ELa cartina mostra l’aspetto del cielo alle ore (TMEC): 15 luglio > 01:00; 1 agosto > 00:00; 15 agosto> 23:00; 30 agosto> 22:00
Nelle sere di metà luglio il Leone e la Vergine si presenteranno ormai prossime all’orizzonte, come pure l’Ofiuco, lo Scorpione e la Bilancia, che continueranno a contendersi Saturno e Marte. Quasi allo zenit si staglieranno invece le sagome inconfondibili dell’Ercole, della Lira e del Cigno, mentre nei pressi dell’orizzonte il meridiano sarà dominato dal Sagittario e più in alto dall’Aquila. Verso est, intanto, saranno al sorgere Pegaso e Andromeda.
Il mese dopo, a metà agosto, Andromeda e il quadrato di Pegaso saranno già molto alti verso sudest, mentre a ovest, sempre più in basso, si preparerà a salutarci il Boote con la brillante Arturo. A fine agosto, già prima della mezzanotte si potrà assistere al sorgere delle Pleiadi.
Quest'anno Coelum ha dedicato uno speciale al più classico degli appuntamenti estivi: quello con la "notte di San Lorenzo" e le Perseidi.
Quello di luglio agosto sarà un periodo in cui molti pianeti si affolleranno nei dintorni del Sole, rendendosi quindi inosservabili o mostrandosi saltuariamente e con difficoltà in congiunzioni quasi impossibili da cogliere nel chiarore dei crepuscoli. Nonostante ciò, avremo modo di assistere a parecchi eventi interessanti. Seguiteci su queste pagine oppure…
Tutti gli eventi del cielo di luglio e agosto su Coelum n. 202.
Semplicemente… clicca e leggi!
Il percorso apparente della Wolf-Harrington, che in agosto attraverserà i Gemelli, risultando faticosamente osservabile nel cielo mattutino.
Il percorso apparente della Wolf-Harrington, che in agosto attraverserà i Gemelli, risultando faticosamente osservabile nel cielo mattutino.
Questa piccola periodica si muoverà in luglio nella parte centrale della Vergine e la sua altezza sull’orizzonte, già inizialmente non esaltante ma sufficiente (circa +18° sull’orizzonte ovestsudovest verso le 22:45, ora d’inizio della notte astronomica), sarà destinata a peggiorare man mano durante il mese (+12° a fine mese alle 22:30). In questo periodo (il passaggio al perielio è previsto per il 2 agosto) dovrebbe raggiungere il massimo della luminosità prevista per questa apparizione, ovvero una modestissima undicesima magnitudine. Il 5 luglio si potrà vedere 5/6 primi d’arco a ovest della galassia di undicesima magnitudine NGC 4666. Leggi l’articolo di Claudio Pra!
Poco prima delle sei di questa mattina (ora italiana), la sonda americana Juno è arrivata al capolinea di un’epopea interplanetaria durata quasi cinque anni. In una delle più grandi sfide dell’esplorazione spaziale degli ultimi anni, Juno si è tuffata attraverso l’estremo ambiente di radiazioni che avvolge Giove, calandosi fino a 4667 chilometri dalla sommità delle nubi del pianeta gigante. Seguendo una complessa coreografia di comandi preimpostati, Juno ha acceso il suo motore principale alle 4:30:06 ora italiana, inaugurando una lunga manovra studiata per rallentare la sonda e permettere alla gravità di Giove di catturarla in un’orbita preliminare altamente ellittica.
#Juno pronto a scoprire i segreti di #Giove! In sala controllo si esulta!
Secondo i primi dati, la manovra è durata 35 minuti e 2 secondi — appena un secondo di differenza rispetto al previsto. In totale, l’accensione del motore è risultata in un cambiamento di velocità di -541.7 metri al secondo, o -1950 chilometri orari. Al termine della manovra, Juno si trovava in un’orbita a 3920 per 8029000 chilometri di quota e 89.8 gradi circa di inclinazione.
