Il 20 maggio si verificherà una particolare congiunzione tra la Luna (fase del 34%) e l’Ammasso del Presepe (M 44), noto anche come Beehive Cluster, nella costellazione del Cancro. Alle ore 22:00 la separazione tra i due oggetti, alti più di 36° sull’orizzonte ovest, sarà di circa 4° 40’.
Le condizioni di osservabilità e ripresa saranno piuttosto difficoltose perché vi sarà una grande differenza di luminosità tra i due oggetti. Per far risaltare l’ammasso sarà necessario utilizzare esposizioni lunghe che però “bruceranno” completamente la Luna. Chi vuole provare comunque?
Ricordiamo poi che questi sono i giorni migliori per l’osservazione della Luna di maggio!
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Questa immagine, ottenuta con il telescopio spaziale Hubble della NASA/ESA, mostra l'ammasso di galassie MACS J1149.5+2223; l'inserto invece mostra MACS1149-JD1, una galassia molto lontana, osservata con ALMA come appariva 13,3 miliardi di anni fa. La distribuzione dell'ossigeno rilevata da ALMA è mostrata in rosso. Crediti: ALMA (ESO/NAOJ/NRAO), NASA/ESA Hubble Space Telescope, W. Zheng (JHU), M. Postman (STScI), the CLASH Team, Hashimoto et al.
In questa immagine, ottenuta con il telescopio spaziale Hubble della NASA/ESA, l'ammasso di galassie MACS J1149.5+2223. Nel riquadro, ingrandita, MACS1149-JD1, una galassia molto lontana, osservata con ALMA come appariva 13,3 miliardi di anni fa. La distribuzione dell'ossigeno rilevata da ALMA è mostrata in rosso. Crediti: ALMA (ESO/NAOJ/NRAO), NASA/ESA Hubble Space Telescope, W. Zheng (JHU), M. Postman (STScI), the CLASH Team, Hashimoto et al.
Un’equipe internazionale di astronomi ha usato ALMA per osservare una galassia davvero distante, MACS1149-JD1, e hanno rivelato un debole chiarore emesso dall’ossigeno ionizzato nella galassia. Mentre questa luce infrarossa viaggiava nello spazio, l’espansione dell’Universo ne allungava più di dieci volte la lunghezza d’onda, fino a quando è giunta sulla Terra. L’equipe ha dedotto che il segnale è stato emesso 13,3 miliardi di anni fa (ovvero solo 500 milioni anni dopo il Big Bang), il che ne fa l’ossigeno più distante mai osservato da un telescopio. Non è la prima volta che accade, ALMA ha stabilito parecchie volte questo record: nel 2016, un team giapponese aveva trovato il segnale dell’ossigeno emesso 13,1 miliardi di anni fa; alcuni mesi dopo da Londra, sempre con i dati di ALMA, era stato individuato l’ossigeno a 13,2 miliardi di anni fa. Ora i due gruppi hanno unito i loro sforzi e ottenuto questo nuovo record, che corrisponde a un redshift di 9,1!
La presenza di ossigeno però è un chiaro segno che devono essere esistite nella galassia generazioni precedenti di stelle.
«Ero entusiasta nel vedere il segnale dell’ossigeno di questa galassia lontana nei dati di ALMA», commenta Takuya Hashimoto, il primo autore del nuovo articolo, ricercatore alla Sangyo University di Osaka e all’Osservatorio Astronomico Nazionale del Giappone. «Questa scoperta spinge ancora più indietro le frontiere dell’Universo osservabile».
Oltre al bagliore dell’ossigeno catturato da ALMA, un segnale più debole, dovuto all’emissione di idrogeno, è stato rivelato dal VLT (Very Large Telescope) dell’ESO. La distanza della galassia, determinata per mezzo di questa osservazione, è consistente con la distanza ottenuta dall’osservazione dell’ossigeno. Ciò rende MACS1149-JD1 la galassia più lontana con un misura precisa di distanza, oltre che la galassia più distante mai osservata con ALMA o con il VLT.
«Vediamo questa galassia in un’epoca in cui l’Universo aveva appena 500 milioni di anni, eppure ha una popolazione di stelle già sviluppate», spiega Nicolas Laporte, ricercatore all’University College di Londra (UCL) nel Regno Unito e secondo autore dell’articolo. «Siamo in grado di usare questa galassia per avventurarci in un periodo precedente, ancora inesplorato, della storia cosmica. Dopo il Big Bang, per un lungo periodo, nell’Universo non c’era ossigeno: è stato creato dal processo di fusione in atto nelle prime stelle e quindi rilasciato per la prima volta quando quelle stelle sono morte. L’esistenza di ossigeno in MACS1149-JD1 indica che queste prime generazioni di stelle si erano già formate e avevano espulso ossigeno dopo soli 500 milioni di anni dall’inizio dell’Universo».
