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C’era una volta l’universo euclideo

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La somma degli angoli interni di un triangolo è uguale a 180 gradi. Ce lo insegnavano alle medie. Lo ribadisce Wikipedia. E se ci mettiamo con matita e goniometro a tracciare triangoli su un foglio di carta lo possiamo verificare anche per conto nostro. Tutto giusto, ma non sempre… È così, appunto, su un foglio di carta steso bello piatto sul tavolo. Se però ci mettessimo fare la stessa operazione, per quanto sia decisamente più scomodo, su una sfera – disegnando triangoli con il pennarello su un mappamondo, per esempio – ecco che la somma degli angoli darebbe un risultato maggiore di 180 gradi. È che la sfera è curva, non piatta. E la geometria degli spazi curvi segue regole diverse da quella classica – detta euclidea – degli spazi piatti. Per esempio, regole che ammettono che due rette parallele finiscano prima o poi per incontrarsi.

È a questo che si riferiscono i cosmologi quando parlano di universo piatto: un universo il cui spazio ha curvatura nulla, e nel quale valgono le regole della geometria euclidea. Ebbene, il modello cosmologico comunemente accettato dice che l’universo è proprio così: piatto. Una conformazione improbabile, a ben pensarci, visto che niente in Natura impone che, tra i tutti i possibili valori di curvatura, il nostro universo abbia proprio esattamente il valore zero. Ciò nonostante, è proprio questa la conformazione che i dati di moltissime osservazioni astrofisiche e cosmologiche sembrano indicare.

L’immagine mostra la mappa delle anisotropie della radiazione cosmica di fondo a microonde (Cmb) osservate dalla missione Planck dell’Esa, ed è stata realizzata con i dati della Planck Legacy release, ovvero quelli finali della missione, pubblicati a luglio del 2018. Crediti: Esa/Planck Collaboration

Moltissime, ma non tutte. È stato pubblicato la settimana scorsa su Nature Astronomy un articolo – firmato da Eleonora Di Valentino del Jodrell Bank (Uk), Alessandro Melchiorri della Sapienza e Joseph Silk dell’Institut d’Astrophysique de Paris – secondo il quale gli ultimissimi dati del telescopio spaziale dell’Esa Planck favorirebbero un modello di universo chiuso: ovvero con curvatura maggiore di zero – tipo quella di una sfera, appunto. Un articolo che, complice anche la sapiente scelta del titolo (“Planck evidence for a closed Universe and a possible crisis for cosmology”), sta creando un certo subbuglio nella comunità dei cosmologi – nonostante non sia una novità il fatto che i dati di Planck andassero in parte in questa direzione.

«Gli articoli finali della collaborazione Planck, pubblicati nel 2018, hanno messo in evidenza come un universo chiuso – caratterizzato da una curvatura spaziale positiva dell’ordine di qualche percento – possa descrivere i dati dello spettro di potenza in temperatura e polarizzazione delle anisotropie del fondo a microonde meglio del modello di concordanza Lambda-Cdm spazialmente piatto», ricorda infatti a Media Inaf uno degli scienziati della collaborazione Planck, Fabio Finelli, ricercatore all’Inaf di Bologna al quale abbiamo chiesto un commento allo studio di Di Valentino, Melchiorri e Silk. «Ma una volta considerata anche un’ulteriore informazione fondamentale dai dati di Planck, ovvero lo spettro della deflessione gravitazionale (lensing) dei fotoni del Cmb, o l’informazione geometrica derivante dalle oscillazioni barioniche nei cataloghi di galassie, lo spazio per una curvatura positiva si riduce sensibilmente».

«Di Valentino, Melchiorri e Silk presentano una nuova e più estesa analisi di questi aspetti», continua Finelli, «e inoltre quantificano come un modello Lambda-Cdm con curvatura spaziale positiva non offra soluzioni alla discrepanza nelle stime della costante di Hubble dalla Cmb e quella determinata dalle supernove Ia. Sebbene l’universo chiuso suggerito dallo spettro di potenza delle anisotropie in temperatura e polarizzazione di Planck non sembri passare ulteriori test, la qualità e la quantità dei dati cosmologici attuali sono sufficienti per sondare ipotesi di nuova fisica oltre il modello Lambda–Cdm anche più complesse».

Eleonora Di Valentino, prima autrice dello studio pubblicato su Nature Astronomy. Fonte: Nature Research Blogs

Ma qual è questa “nuova fisica” che potrebbe prospettarsi, se davvero la cosmologia attuale entrasse in crisi, come suggerisce il titolo dell’articolo di Nature Astronomy? Abbiamo chiesto alla prima autrice dello studio, Eleonora Di Valentino, di farci qualche esempio. «Se escludiamo possibili effetti sistematici, è difficile al momento capire come risolvere il puzzle. Potremmo cambiare il modello inflazionario, dato che si presenta una curvatura», spiega a Media Inaf la scienziata. «Oppure potremmo cambiare la costante cosmologica con un’energia oscura dinamica, dato che il problema con la costante di Hubble persiste. Infine, potremmo anche cambiare le ipotesi sulla dark matter supponendo una sua interazione, dato il lensing maggiore. Oppure tutte le cose insieme. Sono chiaramente necessari più dati per capire meglio in che direzione andare».

Per saperne di più:


☀️ Il Transito di Mercurio sul Sole ☀️

Tutti i dettagli per l’osservazione del transito e tante curiosità ed enigmi sul piccolo pianeta. 50 anni fa: Apollo 12, la conferma. Ritratto di Annibale De Gasparis a 200 anni dalla nascita.

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TNG50. L’ordine che emerge dal caos

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Nella foto grande, la simulazione della Via Lattea. Nelle immagini piccole, la simulazione di galassie a disco in luce visibile, per ogni immagine di faccia è mostrata la rispettiva immagine di taglio. In TNG50 è possibile infatti vedere la simulazione scorrere sia in falsi colori, per evidenziare caratteristiche fisiche, sia in luce visibile, per confrontarla con quello che potremmo vedere. © D. Nelson (MPA) and the Illustris TNG team

Un team formato da ricercatori tedeschi del Max Planck Institute e americani della Harvard University, del MIT, e del Center for Computational Astrophysics, hanno svelato i risultati di una nuova simulazione che segna lo stato dell’arte ad oggi delle simulazioni di evoluzione galattica e non solo. Si tratta anche della più dettagliata simulazione cosmologica su larga scala e, proprio questa dualità, è la principale caratteristica che la distingue da qualsiasi altra simulazione ottenuta finora.

Fino ad oggi, infatti, i cosmologi sapevano di dover accettare un fondamentale compromesso. Avendo a disposizione una potenza di calcolo finita, le simulazioni hanno sempre dovuto privilegiare uno dei due aspetti fondamentali che interessano questi studi: il dettaglio dell’evoluzione di una singola galassia o la visione cosmologica di insieme, nello spazio e nel tempo. Non è mai stato possibile avere entrambe le cose contemporaneamente nella stessa simulazione.

Illustris TNG50, così si chiama questa nuova simulazione, ha combinato per la prima volta l’idea di una simulazione ad ampia scala (il cosiddetto Universo in una scatola, Universe in a Box) con la risoluzione, come in uno zoom, della formazione di una singola galassia. In un cubo di spazio di 230 milioni di anni luce di lato, TNG50 è in grado di mostrare i fenomeni fisici che si verificano su una scala un milione di volte più piccola, tracciando l’evoluzione simultanea di migliaia di galassie su 13,8 miliardi di anni di storia cosmica! Decisamente impressionante…

Nella foto grande, la simulazione della Via Lattea. Nelle immagini piccole, la simulazione di galassie a disco in luce visibile, per ogni immagine di faccia è mostrata la rispettiva immagine di taglio. In TNG50 è possibile infatti vedere la simulazione scorrere sia in falsi colori, per evidenziare caratteristiche fisiche, sia in luce visibile, per confrontarla con quello che potremmo vedere. © D. Nelson (MPA) and the Illustris TNG team

Una simulazione di questo tipo permette quindi ai ricercatori di studiare in dettaglio come le galassie si formano e come si sono evolute da poco dopo il Big Bang a oggi, e riesce a farlo utilizzando oltre 20 miliardi di particelle che rappresentano materia oscura, stelle, gas cosmico, campi magnetici e buchi neri supermassicci.

Per eseguire un calcolo simile sono stati necessari 16.000 processori riuniti nel supercomputer Hazel Hen a Stoccarda, che hanno lavorato assieme, 24 ore su 24, 7 giorni su 7, per più di un anno – l’equivalente di quindicimila anni per singolo processore – e i primi risultati scientifici non si sono fatti attendere.

Due studi, usciti da poco su MNRAS, hanno mostrato dei fenomeni fisici che non erano stati previsti nelle informazioni utilizzate per dare vita alla simulazione. Spiega Dylan Nelson (del Max Planck Institute for Astrophysics, a Garching) a capo dei due studi: «Esperimenti numerici di questo tipo hanno particolarmente successo quando ne esce più di quanto sia stato inserito. Nella nostra simulazione, abbiamo osservato fenomeni che non erano stati programmati esplicitamente. Questi fenomeni sono emersi in modo naturale, dalla complessa interazione degli ingredienti della fisica di base del nostro modello di universo».

Due esempi importanti di questo tipo di risultato sono stati il vedere formarsi, poco dopo il Big Bang, galassie a disco come la nostra Via Lattea, e in seguito il vedersi formare dei getti di gas ad alta velocità perpendicolari ai dischi galattici in formazione, ricadere poi verso il centro per alimentare il disco stesso, in una sorta di grande fontana cosmica al centro di una giostra di giovani stelle.

Annalisa Pillepich, del Max Planck Institute for Astronomy di Heidelberg, coautrice dei due studi, spiega: «In pratica, TNG50 mostra che la nostra galassia, la Via Lattea, con il suo sottile disco è al culmine della moda delle galassie: nell’arco degli ultimi 10 miliardi di anni, quelle galassie che stanno ancora formando nuove stelle, sono diventate sempre più simili a dischi e i loro caotici movimenti interni sono diminuiti considerevolmente. L’universo era molto più disordinato quando aveva solo qualche miliardo di anni!».

Deflussi di gas dalla galassia escono dal centro per ricadere ai lati come una immensa fontana galattica. Dall'alto, per ogni colonna, un diverso fotogramma nell'arco di 370 milioni di anni di evoluzione cosmica. Da sinistra a destra, le colonne in falsi colori mostrano la velocità dei gas, la temperatura, la densità e gli elementi pesanti contenuti nella galassia in formazione. La galassia di per sé è densa e fredda, e la vediamo con il disco sottile di giovani stelle in verticale nelle immagini (in blu in seconda colonna per la temperatura, in giallo nella terza per la densità). © D. Nelson (MPA) and the Illustris TNG team

Man mano che la loro forma si appiattisce, e le stelle in formazione si dispongono in orbite circolari come in una giostra, ecco emergere dai dischi flussi di gas ad alta velocità, accelerati da fenomeni di supernova e dall’attività di buchi neri supermassicci centrali. Si vedono fussi gassosi inizialmente caotici che vagano in tutte le direzioni che man mano convogliano all’interno di due volumi conici, che emergono dalla galassia in direzioni opposte. Allontanandosi dal pozzo gravitazionale verso l’alone di materia oscura, perdono velocità e ricadono verso la galassia andando a disporsi lungo la periferia del disco come in una fontana. In questo modo accelerano la formazione e l’evoluzione della galassia stessa alimentando la nascita di altre giovani stelle, che vanno a disporsi in una forma sempre più appiattita di un sottile disco.

TNG50 ha rivelato quindi per la prima volta come la geometria dei gas cosmici determinino la struttura delle galassie e di come a loro volta le galassie in formazione abbiano condizionato il fluire del caotico gas cosmico primordiale dandogli una forma sempre più ordinata.

Come accaduto per le precedenti simulazioni, anche i dati di TNG50 diverranno pubblici, per essere condivisi con l’intera comunità astronomica oltre che con il pubblico, in modo da essere utilizzati per ulteriori studi e magari scoprire altri nuovi fenomeni cosmici non previsti, di ordine che emerge dal caos.


☀️ Il Transito di Mercurio sul Sole ☀️

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UAI Unione Astrofili Italiani

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Le campagne nazionali UAI

11 novembre Transito di Mercurio

Il pianeta Mercurio transita davanti al disco solare: un evento molto suggestivo e raro (prossimo evento il 13 novembre 2032). Inizio fenomeno in Italia ore 13.35, centralità ore 16.20.

Da seguire con estrema precauzione per evitare danni permanenti alla vista osservando il Sole.

http://www.uai.it/divulgazione/

Accademia delle Stelle

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2019-11 Coelum AdS

2019-11 Coelum AdS

Scuola di Astronomia
Dal 22 al 24 novembre presso il Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia (Roma), erogata dalla UAI, riconosciuta dal MIUR come corso di aggiornamento per docenti, è aperta a tutti gli appassionati e i cultori della materia. Info e prenotazioni: http://www.uai.it/archeoastronomia

I corsi presso la nostra sede all’EUR:
Tutti i lunedì: L’astronomia sorprendente.
Conferenze su curiosità e aneddoti poco noti e raramente divulgati al pubblico, scoprendo gli aspetti più insoliti e curiosi del cielo e della scienza che lo studia.