A causa della vasta separazione tra Juno e la Terra, i segnali della sonda — ridotti a dei semplici battiti, o “toni”, inviati ogni 10 secondi dall’antenna a basso guadagno — hanno attraversato il Sistema Solare e raggiunto la Terra con 48 minuti di ritardo. In totale, i toni inviati durante la manovra hanno formato un susseguirsi di onde radio lungo 630 milioni di chilometri.
I segnali di inizio e di fine della manovra sono arrivati solo alle 05:18:25 e alle 05:53:33 ora italiana, rispettivamente, quando le antenne di Goldstone e di Canberra sono riuscite a captare i deboli segnali provenienti dall’antenna a basso guadagno a bordo della sonda.
Avendo concluso con successo forse la fase più critica dell’intera missione, dopo il lancio stesso, Juno potrà ora ambientarsi nella sua nuova residenza celeste.
La danza dei satelliti galileiani attorno a Giove, ripresi da #Juno prima di spegnere gli strumenti per prepararsi all'inserimento in orbita.Animazione del viaggio percorso da Juno per arrivare a Giove. Cliccare per ingrandire.
La sonda percorrerà due orbite di cattura da 53.5 giorni l’una prima di riaccendere il suo motore per l’ultima volta e portarsi sulla sua prima orbita scientifica, il 19 ottobre 2016.
Juno farà luce sulla struttura interna del pianeta. In particolare, tenterà di determinare qualora Giove nasconda nel suo cuore un nucleo distinto di roccia e ghiaccio oppure se i materiali pesanti siano disciolti nel volume del pianeta. Questo tassello sarà fondamentale per ricostruire la storia dell’intero Sistema Solare.
Altre aree di studio di Juno includono il campo gravitazionale, la magnetosfera, le dinamiche atmosferiche, la composizione globale e l’interazione tra struttura interna, atmosfera e magnetosfera.
Anche Google festeggia l'ingresso in orbita di #Juno! Avete già visto il#doodle di oggi? 😀
Live update dell’ingresso in orbita by AliveUniverse.today
Speciale Juno
Se vuoi sapere proprio tutto sulla missione Juno, in rotta verso Giove, e pronta a svelare i tanti segreti del gigante gassoso, non perderti lo speciale su Coelum 202! Clicca qui e leggilo subito: è gratis!
Le più luminose opposizioni asteroidali del periodo si verificheranno in agosto, tutte concentrate nella regione celeste che in declinazione va da Pegaso al Pesce australe. In giallo abbiamo evidenziato i percorsi apparenti in luglio-agosto dei pianetini coinvolti, con sovrapposto un cerchietto che identifica il punto in cui l’asteroide raggiungerà la sua massima luminosità. Una mappa molto più dettagliata di ogni percorso si aprirà cliccando sul nome dell’asteroide nella tabella presente nelle prossime pagine.
Circostanza che, come si può immaginare, costringe il malcapitato estensore (che poi sarei io) a dolorosi tagli nel racconto che sempre si cerca di imbastire per non annoiare il lettore. Da una rapida occhiata all’elenco degli asteroidi in opposizione, si capisce infatti che non sarà possibile parlare di tutto, e che sarà necessario scegliere. In luglio accadranno cose interessanti… vedo (138) Tolosa, che arriverà quasi al suo record di luminosità, e vedo anche gli exploit di (980) Anacostia e (779) Nina, protagonisti di opposizioni davvero notevoli, ma vedo anche che il punto più caldo di tutto il periodo sta in quella manciata di giorni di metà agosto dove si concentrano le opposizioni dei quattro oggetti più luminosi, con magnitudini inferiori alla +10: Massalia, Fortuna, Dembowska e Pallas!
Nessuna di queste opposizioni sarà un crac. Ma la relativa vicinanza di quattro pianetini così discretamente luminosi costituisce di fatto un evento degno di essere sottolineato. Cosa che mi
affretto a fare di seguito, in ordine di data.
