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Scoperto un potenziale nuovo pianeta nano nella periferia del sistema solare

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Un gruppo di astronomi è riuscito a scovare un nuovo oggetto celeste nella remota e gelida periferia del Sistema solare. Il corpo, catalogato come 2015 KH162, è un probabile oggetto trans-Nettuniano. Inoltre, vista la sua notevole magnitudine assoluta, pari a circa 3.6993, gli scienziati sospettano che si tratti di un pianeta nano. Assumendo che il suo albedo sia simile a quello dei pianeti nani già scoperti, una magnitudine assoluta così notevole sarebbe indicativa di un corpo di grandi dimensioni, con un diametro probabilmente compreso tra 480 e 1080 chilometri. L’annuncio della scoperta è stato dato poche ore fa da Scott Sheppard, David Tholen, Chad Trujillo e Yudish Ramanjooloo dell’osservatorio hawaiano di Mauna Kea.
L’oggetto si trova in un’orbita che lo porta tra 41.4 e 82.8 unità astronomiche dal Sole. La sua inclinazione orbitale rispetto all’eclittica è di 28.8 gradi. Dati i suoi parametri orbitali, l’oggetto completa una rivoluzione intorno al Sole ogni mezzo millennio circa.

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Al Planetario di Ravenna

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Le osservazioni si tengono presso i Giardini Pubblici con ingresso libero, meteo permettendo. Inizio ore 21:00, prenotazione consigliata.

27.02, ore 16:30: …un pomeriggio al Planetario. “Quante stelle lassù: il cielo della prossima Primavera” di Marco Garoni. Conferenza adatta a bambini a partire dai 6 anni.

Prenotazione sempre consigliata.
Per info: tel. 0544.62534 –
info@arar.it
www.racine.ra.it/planet – www.arar.it

La spettacolare coda di gas di Messier 90

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La galassia in primo piano è NGC 4569, una galassia a spirale che si trova all’interno dell’ammasso della Vergine. I filamenti rossi sulla destra dell’immagine corrispondono all’idrogeno gassoso rilasciato dalla galassia. La scia contiene circa il 95% del gas di cui la galassia ha bisogno per alimentare la formazione di nuove stelle. Crediti: CFHT/Coelum
M90 (NGC 4569, al centro dell'immagine) è una galassia a spirale appartenente all’Ammasso della Vergine. I filamenti rossi che fuoriescono alla sua destra sono il gas perso dalla galassia. La scia contiene circa il 95% del gas di cui la galassia ha bisogno per alimentare la formazione di nuove stelle. Crediti: CFHT/Coelum

Un team internazionale di astronomi ha scoperto una spettacolare scia di gas, lunga più di 300 mila anni luce, che scaturisce da una galassia vicina a noi, NGC 4569. La scia è costituita da gas ionizzato, ovvero il materiale da cui si formano nuove stelle, ed è cinque volte più lunga della galassia stessa.

La cupola del Canada France Hawaii Telescope che si trova sulla cima del vulcano hawaiiano Mauna Kea; ospita un telescopio della classe dei 3,6 metri su cui è installata MegaCam, una camera CCD a mosaico di 340 milioni di pixel, costruita in Francia da CEA Saclay.

Lo studio, guidato da Alessandro Boselli del Laboratoire d’Astrophysique di Marsiglia, è appena stato pubblicato nel numero 587 – Marzo 2016 della rivista Astronomy & Astrophysics.

Era noto da tempo che la galassia NGC 4569 conteneva meno gas del previsto, ma non si riusciva a capire dove fosse andato a finire. «Non trovavamo la prova schiacciante di una qualche forma di rimozione del gas galattico», dice Luca Cortese, astrofisico dell’International Centre for Radio Astronomy Research in Australia, che fa parte del team. «Ora, grazie a queste osservazioni, siamo riusciti a vedere per la prima volta una grande quantità di gas che crea un flusso in uscita dalla galassia». La cosa più interessante è che misurando la massa del flusso si trova che equivale alla quantità di gas che manca dal disco della galassia.

L'ammasso della Vergine sempre in un'immagine dalla collaborazione CFHT/Coelum, stavolta però elaborata con fini più estetici per uno dei poster della serie Hawaiian Starlight, che propone, su carta patinata, le immagini più belle di questa lunga collaborazione. Cliccare sull'immagine per informazioni.

NGC 4569 si trova nell’ammasso della Vergine, un gruppo di galassie distante circa 45 milioni di anni luce dalla Via Lattea, all’interno del quale si muove a ben 1.200 chilometri al secondo, ed è stato proprio questo moto a causare la perdita di gas da parte della galassia. «Sappiamo che i grandi ammassi di galassie intrappolano una grande quantità di gas caldo», dice Cortese. «Sicché, quando una galassia si muove nell’ammasso subisce la pressione del gas (come quando si sente il vento sul viso), che è in grado di strappare la materia dalla galassia».

Tra gli autori dello studio figurano anche Jean-Charles Cuillandre, astronomo molto noto tra gli appassionati anche per le immagini del famoso calendario CFHT prodotto dal 2000 in collaborazione con il team di Coelum, e il nostro Giovanni Anselmi.

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Gruppo Astrofili DEEP SPACE

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Le conferenze serali iniziano alle ore 21:00.

26.02: “Tutti scienziati a casa propria: scopriamo la citizen science” Laura Proserpio.

Per info: 0341.367584
www.deepspace.it

55 Cancri e la sua velenosa atmosfera

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Rappresentazione artistica della super-Terra 55 Cancri e davanti alla sua stella madre. Crediti: ESA/Hubble, M. Kornmesser
Rappresentazione artistica della super-Terra 55 Cancri e davanti alla sua stella madre. Crediti: ESA/Hubble, M. Kornmesser

Conosciamo da anni il pianeta roccioso 55 Cancri e (vedi Media INAF), due volte le dimensioni della Terra ma con una massa ben otto volte maggiore: caratteristiche che lo rendono uno degli esopianeti più densi mai studiati finora. Scoperto nel 2004, 55 Cancri e (o Janssen) interessa gli astronomi per la sua particolare struttura, ma anche per la sua atmosfera. Un gruppo di ricercatori europei è riuscito infatti a rilevare per la prima volta i gas dell’atmosfera di questa super-Terra, trovando la presenza di idrogeno ed elio ma non quella di vapore acqueo. Lo studio è stato pubblicato su The Astrophysical Journal.

«Questa è una scoperta molto emozionante, perché è la prima volta che siamo stati in grado di rilevare i gas presenti nell’atmosfera di una super-Terra», spiega Marco Rocchetto, dottorando nel dipartimento di Fisica e Astronomia allo UCL (University College London), che ha lavorato all’analisi e all’interpretazione dei dati con i colleghi Angelos Tsiaras e Ingo Waldmann. «Le osservazioni dell’atmosfera di 55 Cancri e suggeriscono che il pianeta è stato in grado di conservare una quantità considerevole di idrogeno ed elio dalla nebula di gas dalla quale si sono formati».

55 Cancri e è la super-Terra più vicina a noi, per questo anche tra i migliori candidati per le osservazioni dettagliate della superficie e delle condizioni atmosferiche dei pianeti extrasolari rocciosi. 55 Cancri e è inoltre così vicino a 55Cancri A (la sua stella simile al Sole, a circa 40 anni luce dalla Terra) che un anno, lassù, dura appena 18 ore e le temperature sulla superficie raggiungono circa 2.000 gradi Celsius (sul lato più caldo, cioè quello sempre esposto verso la vicina stella perché è in rotazione sincrona, le temperature oscillano tra i 1000° e i 2700° C). «A questa distanza ravvicinata dalla stella», dice Rocchetto a Media INAF, a causa dell’intensa radiazione stellare ci si aspetterebbe che il pianeta perda gran parte della sua atmosfera tramite processi di fuga. Ciononostante, sembra che 55 Cancri e sia riuscito a mantenere la maggior parte della sua atmosfera primordiale, ma non è ancora chiaro come questo sia potuto succedere».

La stella 55 Cancri è molto luminosa, così il team di ricerca è stato in grado di utilizzare le nuove tecniche di analisi per estrarre informazioni sul suo pianeta. Oltre a idrogeno ed elio, gli esperti hanno anche trovato tracce di acido cianidrico, tipico delle atmosfere ricche di carbonio, che però «è estremamente velenoso. 55 Cancri e non è quindi un pianeta sul quale vivrei!», osserva Jonathan Tennyson, di UCL. «Una tale quantità di acido cianidrico indicherebbe un ambiente con un elevato rapporto di carbonio/ossigeno», aggiunge Olivia Venot, della Katholieke Universiteit Leuven in Belgio, che ha sviluppato un modello della chimica atmosferica di 55 Cancri.

Un close-up del pianeta 55 Cancri e. Crediti: ESA/Hubble, M. Kornmesser

La scoperta è stata effettuata, ancora una volta, utilizzando i datti raccolti dal telescopio NASA/ESA Hubble e dalla sua Wide Field Camera 3 (WFC3), che ha osservato velocemente la stella creando una serie di spettri. Grazie alla combinazione di queste osservazioni, analizzate poi da un particolare software, i ricercatori sono stati in grado di recuperare i dati spettrali di 55 Cancri e “imprigionati” nella luce della sua stella. «Questo risultato ci permette per la prima volta di capire di cos’è fatta l’atmosfera di una super-Terra. Ma dovremo attendere i nuovi telescopi spaziali nell’infrarosso, nella prossima decade, per saperne di più», spiega Giovanna Tinetti di UCL.

A Rocchetto abbiamo chiesto perché si tratta di un risultato così importante. «Innanzitutto, questa scoperta rappresenta la prima rilevazione di gas in un’atmosfera di un pianeta roccioso poco più grande della Terra. La “Wide Field Camera 3” (WFC3) installata a bordo del telescopio spaziale Hubble è già stata usata nel passato per studiare le atmosfere di due altre super-Terre, ma senza risultati conclusivi. Le super-Terre sono una classe di pianeti assenti dal nostro Sistema solare, ma rappresentano la tipologia più comune nella nostra galassia. Il loro studio può quindi fornirci importanti informazioni su come i pianeti e i sistemi solari si formano ed evolvono». Rocchetto ha aggiunto: «La seconda ragione è che non ci si aspettava che gas leggeri come idrogeno ed elio potessero dominare l’atmosfera di questo pianeta. La presenza di questi gas indica infatti che l’atmosfera di 55 Cancri e è primordiale, ossia composta dai gas provenienti dalla nube di gas dalla quale il pianeta si è formato. Poiché i meccanismi attraverso i quali 55 Cancri e abbia mantenuto una considerevole frazione di atmosfera primordiale sono a oggi poco compresi, questa scoperta ha il potenziale di stimolare numerosi nuovi studi».