Tutti i giovedì: Corso base di astronomia pratica
Per imparare tutte le competenze che servono per diventare astrofili! Con guida alla scelta del telescopio, tecniche osservative e fotografiche e lezioni pratiche sotto le stelle.

Per info:

https://www.facebook.com/AccademiaStelle/

https://accademiadellestelle.org/

Igea, il pianeta nano più piccolo del Sistema Solare

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Una nuova immagine di Igea, forse il più piccolo pianeta nano del Sistema Solare, ottenuta con SPHERE/VLT. Come oggetto appartenente alla fascia principale degli asteroidi, Igea soddisfa immediatamente tre dei quattro requisiti per essere classificato come pianeta nano: orbita intorno al Sole, non è una luna e, a differenza di un pianeta, non ha ripulito la propria orbita. Il requisito finale è che abbia una massa sufficiente affinchè la sua stessa gravità lo renda di forma approssimativamente sferica. Questo è ciò che le osservazioni VLT hanno ora rivelato a proposito di Igea. Crediti: ESO/P. Vernazza et al./MISTRAL algorithm (ONERA/CNRS)
Una nuova immagine di Igea, che potrebbe diventare il più piccolo pianeta nano del Sistema Solare, ottenuta con SPHERE/VLT. Come oggetto appartenente alla fascia principale degli asteroidi, Igea soddisfa immediatamente tre dei quattro requisiti per essere classificato come pianeta nano: orbita intorno al Sole, non è una luna e, a differenza di un pianeta, non ha ripulito la propria orbita. Il requisito finale è che abbia una massa sufficiente affinchè la sua stessa gravità lo renda di forma approssimativamente sferica. Questo è ciò che le osservazioni VLT hanno ora rivelato a proposito di Igea. Crediti: ESO/P. Vernazza et al./MISTRAL algorithm (ONERA/CNRS)

Igea è il quarto per dimensione nella fascia degli asteroidi, dopo Cerere, Vesta e Pallade. Per la prima volta, grazie allo strumento SPHERE dell’ESO installato sul VLT (Very Large Telescope), gli astronomi hanno osservato Igea con una risoluzione sufficientemente elevata da studiarne la superficie e determinarne la forma e le dimensioni. Hanno scoperto che Igea è sferico, e potrebbe rubare a Cerere la corona di più piccolo pianeta nano nel Sistema Solare.

Come oggetto appartenente alla fascia principale degli asteroidi, Igea infatti soddisfa immediatamente tre dei quattro requisiti per essere classificato come pianeta nano: orbita intorno al Sole, non è una luna e, a differenza di un pianeta, non ha ripulito la propria orbita.

Igea viene scoperto il 12 aprile 1849, dall'osservatorio di Capodimonte a Napoli, da Annibale De Gasparis, di cui ricorre il bicentenario della nascita proprio in questi giorni. Su Coelum astronomia di questo mese quindi un ritratto dell'astronomo e matematico italiano che ha portato l'Italia ai vertici della ricerca di corpi minori del Sistema Solare. Clicca sull'immagine per leggere l'articolo, in formato digitale e gratuito.
Il requisito finale è che abbia una massa sufficiente affinchè la sua stessa gravità lo renda di forma approssimativamente sferica, e questo è ciò che le osservazioni VLT hanno ora rivelato a proposito di Igea.

«Grazie alle capacità uniche dello strumento SPHERE sul VLT, uno dei sistemi più potenti al mondo per produrre immagini, siamo riusciti a risolvere la forma di Igea, che risulta essere quasi sferica», afferma Pierre Vernazza del Laboratoire d’Astrophysique de Marsiglia in Francia, il ricercatore a capo di questo progetto. «Grazie a queste immagini, Igea può essere riclassificata come pianeta nano, finora il più piccolo nel Sistema Solare».

L’equipe ha anche utilizzato le osservazioni di SPHERE per stimare le dimensioni di Igea, ponendo il suo diametro a poco più di 430 km. Plutone, il più famoso dei pianeti nani, ha un diametro di circa 2400 km, mentre Cerere raggiunge circa i 950 km. Sorprendentemente, le osservazioni hanno anche rivelato che su Igea non c’è il grande cratere da impatto che gli scienziati si aspettavano di vedere sulla superficie, come descritto nel lavoro pubblicato oggi su Nature Astronomy.

Igea è il membro principale di una delle più grandi famiglie di asteroidi, con quasi 7000 membri tutti originati dallo stesso corpo. Gli astronomi si aspettavano che l’evento che ha portato alla formazione di questa numerosa famiglia avesse lasciato un segno ampio e profondo su Igea. «Questo risultato è stato una vera sorpresa, dal momento che ci aspettavamo la presenza di un grande bacino di impatto, come nel caso di Vesta», afferma Vernazza.

Le nuove osservazioni hanno rivelato che su Igea non c'è il grande cratere da impatto che gli scienziati si aspettavano di vedere sulla superficie, simile a quello che si vede su Vesta (in basso a destra nel pannello centrale). L'equipe ha usato le osservazioni di SPHERE per stimare le dimensioni di Igea, ponendo il suo diametro a poco più di 430 km, mentre Cerere raggiunge circa i 950 km. Crediti: ESO/P. Vernazza et al., L. Jorda et al./MISTRAL algorithm (ONERA/CNRS)

Sebbene gli astronomi abbiano osservato più del 95% della superficie di Igea, sono stati in grado di identificare senza ambiguità solo due crateri. «Nessuno di questi due crateri avrebbe potuto essere causato dall’impatto che ha originato la famiglia di asteroidi Igea, il cui volume è paragonabile a quello di un oggetto delle dimensioni di 100 km. Sono troppo piccoli», spiega il coautore dello studio Miroslav Brož dell’Istituto Astronomico dell’Università Carolina di Praga, Repubblica Ceca.

L’equipe ha deciso di indagare ulteriormente. Usando simulazioni numeriche, hanno dedotto che la forma sferica di Igea e la grande famiglia di asteroidi sono probabilmente il risultato di una collisione frontale con un grande proiettile di diametro tra 75 e 150 km. Le simulazioni mostrano che questo impatto violento, che si pensa sia avvenuto circa 2 miliardi di anni fa, ha completamente distrutto il corpo originario. Una volta riassemblati i pezzi rimasti, Igea assume la sua forma tonda e si sono formati migliaia di asteroidi compagni. «Una tale collisione tra due grandi corpi nella cintura degli asteroidi è unica negli ultimi 3-4 miliardi di anni», afferma Pavel Ševeček, uno studente di dottorato presso l’Istituto Astronomico dell’Università Carolinache ha partecipato allo studio. Lo studio dettagliato degli asteroidi è stato possibile grazie non solo ai progressi nel calcolo numerico, ma anche a telescopi più potenti.

«Grazie al VLT e allo strumento di ottica adattiva di nuova generazione SPHERE, stiamo ora producendo mappe degli asteroidi della cintura principale con una risoluzione senza precedenti, colmando il divario tra osservazioni da terra e missioni interplanetarie», conclude Vernazza.


☀️ Il Transito di Mercurio sul Sole ☀️

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Scoperto un buco nero ultra-leggero

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È un buco nero insolito, quello scoperto in un sistema binario in compagnia di una gigante rossa e appena annunciato sulle pagine di Science da un team guidato da Todd Thompson della Ohio State University. Insolito per due motivi: per il modo in cui è stato individuato e per la sua massa.

Partiamo dall’individuazione. È uno dei due membri di in un sistema binario, dicevamo, e fin qui nulla di strano, anzi: è proprio l’esistenza di un “compagno” a tradire la presenza di un buco nero stellare. Di solito, però, a segnalare che c’è un buco nero è in questi casi l’emissione di raggi X prodotti dall’interazione con l’altro membro della coppia, e in particolare dal processo di accrescimento di quest’ultimo a danno della stella compagna, che gli cede materia. Quello scoperto da Thompson e colleghi è invece un sistema binario non interagente: vale a dire che non c’è scambio di materia fra i due membri, e l’unica “lingua” nella quale i due membri della coppia comunicano è quella della gravità.

In altre parole, a tradirlo è stato il modo in cui danza la sua compagna, la gigante rossa 2Mass J05215658+4359220. Thompson e colleghi se ne sono accorti esaminando i dati di Apogee (Apache Point Observatory Galactic Evolution Experiment), che ha raccolto spettri luminosi da circa 100mila stelle della Via Lattea. Dati analizzati proprio in cerca di tracce che potessero indicare se una stella sta orbitando attorno a un altro oggetto: cambiamenti periodici nello spettro di una stella – uno spostamento verso le lunghezze d’onda più blu, ad esempio, seguito da uno spostamento verso le lunghezze d’onda più rosse – possono infatti essere la conseguenza del suo orbitare attorno a un compagno invisibile.

È così che è stata individuata la gigante rossa. Non solo: la tecnica sopra descritta, oltre a smascherare la coppia, consente anche di stabilire a che velocità piroettano i due ballerini e – udite udite – quanto “pesano”. Per quel che riguarda la velocità, i dati indicano un periodo orbitale di circa 83 giorni. Ma la vera sorpresa è arrivata con la massa. Facendo qualche calcolo è stato possibile stimare che il “compagno invisibile” – il buco nero – si aggira attorno alle 3.3 masse solari. Con un margine di errore ragguardevole, occorre dire: l’intervallo possibile va da 2.6 a 6.1 masse solari. Ma comunque sorprendente: un buco nero così piccolo non si era mai visto.

Sempre che di buco nero si tratti. Una possibilità, infatti, è che possa essere un’enorme stella di neutroni, la cui massa tipica è però di 2.1 masse solari, e oltre le 2.5 dovrebbe collassare, appunto, in un buco nero. D’altronde, le masse dei buchi neri stellari noti stanno fra le 5 le 15 masse solari – con la notevole eccezione di quelli, assai più massicci, rivelati all’atto della fusione dagli interferometri di onde gravitazionali. Comunque sia, è un oggetto che abita una zona di confine ancora tutta da esplorare. E ora gli astronomi sanno come stanarne altri.

«Quello che abbiamo fatto è stato escogitare un nuovo modo di cercare i buchi neri. Ma così facendo abbiamo anche identificato quello che è potenzialmente uno dei primi esemplari di una nuova classe di buchi neri di piccola massa dei quali gli astronomi non sapevano nulla. E le masse degli oggetti», osserva Thompson, «ci raccontano della loro formazione ed evoluzione, e ci raccontano della loro natura».

Per saperne di più:


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11 novembre. Transito di Mercurio sul Sole

Il transito di Mercurio sul Sole come osservato dalla sonda SOHO per lo studio del Sole l’8 novembre 2006. Crediti: NASA/SOHO

Il prossimo 11 novembre potremo assistere a un fenomeno astronomico molto particolare e piuttosto raro: il transito di Mercurio sul Sole. Potremo quindi osservare il piccolo pianeta mentre attraversa il disco solare.

Si tratta ovviamente di un fenomeno prospettico che, per certi versi, è simile a un’eclisse di Sole. Normalmente siamo abituati a vedere la Luna eclissare la nostra stella, passandogli prospetticamente davanti e producendo l’affascinante fenomeno, ma, allo stesso modo, anche Mercurio e Venere (unici pianeti interni all’orbita terrestre) possono causare un’eclisse.

Nel caso di questi due pianeti, tuttavia, si parla di “transito”, dato che le dimensioni dei due pianeti sono ben inferiori a quelle del Sole e tali da non riuscire a oscurare il nostro astro.

Ovviamente, considerata ancora una volta la minuta dimensione di Mercurio (1/194 del diametro apparente del Sole), sarà necessario dotarsi di uno strumento ottico per osservare il raro passaggio: per vederlo comodamente basterà un binocolo o, molto meglio, un telescopio, anche a ingrandimenti non spinti (anche 50x vanno bene), purché dotati degli opportuni e indispensabili filtri solari per schermare le pericolose radiazioni del Sole, in grado di danneggiare in modo irreparabile la nostra vista.

Attenzione quindi: non osservare mai il Sole senza le adeguate protezioni! È sufficiente un attimo di disattenzione per provocare danni molto gravi e irreversibili agli occhi.

Qui sotto gli orari per le principali località

All’interno del numero poi, numerosi consigli, spunti e dettagli per l’osservazione, la ripresa e per saperne di più sul fenomeno e sul piccolo pianeta del Sistema Solare.

Come vedrò Mercurio? Cosa sarà possibile vedere? Che cos’è la “goccia nera”? Come funzionano i transiti di Mercurio? Ogni quanto possiamo osservarli?

