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Piccole ma con macchie enormi: ecco le stelle Padua

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Le macchie delle stelle estreme del ramo orizzontale (a destra - rappresentazione artistica) appaiono significativamente diverse dalle macchie scure del Sole (a sinistra), ma entrambe sono prodotte dalla presenza di campi magnetici. Le macchie delle stelle calde ed estreme sono più luminose e più calde della superficie stellare circostante, a differenza del Sole per cui le macchie appaiono scure poichè sono più fredde dei dintorni. Le macchie sulla superficie delle stelle estreme del ramo orizzontale sono anche significativamente più grandi delle macchie solari, arrivando a coprire fino a un quarto della superficie della stella. Le macchie solari sono di dimensioni diverse, ma tipicamente sono della dimensione di un pianeta di tipo terrestre, 3000 volte più piccole delle macchie gigantesche delle stelle estreme del ramo orizzontale. Crediti: ESO/L. Calçada, INAF-Padua/S. Zaggia
Rappresentazione artistica che mette a confronto le dimensioni del Sole (a sinistra) con quelle di una tipica stella del ramo orizzontale estremo (Ehb, a destra). In particolare, le macchie che ricoprono le stelle Ehb sono più luminose rispetto al resto della loro superficie, al contrario di quello che accade sul Sole, e molto più grandi, anche tremila volte maggiori di quelle che appaiono sulla nostra stella. Crediti: Eso/L. Calçada, Inaf Padova/S. Zaggia

Un team internazionale di astronomi guidato da Yazan Al Momany, ricercatore dell’Istituto nazionale di astrofisica a Padova, ha studiato un particolare tipo di stelle calde conosciute come stelle di ramo orizzontale estremo: astri molto particolari, con una massa pari a circa la metà del Sole, ma quattro volte più caldi e soprattutto assai antiche, con un’età doppia a quella del Sole. I risultati dell’indagine – condotta grazie alle osservazioni con il Very Large Telescope (Vlt) e il Vst dello European Southern Observatory (Eso), in Cile – hanno rivelato la presenza di gigantesche macchie sulla superficie di queste stelle. E hanno portato all’identificazione, in alcune di esse, di potentissimi brillamenti, milioni di volte più intensi di quelli solari, che rivelano la presenza di intensi campi magnetici.

Yazan Al Momany, ricercatore dell’Istituto nazionale di astrofisica all’Osservatorio astronomico di Padova, primo autore del lavoro pubblicato su Nature Astronomy

Capire le proprietà delle stelle di ramo orizzontale estremo permette di comprendere meglio le ultime fasi evolutive di stelle come il Sole, quando saranno a un passo dalla loro fine. «La particolare evoluzione di queste stelle calde e piccole farà in modo che esse aggireranno una delle fasi finali che dovrebbero attraversare e finiranno così per spegnersi prematuramente», spiega Al Momany. «Grazie a indagini nell’alone della Via Lattea, sappiamo che la loro peculiarità è principalmente dovuta alla diffusa presenza di stelle compagne, molto vicine, che ne alterano la normale evoluzione».

Sorprendentemente, però, la stragrande maggioranza delle stelle di ramo orizzontale estremo, se osservate all’interno di sistemi stellari molto affollati come gli ammassi globulari, non mostra di avere compagni. Pertanto, capire come si venga a creare questo tipo stelle calde rappresenta una vera sfida per gli astronomi, specialmente negli ambienti densi degli ammassi stellari. Il team di astronomi, con l’ausilio dei telescopi dell’Eso, in Cile, ha messo in atto un monitoraggio a lungo termine di queste stelle in ben tre ammassi globulari, e ha potuto rivelare una caratteristica fino ad ora sconosciuta di questi misteriosi oggetti. Al Momany e i suoi colleghi hanno infatti scoperto che una frazione di queste stelle calde (simile in ognuno dei tre ammassi) mostrava cambiamenti regolari nella loro luminosità, con cicli della durata da pochi giorni a diverse settimane. Tali modulazioni regolari, soprattutto cosi costanti in un lungo intervallo di tempo, erano del tutto inaspettate.

Simone Zaggia, ricercatore dell’Istituto nazionale di astrofisica all’Osservatorio astronomico di Padova, co-autore dello studio pubblicato su Nature Astronomy

«Abbiamo considerato tutti i possibili scenari per spiegare questa variazione di luminosità e, andando ad esclusione, è rimasta solo una possibilità: queste stelle», conclude Simone Zaggia, anch’egli ricercatore Inaf a Padova e co-autore dello studio, «devono essere cosparse di macchie superficiali, di dimensioni significative».

Anche se le macchie stellari sono sempre causate dalla presenza di campi magnetici, quelle che ricoprono le stelle di ramo orizzontale estremo appaiono abbastanza diverse dalle macchie del nostro Sole. Infatti, le macchie sulle stelle calde sono più luminose e più calde della superficie stellare circostante, al contrario di quelle osservate sul Sole, che appaiono generalmente scure perché più “fredde” dell’ambiente circostante. Inoltre, le macchie brillanti e calde delle stelle di ramo orizzontale sono anche significativamente più grandi delle macchie solari, coprendo fino a un quarto della superficie della stella. Al confronto, hanno un’estensione circa tremila volte maggiore delle tipiche macchie solari. Incredibilmente, le macchie delle stelle calde sono anche persistenti, resistendo per decenni, mentre le macchie solari hanno una vita relativamente molto più breve, da pochi giorni fino a qualche settimana, dopo di che scompaiano. Come avviene in tutte le stelle, anche le gigantesche macchie calde presenti su quelle di ramo orizzontale estremo seguono la rotazione della loro stella, influenzandone significativamente il flusso di radiazione emessa e, quindi, provocando cambiamenti visibili della loro luminosità, come osservato effettivamente dal team di astronomi.

Ma non è tutto. Oltre alle variazioni di luminosità dovute alle macchie, il team ha anche scoperto un paio di stelle estreme del ramo orizzontale che mostrano dei superflare: improvvise esplosioni di energia con aumento repentino della luminosità della stella, anch’esse segnale della presenza di un campo magnetico. «Sono simili ai brillamenti – o flare – che vediamo nel nostro Sole, ma dieci milioni di volte più energetici», osserva Marco Montalto, astronomo del Dipartimento di fisica e astronomia dell’Università di Padova e co-autore dell’articolo. «Tale comportamento non era certo previsto e sottolinea l’importanza dei campi magnetici nello spiegare le proprietà di queste stelle». Infatti, questi eventi eruttivi e molto energetici possono configurarsi come un meccanismo di perdita di massa capace di spiegare la morte prematura di queste stelle calde. Vista l’importanza nell’identificare questa rara fenomenologia, il team ha proposto di chiamare la nuova classe di oggetti “stelle Padua”, poiché la prima con tali caratteristiche è stata identificata proprio il 13 giugno, giorno in cui si festeggia Sant’Antonio di Padova, il santo delle cose perdute e trovate.

Una tendina di stelle circonda il telescopio New Technology Telescope (NTT) di 3.58 metri di diametro in questa fotografia ad altissima definizione dalla spedizione Ultra HD. È stata scattata durante la prima notte di riprese all’osservatorio di La Silla, che si trova a 2400 metri di altitudine sopra il livello del mare nella periferia del deserto cileno dell’Atacama. Crediti: ESO/B. Tafreshi (twanight.org)

Per arrivare a questo risultato, gli astronomi hanno utilizzato diversi strumenti sul Vlt dell’Eso a Paranal, tra cui Vimos, Flames e Fors2, e UltraCam sul New Technology Telescope all’Eso a La Silla. Fondamentale è stato l’utilizzo sistematico e a lungo termine della camera a largo campo OmegaCam, dotata di un campo di vista da un grado, che copre un’area apparente di cielo pari a quattro volte quella della Luna, e collegata al telescopio italiano Vst (Vlt  Survey Telescope), collocato a Paranal. Realizzato dall’Inaf di Napoli, il Vst è tra i più grandi telescopi al mondo per le survey del cielo in luce visibile. La svolta è arrivata quando il team si è focalizzato sulla parte del vicino-ultravioletto dello spettro, consentendo di intensificare il contributo e la visibilità delle stelle più calde tra tutte le altre presenti negli affollati ammassi globulari.

Grazie a questo studio, gli astronomi ora hanno un quadro più chiaro per comprendere la natura delle stelle di ramo orizzontale estremo, dopo sei decenni di indagini. Infatti, la conferma della presenza di queste macchie magnetiche diffuse può offrire un’immediata spiegazione alle anomalie sulla composizione chimica di queste stelle. Inoltre, la scoperta di macchie magnetiche diffuse in stelle di ramo orizzontale aiuterebbe moltissimo a spiegare l’origine dei forti campi magnetici osservati in molte nane bianche, l’ultimo stadio evolutivo delle stelle simili al Sole. «Il quadro più grande, però», sottolinea Santi Cassisi, ricercatore dell’Inaf a Teramo e associato Infn, anch’egli coautore dell’articolo su Nature Astronomy, «è che i cambiamenti di luminosità di tutte le stelle calde – dai giovani Soli alle vecchie stelle estreme di ramo orizzontale fino alle nane bianche morte da qualche tempo – potrebbero avere la stessa origine. Queste stelle possono quindi essere tutte intese come caratterizzate da macchie magnetiche sulla loro superficie».

Guarda il servizio video su MediaInaf Tv:


Per saperne di più:

  • Leggi su Nature Astronomy l’articolo “A Plague of Magnetic Spots Among Globular Clusters’ Hot Stars”, di Y. Al Momany (INAF Osservatorio Astronomico di Padova), S. Zaggia (INAF Osservatorio Astronomico di Padova), M. Montalto (Dipartimento di Fisica e Astronomia, Università di Padova), D. Jones (Instituto de Astrofísica delle Canarie, Tenerife, Spagna), H.M.J. Boffin (Osservatorio Europeo dell’Emisfero Sud, Garching, Germania, S. Cassisi (INAF Osservatorio Astronomico d’Abruzzo e INFN Pisa), C. Moni Bidin (Instituto de Astronomia, Universidad Catolica del Norte, Antofagasta, Cile), M. Gullieuszik (INAF Osservatorio Astronomico di Padova), I. Saviane (ESO Santiago), L. Monaco (Departamento de Ciencias Fisicas, Universidad Andreas Bello, Santiago, Cile), E. Mason (INAF Osservatorio Astronomico di Trieste), L. Girardi (INAF Osservatorio Astronomico di Padova), V. D’Orazi (INAF Osservatorio Astronomico di Padova), G. Piotto (Dipartimento di Fisica e Astronomia, Università di Padova), A.P. Milone (Dipartimento di Fisica e Astronomia, Università di Padova), H. Lala (Dipartimento di Fisica e Astronomia, Università di Padova), P.B. Stetson (Herzberg Astronomy and Astrophysics, National Research Council, Victoria, Canada), e Y. Beletsky (Las Campanas Observatory, Carnegie Institution of Washington, La Serena, Cile).


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Ipotesi ed evidenze dalle origini della scoperta alle galassie senza materia oscura

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Gruppo Astronomico Tradatese

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Conferenze in Diretta Streaming sul Sito del GAT, inizio ore 21:00. Le conferenze registrate saranno poi disponibili sulla pagina youtube dell’associazione.

08.06: “Anno 2024, ritorno sulla Luna” di Piermario ARDIZIO
22.06: “Verso Marte alla ricerca della vita” di Cesare GUAITA.
Info:
http://www.gruppoastronomicotradatese.it

Trovati con i fast radio burst i barioni mancanti

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Un lampo emesso dalla sua galassia d’origine come impulso di onde radio. Crediti: Icrar

A tutti quelli che “non si deve montare o usare alcun dispositivo senza prima leggere il libretto d’istruzioni”, immaginate non solo di non avere le istruzioni, ma di non sapere nemmeno che cosa state per costruire o utilizzare. Follia? No, esperienza, inventiva e – se vogliamo dargli un nome – indagine scientifica. L’azzardo, scendendo nel merito, è stato sfruttare uno dei fenomeni astronomici più misteriosi – i fast radio burst – per risolverne un altro, di mistero: quello della “materia mancante”. Le due cose, a una prima occhiata, non potrebbero sembrare più dissociate. Questa volta, la materia che manca e della quale si va in cerca non è la materia oscura, bensì materia “normale”, quella barionica – i protoni e i neutroni che formano qualunque cosa ci circondi, dai più spettacolari fenomeni che osserviamo nell’universo al mondo in cui viviamo, per finire alle cellule che compongono il nostro corpo.

«Da stime collegate al Big Bang sappiamo quanta materia si è creata all’inizio nell’universo», dice il primo autore dello studio pubblicato ieri su NatureJean-Pierre Macquart della sezione dell’International Centre for Radio Astronomy Research (Icrar) presso la Curtin University. «Ma osservando l’universo attuale, riuscivamo a trovarne solo metà di quanta ce ne doveva essere. Era un po’ imbarazzante».

La difficoltà sta nel fatto che tre quarti del contenuto di materia dell’universo si trova in forma diffusa, ed è dunque difficilmente osservabile. Solo una piccola percentuale della materia barionica risiede in galassie e ammassi di galassie, quindi quantificabile direttamente.

«Lo spazio intergalattico è molto rarefatto», spiega infatti Macquart. «La materia mancante era equivalente ad appena uno o due atomi in una stanza delle dimensioni di un ufficio medio. Era davvero dura riuscire a rilevarla usando tecniche e telescopi tradizionali».

Le “bilance cosmiche” utilizzate dagli scienziati, come anticipavamo, sono i cosiddetti fast radio burst – o Frb: impulsi radio intensi e brevissimi, dell’ordine dei millesimi di secondo o anche meno, provenienti da galassie lontane. L’origine degli Frb è tutt’ora sconosciuta, ma si stima che l’energia emessa da ogni singolo evento sia pari a quella prodotta dal Sole in ottant’anni, il che fa pensare a oggetti cosmici molto compatti, come le stelle di neutroni.

Quando attraversano uno spazio completamente vuoto, tutte le lunghezze d’onda d’un lampo radio viaggiano alla stessa velocità, ma quando incontrano la materia – compresa quella “mancante” – più le onde sono lunghe e più vengono rallentate. Crediti: Icrar

Per utilizzare questo potente e misterioso “dispositivo”, Macquart e collaboratori hanno sfruttato un fenomeno fisico detto dispersione: quello che sta alla base, ad esempio, della scomposizione della luce attraverso un prisma. Le diverse lunghezze d’onda che compongono un segnale luminoso in arrivo viaggiano tutte alla stessa velocità – quella della luce – nello spazio vuoto. Quando esse attraversano un mezzo, invece, come ad esempio le particelle materia diffusa nello spazio intergalattico, vengono rallentate in modo diverso e dipendente dalla loro energia – o frequenza. Quantificare il ritardo accumulato alle diverse lunghezze d’onda consente di determinare la densità di colonna della materia lungo la direzione di provenienza di ciascun Frb, ed è una misura sensibile a ogni singolo barione attraversato.

Grazie alla precisione delle antenne radio dell’Australian Square kilometer Array Pathfinder – Askap, il precursore di Ska – gli scienziati hanno rivelato quattro nuovi Frb, per ciascuno dei quali hanno misurato la dispersione nell’arrivo del segnale alle diverse lunghezze d’onda, riuscendo a isolare il contributo dovuto all’attraversamento del mezzo intergalattico – luogo di soggiorno della materia barionica mancante.

Askap consiste di trentasei antenne in grado di vedere complessivamente trenta gradi quadrati di cielo: una caratteristica fondamentale per la rivelazione di un fenomeno così raro e con provenienza randomica. «Askap possiede un ampio campo di vista pari a circa sessanta volte la dimensione della Luna piena», ricorda a questo proposito uno fra i coautori dello studio, Ryan Shannon, della Swinburne University of Technology, «e per di più cattura immagini ad alta risoluzione. Ciò significa che possiamo catturare il segnale del lampo radio piuttosto agevolmente e localizzare la posizione della galassia ospite con una precisione incredibile».

La densità della materia mancante viene calcolata utilizzando la distanza dell’Frb dalla Terra e il ritardo tra le sue lunghezze d’onda. Crediti: Icrar

Il livello di precisione raggiunto grazie ad Askap riduce a meno dell’un per cento il rischio di attribuire il lampo radio alla galassia sbagliata a causa di effetti di sovrapposizione. Per dirla in altri termini, la posizione dell’Frb viene stimata con un errore pari al diametro di un capello visto da duecento metri di distanza.

La misura della dispersione del segnale scomposto dei lampi radio e la posizione di arrivo del fenomeno non bastano, però, a misurare la densità del mezzo intergalattico attraversato. È necessario conoscere con precisione anche quanto è lontana la galassia di provenienza, poiché la dispersione della luce è dipendente dalla distanza, in un modo del tutto analogo alla velocità di recessione delle galassie nella legge di Hubble.

«Abbiamo scoperto l’analogo, per i lampi radio veloci, della legge di Hubble-Lemaitre per le galassie», spiega Macquart , ricordando che «la legge di Hubble-Lemaitre – più una galassia è lontana da noi, più si allontana velocemente – sta alla base di qualunque misurazione effettuata su galassie a distanze cosmologiche».

Su Coelum Astronomia di maggio 2020, la storia e le ultime scoperte della ricerca sui lampi radio veloci. Lettura digitale e gratuita.
Diversi telescopi ottici fra i più grandi al mondo – Vlt, Gemini, Magellan, Sdss – sono stati quindi chiamati in causa per determinare la distanza della galassia ospite attraverso misure spettroscopiche. La combinazione delle misure radio e ottiche – e quindi la relazione fra dispersione temporale e distanza dell’oggetto – ha consentito infine di stimare la densità della materia mancante. I quattro Frb individuati in questo studio sono stati integrati con due osservati in precedenza, al fine di raggiungere la statistica necessaria e campionare regioni diverse di cielo, ottenendo così stime precise.