E ora cosa cambia? «55 Cancri e nel passato era stato soprannominato il “pianeta diamante“, poiché modelli basati sulla sua massa e raggio hanno portato alcuni astronomi a congetturare che la sua composizione interna fosse ricca di carbonio», dice il ricercatore italiano. «Tuttavia, successive osservazioni avevano smentito tali affermazioni. Oggi ci troviamo di fronte a un pianeta ancora più esotico di quanto si potesse immaginare. Innanzitutto, queste osservazioni ci indicano che l’atmosfera di 55 Cancri e, a differenza dell’atmosfera terrestre, non si è evoluta significativamente dalla sua formazione. Ciò fa si che il poco ossigeno presente nell’atmosfera si combini con l’idrogeno per formare acqua. Inoltre, la nostra analisi ci indica che l’atmosfera di 55 Cancri e potrebbe avere un alto quantitativo di carbonio. Questo quindi significherebbe l’assenza di acqua, e la presenza di specie come l’acido cianidrico e l’acetilene».

E aggiunge: «È necessario comprendere e studiare questa classe di pianeti in dettaglio, ma al momento c’è solo un limitato numero di super-Terre che possono essere osservate con il telescopio Hubble per studiare le loro atmosfere. Missioni future come NASA/TESS e ESA/PLATO scopriranno migliaia di super Terre, e la loro caratterizzazione ci permetterà di comprendere meglio come si sono formati e come si sono evoluti. Il James Webb Space Telescope, successore dell’Hubble, consentirà di osservare queste atmosfere in maggiore dettaglio, in un regime di lunghezza d’onda maggiore. La nostra analisi ci suggerisce che questo pianeta continuerà a sorprenderci quando telescopi della prossima generazione come JWST, o missioni dedicate come ARIEL, osserveranno nuovamente la sua atmosfera».

Per saperne di più:

Leggi lo studio pubblicato su The Astrophysical Journal: “Detection of an atmosphere around the super-Earth 55 Cancri e”, di A. Tsiaras, M. Rocchetto, I. P. Waldmann, O. Venot, R. Varley, G. Morello, M. Damiano, G. Tinetti, E. J. Barton, S. N. Yurchenko e J. Tennyson

Guarda il servizio di Eleonora Ferroni su Media INAF TV

Leggi l‘inchiesta di Coelum sul futuro e sullo stato della ricerca di vita nei pianeti extrasolari pubblicata su Coelum n. 193, 194, 195 e sui numeri gratuiti online 197 e 198 (di prossima uscita con la conclusione dell’inchiesta)..

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Al Planetario di Ravenna

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23.02: “Anno bisesto anno funesto? Curiosità sul nostro calendario” di Mauro Graziani.

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Nuovi indizi di un oceano sotterraneo su Caronte

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Gli scienziati hanno raccolto nuovi indizi a favore della presenza di un oceano al di sotto della superficie gelata di Caronte, la luna principale di Plutone. L’oceano, un tempo liquido, si sarebbe ormai solidificato. Essendo l’acqua allo stato solido meno densa rispetto al suo stato liquido, la solidificazione dell’oceano avrebbe comportato un aumento di volume e aperto quindi delle cicatrici sulla superficie.

Le immagini scattate il 14 Luglio dalla sonda New Horizons della NASA, 40 minuti prima del culmine del suo storico incontro con Plutone, mostrano complessi sistemi di faglie tettoniche nella forma di dorsali, scarpate e valli, alcune delle quali toccano i 6.5 chilometri di profondità. Nelle immagini è visibile anche un sistema di fenditure ed abissi equatoriali che misura oltre 1800 chilometri in lunghezza e 7.5 in profondità. Questo quadro generale, a detta degli scienziati, è indicativo di una superficie che si è dovuta allungare a causa dell’espansione degli strati interni.

Mantenere un oceano allo stato liquido richiede la presenza di forti fonti di calore. Finora, gli scienziati hanno individuato due sorgenti termiche: il calore dovuto al decadimento radioattivo degli elementi del nucleo e il calore residuo della formazione. I satelliti gioviani presentano un’ulteriore sorgente di calore, provocata dalle forze mareali esercitate da Giove; tale sorgente è da escludere per quanto riguarda Caronte, in quanto la luna si trova in rotazione sincrona con Plutone.

La fotografia è stata scattata dallo strumento LORRI a una risoluzione spaziale di 394 metri per pixel e da una distanza di 78700 chilometri.

“Astrosamantha – La donna dei record nello spazio” il docu-film

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di Veronica RemondiniAstronautinews.it

Martedì 16 febbraio si è tenuto presso la Casa del Cinema di Roma l’evento di presentazione del film “Astrosamantha – La donna dei record nello spazio”, al quale abbiamo avuto l’onore di partecipare. In seguito alla visione si è tenuta una conferenza stampa alla presenza del regista Gianluca Cerasola e della voce narrante Giancarlo Giannini, di cui potete trovare un report su Twitter con l’hashtag #FuturaIlFilm.

“Futura”, perché sebbene il titolo del documentario si riferisca alla protagonista, si è colta l’occasione per presentare al pubblico uno scorcio della preparazione a cui tutti gli astronauti sono sottoposti prima di intraprendere la loro missione. La ghiotta occasione del lancio della nostra connazionale ha dato al regista l’opportunità di creare il primo film in lingua italiana interamente dedicato alla vita e al lavoro di uno di loro, mostrando in egual misura l’impegno tecnico e i momenti di vita comune.

La magia che percepiamo pensando al lavoro di astronauta è in piccola parte dovuta anche alla riservatezza del suo operato e alle attività che  risultano complesse ai più. Con questo docu-film si sono voluti rendere accessibili a tutti i ritmi che scandiscono la sua vita, in ordine cronologico, spaziando dagli studi per superare determinati esami fino alla vita sociale, dagli esercizi fisici alle attività di tutti i giorni come la cucina o il relax, per arrivare poi al momento del lancio. Anche entrando talvolta nel dettaglio, la fluidità del film non viene intaccata da tecnicismi e non si cade mai nella banalità, nemmeno per chi conosce già la storia di Samantha, perché lei sa sempre snocciolare all’occorrenza qualche chicca, aneddoto o dettaglio che non aveva detto prima, o che non valeva la pena raccontare sui media.

Si ha l’impressione che si siano volute scandire le varie successioni di eventi con una sorta di capitoli, qualche scena che stacca dal mood precedente e prepara agli accadimenti successivi. Forse questa scelta non risulta del tutto chiara allo spettatore abituato ad immergersi nel film, perché talvolta non accompagna adeguatamente le diverse sensazioni, così come le musiche a momenti dissonanti con le scene. Nel complesso, però, ne scaturisce un documentario di rara bellezza, che non manca di esprimere entusiasmo, professionalità, simpatia e anche di commuovere.

Il docu-film sarà presente nelle sale italiane l’1 e il 2 Marzo per una visione da parte del pubblico, e poi sarà messo a disposizione delle scuole e degli istituti di ricerca per alimentare negli studenti il fuoco della passione e della curiosità, e per far passare il messaggio a cui Samantha tiene particolarmente, ossia credere nella propria forza di volontà e nelle proprie capacità per raggiungere gli obiettivi perché “il mondo si sposta dinnanzi a chi sa dove andare”.

Cercatelo nelle sale più vicine a voi e poi tornate sulle pagine del nostro forum per commentarlo insieme a noi!

La conferenza

Dopo la visione del film è stato possibile porre alcune domande al regista Cerasola, a Giannini e a Samantha Cristoforetti che, nonostante fosse malata e senza voce, si è resa comunque disponibile a rispondere via Skype tramite chat. Ecco qui le principali curiosità, tutte le altre si possono trovare su Twitter cercando #FuturaIlFilm:

Domande per Samantha Cristoforetti

D: Che cosa ne pensa di questo film? Le è piaciuto?

R: Il film mi ha commossa, e fa strano vedersi sul grande schermo

D: Sarà possibile vedere la Cristoforetti sulla Luna in futuro?

R: Ci sono progetti per una missione cislunare di ESA negli anni ’20, ed è previsto che ci andranno astronauti europei perciò chissà…

D: Cosa ha portato la donna Cristoforetti alla propria missione, oltre che come astronauta?

R: Non so quali elementi della mia personalità dipendano prettamente dall’essere donna, perciò non so cosa rispondere.

D: Quando era nello spazio le è mancata la pioggia? E più in generale, che cosa le è mancato di più della Terra?

R: No, non mi è mancata ma una volta abbiamo messo il suono della pioggia sulla ISS. E’ stato anche divertente ricreare le feste terrestri, come il Natale o i compleanni, per sentire un maggior contatto con il tempo terrestre.

Domande per Giancarlo Giannini e Gianluca Cerasola

D: Giannini, cosa l’ha convinta a dare la voce a questo film?

R: Lo spazio mi ha sempre affascinato, da piccolo avrei voluto fare il costruttore aeronautico.

D: Che cosa la affascina di Samantha?

R: Trovo straordinarie la fantasia e la curiosità delle donne. Non ho conosciuto la Cristoforetti di persona, ma credo che incarni queste qualità alla perfezione.

D: Cerasola, perché ha scelto di fare un film su un astronauta?

R: Mi sono accorto che in Italia non sono mai stati fatti film su astronauti e ho pensato che il lancio di Samantha sarebbe stata un’ottima occasione.

D: Ha incontrato difficoltà?

R: Sì, ad un certo punto ero persino scoraggiato dalle mille richieste di permessi necessari, ma ci ho provato comunque. Sono stato messo in contatto direttamente con la Cristoforetti la quale ci ha pensato un po’ su e alla fine ha accettato di partecipare. Grazie a NASA e a Roscosmos abbiamo poi avuto accesso a luoghi generalmente inaccessibili.

D: Ha tagliato qualche scena nel film? Se sì, cosa?

R: Beh, in tre anni di riprese potete solo immaginare quanto materiale io abbia in archivio, ma ho voluto rendere il film il più semplice possibile, raccontando soprattutto le emozioni, perciò ho tagliato più che altro le parti tecniche.

D: Perché il lancio di Cristoforetti ha avuto così tanto impatto mediatico, confermato anche dalla creazione di questo documentario?

R: Samantha ha la capacità di raccontare con estrema semplicità anche le parti più difficili, ha una capacità innata di rapportarsi alle telecamere nonostante la sua riservatezza.

Segui la discussione su ForumAstronautico.it

http://www.forumastronautico.it/index.php?topic=24821.0



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Gruppo Astrofili William Herschel

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Quest’anno il gruppo astrofili William Herschel propone un corso di astrofotografia: Leonardo Orazi, astrofotografo (www.starkeeper.it/), introdurrà, in cinque conferenze, gli strumenti e le tecniche per ottenere splendide immagini degli oggetti celesti!
Ingresso libero.
Gli incontri si terranno nei giorni 16 e 22 febbraio, 15 e 22 marzo, 19 aprile a partire dalle ore 21:30, presso la sala riunioni della Parrocchia Immacolata Concezione e San Donato ini Via Saccarelli 10, Torino.
Per informazioni: info@gawh.net
www.gawh.net

Al Planetario di Ravenna

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21.02, ore 10:30: Osservazione del Sole (ingresso libero, cielo permettendo).

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ATTENZIONE! DATECI NOTIZIE!