Consigli per la ripresa del transito

Il transito visto dall’astronomia professionale

Dallo speciale dedicato al transito del 2016

Il primo transito osservato, un  curioso articolo sulla Storia dell’astronomia vista da Mercurio in transito e la Strumentazione per osservare l’evento.

Le effemeridi di Sole e Pianeti le trovi sul Cielo di Novembre 2019

E ancora, su Coelum astronomia 238

➜ Mercurio e l’enigma degli hollow di Alice Lucchetti

➜ Mercurio: il pianeta più vicino (o il più lontano?) di Aldo Vitagliano

➜ Mercurio nella letteratura di fantascienza di Marco Sergio Erculiani


Tutti consigli per l’osservazione del Cielo di Novembre su Coelum Astronomia 238

Leggilo subito qui sotto online, è gratuito!

 

Unione Astrofili Senesi

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L’OAPM apre gratuitamente al pubblico per l’osservazione del cielo notturno il 2° e 4° venerdì del mese. In caso di tempo incerto telefonare per conferma al numero 3472874176 o 3482650891.

08.11 e 22.11, ore 21:30: Il cielo al castello di Montarrenti. L’Osservatorio Astronomico di Montarrenti (SI) sarà aperto al pubblico per delle serate osservative, con particolare attenzione alla Luna (principalmente il giorno 8), agli ammassi stellari e ai vari oggetti del profondo cielo, come la Nebulosa di Orione che caratterizzerà il cielo per quasi tutto il periodo autunno-inverno. Prenotazione obbligatoria sul sito o inviando un messaggio WhatsApp al 3472874176 (Patrizio) oppure un sms al 3482650891 (Giorgio). In caso di tempo incerto telefonare per conferma.

Seguiteci su www.astrofilisenesi.it e sulla nostra pagina facebook Unione Astrofili Senesi

Sapori d’Autunno al GAL Hassin

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SaporiDAutunno

Sabato 9 e domenica 10 novembre 2019 il GAL Hassin farà attività secondo i seguenti orari:

Ore 10.00 – 12.00, 15.00 – 17.00, 17.00 – 19.00

Attività in Planetario: Sistema Solare, la nostra Galassia e le sue vicine di casa, viaggi interstellari, materia oscura, buchi neri supermassicci, esplorazione spaziale. Con proiezione di video full dome

Visita del Parco dello Spazio e del Tempo e della strumentazione telescopica / Visita al Museo delle Meteoriti e delle rocce terrestri.

Vi aspettiamo!

Per biglietti e prenotazioni: tel. 0921 662890 – 329 8452944 (telefonare da martedì a venerdì ore 10,00 – 12,00)
email: info@galhassin.it
www.galhassin.it

SaporiDAutunno

Astronomiamo

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Loc_CoelumNovembre2019

Loc_CoelumNovembre2019
09.11, ore 10:30: La Missione Rosetta con Andrea Accomazzo e Stefano Capretti. Presso Università Ca’ Foscari di Venezia.
Per il programma completo e per ulteriori informazioni, fare riferimento alla locandina a fondo pagina e al seguente link: https://www.astronomiamo.it/DivulgazioneAstronomica/Informazioni-Evento-Astronomia/La%20mia%20Luna

dal 22.11: Corso di astronomia a Roma, presso CASC Banca Italia

Per tutte le informazioni:
www.astronomiamo.it
LaMiaLuna

Il Cielo di Novembre 2019

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La cartina mostra l’aspetto del cielo alle ore (TMEC): 1 Nov > 23:00; 15 Nov > 22:00; 30 Nov > 21:00. Crediti Coelum Astronomia CC-BY

EFFEMERIDI (apr.-ott. 2019 – TU+2)

Luna

Sole e Pianeti

Verso la mezzanotte, il cielo sarà già dominato dall’inconfondibile figura del cacciatore celeste Orione, accompagnato dal Toro, con le splendide Pleiadi e l’ammasso delle Iadi in cui troneggia la fiammante Aldebaran. Seguono i Gemelli e il Cane Maggiore, con la brillantissima Sirio. Più in basso, il meridiano sarà attraversato dall’estesa ma debole costellazione dell’Eridano. Il Cigno, in cui spicca Deneb, e il grande quadrato di Pegaso saranno al tramonto sull’orizzonte ovest, mentre dalla parte opposta del cielo starà sorgendo l’imponente sagoma del Leone, con la brillante Regolo.

➜ Il Cielo di novembre con la UAI che questo mese ci porta tra i veli dell’Auriga

➜ Stefano Schirinzi ci porta invece nella terza parte del suo viaggio nella costellazione del Delfino

IL SOLE

All’inizio di novembre il Sole si troverà ancora entro i confini della costellazione della Bilancia e solo il giorno 23 entrerà nello Scorpione, costellazione in cui non si “fermerà” per un mese intero, ma solo per pochi giorni. L’eclittica, infatti, passa nella parte alta dello Scorpione, attraversandola solo per un breve tratto, così che il giorno 30 il Sole sarà già nella costellazione dell’Ofiuco.

➜ Continua a leggere, sempre gratuitamente, sul Cielo di Novembre all’interno del nuovo numero.

COSA OFFRE IL CIELO

Questo mese segnaliamo, entro la prima decade del mese, le ultime occasioni per riprendere un Iridium Flare dal’Italia! Di cui vi abbiamo parlato un paio di settimane fa, ma il principale evento tutto da osservare è il:

Transito di Mercurio sul Sole

Il prossimo 11 novembre potremo quindi osservare il piccolo pianeta mentre attraversa il disco solare. Si tratta ovviamente di un fenomeno prospettico che, per certi versi, è simile a un’eclisse di Sole, tuttavia si parla di “transito” dato che le dimensioni del pianeta sono ben inferiori a quelle del Sole (1/194 del diametro apparente del Sole) tali da non riuscire a oscurare il nostro astro. Per questo motivo la luminosità del Sole non subirà nessun calo percettibile al nostro occhio, sarà quindi necessario dotarsi di uno strumento ottico per osservare il raro passaggio: per vederlo comodamente basterà un binocolo o, molto meglio, un telescopio, anche a ingrandimenti non spinti (anche 50x vanno bene), purché dotati degli opportuni e indispensabili filtri solari per schermare le pericolose radiazioni del Sole, in grado di danneggiare in modo irreparabile la nostra vista e la nostra strumentazione.

Attenzione quindi: non osservare mai il Sole senza le adeguate protezioni! È sufficiente un attimo di disattenzione per provocare danni molto gravi e irreversibili agli occhi.

Per l’occasione abbiamo pubblicato in questo numero numerosi articoli dedicati al transito e a Mercurio, oltre ad avere sempre anche il materiale pubblicato in occasione dello scorso transito del 2016.

A questo proposito attenzione, sembrerà un evento non così raro, se è accaduto solo 3 anni fa, ma è stata un’eccezione… perché la prossima volta che accadrà sarà solo nel 2032!! (… e potrebbe piovere!) Questa dell’11 novembre è quindi un’occasione da non perdere, sperando sempre in cieli sereni.

E allora, per l’osservazione e la ripresa del fenomeno:

Il Transito di Mercurio sul Sole: Informazioni per l’osservazione di Gabriele Marini

Uno scatto al mese: Riprendiamo il Transito di Mercurio davanti al Sole di Giorgia Hofer

Dal punto di vista dell’astronomia professionale:

Idee brillanti per Mercurio in transito di Luca Zangrilli

Curiosità e scienza su Mercurio:

Mercurio e l’enigma degli hollow di Alice Lucchetti

Mercurio: il pianeta più vicino (o il più lontano?) di Aldo Vitagliano

Mercurio nella letteratura di fantascienza di Marco Sergio Erculiani

➜ Leggi anche lo Speciale sul Transito di Mercurio del 9 maggio 2016 su Coelum Astronomia 199

Approfondisci le condizioni dei pianeti e dei pianeti nani, dei principali asteroidi in opposizione (questo mese il protagonista è 4 Vesta), nelle sezioni dedicate del Cielo di novembre, oltre alle cartine e ai dettagli delle principali congiunzioni del mese.

Come sempre tutti i consigli per l’osservazione del cielo li trovate sul Cielo di Novembre 2019, su Coelum Astronomia.

Hai compiuto un’osservazione? Condividi le tue impressioni, mandaci i tuoi report osservativi o un breve commento sui fenomeni osservati: puoi scriverci a segreteria@coelum.com. E se hai scattato qualche fotografia agli eventi segnalati, carica le tue foto in PhotoCoelum!

Tutti consigli per l’osservazione del Cielo di Novembre su Coelum Astronomia 238

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La Luna di Ottobre e una guida all’osservazione del margine settentrionale del Mare Imbrium

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Le fasi della Luna in novembre, calcolate per le ore 00:00 in TMEC. La visione è diritta (Nord in alto, Est dell’osservatore a sinistra). Nella tavola sono riportate anche le massime librazioni topocentriche del mese, con il circoletto azzurro che indica la regione del bordo più favorita dalla librazione.
Una sottilissima falce di Luna crescente ripresa il 29 settembre sera da Anna Maria Catalano e Franco Traviglia (per i dettagli di ripresa cliccare sull’immagine). Per quanto riguarda le falci di Luna, questo mese si parte subito dal 1 ottobre, per poi passare alla fine del mese, tra il 26 e il 27 ottobre.
Le fasi della Luna in novembre, calcolate per le ore 00:00 in TMEC. La visione è diritta (Nord in alto, Est dell’osservatore a sinistra). Nella tavola sono riportate anche le massime librazioni topocentriche del mese, con il circoletto azzurro che indica la regione del bordo più favorita dalla librazione.

Il nostro satellite si troverà in fase di Primo Quarto alle 11:23 del 4 novembre. La fase Crescente culminerà alle 14:34 del 12 novembre col Plenilunio a –22°, per un’approfondita osservazione del disco lunare completamente illuminato dal Sole basterà attendere la medesima serata quando alle 17:14, contestualmente al tramonto della nostra stella, sorgerà la Luna Piena per poi dedicarci alle innumerevoli strutture lunari che avremo la possibilità di scandagliare in un’insolita condizione di illuminazione solare, ma questo potrà eventualmente costituire un argomento da affrontare in uno dei prossimi numeri di Coelum Astronomia.

Continua, con maggiori dettagli in la Luna di novembre su Coelum Astronomia 238

Falci di Luna

Anche questo mese, troviamo consigli per l’osservazione delle formazioni lunari anche nella pagina dedicata alle Falci di Luna, del Cielo di Novembre. Si dovrà però aspettare l’ultima decade del mese, nei 3/4 giorni prima e dopo la Luna Nuova del 26 novembre. In particolare il 24 novembre la sottile falce sarà accompagnata da Marte e Mercurio… doppia occasione per osservarne le formazioni al telescopio, ma anche godersi lo spettacolo a occhio nudo!

➜ Continua nel Cielo del Mese su Coelum Astronomia 238

A novembre osserviamo

Librazioni del mese

Questo mese una formula diversa, andremo a caccia di librazioni, quelle anomalie nella rotazione lunare che fanno si che la Luna non mostri proprio sempre la stessa faccia, ma si “dondoli” un po’, mostrandoci piccoli spiragli della sua superficie oltre il contorno della faccia visibile, che altrimenti non potremmo vedere. Questo movimento è più o meno accentuato nell’arco del mese (normalmente vi segnaliamo la massima librazione, che mostra più superficie della faccia nascosta), e quindi più o meno ampio è lo sguardo che possiamo dare oltre il bordo, ma può essere comunque interessante.

Si parte allora tra l’1 e il 5 novembre, con le Librazioni interesseranno le aree situate lungo il bordo nord orientale del nostro satellite. L’osservazione verrà indubbiamente facilitata dalla Luna in fase crescente, visibile pertanto dal tardo pomeriggio intorno alle 17:30 circa fino al suo tramonto previsto in prima serata a inizio mese (20:30) e poco dopo la mezzanotte fra il 5 e il 6 novembre.

Sulla rivista trovate inidcate giorno per giorno le formazioni che la librazione ci permetterà di osservare. Consultate sempre le passate puntate della rubrica, perché alcune di queste formazioni sono già state già trattate anche in dettaglio. Fateci sapere se vi piace!

➜ Continua su la Luna di ottobre 2019

 

dal 1 e 2 novembre la regione lunare fra Crisium e Tranquillitatis, da Newcomb a Webb

Questo mese si inizia subito con la principale proposta fissata per la serata del 1 novembre con la Luna in fase di 4,5 giorni. Nel caso specifico il tempo a disposizione per effettuare osservazioni visuali ed eventuale acquisizione di immagini si protrarrà al massimo fino alle 20:30 circa, quando il nostro satellite scenderà sotto l’orizzonte. Si tratta di un tempo comunque più che sufficiente ma con la condizione di poter operare con un orizzonte ovest-sudovest libero da ostacoli, oltre al fatto che la turbolenza potrebbe rivelarsi ancora più deleteria considerata la bassa declinazione della Luna.