«Siamo stati capaci di misurare le distanze di un numero di Frb sufficiente a permetterci di determinare la densità dell’universo», spiega Macquart. «Avevamo bisogno solo di sei di essi per trovare la materia mancante».

I risultati ottenuti sono perfettamente consistenti con le previsioni della radiazione cosmica di fondo e della nucleosintesi primordiale avvenuta subito dopo il Big Bang. A conclusione dell’articolo, gli autori prevedono che un ampliamento del campione in futuro consentirà non solo di confermare l’esistenza di tutta la materia barionica con un errore di misura minore, ma anche di determinare come essa sia distribuita nel cosmo.

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Il Cielo di Giugno 2020

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La cartina mostra l'aspetto del cielo alle ore (TMEC): 1 Giu > 00:00; 15 Giu > 23:00; 30 Giu > 22:00. Crediti Coelum Astronomia CC-BY

Indice dei contenuti

EFFEMERIDI

Luna

Sole e Pianeti

All’inizio della notte astronomica il cielo apparirà attraversato nel basso meridiano dalla costellazione del Sagittario, facilmente individuabile grazie alla presenza di stelle luminose che formano la caratteristica figura a “teiera”, e dallo Scorpione, altrettanto facile da riconoscere, con il nostro occhio che viene catturato dalla bellezza brillante della rossa Antares.

Più in alto sull’orizzonte, sempre rivolti a sud, si passerà dall’Ofiuco all’Ercole, con quest’ultimo situato quasi allo zenit. Il Leone, che ci ha accompagnati nei mesi passati, starà invece dirigendosi al tramonto. Di contro, verso est comincerà ad alzarsi l’asterismo del “Triangolo estivo” formato da Vega, Deneb e Altair, le stelle più brillanti di Lira, Cigno e Aquila, insieme ai ricchissimi campi stellari che compongono la Via Lattea.

Sull’orizzonte di nordest, più tardi durante la notte, farà capolino la grande Galassia di Andromeda (M 31), che raggiungerà una buona altezza sull’orizzonte già prima dell’alba, precedendo il sorgere delle Pleiadi (M 45) nel Toro.

Il Cielo di giugno con la UAI: I soli azzurri dell’estate

COSA OFFRE IL CIELO

Mercurio raggiunge il suo culmine e, per quest’anno, forse la sua migliore apparizione durante la prima metà del mese. Dopo il tramonto è ora il protagonista assoluto, visto che Venere inosservabile per via della congiunzione eliaca, riapparirà solo nella seconda metà del mese per diventare Lucifero, la stella del mattino. Comincia invece il periodo di visibilità sempre più ampia nell’arco della notte per Giove e Saturno, che sorgono sempre prima rendendosi visibili per buona parte della notte, e saranno anche i protagonisti dei principali incontri con la Luna di questo mese.

Marte continua lentamente e pigramente a sorgere sempre prima, restando però ancora nel regno delle… “ore piccole”. Questo mese accompagnerà Nettuno, per chi ha uno strumento necessario per la sua osservazione. Le serate principali in cui osservarli e maggiori dettagli e informazioni anche sui più distanti e su pianeti nani e asteroidi, li trovate come sempre sul

➜  Cielo di Giugno all’interno del nuovo numero (sempre in formato digitale e gratuito! L’abbonamento serve solo per avvisarvi dei prossimi numeri, ma è gratuito anche quello).


Eclissi di Sole e di Luna

Giugno però ci regala, ma sarebbe meglio che ci offre solo un assaggio, due eventi al di fuori dell’ordinario anche se, purtroppo, non particolarmente soddisfacenti. Sono ben due le eclissi di questo mese, una di Luna e una di Sole, entrambe parziali ed entrambe, ahinoi, di scarsa visibilità.

Se la prima, già in arrivo al 5 giugno, sarà visibile in tutta Italia, ma ai limiti della visibilità. La Luna sorgerà già eclissata e la luce della sera impedirà quasi del tutto di apprezzare – attraverso l’obiettivo di una camera, a occhio nudo è proprio impossibile – quel debole oscuramento dovuto al passaggio nella penombra della Terra. Cosa che però potrà rappresentare una sfida per i più arditi, per lo meno nella fase di massimo… quindi a voi tutti i dettagli:

5 giugno: Eclisse di Luna di penombra parziale

Il 21 giugno invece sarà il Sole a nascondersi dietro la Luna e a far passare la sua ombra sulla Terra, e l’Italia sarà solo marginalmente interessata dall’evento. La fascia di parzialità attraversa infatti il Centro e Sud Italia, in cui sarà possibile assistere a un’oscuramento che arriva attorno al 15% solo visto dall’isola di Lampedusa! Occorrerrà quindi moltissima attenzione per chi volesse osservarla, MAI guardare il Sole senza le dovute protezioni! Per i vostri occhi e per i vostri strumenti. Per i pochi fortunati che potranno osservare il piccolo “morso sul Sole” quindi al link tutti i dettagli necessari:

➜ 21 giugno: Eclisse parziale di Sole


La Luna

Per quanto riguarda le sottili falci di Luna e la ripresa della luce cinerea della Luna, l’appuntamento è prima dell’alba il 17 e 19 giugno e, dopo il Novilunio, alla sera,  il 22 e 23 giugno.

Per maggiori dettagli su orari e formazioni lunari da osservare al terminatore sulle falci di Luna, anche con l’aiuto di uno strumento, potete consultare la sezione dedicata a cura di Francesco Badalotti.

Continua poi l’esplorazione delle formazioni lunari nell’arco del mese con


Con le comete proprio non va… dopo la atlas anche la Swan sembra non voler mantenere le promesse, e di nuovo un’altra cometa si affaccia sui nostri cieli… insomma seguiamo questa volubile e difficile rincorsa agli astri chimati con il buon Claudio Pra, che tra una osservazione deludente e l’altra non demorde di certo:

➜ Comete. Occhi sulla C/2020 F8 SWAN

E ancora su Coelum astronomia 245

➜ Inquinamento luminoso. Ecco cosa ci perdiamo ogni notte gli scatti di Giorgia Hofer ci mostrano come un black out, ma anche solo una miglior gestione dell’illuminazione notturna, possono svelarci quello che ci perdiamo del nostro cielo.

➜ Leggi le indicazioni di Giuseppe Petricca sui principali passaggi della ISS con una serie di transiti serali a metà mese da non perdere!

Una luminosa supernova in M 61

e il Calendario di tutti gli eventi di giugno 2020, giorno per giorno con l’immagine di fondo dedicata al “Mostro della Mystic Mountain”.

Hai compiuto un’osservazione? Condividi le tue impressioni, mandaci i tuoi report osservativi o un breve commento sui fenomeni osservati: puoi scriverci a segreteria@coelum.com. E se hai scattato qualche fotografia agli eventi segnalati, carica le tue foto in PhotoCoelum!

Tutti consigli per l’osservazione del Cielo di Maggio su Coelum Astronomia 245

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L’equipaggio della Crew Dragon è a bordo della Iss

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L'equipaggio della missione Expediton 63, salita a 5 membri con l'arrivo di Robert Behnken e Douglas Hurley a bordo della Crew Dragon della SpaceX. Da sinistra: Anatoly Ivanishin e Ivan Vagner (Roscosmos), il comandante della stazione Chris Cassidy (NASA) e i due nuovi arrivati Bob Behnken e Doug Hurley, sempre della NASA. Crediti NASA
L'equipaggio della missione Expediton 63, salita a 5 membri con l'arrivo di Robert Behnken e Douglas Hurley a bordo della Crew Dragon della SpaceX. Da sinistra: Anatoly Ivanishin e Ivan Vagner (Roscosmos), il comandante della stazione Chris Cassidy (NASA) e i due nuovi arrivati Bob Behnken e Doug Hurley, sempre della NASA. Crediti NASA

Dopo il lancio avvenuto il 30 maggio da Cape Canaveral e circa 20 ore di volo, gli astronauti americani Robert Behnken e Douglas Hurley sono a bordo della Stazione spaziale internazionale.

La navicella Crew Dragon – ribatezzata Endeavour dagli stessi astronauti (come l’ultimo shuttle che ha volato a bordo del quale c’era anche Hurley) – si è agganciata al modulo Harmony della stazione spaziale alle 16:16 del 31 maggio (ora italiana). Le operazioni di manovra in prossimità della stazione spaziale sono compiute dalla Crew Dragon  in modo completamente automatico, anche se sotto il controllo attento degli astronauti a bordo e del centro di controllo in Florida.

Il video integrale delle manovre di attracco della Crew Dragon alla Iss

La Dragon poco dopo le 15:30 si trova a poco più di 200 metri di distanza dalla Iss e servono oltre 45 minuti per le ultime delicate manovre di avvicinamento dopo alla stazione spaziale affinché le due navicelle spaziali entrino in contatto. Dopo le varie operazioni di bilanciamento di pressione e temperatura tra navicella e il locale di passaggio verso la stazione spaziale, si sono potuti aprire i portelloni: alle 19:22 ora italiana i due equipaggi si sono finalmente stretti la mano.

Behnken e Hurley sono da questo momento a tutti gli effetti membri della missione Expedition 63 insieme a Chris Cassidy (comandante, NASA) e ai cosmonauti Ivan Vagner e Anatoly Ivanishin e, per alcune settimane, effettueranno a bordo della Iss test e esperimenti scientifici, prima di tornare sulla Terra.

«Dragon in arrivo», così l’astronauta Chris Cassidy ha accolto Robert Behnken e Douglas Hurley a bordo della stazione spaziale. «Bob and Doug, siamo felici di avervi a bordo come parte dell’equipaggio».

Qui a sinistra il momento dell’incontro dell’equipaggio della missione Expedition 63 al completo a bordo della Iss e l’applauso dal centro di controllo a Houston.

La missione NASA/SpaceX Demo-2, che si concluderà con il rientro degli astronauti a Terra tra qualche settimana, chiuderà definitivamente la fase di test per certificare la capacità di SpaceX di portare in sicurezza gli astronauti a bordo da e per la stazione spaziale.

Oltre ad aprire l’era dei voli spaziali alle compagnie private, il lancio della Crew Dragon del 30 maggio segna la fine della dipendenza degli Stati Uniti dai veicoli spaziali russi Soyuz. Space Shuttle a parte infatti, la NASA si è affidata alle datate ma affidabili capsule russe per il trasporto dei suoi astronauti, acquistando dal 2006 a oggi circa 70 posti sui voli Soyuz.

Appare ormai decisamente superata la tecnologia sviluppata negli anni ‘60 per i veicoli Soyuz, destinata all’esplorazione lunare, ma occorre ricordare che anche ogni singola innovazione tecnologica sviluppata per il programma Apollo era progettata e costruita per la prima volta e che solo poco più di 50 anni fa il primo uomo metteva piede sulla Luna, un passo enorme per tutta l’umanità.

Oggi, nel 2020, siamo testimoni di un altro decisivo passo in avanti e tutto fa pensare che ci aspettino anni davvero avvincenti per l’esplorazione spaziale.
Una nuova era spaziale è appena cominciata.

Il video celebrativo del lancio verso la stazione spaziale.

Volete provare l’ebrezza di attraccare alla stazione spaziale con la navicella Crew Dragon Endeavour? Ecco pronto il simulatore della SpaceX!


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Accademia delle Stelle

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2020-06 Coelum AdS

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Si potranno seguire comodamente da casa e, se si perde la diretta, le lezioni saranno sempre online a disposizione dei corsisti.
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Informazioni:
https://accademiadellestelle.org/
https://www.facebook.com/accademia.dellestelle/

Museo Nazionale Scienza e Tecnologia Leonardo Da Vinci

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Il Museo Nazionale Scienza e Tecnologia Leonardo Da Vinci riapre da giovedì 2 luglio 2020 con i seguenti orari:
Giovedì: dalle ore 15 alle 21,
Sabato e domenica: dalle ore 10 alle 19

Per partecipare a queste attività devi prenotare al momento dell’acquisto del biglietto. Per prenotare il tuo ingresso, acquista on line il tuo biglietto selezionando data e orario. Se sei in possesso di una membership card o sei titolare di un abbonamento contattaci al 02/48 555 330 (lunedì – venerdì dalle 11.00 alle 13.00 e dalle 15.00 alle 17.00) o a accoglienza@museoscienza.it Per evitare assembramenti, è importante presentarsi puntuali.

Per tutte le informazioni, visita il sito: https://www.museoscienza.org/it

SpaceX apre una nuova era spaziale

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La Crew Dragon di SpaceX decolla con successo da Cape Canaveral: inizia la missione NASA Demo-2.
La Crew Dragon di SpaceX decolla con successo da Cape Canaveral: inizia la missione NASA Demo-2.

È partita! La Crew Dragon di SpaceX ha lasciato con successo ieri alle 21:32 (ora italiana) il suolo di Cape Canaveral con a bordo gli astronauti Robert Behnken e Douglas Hurley.

Il lancio (di cui è possibile rivedere il filmato su YouTube, e il momento del liftoff qui a lato) è avvenuto ieri dopo che il primo tentativo di mercoledì 27 maggio non era andato a buon fine a causa delle avverse condizioni meteo.

È la prima volta in assoluto che una compagnia privata ha l’incarico di portare un equipaggio umano in orbita e questo passaggio segna l’inizio di una nuova era spaziale.
La missione Demo-2 della NASA è l’ultima fase di un lungo processo di collaudo nell’ambito del programma Commercial Crew Development, nato nel 2010 con l’obiettivo di coinvolgere le aziende spaziali private nel trasporto di astronauti in orbita terrestre bassa.

Gli astronauti Behnken e Hurley in questo momento sono in viaggio verso la Stazione Spaziale Internazionale (ISS), a cui la Crew Dragon attraccherà in modo completamente automatico oggi nel pomeriggio, dopo circa 20 ore di volo e di manovre intorno alla Terra.

Durante un collegamento/tour della navicella (qui a destra il saluto del comandante al risveglio dopo il riposo una volta in orbita), il comandante Douglas Hurley ha comunicato che lui e Bob Behnken avevano deciso come chiamare la capsula Dragon. «So che a SpaceX la chiamate Capsula 206, ma noi pensavamo di fare un po’ meglio, e l’abbiamo chiamata Endeavour».

Endeavour in inglese significa “impresa”, ed è il nome dello Space Shuttle con cui avvenne quasi nove anni fa l’ultimo volo di un veicolo spaziale americano con equipaggio, con Hurley a bordo. Era infatti l’8 luglio 2011 quando lo Space Shuttle Endeavour partì da Cape Canaveral per STS-135, la sua venticinquesima e ultima missione nello spazio – nonché l’ultima degli Space Shuttle. Da allora nessun astronauta americano è più decollato dal suolo statunitense.

Gli astronauti americani Robert Behnken e Douglas Hurley.

«Che grande giorno per la NASA, che grande giorno per SpaceX, e che grande giorno per gli Stati Uniti!» Così commenta il lancio Jim Bridenstine, amministratore generale dell’agenzia spaziale americana. «Era da nove anni che non lanciavamo astronauti americani con lanciatori americani dal suolo americano, e adesso lo abbiamo fatto di nuovo».

Questo è invece il commento di Elon Musk, leader e fondatore di SpaceX: «Mi piacerebbe solo riconoscere il lavoro enorme di tutti coloro che lavorano per SpaceX e per la NASA e che è culminato nell’incredibile lancio di oggi, portando gli astronauti di nuovo in orbita dopo dieci anni. Adesso, è fondamentale riportarli indietri sani e salvi e riuscire a ripetere queste missioni con regolarità. C’è molto lavoro da fare».

È possibile seguire in diretta il viaggio degli astronauti all’interno della crew dragon verso la ISS sul canale Youtube di SpaceX, che potete vedere qui sotto, assieme al video in diretta NASA TV all’interno della stazione, in attesa dell’apertura del portellone:


UAI – Unione Astrofili Italiani

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Astronomia e inclusione.
Il 30 maggio va in onda in diretta “Stelle per tutti @ home”

In occasione della giornata nazionale della divulgazione inclusiva dell’astronomia, l’Unione Astrofili Italiani (UAI) organizza – con la collaborazione dell’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti (UICI), del suo Istituto per la Ricerca, la Riabilitazione e la Formazione (I.Ri.Fo.R) e degli AstrofiLIS – lo speciale evento virtuale “Stelle per tutti @ home”. Un appassionante viaggio nel Sistema Solare a cavallo di un fotone con la guida di esperti, per immergersi nell’affascinante mondo dell’astronomia. L’appuntamento è sabato 30 maggio alle ore 20:45 sul canale YouTube dell’UAI

Pillole di Astronomia
Continua inoltre la rassegna “Pillole di Astronomia”, il programma di incontri virtuali proposti dagli astrofili. Inizio ore 21:00

Associazione Astronomica del Rubicone
Per avere il link per partecipare alla conferenza su piattaforma WebEx scrivere a info@astrofilirubicone.it oppure iscriversi alla mailing list dell’Associazione dal sito dell’AAR. Il link dell’evento è disponibile anche sulla pagina facebook dell’Associazione.
29.05: “Ehi! C’è nessuno lassù?” Ricordo di I. Asimov. Serata in collaborazione con l’ARAR e il Planetario di Ravenna. Per l’occasione l’astrofisico Oriano Spazzoli e il biologo Claudio Casali cureranno, in ricordo di Isaac Asimov, una serata dedicata alla ricerca della vita e di civiltà extraterrestri.

Associazione Tuscolana di Astronomia
Per partecipare all’evento compilare il modulo al link https://lnx.ataonweb.it/wp/events/spegniamo-cielo-accendiamo-stelle/:
29.05: Costellazioni e miti
05.06: Sorella Luna, compagna di viaggio
12.06: Il cielo del mese da casa

Consulta il sito web www.uai.it per conoscere gli ultimi appuntamenti e rivedere quelli già andati in onda.