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Foto della scia del bolide, ripresa da Cascina (fonte Meteoweb)
Foto della scia del bolide, ripresa da Cascina (fonte Meteoweb)

Una forte scia luminosa è stata avvistata in molte regioni italiane nella serata del 17 febbraio, poco prima delle 18.30. In particolare nei cieli delle regioni nord-occidentali, quindi Piemonte, Liguria, Lombardia, Emilia, ed anche in Toscana.
Anche molti siti francesi hanno riportato la notizia, infatti la scia è stata avvistata da moltissime persone anche nell’area orientale della Francia. Il bolide, durato pochissimi secondi, ha illuminato con una luce intensa il cielo e ha lasciato una scia leggermente ondulata, come si può osservare dalle foto.

Nel sito di raccolta segnalazioni per eventi di questo genere dell’International Meteor Organization si possono vedere le numerose testimonianze, più che altro da Francia e Svizzera, raccolte in una mappa, che ci indica oltre alla concentrazione delle segnalazioni e l’entità del fenomeno in base alla magnitudine indicata dagli osservatori, anche la direzione in cui il fenomeno è stato osservato.

Nessun impatto per ora è stato confermato, l’oggetto è esploso in volo e quel poco che può essere arrivato a terra è probabilmente caduto in una zona di alta montagna, rendendone impossibile l’individuazione.

Nonostante la durata e l’intensità del fenomeno, le foto e le riprese del bolide dall’Italia, ma anche le segnalazioni sui vari siti di monitoraggio, sono davvero poche, a causa probabilmente anche del brutto tempo… perciò dateci notizie e fateci sapere se siete riusciti a riprenderlo!

Potete caricare le vostre immagini anche su Photocoelum, cercando di inserire maggiori dettagli possibili!

L’unico video al momento ripreso dall’Italia è quello di Andrea Franchi:


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Scuola di Storia della Fisica – Osservatorio di Asiago

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Dal 22 al 26 febbraio si terrà ad Asiago un corso di formazione rivolto insegnanti di fisica e di matematica delle scuole secondarie, agli studenti universitari e ai dottorandi interessati.
Non si tratta di un convegno specialistico ma intende essere un intreccio tra storia e didattica della fisica, rigoroso ma fruibile dal punto di vista di un insegnante di scuola secondaria superiore ed è infatti rivolto a docenti delle scuole secondarie superiori, dottorandi ed in generale ai cultori della disciplina; oltre ad una serie di conferenze sono previsti gruppi di lavoro pomeridiani in cui i partecipanti possono sviluppare ed approfondire le tematiche oggetto della Scuola.
“Scopo di questo corso è rendere possibile agli insegnanti la riflessione sullo sviluppo storico della fisica mettendo l’accento sugli aspetti culturali della disciplina e sul valore didattico della storia della fisica
nell’insegnamento della fisica.“
Relatori e Coordinatori Cesare Barbieri, Università di Padova; Silvio Bergia, Università di Bologna; Luisa Bonolis, Max Planck Institute – Berlino; Luigi Brasini, GsdF-Cesena; Biagio Buonaura, GsdF – Nola; Massimo Capaccioli, Università di Napoli; Stefano Ciroi, Università di Padova; Giuseppe Galletta, Università di Padova; Edoardo Piparo, GSdF – Messina; Amedeo Alberto Poggi, GsdF-Ferrara; Massimo Turatto, INAF Osservatorio Astronomico di Padova; Valeria Zanini, INAF Osservatorio Astronomico di Padova.

Iscrizioni entro il 15 febbraio 2016
Informazioni sul Gruppo di Storia della Fisica dell\’AIF, sulle sue attività e sulla Scuola di Asiago sono
reperibili all’indirizzo: www.lfns.it/STORIA/

Schiaparelli agganciato in cima a TGO: tutto pronto per il lancio di ExoMars

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Le due sonde della missione euro-russa ExoMars 2016 hanno raggiunto la loro configurazione di lancio, con l’aggancio del modulo di atterraggio Schiaparelli in cima al Trace Gas Orbiter. Le due sonde si separeranno il 16 ottobre, tre giorni prima di raggiungere Marte.

Photo credit: ESA - B. Bethge

I due veicoli sono stati uniti meccanicamente tramite una struttura nota come Main Separation Assembly, o MSA, che è attaccata a TGO tramite 27 viti. Al momento della separazione, tre diversi meccanismi pirotecnici entreranno in funzione, con molle compresse e angolate che spingeranno Schiaparelli lontano dall’orbiter, impartendogli una rotazione sul proprio asse che lo stabilizzerà durante l’ingresso nell’atmosfera. Le molle sono tenute in posizione da un sistema di attuatori non esplosivi, o NEA.

Le sonde erano già state unite tra di loro due volte durante i test avvenuti al centro della Thales Alenia di Cannes. Dalla loro ultima separazione, le due sonde sono state trasferite al centro di lancio di Baikonur e hanno iniziato gli ultimi preparativi per il lancio del 14 marzo. Schiaparelli, in particolare, è stato sottoposto a test di contaminazione biologica, ha assistito all’installazione degli ultimi componenti del suo scudo termico ed è stato rifornito di idrazina ed elio per la pressurizzazione dei serbatoi. Per quanto riguarda TGO, invece, uno dei principali strumenti si è rivelato parzialmente difettoso ed è stato sostituito con un modello di riserva.

L’unione delle due sonde è iniziata il 13 febbraio, quando gli ingegneri hanno collegato e verificato i sistemi elettrici. I test si sono protratti fino al giorno 15. Il prossimo passo ora sarà installare le ultime tre mattonelle dello scudo termico di Schiaparelli e rifornire di carburante anche TGO. Per questa settimana sono previsti anche gli ultimi test al software di comunicazione.


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Scopri di più su ExoMars:

Il programma euro-russo ExoMars si articola in due missioni da due componenti ciascuna. La prima fase vedrà la sonda Trace Gas Orbiter, o TGO, decollare assieme al modulo sperimentale d’atterraggio Schiaparelli nella finestra di lancio del 14-25 marzo 2016. Le due sonde decolleranno in cima allo stesso razzo Proton dal cosmodromo kazako di Baikonur e resteranno l’una attaccata all’altra per tutta la durata della crociera interplanetaria. Tre giorni prima di giungere a destinazione, il 16 Ottobre 2016, le due sonde si separeranno, iniziando così i loro cammini separati.

Schiaparelli farà il suo ingresso nell’atmosfera marziana a 21 mila chilometri orari e 122.5 chilometri di quota, rallentando la propria discesa mediante aerofrenaggio. Poi, a 11 chilometri di altitudine e 1650 chilometri orari di velocità, Schiaparelli rallenterà ulteriormente la propria caduta con un paracadute. Infine, dopo la separazione dello scudo termico e del paracadute, il modulo sperimentale verrà gentilmente appoggiato sul suolo di Meridiani Planum da un sistema di 9 propulsori a idrazina che si attiveranno a 2 metri dal suolo. L’atterraggio è previsto per il 19 Ottobre. Schiaparelli si limiterà a verificare il funzionamento di una serie di tecnologie di discesa ed atterraggio – materiali in grado di resistere fino a 1500 gradi centigradi, il sistema di paracadute, il sistema di altimetria radar e il sistema di propulsione a propellente liquido. Trattandosi “solamente” di una dimostrazione tecnologica, Schiaparelli non è dotato né di pannelli solari né di generatori termoelettrici a radioisotopi. Le sue batterie non gli consentiranno di superare i 2-8 giorni marziani di vita, una volta atterrato. Nonostante ciò, Schiaparelli ha comunque a disposizione una serie di strumenti scientifici. Il pacchetto DREAMS consiste in una serie di sensori in grado di misurare la velocità e la direzione del vento (MetWind), l’umidità (DREAMS-H), la pressione (DREAMS-P), la temperatura atmosferica in prossimità della superficie (MarsTem), l’opacità dell’atmosfera (SIS) e l’elettrificazione atmosferica (MicroARES). Il programma AMELIA analizzerà invece i dati raccolti dai sensori diagnostici per ricostruire la traiettoria della sonda e determinare le condizioni atmosferiche in quota. Lo strumento COMARS+, invece, monitorerà il flusso di calore durante la discesa di Schiaparelli. Infine, la fotocamera DECA riprenderà la discesa attraverso l’atmosfera marziana. Il modulo è dotato anche di un sistema retroriflettore che permetterà alle sonde in orbita di localizzarlo usando i laser.

Nel frattempo, lo stesso giorno dell’atterraggio di Schiaparelli, il Trace Gas Orbiter accenderà il suo motore principale a bipropellente per inserirsi in un’orbita preliminare attorno a Marte. Poi, a Dicembre 2016, TGO modificherà la propria inclinazione orbitale a 74 gradi. Subito dopo, mediante ulteriori manovre a propulsione attiva, TGO abbasserà il suo apocentro, riducendo il periodo orbitale da 4 a 1 giorno marziano. Poi, nell’arco di tutto il 2017, la sonda effettuerà una serie di manovre di aerofrenaggio per calarsi a 400 chilometri di quota. A Dicembre 2017, la sonda potrà finalmente avviare le operazioni scientifiche nominali. La sonda si concentrerà principalmente sullo studio dei gas in traccia, ovvero i gas che costituiscono meno dell’un percento dell’atmosfera marziana. Le misurazioni sulle concentrazioni di questi gas saranno fino a tre magnitudini più precise di quelli oggi a disposizione degli scienziati. TGO vanta quattro diversi strumenti o apparati scientifici: NOMAD userà tre spettrometri – due nell’infrarosso e uno nell’ultravioletto – per determinare la composizione atmosferica e mappare in particolare il metano e molte altre specie; ACS impiegherà tre strumenti nell’infrarosso per far luce sui processi chimici e sulla struttura dell’atmosfera marziana, lavorando a stretto contatto con NOMAD; CaSSIS produrrà fotografie a colori e stereoscopiche con una risoluzione di 5 metri per pixel; FREND impiegherà un rilevatore di neutroni per mappare le concentrazioni di idrogeno fino a un metro di profondità, rivelando eventuali depositi sotterranei di ghiaccio. La sonda ha una vita operativa che si estende fino alla fine del 2022.

Nel 2018, sarà il turno di un’altra coppia di sonde, stavolta entrambe dirette verso la superficie marziana. Maggio 2018 gennaio2019?

Le due sonde atterreranno assieme, usando un sistema di paracadute e propulsori perlopiù russo. Dopo essersi adagiate sul suolo marziano, le due sonde inizieranno le loro missioni separate: il rover scenderà dalla piattaforma russa e inaugurerà la sua esplorazione del Pianeta rosso, alla ricerca di materiali organici risalenti a miliardi di anni fa.

Il rover, ancora senza un nome ufficiale, sarà munito di una fotocamera panoramica (PanCam) per mappare i suoi dintorni, uno spettrometro infrarosso (ISEM) per determinare la composizione mineralogica delle rocce, una fotocamera (CLUPI) per fotografare ad alta risoluzione e a colori le rocce e gli affioramenti rocciosi da vicino, un radar (WISDOM) per ricostruire la stratigrafia al di sotto del rover, uno strumento (Adron) per cercare tracce di acqua e minerali idrati nel sottosuolo, un rilevatore di biomarcatori (MOMA), uno spettrometro (MicrOmega) per studiare i campioni raccolti e uno (RLS) per identificare pigmenti organici al loro interno. La punta di diamante del rover sarà però il trapano, che sarà in grado di penetrare nel suolo marziano e raccogliere campioni fino a due metri di profondità. La trivella è dotata di uno spettrometro infrarosso italiano (Ma-Miss) per caratterizzare i siti da cui prelevare i campioni. La missione prevede la raccolta di almeno 17 campioni.

