L'immagine del "morso" è stata ripresa 14 luglio 2015, circa 45 minuti prima del massimo avvicinamento di New Horizons al pianeta. La risoluzione è di circa 200 m/px, per un'area complessiva di 450 km per 410 km. Credit: NASA/JHUAPL/SwRI
Gli scienziati della missione New Horizons hanno scoperto uno strano marchio sulla superficie di Plutone tra le immagini inviate a terra dalla sonda. Sembra il “segno di morso”, come loro stessi lo hanno descritto nel report, e si trova nel lontano emisfero occidentale. Si ritiene che possa essere causato da un processo di sublimazione in atto, cioè dalla transizione di un elemento, probabilmente metano, direttamente dallo stato solido a quello gassoso. Il gas si riverserebbe quindi nell’atmosfera, esponendo lo strato di ghiaccio d’acqua sottostante.
Il riquadro a sinistra (cliccare per ingrandire l'immagine) è stato ripreso dalla fotocamera LORRI da una 33.900 chilometri da Plutone, il nord è in alto. I dati di Leisa, a destra, sono stati raccolti, invece, da una distanza di 47.000 chilometri dal pianeta nano. Credit: NASA/JHUAPL/SwRI
Questa immagine mostra l’altopiano Vega Terra in basso a sinistra, delimitato verso il centro da una scarpata frastagliata chiamata Piri Rupes che confina a sua volta con una giovane pianura quasi priva di crateri, Piri Planitia. In alto a destra, un taglio diagonale, chiamato Inanna Fossa, si estende per 600 chilometri fino al bordo della grande pianura ghiacciata Sputnik Planum, nel “cuore” del pianeta nano.
I dati del Ralph/Linear Etalon Imaging Spectral Array (LEISA), nel riquadro a destra, indicano che gli altopiani a sud delle Piri Rupes sono ricchi di ghiaccio di metano, rappresentato dal colore viola; mentre, la superficie di Piri Planitia è più ricca di ghiaccio d’acqua, colore blu (i dati di LEISA avevano già fornito una mappa della distribuzione del ghiaccio d’acqua sulla superficie di Plutone).
Osservando la topografia è evidente quindi che uno strato di metano ghiacciato ricopre le zone più elevate, mentre nelle quote inferiori è visibile solo la dura superficie di ghiaccio d’acqua (su Plutone, a causa delle basse temperature l’acqua, a differenza del metano, si comporta come se fosse roccia, dura e immutabile). Qui la sublimazione deve aver agito come un vero e proprio processo erosivo esponendo il substrato mentre, di contro, nelle aree ancora ricoperte di metano la transizione del gas ancora non si sarebbe verificata.
Se vi interessa organizzare un evento, una lezione universitaria o una conferenza dedicata a questa roccia, contattate l’organizzatore via mail presso presso info@collectionspace.it per tutti i dettagli organizzativi.
ATTENZIONE! Informazione per gli organizzatori: il
calendario sarà chiuso il 15 marzo 2016.
Durante gli appuntamenti pubblici, indicati nel calendario, potrete conoscere la storia geologica di questa roccia antichissima che rievoca la cataclismica formazione della Terra e della Luna, e potrete rivivere, con foto e riprese video rare e restaurate, l’avventura e il viaggio che l’hanno portata tra noi. Potrete inoltre osservarla da vicino e fotografarla.
Quest’anno il tour italiano sarà effettuato (in alcune località) in collaborazione con: Paolo Attivissimo,
Paolo D’Angelo e Paolo Miniussi.
Verso le 19:15 di sera, una sottile falce di Luna crescente sarà nell’ammasso delle Iadi, circa 2° a est di Aldebaran (mag. +0,9)
La congiunzione tra Aldebaran (mag. +0,9), Iadi e Luna del giorno 14 potrà dare qualche soddisfazione in più se si avrà la pazienza di aspettare la discesa dei due oggetti verso l’orizzonte ovest, intorno alle 23:00.
Si riuscirà così a fotografare la scena sullo sfondo di un paesaggio convenientemente scelto, regalando fascino e profondità a un evento in sé abbastanza usuale. A quell’ora i due oggetti avranno un’altezza di +15° e la Luna disterà dalla stella circa 3,7°. Chi volesse coglierli ancora più vicini (circa 2°), dovrebbe invece puntarli verso le 19:00, quando però l’altezza sull’orizzonte (+55°) toglierebbe cornice all’inquadratura.
Sfogliala online su qualsiasi dispositivo, stampa le pagine che vuoi leggere con più comodità e scarica il pdf per conservarla nella tua biblioteca digitale!
Questa mattina un Proton-M ha illuminato i cieli nuvolosi sopra le fredde steppe del Kazakistan. In cima al razzo, le prime due sonde del programma ExoMars hanno dato inizio alla loro lunga traversata interplanetaria che a ottobre le porterà a raggiungere Marte.
Il lancio è avvenuto con successo alle 10:31:42 ora italiana, con l’accensione dei sei motori RD-275M del primo stadio, alimentati da 419 tonnellate di dimetilidrazina asimmetrica e tetrossido di diazoto. Dopo 120 secondi circa, il testimone è passato ai quattro motori RD-0210 e RD-0211 del secondo stadio, entrati in azione a 43 km di quota e oltre 6000 chilometri orari di velocità. Dopo altri 240 secondi circa, il secondo stadio si è separato, permettendo al singolo motore RD-0123 del terzo stadio di accendersi a 129 km di quota e 16000 chilometri orari di velocità.
La separazione del terzo stadio è avvenuta in orario, 9 minuti e 42 secondi dopo il lancio. Al momento della separazione, il razzo si trovava a 153 km di quota, su una traiettoria balistica suborbitale. Poco più di un minuto e mezzo dopo, si è acceso anche il motore S5.98 dello stadio superiore, il Briz-M. La prima manovra, conclusasi poco fa, ha permesso al motore di parcheggiare le due sonde in un’orbita preliminare a 175 km di quota.
Ora, lo stadio viaggerà passivamente per più di un’ora, completando quasi una rivoluzione intera intorno alla Terra, prima di riaccendere il suo motore nei cieli della Russia meridionale e portarsi su una seconda orbita a 250 per 5000 km di quota, con un periodo di 2 ore. Quattro ore dopo il decollo, il Briz-M completerà una terza manovra per alzare il proprio apogeo a oltre 21 mila chilometri e il periodo a 6 ore. Poi, tramite una quarta manovra, il Briz-M darà un’ultima spinta alle due sonde, spedendole alla volta di Marte.
Restate sintonizzati sul nostro sito e sulla nostra pagina Facebook per non perdervi gli ultimi aggiornamenti! La separazione delle due sonde è prevista per le 21:12 ora italiana di oggi.
Aggiornamento:
Dopo aver viaggiato passivamente per più di un’ora e aver completato quasi una rivoluzione intera intorno alla Terra, il Briz-M ha riacceso il suo motore nei cieli della Russia meridionale per portarsi su una seconda orbita a 292 per 5272 km di quota, con un periodo di 2 ore.
Quattro ore dopo il decollo, il Briz-M ha completato anche la terza manovra, alzando così la propria orbita a 693 per 21079 km di quota.
Trascorse altre sei ore di relativa tranquillità (eccetto per l’espulsione di un serbatoio vuoto in modo da alleggerire lo stadio), il Briz-M si è riacceso sopra i cieli degli Stati Uniti. La quarta e ultima manovra è durata 12 minuti e 29 secondi.
Alle 21:12:45, le due sonde si sono liberate dalla presa del Briz-M, il quale ha così potuto completare il delicato compito che gli era stato assegnato. Poco dopo, lo stadio ha eseguito due manovre minori per annullare le probabilità di collisione con le due sonde o con Marte.
Altri 76 minuti più tardi, alle 22:29 ora italiana, la stazione radio keniota di Malindi, operata dall’Agenzia Spaziale Italiana, ha acquisito il segnale del Trace Gas Orbiter. Una manciata di istanti più tardi, il TGO ha aperto i suoi pannelli solari, generando una corrente di 15 Amp.
Nell’arco delle prossime settimane, le comunicazioni con il Trace Gas Orbiter verranno trasferite alle due antenne principali dell’ESA, in Argentina e in Australia. Fino al 24 Aprile, gli ingegneri saranno impegnati a verificare lo stato di salute di tutti i sistemi a bordo delle due sonde. Solo dopo potrà formalmente avere inizio la fase di crociera interplanetaria.
Indice dei contenuti
Una grande novità!!! La rivista di astronomia Coelum ora in formato digitale e gratuita per tutti!
Quest’anno il gruppo astrofili William Herschel propone un corso di astrofotografia: Leonardo Orazi, astrofotografo (www.starkeeper.it), introdurrà, in cinque conferenze, gli strumenti e le tecniche per ottenere splendide immagini degli oggetti celesti!
Ingresso libero.