Missione Demo-2: Lancio rimandato

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Il Falcon 9 con la Crew Dragon della SpaceX nel Complesso di Lancio 39A il 27 maggio 2020, a 45 minuti dal lancio. Image credit: NASA TV
Il Falcon 9 con la Crew Dragon della SpaceX nel Complesso di Lancio 39A il 27 maggio 2020, a 43 minuti dal lancio. Il meteo non prometteva bene... Image credit: NASA TV

Niente da fare: a causa delle condizioni meteo il lancio della missione Demo-2 della Nasa è stato rimandato. Le prima finestra di lancio possibile è sabato 30 maggio alle ore 21:22 (ora italiana).

Poco prima del lancio previsto ieri alle 22:32 ora italiana, il bollettino meteo è stato inesorabile: solo una partenza imminente sarebbe stata possibile, o si sarebbe dovuto rimandare perché le condizioni stavano rapidamente peggiorando. Ma le complicate operazioni di lancio sono programmate in modo precisissimo e un cambiamento così ravvicinato, sia pure di pochi minuti, è impossibile.

Il lanciatore Falcon 9 e la capsula Crew Dragon di SpaceX si sarebbero dovute staccare dalla storica rampa di lancio 39A di Houston, per portare gli astronauti americani Robert Behnken e Douglas Hurley in orbita terrestre bassa a bordo della Stazione spaziale internazionale (Iss).
La missione Nasa Demo-2 rappresenta il test finale della compagnia privata di Elon Musk, e aprirà ufficialmente l’era delle missioni spaziali con equipaggio affidate a compagnie private.

L’appuntamento con la storia dell’esplorazione spaziale è solo rimandato.

Qui sotto il video in cui viene comunicato agli astronauti che il lancio è stato rimandato, a destra nel twit della NASA, il portellone della Crew Dragon è stato aperto e i sedili degli astronauti ruotano per facilitare la loro uscita dalla navicella, in attesa del prossimo tentativo di sabato. Credits: NASA/SpaceX


Una nuova era si fa spazio: intervista a Fabio Pagan

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Illustrazione della navicella Dragon. Crediti: SpaceX
Illustrazione della navicella Dragon. Crediti: SpaceX

Lo spazio rappresenta, con ogni probabilità, il campo in cui si giocherà la prossima partita per la supremazia globale, militare e commerciale dopo la Guerra Fredda, quando lo scenario fortemente bipolare – Usa vs. Urss – aveva dato la spinta per investimenti economici, scientifici, tecnologici e umani che nel giro di pochi anni hanno portato il primo uomo sulla Luna con il programma Apollo (1969).

Lo scenario, in questo momento storico, si prospetta molto più complesso. Oltre alla Nasa, altre agenzie spaziali – come quelle europea (Esa), giapponese (Jaxa) e indiana (Isro) – partecipano a missioni spaziali per raggiungere la Luna, o i corpi minori del Sistema solare. In collaborazione con altri stati o in volata solitaria come la Cina, che sta cercando di attuare in autonomia una strategia civile, commerciale e militare a lungo termine per esplorare e sviluppare il dominio cislunare, con l’obiettivo di superare gli Stati Uniti come principale potenza spaziale. La possibilità che gli Stati Uniti non siano la potenza leader nello spazio in un futuro prossimo potrebbe rimettere in discussione l’attuale equilibrio politico internazionale. Inoltre, concorrono alla nuova corsa allo spazio anche agenzie spaziali private e il mercato globale e le sue enormi potenzialità economiche e strategiche sono aperte a un ecosistema – la cosiddetta new space economy – in cui convivono il settore pubblico e quello privato, coinvolgendo nuovi attori e investitori che propongono nuovi modelli di business e nuove sfide globali. È in questo complesso contesto internazionale che si prepara a lasciare la Terra, il prossimo 27 maggio, la navicella Crew Dragon della SpaceX di Elon Musk per la missione Demo-2 della Nasa. Una missione destinata a segnare l’inizio di una nuova era di voli spaziali con equipaggio umano su mezzi progettati, sviluppati e gestiti interamente da una compagnia spaziale privata

Fabio Pagan, primo a sinistra, con un gruppo di astronauti e cosmonauti a Trieste nel 1995. A seguire: Valeri Polyakov, medico e cosmonauta, due soggiorni di lunga durata a bordo della stazione spaziale Mir tra il 1988 e il 1995, rispettivamente di 240 e di 437 giorni (che rappresenta tuttora il record di permanenza in orbita in un’unica missione), nel corso dei quali effettuò sei uscite extra-veicolari; Franco Malerba, ingegnere e fisico, astronauta Asi, primo italiano nello spazio (Shuttle Atlantis, 1992); Ulf Merbold, fisico e astronauta Esa, tra il 1983 e il 1994 due volte in orbita con lo Shuttle e una volta sulla Mir con la Soyuz nel 1994; Aleksandr Viktorenko, pilota collaudatore, quattro volte sulla stazione Mir tra il 1987 e il 1995 per un totale di 489 giorni in orbita, effettuando sei volte attività extra-veicolare. Crediti: F. Pagan

Per l’occasione, Media Inaf ha intervistato Fabio Pagan, giornalista scientifico da sempre legato al mondo spaziale. Redattore del quotidiano Il Piccolo di Trieste per venticinque anni e collaboratore della Rai dal 1971, Pagan è stato a lungo fra i conduttori di Radio3 Scienza. A Trieste ha lavorato in qualità di addetto stampa al Centro internazionale di fisica teorica e nel 1993 è stato fra i promotori del Master in comunicazione della scienza della Sissa, di cui è stato docente e vicedirettore fino al 2009. Porta il suo nome un asteroide che ruota tra Marte e Giove: 7055 Fabiopagan.

Siamo veramente davanti a una svolta epocale?

«Assolutamente sì, anche se il debutto dei privati che mandano astronauti nello spazio ricorda molto alcuni vecchi libri di fantascienza, come The Man Who Sold the Moon di Robert Heinlein, del 1950. Da un punto di vista tecnologico è rilevante l’inserimento dei privati nell’industria spaziale, in particolare con Elon Musk, un tipo… tosto! Crew Dragon di SpaceX è il quinto veicolo spaziale con cui gli americani mandano i loro astronauti nello spazio, dopo Mercury, Gemini, Apollo e gli Space Shuttle».

Cosa lo distingue dai sui predecessori?

«Si tratta di un veicolo nuovo e completamente diverso da quelli del passato, sia per la strumentazione che per la gestione dei sistemi di controllo. C’è qualcosa di fantascientifico nel design dell’abitacolo – completamente nuovo, dotato di una tecnologia touch quasi futuristica – e delle tute indossate dagli astronauti, completamente diverse da quelle a cui siamo abituati. I due astronauti che voleranno per primi non dovrebbero invece rappresentare una novità: sono astronauti esperti della Nasa con un certo numero di missioni all’attivo».

Che lancio dobbiamo aspettarci, in tempo di coronavirus?

«Sarà certamente sottotono a causa degli effetti della pandemia: ad assistere al lancio ci saranno molte meno persone del solito, ed è previsto un protocollo specifico per ridurre i contatti tra le persone – anche per salutare gli astronauti. Certo, gli astronauti sono molto più abituati di noi a stare in quarantena, ma nella capsula e poi sulla Stazione spaziale non si potrà parlare di certo di distanziamento sociale».

Quale impatto potrà avere sullo scenario spaziale internazionale?

«Questo lancio cambia i rapporti spaziali tra Stati Uniti e Russia, nel senso che per nove anni gli Usa sono stati costretti a dipendere dai “passaggi” della Soyuz, lautamente pagati – dai 70 milioni di dollari per ogni volo iniziali (addestramento incluso) fino agli oltre 90 milioni di dollari attuali. Con la Crew Dragon il costo si aggirerà sui 65 milioni di dollari, quindi competitivo. I giapponesi sono legati da un punto di vista spaziale agli americani, mentre i cinesi stanno sviluppando veicoli spaziali loro, anche se chiaramente ispirati a quelli russi. Hanno un programma lento ma metodico, e potrebbero stupirci. L’Europa si affiderà ai lanciatori americani, non avendo mezzi propri».

A proposito della Russia: la Soyuz andrà in pensione? Con quali conseguenze?

«Il prossimo lancio Soyuz verso la stazione spaziale è previsto per il prossimo ottobre. Gli americani hanno prenotato ulteriori voli con la Soyuz in attesa che l’accordo con SpaceX sia intensificato. È inoltre previsto uno scambio di posti a bordo di Dragon e Starliner per i cosmonauti russi. I russi avranno notevoli introiti economici in meno, ma offriranno voli ad altri Paesi come l’India. Proprio tuttora sono in fase di addestramento un astronomo indiano e uno saudita. Inoltre, dovendo incrementare il proprio bilancio spaziale, è previsto che alla fine del 2021 la Soyuz volerà con la missione MS20 – con a bordo due astronauti-turisti non professionisti e il comandante (russo) che trascorreranno il capodanno in orbita sulla Stazione spaziale. L’agenzia spaziale russa Roscosmos sta sviluppando una nuova capsula spaziale – la Federatia, nome non molto fantasioso! – molto più grande, per sostituire le Soyuz ormai veterane e poter puntare alla Luna per il 2030».

Cos’altro ci riserva il futuro dei viaggi spaziali?

«Non lo so esattamente, di certo trovo difficile che potremo assistere all’arrivo su Marte, mentre un ritorno sulla Luna lo vedo molto più probabile. Di certo un po’ di “fantaspazio” potremo viverlo con gli attori del grande cinema che andranno in orbita di persona e non con effetti cinematografici: pare proprio che si sia concluso un accordo di massima tra la Nasa, SpaceX e Tom Cruise per realizzare un film sulla Stazione spaziale internazionale. Non ci resta che aspettare».


Per saperne di più, leggi gli altri articoli dello “Speciale Demo-2” su Media INAF:

Su Coelum Astronomia: La Crew Dragon sulla rampa di lancio. Tutto pronto per il primo lancio abitato da suolo americano dal 2011. Dove vedere la diretta del lancio anche con commento in italiano



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Gruppo Astronomico Tradatese

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Conferenze in Diretta Streaming sul Sito del GAT, inizio ore 21:00. Le conferenze registrate saranno poi disponibili sulla pagina youtube dell’associazione.

25.05: “L’utilizzo dei Raggi Cosmici nello studio di pianeti e asteroidi” di Marco ARCANI (https://www.astroparticelle.it)
08.06: “Anno 2024, ritorno sulla Luna” di Piermario ARDIZIO
22.06: “Verso Marte alla ricerca della vita” di Cesare GUAITA.
Info:
http://www.gruppoastronomicotradatese.it/

La Crew Dragon sulla rampa di lancio. Tutto pronto per il primo lancio abitato da suolo americano dal 2011.

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Da sinistra, Robert Behnken e Douglas Hurley, arrivati a Cape Canaveral il 20 maggio, posano per una foto dopo aver parlato ai media in vista del lancio del 27 maggio. A fianco il logo dell'evento che, dopo nove anni, vedrà nuovamente un lancio abitato partire dal suolo americano. Photo credit: NASA/Kim Shiflett

L’America è sul punto di compiere il primo vero passo per tornare ad essere indipendente dalla Roscosmos per quel che riguarda il trasporto degli astronauti verso la Stazione Spaziale. Ma si tratta anche di una indipendenza a più ampio spettro, che segue le nuove politiche dell’Agenzia Spaziale, volute da Trump, per portare avanti tutti i successivi passi di colonizzazione, militarizzazione e privatizzazione dello spazio.

Il comunicato stampa della NASA sottolinea infatti come si tratti di “una nuova era”, per la storia del volo spaziale umano ma sottolineando “per gli astronauti americani che useranno un razzo americano in partenza dal suolo americano”. Certamente un’operazione commerciale che manda un messaggio anche alla politica spaziale internazionale, ma in ogni caso un passo importante nella storia dell’esplorazione spaziale, soprattutto per l’ingresso delle aziende private seppur sotto il controllo della NASA.

Un passo però non senza qualche nube grigia… gira infatti la notizia che il responsabile del Volo umano della Nasa, Douglas Loverro, abbia dato le dimissioni alla vigilia di una delle più importanti riunioni per la missione, la revisione finale in vista del volo della Crew Dragon che Loverro avrebbe dovuto presiedere. Secondo le indiscrezioni la ragione sarebbe legata più al programma Artemis, dalla notizia rilasciata dall’ANSA si legge che le dimissioni «sarebbero state comunicate dalla Nasa ai suoi dipendenti senza che venisse specificato un motivo. In una lettera citata dai media, infine, Loverro avrebbe scritto di aver “preso una decisione rischiosa”, aggiungendo di avere fatto a riguardo “un errore” del quale dovrà “sopportare le conseguenze”».

Il Falcon 9 viene messo in verticale sul pad al Launch Complex 39A, una ripresa del 21 maggio in preparazione della missione Demo-2. (NASA/Bill Ingalls)

Nel frattempo però le operazioni continuano. Robert Behnken e Douglas Hurley sono i due astronauti scelti per volare come equipaggio nella navetta Crew Dragon della Space X, l’azienda del poliedrico Elon Musk, che verrà lanciata a bordo di un Falcon 9, sempre Space X, se tutto va bene, alle 16:33 (EDT, quindi alle 22:33 ora italiana) del 27 maggio, dal Launch Complex 39A in Florida.
Il lancio è il primo test fatto in orbita con equipaggio e sarà anche il test finale, denominato Demo-2, che validerà definitivamente il sistema di trasporto della compagnia e che include un “pacchetto completo” di launchpad, razzo vettore, navicella e capacità operativa.

Behnken e Hurley sono tra i primi astronauti ad essersi esercitati e preparati per la nuova generazione di veicoli spazili della Space X, scelti per la loro esperienza e per la partecipazione a numerose missioni comprese alcune con gli space shuttle.

I due astronauti , (Bob Behnken a sinstra e Douglas Hurley a destra) con indosso le tute Space X per il volo umano, durante i test di fine marzo della Crew Dragon.

Behnken sarà comandante della missione, per le operazioni di rendezvous, docking e undocking, e di tutte le attività che si svolgeranno con la navicella agganciata alla stazione spaziale. È diventato astronauta nel 2000, ha portato a termine due voli con lo Space Shuttle (STS-123 nel marzo 2008 e STS-130 nel febbraio 2010). Al suo attivo ha anche tre passeggiate spaziali per ogni missione. È laureato in fisica e ingegneria meccanica alla Washington University, con un master e dottorato in ingegneria meccanica presso il California Institute of Technology. Prima di entrare alla NASA, Behnken lavorava come ingegnere in test di volo per la U.S. Air Force.

Hurley sarà il comandante della Crew Dragon per la missione Demo-2, responsabile delle attività dal lancio, all’atterraggio fino al rientro a Cape Canaveral. È diventato astronauta anche lui nel 2000 e come Behnken ha completato due voli spaziali: come pilota e operatore sia a luglio 2009 nella STS‐127, che a luglio 2011 nella STS‐135, l’ultima missione degli space shuttle. È laureato in ingegneria civile alla Tulane University in Louisiana e diplomato alla U.S. Naval Test Pilot School nel Maryland. Prima di entrare alla NASA era pilota da caccia e pilota collaudatore per il U.S. Marine Corps.

La passerella di accesso che gli astronauti percorrerranno per entrare nella Crew Dragon, viene messa in posizione una volta messo in verticale il Falcon 9. Crediti: NASA/Bill Ingalls

Raggiungeranno il launchpad, a bordo di una Tesla Model X, 3 ore prima del liftoff. Dopo il lancio, una volta in orbita, sia l’equipaggio a bordo che il centro controllo a terra, verificheranno le prestazioni della navicella e i sistemi di controllo ambientali, assicurandosi che tutto funzioni a dovere, dai display ai sistemi di controllo, alla propulsione per le manovre. In 24 ore la navicella sarà in posizione per l’incontro e l’aggancio alla stazione spaziale, verso le 17:30 del 28 maggio La Crew Dragon è in grado di eseguire tutte le operazioni in autonomia ma verranno comunque monitorate con attenzione sia da Behnken e Hurley che dagli astronauti a bordo della stazione spaziale, per poter prendere il controllo in caso di necessità.

Dopo l’attracco alla ISS, i due astronauti saranno accolti all’interno della stazione e diventeranno membri della Expedition 63. Continueranno però i test sulla Crew Dragon, oltre alle previste ricerche e agli altri compiti che ogni astronauta della stazione spaziale deve portare a termine.

La durata della missione non è ancora stata decisa, infatti, nonostante la Crew Dragon possa restare in orbita fino a circa 110 giorni, la durata della missione dipenderà anche dal tempo necessario perché sia pronto il successivo lancio. Quando sarà operativa, la Crew Dragon potrà restare in orbita fino a 210 giorni, come richiesto dalla NASA.

Alla fine della missione, la Crew Dragon si sgancerà in autonomia con i due astronauti a bordo e rientrerà in atmosfera, con uno splashdown al largo delle coste della Florida. I due astronauti verranno quindi recuperati dal Go Navigator sempre della Space X e portati a Cape Canaveral.

Se tutto andrà bene si aprirà la strada a missioni di lunga durata in autonomia per gli astronauti americani, in preparazione anche alla futura esplorazione della Luna e di Marte, al via con il programma artemis che porterà la prima donna e nuovamente l’uomo sulla superficie lunare nel 2024.