La piattaforma scientifica russa sarà invece dotata di 13 strumenti: LaRa, che rivelerà i dettagli della struttura interna di Marte e misurerà variazioni nella rotazione, nell’inclinazione e nel momento angolare del pianeta in seguito a ridistribuzioni di massa (ad esempio la sublimazione delle calotte polari); HABIT, che studierà la quantità di vapore acqueo (ed eventuali variazioni) nell’atmosfera; METEO, un pacchetto meteorologico che include sensori di pressione, umidità, polveri, radiazioni e campi magnetici; MAIGRET, un magnetometro; TSPP, un sistema di fotocamere; BIP, che studierà le condizioni marziane; FAST, uno spettrometro infrarosso per studiare l’atmosfera, ADRON-EM, uno spettrometro a neutroni; M-DLS, uno spettrometro laser per studiare l’atmosfera; PAT-M, un termometro per misurare la temperatura del suolo fino a un metro di profondità; Dust Suit, che analizzerà le dimensioni e gli impatti delle polveri atmosferiche; SEM, un sismometro; MGAP, che eseguirà cromatografia liquida-spettrometria di massa.

A Ottobre, gli scienziati europei e russi hanno raccomandato Oxia Planum come sito primario di atterraggio per la missione del 2018, con Aram Dorsum e Mawrth Vallis come siti di riserva.

Associazione Cascinese Astrofili

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20.02: Osservazione pubblica presso: CAMS (Centro Astronomico del Monte Serra). Agriturismo Serra di Sotto, Strada Prov. Monte Serra a Buti (PI). Meteo permettendo.
Tel. 0587/070563
www.agrserradisotto.it

Per informazioni:
Domenico Antonacci Cell: 347-4131736
domenico.antonacci@astrofilicascinesi.it
www.astrofilicascinesi.it

Congiunzione Luna Giove

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La lista dei migliori fenomeni celesti del mese si chiude la mattina del 24 con una nuova congiunzione tra la Luna quasi piena e Giove distante circa 2,3°, questa volta però osservabile sull’orizzonte sudovest e con i due oggetti alti più di +40°.

Se l’atmosfera sarà trasparente e senza umidità, dovremmo assistere a uno splendido scenario da plenilunio invernale. La Luna sarà decisamente invasiva con il suo chiarore, ma anche così gli astrofotografi più bravi riusciranno senz’altro a ricavare suggestivi accostamenti tra il cielo e gli elementi del paesaggio.

Per le effemeridi di Luna e Pianeti vedere il Cielo di Febbraio

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Tutti gli eventi del mese di febbraio
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Al Planetario di Ravenna

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Le osservazioni si tengono presso i Giardini Pubblici con ingresso libero, meteo permettendo. Inizio ore 21:00, prenotazione consigliata.

19.02: Osservazione della volta stellata (ingresso libero, cielo permettendo).

Prenotazione sempre consigliata.
Per info: tel. 0544.62534 –
info@arar.it
www.racine.ra.it/planet – www.arar.it

Gruppo Astrofili DEEP SPACE

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Le conferenze serali iniziano alle ore 21:00.

CICLO “La Scienza non esatta: bugie, follie e fortuna nel cammino della conoscenza”
19.02: “Scienziati squilibrati: riflessioni sulle follie della scienza” di Luca Perri.

Per info: 0341.367584
www.deepspace.it

Infini.to Planetario di Torino – Museo dell’Astronomia e dello Spazio

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19.02: SERATA OSSERVATIVA. Sarà possibile esplorare il cielo stellato attraverso un viaggio virtuale nel Planetario digitale e visitare una cupola dell’Osservatorio, osservando eccezionalmente dal telescopio rifrattore più grande d’Italia. In caso di maltempo l’osservazione diretta del cielo sarà sostituita da una visita storica alla cupola dell’Osservatorio.

Per informazioni e prenotazioni:
http://www.planetarioditorino.it/infinito/un-cielo-di-stelle-al-parcoastronomico
info@planetarioditorino.it
Tel. 011 8118740 (mar-ven 10.00-15.00) – Fax 011 8118652

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Philae, la ricerca non si ferma

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L'ultima immagine rilasciata della cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko, ripresa il 5 febbraio scorso da Rosetta (NavCam) quando si trovava a 53,4 km dal nucleo. L'immagine ha una risoluzione di 4,6 m/pixel. ESA/Rosetta/NavCam – CC BY-SA IGO 3.0

Rosetta continuerà le operazioni di ricerca del lander Philae con l’obiettivo di riprenderne le attività. Questo è quanto emerge dalla nota rilasciata dal Tiger Team, un gruppo di esperti voluto dal Lander Steering Committee per fare il quadro dell’attuale situazione di Philae.

Dopo aver analizzato i dati ricevuti nel corso degli 8 contatti avuti tra lander e orbiter nel periodo giugno/luglio 2015, il gruppo di specialisti ha formulato tre possibili scenari che spiegherebbero le difficoltà di stabilire un contatto con la sonda che giace sulla superficie della cometa 67P/Churyumov Gerasimenko dal 12 novembre 2014.

Il primo presuppone che, per effetto delle temperature ambientali estremamente basse, il sistema di comunicazione o qualche altro apparato vitale del lander abbia riportato dei danni tali per cui Philae non riuscirebbe a mettersi in contatto con Rosetta; il secondo spiegherebbe l’assenza di segnali con la polvere cometaria che, depositatasi sui pannelli di Philae a causa della diminuzione dell’attività della cometa dopo aver superato il perielio (metà agosto 2015), avrebbe ridotto la capacità dei suoi pannelli solari di generare potenza elettrica.

L’ultimo scenario, invece, prevede che il lander si sia mosso rispetto alla posizione in cui ha svolto la First Science Sequencenella zona nominata Abydos, e che le sue antenne siano invece orientate in un modo diverso da quello presunto, non permettendo la ricezione dei segnali provenienti da Rosetta.

«Il terzo scenario lascia uno spiraglio alla possibilità che si possa ripristinare il contatto con Philae e metterlo in condizioni di svolgere ancora indagini scientifiche sulla superficie della cometa – ha commentato Mario Salatti, project manager di Philae per ASI –  è però necessario che Rosetta individui il lander e ci dica come sono posizionati i pannelli solari rispetto al Sole e come sono posizionate le sue antenne per ottimizzare le finestre di comunicazione con la sonda».

L'ultima immagine rilasciata della cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko, ripresa il 5 febbraio scorso da Rosetta (NavCam) quando si trovava a 53,4 km dal nucleo. L'immagine ha una risoluzione di 4,6 m/pixel. ESA/Rosetta/NavCam – CC BY-SA IGO 3.0

Lo scorso 22 gennaio Rosetta si è spostata nella parte sud della cometa e al momento sta orbitando a un’altezza pari a circa 50 chilometri. Tale distanza viene monitorata di giorno in giorno ed eventualmente ridotta in una misura che garantisca comunque le massime condizioni di sicurezza per la navigazione della sonda.

«È una lotta contro il tempo — ha concluso Salatti — con l’attività della cometa in costante diminuzione, Rosetta può avvicinarsi sempre di più alla sua superficie: quando sarà in grado di avvicinarsi ad almeno 10 chilometri potrà risolvere adeguatamente la figura di Philae nelle immagini di OSIRIS. Allo stesso modo però, le condizioni energetiche necessarie per l’accensione del lander vanno peggiorando man mano che la distanza dal Sole aumenta. ESA valuterà se fare un “flyby” ravvicinato alla zona Abydos nelle prossime settimane, ma sull’effettiva esecuzione della manovra peserà enormemente l’esigenza di non mettere a repentaglio la sicurezza della sonda Rosetta».

Risorse online

TUTTE LE IMMAGINI DELLA COMETA
Una spettacolare mappa interattiva tridimensionale di tutte le posizioni in cui Rosetta ha ripreso e inviato immagini della cometa. Selezionando la modalità “dispaly observations” sarà possibile cliccare stile “google viewer” la singola posizione lungo le orbite per vedere le immagini della cometa ripresa dalla sonda da quella posizione (con tutti i dettagli). Con il movimento del mouse è poi possibile ruotare e zoomare l’immagine e osservare le orbite della sonda attorno alla cometa su 3 dimensioni.


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Al Planetario di Ravenna

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Le osservazioni si tengono presso i Giardini Pubblici con ingresso libero, meteo permettendo. Inizio ore 21:00, prenotazione consigliata.

16.02: “Armonie Celesti: quando l’astronomia e suono si incontrano nell’Universo ” di Amalia Persico.

Prenotazione sempre consigliata.
Per info: tel. 0544.62534 –
info@arar.it
www.racine.ra.it/planet – www.arar.it

Associazione Cascinese Astrofili

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16.02: “Campi Lunari”. Osservazione Pubblica della LUNA e fotografia con i telescopi. presso la sede dell’associazione. Meteo permettendo.

Per informazioni:
Domenico Antonacci Cell: 347-4131736
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Supernova in Centaurus A!

Centaurus A. Image Credit & Copyright: SSRO-South (Steve Mazlin, Jack Harvey, Daniel Verschatse, Rick Gilbert) and Kevin Ivarsen (PROMPT/CTIO/UNC). http://apod.nasa.gov/apod/ap120404.html

NGC 5128, la famosa Centaurus A, è una delle più intense radiosorgenti conosciute e la più vicina delle galassie attive; è anche la quinta galassia più luminosa di tutto il cielo, ben visibile con un binocolo e, in condizioni ottimali ma dall’emisfero meridionale, anche ad occhio nudo.

La supernova del BOSS in una ripresa di Greg Bock, scopritore con Peter Marples della SN2016adj

La notte dell’8 febbraio, gli australiani Peter Marples e Greg Bock, membri del Backyard Observatory Supernova Search (BOSS) il principale programma di ricerca supernovae amatoriale dell’emisfero meridionale, hanno individuato una luminosa supernova di mag.+14 nella spettacolare galassia.

Una bella immagine di Centaurus A con la sn2016adj (evidenziata dai trattini) ripresa dall’australiano, di origini scozzesi, Andy Casely.

Situata nella costellazione australe del Centauro a soli 12 milioni di anni luce da noi, NGC 5128 è una galassia lenticolare caratterizzata da una fascia di polveri che attraversa il disco galattico al cui centro si ritiene possa trovarsi un massiccio buco nero.

La notizia della scoperta ha fatto subito il giro del mondo e la notte seguente, dall’Osservatorio di Siding Spring in Australia con il telescopio ANU da 2,3 metri è stato ripreso lo spettro che ha permesso di classificare la supernova 2016adj (questa la sigla attribuita) di tipo IIb. L’analisi dello spettro non è stata però facile a causa delle consistenti polveri presenti sulla linea di vista, che purtroppo rendono la supernova meno luminosa anche di diverse magnitudini.