Si ricorda che la visibilità delle varie strutture superficiali sarà in stretta relazione col progressivo avanzamento della linea del terminatore sul suolo lunare da oriente verso occidente, pertanto se ne consiglia l’osservazione possibilmente anche nella successiva serata del 2 novembre quando la Luna sarà in fase di 5.5 giorni, con un’ora in più a disposizione andando a tramontare alle 21:31.

In questo caso la luce del Sole avrà già iniziato a illuminare territori ancora più a ovest fino al margine orientale dei mari Serenitatis e Tranquillitatis.

➜ Leggi la Guida all’osservazione della regione lunare fra Crisium e Tranquillitatis, da Newcomb a Webb

Per la ripresa della Luna nel contesto del paesaggio ricordiamo sempre le rubriche di Giorgia Hofer:

Crediti: Giorgia Hofer

La Luna immersa nei colori pastello per riprese da favola!
➜ Fotografiamo le sottili Falci di Luna
➜ Fotografare la Luna
La Luna illumina la notte
Fotografiamo il paesaggio illuminato dalla Luna Piena

Se la fotografia non basta, Gian Paolo Graziato ci ha raccontato come dipingere dei rigorosi paesaggi lunari, nei più piccoli dettagli… per poi lasciarsi andare alla fantasia e all’imaginazione!

➜  La Luna mi va a pennello.

E se le proposte fatte non vi bastano, non dimenticate tutte le precedenti rubriche di Francesco Badalotti, con tantissimi spunti per approfondire la conoscenza del nostro satellite naturale. Per ogni formazione basta attendere il momento giusto!


Tutti consigli per l’osservazione del Cielo di Novembre su Coelum Astronomia 238

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“MarSEC” Marana space explorer center

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Ogni ultimo sabato del mese sarà presente un ospite per varie conferenze

01.11: Anteprima “Phantom of the Universe” e Osservazione al telescopio. Attività riservata ai soli soci
30.11, ore 19:00: “A Cena con Le Stelle”. Cena a tema presso il Ristorante Campana (Ospite: Simone Zaggia dell’INAF)

Durante tutto il mese, presso l’Osservatorio e Planetario di Marana saranno proiettati i film: “The Hot and Energetic Universe” (di ESO), “Moon 2019” (di 3Des), “From Earth to Universe” (di ESO), “Two small pieces of Glass” (di ESO). Per le date e gli orari consultare il programma alla pagina https://www.marsec.org/prenotazioni-ed-eventi/

Per informazioni: https://www.marsec.org – segreteria@marsec.org

Unione Astrofili Senesi

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L’OAPM apre gratuitamente al pubblico per l’osservazione del cielo notturno il 2° e 4° venerdì del mese. In caso di tempo incerto telefonare per conferma al numero 3472874176 o 3482650891.

02.11, ore 21.30: Il cielo autunnale. Appuntamento presso Porta Laterina a Siena da dove raggiungeremo a piedi la specola ”Palmiero Capannoli” per osservare il cielo del periodo. Al centro dell’attenzione nebulose, ammassi stellari e stelle doppie. Prenotazione obbligatoria sul sito o tramite Davide Scutumella 3388861549. In caso di tempo incerto telefonare per conferma.

08.11 e 22.11, ore 21:30: Il cielo al castello di Montarrenti. L’Osservatorio Astronomico di Montarrenti (SI) sarà aperto al pubblico per delle serate osservative, con particolare attenzione alla Luna (principalmente il giorno 8), agli ammassi stellari e ai vari oggetti del profondo cielo, come la Nebulosa di Orione che caratterizzerà il cielo per quasi tutto il periodo autunno-inverno. Prenotazione obbligatoria sul sito o inviando un messaggio WhatsApp al 3472874176 (Patrizio) oppure un sms al 3482650891 (Giorgio). In caso di tempo incerto telefonare per conferma.

Seguiteci su www.astrofilisenesi.it e sulla nostra pagina facebook Unione Astrofili Senesi

Festival della scienza di Genova

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Il Festival della Scienza rinnova l’appuntamento a Genova dal 24 ottobre al 4 novembre 2019. Dodici giorni di conferenze, laboratori, mostre, spettacoli ed eventi speciali dedicati a visitatori di ogni fascia d’età e livello di conoscenza. La parola chiave dell’edizione 2019 sarà elementi.

Al Festival celebreremo i 50 anni dello sbarco sulla Luna, gettando uno sguardo sul futuro delle esplorazioni spaziali, e i 150 anni della tavola periodica degli elementi di Mendeelev, con un focus speciale sulla chimica. Grande attenzione verrà data inoltre ai temi legati all’ambiente e alle life sciences, discipline in cui tecnologia, medicina e industria collaborano per raggiungere il progresso.

info@festivalscienza.it
http://www.festivalscienza.it/site/home.html

Doppio appuntamento: Mercurio e Venere seguiti da Luna e Giove

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Prima di dedicarci a Luna e Giove, potremo gustare una bella e colorata congiunzione tra i due pianeti della sera, il brillantissimo Venere (mag. –3,9) e il più debole e basso Mercurio (mag. +0,4). Li scorgeremo entrambi immersi nel crepuscolo serale e piuttosto bassi sull’orizzonte sud-occidentale, separati di 2° 36’, con Venere posizionato a nord di Mercurio.

Attendendo ancora poco più di un’ora, non appena il cielo si sarà fatto sufficientemente scuro, potremo accorgerci, più in alto sull’orizzonte sudsudovest della presenza di Giove (mag. –1,9) accanto a una bella falce di Luna (fase del 15%): i due astri saranno già stretti in un abbraccio, tra le flebili stelle della costellazione della Bilancia (che appariranno ai nostri occhi ben più tardi rispetto ai due brillanti protagonisti della congiunzione).

Il momento in cui la separazione sarà minima avverrà alle ore 17:00, quando però il cielo sarà ancora molto chiaro. Basterà attendere per vederli meglio, quando saranno più bassi sull’orizzonte di sudovest (alle 18:30 si troveranno a circa 10° di altezza). La Luna si troverà a meno di un grado a nordest di Giove: sarà un incontro davvero suggestivo e da non perdere!

Le effemeridi di Luna e pianeti le trovi nel Cielo di Ottobre 2019


Tutti consigli per l’osservazione del Cielo di Ottobre su Coelum Astronomia 237

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Circolo Culturale Astrofili Trieste

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CCAT_Dal Cielo notturno al Cosmo_Corso di introduzione AstronomiaA partire dal prossimo SETTEMBRE torna la nuova edizione de “DAL CIELO NOTTURNO AL COSMO – CORSO DI INTRODUZIONE ALL’ASTRONOMIA“!

Ancora una volta, protagonista il Cosmo, attraverso nr. 5 lezioni teoriche (tenute presso il Centro commerciale “Il Giulia” a Trieste) “dirette” dagli esperti relatori del Circolo Culturale Astrofili Trieste + nr. 3 lezioni pratiche sui telescopi tenute presso l’osservatorio “B.Zugna”, dove verrà applicato quanto imparato nella teoria sui telescopi assieme a prove di ricerca ed inseguimento dei corpi celesti.

Per informazioni su iscrizioni/partecipazione:

info@astrofilitreste.it
http://www.astrofilitrieste.it/

Torna Venere la sera, con Luna e Mercurio

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Torna Venere nel cielo della sera ed ecco che iniziano nuovamente le bellissime configurazioni celesti che la vedono protagonista, con la falce di Luna e Mercurio, nel cielo crepuscolare, illuminato e variopinto di tutte le calde sfumature del tramonto.

Volgendoci verso occidente (a sud-sudovest) potremo notare quindi una falce davvero sottile di Luna (fase del 3%) stazionare a circa 2°48’ a nordovest di Venere (mag. –3,9), molto brillante e in grado di vincere il chiarore del crepuscolo serale, e a 5° 36’ a nordovest di Mercurio (mag. +0,3).

Quest’ultimo sarà molto più difficile da scorgere (ma non è una novità), poiché si trova molto più basso sull’orizzonte (circa 3° e mezzo all’orario indicato) e anche per la sua luminosità ben più bassa, che lo farà perdere facilmente nel cielo ancora molto luminoso. Complessivamente sarà una bel quadro da immortalare in alcune fotografie che riprendano anche gli elementi paesaggistici circostanti.

Le effemeridi di Luna e pianeti le trovi nel Cielo di Ottobre 2019


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Marte. Nuovo ostacolo per la “talpa” di InSight

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Dopo aver trovato una soluzione per l’empasse della talpa di InSight, con nuovo twit dal profilo della missione, che mostra la sonda rimbalzare e uscire per metà dal foro. Ricordiamo infatti che la talpa, il penetratore dello strumento HP3 (Heat Flow and Physical Properties Probe), a bordo del lander InSight della NASA su Marte, era ferma da febbraio di quest’anno e solo da poco gli ingegneri del team erano riusciti a rimetterla in funzione.

Solo il 21 ottobre infatti annunciavano che la talpa non solo aveva ricominciato a scavare, ma era arrivata a circa 38 centimetri e stava per scomparire nel terreno (lo strumento è infatti lungo 40 cm). Ma il twit di oggi mostra una situazione ben diversa.

«Marte continua a sorprenderci» si legge nel twit, che vedete qui sopra a destra «Mentre stava scavando, questo fine settimana la talpa si è tirata fuori dal terreno per circa la metà. Una valutazione preliminare indica come principale ragione un’inattesa proprietà del terreno. Il team sta esaminando i prossimi passi da fare».

Nelle risposte date dal team ai commenti, i pochi elementi in più emersi sono che non sono stati rilevati rumori particolari al momento del “rimbalzo” che l’ha spinta verso fuori, invece che procedere all’interno, per cui le ipotesi sono varie. Una di queste è che il terreno sabbioso e particolarmente mobile – come si è dimostrato essere in superficie nei primi due centimetri, al contrario dello strato sottostante più duro del previsto e che ha creato il primo problema alla talpa –  sia crollato all’interno del buco riempiendolo in parte e impedendo alla talpa di ridiscendere spingendola verso l’alto.

Per il momento però sono solo ipotesi, attendiamo la news ufficiale che eventualmente aggiungeremo qui sotto. Rimanete sintonizzati!

Lo speciale con tutti i dettagli della missione in occasione dell'arrivo della sonda su Marte. In formato digitale e gratuito: clicca e leggi.

Di Anelli, Comete, Telescopi e Vapor d’Acqua
La prima cometa interstellare! Ma che età hanno gli anelli di Saturno? Leonardo precursore anche dell’invenzione del telescopio? Vapore acqueo trovato per la prima volta nell’atmsfera di una super-Terra e molto altro ancora su…

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Beccata l’abominevole galassia primordiale

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Animazione illustrativa di come potrebbe apparire una galassia massiccia nell’universo primordiale, al cui interno si registra un enorme tasso di formazione stellare, che illumina il gas circostante. Spesse nubi di polvere oscurano la maggior parte della luce, facendo sembrare la galassia fioca e disorganizzata, molto diversa dalle galassie visibili all’epoca attuale. Crediti: James Josephides/Christina Williams/Ivo Labbe
Animazione illustrativa di come potrebbe apparire una galassia massiccia nell’universo primordiale, al cui interno si registra un enorme tasso di formazione stellare, che illumina il gas circostante. Spesse nubi di polvere oscurano la maggior parte della luce, facendo sembrare la galassia fioca e disorganizzata, molto diversa dalle galassie visibili all’epoca attuale. Crediti: James Josephides/Christina Williams/Ivo Labbe

Un gruppo internazionale di ricerca ha scoperto accidentalmente le tracce di un’enorme galassia nell’universo primordiale, mai vista prima. Quasi come un leggendario Yeti – l’abominevole uomo delle nevi – cosmico, l’esistenza di una galassia di questo tipo è stata finora considerate dalla comunità scientifica come puro folklore, data la mancanza di prove al riguardo. Ora, per la prima volta, un gruppo internazionale di ricerca – guidato da Christina Williams, ricercatrice con una borsa di studio allo Steward Observatory delll’Università dell’Arizona – è riuscito a scattare una foto della “bestia”, che ora fa bella mostra di sé in uno studio appena pubblicato su Astrophysical Journal.

La scoperta, che fornisce nuove, importanti informazioni sui primi passi evolutivi di alcune delle più grandi galassie dell’universo, è stata realizzata grazie a osservazioni particolarmente sensibili effettuate con la schiera di 66 antenne del radiotelescopio Alma in Cile. Nei dati di Alma, Williams ha scorto qualcosa di insolito, una debole emissione che sembrava scaturire dal nulla, una sorta di impronta fantasma nella vasta oscurità cosmica.

«Era piuttosto misteriosa perché la luce sembrava non essere legata ad alcuna galassia conosciuta», dice Williams. «Quando ho realizzato che questa galassia risultava invisibile a qualsiasi altra lunghezza d’onda mi sono davvero emozionata, perché significava che probabilmente era molto lontana e nascosta da nuvole di polvere».