Gli incontri si terranno nei giorni 16 e 22 febbraio, 15 e 22 marzo, 19 aprile a partire dalle ore 21:30, presso la sala riunioni della Parrocchia Immacolata Concezione e San Donato ini Via Saccarelli 10, Torino.
Per informazioni: info@gawh.net
www.gawh.net
Pulizia e decontaminazione delle “mattonelle” esterne del lander Schiaparelli. Crediti: ESA – B. Bethge
Un tecnico durante le ultime fasi di costruzione del lander Schiaparelli. Crediti: ESA – B. Bethge
ALLA RICERCA DELLA VITA SUL PIANETA ROSSO
Manca davvero poco al giorno – possiamo dirlo – più importante per l’Europa degli ultimi anni, almeno per chi sul nostro continente si occupa di scienza e spazio. Perché? Il prossimo 14 marzo partirà da Baikonur, la base di lancio russa in Kazakistan, la sonda Trace Gas Orbiter di ExoMars2016, la missione dell’ESA che esplorerà, assieme al suo lander Schiaparelli, il pianeta Marte (dove arriverà verso il mese di ottobre dopo 7 mesi di “crociera” nel Sistema Solare). In realtà la missione prevede anche una seconda fase, forse ancora più emozionante, cioè ExoMars2018, quando un’altra sonda porterà sul Pianeta rosso un rover per l’esplorazione della superficie (cioè un robottino su 6 ruote che potrà unirsi alla già numerosa famiglia di rover marziani di altre agenzie spaziali).
Tra gli obiettivi più importanti dell’intera missione (era da aspettarselo) c’è la ricerca della vita su Marte. Non aspiriamo al ritrovamento di astronavi di un lontano e glorioso passato della civiltà marziana, ma più che altro alla conferma della presenza di batteri marziani soprattutto in prossimità delle zone dove è stata trovata l’acqua.
Ma il lander e il rover di ExoMars sono pronti a questa ricerca? Gli strumenti ci sono, la tecnologia è la più avanzata che oggi possiamo immaginare, ma tutto potrebbe andare storto per qualcosa di minuscolo proveniente dalla Terra: i nostri microbi. Ebbene sì, la contaminazione del Pianeta rosso è uno dei rischi che si corre inviando un manufatto terrestre sulla superficie di un altro pianeta dove speriamo di trovare forme di vita (anche se in forma batterica). Per questo la sonda e soprattutto il lander sono stati sottoposti, negli ultimi mesi di costruzione e preparazione al lancio, a una lunga trafila di decontaminazione proprio nell’hangar di Baikonur. Lo standard di pulizia è elevatissimo per evitare ogni rischio. Ma la domanda sorge in ogni caso: e se a furia di inviare robottini su Marte per cercare la vita aliena, fossimo noi stessi a contaminare il pianeta distruggendo anche quei pochi batteri rimasti?
La prima parte della missione, come detto, prevedere la discesa sulla superficie marziana del modulo EDM (Entry and Descent demostrator Module) intitolato all’ingegnere e astronomo italiano Giovanni Schiaparelli. Ricordiamo tutti il fallimentare e rovinoso arrivo del lander europeo Beagle 2, per questo i 6 minuti di discesa che dovrà affrontare in autonomia il lander Schiaparelli saranno i più lunghi della carriera dei ricercatori che hanno lavorato al progetto. Se tutto andrà come previsto, il lander e i suoi 4 preziosi strumenti opereranno per poco tempo, dai 2 ai 4 Sol (giorni marziani), sperando di non contaminare il rosso suolo marziano.
John Brucato, astrofisico ed esobiologo dell’INAF, presso l'Osservatorio Astronomico di Arcetri
Ne parliamo con John Robert Brucato, astrofisico ed esobiologo dell’INAF, presso l’Osservatorio Astrofisico di Arcetri.
Quando pensiamo alla contaminazione nello spazio, di solito ci riferiamo ai rischi che corrono gli astronauti quando compiono missioni sulla ISS. In questo caso, però, con ExoMars a correre i rischi più elevati potrebbe essere lo stesso pianeta Marte. Il lander porterà batteri sul pianeta: possono sopravvivere a questo lungo viaggio?
Marte è il pianeta del Sistema Solare più simile alla Terra e non è escluso che nel sottosuolo ci possano essere forme di vita semplici come i batteri. Scoprire la presenza di vita su Marte è uno degli obiettivi più ambiziosi della missione ExoMars. Quindi bisogna prestare molta attenzione a non contaminare Marte con organismi viventi terrestri. Questo è il compito della Planetary Protection, cioè di una serie di procedure concordate tra tutte le agenzie spaziali mondiali che hanno lo scopo di evitare la contaminazione del corpo del Sistema Solare visitato da una missione spaziale, ma hanno anche il compito di evitare che si contamini la Terra con forme di vita extraterrestri, quando frammenti di suolo marziano verranno riportati a terra per essere analizzati.
Si è dimostrato che forme di vita come i batteri, i licheni e i bizzarri tardigradi, riescono a sopravvivere alle condizioni estreme dello spazio e quindi potrebbero intraprendere un viaggio interplanetario a bordo della missione ExoMars e colonizzare il pianeta Marte. Per questo motivo le missioni robotiche che atterrano sulla superficie marziana richiedono una maggiore attenzione dovendo superare gli innumerevoli test di sterilizzazione e di rimozione di contaminanti molecolari.
E allora quali i rischi per gli eventuali batteri marziani?
Le procedure di Planetary Protection sono molto accurate, richiedono impegno e risorse che incidono molto sul costo di una missione spaziale stessa. Tutto questo viene fatto per garantire una vita quanto più serena ai batteri marziani senza cioè invadere il loro ecosistema (sempre che esista) con la vita terreste creando, così, il cosiddetto “falso positivo”. Ovvero andiamo su Marte scopriamo che c’è vita, ma ci accorgiamo che è quella che abbiamo portato noi sul pianeta.
Sono state identificate alcune regioni di Marte chiamate “regioni speciali”. Luoghi in cui gli organismi terrestri possono essere in grado di replicarsi, o dove c’è un’alta probabilità di trovare vita marziana. Allo stato attuale le regioni speciali sono definite come aree all’interno delle quali l’attività dell’acqua è alta e in cui si trovano temperature medio-calde. Queste condizioni possono trovarsi, sulla Terra, in grotte o cavità, ovvero in nicchie in cui la vita si è annidata. La missione ExoMars che verrà lanciata lunedì prossimo atterrerà nella regione Meridiani Planum studiando l’atmosfera marziana grazie allo strumento DREAMS realizzato tra Napoli e Padova (Principal Investigator Francesca Esposito, INAF – Osservatorio Astronomico di Capodimonte – ndr). Ad ogni modo, il modulo di atterraggio (EDM), nonostante abbia subito tutte le procedure di sterilizzazione, non verrà a contatto con le regioni speciali.
Le "regioni speciali" su Marte. Regioni in cui potrebbe esserci maggiore probabilità di trovare le vita, o in cui microorganismi terrestri potrebbero per le condizioni ambientali e la maggior presenza di ghiaccio d'acqua.Pulizia e decontaminazione delle “mattonelle” esterne del lander Schiaparelli. Crediti: ESA – B. Bethge
In ogni caso, si rischia di distruggere la “vita” batterica marziana portando la “vita” batterica terrestre. Come evitare questa possibilità?
La probabilità che questo avvenga è praticamente nulla. Ogni singolo elemento di ExoMars sia meccanico o che faccia parte dell’elettronica è stato sottoposto a un intenso trattamento di sterilizzazione alla temperatura di 120 °C e per molti giorni, in modo da portare praticamente a zero il contenuto biologico. Se esistono batteri su Marte questi hanno un solo compito, dovranno continuare a vivere ancora per un po’ mettendosi in bella mostra quando nel 2019 arriveremo con il rover europeo ExoMars.
Cosa cambierà con l’arrivo su Marte del rover di ExoMars2?
Il rover ExoMars compirà un notevole passo in avanti rispetto a tutti i rover presenti sul suolo marziano, riuscirà a penetrare la superficie fino ad una profondità di due metri grazie ad un trapano costruito in Italia. Questo trapano preleverà campioni incontaminati dal sottosuolo marziano, dove si pensa ci sia acqua, e li distribuirà al mini laboratorio di analisi posto sul rover.
Con questa operazione, supervisionata dai tecnici russi della Khrunichev e da quelli italiani di Thales Alenia Space che hanno anche effettuato una verifica elettrica sullo stato della sonda, la missione russo/europea entra quindi nelle fasi finali. TGO e Schiaparelli erano stati precedentemente uniti già a metà dello scorso mese di febbraio.
Il video dell’incapsulamento nel fairing.
Venerdi 11 avverrà il roll-out, con il Proton che raggiugerà la rampa di lancio tramite il consueto viaggio su rotaia in posizione orizzontale, eretto in posizione verticale e quindi chiuso dai bracci della torre di servizio.