Trent’anni fa, la galassia attiva aveva già ospitato un’altra supernova, la SN1986G di tipo Ia-pec scoperta il 3 maggio 1986 dal reverendo Bob Evans e che raggiunse la mag.+11. E il caso ha voluto che Peter Marples e Greg Bock iniziassero ad interessarsi alla ricerca di supernovae nel 1986, ispirati proprio dalla scoperta da Evans, come Bock stesso, doppiamente orgoglioso della scoperta, ha tenuto a precisarci!

«Both Peter and I have known Bob for more than 20 years, and he inspired both of us to do supernova searching back in 1986 when he discovered SN1986G and a few others in that year. So, we are very proud to have discovered the second supernova in NGC 5128, as Bob discovered the first one, and he also very happy of course that found it before any of the big search programs in the world.»
Greg

Come accade spesso quando si tratta di galassie molto luminose e fotogeniche, quindi molto bersagliate da chi fa ricerca o da chi vuole ottenere stupende immagini, sono saltate fuori diverse pre-discovery, alcune da parte di nomi molto noti come il sudafricano Berto Monard, il neozelandese Stu Parker o l’astrofotografo britannico Damian Peach.

Ad una rapida analisi dell’immagine però, la supernova non di immediata identificazione; può infatti facilemente sfuggire all’attenzione perché vicinissima (5″) a una stella molto più luminosa. Purtroppo per gli osservatori posti nell’emisfero settentrionale questa galassia non è per niente un facile oggetto da osservare, trovandosi alla declinazione di –43°. Gli osservatori del nord Italia sono praticamente tagliati fuori, per quelli del centro Italia invece la situazione migliora leggermente ma l’ottenimento di un’immagine è un impresa molto ardua culminando la galassia a non più di 4-5 gradi sopra l’orizzonte. La situazione è migliore per il sud Italia dove per esempio nel cielo di Catania la galassia culmina ad un’altezza di circa 10 gradi sopra l’orizzonte.

Lanciamo perciò una sfida: chi riuscirà a riprendere dall’Italia questa intrigante supernova? Mandateci le vostre immagini all’indirizzo: fabiobriganti@libero.it

Gruppo Astrofili William Herschel

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Quest’anno il gruppo astrofili William Herschel propone un corso di astrofotografia: Leonardo Orazi, astrofotografo (www.starkeeper.it), introdurrà, in cinque conferenze, gli strumenti e le tecniche per ottenere splendide immagini degli oggetti celesti!
Ingresso libero.
Gli incontri si terranno nei giorni 16 e 22 febbraio, 15 e 22 marzo, 19 aprile a partire dalle ore 21:30, presso la sala riunioni della Parrocchia Immacolata Concezione e San Donato ini Via Saccarelli 10, Torino.
Per informazioni: info@gawh.net
www.gawh.net

Nuove frontiere per l’astrofisica

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In questa timeline interattiva, le principali tappe che hanno portato al risultato di oggi. Cliccare sull’immagine per navigare nella timeline. Crediti: Davide Coero Borga / Media INAF
In questa timeline interattiva, le principali tappe che hanno portato al risultato di oggi. Cliccare sull’immagine per navigare nella timeline. Crediti: Davide Coero Borga / Media INAF
La curvatura dello spazio generata da una massa nei suoi dintorni fa sì che altre masse nelle vicinanze cadano nella “buca” od orbitino attorno a essa

Cento anni fa Albert Einstein formulava la Teoria della Relatività Generale. Un affascinante ed elegante impianto matematico. La teoria ha profonde implicazioni per la Gravitazione, e dimostra i limiti della concezione di Newton. A molti la cosa potrebbe apparire come un semplice, anche se elegante, esercizio intellettuale, dato che in fondo “la mela di Newton” continua a cadere a terra come prima. In realtà la teoria di Einstein ha introdotto spettacolari cambiamenti, non solo nella comprensione dell’Universo ma anche nella nostra vita. Basti pensare al GPS, un dispositivo che non potrebbe funzionare senza il trattamento delle orbite dei satelliti tramite appunto la teoria di Einstein. Uno degli aspetti più accattivanti di questa teoria è la curvatura dello spazio-tempo generata da una massa nei suoi dintorni.

Una delle conseguenze di questo fenomeno di curvatura è il fatto che, se due masse orbitano una attorno all’altra, la deformazione dello spazio da esse prodotta genera un moto ondoso dello spazio che si propaga, le cosiddette onde gravitazionali: la mela di Newton posta nella vicinanze di un sistema di stelle che ruotano una attorno all’altra (un sistema binario) comincia a oscillare!

Fino a oggi abbiamo avuto prove indirette dell’esistenza di onde gravitazionali. Per esempio, abbiamo scoperto sistemi binari la cui orbita si restringe proprio per la perdita di energia dovuta all’emissione di onde gravitazionali. Si prevede che, alla fine del processo di avvicinamento, le due stelle collassino l’una sull’altra provocando un “burst” di onde gravitazionali: un evento che in gergo definiamo “merger”.

Ricordo con emozione la nostra scoperta, nel 2003, di un sistema binario il cui “decadimento orbitale” era straordinariamente elevato, cioè un sistema relativamente vicino alla fase finale di “merger”. L’articolo, pubblicato su Nature, fece il giro del mondo, rivitalizzando l’interesse della comunità per la ricerca diretta di onde gravitazionali, attraverso sofisticati apparati di misura come quelli di LIGO e VIRGO.

Nichi D’Amico (al centro), insieme a Marta Burgay e Andrea Possenti, all’epoca in cui scoprirono il primo sistema binario in avanzata fase di “coalescenza”, e destinato cioè a divenire un “merger” su tempi scala relativamente brevi. Il loro articolo, pubblicato su Nature nel 2003, dimostrava un sostanziale aumento della probabilità di rivelare burst di onde gravitazionali da parte di questi sistemi binari durante la fase finale della coalescenza, come quello annunciato da LIGO/Virgo

Il sofisticato rivelatore di LIGO – una coppia di tunnel lunghi quattro chilometri in cui viene misurata con incredibile accuratezza la propagazione di un raggio laser, sensibile a eventuali deformazioni dello spazio-tempo prodotte dal passaggio di onde gravitazionali – ha rivelato un “burst” di onde gravitazionali proveniente da un “merger” costituito da due buchi neri. Questa è indubbiamente una scoperta da Premio Nobel!

Questo risultato apre un nuovo “canale” per osservare l’Universo, che ci porterà alla scoperta di nuove sorgenti e di nuovi fenomeni. E qui si apre un grande futuro per l’INAF: osservare a fondo con i nostri potenti telescopi queste nuove sorgenti e studiarne la natura. I nostri gruppi di ricerca hanno già un accordo con LIGO e VIRGO che ci consente di essere allertati in tempo reale per puntare i nostri potenti telescopi, radiotelescopi, satelliti X e gamma per scoprire la natura di queste nuove e intriganti sorgenti di onde gravitazionali.

Si apre una nuova frontiera, sulla quale la comunità astronomica italiana è in prima linea. Fioriranno nuove idee, saranno messi a punto nuovi strumenti, ancora una volta ci cimenteremo, in collaborazione con l’industria nazionale, nello sviluppo di nuovi apparati, con grandi ritorni scientifici e tecnologici per il Paese.

In questa timeline interattiva, le principali tappe che hanno portato al risultato di oggi.


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Gruppo Astrofili DEEP SPACE

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Le conferenze serali iniziano alle ore 21:00.

14.02: “La musica dell’infinito”. Proiezione-concerto per la festa degli innamorati con il duo Mesarthim: Emanuela Milani (flauto) e Giulia Molteni (pianoforte). Relatore: Loris Lazzati.

Per info: 0341.367584
www.deepspace.it

Osservazione diretta delle onde gravitazionali? Oggi la risposta!

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Oggi pomeriggio alle 16.30 (ora italiana) l’attesissima conferenza congiunta, in simultanea dall’European Gravitational Observatory di Cascina (PI) e da Washington DC (USA), dei ricercatori degli esperimenti  VIRGO e LIGO. Si farà il punto della ricerca sulle onde gravitazionali e si scoprirà finalmente se i rumors sull’effettiva osservazione diretta delle onde gravitazionali sono realtà.

In attesa di comunicarvi i risultati con un articolo di Daniele Gasparri qui su Coelum Astronomia (e con foto, interviste e approfondimenti nel prossimo numero di Coelum) rivediamo questo servizio di Marco Malaspina (Media INAF TV). In coda una serie di link suggeriti per l’approfondimento.

Seguiteci anche sui canali social: su twitter @coelum_news seguiremo in diretta le notizie in uscita dalla press conference!


La data da cerchiare è l’11 febbraio, dopo la nostra concezione del mondo potrebbe non essere più la stessa. Così promettono le indiscrezioni sull’imminente annuncio della prima rilevazione diretta d’onde gravitazionali, indiscrezioni che s’accavallano, in rete e sulle riviste più prestigiose, Science in testa. Fibrillazione comprensibile: è esattamente da un secolo, da quando Einstein formulò la sua teoria della relatività generale, che scienziati di tutto il mondo sognano di catturare queste impalpabili increspature nel tessuto dello spazio-tempo. 
In realtà di onde gravitazionali ce ne sono in continuazione: ogni volta che una massa accelera o decelera, se ne produce una. Il problema è che sono increspature infinitesimali, del tutto impercettibili. Questo perché la gravità è una forza incredibilmente debole. Dunque per cogliere un’onda gravitazionale servono due condizioni. 
La prima è che sia un’onda altissima, e dunque che le masse coinvolte siano enormi: un pianeta non basta, e forse nemmeno una normale stella. Occorrono pesi massimi e scenari apocalittici, come per esempio una coppia di stelle di neutroni in orbita vorticosa l’una attorno all’altra, o ancora meglio due buchi neri che si fondono l’uno nell’altro. Fenomeni estremi e relativamente rari, dunque, che i nostri radiotelescopi e telescopi, da terra e dallo spazio, studiano incessantemente.
La seconda condizione è disporre di strumenti straordinariamente sensibili. Parliamo di sensori in grado di rilevare una deformazione dello spazio pari a meno d’un millesimo del diametro d’un protone. Una sensibilità difficile anche solo da immaginare, eppure l’ingegno umano e la tecnologia laser interferometrica – a un secolo di distanza da Einstein – hanno fatto passi in avanti tali da rendere queste misure finalmente possibili. Strumenti come i chilometrici bracci ortogonali dei due rivelatori LIGO, negli Stati Uniti, e Virgo, gestito dal CNRS francese e dal nostro INFN nella campagna pisana. Bracci nei quali fasci di luce laser corrono nel vuoto più spinto, pronti a rilevare la benché minima variazione nella geometria dell’universo. Ed è proprio da questi sismografi dello spazio-tempo che, nella migliore delle ipotesi, potrebbe finalmente essere stato captato un sussulto gravitazionale. La risposta giovedì prossimo. 
Servizio di Marco Malaspina

Link sul progetto:

Articoli e riflessioni di interesse sui “rumors” e sull’argomento:

Gruppo Astrofili Lariani

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L’obiettivo è quello di conoscere il cielo e imparare la geografia astronomica a occhio nudo, con l’astrolabio, il binocolo e il puntatore laser.
Il ritrovo è presso la sede in via Cantù all’orario indicato per poi trasferirsi all’Alpe del Viceré (Località Campeggio). In caso di maltempo proiezione in sede con simulazione del cielo.