Christina Williams

Le autrici e gli autori del nuovo studio stimano che la regione di provenienza sia così remota che al segnale sono occorsi 12.5 miliardi di anni per raggiungere la Terra, regalandoci quindi uno scorcio dell’universo nella sua infanzia. L’emissione osservata è probabilmente causata dal bagliore proveniente da particelle di polvere, riscaldate da un’intensa attività di formazione stellare che avviene in profondità all’interno di questa galassia giovane. Le gigantesche nubi di polvere nascondono la luce delle stelle stesse, rendendo la galassia completamente invisibile.

Questo risultato potrebbe aiutare a risolvere un annoso problema cosmologico. Recenti studi hanno infatti scoperto che alcune delle più grandi galassie nell’universo giovane sono cresciute molto rapidamente, raggiungendo in relativamente poco tempo – non si sa bene come – uno stato evolutivo “maturo”.

Ancora più sconcertante è che queste galassie mature sembrano venire fuori dal nulla, nel senso che non sono mai state osservate mentre si stanno formando. «La nostra sfuggente galassia monstre ha esattamente gli ingredienti giusti per essere l’anello mancante nell’evoluzione delle galassie massicce, che probabilmente sono molto più comuni nell’universo primordiale di quanto si pensi», conclude Williams.

Per saperne di più:


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Prima identificazione di un elemento pesante nato dalla collisione tra stelle di neutroni

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Un gruppo di scienziati europei, usando i dati ottenuti dallo strumento X-shooter montato sul VLT (Very Large Telescope) dell'ESO, ha trovato le impronte caratteristiche dello stronzio formato durante la fusione di due stelle di neutroni. Questa rappresentazione artistica mostra due stelle di neutroni, piccole ma densissime, nel momento in cui stanno per fondersi ed esplodere come chilonova. In primo piano, una rappresentazione degli atomi di stronzio appena formati. Crediti: ESO/L. Calçada/M. Kornmesser
Un gruppo di scienziati europei, usando i dati ottenuti dallo strumento X-shooter montato sul VLT (Very Large Telescope) dell'ESO, ha trovato le impronte caratteristiche dello stronzio formato durante la fusione di due stelle di neutroni. Questa rappresentazione artistica mostra due stelle di neutroni, piccole ma densissime, nel momento in cui stanno per fondersi ed esplodere come chilonova. In primo piano, una rappresentazione degli atomi di stronzio appena formati. Crediti: ESO/L. Calçada/M. Kornmesser

Nel 2017, in seguito al rilevamento di onde gravitazionali che hanno raggiunto la Terra, l’ESO ha puntato i suoi telescopi cileni, incluso il VLT verso la sorgente: l’evento dovuto alla fusione di stelle di neutroni che prende il nome di GW170817. Gli astronomi sospettavano che, se gli elementi più pesanti si fossero formati dalle collisioni di stelle di neutroni, le impronte di quegli elementi potevano essere rilevate nelle chilonovae, le conseguenze esplosive delle fusioni. Questo è ciò che ha fatto un’equipe di ricercatori europei, utilizzando i dati dello strumento X-shooter, installato sul VLT dell’ESO.

Questo grafico mostra le diverse coperture in lunghezza d'onda dei vari strumenti usati dall'ESO per studiare l'esplosione di chilonova in NGC 4993, tra le quali si inserisce anche l'osservazione tramite lo strumento X-shooter montanto sul VLT. Crediti: ESO

Dopo l’evento GW170817 (leggi lo speciale dedicato su Coelum astronomia di novembre 2017 “dalle onde gravitazionali alle chilonovae”), la compagine di telescopi dell’ESO ha iniziato a monitorare l’esplosione di chilonova emergente dalla fusione, su una vasta gamma di lunghezze d’onda. X-shooter in particolare ha preso una serie di spettri dall’ultravioletto al vicino infrarosso. L’analisi iniziale di questi spettri ha suggerito la presenza di elementi pesanti nella chilonova, ma gli astronomi finora non erano stati in grado di individuare i singoli elementi.

«Rianalizzando i dati della fusione del 2017, abbiamo ora identificato in questa palla di fuoco la firma di un elemento pesante, lo stronzio, che dimostra che è la collisione delle stelle di neutroni a creare questo elemento nell’Universo», afferma l’autore principale dello studio, Darach Watson dal Università di Copenaghen in Danimarca.

Sulla Terra, lo stronzio si trova naturalmente nel terreno ed è concentrato in alcuni minerali. I suoi sali sono usati per dare ai fuochi d’artificio un colore rosso brillante. Gli astronomi conoscono i processi fisici che creano gli elementi fin dagli anni ’50 del secolo scorso. Nel corso dei decenni successivi hanno scoperto i siti cosmici di ognuna di queste principali forge nucleari, tranne una.

«Questa è la fase finale di una ricerca decennale per definire l’origine degli elementi», afferma Watson. «Ora sappiamo che i processi che hanno creato gli elementi sono avvenuti principalmente nelle stelle ordinarie, nelle esplosioni di supernova o negli strati esterni di stelle vecchie. Ma, fino ad ora, non conoscevamo la posizione dell’ultimo processo da scoprire, noto come processo di cattura rapida di neutroni, che ha creato gli elementi più pesanti nella tavola periodica».

La cattura rapida dei neutroni è un processo in cui un nucleo atomico cattura i neutroni abbastanza rapidamente da consentire la creazione di elementi molto pesanti. Sebbene molti elementi siano prodotti nei nuclei delle stelle, la creazione di elementi più pesanti del ferro, come lo stronzio, richiede ambienti ancora più caldi con molti neutroni liberi. La cattura rapida dei neutroni si verifica naturalmente solo in ambienti estremi in cui gli atomi sono bombardati da un gran numero di neutroni.

«Questa è la prima volta in cui possiamo associare direttamente con la fusione delle stelle di neutroni il materiale appena creato, formato tramite il processo di cattura di neutroni, confermando che le stelle di neutroni sono proprio fatte di neutroni e legando a queste fusioni il processo di cattura rapida dei neutroni, a lungo dibattuto», afferma Camilla Juul Hansen del Max Planck Institute for Astronomy di Heidelberg, che ha svolto un ruolo importante nello studio.

Solo ora gli scienziati stanno iniziando a comprendere meglio la fusione delle stelle di neutroni e le chilonovae. A causa della nostra ancora limitata comprensione di questi nuovi fenomeni e di altre complessità negli spettri dell’esplosione presi dallo strumento X-shooter montato sul VLT, gli astronomi non erano stati in grado finora di identificarvi singoli elementi.

«In realtà, l’idea che avremmo potuto vedere lo stronzio ci è venuta abbastanza presto, dopo l’evento. Tuttavia, dimostrare che era realmente quel che stava accadendo si è rivelato molto difficile. La difficoltà era dovuta alla nostra conoscenza altamente incompleta dell’aspetto spettrale degli elementi più pesanti della tavola periodica», afferma Jonatan Selsing, ricercatore dell’Università di Copenaghen, un altro autore fondamentale dell’articolo.

Il numero di novembre 2017 dedicato alla nascita dell'astronomia multimessaggero, in occasione dell'evento GW170817, prima individuazione visuale di una sorgente di onde gravitazionali. Per leggere gratuitamente il numero cliccare sull'immagine.

L’evento di fusione GW170817 è stato il quinto evento di onde gravitazionali, osservato grazie a LIGO (Laser Interferometer Gravitational-Wave Observatory), negli Stati Uniti e a Virgo (Interferometro Virgo) in Italia. Questa fusione, avvenuta nella galassia NGC 4993, è stata la prima, e finora l’unica, sorgente di onde gravitazionali per cui sia stata rivelata la controparte visibile da telescopi sulla Terra.

Con gli sforzi combinati di LIGO, Virgo e VLT abbiamo raggiunto la più chiara comprensione finora del funzionamento interno delle stelle di neutroni e delle loro fusioni esplosive.

Ulteriori Informazioni

Questo lavoro è stato presentato in un articolo che verrà pubblicato dalla rivista Nature il 24 ottobre 2019.


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Semaforo verde per la missione Lucy

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Crediti: SwRI
Crediti: SwRI

Dopo comete, asteroidi vicini e di fascia, è il momento di incontrare gli asteroidi troiani, ovvero quegli asteroidi che convivono nella stessa orbita dei grandi pianeti del nostro Sistema Solare, e in particolare il pianeta Giove. E Lucy, la missione ideata dalla NASA per esplorare sette asteroidi nell’arco di 12 anni, ha superato con successo la fase critica di controllo del progetto e si alla produzione vera e propria in vista del lancio previsto, per il momento, per il 2021.

A questa missione è stato dato un nome evocativo, così come il celebre australopiteco Lucy ci ha portati più vicini a comprendere le nostre origini come razza umana, la missione Lucy si pone l’obiettivo di svelare (se non addirittura rivoluzionare, come fece il piccolo australopiteco) quel che ancora non sappiamo  delle origini del nostro Sistema Solare.

Dopo aver superato la fascia principale degli asteroidi (in bianco), Lucy si dirigerà verso il punto L4, dove troverà il "gruppo greco" (in antitesi con il "gruppo troiano" in L5) dei più genericamente chiamati "asteroidi troiani" di Giove (in verde). Wikimedia Commons.

Fly-by dopo fly-by, infatti, visiterà da vicino un asteroide di fascia e sei asteroidi troiani, considerati dei “fossili” formatisi all’origine del nostro Sistema Solare, più di 4 milioni di anni fa, dalla zona della nube protoplanetaria che ha visto la nascita del pianeta di cui percorrono l’orbita, e quindi composti del materiale primordiale da cui hanno preso forma i pianeti del Sistema Solare esterno. Delle vere capsule del tempo.

I troiani si trovano in due di quei punti di equilibrio, dell’orbita di Giove, tra l’azione gravitazionale del Sole e quella del pianeta chiamati punti di Lagrange, in particolare nei punti L4 e L5. Lucy raggiungerà nel 2027 la popolazione di troiani di Giove che abitano il punto L4, chiamati anche “gruppo greco” per poi passare al gruppo in L5 chiamato in antitesi “gruppo troiano” (questi asteroidi infatti prendono nome dagli eroi della mitologia greca che hanno partecipato alla guerra di Troia, con un paio di eccezioni…).

Il percorso di Lucy che nell'arco di 12 anni visiterà i due gruppi di asteroidi troiani di Giove. Nell'arco del 2017/28 visiterà (3548) Eurybates (in bianco), (15094) Polymele (in rosa), (11351) Leucus (in rosso) e (21900) Orus (in rosso), per poi passare al punto L5 dove visiterà (617) Patroclus-Menoetius, un asteroide binario (in rosa), nel 2033. Come "bonus" nel 2025 passerà nelle vicinanze di (52246) Donaldjohanson, l'asteroide di fascia (in bianco) che prende il nome dallo scopritore dell australopiteco Lucy. Dopo il 2033, alla fine della missione primaria, continuerà a passare da una all'altra popolazione di troiani in cicli di sei mesi. Crediti: Southwest Research Institute

La missione è quindi stata ideata per effettuare più flyby in successione, sfruttando l’effetto fionda della Terra, sia in partenza che per il passaggio da un punto Lagrangiano all’altro. Prima però di entrare effettivamente in produzione ogni missione deve passare la Critical Design Review, una fase delicata che, dopo anni di lavoro di progettazione, un comitato indipendente, formato da revisori della NASA e di diverse organizzazioni esterne, decide definitivamente se è realizzabile o meno, e da il via alla produzione.

Durante questa fase di controllo, il team di Lucy ha presentato il progetto nella sua interezza, dimostrando di aver superato tutte le sfide tecniche per raggiungere in sicurezza gli obiettivi della missione, e di essere pronto a passare alla fasa di realizzazione vera e propria della strumentazione. Quattro giorni in cui la commissione ha ascoltato le presentazioni del team su tutti gli aspetti relativi al progetto: la navicella spaziale vera e propria Lucy, il suo payload, la progettazione dei test per mettere alla prova tutti gli aspetti software e hardware della missione, la parte che riguarda il controllo da terra, tutta quella ingegneristica e quella che riguarda la scienza che farà Lucy in missione. Dopo questa fase si è acceso finalmente il semaforo verde per portare a termine la fase di produzione e quindi il lancio per la missione vera e propria.

«È un momento esaltante per noi, perché ci muoviamo dalla fase di progettazione a quella in cui potremo davvero cominciare a costruire la sonda» spiega Hal Levison, principal investigator della missione presso il Research Institute a Boulder, Colorado. «Sta finalmente diventando reale!».