Il lancio può essere seguito in diretta dalle 18:15 ora italiana del 27 maggio, sul sito della SpaceX e su NASA TV nei canali YouTube, Rokum, Pluto e Twtich TV dell’agenzia e ovviamente sul sito ufficiale. Troverete la trasmissione anche sulla home page del nostro sito coelum.com

Tra i tour a 360° all’interno della Space X qui quello dedicato alla Crew Dragon

E come sempre, gli amici di Astronauticast seguiranno in diretta con commento in italiano il lancio della Crew Dragon DM-2 con a bordo Douglas Hurley e Robert Behnken. Il decollo è previsto per le 22:33 ora italiana, ma saranno live già dalle 21:00 (sia su Youtube che su Facebook). Ma non saranno gli unici, anche il CICAP e il Gal Hassin avranno le loro dirette, oltre ad essere visibile su Focus TV (Canale 35) a partire dalla 21:15 e su Sky TG 24 (Canale 50) alle ore 22:15.
Qui di seguito le dirette NASA, Astronauticast e CICAP.



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Un pianeta che nasce

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Nell'immagine vediamo il disco di polveri che avvolge il sistema di AB Aurigae. Sulla destra il dettaglio centrale, nel riquadro rosso, dell'immagine di sinistra. Mostra la regione più interna della regione incluso un piccolo vortice giallo brillante che indica il punto in cui il pinaeta di sta formando, e si trova distante dalla stella quanto Nettuno dal Sole. il cerchietto in blu indica proprio le dimensioni dell'orbita di Nettuno. Crediti: ESO/Boccaletti et al.
Nell'immagine vediamo il disco di polveri che avvolge il sistema di AB Aurigae. Sulla destra il dettaglio centrale, nel riquadro rosso, dell'immagine di sinistra. Mostra la regione più interna del disco incluso un piccolo vortice giallo brillante, un "nodo", che indica il punto in cui il pianeta di sta formando. Il nodo e si trova distante dalla stella quanto Nettuno dal Sole. il cerchietto in blu indica proprio le dimensioni dell'orbita di Nettuno. Crediti: ESO/Boccaletti et al.

Intorno alla giovane stella AB Aurigae si trova un denso disco di polvere e gas in cui gli astronomi hanno individuato una struttura a spirale prominente con un “nodo” che segna il luogo in cui si starebbe formando un pianeta. La struttura osservata potrebbe essere la prima prova diretta della nascita di un pianeta.

«Migliaia di esopianeti sono stati identificati finora, ma non si sa ancora molto sul loro processo di formazione», spiega Anthony Boccaletti, dell’Osservatorio di Parigi, Università PSL, Francia, alla guida dello studio.

Gli astronomi sanno che i pianeti nascono all’interno di dischi di polveri che circondano le stelle giovani, come AB Aurigae, a mano a mano che il gas freddo e la polvere si aggregano. Le nuove osservazioni effettuate con il VLT dell’ESO, pubblicate dalla rivista Astronomy & Astrophysics, forniscono indizi cruciali per aiutare gli scienziati a comprendere meglio questo processo.

«È necessario osservare sistemi molto giovani per catturare davvero il momento in cui i pianeti si formano», continua Boccaletti. Ma finora gli astronomi non erano stati in grado di acquisire immagini sufficientemente nitide e profonde di questi giovani dischi per trovare l’indicazione che segna il punto in cui un piccolo pianeta potrebbe nascere.

Il "nodo" del pianeta nascente nel cuore del sistema AB Aurigae ripreso grazie allo strumento Sphere montanto sul VLT dell'ESO. Crediti: ESO/Boccaletti et al.

Le nuove immagini mostrano una straordinaria spirale di polvere e gas intorno a AB Aurigae, una stella a 520 anni luce dalla Terra nella costellazione dell’Auriga. Spirali di questo tipo segnalano la presenza di pianeti neonati, che “scalciano” il gas, creando «disturbi nel disco sotto forma di un’onda, un po’ come la scia di una barca su un lago», spiega Emmanuel Di Folco del Laboratorio Astrofisico di Bordeaux (LAB), Francia, che ha partecipato allo studio. Mentre il pianeta ruota intorno alla stella centrale, questa onda prende la forma di un braccio a spirale. La regione, ripresa nell’immagine di apertura, in cui si vede il “nodo” giallo e brillante vicino al centro di AB Aurigae, che si trova a una distanza dalla stella pari a circa quella di Nettuno dal Sole, è uno di questi siti di disturbo in cui il gruppo di lavoro ritiene si stia formando un pianeta.

L'immagine del sistema ottenuta dalle osservazioni di Alma nel 2017. Nell'immagine vediamo in rosso il disco di polveri, e in blu i riccioli di gas, con un evidente gap che indica come il gas e le polveri si stiano raccogliendo nella formazione di un pianeta. Credit: ALMA (ESO/NAOJ/NRAO)/Tang et al.

Le osservazioni del sistema AB Aurigae fatte alcuni anni fa con ALMA (Atacama Large Millimeter/submillimeter Array), di cui ESO è un partner, hanno fornito i primi indizi sulla formazione del pianeta in corso intorno alla stella. Nelle immagini di ALMA, gli scienziati hanno individuato due bracci di gas a spirale vicino alla stella, all’interno della regione interna del disco. Quindi, nel 2019 e all’inizio del 2020, Boccaletti e un gruppo di astronomi provenienti da Francia, Taiwan, Stati Uniti d’America e Belgio si sono dedicati a catturarne un’immagine più chiara puntando verso la stella lo strumento SPHERE montato sul VLT.

Le immagini di SPHERE sono le più profonde del sistema AB Aurigae ottenute fino a oggi.
Grazie alla sua potenza, gli astronomi hanno potuto vedere la debole luce emessa dai piccoli granelli di polvere e l’emissione proveniente dal disco interno. Hanno potuto quindi confermare la presenza dei bracci a spirale rilevati per la prima volta da ALMA e hanno anche individuato un’altra caratteristica notevole, un “nodo”, che indica la presenza di formazione planetaria in corso nel disco.
«Il ‘nodo’ è previsto secondo alcuni modelli teorici di formazione dei pianeti», afferma la coautrice Anne Dutrey, che lavora a LAB. «Corrisponde alla connessione di due spirali – una che si avvolge verso l’interno dell’orbita del pianeta, l’altra che si espande verso l’esterno – che si uniscono proprio alla posizione del pianeta. Consentono al gas e alla polvere del disco di accumularsi sul pianeta in formazione e farlo crescere».

L’ESO sta ora costruendo l’ELT, il telescopio estremamente grande da 39 metri, che attingerà al lavoro all’avanguardia di ALMA e SPHERE per studiare mondi extrasolari. Come spiega Boccaletti, questo potente telescopio consentirà agli astronomi di ottenere vedute ancora più dettagliate dei pianeti mentre si formano, e conclude: «Dovremmo essere in grado di vedere direttamente e più precisamente come la dinamica del gas contribuisce alla formazione dei pianeti».

Questo lavoro è stato presentato nell’articolo “Are we witnessing ongoing planet formation in AB Aurigae? A showcase of the SPHERE/ALMA synergy” pubblicato dalla rivista Astronomy & Astrophysics (doi: 10.1051/0004-6361/202038008).



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Planetario di Torino

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home-infinitoIl planetario Infini.to  continua a raccontarvi la meraviglia del cielo. Approfittiamo di queste settimane in cui #restiamoacasa e vi parliamo di stelle, costellazioni e pianeti. Potete trovare video, interviste, racconti e risorse per bambini direttamente sul nostro sito divisi in tre principali categorie: Kids, I racconti del Cielo e News dallo Spazio
www.planetarioditorino.it/infinito/

Venere e Mercurio al chiaro di una sottile falce di Luna

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Proponiamo un’altra bella congiunzione tra due pianeti brillanti, la grande protagonista del periodo, Venere, e un più timido Mercurio, che raramente si esibisce in spettacoli di questo tipo. Merito senza dubbio dell’ottima apparizione serale del piccolo pianeta in maggio, che lo porterà sufficientemente in alto sull’orizzonte occidentale per incontrare altri attori di questo spettacolo celeste.

La sera del 20 maggio, guardando verso ovest, con il cielo ancora illuminato dalle colorate luci del tramonto, sarà possibile distinguere due astri brillanti: Venere (mag. –4,4) alto circa 10° sull’orizzonte, e, a circa 3° 15’ più sotto, Mercurio (mag. –0,8).

Le fasi di Venere del Gruppo astrofili Palidoro (cliccare sull'immagine per i dettagli della ripresa).

Nei giorni a venire, sempre alla stessa ora, vedremo Venere, nel suo rapido moto di discesa, portarsi sempre più vicino all’orizzonte, mentre Mercurio, al contrario, scala lentamente il cielo, in un movimento che porterà i due pianeti ad abbracciarsi la sera del 22 maggio, in una stretta congiunzione di appena poco più di 1° di separazione.

Potremo apprezzare la congiunzione anche al binocolo (o al telescopio) e sarà possibile vedere la fase di Venere che, in questo periodo, ci apparirà come una falce.

La sera del 23 maggio a questo bel quadretto si aggiungerà, bassissima sull’orizzonte, anche una sottile falce di Luna di 1 giorno di età (fase dell’1%), che già alle 21:43 tramonterà lasciando quindi ben poco spazio alla sua eventuale osservazione.

La seguente serata, il 24 maggio, l’appuntamento sarà con una falce di 2 giorni (fase del 2%) che alle ore 21:30 individueremo a un’altezza iniziale di +10° in attesa del suo tramonto previsto per le 22:45 preceduta dal pianeta Venere (distanza di 8°) e affiancata dal pianeta Mercurio (distanza di 4°).

Anche in questo caso, consigliamo di riprendere fotograficamente il fenomeno, magari mettendo in risalto il moto “incrociato” dei due brillanti pianeti.

Le effemeridi di Luna e Pianeti le trovi nel Cielo di Maggio 2020 su coelum.com


Tutti consigli per l’osservazione del Cielo di Maggio su Coelum Astronomia 244

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Allineamento perfetto per i pianeti di Trappist-1

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Impressione artistica del sistema Trappist-1. Crediti: Naoj
Impressione artistica del sistema Trappist-1. Crediti: Naoj

Utilizzando il telescopio Subaru – costruito dall’Osservatorio astronomico nazionale del Giappone sulla cima del vulcano Mauna Kea, alle Hawaii – alcuni astronomi sono stati in grado di determinare che i pianeti simili alla Terra del sistema Trappist-1 non sono significativamente disallineati con la rotazione della stella. È un risultato importante, che aiuta a comprendere l’evoluzione dei sistemi planetari attorno a stelle di massa molto bassa; in particolare, l’evoluzione dei pianeti che orbitano attorno a Trappist-1, compresi quelli vicino alla zona abitabile.

Le stelle come il Sole non sono statiche, ma ruotano attorno al proprio asse. Chiaramente questa rotazione è più evidente quando esistono caratteristiche come le macchie solari sulla superficie della stella. Nel Sistema solare, le orbite di tutti i pianeti sono allineate entro sei gradi con la rotazione del Sole. In passato si ipotizzava che le orbite planetarie fossero allineate con la rotazione della stella, ma in realtà ora ci sono molti esempi di esopianeti le cui orbite sono fortemente disallineate con la rotazione della loro stella. La domanda allora sorge spontanea: i sistemi planetari possono formarsi fuori allineamento oppure i sistemi disallineati che sono stati osservati, sono nati allineati e solo in seguito, per qualche perturbazione, hanno perduto l’allineamento rispetto alla stella?

Il sistema Trappist-1 ha attirato l’attenzione degli astronomi perché ha tre piccoli pianeti rocciosi situati nella zona abitabile, o comunque molto vicino a essa, dove cioè potrebbe esistere acqua liquida. La stella centrale è una stella fredda e di massa molto bassa, una nana M, e quei pianeti le sono molto vicini. Questo sistema planetario è molto diverso dal Sistema solare. Determinarne la storia è importante perché potrebbe aiutare a capire se uno qualsiasi dei pianeti potenzialmente abitabili è effettivamente abitabile. Ma il sistema è interessante anche perché è privo di oggetti vicini che potrebbero perturbare le orbite dei pianeti, il che significa che le orbite dovrebbero essere prossime a quelle in cui i pianeti si sono formati. Quindi offre agli astronomi la possibilità di studiare le condizioni primordiali del sistema.

Illustrazione che mostra l’effetto di Rossiter–McLaughlin. L’osservatore è situato in basso. La luce proveniente dalla stella, che ruota in senso antiorario, è spostata verso il blu sul lato in avvicinamento, e verso il rosso nel lato opposto. Man mano che il pianeta passa di fronte alla stella, blocca prima la luce spostata verso il blu, poi quella verso il rosso, dando l’impressione che la velocità radiale apparente della stella vari, anche se in realtà resta costante. Crediti: Wikimedia Commons

Poiché le stelle ruotano su se stesse, la velocità relativa del lato della stella che ruota verso di noi sarà diversa da quella del lato che si sta allontanando. In altre parole, la luce proveniente dal lato della stella che viene verso di noi è spostata verso il blu, mentre la luce che proviene dal lato della stella che si sta allontanando da noi è spostata verso il rosso. Se un pianeta transita tra la stella e la Terra, blocca una piccola parte della luce emessa dalla stella, ed è possibile dire quale bordo della stella il pianeta stia attraversando per primo, quello che si sta allontanando o quello che si sta avvicinando. Questo fenomeno si chiama effetto Rossiter-McLaughlin. Usando questo metodo, è possibile misurare il disallineamento tra l’orbita del pianeta e la rotazione della stella. Tuttavia, fino ad ora tali osservazioni sono state limitate a grandi pianeti, delle dimensioni di Giove o Nettuno.

Un gruppo di ricercatori, tra i quali diversi membri del Tokyo Institute of Technology e del Centro di Astrobiologia in Giappone, ha osservato Trappist-1 con il Subaru Telescope per cercare un eventuale disallineamento tra le orbite planetarie e la stella. Il team ha approfittato del fatto che, il 31 agosto 2018, tre degli esopianeti in orbita attorno a Trappist-1 sono transitati di fronte alla stella in una sola notte. Due dei tre erano pianeti rocciosi vicino alla zona abitabile. Poiché le stelle di bassa massa sono generalmente deboli, fino ad ora è stato impossibile sondare l’obliquità stellare (l’inclinazione assiale di una stella rispetto al piano orbitale di uno dei suoi pianeti) per Trappist-1. Ma grazie all’apertura del telescopio Subaru e all’elevata risoluzione spettrale del nuovo spettrografo a infrarossi Ird, il team è stato in grado di misurare e scoprire che l’obliquità è bassa, prossima allo zero. Questa è la prima misurazione dell’obliquità stellare per una stella a massa molto bassa come Trappist-1, nonché la prima misurazione di Rossiter-McLaughlin per pianeti nella zona abitabile.

Subaru Telescope., sulla sommità del monte Mauna Kea, alle Hawaii. Crediti: Wikimedia Commons

Il leader del team, Teruyuki Hirano del Tokyo Institute of Technology, però avverte: «I dati suggeriscono l’allineamento dell’asse di rotazione stellare con gli assi orbitali dei pianeti, ma la precisione delle misurazioni non è abbastanza buona da escludere completamente un piccolo disallineamento delle orbite. Questa è la prima rilevazione dell’effetto con pianeti simili alla Terra e ulteriori studi caratterizzeranno meglio questo straordinario sistema di esopianeti».

Per saperne di più:

  • Leggi su The Astrophysical Journal Letters l’articolo “Evidence for Spin–Orbit Alignment in the TRAPPIST-1 System“,  di Teruyuki Hirano, Eric Gaidos, Joshua N. Winn, Fei Dai, Akihiko Fukui, Masayuki Kuzuhara, Takayuki Kotani, Motohide Tamura, Maria Hjorth, Simon Albrecht, Daniel Huber, Emeline Bolmont, Hiroki Harakawa, Klaus Hodapp, Masato Ishizuka, Shane Jacobson, Mihoko Konishi, Tomoyuki Kudo, Takashi Kurokawa, Jun Nishikawa, Masashi Omiya, Takuma Serizawa, Akitoshi Ueda e Lauren M. Weiss


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Astronomiamo

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Locandina Astronomiamo maggioElenco delle dirette:
7.05: Starlink: tra detriti e astronomia. Diretta dal CNR
21.05: La Luna nelle missioni recenti

Informazioni:

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Accademia delle Stelle

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2020-05 Coelum AdSCorsi online!
Riprendono su piattaforma telematica

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Tutti i lunedì: Corso avanzato di Astronomia e Astrofisica
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Il lampo radio più veloce della galassia

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Impressione artistica di un Fast Radio Burst in viaggio verso la Terra. I colori rappresentano il fascio di luce che arriva a diverse lunghezze d’onda nella banda radio. In blu le lunghezze d’onda più corte, che arrivano svariati secondi prima di quelle in rosso, che corrispondono invece a lunghezze d’onda maggiori. Questo effetto si chiama dispersione ed è dovuto al fatto che il segnale radio passa attraverso a del plasma. Crediti: Jingchuan Yu, Planetario di Pechino
Impressione artistica di un Fast Radio Burst in viaggio verso la Terra. I colori rappresentano il fascio di luce che arriva a diverse lunghezze d’onda nella banda radio. In blu le lunghezze d’onda più corte, che arrivano svariati secondi prima di quelle in rosso, che corrispondono invece a lunghezze d’onda maggiori. Questo effetto si chiama dispersione ed è dovuto al fatto che il segnale radio passa attraverso a del plasma. Crediti: Jingchuan Yu, Planetario di Pechino

lampi radio veloci, conosciuti come Frb (acronimo di Fast Radio Bursts), sono esplosioni di onde radio molto intense che durano poche frazioni di secondo, provenienti da tutto il cielo e la cui origine è ancora sconosciuta.

La storia e le ultime scoperte sui misteriosi lampi radio veloci nell'approfondimento di Coelum Astronomia 244 di maggio. Online in formato digitale e gratuito. Clicca sull'immagine e leggi!
Il primo Frb è stato scoperto nel 2007, nei dati di archivio dell’osservatorio di Parkes, e a oggi ne sono stati scoperti una cinquantina, tutti di origine extragalattica.