14.02, ore 18:00: Oggetti da osservare: Luna al Primo Quarto, Nebulosa di Orione (M42), Ammasso delle Pleiadi (M45), Doppio ammasso in Perseo (Ngc 869/884), Ammasso “Albero di Natale” nei Gemelli (M35).

La sede, in Via Cesare Cantù, 17 (Albavilla – Como) è aperta al pubblico tutti i venerdì sera!
Per informazioni: Tel 347.6301088
info@astrofililariani.org
www.astrofililariani.org

Gruppo Astrofili DEEP SPACE

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Le conferenze serali iniziano alle ore 21:00.

12.02: “I concetti di distanza in cosmologia” di Paolo D’Avanzo.

Per info: 0341.367584
www.deepspace.it

Associazione Cascinese Astrofili

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12.02: Osservazione con telescopi, meteo permettendo. Serata di Osservazione del profondo cielo. Presso: Astronomical Centre in via Mulini a Vento, 9 Orciatico, Lajatico (PI). (Attività riservata ai soci ACA, per informazioni su come associarsi contatti in coda).

Per informazioni:
Domenico Antonacci Cell: 347-4131736
domenico.antonacci@astrofilicascinesi.it
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Uno spettacolare panorama marziano

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Un'immagine a 360° della Duna Namib, con il Monte Sharp all'orizzonte, creato con le immagini del 18 dicembre 2015 (MastCam a bordo di Curiosity), le stesse con le quali è stato creato anche il panorama navigabile di cui si parla nell'articolo. I colori sono stati bilanciati in modo da essere il più possibile vicini a come si vedrebbero sotto la luce solare sulla Terra. NASA/JPL-Caltech/MSSS

Se avete visto il film The Martian (Il Sopravvissuto, e se non lo avete ancora fatto fatelo subito), è probabile che vi siate persi, proprio come Mark Whatney, nell’osservare l’affascinante desolazione del panorama marziano, con dune di finissima sabbia che si perdono a vista d’occhio, interrotte solo dalle crude e appuntite rocce di color rosso ruggine, sotto un cielo che a volte si tinge di un pallido rosa perlaceo.

I panorami del protagonista del film erano una ricostruzione (e a volte neanche tanto accurata) di quello che potremmo trovare lassù, su un pianeta distante in media 100 milioni di chilometri dalla Terra. Eppure questa volta la realtà supera la fiction, perché su Marte ci sono al momento due rover perfettamente funzionanti che scorrazzano sulla superficie da diversi anni. Il più recente, grande e potente, Curiosity, ci regala allora un panorama impressionante, ai piedi della duna Namib, ripreso il 19 dicembre scorso, che ci fa sentire al centro della scena e ci proietta sul Pianeta Rosso, senza passare per la finzione del cinema.

Con lo sguardo che spazia a 360°, e ci permette di osservare dettagli fino a 40 e più chilometri di distanza grazie alla rarefatta atmosfera marziana, questo è il panorama più impressionante che abbia mai visto in vita mia di un altro pianeta del Sistema Solare. E anche se ormai siamo stati anestetizzati da anni e anni di finzioni cinematografiche, effetti speciali di ogni tipo e ogni situazione possibile, ricordiamoci che questo panorama, anche se ci ricorda scenari già visti in videogiochi e film, ha qualcosa di unico: è reale.

Link: https://round.me/embed/23908/57875

Il panorama può anche essere esplorato in realtà virtuale, oltre che a monitor, attraverso smartphone e dispositivi mobili con il video interattivo: https://youtu.be/ME_T4B1rxCg?list=LLbfdYJJOTv43XM1aGgXXR4w



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Al Planetario di Ravenna

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01.03: “Astronomia e architettura:
un rapporto lungo millenni” di
Agostino Galegati.

Per info: tel. 0544.62534 –
info@arar.it – www.arar.it
www.racine.ra.it/planet

È morto l’astronauta Edgar Mitchell

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di Paolo BaldoAstronautinews.it

Giovedì 4 febbraio si è spento, all’età di 85 anni, l’astronauta Edgar Mitchell, che proprio il 5 febbraio di 45 anni fa divenne il sesto uomo a mettere piede sulla Luna. I familiari hanno reso noto che la morte, avvenuta verso le ore 22, lo ha colto nel sonno mentre Mitchell si trovava in una casa di cura a Lake Worth, in Florida, a seguito di una breve malattia.
Nato il 17 settembre 1930 a Hereford, in Texas, Edgar Dean Mitchell fu selezionato dalla NASA nel 1966, con il quinto gruppo di astronauti. Nel 1964 aveva conseguito un dottorato in aeronautica e astronautica presso il MIT (Massachusetts Institute of Technology) di Boston. Ufficiale pilota della U.S. Navy dal 1954, prima di entrare alla NASA aveva svolto il ruolo di pilota collaudatore e ricercatore presso la base aerea di Edwards, in California.

Mitchell effettuò un’unica missione spaziale, in qualità di pilota del modulo lunare di Apollo 14, partita da Cape Canaveral alle 21:03 GMT del 31 gennaio 1971. Il 5 febbraio successivo, a bordo del modulo lunare Antares, Mitchell atterrò sulla Luna assieme al suo comandante Alan Shepard mentre Stuart Roosa, il terzo membro di equipaggio, rimase ad attenderli in orbita lunare a bordo del modulo di comando Kitty Hawk.

Fu un atterraggio estremamente movimentato in quanto per ben due volte gli astronauti si trovarono ad un passo dal dover abortire la discesa. Il primo problema si verificò durante l’ultima orbita di Antares prima della discesa finale quando si accese una spia di aborto. Pur trattandosi di un falso segnale, se la spia fosse rimasta accesa anche dopo l’accensione del motore di discesa, il computer lo avrebbe interpretato come un aborto reale e avrebbe comandato la risalita e l’annullamento dell’atterraggio. Con una corsa contro il tempo, Mitchell dovette digitare sulla tastiera di controllo una sequenza di oltre 80 caratteri per inviare al computer una serie di comandi per aggirare il problema software. La spia si spense appena 30 secondi prima dell’accensione del motore salvando la missione. Ma non era ancora finita.

Quando Antares fu a 6.000 metri dalla superficie non si attivò come previsto il radar altimetro necessario per atterrare in sicurezza. Se il radar fosse stato ancora inattivo sotto i 3.000 metri di quota il computer avrebbe ordinato la risalita immediata. Con meno di due minuti a disposizione, i controllori a Terra comunicarono agli astronauti di resettare il radar sperando in un suo ripristino. La manovra ebbe l’effetto sperato e con enorme sollievo il radar si mise a funzionare, permettendo ad Antares di continuare la discesa che terminò alle 9:18 GMT del 5 febbraio 1972, quando le sue quattro zampe toccarono il suolo lunare sull’altopiano di Fra Mauro.

Mitchell durante la prima EVA lunare. Credit: NASA

Cinque ore e 24 minuti dopo essere atterrati, Shepard e Mitchell iniziarono la prima delle due attività extra-veicolari (EVA) previste. La seconda venne effettuata alle 8:11 GMT del giorno successivo, al termine della quale i due astronauti stabilirono il nuovo record di EVA lunari con una durata complessiva di oltre nove ore. Nel corso delle due uscite, Shepard e Mitchell installarono diversi strumenti scientifici e raccolsero ben 43 kg di rocce (un altro record fino a quel momento) anche grazie all’utilizzo di un carrello trasportatore (chiamato MET – Modular Equipment Transporter) che venne impiegato per la prima, nonché unica, volta proprio durante Apollo 14.

Uno degli obiettivi della seconda EVA prevedeva il raggiungimento del bordo di un cratere (chiamato Cone Crater) di 300 metri di diametro, ma i due astronauti non riuscirono a trovarlo a causa di alcune pendenze del terreno che li trassero in inganno e nascosero il bordo alla loro vista. Dopo vari tentativi e con la riserva di ossigeno che andava esaurendosi, alla fine si decise di abbandonare le ricerche e tornare indietro. Osservando per mezzo della sonda LRO (Lunar Recoinassance Orbiter) le tracce lasciate dai due astronauti si è oggi appurato che arrivarono a soli 30 metri dal bordo!
Prima di risalire per l’ultima volta a bordo del modulo lunare, ci fu un fuori programma che sorprese tutto il mondo. Shepard aveva portato con sé due palline e una testa ferro 6 che agganciò al manico di un attrezzo costruendosi così un’improvvisata mazza da golf. Con questa, a suo dire, riuscì a spedire “miglia e miglia” lontano una pallina. La pallina non viaggiò in realtà “per chilometri” ma per tre o quattrocento metri al massimo… Ma tanto bastò per fare di Shepard il primo golfista sulla Luna. Anche Mitchell volle tuttavia lasciare un ricordo “ludico” e da parte sua lanciò a mo’ di giavellotto un’asta utilizzata per un esperimento e non più necessaria.
Alle 18:48 GMT del 6 febbraio si concluse l’esperienza lunare di Shepard e Mitchell, con Antares che decollò per ricongiungersi con Kitty Hawk. Mai prima di allora due uomini erano rimasti per così tanto tempo (33,5 ore) sulla Luna e i loro 3,3 km percorsi a piedi rimangono tutt’ora imbattuti (anche perché nelle successive missioni gli astronauti poterono spostarsi utilizzando un rover). La missione si concluse alle 21:05 GMT del 9 febbraio 1972 con l’ammaraggio nell’Oceano Pacifico meridionale e il successivo recupero da parte della portaelicotteri USS New Orleans. L’equipaggio di Apollo 14 viene ricordato anche per essere stato l’ultimo a doversi sottoporre alla quarantena successiva al rientro a Terra. Questo protocollo di sicurezza fu infatti ritenuto non più necessario e abolito per le successive missioni.

Mitchell durante la seconda EVA. Credit: NASA

Prima della missione che lo portò sulla Luna, Mitchell fece parte dell’equipaggio di supporto di Apollo 9 e fu la riserva del pilota del modulo lunare di Apollo 10. Durante la crisi di Apollo 13 Mitchell eseguì le prove al simulatore che portarono a sviluppare le procedure per poter pilotare il modulo lunare con il modulo di comando ancora agganciato. Per questo suo lavoro fu insignito dal Presidente Nixon della Presidential Medal of Freedom, la più alta onorificenza civile degli Stati Uniti. Dopo Apollo 14 ricoprì ancora il ruolo di riserva del pilota del modulo lunare per la missione Apollo 16. Nello stesso anno, il 1972, Mitchell si ritirò dalla NASA e dalla U.S. Navy, dove raggiunse il grado di Capitano di Vascello.
Durante il viaggio di ritorno verso la Terra di Apollo 14, Mitchell effettuò su base strettamente personale (e senza informare i suoi compagni di missione) alcuni esperimenti di percezione extrasensoriale. Questo suo interesse in materia si concretizzò nel 1973, quando fondò l’Institute of Noetic Sciences per aiutare la ricerca in questo settore. Mitchell nel corso della sua vita ha più volte dichiarato di credere fermamente negli UFO sebbene ha ammesso di non averne mai visto uno di persona.
Autore di svariati libri e premiato con medaglie al merito, sia da parte della NASA che della U.S. Navy, Edgar Mitchell è stato inserito nella International Space Hall of Fame nel 1979 e nella U.S. Astronaut Hall of Fame nel 1997.