Il lancio avverrà lunedì 14 marzo alle 10.31 CET, con una finestra quotidiana di lancio di 12 ore per 11 giorni consecutivi.
Inizialmente il complesso Breeze-M/ExoMars verrà posto in un’orbita di parcheggio intorno alla Terra quindi, con 4 accensioni successive dell’upper stage, l’orbita verrà alzata sempre di più fino a raggiungere la velocità di fuga dal campo gravitazionale terrestre (40.320 Km/h) ed iniziare il viaggio di 7 mesi verso Marte.
Per il Proton-M sarà la prima missione interplanetaria dopo il fallimento della sonda Mars-96 del novembre 1996.
Tutte le fasi del viaggio di Exomars verso Marte.
Venerdi 11 avverrà il roll-out, con il Proton che raggiugerà la rampa di lancio tramite il consueto viaggio su rotaia in posizione orizzontale, eretto in posizione verticale e quindi chiuso dai bracci della torre di servizio.
Il lancio avverrà lunedì 14 marzo alle 10.31 CET, con una finestra quotidiana di lancio di 12 ore per 11 giorni consecutivi.
Inizialmente il complesso Breeze-M/ExoMars verrà posto in un’orbita di parcheggio intorno alla Terra quindi, con 4 accensioni successive dell’upper stage, l’orbita verrà alzata sempre di più fino a raggiungere la velocità di fuga dal campo gravitazionale terrestre (40.320 Km/h) ed iniziare il viaggio di 7 mesi verso Marte.
Per il Proton-M sarà la prima missione interplanetaria dopo il fallimento della sonda Mars-96 del novembre 1996.
Se il lancio avverrà in orario, la separazione di ExoMars dal Breeze-M avverrà alle 21.12 CET.
L’arrivo in orbita marziana è previsto per il prossimo 19 ottobre, ma già tre giorni prima il lander Schiaparelli si sarà separato dalla sonda madre TGO che, con una serie di manovre di aerobraking, si immetterà in un orbita circolare di 400 km.
La missione di TGO (Trace Gas Orbiter), sarà quella di analizzare i gas presenti in atmosfera, identificarne le fonti e mappare la superficie. La vita operativa dovrebbe essere di ameno 6 anni.
Schiaparelli invece entrerà diretto nell’atmosfera marziana e tenterà un atterraggio controllato nella regione di Meridiani Planum, la stessa del rover NASA Opportunity, diventando così la prima piattaforma europea operativa sulla superficie di Marte.
Essendo un dimostratore di atterraggio, la sigla EDM significa infatti Entry, Descent and Landing Demonstrator Module, Schiaparelli non avrà a bordo videocamere ma solo strumenti per la raccolta di dati riguardanti le condizioni ambientali.
La sua missione è quella di testare nuove tecnologie quali scudo termico, paracadute supersonico, radar doppler e controllo dell’assetto, in vista di una seconda missione con rover prevista per il 2018 o il 2020.
Alimentato solo da batterie, la sua vita operativa sarà di circa 8 giorni.
EVENTI NAZIONALI UAI
13.03: Giornata internazionale dei Planetari
A cura dell’Associazione dei Planetari Italiani con il patrocinio della UAI. L’iniziativa ha lo scopo di far conoscere al pubblico di ogni età dove si trovano queste cupole spettacolari di grandi e piccole dimensioni.
http://www.planetari.org/it/
L’obiettivo è quello di conoscere il cielo e imparare la geografia astronomica a occhio nudo, con l’astrolabio, il binocolo e il puntatore laser.
Il ritrovo è presso la sede in via Cantù all’orario indicato per poi trasferirsi all’Alpe del Viceré (Località Campeggio). In caso di maltempo proiezione in sede con simulazione del cielo.
13.03, ore 19:00: Oggetti da osservare: Luna al Primo Quarto, Giove con i satelliti galileiani, Nebulosa di Orione (M42), Ammasso delle Pleiadi (M45), Doppio ammasso in Perseo (Ngc 869/884), Ammasso “Albero di Natale” nei Gemelli (M35), Ammassi nell’Auriga M36, M37, M38.
La sede, in Via Cesare Cantù, 17 (Albavilla – Como) è aperta al pubblico tutti i venerdì sera!
Per informazioni: Tel 347.6301088
info@astrofililariani.org
www.astrofililariani.org
EVENTI NAZIONALI UAI
12-13.03: Campagna nazionale “110 e Lode” – Grande Maratona Messier
Il più classico ed atteso appuntamento per gli astrofili amanti del deep sky: una maratona a caccia dei 110 oggetti del catalogo Messier.
La sfida osservativa, a cui partecipano astrofili di tutto il mondo, invita tutte le associazioni italiane a dedicare le notti di questo weekend alla Grande Maratona (data di riserva 2/3 aprile 2016).
Ora, altri tre ricercatori del Lunar and Planetary Laboratory presso l’Università dell’Arizona sostengono di aver osservato nuove tracce gravitazionali lasciate dal nono pianeta. La nuova analisi si è concentrata sui sei più lontani oggetti della fascia di Kuiper, o KBO. Analizzando i loro moti orbitali, i ricercatori sono giunti alla conclusione che questi sei membri della gelida periferia del Sistema Solare potrebbero essere intrappolati in una risonanza orbitale con il nono pianeta. Le ricostruzioni delle dinamiche orbitali suggeriscono che questi sei mondi abbiano partecipato a un numero limitato di incontri gravitazionali, ma che sarebbero stati sufficienti a spostare i sei KBO sulle orbite eccentriche e inclinate in cui si trovano oggi. Allo stesso tempo li avrebbero anche portati a orbitare in risonanza con il nono pianeta, escludendo così la possibilità di nuovi incontri più estremi che si sarebbero potuti concludere con la completa espulsione dei KBO dal Sistema Solare. Un meccanismo simile è all’opera tra Plutone e Nettuno, e impedisce che il gigante ghiacciato spedisca il pianeta nano su una traiettoria di fuga dalla nostra casa celeste.
I periodi orbitali dei sei KBO rispetto a quello dell'ipotetico nono pianeta. Source: arXiv:1603.02196v1
I ricercatori si sono concentrati su Sedna, 2010 GB174, 2004 VN112, 2012 VP113, (148209) e 2013 GP136. Questi sei lontani mondi sono tutti caratterizzati da semiassi maggiori di oltre 150 unità astronomiche. Le loro inclinazioni orbitali rispetto all’eclittica vanno da 11.9 a 33.5 gradi — numeri non particolarmente degni di nota per quanto riguarda la fascia di Kuiper. Tuttavia, questi mondi vantano eccentricità fuori dal comune — in tutti i casi maggiori di 0.7 — il che suggerisce che in passato siano stati oggetti di forti perturbazioni orbitali.
«Un sintomo dovuto alle risonanze orbitali è che i periodi orbitali dei KBO dovrebbero essere tra di loro pari a rapporti tra numeri interi piccoli,» scrivono i ricercatori. «Esaminando i periodi orbitali e ordinandoli dal più lungo a quello più corto (dunque ponendo il periodo di Sedna come primo), il rapporto tra il periodo di Sedna e quello degli altri cinque KBO risulta essere, rispettivamente: 1.596, 1.993, 2.666, 3.303, 6.115». Questi valori sono sufficientemente vicini ai rapporti 8/5, 2/1, 8/3, 10/3 e 6/1 da aver spinto i ricercatori a proseguire le loro analisi. I loro semiassi maggiori e l’incertezza associata sono i seguenti: 506.84 ± 0.51, 350.7 ± 4.7, 319.6 ± 6.0, 265.8 ± 3.3, 221.59 ± 0.16, 149.84 ± 0.47. Successivamente, sono stati valutati tre scenari di risonanza orbitale tra Sedna e l’ipotetico nono pianeta: 2/1, 3/2 e 4/3. Le simulazioni mostrano che il caso più interessante è senza dubbio quello di una risonanza orbitale 3 a 2, la quale produce risonanze 5/2, 3/1, 4/1, 5/1 e 9/1 per gli altri cinque oggetti.
Le due possibili orbite del nono pianeta: una inclinata di 18°, l'altra di 48°. Le aree nere sono quelle in cui il pianeta non si può attualmente trovare. Source: arXiv:1603.02196v1
Dati alla mano, gli scienziati hanno valutato le implicazioni di questi risultati sulla posizione attuale del pianeta fantasma. Le simulazioni hanno così permesso di ottenere le due più probabili orbite su cui si potrebbe attualmente trovare il nono pianeta, messo che esista davvero: una inclinata di 18 gradi rispetto all’eclittica (e quindi in pratica coplanare alle orbite dei sei KBO) e una inclinata i 48 gradi. In entrambi i casi, l’orbita avrebbe un semiasse maggiore di 665 unità astronomiche e un periodo orbitale di 17111 anni circa. Ciascuna delle due opzioni di inclinazione ha i propri vantaggi a livello di stabilità dinamica, il che le rende egualmente interessanti e plausibili.