Pochi giorni fa, il 28 aprile 2020, mentre l’umanità era impegnata a combattere un nemico invisibile che ha portato alla chiusura di moltissime attività, tra cui quelle di ricerca nelle strutture osservative (si veda lo speciale telescopi nei giorni del Coronavirus), il radiotelescopio canadese Chime (Canadian Hydrogen Intensity Mapping Experiment), uno strumento progettato specificamente per studiare fenomeni come i lampi radio veloci, ha rivelato qualcosa di molto particolare. In realtà non stava puntando direttamente verso la sorgente oggetto della scoperta ma il segnale è stato così forte da essere ugualmente catturato dal radiotelescopio, per così dire, con la coda dell’occhio. La sua potenza e la sua durata sono state paragonabili a quelle dei Frb osservati fino ad oggi.

Ma che qualcosa si stesse muovendo, in quella regione di cielo, si era visto anche il giorno prima, il 27 aprile, quando lo Swift Burst Alert Telescope aveva rilevato una serie di lampi gamma provenienti dalla stessa zona di cielo, che erano stati associati a un oggetto noto, chiamato Sgr 1935+2154: un cosiddetto Sgr (soft gamma repeater), ossia un oggetto astronomico che emette grandi esplosioni di raggi gamma e raggi X a intervalli irregolari. In particolare, Sgr 1935+2154 è un vecchio residuo stellare che si trova nella Via Lattea, a circa 30mila anni luce di distanza, nella costellazione della Volpetta. Il lampo X è stato osservato anche da telescopi a raggi X terrestri e spaziali, tra cui il nostro piccolo e abilissimo Agile, il satellite tutto italiano, risultato della collaborazione tra Asi, Inaf e Infn, insieme al Cnr e all’industria nazionale.

L’astrofisico Marco Tavani, principal investigator di Agile, che è riuscito a misurare l’evento con il rivelatore a raggi X-duri chiamato Super-Agile

Nessun Frb era mai stato associato a raggi X o gamma, prima. Questa osservazione, se davvero si è trattato di un Frb, ci mostra qualcosa di completamente nuovo, ed è una scoperta che potrebbe aiutare a risolvere uno dei più grandi misteri dell’astronomia. E, come se questo non bastasse a rendere la scoperta speciale, gli astronomi pensano di aver identificato la fonte dell’esplosione. Media Inaf ha raggiunto l’astrofisico Marco Tavaniprincipal investigator di Agile e coinvolto in prima persona nella scoperta, che ci ha raccontato nel dettaglio com’è andata e perché è così importante.

Cos’è successo esattamente il 28 aprile?

«La scoperta del 28 aprile di emissione X in contemporanea con un fortissimo impulso (doppio) radio della durata di una frazione di secondo dalla magnetar Sgr 1935+2154 è di importanza enorme, poiché ci avvicina alla comprensione dei cosiddetti Fast Radio Bursts (Frb). L’impulso radio ha caratteristiche molto simili agli Frb che attendono una spiegazione: sappiamo che arrivano da sorgenti al di fuori della nostra galassia, ma la natura delle sorgenti ultime del fenomeno è ancora misteriosa. Ora con la rivelazione di un impulso radio associato a un lampo X nella Via Lattea da parte di una stella di neutroni fortemente magnetizzata, appunto la Sgr 1935+2154, è come vedere un po’ di luce alla fine del tunnel per la comprensione degli Frb. Inoltre, è la prima volta che si rivela una breve emissione di raggi X (burst-X) associata al super-impulso radio, e questo fatto sarà di fondamentale importanza per capire il meccanismo di generazione dei Frb».

Una rottura nella crosta di una stella di neutroni altamente magnetizzata, mostrata qui in un rendering artistico, può innescare eruzioni ad alta energia. Crediti: Goddard Space Flight Center/S della Nasa; Wiessinger

Che tipo di sorgente è Sgr 1935+2154?

«È una stella di neutroni nella nostra galassia con un campo magnetico cento volte più intenso di quello delle pulsar normali, e che quindi ruota molto lentamente (il suo periodo di rotazione è di 3.2 secondi) rispetto alle pulsar, poiché ha rallentato molto la sua rotazione proprio a causa del suo campo magnetico molto intenso. Per ragioni non ancora completamente capite, tale sistema, una magnetar, è soggetto a instabilità della sua configurazione magnetica che porta a emissioni X particolari, sequenze erratiche di burst-X a volte molto intensi, che si sovrappongono a una emissione continua X amplificata dalla superficie. La sorgente è stata rivelata nel 2014 per la prima volta, e occasionalmente si “riaccende”. Ora si è riattivata a metà aprile di quest’anno con una sequenza di decine-centinaia di burst-X che diversi satelliti hanno rivelato. Anche se molti dettagli delle magnetar non sono ancora pienamente compresi, è chiaro che si tratta di energia emessa per un’instabilità di tipo magnetico, che si manifesta con fenomeni impulsivi di emissione X che possono durare qualche secondo e con uno spettro di emissione particolare, troncato alle energie superiori ai 400 keV. Prima del 28 aprile, non erano stati rivelati super-impulsi radio associati a burst-X da nessuna magnetar della nostra galassia. Ora la situazione cambia radicalmente».

Quanti eventi avete rilevato e con quali strumenti, a bordo di Agile?

«Agile intorno al 27-28 aprile ha rivelato decine di burst-X dalla Sgr 1935+2154 che sembrano una sorta di “foresta”, quando li si vede in sequenza temporale. Sembrava un’attività “normale” di magnetar, quando poi c’è stata la rivelazione del super-impulso radio il 28 aprile. A quel punto abbiamo subito verificato il tempo di arrivo dell’impulso radio e fatto la scoperta di un burst-X rivelato dallo strumento Agile molto chiaramente in corrispondenza con il segnale radio. Il burst-X dura circa 0.5 secondi e ha uno spettro relativamente di bassa energia X, con nessuna emissione oltre i 100 keV circa. La scoperta è avvenuta con il rivelatore a raggi X-duri detto “Super-Agile”: uno strumento co-allineato con il rivelatore gamma del satellite Agile. Abbiamo cercato il segnale con altri rivelatori del satellite, il Mini-Calorimetro e l’Anticoincidenza attiva, ma non abbiamo rivelato nessun segnale in coincidenza, come conseguenza dello spettro di emissione del burst-X troncato alle alte energie oltre i 100 keV. Le stelle di neutroni magnetizzate sono quindi in grado di emettere super-impulsi radio di qualche decina di millisecondo in coincidenza con burst-X di un tipo che appare diverso rispetto ai burst-X della cosiddetta “foresta”. Infatti il nuovo burst-X è meno intenso e più soft degli altri, probabilmente prodotto da un meccanismo diverso da quelli della “foresta”».

Il satellite Agile, telescopio spaziale interamente made in Italy, in orbita attorno alla Terra, che ha conseguito risultati scientifici fondamentali, tra cui quello di aver rilevato il primo Frb di origine galattica. Crediti: Asi

Perché la scoperta è particolarmente degna di nota?

«È la prima volta che un burst-X è stato rivelato in coincidenza con un super-impulso radio del tipo Frb, e il fatto che sia stato osservato da una stella di neutroni galattica ci offre una “pistola fumante” riguardo alla natura di alcuni Frb, se non di tutti. Molti problemi rimangono per spiegare l’intera popolazione dei Frb, ma almeno possiamo avere un “aggancio” agli Frb più vicini, e in particolare alla sotto-classe degli Frb che si ripetono nei loro impulsi radio. L’impulso radio viene prodotto da accelerazioni impulsive di elettroni e positroni, e la scoperta di emissione X in simultanea con il radio ci pone di fronte a un fenomeno fisico complesso in cui l’accelerazione impulsiva ha caratteristiche molto interessanti e mai osservate in precedenza. Una “palestra” fondamentale per lo studio dei fenomeni di accelerazione e irraggiamento in oggetti astrofisici estremi. Inoltre, l’energetica del fenomeno è particolare. L’energia emessa nel radio è estremamente intensa per un oggetto galattico: ma se ponessimo la Sgr 1935+2154 a distanze grandi, come quelle di alcuni Frb vicini, l’evento radio sarebbe stato solo marginalmente rivelabile dai radiotelescopi più potenti. In termini assoluti, l’energia dell’impulso radio della Sgr 1935+2152 è solo cento volte inferiore a quella degli Frb vicini. Quindi magnetar più potenti potrebbero emettere impulsi radio più potenti, ed essere dunque assimilabili agli Frb che hanno distanze entro 100-200 megaparsec. È quindi ragionevole pensare che magnetar più potenti della Sgr 1935+2154 possano produrre gli impulsi radio che osserviamo in alcuni Frb vicini. Inoltre, l’emissione X offre la possibilità che burst-X siano rivelabili anche dagli Frb vicini. È questa una possibilità di enorme importanza, che è stata già studiata da Agile per gli Frb vicini e che sarà ancora più importante nei prossimi mesi. Astrofisica delle alte energie e radioastronomia italiane si ritrovano quindi vicine nello studio di questi eventi estremi. È importante notare che in Italia i radiotelescopi della Croce del Nord di MedicinaSrt in Sardegna sono coinvolti in queste settimane in osservazioni di Frb vicini e della Sgr 1935+2152 insieme ad Agile: un ottimo modo per lavorare insieme alla comprensione di questi fenomeni affascinanti».


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Messier 61 si riprende il podio: scoperta l’ottava supernova

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M 61 ripresa dal telescopi o spaziale Hubble. Una galassia definita "starbust", ovvero galassie con un tasso di formazione stellare molto alto, in cui gas e polveri della galassia che vengono consumati in un breve periodo di tempo (astronomicamente parlando) Credits: ESA/Hubble & NASA; Acknowledgment: G. Chapdelaine, L. Limatola and R. Gendler
Immagine della SN2020jfo ripresa da Paolo Campaner con un telescopio 400mm F.5,5 somma di 20 immagini da 75 secondi.

La bellissima galassia M 61, regina delle galassie Messier in fatto di esplosioni di supernovae, dopo essere stata raggiunta a gennaio 2020, sul gradino più alto del podio, dalla stupenda galassia M 100, si riprende lo scettro di prima della classe e raggiunge quota 8 supernovae.

Nella notte del 6 maggio infatti, al Palomar Observatory in California, il programma professionale americano Zwicky Transient Facility (ZTF) ha individuato un luminoso transiente a mag. +16, utilizzando il Samuel Oschin Telescope da 1,2 metri.

M 61 ripresa dal telescopi o spaziale Hubble. Una galassia definita "starbust", ovvero galassie con un tasso di formazione stellare molto alto, in cui gas e polveri della galassia che vengono consumati in un breve periodo di tempo (astronomicamente parlando) Credits: ESA/Hubble & NASA; Acknowledgment: G. Chapdelaine, L. Limatola and R. Gendler

M 61, la galassia ospite, è una spirale barrata posta nell’ammasso della Vergine e distante circa 50 milioni di anni luce, scoperta il 5 maggio 1779 dall’italiano Barnaba Oriani. È accompagnata da due più piccole galassie a spirale, poste leggermente a nord, NGC 4303A a est e NGC 4292 a ovest.

Appena 17 ore dopo la scoperta, dall’Osservatorio del Roque de los Muchachos nelle Isole Canarie con il Liverpool Telescope da 2 metri è stato ottenuto lo spettro di conferma. La SN2020jfo, questa la sigla definitiva assegnata, è una giovane supernova di tipo II scoperta circa una settimana prima del massimo di luminosità.

Immagine a colori della SN2020jfo, in cui vediamo le due galassie vicine NGC 4303A a est e NGC 4292 a ovest, il nord è verso l'alto. Ripresa da Rolando Ligustri in remoto dal New Messico con telescopio Dall-Kirkham 500mm F.4,5 + ccd PL11002.

Nei giorni seguenti la scoperta la luminosità del transiente è aumentata e in questa settimana raggiungerà il massimo intorno alla mag. +13,5/+14,0.

Vi invitiamo quindi all’osservazione e alla ripresa, così come al controllo di eventuali immagini effettuate nei giorni della scoperta…


Immagine ripresa da Manfred Mrotzek dal Backyard Observatory in Buxtehude – Germania con un telescopio TEC 140 mm F.5,4 + ccd Atik 460EX. Cliccare per l'immagine a tutto campo.

Dopo il massimo di luminosità questa supernova di tipo II potrebbe prendere due strade: diventare una supernova di tipo II-L la cui curva di luce diminuirà in maniera costante (lineare) oppure entrare nella fase di plateau, diventando una supernova di tipo II-P e mantenere una luminosità costante per un periodo standard che di solito è intorno ai 100 giorni. Questo secondo scenario è forse il più probabile, perché lo spettro ottenuto con il Liverpool Telescope assomiglia molto alla SN1999gi, una supernova proprio di tipo II-P.

Come abbiamo già detto, M 61 detiene il record delle supernovae conosciute esplose in una galassia Messier. Ad esclusione della precedente, la SN2014dt, che fu classificata di tipo Ia-pec, tutte le altre, compresa l’attuale, sono state di tipo II.

Da segnalare sono le tre supernovae – la SN2014dt, appena citata, la SN2008in e la SN2006ov – scoperte dall’astrofilo del Sol Levante Koichi Itagaki, che hanno permesso dall’astrofilo giapponese di ottenere un record unico: mai nessuno è riuscito a scoprire ben tre supernovae nella stessa galassia.

Ma anche la SN1964F scoperta dal famoso astronomo italiano Leonida Rosino, che fu direttore dell’Osservatorio di Asiago dal 1956 e alla cui memoria, dopo la sua morte nel 1997, è stata intitolata la Stazione Osservativa di Asiago Cima Ekar.

Non possiamo inoltre non ricordare anche la SN1999gn scoperta dal nostro Alessandro Dimai, uno dei fondatori dell’ISSP, che purtroppo lo scorso anno ci ha lasciato.

Terminiamo con il telescopio spaziale a raggi X Swift che ha individuato una forte emissione di raggi X in corrispondenza della posizione della supernova. La cosa interessante è che lo stesso telescopio Swift dal 2008 a oggi aveva già individuato una debole emissione di raggi X nella stessa posizione della supernova.

Forse il transiente si stava preparando alla grande esplosione emettendo raggi X già 12 anni prima?

Segui la rubrica mensile dedicata alla ricerca di amatoriale di supernovae a cura di Fabio Briganti e Riccardo Mancini dell’ISSP (Italian Supernovae Search Project), pubblicata ogni mese su Coelum Astronomia.



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Astronautinews

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Schede bisettimanali a cura dell’ESA e ritradotte e selezionate appositamente per questa missione.
Andiamo alla scoperta dello spazio e della vita degli astronauti in una missione spaziale. Tante informazioni da leggere, domande su cui riflettere, ma anche attività pratiche, a volte giocando con carta, colori e forbici, fino alla costruzione di un razzo da lanciare in tutta sicurezza in casa!
Le attività sono adatte a due fasce di età: ai giovanissimi studenti delle scuole primarie, e ai loro “fratelloni” e alle loro “sorellone” della secondaria di primo grado.
https://www.astronautinews.it/category/missione-casa/

Gruppo Astronomico Tradatese

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Conferenze in Diretta Streaming sul Sito del GAT, inizio ore 21:00. Le conferenze registrate saranno poi disponibili sulla pagina youtube dell’associazione.

11.05: “L’origine cosmica di tutti gli elementi chimici” di Cesare GUAITA
25.05: “L’utilizzo dei Raggi Cosmici nello studio di pianeti e asteroidi” di Marco ARCANI (https://www.astroparticelle.it)
08.06: “Anno 2024, ritorno sulla Luna” di Piermario ARDIZIO
22.06: “Verso Marte alla ricerca della vita” di Cesare GUAITA.
Info:
http://www.gruppoastronomicotradatese.it/

La Luna di Maggio 2020 e l’osservazione dal settore sudovest verso nord (II parte)

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Le fasi della Luna in maggio, calcolate per le ore 00:00 in TMEC. La visione è diritta (Nord in alto, Est dell’osservatore a sinistra). Per le librazioni fare riferimento ai suggerimenti all'interno della rubrica sulla rivista.

Il mese si è aperto con una Luna gibbosa, appena uscita dal Primo Quarto, arrivando quindi al capolinea della fase crescente, e quindi al Plenilunio, alle ore 12:45 del 7 maggio in fase di 14 giorni, e dovremo attendere solo poche ore per vederla sorgere alle 20:43 contestualmente al tramonto del Sole.

Come sempre, il graduale avanzamento della Fase Calante ne limiterà inevitabilmente l’osservazione alle ore notturne, entrando in Ultimo Quarto alle ore 16:03 del 14 maggio in fase di 21 giorni I pochi coraggiosi che desidereranno osservare la Luna in Ultimo Quarto, non dovranno fare altro che programmare una piacevolissima sveglia nel pieno della notte in quanto alle ore 03:07 del 15 maggio sorgerà, preceduta dal pianeta Marte a poco più di 3°, una bella fase lunare in età di 22 giorni frequentemente snobbata per i motivi che conosciamo bene.

Il tempo a disposizione non sarà molto ma sufficiente per andare a individuare una innumerevole quantità di dettagli, con la non indifferente peculiarità che, in questo caso, prevalgono nettamente le vastissime e scure distese basaltiche dell’oceanus Procellarum con gli adiacenti mari Imbrium, Vaporum, Nubium e Humorum rispetto alla più elevata albedo delle rocce anortositiche riscontrabile nelle porzioni visibili degli altipiani nord e sud, oltre che in prossimità dell’estremo bordo ovest, senza trascurare le tre isole luminose a elevata albedo di Copernicus, Kepler e Aristarchus.

