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Luna e Marte, dal tramonto all’alba, con occultazione diurna!

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5 settembre, ore 22:30

Volgendo il nostro sguardo verso oriente, la sera del 5 settembre, alle ore 22:30 circa, potremo ammirare facilmente una bella congiunzione tra la Luna (fase dell’88%) e il pianeta Marte (mag. –1,9). Quest’ultimo ci apparirà, a occhio nudo, come una stella piuttosto brillante e di colore spiccatamente arancione. Sarà molto bello osservare questa congiunzione, a una altezza di circa 10° sull’orizzonte est, con i due astri che saranno separati di circa 3° 40’. Si tratta di un’ottima occasione per immortalare la coppia in fotografie di paesaggio che comprendano anche elementi naturali, alberi, montagne o colline, o architettonici.
Non finisce qui però! La coppia, con il passare delle ore si stringerà in un abbraccio davvero appassionato!

6 settembre, ore 6:00

Dopo aver “viaggiato” l’intera notte lungo la volta celeste, la Luna e Marte, già in congiunzione dalla sera precedente, ora sono strettamente abbracciati, distanti tra loro appena 51’. Sarà una delizia osservare la coppia in cielo, così appaiati, alti circa 45° sull’orizzonte di sudovest. La luminosità del nostro satellite naturale sarà abbagliante (fase dell’86%) e tenderà a prevaricare quella del Pianeta Rosso. l’osservazione binoculare dell’evento sarà sicuramente appagante.

Per la verità, proseguendo nelle osservazioni, la Luna si avvicinerà ancora di più a Marte, raggiungendo appena i 31’ alle ore 6:50, quando però il cielo sarà troppo chiaro, illuminato dalla luce del Sole sorto da poco (6:42).

L’occultazione, ore 6:50

Spingendosi ancora oltre, per chi vorrà cimentarsi in un’osservazione in diurna, segnaliamo che la Luna, se osservata dalle regioni meridionali della penisola italiana, occulterà Marte.
Nella mappa le linee bianche mostrano il percorso apparente seguito da Marte durante l’occultazione da parte della Luna. Le linee sono riferite alle diverse località riportate nella grafica. Ricordiamo che per la grafica è stato utilizzato un sistema di riferimento equatoriale.


La tabella mostra gli orari di ingresso e uscita di Marte, occultato dalla Luna, per alcune delle principali località del sud Italia. Suggeriamo di utilizzare un planetario per il calcolo degli orari precisi per la propria località di osservazione. È sempre bene anticipare di qualche minuto le osservazioni rispetto agli orari indicati.



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Virgo e LIGO svelano nuove e inattese popolazioni di buchi neri

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Infografica dell’evento (cliccare per ingrandire). Crediti: Ego/Virgo
Interpretazione artistica della fusione della coppia di buchi neri che ha dato origine a GW190521. Lo spazio-tempo, rappresentato da un tessuto su cui è stampata un'immagine del cosmo, viene distorto dal segnale GW190521. Le mini-griglie in turchese ed arancione rappresentano gli effetti di trascinamento dovuti alla rotazione di ciascun buco nero. La stima degli assi di spin (la rotazione intorno al proprio asse) dei due buchi neri è indicata dalle frecce colorate corrispondenti. Lo sfondo suggerisce un ammasso stellare, uno dei possibili ambienti in cui GW190521 può avere avuto luogo. Crediti Raúl Rubio / Virgo Valencia Group / The Virgo Collaboration.

Si trova in una regione di massa entro cui non è mai stato osservato prima un buco nero, né con onde gravitazionali né con osservazioni elettromagnetiche, e potrebbe servire a spiegare la formazione dei buchi neri supermassicci. Inoltre, il componente più pesante del sistema binario iniziale si trova in un intervallo di massa proibito dalla teoria dell’evoluzione stellare e rappresenta una sfida per la nostra comprensione degli stadi finali della vita delle stelle massicce.
Gi scienziati delle collaborazioni internazionali che sviluppano e utilizzano i rivelatori Advanced Virgo presso lo European Gravitational Observatory (EGO) in Italia e i due Advanced LIGO negli Stati Uniti hanno annunciato l’osservazione di un buco nero di circa 142 masse solari, che è il risultato finale della fusione di due buchi neri di 66 e 85 masse solari.

Infografica dell’evento (cliccare per ingrandire). Crediti: Ego/Virgo
I componenti primari e il buco nero finale si trovano tutti in un intervallo di massa mai visto prima, né con onde gravitazionali né con osservazioni elettromagnetiche. Il buco nero finale è il più massiccio rivelato finora per mezzo di onde gravitazionali.

L’evento di onda gravitazionale è stato osservato dai tre interferometri della rete globale il 21 maggio 2019. Il segnale (chiamato GW190521) è stato analizzato dagli scienziati. I due articoli scientifici che riportano la scoperta e le sue implicazioni astrofisiche sono stati pubblicati il 2 settembre su Physical Review Letters e Astrophysical Journal Letters, rispettivamente.
«Il segnale osservato il 21 maggio dello scorso anno è molto complesso e, dal momento che il sistema è così massiccio, lo abbiamo osservato per un tempo molto breve, circa 0,1 s», dice Nelson Christensen, directeur de recherche CNRS presso ARTEMIS a Nizza in Francia e membro della Collaborazione Virgo. «Non assomiglia molto a un sibilo che cresce rapidamente in frequenza, che è il tipo di segnale che osserviamo di solito: assomiglia piuttosto a uno scoppio, e corrisponde alla massa più alta mai osservata da LIGO e Virgo».

Effettivamente, l’analisi del segnale – basata su una potente combinazione di modernissimi modelli fisici e di metodi di calcolo – ha rivelato una gran quantità di informazione su diversi stadi di questa fusione davvero unica.
Questa scoperta è senza precedenti non solo perché stabilisce il record di massa tra tutte le osservazioni fatte finora da Virgo e LIGO ma anche perché possiede altre caratteristiche speciali. Un aspetto cruciale, che ha attratto in particolare l’attenzione degli astrofisici, è che il residuo finale appartiene alla classe dei cosiddetti “buchi neri di massa intermedia” (da cento a centomila masse solari). L’interesse verso questa popolazione di buchi neri è collegato a uno degli enigmi più affascinanti e intriganti per astrofisici e cosmologi: l’origine dei buchi neri supermassicci. Questi mostri giganteschi, milioni di volte più pesanti del Sole e spesso al centro delle galassie, potrebbero essere il risultato della fusione di buchi neri di massa intermedia.
Fino ad oggi, pochissimi esempi di questa categoria sono stati identificati unicamente per mezzo di osservazioni elettromagnetiche, e il residuo finale di GW190521 è la prima osservazione di questo genere per mezzo di onde gravitazionali. Ed è di interesse ancora maggiore, visto che si trova nella regione tra 100 e 1000 masse solari, che ha rappresentato per molti anni una specie di “deserto dei buchi neri”, a causa della scarsità di osservazioni in questo intervallo di massa.

Per saperne di più:

Guarda il servizio video su MediaInaf Tv:


Meraviglie del cielo!

La cometa C/2020 F3 NEOWISE, il ritorno di Mira la “stella con la coda”, diario dai cieli incontaminati di Atacama, ma anche astroinformatica e astroparticelle.
Tutto il cielo da rivedere, osservare e scoprire!

Coelum Astronomia di Settembre 2020
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Museo Nazionale Scienza e Tecnologia Leonardo Da Vinci – Milano

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Il Museo Nazionale Scienza e Tecnologia Leonardo da Vinci continua ad arricchire la sua offerta di visite digitali, pubblicando ogni mercoledì una nuova puntata della serie La scoperta del Cielo, il podcast, suddiviso in 16 puntate, dedicato alla scoperta dei segreti dello Spazio. Guidati dal curatore del Museo Luca Reduzzi, tutti gli appassionati potranno ascoltare alcune delle più belle storie di Astronomia e Spazio partendo dalle esposizioni del Museo per arrivare nelle profondità dell’Universo, passando da globi e telescopi, lanciatori e satelliti, dalle missioni Apollo sulla Luna e addirittura dai marziani. Le puntate podcast sono disponibili al seguente link https://www.museoscienza.org/it/ podcast/la-scoperta-del-cielo e sulle più comuni piattaforme digitali. Le pubblicazioni proseguiranno con cadenza regolare ogni mercoledì.
Fino al 6 settembre, sarà inoltre possibile accedere al Museo per visitare la sezione Spazio e Astronomia, che presenta affascinanti oggetti originali e inediti, esperienze interattive, approfondimenti e curiosità.
Il Museo è aperto con i seguenti orari: Giovedì: dalle ore 15 alle 21, Sabato e domenica: dalle ore 10 alle 19
Per prenotare il tuo ingresso, acquista on line il biglietto selezionando data e orario. Se sei in possesso di una membership card o sei titolare di un abbonamento contattaci al 02/48 555 330 (lunedì – venerdì dalle 11.00 alle 13.00 e dalle 15.00 alle 17.00) o a accoglienza@museoscienza.it
Per evitare assembramenti, è importante presentarsi puntuali. L’ultima visita è possibile un’ora prima della chiusura del Museo e non è previsto un tempo massimo di permanenza.
www.museoscienza.org/it

GAL Hassin 2020

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GAL-Hassin_2020

GAL-Hassin_2020
LA PARTECIPAZIONE E’ SU INVITO PER MOTIVI DI EMERGENZA SANITARIA. CHI E’ INTERESSATO, PUO’ PARTECIPARE ALLA CONFERENZA PUBBLICA DEL PREMIO NOBEL MICHEL MAYOR CHE SI TIENE IL 7 SETTEMBRE A CASTELBUONO.

VENERDI’ 4 SETTEMBRE

ore 17:30
I due GRT: gemelli diversi alla ricerca di asteroidi, comete, pianeti extrasolari
Carmelo Falco, Alessandro Nastasi, Luciana Ziino, Dario Cricchio

Il grande campo del Mufara Telescope (WMT) per la scoperta e lo studio di asteroidi e comete come battistrada del Fly Eye NEOSTEL
Mario Di Martino, Roberto Battiston, Lorenzo Cibin, Roberto Ragazzoni, Giovanni ValsecchI

SABATO 5 SETTEMBRE

ore 10:00
Incontro con il Premio Nobel Michel Mayor: l’epoca straordinaria dei pianeti extrasolari
Michel Mayor, Roberto Battiston, Nicolò D’Amico, Giuseppina Micela, Isabella Pagano

ore 17:00
Plurality of worlds in the Cosmos: A dream of antiquity, a Modern reality of Astrophysics
Michel Mayor, Premio Nobel per la Fisica 2019
Interventi di Giuseppe Mogavero – Giovanni Valsecchi – Sabrina Masiero

Interventi al pianoforte di Alessandra Macellaro La Franca

Nel corso dell’evento verrà consegnato il PREMIO GAL HASSIN 2020

Roberto Battiston, già Presidente Agenzia Spaziale Italiana. Università di Trento
Lorenzo Cibin, Flyeye Project Manager, OHB Italia
Dario Cricchio, Fisico Fondazione GAL Hassin
Nicolò D’Amico, Presidente Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF)
Mario Di Martino, Astrofisico INAF – Osservatorio Astrofisico di Torino
Carmelo Falco, Fisico
Sabrina Masiero, Astrofisica Fondazione GAL Hassin
Giuseppina Micela, Astrofisica INAF – Osservatorio Astronomico di Palermo
Giuseppe Mogavero, Presidente Fondazione GAL Hassin
Alessandro Nastasi, Astrofisico Fondazione GAL Hassin
Isabella Pagano, Direttore INAF – Osservatorio Astrofisico di Catania
Roberto Ragazzoni, Direttore INAF – Osservatorio Astronomico di Padova
Andrea Santangelo, Astrofisico, Istituto di Astronomia e Astrofisica Università di Tübingen
Giovanni Valsecchi, Astrofisico, Istituto di Astrofisica e Planetologia Spaziali IAPS – INAF, Roma
Luciana Ziino, Astrofisica Fondazione GAL Hassin.

Il Cielo di Settembre 2020

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La cartina mostra l'aspetto del cielo alle ore (TMEC): 1 Set > 23:00; 15 Set > 22:00; 30 Set > 21:00. Crediti Coelum Astronomia CC-BY

EFFEMERIDI

Luna

Sole e Pianeti

Le brillanti stelle Altair, (mag. +0,75), Deneb (mag. +1,25) e Vega (mag. 0) le lucide rispettivamente delle costellazioni di Aquila, Cigno e Lira, splendono luminose lungo l’argentea scia della Via Lattea estiva, anche se ormai le costellazioni di maggiore declinazione, tipiche della stagione più calda, cominceranno a cedere il passo a quelle che prenderanno la scena nel periodo autunnale, Andromeda e Pegaso per primi.

➜ continua sul Cielo di Settembre 2020

e approfondisci con il Cielo di settembre con la UAI: gli antichi soli rossi di Pegaso

COSA OFFRE IL CIELO

Marte si avvicina sempre più, e sempre lentamente, alla sua opposizione di ottobre, sorgendo già in prima serata  e restando visibile per tutta la notte, facendo compagnia, anche se in un altro settore di cielo, ai due giganti gassosi Giove e Saturno. Pur allontanandosi dai giorni della loro opposizione, sono infatti ancora ottimamente visibili nella prima parte della notte.

Venere resta ancora il protagonista del mattino, anche se sta velocemente abbandonando la sua posizione per avvicinarsi al Sole (e ce ne accorgeremo in ottobre).

Mercurio dovremo invece attenderlo al tramonto, ma con sempre minor difficoltà nel corso del mese, mentre si avvicina alla sua massima elongazione del primo ottobre.

Per i pianeti più lontani, Urano e Nettuno, ricordiamo che per osservarli è necessario uno strumento, ma saranno a nostra disposizione tutta la notte, con Nettuno che raggiunge la sua opposizione con il Sole (poco utile per noi osservatori, ma tant’è!).

Niente pianeti nani per questo mese, mentre tante opposizioni asteoroidali i cui dettagli trovate come sempre su

➜  il Cielo di Settembre all’interno del nuovo numero (sempre in formato digitale e gratuito).


La Luna occulta Marte

Non per tutti, purtroppo, ma la mattina del 6 settembre, per chi abita nelle regioni meridionali della penisola italiana, sarà possibile osservare una bella occultazione di Marte (mag –1,9) da parte della Luna (fase dell’86%). Per il resto d’Italia sarà comunque una bella congiunzione, da seguire fin dalla sera prima, non perdete dunque nei prossimi giorni l’articolo dedicato, che potete come sempre leggere gratuitamente in anticipo nella rivista:

Una notte intera con Luna e Marte e gran finale con occultazione

Per quanto riguardainvece l’altro aspetto della Luna, con la sua luce cinerea e le sottili falci l’appuntamento è nella seconda parte della notte e prima dell’alba dal 14 al 16 settembre e, dopo il Novilunio, la sera dal 18 al 20 settembre. Segnaliamo che la sera del 18 settembre sarà accompagnata da Mercurio, mentre trovate come sempre le principali formazioni da osservare nella sezione dedicata a cura di Francesco Badalotti.

