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Il rientro di Samantha Cristoforetti

Credit: ESA

Cita una nota canzone “che sapore ha la felicità?” non sappiamo, ma il sorriso si!

Così ieri sera (il 14 ottobre 2022 alle 22:55 CEST) è apparsa Samantha Cristoforetti appena recuperata dopo l’ammaraggio del veicolo spaziale Crew Dragon Freedom che ha riportato a terra la missione Minerva.

L’astronauta dell’ESA Samantha Cristoforetti è rientrata sulla Terra insieme agli astronauti della NASA Kjell Lindgren, Bob Hines e Jessica Watkins, ponendo così fine alla sua seconda missione sulla Stazione Spaziale Internazionale (ISS), denominata Minerva.

Samantha e gli altri membri dell’equipaggio, noto come Crew-4, sono tornati a bordo del veicolo spaziale Crew Dragon Freedom, che si è sganciato autonomamente dalla Stazione il 14 ottobre 2022 alle 18:05 CEST. Dopo aver completato una serie di burns da deorbita, Freedom è entrata nell’atmosfera terrestre e, il 14 ottobre 2022 alle 22:55 CEST, ha dispiegato i suoi paracadute per un ammaraggio morbido al largo delle coste della Florida.

I membri della Crew-4 sono partiti alla volta della Stazione Spaziale il 27 aprile 2022 e vi hanno trascorso quasi sei mesi, vivendo e lavorando in orbita come membri dell’Expedition 67 della ISS.

Nell’ambito della sua missione Minerva, Samantha ha sostenuto numerosi esperimenti europei e molti altri esperimenti internazionali in ambiente di microgravità. Ora volerà direttamente a Colonia, in Germania, dove sarà monitorata dal team di medicina spaziale dell’ESA mentre si riadatterà alla gravità terrestre presso il Centro Europeo Addestramento Astronauti (EAC) dell’ESA e la struttura “Envihab” del Centro aerospaziale tedesco (DLR).

Attualmente l’arrivo di Samantha a Colonia è previsto alle 16:00 CEST del 15 ottobre.

The SpaceX Crew Dragon Freedom spacecraft is seen as it lands with NASA astronauts Kjell Lindgren, Robert Hines, Jessica Watkins, and ESA (European Space Agency) astronaut Samantha Cristoforetti aboard in the Atlantic Ocean off the coast of Jacksonville, Florida, Friday, Oct. 14, 2022. Lindgren, Hines, Watkins, and Cristoforetti are returning after 170 days in space as part of Expeditions 67 and 68 aboard the International Space Station. Photo Credit: (NASA/Bill Ingalls)

Hines, Lindgren, Watkins e Cristoforetti hanno viaggiato per 72.168.935 miglia durante la loro missione, hanno trascorso 170 giorni a bordo della stazione spaziale e hanno completato 2.720 orbite attorno alla Terra. Lindgren ha registrato 311 giorni nello spazio sui suoi due voli e, con il completamento del loro volo oggi, Cristoforetti ha registrato 369 giorni nello spazio sui suoi due voli, diventando così la seconda nella lista di tutti i tempi per la maggior parte dei giorni nello spazio di una donna . La missione Crew-4 è stato il primo volo spaziale per Hines e Watkins.

L’equipaggio-4 ha continuato il lavoro sulle indagini che documentano come i miglioramenti alla dieta spaziale influenzino la funzione immunitaria e il microbioma intestinale, determinando l’effetto della temperatura del carburante sull’infiammabilità di un materiale, esplorando i possibili effetti negativi sull’udito degli astronauti dal rumore e dalla microgravità dell’attrezzatura e studiando se gli additivi aumentano o diminuiscono la stabilità delle emulsioni . Gli astronauti hanno anche studiato i cambiamenti indotti dalla microgravità nel sistema immunitario umano simili all’invecchiamento , hanno testato una nuova membrana per il recupero dell’acqua ed hanno esaminato un’alternativa concreta realizzata con un materiale trovato nella polvere lunare e marziana.

Scopri di più sul programma Commercial Crew della NASA su: https://www.nasa.gov/commercialcrew

 

Il veicolo spaziale, chiamato Freedom by Crew-4, tornerà in Florida per l’ispezione e l’elaborazione al Dragon Lair di SpaceX, dove i team esamineranno i dati e le prestazioni del veicolo spaziale durante il volo.

 

Il volo Crew-4 fa parte del Commercial Crew Program della NASA e il suo ritorno sulla Terra segue la scia del lancio SpaceX Crew-5 della NASA, che è attraccato alla stazione il 6 ottobre, dando inizio a un’altra spedizione scientifica.

 

L’obiettivo del Commercial Crew Program della NASA è un trasporto sicuro, affidabile ed economico da e verso la Stazione Spaziale Internazionale. Ciò ha già fornito ulteriore tempo di ricerca e ha aumentato le opportunità di scoperta a bordo del banco di prova della microgravità dell’umanità per l’esplorazione, incluso l’aiuto della NASA a prepararsi per l’esplorazione umana della Luna e di Marte.

“Sì, come la Luna obbedisce ad Aglaonice”

“Sì, come la Luna obbedisce ad Aglaonice”

Oggi vi parlo di Aglaonice di Tessaglia. Questa è una figura di donna emblematica che, come Ipazia, rientra fra le prime donne di cui si abbia memoria che si occuparono di astronomia. Ma dire che essa sia riconducibile soltanto a questo sarebbe come affermare che Marie Curie era quella del Radio. Si dice che Aglaonice riuscisse a prevedere correttamente le eclissi di Sole e di Luna, stabilendo esattamente i tempi e i luoghi dove esse sarebbero avvenute.

Visse a cavallo fra il II ed il I secolo a.C. e viene menzionata negli scritti di Plutarco come donna che era “completamente al corrente dei periodi di luna piena quando è soggetta a eclissi e che sapeva in anticipo il momento in cui la luna doveva essere superata dall’ombra della terra”. Anche Apollonio di Rodi la ricorda come astronomo donna e figlia di Hegetor di Tessaglia.

Era contemporanea di Eratostene di Cirene (276 a.C. – c. 195/194 a.C.) meglio conosciuta per essere stata la prima persona a calcolare la circonferenza della Terra. Spesso all’epoca le donne sapienti venivano considerate con sospetto. In particolare, essa si fregiava della facoltà di saper far sparire la luna dal cielo. Ovviamente stiamo parlando della capacità di prevedere le eclissi. Avete mai sentito parlare delle streghe della Tessaglia? Ebbene, essere non erano altro che seguaci astrologhe associate ad Aglaonice, attive dal III al I secolo a.C. Sembra che Aglaonice fosse a conoscenza del ciclo lunare, che dura oltre 18 anni11,3 giorni dopo il quale si ripetono eclissi lunari e solari. Questo ciclo denominato Sarosvenne scoperto dagli antichi astronomi babilonesi. Spesso, nelle eclissi lunari, la Luna non scompare completamente ma cambia colore e assume una tonalità più scura o ramata. Dal momento che Aglaonice parla di completa sparizione della Luna, come “completamente divorata”, è ragionevole pensare che essa conoscesse le date dell’oscuramento ciclico regolare della Luna da parte delle escursioni a lungo termine dell’attività solare. In quel periodo ci furono infatti eclissi lunari insolitamente scure, a tal punto da far sì che la Luna effettivamente sembrasse scomparire alla vista.

Ad Aglaonice è anche dedicato uno dei crateri di Venere.

Leggi anche —> Una stella che brilla di luce propria – Caroline Herschel

AL VIA LA VENTESIMA EDIZIONE DEL FESTIVAL DELLA SCIENZA DI GENOVA

Ci siamo! Anche quest’anno torna il FESTIVAL DELLA SCIENZA di Genova

❏ In programma a Genova da giovedì 20 ottobre a martedì 1° novembre 2022

❏ Parola chiave: Linguaggi

❏ In programma 300 eventi, articolati in 133 conferenze, 84 laboratori, 31 mostre, 10 spettacoli, 17 eventi speciali e 25 eventi online solo per le scuole

❏ Ospiti 424 scienziati e personalità illustri provenienti da tutto il mondo

❏ Oltre 500 giovani coinvolti tra animatori e studenti del progetto OrientaScienza

❏ 378 gli enti, le associazioni, le aziende e gli editori che hanno partecipato alla composizione del programma

❏ 49 le location cittadine coinvolte nel programma del Festival

❏ Oltre 1.000 classi già prenotate da tutta l’Italia con circa 25.000 studenti

❏ Il programma completo disponibile sul sito festivalscienza.it e scaricabile in formato pdf

Genova – Un modo innovativo e coinvolgente di raccontare la scienza, fortemente legato al territorio e riconosciuto come uno dei più importanti eventi di diffusione della cultura scientifica al mondo. Prende il via giovedì 20 ottobre il Festival della Scienza di Genova, manifestazione che fino a martedì 1° novembre porta in 49 location cittadine 275 eventi in presenza, 133 conferenze, 84 laboratori, 31 mostre, 10 spettacoli e 17 eventi speciali per visitatori di ogni fascia d’età e livello di conoscenza, a cui si aggiungono 25 eventi online riservati alle classi, per un totale di 300 eventi. Di questi, 86 conferenze saranno fruibili on demand sulla piattaforma festivalscienza.online a partire dal 7 novembre 2022. Nel suo programma, il Festival coinvolge 424 scienziati e personalità illustri provenienti da tutto il mondo e 378 tra enti, associazione, aziende e editori che hanno partecipato alla composizione del programma.

A legare tutti gli eventi in programma la parola chiave scelta per l’edizione 2022, Linguaggi, affrontati all’interno del Festival nelle diverse declinazioni: linguaggi matematici, tecnici, simbolici, di programmazione, musicali e artistici, strumenti essenziali per lo sviluppo del pensiero scientifico. Attraverso gli incontri, il Festival esplora la forza e i limiti dei linguaggi, riflettendo sul tema della comunicazione efficace, in un difficile equilibrio tra qualità e quantità.

Il 2022 è un anno molto speciale per il Festival della Scienza perché la manifestazione compie vent’anni. Per festeggiare al meglio questa importante ricorrenza, il Festival ha preparato un programma dalle dimensioni pre-pandemia, che vuole essere un inno al tornare a vivere gli eventi in presenza. A partire dal pubblico delle scuole, che ha subito risposto con entusiasmo all’appello: sono oltre 1000 le classi provenienti da tutta Italia che si sono già prenotate agli eventi del Festival, per un totale di circa 25mila alunni. Oltre che dalla Liguria, sono arrivate prenotazioni da Campania, Emilia-Romagna, Lazio, Lombardia, Molise, Piemonte, Toscana, Umbria, Friuli e Veneto.

La nuova edizione del Festival della Scienza è stata presentata con la conferenza stampa d’apertura che si è tenuta oggi, alle ore 13, al Salone di Rappresentanza di Palazzo Tursi, in via Garibaldi, a Genova. Dopo i saluti dell’assessore al Marketing territoriale e alle Politiche per i Giovani del Comune di Genova Francesca Corso e un breve intervento di Nicoletta Viziano del Comitato di Gestione della Fondazione Compagnia di San Paolo, il presidente del Festival Marco Pallavicini e il presidente del Consiglio Scientifico Alberto Diaspro hanno illustrato gli aspetti salienti della ventesima edizione. Alla direttrice Fulvia Mangili il compito di entrare nel dettaglio del programma della manifestazione.

 

LE NOVITÀ DELLA VENTESIMA EDIZIONE DEL FESTIVAL DELLA SCIENZA

Molte le novità all’interno del programma della ventesima edizione del Festival della Scienza. Oltre al ruolo fondamentale degli enti scientifici soci, tutti presenti nel programma con progetti di alta qualità scientifica, quest’anno il Festival si apre a nuove collaborazioni con il tessuto culturale cittadino. Tra le novità, infatti, ci sono eventi realizzati da enti scientifici del territorio nelle loro sedi, come le conferenze proposte dai tre ospedali principali, San Martino, Gaslini e Galliera, conferenze ed eventi speciali organizzate dalla Direzione Generale Musei della Liguria, laboratori a cura dei servizi didattici dei musei di Genova e un incontro promosso dalla Scuola Ianua dell’Università di Genova.

Per la prima volta nella sua storia e per aprire maggiormente le porte ai giovani e stimolare le nuove generazioni nella scoperta delle bellezze della scienza, il Festival quest’anno ha deciso di rendere tutte le conferenze in programma gratuite per gli under 20. Per partecipare è sufficiente che i ragazzi e le ragazze nati da gennaio 2003 in poi si presentino all’ingresso delle conferenze muniti di documento d’identità (l’ingresso è libero fino a esaurimento posti).

Inoltre, fa il suo debutto al Festival il progetto Scienziati nelle biblioteche, incontri con autori di scienza per giovani lettori consapevoli. Il progetto, indirizzato agli istituti scolastici genovesi, è stato realizzato in collaborazione con il Sistema delle Biblioteche del Comune di Genova nell’ambito dell’iniziativa Patto per la lettura e prevede un ciclo di 10 incontri gratuiti con scienziati e divulgatori scientifici in 6 biblioteche comunali genovesi. Gli incontri sono riservati al pubblico scolastico e coinvolgono le biblioteche Lercari, Brocchi Nervi, Bruschi-Sartori, Guerrazzi, Saffi e Gallinora. Tra le nuove location coinvolte anche l’Alliance Française Galliera de Gênes e i nuovi spazi di Baltimora Garden Sea-ty nei Giardini Baltimora. Inoltre, il Festival torna anche in Strada Nuova nei meravigliosi spazi di Palazzo Rosso, recentemente rinnovato.

Rinnovato anche La scienza va in onda!, il programma online per le scuole che, durante la pandemia, ha portato il Festival della Scienza nelle classi di tutta Italia. In questa terza edizione, realizzata grazie al contributo di Fondazione Compagnia di San Paolo e in collaborazione con Orientamenti, l’offerta, sempre gratuita, comprende 9 webinar con ricercatori e divulgatori scientifici e 16 visite virtuali in diretta dai principali laboratori di ricerca italiani. 

Foto Bruno Oliveri & Lorenzo Gammarota

 

LA GIORNATA INAUGURALE DEL FESTIVAL DELLA SCIENZA 2022

La ventesima edizione del Festival della Scienza si apre giovedì 20 ottobre alle ore 17 nella Sala del Maggior Consiglio di Palazzo Ducale con l’inaugurazione ufficiale, con il presidente Marco Pallavicini, il presidente del Consiglio Scientifico Alberto Diaspro e la direttrice Fulvia Mangili, oltre alle istituzioni cittadine e ai rappresentanti dei maggiori partner e sostenitori del Festival.

A seguire, alle ore 21, sempre nella Sala del Maggior Consiglio di Palazzo Ducale si tiene la conferenza spettacolo gratuita Quanto – La parola che ha cambiato la fisica. Protagonisti dell’incontro di apertura del Festival il presidente Marco Pallavicini, in qualità di fisico sperimentale e vicepresidente dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, e il famoso musicista jazz Danilo Rea, in un dialogo tra parole e musica che racconta il percorso che ha cambiato la fisica, dalla visione classica di Galileo a quella controintuitiva della meccanica quantistica. Entrambi gli appuntamenti di giovedì 20 ottobre sono a ingresso gratuito e disponibili anche in diretta streaming sul canale YouTube del Festival della Scienza.

Tutte le mostre e i laboratori sono attivi a partire dalla prima giornata, giovedì 20 ottobre, e proseguono fino alla fine della manifestazione, martedì 1° novembre 2022.

 

I PRINCIPALI PROTAGONISTI DEL FESTIVAL DELLA SCIENZA 2022

Ospite d’onore del Festival è la matematica ucraina Maryna Viazovska, neovincitrice della Medaglia Fields 2022, premio riservato agli under 40 e considerato “il Nobel della matematica”, seconda donna nella storia a ricevere questo riconoscimento (lectio Sfere: come impacchettarle e perché, con Roberta Fulci, martedì 25 ottobre, ore 18)

Nel dialogo internazionale Pianeti Extrasolari, universo oscuro e buchi neri (sabato 29 ottobre, ore 21) in cui tra scienza, arte e filosofia viene percorso un viaggio che va dalle profondità del cosmo a quelle sotterranee del Large Hadron Collider, intervengono in collegamento da Ginevra Michel Mayor (premio Nobel per la fisica nel 2019 per la scoperta del primo esopianeta) e dall’osservatorio ESO in Cile l’astronomo Luca Sbordone, mentre sono presenti in sala Sushita Kulkarni, fisica teorica, Claudia Sciarma, filosofa della scienza ed Enrico Magnani, ingegnere e artista. Il dialogo è moderato da Paola Catapano.

In presenza anche Cumrun Vafa, fisico teorico iraniano naturalizzato americano, premio Dirac nel 2008 e uno dei massimi esperti al mondo di teoria delle stringhe, con la sua lectio Enigmi per decifrare il mondo (domenica 23 ottobre, ore 18) e Maria Elena Bottazzi, microbiologa ambasciatrice di Genova nel mondo, coordinatrice del team che ha sviluppato il Corbovax, il vaccino contro il Covid-19 senza brevetto accessibile anche ai Paesi in via di sviluppo (lectio Un vaccino per il mondo, con Anna Meldolesi, sabato 29 ottobre, ore 15).

Linguaggi, la parola chiave di quest’anno, viene approfondita da molti punti di vista e discipline dai protagonisti del Festival della Scienza. Il linguaggio come elemento distintivo dell’essere umano: sono Andrea Moro, neuroscienziato e linguista, insieme a Luciano Fadiga, neurofisiologo studioso dei comportamenti umani, e a Stefano Cappa, neurologo esperto di disturbi del linguaggio, ad approfondire l’affascinante tema del rapporto tra la struttura delle lingue umane e il cervello nell’incontro Lingue, azioni, regole: cosa ci dice il cervello? (sabato 22 ottobre, ore 15). Tocca invece alla sociolinguista Vera Gheno e a Claudia Bianchi, filosofa del linguaggio, entrambe autrici di saggi di grande successo, descrivere il rapporto tra linguaggio, parole e inclusione di genere nella conferenza Scienza, linguaggio e diversità (moderata da Alessandro Volpe, venerdì 28 ottobre ore 18).

La lingua riflette attraverso le proprie trasformazioni i cambiamenti sociali, civili e culturali: ne trattano Valeria Della Valle, linguista, codirettore della nuova edizione del Vocabolario Treccani, il primo vocabolario italiano che non presenta le voci privilegiando il genere maschile, e Massimo Bray, direttore generale dell’Istituto dell’Enciclopedia Italiana nella conversazione I linguaggi della classificazione (sabato 29 ottobre, ore 15.30). Il neuroscienziato Salvatore Maria Aglioti e Donato Ferri, esperto di psicologia e neuroscienze sociali, affrontano il tema della leadership dal punto di vista delle neuroscienze nella conversazione Neuroleadership: il cervello di chi è al comando (venerdì 28 ottobre, ore 18.30).

Ma esistono linguaggi non umani? Certamente sì: lo racconta l’etologo Enrico Alleva insieme alla psicobiologa Daniela Santucci nella conversazione Animali che parlano (domenica 30 ottobre, ore 15), un viaggio alla scoperta dei modelli comunicativi degli animali. Di rapporto tra gli esseri umani e le altre specie animali si occupa invece Roberto Marchesini, filosofo post-umanista, nella lectio L’amore per gli animali (con Luisella Battaglia, sabato 29 ottobre, ore 17.30).

La scienza offre inoltre strumenti essenziali per capire il linguaggio con cui comunica la natura: lo spiega Roberto Battiston, fisico sperimentale e uno dei massimi esperti mondiali di raggi cosmici, nella lectio L’alfabeto della Natura (sabato 29 ottobre, ore 17.30). Esiste un linguaggio che accomuna il micro e il macro mondo? Lo confermano Gianpaolo Bellini, fisico subparticellare, Marco Bersanelli, astrofisico e il geofisico Enrico Bonatti nell’incontro Dai quark alle galassie (con Roberto Battiston, domenica 30 ottobre, ore 18.30). Nuovi linguaggi, per far dialogare uomini e macchine, con un’attenzione crescente agli aspetti etici legati a queste nuove tecnologie. Ne trattano, tra gli altri, Malvina Nissim, esperta su scala internazionale di linguistica computazionale, e Silvia Bencivelli (conversazione Ma un computer mi capisce?, sabato 29 ottobre, ore 17.30), Elena Esposito, sociologa, (lectio Comunicazione Artificiale, lunedì 31 ottobre, ore 17.30) e Paola Inverardi, informatica conosciuta a livello internazionale e specializzata nell’ingegneria del software (lectio Sistemi autonomi e intelligenza artificiale, giovedì 27 ottobre, ore 18).

La chimica computazionale, grazie al progresso delle capacità di calcolo dei moderni supercomputer, apre le porte a una vera rivoluzione nell’ambito delle scienze della vita: ne approfondiscono l’impatto che avrà prossimamente nella ricerca farmaceutica William Jorgensen, uno dei pionieri dell’uso della chimica computazionale per il disegno di nuovi farmaci e Marco De Vivo, group leader di un gruppo di ricerca dedicato alla scoperta di nuovi farmaci su base molecolare nella conversazione Inventare nuovi farmaci con i supercomputer (sabato 22 ottobre, ore 15.30).

La scienza si occupa di linguaggi, e di altri linguaggi ha bisogno per progredire e per essere raccontata. Ne parla nella sua lectio L’immaginazione e la verità del mondo (giovedì 27 ottobre, ore 18) Ariane Koek, fellowship della Bogliasco Foundation riconosciuta a livello internazionale per il suo lavoro transdisciplinare tra arte, scienza e tecnologia, fondatrice del progetto “Arte e Scienza” al Cern di Ginevra. Anche la letteratura può essere un veicolo straordinario per comunicare la scienza, come racconta il fisico delle particelle Dario Menasce, nella sua lectio Ti racconto la fisica (lunedì 31 ottobre, ore 21). L’interazione tra scienza, arte e tecnologia, su cui la Commissione Europea sta fortemente investendo, sta assumendo sempre più la connotazione di vera innovazione scientifica e tecnologica: lo illustrano con esempi e progetti Antonio Camurri, Beatrice De Gelder, Maria Grazia Mattei, Paolo Naldini e Maurizia Rebora nell’incontro A regola d’arte (con Vincenzo Napolano, lunedì 31 ottobre, ore 18.30).

Molto ampio come sempre lo spazio dedicato ai temi collegati all’esplorazione dell’Universo. A inizio maggio la scoperta di Sagittarius A, la “super star” dei buchi neri, ha entusiasmato gli appassionati di fisica del Cosmo di tutto il mondo. Al Festival ne trattano Mariafelicia De Laurentis, astrofisica napoletana che per prima fotografò il buco nero M87 nel 2019, e Ciriaco Goddi, Project Scientist del progetto BlackHoleCam, entrambi membri della collaborazione internazionale Event Horizon Telescope nell’incontro Einstein ha ancora ragione? (con Matteo Massicci, lunedì 24 ottobre, ore 18.30).

Dai telescopi terrestri a quelli spaziali: a luglio sono arrivate le prime straordinarie immagini del James Webb Telescope, il principale osservatorio scientifico nello spazio del mondo. A illustrarne i dettagli Giovanna Giardino, ricercatrice dell’Estec, il centro scientifico e tecnologico dell’Agenzia Spaziale Europea, e l’astrofisico Adriano Fontana nell’incontro Sguardi sull’universo sconosciuto (con Giorgio Pacifici, mercoledì 26 ottobre, ore 18.30). Lo spazio profondo esplorato non solo con le immagini ma anche con il suono: con le sonorizzazioni del musicista informatico Massimo Magrini (in arte Bad Sector) ne parlano Wanda Diaz Merced, astrofisica non vedente, insieme a Stavros Katsanevas, direttore dell’Osservatorio Gravitazionale Europeo nel dialogo internazionale Il suono dell’Universo (con Andrea Parlangeli, domenica 30 ottobre, ore 21).

Dieci anni fa veniva annunciata l’osservazione del Bosone di Higgs: una scoperta che fu la conferma della teoria per cui Higgs e Englert vinsero il premio Nobel 2013. Al Festival si rivive l’emozione di quei giorni con tre fisici che furono tra i protagonisti di questa rivoluzionaria scoperta: Marco Ciuchini, Mia Tosi e Antonio Zoccoli nel dialogo L’ultima particella della materia conosciuta (con Sara Zambotti, sabato 22 ottobre, ore 21).

Alla figura di Albert Einstein il Festival dedica quest’anno alcuni eventi, tra cui la conferenza/spettacolo con intermezzi musicali 1922: la nascita di una celebrità condotta da Massimiano Bucchi (musiche di Arturo Stàlteri, giovedì 27 ottobre, ore 21), e il dialogo internazionale Einstein secondo Einstein (sabato 29 ottobre, ore 18.30) con Hanoch Gutfreund, direttore degli Archivi di Einstein all’Università di Gerusalemme e Renn Jürgen, storico della scienza, insieme al fisico teorico Vincenzo Barone.

I modelli matematici del clima del futuro è l’argomento di cui dibattono Annalisa Cherchi e Susanna Corti, geofisiche, entrambe coinvolte nella redazione del recente report IPCC sul Climate Change nell’incontro Clima 2050 (martedì 25 ottobre, ore 18). Ad Antonello Provenzale, esperto di modelli del clima, impatti dei cambiamenti climatici su risorse idriche, ecosistemi e incendi il compito di illustrare il legame essenziale tra geo e biodiversità nella lectio Le forme della Terra (lunedì 31 ottobre, ore 15), mentre Sandro Carniel, oceanografo di fama mondiale, parla dell’innalzamento dei mari con cui si deve imparare a convivere nel prossimo futuro (lectio Un futuro sott’acqua, sabato 22 ottobre, ore 17.30).

È necessario imparare ad aver cura dell’ambiente: questo il messaggio che porta al Festival Alex Bellini, esploratore e coach motivazionale, raccontando la sua impresa di navigazione sui dieci fiumi più inquinati del pianeta nell’incontro Sulla stessa barca…anzi, zattera (con Chiara Manzotti, venerdì 21 ottobre, ore 21). La CO2 di cui tanto si sente parlare come il nemico numero uno dell’ambiente, può in realtà diventare nel prossimo futuro una materia prima per la produzione di energia sostenibile: lo spiega Gianfranco Pacchioni, chimico che si occupa di teoria quantistica della materia con particolare riferimento ai materiali per l’energia e l’ambiente nella lectio Anidride carbonica: veleno o fonte di vita? (venerdì 21 ottobre, ore 18.30). Un altro materiale dalle proprietà notevoli è la perovskite, un minerale con cui si producono innovativi pannelli solari. Ne parlano Daniele Cortecchia, Giulia Folpini, Isabella Poli e Antonella Treglia, un gruppo di ricerca che sta lavorando su questi materiali del futuro nell’ambito di un innovativo progetto europeo nell’incontro Dall’alfabeto della chimica alle tecnologie green (lunedì 24 ottobre, ore 18.30).

Nell’incontro E luce fu… i fisici Paola Batistoni, Gustavo Granucci e Piergiorgio Sonato aggiornano sullo stato di sviluppo del progetto ITER, il grande consorzio europeo per la fusione nucleare (con Silvia Kuna Ballero, giovedì 27 ottobre, ore 18.30). Sempre a proposito di futuro energetico, la comunicatrice scientifica Silvia Kuna Ballero e il Direttore di Le Scienze e National Geographic Marco Cattaneo fanno una riflessione, con dati alla mano, sul dibattutissimo tema dell’energia nucleare (conversazione Travolti da un atomico destino, martedì 1° novembre, ore 16).

Non mancano gli incontri in vario modo collegati ai temi della salute: prevenzione e buone pratiche di alimentazione nella conversazione La salute vien mangiando (domenica 30 ottobre, ore 11) tra Marco Bianchi, divulgatore scientifico esperto di temi di alimentazione e il gastroenterologo Silvio Danese, mentre la genetista Isabella Saggio fa ragionare di invecchiamento e immortalità nella sua lectio Per sempre giovani? (lunedì 24 ottobre, ore 21).

Tra i molti graditi ritorni alla ventesima edizione del Festival l’immunologo Alberto Mantovani, uno dei più citati scienziati italiani di sempre, e lo scrittore Gianrico Carofiglio con un dibattito scientifico-etico sulla scienza comunicata, tra esigenze di esattezza e chiarezza Parole della scienza e arte della chiarezza (martedì 1° novembre, ore 15). A chiudere il Festival la conversazione Il capitale biologico (martedì 1° novembre, ore 18.30) con Luca Carra, giornalista scientifico e saggista e Paolo Vineis, epidemiologo, sul rapporto tra salute e diseguaglianze economiche e sociali.