I ricercatori concordano con la massa di dieci Terre indicata dagli studi precedenti, suggerendo però che, nel caso dell’inclinazione di 48 gradi, l’ipotetico pianeta potrebbe essere leggermente più massiccio. Riguardo la posizione attuale del nono pianeta, i dati hanno permesso ai tre ricercatori di escludere poco più della metà di ciascuna orbita. A seconda che il pianeta, sempre che esista, sia leggermente più massiccio o leggero, le aree escluse diventerebbero un po’ più grandi o piccole, rispettivamente. L’analisi, a detta degli stessi autori dello studio, si è rivelata particolarmente difficile a causa delle grandi incertezze nei parametri orbitali di questi lontani mondi. I risultati, pertanto, sono da prendere con le pinze. «Le nostre analisi supportano l’ipotesi di un distante pianeta, ma non dovrebbero essere considerate prove definitive della sua esistenza,» ammettono. «I rapporti tra i periodi orbitali sono caratterizzati da significative incertezze, perciò le coincidenze osservate potrebbero essere semplicemente dovute al caso, visto il numero ridotto di oggetti analizzati. Nonostante ciò, la possibilità di risonanze orbitali potrebbe essere usata in futuro per prevedere e scoprire ulteriori pianeti massicci nel sistema solare esterno, fornendo un motivo in più per continuare a studiare le dinamiche del sistema solare».
Indice dei contenuti
Una grande novità!!! La rivista di astronomia Coelum ora in formato digitale e gratuita per tutti!
Due straordinarie immagini del transito di Io e della sua ombra su Giove, riprese da Damian Peach nel 2009 (www.damianpeach.com/jup_09.htm)
.
Clicca qui sopra per leggere l'articolo completo con i consigli per osservare al meglio Giove, e le sfide "fotografa gli anelli di Giove" e "osservare a occhio nudo i satelliti medicei".
Il passaggio all’opposizione del pianeta maggiore del nostro Sistema Solare, di cui potete leggere i consigli all’osservazione nella puntuale guida curata da Daniele Gasparri in Coelum n. 198 (che, lo ricordiamo, è ora liberamente consultabile e scaricabile qui senza oneri), permette anche di seguire uno dei fenomeni più entusiasmanti della nostra corte di pianeti: il moto dei satelliti medicei.
Io, Europa, Ganimede e Callisto, nel loro veloce orbitare attorno a Giove, infatti, ne arricchiscono quasi quotidianamente il disco con le loro sagome e con le ombre che proiettano sul suo già variegato strato gassoso.
I fenomeni cui danno luogo sono suddivisi in quattro tipologie.
• Le Eclissi: un satellite passa attraverso il cono d’ombra di Giove.
• Le Occultazioni: un satellite è direttamente occultato dal disco di Giove.
• I Transiti: un satellite transita davanti al disco di Giove.
• I Transiti d’ombra: quando l’ombra di un satellite passa sul disco del pianeta.
Per agevolare l’osservazione delle lune, e dei fenomeni cui danno vita,in marzotroverete utili il grafico qui sotto e le tabelle in cui sono riportate giorno per giorno il loro moto, le dimensioni apparenti delle lune, la luminosità e le loro distanze dal centro del loro pianeta; infine l’elenco dei fenomeni osservabili in marzo e le animazioni degli eventi multipli.
Il grafico mostra l’aspetto reale (nord in alto, est a sinistra) dei satelliti rispetto a Giove nel periodo. Cliccare per ingrandire.
Ed infine, alcuni suggerimenti di Daniele Gasparri e la sfida osservativa proposti in Coelum 198.
Disegnare il gigante gassoso e la corte dei satelliti è una delle attività osservative più interessanti e appaganti. Risolti ad almeno 200 ingrandimenti, le ombre dei satelliti sul disco non saranno più dei puntini ma dei cerchietti. I più coraggiosi possono provare a osservarli con ingrandimenti a partire dalle 250-300 volte.
Se la serata è davvero favorevole dal punto di vista atmosferico e il telescopio è ben collimato e in temperatura con l’ambiente esterno, le piccole lune mostreranno dei minuscoli dischetti estesi per poco più di un secondo d’arco. Il più grande, Ganimede, che è anche il satellite maggiore del Sistema Solare, potrebbe persino mostrare una macchia scura sulla sua superficie: si tratta della Galileo Regio, una regione identificata dalla sonda Galileo negli anni ‛90 e che adesso è alla portata degli osservatori più esperti.
Una bella sfida per testare la vostra capacità di osservazione e la qualità del vostro strumento. In fotografia, la Galileo Regio di Ganimede è alla portata di telescopi di 15 centimetri, forse anche meno. .
Indice dei contenuti
Una sfida osservativa
Desideriamo poi riproporre una difficile sfida ai lettori di Coelum. Si tratta di un mistero osservativo di cui si parla spesso, ma che ancora oggi non ha trovato una risposta definitiva: si possono scorgere a occhio nudo i satelliti di Giove?
È fuor di dubbio che la luminosità dei galileiani, con magnitudini medie comprese tra la +4,5 e la +5,5, dovrebbe in via teorica garantire la loro osservabilità anche senza l’ausilio di strumenti ottici. E anche le loro distanze angolari da Giove, a ben guardare, sembrerebbero più che sufficienti per una comoda separazione ad occhio nudo, almeno per quanto riguarda i due più esterni. La stessa teoria, ma soprattutto il buon senso, ci dicono infatti che Ganimede e Callisto dovrebbero essere i più facili (o se preferite, i meno difficili) da scorgere, mentre per Europa le probabilità calano di parecchio; pochissime o nessuna speranza, invece, di vedere il piccolo Io che si mantiene sempre troppo vicino al gigante gassoso (continua a leggere su Coelum 198). .
La sonda americana Cassini ha scattato nuove fotografie che documentano l’evoluzione di una misteriosa struttura transiente in Ligeia Mare, uno dei vasti bacini di idrocarburi liquidi che costellano la superficie di Titano, luna di Saturno. Le misteriose strutture sono caratterizzate da una luminosità molto variabile, tanto da scomparire del tutto in alcuni scatti. I dati raccolti da Cassini suggeriscono che queste variazioni possano essere dovute a onde, solidi galleggianti o bolle, escludendo invece la possibilità che si tratti di maree, variazioni del livello del mare o cambiamenti nel fondale.
Il radar di Cassini ha fotografato questa regione di Titano quattro volte: prima nel 2007, poi nel 2013, poi ancora nel 2014 e infine nel 2015. La struttura risulta visibile solo nelle immagini scattate nel 2013 e nel 2014. Cassini darà un’ultima occhiata a questa regione nell’Aprile del 2017, durante il suo ultimissimo incontro ravvicinato con l’affascinante luna di Saturno.
Nel corso degli anni, Cassini ha identificato una manciata di strutture simili, una delle quali è situata nel Mare Kraken. Secondo gli scienziati, queste strutture sono le prime prove della presenza di processi attivi nei mari e laghi di Titano. La loro natura transiente dimostra come i bacini di Titano siano ambienti tutt’altro che stagnanti.
Ligeia Mare è il secondo più vasto bacino di idrocarburi su Titano, coprendo una superficie totale di 130 mila chilometri quadri.
Indice dei contenuti
Una grande novità!!! La rivista di astronomia Coelum ora in formato digitale e gratuita per tutti!
09.03: Osservazione pubblica e apertura Biblioteca. Nella stessa serata sarà possibile poter usufruire della biblioteca e i nostri esperti, tramite le attrezzature dell’associazione, permetteranno ai presenti di poter osservare i principali oggetti celesti del periodo.
Per info: cell. 377.1273573 –
presidente@astrosaf.it
www.astrosaf.it
Cliccare sull'immagine per l'articolo completo su Coelum 198, ora solo in formato digitale e completamente gratuito!
Giove, il gigante gassoso, il pianeta più bello da osservare e fotografare, sarà in opposizione l’8 marzo, puntuale dopo 13 mesi dalla scorsa apparizione. Si apre quindi ufficialmente il periodo più bello dell’anno per l’osservazione dei pianeti perché entro l’estate arriveranno Marte, Saturno e l’atteso transito di Mercurio sul Sole del 9 maggio!
Indice dei contenuti
Osservare Giove
Se avete un telescopio da poco tempo e aspettate l’occasione giusta per osservare qualcosa che vi faccia rimanere a bocca aperta, Giove fa al caso vostro.