Continua l’esplorazione delle formazioni lunari nell’arco del mese con La Luna di Settembre.

E ancora su Coelum astronomia 247

Neowise, la Grande Cometa del 2020 lo speciale dedicato alla protagonista dell’estate, dai racconti alle immagini, fino alle indicazioni per un ultimo saluto.

➜ Leggi le indicazioni di Giuseppe Petricca sui principali passaggi della ISS con una serie di transiti serali a metà mese da non perdere!

➜ Supernovae: una supernova in M 85

e il Calendario di tutti gli eventi di settembre 2020, giorno per giorno con l’immagine di fondo dedicata allla “Nebulosa farfalla in technicolor”.

Hai compiuto un’osservazione? Condividi le tue impressioni, mandaci i tuoi report osservativi o un breve commento sui fenomeni osservati: puoi scriverci a segreteria@coelum.com. E se hai scattato qualche fotografia agli eventi segnalati, carica le tue foto in PhotoCoelum!


Tutti i consigli per l’osservazione del Cielo di Settembre su Coelum Astronomia 247

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Astronomiamo

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Loc-CoelumSettembre2020

Loc-CoelumSettembre2020Corsi di Astronomia per i soci per la stagione 2020/2021

Guida alla conoscenza del cielo, Guida alla ripresa fotografica del cielo, Quattro corsi tenuti da professionisti dell’Astronomia:

Galassie e AGN: Ivan Del Vecchio

Analisi del Segnale per la detection di onde gravitazionali: Pia Astone

Atmosfere Planetarie: Arianna Piccialli

Espansione dell’Universo: Enrico Trincherini

Tutte le informazioni su https://www.astronomiamo.it

Accademia delle Stelle

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Accademia delle Stelle

Accademia delle StelleCorsi online! Riprendono a settembre, dal vivo e su piattaforma telematica

Si potranno seguire comodamente da casa e, se si perde la diretta, le lezioni saranno online a disposizione dei corsisti. Iscrizioni e riduzioni sul sito.

Astronomia pratica: Come si osserva il cielo, telescopi, binocoli, fotografia, montature e astroinseguitori, accessori e app per astronomia.
Astronomia sorprendente: Aneddoti storici, scoperte inaspettate, i colori degli astri, i record dell’universo, fotometeore, buchi neri e onde gravitazionali
Archeoastronomia: Monumenti allineati alle stelle, astronomia in letteratura, musica, arte, mito. Simboli e numeri celesti, astronomia antica e costellazioni

Per informazioni:
https://www.facebook.com/accademia.dellestelle
https://accademiadellestelle.org/

Associazione Tuscolana di Astronomia

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Per partecipare all’evento compilare il modulo al link presente nella pagina di ogni singolo evento. Gli incontri si terranno presso il Parco Astronomico “Livio Gratton”, Via Lazio, 14 – Rocca di Papa (Roma)

04.09, ore 20:15 e 21:30: Guarda allo Spazio, pensa alla Terra
11.09, ore 20:15 e 21:30: 26 aprile 1920, il grande dibattito pubblico sulla Scala dell’Universo
18.09, ore 20:15 e 21:30: Il cielo del mese al Planetario
19.09, ore 19:00 e 19:30: Night Star Walk
26.09, ore 20:15 e 21:30: Notte della Luna
Consulta il sito web www.ataonweb.it/wp/eventi per maggiori informazioni

ESOF 2020

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ESOF e

ESOF e

ESOF2020 si svolgerà dal 2 al 6 settembre con diverse sessioni davvero interessanti, con ovviamente una grande attenzione al tema COVID.
Oltre al Forum, una conferenza interdisciplinare paneuropea che, con cadenza biennale, riunisce circa 5000 tra ricercatori, educatori, imprenditori, amministratori pubblici, attivisti e giornalisti provenienti da tutto il mondo, si svolge un festival sul territorio denominato Science and City Festival che accompagna ESOF prima, durante e dopo la manifestazione (iniziato a luglio e in programma fino ad autunno inoltrato). All’interno del Festival più di 150 eventi tra mostre, laboratori, concerti, science show e spettacoli teatrali, dedicati a persone di tutte le età curiose di scienza e tecnologia. Gli eventi, sia online che in presenza richiedono la registrazione.

In particolare, segnaliamo all’interno del Forum un panel organizzato dalla SISSA dal titolo Into the Era of Gravitational Wave Astrophysics: L’Institute for Fundamental Physics of the Universe di Trieste, insieme ai quattro partner fondatori SISSA, INAF, ICTP e INFN, propone un incontro per discutere le scoperte e le sfide di questa ricerca scientifica, con figure di spicco di questo emozionante panorama sperimentale. Sarà presente Marica Branchesi, inserita prima da Nature nella top ten dei personaggi scientifici mondiale del 2017 e poi tra le 100 persone più influenti al mondo da Time nel 2019.

Nei siti di riferimento i rispettivi programmi:
www.esof.eu
scienceinthecity2020.eu

Nella spirale della Neowise

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La rotazione di Neowise mostrata attraverso una sequenza ripetuta di otto immagini ottenute dal telescopio Gemini North. Le immagini risalgono al primo agosto 2020 e sono state acquisite con lo spettrografo multioggetto Gemini in un periodo di 1,5 ore. Crediti: International Gemini Observatory / NoirLab/ Nsf/ Aura / M. Drahus / P. Guzik / J. Pollard
La rotazione di Neowise mostrata attraverso una sequenza ripetuta di otto immagini ottenute dal telescopio Gemini North. Le immagini risalgono al primo agosto 2020 e sono state acquisite con lo spettrografo multioggetto Gemini in un periodo di 1,5 ore. Crediti: International Gemini Observatory / NoirLab/ Nsf/ Aura / M. Drahus / P. Guzik / J. Pollard

Nei nuclei delle comete l’attività di sublimazione degli elementi volatili – per lo più ghiaccio d’acqua – è all’origine della formazione della chioma e delle code che questi corpi celesti mostrano. L’attività cometaria però non avviene in modo uniforme: nel nucleo ci sono zone dove il processo di sublimazione è più intenso. Un esempio classico è quello della cometa di Halley: nel 1986 la sonda dell’Esa Giotto ha mostrato l’esistenza di zone ad alta attività sul nucleo, caratterizzate dall’emissione di imponenti getti di gas e polveri diretti verso il Sole. A causa della rotazione del nucleo i getti diventano inattivi – o riducono fortemente la propria attività – una volta che si vengono a trovare nell’emisfero notturno e riprendono a pieno regime quando ritornano nell’emisfero diurno. Anche la cometa Neowise (C/2020 F3), recentemente passata al perielio e rimasta visibile a occhio nudo per tutto il mese di luglio non sfugge a questa “regola”. Sappiamo che il nucleo di questa cometa ha un diametro di circa 5 km, ma per rilevare l’eventuale esistenza di zone ad alta attività sul nucleo – che resta invisibile anche ai più grandi telescopi – sono necessarie sequenze prolungate di immagini in alta risoluzione in grado di mettere in evidenza i getti di gas e polveri prima che si disperdano a formare la chioma della cometa.

L’impresa è riuscita – fra gli altri – a due astronomi polacchi, Michal DrahusPiotr Guzik dell’Università Jagellonica di Cracovia, che per le loro osservazioni hanno avuto accesso al telescopio Gemini North (del diametro di 8 metri), sito sul Maunakea, nelle Hawaii. Insieme ai colleghi del loro team, i due astronomi hanno ripreso immagini del nucleo della Neowise dal 28 luglio al 10 agosto. La sequenza di immagini della figura qui sotto mostra i getti di gas che, muovendosi secondo una traiettoria a spirale, stanno lasciando il nucleo. L’evoluzione temporale dei getti – di cui si può vedere una animazione nel video qui sopra – ha permesso di stimare il periodo di rotazione del nucleo, pari a 7,58 ore con un’incertezza di più o meno 2 minuti. Questo valore è coerente con quanto stimato in precedenza da altri osservatori. Il risultato sul periodo di rotazione del nucleo è stato comunicato alla comunità con l‘ATel #13945, cui seguirà l’articolo scientifico vero e proprio. Si tratta di un risultato molto interessante perché sono pochi i nuclei cometari di cui si conosce il periodo, ottenuto senza poter vedere direttamente il nucleo. Cerchiamo di capire come si forma la struttura a spirale che caratterizza la parte interna della chioma della Neowise.

Immagini della cometa Neowise ottenute con il telescopio Gemini North, che si trova sul Maunakea (Hawaii), nella notte del 1 agosto 2020. Questa sequenza è stata ottenuta utilizzando il Gemini Multi-Object Spectrograph con un filtro a 468 nm e migliorata digitalmente utilizzando un algoritmo dedicato. Il campo di vista è di 2 minuti d’arco (cliccare per ingrandire). Crediti: International Gemini Observatory / NoirLab/ Nsf/ Aura / M. Drahus / P. Guzik / J. Pollard

In generale, la maggior parte del materiale di un getto di gas e polveri si espande radialmente dalla superficie del nucleo e l’aspetto di queste strutture nella chioma dipende fortemente sia dalla geometria di vista dell’osservatore sia dallo stato di rotazione del nucleo. La sorgente di un getto che si trova a una data latitudine spazzerà un cono di rotazione, con asse coincidente con quello di rotazione del nucleo. Se la Terra si trova direttamente sull’asse di questo cono, le strutture che si osservano hanno l’aspetto di una spirale di Archimede, ossia una spirale in cui la distanza fra bracci successivi resta costante. L’effetto, per certi versi, è simile a quello che si ottiene quando si mette in funzione un irrigatore rotante da giardino.

La spirale attorno al nucleo sarà completa se la sorgente è sempre attiva, oppure consisterà di una serie di archi concentrici se la sorgente è resa inattiva dal passaggio nell’emisfero notturno. Se la Terra si trova al di fuori dell’asse del cono, allora il getto in uscita dal nucleo sembrerà oscillare avanti e indietro, oppure si potrà formare una struttura radiale a ventaglio. Delle strutture radiali nella chioma possono formarsi anche quando i getti si trovano su un nucleo in lenta rotazione su se stesso, o se la regione attiva è vicina al polo di rotazione. Come si vede, lo studio dei getti emessi dal nucleo permette di avere delle informazioni fisiche sul nucleo difficilmente ottenibili altrimenti.

Nel caso della Neowise la struttura a spirale fa pensare che l’asse di rotazione, nel periodo delle osservazioni, puntasse più o meno verso l’osservatore e che la sorgente sia sempre rimasta attiva, almeno per quanto riguarda l’emissione di gas che è la componente studiata al telescopio Gemini North. Una struttura dei getti molto simile fu mostrata anche dalla cometa Hale-Bopp, visibile nei nostri cieli nel biennio 1996-1997.

Guarda l’animazione sul canale YouTube del NoirLab:


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La cometa C/2020 F3 NEOWISE, il ritorno di Mira la “stella con la coda”, diario dai cieli incontaminati di Atacama, ma anche astroinformatica e astroparticelle.
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Fisica Fantastica e dove trovarla

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Fisica fantastica e dove trovarla

Fisica fantastica e dove trovarlaUn inedito viaggio alla scoperta della fisica fantastica: sull’account Instagram dell’INFN (@infn_insights) dal 3 al 30 agosto sveleremo i segreti della fisica che si celano dietro a 4 film fantastici. Lo faremo con un serie di storie interattive, ricche di immagini, contenuti multimediali ma soprattutto di video in cui i ricercatori dell’INFN raccontano quanto di vero o realizzabile c’è nei film di fantascienza. Parleremo di teletrasporto, viaggi alla velocità della luce, motori ad antimateria, prevedere il futuro, macchine del tempo, ma anche di tecniche per studiare il cervello e di fusione e fissione nucleare. Tutto questo a partire da due serie di film, Star Trek e Ritorno al Futuro, e due film, The Prestige e Arrival.
Per partire per questo viaggio, basta seguire giornalmente le storie dell’account Instagram INFN.
Fisica Fantastica è un progetto dell’Ufficio Comunicazione INFN, realizzato da Diego Tonini, studente del Master in Comunicazione delle Scienze dell’Università di Padova che ha svolto il tirocinio formativo all’INFN, in collaborazione con Francesca Mazzotta e Francesca Cuicchio e con la supervisione scientifica di di Marco Casolino (INFN Roma 2).
GUARDA IL TRAILERVedi il sito INFN

Gruppo Astronomia Digitale

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Tutti gli eventi si terranno alle ore 21:15
27.08: La notte della Luna. Conferenza divulgativa sulla Luna e osservazioni con i telescopi del GAD (visibili Giove, Saturno, e altri oggetti del cielo estivo). Presso il Castello di Riomaggiore

16.09: Al di là della Luna. Osservazioni con i telescopi del GAD (visibili Giove, Saturno, e altri oggetti del cielo estivo). Presso Località Zorza – Riomaggiore
Per maggiori informazioni consultare il sito web www.astronomiadigitale.com

Associazione Tuscolana di Astronomia

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Per partecipare all’evento compilare il modulo al link presente nella pagina di ogni singolo evento
Gli incontri si terranno presso il Parco Astronomico “Livio Gratton”, Via Lazio, 14 – Rocca di Papa (Roma)

07.08 ore 20:15 – Il cielo del mese al Planetario
12.08 ore 20:15 – Serata speciale UAI “Serata Perseidi”
21.08 ore 20:15 – Stelle in famiglia dedicato ai bambini. Al termine della conferenza osservazioni al telescopio degli oggetti celesti visibili
22.08 ore 19:30 – Night Star Walk
28.08 ore 20:15 – Il cielo del mese al Planetario

Consulta il sito web www.ataonweb.it/wp/eventi per maggiori informazioni

Hubble riprende la cometa dell’estate

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Nel riquadro il primo piano della coma della cometa Neowise ripresa dal telescopio spaziale Hubble. È la prima volta che Hubble fotografa una cometa di questa luminosità e a tale risoluzione dopo il suo perielio. L'immagine di fondo è stata ripresa invece da Terra, il 16 luglio scorso, da Zoltan G. Levay, dall'emisfero nord. Credits: NASA, ESA, STScI, Q. Zhang (Caltech); immagine da terra copyright © 2020 by Zoltan G. Levay, used with permission
Nel riquadro il primo piano della coma della cometa Neowise ripresa dal telescopio spaziale Hubble. È la prima volta che Hubble fotografa una cometa di questa luminosità e a tale risoluzione dopo il suo perielio. L'immagine di fondo è stata ripresa invece da Terra, il 16 luglio scorso, da Zoltan G. Levay, dall'emisfero nord. Credits: NASA, ESA, STScI, Q. Zhang (Caltech); immagine da terra copyright © 2020 by Zoltan G. Levay, used with permission

Eccola nel riquadro, la bellissima chioma della cometa Neowise. Inutile dire che nel prossimo numero di Coelum Astronomia (in uscita tra un paio di giorni, il 26 agosto) troverete un corposo report e una selezione delle tantissime magnifiche immagini che ci avete inviato e caricato nella piattaforma PhotoCoelum. Erano davvero tante… non ce ne vogliano gli esclusi, questo mese è stata una difficile scelta (erano DAVVERO tante). Ma sono tutte lì, sulla piattaforma a disposizione di tutti!