Dieci anni fa iniziava l’avventura di Comics&Science, il progetto editoriale del CNR per parlare di scienza attraverso i fumetti. Il festival dedica ampio spazio a questa ricorrenza, anche con un ciclo di sei incontri in cui gli scienziati dialogheranno con alcuni dei fumettisti che hanno preso parte al progetto, tra cui Silver, Sergio Ponchione, Francesco Frongia, Sara Menetti, Davide la Rosa.

Il programma è nato dalle oltre 480 proposte arrivate da tutta l’Italia, in risposta al bando di idee lanciato dal Festival a dicembre 2021. La selezione dei progetti è stata realizzata dai 55 membri del consiglio scientifico del Festival costituito da scienziati, giornalisti scientifici e professionisti della comunicazione, con il supporto del comitato di programmazione.

 

INFORMAZIONI E BIGLIETTI

Il programma completo del Festival è disponibile sul sito www.festivalscienza.it, in cui è possibile anche scaricare il pdf del catalogo. Attivo il call center del Festival al numero 010 8934340, per informazioni e prenotazioni da parte degli istituti scolastici. L’acquisto dei biglietti si può effettuare sul sito del Festival (senza necessità di ritiro in biglietteria) e all’Infopoint allestito nel cortile interno di Palazzo Ducale, in cui gli animatori possono fornire anche consigli sulle attività da seguire nel corso della giornata.

Confermata la tipologia di biglietti delle precedenti edizioni. In occasione dei vent’anni di Festival, tutte le conferenze del Festival sono gratuite per i nati dopo il 1° gennaio 2003. I biglietti e le prenotazioni sono acquistabili online sul sito del Festival www.festivalscienza.it, tramite il call center (tel. 010 8934340) e all’Infopoint. Invariati i costi dei biglietti: giornaliero intero 13 euro, ridotto 11 euro, ridottissimo 9 euro, Abbonamento Standard intero 21 euro, ridotto 18 euro, ridottissimo 12 euro, Abbonamento Premium (con prenotazioni gratuite per il titolare dell’abbonamento) 30 euro e Abbonamento Scuole 9 euro. I bambini fino ai 5 anni, gli insegnanti che accompagnano le classi e gli accompagnatori di persone con disabilità non pagano. Gli abbonamenti hanno validità per tutti i giorni e tutti gli eventi del Festival. È disponibile anche l’abbonamento Festival Online per la fruizione per 365 giorni dell’archivio on-demand sulla piattaforma festivalscienza.online al costo di 10 euro. I tre abbonamenti Standard, Premium e Scuole comprendono l’Abbonamento Online. Tutti gli eventi del progetto Scienziati nelle Biblioteche e il programma online per le classi sono gratuiti.

Le prenotazioni (posti riservati) per gli eventi a pagamento (costo 0,50 euro) sono consigliate per il pubblico generico. Da quest’anno anche per gli eventi gratuiti è possibile effettuare le prenotazioni (gratuite). Per le classi le prenotazioni sono obbligatorie e gratuite e devono necessariamente essere effettuate tramite il call center. Il Biglietto scuole e l’Abbonamento Insegnante consentono anche la fruizione individuale dell’intero programma del Festival, dal 20 ottobre al 1° novembre. Gli orari del call center sono: fino al 19 ottobre dal lunedì al venerdì ore 08.30 – 17; dal 20 ottobre al 1° novembre, dal lunedì al venerdì ore 08.30 – 19; sabato e festivi ore 09.30 – 19. Tutti gli abbonamenti del Festival includono anche l’abbonamento alla piattaforma www.festivalscienza.online, su cui visionare alcuni degli eventi di questa e delle passate edizioni, per un anno.

Maggiori informazioni sui biglietti su www.festivalscienza.it/site/home/info-utili.html

 

ANIMATORI E ORIENTASCIENZA

Sono più di 400 gli animatori del Festival, tra studenti universitari e giovani ricercatori selezionati a partire da oltre 600 candidature provenienti da tutta l’Italia. Grazie al supporto di Camera di Commercio, a loro è affidato il compito di facilitare il pubblico di ogni fascia d’età a orientarsi all’interno delle ultimissime scoperte della scienza, imparando e divertendosi.

Il Festival della Scienza partecipa a Orientamenti 2022 anche con la realizzazione della decima edizione di OrientaScienza, progetto che si propone di motivare e orientare gli studenti e le studentesse alle discipline scientifiche utilizzando il Festival come motore. Sono 100 gli studenti degli istituti superiori genovesi che affiancano gli animatori del Festival in formative e divertenti prime esperienze di lavoro nell’ambito dei loro percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento.

L’Associazione Amici del Festival della Scienza organizza anche per questa edizione le cene del Festival, che rappresentano da sempre momenti di accoglienza e conoscenza reciproca per gli ospiti.

 

I Soci dell’Associazione Festival della Scienza

Camera di Commercio, Industria e Artigianato di Genova, Centro Fermi – Museo Storico della Fisica e Centro Studi e Ricerche Enrico Fermi, CNR – Consiglio Nazionale delle Ricerche, Comune di Genova, Confindustria Genova, Costa Edutainment, GSSI – Gran Sasso Science Institute, IIT – Istituto Italiano di Tecnologia, INAF – Istituto Nazionale di Astrofisica, INFN – Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, INGV – Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, Regione Liguria, Sviluppo Genova, UNIGE – Università degli Studi di Genova

 

I Partner istituzionali dell’edizione 2022 (non soci)

Unione Europea, Fondazione Compagnia di San Paolo, Ministero dell’Università e della Ricerca

 

Gli Sponsor dell’edizione 2022

IREN, ERG, Autostrade per l’Italia, Costa Edutainment, Axpo, Coop Liguria, Gruppo Spinelli, Gruppo Merck, Italmatch Chemicals, Leonardo, Tenova, Thales Group, SAAR, Amico&Co, Ernst & Young, Federchimica/Plastic Europe, IVSI, TibMolbiol, Consorzio Coreve, SIBPA, SPX lab

 

I media partner 2022

Coelum Astronomia, Giornale Radio, Il Secolo XIX, La Voce di Genova, Rai Cultura, Rai Liguria, Rai Radio 3

 

Partner culturali

Accademia Ligustica di Belle Arti di Genova, Alle Ortiche, Andersen, Amici del Festival della Scienza, Acquario di Genova, Biblioteca Universitaria di Genova, Biblioteche di Genova, Baltimora Garden Sea-ty, Genova Blue District, Galata Museo del Mare, Fondazione Treccani Cultura, Istituto Giannina Gaslini, MEI – Museo Nazionale dell’Emigrazione Italiana, Musei di Genova, MOG Mercato Orientale Genova, Musei Nazionali della Liguria, Ospedale Galliera, Ospedale Policlinico San Martino, Genova Palazzo Ducale, Villa del Principe, Porto Antico di Genova, Fondazione Luzzati – Teatro della Tosse, SIBPA – Società Italiana di Biofisica Pura e Applicata

 

Gli editori al Festival della Scienza 2022

Add Editore, Carocci Editore, Casa Editrice EDT, Casa Editrice Il Castoro, Casa Editrice Il Mulino, Chiarelettere Editore, Codice Edizioni, De Agostini Editore, Editori Laterza, Editoriale Scienza, Edizioni Dedalo, Edizioni del Capricorno, Edizioni Lindau, Luiss University Press, Edizioni Piemme, Egea Editore, Fabbri Editore, Giulio Einaudi Editore, Harper Collins, Hoepli Editore, Lapis Edizioni, Rizzoli, Mondadori, Springer Nature, Treccani Libri, Zanichelli Editore.

 

I luoghi del Festival della Scienza 2022

Accademia Ligustica di Belle Arti, Acquario di Genova, Alle Ortiche, Alliance Française Galliera de Gênes, Auditorium Ist. Comprensivo Garaventa-Gallo, Baltimora Garden Sea-ty, Banca d’Italia, Biblioteca Berio, Biblioteca Civica Brocchi Nervi, Biblioteca Civica Bruschi-Sartori, Biblioteca Civica Gallino, Biblioteca Civica Guerrazzi, Biblioteca Civica Saffi, Biblioteca Internazionale per Ragazzi E. De Amicis, Biblioteca Universitaria di Genova, Castello d’Albertis, Cimitero Monumentale di Staglieno, E.O. Ospedali Galliera di Genova, Fondazione Ansaldo, Galata Museo del Mare, Gallerie Nazionali di Palazzo Spinola, Genova Blue District, Giardini E. Luzzati – Area Archeologica, MadLab 2.0, Leonardo Labs, Magazzini del Cotone – Modulo 1, MEI Museo Nazionale dell’Emigrazione Italiana, MOG – Mercato Orientale Genova, Museo di Storia Naturale Giacomo Doria, Ospedale San Martino – Centro di Biotecnologie Avanzate, Osservatorio Astronomico del Righi, PalaCUS, Palazzo del Principe, Palazzo della Borsa, Palazzo della Regione, Palazzo Ducale, Palazzo Grillo, Palazzo Imperiale, Palazzo Reale, Palazzo Rosso – Musei di Strada Nuova, Palazzo San Giorgio, Piazza delle Feste, Teatro Carlo Felice, Teatro della Tosse, UniGe World, Università di Genova sedi di Balbi 5, Dipartimento Architettura e Design, e Orto Botanico.

 

 

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La NASA conferma che l’impatto della missione DART ha cambiato il movimento dell’asteroide nello spazio

L’analisi dei dati ottenuti nelle ultime due settimane dal team investigativo del Double Asteroid Redirection Test (DART) della NASA mostra che l’impatto cinetico del veicolo spaziale con il suo asteroide bersaglio, Dimorphos, ha alterato con successo l’orbita dell’asteroide. Questo segna la prima volta che l’umanità cambia di proposito il movimento di un oggetto celeste e la prima dimostrazione su vasta scala della tecnologia di deflessione degli asteroidi.

Tutti noi abbiamo la responsabilità di proteggere il nostro pianeta natale. Dopotutto, è l’unico che abbiamo“, ha affermato l’amministratore della NASA Bill Nelson. “Questa missione mostra che la NASA sta cercando di essere pronta per qualsiasi cosa l’universo ci getti addosso. La NASA ha dimostrato che siamo seri come difensori del pianeta. Questo è un momento spartiacque per la difesa planetaria e per tutta l’umanità, a dimostrazione dell’impegno dell’eccezionale team della NASA e dei partner di tutto il mondo”.

Prima dell’impatto di DART, Dimorphos impiegava 11 ore e 55 minuti per orbitare attorno al suo asteroide genitore più grande, Didymos. Dalla collisione intenzionale di DART con Dimorphos il 26 settembre, gli astronomi hanno utilizzato i telescopi sulla Terra per misurare quanto è cambiato quel tempo. Ora, la squadra investigativa ha confermato che l’impatto della navicella spaziale ha alterato l’orbita di Dimorphos attorno a Didymos di 32 minuti, riducendo l’orbita di 11 ore e 55 minuti a 11 ore e 23 minuti. Questa misurazione ha un margine di incertezza di circa più o meno 2 minuti.

Il team investigativo sta ancora acquisendo dati con osservatori a terra in tutto il mondo, nonché con strutture radar presso il radar planetario Goldstone del Jet Propulsion Laboratory della NASA in California e il Green Bank Observatory della National Science Foundation in West Virginia. Stanno aggiornando la misurazione del periodo con osservazioni frequenti per migliorarne la precisione. L’attenzione ora si sta spostando sulla misurazione dell’efficienza del trasferimento di quantità di moto dalla collisione di circa 14.000 miglia (22.530 chilometri) di DART con il suo obiettivo. Ciò include un’ulteriore analisi degli “ejecta” – le molte tonnellate di roccia asteroidale spostate e lanciate nello spazio dall’impatto.

Per comprendere l’effetto del rinculo dell’ejecta, sono necessarie maggiori informazioni sulle proprietà fisiche dell’asteroide, come le caratteristiche della sua superficie e quanto sia forte o debole. Questi problemi sono ancora oggetto di indagine.

“DART ci ha fornito alcuni dati affascinanti sia sulle proprietà degli asteroidi che sull’efficacia di un impattatore cinetico come tecnologia di difesa planetaria”, ha affermato Nancy Chabot, responsabile del coordinamento DART del Johns Hopkins Applied Physics Laboratory (APL) a Laurel, nel Maryland. “Il team DART continua a lavorare su questi dati ricchi per comprendere appieno questo primo test di difesa planetaria della deflessione degli asteroidi”.

Per questa analisi, gli astronomi continueranno a studiare le immagini di Dimorphos dall’approccio terminale di DART e dal Light Italian CubeSat for Imaging of Asteroids (LICIACube), fornito dall’Agenzia Spaziale Italiana, per approssimare la massa e la forma dell’asteroide. Tra circa quattro anni, il progetto Hera dell’Agenzia spaziale europea prevede anche di condurre rilievi dettagliati sia di Dimorphos che di Didymos, con un focus particolare sul cratere lasciato dalla collisione di DART e una misurazione precisa della massa di Dimorphos.

Altre informazioni sui dati raccolti da LICIACube sono disponibili qui https://www.ssdc.asi.it/liciacube/

 

 

 

I favolosi anni 90 dell’Astronomia – 1991

Il 1991, l’anno dell’Eclissi

Cowabunga!

Ciao a tutti popolo delle stelle? Come dite? Avete nuovamente voglia di fare un tuffo nel passato? Benissimo! Allora allacciatevi le cinture, regolate l’orario del vostro scuba e mettetevi comodi! Da qui in avanti non si torna indietro! E nemmeno si chiama a casa, visto che i GSM non li avevano ancora inventati, la prima rete commerciale arriverà soltanto a luglio.

Si parte verso i folgoranti anni ’90! Questa volta andremo nel 1991, l’anno in cui ci fu l’eclissi di sole più lunga del XX secolo. Pensate, nel punto di eclissi massima, è durata ben 6 minuti e 53 secondi! Aahh…il XX secolo. Che guazzabuglio moderno. Bene, boom. Cominciamo così. Procediamo veloci come Sonic fra le scoperte astronomiche più mirabolanti di quest’anno. Mentre sulla terra le persone si affaccendavano a vivere le loro vite frenetiche vestiti da improbabili abiti oversize dalle spalline imbarazzanti e Kevin McCallister cercava di evitare che i ladri gli entrassero in casa, sul ghiacciaio del Similaun, sul versante italiano al confine fra Italia ed Austria, veniva ritrovato un uomo mummificato, definito un cacciatore, vissuto ben 5000 anni fa. Ora lo possiamo osservare nel museo di Bolzano ed è la famosissima mummia del Similaun o, per gli amici, Ötzi. Però all’universo dell’uomo del Similaun non gli importava granchè, come d’altronde, di tutto il resto. Nemmeno del fatto che Magic Johnson, proprio in quell’anno, comunicava alla stampa il suo ritiro.

Nel 1991 ci fu una scoperta importante che, da un lato avrebbe fornito pacchi di programmi gratuiti ai ricercatori, dall’altra avrebbe regalato altrettanti pacchi di bestemmie da parte delle matricole. Si tratta del sistema operativo Linux, che proprio nel 1991 faceva capolino sul panorama informatico, grazie a Linus Torvalds. Non dico che può essere paragonato ad Alexander Fleming, ma di sicuro l’intento è stato veramente nobile. Tanto che attualmente questo sistema operativo viene usato da milioni di utenti nel mondo, specialmente dalle università e dai centri di ricerca. Sempre nel 1991, il matematico Qiu-dong Wang trovava un cambiamento di coordinate con cui scrivere una soluzione globale al problema degli N-corpi, con impatti molto importanti in vari campi di ricerca. Dal lato spaziale, venne sparato in orbita il Compton gamma ray observatory (CGRO) a bordo della navetta spaziale Atlantis, per studiare le sorgenti cosmiche di raggi X, come supernovae, quasar, stelle di neutroni e buchi neri. Sempre nel campo delle alte energie, ci fu il primo rilevamento dell’emissione di raggi X vicino al picco di un’esplosione nova classica, Nova Herculis, tramite lo strumento ROSAT (PSPC) e la scoperta del quasar più distante e più brillante (10 volte rispetto a tutti i quasar conosciuti) allora conosciuto, ad opera di tre gruppi di radioastronomi dell’Australia Telescope National Facility, dell’Università della Tasmania e del Jet Propulsion Laboratory della NASA.

Questo quasar era a ben 14 miliardi di anni luce di distanza,  ossia 1,3∙1023 km circa. Col camper delle micro-machines ci impiegheresti…no. Col camper delle micro-machines non ci arrivi nemmeno. Hubble nel frattempo, lanciato l’anno prima, stava facendo man bassa di immagini, scoprendo una quindicina di sistemi proto-planetari, dischi di gas e di polvere simili a quello scoperto nel 1983 dal satellite IRAS intorno alla stella Beta pictoris. Infine, nel 1991 il geologo Haraldur Sigurdsson, dell’Università dell’Islanda a Reykjavik, grazie all’analisi dei vetri da impatto, sviluppa una ipotesi a conferma della teoria della catastrofe avvenuta circa 65 milioni di anni fa, quando sulla Terra si spiaccicò un asteroide di 14 km, che fece più danni di un pallone da calcio degli anni ’80, mutando il clima e facendo comparire molte specie animali e vegetali. Che dire, gli anni ’90 erano cominciati col botto, e spesso la nostalgia di quel periodo attanaglia le nostre menti ma sapete cosa? Come diceva Merlino, mi sa che “stanno bene dove stanno!”. Ora scappo che mi comincia “una bionda per papà”, altrimenti mi perdo la sigla. Ciao cipollini!

Non hai letto tutti gli anni ’80?? Li trovi qui

Qui invece il 1990!

News da Marte! #3

Credit NASA/JPL-Caltech/University of Arizona

Bentornati su Marte! (puntata n°3)

Oggi dedichiamo il racconto degli ultimi aggiornamenti al lander Insight, tra alti e bassi della situazione energetica e recentissimi nuovi studi relativi alle sue rilevazioni.

Insight cambia i programmi

Il lander della NASA che studia l’interno del pianeta rosso ha come unica fonte di alimentazione dei pannelli solari, i quali soffrono degli stessi problemi che abbiamo visto affliggere l’elicottero Ingenuity: oscuramento atmosferico e polvere.

Soprattutto quest’ultima è stata da sempre la spina nel fianco dei tecnici del JPL, con il costante declino dell’energia raccolta da Insight e il fallimento dei più recenti tentativi di rimuoverla almeno in parte dalle grandi superfici dei pannelli. L’apparente impossibilità di invertire la tendenza ha spinto il team che gestisce la missione del lander a delineare la timeline che porterà alla fine della missione. 

 

A fine maggio era stata così programmata la dismissione progressiva di tutti gli apparati scientifici, con l’intenzione di lasciare attivi solo i sistemi legati alla rilevazione di temperatura e pressione atmosferica, le camere e i sistemi di comunicazione. In queste condizioni si stimava che Insight avrebbe continuato a funzionare sino circa a dicembre 2022.

Nella seconda metà di giugno il Jet Propulsion Laboratory ha diffuso un aggiornamento che ha revisionato i programmi. È stato infatti deciso che il sismometro, l’ultimo strumento che si sarebbe dovuto spegnere alla fine del mese, sarebbe invece rimasto attivo a tempo indefinito. Questo dispendio energetico extra avrebbe portato invariabilmente a ridurre le prospettive di vita di Insight, che perdipiù opera già da alcuni mesi in modalità d’emergenza disattivata. Il cosiddetto safe mode permette al lander di entrare automaticamente in una modalità a ridottissimo consumo energetico nel caso di condizioni sfavorevoli (legate per esempio alla temperatura o alla scarsa energia disponibile) per dare modo agli ingegneri di gestire la situazione.

Insight scattata il 2 ottobre
La foto più recente inviataci da Insight scattata il 2 ottobre, Sol 1368, alle 5 del pomeriggio marziano. In primo piano si trova la campana che scherma dal vento il delicatissimo sismometro. Crediti: NASA/JPL-Caltech

L’obiettivo è diventato ottenere più dati scientifici possibile finché le condizioni lo permetteranno piuttosto che prolungare il funzionamento di Insight senza però ottenere da ciò alcun beneficio per gli studi in corso.

Un risvolto inaspettato e decisamente positivo si è delineato in queste ultime settimane grazie all’aumento delle ore di luce (il solstizio invernale è avvenuto il 21 luglio) e la mutazione delle condizioni climatiche. La situazione energetica di Insight è così leggermente migliorata grazie anche alla riduzione del 30% rispetto a giugno dell’opacità atmosferica. Questo ha portato a una maggiore quantità di energia generata giornalmente; nello specifico parliamo di un incremento da 400 Wh misurati a inizio luglio per arrivare agli attuali 425 Wh nelle rilevazioni più aggiornate. Si tratta comunque di una piccola frazione rispetto ai circa 5000 Wh che Insight generava appena atterrato su Marte nel 2018.

Ma per il povero lander non c’è pace, e proprio nella serata di venerdì 7 settembre è arrivato un funesto aggiornamento da parte della NASA che riguarda una probabile tempesta di sabbia di dimensioni colossali che sta interessando l’emisfero sud di Marte.

Osservata per la prima volta il 21 settembre, la tempesta ha continuato a crescere di dimensioni sino a raggiungere un’estensione raffrontabile con le dimensioni del pianeta stesso. Il 3 ottobre la crescita del fenomeno atmosferico, formatosi a 3500 km dalla posizione di Insight, aveva iniziato a interessare anche l’atmosfera nella regione Elysium Planitia dove si trova il lander. La densità della foschia è aumentata del 40% portando a un crollo della generazione di energia, scesa a soli 275 Wh al giorno. Una quantità assolutamente insufficiente per l’attuale configurazione operativa di Insight.

La posizione della tempesta di sabbia
La posizione della tempesta di sabbia come ripresa il 29 settembre dalla camera Mars Climate Imager a bordo della sonda MRO. Crediti: NASA/JPL-Caltech/MSSS

Sebbene l’osservazione dall’orbita faccia pensare che il picco di intensità della tempesta sia ormai passato e che il fenomeno stia rallentando, la situazione per il lander non sembra destinata a migliorare nel breve periodo. Per questa ragione il team della missione ha preso la decisione di spegnere per due settimane il sismometro, altrimenti tenuto in funzione continuativamente tutto il giorno, per permettere così alle batterie di mantenere una carica adeguata. Senza questo intervento si stima che a Insight sarebbero rimaste solo poche altre settimane di operatività.

 

Terremoti ma anche crateri

Dei circa 1300 eventi sismici rilevati da Insight, si è sospettato a lungo che alcuni di essi fossero generati da impatti al suolo di meteoriti. Le ragioni per ritenerlo sono la sottilissima atmosfera marziana, che blocca solo i meteoroidi più piccoli, e la vicinanza con l’importante fascia di asteroidi tra il pianeta rosso e Giove. Tuttavia per molto tempo è mancata l’evidenza sperimentale che permettesse di collegare delle registrazioni di una scossa con un cratere da impatto.

Le cose sono cambiate il 19 settembre con la pubblicazione su Nature Geoscience di un articolo che, per la prima volta, ha dimostrato la possibilità di analizzare a un nuovo livello le registrazioni del sismometro impiegando i dati relativi alla pressione acustica e le onde sismiche. Non è solo l’impatto al suolo a generare potenziali vibrazioni di cui Insight resta in ascolto, ma anche l’ingresso in atmosfera del corpo. I modelli matematici usati dai ricercatori mettono in relazione inoltre il tempo di arrivo delle onde sismiche e la loro polarizzazione, permettendo infine di stimare la posizione degli impatti meteorici.

Il paper documenta in dettaglio ben quattro di questi eventi, rilevati da Insight tra il 2020 e il 2021, e avvenuti a distanze comprese tra 85 e 290 km. Il primo riconosciuto e indubbiamente più spettacolare è quello occorso il 5 settembre 2021, che ha visto un corpo principale entrare in atmosfera e frantumarsi in almeno tre parti più piccole.

Al link https://soundcloud.com/nasa/insight-captures-sound-of-a-meteoroid-striking-mars è possibile ascoltare la registrazione audio processata a partire dai dati del lander.

I tre impatti sono udibili distintamente come fossero il suono di tre gocce, con tempi di arrivo molto diversi tra suoni a bassa ed alta frequenza a causa dell’interazione con l’atmosfera.

Successivamente il satellite Mars Reconnaissance Orbiter, durante un sorvolo dell’area sospettata di aver subito gli impatti, ha acquisito delle immagini in bianco e nero a bassa risoluzione della regione. Tre macchie scure hanno confermato i sospetti, così nuove immagini più dettagliate sono state programmate per la camera HiRise.

tre siti di impatto del meteorite
Immagine dei tre siti di impatto del meteorite “ascoltato” da Insight il 5 settembre 2021. I colori sono stati elaborati per agevolare la visualizzazione all’occhio umano dei dettagli rilevanti. Crediti: NASA/JPL-Caltech/University of Arizona

Gli altri tre eventi registrati da Insight sono avvenuti il 27 maggio 2020, 18 febbraio e 31 agosto 2021. Ciascuno ha lasciato l’inconfondibile firma di un cratere.

I tre crateri dovuti ad altrettanti mini-terremoti
I tre crateri dovuti ad altrettanti mini-terremoti rilevati da Insight. Foto acquisite dal satellite MRO. Crediti: NASA/JPL-Caltech/University of Arizona

Torniamo così alla domanda iniziale: perché abbiamo documentato il primo impatto di un meteorite su Marte tramite Insight solo un anno fa, se stimiamo un’alta frequenza di ingresso di questi corpi in atmosfera? La risposta del team è che data la debolissima intensità delle scosse generate da questo tipo di fenomeno, non superiore al secondo grado di magnitudine per questi quattro eventi, si pensa che la maggior parte di essi sia stata confusa con il rumore del vento marziano e di fenomeni atmosferici stagionali.
Ora che è stato possibile caratterizzare la “firma sismica” dell’impatto di un meteorite su Marte, ci si aspetta che se ne troveranno numerosi altri andando ad analizzare con attenzione i quattro anni di registrazioni del lander a disposizione degli scienziati.

Per questo aggiornamento marziano è tutto, appuntamento al prossimo che cercherò di rendere meno monotematico!

Leggi la prima puntata di News da Marte qui e la seconda qui

Leggi tutte le News da Marte in Astronautica ed Esplorazione

Le Stelle Giganti della Tarantola

Nella composizione l’immagine della Nebulosa Tarantola catturata dal JWST a sinistra e a destra lo “scatto” del Telescope Hubble.

La Nebulosa Tarantola viene rivelata in tutto il suo splendore in questa immagine dettagliata, ripresa nel visibile e nel vicino infrarosso dal telescopio Hubble. La Tarantola, chiamata anche 30 Doradus, è un’immensa e complessa regione di formazione stellare nella Grande Nube di Magellano, la famosa galassia nana distante 170.000 anni luce da noi. L’oggetto deve il suo nome alla disposizione delle sue regioni di nebulosità più luminose, che in qualche modo assomigliano alle zampe di un ragno cosmico, estendendosi da un “corpo” centrale, dove un ammasso di calde stelle illumina e modella la nube. La zona è ricca di vasti ammassi stellari, gas brillante e oscure polveri cosmiche. Una delicata foschia viola di idrogeno ionizzato riempie la scena celeste, arricchita da filamenti sparsi di polveri e da una miriade di stelle particolarmente luminose e giganti.
Un super-ammasso stellare noto come R136, visibile a sinistra del centro, contiene giovani stelle tra le più massicce e brillanti conosciute, alcune con masse superiori a un centinaio di masse solari e milioni di volte più luminose del Sole. Assieme a Hodge 301 è uno dei due raggruppamenti stellari multipli che rendono così luminosa la Nebulosa Tarantola. Le stelle massicce in R136, la cui età è di pochi milioni di anni, vivono una vita sfolgorante ma breve e muoiono giovani, almeno per gli standard astronomici, esaurendo il loro combustibile nucleare nel giro di qualche milione di anni. All’interno di R136 risplende R136a1, ritenuta la stella più massiccia conosciuta, con una stazza superiore a 250 masse solari.

🖋🖋🖋🖋L’articolo completo è disponibile in Coelum Astronomia n°258 di ottobre/novembre 2022 🖋🖋🖋🖋

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Sistema Solare – gli asteroidi

Schema della classificazione degli asteroidi e le possibili corrispondenze con la composizione delle meteoriti. Da un semplice aggregato di detriti, attraverso processi di fusione parziale o totale (oceano di magma) possono formarsi proto-pianeti con differenziazione interna dei minerali, gli elementi chimici più leggeri nella crosta e quelli più pesanti verso il nucleo. Immagine modificata da K. Joy/LPI/E&SS/NASA/Gary Hincks/Science Photo Library

Di cosa sono fatti gli asteroidi?