Ricordo ancora molto bene la prima volta che lo trovai, casualmente, con il mio piccolo rifrattore da 80 mm. Al contrario di tutte le stelle che ingenuamente puntavo sperando di osservare chissà cosa, quella “stella”, così brillante nel cielo, all’oculare non si mostrava più puntiforme e dalla luce tremolante. All’inizio pensai a un errore di messa a fuoco ma poi, già a 70 ingrandimenti, quel piccolo batuffolo di luce divenne una palla visibilmente ovale, con sovraimpresse due nitide bande marroni che correvano parallele da una parte all’altra e puntavano nella stessa direzione di quattro stelline allineate lungo lo stesso piano. Non vidi altro in quella prima esperienza, ma tanto bastò per ripetere l’appuntamento con il gigante nei giorni e nelle settimane successive. E mai scelta fu più azzeccata perché Giove premia sempre i suoi assidui osservatori, mostrando via via nuovi dettagli.continua a leggere
Una sfida per astrofotografi esperti
Chi mi conosce sa che spesso mi piace concludere gli articoli osservativi lanciando qualche sfida che cerchi di sfruttare il grande potenziale della strumentazione amatoriale.
Per Giove ho in mente qualcosa da diversi anni, senza che abbia mai avuto la possibilità di provare sul campo la mia idea. Per questo motivo lancio una sfida agli astrofotografi esperti, ma non necessariamente di riprese planetarie, anzi. Giove ha un debolissimo sistema di anelli che, in condizioni normali, è impossibile da osservare e fotografare perché diverse migliaia di volte più debole del disco. Tuttavia, credo che sia ormai possibile riuscire a riprendere gli anelli di Giove anche con una strumentazione relativamente modesta, come un telescopio da 20-25 centimetri.
…
Per l’impresa − ripeto, quasi impossibile − si deve quindi usare una strumentazione e una tecnica tipiche delle riprese del profondo cielo: una camera CCD monocromatica, meglio se raffreddata, ma anche una camera planetaria può andare bene, una scala dell’immagine compresa tra 0,5 e 0,8 secondi d’arco su pixel (non si lavora ad alta risoluzione) e uno strumento luminoso (f4-6,3) aiuta senza dubbio. [continua a leggere]
Coelum è ora solo in formato digitale e gratuita per tutti!
Sfogliala online su qualsiasi dispositivo, stampa le pagine che vuoi leggere con più comodità escarica il pdf per conservarla nella tua biblioteca digitale!
Questa immagine mostra GN-Z11 (nell’inserto): la galassia più distante scoperta fino ad ora. L’oservazione è stata realizzata grazie alla Wide Field Camera 3 a bordo del telescopio spaziale Hubble di NASA ed ESA, e ha permesso di datare l’epoca in cui si trova la galassia, ovvero quando l’Universo aveva appena 400 milioni di anni. Crediti: NASA, ESA, e P. Oesch (Yale University)
Utilizzando il telescoio spaziale Hubble di NASA ed ESA, un team internazionale di astronomi ha misurato la distanza di una nuova galassia, chiamata GN-Z11. Sebbene sia estremamente debole, la galassia è insolitamente brillante, considerata la sua distanza da Terra: quasi 13.5 miliardi di anni luce. La misura della distanza di GN-Z11 offre una forte evidenza a favore di altre osservazioni di galassie lontane e inaspettatamente luminose, dimostrando che ci stiamo avvicinando sempre di più alle prime galassie che si sono formate nell’Universo.
In precedenza, gli astronomi avevano stimato la distanza di GN-Z11 analizzando il suo colore nelle immagini raccolte con Hubble e con il telescopio spaziale Spitzer della NASA. Ora, per la prima volta nel caso di una galassia ad una distanza così estrema, il team è riuscito a sfruttare la Wide Field Camera 3 (WFC3) a bordo di Hubble per misurare con precisione la distanza di GN-Z11 grazie ai dati spettroscopici estremamente accurati.
«Le nostre osservazioni spettroscopiche rivelano che la galassia si trova ancora più lontano di quanto avevamo inizialmente ipotizzato, proprio al limite degli oggetti che possono essere visti da Hubble», spiega Gabriel Brammer dello Space Telescope Science Institute, co-autore dello studio.
Il risultato ottenuto pone GN-Z11 a una distanza che si pensava sarebbe stata raggiunta solo dall’imminente James Webb Space Telescope (JWST), il progetto frutto della collaborazione tra NASA, Agenzia Spaziale Europea e Agenzia Spaziale Canadese. JWST è stato indicato il successore di Hubble e il suo lancio è previsto per il 2018.
«Abbiamo fatto un enorme viaggio indietro nel tempo, ben oltre quello che ci saremmo mai aspettati di poter fare con Hubble», dice Pascal Oesch della Yale University, primo autore dello studio. «Siamo riusciti a guardare così lontano da arrivare a misurare la distanza di una galassia che si trova nell’epoca in cui l’Universo aveva solo il 3 percento della sua età attuale».
Per determinare distanze così grandi gli astronomi calcolano il redshift dell’oggetto, ovvero lo spostamento verso il rosso della sua luce. Questo fenomeno è la conseguenza dell’espansione dell’Universo: ogni oggetto distante sembra allontanarsi da noi, e di conseguenza la sua luce viene stirata verso lunghezze d’onda maggiori, che nello spettro ottico sono quelle rosse.
La galassia che deteneva il record precedente si chiama EGSY8p7 e ha un redshift di 8.68. Per GN-Z11 il valore confermato da questo ultimo lavoro è pari a 11.1, che corrisponde a 400 milioni di anni dopo il Big Bang.
Illustrazione della linea temporale in cui sono indicate le fasi principali di vita dell’Universo: da oggi (a sinistra) fino al Big Bang, 13.8 miliardi di anni fa (a destra). La galssia appena scoperta, GN-Z11, si trova a un redshift di 11.1, che corrisponde a 400 milioni di anni dopo il Big Bang. Nell’immagine viene segnalata anche la galassia che deteneva il record precedente, e che si trova a un redshift di 8.68. Crediti: NASA, ESA e A. Field (STScI)
«La galassia EGSY8p7 si trova immersa nell’epoca in cui la luce delle stelle nelle galassie primordiali ha cominciato a riscaldare e mettere in moto nubi di idrogeno gassoso e freddo», spiega Rychard Bouwens dell’Università di Leiden, co-autore dello studio. «Questo periodo di transizione è noto con il nome di “epoca della reionizzazione”. GN-Z11 è stata osservata 150 milioni di anni prima, quando questa transizione dell’Universo stava avendo inizio».
La combinazione delle osservazioni raccolte da Hubble e Spitzer ha mostrato che la giovanissima galassia è 25 volte più piccola della Via Lattea e ha solo l’1% di massa sotto forma di stelle, in confronto alla nostra galassia. Tuttavia, il numero di stelle nella galassia neonata è in rapida crescita: sta sfornando stelle a un tasso 20 volte superiore a quello attuale della Via Lattea. Questo tasso di formazione stellare altissimo rende la galassia luminosa, seppure remota, e per questo Hubble ha potuto osservarla e analizzarla in dettaglio.
La scoperta di questa galassia, però, pone anche nuovi dilemmi, poiché l’esistenza di un oggetto così luminoso e relativamente grande non era previsto dalla teoria. «È incredibile che una galassia così massiccia sia esistita solo 2-300 milioni di anni dopo che si sono iniziate a formare le prime stelle. Occorre una crescita molto rapida, una produzione di stelle ad un tasso enorme, per poter ottenere una galassia da un miliardo di masse solari in un’epoca così lontana», spiega Garth Illingworth dell’Università della California a Santa Cruz.
Marijn Franx, membro del team che ha effettuato la scoperta e ricercatore presso l’Università di Leiden, sottolinea: «La scoperta di GN-Z11 è stata una grande sorpresa per tutti noi, poiché un nostro lavoro precedente indicava che galassie così luminose non potevano esistere in epoche tanto remote della vita dell’Universo». Il suo collega Ivo Labbe aggiunge: «GN-Z11 ci ha dimostrato che la nostra conoscenza dell’Universo primordiale è ancora molto limitata. Come questa galassia si sia potuta creare rimane un mistero, per ora. Stiamo forse vedendo le prime generazioni di stelle che si formano intorno ai buchi neri centrali delle galassie?».
Questo risultato fornisce un’allettante anteprima di ciò che potremo ottenere con il JWST. «Questa scoperta dimostra che JWST potrà sicuramente scovare molte di queste galassie primordiali, risalenti all’epoca in cui l’Universo stava formando le prime galassie», conclude Illingworth.
Per saperne di più:
Leggi l’articolo pubblicato su The Astrophysical Journal “A Remarkably Luminous Galaxy at z=11.1 Measured with Hubble Space Telescope Grism Spectroscopy” di P. A. Oesch, G. Brammer, P. G. van Dokkum, G. D. Illingworth, R. J. Bouwens, I. Labbe, M. Franx, I. Momcheva, M. L. N. Ashby, G. G. Fazio, V. Gonzalez, B. Holden, D. Magee, R. E. Skelton, R. Smit, L. R. Spitler, M. Trenti e S. P. Willner
Guarda il servizio video su INAF-TV:
Indice dei contenuti
Una grande novità!!! Coelum Astronomia ora in formato digitale e gratuita per tutti!