Con la sua scomparsa non rimane in vita più nessuno della missione Apollo 14, essendo Shepard e Roosa deceduti rispettivamente nel luglio 1998 e nel dicembre 1994. Delle undici missioni Apollo con equipaggio questa diventa perciò la prima a perdere tutti e tre gli astronauti, essendo ancora in vita almeno un membro di equipaggio per ognuna delle altre dieci missioni, con addirittura quattro di esse (Apollo 8, 9, 10 e 16) che vedono ancora fra noi tutti gli astronauti.
Con i suoi 85 anni, Edgar Mitchell è inoltre il secondo astronauta più anziano ad averci lasciato, superato solo da Scott Carpenter, scomparso nell’ottobre 2013 a 88 anni. Oltre alla moglie, Mitchell lascia cinque figli (un sesto è deceduto prima di lui), nove nipoti e un pronipote.

Segui la discussione su ForumAstronautico.it

http://www.forumastronautico.it/index.php?topic=24775.0

Al Planetario di Ravenna

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Le osservazioni si tengono presso i Giardini Pubblici con ingresso libero, meteo permettendo. Inizio ore 21:00, prenotazione consigliata.

09.02: “Per non perdere la bussola: marinai e scienziati sulla stessa barca”.

Prenotazione sempre consigliata.
Per info: tel. 0544.62534 –
info@arar.it
www.racine.ra.it/planet – www.arar.it

Infini.to Planetario di Torino – Museo dell’Astronomia e dello Spazio

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09.02: Anche quest’anno Infini.to organizza la grande sfilata delle maschere astronomiche. I costumi e le maschere devono essere rigorosamente a tema astronomico e le più belle e originali verranno premiate.
Si può arrivare a Infini.to già mascherato oppure si può costruire il costume in Museo, nell’area appositamente dedicata. Non si effettuano prenotazioni per l’attività di costruzione del costume; l’attività si svolgerà al raggiungimento minimo di 5 partecipanti e sarà possibile iscriversi direttamente presso la biglietteria del Museo fino ad esaurimento posti.
Per orari e programma delle attività:
http://www.planetarioditorino.it/infinito/astrocarnevale-alplanetario/infinito

Plutone: nella Sputnik Planum il ghiaccio d’acqua galleggia in un mare di azoto congelato

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L'immagine mostra un dettaglio delle colline di ghiaccio d'acqua galleggianti nella Sputnik Planum. Copre un'area di circa 500 x 340 chilometri. Credit: NASA/Johns Hopkins University Applied Physics Laboratory/Southwest Research Institute

La scorsa settimana era stata presentata una nuova mappa della distribuzione del ghiaccio d’acqua sul pianeta nano, basata sui dati raccolti in infrarosso dal Ralph/Linear Etalon Imaging Spectral Array (LEISA). Ma nonostante il dettaglio raggiunto, la Sputnik Planum, la grande pianura che riempie il caratteristico “cuore” di Plutone, e la Lowell Regio più a nord, risultavano prive di tracce di ghiaccio d’acqua in superficie. Gli scienziati avevano supposto che fosse comunque presente ma sepolto sotto altri volatili ghiacciati – come il metano, l’azoto e il monossido di carbonio – e quindi difficile da identificare.

Ora, però osservando con attenzione le immagini inviate a Terra dalla sonda della NASA New Horizons durante lo storico fly-by del 14 luglio 2015, il team ritiene che alcuni rilievi presenti nella pianura, possano essersi staccati dalle imponenti montagne di ghiaccio d’acqua che circondano la Sputnik Planum, soprattutto sul confine occidentale. Dato che il ghiaccio d’acqua è meno denso del ghiaccio a base di azoto, questi blocchi galleggerebbero alla deriva in un mare alieno di azoto congelato (non a caso avevo intuitivamente associato più volte la Sputnik Planum al pack artico! N.d.A.).

VIENI A SCIARE SULLA SPUTNIK PLANUM Volete passare una settimana bianca su Plutone? Approfittatene il 18 febbraio 2016. In questo giorno, esattamente 86 anni fa, il piccolo pianeta veniva infatti scoperto da Clyde Tombaugh. Se telefoni subito, la vacanza è praticamente regalata! FORTI SCONTI!

Questa sarebbe solo l’ennesima prova della geologia attiva che caratterizza Plutone, con la sua esotica fisica dei ghiacci: lo stesso modello a cellule della pianura indicherebbe una lenta convezione termica e ciclica dei ghiacci di azoto.
Le colline della Sputnik Planum sarebbero perciò frammenti delle montagne più grandi, imprigionati nel terreno poligonale e lentamente trasportati dal flusso dei ghiacciai azotati: soggette ai moti convettivi, sarebbero spinti e raggruppati ai bordi delle cellule.

Nell’immagine in apertura, la caratteristica formazione chiamata “Challenger Colles”, in onore dell’equipaggio della navetta spaziale Challenger, appare come uno dei più importanti accumuli di colline, 60 per 35 chilometri. Si trova al confine con le alture, lontano dal pavimento poligonale della pianura: questo potrebbe essere uno dei luoghi in cui i frammenti di ghiaccio d’acqua vengono spinti dai moti moti convettivi.

© Copyright Alive Universe


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Una sottilissima falce di Luna incontra la coppia Venere-Mercurio… e un invisibile Plutone!

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Continuando la sua corsa sull’eclittica, la mattina del giorno 6, verso le 6:45, una Luna veramente sottile raggiungerà nel Sagittario la coppia VenereMercurio, avvicinando il primo fino alla distanza di 3,4° e il secondo di 5,5°. A quell’ora il triangolo formato dai tre oggetti avrà sull’orizzonte un’altezza media di circa +10°.

Per amor di verità bisognerebbe però dire che sono addirittura quattro gli oggetti coinvolti nella congiunzione… Il quarto è Plutone (mag. +14,2), ovviamente inosservabile in un cielo ormai così chiaro, situato appena un grado a nord di Venere.

Per le effemeridi di Luna e Pianeti vedere il Cielo di Febbraio


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Un piccolo asteroide potrebbe sfiorare la Terra il 5 marzo

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Il grafico mostra tutte le possibili posizioni dell'asteroide 2013 TX68 durante il suo massimo avvicinamento alla Terra il 5 marzo 2016. Credit: NASA/JPL-Caltech

2013 TX68 era già passato vicino al nostro pianeta un paio di anni fa in completa sicurezza, alla distanza di 2 milioni di chilometri ma ora, il prossimo avvicinamento è avvolto dall’incertezza in quanto gli astronomi hanno potuto seguire la sua traiettoria solo un breve periodo di tempo dopo la scoperta.

Tuttavia, gli scienziati del Center for NEO Studies (CNEOS) del Jet Propulsion Laboratory (JPL) della NASA hanno chiarito che, anche se l’orbita è molto incerta, non esiste alcuna possibilità di impatto con la Terra, almeno non il 5 marzo. Una probabilità molto remota (1 su 250 milioni) potrebbe però presentarsi il 28 settembre 2017, oppure nel 2046 o nel 2097.

Le possibilità di collisione su una delle tre date dei futuri fly-by sono troppo piccole per qualsiasi preoccupazione reale“, ha detto Paul Chodas. direttore CNEOS. “Mi aspetto che le osservazioni future le riduranno ulteriormente“.

2013 TX68 è un asteroide di circa 30 metri di diametro.
Per un confronto la meteora che era piomata sopra a Chelyabinsk nel 2013 doveva avere un diametro di circa 20 metri. Pertanto, se 2013 TX68 dovesse entrare nell’atmosfera terrestre, rilascerebbe probabilmente il doppio dell’energia dell’evento russo.

2013 TX68 è stato scoperto dal Catalina Sky Survey il 6 ottobre 2013 mentre si avvicinava sul lato notturno della Terra. Dopo tre giorni di monitoraggio, l’asteroide passò nel cielo diurno e gli astronomi non riuscirono più a seguirlo.
L’orbita di questo asteroide è molto incerta e sarà difficile prevedere dove cercarlo“, ha detto Chodas. “C’è una probabilità che venga visto dai nostri telescopi il mese prossimo, fornendoci maggiori dati per definire con precisione la sua orbita attorno al Sole“.

In apertura, un grafico che mostra tutte le possibili posizioni dell’asteroide durante il suo massimo avvicinamento alla Terra il prossimo 5 marzo 2016.


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Nuove sorprese sulla massa degli anelli di Saturno

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In alto a sinistra si può vedere proprio sul bordo la piccola luna Teti. Foto scattata dalla wide-angle camera di Cassini il 19 agosto 2012. Credit: NASA/JPL-Caltech/Space Science Institute

Spesso, le nostre menti sono portate a pensare che un materiale opaco contenga più materia – ovvero abbia una densità maggiore – di un oggetto traslucido: a parità di volume, ad esempio, siamo portati a pensare che una brocca di acqua fangosa sia più densa di una stessa brocca di acqua limpida. Almeno in questo caso, l’opacità dell’acqua fangosa non mente: l’acqua pura, infatti, è davvero meno densa. Allo stesso modo, potremmo essere portati a pensare che gli anelli più opachi attorno a Saturno siano anche i più densi. Tuttavia, la sonda Cassini ha dimostrato che non vi è alcuna correlazione tra la “densità apparente” di un anello, in termini di opacità e riflettanza, e la quantità di materiale contenuta al suo interno.

Gli scienziati sono giunti a questa interessante conclusione analizzando l’anello B, il più luminoso e opaco tra tutti gli anelli di Saturno. Il risultato è in linea con quanto riscontrato da studi precedenti che si erano concentrati su altri anelli.

Nonostante l’opacità dell’anello B vari notevolmente lungo il suo spessore, la massa, ovvero la quantità di materiale, è quasi perfettamente costante. Gli scienziati sono stati in grado di calcolare la densità di varie regioni all’interno dell’anello tramite l’analisi delle onde di densità, strutture fini provocate dall’interferenza gravitazionale delle lune e di Saturno stesso sulle particelle che compongono gli anelli. La struttura di ciascuna onda dipende direttamente dalla massa della porzione d’anello in cui è situata.

«Siamo ancora molto lontani dal capire come regioni con la stessa quantità di materiale possano avere opacità così tanto diverse,» spiega Matthew Hedman dell’Università dell’Idaho. «Potrebbe essere qualcosa legato alle dimensioni o alla densità delle particelle individuali, o potrebbe avere qualcosa a che fare con la struttura degli anelli.»

«L’apparenza può trarre in inganno,» aggiunge Phil Nicholson della Cornell University. «Un esempio analogo è quello della nebbia, che, pur essendo molto più opaca dell’acqua di una piscina, è in realtà molto meno densa.»