Continua, con maggiori dettagli, le librazioni più interessanti e altri consigli osservativi in la Luna di maggio su Coelum Astronomia 244 (digitale e gratuito)

A maggio osserviamo

26 e 27 maggio Dal settore sudest verso nord (Parte 2)

Come principale proposta osservativa, proseguiamo nell’osservazione delle strutture geologiche allontanandoci dal bordo lunare sud orientale per salire progressivamente verso nord (per la prima parte clicca sul bannerino qui a destra) avendo come target, tra l’altro, un complesso di grandi crateri tra cui le spettacolari coppie Vlacq-Rosenberger e Hommel-Pitiscus.

Nel mese in corso le osservazioni di questa interessante regione del nostro satellite vengono programmate a partire dal 26 maggio con la Luna in fase di 4 giorni a un’altezza iniziale che intorno alle ore 22:00 sarà di +23° rendendosi visibile per il resto della serata quando andrà a tramontare poco dopo la mezzanotte.

Tale proposta osservativa verrà estesa anche alla successiva serata del 27 maggio con una fase in età di 5 giorni e a un’altezza iniziale che alle ore 22:00 sarà di +31°, quindi leggermente più favorevole rispetto alla sera precedente, visibile fino alle primissime ore della notte seguente. Anche in queste serate, come per l’osservazione di aprile, basterà orientare il telescopio nel settore sudorientale della Luna scendendo a sud rispetto al grande cratere Janssen

➜ Leggi la guida dell’osservazione dal settore sudest verso nord (Parte 2)

Falci di Luna

Proseguono i consigli per l’osservazione delle formazioni lunari anche nella pagina dedicata alle Falci lunari di maggio sul numero 244. Si dovranno attendere per le falci mattutine il 19 e 20 maggio, mentre per le falci serali, dopo il plenilunio, dal 23 al 25 maggio.

E ci raccomandiamo… osserviamo sempre dal balcone di casa!

➜ Fotografiamo le sottili Falci di Luna

Consultate sempre le passate puntate della rubrica, perché molte formazioni sono già state già trattate anche in dettaglio.

Le effemeridi di Luna e Pianeti le trovi nel Cielo di Maggio 2020 su coelum.com


Tutti consigli per l’osservazione del Cielo di Maggio su Coelum Astronomia 244

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Luna, Giove, Saturno e Marte in corteo nel cielo del mattino… ma a distanza!

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Tre giorni di congiunzioni sui tetti. Enrico Serafini ci racconta la sua immagine su Coelum Astronomia di maggio. Clicca sull'immagine per la lettura gratuita.

Come dicevamo, l’orario non è proprio dei più comodi: le 3:30 circa. A dire il vero questa configurazione celeste si potrà ammirare altrettanto bene anche a orari leggermente più accettabili, nelle ore a ridosso dell’alba ma, ovviamente, gli astri coinvolti saranno più alti sull’orizzonte. Se vorrete scattare delle fotografie con una maggior possibilità di comporre inquadrature originali, che coinvolgano quindi elementi del paesaggio naturale o architettonico, inevitabilmente dovrete rassegnarvi a impostare la sveglia alle ore piccole.

Si inizia il giorno 12 maggio, ore 3:30: guardando verso sudest, tra le stelle del Sagittario potremo riconoscere facilmente la Luna (fase del 75%) a circa 5° 20’ da una brillante “stella” color giallo paglierino, il pianeta Giove (mag. –2,4). 4° 40’ più verso est, una seconda “stella” brillante segna la posizione di Saturno (mag. +0,5).

Questo trio, alto circa 18° sull’orizzonte, è il protagonista indiscusso di questa congiunzione, ma, guardando più verso est e più in basso, noteremo anche la presenza di un più debole astro, dallo spiccato color arancione: è Marte, che completa il quadro.

Tre giorni di congiunzioni sui tetti. Enrico Serafini ci racconta la sua immagine, ripresa durante la congiunzione tra il 18 e il 20 marzo, su Coelum Astronomia 245. Clicca sull'immagine per la lettura in formato digitale gratuito.

Nei giorni a seguire potremo osservare il lento moto dei pianeti maggiori, di Marte ma soprattutto della Luna, che cambierà posizione in modo netto (così come la sua fase, in continua diminuzione) da un giorno all’altro.

Il 13 maggio la Luna (fase del 65%) si sarà spostata più vicina a Saturno (separazione di poco più di 5°).Sarà questo il maggior cambiamento nei giorni fino al 15 maggio, quando il nostro satellite naturale, in fase di Ultimo Quarto, sarà in congiunzione con Marte, a poco più di 3° di distanza. I grandi pianeti, Giove e Saturno, appariranno praticamente immobili, con Saturno che ha invertito il suo moto (da diretto a retrogrado) il giorno 11 e Giove che sarà stazionario proprio il 14 maggio.

Complessivamente sarà una bella congiunzione da seguire, nonostante l’orario non proprio comodo, e un’ottima occasione di realizzare scatti fotografici su più giorni, come fatto da Enrico Serafini nella sua immagine “Tre giorni di congiunzioni sui tetti” presentata a pagina 104 del nuovo  numero di Coelum Astronomia di maggio.

Per qualche consiglio in più per una composizione di questo tipo, leggi anche:

➜ La Danza dei Pianeti Riprendiamo il movimento dei pianeti nel cielo con Giorgia Hofer.

Le effemeridi di Luna e Pianeti le trovi nel Cielo di Maggio 2020 su coelum.com


Tutti consigli per l’osservazione del Cielo di Maggio su Coelum Astronomia 244

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Il buco nero (in)visibile a occhio nudo!

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Una rappresentazione artistica del sistema triplo HR 6819. Nell'immagine vediamo in azzurro le orbite delle due stelle visibili, che compongono il sistema creduto bianrio. In rosso vediamo invece l'orbita del terzo componente invisibile, un buco nero di massa stellare, il più vicino alla Terra trovato finora. Il buco nero è invisibile, ma manifesta la propria presenza attraverso l'attrazione gravitazionale che causa il moto orbitale della stella, luminosa, a questo punto più "interna". Gli oggetti che formano questa coppia interna hanno all'incirca la stessa massa e orbite circolari. La scoperta è stata possibile grazie alle osservazioni con lo spettrografo FEROS installato sul telescopio da 2,2 metri presso l'Osservatorio di La Silla dell'ESO. Crediti: ESO/L. Calçada
Una rappresentazione artistica del sistema triplo HR 6819. Nell'immagine vediamo in azzurro le orbite delle due stelle visibili, che compongono il sistema creduto binario. In rosso vediamo invece l'orbita del terzo componente invisibile, un buco nero di massa stellare, il più vicino alla Terra trovato finora. La scoperta è stata possibile grazie alle osservazioni con lo spettrografo FEROS installato sul telescopio da 2,2 metri presso l'Osservatorio di La Silla dell'ESO. Crediti: ESO/L. Calçada

Si trova a soli 1000 anni luce dalla Terra, ed è il terzo componente invisibile di una stella finora creduta binaria. La stella, HR 6819, o meglio il sistema triplo si trova nella costellazione del Telescopio, una delle costellazioni dell’emisfero australe. È di magnitudine +5,35, quindi da un cielo buio e pulito, e con una buona vista, è visibile anche a occhio nudo, ma con un telescopio può essere risolta nelle sue due componenti visibili.

«Siamo rimasti veramente sorpresi quando ci siamo resi conto che questo è il primo sistema stellare con un buco nero che si può vedere a occhio nudo», ammette Petr Hadrava, scienziato emerito dell’Accademia delle Scienze della Repubblica Ceca a Praga e coautore della ricerca. Mentre Rivinius aggiunge: «Questo sistema contiene il buco nero più vicino alla Terra di cui siamo a conoscenza».

La panoramica mostra la regione di cielo, nella costellazione del Telescopio, in cui si trova HR 6819 (la brillante stella azzurra al centro). La veduta è stata prodotta a partire dalle immagini della DSS2 (Digitized Sky Survey 2). Anche se il buco nero è invisibile, le due stelle in HR 6819 possono essere viste, dall'emisfero meridionale, in una notte scura e serena anche senza l'ausilio di un binocolo o di un telescopio. Crediti: ESO/Digitized Sky Survey 2. Acknowledgement: Davide De Martin

Fino a questo momento HR 6819 era una “semplice” stella binaria, ma grazie alle osservazioni con il telescopio da 2,2 metri dell’MPG/ESO che si trova all’Osservatorio dell’ESO di La Silla in Cile, un team impegnato in uno studio su sistemi stellari binari si è accorto che, oltre ad orbitare una attorno all’altra a grande distanza, una delle due componenti stava anche ruotando attorno a qualcosa a distanza più ravvicinata, con un periodo di 40 giorni.

Dietrich Baade, astronomo emerito all’ESO di Garching e coautore dello studio, spiega: «Le osservazioni necessarie per determinare il periodo di 40 giorni dovevano essere distribuite su diversi mesi. Ciò è stato possibile solo grazie al sistema pionieristico di osservazione fornito dall’ESO, in base al quale le osservazioni sono eseguite dal personale dell’ESO per conto degli scienziati che le richiedono».

L’oggetto non era però visibile allo spettrografo FEROS montato sul telescopio. Studiando allora nel dettaglio l’orbita “interna” hanno potuto calcolare la massa di questa componente invisibile, che è risultata pari ad almeno quattro volte la massa solare e simile a quella della compagna attorno a cui orbita, avrebbe quindi dovuto essere visibile alla pari delle altre due compagne. A questo punto «un oggetto invisibile con una massa almeno 4 volte quella del Sole non può che essere un buco nero», spiega Thomas Rivinius, astronomo dell’ESO, a capo dello studio pubblicato dalla rivista Astronomy & Astrophysics.

Il terzo componente si è quindi rivelato essere un buco nero di massa stellare che, a differenza di quella che veniva considerata la norma, non interagisce violentemente con le sue compagne. I pochi (due dozzine) buchi neri scovati finora nella nostra galassia, infatti, sono sempre stati individuati grazie alla potente emissione di raggi X che emettono come risultato dell’interazione con l’ambiente che li circonda. La materia che interagisce con loro, forma un disco di accrescimento attorno all’orizzonte degli eventi del buco nero e, nel momento in cui viene inghiottita, emette energia in questa lunghezza d’onda. Tutto questo non è stato osservato in questo caso, ma questo significa anche che potrebbero essercene molti in giro, ben nascosti e… silenti in tutte le lunghezze d’onda. E già un secondo candidato è nel paniere del team.

«Ci siamo resi conto che anche un altro sistema, chiamato LB-1, potrebbe essere un sistema triplo, anche se avremmo bisogno di ulteriori osservazioni per stabilirlo con certezza», spiega Marianne Heida, che lavora con una borsa post-dottorato presso l’ESO e co-autrice dell’articolo. «LB-1 è un po’ più lontano dalla Terra ma ancora decisamente vicino in termini astronomici, quindi ciò significa che probabilmente esiste un numero molto maggiore di questi sistemi. Trovandoli e studiandoli possiamo imparare molto sulla formazione e l’evoluzione di quelle rare stelle che iniziano la loro vita con una massa pari a oltre 8 volte la massa del Sole e la terminano in un’esplosione di supernova che lascia come residuo un buco nero».

Buchi neri quindi davvero neri e basta, assolutamente invisibili se non per l’azione gravitazionale sulle compagne, e che probabilmente si sono formati dalla fusione di stelle all’interno di sistemi stellari multipli come questi.

L'astronomia multimessaggero nasce dall'associazione dell'astronomia tradizionale, che osserva le emissioni elettromagnetiche degli astri e dei fenomeni celesti, con l'astronomia gravitazionale, nata solo pochi anni fa. Ne abbiamo parlato in occasione della prima volta in cui una fonte di onde gravitazionali è stata "vista" anche attraverso la sua emissione nello spettro elettromagnetico. Cliccare per la lettura in formato digitale e gratuito.

Stiamo già studiando, inoltre, la fusione di sistemi binari attraverso l’astronomia gravitazionale, ma per studiare questo tipo di sistemi servono fusioni potenti, in grado di rilasciare enormi quantità di energia che diano vita a onde gravitazionali abbastanza ampie da essere rilevate dai nostri strumenti, quindi formati da buchi neri o stelle molto compatte e massicce, come le stelle di neutroni, spesso troppo remoti per essere studiati con altri metodi. In questo modo potremmo invece aver trovato un modo per studiare le interazioni e le fusioni di stelle  e buchi neri (o della nascita degli stessi) all’interno di sistemi multipli, con oggetti meno massivi, ma abbastanza vicini da poter essere studiati in quantità attraverso i nostri Osservatori a terra. Gli studiosi calcolano infatti che all’interno della Via Lattea potrebbero essere numerosi e addirittura più comuni di quanto si pensasse.

Il telescopio da 2,2 metri dell'MPG/ESO che si trova all'Osservatorio dell'ESO di La Silla in Cile sovrastato dalla Via Lattea. Crediti: ESO/José Francisco Salgado (josefrancisco.org).

«Devono esserci centinaia di milioni di buchi neri là fuori, ma ne conosciamo solo pochissimi. Sapere cosa cercare dovrebbe metterci in una posizione avvantaggiata per trovarli», afferma Rivinius. E Baade conclude affermando che trovare un buco nero in un sistema triplo così vicino indica che stiamo vedendo solo «la punta di un emozionante iceberg».

Ulteriori Informazioni

Questo risultato è stato presentato nell’articolo “A naked-eye triple system with a nonaccreting black hole in the inner binary”, pubblicato il 6 maggio scorso dalla rivista Astronomy & Astrophysics.

L’equipe è composta da Th. Rivinius (European Southern Observatory, Santiago, Cile), D. Baade (European Southern Observatory, Garching, Germania [ESO Germania]), P. Hadrava (Astronomical Institute, Academy of Science of the Czech Republic, Prague, Repubblica Ceca), M. Heida (ESO Germania), e R. Klement (The CHARA Array of Georgia State University, Mount Wilson Observatory, Mount Wilson, USA).



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Galassie da viverci

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Immagine della grande galassia a spirale Ngc 1232 ottenuta nel 1998 dal Very Large Telescope dell’Eso. Crediti: Eso
Immagine della grande galassia a spirale Ngc 1232 ottenuta nel 1998 dal Very Large Telescope dell’Eso. Crediti: Eso

Negli ultimi decenni il campo dell’astrobiologia ha compiuto enormi passi in avanti, soprattutto nella comprensione delle zone abitabili stellari: regioni attorno a stelle simili alla nostra nelle quali la vita potrebbe iniziare, essere sostenuta ed evolversi in forme complesse. Alcuni studi hanno recentemente ampliato questa idea di abitabilità, cercando zone simili ma su scala galattica: le cosiddette zone galattiche abitabili. La prima domanda alla quale gli astronomi che lavorano a questo filone di ricerca cercano risposta è: quali galassie sono le più idonee a ospitare forme di vita?

In uno studio pubblicato su The Astrophysical Journal Letters nel 2015, un team di astronomi guidati da Pratika Dayal aveva cercato di rispondere utilizzando dei modelli matematici che tenevano conto del numero di stelle, del tasso di formazione stellare, della metallicità e dei tassi di esplosione di supernove di numerose galassie nell’universo locale. La conclusione alla quale giunsero era che le più probabili “culle della vita” nell’universo fossero le enormi galassie ellittiche. Il motivo è che queste, rispetto alle galassie come la nostra, ospitano potenzialmente fino a diecimila volte il numero di pianeti abitabili simili alla Terra, possiedono molte più stelle e hanno bassi tassi di esplosioni di supernove potenzialmente letali.

Un nuovo studio mette ora in dubbio quei risultati. In particolare, secondo Daniel Whitmire dell’Università dell’Arkansas, negli Stati Uniti, unico firmatario dell’articolo pubblicato di recente su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society, la conclusione di Dayal et al. costituirebbe una violazione al principio di mediocrità.

Su Coelum Astronomia di maggio 2020. La ZONA ABITABILE dei pianeti e la ricerca della vita. Ovvero come il concetto di zona di abitabilità non sia affatto scontato e si stia evolvendo nel tempo, alla luce di nuove scoperte. In formato digitale e gratuito (cliccare sull'immagine per la lettura).

Secondo questo principio (un’estensione del principio copernicano che spodestò la Terra dalla sua posizione privilegiata al centro dell’universo), in assenza di prove contrarie, un oggetto o un fenomeno dovrebbe essere considerato tipico della sua classe, piuttosto che atipico. In altre parole, l’idea è quella di assumere la tipicità come regola alla base di tutto, piuttosto che partire dal presupposto che un fenomeno sia speciale o eccezionale. Su scala cosmologica questo equivale a dire che la Terra e le forme di vita che vi risiedono dovrebbero essere presenti anche altrove nell’universo. E dovrebbe essere tipica anche la posizione in cui si trovano pianeti simili al nostro: il disco di una galassia a spirale.

«L’articolo del 2015 ha un serio problema con il principio di mediocrità», dice Whitmire. «In altre parole, perché non ci troviamo a vivere in una grande galassia ellittica? Ogni volta che ci si trova davanti a un’eccezione, vale a dire a qualcosa a di atipico, abbiamo un problema con il principio di mediocrità».

A sostegno della sua tesi, Whitmire, usando gli stessi risultati del modello di Dayal et al., descrive due ipotesi che limitano significativamente l’abitabilità delle grandi galassie ellittiche.

La prima prende in considerazione gli eventi associati alla fase quasar o di nucleo galattico attivo di queste grandi galassie ellittiche, come pure l’elevato numero di esplosioni di supernove che si verificavano in questi oggetti. Secondo questa ipotesi, le intense radiazioni Uv e X presenti in questo stadio della loro formazione non solo avrebbero ucciso qualsiasi forma di vita, ma avrebbero anche reso i pianeti  inabitabili a causa della perdita delle loro atmosfere.