Ma quando è avvenuta la formazione di queste prime stelle? Per scoprirlo, l’equipe ha ricostruito la storia più antica di MACS1149-JD1 usando i dati infrarossi ottenuti con il telescopio spaziale Hubble della NASA/ESA e il telescopio spaziale Spitzer della NASA. La luminosità osservata della galassia si spiega perfettamente con un modello in cui l’inizio della formazione stellare corrisponde a soli 250 milioni di anni dopo l’inizio dell’Universo.
La maturità delle stelle viste in MACS1149-JD1 solleva però un’altra questione, ovvero di quando le prime galassie siano emerse dall’oscurità totale, in quell’epoca che gli astronomi chiamano, romanticamente, “alba cosmica”. Stabilendo l’età di MACS1149-JD1, l’equipe ha di fatto dimostrato che a quel tempo esistevano già galassie, ben prima di quelle che possiamo osservare direttamente.
Richard Ellis, astronomo senior a UCL e coautore dell’articolo, conclude: «Determinare l’inzio dell’alba cosmica è un Sacro Graal della cosmologia e della formazione delle galassie. Con queste nuove osservazioni di MACS1149-JD1 stiamo avvicinandoci all’osservazione diretta della nascita della luce stellare! Poichè siamo tutti fatti di materiale prodotto dalle stelle, questo significa trovare veramente le nostre origini».
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15.05, ore 11:30: Diretta dall’Antartide con il dott. Marco Buttu. Grazie a PNRA – ENEA – CNR – IPEV 19.05:Serata di Stelle a Ceccano (FR) 31.05:Occhi al Cielo di Giugno
Un'illustrazione artistica di Giove e Europa, con la sonda Galileo dopo il suo passaggio ravvicinato attraverso il getto di vapore ghiacciato emesso dalla superifice della luna. Una simulazione al computer ci dà un'idea di come il campo magnetico interagisce con questo getto: le linee del campo magnetico (in blu) ci mostrano come il getto interagisce con l'ambiente pervaso dal plasma gioviano, indicato in rosso. Credits: NASA/JPL-Caltech/Univ. of Michigan
Alla fine degli anni ’80, la sonda Galileo partì per un viaggio dedicato completamente, per la prima volta nella storia dell’esplorazione del sistema solare, a Giove, il gigante gassoso. Alla fine degli anni ’90, conclusa la missione primaria, iniziò una estensione che presentava maggiori rischi e che comprendeva una serie di sorvoli ravvicinati delle lune Europa e di Io, il più vicino dei quali portò la sonda a 180 km da Io il 15 dicembre 2001.
Ma è durante un suo flyby di Europa che non ci si era accorti di una sua scoperta straordinaria, o meglio, non era facile trovare qualcosa che non si stava cercando…
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➜ Leggi Missione Galileo. Il testimone passa a Juno, per ripercorrere i passaggi, le conquiste scientifiche e i quesiti sollevati per le successive missioni, della Missione Galileo.
Le immagini ultraviolette di presunti getti d’acqua dalla superficie di Europa, luna di Giove, riprese dal telescopio spaziale Hubble della NASA nel 2012, hanno ispirato Xianzhe Jia (Università del Michigan, co-investigator di due strumenti a bordo della sonda Europa Clipper, la missione che studierà Europa da vicino nel prossimo decennio) e il suo team.
Dopo una relazione sulle immagini di Hubble di Melissa McGrath – del SETI Institute di Mountain View ma anche lei parte della missione Europa Clipper – Jia e il suo team hanno ripreso i dati raccolti dalla sonda Galileo 20 anni fa, rendendosi subito conto che la regione in cui Hubble aveva visto ripetute tracce di pennacchi era vicina a una delle regioni in cui Galileo era volata: Galileo avrebbe potuto passare attraverso uno di questi pennacchi senza che nessuno se ne fosse reso conto.