Nonostante la loro massa totale non superi quella della Luna, gli asteroidi rappresentano una fonte di informazione unica sulle fasi di evoluzione del nostro Sistema Solare.

Oltre alla variabilità dei loro parametri dimensionali, morfologici, dinamici e orbitali, è stata osservata anche una certa variabilità composizionale all’interno del più di un milione di asteroidi classificati finora, fattore che è stato possibile studiare in dettaglio solo negli ultimi decenni grazie alla maggiore risoluzione delle osservazioni nelle finestre del visibile e infrarosso e alle missioni dedicate.

Un grande aiuto nel lavoro di definizione della  composizione degli asteroidi è offerto dalle meteoriti, che per la  maggior parte sono proprio  frammenti dei primi, anche se non sempre è possibile trovare una corrispondenza diretta con il corpo originario.

Lo stesso  spettro delle superfici proprio degli asteroidi potrebbe essere  stato alterato dalla radiazione solare  rendendole più rosse e più metalliche di quanto non siano in realtà (invecchiamento superficiale) e questo ne limiterebbe la diretta corrispondenza con le meteoriti.

Dall’analisi delle luce riflessa nello spettro visibile e infrarosso, indicativa per altro della presenza di specifici minerali sulla superficie degli asteroidi, sono state proposte poco più di una dozzina di classi composizionali, raggruppate sulla base dell’albedo in tre gruppi principali. Circa il 90% degli asteroidi  appartiene quindi classi C, S e M, tre tipologie che danno informazioni sulla storia evolutiva dei corpi planetari (Figura 1).

La classe C raccoglie gli asteroidi più primitivi, poco evoluti, mentre la S e M caratterizzano corpi che hanno subito una fusione e differenziazione magmatica con la formazione di ‘gusci’ a diversa composizione. In analogia con le meteoriti, la classe S e M vengono raggruppate nella superclasse ‘ignea’ di Bell (Bell et alii, 1988).

La classe C, generalmente corrispondente alla composizione delle meteoriti condritiche, è caratterizzata da una bassa albedo ad essa appartiene la maggioranza degli asteroidi conosciuti. È ricca di carbonio (condriti carbonacee) con percentuali variabili di silicati, in particolare di argille, testimonianza della presenza di acqua in questi corpi poco evoluti. Cerere sarebbe l’oggetto meglio rappresentativo di questa classe, anche se le altre sue caratteristiche portano spingono i ricercatori e più un pianeta nano. La Dawn lo ha avvicinato nel 2015evidenziando macchie chiare ricche di sali con ammonio (De Sanctis et alii, 2016) probabilmente formatisi negli ultimi 2 milioni di anni per percolazione di acqua attraverso le fratture generate da un impatto.

Gli asteroidi avvicinati da una missione planetaria. La figura riporta il nome ufficiale, la classe spettrale, il diametro, il periodo di rotazione, la dimensione del semi-asse maggiore e la missione con l’anno. Le classi Le immagini non sono in scala.
La classe V che rappresenta il corpo più evoluto Vesta e la E di Šteins, rientrano nella superclasse ignea.
La classe Q dell’asteroide Braille rappresenta la superclasse ‘metamorfica’ cioè quegli asteroidi che hanno subito una fase iniziale di parziale fusione con la presenza di silicati ricchi di Fe e Mg e anche dei metalli.
Crediti: CNSA | ESA OSIRIS/MPS/UPD/LAM/IAA/RSSD/INTA/UPM/DASP/IDA |
JAXA, U. Tokyo & collaborators | NASA/IPL-Caltech/Goddard/JHUAPL/SwRI/UA/UMD/UCLA/MPS/DLR/IDA.

La figura sopra mette a confronto le diverse tipologie di asteroidi che sono stati osservati da vicino da una missione planetaria.

🖋🖋🖋🖋L’articolo completo è disponibile in Coelum Astronomia n°258 di ottobre/novembre 2022 🖋🖋🖋🖋

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Vita da Astrofilo – parte I

Prende il via con il numero 258 di Coelum Astronomia una collaborazione importante fra la Redazione e l’astrofotografo Cristian Fattinnanzi che in passato ha già più volte contribuito alla rivista. Fattinnanzi con il suo ricco bagaglio di esperienze maturato sapientemente in tanti anni di paziente preparazione e pratica, metterà a disposizione dei tanti lettori, suggerimenti e trucchi per alimentare le tecniche per l’osservazione e l’astrofotografia, partendo dalle basi acquisite ancora giovane e inesperto fino a giungere alle sofisticate tecniche e soluzioni implementate oggi, dopo oltre trent’anni di operatività per una passione che non sembra mostrare segni di cedimento. Grazie Cristian, lasciamo a te la parola!

Il progresso ci fornisce mezzi tecnologici eccezionali e sempre più evoluti: smartphone, tablet, computer, strumenti che abbinati ad apps o software in numero sempre crescente permettono di soddisfare qualsiasi genere di esigenza.

Anche chi si avvicina all’astronomia, con pochi click, può avvantaggiarsi di questa tecnologia ed entrare velocemente nel fantastico mondo dell’osservazione del cielo grazie ai numerosissimi simulatori della volta celeste.

Apparentemente tutto sembra più facile e veloce, ed in parte lo è, ma forse stiamo dimenticando  qualcosa.

Ho iniziato ad osservare il cielo da bambino: a scuola sentir parlare del Sistema Solare aveva generato in me un’insaziabile curiosità di conoscere e vedere coi miei occhi cose che fino a quel momento avevo completamente ignorato.

Era la fine degli anni ’80, informazioni sull’astronomia si potevano trovare solo su libri, sulle poche riviste di settore reperibili su ordinazione in edicola o su depliant pubblicitari di telescopi scovati in qualche negozio di ottica.

In questo modo un po’ approssimativocontinuai a documentarmi per anni, fino a quando acquistai il mio primo “telescopio”. Dove? Alla “Standa”! Un supermarketmolto famoso inquel periodo!

Si trattava di uno strumento giocattolo, probabilmente dalle prestazioni simili al primo rudimentale cannocchiale di Galileo, l’obiettivo era infatti costituito da una singola lente da 5 cm di diametro (diaframmata a 20mm per ridurre il cromatismo!) con focale di 50 cm, mentre l’oculare, che forniva circa 25x, era formato da 4 lenti di cui 2 preposte al raddrizzamento dell’immagine.

Ebbene, con questo ridicolo strumento, sostenuto da un (inqualificabile!) treppiede da tavolo, iniziai ad ammirare i crateri della Luna e qualche altro oggetto luminoso.

La mia curiosità, unita alla limitatezza della strumentazione, mi spinsero ben presto a studiare più nel dettaglio questo strumento, “vivisezionandolo” alla ricerca di improbabili modifiche per migliorarne la resa.

Nel frattempo mi ero procurato una mappa del cielo, che avevo ridisegnato manualmente ingrandita (le fotocopiatrici erano ancora rarissime…) per potermi orientare meglio nelle notti passate alla ricerca delle costellazioni.

Mappa Stella Cristian Fattinnanzi
La prima mappa stellare ancora conservata

🖋🖋🖋🖋L’articolo completo è disponibile in Coelum Astronomia n°258 di ottobre/novembre 2022 🖋🖋🖋🖋

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Piero Angela scienza e umanità a braccetto

Il 13 agosto scorso i famigliari danno la triste notizia della scomparsa di Piero Angela, per tutti gli italiani il volto amico della TV della divulgazione scientifica.

Oggi tutto il mondo della divulgazione, non solo quello televisivo ma per esempio anche quello che passa attraverso i social network, si nutre dei suoi insegnamenti e delle linee di rispetto dal giornalista sempre promosse.

Noi della redazione lo vogliamo ricordare attraverso l’impegno speso per la diffusione di informazioni verificate scientificamente che l’ha condotto fino alla fondazione del CICAP.

«Bisogna essere dalla parte degli scienziati per i contenuti e dalla parte del pubblico per il linguaggio»

questa era la convinzione di Piero Angela e una delle ragioni profonde del suo successo straordinario. Al contrario di altri personaggi televisivi dediti a solleticare gli istinti più bassi, Piero Angela trattava i suoi spettatori come persone intelligenti che desiderano imparare, anche se non sempre hanno avuto la fortuna di ricevere un’istruzione superiore: il pubblico capiva che il suo rispetto era autentico e lo ripagava con affetto immenso.

Accompagnare Piero Angela al Salone del Libro o ai Convegni del CICAP era come andare in giro con l’equivalente laico di un Papa: a ogni passo si veniva fermati da qualcuno che voleva testimoniarei la propria stima per il suo lavoro. Al termine di ogni sua conferenza c’era una lunga coda di persone che chiedeva autografi sul suo ultimo libro. Lui si godeva l’affetto del suo pubblico e lo ricambiava sinceramente, rimanendo al suo posto per tutto il tempo necessario per scambiare qualche parola con tutti coloro che lo desideravano, con la stessa educazione e cortesia che mostrava in televisione. Non c’erano due Piero Angela, uno privato e uno pubblico: quello che si vedeva in televisione era lo stesso che conoscevano i suoi amici e colleghi, sempre lucido e razionale, senza mai un moto d’ira o una parola fuori posto, ma anche umano e ricco di passioni, dalla musica agli scacchi.

La prima educazione arriva dalla famiglia e quella di Piero Angela era fuori dal comune. Suo padre Carlo era un neuropsichiatra che durante la seconda guerra mondiale salvò numerosi ebrei e antifascisti dalla deportazione ricoverandoli con false diagnosi nella sua casa di cura di San Maurizio Canavese, in provincia di Torino.

Finita la guerra, la famiglia non rivelò l’accaduto, con tipico riserbo piemontese, e il coraggio di Carlo Angela rimase sconosciuto fino a quando nel 1995 fu pubblicato il diario postumo di una delle persone che aveva salvato, Renzo Segre. Nel 2001 Carlo Angela fu riconosciuto “Giusto tra le Nazioni” e il suo nome venne inserito nel “Giardino dei Giusti” a Gerusalemme.

È da lui che Piero Angela apprese non solo l’amore per la giustizia, ma anche quello per la razionalità che contraddistinguerà tutto il suo operato.

Piero Angela con i volontari del CicapFest 2019 cortesia di Roberta Baria

La carriera giornalistica di Piero Angela comincia all’inizio degli anni Cinquanta. Finito il liceo classico, Piero studia ingegneria al Politecnico di Torino, ma dopo aver accompagnato un amico a un provino presso la Rai è inaspettatamente lui a essere scelto: per dedicarsi al lavoro mette da parte sia gli studi universitari sia una promettente carriera da pianista jazz, anche se non smetterà mai di suonare per divertimento. Diventa cronista radiofonico e poi inviato all’estero dell’unico telegiornale nazionale. Sarà anche conduttore della prima edizione del telegiornale e primo conduttore del TG2 alla nascita della seconda rete, ma è soprattutto come conduttore di trasmissioni di divulgazione scientifica che conquista il pubblico. Comincia nel 1968, con il programma Il futuro dello spazio dedicato al programma spaziale Apollo. Non si fermerà più per i successivi cinquantaquattro anni.

🖋🖋🖋🖋L’articolo completo è disponibile in Coelum Astronomia n°258 di ottobre/novembre 2022 🖋🖋🖋🖋

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Dalle costellazioni al profondo cielo – Acquario

Continua da pag 80 di Coelum Astronomia n° 258

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Tale concetto venne adottato anche nell’antico Egitto; qui era presente la figura di tale ımt-ḫnt, principe del sud avente in mano un vaso d’acqua; la figura di un portatore/dispensatore d’acqua era associata all’inondazione annuale del Nilo la quale, secondo credenze, si scatenava quando ımt-ḫnt versava acqua dal suo vaso nel grande fiume, all’inizio della primavera. La tradizione del portatore/dispensatore d’acqua andò poi avanti nel tempo, diffondendosi verso occidente ed arrivando nell’antica Grecia; qui il portatore/dispensatore d’acqua divenne Hydrokoos, figura alla quale venne poi associato il mito di Ganumedes, un fanciullo frigio che per la sua straordinaria bellezza fu rapito da un’aquila (nella quale, forse, prese forma lo stesso Zeus) e portato da questa sull’Olimpo per diventare un immortale coppiere degli dei. In Grecia, il periodo durante il quale il Sole attraversava quelle particolari stelle era definito “gamelion”, termine in qualche modo correlato al mito di Ganumedes, successivamente divenuto Ganymede. Durante il mese di agosto, Ganumedes si rendeva visibile tutta la notte, stando all’opposizione rispetto al Sole

COSTELLAZIONI SCOMPARSE IN AQUARIUS

Certo è che le stelle di Aquarius, in particolare quelle situate nell’area occidentale della figura, nei millenni a venire mancarono di…tranquillità. Facciamo un salto di 2 mila e passa anni per giungere al 1627. Ad Augusta, l’abate Julius Schiller pubblica l’atlante “Coelum Stellatum Christianum” con la ferma intenzione di sostituire le costellazioni tolemaiche e quelle venute dopo con figure estratte dalla tradizione biblica. Qui, la millenaria figura del portatore/dispensatore d’acqua viene sostituita da Sancti Iudae Thadaei Apostoli ovvero S. Giuda Taddeo (che, pur appartenendo al gruppo dei 12 apostoli, non va confuso con l’omonimo traditore di Gesù). Anche se venne presto dimenticato, il tentativo di Schiller fu solo il primo di altri: una moltitudine di cartografi nei secoli andarono a riempire spazi a loro dire “vuoti” tra le costellazioni; storie travagliate, che durarono fino al 1930 quando l’International Astronomical Union decise di porre definitivamente ordine in questi guazzabugli celesti.

 

Qualche decennio dopo Schiller, precisamente nel 1688, l’astronomo tedesco Gottfried Kirch pubblicò dei “suggerimenti” sulla creazione di nuove costellazioni in quella che era la principale rivista scientifica dell’epoca, “Acta Eruditorum”. La prima di queste fu Pomum Imperiale, che egli compose con alcune deboli stelle strappate ad Antinoo, Aquila, Delphinus e Aquarius. Si trattava, come di moda all’epoca, di una più che sfacciata adulazione rivolta a Leopoldo I, imperatore del Sacro Romano Impero: Kirch posizionò il globo sulla mano destra di Antinoo, figura già allora divenuta obsoleta. La cosa più incredibile, però, fu la nomenclatura che Kirch attuò per questa nuova figura, dove esattamente alle sette (…un caso, tale numero?) stelle che delineavano la nuova costellazione – tutte tra la quarta e la sesta grandezza – vennero attribuite…le sette lettere costituenti il nome Leopuld! Sebbene inizialmente ignorata, Pomum Imperiale venne ripresa dall’astronomo tedesco Johann Bode che la dipinse nella sua “Uranographia” del 1801. A parte Bode, l’interesse di astronomi e cartografi celesti dell’epoca non venne destato portando, così, Pomum Imperiale ad essere dimenticata. A onor di cronaca, Kirch beneficiò della sua mossa: nel 1700, Federico III lo nominò astronomo alla neonata Società delle Scienze di Brandeburgo (ora Accademia delle Scienze e degli Studi Umanistici di Berlino-Brandeburgo) e primo direttore del suo Osservatorio di Berlino, ma morì prima dell’inaugurazione ufficiale della struttura.

 

Toccò al botanico inglese John Hill darsi da fare per inventare non una ma ben 15 nuove figure, che presentò alla comunità astronomica nel suo “Urania: a complete view of the heavens”, pubblicato nel 1754. Anche se l’intenzione dell’autore fu certo meritevole – a suo dire “inventate per dare qualcosa alla scienza” – nessuna di tali costellazioni venne accettata né dagli astronomi né dai cartografi del tempo. Ad ogni modo, una delle quindici costellazioni proposte da Hill fu Dentalium, mollusco marino affine ai gasteropodi che lo scienziato rappresentò utilizzando una quindicina di deboli stelle situate a nord-ovest di β Aquarii, nella parte occidentale della costellazione.

 

In un’epoca di “celeste servilismo”, atto ad ottenere favori dalle casate reali europee, il gesuita nonché astronomo all’Osservatorio di Mannheim Karl-Joseph Konig non fece eccezione: per omaggiare Karl Theodor, conte Palatino e duca di Baviera e la moglie contessa Palatina Elisabeth Auguste di Sulzbach, venne di sana pianta ideata la nuova costellazione Leo Palatinus, costituita da deboli stelle situate a cavallo dell’equatore celeste tra Aquarius, Equuleus, Delphinus e l’allora esistente Antinoo. Nel suo “Nova Constellatione Coelo Inlatus” (1785), la nuova figura celeste appariva formata da un leone accovacciato avente in testa la corona reale e, sopra questo, disegnate da deboli stelle tra Equuleus e Delphinus, le iniziali dei due personaggi reali in questione, “CT” ed “EA”. Quale devozione per un sovrano che, da quanto sembra, non finanziò alcunché per l’osservatorio reale di Mannheim e quale onore per i due reali avere le loro iniziali impresse, pur da deboli stelle, per l’eternità! Anche nei cieli si riflettono ingiustizie e miserie umane.

Arriviamo nel 1822 ed ecco, ancora nella stessa zona di cielo – la quale, evidentemente, deve avere molto ispirato studiosi ed autori del passato, forse attratti dal fatto che questa non destò più di tanti interessi in Tolomeo e nel suo Almagesto – l’apparizione di una nuova figura: Norma Nilotica, creata da Alexander Jamieson nel suo “Celestial Atlas”. Guardando un’odierna e precisa mappa stellare, vien davvero da ridere chiedendosi quali stelle disposte in una sequenza che assolutamente non c’è (oltre alle stesse stelle!) avessero portato Jamieson ad immaginare un Nilometro, termine che si riferisce a qualunque tipo di strumento utilizzato per misurare l’altezza delle acque del grande fiume africano: da semplici aste di legno ad appositi edifici. Sull’importanza del Nilo nell’antico Egitto abbiamo già avuto modo di discutere in questa rubrica: l’abilità di riuscire a predire il volume delle preziose inondazioni annuali era prerogativa dei sacerdoti egizi, i quali monitoravano giornalmente il livello del fiume a partire da giugno, seguendo accuratamente e con largo anticipo le grandi piene che, puntualmente, si presentavano nel periodo compreso tra luglio e ottobre. Sebbene in Egitto restino ancora diversi di questi nilometri, il flusso del grande fiume, oggi regolato dalle dighe, non rende più d’uso necessario questi tradizionali strumenti di misura. A differenza delle precedenti costellazioni, Norma Nilotica fu ritratta anche in successivi atlanti celesti apparsi dopo la sua prima pubblicazione: l’ultima citazione risale al 1903 ad opera di Charles Augustus Young, che a tutti gli effetti la descrisse come priva di importanza.

Da allora, il portatore/dispensatore d’acqua ha trovato finalmente pace…anche se negli ultimi tempi, bisogna dirlo, sembra fare bizzarrie, ben visibili agli occhi di tutti!

M72

As the first in the new weekly series of spectacular images from the NASA/ESA Hubble Space Telescope, the Hubble Picture of the Week, ESA/Hubble presents a stunning image of an unfamiliar star cluster. This rich collection of scattered stars, known as Messier 72, looks like a city seen from an airplane window at night, as small glints of light from suburban homes dot the outskirts of the bright city centre. Messier 72 is actually a globular cluster, an ancient spherical collection of old stars packed much closer together at its centre, like buildings in the heart of a city compared to less urban areas. As well as huge numbers of stars in the cluster itself the picture also captures the images of many much more distant galaxies seen between and around the cluster stars. French astronomer Pierre Méchain discovered this rich cluster in August of 1780, but we take Messier 72’s most common name from Méchain’s colleague Charles Messier, who recorded it as the 72nd entry in his famous catalogue of comet-like objects just two months later. This globular cluster lies in the constellation of Aquarius (the Water Bearer) about 50 000 light-years from Earth. This striking image was taken with the Wide Field Channel of the Advanced Camera for Surveys on the NASA/ESA Hubble Space Telescope. The image was created from pictures taken through yellow and near-infrared filters (F606W and F814W). The exposure times were about ten minutes per filter and the field of view is about 3.4 arcminutes across.

Nell’area immediatamente a sud di queste due stelle sono presenti i primi interessanti oggetti del profondo cielo che andremo a conoscere, due dei quali appartengono al noto catalogo di Messier, tanto amato dagli astrofili. M72 è uno dei due ammassi stellari di tipo globulare presenti in Aquarius, individuabile già con un binocolo del tipo 20×60 esattamente 3,5° a sud di Albulaan. Scoperto nella notte tra il 29 e 30 agosto 1780 dall’astronomo francese Pierre Méchain, grande amico di Charles Messier, Messier 72 è certamente uno degli oggetti meno noti tra quelli presenti nel famoso catalogo di oggetti del profondo cielo. Riprese di pochi secondi rendono già ben visibili alcune catene stellari presenti alla periferia di questo globulare. All’osservazione telescopica, M72 inizia a risolversi ai bordi utilizzando diametri da almeno 200 mm, forzando l’ingrandimento, aumentando in tal modo il contrasto col fondo cielo. Il numero di deboli stelle presenti nell’alone cresce all’aumentare del diametro del telescopio, tanto che con un 300 mm si contano, prestando attenzione, circa una cinquantina di componenti; non solo: assieme al poco condensato nucleo del gruppo, si riesce a percepire la presenza di alcune deboli catene di stelle con magnitudine superiore alla 13a grandezza. Ciò è permesso dalla bassa densità di M72: anzi, uno dei meno densi tra i globulari presenti nel catalogo di Messier, tanto che nella classificazione di Shapley e Sawyer (che prevede I per gli ammassi più densi e XII per quelli con stelle più sparse), M72 rientra nella classe IX, assieme a M4 ed M12. La sua grande distanza – valutata attraverso lo studio di stelle variabili del tipo RR Lyrae rilevate al suo interno – dal Sistema Solare, è di ben 55 mila anni-luce, valore che lo rende uno dei globulari più lontani tra quelli appartenenti alla Galassia! Il gruppo stellare si estende per poco meno di 7′ sulla volta celeste; il diametro apparente, messo in relazione con la sua distanza, fornisce il diametro reale che, per M72, è valutato in ben 110 anni-luce. Le stelle di questo globulare posseggono un basso contenuto di metalli (in proporzione, circa 1/26 di quello contenuto in un a stella di ultima generazione come il Sole), dal quale è stata desunta un’età compresa in un range tra 10 e 12,7 miliardi di anni: stelle vecchissime, quindi. Ci chiediamo, infine, quanti sono gli astri presenti in questa enorme sfera: ebbene, la massa di M72 equivale a ben 170 mila stelle di massa solare. Certamente, potendo stare su un ipotetico pianeta in orbita attorno ad una di queste vetuste stelle, la notte apparirebbe certo alquanto diversa da come la concepiamo sul nostro pianeta.

 

LA GALASSIA NANA DI AQUARIUS

Poco più di 30’ ad ovest di M72 è presente la stella di sesta grandezza HD198431; puntando il telescopio altri 30’ oltre questa stella e scendendo di 20’ a sud-ovest, giungiamo nella zona dove risiede una piccola galassia nana, PGC65367, meglio nota come “Aquarius dwarf” (“nana di Aquarius”). Questa è piccola e di forma allungata lungo l’asse est-ovest, estesa per soli 2,2’x1,1’. Si tratta di una galassia nana di forma all’apparenza irregolare, scoperta nel 1959 e nello stesso anno inserita nel “David Dunlop Observatory Catalogue of Low Surface Brightness Galaxies”. Aquarius dwarf è un membro del Gruppo Locale di galassie, sebbene estremamente isolato; in base alla sua posizione e velocità attuali, tale galassia è uno dei pochi membri noti del gruppo locale per i quali è possibile escludere un approccio ravvicinato passato alla nostra galassia o quella di di Andromeda. Giusto per rendersi conto di quanto minute siano le dimensioni di tale sistema, il suo diametro è stato stimato in soli 5.000 anni-luce! Rispetto ad altre galassie simili del Gruppo Locale, questa di Aquarius è una tra le più deboli in termini di luminosità superficiale. L’appartenenza al Gruppo Locale di galassie venne definita solo nel 1999, derivandone la distanza dalla Via Lattea attraverso il metodo cosiddetto “del ramo delle giganti rosse”; questa venne quantificata in 3,2 milioni di anni-luce, valore che rende Aquarius Dwarf davvero isolata nello spazio. Tra le galassie meno luminose del Gruppo Locale, essa contiene quantità significative di idrogeno neutro: elemento che supporta formazione stellare ancora in corso, sebbene il tasso sia estremamente basso. Le variabili RR Lyrae scoperte in questa galassia nana indicano che le stelle più vecchie hanno un’età prossima ai 10 miliardi di anni; è pur vero che la maggior parte delle sue stelle sono molto più giovani, con “solo” 6,8 miliardi di anni di età: tra le galassie del gruppo locale, solo Leo A ha un’età media più giovane, la qual cosa suggerisce che la formazione stellare ritardata potrebbe essere in qualche modo correlata all’isolamento di tale galassia.

I prossimi due oggetti del profondo cielo che ci apprestiamo a visitare sono due raggruppamenti di stelle che, incredibilmente, appaiono entrambi come una “Y” ribaltata a sinistra: davvero simili alla brocca di Aquarius! Si tratta di gruppi che non costituiscono reali ammassi di stelle nate assieme e ancora gravitazionalmente coese, ma vicine solo per effetto prospettico. Il primo dei due, noto come Pot15, lo troviamo 15’ a sud della stella di 8a grandezza HD199161, quest’ultima facilmente individuabile 30’ a sud-est di M72. Tale gruppo si estende per 2’ mentre la magnitudine delle delle è compresa tra l’undicesima e la dodicesima grandezza; una quarta componente, la più debole essendo di 14a grandezza, è situata a soli 15” dalla stella centrale. Per apprezzare il gruppo, si consiglia una lunga focale unita ad un ingrandimento elevato.

 

M73

Esattamente 1° ad est di M72 è presente il secondo di questi due gruppi stellari a forma di Y. E questa volta siamo in presenza addirittura di un oggetto…Messier! Ebbene si, anche il grande astronomo parigino – cosa nota ai suoi cultori ed amanti del profondo cielo – ebbe  qualche episodio di confusione nel classificare gli oggetti ma il caso di M73, questo il nome del gruppo di stelle, è esemplare! Mentre era intento alla ricerca di M72, sull’esistenza del quale venne informato dal collega Pierre Méchain, Messier si imbatté in quello che lui stesso ebbe a definire come un “ammasso formato da 3 o 4 piccole stelle che rassomiglia ad una nebulosa, al primo colpo d’occhio”. E questo di M73 non è neanche il primo caso in cui Messier definì semplici ammassi di stelle quali “nebulosi”. Ricordiamo brevemente che furono più di una dozzina quelli utilizzati durante la sua carriera da visualista, il suo preferito tra i quali fu un riflettore gregoriano da 7,5 pollici utilizzato a 104x. Più tardi, quando il rifrattore acromatico divenne disponibile, utilizzò diversi acromatici 120x da 4 pollici: furono proprio questi a permettere al grande astronomo parigino di scoprire un gran numero di comete e i famosi oggetti che inserì nel suo catalogo.

Se è vero che le ottiche dei telescopi utilizzati da Messier non avevano certamente la qualità propria dei moderni telescopi oggi in circolazione – ciò il grande astronomo riusciva a notare era sempre in funzione del diametro e conseguente potere risolutivo dei telescopi da lui utilizzati – resta certo strano come Messier abbia potuto scambiare M73 per qualcosa di “nebulare” quando tale oggetto, osservato con strumenti di piccolo diametro, appare chiaramente nella sua inconfondibile Y! Anche qui, tra le quattro stelle – tutte di nona grandezza – che delineano la Y ribaltata di M73 non c’è alcun legame fisico; a provare come il gioco sia puramente prospettico, sia il differente colore che il moto nello spazio delle quattro stelle in questione. Concludiamo la descrizione di questi due gruppi, incredibilmente simili tra loro per dimensioni, numero, disposizione e luminosità delle loro componenti, dando spazio alla passione per la fantascienza: non sembra, forse, come le stelle di questi due ammassi siano i fari di astronavi dalla forma ad Y, impegnate in viaggio nel buio degli anni-luce? L’astronave di M73 sembra inseguire quella di Pot15.