La prova che lo spazio-tempo possa essere curvato stimola la fantasia degli addetti ai lavori. Finalmente l’Universo può essere ascoltato attraverso nuovi strumenti aprendo l’orizzonte a spazi di conoscenza inaspettati. Ma quali gli scenari e le implicazioni che derivano dalla registrazione del segnale generato dalla fusione di due buchi neri? Come impiegare le onde gravitazionali? E a quale scopo?
Se ne parlerà venerdì 11 marzo, alle ore 17:00, presso il SAPERmercato di Frascati, durante l’eventoAscoltando lo Spazio-Tempo dedicato alle onde gravitazionali e alle loro possibili applicazioni.
L’incontro, organizzato dall’Associazione Frascati Scienza è parte degli eventi di lancio della Notte Europea dei Ricercatori 2016, progetto promosso dalla Commissione Europea, coordinato e realizzato da Frascati Scienza.
Ospite d’eccezione, Paola Puppo, ricercatrice dell’INFN di Roma, membro della collaborazione internazionale LIGO-Virgo che ha annunciato la scoperta delle onde gravitazionali rivelate dagli interferometri statunitensi LIGO. In particolare, la Dott.ssa Puppo fa parte del team che si occupa delle sofisticate sospensioni degli specchi dell’interferometro Virgo di Cascina (Pisa), che ne attenuano le vibrazioni sismiche e termiche. È questo un punto di forza delle antenne gravitazionali che ha permesso di raggiungere sensibilità tali da captare il flebile segnale dell’onda gravitazionale proveniente dalla ‘danza’ finale di due buchi neri che si uniscono fino a formare un unico buco nero di massa più grande.
Ma oltre la scoperta, che dimostra accora una volta la validità della più bella teoria mai pensata dall’uomo, e alla magnificenza della tecnologia che ha permesso di raggiungere la sensibilità necessaria alla scoperta, cosa ci riservano le onde gravitazionali nel futuro?
L’incontro si svolgerà presso il SAPERmercato, ex mercato coperto di Frascati, una vera e propria installazione urbana della scienza e della conoscenza. Una realtà che è nata durante l’ultima edizione della Notte Europea dei Ricercatori e che rappresenta un sistema innovativo per diffondere contenuti scientifici ai cittadini, il ‘Saper Comune’ in un luogo inconsueto per la scienza.
Verso le 6:15 del giorno 7 ci sarà l’occasione di mettere alla prova la propria acuità visiva cercando Venere nei pressi della Luna. A quell’ora, una sottilissima falce di Luna calante sarà appena sorta sull’orizzonte di est-sudest e avrà un’altezza di +7,5°, mentre Venere si troverà circa 3° più a sud alta solo +4,5°.
La difficoltà consisterà nel riuscire a vedere i due oggetti in un cielo già praticamente diurno, con il Sole sotto l’orizzonte di appena −4°. Sarà probabilmente necessario aiutarsi con un binocolo.
Sfogliala online su qualsiasi dispositivo, stampa le pagine che vuoi leggere con più comodità e scarica il pdf per conservarla nella tua biblioteca digitale!
L’astronauta NASA Scott Kelly e il collega russo Mikhail Kornienko sono tornati sulla Terra questa mattina, mercoledì 2 marzo, alle ore 05:26 italiane, concludendo la missione One Year dopo 340 giorni a bordo della ISS. Nella Soyuz TMA-18M si trovava anche un secondo cosmonauta, il russo Sergey Volkov, che era arrivato sulla Stazione lo scorso 4 settembre.
Il trio ha toccato il suolo a sudest della città di Dzhezkazgan, una località al centro del Kazakistan.
“La missione One Year di Scott Kelly sulla ISS ci ha aiutato a far progredire il programma americano di esplorazione dello spazio profondo e di esplorazione umana di Marte”
ha dichiarato l’amministratore della NASA Charles Bolden.
“Scott è diventato il primo americano a passare un intero anno nello spazio, aiutandoci a compiere un enorme balzo verso l’obiettivo di sbarcare su Marte.”
Durante la missione da record, l’equipaggio ha compiuto circa 400 attività di ricerca per conto della NASA, a beneficio dell’intera umanità. Kelly e Kornienko hanno specificamente partecipato ad una serie di studi per raccogliere informazioni relativamente ad una spedizione verso Marte, con particolare riguardo a come il corpo umano si adatta all’assenza di peso, all’isolamento, alle radiazioni ed allo stress di un volo spaziale di lunga durata. Il gemello di Scott, Mark Kelly, ha partecipato in parallelo a studi sulla Terra per aiutare gli scienziati a comparare gli effetti dello spazio sul corpo a livello cellulare, così come sulla mente.
Una particolare ricerca ha esaminato come i fluidi corporei si ridistribuiscono nella parte superiore del corpo in assenza di peso. Questi cambiamenti si possono associare a cambiamenti fisici osservabili e anche ad un possibile incremento della pressione intracranica, due sfide che vanno ben comprese prima che gli esseri umani possano lasciare l’orbita terrestre bassa. Lo studio ha fatto uso del dispositivo russo Chibis per “spingere” nuovamente i fluidi verso le gambe, mentre gli occhi dell’astronauta-cavia venivano esaminati per captare ogni cambiamento. NASA e Rososmos sono già al lavoro per continuare congiuntamente esperimenti sulla redistribuzione dei fludi corporei con i prossimi partecipanti a missioni sulla Stazione Spaziale.
L’equipaggio ha sfruttato la particolare orbita della ISS, che passa sopra il 90% circa delle zone abitate della Terra, per monitorare e fotografare il nostro pianeta. Ha dato il benvenuto ad un nuovo strumento scientifico per gli studi sulla materia oscura e condotto dimostrazioni tecnologiche volte al sempre maggiore sviluppo di innovazioni, inclusi test su sistemi di controllo di veri e propri sciami di satelliti.
Kelly e Kornienko hanno visto l’avvicendarsi di ben sei veicoli cargo durante il loro volo. In particolare Kelly è stato coinvolto nella cattura di due veicoli cargo di contraenti NASA, la Dragon CRS-6, di SpaceX, e la quarta missione Cygnus, di Orbital. Un cargo giapponese HTV e tre Progress russe hanno poi completato la consegna di svariate tonnellate di rifornimenti.
Kelly ha poi condotto tre attività extraveicolari nella prima si è adoperato alla stesura di cavi utili al nuovo portello di attracco del lato USOS, che verrà usato dalle navette dei contraenti NASA. Nella seconda ha effettuato manutenzioni al circuito di distribuzione dell’ammoniaca del sistema di raffreddamento della ISS. La terza EVA lo ha visto impegnato nel ripristino del funzionamento del “carrellino” MTS, che scorre sul traliccio (Truss) della ISS.
Durante la missione One Year sono stati dieci in totale gli astronauti a bordo della Stazione, in rappresentanza di sei nazioni diverse: USA, Russia, Giappone, Danimarca, Kazakistan e Inghilterra.
Al termine di questo volo il “ruolino” di Kelly è arrivato a ben 520 giorni di permanenza nello spazio, il record per gli astronauti americani. Kornienko ha invece passato in volo 516 giorni, con Volkov che ha invece toccato quota 548.
Ad occuparsi della ISS sono ora i ragazzi di Expedition 47, al comando dell’americano Tim Kopra. Il trio Tim Kopra, Tim Peake e Yuri Malenchenko continueranno a lavorare nella Stazione fino all’arrivo del loro cambio, previsto tra un paio di settimane: il prossimo 18 marzo infatti Jeff Williams della NASA, insieme ai russi Alexey Ovchinin e Oleg Skripochka partiranno da Baikonur, Kazakhstan, a bordo di una nuova missione Soyuz.
Indice dei contenuti
Le statistiche, a cura di Paolo Baldo
Questo è stato anche l’atterraggio numero 300 nella storia dei voli orbitali con equipaggio. Questa stessa Soyuz (TMA-18M) era stata protagonista del lancio numero 300.
Volkov, con i suoi 548 giorni passati nello spazio, entra nella Top Ten di tutti i tempi inserendosi proprio al decimo posto e scalzando il connazionale Vinogradov, fermo a 547 giorni.
Kornienko invece si issa al terzo posto assoluto considerando la media di giorni passati nello spazio in ogni missione, con 258 giorni (di media appunto) in ognuna delle sue due missioni. In questo è superato solo dai connazionali Polyacov e Manarov (anche loro con due missioni).
Kornienko diventa inoltre l’astronauta russo più anziano di sempre ad essere rientrato dal suo secondo volo spaziale (55,9 anni) superando i 53,4 anni di Tokarev.
Sempre a proposito di età, questo è stato l’equipaggio più anziano (50,3 anni di media) ad essere rientrato a Terra nel mese di marzo, superando i 48,8 anni dell’equipaggio della navetta Discovery (STS-133) rientrato il 9 marzo 2011.