Nelle tre immagini (in falsi colori) quelle che appaiono essere getti d'acqua che si estendono dal bordo della luna, nelle immagini del Telescopio Spaziale Hubble. Si trattava però di osservazioni al limite della risoluzione del telescopio. Alle immagini nell'ultravioletto di Hubble, nelle quali la luna appare nera, sono state sovrapposte immagini di Europa nel visibile riprese dalla sonda Galileo. NASA / ESA / W. Sparks / USGS Astrogeology Science Center
«Galileo, in effetti, ha fatto un sorvolo di quella posizione, ed è stato il più vicino che abbiamo mai avuto. Ci siamo resi conto che dovevamo tornare indietro», ha detto Jia. «Avevamo bisogno di vedere se nei dati ci fosse qualcosa che potesse dirci se in quel momento c’era o meno un pennacchio».
Galileo aveva fatto un totale di 11 voli ravvicinati di Europa, ma solo due si avvicinarono abbastanza da avere la possibilità di scoprire qualcosa di simile a un getto di vapore ghiacciato. Fu il primo di questi che si rivelò essere lo scrigno del tesoro. La sonda Galileo stava volando entro 400 km dalla superficie di Europa, a 6 km/s, percorrendo 1.000 km in soli tre minuti nel momento del suo maggior avvicinamento, quando il suo magnetometro si è accorto di un cambio di direzione del campo magnetico misurato, con un improvviso calo e un seguente picco molto forte. Nel frattempo, il rilevatore di onde di plasma mostrava una concentrazione densa di particelle cariche che venivano altrettanto improvvisamente rilasciate.
L’ipotesi è che quando un campo magnetico attraversa un getto d’acqua, può creare una corrente elettrica all’interno del getto. Quella corrente, a sua volta, genera un altro campo magnetico che neutralizza il primo, mentre il plasma si accumula in cima al getto, incapace di fluire attraverso di esso. Questo processo è lo stesso che la sonda Cassini ha visto in azione su Encelado, luna di Saturno, e ora i ricercatori pensano che sia esattamente lo stesso processo rilevato vent’anni fa dalla Galileo su Europa.
Ma il vero motore della scoperta è stato un sofisticato modello computazionale noto come 3D multi-fluid magnetohydrodynamic simulation, che ancora non esisteva quando Galileo raccoglieva i suoi dati. Il team lo ha applicato a quello che già si sapeva dalle osservazioni di Hubble sulla dimensione e la densità del potenziale pennacchio, creando così una simulazione perfettamente coerente con i dati raccolti dalla sonda Galileo.
«I dati erano lì, ma avevamo bisogno di una modellazione sofisticata per dare un senso all’osservazione», ha spiegato sempre Jia.
Le precedenti immagini ultraviolette di Hubble suggerivano la presenza di pennacchi, ma questa nuova analisi ha potuto utilizzare dati raccolti (anche se inconsapevolemnte) molto più vicini alla fonte ed è per questo che viene considerata un’evidenza forte e di supporto a quella di Hubble per confermare la presenza dei pennacchi.
«Sembra che ormai ci siano troppe evidenze per scartare l’esistenza di geyger anche su Europa», dichiara Robert Pappalardo, sempre del progetto Europa Clipper. «Questo risultato li fa sembrare smpre più veri e, per quanto mi riguarda, si tratta di un punto di svolta: non sono più solo incerti bagliori in un’immagine remota».
Galileo non avrebbe potuto vedere di più, il flusso di particelle in questo tipo di getti è molto diffuso e sottile, non è facile accorgersene pur passandoci in mezzo, soprattutto se non si sa cosa guardare. Ma ora che lo sappiamo, gli scienziati della NASA sperano che la missione Europa Clipper, che sarà lanciata a metà degli anni ’20, riesca a riprendere immagini dirette dei getti attraverso la luce solare dispersa dalle particelle sospese nello spazio.
«Non potremo darli definitivamente per reali finché non torneremo lì con una sonda e non li riprenderemo in una foto» aggiunge un altro membro del team Europa Clipper, Cynthia Phillips.
Inoltre Clipper arriverà molto più vicina alla luna ghiacciata: alcuni dei suoi 44 passaggi la porteranno a una distanza di soli 25 km in superficie. Avrà a bordo spettrometri di massa, per dedurre la composizione della superficie di Europa, dell’oceano sotterraneo e dei pennacchi, e – come Galileo – strumenti per misurare la densità del plasma e i campi magnetici. A differenza di Galileo, Clipper avrà anche sistemi di imaging a infrarossi e nel visibile, uno spettrografo ultravioletto e un radar che può penetrare nel ghiaccio fino a chilometri al di sotto della superficie ghiacciata di Europa.