L’intera zona compresa tra M73 e il confine con Capricornus, più a sud, è intrisa da un gran numero di galassie di piccole dimensioni e dalla forma  interessante ma riservate a telescopi di grosso diametro e lunghezza focale atta a percepire dettagli di oggetti non più larghi di 1’. Una galassia degna di nota da segnalare è reperibile poco più di 1° ad est di M73; si tratta di NGC7010, una massiccia galassia ellittica lontana ben 365 milioni di anni-luce dalla Via Lattea. Venne scoperta da John Herschel il 6 agosto del 1823. Oggetto di tredicesima grandezza, diviene ben osservabile utilizzando telescopi da almeno 300 mm di diametro, dove assume la forma di un piccolo ovale. Nelle fotografie a lunga posa eseguite da grandi telescopi professionali, la galassia rileva un alone che raggiunge quasi 2’ di lunghezza. La cosa interessante di NGC7010 è il fatto di essere avvolta da ampi ma deboli gusci composti da stelle; forse, prodotti dall’accrescimento dovuto ad un passato fenomeno di fusione con un altra galassia.

 

NGC7009

Ma è esattamente 1° a nord di quest’ultima galassia e poco meno di 2° a nord-est di M73 che ci si imbatte in un oggetto dalle caratteristiche straordinarie. Si tratta, questa volta, di una nebulosa planetaria: NGC7009, meglio nota come “nebulosa Saturno”, uno degli oggetti più noti, entro tale categoria, di tutta la volta celeste, bersaglio di osservazioni a causa della notevole luminosità apparente nonché per l’accesa tonalità giallo-verdastra, ben discernibile anche in piccoli telescopi.

NGC 7009 has a bright central star at the centre of a dark cavity bounded by a football-shaped rim of dense, blue and red gas. The cavity and its rim are trapped inside smoothly-distributed greenish material in the shape of a barrel and comprised of the star’s former outer layers. At larger distances, and lying along the long axis of the nebula, a pair of red ‘ansae’, or ‘handles’ appears. Each ansa is joined to the tips of the cavity by a long greenish jet of material. The handles are clouds of low-density gas. NGC 7009 is 1, 400 light-years away in the constellation Aquarius. The Hubble telescope observation was taken April 28, 1996 by the Wide Field and Planetary Camera 2.

Per ironia della sorte, ne Méchain ne Messier si accorsero di questo luminoso oggetto: pur vicino sia ad M73 che ad M72, questa nebulosa sfuggì ai loro telescopi. La cosa non deve certo sorprendere dal momento in cui tale oggetto, pur luminoso, è altresì poco esteso, appare come una stella di ottava grandezza, tanto da renderla ben visibile già con un binocolo del tipo 7×50: forse tale sarà apparso ai telescopi dei due francesi, chissà. Ad ogni modo, NGC7009 non sfuggi a William Herschel, che la scoprì il 7 settembre 1782 attraverso lo stesso telescopio con il quale, dal giardino della sua casa, solo un anno prima scoprì il disco acquamarina di Urano. Proprio per la straordinaria rassomiglianza all’aspetto del nuovo pianeta, nel disco e nel colore, lo stesso Herschel definì la nuova nebulosa tale nebulosa (che fu, a tutti gli effetti, una delle sue prime scoperte astronomiche) come “planetaria”; in tale contesto, il nomignolo “nebulosa Saturno” contribuì al fatto che la comunità astronomica accettasse di buon grado il termine “planetaria” a questa particolare categoria di nebulose, tanto da non essere mai stato sostituito. Herschel vide nulla di puù di un luminoso disco.

Fu, successivamente, Lord Rosse a coniare il curioso termine per tale oggetto dopo averlo osservato con attenzione attraverso il suo noto “Leviatano di Parsonstown”, come venne chiamato l’enorme riflettore da ben 1,83 metri di diametro costruito nel 1845, rimasto il più grande telescopio al mondo fino al 1917; ciò che colpì profondamente Rosse fu la presenza di due propaggini laterali al disco rendevano tale nebulosa davvero molto simile al noto pianeta “signore degli anelli” del Sistema Solare. Rosse intuì, inoltre, la natura di queste strane strutture, definendole “sorta di anse indicanti la probabile presenza di un anello circostante visto di profilo”; a tal proposito, è incredibile il disegno che lo stesso terzo conte di Rosse fece di questo oggetto, con dettagli incredibili riportati. Bellissima la descrizione dell’ammiraglio W.H.Smyth, uno dei più valenti osservatori di tutti i tempi, il quale riteneva (come anche W. Herschel fece) tale oggetto essere un sistema planetario in formazione: “…se fosse qui da noi, le sue dimensioni raggiungerebbero l’orbita di Urano. Un corpo di tali dimensioni conterrebbe più di 68.000 milioni di globi grandi come il nostro Sole”.

La bella e quasi ingenua descrizione di Smith è ben lontana dalla realtà. Se la nebulosa si estende per 41”x35” sulla volta celeste, più difficile è stato calcolarne le reali dimensioni: la distanza di NGC7009, infatti, non è nota con precisione e numerosi sono stati i tentativi per risolvere il dilemma. Ad ogni modo, oggi il valore largamente accettato è di 3.900 anni-luce, il che fornisce un diametro approssimativo di ½ anno-luce per l’oggetto nel suo insieme. NGC7009 è una delle pochissime nebulose planetarie a mostrare distintamente la nana bianca centrale che, attraverso la sua elevatissima temperatura, eccita l’intero ammasso di gas in espansione portandolo, così, a rendersi visibile per fluorescenza; a quella enorme distanza, questa stella centrale emette ancora così tanta luce da splendere di magnitudine 11,5, rendendosi così visibile anche in telescopi da almeno 150 mm forzando l’ingrandimento. Più che bianca, questa piccola stella degenere appare azzurra a causa della sua elevata temperatura, stimata in 55.000 K, mentre la luminosità intrinseca è stata valutata in circa 20 volte quella del Sole: non male per un corpo dalle dimensioni simili a quelle del nostro pianeta! La sua intensa radiazione ultravioletta ionizza doppiamente l’ossigeno ivi presente portando la nebulosa ad risplendere di una caratteristica tinta verde fluorescente, ben apprezzabile all’osservazione telescopica.

The spectacular planetary nebula NGC 7009, or the Saturn Nebula, emerges from the darkness like a series of oddly-shaped bubbles, lit up in glorious pinks and blues. This colourful image was captured by the powerful MUSE instrument on ESO’s Very Large Telescope (VLT), as part of a study which mapped the dust inside a planetary nebula for the first time.

La stella che ha dato vita alla nebulosa Saturno fu, probabilmente, un astro dalla massa il doppio di quella del Sole; il fatto che la nebulosa sia costituita da una serie di anelli non allineati tra loro porta a supporre che il nucleo della fu-stella morente fosse stato – e lo sia ancora adesso – soggetto ad una precessione del suo di rotazione: oscillazione stimata in circa 30 mila anni. Un eventuale compagno che avrebbe potuto indurre questa precessione sarebbe oggi situato ad almeno 4,5 raggi dalla nana bianca centrale ma nulla è stato ad oggi rilevato.

Ma come si è formato il gran numero di sottosistemi morfologici e cinematici che rende l’aspetto di questa planetaria estremamente complesso? Il suo stesso aspetto varia secondo la lunghezza d’onda attraverso la quale la nebulosa viene osservata: alla lunghezza di 8 µm nel medio-infrarosso, ad esempio, essa raggiunge la sua massima ampiezza mentre la forma e l’intensità delle maniglie esterne appaiono variare parecchio quando osservate a lunghezze d’onda più piccole. Le immagini riprese dal telescopio spaziale Hubble hanno portato ad identificare, all’interno di un grande alone che circonda l’intera nebulosa, una serie di strutture minori (osservate, fortunatamente, anche in altre nebulose planetarie) quali gusci multipli, getti, maniglie, filamenti e nodi. In particolare, è stato notato come le due “maniglie” esterne si espandano in modo non radiale rispetto alla stella centrale, tanto da essere orientate lungo assi differenti; nell’immagine di Hubble, i getti verdi si estendono lungo l’asse maggiore della nebulosa, terminando con dei nodi di colore rossastro.

L’osservazione di questi particolari ha permesso di elaborare modelli atti a spiegare le dinamiche che hanno portato ad una struttura così complessa; alla pari di altre nebulose planetarie (es., la nota NGC6826 in Draco) la stella centrale di NGC7009 risiede al centro di una sorta di cavità, area meno densa di gas, delimitata da due densi gusci di gas di colore blu e rosso. La cavità e il suo bordo sembrano essere come “intrappolati” all’interno di un’area composta da materiale verdastro uniformemente distribuito, risultato di strati precedentemente espulsi della stella morente. A distanze maggiori, lungo l’asse maggiore della nebulosa si trovano le cosiddette “maniglie” – quelle che costituiscono le propaggini esterne degli anelli di Saturno in tale visione della nebulosa – che appaiono di colore rosso, ciascuna delle quali è unita agli estremi della cavità da un lungo getto di materiale, anche questo verdastro. La “nebulosa Saturno” è il 55° oggetto tra i 109 presenti nel cosiddetto “catalogo Caldwell”, compilato da Patrick Caldwell-Moore quale estensione del catalogo Messier.

 

LA VASTA LBN117 ED ALTRI PICCOLI OGGETTI

Pochi sanno che gran parte dell’intera area occidentale di Aquarius è occupata da LBN117, una vasta ma debole nebulosa che è il 117° oggetto tra i 1.053 elencati nel Lynds Catalogue of Bright Nebulae, pubblicato nel 1965 dall’astronomo americano Beverly Lynds, rilevate sulle lastre della Palomar Sky Survey riprese con il riflettore Samuel Oschin Telescope da 1,20 m di diametro. LBN117, composta da gas e polveri, talmente vasta da estendersi per quasi 20°; purtroppo, la luminosità superficiale di questo sistema è talmente bassa da renderne impossibile la visione al telescopio anche delle aree più dense e luminose (…luminose, si fa per dire). E’ altresì difficile da fotografare LBN117, necessitando di numerose ore di integrazione di riprese effettuate in luce H-alpha. Tale nebulosa, composta da un gran numero di filamenti, rientra tra le cosiddette Integrated Flux Nebulae (IFN), debolissime nubi di idrogeno che si rendono luminose a causa della luminosità globale della Galassia e non per emissione dovuta all’eccitazione del gas apportato dalla presenza di caldissime stelle: molte di queste strutture sono sono state scoperte solo negli ultimi 15 anni grazie ad uno studio sistematico partito con l’introduzione di filtri H-Alpha applicati a sensori sempre più efficienti.

La stella sulla quale ora faremo sosta è ν Aquarii, che splende di magnitudine 4,52. Lontana 159 anni-luce dal Sistema Solare, è una gigante gialla di tipo G8 III (4.900 K); con una massa il doppio di quella solare, ha un raggio otto volte maggiore ed un potere radiativo 37 volte maggiore. Salendo a nord di questa, ci si imbatte in un’area dove la densità stellare è minima e la presenza di stelle visibili ancora ad occhio nudo è vicina allo 0.

Nella zona, esattamente 5° sopra NGC7009, è presente la piccola galassia PGC65943. Pur di dimensioni minute, larga solo 1,2’x1,1’, si tratta di un piccolo gioiello, una spirale barrata lontana ben 360 milioni di anni-luce che appare esattamente di fronte, con le braccia moderatamente aperte. L’oggetto da il meglio di se nelle riprese a lunga focale dive si rivela davvero spettacolare. Tale galassia segna il vertice meridionale di un triangolo isoscele con due stelle di quinta e sesta grandezza disposte agli altri due angoli: rispettivamente, 12 Aquarii su quello orientale e 10 Aquarii su quello occidentale.

Esattamente ½ grado sopra quest’ultima, già un un telescopio da 150 mm permetterà di rilevare AI 2100.5-0535, un piccolo ammasso stellare composto da una ventina di stelle con magnitudine compresa tra l’8a e l’’11a grandezza, disposte attorno a 12 Aquarii lungo l’asse nord-sud. La visione di questo gruppo è davvero affascinante con un telescopio da 200 mm; a 200 ingrandimenti, l’ammasso si dispone occupando tutto il campo dell’oculare, con 12 Aquarii che quasi disturba la visione complessiva.

Un altro gruppo di stelle è situato 3° a nord-est di quest’ultimo, poco sopra la stella di sesta grandezza 15 Aquarii. Catalogato come Kro22. Alla visione telescopica, l’apparenza è quello di un piccolo carretto, avente al timone la stella più luminosa, HD202818, di settima grandezza. Sono circa una ventina le componenti, quasi tutte di decima grandezza; si distinguono, chiaramente, alcuni piccoli sottogruppi composti da 3-4 stelle.

Il piccolo gruppo di galassie HGC89 giace esattamente ½ grado ad est di questo; è composto da 3 spirali allineate, attorno alle quali si dispongono galassie di dimensioni molto più contenute, rilevabili solo attraverso telescopi di grosso diametro; come in altri piccoli gruppi di galassie, le componenti sono separate da distanze di gran lunga maggiore delle dimensioni delle galassie stesse.

 

SADALSUUD

Eccoci finalmente giunti alla stella più luminosa di Aquarius, Sadalsuud (β Aquarii) la quale, splendendo di magnitudine 2,87, si pone al 158° posto in ordine di luminosità tra le stelle più luminose dell’intera volta celeste. Nell’opera “al-Durrat al-muḍiyya fī al-ʻamāl al-shamsiyya”, (“Le perle di brillantezza nelle attività solari“), calendario di eventi astronomici e catalogo delle stelle redatto dall’astronomo egiziano Muhammad al-Akhsasi al-Muwaqqit attorno al 1650, tale stella venne denominata col termine “Nair Saad al Saaoud”, letteralmente “la più luminosa tra le fortunate”, dal quale successivamente derivò il più breve “Al-Sad al-su‘ud” ovvero “la fortunata delle fortunate”: è ad quest’ultimo termine che deriva il nome proprio Sadalsuud. Nella tradizione islamica, questa ed altre stelle della zona (inclusa la vicina α Aquarii) erano in qualche modo ritenute portatrici di fortuna o speranza: anche se il contesto è ancora oggi molto oscuro, c’è forse  un legame con l’antica relazione della costellazione con l’acqua: elemento ricercato per essere vitale nelle zone desertiche dove si sviluppò la cultura araba.

Sadalsuud, distante 612 anni-luce dal Sistema Solare, è una delle rare supergiganti gialle note nella Via Lattea; di tipo G0 Ib, la sua temperatura superficiale è di circa 5.600K, non lontana da quella del Sole. Nonostante sia parecchio giovane, con un’età stimata in soli 110 milioni di anni, la sua massa 5 volte maggiore di quella solare ha portato la stella ad espandersi fino a raggiungere un diametro 48 volte quello della nostra stella: una superficie così grande, porta inesorabilmente l’astro ad irradiare 2.200 volte il Sole.

A nord-ovest di Sadalsuud è presente quella che potremmo definire quale sua “gemella”: Sadalmelik (α Aquarii), la quale è di poco più debole per il fatto di essere 146 anni-luce più lontana. Queste due, assieme ad un’altra stella della zona, Enif (ε Pegasi), hanno circa la stessa età e mostrano un moto nello spazio molto simile in termini di velocità e direzione; i tre astri sembrano muoversi più o meno perpendicolarmente rispetto al piano della Galassia, uno strano movimento che suggerisce un probabile allontanamento dal loro luogo di nascita. E’ infatti plausibile come le tre siano nate assieme come calde stelle di tipo B, forse all’interno di qualche associazione poco coesa che è andata velocemente a sciogliersi. Ad ogni modo, i loro rispettivi moti non le hanno poi allontanate più di tanto; viste da un ipotetico pianeta in orbita attorno a Sadalsuud, le altre due stelle, Sadalmelik ed Enif, apparirebbero entrambe come stelle di magnitudine 0, alla pari di quanto accade da noi per Artcturus (α Bootis), Vega (α Lyrae) e Capella (α Aurigae).

Sadalsuud, come detto, è un supergigante gialla; nel diagramma HR; essa si trova nella cosiddetta “lacuna di Hertzsprung”, area situata tra i tipi spettrali A5 e G0 e tra le magnitudini assolute +1 e -3 la quale è notevolmente povera di stelle (da cui il nome). Nel corso della propria evoluzione, quando una stella incrocia la lacuna di Hertzsprung essa ha già completato la fusione dell’idrogeno nel nucleo ma non ha ancora iniziato la fusione dell’idrogeno nel guscio che circonda il nucleo. Tale “lacuna”, in realtà, potrebbe essere tutt’altro che apparentemente vuota; in termini evolutivi, si ipotizza che le stelle attraversino velocemente – qualche migliaio di anni – questa zona del diagramma HR: pochissimo rispetto alle decine di milioni di anni di vita di una stella. Sarebbe proprio questo il motivo dell’apparente vuoto di stelle in tale zona del diagramma HR poiché, in sostanza, le stelle vi stazionerebbero per poco tempo.

Ebbene, Sadalsuud e Sadalmelik sono “colte” in tale lacuna proprio perché stanno attraversando quella breve fase evolutiva che le ha portate li; nate probabilmente come calde e massicce stelle di tipo O o B, forse in qualche associazione stellare, la loro grande massa le ha portate presto ad espandersi e, di conseguenza, a raffreddarsi. Attualmente, nei rispettivi nuclei la produzione di energia avviene attraverso la fusione di elio in carbonio: fase velocissima per stelle della loro massa: fattore che le rende, per l’appunto, rare. Come tutte le stelle di grande massa uscite dalla sequenza principale, supergiganti gialle come Sadalsuud e Sadalmelik dovrebbero manifestare pulsazioni nella loro struttura, osservabili come variabilità luminose del tipo “cefeide”. Ma, stranamente, le due stelle più luminose di Aquarius non sono cefeidi; non è noto il motivo di questo che rimane un mistero. Sadalsuud, pur avendo già probabilmente innescato la fusione del carbonio, non sarà in grado di fondere completamente le riserve di tale elemento prima che il suo nucleo degeneri; infatti, mentre massa e temperatura del suo nucleo sono sufficienti a fondere il carbonio, non lo saranno per il neon: il nucleo di questa supergigante gialla andrà quindi collassare, portando alla formazione di una nana bianca del tipo ossigeno-neon-magnesio che andrà a spegnersi lentamente, dopo miliardi di anni: un’età superiore a quella attuale dell’Universo stesso.

Un evento inconsueto accadde nel 2005, quando il Chandra X-ray Observatory (NASA), telescopio spaziale atto a rilevare e studiare sorgenti raggi X, colse emissioni sviluppate a livello coronale su entrambe queste stelle gemelle, Sadalsuud e Sadalmelik. Le quali, come detto, sono stelle certo tutt’altro che comuni. Tali fenomeni sono caratteristici delle stelle nane, quelle con massa solare, nelle quali stretta è la correlazione tra emissione X e velocità di rotazione di questi astri; tuttavia, l’emissione di vento stellare portano tali stelle, col tempo, a perdere momento angolare, ruotando così sempre meno velocemente e, di conseguenza, a sopprimere l’azione della dinamo e del campo magnetico: poiché i gas ionizzati delle corone stellari subiscono notevolmente l’influsso dei campi magnetici, sia di quello globale che di quello associato alle macchie presenti alla superficie, ecco la riduzione dell’emissione di raggi X nella corona. Ma per quelle stelle che hanno temperatura simile a quella del Sole ma giacciono ben al di fuori della sequenza principale, le cose sono molto più complicate.

Stelle di grande massa presenti tra la fine del tipo spettrale F e l’inizio di quello G sono il prodotto di stelle nate con temperature a cavallo tra i tipi B e A e massa 2-4 volte quella solare; le regioni convettive interne di questi astri, così come la loro stessa rotazione, differiscono molto dalle nane di massa solare. Le giganti situate nella lacuna di Hertzpsrung, come Sadalsuud, si rendono più attive alla fine della loro vita; le loro pur estese corone, infatti, non mostrano emissioni X prodotte da relazione tra rotazione attività. La carenza di raggi X è, probabilmente, diretta conseguenza della diminuzione delle temperature nelle corone delle immense supergiganti G le quali, come detto, si raffreddino al diminuire dell’attività all’aumentare della loro stessa età. Nelle supergiganti di tipo G, evolute da stelle di tipo B nate con masse 5-9 volte quella del Sole, la situazione coronale è ancora più instabile; Sadalsuud e Sadalmelik sono state le prime supergiganti di tipo G nella cui corona è stata rilevata l’emissione di raggi X sopra descritta. Eventi sporadici? La cosa non è ancora nota.

Ad occhio nudo, Sadalsuud appare come una stella solitaria; ma osservata al telescopio, rivela invece la vicina presenza di due deboli compagne: Sadalsuud B, di magnitudine 11,0 è separata da 35” d’arco mentre Sadalsuud C da 57” secondi d’arco. Anche se la visione all’oculare è piacevole, le due stelle in questione sono solo prospettiche: la seconda pubblicazione dei astrometrici di GAIA mostra, infatti, come le due compagne siano lontane il doppio della distanza dalla stella principale del terzetto oltre che esibire differenti moti propri da essa.

 

M2 leggi su Coelum Astronomia 255 

Dopo aver fatto luce sui segreti della stella più luminosa di Aquarius, concludiamo questo approfondimento andando a far visita all’oggetto del profondo cielo più luminoso di tale costellazione. Reperirlo è facilissimo: puntando già un comune binocolo esattamente 5° a nord di Saldalsuud, si potrà notare una stella di sesta grandezza chiaramente sfocata, dalla forma di un piccolo batuffolo di luce. Non è una stella ma M2, uno degli ammassi stellari di tipo globulare più belli di tutta la volta celeste. Di magnitudine apparente 6,5, tale oggetto si estende fino ad 8’, evidenziando una regione centrale luminosa e compressa di circa 5′: un valore pari a ben 2/3 del suo diametro.

Il primo ad aver scorto questo oggetto, pur con le limitazioni degli strumenti dell’epoca, fu Gian Domenico Maraldi, astronomo di origini liguri che si era trasferito in Francia. L’11 settembre 1746, mentre era intento a seguire la cometa scoperta da Jean-Philippe de Cheseaux in quello stesso anno, si imbatté in uno strano oggetto che lo colpì molto proprio per il fatto che, oltre a non essere una cometa a causa della sua immobilità, questo singolare oggetto dall’aspetto nebuloso non era nemmeno risolto in stelle, al contrario di quanto invece accadeva per qualche nebulosa già all’epoca nota. Esattamente 14 anni dopo, l’11 settembre 1760, Charles Messier osservò questo oggetto, disegnandone la posizione su una carta che lo stesso redasse per l’osservazione di un’altra cometa (quali coincidenze!), quella apparsa nel 1759. Anche Messier, come Maraldi prima di lui, descrisse M2 come una “nebulosa senza stelle, tonda e con il centro brillante”. Successivamente, lo incluse alla seconda posizione in quello che sarebbe divenuto il più famoso catalogo di oggetti non stellari ancora oggi in uso. Fu il grande William Herschel il primo a risolvere completamente l’oggetto in una moltitudine di stelle tanto che M2 venen da lui paragonato ad “un pugno di sabbia finissima”.

Essendo ben lontano dalle isofote galattiche della Via Lattea, M2 appare in un campo relativamente povero di stelle di fondo di una certa luminosità; l’impatto visivo con tale oggetto è, però, davvero spettacolare. Come noto, all’aumentare del diametro del telescopio utilizzato si rendono visibili più dettagli; e, su questo, M2 è uno straordinario esempio. Mentre un 150 mm rende ben evidente la condensazione centrale, con una risoluzione in stelle ai bordi appena accennata, un 200 mm permette di risolvere non solo un gran numero di stelle ma distinguere, anche, aree di differente brillanza. Osservato con un 300 mm ad elevato ingrandimento, M2 è davvero uno spettacolo mozzafiato: qui, la risoluzione in stelle si spinge fino alla luminosa area centrale mentre l’alone inizia ad assumere una forma non più sferica, rendendosi ovalizzato lungo l’asse nord-sud. Una sorta di “linea oscura” si rende ben visibile nel margine nord-orientale dell’ammasso mentre telescopi di diametro ancora maggiore (es. 400 mm) permettono di notare molte altre di queste aree più scure. Le stelle più luminose di M2 sono giganti rosse e gialle di magnitudine 13 mentre le numerose stelle che ri trovano ramificate nel suo vasto alone, che si estende fino a 16’ nelle imamgini più “profonde”, sono per lo più di sedicesima grandezza.

Una delle cose più incredibili M2 la fornisce quando osservato più volte nel corso di almeno due settimane: l’occhio non farà, infatti, difficoltà a notare la presenza, che si trova a nord del bordo orientale dell’ammasso, di una stella che, oscillando tra le magnitudini 12,5 e 14,0 in circa 70 giorni, cambia non poco l’aspetto dell’ammasso stesso. Tale variabile venne scoperta nel 1897 dall’astrofilo francese A. Chèvremont, la sua magnitudine varia da un minimo di 14,0 a un massimo di 12,5 in un periodo di 11 giorni che, comunque, non è sempre regolare; la “variabile di Chèvremont, come venne in seguito chiamata, appartiene alla classe delle cosiddette RV Tauri: giganti pulsanti dal comportamento caotico e irregolare, che esibiscono l’interessante caratteristica di scambiare, in modo graduale o improvviso, il periodo principale con quello secondario. Se tale stella rende ben visibile al telescopio il suo caotico comportamento, non si può dire che M2 sia un classico ammasso globulare ricco di variabili: sono in tutto una cinquantina quelle note, la maggior parte delle quali sono RR Lyrae mentre poche le cefeidi.

Ad ogni modo, tali stelle hanno portato a determinarne la distanza dal Sistema Solare con una certa correttezza, che risulta essere pari a 37.500 anni luce. M2 si estende nello spazio in una sfera dal diametro di 175 anni-luce, all’interno della quale sono contenute circa 150.000 stelle: questi valori lo rendono uno degli ammassi globulari più ricchi e compatti tra quelli appartenenti alla Via Lattea, come indica anche la sua classificazione di densità, con valore II nella scala compresa tra I per i più densi e XII per i più radi. M2 ha anche una notevole forma elissoidica, particolare che, come già accennato, si può scorgere anche ad un’attenta osservazione telescopica. I recenti dati ottenuti dal satellite per astrometria GAIA (ESA) hanno portato alla scoperta di un esteso flusso di stelle, lungo circa 45° e largo ben 300 anni-luce, che sembra essere associato ad M2; non è escluso che tale struttura abbia subito la perturbazione gravitazionale delle Grande Nube di Magellano. Circa l’orbita galattica di M2, dai dati ottenuti dal satellite astrometrico Hipparcos (ESA), M2 si muoverebbe su un’orbita molto eccentrica, che porterebbe il gruppo di stelle da una distanza minima dal nucleo galattico di 23.500 anni-luce fino all’enorme distanza di 171.000 anni-luce, nonché fino a 165.000 anni-luce sopra e sotto il piano della Via Lattea.

Le parti mancanti dell’ArtiColo sono pubblicate su Coelum Astronomia n°258 di ottobre/novembre. Prenota la tua copia QUI

 

Arriva il premio Nobel per la fisica 2022 consegnato a Aspect, Clauser e Zeilinger

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La Royal Swedish Academy of Sciences ha deciso di assegnare il Premio Nobel per la Fisica 2022 a

Alain Aspect
Université Paris-Saclay e
École Polytechnique, Palaiseau, Francia

John F. Clauser
JF Clauser & Assoc., Walnut Creek, CA, USA

Università Anton Zeilinger
di Vienna, Austria

“per esperimenti con fotoni entangled, che stabiliscono la violazione delle disuguaglianze di Bell e aprono la strada alla scienza dell’informazione quantistica”

Stati entangled: dalla teoria alla tecnologia

Alain Aspect, John Clauser e Anton Zeilinger hanno condotto ciascuno esperimenti rivoluzionari utilizzando stati quantistici entangled, in cui due particelle si comportano come una singola unità anche quando sono separate. I loro risultati hanno aperto la strada alla nuova tecnologia basata sull’informazione quantistica.

Gli ineffabili effetti della meccanica quantistica stanno cominciando a trovare applicazioni. Ora esiste un ampio campo di ricerca che include computer quantistici, reti quantistiche e comunicazioni crittografate quantistiche sicure.

Un fattore chiave in questo sviluppo è il modo in cui la meccanica quantistica consente a due o più particelle di esistere in quello che viene chiamato stato entangled. Ciò che accade a una delle particelle in una coppia entangled determina ciò che accade all’altra particella, anche se sono distanti.