Il Premio è stato ideato dalla The Lunar Society Italia, associazione nata per la divulgazione scientifica, ed è organizzato in collaborazione con Società Astronomica Pugliese, associazione per la divulgazione astronomica, Osservatorio Astronomico Comunale di Acquaviva delle Fonti (provincia di Bari), la più importante struttura astronomica esistente in Puglia (Apulia), Virtual Telescope Project, una delle piattaforme astronomiche robotiche più evolute ed attive al mondo nella ricerca e nella divulgazione in campo astrofisico e astronomico e la rivista italiana di divulgazione scientifica Coelum Astronomia.
Scarica il bando qui Scadenza di presentazione delle opere: attenzione la scadenza è stata prorogata al 31 LUGLIO 2016, e comunque fino al raggiungimento del numero minimo di opere presentate per ogni categoria.
Le opere saranno pubblicate sul sito del premio www.poetitralestelle.com, ora riportante quelle della V edizione 2014. L’ammissione delle opere sarà sottoposta alla preventiva valutazione da parte della
Commissione organizzativa del Premio in merito alla coerenza di queste al tema e alle modalità di presentazione.
www.poetitralestelle.com
Tutti i primi lunedì del mese:
UNA COSTELLAZIONE SOPRA DI NOI
In diretta web con il Telescopio Remoto UAI Skylive dalle ore 21:30 alle 22:30, ovviamente tutto completamente gratuito.
Un viaggio deep-sky in diretta web con il Telescopio Remoto UAI – tele #2 ASTRA Telescopi Remoti. Osservazioni con approfondimenti dal vivo ogni mese su una costellazione del periodo. Basta un collegamento internet, anche lento. Con la voce del Vicepresidente UAI, Giorgio Bianciardi telescopioremoto.uai.it
I convegni e le iniziative dell’UAI
25-28 luglio Scuole Estive di metodologie didattiche della scienza – Campo Catino (FR) e Modica (RA) Le scuole estive di astronomia dell’UAI, dedicate agli insegnanti, ma non solo, da quest’anno in doppia sede: presso l’Osservatorio Astronomico di Campo Catino a Guarcino (FR) e a Modica (RG) a cura del Centro Ibleo Studi Astronomici. http://didattica.uai.it
Il circuito degli Star Party UAI
1-3 luglio IV Star Party degli Iblei Quarta edizione dello Star Party siciliano, organizzato dal Centro Osservazione e Divulgazione Astronomica Siracusa presso Ferla (SR) http://www.codas.it
29-31 luglio VI Star Party di Campo CatinoLo Star Party del Centro-Sud nel territorio più sorvegliato dall’Inquinamento Luminoso a 1.800 m. s.l.m.: un ampio piazzale con visibilità a 360° e un intero albergo a disposizione degli astrofili, con un ricco programma di attività www.ataonweb.it – www.campocatinobservatory.org
29-31 luglio XVI Star Party delle Madonie Sedicesima edizione del più longevo Star Party siciliano organizzato dall’O.R.S.A. di Palermo presso Piano Battaglia, nel Comune di Petralia Sottana, in pieno Parco delle Madonie http://www.orsapa.it
Le campagne nazionali UAI
23-24 luglio La notte bianca dell’Apollo 11 Terza Edizione dell’evento promosso dalla Sezione di Ricerca Astronautica UAI. Quest’anno si unisce alla celebrazione del decimo anniversario della morte di Rocco Petrone. http://astronautica.uai.it
10-12 agosto Le Notti delle Stelle Il più atteso appuntamento dell’estate astronomica durante il quale le associazioni astrofile proporranno una o più serate dedicate all’osservazione delle Perseidi. L’iniziativa è abbinata a “Calici di Stelle” manifestazione enogastronomica promossa il 10 agosto dal Movimento Turismo del Vino e dall’Associazione Nazionale Città del Vino. http://divulgazione.uai.it
La mostra “A cielo nudo. Gli astri con l’occhio d’artista” prende spunto dai corpi e dai fenomeni celesti visibili ad occhio nudo. A questi astri e a questi eventi si sono ispirati gli artisti che espongono le loro
opere nel secondo allestimento di “Arte e astronomia” organizzato dall’Osservatorio astronomico Serafino Zani (Lumezzane). La mostra è allestita all’Osservatorio fino al 17 settembre ed è aperta ogni sabato (escluso l’ultimo sabato del mese) dalle ore 21.