Per maggiori informazioni sulla missione

https://www.nasa.gov/lucy

http://lucy.swri.edu


Di Anelli, Comete, Telescopi e Vapor d’Acqua
La prima cometa interstellare! Ma che età hanno gli anelli di Saturno? Leonardo precursore anche dell’invenzione del telescopio? Vapore acqueo trovato per la prima volta nell’atmsfera di una super-Terra e molto altro ancora su…

Coelum Astronomia di Ottobre 2019
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Ore piccole con Luna cinerea e Regolo

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Per chi è abituato a fare le “ore piccole” anche nei giorni infrasettimanali, non potrà mancare di dare uno sguardo a una bella configurazione celeste che, alle ore 2:55 circa del mattino del 24 ottobre, vedrà una falce di Luna (fase del 22%) sorgere a est, con un colorito spiccatamente aranciato, a circa 5° 6’ a sudest della stella Regolo (alfa Leonis, mag. +1,4).

Ovviamente sarà necessario disporre di una visuale libera da ostacoli sull’orizzonte orientale, ma lo spettacolo sarà suggestivo, con la testa del grande Leone celeste che sovrasterà con tutta la sua imponenza la falce di Luna appena sorta.

➜ Fotografiamo le sottili Falci di Luna di Giorgia Hofer

➜ Fotografare la Luce Cinerea della Luna di Giorgia Hofer su Coelum Astronomia 207

Le effemeridi di Luna e pianeti le trovi nel Cielo di Ottobre 2019


Tutti consigli per l’osservazione del Cielo di Ottobre su Coelum Astronomia 237

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Workshop “Progetti EAN 2020” – San Giovanni in Persiceto

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PROGETTI 2020

26 ottobre 2019 – dalle 9:30 alle 17:00

Il Workshop, organizzato da EAN Web, si terrà presso il planetario del Museo del Cielo e della Terra, a San Giovanni in Persiceto (BO), in Vicolo Baciadonne 1.

Programma

– Ore 09:45: Saluto degli organizzatori.

– Ore 10:00, Romano Serra, “Il Museo del Cielo e della Terra”.

– Ore 10:20, Giuseppe Malaguti, Dirigente di Ricerca, Osservatorio di Astrofisica e Scienza dello Spazio di Bologna INAF – Istituto Nazionale di Astrofisica, “Che aria tira su altri mondi: la missione ARIEL per lo studio delle atmosfere esoplanetarie”.

– Ore 10:40, Roberto Ragazzoni, Direttore dell‟Osservatorio Astronomico INAF di Padova, “Le alterne ‘fortune’ dei grandi telescopi”.

– Ore 11:00, Coffee break

– Ore 11:15, Luigi Bignami, giornalista scientifico, “I privati alla conquista della Luna e di Marte”.

– Ore 11:35, Molisella Lattanzi, Nemesis Planetarium, “CosmoExperience: vivi l‟astronomia con la Realtà Virtuale”.

-Ore 11:50, Andrea Boldrini, “La Namibia e il Binodobson 24”: il parossismo visualistico!” e un breve intervento, con video, sulla nostra partecipazione al Festival del Passato Remoto di Sorgono (NU).

– Ore 12:05, Enrico Bonfante, Associazione Empiricamente e Planetario di Verona, “L‟Associazione Scientifico Culturale EmpiricaMente: didattica e divulgazione senza confini”.

– Ore 12:20, Paolo Campaner, astrofilo, cacciatore di SN, “Osservatorio di Ponte di Piave e le sue attività di ricerca SN”.

– Ore 12:35, Discussioni, domande, commenti…

– 13:00 Pausa pranzo

– Ore 14:30, Danilo Zardin, “Northern Lights, Iceland”.

– Ore 14:40, Rodolfo Calanca, “Attività e progetti per il 2020 che coinvolgono il Team Star Party”.

– Ore 15:30, discussioni, commenti, interventi liberi

– Ore 16:20, Visita al Museo

– Ore 17:00, Chiusura lavori

IMPORTANTE

Il pranzo si terrà alla Trattoria dal Piccolo, Via Guardia Nazionale, 9, San Giovanni Persiceto. Chi rimane a pranzo, è pregato di comunicarlo a breve. Il prezzo di favore applicato, grazie ai buoni auspici di Romano Serra, è di € 20,00, che comprende due assaggi di primi, secondo e contorno, acqua, vino, caffè, liquore.

Dove siamo per workshop

Museo del Cielo e della Terra

Trattoria dal Piccolo

Per informazioni e iscrizioni

Tel. 3483687842

www.eanweb.com/2019/workshop-progetti-ean-2020/


Di Anelli, Comete, Telescopi e Vapor d’Acqua
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Circolo Culturale Astrofili Trieste

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CCAT_Dal Cielo notturno al Cosmo_Corso di introduzione AstronomiaA partire dal prossimo SETTEMBRE torna la nuova edizione de “DAL CIELO NOTTURNO AL COSMO – CORSO DI INTRODUZIONE ALL’ASTRONOMIA“!

Ancora una volta, protagonista il Cosmo, attraverso nr. 5 lezioni teoriche (tenute presso il Centro commerciale “Il Giulia” a Trieste) “dirette” dagli esperti relatori del Circolo Culturale Astrofili Trieste + nr. 3 lezioni pratiche sui telescopi tenute presso l’osservatorio “B.Zugna”, dove verrà applicato quanto imparato nella teoria sui telescopi assieme a prove di ricerca ed inseguimento dei corpi celesti.

Per informazioni su iscrizioni/partecipazione:

info@astrofilitreste.it
http://www.astrofilitrieste.it/

Unione Astrofili Senesi

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Osservatorio Astronomico Provinciale di Montarrenti, SS. 73 Ponente, Sovicille (SI).
L’OAPM apre gratuitamente al pubblico per l’osservazione del cielo notturno il 2° e 4° venerdì del mese. In caso di tempo incerto telefonare per conferma al numero 3472874176 o 3482650891.

25.10, ore 21:30: Il cielo al castello di Montarrenti. L’Osservatorio Astronomico di Montarrenti sarà aperto al pubblico per delle serate osservative, con particolare attenzione alla Luna (principalmente il giorno 11), agli ammassi stellari e ai vari oggetti del profondo cielo. Prenotazione obbligatoria tramite il sito www.astrofilisenesi.it o inviando un messaggio WhatsApp al 3472874176 (Patrizio) oppure un sms al 3482650891 (Giorgio). In caso di tempo incerto telefonare per conferma.

Seguiteci su www.astrofilisenesi.it e sulla nostra pagina facebook Unione Astrofili Senesi

Astronomiamo

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LocandinaCoelum_102019

Webinar di Astronomia: The new Astronomy

100 anni di Relatività, con Italo Alfieri

Dal 24 ottobre: Astrofotografia con Valeriano Antonini e Amedeo Ferrante

Per info: https://www.astronomiamo.it

Festival della scienza di Genova

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logo-festival-2019

logo-festival-2019Il Festival della Scienza rinnova l’appuntamento a Genova dal 24 ottobre al 4 novembre 2019. Dodici giorni di conferenze, laboratori, mostre, spettacoli ed eventi speciali dedicati a visitatori di ogni fascia d’età e livello di conoscenza. La parola chiave dell’edizione 2019 sarà elementi.

Al Festival celebreremo i 50 anni dello sbarco sulla Luna, gettando uno sguardo sul futuro delle esplorazioni spaziali, e i 150 anni della tavola periodica degli elementi di Mendeelev, con un focus speciale sulla chimica. Grande attenzione verrà data inoltre ai temi legati all’ambiente e alle life sciences, discipline in cui tecnologia, medicina e industria collaborano per raggiungere il progresso.

Il programma degli eventi verrà pubblicato a partire da lunedì 23 settembre. Le prevendite dei biglietti saranno disponibili a partire da lunedì 8 ottobre.

info@festivalscienza.it
http://www.festivalscienza.it/site/home.html

Unione Astrofili Italiani

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I convegni e le iniziative UAI
25-27 ottobre Meeting di Radioastronomia organizzato quest’anno dalla Sezione Radioastronomia dell’UAI e dalla Italian Amateur Radio Astronomy (IARA) presso i Colli Euganei (PD), con la collaborazione dell’Associazione Astronomica Euganea, delegazione territoriale dell’Unione Astrofili Italiani. La location scelta per il meeting è il Centro Visite e Laboratorio di Educazione Naturalistica “Casa Marina” di Galzignano Terme.

Per maggiori informazioni consultare il link: www.iaragroup.org/icara2019

Ritratto di cometa interstellare

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2I/Borisov, la prima cometa e secondo oggetto interstellare mai identificato, ripresa dal telescopio spaziale Hubble. Crediti: NASA, ESA and J. DePasquale (STScI)
2I/Borisov, la prima cometa e secondo oggetto interstellare mai identificato, ripresa dal telescopio spaziale Hubble. Crediti: NASA, ESA and J. DePasquale (STScI)

È il ritratto a miglior risoluzione che abbiamo di questo nuovo ospite interstellare, e a scattarlo non poteva che essere il telescopio spaziale Hubble. Ripresa il 12 ottobre scorso, l’immagine mostra il nucleo centrale (troppo piccolo per essere risolto dalla vista del telescopio) avvolto da una densa concentrazione di gas della prima cometa interstellare mai individuata, la 2I/Borisov.

Al momento della ripresa la cometa si trovava a più di 400 milioni di chilometri dalla Terra, e si sta velocemente avvicinando al punto più vicino al Sole, perielio, il 7 dicembre per poi proseguire quasi indisturbata fuori dal nostro Sistema solare.

La sua orbita ha infatti una traiettoria iperbolica estremamente aperta, grazie anche alla sua altissima velocità di crociera, quasi 180 mila chilometri all’ora: «sta viaggiando talmente veloce che quasi non si accorge dellapresenza del Sole», spiega David Jewitt (Università della California, UCLE) a capo del team Hubble che ha osservato la cometa.

La traiettoria della 2I/Borisov. come si vede dall'immagine, la sua traiettoria è stata modificata di molto poco dall'incontro con il nostro Sistema Solare, e la sua alta velocità la farà proseguire quasi indisturbata nel suo cammino verso lo spazio interstellare. Nell'immagine di destra vediamo la posizione della cometa rispetto al telescopio spaziale Hubble, al momento della ripresa. Le stelle di fondo dell'immagine a sinistra sono quelle della costellazione dell'Eridano, mentre a destra quelle del Sagittario. NASA, ESA, and J. Olmsted and F. Summers (STScI)

E proprio perché così aperta, il tipo di orbita ha indicato ai ricercatori che si tratta di un oggetto non appartente al nostro Sistema solare, ma proveniente da una lunghissima corsa attraverso lo spazio interstellare, verso cui continuerà il suo cammino dopo questa “breve” visita al nostro sistema.

Breve visita ovviamente per i tempi del cosmo, per noi invece una visita abbastanza lunga da permetterci di studiarla in dettaglio, un’occasione al momento unica per i nostri ricercatori.

Già il nome, 2I/Borisov, ci dice che non è il primo oggetto interstellare scoperto, abbiamo già parlato del primo in assoluto l’asteroide 1I/’Oumuamua ma, ci spiega Jewitt: «Mentre ‘Oumuamua sembrava essere poco più di una roccia, la Borisov è particolarmente attiva, molto più simile a una normale cometa. Il perché i due oggetti siano così diversi è un puzzle da risolvere».

Le dimensioni in gioco apparenti, in secondi, e reali, in chilometri.
Non solo è molto più attiva ma anche molto più grande e, unito al lungo tempo in cui l’avremo a disposizione (supererà Giove allontanandosi sempre più solo dopo la metà del 2020), diventa un soggetto perfetto per gli studiosi per saperne di più su sistemi stellari diversi dal nostro, sul sistema in particolare in cui si è formata. Possiamo infatti ricavare informazioni sulla composizione chimica, sulla struttura e sulle polveri presenti ai tempi della sua formazione e quindi del suo sistema stellare.

Al momento però le sorprese sono poche, i primi studi ci hanno mostrato come sia apparentemente del tutto simile alle nostre comete, anche se siamo solo all’inizio, ci spiega Amaya Moro-Martin del Space Telescope Science Institute di Baltimora: «Anche se un diverso sistema stellare può essere completamente differente dal nostro, è notevole il fatto che le proprietà della cometa appaiano essere così simili a quelle dei mattoni di costruzione del nostro Sistema Solare».

Gli appassionati di comete però sanno bene come si tratti oggetti altamente imprevedibili e volubili… possono passare senza sorprese al loro perielio così come subire importanti trasformazioni man mano che si avvicinano al calore del Sole, alcune possono addirittura perdere dei frammenti o rompersi in pezzi fino a disintegrarsi, oppure esibire improvvisi aumenti di luminosità, in particolare se è la prima volta che incontrano una fonte di calore potente come il Sole. Questo potrebbe liberare gas e polveri conservate dai primordi all’interno della cometa, che potrebbero celare qualche sopresa o essere comunque di grande interesse: «Hubble è in posizione pronto a monitorare qualsiasi cosa accada con la sua sensibilità e risoluzione superiori» spiega Max Mutchler, altro membro del team di osservazione.