Credits: NASA, ESA, A. Pagan (STScI), and Q. Zhang (Caltech)

Dicevamo… eccola, spogliata della lunga coda che attira l’attenzione, la coma, la chioma della cometa, l’involucro nebuloso fatto di polveri e gas che circonda il nucleo roccioso e ghiacciato di questi affascinanti oggetti.

L’immagine è la prima ripresa fatta dal telescopio spaziale a una cometa così brillante e così da vicino, dopo il suo passaggio al perielio, raggiunto il 3 luglio a una distanza di 43 milioni di chilometri dal Sole, nel pieno della sua attività. La chioma della Neowise è stata stimata essere attorno a 18 mila chilometri di ampiezza (mediamente), e i ricercatori utilizzeranno queste immagini per determinare la natura e la composizione delle polveri, anche per capire come il calore del Sole, nel suo recente passaggio (il prossimo tra 7 mila anni!), può averne cambiato le proprietà.

«Hubble ha una risoluzione di gran lunga migliore di quella che possiamo ottenere con qualsiasi altro telescopio di questa cometa», spiega il ricercatore capo Qicheng Zhang della Caltech di Pasadena, California. «Questa risoluzione è la chiave per vedere dettagli molto vicini al nucleo. Ci permette di vedere i cambiamenti nella polvere subito dopo che è stata strappata da quel nucleo a causa del calore solare, permettendoci di campionare la polvere il più vicino possibile alle proprietà originali della cometa».

Avere la possibilità di studiare una polvere di cometa così vicina alle sue proprietà originali aiuta anche gli astronomi a comprendere meglio le condizioni del Sistema Solare in cui si è formata.

Anche se in questa immagine non è possibile vederlo, il nucleo sembra aver superato l’avvicinamento al calore del Sole – che spesso invece a causa di sollecitazioni termiche e gravitazionali in incontri così ravvicinati, arrivando a spezzare o dissolvere i nuclei ghiacciati delle comete (basta pensare alle altre due promesse di quest’anno, la ATLAS e la SWAN) – e i ricercatori hanno stimato che le sue dimensioni dovrebbero essere attorno ai 4,8 chilometri di raggio.

Quelli che invece si vedono chiaramente sono due coni d’ombra, che sembrano disperdere la grande chioma. Si tratta in effetti di due getti di polvere e gas, espulsi in direzioni opposte, dovute alla sublimazione del ghiaccio in superficie che ha “liberato” delle sacche di gas, lanciandole ad alta velocità nello spazio. La rotazione del nucleo poi gli ha datto la forma a ventaglio che vediamo. Gas e polveri che poi andranno a formare la lunga coda. Nel video qui sotto la rotazione mette in evidenza queste due strutture.

La cometa, considerata la cometa visibile più luminosa dell’emisfero settentrionale dopo la Hale Bopp, del 1997, ora si sta allontanando a una velocità di 230 mila chilometri all’ora, e tornerà solo tra 7000 anni. Puntate le sveglie…



La Luna raggiunge di nuovo la coppia di giganti gassosi

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Agosto si conclude come era iniziato, con una bella congiunzione su due giorni che vede coinvolti la Luna, Giove e Saturno.

Valgono ovviamente gli stessi consigli dati per l’osservazione della congiunzione di inizio mese, anche se, inevitabilmente, variano le posizioni reciproche degli astri, così come la posizione rispetto all’orizzonte delle stelle di sfondo.

In particolare, guardando verso sud, la sera del 28 agosto alle ore 21:00, vedremo la Luna (fase dell’82%) posizionarsi a 3° 50’ a sudovest di Giove (mag. –2,6). I due astri saranno alti più di 22° sull’orizzonte.

Il giorno seguente, il 29 agosto alla medesima ora, la Luna (fase dell’88%) si sarà spostata per raggiungere e superare Saturno (mag. +0,3), ponendosi a circa 3° a sud del pianeta.

Si tratta di una classica congiunzione tra Luna e pianeti, sempre interessante da osservare. Se a inizio mese vi siete dedicati alla fotografia della prima congiunzione, riprendendo
quell’immagine potrete ora apprezzare la netta variazione di posizione dei due pianeti, ovviamente con riferimento alle stelle dello sfondo. Da notare che, in particolare, non sarà
ancora evidente l’appropinquarsi di Saturno a Giove, visto che dovremo attendere l’inversione del loro moto (in settembre) per vedere i due pianeti avvicinarsi reciprocamente, un
avvicinamento che si farà via via più marcato nei prossimi mesi e sfocerà nella “grande congiunzione” di fine anno, in dicembre.

➜ I pianeti arricchiscono la Via Lattea Giove e Saturno in opposizione ci permettono di rivisitare le nostre riprese della Via Lattea estiva, ecco gli spunti di Giorgia Hofer.

Le effemeridi di Luna e Pianeti le trovi nel Cielo di Agosto 2020 su coelum.com


Meraviglie del cielo!

La cometa C/2020 F3 NEOWISE, il ritorno di Mira la “stella con la coda”, diario dai cieli incontaminati di Atacama, ma anche astroinformatica e astroparticelle.
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Coelum Astronomia di Settembre 2020
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Va’ dove ti porta il rover

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Le distanze percorse dai rover extraterrestri al febbraio 2019. Quelli marziani sono indicati dalle linee rossicce. Crediti: Nasa/Jpl-Caltech


I rover che negli anni si sono succeduti su Marte sono macchine straordinarie. Grazie alle cartoline a definizione sempre più elevata che ci hanno inviato – e continuano a inviarci – ogni giorno, ormai il Pianeta rosso ci sembra di conoscerlo come il nostro giardino. Ma non è così. I rover, anche i più recenti, hanno un problema: vanno molto piano, e fanno dunque pochissima strada. Risultato: di Marte, in realtà, conosciamo da vicino una porzione davvero minima.

Le distanze percorse dai rover extraterrestri al febbraio 2019. Quelli marziani sono indicati dalle linee rossicce. Crediti: Nasa/Jpl-Caltech

«La superficie di Marte ha un’area complessiva pari più o meno a quella delle terre emerse sul nostro pianeta», dice uno dei ricercatori che hanno sviluppato il software di Perseverance, Masahiro (Hiro) Ono, capo del Robotic Surface Mobility Group al Jet Propulsion Laboratory (Jpl), il laboratorio della Nasa che ha coordinato tutti le missioni dei rover su Marte. «Ora, immaginate di essere alieni che non sappiano quasi nulla del nostro pianeta, di atterrare in sette o otto punti della Terra e di guidare per qualche centinaio di chilometri. Vi sarete fatti a quel punto un’idea abbastanza precisa di che cosa sia la Terra? Ovviamente no. Allo stesso modo, se vogliamo rappresentare l’enorme diversità di Marte, avremo bisogno di effettuare molte più misure sulla sua superficie, e la chiave è anzitutto aumentare le distanze, arrivando a coprire auspicabilmente migliaia di chilometri».

Certo, guardando alle performance delle varie generazioni di rover della Nasa che si sono avvicendati sul Pianeta rosso (vedi immagine qui sopra), il miglioramento è evidente. Il primo, Sojourner, in 91 giorni marziani (sol) riuscì a percorrere appena 100 metri. Spirit ha coperto 7.7 km in circa cinque anni, mentre il suo gemello Opportuniy, in 15 anni, ha battuto ogni record, infrangendo il muro dei 45 km. In compenso Curiosity, atterrato nel 2012, ha già alle spalle oltre 21 km e ancora non si è fermato.

Insomma, il trend è senza dubbio positivo, ma non basta. Per un vero salto di qualità occorre un cambio di paradigma: un rover in grado di spostarsi in piena autonomia. Se vi state chiedendo se Perseverance – il rover Nasa attualmente in viaggio verso il Pianeta rosso – sarà in grado di farlo, la risposta è no. A frenarlo è anzitutto la potenza di calcolo. Per quanto allo stato dell’arte, Perseverance si affida infatti a computer di bordo Rad750, molto sicuri e collaudati ma tutt’altro che di ultima generazione.

La svolta richiederà innovazioni radicali, sia in temini di hardware che di software. Da una parte, serviranno computer come quelli al quale sta lavorando il progetto Hpsc della Nasa, con chip multi-core resistenti alle radiazioni ma anche in grado di garantire, a parità di consumi, prestazioni cento volte superiori a quelle delle attuali cpu impiegate in ambito spaziale. E dall’altra serviranno algoritmi d’intelligenza artificiale come quelli che stanno mettendo a punto, sempre alla Nasa, con il programma Maars, orientato a rendere i rover completamente autonomi.

Il team del Jpl della Nasa che sta sviluppando il codice per i futuri rover ha adattato alle missioni spaziali il software “Show and Tell” di Google – un generatore di didascalie per immagini neurale lanciato per la prima volta nel 2014. Crediti: Nasa / Jpl-Caltech

I vantaggi dovrebbero essere notevoli, anzitutto in termini di rapidità – e di conseguenza, appunto, di distanze percorse. Questo perché non ci sarà più bisogno, per ogni movimento, di trasmettere le immagini dell’ambiente al centro di controllo sulla Terra affinché gli scienziati possano valutarne le condizioni e inviare al rover i comandi: sarà il rover stesso, grazie al deep learning, a “interpretare” l’ambiente e a decidere, per esempio, quale tragitto seguire e a quale velocità.

Ma sarà molto più veloce anche l’analisi dei dati, e dunque la scienza che si potrà fare. Per spiegare in che senso, Ono e colleghi usano un’analogia con le ricerche su Google. Qui sulla Terra, quando vogliamo cercare qualcosa in rete, inviamo la nostra query ai server di Google e quelli più o meno istantaneamente rispondono (vedi la prima riga nello schema qui sopra). Per “interrogare Marte”, invece, l’istantaneità ci è preclusa. Se, per esempio, volessimo sapere “quanti sassi con diametro superiore a 20 cm ci sono nel raggio di 50 metri”, dovremmo prima chiedere al rover d’inviarci le immagini ad alta risoluzione della regione che lo circonda, e solo una volta che quella notevole mole di dati sarà stata scaricata nel server qui sulla Terra potremmo interrogare il database (seconda riga). A un rover “intelligente” – un rover in grado di catalogare i sassi in base alle loro dimensioni, per esempio, o magari in base al materiale di cui sono fatti – potremo invece inviare direttamente la nostra query (terza riga): l’elaborazione dei dati avverrebbe sul posto, con un database e con la cpu a bordo del rover stesso, consentendoci di abbattere i tempi d’interrogazione e di poter fare molte più domande. E dunque molta più scienza.

Per saperne di più:


E nel prossimo numero di Coelum Astronomia, in uscita mercoledì 26 agosto, parleremo proprio di Intelligenza Artificiale, Deep Learning e Astronomia, stay tuned!
Nel frattempo, se non l’avete già letto ↓↓↓

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Inquinamento luminoso e i Parchi delle Stelle, Astronautica e i viaggi verso Marte

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Hayabusa-2 farà rientrare i suoi campioni in Australia

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Impressione artistica di Hayabusa 2 che lascia la Terra dopo aver rilasciato il suo prezioso carico, diretto verso la superficie (©JAXA).
Impressione artistica di Hayabusa 2 che lascia la Terra dopo aver rilasciato il suo prezioso carico, diretto verso la superficie (©JAXA).

Il prezioso carico con i campioni dell’asteroide Ryugu atterrerà nel sud dell’Australia il 6 dicembre 2020 (fuso orario del Giappone), nella Woomera Prohibited Area, un’importante struttura aerospaziale militare e civile.

Lo speciale permesso AROLSO (Authorization of Return of Overseas-Launched Space Object) è stato uno degli step fondamentali per la riuscita della missione.
Il presidente della JAXA, Hiroshi Yamakawa, ha affermato: «L’approvazione per eseguire le operazioni di rientro e recupero della capsula con i campioni restituiti da Hayabusa2 è una pietra miliare significativa. Vorremmo esprimere la nostra sincera gratitudine per il sostegno e la collaborazione al governo australiano e alle molteplici organizzazioni in Australia. Continueremo a prepararci per il successo della missione a dicembre 2020 in stretta collaborazione con il governo australiano».

Tutte le fasi del rilascio della capsula. A partire da metà settembre, quando la sonda si troverà a 37 milioni di chilometri dalla Terra, fino al 6 dicembre, quando si avvicinerà fino a 200 chilometri di altezza, per poi ripartire verso la sua missione secondaria. Crediti: JAXA

«Sono lieto di aver autorizzato l’atterraggio di Hayabusa2 nella Woomera Prohibited Area e sono entusiasta che la JAXA abbia scelto di collaborare con noi per il rientro della capsula», ha dichiarato Karen Andrews, ministro australiano dell’Industria, della Scienza e della Tecnologia.
«Questa missione è un’impresa scientifica e tecnica molto importante, poiché questo è il primo campione prelevato sotto la superficie di un asteroide restituito a Terra».

  • Lo speciale sulla missione Hayabusa 2 alla scoperta di Ryugu
  • Tutte le notizie sulla missione

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    Così si oscurò Betelgeuse

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    Rappresentazione artistica di Betelgesue prodotta utilizzando un'immagine della fine del 2019 scattata con lo strumento Sphere sul Very Large Telescope dello European Southern Observatory. Crediti: Eso, Esa/Hubble, M. Kornmesser
    Rappresentazione artistica di Betelgesue prodotta utilizzando un'immagine della fine del 2019 scattata con lo strumento Sphere sul Very Large Telescope dello European Southern Observatory. Crediti: Eso, Esa/Hubble, M. Kornmesser

    A ritrovarsi per una selva oscura, negli anni a ridosso del 1300, non fu soltanto il Sommo Poeta: anche alla supergigante rossa Betelgeuse capitò una disavventura analoga. Trovandosi a poco più di 700 anni luce da noi, gli effetti li abbiamo potuti apprezzare solo tra la fine del 2019 e l’inizio del 2020, quando la luminosità dell’imponente regina scarlatta della costellazione d’Orione è andata via via affievolendosi – fino a toccare il minimo attorno a metà febbraio, suscitando aspettative per una possibile esplosione – per poi ritornare ai livelli di sempre già nel mese di aprile. E, come per Dante, anche per Betelgeuse il buio che l’avvolse ebbe origine anzitutto dentro di sé.

    Per capire cosa le sia accaduto, il telescopio spaziale Hubble si è affidato a una guida spettrale – la riga del magnesio ionizzato – seguendone le tracce in ultravioletto. Ecco dunque una breve cronistoria dell’inverno di Betelgeuse. Da settembre a novembre 2019, un’enorme massa di plasma ultracaldo si è sollevata dalla superficie della stella per dirigersi verso la sua atmosfera esterna. Ivi giunta ha continuato a viaggiare, per milioni di chilometri. Allontanandosi, il plasma si è raffreddato, e raffreddandosi si è mutato in polvere. Ed è stata proprio quest’immensa nube di polvere a oscurare per mesi – fino a un terzo della sua luminosità normale – la supergigante rossa, rendendola quasi irriconoscibile. Questa, almeno, è la ricostruzione proposta da uno studio guidato da Andrea Dupree, astrofisica del Center for Astrophysics di Harvard e Smithsonian, in uscita su The Astrophysical Journal.