Questa immagine è stata ottenuta combinando i frame rosso, verde e blu della Narrow Angle Camera ripresi dalla sonda Cassini il 5 febbraio 2014. Mostra il bordo dell'anello B e la Divisione Cassini. Notare come la sovrapposizione dei tre frame evidenzi una zona non perfettamente allineata e quindi perturbata al confine con l'anello B (in alto a destra). Credit: NASA/JPL/Space Science Institute - Processing: Elisabetta Bonora & Marco Faccin / aliveuniverse.today

Determinare la quantità e la distribuzione della materia all’interno degli anelli di Saturno è essenziale per ricostruirne l’età e l’evoluzione: un anello leggero, infatti, si formerebbe più velocemente di uno pesante, diventando opaco a causa di polveri meteoritiche più in fretta. Dunque, meno massa vuol dire anche meno età, almeno per quanto riguarda l’anello B. Le stime attuali oscillano notevolmente, andando da poche centinaia di milioni a qualche miliardo di anni.

«Avendo pesato il nucleo dell’anello B per la prima volta, abbiamo compiuto un importante passo in avanti verso il nostro obiettivo di comprendere l’età e l’origine degli anelli di Saturno,» spiega Linda Spilker, a capo della missione Cassini. «Gli anelli sono così magnifici e maestosi che è impossibile non voler sapere come si siano formati.» Qualunque sia la risposta, sarà essenziale anche per un’altra ragione, ovvero capire come i quattro giganti gassosi possano aver sviluppato una simile varietà di sistemi di anelli.

I dati raccolti da Cassini danno ragione a uno studio precedente che aveva suggerito che l’anello B potesse contenere meno materiale di quanto creduto. La nuova analisi, tuttavia, è la prima ad essere riuscita a misurare direttamente la massa dell’anello. I risultati indicano quindi che l’anello B sia solo 2-3 volte più massiccio dell’anello A, nonostante sia anche oltre 10 volte più opaco.

Una vista panoramica del sistema di anelli principali di Saturno. Crediti: NASA/JPL-Caltech/Space Science Institute

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Trovato il primo Sistema planetario multiplo in un ammasso stellare

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Una rappresentazione artistica del pianeta più interno Pr0211b, uno hot Jupiter con un periodo orbitale di 2 giorni. Nell’immagine l’artista ha rappresentato un possibile sfondo stellare estremamente denso tipico di un ammasso aperto. Il pianeta scoperto Pr0211c non è rappresentabile in scala perché, avendo esso un periodo di almeno 9 anni, sarebbe necessario disegnarlo a diversi metri di distanza dal primo. Crediti: NASA/JPL-Caltech
Una rappresentazione artistica del pianeta più interno Pr0211b, uno hot Jupiter con un periodo orbitale di 2 giorni. Nell’immagine l’artista ha rappresentato un possibile sfondo stellare estremamente denso tipico di un ammasso aperto. Il pianeta scoperto Pr0211c non è rappresentabile in scala perché, avendo esso un periodo di almeno 9 anni, sarebbe necessario disegnarlo a diversi metri di distanza dal primo. Crediti: NASA/JPL-Caltech

Finora, sono stati i pianeti extrasolari osservati attorno alle stelle di campo a far parlare di sé. Negli oltre 2000 pianeti confermati in 1300 sistemi planetari, solo una manciata sono i pianeti scoperti in orbita attorno a stelle appartenenti ad ammassi aperti. C’è un vantaggio nello studio di questo tipo di stelle rispetto a quelle di campo: trovandosi le stelle di un ammasso tutte alla stessa distanza da noi, ed essendo nate assieme dalla stessa nube molecolare (con la stessa età e composizione chimica quindi), è più facile stimarne la massa, il raggio e gli altri parametri fisici. Ciò si riflette in una più precisa determinazione dei parametri dei loro pianeti. Per questo motivo, un tale ambiente rappresenta un “laboratorio” ideale dove studiare la relazione tra proprietà fisiche dei pianeti e delle loro stelle ospiti e per comprendere l’evoluzione stessa dei sistemi planetari.

È iniziata quindi una campagna osservativa di alcune decine di stelle appartenenti agli ammassi M44 (Presepe), Iadi e NGC752, da parte di un gruppo di astronomi del programma GAPS-Global Architecture of Planetary Systems, di cui fa parte il primo autore di questa nuova ricerca, Luca Malavolta dell’Università degli Studi di Padova, associato INAF, e facente parte del team di ETAearth, progetto di collaborazione Europeo (7° Programma Quadro) per la caratterizzazione di sistemi planetari di tipo terrestre. Con lo spettrometro HARPS-N al Telescopio Nazionale Galileo (TNG, Isole Canarie), altrimenti noto come “il cacciatore di pianeti” per la precisione delle sue misure, e con i dati raccolti da un altro spettrometro, lo statunitense TRES, il team è stato in grado di scoprire il primo sistema planetario multiplo in un ammasso aperto. Si tratta di Pr0211 in M44, o Ammasso del Presepe (detto anche Alveare) nella costellazione del Cancro, a circa 600 anni luce da noi. Il nuovo pianeta scoperto è di circa 8 masse gioviane con un periodo di almeno 9 anni; l’altro membro del sistema planetario osservato, già noto dal 2012, è di circa 2 masse gioviane con un periodo di rivoluzione di poco più di 2 giorni.

Pur essendo, almeno intuitivamente, ambienti poco “adatti” alla ricerca di sistemi planetari stabili in quanto l’alta densità stellare induce sicuramente molte interazioni tra i corpi celesti presenti, è vero anche che, per gli astronomi impegnati in questo campo, è fondamentale effettuare osservazioni su stelle i cui parametri (come la composizione chimica, l’età e la massa) hanno valori simili e ben determinati. Questo, infatti, permette di caratterizzare al meglio i pianeti attorno a esse individuando quali proprietà siano più comuni di altre e fornendoci indizi importanti per comprendere i processi di formazione ed evoluzione dei sistemi planetari. Inoltre, le stelle in questi ammassi sono giovani e quindi molto attive e, per questo, solitamente escluse dallo studio delle velocità radiali per il quale vengono privilegiate stelle più vecchie, meno attive e più facili da analizzare. E’ quindi molto importante raccogliere più dati possibile per superare gli effetti di selezione delle osservazioni, e poter iniziare a studiare, su una buona base statistica, la relazione tra pianeti e ambiente dove essi si formano e poi evolvono. In tali ambienti, densi di stelle, è lecito supporre che i processi di formazione ed evoluzione siano diversi da altri ambienti, ma è anche vero che, sebbene non si sappia con certezza, anche il nostro Sole potrebbe essersi formato in un ammasso aperto.

Se torniamo indietro di poco più di 400 anni, l’ammasso del Presepe fu il primo oggetto stellare che Galileo Galilei osservò col suo cannocchiale. Luoghi di formazione stellare, gli ammassi aperti sono composti da stelle giovani e l’ammasso del Presepe ha un’età stimata tra i 600 e gli 800 milioni di anni

Venendo al sistema osservato, Pr0211, esso ha una configurazione che solleva diverse questioni ancora aperte: come mai si osservano così frequentemente gli hot Jupiter, cioè pianeti massicci orbitanti molto vicini alla loro stella, e perché il compagno esterno ha un’orbita così eccentrica? Una delle teorie, detta di planet scattering, prevede che questi pianeti si formino a grande distanza dalla loro stella e che si spostino su orbite più interne a causa d’interazioni gravitazionali con altri pianeti nel sistema. A seguito delle interazioni dinamiche i loro eventuali compagni dovrebbero disporsi su orbite a lungo periodo e molto eccentriche, come nel caso del neo-scoperto Pr0211c. Una teoria alternativa di formazione prevede che i pianeti giganti migrino verso la stella madre mentre sono ancora immersi nel disco proto-planetario, che però avrebbe anche l’effetto di smorzare le interazioni tra pianeti disponendoli quindi su orbite circolari. La scoperta di Pr0211c è la pistola fumante che il sistema abbia subito una fase di planet scattering, insieme a una ristretta schiera di altri pianeti con caratteristiche simili. “Un altro punto ancora dibattuto nella comunità scientifica”, dice il primo autore dell’articolo Luca Malavolta, “è se queste interazioni tra pianeti siano frutto d’instabilità primordiale del sistema, o se siano invece conseguenza dell’incontro ravvicinato del sistema planetario con un’altra stella. In un ammasso le stelle sono molto più vicine tra di loro e gli incontri stellari sono molto più frequenti che per stelle di campo. Se quindi fosse vera la seconda ipotesi dovremmo osservare molti più sistemi come Pr0211 negli ammassi che in stelle di campo. Riuscire a chiarire questo punto sarebbe un bel traguardo per la scienza della formazione planetaria e per questo sono necessarie ancora molte osservazioni ma la strada intrapresa da GAPS sta, come in questo caso, già portando i suoi frutti.”

Il programma osservativo GAPS si è confermato vincente anche questa volta per due motivi in particolare. Il primo è che in GAPS si coordinano molti astronomi che hanno sì lo scopo comune di caratterizzare gli esopianeti, ma che provengono da campi diversi: da chi va a caccia di sistemi planetari attorno a stelle vecchie a chi, come in questo caso, si concentra su ambienti dove le stelle sono molto giovani. Questo apporta molta linfa vitale al dibattito scientifico all’interno del gruppo. Il secondo motivo è più pratico, ma altrettanto importante: grazie al cospicuo tempo osservativo a disposizione del programma e quindi all’ampia flessibilità della schedula, è possibile, per esempio, osservare le stesse stelle per una settimana di seguito anche per 2 o 3 mesi dentro un semestre.

Nel lavoro qui presentato quest’aspetto è stato fondamentale perché le stelle attive richiedono osservazioni continue per stabilire con certezza se le variazioni di velocità radiale siano dovute alla presenza dei pianeti piuttosto che all’attività stessa della stella. “Sulla base dei dati raccolti, si può affermare che tra i due pianeti gioviani non ci sono ulteriori pianeti.” Conclude Giampaolo Piotto, astronomo ordinario dell’Università degli Studi di Padova e coautore di questo lavoro. “Tra gli obiettivi futuri ci sono anche la ricerca e lo studio, negli ammassi aperti, di pianeti di massa più piccola per capire quanto tali sistemi planetari siano differenti dai pianeti attorno a stelle di campo.” E la ricerca, come sempre, continua!

Per saperne di più:

leggi l’articolo The GAPS programme with HARPS-N at TNG XI. Pr~0211 in M~44: the first multi-planet system in an open cluster di L. Malavolta et al., accettato per la pubblicazione sulla rivista Astronomy&Astrophysics

Leggi la terza parte dell’Inchiesta di Coelum sulla possibilità di cercare e trovare, nei prossimi dieci anni, tracce di vita in pianeti extrasolari.

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Gruppo Astrofili DEEP SPACE

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Le conferenze serali iniziano alle ore 21:00.

05.02: “Stelle, ammassi e nebulose nel cielo di febbraio” di Franco Molteni.

Per info: 0341.367584
www.deepspace.it

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