In ambito ISS, con il passaggio del comando da Kelly a Kopra, per la prima volta tre Expedition consecutive sono comandate da astronauti americani (Kelly la 45 e 46 e ora Kopra la 47). Curiosamente Malenchenko, attualmente alla sua quarta missione di lunga durata sulla ISS, ne ha comandata solo una, la prima che ha fatto (Expedition 7). Nelle altre tre occasioni è stato comandato da Peggy Whitson, Sunita Williams e ora Timothy Kopra. Per confronto, Padalka ha comandato tutte e quattro le sue missioni di lunga durata.
Tutti e tre gli astronauti rientrati oggi sono nella Top Ten per giorni di permanenza complessiva sulla ISS. Volkov è al terzo posto con 541 giorni (ed al primo fra coloro che ci sono saliti “solo” tre volte), Kornienko e Kelly rispettivamente all’ottavo e nono posto. Kornienko inoltre è al primo posto fra quelli che sono saliti a bordo solo due volte.
Volkov è il più giovane astronauta ad aver lasciato per la terza volta la ISS con i suoi 42,9 anni superando i 43,6 anni di Stephanie Wilson.
La Soyuz TMA-18M è stato il veicolo che ha passato il maggior tempo agganciato al boccaporto di Poisk (180 giorni), superando i 174 giorni della TMA-18 stabiliti fra aprile e settembre 2010. Curiosamente a bordo di quella Soyuz, sia al lancio che all’atterraggio, ci fu lo stesso Kornienko.
Tra fine novembre e inizio dicembre 2015, la sonda americana MAVEN in orbita attorno a Marte ha effettuato una serie di passaggi ravvicinati accanto a Phobos, calandosi fino a una distanza di soli 500 chilometri dalla luna del Pianeta Rosso. La sonda americana ha puntato quasi tutti i suoi sensori in direzione dell’enigmatica luna, nel tentativo di far luce sulla sua misteriosa origine. La fotocamera IUVS, in particolare, è riuscita a spiare la superficie di Phobos nell’ultravioletto, raccogliendo preziose informazioni sulla sua composizione.
Credits: CU/LASP and NASA
Le immagini mostrano la luce solare riflessa dalla superficie di Phobos nel medio ultravioletto, reso in arancione. Sullo sfondo, il colore blu rivela la luce ultravioletta emessa a 121.6 nanometri di lunghezza d’onda, corrispondente alle radiazioni elettromagnetiche disperse dall’idrogeno che popola gli strati esterni dell’atmosfera marziana.
Confrontando le analisi spettrali della superficie di Phobos con quelle di asteroidi e meteoriti, gli scienziati potranno confermare o meno la sospetta origine asteroidale della luna: non è ancora chiaro, infatti, se Phobos sia un asteroide catturato dalla gravità di Marte oppure se si sia formato già in orbita attorno al Pianeta Rosso. Secondo gli scienziati, i dati raccolti da MAVEN nell’ultravioletto saranno anche in grado di smascherare eventuali molecole organiche sulla superficie, la cui presenza è stata suggerita dai dati raccolti dalla sonda europea Mars Express.
Indice dei contenuti
Una grande novità!!! La rivista di astronomia Coelum ora in formato digitale e gratuita per tutti!
Dal 6 al 13 marzo a Villa Farsetti, S. Maria di Sala (VE)
Alla mostra potrai trovare: un Planetario della capienza di oltre 50 persone; la simulazione di un viaggio spaziale; la ricostruzione in scala, sul parco, del Sistema Solare;
Ricostruzione tridimensionale della costellazione del Grande Carro; un Pendolo di Foucault; una Mostra di strumenti di osservazione osservazione; una Mostra del libro scientifico e pubblicistica specializzata (per una descrizione più dettagliata vedi anche qui).
E ancora, una serie di postazioni interattive e con la guida dei nostri soci su: i messaggi della luce; quanto pesiamo sugli altri Pianeti?;
Immagini e suoni dallo spazio del profondo cielo; Giocando con la Fisica; Macchie e protuberanze solari; Le costellazioni dello zodiaco e la precessione degli equinozi …e tante altre cose curiose e interessanti!
www.astrosalese.it
Tornare sulla Luna? La prossima tappa dell’esplorazione spaziale, dopo l’esperienza della Stazione Spaziale Internazionale, prevede molto di più. L’Agenzia Spaziale Europea ha un nuovo obiettivo: costruire una base permanente sulla luna.
I russi furono i primi a lanciare una missione sulla luna mentre gli americani i primi a camminare sulla sua superficie. Oggi la luna continua ad essere al centro di ambiziose ricerche come conferma anche il direttore generale dell’Agenzia Spaziale Europea Johann-Dietrich Wörner. Una base internazionale, una stazione aperta ai diversi Stati membri dell’Agenzia e ai paesi di tutto il mondo.
Un sogno animato dalla stessa passione che ha portato il primo uomo sulla Luna. Certo finora nessuno ha mai realizzato un progetto simile. Dalla missione spaziale Apollo sono stati fatti passi da gigante.
L’idea del “Moon Village”, di una stazione sulla luna, rientra nel progetto globale destinato a sostituire la ISS e dovrebbe essere un grande laboratorio per sviluppare nuove tecnologie. “Saranno coinvolti americani, russi, cinesi, indiani, giapponesi, e altri Paesi con contributi minori”, sottolinea il Direttore Generale dell’ESA Johann-Dietrich Wörner.
Al momento i dettagli forniti non sono molti ma l’entusiasmo è alle stelle. All’inizio di febbraio al Centro Astronautico Europeo di Colonia si è tenuto un workshop su come costruire un villaggio lunare permanente. Tra i messaggi chiave: poter pensare di utilizzare ghiaccio, metalli e minerali rilevati sulla Luna. Alcuni degli scienziati, che potrebbero trasformare questa idea in realtà, lavorano presso il Centro Astronautico Europeo.
“La Luna è piena di risorse. Abbiamo trovato ghiaccio ai poli lunari e zone dove c’è quasi sempre luce. Queste aree possono offrirci le risorse necessarie da utilizzare per la costruzione della base lunare e per la sopravvivenza degli astronauti”, fa sapere Bernard Foing, Direttore del Gruppo internazionale di lavoro per l’esplorazione lunare.
Un’impresa che deve anche fare i conti anche con diversi ostacoli: radiazioni solari e cosmiche, micro-meteoriti, temperature estreme. Problemi sui quali sta lavorando uno dei tanti ricercatori dell’ESA. Secondo Aidan Cowley, per utilizzare il suolo lunare bisogna costruire cupole protettive: “Tra le tante idee c’è quella di utilizzare questo materiale lunare per la stampa in 3D per un edificio sulla Luna, forse potrebbe funzionare.”
Alla creazione di una base lunare l’Europa si sta muovendo da tempo, ad esempio con il progetto “Luna 27” frutto di una collaborazione tra l’Esa e l’Agenzia Spaziale Russa (Roscosmos). Certo, potrebbero volerci 20 anni prima che il sogno diventi realtà.
L’ESA non è sola in questo progetto così ambizioso. La Cina sta pianificando la missione per riportare del campione di roccia lunare, la Russia un lander robotico con il supporto dell’ESA, mentre la capsula spaziale Orion della NASA dovrebbe volare attorno alla Luna prima del 2020.
“Il vantaggio del villaggio lunare è che non abbiamo bisogno, all’inizio, di una grande quantità di fondi. Possiamo iniziare con una semplice missione di atterraggio, che molti Paesi stanno già pianificando. Poi servirà un maggiore investimento per telescopi e un radiotelescopio. Molteplici servizi per più utenti ma situati in un unico luogo”, conclude Johann-Dietrich Wörner, Direttore Generale dell’ESA.
Come avrete capito la Luna è qualcosa di scientificamente interessante, ma dal punto di vista tecnologico servono molti fondi. Un’impresa di grande valore per l’esplorazione da parte dell’uomo del sistema solare.
2013 TX68 era già passato vicino alla Terra un paio di anni fa in completa sicurezza, alla distanza di 2 milioni di chilometri:
“Sapevamo già di questo asteroide e che avrebbe volato vicino alla Terra all’inizio di marzo ma questi ulteriori dati ci permettono di capire meglio il suo percorso orbitale“, ha detto nel reportPaul Chodas, responsabile del Center for Near-Earth Object Studies (CNEOS) della NASA.
“I dati indicano che questo piccolo asteroide passerà probabilmente molto più lontano dalla Terra di quanto si pensasse“.
2013 TX68, che misura circa 30 metri di diametro, era stato scoperto dal Catalina Sky Survey il 6 ottobre 2013 mentre si avvicinava sul lato notturno del nostro pianeta. Dopo tre giorni di monitoraggio, però, l’asteroide passò nel cielo diurno e gli astronomi non riuscirono più a seguirlo tanto che fino a qualche settimana fa. Il range di incertezza sul fly-by era molto elevato, da una distanza di 14 milioni di chilometri fino a 17.000 chilometri dalla Terra.