Per molto tempo, la domanda è stata se la correlazione fosse dovuta al fatto che le particelle in una coppia entangled contenevano variabili nascoste, istruzioni che indicavano loro quale risultato avrebbero dovuto fornire in un esperimento. Negli anni ’60, John Stewart Bell sviluppò la disuguaglianza matematica che porta il suo nome. Questo afferma che se ci sono variabili nascoste, la correlazione tra i risultati di un gran numero di misurazioni non supererà mai un certo valore. Tuttavia, la meccanica quantistica prevede che un certo tipo di esperimento violerà la disuguaglianza di Bell, risultando così in una correlazione più forte di quanto sarebbe altrimenti possibile.

John Clauser ha sviluppato le idee di John Bell, applicandolo a un esperimento pratico. Le misurazioni hanno supportato la meccanica quantistica violando chiaramente una disuguaglianza di Bell. Ciò significa che la meccanica quantistica non può essere sostituita da una teoria che utilizza variabili nascoste.

Alcune scappatoie sono rimaste dopo l’esperimento di John Clauser ma Alain Aspect nel frattempo ha sviluppato la configurazione, utilizzandola in un modo da colmarne una. È stato in grado di cambiare le impostazioni di misurazione dopo che una coppia aggrovigliata aveva lasciato la sua sorgente, quindi l’impostazione esistente al momento dell’emissione non poteva influire sul risultato.

Utilizzando strumenti raffinati e lunghe serie di esperimenti, Anton Zeilinger ha invece iniziato a utilizzare stati quantistici entangled. Tra le altre cose, il suo gruppo di ricerca ha dimostrato un fenomeno chiamato teletrasporto quantistico, che consente di spostare uno stato quantistico da una particella a una a distanza.

“È diventato sempre più chiaro che sta emergendo un nuovo tipo di tecnologia quantistica. Possiamo vedere che il lavoro dei vincitori con gli stati entangled è di grande importanza, anche al di là delle domande fondamentali sull’interpretazione della meccanica quantistica”, afferma Anders Irbäck, presidente del Comitato per il Nobel per la fisica.

Fonte: https://www.nobelprize.org/prizes/physics/2022/press-release/

Settimana Astronomica di Scheggia e 30° convegno GAD

Dal 3 Ottobre 2022 al 09 Ottobre 2022 Scheggia (PG) si immerge nell’Astronomia e per tutta la settimana ospiterà incontri dedicati alla divulgazione scientifica principalmente all’ Astronomia e alla Geofisica.

Gli incontri si rivolgeranno a tutte le età, dalla mattina riservata alle scolaresche, alla pomeriggio sera con attività per grandi e famiglie.

Inoltre, durante la settimana, dal pomeriggio di Venerdì 7 ottobre, al pomeriggio di Domenica 9 Ottobre si terrà il XXX° GAD, incontro e dibattito scientifico organizzato dal Gruppo Astronomia Digitale, Unione Astrofili Italiana e Associazione Astronomica Umbra aperta a tutte le persone interessate.

Un programma ricco di appuntamenti. Si parte con gli incontri con gli esperti, tutte le mattine dal 3 al 7, conferenze tenute da soci delle associazioni astronomiche regionali, docenti universitari, esperti di geofisica, membri del CICAP ed ospiti di livello.

Ecco alcuni temi trattati durante le conferenze:

  • Astronomia di base
  • Osservare e ricerca delle meteore
  • Come e cosa osservare al telescopio
  • La luna
  • L’ osservatorio di Scheggia e il programma per i prossimi anni
  • I terremoti e la geofisica
  • Il Sole e il sistema solare
  • Le associazioni astronomiche e le collaborazioni
  • Le meridiane

Per le relazioni legate alla conferenza del GAD, verranno invece trattati argomenti più specifici e scientifici:

  • Studio e analisi delle stelle variabili
  • Studio e analisi nella ricerca degli esopianeti
  • La Fotometria
  • L’Automazione di un osservatorio
  • Studio e ricerca di asteroidi
  • Ricerca su Asteroidi pericolosi per la terra (NEO)
  • Programmi di ricerca
  • Software di ricerca

Insomma ce n’è davvero per tutti!

Ma non è finita qui, la settimana astronomica sarà ricca di visite guidate

VENERDÌ – la necropoli longobarda, la consolare Flaminia, il “Ponte a Botte” indicato nei diari dei viaggiatori del 1800 come “la gran botte d’Italia” e la leggenda del “Bandito”

SABATO – visita alla Badia di Sitria, all’abbazia di Sant’Emiliano e Bartolomeo in Congiuntoli al borgo medioevale di Pascelupo, dal quale potremo osservare il suggestivo eremo di San Girolamo di Monte Cucco incastonato tra le rocce. Durante il percorso sarà possibile osservare il sito geo-paleontologico del giurassico inferiore-medio e la spettacolare “Gola del Corno del Catria.

DOMENICA – “Alla scoperta delle 6 torri medioevali di Scheggia” percorso di trekking urbano nel centro storico del paese, seguendo una mappa catastale napoleonica del 1813.

Sabato inoltre tutti in fila per un viaggio 3D nello spazio con CosmoExperience ed i visori della realtà virtuale!

DOVE ecco i luoghi della settimana di Astronomia

  • Teatro Comunale di Scheggia per le conferenze dal 3 al 9 Ottobre,
  • Giardinetti Scheggia, per osservazioni solari dal 3 al 7 Ottobre (da definire)
  • Campo sportivo Scheggia, per osservazioni notturne dal 3 al 6 Ottobre (da definire)
  • La Pezza mini Star Party del GAD di Venerdì 7 Ottobre (da definire)

Organizzatori:

  • UAI – Unione Astrofili Italiana sezione ricerca
  • GAD – Gruppo Astronomia Digitale diLa Spezia
  • AAU – Associazione Astronomica Umbra di Scheggia e Pascelupo (PG)

Enti Patrocinanti:

  • Comune di Scheggia e Pascelupo
  • Regione Umbria

Collaborazioni:

  • Nasa Senigallia
  • Progetto prisma
  • CICAP
  • Coelum Astronomia
  • Programma Nazionale di Ricerca in Antartide
  • Fondazione Lisandrelli
  • Sezione Ari Perugia
  • Sezione COTA Perugia

Per informazioni ed approfondimenti:

http://www.astroumbra.org/

Associazione Astronomica Umbra APS | Facebook

Associazione Astronomica Umbra APS (@associazioneastronomicaumbra) • Foto e video di Instagram

https://www.youtube.com/channel/UCcgP7Z3nTAjs1mXL8bN3EjQ

 

 

Ora disponibile! Illuminazione Pubblica e Criminalità

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Da oggi nello Shop di Coelum è disponibile il testo:

ILLUMINAZIONE PUBBLICA E CRIMINALITA’

La luce COME variabile indipendente per comportamenti devianti?

Nel panorama editoriale, fino allo scorso marzo, non era presente un saggio volto a indagare le (eventuali) relazioni esistenti tra fenomenologie criminali in aree urbane o suburbane e la presenza dell’illuminazione pubblica. Per i tipi Editoriale Delfino, Luca Invernizzi ha ricercato, attingendo dalla letteratura specialistica, prove statisticamente significative che giustificassero l’efficacia degli interventi di deterrenza al crimine basati sull’incremento o sul miglioramento della luce artificiale durante le ore di buio.

Capire quali fossero le ragioni dalle quali scaturisse il leitmotiv secondo cui il tasso di criminalità sarebbe inversamente proporzionale alla quantità di luce che viene prodotta e diffusa nelle nostre città, ha richiesto un approccio interdisciplinare al problema. Per questa ragione l’autore ha dedicato l’intero primo capitolo a una analisi di matrice socio-criminologica, particolarmente improntata al tema della prevenzione al crimine, senza omettere un breve escursus riguardante i concetti salienti della sicurezza pubblica e urbana volto a fare chiarezza sui concetti di percezione di rischio di essere vittima di reati e quelli di rischio statistico concernente il verificarsi di eventi criminosi.

La luce artificiale che illumina le città e ormai gran parte del territorio anche meno antropizzato è protagonista del secondo capitolo, sia perché valutata dal punto di vista quantitativo e qualitativo, sia perché rappresenta la variabile indipendente degli studi che sono stati effettuati. Ma in ogni caso è lo strumento che, in alcune circostanze, gli amministratori pubblici hanno impiegato per incrementare la percezione di sicurezza e la riduzione del crimine. Anche i vincoli legislativi in tema di illuminazione pubblica e privata sono stati oggetto di trattazione e di riflessioni, insieme al tema della progettazione urbanistica e, in particolare, di quella prettamente illuminotecnica, in quanto potenziale strumento per un apprezzamento ecologico e sociale di un territorio, nonché – secondo certe declinazioni teoriche – uno strumento efficace per il controllo informale, capace di agire positivamente sul decremento dei tassi di criminalità. Tuttavia, nel saggio è posto in evidenza come il confine tra i genuini interventi di riqualificazione illuminotecnica e il vero e proprio “business della luce” è molto tenue, aggravando le numerose controindicazioni che purtroppo la smodata e incontrollata luce artificiale porta con sé.

A proposito di ciò, l’autore in un intero capitolo analizza quindi gli effetti dell’inquinamento luminoso sia sulle persone, sia e soprattutto a carico dell’intero ecosistema; soffermandosi anche sui danni che la luce artificiale notturna determina a scapito della ricerca scientifica e sulla cultura più in generale.

Infine, nel quarto e penultimo capitolo sono enucleate le ricerche già condotte sul rapporto tra illuminazione artificiale e reati. Gli studi, le revisioni e le meta-analisi proposte, sono qui affrontati in modo critico e valutati anche per quanto riguarda il disegno metodologico adottato. A queste dispute, soprattutto sul piano statistico, e ai bias che indeboliscono la bontà degli studi, è stato dedicato un paragrafo per l’importanza fondamentale nelle ricerche quantitative pubblicate.

Il libro termina con un’analisi volta a tenere in conto sia dello stato dell’arte delle ricerche, sia dell’impianto teorico di stampo criminalistica, sociologica e tecnico-ambientale. Non prima, però, di aver delineato delle possibili, quanto auspicabili, linee di ricerca future sul tema oggetto del saggio.

Un’opera quindi che sembra volersi rivolgere non solo a coloro che si occupano di criminalità o di pubblica illuminazione, ma è un condensato di nozioni e spunti di riflessione anche su aspetti sociologici e ambientali. Per gli astrofili, in particolare, i rimandi alla scienza del cielo non mancano: non è lasciata sullo sfondo la perdita della visione della volta celeste e i danni all’astronomia che l’eccesso di illuminazione artificiale porta con sé.

Oltre una ventina fra immagini, grafici e tavole completano e corredano opportunamente l’originale lavoro, unitamente all’ampia bibliografia.

 

Autore – Luca Invernizzi (Sondrio, 1966), libero professionista e giornalista ha collaborato con varie testate con articoli e approfondimenti in ambito astronomico e non solo. Tra le altre pubblicazioni, è co-autore del saggio L’astronomo Valtellinese Giuseppe Piazzi e la scoperta di Cerere (2001). È tra i promotori delle legislazioni volte alla tutela del cielo stellato, occupandosi anche professionalmente di illuminotecnica con specifico riferimento alle attività di energy saving. Nel 2006 l’Unione Astronomica Internazionale ha attribuito a un asteroide della fascia principale, scoperto in Italia nel 1997, il nome (47359) Invernizzi.

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Coelum Astronomia 258 V 2022 Digitale

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Invito Conferenza Online: Inquinamento Luminoso un Fenomeno ancora troppo Sottovalutato.

Inquinamento Luminoso un Fenomeno ancora Troppo Sottovalutato.

In occasione della Giornata Nazionale sull’Inquinamento Luminoso, e per sostenerne l’obiettivo Coelum Astronomia organizza una incontro in cui interverranno esperti del territorio impegnati da anni nella lotta al contrasto e alla sensibilizzazione verso una forma di inquinamento, quella luminosa appunto, i cui danni ancora oggi tendono ad essere sottovalutati.

L’appuntamento è per Giovedì 27 ottobre ore 21:15 online sui canali della rivista Coelum Astronomia, youtube e pagina face book. Interverranno come ospiti:

Luca Invernizzi libero professionista e giornalista tra i promotori delle legislazioni volte alla tutela del cielo stellato, occupandosi anche professionalmente di illuminotecnica con specifico riferimento alle attività di energy saving.

Diego Bonata ingegnere aerospaziale co-fondatore di CieloBuio e presidente dall’anno della sua costituzione fino al 2008. Si occupa professionalmente di progettazione illuminotecnica per una illuminazione eco-sostenibile nel progetto Light-Is.

Fabio Falchi docente di fisica autore degli atlanti dell’inquinamento luminoso e una trentina di articoli su riviste scientifiche internazionali e attuale presidente di CieloBuio.

Durante l’intervento saranno introdotti alcuni studi sui danni e conseguenze dell’abuso di luce, soprattutto nei centri abitati, presentate le iniziative di sensibilizzazione pubblica sostenute dall’associazione Cielo Buio e i risultati legislativi raggiunti con le numerose battaglie. L’incontro tuttavia vuole essere un momento di riflessione condiviso con il pubblico sulla necessità di un’azione di sensibilizzazione civica in grado di influenzare le scelte politiche sullo sfruttamento del territorio e metodologie messe in campo per contrastare alcune necessità come la sicurezza urbana.

Modera l’incontro Molisella Lattanzi direttrice di Coelum Astronomia.

Canali per seguire la diretta:

https://www.youtube.com/c/coelum

Facebook: https://www.facebook.com/coelumastronomia

Altre informazioni

La Giornata Nazionale sull’Inquinamento Luminoso è nata nel 1993 per iniziativa dell’Osservatorio Astronomico “Serafino Zani” di Lumezzane (BS), con il patrocinio, tra gli altri, dell’Associazione Amici dei Planetari (oggi PLANit) e dell’Unione Astrofili Italiani. L’iniziativa si svolge in un sabato di ottobre vicino al novilunio.

Lo scopo è quello di sensibilizzare il pubblico nei confronti di questo problema che diventa sempre più pressante e che oggi colpisce l’83% della popolazione mondiale. L’inquinamento luminoso non solo impedisce alle persone comuni di vedere lo spettacolo del cielo stellato, e agli astronomi di compiere le proprie osservazioni, ma è anche un’importante fonte di spreco energetico, a causa delle luci cittadine spesso inutilmente rivolte anche verso l’alto. Inoltre, l’inquinamento luminoso è fonte di diversi disturbi della salute, anche gravi, provati ormai da molti studi scientifici. Allo stesso modo, incide negativamente anche su molte specie animali.

 

Coelum Astronomia è bimestrale scientifico a tema astronomico distribuito su tutto il territorio italiano dal 1997. Coelum ospita articoli di ricercatori e divulgatori di tutto il mondo, che illustrano in modo chiaro e con grande rigore le più recenti scoperte nel campo dell’Astronomia. Dà anche grande spazio agli astronomi amatoriali, che ormai, armati di mezzi tecnici sofisticati e di una solida rete di contatti con i professionisti, contribuiscono in modo rilevante alla crescita e alla diffusione di questa disciplina. Una disciplina sempre mutevole, ricca di nuove scoperte che contribuiscono, ogni giorno, a cambiare con incredibile rapidità l’immagine dell’Universo nel quale viviamo.

Associazione Cielo Buio coordinamento nazionale per la protezione del cielo notturno, si occupa dal 1997 (anno della sua costituzione) di promuovere la cultura di una illuminazione eco-compatibile e della protezione del cielo dal fenomeno dell’inquinamento luminoso.

Per questo motivo raccoglie la libera adesione di astronomi professionisti e non, di scienziati, di professionisti dell’illuminazione e di semplici interessati al problema dell’inquinamento luminoso in ogni forma che si presenti, per coordinare sul territorio italiano le attività: scientifiche, tecniche, illuminotecniche, culturali, divulgative, etc… e per sostenere le azioni legislative orientate a contrastare in modo corretto il fenomeno dell’inquinamento luminoso.CieloBuio rappresenta inoltre numerosi enti, associazioni ed osservatori astronomici (oltre 120 del territorio italiano) www.cielobuio.org

 

Contatti:

Redazione Coelum Astronomia

Email: redazione@coelum.com

Il Cielo di Ottobre 2022

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Con Ottobre si apre il sipario sulle costellazioni che caratterizzeranno il cielo d’autunno: le serate estive sono ormai un ricordo e con esse anche gli oggetti celesti che per mesi abbiamo osservato per tutta la notte. Ora è il momento di lasciarci sorprendere da una schiera di astri che anticipano già il cielo invernale!

Il dettaglio sulla costellazione di Pegaso, del Pesce Australe e quanto possiamo osservare in queste lunghe notti autunnali, disponibili all’articolo Le Costellazioni di Ottobre 2022 a cura di Teresa Molinaro

COSA OFFRE IL CIELO

Clicca sul banner per accedere alle Effemeridi 2022!

Mercurio

01/10
Sorge: h 05:57
Tramonta: h 18:20

31/10
Sorge: h 06:10
Tramonta: h 16:58

Il mese precedente, nel giorno dell’Equinozio (che ricordiamo è caduto il 23 settembre), abbiamo trovato Mercurio in congiunzione inferiore con la nostra stella, evento che lo ha reso inosservabile per diversi giorni. All’inizio di questo mese di ottobre, il piccolo pianeta fa una timida apparizione mattutina anticipando l’alba di pochi istanti, per poi accompagnare il Sole lungo il suo tragitto fino al tramonto. Sarà così per tutto il mese. Il giorno 8 sarà in dicotomia e il 9 si troverà alla sua massima altitudine nel cielo mattutino; dal giorno successivo riprenderà la sua “discesa”. Nella seconda metà del mese tarderà man mano il suo sorgere, ma comunque farà capolino ad Est sempre circa un’ora prima del Sole.

Venere

01/10
Sorge: h 06:35
Tramonta: h 18:47

31/10
Sorge: h 06:50
Tramonta: h 17:16

Ottobre sarà un periodo poco entusiasmante per l’osservazione di Venere! I primi giorni del mese vedremo il luminoso pianeta salutarci pochi istanti prima dell’alba; poi il suo cammino lo porterà sempre più vicino alla nostra stella, con cui sarà in congiunzione superiore il 22 ottobre. Successivamente a questa data, Venere potrà essere contattato in orari serali, ma ne avremo una migliore visione solamente dalla fine del prossimo mese.

Marte

01/10
Sorge: h 22:13
Tramonta: h 13:20

31/10
Sorge: h 19:31
Tramonta: h 10:52

Marte sarà il grande protagonista del mese di ottobre: contattabile già dalle prime ore serali, ci terrà compagnia per tutto l’arco della notte con la sua splendida luce rossa. E la vicinanza con la stella Aldebaran, ancora apprezzabile nei primi giorni del mese, creerà uno splendido quadro celeste, grazie anche alla presenza di Orione poco più in basso. Il giorno 15 il pianeta ci concederà una bella congiunzione con la Luna, con poco più di 3° di separazione, formando un bel triangolo con l’occhio del Toro e la brillante Betelgeuse. Il 30 ottobre Marte entrerà invece in moto retrogrado, invertendo la sua marcia, e anticiperà sempre più il suo sorgere.

Giove

01/10
Sorge: h 18:38
Tramonta: h 06:49

31/10
Sorge: h 15:33
Tramonta:
h 03:34

Ottobre è ancora il mese del gigante gassoso e Giove dà spettacolo già dalle ultime luci del tramonto. Con il passare dei giorni anticiperà sempre più il suo sorgere, facendo capolino fin da orari pomeridiani. La sua presenza costante ci accompagna per tutto il mese accostato ai Pesci e poco sopra la coda di Balena, concedendosi a delle belle osservazioni. Una bellissima Luna alla sua quasi totalità lo passerà a trovare il giorno 8, in uno strettissimo abbraccio di poco meno di 3° apprezzabile già nelle prime ore di buio.

Saturno

01/10
Sorge: h 16:52
Tramonta:
h 03:03

31/10
Sorge: h 13:53
Tramonta: h 00:03

Saturno ci ha tenuto compagnia a lungo in questi mesi estivi e pian piano iniziamo tristemente a salutarlo. Ottobre segna infatti un netto passaggio per l’osservazione di questo bellissimo pianeta, con la finestra temporale di osservazione che va via via restringendosi. In ogni caso il 5 ottobre non mancherà di dare spettacolo con una bella congiunzione con la Luna! Il 23 ottobre invece terminerà il suo moto retrogrado e ritornerà al consueto movimento verso Est, sempre collocato sulla coda del Capricorno.

Urano

01/10
Sorge: h 20:23
Tramonta: h 10:43

31/10
Sorge: h 17:22
Tramonta: h 07:39

Urano continua a tenerci compagnia perfettamente allineato agli altri pianeti, collocandosi tra Ariete e Toro per tutto il mese. L’11 ottobre segnaliamo l’accostamento del nostro satellite al pianeta, mentre il giorno successivo ci sarà l’occultazione di Urano da parte della Luna: evento visibile in gran parte del Nord America, ma purtroppo non apprezzabile dalla nostra penisola.

Nettuno

01/10
Sorge: h 18:15
Tramonta: h 06:01

31/10
Sorge: h 15:16
Tramonta: h 02:59

Nettuno ci accompagnerà per quasi tutto il mese collocato poco più a Ovest rispetto la posizione di Giove. Al pari del gigante del cielo, la sua finestra di osservazione si fa via via più stretta con l’avanzare del mese. Il giorno 8 si fa spettatore silenzioso della splendida congiunzione Luna-Giove, sempre però difficile da contattare!

SOLE

Previsioni attività solare – Ottobre 2022
Continua la fase di crescita del ciclo solare 25, che conferma le previsioni attuali che stimano un picco dell’attività solare attorno alle fine del 2025!

Non perdere l’articolo a cura di Daniele Bonfiglio: clicca QUI 

LUNA

Le notti si allungano e Ottobre ci regala delle ottime occasioni per dedicarci all’osservazione del nostro satellite!

Tutti gli approfondimenti sull’osservazione e i fenomeni celesti legati al nostro satellite disponibili per il mese di Ottobre 2022, a cura del nostro autore Francesco Badalotti.

Non perderti l’articolo: Luna di Ottobre 2022

COMETE

Tutti gli occhi su C/2022 E3 (ZTF) che si prepara a dar spettacolo!

Un aggiornamento sulla cometa che a febbraio potrebbe trasformarsi in un oggetto visibile ad occhio nudo!

Per approfondire: Le comete di Ottobre 2022 a cura di Claudio Pra

ASTEROIDI

Come catturare il passaggio di un asteroide? Nell’Era della Difesa Planetaria, continuano gli aggiornamenti mensili sul viaggio di questi affascinanti corpi minori!

Trovi tutto qui: Mondi in miniatura – Asteroidi, Ottobre 2022 a cura di Marco Iozzi

TRANSITI NOTEVOLI ISS

Per questo mese di ottobre la ISS – Stazione Spaziale Internazionale sarà rintracciabile nei nostri cieli sia ad orari serali che mattutini. Avremo 6 transiti notevoli con magnitudini elevate ad inizio e a fine mese, auspicando come sempre in cieli sereni!

Non perdere la rubrica Transiti notevoli ISS per il mese di Ottobre 2022 a cura di Giuseppe Petricca

SUPERNOVAE – AGGIORNAMENTI

Per il mese di Settembre continua la mancanza di scoperte amatoriali italiane e mondiali e anche Supernovae belle e luminose individuate dai programmi professionali. Così torniamo con nuova puntata delle “Supernovae italiane nelle galassie Messier” e questa volta è il turno della SN1999gn in M61 scoperta da Alessandro Dimai che purtroppo ci ha lasciati a Marzo del 2019 e che ricordiamo con grande affetto!

L’articolo a cura di Fabio Briganti e Riccardo Mancini disponibile QUI

Cieli sereni a tutti!

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LE SUPERNOVAE ITALIANE NELLE GALASSIE MESSIER – SN1999gn IN M61

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Passando in rassegna le supernovae italiane scoperte nelle galassie del catalogo di Messier ci siamo imbattuti in personaggi che, senza possibilità di smentita, hanno fatto la storia dell’astrofilia e dell’astronomia italiana!

Abbiamo iniziato con la SN1957B scoperta in M84 dal prof. Giuliano Romano, il primo italiano a scoprire una supernova ed in assoluto il primo astrofilo al mondo a scoprire una supernova.

Abbiamo proseguito con le quattro supernovae scoperte dall’astronomo Leonida Rosino, un pioniere in ambito di scoperte e studi sulle supernovae, sicuramente uno dei più grandi astronomi italiani.

Non perdere l’articolo dedicato a Leonida Rosino in Coelum Astronomia n° 254 Febbraio/Marzo 2022

Siamo arrivati poi alla SN1989B, scoperta in M66 dall’astrofilo Federico Manzini, personaggio che ha contribuito in maniera fondamentale alla divulgazione in Italia dell’astronomia a livello amatoriale.

Siamo approdati infine alla SN1998bu scoperta in M96 dall’astrofilo Mirco Villi che possiamo considerare uno dei padri fondatori della nuova ricerca amatoriale di supernovae in Italia.

Tutti i precedenti episodi dedicati alle supernovae li trovi QUI

Adesso, continuando in ordine cronologico, arriviamo alla SN1999gn, scoperta in M61 da un altro grande astrofilo italiano, Alessandro Dimai, Alex per gli amici, uno dei primi astrofili italiani che con il programma di ricerca CROSS dell’Osservatorio del Col Druscè (Associazione Astronomica  Cortina) ha portato avanti, assieme all’associazione, la ricerca amatoriale di supernovae, ottenendo tra l’altro 22 scoperte.

È stato uno degli ideatori e fondatori dell’Italian Supernovae Search Project (ISSP) oltre ad essere un bravissimo divulgatore. Purtroppo Alex è venuto a mancare nel marzo del 2019 a causa di una brutta malattia, lasciando un vuoto incolmabile per l’astrofilia italiana e per tutte le persone che lo hanno conosciuto e apprezzato per la sua disponibilità, competenza e umanità.

Veniamo al racconto della scoperta di questa importante supernova avvenuta il 17 dicembre 1999 nella bellissima galassia a spirale barrata M61.

Immagine della SN1999gn in M61 ripresa da Alessandro Dimai la notte della scoperta con il telescopio da 50cm dell’Osservatorio del Col Drusciè

Si tratta di una spirale vista di faccia, posta nell’ammasso della Vergine a circa 50 milioni di anni luce di distanza e scoperta il 5 maggio 1779 dall’italiano Barnaba Oriani.

Quando Alex scoprì questa supernova eravamo di fronte alla quarta supernova conosciuta esplosa in M61; le tre precedenti erano state: la SN1926A scoperta il 9 maggio 1926 dall’astronomo tedesco Max Wolf, la SN1961I scoperta il 3 giugno 1961 dall’astronomo americano Milton Humason e la SN1964F scoperta il 30 giugno 1964 dall’astronomo italiano Leonida Rosino.

In anni più recenti l’astrofilo giapponese Koichi Itagaki ha ottenuto tre scoperte consecutive in M61: la SN2006ov, la SN2008in e la SN2014dt, un vero record poiché mai nessuno è riuscito a scoprire tre supernovae nella stessa galassia!

Infine il 6 maggio 2020 il programma professionale americano Zwicky Transient Facility (ZTF) scopre la SN2020jfo portando ad otto il numero delle supernovae scoperte in M61, che diventa così la galassia del catalogo di Messier con il maggior numero di supernovae scoperte al suo interno.

Tornando ad Alex, la succitata scoperta rappresentò per lui la sua prima supernovae ed anche la prima ufficiale del programma CROSS, avviato nel novembre del 1999. Il modo in cui fu ottenuta fece molto scalpore, sia a livello nazionale che internazionale, perché per la prima volta un ricercatore era riuscito a rilevare una supernova comodamente seduto nel salotto di casa, manovrando in remoto il telescopio da 50cm e la cupola dell’osservatorio situato a chilometri di distanza (vedi l’immagine in fondo all’articolo).

Erano da poco passate le 5 del mattino quando Alex, inquadrando la bella spirale M61 si accorse subito di una stella nuova di mag.+16 posta nel braccio a Sud-Est del nucleo. L’emozione era alle “stelle” ma l’incertezza che potesse trattarsi di un difetto, oppure di un pianetino in transito sopra la galassia o anche una supernova già scoperta, raffreddò l’euforia. Riprendendo altre immagini, l’oggetto era sempre nella stessa posizione e gli ulteriori controlli del caso non lasciarono dubbi.

Ad Alex venne infatti accreditata la tanto sospirata scoperta con la circolare IAUC 7335. La notte seguente la scoperta dal Lick Observatory in California veniva confermata la presenza della supernova con la luminosità aumentata di circa mezza magnitudine a +15,5.