    «Con Hubble abbiamo osservato il materiale mentre abbandonava la superficie visibile della stella e si allontanava attraverso la sua atmosfera, prima che si formasse la polvere che l’ha oscurata», spiega Dupree. «Abbiamo così potuto vedere l’effetto di una regione densa e calda che dal lembo sudest della stella si sposta verso l’esterno. Era materiale da due a quattro volte più luminoso della normale luminosità della stella. Poi, circa un mese dopo, l’emisfero meridionale di Betelgeuse si è oscurato in modo evidente, man mano che la stella appariva più debole. Pensiamo sia possibile che l’emissione rilevata da Hubble abbia prodotto una nube scura. Solo Hubble ci fornisce una prova di ciò che ha portato all’oscuramento».

    Va ricordato che Dupree e colleghi tenevano sott’occhio Betelgeuse da ben prima che si verificasse il drammatico calo di luminosità: le prime osservazioni, compiute nell’ambito di uno studio triennale per monitorare le variazioni nell’atmosfera esterna della stella, risalgono a inizio 2019.

    Fondamentale è stata la sensibilità del telescopio alla luce ultravioletta, che ha permesso ai ricercatori di sondare gli strati al di sopra della superficie della stella, troppo caldi per essere rilevati in banda ottica. Strati riscaldati in parte dalle celle di convezione della stella che ribollono in superficie, e probabilmente all’origine dell’imponente emissione di plasma.

    «La risoluzione spaziale di una superficie stellare è possibile solo in casi favorevoli e solo con la migliore attrezzatura disponibile», sottolinea Klaus Strassmeier del Leibniz Institute for Astrophysics Potsdam, in Germania, riferendosi sia alla capacità di Hubble di ricostruire in dettaglio gli spostamenti del plasma sia al fatto che la supergigante rossa si è dimostrata un soggetto ideale per questo tipo di osservazioni. «Da questo punto di vista, Betelgeuse e Hubble sono fatti l’uno per l’altra».

    Nel frattempo, la campagna osservativa va avanti. O meglio: per ora è in pausa forzata, poiché Betelgeuse è ancora troppo vicina al Sole, ma riprenderà al più tardi a inizio settembre – quando Hubble tornerà a riveder la stella.

    Per saperne di più:

    Leggi anche

    Betelgeuse riprende lentamente a brillare

    Guarda la live di MediaInaf Tv dedicata all’oscuramento di Betelgeuse:


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    Luna e Venere nel cielo del mattino

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    La mattina del 15 agosto, senza dover affrontare una levataccia (parliamo delle 5:00 circa), potremo osservare, guardando a est, una classica ma sempre affascinante congiunzione tra una falce di Luna (fase del 18%) e il brillante pianeta Venere (mag. –4,4).

    La Luna si troverà a nord del pianeta, alto 30°, separato da esso di circa 5° 25’. Sarà una di quelle occasioni in cui il cielo ci apparirà decisamente tridimensionale. Sullo sfondo di un blu tenuemente rischiarato, potremo ammirare le stelle dei Gemelli, teatro dell’incontro, con le brillanti Castore (Alfa Geminorum, mag. +1,9) e Polluce (Beta Geminorum, mag. +1,2), più a est, sfondo su cui Venere ci apparirà decisamente staccato, per via della sua forte brillantezza.

    Anche la Luna contribuirà all’effetto, poiché, oltre alla sottile falce luminosa, ci apparirà delicatamente luminosa a causa della luce riflessa dalla Terra, un fenomeno detto “luce cinerea”. Sarà davvero un bel momento da immortalare in fotografia.

    Se preferite affrontare la sveglia presto la mattina, per vedere i due soggetti più bassi sull’orizzonte, considerate che Venere sorge poco prima delle ore 3:00.

    ➜ Leggi anche su Coelum Astronomia di gennaio: Da Vespero, stella della sera, a Lucifero, stella del mattino, di Giorgia Hofer.

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    Scoccare della mezzanotte con Luna e Marte

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    Alla mezzanotte dell’8 agosto, quindi nella notte tra i giorni 8 e 9, potremo seguire una bella congiunzione tra la Luna (fase del 74%) e il pianeta Marte (mag. –1,3).

    Si tratta di una congiunzione analoga, almeno per i soggetti coinvolti, a quella dello scorso 12 luglio. Se però nella scorsa occasione i due astri formavano un allineamento verticale, questa volta Luna e Marte si presentano allineati in orizzontale, con la Luna posta a circa 4° 50’ a sudovest del pianeta e alta circa 10° sull’orizzonte est.

    All’orario consigliato, quindi, i due soggetti saranno ancora non troppo alti sull’orizzonte, consentendo di realizzare immagini che comprendano anche gli elementi del paesaggio, come sempre consigliamo per arricchire i propri scatti fotografici.

    Se però vogliamo dedicarci all’osservazione della congiunzione nel momento di minimo avvicinamento, dovremo attendere le ore 4:00 dello stesso giorno, quando la Luna si troverà a poco meno di 3° a sudovest di Marte. In questo momento l’altezza dei due soggetti sarà di circa 50° sull’orizzonte sud e, volendo fotografarli in questa configurazione, per evitare di ottenere uno scatto in cui siano presenti solo i due astri, annegati in un “mare buio”, dovremo andare alla ricerca dei dettagli più alti di strutture architettoniche o le cime degli alberi per aggiungere dettaglio alla nostra fotografia.

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    SpaceX DM-2 è un successo: rientrati Behnken e Hurley

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    La caspula Endeavour di SpaceX ammarata il 02 agosto 2020. Credit NASA/SpaceX
    La caspula Endeavour di SpaceX ammarata il 02 agosto 2020. Credit NASA/SpaceX
    DI MARCO ZAMBIANCHI – astronautinews.it

    Con lo splashdown della capsula Crew Dragon Endeavour avvenuta alle 20:47 italiane di oggi 2 agosto, si è conclusa trionfalmente dopo 63 giorni e 23 ore la Demonstration Mission 2, l’attesissimo volo di esordio con equipaggio a bordo della capsula di SpaceX.

    Gli astronauti NASA Bob BehnkenDoug Hurley sono sono dunque tornati a terra ammarando nelle acque antistanti Pensacola, in Florida, chiudendo una missione storica che ha segnato il ritorno della capacità degli Stati Uniti di lanciare dal suolo patrio capsule di fabbricazione statunitense propulse da vettori statunitensi.

    Le operazioni di rientro sono cominciate la scorsa notte, quando alle 01:34 italiane è stato dato il comando di separazione della capsula dalla ISS.

    Dopo alcune accensioni dei propulsori di manovra atte ad allontanare la Crew Dragon dall’avamposto spaziale, Endeavour ha definitivamente lasciato le immediate vicinanze della stazione attorno alle 01:55; alle 02:27 e 03:14 sono avvenute due ulteriori manovre (Departure Burn 2 e 3) che hanno posizionato la capsula su una diversa orbita, dove ha passato le ore immediatamente prima del rientro.

    Come già nel viaggio di andata, gli astronauti a bordo di Endeavour hanno potuto usufruire di un periodo di riposo durante il quale recuperare le energie in vista delle fasi cruciali del rientro orbitale. Mentre Behnken e Hurley dormivano, il centro di controllo di Hawthorne (ricordiamo che la missione è stata controllata, per la prima volta nella storia del programma spaziale americano, direttamente da SpaceX, mentre “Houston” era collegata come osservatore) ha monitorato da remoto alcune altre accensioni dei propulsori di manovra (phasing burns), dimostrando la capacità della capsula di sgravare gli astronauti di alcune operazioni ritenute sufficientemente sicure da essere affidate al computer di bordo.

    La manovra di deorbitazione è iniziata attorno alle 19:55, quando Endeavour si è separata dal trunk, cioè il modulo di servizio ormai inutile e destinato a distruggersi in atmosfera. Alle 20:00 i propulsori di manovra Draco si sono accesi per circa dieci minuti, rallentando la corsa orbitale quanto necessario perché nel giro di breve tempo la Crew Dragon lambisse gli strati più esterni dell’atmosfera, in una fase chiamata interfaccia di rientro.

    La fase di distacco del trunk e orientamento dell’assetto in questa illustrazione per gentile concessione di G. De Chiara 2020.

    Da quel momento l’attrito atmosferico e alcune brevi accensioni dei Draco hanno contribuito a portare Endeavour sempre più in basso, fino alla quota e alla velocità prevista per l’apertura del sistema dei paracadute.

    I primi a essere espulsi, alle 20:44 circa, sono stati i paracadute pilota, che oltre a rallentare ulteriormente la Crew Dragon hanno trascinato fuori dalle loro sacche i grandi paracadute principali, cui spettava il compito cruciale di sostenere la capsula fino al contatto con le acque del Golfo del Messico.

    In questa illustrazione della fase finale del rientro, viene mostrata anche l’opzione con utilizzo di propulsori. La sequenza nominale invece è quella che vede protagonisti i paracadute senza ausilio di razzi. Credit immagine: G. De Chiara 2020.

    L’apertura del portello della capsula è avvenuto alle 21:59. Durante questa fase è stato accumulato un piccolo ritardo a causa di tracce residue di sostanze potenzialmente pericolose provenienti dagli esausti dei motori, che sono state poi completamente eliminate.

    Behnken e Hurley sono ora in attesa di riunirsi con le rispettive famiglie, entrambe molto “spaziali”, ma nel giro di un paio di giorni saranno a disposizione dei giornalisti per la conferenza convocata per il prossimo 4 agosto.

    Oltre gli astronauti, diversi esperimenti scientifici e altri oggetti hanno raggiunto in sicurezza la superficie terrestre. Tra questi la bandiera USA che fu lasciata a bordo della ISS dal comandante dell’ultima missione Space Shuttle, STS-135, con la promessa di riportarla in patria proprio con una futura navetta di produzione statunitense. Rientrate sane e salve anche le due mascotte di SpaceX.

    Tutta la fase finale del rientro è stata seguita e commentata in diretta dal podcast della galassia ISAA, AstronautiCAST. Una puntata speciale organizzata esclusivamente per l’occasione e ricca di tutti i dettagli che hanno caratterizzato questo importante momento.

    Leggi anche Launch America. Si apre una nuova era dell’esplorazione spazialedi Rossella Spiga

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    La Luna accompagna i due protagonisti dell’estate

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    Nelle serate dei giorni 1 e 2 agosto, in prima serata e dunque in orario comodo, alle ore 22:00, guardando verso sud-sudest, potremo ammirare una congiunzione che coinvolge la Luna e i brillanti pianeti Giove e Saturno.

    Si tratta di una di quelle occasioni in cui potremo osservare l’evoluzione del fenomeno su due giornate: il teatro dell’incontro è quello della costellazione del Sagittario, ricchissima di stelle che però, considerata la luminosità della Luna, non emergerà bene dal fondo del cielo.

    Si inizia la sera del primo di agosto, con la Luna quasi piena (fase del 97%) situata a circa 2° e mezzo a sud di Giove (mag. –2,7). Giove è molto brillante e appariscente, facilmente individuabile a occhio nudo, e non teme il bagliore lunare.

    Il giorno dopo, 2 agosto, sempre alla stessa ora, i due pianeti si saranno spostati impercettibilmente sulla volta stellata mentre la Luna avrà compiuto un balzo consistente, andando ad avvicinarsi maggiormente a Saturno (mag. +0,1): si sarà posizionata a 4° 50’ a sudovest del pianeta, la cui luminosità, ben più tenue di quella di Giove, soffre un po’ della presenza della Luna, ormai quasi Piena.

    Se decideremo di realizzare qualche scatto fotografico di questa congiunzione, forse sarà utile tenere a mente che agosto si chiuderà con una congiunzione analoga, e potrebbe essere interessante realizzare una composizione che metta in risalto lo spostamento dei soggetti primari nell’arco di un mese. In tal caso consigliamo di fotografare la congiunzione almeno dopo le 23, in modo da facilitare il confronto con la congiunzione di fine mese se osservata alle ore 22.


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    ISS stazione spaziale internazionale. I passaggi notevoli di agosto 2020

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    C/2020 F3 Neowise e la ISS di Alessandro Carrozzi. La cometa C/2020 F3 Neowise e la ISS (Stazione Spaziale Internazionale) nel crepuscolo mattutino sopra la pianura padana. Cliccare sull'immagine per i dati di ripresa.
    C/2020 F3 Neowise e la ISS di Alessandro Carrozzi. Una magnifica ripresa, nel crepuscolo del mattino, del passaggio della ISS sopra la pianura padana. Non si può non notare nella composizione la presenza della star dell

    La ISS – Stazione Spaziale Internazionale sarà rintracciabile nei nostri cieli sia ad orari mattutini che serali. Avremo cinque transiti notevoli con magnitudini elevate durante l’ultimo mese estivo, auspicando come sempre in cieli sereni.

    Si inizierà il giorno 1° agosto, dalle 21:57 alle 22:04, osservando da ONO a SSE. La ISS sarà ben visibile da tutta Italia con una magnitudine massima che si attesterà su un valore di –3,3.
    La stessa sera, è possibile osservare la Luna insieme a Giove e Saturno verso SSE.

    Si replica il 2 agosto, dalle 21:09 verso NO alle 21:18 verso SE. Visibilità migliore da tutta la nazione per il  transito migliore del mese, con magnitudine di picco a –3,8.

    Passiamo al giorno 25 agosto, saltando quasi a fine mese, un nuovo transito dalle 05:55 in direzione SO alle 06:05 in direzione ENE. Osservabile al meglio dal Centro Sud Italia, con una magnitudine massima di –3,2.

    Il penultimo transito si avrà il giorno 27 agosto, dalle 05:56 da OSO alle 06:06 a NE, con magnitudine massima a –3,4. Osservabile al meglio dal Centro Nord, ma visibile da tutta Italia.

    L’ultimo transito del mese, il 28 agosto, si avrà dalle 05:10 alle 05:17, da SO a NE. Magnitudine di picco a –3,7 non appena la ISS uscirà dall’ombra della Terra. Passaggio osservabile perfettamente da tutta la nazione.

    Giorno Ora Inizio Direzione Ora Fine Direzione Magnitudine
    1 21:57 ONO 22:04 SSE -3.3
    2 21:09 NO 21:18 SE -3.8
    25 05:55 SO 06:05 ENE -3.2
    27 05:56 OSO 06:06 NE -3.4
    28 05:10 SO 05:17 NE -3.7
    N.B. Le direzioni visibili per ogni transito sono riferite ad un punto centrato sulla penisola, nel centro Italia, costa tirrenica. Considerate uno scarto ± 1-5 minuti dagli orari sopra scritti, a causa del grande anticipo con il quale sono stati calcolati.

    Come sempre, infatti, queste informazioni vanno considerate indicative, essendo suscettibili di variazione a seconda della località e per via dell’anticipo con cui vengono calcolate. Per circostanze precise potete usare, in prossimità del passaggio, le numerose app apposite o software gratuiti online, come CalSky o Heavens Above.