È possibile visionare la raccolta completa delle opere attraverso la proiezione power point dedicata all’intera esposizione disponibile sul sito www.tesorivicini.it.
Le opere sono disponibili anche per mostre in altre sedi. Gli enti interessati possono scrivere a:
osservatorio@serafinozani.it
Questa immagine a falsi colori è stata prodotta selezionando e combinando le migliori tra le moltissime esposizioni brevi di VISIR ottenute a una lunghezza d'onda di 5 micron. Crediti: ESO/L. Fletcher
Questa immagine a falsi colori è stata prodotta selezionando e combinando le migliori tra le moltissime esposizioni brevi di VISIR ottenute a una lunghezza d'onda di 5 micron. Crediti: ESO/L. Fletcher
Tra qualche giorno la sonda della NASA Juno raggiungerà Giove, dopo quasi 5 anni di viaggio e circa 3 miliardi di chilometri percorsi. Allora la missione entrerà nel vivo ed il pianeta potrà finalmente essere studiato senza le limitazioni tipiche degli strumenti di osservazione terrestri.
Da Terra, tuttavia, il lavoro di osservazione di Giove continua ugualmente, soprattutto per consentire di raccogliere quanti più dati possibili anche per indirizzare il lavoro della sonda, una volta raggiunto il pianeta. Nell’ambito di questa attività, si sta procedendo principalmente con l’osservazione infrarossa, a lunghezze d’onda differenti, al fine di ottenere immagini per la creazione di mappe tridimensionali ad alta risoluzione e migliorare, dunque, quanto più possibile, la conoscenza dell’atmosfera del gigante gassoso, prima dell’arrivo di Juno.
Immagini davvero spettacolari, ottenute di recente con lo spettrometro VISIR installato al VLT (Very Large Telescope) dell’ESO, che saranno presentate da un’equipe guidata da Leigh Fletcher dell’Università di Leicetster nel Regno Unito, durante l’incontro nazionale di astronomia della Royal Astronomical Society del Regno Unito che si sta svolgendo a Nottingham.
Particolare è anche la tecnica di produzione delle immagini finali utilizzata dai ricercatori e nota come “lucky imaginig” (immagini fortunate): lo spettrografo raccoglie migliaia di immagini di altrettante inquadrature, con un’esposizione molto breve, e solo quelle migliori o appunto “fortunate”, ossia non disturbate dalla turbolenza della nostra atmosfera, vengono conservate ed utilizzate per la combinazione e l’allineamento che darà vita alle splendide immagini finali come questa, recentissima.
Insomma, attendiamo con ansia il grande lavoro che farà Juno, ma qui a Terra si è compiuto, si compie e si compirà un lavoro osservativo non certo da meno e di sicure soddisfazioni.
L’Italia, sotto diversi aspetti, a lungo è stata all’avanguardia nello studio di quegli oggetti orbitanti così pericolosi; qui vogliamo ricordare le due maggiori realtà che hanno operato con grande successo nel nostro Paese. Per alcuni decenni, presso l’European Space Research Institute (ESRIN) di Frascati, ha avuto sede la Spaceguard Foundation, un’organizzazione privata il cui scopo era di studiare, scoprire e osservare oggetti (asteroidi, comete, ecc.) che si avvicinano pericolosamente al nostro pianeta e di proteggerlo dalla possibile minaccia di un loro impatto. Qualche anno fa le attività della Fondazione sono state assorbite dall’ESA. L’altra grande eccellenza in questo settore ha preso l’avvio presso il dipartimento di matematica dell’Università di Pisa dove, fin dal 1999, è stato messo a punto il primo sistema automatico al mondo per prevedere e analizzare eventi di collisione tra i NEO (Near-Earth Objects, come asteroidi e meteore) e la superficie terrestre. Un complesso algoritmo, allora battezzato Clomon-1, dal quale nel 2002 furono sviluppati il Clomon-2 e il programma Sentry (sentinella) del JPL (Jet Propulsion Laboratory) della NASA. Il “padre” di questo progetto è il professor Andrea Milani Comparetti, un matematico che ha insegnato per anni all’Università di Pisa.