Immagine della SN1999gn in M61 ripresa il 2 gennaio 2000 dall’astrofilo spagnolo Rafael Ferrando

Infine nella notte del 20 dicembre gli astronomi giapponesi del Bisei Astronomical Observatory con il telescopio da 1,01 metri furono i primi ad ottenere lo spettro di conferma. Si trattava di una supernova di tipo II molto giovane, scoperta cioè pochi giorni dopo l’esplosione, con i gas eiettati dall’esplosione che viaggiavano ad una velocità di circa 5300 km/s. Nelle settimane successive la supernova non superò la mag.+15 facendo ipotizzare di essere di fronte ad un evento di supernova “low-luminosity” e si stabilizzò per i tre mesi successivi intorno alla mag.+15,5 / +16,0 evidenziando il così detto Plateau, si trattava infatti di una supernova di tipo II-P.

immagine notturna dell’Osservatorio del Col Drusciè e la Via Lattea ripresa da Giorgia Hofer

Mondi in miniatura – Asteroidi, Ottobre 2022

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Un  piccolo e solitario punto di luce, così ci appare un asteroide quando lo osserviamo attraverso le lenti di un oculare, oppure utilizzando un sensore CCD o CMOS. Ma se ci prendiamo a cuore di analizzare un cospicuo numero di immagini  possiamo ricavare importanti aspetti della sua natura. 

Precise misure di magnitudine, opportunamente cadenzate e effettuate nell’arco di qualche ora, possono essere utilizzate per generate una curva di luce (come accennato nel cielo del mese di Agosto) dalla cui analisi si possono ricavare il periodo di rotazione, la forma e l’orientamento dei poli dell’oggetto. Le misure di posizione sono utilizzate per il calcolo dell’orbita dell’asteroide e ci permettono di stimare con precisione quella che è la sua distanza dalla Terra a dal Sole al momento delle osservazioni. La conoscenza di queste due distanze consente di ricavare la magnitudine assoluta (H) e lo slope parameter (G).

Avere un’idea, anche solo di massima, del significato di questi due parametri, (H) e (G), ci sarà di aiuto nel prosieguo del nostro viaggio di esplorazione dei Mondi in Miniatura!

Non perdere tutti gli altri approfondimenti sugli asteroidi pubblicati su Coelum! CLICCA QUI

La magnitudine assoluta (H) è il valore della magnitudine che rileveremmo per un asteroide pienamente illuminato se fosse posto alla distanza di 1 AU dalla Terra e 1 AU dal Sole.

Lo slope parameter (G) si riferisce invece al cosidetto “effetto di opposizione“. Questo determina un aumento di luminosità, tipicamente di 0.3 magnitudini, che dipende da come la luce è diffusa dalla sua superficie ed è conosciuto con precisione solo per pochi asteroidi, mentre per tutti gli altri viene assunto un valore convenzionale.

Una volta noti H e G è possibile calcolare la magnitudine visuale di un asteroide per qualsiasi momento, ed è grazie alla conoscenza del valore di H che è possibile effettuare stime sul suo diametro, posto se ne conosca (oppure se ne assuma) il valore di albedo.

E a proposito di asteroidi: Aggiornamento Missione DART (la più importante missione di Difesa Planetaria!)

Cosa osservare a Ottobre 2022

(354) Eleonora

(354) Eleonora è un asteroide di fascia principale che compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.710 giorni (4,68 anni) ad una distanza compresa tra le 2,49 e le 3,12 unità astronomiche (rispettivamente, 372.498.698 km al perielio e 466.745.357 Km all’afelio).

Scoperto da Auguste Charlois  il 17 Gennaio 1893, questo imponente asteroide (all’incirca 154 chilometri di diametro) sarà in opposizione il 6 Ottobre. In questo frangente raggiungerà la massima brillantezza con una magnitudine di 10.9. Il suo moto sarà di 0,57 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle  nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5/6 minuti. Per ottenere  una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (354) Eleonora trasformarsi in una bella striscia luminosa di 22,8 secondi d’arco.

(455) Bruchsalia

(455) Bruchsalia è un asteroide di fascia principale che compie un’orbita intorno al Sole ogni 1.580 giorni (4,33 anni) ad una distanza compresa tra le 1,87 e le 3,44 unità astronomiche (rispettivamente, 279.748.018 km al perielio e 514.616.675 km all’afelio).

Scoperto da Max Wolf e Friedrich Karl Arnold Schwassmann il 22 Maggio 1900, questo grande asteroide (circa 90 km di diametro) sarà in opposizione il 12 Ottobre, momento nel quale raggiungerà la massima luminosità brillando di magnitudine di 10.9. Il suo moto sarà di 0,61 secondi d’arco al minuto, quindi, per far si che l’oggetto mantenga un aspetto puntiforme nelle  nostre immagini potremo utilizzare tempi di esposizione fino a 5 minuti. Per ottenere  una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (455) Bruchsalia trasformarsi in una bella striscia luminosa di 24 secondi d’arco.

(31) Euphrosyne

(31) Euphrosyne è un asteroide di fascia principale che compie un’orbita intorno al Sole ogni 2.060 giorni (5,64 anni) ad una distanza compresa tra le 2,48 e le 3,85 unità astronomiche (rispettivamente, 371.002.719 km al perielio e 575.951.802 km all’afelio).

Deve il suo nome a Eufrosine, una delle tre Grazie nella mitologia Greca.

Scoperto dall’astronomo James Ferguson il 1 Settembre 1854, con i suoi 270 chilometri di diametro è il settimo asteroide della Fascia per dimensione.

Sarà in opposizione il 13 Ottobre, brillando ad una magnitudine di 10.7. Il suo moto sarà di 0,71 secondi d’arco al minuto, quindi, anche in nel suo caso, con tempi di esposizione fino a 5 minuti ne preserveremo l’ aspetto puntiforme. Volendo ottenere  una traccia di movimento dovremo esporre (o integrare) per un tempo più lungo, e con 40 minuti di posa vedremo (31) Euphrosyne trasformarsi in una bella striscia luminosa di 28 secondi d’arco.

 

Le Comete di Ottobre 2022

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Tutti gli occhi su C/2022 E3 (ZTF) che si prepara a dar spettacolo!

Ancora piuttosto debole ma in crescita, in ottobre potremo cominciare a seguire la C/2022 E3 (ZTF), una cometa che a febbraio potrebbe trasformarsi in un oggetto visibile ad occhio nudo!

Scoperta a marzo grazie ad un sistema automatizzato, il ZTF (Zwicky Transient Facility) è in fase di avvicinamento e nel corso del mese, in attesa di ben altri valori, dovrebbe brillare di una non esaltante decima/undicesima magnitudine.

Vuoi saperne di più su questa cometa? Ne abbiamo parlato in Coelum n. 256!

In ottobre sarà localizzabile inizialmente all’interno della Corona Boreale, in spostamento verso il Serpente.

Le osservazioni potranno iniziare non appena fa buio, con l’astro chiomato che nel corso del mese si abbasserà gradualmente sull’orizzonte.

Insomma, un primo approccio che ci farà conoscere la cometa attualmente più promettente del 2023!

La Posizione della C/2022 E3 in ottobre alle 21.30 ora estiva. Le stelle più deboli sono di mag. 8

Inquinamento Luminoso in forte crescita

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    L’inquinamento di per sé è un’alterazione, degrado e contaminazione di una sostanza o di un ambiente, indotti da cause esterne, specialmente per effetto dell’opera dell’uomo. E le varie forme di inquinamento, nel corso degli ultimi decenni sono ormai tristemente conosciute: da quello delle acque a quello dell’aria che respiriamo, fino al più recente inquinamento acustico e radioattivo. Quello invece prodotto dalla luce è decisamente meno noto (fatto salvo ovviamente per i lettori di questa rivista), sebbene anche in questo caso l’elemento inquinante sia fisico, ossia determinato da fotoni dispersi nell’ambiente esterno durante le ore notturne emessi da sorgenti artificiali.

    Convenzionalmente si esclude dal concetto di inquinamento luminoso tutta quella luce che rischiara la notte per effetto delle sorgenti naturali come la Luna. Peraltro, le definizioni che si riscontrano nei dizionari e nella letteratura specialistica sono differenti perché gli effetti sono molteplici, complessi e coinvolgono diversi campi del sapere scientifico. In un tentativo di sintesi, l’inquinamento luminoso potrebbe essere definito come un’alterazione dell’ambiente per effetto della variazione dei livelli di luce naturale notturna causata dalle luci artificiali.

    A causa dell’incremento del problema, dagli anni Novanta del secolo scorso, il fenomeno dell’inquinamento luminoso ha trovato, oltre a una sua esplicitazione formale, una sua certa notorietà. In effetti l’incontrollata e abnorme crescita della quantità di luce artificiale porta con sé una catastrofica catena di conseguenze che, a prima vista sembrerebbero di pertinenza solo di coloro che fanno ricerca astronomica o, tutt’al più, anche di chi contempla il cielo o se ne occupa per finalità non professionali: i cosiddetti astrofili. In questa ultima categoria di ‘astronomi da giardino’ rientrano però anche dilettanti che contribuiscono in modo significativo alla divulgazione e alla didattica delle scienze fisiche e astronomiche, nonché persone che partecipano a programmi di ricerca con i professionisti. Per gli scopi di questo articolo sottolineo come l’attenzione riguardo alle criticità, che questa forma di inquinamento del cielo manifestava già in modo netto alla fine degli anni Ottanta del XX secolo, furono accolte, con poche eccezioni, proprio dai non professionisti. In particolare riferisco che le azioni propulsive più convincenti in campo legislativo e tecnico sono state condotte da astrofili riuniti o meno in forma associativa e da alcune organizzazioni ambientalistiche, alle quali stava particolarmente a cuore anche la protezione del cielo stellato come parte dell’ambiente: la cosiddetta altra metà del paesaggio. Parimenti non si può che stigmatizzare la politica improntata al laissez-faire di parte della comunità scientifica, ma soprattutto le incertezze e le deboli contromisure adottate riguardo al tema preoccupante dei satelliti artificiali. Segnatamente, l’invio di migliaia di essi per telecomunicazioni da parte di soggetti privati, Elon Musk in testa (ma anche Amazon e via discorrendo), sta pregiudicando drammaticamente la possibilità di avere un cielo stellato libero da finte costellazioni costituite da oggetti prodotti dall’uomo. Decisamente stonata l’idea di progresso per l’umanità di Musk, se poi la persona più ricca del mondo invia con la sua società Space X decine di migliaia di satelliti artificiali come se il cielo fosse affare privato. Molti la chiamano space economy, io vi ritrovo più una situazione da Far West del XXI secolo e di inquinamento luminoso spaziale, aggiungendo così un ulteriore aggettivo a questa forma perniciosa di degrado della volta celeste. Infatti, la luminosità del cielo notturno causato dalla luce solare riflessa e diffusa dai satelliti artificiali, secondo le stime preliminari pubblicate nel giugno del 2021 sulla prestigiosa Monthly Notices of the Royal Astronomical Society: Letters potrebbe aver già raggiunto un valore equivalente a un aumento di circa il 10% della luminanza naturale del cielo. Non è quindi difficile prevedere che le prossime costellazioni di satelliti artificiali, oltre a essere futuri detriti spaziali, aumenteranno in modo determinante questa nuova fonte di inquinamento luminoso. Ma fin da ora, come sarà capitato a molti astrofotografi, gli oggetti artificiali in orbita attorno alla Terra, quando vengono ripresi con un’elevata risoluzione angolare e con rilevatori ad alta sensibilità, appaiono come strisce individuali, ma soprattutto indesiderate, nelle immagini a uso scientifico e in quelle effettuate anche solo per una mera finalità artistico-estetica delle meraviglie del Cielo.

     

    brillanza artificiale 2016
    L’immagine mostra la brillanza artificiale del cielo notturno a livello del mare per l’Europa rilevata nel 2016 (cortesia Falchi et al.).

    brillanza previsionale Led a 4000 K_rid
    Questa mappa previsionale rappresenta il possibile effetto sulla brillanza artificiale dell’Europa post transizione a Led di 4000 K (cortesia Falchi et al.).

    Acquista l’articolo completo in versione cartacea nel numero 258 di Coelum Astronomia QUI

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    👉👉👉L’articolo è consultabile online per gli utenti livello QUASAR in Coelum Digitale

    Transiti notevoli ISS per il mese di Ottobre 2022

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    Per questo mese di ottobre la ISSStazione Spaziale Internazionale sarà rintracciabile nei nostri cieli sia ad orari serali che mattutini. Avremo 6 transiti notevoli con magnitudini elevate ad inizio e a fine mese, auspicando come sempre in cieli sereni!
    1 Ottobre

    Si inizierà il giorno 1 Ottobre, dalle 20:30alle 20:36, osservando da NO a N.

    La ISS sarà ben visibile da tutta Italia con una magnitudine massima si attesterà su un valore di -3.8. Un transito individuabile senza alcun problema, anche se parziale, con la Stazione Spaziale che svanirà nel cono d’ombra della Terra a circa metà cielo.

    2 Ottobre

    Si replica il 2 Ottobre, dalle 19:42 verso NO alle 19:50 verso E. Visibilità migliore dal Nord Est e regioni Adriatiche per questa occasione, con magnitudine di picco a -3.3.

    Osservabile senza problemi anche dai centri delle città più grandi della nazione!

    4 Ottobre

    Passiamo al giorno 4 Ottobre, dalle 19:41 in direzione ONO alle 19:49 in direzione SE.

    Osservabile al meglio ancora una volta da tutta Italia, con una magnitudine massima di -3.5. Sperando come sempre in cieli sereni per uno dei passaggi migliori del mese!

    22 Ottobre

    Andiamo al 22 Ottobre, dalle 06:37 da OSO alle 06:46 a NE, con magnitudine massima a -3.8. Visibilità eccellente da tutta la nazione!

    Se osservata dal Centro, la ISS transiterà vicina al pianeta rosso Marte nel cielo mattutino!
    23 Ottobre

    Il penultimo si avrà il 23 Ottobre, dalle 05:51 alle 05:57, da S a ENE. La Stazione Spaziale Internazionale taglierà in due il Centro Sud, con una magnitudine di picco di -3.3.

    24 Ottobre

    L’ultimo transito del mese sarà visibile al meglio dal Centro Nord Italia il 24 Ottobre. Dalle 06:37 alle 06:45, da O a NE. Magnitudine di picco a -3.2.

    N.B. Le direzioni visibili per ogni transito sono riferite ad un punto centrato sulla penisola, nel centro Italia, costa tirrenica. Considerate uno scarto ± 1-5 minuti dagli orari sopra scritti, a causa del grande anticipo con il quale sono stati calcolati.

    Manutenzione Completata

    Alcuni utenti ci hanno segnalato la difficoltà a completare la registrazione alla Community, sia a livello QUASAR che SUPERNOVAE.

    Dopo alcune settimane di verifica siamo lieti di annunciare che i problemi tecnici sono stati risolti. Si è trattato di un’incompatibilità di alcuni plug-in dopo un aggiornamento automatico. La funzionalità è stata correttamente ripristinata.

    Approfittiamo anche per comunicare che a breve sarà rilasciata una nuova versione migliorata del lettore pdf per la consultazione della rivista online. Ne metteremo una preview a disposizione dei lettori appena finiti i test su tutti i tipi di device.

    Per l’iscrizione alla Community di Coelum Astronomia https://www.coelum.com/entra-in-coelum

     

    Previsioni attività solare – Ottobre 2022

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    Continua la fase di crescita del ciclo solare 25, che conferma le previsioni attuali che stimano un picco dell’attività solare attorno alle fine del 2025.

    Non essendoci novità particolari riguardo le previsioni per il ciclo 25, ci limitiamo a riportare i grafici con i dati aggiornati allo scorso mese (con le curve di previsioni invariate) che si possono ottenere dal sito del NOAA: https://www.swpc.noaa.gov/products/solar-cycle-progression

    ISES_Solar_Cycle

    e da quello a cura dei fisici solari Lisa Uptone e David Hathaway: http://solarcyclescience.com/forecasts.html

    Sunspot

    N.B. maggiori dettagli su come sono stati elaborati i grafici li trovate nell’articolo del mese precedente: Attività Solare Settembre 2022

    Focus sull’attività solare del mese di Settembre

    Veniamo ora a discutere gli aspetti salienti dell’attività solare del mese in corso (Settembre 2022).

    Come di consueto vediamo innanzitutto l’evoluzione generale delle macchie solari, riportata in questa animazione prodotta sulla base di immagini a banda larga del satellite Solar Dynamics Observatory della NASA (credits: NASA/SDO and the AIA, EVE, and HMI science teams).

    Il mese si è aperto con l’interessante regione attiva 3089 (nell’emisfero Sud) che era già visibile negli ultimi giorni di Agosto e che è scomparsa dietro il limbo occidentale del Sole il giorno 5 Settembre. E’ molto interessante notare che questa stessa regione attiva è recentemente riapparsa (il giorno 20 Settembre) dal limbo orientale dopo che il Sole ha compiuto mezza rotazione attorno al suo asse. Tale regione attiva molto “longeva” è stata quindi ribattezzata con il numero 3105, in quanto è prassi aggiornare il numero di una regione attiva qualora ritorni visibile dopo una mezza rotazione solare.

    La stessa sorte è accaduta ad un’altra regione attiva interessante, la numero 3088 (sempre nell’emisfero Sud) che era sparita dalla vista già il 28 Agosto e che è riapparsa sotto il nome di AR3102 il giorno 12 Settembre.

    Proponiamo qui una foto appunto della regione attiva 3102 realizzata il 18 Settembre presso Bosco Chiesanuova (VR) dall’astrofilo Serafino Vinco con un telescopio Schmidt-Cassegrain da 20 cm (un C8 della Celestron) e camera di ripresa ZWO ASI 385mc (a fuoco diretto) equipaggiata con filtro IR Pass. Nella foto a falsi colori si possono ammirare i notevoli dettagli delle macchie solari facenti parte della regione attiva (in particolare le zone dette di umbra e penumbra) nonché la granulazione fine della superficie solare dovuta al continuo “ribollire” delle singole celle convettive. Per avere un riferimento delle dimensioni delle strutture mostrate nella foto, si tenga presente che la grande macchia solare a sinistra dell’immagine ha circa le dimensioni della Terra!

    Un’altra notevole regione attiva che ha dato spettacolo nel mese di Settembre è la 3098, questa volta nell’emisfero Nord. A differenza dei due casi precedenti, si tratta di una regione attiva di cui è stato possibile osservare in diretta la formazione. La AR3098 è comparsa infatti il 7 Settembre sotto forma di alcune macchie sparse di ridotta dimensione, ma si è rapidamente ingrandita nel giro di una settimana fino a comprendere un affascinante arcipelago di macchie molto complesso ed articolato.

    Tale regione è stata inoltre protagonista della maggior parte dei fenomeni energetici accaduti sul Sole in questo mese. In particolare, la regione è stata oggetto tra i giorni 16 e 17 Settembre di ben quattro brillamenti solari di classe M. Questi sono avvenuti proprio quando la AR3098 aveva raggiunto il limbo occidentale, cosa che ha permesso di osservare i brillamenti “di lato” potendone quindi cogliere la struttura tridimensionale.

    In questa notevole animazione prodotta dai dati del Solar Dynamics Observatory (strumento AIA a 131 Angstrom) si possono osservare i due spettacolari brillamenti di classe M che sono avvenuti presso la AR3098 il giorno 16. Poiché la regione non era rivolta verso la Terra al momento dei brillamenti, il fenomeno non ha prodotto sulla Terra un significativo aumento delle aurore polari, ciò nondimeno sono stati osservati dei significativi disturbi sulle trasmissioni radio.

    Per completezza riportiamo infine l’andamento del flusso dei raggi X durante l’intero mese (prodotto utilizzando il sito https://www.polarlicht-vorhersage.de/goes-archive) come misurato dai satelliti GOES.

    I quattro eventi di classe M riportati nella seconda metà del grafico sono appunto i brillamenti della regione 3098 avvenuti tra il 16 ed il 17 Settembre.

    Aggiornamento Missione DART

    Credit @ASI

    A novembre del 2021 e nel numero 254 di Coelum Astronomia pubblicavamo due articoli con tutte le informazioni relative alla DART ed allo scopo della missione.

    Ora la Sonda DART è quasi arrivata alla fine del suo percorso e LICIACube, il satellite italiano di soli 14kg che sta seguendo la sonda ci fornirà immagini e riprese per gli studi futuri. La NASA sfrutterà invece le riprese di DRACO la fotocamera montata a bordo della DART stessa e che è destinata a schiantarsi su Dimorphos.

    La sonda, targata NASA, vede la collaborazione dei principali centri di ricerca dell’agenzia spaziale americana: il Johns Hopkins Applied Physics Laboratory (APL), il Jet Propulsion Laboratory (JPL), il Goddard Space Flight Center (GSFC), il Johnson Space Center (JSC), il Glenn Research Center (GRC) e il Langley Research Center (LaRC).

    DART è un cosiddetto impattore cinetico, il cui scopo principale è quello di modificare l’orbita di un asteroide così da evitare che questo incontri il nostro pianeta lungo la sua traiettoria.

    L’obiettivo della missione è l’asteroide lunare Dimorphos (160 m di diametro), che ruota attorno all’asteroide più grande Didymos (che ha un diametro di 780 m).

    La sonda raggiungerà Dimorphos domani mattina 27 settembre ore 1:14 Italia. DART avrà un impatto quasi frontale su Dimorphos, riducendo di diversi minuti il ​​tempo necessario al piccolo asteroide per orbitare attorno a Didymos. L’impatto sarà monitorato dai telescopi di tutto il mondo, ma soprattutto da LICIACube, un cubesat tutto italiano, finanziato e coordinato dall’Agenzia Spaziale Italiana (ASI).

    «LICIACube avrà il compito principale di acquisire tutte le immagini possibili che descrivano la scena di impatto di DART e l’evoluzione dei detriti che si solleveranno per via dell’impatto, e lo farà con le sue due camere, Leia Luke» dice Angelo Zinzi, tecnologo ASI e responsabile dello Science Operations Center «Leia, grazie alla sua alta risoluzione, sarà in grado di mostrarci nel dettaglio il punto di impatto, mentre Luke, avendo un campo di vista più ampio, avrà modo di inquadrare la gran parte del materiale espulso e raccontarci la sua evoluzione».

    Specifichiamo che l’asteroide bersaglio di DART non è una minaccia per la Terra. Questo sistema binario di asteroidi è però il banco di prova perfetto per verificare se lo schianto intenzionale di un veicolo spaziale contro un asteroide sia un modo efficace per cambiarne la rotta, nel caso in cui rischi di impattare il nostro pianeta.

    La NASA sottolinea che per i prossimi 100 anni nessun asteroide noto di dimensioni superiori a 140 metri si trovi in rotta di collisione con la Terra. Ma – precisano – solo il 40% circa di questi asteroidi è stato finora identificato (dati aggiornati a ottobre 2021).

    Elendo delle fonti utili per tutti i dettagli della DART e come seguire l’evento:

    News Coelum Astronomia novembre 2021 data lancio

    Articolo su Coelum Astronomia 245 di gennaio 2022

    Sito NASA ufficiale DART

    Diretta NASA dell’evento di impatto 

    Diretta ASI inquadratura LiciaCube

     

    Luna di Ottobre 2022

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    Le notti si allungano e Ottobre ci regala delle ottime occasioni per dedicarci all’osservazione del nostro satellite!

    Ripartito il nuovo ciclo lunare dopo il Novilunio dello scorso 25 Settembre, il nostro satellite si avvia verso le migliori condizioni osservative che lo porteranno alle ore 02:14 del 3 Ottobre in Primo Quarto con fase di 7 giorni ma a -30° sotto l’orizzonte.

    Per effettuare osservazioni delle strutture lunari basterà attendere la medesima serata del 3 Ottobre quando alle ore 19:50 la Luna transiterà in meridiano ad un’altezza di +21° rendendosi poi visibile fino a poco dopo la mezzanotte quando scenderà sotto l’orizzonte.

    Nel progredire della fase di Luna Crescente il nostro satellite sarà in Plenilunio alle ore 22:55 del 9 Ottobre alla distanza dal nostro pianeta di 375139 km, con diametro apparente di 31.85’ e ad un’altezza di +42°. Nel caso specifico, il disco della Luna Piena sarà perfettamente visibile per tutta la nottata fino all’alba del mattino seguente quando andrà a tramontare contestualmente al sorgere del Sole.

    Ripartita la Fase Calante, proseguirà anche il progressivo allontanamento della Luna dalle comode ore serali portandosi sempre più verso le ore notturne fino al 17 Ottobre quando alle 19:15 sarà in Ultimo Quarto a -22° sotto l’orizzonte, mentre per chi intendesse osservare la superficie lunare al telescopio basterà attendere le 23:46 quando sorgerà fra i Gemelli e il Cancro rendendosi pertanto visibile fino all’alba del mattino seguente.

    La fase di Luna calante si concluderà con la Luna Nuova alle ore 12:49 del 25 Ottobre. Da qui l’ulteriore nuovo ciclo lunare, con la contestuale fase di Luna Crescente, porterà il nostro satellite di sera in sera a mostrare una porzione sempre più ampia della propria variegata superficie illuminata dal Sole, in modo particolare nelle ultime serate di questo mese che si chiuderà con la Luna nelle migliori condizioni osservative in attesa del prossimo Primo Quarto proprio nella prima serata di Novembre, ma ne riparleremo!

    Le Falci lunari di Ottobre

    Falce lunare di 2,74 giorni senza il telescopio (credit Francesco Badalotti, 2018)

    Per gli appassionati di falci lunari il primo appuntamento è per la nottata del 21 Ottobre quando alle ore 02:54 sorgerà una falce di 25 giorni fra le stelle della costellazione del Leone, visibile pertanto fino all’alba. Non si tratterà della tipica “falce stretta” ma si renderà molto interessante per la possibilità di osservare in dettaglio innumerevoli strutture geologiche, fra cui “Aristarchus Plateau” a nordovest con la spettacolare Vallis Schroter nell’Oceanus Procellarum, l’inconfondibile “isola nera” del vasto cratere Grimaldi ad ovest oltre ai non lontani anelli montuosi concentrici del vasto bacino da impatto del mare Orientale.

    Scendendo poi verso sud una larga porzione del mare Humorum verrà a trovarsi in prossimità del terminatore con la possibilità di effettuare osservazioni in alta risoluzione se il seeing sarà favorevole.

    Ancora più a sud lo spettacolare quartetto costituito dai crateri Schickard, Nasmyth, Phocylides e Wargentin (quest’ultimo con la platea ricolma di lava ormai solidificata) per concludere infine col più esteso cratere visibile dal nostro pianeta sulla superficie della Luna: Bailly con i suoi 311 km di diametro.

    Un’altra bella falce sorgerà la seguente nottata alle ore 03:59 del 22 Ottobre in fase di 26 giorni sulla cui superficie sarà facile distinguerne la netta suddivisione in due parti, dalle scure rocce basaltiche del settore più occidentale dell’Oceanus Procellarum, a nord-nordovest, fino alla maggiore albedo delle più chiare rocce anortositiche degli altipiani a sud-sudovest.

    Una falce ancora più stretta, di 27,2 giorni, sorgerà il 23 Ottobre alle ore 05:05. Infine verso l’alba del 24 Ottobre sarà possibile dedicare qualche ripresa fotografica ad una bella falce di 28,2 giorni che sorgerà alle ore 06:12, ma il tempo a disposizione sarà molto limitato prima che la luce del Sole prevalga su tutto.