La cometa in movimento rispetto alle stelle di fondo, il time-lapse è formato da osservazioni di Hubble riprese nell'arco di sette ore. A causa della sua alta velocità, Hubble ha dovuto effettuare la ripresa utilizzando una modalità di "tracking", per poter avere sempre il soggetto a fuoco. Cliccare sull'immagine se non parte l'animazione. Credits: NASA, ESA and J. DePasquale (STScI)
Questi due oggetti interstellari non sono probabilmente gli unici a passare attraverso il nostro Sistema Solare, anche se fin’ora non siamo riusciti ad individuarne altri non significa infatti che non ce ne siano stati. Alcune simulazioni al computer ci dicono che dovrebbero essere numerosi, probabilmente troppo piccoli o veloci, o lontani per essere individuati e studiati abbastanza a lungo da riconoscerne la provenienza. Il fatto però che in un tempo relativamente breve, dopo il primo oggetto se ne sia già individuato un secondo, può anche significare che la nostra tecnologia e la quantità e qualità di survey che monitorano il cielo (per non parlare degli agguerriti amatori, con strumentazione sempre più potente, in fondo questa cometa è stata scoperta così) ci permettono ora di individuare quello che ci è finora sfuggito…

Per saperne di più

2I/Borisov La prima cometa interstellare su Coelum astronomia di ottobre 2019

1I/’Oumuamua, il visitatore interstellare su Coelum astronomia di febbraio 2018


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Iridium flare, gli ultimi passaggi sull’Italia a ottobre e novembre

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Il flare dell’Iridium SV61, ripreso dagli USA da Adam Harris Crediti: Catch the Iridium/Adam Harris

Con un tweet cinguettato lo scorso 8 marzo 2019, Matt Desch – CEO della Iridium – comunicava attraverso il suo profilo social che la dismissione, e il conseguente rientro distruttivo in atmosfera, degli ultimi due satelliti Iridium di prima generazione, ancora in grado di generare i famosi “flare” (SV61 ed SV97), inizialmente previsto per aprile veniva posticipato a novembre.

Tale annuncio è stato sicuramente accolto positivamente dai tantissimi appassionati di iridium flare disseminati in tutto il mondo in quanto, con il nuovo programma, aumentavano potenzialmente le occasioni per l’osservazione e la fotografia di questo particolare e caratteristico fenomeno. Contemporaneamente a questa notizia però venivano paradossalmente a mancare, per oltre 7 mesi e nell’intero nostro territorio nazionale, le condizioni necessarie a far si che questi due satelliti potessero brillare rendendosi visibili da terra.

Questo periodo di totale assenza di flare si accinge fortunatamente a terminare proprio in concomitanza con il rientro programmato per metà del mese di novembre di SV97 (SV61 nel mentre è stato fatto rientrare preventivamente con qualche mese di anticipo a causa di un malfunzionamento che avrebbe comportato il rischio di perdere definitivamente il controllo del satellite).

I fan italiani degli iridium flare avranno quindi la possibilità, se lo vorranno, di osservare e cercare di fotografare (magari caricando i loro scatti sul portale dell’iniziativa, tutta “made in Italy”, di censimento di questo fenomeno) gli ultimi flare di SV97 a cavallo tra la fine di ottobre e inizio di novembre prima che, dopo oltre 20 anni di presenza sopra i nostri cieli, questo affascinante fenomeno sparisca per sempre.

In questo frangente Cagliari e Milano saranno le città più fortunate con il maggior numero di occasioni per poter osservare per l’ultima volta un iridium flare. Per avere un’idea della visibilità dalla vostra zona, potete partire da qui:

Orari indicativi per le principali località

Per avere invece le circostanze esatte per la vostra località sarà possibile interrogare il sito Heaven Above oppure consultare la pagina a tema curata da UAI annotando data, ora e porzione del cielo da osservare per assistere a questo “grand finale”.

Il portale dell’iniziativa www.catchtheiridium.com

Presentazione del progetto su Coelum astronomia di giugno 2018

Andiamo a caccia di Iridium Flare di Giorgia Hofer su Coelum astronomia 219

Il flare dell’iridium SV94, ripreso dalla Croazia da Daria Skrzat. Crediti Catch the Iridium/Daria Skrzat

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La Luna tra le corna del Toro e Aldebaran

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La sera del 17 ottobre, la Luna (fase dell’85%) incontra una stella, e non una qualsiasi: stiamo parlando dell’occhio infuocato del Toro, Aldebaran (alfa Tauri, mag. +0,9) con il suo spiccato color arancione, come spesso abbiamo visto accadere in questi mesi.

La congiunzione sarà anche in questo caso piuttosto stretta (separazione di 2° 6’) e sempre bella da osservare, considerando il contesto celeste in cui avviene, ossia quello dell’ammasso aperto delle Iadi, con la Luna che si troverà proprio all’interno della “V” del Toro, a nordest di Aldebaran. All’orario indicato, gli astri saranno a una altezza di poco più di 10° sull’orizzonte e li potremo trovare volgendoci verso est. Con il passare dei minuti e delle ore guadagneranno rapidamente altezza, raggiungendo il culmine poco dopo le 4 del mattino.

Ricordiamo le pagine della rubrica di Stefano Schirinzi per approfondire Aldebaran e il ricco campo della costellazione del Toro. Mito, scienza e curiosità fino alla scoperta dei tesori delle profondità del cosmo:

➜ I parte: La costellazione del Toro: la storia e il mito
➜ II parte: L’ammasso delle Iadi, storia e scienza
➜ III parte: Iadi: le stelle e i loro dintorni
➜ IV parte: …è il momento di Aldebaran!

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Ghiaccio fresco sulla Luna

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Il fondo del cratere lunare Shackleton, permanentemente in ombra, ospita depositi di ghiaccio d’acqua. Il nuovo studio condotto da Ariel Deutsch offre una stima di questi e altri depositi al polo sud lunare. Crediti: Nasa’s Goddard Space Flight Center
Il fondo del cratere lunare Shackleton, permanentemente in ombra, ospita depositi di ghiaccio d’acqua. Il nuovo studio condotto da Ariel Deutsch offre una stima di questi e altri depositi al polo sud lunare. Crediti: Nasa’s Goddard Space Flight Center

L’esistenza di depositi di ghiaccio nei freddi crateri sparsi al polo sud lunare è uno dei fattori che ha contribuito a rinnovare l’interesse per l’esplorazione del nostro satellite naturale. La loro presenza – confermata lo scorso anno – riveste particolare interesse, soprattutto per le future missioni che potrebbero utilizzarli per scopi diversi.

Tuttavia, non vi è alcuna notizia sul come e quando questo ghiaccio sia arrivato lì. Domande di fondamentale importanza anche per svelare la natura di questi depositi di ghiaccio.

Una risposta  adesso arriva da un nuovo studio condotto da un team di ricerca guidato da Ariel Deutsch – dottoranda alla Brown University, negli Usa – e pubblicato sulla rivista Icarus: mentre la maggior parte dei depositi ha qualche miliardo di anni, alcuni, in particolare quelli contenuti all’interno dei crateri più piccoli, sarebbero più recenti.

Una conclusione alla quale Deutsch e colleghi sono giunti indirettamente grazie all’utilizzo di sofisticati modelli di datazione assoluta. Utilizzando i dati forniti dal Lunar Reconnaissance Orbiter della Nasa, in orbita attorno al satellite dal 2009, i ricercatori hanno elaborato l’età di venti grandi crateri – selezionati sulla base di tre criteri: posizione (tra 80  e 90 gradi Sud), dimensione (maggiori o uguali a 100 km quadrati) e pendenza (inferiore a 10 gradi) – presenti al polo sud lunare che ospitano ghiaccio d’acqua superficiale.

Secondo lo studio, la maggior parte di questi crateri, in particolare quelli di grandi dimensioni, risalgono a circa tre miliardi di anni fa. E dal momento che i depositi di ghiaccio non possono essere più vecchi del cratere che li contiene, questo consente di determinare indirettamente un limite superiore all’età dei depositi stessi.

Distribuzione dei crateri al polo sud lunare dei quali è stata stimata l’età. Crediti: Ariel N. Deutsch et al. 2019

È anche vero, però, che il ghiaccio potrebbe essere in realtà più giovane. Tuttavia, spiegano i ricercatori, c’è motivo di credere che per questi depositi l’età coincida. Prova ne è il fatto che hanno una distribuzione irregolare e questo, secondo i ricercatori, sarebbe spiegabile con impatti avvenuti in un arco temporale lungo quanto la loro età.

Ma non tutti i crateri che i ricercatori hanno analizzato sono così antichi. Accanto a questi, ce ne sono altri, più piccoli – con diametro inferiore ai 15 km –  che per caratteristiche sembrano essere molto giovani, il ché significa che lo sono anche i depositi che essi contengono.

«Non era mai stato osservato prima il ghiaccio in crateri così giovani», dice la dottoranda che ha guidato lo studio. «È stata una sorpresa. L’età di questi depositi potrebbe dirci qualcosa sull’origine del ghiaccio, e questo ci aiuterebbe a ricostruire la fonte e la distribuzione dell’acqua nel sistema solare interno».

La presenza di depositi di ghiaccio d’acqua di età diverse può indicare una provenienza da fonti differenti. I depositi più vecchi potrebbero contenere acqua trasportata da comete e asteroidi che hanno impattato la superficie, oppure acqua estratta dalle profondità lunari attraverso l’attività vulcanica. Processi che non possono però spiegare la presenza di acqua nei depositi più giovani – formatisi in un’epoca senza grandi impatti né attività vulcanica. Occorre dunque ipotizzare una sorgente diversa, per esempio il bombardamento da parte di micrometeoriti, o le interazioni fra il vento solare e la regolite. Ipotesi che solo le analisi dei campioni raccolti in loco – magari durante la futura missione Artemis – possono confermare.

«Quando progettiamo di tornare sulla Luna per un’esplorazione umana a lungo termine, dovremmo conoscere le risorse sulle quali potremo contare, e al momento non lo sappiamo», osserva Jim Head della Brawn University, coautore dello studio. «Studi come questo ci aiutano a formulare previsioni su dove cercare per rispondere a queste domande»

Per saperne di più:


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Astronomiamo

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LocandinaCoelum_102019

LocandinaCoelum_102019

Webinar di Astronomia: The new Astronomy

100 anni di Relatività, con Italo Alfieri

Dal 17 ottobre: Beyond Oort con Stefano Capretti

Dal 24 ottobre: Astrofotografia con Valeriano Antonini e Amedeo Ferrante

Per info: https://www.astronomiamo.it

FOCUS LIVE TRENTO MUSE – MUSEO DELLE SCIENZE

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Con Guido Tonelli, uno dei padri del bosone di Higgs, parleremo del tempo nella fisica contemporanea. Con il neurobiologo Stefano Mancuso discuteremo del tempo e delle piante e ancora Paolo Legrenzi, Giorgio Vallortigara, Massimo Picozzi, Telmo PIevani e gli astronauti Maurizio Cheli e Umberto Guidoni, oltre a Walter Villadei, il prossimo italiano, dopo Luca Parmitano, in lista per la Stazione Spaziale Internazionale, e molti altri ospiti ancora.

SCOPRI IL PROGRAMMA SU WWW.FOCUSLIVE.IT
https://live.focus.it/trento/

Accademia delle Stelle

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2019-10 Coelum AdS

I due nuovi corsi di Astronomia
L’anno accademico della nostra Scuola di Astronomia si apre con due corsi, uno il lunedì, l’altro il giovedì, che dureranno fino a dicembre presso la nostra sede dell’EUR. Sconto per i lettori di Coelum (chiedere coupon a eventi@accademiadellestelle.org)

Da giovedì 17 ottobre: Come si osserva il cielo.

Corso base completo di astronomia pratica: tutte le competenze che servono per diventare astrofili! Con guida alla scelta del telescopio, tecniche osservative e fotografiche e lezioni pratiche sotto le stelle.

Per informazioni:
https://accademiadellestelle.org/
https://www.facebook.com/accademia.dellestelle

InSight. La talpa sta superando lo stallo?

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La NASA ha tentato di usare la paletta del suo braccio robotico per spingere la sonda, la cosiddetta talpa, verso la parete del buco, per toglierla dallo stallo. Sembra che il tentativo sia andato a buon fine. Crediti: Nasa/Jpl-Caltech
La NASA ha tentato di usare la paletta del suo braccio robotico per spingere la sonda, la cosiddetta talpa, verso la parete del buco, per toglierla dallo stallo. Sembra che il tentativo sia andato a buon fine. Cliccare sull'immagine se l'animazione non parte. Crediti: Nasa/Jpl-Caltech

Il team del lander InSight della NASA, la cui missione è esplorare l’interno del pianeta rosso, è impegnato da mesi a risolvere lo stallo dello strumento HP3 (Heat Flow and Physical Properties), chiamato affettuosamente la “talpa”. Una sonda che doveva penetrare nelle profondità del suolo marziano per misurare il calore proveniente dall’interno di Marte. La talpa però il 28 febbraio scorso, prima ancora di finire il primo tratto di percorso programmato, si è bloccata a 35 cm dei primi 50 cm per arrivare, passo dopo passo e misurazione dopo misurazione, ai 3 metri di profondità previsti.