La seconda ipotesi, invece, riguarda la probabilità di formazione di pianeti abitabili. Una probabilità piccola, secondo Whitmire, poiché, a causa della loro metallicità più elevata, si stima che in queste galassie vi sia la formazione di un numero maggiore di pianeti gassosi rispetto a quelli terrestri. Questi  pianeti, probabilmente formatisi oltre il raggio di condensazione dell’acqua – circa 5 unità astronomiche per le stelle simili al Sole – sono migrati verso l’interno, costringendo i planetesimi nelle zone abitabili a spostarsi più vicino alla stella, impedendo così la formazione di futuri pianeti terrestri abitabili.

«L’evoluzione delle galassie ellittiche è totalmente diversa da quella della Via Lattea», spiega a questo proposito Whitmire. «Queste galassie hanno attraversato una fase iniziale in cui vi era così tanta radiazione che avrebbe completamente distrutto tutti i pianeti abitabili presenti, e successivamente alterato il tasso di formazione stellare. Quindi qualsiasi nuovo pianeta è andato sostanzialmente perso. Non ci sono state nuove stelle in  formazione e tutte quelle vecchie sono state irradiate e sterilizzate».

Se i pianeti abitabili che ospitano la vita sono improbabili nelle grandi galassie ellittiche, dove risiedono la maggior parte delle stelle e dei pianeti, per default, conclude lo scienziato, le galassie come la Via Lattea saranno i siti primari nei quali può originarsi la vita, come previsto dal principio di mediocrità.

Per saperne di più:



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Il “Caos” di Europa, luna di Giove, nei minimi dettagli

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Nell'immagine le zone di Europa riprese nelle tre immagini riprese dalla sonda Galileo alla fine degli anni novanta e rielaborate con nuove e sofisticate tecniche, che mostrano con un dettaglio incredibile le diverse formazioni caratteristiche della superficie di Europa, luna di Giove. Credits: NASA/JPL-Caltech
Nell'immagine le zone di Europa riprese nelle tre immagini ad alta risoluzione riprese dalla sonda Galileo alla fine degli anni novanta e rielaborate con nuove e sofisticate tecniche, che mostrano con un dettaglio ancor più nitido le diverse formazioni caratteristiche della superficie di Europa, luna di Giove. Credits: NASA/JPL-Caltech

Europa è una delle lune di Giove che più intrigano e solleticano l’immaginazione di ricercatori e appassionati, e non solo per l’immenso oceano nascosto dalla crosta ghiacciata della Luna, che è considerato uno dei luoghi con la più alta probabilità di ospitare forme di vita in tutto il Sistema Solare, ma anche per le peculiari caratteristiche della sua superficie.

Questa zona è chiamata "Chaos transition" e mostra una regione di transizione tra zone caotiche, blocchi di superficie che si sono spostati e rimescolati (sulla sinistra, le ombre mostrano anche come alcuni di questi blocchi siano anche stati inclinati) e pianure rigate da creste, formatesi sulle fratture dovute all'azione mareale di Giove. Sulla parte più a destra dell'immagine vediamo invece delle lenticulae, piccole formazioni circolari che sembrano essere delle piccole cupole. L'immagine ha una risoluzione di 226 per pixel ed è ampia 300 chilometri. Credits: NASA/JPL-Caltech/SETI Institute

Europa mostra un paesaggio tanto omogeneo nel suo insieme quanto vario nel dettaglio. Creste, fasce, piccole cupole arrotondate e lunghe linee rette che sembrano la cartina delle strade di una grande metropoli. E ancora, regioni fortemente irregolari che i geologi hanno chiamato “Chaos terrain”, in italiano “zona caotica”, un termine che in esogeologia indica proprio regioni geologicamente disordinate, con sconnessioni, superfici frantumate e contorni irregolari, individuate per il momento sulla superficie di Marte e di Europa.

Alla fine degli anni novanta, la sonda Galileo della NASA ha ripreso “da vicino” queste regioni sulla luna gioviana, e tre di queste immagini sono state recentemente rielaborate grazie a tecniche di elaborazione delle immagini sempre più sofisticate, mostrandoci dettagli di una nitidezza estrema.

Le tre immagini sono state riprese lungo la stessa longitudine, sopra cui la sonda Galileo è passata il 26 settembre 1998, l’ottavo degli 11 voli dedicati alla luna dalla missione.

Le immagini di partenza sono in bianco e nero (toni di grigio), ad alta risoluzione, e ci mostrano caratteristiche di dimensioni fino a 460 metri. Utilizzando poi immagini a colori a bassa risoluzione della stessa regione (ottenute in un diverso passaggio della sonda), i tecnici hanno potuto, in un minuzioso e rigoroso processo, aggiungere il colore. Con tecniche sofisticate il dettaglio raggiunto è quello di una risoluzione attorno ai 220 metri per pixel.

Qui vediamo invece la Chaos Near Agenor Linea, un nome che in realtà è come sempre una descrizione di quel che vediamo: piccoli blocchi di superficie che si sono spostati, ruotati, inclinati e ricongelati in nuove posizioni, come pezzi scombinati di un puzzle che i ricercatori sono chiamati a ricostruire, per comprendere meglio come le forze mareali di Giove agiscono sulla luna. Una zona caotica posta vicina a una grande banda bianca che la attraversa, caratteristica chiamata appunto Agenor Linea, una delle bande più lunghe individuate sulla superficie, riconoscibile per i due colori ben distinti, con una parte più chiara in alto e più scura in basso. Nella parte alta dell'immagine si vede anche un'altra di queste rare e brillanti bande chiamata Katreus Linea. Credits: NASA/JPL-Caltech/SETI Institute

In questo modo, enfatizzando i colori e rendendo più nitidi i contrasti, è possibile evidenziare diverse caratteristiche e mostrarci Europa con colori che, anche se non sono quelli che vedremmo a occhio nudo, permettono di individuare “a vista” le diverse composizioni chimiche della superficie. Le aree che appaiono blu chiaro o bianche sono composte per lo più di ghiaccio d’acqua relativamente pura, mentre le aree rossastre contengono una maggior quantità di materiali diversi, come sali minerali.

Questo da la possibilità ai ricercatori di studiare non solo la composizione ma anche la storia e l’evoluzione della superficie di Europa. La superficie che vediamo oggi è infatti molto più giovane di Europa stessa, e se la luna si è formata assieme al Sistema Solare, circa 4,6 miliardi di anni fa, la sua superficie mostra un’età compresa tra i 40 e i 90 milioni di anni! È una delle superfici più giovani del Sistema Solare, fatto che rende Europa ancora più intrigante…

Quello che è stato teorizzato finora, è che Europa sia soggetta all’azione gravitazionale di Giove, che induce un calore interno alla luna che le permette di avere un oceano liquido sotterraneo che modella poi la superficie, sottoposta a tensioni, fratture e compressioni.

Questa zona è invece chiamata "Crisscrossing Bands" e sempre come dice il nome mostra una serie di creste e di bande sovrapposte. L'elaborazione evidenzia fortemente le frastagliature delle creste sovrapposte alle bande relativamente piatte. Cicatrici e smagliature incrociate sulla superficie della luna. La risoluzione è di 223 metri per pixel e la larghezza di 285 chilometri. Credits: NASA/JPL-Caltech/SETI Institute

Le lunghe creste e le fasce lineari che la attraversano sarebbero legate proprio alla risposta che la crosta ghiacciata ha a seguito di queste sollecitazioni: le creste si formerebbero quando una crepa della crosta ghiacciata si apre e si chiude ricongelandosi ripetutamente. Si formano così creste simili a una cicatrice, alte tipicamente qualche centinaio di metri, larghe qualche chilometro e che si possono estendere per migliaia di chilometri lungo la superficie. Le bande, fasce lineari che sembrano delle sorte di “smagliature”, sono regioni in cui le crepe si sono allargate, senza richiudersi nuovamente, e nelle quali il ghiaccio si è “stirato” e riformato in modo relativamente pianeggiante. Le zone caotiche invece sarebbero blocchi di superficie che, nel processo, si sarebbero spostati, ruotati o addirittura inclinati prima di essere ricongelati nelle loro nuove posizioni, rendendo la superficie della luna come un puzzle dai pezzi rimescolati.

Ma le nuove immagini rielaborate non servono solo per questo tipo di considerazioni, che bene o male erano ipotesi già note per le quali si cercano sempre maggiori evidenze, ma sono passaggi necessari anche in preparazione per la nuova missione dedicata alla luna Europa Clipper.

La nuova sonda effettuerà numerosi flyby su Europa per indagare specificatamente l’oceano sotto la spessa crosta ghiacciata della luna e le sue interazioni con la superficie.

La missione, pianificata per il momento per il lancio nel 2025, sarà il primo ritorno su Europa dopo la visita della Galileo. Spiega infatti la geologa planetaria Cynthia Phillips del Jet Propulsion Laboratory della NASA, una divisione del Caltech di Pasadena, che sta supervisionando il progetto di ricerca a lungo termine per rianalizzare le immagini della luna: «Abbiamo potuto vedere, a questa risoluzione, solo una piccolissima parte della superficie di Europa. Europa Clipper ce ne mostrerà molta di più».



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Luna e Spica nel cielo della sera

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La sera del 5 maggio, alle ore 21:15 circa, volgendo il nostro sguardo verso sudest, potremo notare, ad un’altezza di circa 25°, la Luna (fase del 96%) in congiunzione, piuttosto ampia, con Spica, la stella Alfa della costellazione delle Vergine (mag. +1). La separazione sarà di 6° 20’ con la Luna a nord-nordovest della stella.

Con una Luna così luminosa potremo però comunque approfittare di due utili spunti:

➜ La Guida all’osservazione della Luna Piena

Riscoprire il Primo Telescopio. Tiriamo fuori dalla soffitta quel telescopio dimenticato e scopriamo il cielo dal balcone!

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Un Sole mite per la nostra Terra

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Nell’immagine il Sole ripreso nell’estremo ultravioletto dalla sonda SDO della NASA Credits: NASA/SDO
Nell’immagine il Sole ripreso nell’estremo ultravioletto dalla sonda SDO della NASA Credits: NASA/SDO

Sono i risultati di un nuovo studio presentato dai ricercatori del Max Planck Institute for Solar System Research (MPS), Germania, in via di pubblicazione su Science. Per la prima volta gli scienziati hanno confrontato il comportamento del Sole con quello di centinaia di altre stelle con analogo periodo di rotazione e proprietà fondamentali simili. Gran parte delle stelle prese in esame sfoggiano un’attività molto più potente. Non è chiaro se questa pacatezza del Sole sia un tratto caratteristico della nostra stella o se riveli un fase quieta cui è andato soggetto il Sole soltanto degli ultimi millenni.

La variabilità dell’attività solare, e di conseguenza il numero di macchie solari e la luminosità solare, può essere ricostruita utilizzando vari metodi, almeno lungo un certo periodo temporale. Disponiamo, ad esempio, di registrazioni storiche delle macchie solari fin dai primi anni del XVII secolo; inoltre la distribuzione di elementi radioattivi negli anelli degli alberi e nei carotaggi del ghiaccio ci consente di trarre conclusioni sul livello di attività solare negli ultimi 9.000 anni. Per quanto riguarda questo periodo di tempo, gli scienziati hanno individuato fluttuazioni che ricorrono regolarmente di forza comparabile, come durante gli ultimi decenni. «Tuttavia, paragonati all’intera durata di vita del Sole, 9.000 anni valgono quanto un battito di ciglia» afferma Timo Reinhold, primo autore dello studio. «È plausibile che il Sole sia andato incontro a una fase quieta per migliaia di anni e che pertanto abbiamo una visione distorta della nostra stella».

Dal momento che non c’è modo di scoprire quanto fosse attivo il Sole nei precedenti milioni di anni, gli scienziati hanno bisogno di rivolgere la loro attenzione ad altre stelle simili, per verificare se il comportamento del Sole sia più o meno “normale”. Gli astronomi hanno selezionato stelle candidate che assomigliano al Sole per quanto riguarda alcune proprietà significative, come la temperatura superficiale, l’età, la proporzione di elementi più pesanti di elio e idrogeno, il periodo di rotazione. «La velocità a cui una stella ruota attorno al proprio asse è una variabile fondamentale», spiega Sami Solanki, coautore dello studio. La rotazione di una stella contribuisce alla creazione del suo campo magnetico grazie ai processi che si vengono a creare nel suo interno. «Il campo magnetico è la forza motrice responsabile di tutte le fluttuazioni nell’attività», continua Solanki. Lo stato del campo magnetico determina quanto spesso il Sole emetta radiazione energetica e spedisca particelle ad alta velocità nello spazio durante violente eruzioni, quanto siano numerose le macchie solari e le regioni luminose sulla superficie solare.

Nei due grafici le variazioni della luminosità del Sole (in alto) a confronto con quelle tipiche di una delle stelle di tipo solare, presa dal campione sotto studio. Crediti MPS / hormesdesign.de

Dal 2009 al 2013 il telescopio Kepler della NASA ha registrato le fluttuazioni in luminosità di circa 15.000 stelle di sequenza principale. I ricercatori hanno analizzato questo vasto campione, selezionando quelle stelle il cui anno dura tra 20 e 30 giorni. Utilizzando dati del telescopio Gaia dell’ESA, il campione è stato ulteriormente ridotto, fino ad arrivare a un totale di 369 stelle che assomigliano al Sole anche per quanto riguarda altre proprietà fondamentali. L’analisi precisa delle variazioni in luminosità di queste stelle dal 2009 al 2013 rivela un quadro piuttosto chiaro. Mentre l’irraggiamento solare tra fasi attive e inattive oscilla in media di appena lo 0,07 percento, le altre stelle presentano variazioni molto più ampie, tipicamente 5 volte più incisive. «Siamo rimasti molto sorpresi del fatto che gran parte delle stelle simili al Sole siano così tanto più attive rispetto alla nostra stella», spiega Alexander Shapiro, tra gli autori dello studio.

Se anche il Sole fosse in una temporanea fase di tranquillità non c'è comunque da preoccuparsi che possa improvvisamente diventare iperattivo quanto le stelle campione dello studio. Nell'ultima decina di anni si è mostrato in un periodo di minimo addirittura più tranquillo del suo stesso standard. Solo da poco sta mostrando segni di ripresa di una qualche attività che segna l'ingresso in un nuovo ciclo, ma per il momento tutte le previsioni indicano che questo suo carattere mite non cambierà... Nel riquadro, il gruppo di macchie solari spie di un progressivo risveglio del Sole. Fonte: Mauro Messerotti (Inaf e Università di Trieste)

Tuttavia, non è possibile determinare il periodo di rotazione per tutte le stelle osservate dal telescopio Kepler. Per ottenere questo risultato, gli scienziati devono scoprire certi cali di luminosità periodici nella curva di luce stellare, che possono essere ricondotti al passaggio periodico di macchie stellari dal punto di vista del telescopio. «Per molte stelle simili cali di luminosità periodici non possono essere rilevati; vengono perduti nel rumore dei dati e in fluttuazioni di luce sovrastante», spiega Reinhold. I ricercatori, pertanto, hanno anche studiato oltre 2.500 stelle simili al Sole con periodi di rotazione ignoti, le cui fluttuazioni in luminosità sono risultate molto inferiori rispetto a quelle dell’altro gruppo. È possibile che esista una differenza ancora inspiegabile tra i due gruppi di stelle presi in esame. Oppure può essere che la nostra stella sia rimasta insolitamente tranquilla negli ultimi 9.000 anni e che, su scale temporali molto più vaste, sia andata soggetta a fluttuazioni di luminosità ben più ampie.



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Astronomiamo

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Locandina Astronomiamo maggio

Locandina Astronomiamo maggioElenco delle dirette:
7.05: Starlink: tra detriti e astronomia. Diretta dal CNR
21.05: La Luna nelle missioni recenti

Informazioni:

www.astronomiamo.it


Accademia delle Stelle

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2020-05 Coelum AdS

2020-05 Coelum AdSCorsi online!
Riprendono su piattaforma telematica

Si potranno seguire comodamente da casa e, se si perde la diretta, le lezioni saranno sempre online a disposizione dei corsisti.
Iscrizione e riduzioni sul sito.

Tutti i lunedì: Corso avanzato di Astronomia e Astrofisica
Approfondiamo la fisica dei fenomeni astronomici: dalla gravità alla meccanica quantistica, dall’elettromagnetismo alle dimensioni dell’Universo

Tutti i martedì: Corso base di Astronomia

Tutti i giovedì: Archeoastronomia e Astronomia culturale
Per scoprire le conoscenze astronomiche degli Antichi e l’importanza che l’astronomia ha avuto nella cultura umana di tutte le epoche

Informazioni:
https://accademiadellestelle.org/
https://www.facebook.com/accademia.dellestelle/

MarSEC Marana Space Explorer Center

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Astronomia dal balcone. Video tutorial di cosa osservare in queste sere dal balcone di casa.
Seguite la pagina per i prossimi appuntamenti. Tutti gli streaming sono disponibili nella sezione video della pagina FB dell’associazione:
www.facebook.com/www.marsec.org/
www.marsec.org/

Frascati Scienza: Scienza Contagiosa

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Lezioni multidisciplinari e interattive (della durata circa di 45/60 minuti) accessibili a studenti e studentesse di ogni ordine e grado che spazieranno dalla fisica delle particelle, alla rivoluzione industriale 4.0 e momenti di approfondimento dedicati al virus insieme ai partner dell’Istituto Superiore di Sanità e alla Dr.ssa Caterina Rizzo, medico epidemiologo dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù.
Le lezioni restano sempre disponibili su:
La pagina Facebook www.facebook.com/pg/associazionefrascatiscienza e il canale Youtube https://www.youtube.com/user/FrascatiScienza oltre a poter seguire le repliche su IG TV dal profilo Instagram: https://www.instagram.com/frascatiscienza/

Gruppo Astrofili Palidoro

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Disponibili sulla pagina del gruppo una sezione video con le osservazioni del cielo e le conferenze effettuate e una nuova sezione dedicata ai bambini:
THE BIG [GAP] THEORY KIDS: Una raccolta di video interattivi per i più piccoli: un cartone animato, una parte interattiva in cui si fanno delle creazioni e dei lavoretti e un piccolo esperimento. Realizzati da Chiara Tronci e Amedeo lulli del Gruppo Astrofili Palidoro. L’Astronomia sin dalla tenera età!
https://www.facebook.com/astrofilipalidoro/

Il Cielo di Maggio 2020

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La cartina mostra l'aspetto del cielo alle ore (TMEC): 1 Mag > 01:00; 15 Mag > 00:00; 31 Mag > 23:00. Crediti Coelum Astronomia CC-BY
La cartina mostra l'aspetto del cielo alle ore (TMEC): 1 Mag > 01:00; 15 Mag > 00:00; 31 Mag > 23:00. Crediti Coelum Astronomia CC-BY

Indice dei contenuti

EFFEMERIDI

Luna

Sole e Pianeti

A occidente, dunque, sarà facile riconoscere ancora le lucenti stelle che ci hanno tenuto compagnia nei mesi passati: le teste dei Gemelli, Castore e Polluce, il Cane Minore, con Procione, e l’Auriga, con la brillante Capella, decisamente declinanti e prossime al tramonto. Anche il Leone ha ormai già superato il suo periodo di massimo splendore annuale e lo vediamo dominare la parte occidentale del cielo.