    Il 25 Ottobre 2022 assisteremo ad una eclisse parziale di Sole. Prendendo come riferimento la città di Roma questo interessante fenomeno avrà inizio alle ore 11:25 mentre la fase massima potrà essere osservata alle ore 12:21 quando il Sole raggiungerà un’altezza di +35°. Alle ore 13:19 l’eclisse potrà considerarsi ormai conclusa. La magnitudine di questo evento, cioè il rapporto fra le dimensioni apparenti della Luna e del Sole durante l’eclisse, sarà di 0,265 mentre la frazione del Sole che verrà oscurata sarà pari ad un valore di 0,157. Per quanto riguarda l’osservabilità sul territorio italiano, nelle fasi iniziali l’altezza del Sole sull’orizzonte varierà dai 26-30° delle regioni settentrionali fino ai 33-38° delle estreme regioni meridionali, mentre il massimo dell’eclisse nelle zone di Ragusa e Siracusa verrà raggiunto col Sole ad un’altezza di +41°.
    A tutti coloro che intenderanno osservare l’eclisse parziale di Sole, sia quella del 25 Ottobre così come in qualsiasi altra analoga occasione, al fine di evitare spiacevoli danni alla vista si consiglia vivamente di evitare di guardare il Sole ad occhio nudo ma di munirsi di appositi occhialini, binocoli e telescopi rigorosamente muniti degli specifici filtri anche per evitare le pericolose radiazioni presenti durante l’osservazione diretta non protetta, sconsigliando assolutamente metodi amatoriali quali occhiali da Sole, lastre mediche, negativi fotografici, CD, vetrini affumicati da saldatore, ecc, che nulla hanno a che vedere
    con una effettiva protezione dei nostri occhi, lasciando perdere pertanto le sempre troppo facili soluzioni del “sentito dire”. Molteplici sono le tecniche per acquisire immagini di tali eventi, ma personalmente non trascurerei la possibilità di “godersi l’eclisse” dal primo fino all’ultimo istante anche senza strumenti o macchine fotografiche con la necessaria calma e concentrazione senza doversi preoccupare di tenere d’occhio la strumentazione, i tempi di posa, l’inseguimento, regolare i diaframmi, ecc, senza dimenticare però di evitare gravi danni alla vista.

    Per quanto riguarda le falci in Luna Crescente appuntamento per il 27 Ottobre con una falce di 2,2 giorni che alle ore 19:22 scenderà sotto l’orizzonte fra le stelle dello Scorpione. L’esigua finestra temporale prima che la Luna tramonti consentirà solo rapide occhiate col telescopio al settore orientale del mare Crisium ed ai grandi crateri sul lato est del mare Fecounditatis fra cui Langrenus, Vendelinus, Petavius, Furnerius anche se la bassa declinazione potrà influire negativamente sul seeing.

    Si segnala infine per il tardo pomeriggio del 28 Ottobre una falce ormai un po’ “troppo larga” di 3,3 giorni ma già molto interessante e particolarmente ricca di target osservativi, con le innumerevoli strutture situate fra il bordo lunare orientale e la linea del terminatore. Per questa tipologia di osservazioni, oltre agli ormai noti parametri osservativi, risulterà determinante disporre di un orizzonte il più possibile libero da ostacoli.

    Librazioni di Ottobre

    (In ordine di calendario, per i dettagli vedere le rispettive immagini).

    Si precisa che, per ovvi motivi, non vengono indicati i giorni in cui i punti di massima Librazione si discostano dalla superficie lunare illuminata dal Sole.

    Librazioni Regione Polare Nord (inizio mese):

    • 04 Ottobre. Fase 08,87 giorni – Massima Librazione nord cratere Scoresby.
    • 05 Ottobre. Fase 09,91 giorni – Massima Librazione nord cratere Petermann.

    Librazioni Regione Polare Nord (fine mese):

    • 30 Ottobre. Fase 05,39 giorni – Massima Librazione nord cratere Peary.
    • 31 Ottobre. Fase 06,25 giorni – Massima Librazione nord cratere Baillaud.

    Librazioni Regione Nordest:

    • 06 Ottobre. Fase 10,95 giorni – Massima Librazione nord cratere De La Rue.
    • 07 Ottobre. Fase 11,98 giorni – Massima Librazione nord mare Humboldtianum.
    • 08 Ottobre. Fase 13,00 giorni – Massima Librazione nord cratere Zeno.
    • 09 Ottobre. Fase 13,02 giorni – Massima Librazione nord cratere Zeno.
    • 10 Ottobre. Fase 14,05 giorni – Massima Librazione est cratere Gauss

    Librazioni Regione Sud-Sudovest:

    • 18 Ottobre. Fase 22,22 giorni – Massima Librazione sud cratere Newton.
    • 19 Ottobre. Fase 23,04 giorni – Massima Librazione sud cratere Casatus.
    • 20 Ottobre. Fase 24,08 giorni – Massima Librazione sud cratere Bailly.
    • 21 Ottobre. Fase 25,12 giorni – Massima Librazione crateri Hausen/Pingre.
    • 22 Ottobre. Fase 26,17 giorni – Massima Librazione crateri Inghirami/Wargentin.
    • 23 Ottobre. Fase 27,22 giorni – Massima Librazione ovest cratere Inghirami.

    NOTE

    Immagini “Librazioni “: Mappe di F. Badalotti su immagini tratte dal globo di “Virtual Moon Atlas”.

    –  Dati e visibilità delle strutture lunari: Software “Stellarium” e “Virtual Moon Atlas”.

    –  Ogni fenomeno lunare e rispettivi orari sono rapportati alla città di Roma, dati rilevati tramite software “Stellarium” e dal sito http://www.marcomenichelli.it/luna.asp

     

    Le Costellazioni di Ottobre 2022

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    Con Ottobre si apre il sipario sulle costellazioni che caratterizzeranno il cielo d’autunno: le serate estive sono ormai un ricordo e con esse anche gli oggetti celesti che per mesi abbiamo osservato per tutta la notte. Ora è il momento di lasciarci sorprendere da una schiera di astri che anticipano già il cielo invernale!

    Complici le giornate sempre più corte e un sempre maggior numero di ore di buio, avremo più possibilità di dedicarci all’osservazione e alla fotografia del cielo.

    Partendo dall’orizzonte Ovest troveremo ancora, seppur in procinto di tramontare definitivamente, tracce di cielo tipicamente estivo rappresentate da Ercole, Cigno, Aquila e Lira. Nei loro pressi sarà possibile lasciarsi sorprendere ancora per poco dalla bellezza della Via Lattea: la troveremo in direzione Sud-Ovest con una inclinazione verticale e con il nucleo galattico ormai quasi invisibile, se non nella primissima parte della serata subito dopo il crepuscolo.

    Sarà comunque emozionante vedere la nostra galassia stagliarsi su una spiaggia o tra gli alberi di un luogo in altura, dove il paesaggio sarà reso quasi fiabesco dalla sua presenza.

    Percorrendo con gli occhi la regione di cielo che va da Sud-Ovest a Nord-Est, la Via Lattea ci condurrà alle costellazioni protagoniste di ottobre: Cassiopea, Andromeda, Pegaso.

    PEGASO NEL CIELO DI INIZIO AUTUNNO

    Facilmente identificabile grazie all’asterismo del Quadrato, quella di Pegaso è una costellazione boreale che transita al meridiano proprio a metà ottobre. È un oggetto tipico del cielo d’autunno ed è confinante con Andromeda con la quale condivide la stella Sirrah, astro che costituisce il lato superiore dell’asterismo.

    La stella principale della costellazione è Markab (α Pegasi), una gigante azzurra con magnitudine 2,49 e distante 140 anni luce, che rappresenta il vertice sud-occidentale del Quadrato.

    Nonostante la stella alfa di Pegaso sia Markab, è Enif (ε Pegasi) l’astro più brillante della costellazione, una supergigante arancione con magnitudine +2,38.

    Seconda alla stella Enif in termini di brillantezza troviamo Scheat (β Pegasi) una gigante rossa di magnitudine 2,44, distante 199 anni luce e che va a indicare il vertice nord-occidentale del Quadrato di Pegaso.

    Nella costellazione sono presenti diverse stelle doppie, alcune anche facilmente risolvibili come 3 Pegasi e η Pegasi: le due componenti che danno vita a 3 Pegasi sono bianco-giallastre di sesta e settima magnitudine e possono essere risolte anche con modesti ingrandimenti. Nel caso di  η Pegasi ognuna delle due componenti è una stella doppia, risolvibili ma non con piccole strumentazioni.

    Interessante il sistema stellare binario IK Pegasi: esso è composto dalla stella bianca IK Pegasi A e dalla nana bianca IK Pegasi B e diversi studi astronomici lo indicano come un stella doppia che potrebbe esplodere in supernova in tempi non troppo lontani.

    OGGETTI NON STELLARI NELLA COSTELLAZIONE DI PEGASO

    Tra gli oggetti del profondo cielo presenti nella costellazione di Pegaso vi è sicuramente da segnalare M15, uno degli ammassi globulare più densi della Via Lattea: esso è visibile con un binocolo il quale però non sarà in grado di rilevare chissà quali dettagli che invece risulteranno più nitidi con telescopi a ingrandimenti superiori a 350mm. L’ammasso è osservabile proprio nel periodo che va da luglio a dicembre.

    Altri interessanti oggetti presenti nella costellazione sono le galassie a spirale NGC 7331 e NGC 7217.

    Quintetto di Stephan in Pegaso di Paolo Calliera (da Photo Coelum)

    Segnaliamo anche il Quintetto di Stephan: un gruppo visuale di cinque galassie situato in direzione della costellazione di Pegaso. Fu il primo gruppo di galassie ad essere scoperto (era il 1877!) e lo dobbiamo all’astronomo francese Édouard Stephan.

     

    Dalla sezione Photo Coelum, Maurizio Cabibbo ci regala anche questa spettacolare immagine centrata sulla galassia NGC7497 nella costellazione del Pegaso con lo scopo di riprendere l’IFN presente nel campo:

    Clicca sull’immagine per maggiori dettagli!

    Da sottolineare che la costellazione di Pegaso ospita un sistema planetario extrasolare: 51 Pegasi. Questo è composto da una stella molto simile al Sole attorno a cui orbita un pianeta extrasolare di tipo gioviano caldo, scoperto nel 1995.

    PEGASO NELLA MITOLOGIA

    Pegaso in una illustrazione del 1715

    Tra asterismi, stelle doppie e pianeti extrasolari è il momento di scoprire il ruolo di Pegaso nella mitologia!

    La figura di Pegaso è associata a quella del cavallo alato che nacque da uno zampillo di sangue scaturito dall’uccisione di Medusa da parte di Perseo, che si servì proprio della creatura mitologica per salvare Andromeda, figlia di Cefeo e di Cassiopea, dalle grinfie del mostro marino Ceto.

    Pegaso era caro a Zeus poiché si occupava di trasportare le folgori del dio fino all’Olimpo. Questo mito si riferisce a Pegaso come alla creatura alata di cui si servì Bellerofonte per uccidere la Chimera.

    E ancora: troviamo la figura di Pegaso tornare all’Olimpo dopo la morte di Bellerofonte e successivamente ridiscendere sul Monte Elicona mentre era in atto una gara di canto tra le Muse e le Pieridi; alle melodie intonate dalle Pieridi il Monte Elicona prese ad innalzarsi verso il cielo e solo lo zoccolo battuto sulla roccia dal cavallo alato riuscì ad arrestarne la rapida ascensione. Nel punto in cui Pegaso sbatté lo zoccolo si aprì una sorgente chiamata così “sorgente del cavallo“.

    Portate a termine le sue imprese, il cavallo alato prese il volo verso la volta celeste e qui si trasformò in una manciata di stelle poste a omaggiare le sue virtù per l’eternità.
    IL PESCE AUSTRALE NEL CIELO DI OTTOBRE

    Tra gli oggetti celesti che transitano al meridiano nel mese di ottobre troviamo il Pesce Australe: si tratta di una piccola costellazione identificabile grazie alla brillante stella alfa Fomalhaut, una stella bianca che con la sua magnitudine 1,16 si classifica come la diciottesima più brillante della volta celeste.

    Credit: NASA, ESA, and the Digitized Sky Survey 2. Acknowledgment: Davide De Martin (ESA/Hubble)

    Dall’arabo fom-al-hut, il nome della stella alfa del Pesce Australe significa “la bocca del pesce“; la sua brillantezza è accentuata anche dal fatto che l’astro si trovi in una regione povera di stelle e facilmente individuabile già in estate, bassa sull’orizzonte in direzione Sud-Est.

    IL PESCE AUSTRALE NELLA MITOLOGIA

    Piscis Austrinus Profile Image on www.underthenightsky.com (credit: www.RareMaps.com — Barry Lawrence Ruderman Antique Maps Inc)

    Secondo la mitologia greca, il Pesce Australe è rappresentato nell’atto di bere l’acqua che sgorga dalla giara dell’Acquario mentre una leggenda mediorientale racconta di Derceto, sorella di Afrodite e dea della fertilità, che meditò il suicidio lasciandosi annegare in un lago nei pressi dell’Eufrate dopo aver partorito una bambina, frutto della relazione con un mortale. Il destino della dea fu però svoltato da un pesce che la salvò da una morte certa; come segno di eterna riconoscenza, Derceto lo collocò tra le stelle e da qui nasce la costellazione del Pesce Australe.

    Incontro Ravvicinato fra Juno e Europa

    Giovedì 29 settembre, alle 2:36 PDT (5:36 EDT), la navicella spaziale Juno della NASA arriverà entro 222 miglia (358 chilometri) dalla superficie della luna ricoperta di ghiaccio di Giove, Europa.

    Il veicolo spaziale a energia solare dovrebbe ottenere alcune delle immagini con la più alta risoluzione mai scattate di porzioni della superficie di Europa, oltre a raccogliere dati preziosi sull’interno della luna, sulla composizione della superficie e sulla ionosfera, insieme alla sua interazione con la magnetosfera di Giove.

    Europa fotografato da Jun
    Questa immagine della luna di Giove Europa è stata scattata dall’imager JunoCam a bordo della navicella spaziale Juno della NASA il 16 ottobre 2021, da una distanza di circa 51.000 miglia (82.000 chilometri). Credito: dati immagine: NASA/JPL-Caltech/SwRI/MSSS. Elaborazione immagine: Andrea Fortuna CC BY

    Tali informazioni potrebbero essere utili a future missioni, tra cui Europa Clipper dell’agenzi , che dovrebbe essere lanciata nel 2024 per studiare proprio la luna ghiacciata. “Europa è una luna gioviana così intrigante, è il fulcro della sua futura missione della NASA”, ha affermato il ricercatore principale di Juno Scott Bolton del Southwest Research Institute di San Antonio. “Siamo felici di fornire dati che potrebbero aiutare il team di Europa Clipper nella pianificazione della missione, oltre a fornire nuove intuizioni scientifiche su questo mondo ghiacciato”.

    Orbite di avvicinamento Juno
    La missione estesa di Juno include il sorvolo delle lune Ganimede, Europa e Io. Questo grafico raffigura le orbite di Giove del veicolo spaziale – etichettato “PJ” per perigiove, o punto di avvicinamento più vicino al pianeta – dalla sua missione principale in grigio alle 42 orbite della sua missione estesa nei toni del blu e del viola. Credito: NASA/JPL-Caltech/SwRI

    News da Marte! #2

    Bentornati su Marte!

    Invece di un aggiornamento più generale oggi dedicheremo le nostre attenzioni esclusivamente a Perseverance, ma c’è un’ottima ragione per farlo.

    Nel tardo pomeriggio di giovedì 15 settembre la NASA ha indetto una conferenza nella quale ha fatto il punto delle più recenti scoperte del suo rover attualmente impegnato nella seconda parte della sua missione nel cratere Jezero: Delta Front. C’è stata anche qualche anticipazione sulle prossime azioni programmate per Perseverance, tra le quali il rilascio al suolo di alcune fiale con i campioni. Andiamo con ordine.

    Is there life on Mars?

    Non possiamo dare risposta positiva a questa domanda, nonostante l’ottimismo dei titoloni di giornali e telegiornali. “Affermazioni straordinarie richiedono prove straordinarie” ricordava Carl Sagan.

    Quello che è vero è che gli ultimi quattro campioni prelevati dal rover statunitense, provenienti da due siti peraltro molto vicini tra loro, sono di estremo interesse per i geologi e presentano un’ottima varietà di materiali. 

    I due siti nella regione del delta dove Perseverance ha raccolto quattro campioni di roccia: Skinner Ridge (campioni 10 e 11) e Wildcat Ridge (12 e 13). Crediti: NASA/JPL/Caltech/MSSS

    Qui sono mostrate le abrasioni eseguite nei due siti, sempre compiute prima dei prelievi dei campioni, per iniziare a caratterizzare i materiali che si raccoglieranno. Queste immagini sono state eseguite dalla camera WATSON che consente macro ravvicinate di estremo dettaglio. Crediti: NASA/JPL/Caltech/MSSS

    Come evidente dalle immagini, i due campioni sono relativi a rocce moderatamente diverse tra loro.
    Da una parte i campioni della roccia di Skinner Ridge (foto a sinistra) che presentano una struttura abbastanza diversificata con grani di roccia, derivati da detriti di sassi più grandi, trasportati qui dall’acqua probabilmente per centinaia di km.

    L’abrasione eseguita sul sito Wildcat Ridge mostra invece una struttura parecchio più omogenea e con particelle molto fini. Questo viene generalmente associato dai geologi alle trasformazioni che subisce del materiale fangoso ricco di solfati. Potrebbe quindi essersi formato proprio in acqua salmastra, probabilmente quando l’antico lago evaporò.

    Ci troviamo di fronte a due esempi di rocce sedimentarie, opposte a tutti i campioni raccolti in precedenza da Perseverance che erano invece rocce magmatiche. Queste ultime si formano nel sottosuolo e fuoriescono durante le attività eruttive, e risulteranno pratiche per datare con precisione la storia geologica del cratere. Le rocce sedimentarie hanno un’utilità diversa per gli scienziati: sulla Terra sono le rocce che conservano più fedelmente i fossili, ma su Marte…

    Non troveremo fossili, ma lo strumento SHERLOC ha eseguito un’analisi spettrografica dettagliata dell’abrasione eseguita a Wildcat Ridge rilevando la maggiore concentrazione di molecole organiche mai rilevata su Marte e in particolare di composti aromatici (quelli sui quali il dispositivo è stato tarato per avere maggiore sensibilità).

    Composti organici! Significa vita passata sul pianeta? No, è davvero troppo presto per dirlo. I composti organici si possono formare attraverso processi chimici di interazione tra acqua e rocce, e sono stati rintracciati anche nella polvere interstellare. Però è interessante notare che queste osservazioni sia state compiute in un’area che si ritiene sia stata in passato potenzialmente abitabile. Possiamo confermare di essere anche qui di fronte alle cosiddette biosignature, gli indizi di vita passata che Perseverance è stato creato per cercare, già rilevate in praticamente ognuna delle osservazioni sinora compiute da SHERLOC ma mai a questi livelli e mai sull’intera superficie esposta.

    Rick Welch Project System Engineer
    Rick Welch, Project System Engineer del JPL, ci illustra le caratteristiche delle fiale e il diametro dei campioni di roccia raccolti da Perseverance impiegando il Sistema Dimensionale Americano Standard: “la dimensione è quella di un mignolo”. Per noi europei si tratta di 13 millimetri.

    È un momento quasi emozionante per gli scienziati coinvolti e per noi che seguiamo così da vicino gli aggiornamenti, perché stiamo avendo conferma che il sito di atterraggio scelto è di straordinario valore scientifico e gli strumenti portati su Marte riescono a far “parlare” queste antichissime rocce. Non stiamo nella pelle all’idea di scoprire cos’altro sveleremo nel prossimo capitolo della missione del rover, quello che vedrà Perseverance risalire il delta e procedere verso ovest.

    Quo vadis?

    Nel corso della conferenza sono stati illustrati anche i futuri passi dell’esplorazione di Jezero, dai prossimi due mesi sino a oltre un anno.

    Nell’immediato Perseverance raccoglierà almeno altri quattro campioni di roccia e impiegherà un altro dei suoi witness tube. Queste ultime sono delle fiale precaricate con materiali in grado di catturare gas estranei e contaminanti che, nonostante le incredibili attenzioni, potrebbero essere arrivati dalla Terra. Questi particolari oggetti subiscono le stesse manipolazioni delle normali fiale, tranne il riempimento con i carotaggi di roccia, al fine di documentare le condizioni ambientali in cui i prelievi avvengono e poter meglio interpretare i dati una volta che i campioni torneranno a Terra per le analisi molto più dettagliate.

     

    Ricapitolando, i tubi attualmente impiegati e conservati sono 15: uno è purtroppo vuoto a causa del fallimento del primissimo tentativo di raccolta ma resta valido come campione atmosferico; 12 contengono campioni di roccia da 6 siti; 2 sono i tubi testimoni già adoperati (il primo il 22 giugno 2021 e il secondo il 16 luglio 2022). Arriveremo quindi a breve a 20 tubi.

     

    Iniziamo a pensare a cosa fare con essi?

    La risposta alla domanda è positiva, infatti tra circa due mesi è previsto di rilasciare al suolo alcuni dei campioni mettendo a segno un altro passo nella missione Sample Return. Dal momento che per ogni sito di raccolta sono stati e saranno prelevati due campioni, la strategia pensata sin dall’inizio è di depositare nel luogo selezionato solo il primo campione per ciascun sito, lasciando che il rover continui a trasportare il secondo in attesa di valutare successivamente le opzioni disponibili.

    È stato individuato anche il luogo dove compiere i rilasci, e attualmente non ci troviamo molto lontano da esso. Si tratta di tornare indietro di 400/500 metri verso la regione del fondo del cratere, un’area estremamente pianeggiante e senza rilievi rocciosi. Queste caratteristiche geografiche rendono il luogo ideale per la futura missione di raccolta dei campioni, che qui dovrà atterrare e svolgere i compiti previsti.

    Jezero con la posizione attuale di Perseverance
    Mappa della regione del cratere Jezero con la posizione attuale di Perseverance e del sito individuato per il rilascio dei campioni. Crediti: NASA/JPL-Caltech/University of Arizona/USGS

    Mosaico di due foto
    Mosaico di due foto (con prospettiva rettificata) dove si scorge il luogo designato. Crediti: NASA/JPL-Caltech

    Al termine dell’operazione di deposizione delle fiale si potrà iniziare a pensare alla prossima fase dell’esplorazione, ovvero risalire il bordo del cratere per andare oltre Jezero e raccogliere nuovi campioni.

    percorsi analizzati per il proseguimento dell’esplorazione
    I percorsi analizzati per il proseguimento dell’esplorazione che dovrebbe tenere occupato il rover per oltre un anno terrestre. Crediti: NASA/JPL-Caltech/University of Arizona/USGS/JHU-APL

    Le prospettive di funzionalità di Perseverance vanno oltre i 10 anni (attuale età di Curiosity), quindi c’è il potenziale perché il rover possa incontrare la futura missione di raccolta e supportarla direttamente rilasciando a portata del braccio robotico del lander i campioni che ancora custodirà. Questa è stata infatti la recente revisione della Sample Return, che ha eliminato il previsto rover di raccolta per lasciare questo compito a Perseverance.
    Da segnalare che la deposizione dei campioni nella regione del cratere ha funzione di backup nell’eventualità che, per qualche sfortunata ragione, il rover NASA non sia in grado di raggiungere il futuro lander e rilasciare le fiale nelle sue vicinanze. In questo caso le operazioni di raccolta saranno svolte, in tempi probabilmente più lunghi, esclusivamente dai due elicotteri che atterreranno insieme al lander.

    Per questo aggiornamento marziano è tutto, appuntamento al prossimo che cercherò di rendere meno monotematico!

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    Spediti – Coelum Astronomia 25 anni

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    TANTISSIMI!! Grazie a tutti i lettori che hanno prenotato una copia del libro per festeggiare i 25 anni di pubblicazioni. E’ stata davvero un’emozione preparare così tanti pacchi! 

    Ci sono ancora alcune copie disponibili e… rimanete aggiornati per sapere quando verrà fissata la nuova data per i festeggiamenti! Non potete mancare!

    Per prenotare le ultime copie disponibili QUI

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    COMUNICAZIONE IMPORTANTE: EVENTO RINVIATO

    Carissime e Carissimi tutti,

    a seguito dei gravi danni subiti nella scorsa notte dal territorio della provincia di Ancona colpito da violente precipitazioni, la Redazione informa che l’evento previsto per domenica prossima 18 settembre organizzato per celebrare i 25 anni di pubblicazioni di Coelum Astronomia, è stato RINVIATO a data da definire.
    Siamo vicini alle famiglie tragicamente coinvolte in questo difficile momento.
    La nuova data sarà fissata e comunicata a breve.
    Si comunica altresì a quanti interessati che anche l’edizione di settembre di Galassica Festival dell’Astronomia prevista per sabato e domenica 17 e 18 è stato rinviato.
    La Redazione di Coelum Astronomia

    Aperta la prevendita per il n°258 ottobre/novembre

    Tutto, ma proprio tutto e molto di più nel prossimo numero di Ottobre/Novembre
    Leggi l’indice qui! 

    Coelum Astronomia n°258

    ottobre – novembre 2022

    in uscita il 26 settembre 2022

    Disponibile dal 26 settembre il numero 258 di Coelum Astronomia di ottobre/novembre 2022.

    LA COPERTINA

    Il n. 258 dedicato all’Inquinamento Luminoso che di fatto sta aumentando. L’immagine di copertina, seppur spettacolare, nasconde un lato oscuro, come dott. Jekyll e Mr. Hyde, i danni del proliferare delle luci di notte sono immensi.

    Anche per questo numero una grande novità. Torna a scrivere per Coelum Astronomia uno dei volti più noti fra gli astrofotografi italianiCristian Fattinnanzi, autore di una rubrica tutta sua che ci accompagnerà per molti numeri!

    Scopri di più!

    I favolosi anni 90 dell’Astronomia – 1990

    Eccoli eccoli, gli anni ’90 sono arrivati!

    Gli anni ’90, con la loro carica esplosiva e scoppiettante, che partono con l’aprirsi della guerra del golfo, hanno fatto irruzione negli anni ’80 come un carrarmato con le pantofole di pelliccia.

    Ma va bene così, ogni cambiamento ha sempre qualcosa di elettrizzante. Gli anni ’90 sono stati costellati di incredibili avvenimenti e scoperte. Se avete voglia di fare un tour indietro nel tempo mettetevi comodi e godetevi questa nuova decade che parla dell’astronomia dell’ultimo decennio del secolo scorso! E non sbavate troppo per l’emozione che per quello bastava lo sbrodolino! Sistematevi i jeans alti quanto il dolcevita, togliete il tamagotchi dalle tasche e andiamo!

    Si parte col 1990, anno in cui, non so se mi spiego, uscivano sia il Game Gear che il Super Nintendo, console che in quell’anno fecero salire l’isolamento adolescenziale tanto da far impallidire la videodipendenza da smartphone. Ma quello che rimane aggrappato alle pagine polverose della memoria non sono le ore spese a far deflagrare gli alieni che uscivano dalle fottute pareti o a cercare mappe del tesoro in Monkey Island, che da solo vale tutti gli anni ’90, ma l’atmosfera di magia e ricerca che ha guidato tutti gli adolescenti per l’intero decennio. Al cinema i film cazzuti come atto di forza e Apache facevano pompare i ragazzi,  ghost e pretty woman facevano sognare le ragazze e noi nerd ci sparavamo gremlins II, ritorno al futuro 3 ed Edward mani di forbice. In TV c’erano serie tv del calibro di Beverly Hills 90210, Willie il principe di Bel Air, Otto sotto un tetto e ALF, che terminava proprio in quell’anno. Non so se mi spiego! Sul lato astronomico, come sempre, all’universo non gliene poteva fregare di meno ma gli scienziati fecero bingo mandando in orbita il paparazzo cosmico per eccellenza, quel cecchino di wallpaper che era l’Hubble space Telescope. Un satellite artificiale in grado di regalare immagini meravigliose sia all’astronomia nel visibile, che nell’ultravioletto e anche nell’infrarosso.

    Fu realizzato dalla NASA in collaborazione con l’ESA e venne portato il orbita a 600 km di quota dalla navetta spaziale Discovery il 24 aprile di quest’anno. Il suo vantaggio era duplice: era fuori atmosfera e dotato di uno specchio primario di apertura pari a 2,4 m! Siccome le cose una volta le facevano buone, Hubble sta funzionando ancora in maniera ineccepibile.