Infine, risalendo molto più indietro nel tempo, scopriamo con grande piacere che fu proprio un grande astronomo italiano, il valtellinese Giuseppe Piazzi (1746-1826), a scoprire il primo asteroide, Cerere, nella notte del 1° gennaio 1801, dall’Osservatorio astronomico di Palermo. Di Piazzi, quest’anno, abbiamo il 190° anniversario della morte, che ci sembra giusto onorare con un evento di portata nazionale: la MARATONA DEGLI ASTEROIDI.
Indice dei contenuti
Cos’è la “Maratona degli Asteroidi”?
Si tratta di un’entusiasmante sfida tra appassionati del cielo che nel periodo compreso tra le notti del30 giugno (a partire dalle prime ore della sera) fino all’alba dell’11 luglio 2016 si metteranno a caccia di asteroidi con i due metodi classici di osservazione: quello visuale telescopico e quello fotografico (analogico e digitale).
Coloro che sommeranno il maggior numero di osservazioni di singoli asteroidi nel periodo indicato, saranno proclamati vincitori della maratona, ognuno nella propria categoria (si veda il regolamento stilato per la MARATONA).
Sarà anche nominata una Commissione di controllo che eseguirà gli accertamenti per definire in modo corretto e insindacabile le classifiche e i punteggi conseguiti da ciascun partecipante.
In ambito didattico/divulgativo la maratona asteroidale ha una notevole rilevanza, con un alto potenziale di coinvolgimento dei più giovani ma, ovviamente, anche dei soggetti più “maturi”; infatti la fascia di età ammessa è compresa tra i 10 e i 99 anni.
Troverete anche indicazioni sul sito della maratonasu come caricare le immagini acquisite e le osservazioni visuali eseguite.
Le Regole del Gioco
Per partecipare alla Maratona degli Asteroidi ci sono poche e chiare regole da rispettare: tema e tempi del concorso, iscrizione, categorie di partecipanti, modalità di partecipazione e formato delle immagini. Vai a: Regolamento ufficiale 2016
Chi può partecipare?
Tutti coloro che vorranno cimentarsi nella ripresa di asteroidi! La partecipazione è gratuita
Avete domande? Chiedete agli esperti della Maratona!
Per venire incontro ad eventuali dubbi e per dare supporto a tutti coloro che ne hanno bisogno, è stato messo in piedi un team di esperti che risponderanno alle vostre domande. Sono programmate anche delle dirette webnelle quali potrete avere risposte alle vostre domande dal vivo. La programmazione di questi interventi è in continuo sviluppo, tenete d’occhio ilsito ufficiale!
Al momento saranno disponibili:
– Paolo Bacci: venerdì 1 luglio, dalle 21 alle 22
Altrimenti possono essere contattati via email ai seguenti indirizzi:
Vogliamo far notare che finora in nessun Paese europeo è stata ancora proposta una MARATONA DEGLI ASTEROIDI: se la tenzone avrà successo, il prossimo anno estenderemo la caccia a tutta l’Unione Europea.
Perciò: PARTECIPATE!
Regolamento, consigli, suggerimenti e aggiornamenti sul sito ufficiale dell’evento
Dal 28 giugno 2016 al 3 luglio 2016: L’accademia delle Stelle, scuola di astronomia e gruppo astrofili di Roma, organizza due StarPartu – vacanze astronomiche a giugno a Piancastagnaio (SI)
Per informazioni: https://www.accademiadellestelle.org/vacanze-astronomiche-in-toscana/
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