    Dove si trova la ISS ora?

    Live stream dalla ISS

    Le effemeridi di Luna e Pianeti le trovi nel Cielo di Agosto 2020 su coelum.com


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    Il Cielo di Agosto 2020

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    La cartina mostra l'aspetto del cielo alle ore (TMEC): 1 Ago > 00:00; 15 Ago > 23:00; 31 Ago > 22:00. Crediti Coelum Astronomia CC-BY

    EFFEMERIDI

    Luna

    Sole e Pianeti

    A metà agosto, Andromeda e Pegaso saranno già molto alti verso sudest, mentre a ovest, sempre più basso, si preparerà a salutarci il Boote con Arturo. A fine agosto, già prima della mezzanotte, si potrà assistere al sorgere delle “sette sorelle”, le Pleiadi, le primissime avvisaglie della stagione più fredda – però ancora lontana – che porterà con sé le brillanti e fotogeniche stelle invernali.

    Il Cielo di luglio e agosto con la UAI: Viaggio nel Serpente

    COSA OFFRE IL CIELO

    Marte continua lentamente a sorgere sempre prima, se in luglio l’abbiamo visto arrivare in seconda serata, ad agosto animerà la prima serata assieme a Giove e Saturno, che godono ancora dell’opposizione raggiunta in luglio, anticipando sempre più la loro apparizione in cielo e facendosi quindi trovare già a una buona altezza quando il cielo si fa buio.

    Venere si tiene invece il ruolo di Lucifero, la stella del mattino. Anche lui sta anticipando la levata che lo porterà al suo punto di massima eloganzione dal Sole.  da quel momento ricomincerà ad avvicinarsi prospetticamente al Sole, riprendendo il cammino che, dopo la congiunzione eliaca, lo riporterà nel cielo della sera… ma c’è tempo. Intanto godiamocelo non solo prima dell’alba, ma anche in caso di ore piccole… Mercurio invece, che cambia più velocemente rispetto agli altri pianeti la sua posizione in cielo, raggiungerà la congiunzione eliaca a metà mese, potremo forse rivederlo a finemese, nel cielo chiaro della sera.

    Per i pianeti più lontani, Urano e Nettuno, ricordiamo che per osservarli è necessario uno strumento, potremo osservarli nella seconda parte della notte, anche se entrambi stanno anticipando la loro levata e si mostreranno via via sempre prima fino a raggiungere la prima serata.

    Maggiori dettagli e informazioni anche su pianeti nani e asteroidi in opposizione li trovate come sempre su

    ➜  il Cielo di Luglio e Agosto all’interno del nuovo numero doppio estivo (sempre in formato digitale e gratuito).


    Perseidi

    Come sappiamo l’evento dell’estate sono sempre le stelle cadenti. Puntuali nella loro apparizione nei giorni attorno alla notte di San Lorenzo, motivo per cui vengono anche chiamate lacrime di San Lorenzo. Lo sciame sarà attivo, come sempre, per un periodo piuttosto lungo, dal 17 luglio al 24 agosto, ma il picco di attività quest’anno si presenterà nella giornata del 12 agosto, in orario diurno, tra le 15 e le 18 (orario locale), cosa che ci indurrà a compiere le nostre osservazioni nella notte tra il 12 e il 13 agosto.

    Per quanto riguarda il disturbo lunare, bisogna segnalare che la fase di Ultimo Quarto sarà raggiunto l’11 agosto. Nella notte del massimo, la Luna (fase del 37%) sorgerà alle ore 1:00 circa (13 agosto) e si troverà nella costellazione del Toro, non a grande distanza dalla posizione del radiante nel Perseo, comportando quindi un certo disturbo. Dovremo quindi tentare le osservazioni nelle ore che precedono il sorgere della Luna che con il passare dei giorni sarà sempre più ritardato (così come la fase si farà più ridotta). Il disturbo si farà via via più ridotto ma anche la distanza temporale dal picco massimo sarà maggiore.

    Per tanti consigli di osservazione e ripresa, ma anche di sola lettura, si rimanda all’articolo sul numero ma anche a una raccolta risorse all’indirizzo bit.ly/coelum_perseidi

    Luna

    Per quanto riguarda l’osservazione della Luna ricordiamo sia la rubrica breve online che quella più approfondita nella rivista a cura di Francesco Badalotti. La guida di questo numero è valida infatti sia per luglio che per agosto. Trovate poi tutte le librazioni e le formazioni da osservare per ogni fase.

    Per le sottili falci e la Luna cinerea l’appuntamento è prima dell’alba (o prima di rientrare per chi fa le ore piccole) dal 15 (di nuovo accompagnata da Venere) al 17 agosto e, dopo il Novilunio, alla sera,  il 20 e 21 agosto. Come sempre all’interno del numero trovate anche tanti consigli per l’osservazione delle formazioni messe in rilievo da questa evanescente fase.

    Continua l’esplorazione delle formazioni lunari nell’arco del mese con La Luna di Luglio e Agosto

    Comete

    Le comete non smettono di stupire questa estate, anche se si tratta di consigli solo per appassionati (servirà uno strumento per poterle osservare o riprendere). I più esperti non potranno mancare il meeting che hanno organizzato per i primi giorni del mese! C/2017 T2 PanSTARR, C/2019 U6 Lemmon e anche la stupefacente C/2020 F3 NEOWISE, anche se ormai in allontanamento, si sono date appuntamento nello stesso quadrante di cielo… quando Claudio Pra ci diceva “un’estate di comete” non stava scherzando…

    Nella rubrica (e cliccando la cartina qui a lato) trovate tutti i dettagli, ma siate veloci perché si inizia già il primo di agosto!

    E ancora su Coelum astronomia 246

    I pianeti arricchiscono la Via Lattea Giove e Saturno in opposizione ci permettono di rivisitare le nostre riprese della Via Lattea estiva, ecco gli spunti di Giorgia Hofer.

    ➜ Leggi le indicazioni di Giuseppe Petricca sui principali passaggi della ISS

    ➜ Supernovae: una “new entry” nella Top Ten degli scopritori amatoriali. Intervista a Xing Gao

    e il Calendario di tutti gli eventi di luglio 2020, giorno per giorno con l’immagine di fondo dedicata allla “Nebulosa farfalla in technicolor”.

    Hai compiuto un’osservazione? Condividi le tue impressioni, mandaci i tuoi report osservativi o un breve commento sui fenomeni osservati: puoi scriverci a segreteria@coelum.com. E se hai scattato qualche fotografia agli eventi segnalati, carica le tue foto in PhotoCoelum!

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    Perseverance è in volo verso il Pianeta rosso

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    L’istante del decollo. Crediti: Nasa
    L’istante del decollo. Crediti: Nasa

    Cape Canaveral, Kennedy Space Center, Florida. Giovedì 30 luglio, 13:50 ora italiana (le 07:50 am ora locale).

    Il razzo Atlas V-541 equipaggiato con il rover Perseverance ha salpato le ancore e fa rotta verso Marte. Comincia così il diario di bordo della nuova missione astrobiologica del programma della Nasa Mars 2020. Il viaggio di Perseverance è in realtà iniziato a febbraio 2020, quando il rover è stato accuratamente imballato e trasportato dal suo sito di costruzione – il Jet Propulsion Laboratory della Nasa, nel sud della California – al Kennedy Space Center a Cape Canaveral, in Florida. Lì, gli ingegneri hanno integrato il rover con la navicella spaziale che lo sta traghettando su Marte con una modalità quasi identica al rover della stessa agenzia statunitense Curiosity, approdato sul Pianeta rosso nel 2012.

    Considerando la distanza Terra-Marte al primo giorno dell’attuale finestra di lancio bisettimanale – circa 105 milioni di chilometri – Perseverance impiegherà 213 giorni per giungere a destinazione, percorrendo una distanza di 497 milioni di chilometri. Saranno le tre componenti principali del sistema di volo a supportare il nuovo rover in ogni fase della traversata interplanetaria: lo stadio di crociera, lo stadio di discesa e l’aeroshell – lo scudo termico che protegge il rover e lo stadio di discesa.

    Per rimanere stabile durante tutta la fase di crociera, che comincia quando la navicella si separa dal veicolo di lancio, la sonda spaziale ruoterà su sé stessa compiendo circa due giri al minuto. Il modulo di crociera comprende inoltre otto propulsori che potranno attivarsi in seguito a specifici comandi allo scopo di aggiustare la traiettoria durante gli otto mesi di viaggio, grazie a un sistema di antenne che permette la comunicazione con la Terra. Gli ultimi 45 giorni che precedono l’atterraggio su Marte costituiscono infine la fase di avvicinamento, durante la quale sono previste due manovre di correzione della traiettoria per assicurare gli ultimi aggiustamenti verso il bersaglio.

    Perseverance attraccherà in un antico bacino d’acqua marziano, il cratere Jezero, il 18 febbraio 2021 e vi rimarrà per un periodo minimo corrispondente a un anno marziano – circa 687 giorni terrestri. Sarà un ormeggio a secco però, quello del rover, dal momento che dell’acqua che lo riempiva fino a circa 3.5 miliardi di anni fa, il lago marziano porta solo i segni: un canale di ingresso, il cui delta preserva depositi ben conservati, e un canale d’uscita.

    La combinazione unica di ambiente lacustre, conservazione del delta e mineralogia diversificata rendono Jezero il luogo adatto – secondo gli scienziati della Nasa – alla ricerca di microrganismi che preservano il mistero della possibile vita passata sul pianeta.

    La missione Mars 2020, con il suo rover Perseverance, fa parte del Mars Exploration Program della Nasa, uno sforzo a lungo termine di esplorazione robotica del Pianeta rosso.

    I sette strumenti scientifici di Perseverance. Crediti: Nasa

    Nelle sue dimensioni paragonabili a quelle di una piccola utilitaria, e con la sua massa di 1025 chilogrammi, Perseverance ospita sette strumenti scientifici, con i quali analizzerà la geologia del sito di atterraggio, ne caratterizzerà il clima, cercherà segni di antica vita microbica nelle rocce e nei sedimenti e raccoglierà i campioni più promettenti per le successive analisi sulla Terra – attraverso missioni di ritorno successive che vedono la collaborazione fra Nasa ed Esa. La missione Mars 2020 trasporta inoltre un’altra novità assoluta: un piccolo elicottero da 1.8 chilogrammi per i primi voli di prova nella sottile atmosfera marziana.

    Altra piccola chicca riguardante il rover è il fatto che per riportare – in senso figurato – indizi e inedite informazioni sulla geologia e biologia marziana, esso (ri)porterà – fisicamente – un pezzetto del Pianeta rosso caduto sulla Terra, restituendolo al suo luogo d’origine. Il piccolo campione roccioso – ritrovato in Oman nel 1999 e chiamato Sayh al Unaymir 008, SaU 008 – è un classico pezzo di basalto contenente molti minerali di pirosseno, olivina e feldspato. La chimica ben nota del meteorite, insieme alla sua struttura interna, lo rendono utile come riferimento per la calibrazione delle misure che Perseverance effettuerà sui campioni marziani. Analizzando alternativamente campioni di roccia in loco e SaU 008, gli scienziati da Terra saranno sempre in grado di verificare l’autenticità e l’attendibilità dei risultati inviati a Terra dal rover, controllando l’insorgere di errori sistematici.

    La missione offre anche l’opportunità di acquisire conoscenze e testare tecnologie in vista di eventuali future spedizioni umane su Marte. Fra queste, la sperimentazione di un metodo per produrre ossigeno dall’atmosfera marziana, l’identificazione di risorse locali (come l’acqua del sottosuolo), il miglioramento delle tecniche di atterraggio e la caratterizzazione del tempo atmosferico, della polvere e di altre condizioni ambientali che potrebbero influenzare i futuri astronauti che alloggeranno e lavoreranno sul Pianeta rosso.

    Nel suo viaggio interplanetario Perseverance troverà forse un po’ di traffico, o per lo meno compagnia, dal momento che nelle scorse settimane due altre missioni sono partite in direzione di Marte: la missione Al Amal degli Emirati Arabi Uniti, in viaggio dal 19 luglio, e la missione cinese Tianwen-1, partita il 23 luglio. Il lancio della missione europea ExoMars è stato invece rimandato al 2022.

    Per saperne di più sulla missione Perseverance. Conosciamo il nuovo rover in partenza per Marte

    Sul canale YouTube della Nasa si può rivedere la live del lancio:


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    Associazione Tuscolana di Astronomia

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    Per partecipare all’evento compilare il modulo al link presente nella pagina di ogni singolo evento
    Gli incontri si terranno presso il Parco Astronomico “Livio Gratton”, Via Lazio, 14 – Rocca di Papa (Roma)

    3.07 ore 20:30 – Stelle in famiglia dedicato ai bambini. Al termine della conferenza osservazioni al telescopio degli oggetti celesti visibili
    10.07 ore 20:15 – Stelle astrofile – Cercando altre terre
    17.07 ore 20:15 – Il cielo del mese al Planetario
    24.07 ore 20:15 – Serata speciale UAI “Notte dei giganti” – Conferenza sui giganti del Sistema Solare, Giove e Saturno
    25.07 ore 20:00 – Night Star Walk: la passeggiata notturna lungo i sentieri dei Pratoni del Vivaro
    31.07 ore 20:15 – Stelle e Scienza “I segreti dei buchi neri” – Conferenza sui buchi neri a cura Nicola Menci (INAF)

    07.08 ore 20:15 – Il cielo del mese al Planetario
    12.08 ore 20:15 – Serata speciale UAI “Serata Perseidi”
    21.08 ore 20:15 – Stelle in famiglia dedicato ai bambini. Al termine della conferenza osservazioni al telescopio degli oggetti celesti visibili
    22.08 ore 19:30 – Night Star Walk
    28.08 ore 20:15 – Il cielo del mese al Planetario

    Consulta il sito web www.ataonweb.it/wp/eventi per maggiori informazioni

    Mars2020. Perseverance pronto al lancio!

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    Crediti: NASA

    A causa del ritardo nelle procedure di preparazione al Payload Hazardous Servicing Facility (PHSF) della NASA, l’Agenzia Spaziale Americana e la United Launch Alliance, responsabile per il vettore Atlas V, a inizo mese avevano deciso di posticipare ancora il primo tentativo di lancio della missione Mars 2020, e fissarlo a non prima del 30 luglio.

    Una linea di sensori sull’ossigeno liquido ha presentato dati anomali durante il test pre-lancio Wet Dress Rehearsal, per cui si era reso necessario più tempo per le valutazioni del caso.
    La finestra di lancio verso Marte sarà aperta fino al 15 agosto ma durante la conferenza stampa di ieri sera 27 luglio, è stato riferito che le probabilità di una “violazione” delle condizioni meteo per giovedi sono del 20% e, in caso di rinvio di 24 ore, scenderebbero al 10%.