Lo strumento non è stato ideato per poter essere estratto e posizionato in una diversa zona, ma per riuscire a spostare con il suo martellamento eventuali piccoli ostacoli che avesse trovato nel suo cammino. Il luogo di atterraggio del lander InSight è infatti stato scelto in modo da minimizzare la possibilità di incontrare grossi massi o rocce, e la posizione della sonda rispetto al lander in una precisa posizione a una distanza calcolata per minimizzare eventuali interferenze da InSight alla sonda.

Lo speciale con tutti i dettagli della missione su Coelum astronomia di dicembre 2018, in occasione dell'arrivo della sonda su Marte. In formato digitale e gratuito: clicca e leggi.
In questi mesi le strategie ipotizzate sono state varie. Inizialmente si è fatalmente pensato a una roccia troppo grossa per essere “spostata” o scalfita dal martellamento della talpa, cosa che avrebbe sancito la fine di almeno questa parte di missione (InSight ha altri strumenti al momento perfettamente funzionanti, vedi lo speciale missione su Coelum astronomia 228 InSight alla scoperta del cuore di Marte).

Dopo aver spostato con una delicatissima manovra la struttura di supporto della sonda, per avere una miglior visuale direttamente sul penetrometro e sul buco che si stava formando, alla fine del giugno scorso, si è capito che forse il problema poteva essere un altro.

È ancora possibile che la talpa abbia colpito una roccia, ma i test del DLR hanno suggerito che il problema potesse essere il terreno di scavo che, invece di collassare nel buco attorno alla talpa, è rimasto compatto.  Il meccanismo infatti ha bisogno dell’attrito del terreno circostante per scavare: senza attrito, il rinculo dovuto all’azione auto-martellante fa in modo che la talpa si ritrovi semplicemente a rimbalzare sul posto, impedendole di far forza e continuare il suo cammino. La fotocamera del braccio ha poi scoperto che, sotto la superficie, sembra che ci siano da 5 a 10 centimetri di “duricrust”, una specie di terreno cementato più spesso di quanto si sia mai trovato in ​​altre missioni, e diverso dal terreno per cui è stata progettata la talpa.

Una delle immagini che mostra con chiarezza il buco e le tracce dei tentativi, inefficaci, effettuati con la paletta per far collassare il terreno attorno alla sonda.
Si è tentato prima di far collassare e compattare il terreno attorno alla talpa usando la paletta del braccio robotico, facendo in modo da riempire il buco per darle maggior supporto e attrito. Sette tentativi non sono però stati sufficienti, la distanza a cui si trova il buco rispetto al corpo di Insight è infatti al limite della portata del braccio, che non ha sufficiente forza da compattare il terreno attorno al buco, come si fa solitamente quando si batte la sabbia con i piedi attorno al palo di un ombrellone per tenerlo ben fermo.

Gli ingegneri hanno quindi pensato a un diverso uso della paletta, chiamato “pinning”, un po’ come quando si tiene fermo il chiodo in posizione verticale per martellarlo meglio all’interno del muro se l’intonaco superficiale non tiene bene… «Proveremo a premere il lato della paletta contro la talpa, fissandola alla parete del suo buco», ha spiegato il vice PI di InSight Sue Smrekar, del Jet Propulsion Laboratory. «Questo potrebbe aumentare l’attrito abbastanza da farla avanzare quando la talpa riprenderà a martellare». Con questo tipo di manvora c’era anche l’intenzione di provare a raschiare del terreno superficiale per farlo cadere all’interno del buco.

A quanto pare questo tipo di strategia, messa in atto nelle settimane scorse, potrebbe aver funzionato. È di questa notte (10 ottobre) il twit dal controllo missione che da la buona notizia, anche se ora si è in attesa di ulteriori informazioni e dati  sui progressi ottenuti.

Questo genere di “missioni di salvataggio” in operazioni interplanetarie non è nuova per la NASA. Agire da remoto su di un pianeta lontano in situazioni, come in questo caso, in cui le uniche informazioni che abbiamo vengono da quello che ci mostrano le immagini non è banale, anche perché oltre alla mancanza di informazioni precise (in questo caso il tipo di terreno) non sempre è possibile portare in missione tutto quello che potrebbe servire ad ogni eventualità. Lo spazio e il peso in un viaggio interplanetario sono preziosi e costosi e spesso si devono sacrificare accorgimenti a favore di altri più essenziali per la buona riuscita della missione.
Ma in molti casi i team di ingegneri e scienziati sono riusciti con creatività e inventiva (oltre alle ovvie conoscenze tecniche) a risolvere numerosi problemi, che richiedono poi anche la capacità di pianificare nei dettagli i comandi che poi verranno inviati e “lasciati nelle mani robotiche” delle sonde senza la possibilità di eseguirli “in diretta” (ne abbiamo parlato anche, assieme alle basi della comunicazione con sonde e satelliti, in una serie di tre articoli di Stefano Capretti che trovate a questa pagina).


Di Anelli, Comete, Telescopi e Vapor d’Acqua
La prima cometa interstellare! Ma che età hanno gli anelli di Saturno? Leonardo precursore anche dell’invenzione del telescopio? Vapore acqueo trovato per la prima volta nell’atmsfera di una super-Terra e molto altro ancora su…

Coelum Astronomia di Ottobre 2019
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Nobel per la Fisica a cosmologia ed esopianeti

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Il Nobel 2019 per la Fisica è andato a tre scienziati che studiano l’universo. Due aspetti molti differenti dell’universo, però. Forse l’unica cosa che hanno in comune è che entrambi ridimensionano il nostro posto – la nostra unicità – nel cosmo.

Infografica sulla radiazione cosmica di fondo (cliccare per ingrandire). Crediti: nobelprize.org (trad. it. di Media Inaf)

Uno, il canadese James Peebles (84 anni), è un cosmologo. Il suo campo è l’universo intero, e il premio gli è stato assegnato per i suoi studi iniziai negli anni Sessanta: una struttura teorica che ha permesso l’evoluzione della cosmologia da pura scienza speculativa a scienza misurabile, anche sperimentalmente. Le sue intuizioni hanno contribuito in modo fondamentale al modello attuale, che descrive l’universo nato circa 14 miliardi di anni fa con il Big Bang. Un universo inizialmente caldissimo e densissimo, diventato poi sempre più grande e più freddo man mano che si espandeva. Circa 400mila anni dopo il Big Bang, per la prima volta l’universo divenne trasparente e i fotoni furono in grado di viaggiare attraverso lo spazio. Una radiazione antica che ancora oggi ci circonda e, codificata in essa, nasconde molti dei segreti del cosmo. Usando i suoi strumenti e calcoli teorici, Peebles è stato in grado di interpretare queste tracce, lasciate dai primi passi dell’universo bambino, e di scoprire nuovi processi fisici.

«È davvero un grande piacere apprendere che quest’anno il premio Nobel per la fisica è stato assegnato al  professor Peebles. I suoi studi fondamentali», dice a Media Inaf Carlo Burigana, dirigente di ricerca all’Inaf Ira di Bologna, «spaziano dalla cosmologia con il fondo cosmico a microonde, interpretandone le proprietà essenziali tra cui la temperatura a cui è osservato, a quella con la distribuzione delle galassie, la cosiddetta struttura su larga scala dell’universo, fino alla formazione ed evoluzione delle galassie stesse. Ritengo che chiunque si dedichi alla cosmologia e all’astrofisica e alla loro connessione con la fisica di base gli sia profondamente grato non solo per le sue profonde intuizioni ma anche per la sua grande capacità di insegnarle in modo chiaro ed ensusiasmante: i suoi libri sono stati per generazioni di studiosi preziosi strumenti di conoscenza. Penso che anche i grandi progetti di cosmologia, ai quali la comunità scientifica italiana ha e sta contribuendo in modo essenziale, abbiano tratto una notevole fonte di ispirazione dalle sue fondamentali lezioni».

Gli altri due, gli svizzeri Michel Mayor (77 anni) e Didier Queloz (53 anni), sono i planetologi che nell’ottobre del 1995 annunciarono la prima scoperta di un pianeta al di fuori del Sistema solare: l’esopianeta 51 Pegasi b, una palla gassosa paragonabile al più grande gigante gassoso del Sistema solare, Giove. Una scoperta, la loro, cha ha dato il via a una rivoluzione ancora in corso: da allora sono stati trovati, nella Via Lattea, oltre 4000 esopianeti. E il numero è in continua ascesa: vengono scoperti in continuazione nuovi mondi, mondi molti diversi dal nostro e molto diversi fra loro, mondi con un’incredibile varietà di dimensioni, forme e orbite. Mondi che sfidano le nostre idee preconcette sui sistemi planetari e stanno costringendo gli scienziati a rivedere le loro teorie sui processi fisici che stanno dietro le origini dei pianeti. Grazie ai numerosi progetti in programma per andare alla ricerca di nuovi esopianeti, potremo forse trovare una risposta all’annosa domanda se ci sia altra vita là fuori.

Infografica sul metodo della velocità radiale per la caccia agli esopianeti (cliccare per ingrandire). Crediti: nobelprize.org (trad. it. di Media Inaf)

«Meritatissimo il Nobel a Didier Queloz e Michel Mayor. La scoperta di 51 Peg b», ricorda Isabella Pagano, direttrice dell’Inaf – Osservatorio astrofisico di Catania, «annunciata al Cool Stars Meeting che si tenne a Firenze nell’ottobre del 1995, fu accolta quasi con freddezza dalla comunità scientifica del tempo, che invece sembrava più interessata alla prima osservazione di una stella nana bruna, annunciata nella stessa occasione. La scoperta di 51 Peg b in realtà era il risultato di una gara in atto tra Europa e Stati Uniti tra chi arrivasse per primo a fare misure di velocità radiale tanto precise da poter osservare il moto di una stella indotto da un pianeta. 51 Peg b, di massa simile a Giove, ma estremamente vicino alla propria stella, si è rivelato anche il primo dardo lanciato contro l’idea che il Sistema solare rappresentasse il tipico sistema planetario, con i pianeti piccoli e rocciosi nella parte interna e quelli grandi e gassosi lontano dalla stella. Oggi conosciamo oltre 4000 pianeti in oltre 3000 sistemi planetari, e quello che ci colpisce di più è la diversità di pianeti e di architetture dei sistemi planetari che abbiamo fino a oggi scoperto. Poco prima di Natale lanceremo Cheops, il piccolo satellite europeo per lo studio degli esopianeti. Il programma scientifico principale, il programma Gto, è coordinato da Didier Queloz».

I vincitori di quest’anno hanno trasformato le nostre idee sul cosmo. Mentre le scoperte teoriche di James Peebles hanno contribuito alla nostra comprensione di come si sia evoluto l’universo dopo il Big Bang, Michel Mayor e Didier Queloz hanno esplorato i nostri “vicinati” cosmici. Le loro scoperte hanno per sempre cambiato la nostra concezione del mondo.

«Un risultato grandioso che testimonia l’importanza dell’astrofisica moderna e il suo valore strategico per il futuro dell’umanità», commenta il presidente dell’Istituto nazionale di astrofisica Nichi D’Amico. «Si tratta di temi che riguardano l’attività del nostro Ente, e in cui siamo in prima linea sul fronte internazionale. In particolare lo studio degli esopianeti e la ricerca di tracce di vita in altri mondi vede alcuni dei nostri telescopi, come il Telescopio nazionale Galileo, il Large Binocular Telescope e, in futuro, l’Extremely Large Telescope, protagonisti in questo settore. Siamo coinvolti in importanti missioni spaziali pensate proprio per lo studio degli esopianeti, come Ariel, Cheops e Plato. E sempre dallo spazio, con la prossima missione Euclid potremo auspicabilmente dare importanti risposte a quello che resta da scoprire sulla composizione del nostro universo, ovvero su quel 95 percento che ancora non conosciamo».


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7° edizione del Festival dell’Innovazione e della Scienza

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Dopo il successo delle scorse edizioni, torna il consueto appuntamento con il Festival dell’Innovazione e della Scienza che si terrà nella città di Settimo Torinese e nei comuni limitrofi (Collegno, Grugliasco, Moncalieri, Nichelino, Rivoli, San Mauro Torinese, Pino Torinese) dal 12 al 20 ottobre.
Giunta alla settima edizione, quest’anno la manifestazione affronterà il tema del TEMPO nelle sue varie declinazioni. Dalla scienza alla musica, dall’arte alla letteratura: il tutto attraverso workshop, conferenze e laboratori.
Non mancheranno ospiti illustri che ci aiuteranno a divulgare in maniera coinvolgente e divertente temi di carattere scientifico e non solo, coinvolgendo le scuole, le industrie e le start-up.

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