Transitano in meridiano, come dicevamo, le costellazioni tipicamente primaverili, come la Vergine, con l’azzurra Spica, accompagnata dal Corvo e dal Boote con la brillante Arturo, mentre più in basso, vicino all’orizzonte sud, faranno capolino le stelle più settentrionali del Centauro (tra tutte, la luminosa Menkent). Più a est, possiamo riconoscere l’inconfondibile profilo dello Scorpione e il luccichio rossastro di Antares che già annuncia l’arrivo delle costellazione estive (Ercole, Corona Borealis, Ofiuco e Aquila) che cominceranno ad alzarsi nella parte orientale del cielo. Verso nordest sarà osservabile anche la Lira, con la fulgida Vega, seguita dal grande Cigno celeste con Deneb.

➜ Il Cielo di maggio con la UAI: Supernovae e comete nel cielo di primavera

COSA OFFRE IL CIELO

Mercurio raggiunge Venere nel cielo della sera, dopo la prima decade del mese, interrompendo il monopolio del pianeta che dopo averci accompagnato come unico e brillante astro della sera comincia ora la sua fase discendente. Ma nessuna paura… per il mese di maggio sarà ancora ottimamente osservabile. Marte invece continua a migliorare le sue condizioni di osservabilità, assieme a Giove e Saturno, che da tempo ormai lo accompagnano nelle sorti. Tutti i pianeti visibili a occhio nudo ci regaleranno serate particolari, in cui osservarli in congiunzione tra loro o accompagnati dalla Luna.

Le serate principali in cui osservarli e maggiori dettagli e informazioni anche sui più distanti Urano e Nettuno, non visibili a occhio nudo, su pianeti nani e asteroidi, li trovate come sempre sul

➜  Cielo di Maggio all’interno del nuovo numero (sempre in formato digitale e gratuito! L’abbonamento serve solo per avvisarvi dei prossimi numeri, ma è gratuito anche quello).


Piccola falce di Luna in fase 2,6% di Andrea Rapposelli. PhotoCoelum

Per quanto riguarda le sottili falci di Luna e la ripresa della luce cinerea della Luna, l’appuntamento è prima dell’alba il 19 e 20 maggio e, dopo il Novilunio, alla sera, accompagnata da Venere e Mercurio,  il 23 e 24 maggio.

Per maggiori dettagli su orari e formazioni lunari da osservare al terminatore sulle falci di Luna, anche con l’aiuto di uno strumento, potete consultare la sezione dedicata a cura di Francesco Badalotti.

Continua poi l’esplorazione delle formazioni lunari nell’arco del mese con


Purtroppo la cometa visibile a occhio nudo che attendavamo si è disgregata… ma ne è stata scoperta un’altra che, anche se con più difficoltà, potrebbe mostrarsi bassa nel cielo da metà maggio in poi. Di sicuro per gli astrofotografi più esperti sarà un obiettivo da non mancare in ogni caso.

➜ Comete. La triste fine della ATLAS ma attesa per la Swan

Questo mese poi ci congratuliamo con il gruppo di cacciatori di Supernovae dell’Osservatorio di Monte Baldo e targata ISSP. In un periodo sempre più avaro di scoperte amatoriali, hanno messo nel loro canestro la prima supernova scoperta in Italia del 2020.

➜ Supernovae Finalmente! La prima scoperta in Italia nel 2020

E ancora su Coelum astronomia 244

➜ Venere a spasso per il cielo incontra le Pleiadi gli scatti di Giorgia Hofer e a seguire la gallery dedicata a Venere e Pleiadi con le più belle immagini dei nostri lettori!

➜ La Luna di Maggio 2020
e una guida per l’osservazione del settore sud verso nord (II parte).

➜ Leggi le indicazioni di Giuseppe Petricca sui principali passaggi della ISS con una serie di transiti serali a metà mese da non perdere!

e il Calendario di tutti gli eventi di aprile 2020, giorno per giorno con l’immagine di fondo dedicata al 30esimo compleanno del Telescopio Spaziale Hubble!

Hai compiuto un’osservazione? Condividi le tue impressioni, mandaci i tuoi report osservativi o un breve commento sui fenomeni osservati: puoi scriverci a segreteria@coelum.com. E se hai scattato qualche fotografia agli eventi segnalati, carica le tue foto in PhotoCoelum!

CODICE per PIEDINO CIELO DEL MESE


Tutti consigli per l’osservazione del Cielo di Maggio su Coelum Astronomia 244

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UAI – Unione Astrofili Italiani

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Festival del cielo @ Home
Ricca rassegna di eventi virtuali dedicati alla scoperta e all’osservazione del cielo di primavera, a cura delle Delegazioni della UAI. L’iniziativa di astronomia online si chiude con una diretta in programma sabato 2 maggio (con possibile slittamento a domenica 3 maggio in caso di maltempo). L’evento sarà trasmesso in diretta streaming, a partire dalle ore 19:00 di sabato, sul canale YouTube e sulla pagina Facebook dell’UAI.

Pillole di Astronomia
Continua inoltre la rassegna “Pillole di Astronomia”, il programma di incontri virtuali proposti dagli astrofili. Inizio ore 21:00.

L’asteroide (52768) 1998 OR2 a portata di telescopio

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La mappa mostra in un sistema di riferimento equatoriale la regione del cielo in cui si muoverà l'asteroide (52768) 1998 OR2. L'oggetto sarà individuabile tra le costellazioni dell'Idra (Hydra) e della Macchina Pneumatica (Antlia) già dalla prima serata, non appena il cielo si sarà fatto sufficientemente scuro. Potremo osservarlo guardando verso sud alle 21 circa. Non avremo molto tempo per seguirlo visto che l'asteroide tramonterà alle 2 circa il 28 aprile, anticipando alle 0:46 il 3 maggio.
La mappa mostra in un sistema di riferimento equatoriale la regione del cielo in cui si muoverà l'asteroide (52768) 1998 OR2. L'oggetto sarà individuabile tra le costellazioni dell'Idra (Hydra) e della Macchina Pneumatica (Antlia) già dalla prima serata, non appena il cielo si sarà fatto sufficientemente scuro. Potremo osservarlo guardando verso sud alle 21 circa. Non avremo molto tempo per seguirlo visto che l'asteroide tramonterà alle 2 circa il 28 aprile, anticipando ogni notte l'ora del tramonto fino alle 0:46 del 3 maggio.

Gli amanti di osservazione asteroidale non possono perdersi le ultime fasi del passaggio dell'”asteroide del mese”. Ogni volta che si parla di asteroidi vicini alla Terra, che ormai vengono scoperti sempre più frequentemente, non mancano mai i titoloni di giornali (solitamente non del settore astronomico però!) che mettono in guardia dal passaggio di un asteroide potenzialmente pericoloso… come se potenzialmente significasse ogni volta “sicuramente”. Si tratta senza dubbio di rocce spaziali che viaggiano più vicine alla Terra di quelli che solitamente abitano le fasce asteroidali del nostro Sistema Solare, ma “più vicine”, quando si parla di astronomia, è sempre un termine relativo, e quasi mai significa “troppo vicine” (anche se il rischio di un impatto asteroidale è un argomento importante e ne abbiamo parlato più volte sulla nostra rivista). Generalmente però, quando se ne scopre uno, la sua traiettoria viene monitorata e la sua orbita calcolata con un buon margine di sicurezza. Sono dati che vengono sempre forniti assieme a tutti i parametri della scoperta, ma su cui i giornali generalisti generalmente “sorvolano”.

E ogni tanto esce la notizia di un nuovo asteroide che potrebbe impattare sulla Terra. In questo caso ne parliamo anche noi, ma non tanto perché il rischio sia reale… anzi, ma perché il 29 aprile si troverà nel punto più vicino alla Terra della sua traiettoria, e il 1 maggio sarà in opposizione. Ultime occasioni per osservarlo, ovviamente sempre seguendo le precauzioni imposte dalle misure di contenimento del coronavirus…

Stiamo parlando di (52768) 1998 OR2, un corpo appartenente alla famiglia Amor, classificato come NEA (Near-Earth Asteroid) e come asteroide potenzialmente pericoloso per la Terra (PHA, Potentially Hazardous Asteroid). Questo asteroide è stato scoperto il 24 luglio 1998 dal programma di osservazione NEAT (Near-Earth Asteroid Tracking), quindi è ben noto già da tempo. È stato a lungo studiato e osservato (sono disponibili anche osservazioni radio compiute da Arecibo, di cui vediamo un’animazione qui a destra, cliccare sull’immagine se non parte) tanto da poter determinare con sicurezza la sua orbita, escludendo un possibile impatto con il nostro pianeta entro un arco temporale di alcuni secoli.

È un corpo di diametro compreso tra i 1.200 e i 3.700 metri e piuttosto luminoso. Come dicevamo il 29 aprile si troverà alla minima distanza dalla Terra – a circa 0,042 UA ovvero poco più di 16 volte la distanza tra la Terra e la Luna – mentre il 1 maggio si troverà in opposizione, raggiungendo la magnitudine  di +10,8. Lo troveremo nella costellazione dell’Idra, a una distanza dalla Terra di appena 0,044 UA. Non sarà facile osservarlo, tuttavia, in quanto si troverà molto basso sull’orizzonte dalle 20:00 a mezzanotte. Inoltre, pur essendo luminoso per un asteroide non è però sufficientemente luminoso da essere visto a occhio nudo, servirà almeno un piccolo telescopio o un buon binocolo e un po’ di esperienza. Quindi attrezziamoci!

Il Virtual Telescope mostrerà in diretta, online nella sua webTV, il passaggio dell”asteroide potenzialmente pericoloso (52768) 1998 OR2 questa sera 28 aprile, a partire dalle ore 20:00.

Qui sotto invece alcune immagini dell’asteroide 1998 OR2 riprese in 3 sessioni, rispettivamente nei giorni 15 e 16 aprile, nelle quali Carlo Dellarole e Andrea Demarchi hanno fissato sullo stesso campo il transito a distanza di 24 ore e il giorno 18 aprile lo hanno seguito nel suo passaggio accanto a m44 (cliccare sulle immagini per ingrandire).


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Coelum Astronomia di Aprile 2020
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Per i 30 anni di Hubble una barriera corallina cosmica

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CREDITS: NASA, ESA and STScI
CREDITS: NASA, ESA and STScI

Il 24 aprile scorso, è stata rilasciata l’immagine scelta per commemorare i 30 anni di osservazione delle meraviglie dello spazio da parte del telescopio spaziale Hubble. Un’immagine colorata che ci accompagna in una versione cosmica di un mondo sottomarino brulicante di stelle: la gigantesca nebulosa rossa NGC 2014 e la sua più piccola vicina blu NGC 2020. Le due nebulose fanno parte di una vasta regione di formazione stellare nella Grande Nube di Magellano, situata a 163.000 anni luce di distanza.

All’immagine è stato dato il nome di “barriera corallina cosmica”, per come NGC 2014 sembra quasi parte di una barriera corallina galleggiante in un vasto mare di stelle. Il fulcro scintillante di questa nebulosa è un gruppo di stelle luminose e massicce, ognuna delle quali ha da 10 a 20 volte la massa del nostro Sole. NGC 2020 invece, la nebulosa blu apparentemente isolata in basso a sinistra, è stata creata da una singola enorme stella: 20.000 volte più luminosa del nostro Sole! Il gas blu è stato espulso dalla stella attraverso una serie di eventi eruttivi durante i quali ha perso parte del suo involucro esterno di materiale.

In questa immagine però, al di là del ricordo di mari tropicali, che in questo periodo purtroppo possiamo solo immaginare, è ritratta una tempesta di fuoco dovuta alla nascita di stelle in una galassia vicina. Il nuovo ritratto spaziale è infatti uno degli esempi più fotogenici dei molti e turbolenti vivai stellari che Hubble ha osservato durante i suoi 30 anni di vita. Queste regioni sono dominate dal bagliore di stelle si almeno 10 volte più massiccie del nostro Sole, ma da una vita molto più breve: pochi milioni di anni rispetto ai 10 miliardi di anni di vita della nostra stella. La radiazione ultravioletta di queste stelle riscalda il denso gas circostante e scatenano venti feroci di particelle cariche che fanno esplodere il gas a bassa densità, formando le strutture a bolla che si vedono sulla destra. Verso il lato più sinistro invece vediamo come i potenti venti stellari delle stelle spingono i gas e le polveri nel lato più denso della nebulosa, facendosi si che si accumulino creando una serie di creste scure bagnate dalla luce stellare.

Le aree blu della NGC 2014 rivelano invece il bagliore dell’ossigeno, riscaldato a quasi 11.000 gradi Celsius dall’esplosione della luce ultravioletta. Il gas rosso, più freddo, indica invece la presenza di idrogeno e azoto.

Testa di Cavallo
La straordinaria immagine della famosa nebulosa Testa di Cavallo nell’infrarosso realizzata da Hubble. Grazie all'inusuale lunghezza d’onda con cui venne ripresa, che ci mostrò la Testa di Cavallo come un oggetto molto diverso da come eravamo abituati a vederlo nelle foto “normali”, la struttura della Testa che s’innalza per tre anni luce al di sopra del suo “orizzonte” resta comunque perfettamente riconoscibile.

Hubble, con le sue immagini ma soprattutto con l’enorme quantità di dati raccolta, sta rivoluzionando l’astronomia moderna, non solo dal punto di vista scientifico, ma anche accompagnando il pubblico in un meraviglioso viaggio di esplorazione e scoperta. A differenza di qualsiasi telescopio spaziale precedente, Hubble ha reso l’astronomia rilevante, coinvolgente e accessibile a persone di tutte le età. Le immagini, che via via celebrano con una istantanea i principali risultati raggiunti dal telescopio spaziale, hanno ridefinito la nostra visione dell’universo e del nostro posto nel tempo e nello spazio.

«Hubble ci ha dato una visione sbalorditiva dell’universo, dai pianeti vicini alle galassie più lontane che abbiamo visto finora», spiega Thomas Zurbuchen, amministratore associato per la scienza presso il quartier generale della NASA a Washington D.C. «È stato rivoluzionario lanciare nello spazio un telescopio così grande 30 anni fa, e questa potenza astronomica fornisce ancora oggi una scienza rivoluzionaria. Le sue immagini spettacolari hanno catturato l’immaginazione per decenni e continueranno a ispirare l’umanità per gli anni a venire».

Trent’anni fa, il 24 aprile 1990, Hubble è stato portato in orbita, dal Kennedy Space Center, a bordo dello shuttle Discovery, insieme a un equipaggio di cinque astronauti. Inserito in orbita terrestre bassa un giorno dopo, il telescopio ha aperto un nuovo occhio sul cosmo che ha trasformato il nostro modo di guardare l’Universo. Libero dall’offuscamento dell’atmosfera terrestre, l’Osservatorio spaziale ci svela il comso con una nitidezza cristallina che non era mai stata raggiunta prima, su un’ampia gamma di lunghezze d’onda, dagli ultravioletti alla luce del vicino infrarosso.

Tra i principali risultati di Hubble troviamo la misurazione dell’espansione e del tasso di accelerazione dell’universo, la scoperta che i buchi neri sono comuni tra le galassie, la caratterizzazione delle atmosfere dei pianeti intorno ad altre stelle, il monitoraggio dei cambiamenti meteorologici sui pianeti in tutto il nostro Sistema Solare e lo sguardo indietro nel tempo attraverso il 97% dell’universo osservabile, per raccontare la nascita e l’evoluzione delle stelle e delle galassie.

Gli astronauti NASA Michael Good e Michael Massimino mentre durante uno dei cinque interventi affettuati sul telescopio spaziale. Credit: NASA

In 30 anni ha prodotto 1,4 milioni di osservazioni e ha fornito dati agli astronomi di tutto il mondo utilizzati per scrivere più di 17.000 pubblicazioni scientifiche peer-reviewed, rendendolo il più prolifico Osservatorio spaziale della storia. I suoi dati d’archivio da soli alimenteranno le future ricerche astronomiche per le generazioni a venire.

La sua longevità è stata assicurata da cinque missioni di servizio dello space shuttle, dal 1993 al 2009, in cui gli astronauti hanno aggiornato il telescopio con strumenti avanzati, nuova elettronica e riparazioni in orbita. Hubble dovrebbe rimanere operativo almeno per tutto il 2020, in sinergia e in attesa del prossimo James Webb Space Telescope, il cui lancio è previsto, salvo ulteriori slittamenti, per marzo 2021.


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