    Ovviamente, il lancio potrà essere seguito su NASAtv attraverso il canale NASA LiveYouTube e sulle piattaforme social

    dove l’Agenzia Spaziale Americana ha lanciato una grande coinvolgente campagna pre-lancio attraverso l’hashtag #CountdownToMars. È possibile anche iscriversi a un “virtual tour” e rimanere aggiornati sulle ultime novità riguardo alla missione, tramite la pagina web o anche su facebook/twitter.

    Perseverance atterrerà su Marte il 18 febbraio 2021.

    «Siamo in un periodo straordinario con la pandemia di coronavirus, eppure in realtà abbiamo perseverato e abbiamo protetto questa missione perché è così importante», ha affermato l’amministratore della NASA Jim Bridenstine.

    Il robot a sei ruote, grande come un SIV, è il quinto rover marziano della NASA ed è il più sofisticato costruito fino ad oggi. Dotato di braccio robotico, fotocamere e strumenti scientifici evoluti, cercherà segni di vita microbica passata sul Pianeta Rosso.

    Per approfondire, si rimanda agli articoli presenti nella sezione del nostro sito web aliveuniverse.today e al mio speciale su Coelum Astronomia (sempre in formato digitale e gratuito).

    Perseverance sarà accompagnato da un piccolo elicottero, Ingenuity, che tenterà il primo volo su un altro pianeta.

    • Perseverance. Conosciamo il nuovo rover in partenza per Marte


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    Raro lampo ultravioletto da una supernova Ia

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    Immagine composita della Zwicky Transient Facility di Sn2019yvq (punto blu al centro dell’immagine) nella galassia ospite Ngc 4441 (grande galassia gialla al centro dell’immagine), che dista circa 140 milioni di anni luce dalla Terra. Sn2019yvq ha esibito un raro lampo ultravioletto nei giorni successivi all’esplosione della stella. Crediti: Ztf / A. A. Miller (Northwestern University) e D. Goldstein (Caltech)
    Immagine composita della Zwicky Transient Facility di Sn2019yvq (punto blu al centro dell’immagine) nella galassia ospite Ngc 4441 (grande galassia gialla al centro dell’immagine), che dista circa 140 milioni di anni luce dalla Terra. Sn2019yvq ha esibito un raro lampo ultravioletto nei giorni successivi all’esplosione della stella. Crediti: Ztf / A. A. Miller (Northwestern University) e D. Goldstein (Caltech)

    Per la seconda volta in assoluto, gli astrofisici hanno osservato uno spettacolare lampo di luce ultravioletta (Uv) che ha accompagnato l’esplosione di una nana bianca. Si tratta di un tipo estremamente raro di supernova e l’evento può offrire nuovi spunti su diversi misteri astrofisici di vecchia data: cosa fa esplodere le nane bianche, cosa potrebbe essere l’energia oscura che accelera il cosmo e come fa l’universo a creare metalli pesanti, come il ferro.

    «Il lampo Uv ci sta dicendo qualcosa di molto specifico su come è esplosa questa nana bianca», riferisce l’astrofisico Adam Miller della Northwestern University, che ha guidato la ricerca. «Col passare del tempo, il materiale espulso si allontana sempre di più dalla sorgente. Dato che il materiale si va assottigliando, possiamo vedere sempre più in profondità. Dopo un anno, sarà così sottile che riusciremo a vedere il centro dell’esplosione».

    A quel punto, riporta Miller, il suo team riuscirà a saperne di più su come è esplosa questa nana bianca e, più in generale, su come esplodono tutte le nane bianche, che non sono altro che i densi resti di stelle giunte alla fine del loro ciclo evolutivo. I risultati dello studio sono stati appena pubblicati su The Astrophysical Journal.

    Usando lo Zwicky Transient Facility in California, i ricercatori hanno scoperto la peculiare supernova nel dicembre 2019, appena un giorno dopo la sua esplosione. L’evento – chiamato Sn2019yvq – si è verificato in una galassia relativamente vicina alla nostra, a 140 milioni di anni luce dalla Terra, molto vicino alla coda della costellazione del Dragone.

    Nel giro di poche ore, gli astrofisici hanno utilizzato l’Osservatorio Neil Gehrels (Swift) della Nasa per studiare il fenomeno – sia alle lunghezze d’onda dei raggi ultravioletti, sia nei raggi X – e hanno immediatamente classificato Sn2019yvq come una supernova di tipo Ia, un evento abbastanza frequente che si verifica quando esplode una nana bianca. «Sono alcune delle esplosioni più comuni nell’universo», ha affermato Miller. «Ma la cosa speciale, in questo caso, è il lampo Uv. Gli astronomi lo hanno cercato per anni, senza mai trovarlo. Per quanto ne sappiamo, questa è solo la seconda volta che un lampo Uv è stato visto accompagnare una supernova di tipo Ia».

    Il raro lampo, che è durato un paio di giorni, indica che qualcosa dentro o in prossimità della nana bianca  era incredibilmente caldo. Poiché le nane bianche, invecchiando, diventano sempre più fredde, questo “calore” ha perplesso non poco gli astronomi. «Il modo più semplice per creare luce Uv è avere qualcosa di molto, molto caldo», spiega Miller. «Abbiamo bisogno di qualcosa di molto più caldo del nostro Sole, un fattore tre o quattro volte più caldo. La maggior parte delle supernove non è così calda, quindi non è in grado di generare radiazione Uv molto intensa. Con questa supernova è successo qualcosa di insolito, in grado di creare un fenomeno molto hot».

    Miller e il suo team credono che questo sia un indizio importante per capire perché le nane bianche esplodono, che rappresenta un mistero di lunga data nel settore. Attualmente, ci sono più ipotesi concorrenti. Miller è particolarmente interessato a esplorare quattro diversi scenari:

    • una nana bianca consuma materiale dalla sua stella compagna e diventa così massiccia e instabile da esplodere. Il materiale espulso e la stella compagna si scontrano, provocando un lampo di emissione Uv;
    • il materiale estremamente caldo nel nucleo della nana bianca si mescola con i suoi strati esterni, facendo sì che il guscio esterno raggiunga temperature più elevate del solito;
    • uno strato esterno di elio accende il carbonio all’interno della nana bianca, provocando una doppia esplosione estremamente calda e un lampo Uv;
    • due nane bianche si fondono, innescando un’esplosione con espulsioni che collidono, emettendo radiazioni Uv.

    «Entro un anno», riferisce Miller, «saremo in grado di capire quale di questi quattro scenari sia quello più probabile». Una volta che i ricercatori sapranno cosa ha causato l’esplosione, applicheranno i risultati per saperne di più sul processo di formazione planetaria e sull’energia oscura.

    Poiché la maggior parte del ferro nell’universo è creato dalle supernove di tipo Ia, una migliore comprensione di questo fenomeno potrebbe permetterci di capire alcuni aspetti del nostro pianeta. Il ferro proveniente da stelle esplose, ad esempio, costituisce il nucleo di tutti i pianeti rocciosi, compresa la Terra. «Se si vuole capire come si è formata la Terra, occorre capire da dove proviene il ferro e quanto ferro è stato necessario», spiega Miller. «Comprendere i modi in cui esplode una nana bianca ci permette di capire meglio come viene creato il ferro e come viene distribuito in tutto l’universo».

    Evoluzione della luce ultravioletta e visibile emessa da Sn2019yvq. La maggior parte delle supernove Ia emette molta più luce nella regione visibile dello spettro elettromagnetico rispetto all’ultravioletto. Come mostrato nell’immagine, Sn2019yvq ha esibito uno spettacolare lampo ultravioletto subito dopo l’esplosione. Crediti: A. A. Miller / Northwestern University

    Inoltre, le nane bianche svolgono un ruolo enorme nell’attuale comprensione dell’energia oscura. I fisici prevedono che le nane bianche abbiano tutte la stessa luminosità quando esplodono e le supernove di tipo Ia sono considerate candele standard, che consentono agli astronomi di calcolare esattamente quanto distano le esplosioni dalla Terra. L’uso delle supernove per misurare le distanze ha portato alla scoperta dell’energia oscura, una scoperta che è valsa il Premio Nobel per la fisica nel 2011.

    «Non abbiamo un modo diretto per misurare la distanza delle galassie», ha spiegato Miller. «La maggior parte delle galassie si sta effettivamente allontanando da noi. Se si verifica una supernova di tipo Ia in una galassia lontana, possiamo usarla per misurare una combinazione di distanza e velocità che ci consente di determinare l’accelerazione dell’universo. L’energia oscura rimane un mistero ma queste supernove sono il modo migliore per sondarla e capire di cosa si tratta».

    Comprendendo meglio le nane bianche, Miller ritiene che potremmo potenzialmente capire meglio l’energia oscura e la velocità con cui fa accelerare l’universo. «Al momento, quando misuriamo le distanze, trattiamo tutte queste esplosioni allo stesso modo, eppure abbiamo buone ragioni per credere che ci siano più meccanismi di esplosione. Se riuscissimo a determinare l’esatto meccanismo di esplosione, potremmo distinguere meglio le supernove ed effettuare misurazioni di distanza più precise», conclude Miller.

    Per saperne di più:

    • Leggi su The Astrophysical Journal l’articolo “The spectacular ultraviolet flash from the peculiar type Ia supernova 2019yvq” di A. A. Miller, M. R. Magee, A. Polin, K. Maguire, E. Zimmerman, Y. Yao, J. Sollerman, S. Schulze, D. A. Perley, M. Kromer, M. Bulla, I. Andreoni, E. C. Bellm, K. De, R. Dekany, A. Delacroix, S. Dhawan, C. Fremling, A. Gal-Yam, D. A. Goldstein, V. Z. Golkhou, A. Goobar, M. J. Graham, I. Irani, M. M. Kasliwal, S. Kaye, Y.-L. Kim, R. R. Laher, A. A. Mahabal, F. J. Masci, P. E. Nugent, E. Ofek, E. S. Phinney, S. J. Prentice, R. Riddle, M. Rigault, B. Rusholme, T. Schweyer, D. L. Shupe, M. T. Soumagnac, G. Terreran, R. Walters, L. Yan, J. Zolkower e S. R. Kulkarni

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    Tianwen-1 lanciata verso Marte!

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    Credits: Cai Yang/Xinhua via AP

    La notizia sta imperversando sulla rete e in mattinata sono apparse le prime suggestive fotografie ed anche un video del maestoso decollo, con i commenti entusiastici del pubblico.

    l lancio avvenuto stamane in una lunga esposizione. Credits: CNSA

    Come comunicato dall’agenzia spaziale nazionale, il vettore Lunga Marcia 5 si è sollevato dal “Wenchang Space Launch Site” sulla costa nord-orientale dell’isola di Hainan (isola meridionale della Cina) alle 12:41 ora locale: “Le dirette hanno mostrato un decollo di successo, con la scia arancione dei razzi attraverso cieli azzurri. Centinaia di appassionati di spazio hanno gridato eccitati su una spiaggia dall’altra parte della baia dal sito di lancio” riporta l’agenzia AP news. Dopo un volo di circa 2167 secondi, la sonda è stata immessa con successo in una traiettoria di trasferimento verso Marte, che verrà raggiunto a Febbraio 2021.

    La data del 23 luglio era stata ufficiosamente preannunciata da qualche settimana e anche noi ne avevamo parlato. Qui ricordiamo che Tianwen-1il cui nome significa “ricerca delle verità celesti” o “domande in cielo“, è composta da un orbiter, un lander ed un rover. Dopo un viaggio di sette mesi e l’immissione in orbita marziana, l’orbiter primo resterà in orbita attorno al pianeta per effettuare attività scientifiche e fare da ponte radio per le comunicazioni con la Terra; esso trasporterà sette strumenti, tra cui una videocamera ad alta risoluzione (paragonabile alla HiRISE di MRO) ed una a media risoluzione, oltre ad un radar per indagare il sottosuolo (analogamente a Mars Express), uno spettrometro per mineralogia, analizzatori di particelle neutre ed energetiche ed un magnetometro.

    Crediti: CNSA

    Il rover ha una massa di 240 chilogrammi, il 30% in più rispetto a Spirit e Opportunity ed anch’esso alimentato da pannelli solari; trasporterà telecamere, uno spettrometro, un altro radar per studiare gli strati sotterranei (come i rover Yutu sulla Luna) e una stazione meteorologica. Atterrerà su Utopia Planitia, la stessa regione dove si posò il lander americano Viking-2 nel lontano 1976, ed è progettato per funzionare almeno 90 giorni marziani. Al progetto hanno contribuito anche l’ESA, la Francia, l’Austria, l’Argentina e altri paesi.

    Ricordiamo che, solo 3 giorni fa, era partita dal Giappone la prima missione araba verso il pianeta rosso (l’orbiter Hope) e che, nel giro di 1-3 settimane, decollerà anche il rover americano Perseverance.

    Per approfondire la missione in viaggio e l’intero programma spaziale cinese Chang’e di esplorazione del Sistema solare, leggi anche Il programma spaziale cinese e la corsa verso Marte di Elisabetta Bonora.

    Riferimenti e immagini:


    https://twitter.com/AP/status/1286161540559839232?s=20
    https://apnews.com/7bbf3472c99a2c8ef11efd8fea3a2321?utm_source=Twitter&utm_campaign=SocialFlow&utm_medium=AP
    http://www.cnsa.gov.cn/n6758823/n6758838/c6809878/content.html


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    Inquinamento luminoso e i Parchi delle Stelle, Astronautica e i viaggi verso Marte

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    Ritratto di sistema stellare a 300 anni luce

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    I due pianeti sono visibili come punti luminosi al centro (TYC 8998-760-1b) e in basso e destra (TYC 8998-760-1c) nel riquadro, indicati da frecce. Sono visibili anche altri punti brillanti che corrispondono a stelle sullo sfondo. L'equipe è stata in grado di distinguere i pianeti dalle stelle di sfondo prendendo immagini diverse in tempi diversi. L'immagine è stata ottenuta bloccando la luce dalla giovane stella, un analogo solare (visibile nell'angolo in alto a sinistra), usando un coronagrafo, che consente di rilevare i pianeti, che hanno una luce più debole. Gli anelli chiari e scuri che vediamo nell'immagine della stella sono artefatti dell'ottica. Crediti: ESO/Bohn et al.
    I due pianeti sono visibili come punti luminosi al centro (TYC 8998-760-1b) e in basso e destra (TYC 8998-760-1c) nel riquadro, indicati da frecce. Sono visibili anche altri punti brillanti che corrispondono a stelle sullo sfondo. L'equipe è stata in grado di distinguere i pianeti dalle stelle di sfondo prendendo immagini diverse in tempi diversi. L'immagine è stata ottenuta bloccando la luce dalla giovane stella, un analogo solare (visibile nell'angolo in alto a sinistra), usando un coronagrafo, che consente di rilevare i pianeti, che hanno una luce più debole. Gli anelli chiari e scuri che vediamo nell'immagine della stella sono artefatti dell'ottica. Crediti: ESO/Bohn et al.

    Solo poche settimane fa, l’ESO ha rivelato in una nuova, straordinaria immagine VLT, un sistema planetario nascente. Ora, lo stesso telescopio, usando lo stesso strumento, ha catturato la prima immagine diretta di un sistema planetario intorno a una stella simile al nostro Sole, situata a circa 300 anni luce di distanza e chiamata TYC 8998-760-1.