    Telescopi Keck alle Hawaii. Credito: Osservatorio Keck
    Telescopi Keck alle Hawaii. Credito: Osservatorio Keck

    Nello stesso anno venne anche lanciato il telescopio spaziale Astro-1, formato da tre telescopi operanti nell’ultravioletto, ma solo per una missione sperimentale di 8 giorni. Migliorato e corretto, questo telescopio, nella sua nuova veste, verrà rilanciato nel 1995 con in nome di Astro-2. Sempre sulla scia dei grandi occhi, ma questa volta a terra, anche il telescopio Keck fu ultimato nel 1990 . E’ posto alle Hawaii, nella località di Mauna Kea e vantava una apertura effettiva di 9,82 metri! Il 1990 vide anche l’istituzione dell’High Energy Astrophysics Science Archive Research Center (HEASARC) presso il Goddard Space Flight Center (GSFC) della NASA ed il lancio della missione congiunta NASA/ESA Ulysses per mezzo dello Space Shuttle Discovery (STS-41). Il satellite in questione trasportava un esperimento per rilevare i raggi X solari ed i raggi gamma. Nel 1990 venne anche lanciato il satellite russo Gamma, che aveva come strumento principale il telescopio Gamma-1, un rivelatore sensibile ai raggi gamma con energie da 50 MeV a 6 GeV. Nei roaring 90’s venne anche rilevata grazie al Röntgen Satellit (ROSAT) l’emissione di raggi X della Luna, la prima rilevazione a raggi X della Luna da parte di un satellite in orbita terrestre. Tali raggi X erano dovuti alla dispersione dei raggi X solari. Nel frattempo, sulla Terra, veniva sviluppata la teoria dei super pennacchi, confermata dal rinvenimento di molti campioni di rocce del nucleo terrestre nel plateau oceanico di Ontong-Giava. Essa postulava che nel Cretaceo, circa 100-70 milioni di anni fa, immense correnti di materia fluida allo stato plastico risalirono dal nucleo attraversando il mantello e sboccando là dove la crosta terrestre, solida era più sottile. Questa teoria impattava direttamente sulla struttura della crosta terrestre, sulla dinamica delle zolle tettoniche, sul geomagnetismo e anche sul clima.

    ROSAT ( Roentgen Satellit ). Credit NASA
    ROSAT ( Roentgen Satellit ). Credit NASA

    Come sempre accade, le scoperte di trent’anni fa a volte fanno quasi tenerezza. Nel frattempo la tecnologia è avanzata, i computer sono cresciuti e con essi la potenza di calcolo. Ma quelli erano anni magici. Anni in cui tutto poteva accadere. Anni in cui i sogni diventavano davvero realtà tangibile. Anni in cui qualsiasi cosa si faceva era ancora spinta dal vento in poppa e la paura di cadere non c’era, come la disillusione ed il timore del fallimento. Tanto atterravi su una morositas

    Non hai letto tutti gli anni ’80?? Li trovi qui

    Immagini dall’Universo

    MOSTRA DI FOTOGRAFIE ASTRONOMICHE SCATTATE DAI SOCI A.L.S.A. DI LIVORNO
    IL CIELO VISTO (E FOTOGRAFATO) DAGLI ASTROFILI LIVORNESI

    In Toscana, nella splendida città di Livorno, oltre al mare ed ai suoi meravigliosi tramonti, c’è l’A.L.S.A. (Associazione Livornese Scienze Astronomiche), un’associazione di astrofili nata nel 1991 da cinque soci fondatori che si è andata ad ingrandire negli anni.
    Sempre alla ricerca di cieli bui e poco inquinati, trascorrono lunghe notti in bianco con “l’occhio” fisso sull’obiettivo per catturare angoli di cielo lontani, pianeti, costellazioni, galassie e nebulose non visibili ad occhio nudo. Una passione viscerale, travolgente, una vita trascorsa con un occhio sempre “rivolto all’ insù”.
    È proprio da questa passione che è nata “Immagini dall’Universo”, la mostra di fotografie
    astronomiche che si svolgerà dal 2 al 30 Ottobre c/o la sala di esposizioni temporanee del Museo di Storia Naturale del Mediterraneo a Livorno.
    Le foto in mostra sono state scattate dai soci con strumentazione amatoriale e propongono una “passeggiata” nel cielo durante le quattro stagioni.
    Ogni foto è argomentata dalla relativa didascalia ed un membro dell’associazione sarà sempre disponibile in sede per rispondere alle domande dei curiosi.
    Osservando i 65 pannelli che compongono la mostra il visitatore potrà fare un interessante viaggio a miliardi di anni luce di distanza, nei posti più imperscrutabili dell’universo.
    Iniziando con il cielo dell’Autunno caratterizzato, tra le altre, dalla Galassia di Andromeda e proseguendo con l’Inverno e la Primavera, si arriva all’Estate con la sua regina indiscussa: la Via Lattea. Sarà inoltre possibile fare, su prenotazione, una visita guidata al Planetario del Museo.
    Dove: “Museo di Storia Naturale del Mediterraneo”
    Via Roma, 234 Livorno
    Quando: dal 02 Ottobre al 30 Ottobre 2022
    Contatti: 0586/266711
    info@alsaweb.it

    Il satellite SWOT è pronto a partire per gli Stati Uniti

    SWOT_Solar Array Deployment_copyright TAS
    SWOT_Solar Array Deployment_copyright TAS

    Cooperazione spaziale per la climatologia

    Dopo oltre un anno di attività di assemblaggio, integrazione e test presso lo stabilimento di Thales Alenia Space, JV tra Thales 67% e Leonardo 33%, a Cannes, in Francia, per conto delle Agenzie Spaziali francese e statunitense CNES e NASA, il satellite SWOT (Surface Water and Ocean Topography) è pronto a partire per il suo imminente lancio dagli Stati Uniti.

    SWOT è una missione congiunta del CNES e della NASA, con il contributo dell’Agenzia Spaziale Canadese (CSA) e dell’Agenzia Spaziale del Regno Unito (UKSA). È dedicata alla misurazione dei livelli delle acque superficiali di laghi e fiumi e dei bacini fluviali, nonché all’acquisizione di dati di alta precisione e dettagliati sulle dinamiche degli oceani. SWOT presenta una serie di innovazioni tecnologiche senza precedenti e si basa su una tecnologia innovativa, ovvero l’interferometro KaRIn ad ampio fascio, progettato dal Jet Propulsion Laboratory (JPL) della NASA. Il CNES e Thales Alenia Space hanno realizzato il gruppo a radiofrequenza di questo strumento. KaRIn è dotato di due antenne radar ad apertura sintetica (SAR) in banda Ka separate da un braccio di 10 metri che gli consentirà un’osservazione bidimensionale di ben 120 chilometri di larghezza con una risoluzione orizzontale dell’ordine di 50-100 metri, configurabile su entrambi i lati della rotta terrestre del satellite.

    SWOT trasporterà anche un modulo Nadir che include gli stessi strumenti dei satelliti della serie Jason, compreso l’altimetro a doppia frequenza Poseidon realizzato da Thales Alenia Space. Questo modulo trasporterà anche il sistema di determinazione precisa dell’orbita DORIS, realizzato da Thales, un radiometro a microonde avanzato (AMR), un GPS Payload (GPSP) e un Laser Retro-reflector Array (LRA) realizzati dal JPL.

    SWOT promette di rivoluzionare l’oceanografia e l’idrologia della superficie terrestre, essendo l’ultima di una lunga serie di missioni realizzate in collaborazione con CNES, NASA e Thales Alenia Space, a partire dal 1992 con il lancio del satellite TOPEX/Poseidon e proseguite con la serie di missioni del satellite Jason. SWOT sarà il primo satellite a effettuare un rientro atmosferico controllato, in conformità con la legge Space Operations Act francese (FSOA) orientata alla riduzione dei detriti spaziali, entrata in vigore nel 2020.

    Progettato per studiare la topografia degli oceani e le acque di superficie, SWOT ha una doppia missione che copre l’oceanografia e l’idrologia. Il satellite osserverà la circolazione degli oceani in 2D con una risoluzione dieci volte superiore. Questo ci aiuterà ad analizzare e comprendere meglio gli effetti della circolazione costiera sulla vita marina, sugli ecosistemi, sulla qualità dell’acqua e sui trasferimenti di energia per migliorare la realizzazione di modelli delle interazioni atmosfera-oceano. La parte idrologica della missione valuterà le variazioni dei livelli dell’acqua nei terreni acquitrinosi, nei laghi e nei bacini, nonché la portata dei fiumi. SWOT è quindi destinato ad apportare innovazioni chiave in un settore in cui la posta in gioco economica, sociale e strategica non è mai stata così alta.

    SWOT è ora pronto per la partenza verso gli Stati Uniti prevista per l’inizio di ottobre, concludendo un anno di sforzi incessanti da parte dei team francesi e statunitensi di Thales Alenia Space, leader mondiale nell’altimetria satellitare. Nel corso degli ultimi 12 mesi, il payload scientifico fornito dal JPL è stato integrato con la piattaforma satellitare sviluppata da Thales Alenia Space per il CNES. Dopo queste operazioni di assemblaggio, i team hanno condotto una serie di test funzionali e ambientali sul satellite e sui suoi strumenti per verificare la loro capacità di resistere alle difficili condizioni di lancio e dello spazio.

    Un aereo cargo C5-Galaxy dell’Aeronautica Militare degli Stati Uniti sarà impiegato appositamente per trasportare il satellite di due tonnellate e il suo container dall’aeroporto di Nizza alla Vandenberg Air Force Base (VAFB) per un lancio non previsto prima del 5 dicembre a bordo di un veicolo Falcon 9 operato da SpaceX.

    In occasione della conferenza stampa tenutasi il 6 settembre presso Thales Alenia Space, Thierry Lafon, Responsabile del progetto SWOT del CNES, ha dichiarato: “Il completamento dell’integrazione di SWOT in Francia illustra la volontà del nostro Paese, attraverso il CNES e il programma di investimenti futuri PIA (Programme d’Investissement d’Avenir), e quella dei suoi partner internazionali e industriali, di aprire la strada a nuove generazioni di sistemi di osservazione costruiti attorno a tecnologie dirompenti come l’altimetria radar interferometrica”. Questa missione pionieristica sarà la prima a condurre un’indagine globale sistematica sull’acqua della Terra, segnando un enorme passo avanti verso una gestione più efficiente di questa risorsa. Ha un grande potenziale per la nostra industria spaziale e per i futuri utenti dei suoi dati. La comunità scientifica internazionale attende con ansia questi nuovi dati per conoscere più da vicino il ciclo globale dell’acqua e migliorare la comprensione del ruolo degli oceani nel cambiamento climatico”.

    “SWOT è una missione emblematica non solo perché cerca di affrontare le questioni climatiche internazionali, ma anche perché sarà al servizio di una delle nostre risorse condivise più critiche, l’acqua”, ha aggiunto Christophe Duplay, Responsabile del programma SWOT di Thales Alenia Space. Il satellite ci aiuterà a rilevare l’intero ciclo dell’acqua, dai laghi e fiumi, ai mari e agli oceani, per la prima volta”. Per i team di Thales Alenia Space, questo programma rappresenta la continuazione della partnership di lunga data con il CNES e la NASA nel campo dell’altimetria satellitare, a partire dal successo delle missioni Jason, che hanno permesso di diffondere l’oceanografia operativa in tutto il mondo.”

    Per sapere si più sui satelliti dedicati all’osservazione della Terra segui la rubrica “Astronomia per la Terra”

    Ultime copie Raccolta Coelum 25 anni di Astronomia!

    ATTENZIONE: sono disponibili le ultime copie del progetto editoriale “Coelum Astronomia 25 anni di Pubblicazioni”.

    La raccolta di tutte le copertine di Coelum Astronomia accompagnata dalle testimonianze dei collaboratori ed autori!

    Sono disponibili le ultime copie per la distribuzione immediata ➡➡➡ successivamente il testo sarà disponibile solo in edizione “Collection”.

    Termine ultimo per l’acquisto:  mercoledì 14 settembre 2022

    Numero copie disponibili al 7 settembre 2022:  20 

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    La Nebulosa Tarantola vista dal JWST

    In this mosaic image stretching 340 light-years across, Webb’s Near-Infrared Camera (NIRCam) displays the Tarantula Nebula star-forming region in a new light, including tens of thousands of never-before-seen young stars that were previously shrouded in cosmic dust. The most active region appears to sparkle with massive young stars, appearing pale blue. Scattered among them are still-embedded stars, appearing red, yet to emerge from the dusty cocoon of the nebula. NIRCam is able to detect these dust-enshrouded stars thanks to its unprecedented resolution at near-infrared wavelengths. To the upper left of the cluster of young stars, and the top of the nebula’s cavity, an older star prominently displays NIRCam’s distinctive eight diffraction spikes, an artefact of the telescope’s structure. Following the top central spike of this star upward, it almost points to a distinctive bubble in the cloud. Young stars still surrounded by dusty material are blowing this bubble, beginning to carve out their own cavity. Astronomers used two of Webb’s spectrographs to take a closer look at this region and determine the chemical makeup of the star and its surrounding gas. This spectral information will tell astronomers about the age of the nebula and how many generations of star birth it has seen. Farther from the core region of hot young stars, cooler gas takes on a rust colour, telling astronomers that the nebula is rich with complex hydrocarbons. This dense gas is the material that will form future stars. As winds from the massive stars sweep away gas and dust, some of it will pile up and, with gravity’s help, form new stars.

    Migliaia di giovani stelle mai viste prima vengono avvistate in un vivaio stellare chiamato 30 Doradus, catturato dal telescopio spaziale James Webb della NASA/ESA/CSA. Soprannominata la Nebulosa Tarantola per l’aspetto dei suoi filamenti polverosi nelle precedenti immagini del telescopio, la nebulosa è stata a lungo una delle preferite dagli astronomi che studiano la formazione stellare. Oltre alle giovani stelle, Webb rivela galassie di fondo lontane, nonché la struttura dettagliata e la composizione del gas e della polvere della nebulosa.

    A soli 161.000 anni luce di distanza nella galassia della Grande Nube di Magellano, la Nebulosa Tarantola è la regione di formazione stellare più grande e luminosa del Gruppo Locale, le galassie più vicine alla nostra Via Lattea. Ospita le stelle più calde e massicce conosciute. Gli astronomi hanno concentrato tre degli strumenti a infrarossi ad alta risoluzione di Webb sulla Tarantola. Visto con la telecamera a infrarossi vicini (NIRCam) di Webb, la regione assomiglia alla casa di una tarantola scavatrice, foderata con la sua seta. La cavità della nebulosa centrata nell’immagine NIRCam è stata svuotata dalle vesciche radiazioni di un ammasso di giovani stelle massicce, che brillano di un azzurro pallido nell’immagine. Solo le aree circostanti più dense della nebulosa resistono all’erosione dei potenti venti stellari di queste stelle, formando pilastri che sembrano puntare all’indietro verso l’ammasso. Questi pilastri contengono protostelle in formazione, che alla fine emergeranno dai loro bozzoli polverosi e prenderanno il loro turno per modellare la nebulosa (vedi immagine copertina dell’articolo).

    Lo spettrografo nel vicino infrarosso di Webb (NIRSpec) ha catturato una stella molto giovane mentre faceva proprio questo. Gli astronomi in precedenza pensavano che questa stella potesse essere un po’ più vecchia e già in procinto di eliminare una bolla attorno a se stessa. Tuttavia, il NIRSpec ha mostrato che la stella stava appena iniziando ad emergere dal suo pilastro e manteneva ancora una nuvola di polvere isolante attorno a sé. Senza gli spettri ad alta risoluzione di Webb alle lunghezze d’onda dell’infrarosso, questo episodio di formazione stellare in azione non sarebbe stato rivelato.

    La regione assume un aspetto diverso se visualizzata nelle lunghezze d’onda dell’infrarosso più lunghe rilevate dal Mid-infrared Instrument (MIRI) di Webb . Le stelle calde svaniscono e il gas più freddo e la polvere brillano. All’interno delle nubi stellari, punti luminosi indicano protostelle incorporate, che stanno ancora guadagnando massa. Mentre lunghezze d’onda più corte della luce vengono assorbite o disperse dai granelli di polvere nella nebulosa, e quindi non raggiungono mai Webb per essere rilevate, lunghezze d’onda del medio infrarosso più lunghe penetrano in quella polvere, rivelando infine un ambiente cosmico mai visto prima.

    At the longer wavelengths of light captured by its Mid-Infrared Instrument (MIRI), Webb focuses on the area surrounding the central star cluster and unveils a very different view of the Tarantula Nebula. In this light, the young hot stars of the cluster fade in brilliance, and glowing gas and dust come forward. Abundant hydrocarbons light up the surfaces of the dust clouds, shown in blue and purple. Much of the nebula takes on a more ghostly, diffuse appearance because mid-infrared light is able to show more of what is happening deeper inside the clouds. Still-embedded protostars pop into view within their dusty cocoons, including a bright group at the very top edge of the image, left of centre. Other areas appear dark, like in the lower-right corner of the image. This indicates the densest areas of dust in the nebula, that even mid-infrared wavelengths cannot penetrate. These could be the sites of future, or current, star formation. MIRI was contributed by ESA and NASA, with the instrument designed and built by a consortium of nationally funded European Institutes (The MIRI European Consortium) in partnership with JPL and the University of Arizona.

    Uno dei motivi per cui la Nebulosa Tarantola è interessante per gli astronomi è che la nebulosa ha un tipo di composizione chimica simile a quella delle gigantesche regioni di formazione stellare osservate nel “mezzogiorno cosmico” dell’universo, quando il cosmo aveva solo pochi miliardi di anni e la stella la formazione era al culmine. Le regioni di formazione stellare nella nostra galassia, la Via Lattea, non producono stelle alla stessa velocità furiosa della Nebulosa Tarantola e hanno una composizione chimica diversa. Questo rende la Tarantola l’esempio più vicino (cioè, più facile da vedere in dettaglio) di ciò che stava accadendo nell’universo quando ha raggiunto il suo brillante mezzogiorno. Webb fornirà agli astronomi l’opportunità di confrontare e confrontare le osservazioni della formazione stellare nella Nebulosa Tarantola con le osservazioni profonde del telescopio di galassie lontane dall’attuale era del mezzogiorno cosmico.

    Nonostante i migliaia di anni di osservazione delle stelle da parte dell’umanità, il processo di formazione stellare conserva ancora molti misteri, molti dei quali dovuti alla nostra precedente incapacità di ottenere immagini nitide di ciò che stava accadendo dietro le spesse nubi dei vivai stellari. Webb ha già iniziato a rivelare un universo mai visto prima e sta solo iniziando a riscrivere la storia della creazione stellare.

    Il confronto

     

     

    A side-by-side display of the same region of the Tarantula Nebula brings out the distinctions between Webb’s near-infrared (closer to visible red, left) and mid-infrared (further from visible red, right) images. Each portion of the electromagnetic spectrum reveals and conceals different features, making data in different wavelengths valuable to astronomers for understanding the physics taking place. The image captured by Webb’s Near-Infrared Camera (NIRCam, left) features bright, hot features, like the sparkling cluster of massive young stars, and the bright star to their upper left, featuring Webb’s distinctive diffraction spikes. Young, emerging stars shine blue, while scattered red points indicate stars that are still enshrouded in dust. Structure in the nebula, carved by the stellar winds of the massive young stars, is intricately detailed. In the view from Webb’s Mid-Infrared Instrument (MIRI), the hot young stars fade, and cooler gas takes the spotlight. Much of the nebula takes on a ghostly appearance in the mid-infrared, because these longer wavelengths of light are able to penetrate the dust clouds and reach Webb. Previously hidden bubbles and dust-embedded stars emerge. A particularly prominent, spherically shaped bubble – being blown out by a newborn star – appears in the MIRI image just to the right of the now-darkened central star cluster. Another difference between the two images is the appearance of the bright, lone star at the top of the nebula’s cavity. In the MIRI image (right) the star is fainter relative to the surrounding nebula, so the glare and the distortion of Webb’s diffraction spikes are much less prominent. In the midst of the central cluster of young stars, one dense gas clump is clearly visible in both images – it is one of the last, dense remnants of the nebula that the young cluster stars’ stellar winds have not yet eroded away. NIRCam was built by a team at the University of Arizona and Lockheed Martin’s Advance

    Una visualizzazione affiancata della stessa regione della Nebulosa Tarantola mette in evidenza le distinzioni tra le immagini del vicino infrarosso (più vicino al rosso visibile, a sinistra) e del medio infrarosso (più lontano dal rosso visibile, a destra). Ogni porzione dello spettro elettromagnetico rivela e nasconde caratteristiche diverse, rendendo i dati in diverse lunghezze d’onda preziosi per gli astronomi per comprendere la fisica in atto.

    Fonte:  https://esawebb.org/news/weic2212/?lang

    🤜🤜Nel prossimo numero 258 di Ceolum Astronomia tutti i suggerimenti per l’osservazione della Tarantola! Non perdere Coelum – Abbonati Subito

    News da MARTE! #1

    Bentornati su Marte!

    Vediamo quali sono le state le novità degli ultimi due mesi da parte dei robot che fanno parte della missione NASA chiamata Mars 2020. Parliamo ovviamente di Ingenuity e Perseverance.

    L’instancabile Ingenuity

    Il piccolo elicottero non cessa di stupirci. Gli scorsi mesi l’avevamo lasciato freddo e impolverato mentre lottava per cercare di caricare le proprie batterie. Durante quelli che sulla Terra erano i mesi estivi, su Marte, nell’emisfero boreale, era inverno. Il ridotto irraggiamento solare e le temperature più basse della media hanno rappresentato una combinazione che ha rischiato di rivelarsi fatale per l’elettronica del drone. Ma le contromisure messe in atto dalla NASA (illustrate in dettaglio nel numero 257 di Coelum Astronomia) si sono rivelate vincenti.

    La prova più convincente di questo è rappresentata dal nuovo decollo, il trentesimo, che Ingenuity ha compiuto nel pomeriggio marziano del 20 agosto, Sol 533 della missione. Si è trattato fondamentalmente di un volo di test, funzionale alla verifica dell’operatività degli apparati e alla pulizia del pannello solare. Dal punto di visto del profilo di volo molto simile alla seconda movimentazione che l’elicottero aveva compiuto nell’aprile 2021.

    Trovate i video di tutti i voli di Ingenuity nel mio canale Youtube, in particolare ho preparato una playlist che continuerò ad aggiornare in futuro e che potete raggiungere all’indirizzo https://www.youtube.com/playlist?list=PL7Re8WpuVU3LPzHhx2wpLkpayuEpztqIr

    Tre fotogrammi del volo numero 30 (gli unici al momento disponibili) che documentano gli istanti dell'atterraggio
    Tre fotogrammi del volo numero 30 (gli unici al momento disponibili) che documentano gli istanti dell’atterraggio

    Della durata di appena 33 secondi, il volo è consistito in uno spostamento laterale di 2 metri da una quota di 5. Sono numeri molto diversi da quelli straordinari dei voli estivi e primaverili, ma sufficienti a darci speranza per quello che sarà il futuro della missione. Nei giorni che hanno preceduto il decollo i tecnici hanno eseguito dei test di rotazione dei motori a 50 e 2573 giri al minuto. Queste verifiche di successo, compiute nelle giornate del 6 e 15 agosto, hanno così dato il semaforo verde per il volo più recente.

    Un’altra differenza significativa rispetto alle operazioni dei mesi scorsi, oltre che a distanza e durata, si rileva nel momento della giornata scelto per il volo: invece che nella tarda mattinata marziana si è scelto di avviare Ingenuity circa alle ore 16 locali. Questo è stato dovuto alla necessità di caricare a sufficienza le batterie del drone che in questo periodo risultano cronicamente a secco di energia.

    Con il progressivo aumento delle temperature e delle ore di luce ci si potrà permettere di compiere voli più lunghi e riprendere le operazioni scientifiche. Nel corso di settembre è previsto inoltre un aggiornamento del software di volo che doterà Ingenuity di funzionalità di navigazione più avanzate. Torneranno utili durante i prossimi sorvoli dell’accidentata area del deltache il vicino rover sta esplorando già da alcuni mesi.

    Perseverance, tra prelievi e disegni col laser

    Il bello di avere un’alimentazione a decadimento radioattivo è che puoi ignorare le condizioni stagionali. È per questo che Perseverance non ha mollato neanche per un Sol le sue attività ed è stato più operoso che mai nelle indagini scientifiche. La mappa qui sotto mostra le varie regioni in corso di esplorazione da parte del rover. Come detto ci troviamo nei pressi del delta del fiume che qui, nell’antico passato di Marte, scorreva copioso e ha lasciato tracce evidentissime del suo passaggio. Il cratere Jezero, che si estende a sud-est della regione inquadrata, era proprio un lago riempito da queste acque.

    Mappa con gli spostamenti di Perseverance e Ingenuity aggiornata al 31 agosto (Sol 543)
    Mappa con gli spostamenti di Perseverance e Ingenuity aggiornata al 31 agosto (Sol 543)

    Tra luglio e agosto Perseverance ha finalmente fatto i suoi primi prelievi in questa regione. Il team ha impiegato oltre due mesi per compiere una ricognizione estesa così da avere un ventaglio completo delle rocce presenti, e scegliere dei campioni con la più ampia varietà e di maggior interesse.

    C’è stata anche una piccola novità nella rappresentazione grafica offerta dalla mappa raggiungibile all’indirizzo https://mars.nasa.gov/mars2020/mission/where-is-the-rover/: di recente sono stati aggiunti dei marcatori rossi per contrassegnare i punti dove si sono svolti dei campionamenti. Qui, vicino al bordo superiore, vedete 2 marcatori ma in realtà i prelievi eseguiti sono stati ben4, un paio per ciascuna location prescelta.

    Con questi ultimi 4 arriva quindi a 13 il numero dei campioni sin qui raccolti da Perseverance.

    Nelle foto che seguono vediamo qualche dettaglio della prima operazione di raccolta compiuta qui nel delta, alla quale i tecnici NASA hanno dedicato un articolo molto dettagliato. Abbiamo scoperto così che si è trattato del campione più “morbido” raccolto da Perseverance sino a quel momento, e durante l’operazione di prelievo è stato anche possibile disattivare l’azione percussiva del trapano operando solo con il movimento rotativo.

    Foto scattata nel Sol 490, 7 luglio sulla Terra, con il foro appena prodotto dal trapano-raccoglitore del rover. A fianco si nota anche una larga abrasione circolare (Thortnton Gap) realizzata dallo stesso strumento ma con una punta fresatrice.

    Il campione è stato battezzato Swift Run dal nome di una attrattiva del Parco Nazionale Shenandoah in Virginia. Con nomi di zone caratteristiche di questo parco sono stati chiamati anche il foro del secondo campione e l’abrasione, rispettivamente Skinner Ridge e Thornton Gap.

     

    Il carotaggio di Swift Run, che con i suoi 6.7 centimetri è il campione più lungo sinora prelevato.
    Il carotaggio di Swift Run, che con i suoi 6.7 centimetri è il campione più lungo sinora prelevato.

    Quando questi campioni torneranno sulla Terra (all’inizio degli anni ’30 con la conclusione di successo del programma Mars Sample Return) gli scienziati del futuro dovranno porsi numerose considerazioni, tra cui una a cui probabilmente pochi di noi avrebbero pensato: come era orientata quella roccia su Marte?

    Sebbene oggi estremamente debole, non abbiamo elementi per conoscere le caratteristiche del campo magnetico del pianeta rosso in passato. Per fare analisi in tal senso ecco che tornerà utile saper ri-orientare nello spazio questi piccoli cilindretti di roccia. Capirne la posizione è facile nel caso di caratteristiche superficiali riconoscibili dalle foto, ma come comportarsi quando la parte superiore della roccia perforata è perfettamente omogenea?

    Viene in soccorso degli scienziati una funzionalità recentemente testata da Perseverance che usa il laser della SuperCam in modo…non convenzionale. L’impiego standard del laser prevede di accendere brevissimi impulsi luminosi che vaporizzano porzioni superficiali di roccia per permettere l’analisi spettrografica a distanza. Gli impulsi laser hanno la caratteristica di lasciare piccoli punti scuri sulla roccia, tanto più marcati quanto più numerosi sono gli impulsi lanciati.

    Gli scienziati hanno pensato che questo può essere sfruttato per disegnare delle figure con cui marcare in modo univoco una direzione senza ambiguità di simmetria, a mo’ di freccia. Qualcosa di ancor più semplice è la lettera L maiuscola. È stata questa la scelta dei tecnici della NASA, in una versione estremamente stilizzata costituita da tre soli punti che è stata testata a metà giugno.

    Il test di marcatura della roccia per mezzo del laser integrato nella SuperCam. Era il Sol 471, 17 giugno.
    Il test di marcatura della roccia per mezzo del laser integrato nella SuperCam. Era il Sol 471, 17 giugno.

    Ciascuno dei tre punti mostrati in questa immagine è stato realizzato con 125 impulsi del laser. Le dimensioni di 2.5x1mm della L consentiranno al disegno di essere contenuto facilmente all’interno dei carotaggi il diametro dei quali è di 13 mm.

    Mi risulta che al momento questa funzionalità non sia stata impiegata se non a livello di test, ma tornerà sicuramente utile in futuro.

    Per questo update marziano è tutto, ci risentiamo tra due settimane con le ultime novità!

    La prima puntata degli Aggiornamenti da Marte è pubblicata su Coelum Astronomia n°257 di agosto/settembre Leggilo ora online

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