Un valido aiuto è arrivato da Marco Micheli del NEO Coordination Centre (NEOCC/SpaceDys) dell’ESA a Frascati, che ha individuato l’oggetto nelle immagini archiviate, misurato la sua posizione e fornito le informazioni al Minor Planet Center di Cambridge, Massachusetts.
Secondo le nuove previsioni, l’asteroide volerà a 5 milioni di chilometri dalla Terra con una possibilità minima si passare più vicino, ma comunque oltre i 24.000 chilometri sopra la superficie terrestre. Le nuove informazioni hanno anche permesso di raffinare l’orbita per il futuro, stabilendo che non impatterà con il nostro pianeta almeno per il prossimo secolo. Purtroppo questo incontro non sarà neppure uno spettacolo astronomico: oltre ad essere un oggetto scuro, 2013 TX68 transiterà così lontano da ridurre drasticamente le possibilità di osservazione.
A quasi due anni di distanza dal successo di Pisa, cantonate, errori e bufale scientifiche tornano protagonisti e sbarcano in Sicilia, alle falde dell’Etna, infatti, il museo Città della Scienza – Università di Catania ospiterà la seconda edizione della mostra, curata dall’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare in collaborazione con l’Università degli Studi di Catania. Un’occasione in più per lasciarsi guidare alla scoperta di abbagli e coincidenze che hanno segnato la storia della scienza.
La mostra vi racconterà come gli errori accompagnano inevitabilmente il desiderio dell’uomo di conoscere: grandi scoperte – fatte qualche volta anche per caso – si intrecciano con clamorose sviste. Gli scienziati infatti portano in laboratorio, ed è difficile fare altrimenti, le proprie convinzioni religiose, filosofiche e culturali. In realtà, però, correggere i propri errori è l’essenza stessa del metodo scientifico, inaugurato da Galileo più di 400 anni fa. Ciò che conta è non perdere meraviglia e curiosità di fronte al mondo. Sbagliarsi fa parte del gioco.
Info e prenotazioni: ballediscienza@ct.infn.it
www.ballediscienza-catania.it
Nella seconda parte della notte si potrà seguire il lento avvicinamento a Saturno da parte dell’Ultimo Quarto di Luna, con il nostro satellite che verso le 3:00 del mattino, quando i due oggetti saranno alti circa +12° sull’orizzonte di est-sudest, arriverà a circa 3,5° dal pianeta. N.B. Per esigenze grafiche la dimensione del dischetto lunare, in questa e nelle altre illustrazioni, è due o tre volte superiore alla giusta scala immagine
Come capita ormai da tempo, anche per assistere alla prima congiunzione celeste di marzo, il giorno 2, sarà necessario alzarsi molto presto, oppure tirare tardi e fare tutto un dritto.
L’ora consigliata per seguire il lento avvicinarsi della Luna a Saturno è infatti quella delle 3:30, quando il pianeta e il nostro satellite arriveranno a distare tra loro circa 3,3° sull’orizzonte di sudest. La loro altezza in quel momento sarà in media di +16°, con Saturno (mag. +0,5) che rivaleggerà in luminosità con la rossa Antares (mag. +1,1) nel cuore dello Scorpione.
La notte prima, sempre alla stessa ora, la Luna si porterà nei pressi di Marte (mag. +0,3), avvicinandolo fino a una distanza di quasi 5°. Tutto dipenderà dalle condizioni atmosferiche, ma se la trasparenza dell’aria sarà buona come talvolta accade in questo periodo dell’anno, anche queste “normali” congiunzioni potranno regalare spunti per delle suggestive riprese fotografiche comprensive del paesaggio.
Sfogliala online su qualsiasi dispositivo, stampa le pagine che vuoi leggere con più comodità e scarica il pdf per conservarla nella tua biblioteca digitale!
A notte fonda, le brillanti costellazioni a cui eravamo abituati in inverno declinano a ovest per lasciare il posto a quelle tipicamente primaverili. Ad annunciare la nuova stagione è come sempre il Leone, che con il suo caratteristico profilo già campeggia verso sud, circondato da costellazioni (Leo Minor, Sextant, Coma, ecc.) molto deboli, se non (specialmente osservando dalla città) addirittura “invisibili”. Niente a che vedere, insomma, con le luci rutilanti delle costellazioni invernali.
Dobbiamo però renderci conto che il cielo che osserviamo in primavera è proiettato al di fuori del piano della Via Lattea… là dove le stelle sono molto più rare e il cielo è dominato da galassie, percepibili però soltanto al telescopio.
Ricordiamo due importanti eventi nel corso di questo mese: prima di tutto, il giorno 27 si tornerà all’ora estiva (TU+2). In quella data, a partire dalle ore 02:00 locali, bisognerà portare gli orologi avanti di un’ora.
Inoltre, nel fine settimana del 12-13 marzo il disturbo lunare sarà minimo, e si realizzeranno quindi le condizioni migliori per tentare la Maratona Messier, ovvero l’osservazione in un’unica notte di tutti (o quasi) i 110 oggetti del celebre catalogo.
Sfogliala online su qualsiasi dispositivo, stampa le pagine che vuoi leggere con più comodità e scarica il pdf per conservarla nella tua biblioteca digitale!
02.03: “Onde Gravitazionali: come si possono rivelare; le sorgenti” del Dr. Ruggero Stanga, responsabile fino al 2002, della costruzione degli accelerometri per il damping inerziale dei SuperAttenuatori di VIRGO.
Per info: cell. 377.1273573 –
presidente@astrosaf.it
www.astrosaf.it
A distanza di sei mesi dallostorico flyby con Plutone, la sonda New Horizons continua a trasmettere a Terra le straordinarie immagini riprese durante il massimo avvicinamento al pianeta. Proprio ieri la NASA ha divulgato una ripresa (cliccare per aprire l’immagine ad alta risoluzione) che mostra la caotica regione del polo nord in una zona chiamata Lowell Regio. Un paesaggio colorato di giallo e blu, catturato dalla sonda da una distanza di 33900 chilometri circa 45 minuti prima del flyby avvenuto il 14 luglio scorso.
Il paesaggio si può descrivere come un altopiano di ghiacci giallastri che alle quote e alle latitudini più basse sfumano fino a svanire in un mare di ghiaccio grigio e blu, il tutto percorso qua e là da grandi canaloni dirupati. Una possibilità è che i terreno gialli corrispondano ai depositi di metano più antichi, che hanno subito maggiormente gli effetti della radiazione solare rispetto ai terreni blu.
Il canyon più ampio (in giallo nell’immagine annotata qui a lato, dove è anche segnata la posizione del polo) è largo circa 75 chilometri, con una valle (in blu) che lo percorre per tutta la lunghezza. Più ad est, quasi parallelo, se ne scorge un altro (in verde) largo 10 chilometri, e ancora più ad est (in rosa) se ne vede uno molto stretto e contorto. Secondo i planetologi della NASA, le loro pareti piuttosto degradate sono la prova che questi canyon, generati da movimenti tettonici, sono fra i più antichi del piccolo pianeta.
Nelle vicinanze ci sono anche delle cavità di forma irregolare (in rosso) che raggiungono 70 chilometri di larghezza e quattro chilometri di profondità. Secondo i ricercatori questi bacini sarebbero stati formati dallo scioglimento del ghiaccio sotterraneo che avrebbe fatto collassare la superficie.
Indice dei contenuti
Una grande novità!!! La rivista di astronomia Coelum ora in formato digitale e gratuita per tutti!
Per fornire le migliori esperienze, utilizziamo tecnologie come i cookie per memorizzare e/o accedere alle informazioni del dispositivo. Il consenso a queste tecnologie ci permetterà di elaborare dati come il comportamento di navigazione o ID unici su questo sito. Non acconsentire o ritirare il consenso può influire negativamente su alcune caratteristiche e funzioni.
Funzionale
Sempre attivo
L'archiviazione tecnica o l'accesso sono strettamente necessari al fine legittimo di consentire l'uso di un servizio specifico esplicitamente richiesto dall'abbonato o dall'utente, o al solo scopo di effettuare la trasmissione di una comunicazione su una rete di comunicazione elettronica.
Preferenze
L'archiviazione tecnica o l'accesso sono necessari per lo scopo legittimo di memorizzare le preferenze che non sono richieste dall'abbonato o dall'utente.
Statistiche
L'archiviazione tecnica o l'accesso che viene utilizzato esclusivamente per scopi statistici.L'archiviazione tecnica o l'accesso che viene utilizzato esclusivamente per scopi statistici anonimi. Senza un mandato di comparizione, una conformità volontaria da parte del vostro Fornitore di Servizi Internet, o ulteriori registrazioni da parte di terzi, le informazioni memorizzate o recuperate per questo scopo da sole non possono di solito essere utilizzate per l'identificazione.
Marketing
L'archiviazione tecnica o l'accesso sono necessari per creare profili di utenti per inviare pubblicità, o per tracciare l'utente su un sito web o su diversi siti web per scopi di marketing simili.