    «Questa scoperta ci mostra un’istantanea di un ambiente molto simile al nostro Sistema Solare, ma in una fase molto precedente della propria evoluzione», afferma Alexander Bohn, uno studente di dottorato all’Università di Leida nei Paesi Bassi, che ha guidato la nuova ricerca pubblicata oggi dalla rivista The Astrophysical Journal Letters.

    «Anche se gli astronomi conoscono ormai indirettamente migliaia di pianeti nella nostra galassia, solo una piccolissima parte di questi esopianeti è stata fotografata direttamente», afferma il co-autore Matthew Kenworthy, professore associato presso l’Università di Leida, aggiungendo che «le osservazioni dirette sono importanti nella ricerca di ambienti in grado di sostenere la vita».

    La produzione dell’immagine diretta di due o più esopianeti intorno alla stessa stella è un evento ancora più raro; solo due di questi sistemi sono stati osservati direttamente finora, entrambi intorno a stelle decisamente diverse dal Sole. La nuova immagine VLT dell’ESO è la prima immagine diretta di più di un esopianeta intorno a una stella simile al Sole. Il VLT dell’ESO fu anche il primo telescopio a raffigurare direttamente un esopianeta, nel 2004, quando catturò un puntino di luce intorno a una nana bruna, un tipo di stella “mancata”.

    «Il nostro gruppo di lavoro è stato ora in grado di catturare la prima immagine di due giganti gassosi in orbita intorno a una giovane gemella del Sole», afferma Maddalena Reggiani, ricercatrice post-dottorato di KU Leuven, Belgio, che ha partecipato allo studio. I due pianeti appaiono nella nuova immagine come due punti luminosi distanti dalla stella madre, che si trova nella zona in alto a sinistra del riquadro (fare clic sull’immagine per visualizzare l’immagine completa). Prendendo immagini diverse in momenti diversi, l’equipe è stata in grado di distinguere i pianeti dalle stelle di sfondo.

    I due giganti gassosi orbitano intorno alla stella madre a distanze di 160 e circa 320 volte la distanza Terra-Sole. Questo colloca i pianeti molto più lontano dalla stella rispetto a quanto due giganti gassosi del Sistema Solare, Giove o Saturno siano dal Sole: solo 5 e 10 volte la distanza Terra-Sole, rispettivamente. L’equipe ha anche scoperto che i due pianeti extrasolari sono molto più pesanti di quelli del nostro Sistema Solare: il pianeta interno ha una massa pari a 14 volte la massa di Giove e quello esterno sei volte.

    Il gruppo di lavoro di Bohn ha ottenuto le immagini di questo sistema durante la ricerca di pianeti giovani e giganti intorno a stelle simili al Sole, ma molto più giovani. La stella TYC 8998-760-1, nella costellazione australe della Mosca, ha solo 17 milioni di anni. Bohn la descrive come una «versione molto giovane del nostro Sole».

    La produzione di queste immagini è stata possibile grazie alle elevate prestazioni dello strumento SPHERE installato sul VLT dell’ESO nel deserto cileno di Atacama. SPHERE blocca la luce intensa della stella usando un dispositivo chiamato coronagrafo, che permette perciò di vedere i pianeti, molto più deboli della stella. Mentre i pianeti più vecchi, come quelli del nostro Sistema Solare, sono troppo freddi per essere individuati con questa tecnica, i pianeti giovani sono più caldi e quindi risplendono di luce infrarossa. Acquisendo diverse immagini durante lo scorso anno e utilizzando anche dati più vecchi, fino a quelli del 2017, il gruppo di ricerca ha confermato che i due pianeti appartengono al sistema della stella.

    Ulteriori osservazioni di questo sistema, anche con il futuro ELT (Extremely Large Telescope) dell’ESO, consentiranno agli astronomi di verificare se questi pianeti si sono formati nella loro posizione attuale, distante dalla stella, o se siano migrati da una diversa posizione. L’ELT dell’ESO aiuterà anche a studiare l’interazione tra due giovani pianeti dello stesso sistema.

    Bohn conclude: “La possibilità che strumenti futuri, come quelli disponibili sull’ELT, saranno in grado di rilevare anche pianeti di massa inferiore intorno a questa stella segnerà un’importante pietra miliare nella comprensione dei sistemi multi-pianeta, con potenziali implicazioni per la storia della formazione del nostro Sistema Solare.

    Ulteriori Informazioni

    Il lavoro è stato presentato nell’articolo “Two Directly Imaged, Wide-orbit Giant Planets around the Young, Solar Analog TYC 8998-760-1” pubblicato dalla rivista The Astrophysical Journal Letters.

    L’equipe è composta da Alexander J. Bohn (Leiden Observatory, Leiden University, Paesi Bassi), Matthew A. Kenworthy (Leiden Observatory), Christian Ginski (Anton Pannekoek Institute for Astronomy, University of Amsterdam, Paesi Bassi e Leiden Observatory), Steven Rieder (University of Exeter, Physics Department, Regno Unito), Eric E. Mamajek (Jet Propulsion Laboratory, California Institute of Technology, USA e Department of Physics & Astronomy, University of Rochester, USA), Tiffany Meshkat (IPAC, California Institute of Technology, USA), Mark J. Pecaut (Rockhurst University, Department of Physics, USA), Maddalena Reggiani (Institute of Astronomy, KU Leuven, Belgio), Jozua de Boer (Leiden Observatory), Christoph U. Keller (Leiden Observatory), Frans Snik (Leiden Observatory) e John Southworth (Keele University, Regno Unito).


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    Associazione Tuscolana di Astronomia

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    Per partecipare all’evento compilare il modulo al link presente nella pagina di ogni singolo evento
    Gli incontri si terranno presso il Parco Astronomico “Livio Gratton”, Via Lazio, 14 – Rocca di Papa (Roma)

    3.07 ore 20:30 – Stelle in famiglia dedicato ai bambini. Al termine della conferenza osservazioni al telescopio degli oggetti celesti visibili
    10.07 ore 20:15 – Stelle astrofile – Cercando altre terre
    17.07 ore 20:15 – Il cielo del mese al Planetario
    24.07 ore 20:15 – Serata speciale UAI “Notte dei giganti” – Conferenza sui giganti del Sistema Solare, Giove e Saturno
    25.07 ore 20:00 – Night Star Walk: la passeggiata notturna lungo i sentieri dei Pratoni del Vivaro
    31.07 ore 20:15 – Stelle e Scienza “I segreti dei buchi neri” – Conferenza sui buchi neri a cura Nicola Menci (INAF)

    07.08 ore 20:15 – Il cielo del mese al Planetario
    12.08 ore 20:15 – Serata speciale UAI “Serata Perseidi”
    21.08 ore 20:15 – Stelle in famiglia dedicato ai bambini. Al termine della conferenza osservazioni al telescopio degli oggetti celesti visibili
    22.08 ore 19:30 – Night Star Walk
    28.08 ore 20:15 – Il cielo del mese al Planetario
    Consulta il sito web www.ataonweb.it/wp/eventi per maggiori informazioni

    Una Venere vulcanica

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    La mappa globale di Venere: le corone attive sono indicate da punti rossi, i punti bianchi invece sono associati a quelle inattive. Crediti: Anna Gülcher

    Venere e la Terra. Pianeti gemelli alla nascita, le cui vite hanno preso direzioni così diverse da cancellare quasi completamente i segni di quest’intima fratellanza. Sotto l’evidente dissimile topografia però, l’impronta familiare emerge nella struttura interna, stratificata in entrambi i corpi in un nucleo sostanzialmente composto da nichel e ferro – di dimensione paragonabile, fra i 2400 e i 3200 chilometri di diametro – coperto da un mantello roccioso caldo animato da moti convettivi e da una crosta rocciosa, composta da materiale basaltico simile ai fondali oceanici terrestri, e spessa dai 20 ai 40 chilometri (sulla Terra lo spessore medio è 40 chilometri).

    Da decenni gli scienziati si chiedono come mai due pianeti così simili per struttura e composizione si siano differenziati così tanto per quanto riguarda le caratteristiche della crosta. Contrariamente alla Terra, infatti, Venere non presenta una topografia globale divisa in placche e i suoi processi tettonici si manifestano quasi esclusivamente come getti di materiale caldo provenienti dal mantello che fuoriescono incuneandosi nella litosfera – lo strato più superficiale della crosta –  sotto forma di hot spots (punti caldi). Le cause, cita uno studio pubblicato oggi su Nature Geoscience, potrebbero essere l’inferiore contenuto di acqua profonda e l’elevata temperatura superficiale di Venere.

    Che Venere sia un pianeta vulcanico, il più vulcanico del Sistema solare, era cosa nota. Quel che non si sapeva era se il pianeta fosse ancora geologicamente attivo e, in caso affermativo, quanti fossero i vulcani in attività. Il nuovo studio condotto dai ricercatori dell’università del Maryland e dell’Istituto di geofisica del Politecnico di Zurigo, in Svizzera, ha identificato 37 strutture vulcaniche recentemente attive su Venere. Non proprio vulcani come li intendiamo qui sulla Terra, ma soprattutto tipiche strutture anulari – chiamate corone – generate dalla fuoriuscita di materiale lavico liquido proveniente da una caldera sottostante che si fa spazio attraverso le fessure della litosfera. Un processo simile, qui sulla Terra, ha formato le isole vulcaniche delle Hawaii.

    La crosta, nelle zone in cui si formano le corone, sperimenta cedimenti concentrici che producono anelli con un diametro da cento fino a mille chilometri. Si conoscono più di 500 corone su Venere, molte delle quali sono localizzate sulla parte più alta delle pianure, le regioni maggiormente interessate dalla compressione della crosta. I firmatari dello studio propongono di studiare la morfologia delle corone con simulazioni ad altissima risoluzione e di usarla come indicatore di recenti fuoriuscite di getti di materiale magmatico – pennacchi – dal mantello.

    «È la prima volta che siamo in grado di indicare strutture specifiche e dire: ‘guarda, questo non è un antico vulcano, ma un vulcano attivo oggi, forse dormiente, ma non è morto’», dice Laurent Montési, professore di geologia presso l’università del Maryland e coautore della ricerca. «Questo studio cambia in modo significativo la visione di Venere da un pianeta per lo più inattivo a uno il cui interno sta ancora ribollendo e può alimentare molti vulcani attivi.»

    Prima di questo studio, alcune indicazioni sull’inquieto stato della struttura interna di Venere provenivano dalla stima dell’età dei crateri da impatto superficiali. Sebbene quelli identificati su Venere siano circa quattro volte più numerosi di quelli trovati sulla Terra, essi sembrano essere molto giovani in confronto a quelli della Luna, di Mercurio e di Marte. La causa è proprio il costante processo di rimescolamento della superficie che cancella gli impatti antichi – un po’ come le onde del mare cancellano le impronte sulla sabbia – e porta a datare la superficie del pianeta con un’età inferiore a 500 milioni di anni, ridicolamente giovane rispetto al Sistema solare.

    Tuttavia, si pensava che le corone su Venere fossero segni di attività antica, e che Venere si fosse raffreddata a sufficienza da rallentare l’attività geologica interna e indurire la crosta al punto da impedirne il perforamento da parte del materiale sottostante. Inoltre, i dettagli dei processi con cui i pennacchi di lava del mantello formavano le corone su Venere e le ragioni della variazione morfologica tra le corone stesse erano oggetto di dibattito.

    La mappa globale di Venere: le corone attive sono indicate da punti rossi, i punti bianchi invece sono associati a quelle inattive. Crediti: Anna Gülcher

    Nel nuovo studio, i ricercatori hanno utilizzato modelli numerici che riproducono l’attività termo-meccanica sotto la superficie di Venere per creare simulazioni 3D ad alta risoluzione della formazione delle corone. Le loro simulazioni forniscono una visione estremamente dettagliata del processo, consentendo agli scienziati di identificare le caratteristiche presenti solo nelle corone recentemente attive. Il team è stato quindi in grado di abbinare queste caratteristiche a quelle osservate sulla superficie di Venere, rivelando che alcune delle differenze morfologiche fra le corone rappresentano diversi stadi di evoluzione geologica.

    «Il maggiore grado di realismo di questi modelli rispetto agli studi precedenti permette di identificare diversi stadi dell’evoluzione delle corone e di definire le caratteristiche geologiche diagnostiche presenti solo nelle corone attualmente attive», spiega Montési. «Siamo in grado di dire che almeno 37 corone sono state attive in tempi molto recenti.»

    Le corone identificate con questo metodo sono raggruppate in una manciata di località, identificando aree precise in cui il pianeta è più attivo e fornendo indizi sul funzionamento del suo interno. Questi risultati possono aiutare a identificare le aree più appropriate in cui collocare strumenti geologici nelle future missioni su Venere, come ad esempio la sonda europea EnVision, il cui lancio è previsto per il 2032.

    Per saperne di più:


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    Le notti dei giganti – UAI

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    L’Unione Astrofili Italiani organizza nelle serate del 24, 25 e 26 luglio l’iniziativa “Notti dei giganti”, dedicata alla scoperta e all’osservazione dei pianeti Giove e Saturno, tra i più affascinanti del Sistema Solare. L’iniziativa è svolta in collaborazione con “Occhi su Saturno” (www.occhisusaturno.it).
    Quest’anno i due giganti offriranno uno spettacolo imperdibile: con Giove e Saturno, anche noto come “Signore degli anelli”, a pochi giorni dalla loro opposizione al Sole. Lungo tutta la penisola, le Delegazioni UAI aderenti all’iniziativa proporranno presso i propri Osservatori astronomici speciali serate osservative. In occasioni di tali serate sarà possibile approfondire la conoscenza dei “giganti del Sistema Solare” e, in particolare, le loro caratteristiche orbitali, fisiche e strutturali, nonché la storia della loro esplorazione eseguita con sonde spaziali, che ci hanno regalato immagini mozzafiato e spettacolari.
    I dettagli relativi agli eventi organizzati dalle Delegazioni UAI sono disponibili nella home page del sito UAI, sezione “AstroIniziative” e al link: https://www.uai.it/sito/eventi-nazionali-correnti/le-notti-deigiganti- 24-26-luglio/

    Unione Astrofili Senesi

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    24.07, ore 22:00: L’Osservatorio Astronomico di Montarrenti tornerà ad essere aperto ai soci e al pubblico per una serata osservativa dedicata al cielo estivo. La serata sarà dedicata all’osservazione ai pianeti Giove e Saturno, i giganti del sistema solare. Per il pubblico e per i soci che non sono di turno è obbligatoria la prenotazione, tramite l’indirizzo www.astrofilisenesi.it/montarrenti/mont-visite.asp o inviando un messaggio WhatsApp al 3472874176 (Patrizio) oppure un sms al 3482650891 (Giorgio).

    La serata è aperta alla cittadinanza.

    Falò sul Sole. Le prime immagini del Solar Orbiter.

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    In alto: immagine nel visibile della corona solare acquisita in luce polarizzata da Metis. La corona mostra strutture caratteristiche della fase di minimo di attività solare. In basso: immagine in banda ultravioletta (Uv) dovuta all’emissione dell’idrogeno neutro in corona. Questa è la prima immagine Uv della corona solare con un campo di vista così esteso (fino a 7 raggi solari). Le immagini mostrano per la prima volta emissione anche a grandi distanze dal Sole. Credits: Esa/Solar Orbiter/Metis Team
    Immagine ripresa dal Extreme Ultraviolet Imager (EUI), a bordo della sonda Solar Orbiter, il 30 maggio scorso. Ci mostra il Sole nelle estreme regioni ultraviolette dello spettro elettromagnetico, rivelandoci la parte più alta dell'atmosfera solare, la corona, con la sua temperatura di circa un milione di gradi. EUI può riprendere il disco solare nella sua interezza, con il telescopio Full Sun Imager (FSI), così come immagini ad alta risoluzione utilizzando il telescopio HRI(EUV). Il colore è stato aggiunto artificialmente, essendo gli ultravioletti invisibili all'occhio umano. Crediti Solar Orbiter/EUI Team/ ESA & NASA; CSL, IAS, MPS, PMOD/WRC, ROB, UCL/MSSL

    Sono le immagini più ravvicinate del Sole che abbiamo potuto vedere fin’ora, nessuna sonda con la possibilità di riprendere il Sole si era mai avvicinata tanto. La Parker Solar Probe della NASA, infatti, pur avendo battuto il record di vicinanza, e proprio per la sua troppa vicinanza al Sole, non ha a bordo strumenti in grado di riprenderlo. E scoprire dalle prime immagini dettagli e fenomeni che non erano osservabili prima di questa missione ci rivela quale sia il potenziale di Solar Orbiter, la sonda solare nata da una collaborazione tra l’ESA e la NASA.

    «Queste sono solo le prime immagini e possiamo già vedere nuovi interessanti fenomeni», spiega Daniel Müller, scienziato del progetto Solar Orbiter dell’ESA. «Non ci aspettavamo risultati così importanti fin da subito. Possiamo anche vedere come i nostri dieci strumenti scientifici si completano a vicenda, fornendo un quadro globale del Sole e dell’ambiente circostante».


    Solar Orbiter, lanciata il 10 febbraio 2020, ha infatti appena concluso le fasi di test e verifiche tecniche dei sei strumenti che riprendono il Sole e i suoi dintorni e dei quattro che monitorano l’ambiente attorno alla sonda. Confrontando i dati di entrambe le serie di strumenti, gli scienziati studieranno come si genera il vento solare, il flusso di particelle cariche provenienti dal Sole che influenza l’intero Sistema Solare.

    Leggi anche l’approfondimento dedicato in occasione del lancio della missione: La nuova era della Fisica Solare dallo spazio.

    I falò che vediamo indicati in questa prima serie di immagini, sono stati ripresi dall’Extreme Ultraviolet Imager (EUI) durante il primo perielio della sonda, il punto nella sua orbita più vicino al Sole. In quel momento Solar Orbiter era a soli 77 milioni di km dal Sole, circa la metà della distanza tra la Terra e la stella.

    Il 30 maggio la sonda si trovava a metà strada tra la Terra e il Sole, più vicina di qualsiasi altro Osservatorio solare. Questo ha permesso allo strumento EUI di riprendere dettagli della corona di soli 400 chilometri di larghezza. Con il tempo la sonda si avvicinerà fino a raggiungere una distanza pari a un quarto della distanza Terra Sole, aumentando di un fattore due la risoluzione dei suoi strumenti. Le immagini mostrano però già delle caratteristiche sparse su tutta la superficie, simili a piccoli flare, soprannominati "falò" (più letteralmente fuochi da campo). La piccola forma grigia visibile in alto a sinistra nell'immagine centrale, non è un formazione del Sole ma un artefatto causato dai sensori della camera. Crediti Solar Orbiter/EUI Team/ESA & NASA; CSL, IAS, MPS, PMOD/WRC, ROB, UCL/MSSL

    «I falò sono piccoli parenti dei brillamenti solari che possiamo osservare dalla Terra, milioni o miliardi di volte più piccoli», spiega David Berghmans del Royal Observatory of Belgium (ROB), Principal Investigator dello strumento EUI, che acquisisce immagini ad alta risoluzione degli strati inferiori dell’atmosfera solare, la corona solare. «Il Sole potrebbe sembrare tranquillo al primo sguardo, ma quando guardiamo nei dettagli, possiamo vedere quei brillamenti in miniatura ovunque guardiamo».

    Un "piccolo" falò individuato in una delle immagini appena arrivate. In basso a sinistra le dimensioni della Terra per confronto... "piccoli" dicono. Solar Orbiter/EUI Team/ESA & NASA; CSL, IAS, MPS, PMOD/WRC, ROB, UCL/MSSL

    Ancora non è chiaro se sianosemplicemente mini versioni dei flare più grandi, o se invece sono fenomeni diversi con meccaniche di formazione diverse, ma già si sta pensando di collegarli a uno dei fenomeni più misteriosi del Sole: il riscaldamento coronale.

    «Questi falò sono totalmente irrilevanti, se presi uno a uno, ma sommando il loro effetto su tutta la superficie del Sole, potrebbero essere il contributo predominante al riscaldamento della corona solare», sostiene Frédéric Auchère, dell’Institut d’Astrophysique Spatiale (IAS), Francia, Co-Principal Investigator di EUI.

    La corona solare è lo strato più esterno dell’atmosfera del Sole, e si estende per milioni di chilometri nello spazio. La sua temperatura è di oltre un milione di gradi Celsius, ovvero diversi ordini di grandezza più calda della superficie del Sole, che ha una temperatura di “soli” 5500 ° C. Dopo decenni di studi, i meccanismi fisici che riscaldano la corona non sono ancora completamente compresi, e il riuscire a identificarli è considerato il “santo graal” della fisica solare.

    «Ovviamente è troppo presto per dirlo, ma speriamo che combinando queste osservazioni con le misurazioni dei nostri altri strumenti che “sentono” il vento solare mentre passa intorno alla sonda, saremo finalmente in grado di rispondere ad alcuni di questi misteri», dice Yannis Zouganelis, vice scienziato del progetto Solar Orbiter presso l’ESA.

    Nel video qui a sinistra, vediamo raccolte in una animazione una serie di riprese fatte dalla strumentazione “a distanza” a bordo della sonda. Raccolte nell’arco di 3 settimane (dal 30 maggio al 21 giugno), le immagini iniziali rosse e gialle sono quelle dello strumento EUI, viste sopra, in due lunghezze d’onda dell’ultravioletto estremo: a 30 e 17 nanometri rispettivamente.

    A seguire tre immagini invece raccolte dal Polarimetric and Helioseismic Imager (PHI), che effettua misurazioni ad alta risoluzione delle linee del campo magnetico sulla superficie del Sole. È progettato per monitorare le regioni attive del Sole, aree con campi magnetici particolarmente potenti, che possono dare origine a brillamenti solari. L’immagine blu e rossa è un cosidetto “tachiogramma” del Sole e mostra la velocità del Sole in rotazione rispetto a linea di vista, la parte blu è quella in avvicinamento, e la rossa è quella in allontamento.

    La seconda è invece un magnetogramma che ci mostra una regione magneticamente attiva nel quadrante in basso a destra del Sole. L’immagine in giallo/arancione è una ripresa in luce visibile e ci mostra il Sole così come lo vedremmo a occhio nudo, non sono visibili macchie perché in quel momento, come dicevamo, il Sole si trovava (e si trova tutt’ora) in una fase di attività magnetica di basso livello.

    In alto, immagine nel visibile della corona solare acquisita in luce polarizzata da Metis. In basso, invece in banda ultravioletta, dovuta all’emissione dell’idrogeno neutro nella corona. È la prima immagine Uv della corona solare con un campo di vista così esteso (fino a 7 raggi solari). Le immagini mostrano per la prima volta emissione anche a grandi distanze dal Sole. Credits: Esa/Solar Orbiter/Metis Team

    Seguono poi le immagini di Metis, il coronografo italiano, ottimizzato per l’osservazione dello strato più esterno dell’atmosfera solare: la corona solare. Metis blocca la luce accecante del disco solare per mettere in evidenza la sottile corona. Può osservarla simultaneamente in luce visibile (mostrata in verde) e in luve ultravioletta (in rosso), per la prima volta in modo continuo sia spazialmente che temporalmente. Le immagini rivelano le due brillanti regioni equatoriali, e le più deboli regioni polari, caratteristiche di una fase di attività magnetica al minimo.

    Per concludere, a più ampia scala, il telescopio Heliospheric Imager (SoloHI) riprende immagini del vento solare, catturando la luce dispersa dal flusso di elettroni. La prima luce di SoloHI ci mostra l’ambiente attorno al Sole (che si trova sulla destra dei quattro frame) illuminato dalla luce riflessa dalle particelle in orbita (luce zodiacale). Possiamo solo intuire la luce dispersa dal vento solare, nella brillantezza della luce zodiacale, ma il team dello strumento ha delle tecniche per evidenziarla.
    Quel puntino sulla sinistra è Mercurio!

    Durante i brillamenti, il Sole rilascia esplosioni di particelle energetiche che rafforzano il vento solare che la nostra stella emana costantemente nello spazio circostante.

    Quando queste particelle interagiscono con la magnetosfera terrestre, possono causare tempeste magnetiche che possono interferire con i nostri satelliti di comunicazione e, nei casi più estremi, con le reti elettriche a terra.

    Leggi anche Spaceweather. Tra Sole e Terra nella tempesta.

    «In questo momento, siamo in quella parte del ciclo solare di 11 anni in cui il Sole è molto tranquillo», spiega Sami Solanki, direttore del Max Planck Institute for Solar System Research di Gottinga, in Germania, e Principal Investigator dello strumento PHI. «Ma poiché il Solar Orbiter ha un’angolazione rispetto al Sole diversa da quella della Terra, possiamo vedere una regione attiva che non sarebbe stata osservabile da Terra. È la prima volta che accade. Non siamo mai stati in grado di misurare il campo magnetico sul retro del Sole».

    Solar Orbiter ha infatti una posizione in orbita attorno al Sole che le da un punto di vista diverso da tutti gli altri Osservatori solari (terrestri e spaziali) permettendoci così di studiare non solo la parte di Sole che di volta in volta vediamo, ma in contemporanea anche quella che non vediamo, dandoci un’immagine completa e globale dei fenomeni.

    Il Sole e le sue proprietà magnetiche sotto l'occhio dello strumento PHI. Crediti Solar Orbiter/PHI Team/ESA & NASA

    Inoltre i magnetogrammi che mostrano come l’intensità del campo magnetico solare vari attraverso la superficie del Sole, possono essere confrontati con le misurazioni degli strumenti sulla sonda: «Lo strumento PHI sta misurando il campo magnetico sulla superficie, vediamo strutture nella corona del Sole con EUI, ma proviamo anche a dedurre le linee del campo magnetico che escono nel mezzo interplanetario, dove si trova Orbiter solare», spiega Jose Carlos del Toro Iniesta, investigatore co-principale di PHI, dell’Instituto de Astrofísica de Andalucía, Spagna.

    I quattro strumenti che fanno misurazioni sull’ambiente non sul Sole ma attorno alla sonda stessa, ovvero in situ, caratterizzano quindi le linee del campo magnetico e il vento solare mentre passa attorno al veicolo spaziale.

    Christopher Owen, dell’University College London Mullard Space Science Laboratory e responsabile dell’analizzatore di vento solare in situ, spiega: «Usando questa informazione, possiamo fare una stima della zona, sul Sole, da cui è stata emessa quella particolare parte di vento solare, e quindi usare il set completo di strumenti della missione per rivelare e comprendere i processi fisici che operano nelle diverse regioni del Sole e che portano alla formazione del vento solare».

    «Siamo davvero entusiasti di queste prime immagini, ma è solo l’inizio», commenta Daniel. «Solar Orbiter ha iniziato un grande tour del Sistema solare interno e si avvicinerà molto al Sole in meno di due anni.  Alla fine, arriverà a 42 milioni di km, quasi un quarto della distanza dal Sole alla Terra»

    «I primi dati stanno già dimostrando la potenza di una collaborazione di successo tra agenzie spaziali e l’utilità di una serie diversificata di immagini per svelare alcuni dei misteri del Sole», conclude Holly Gilbert, direttore della divisione scientifica di eliofisica presso il NASA Goddard Space Flight Center e Solar Orbiter Project Scientist presso la NASA.

    Ritratto di famiglia dei dieci strumenti e delle prime immagini ricevute. \

    Galleria fotografica delle prime immagini di Solar Orbiter


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    Coelum Astronomia di Luglio e Agosto 2020
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    Riparte la Scuola estiva di astronomia dell’Unione Astrofili Italiani

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    Dal 20 al 23 luglio è in programma presso l’Hotel Rifugio Alantino, nella piana di Campo Felice in provincia de L’Aquila, la scuola estiva di astronomia a cura della Commissione didattica dell’Unione Astrofili Italiani. La scuola estiva di astronomia è aperta a docenti, divulgatori scientifici, operatori di Osservatori astronomici e Planetari e a tutti coloro che vogliono acquisire solide conoscenze in campo astronomico e apprendere le tecniche di didattica e divulgazione scientifica. Il programma della scuola è molto articolato e prevede attività teoriche, laboratoriali e sessioni osservative.

    Tutti i dettagli sono disponibili al link: https://www.uai.it/sito/eventi-nazionali-correnti/riparte-lascuola-estiva-di-astronomia-dellunione-astrofili-italiani/

    Associazione Tuscolana di Astronomia

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    Per partecipare all’evento compilare il modulo al link presente nella pagina di ogni singolo evento
    Gli incontri si terranno presso il Parco Astronomico “Livio Gratton”, Via Lazio, 14 – Rocca di Papa (Roma)

    3.07 ore 20:30 – Stelle in famiglia dedicato ai bambini. Al termine della conferenza osservazioni al telescopio degli oggetti celesti visibili
    10.07 ore 20:15 – Stelle astrofile – Cercando altre terre
    17.07 ore 20:15 – Il cielo del mese al Planetario
    24.07 ore 20:15 – Serata speciale UAI “Notte dei giganti” – Conferenza sui giganti del Sistema Solare, Giove e Saturno
    25.07 ore 20:00 – Night Star Walk: la passeggiata notturna lungo i sentieri dei Pratoni del Vivaro
    31.07 ore 20:15 – Stelle e Scienza “I segreti dei buchi neri” – Conferenza sui buchi neri a cura Nicola Menci (INAF)

    07.08 ore 20:15 – Il cielo del mese al Planetario
    12.08 ore 20:15 – Serata speciale UAI “Serata Perseidi”
    21.08 ore 20:15 – Stelle in famiglia dedicato ai bambini. Al termine della conferenza osservazioni al telescopio degli oggetti celesti visibili
    22.08 ore 19:30 – Night Star Walk
    28.08 ore 20:15 – Il cielo del mese al Planetario
    Consulta il sito web www.ataonweb.it/wp/eventi per maggiori informazioni

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