Galileo Galilei ha scoperto Europa, la luna di Giove, nel 1610. Più di quattrocento anni dopo gli astronomi stanno ancora scoprendo cose nuove di questo mondo ghiacciato. Con un diametro medio di 3 121,6 km, un'orbita di 3,5 giorni terrestri e una massa di circa il 65% di quello della nostra Luna, Europa è considerata un ambiente che potrebbe essere adatto alla vita. La sua superficie ghiacciata è attraversata fratture lineari che si incrociano l'un l'altra, come il nosro pianeta si pensa abbia un nucleo ferroso, una crosta orcciosa e un oceano di acqua salata. Diversamente dalla Terra però l'oceano scorrerebbe sotto a una crosta ghiacciata spessa tra i 15 e i 25 chilometri, e sarebbe profondo tra i 60 e i 160 km. I risultati delle ultime analisi lo rendono uno dei posti migliori, nel sistema solare, dove cercare la vita, e la sonda della NASA Europa Clipper avrà gli strumenti necessari per scoprirlo. In questa immagine due viste su Europa: a sinistra l'immagine in colori vicini al reale, sulla destra un'immagine invece in falsi colori che combina riprese nel violetto, nel verde e nell'infrarosso, per esaltare i dettagli della crosta, per lo più composta da acqua ghiacciata. Image credit: NASA/JPL-Caltech/DLR
Ma mentre gli strumenti sono ben noti, la traiettoria ancora non è decisa e questi nuovi risultati aiuteranno a definirla. Se i pennacchi stanno davvero emettendo vapore dall’oceano o dai laghi sotterranei di Europa, Europa Clipper potrà campionare il liquido congelato e le particelle di polvere. Il team della missione sta ora valutando potenziali percorsi orbitali proprio con questo scopo.
Una rappresentazione artistica dei getti di vapore emessi dalla superficie di Europa, tra i quali potrebbe aver volato la sonda Galileo della NASA nel 1997. Crediti: NASA
I getti emessi da questa gelida luna potrebbero infatti aiutarci a trovare segni di vita nel suo oceano sottosuperficiale. «Studiare il materiale di questi getti è un modo per accedere alla chimica dell’oceano di Europa, che potrebbe aiutarci a rivelare se è abitabile o addirittura abitato», spiega Kevin Hand, anch’esso nel team del JPL della missione Europa Clipper. Infatti se si tratta davvero di getti d’acqua provenienti dall’oceano sotto la superficie ghiacciata della luna, potendone raccogliere dei campioni possiamo anche vedere direttamente e “facilmente” se contengono o meno tracce degli ingredienti necessari alla vita, o tracce di vita microbica stessa.
Sia la NASA che le agenzie spaziali europee hanno missioni in cantiere per visitare Europa dopo il 2020, presto forse avremo quella foto e quelle risposte…
Per la prima volta è stato possibile determinare la struttura tridimensionale di una nube interstellare, cioè il luogo dove nascono le stelle. Due astronomi, Aris Tritsis dell’Australian National University e Konstantinos Tassis dell’università di Creta, hanno rivelato la vera struttura della nube molecolare Musca e questi risultati (pubblicati ieri sulla rivista Science) potranno chiarire in futuro l’origine delle stelle nelle galassie.
La nube molecolare nella costellazione della Mosca. Crediti: Marco Lorenzi
Riempite perlopiù da polvere e gas (idrogeno molecolare), queste nubi interstellari sono state studiate finora solo in 2D, quindi hanno sempre avuto – ai nostri occhi – una forma stretta e allungata, quasi di un lungo ago. I due scienziati sono finalmente riusciti a compiere un grande passo in avanti nella comprensione di questi oggetti, realizzando una simulazione 3D della loro struttura: queste nubi somigliano più a dei giganteschi fogli che a degli aghi.
Determinare la tridimensionalità delle “incubatrici” stellari è fondamentale per una migliore comprensione dei processi che si verificano al loro interno. Tritsis e Tassis hanno ricostruito l’intera struttura 3D di Dark Doodad(letteralmente “l’aggeggio scuro”) grazie alle sue striature, dei ciuffi simili a strisce, che si formano a causa dell’eccitazione di onde magnetosoniche veloci (onde di pressione magnetiche longitudinali, od onde di secondo tipo). Cosa accade? La nube molecolare “canta”, o meglio vibra come una campana che suona dopo essere stata colpita: analizzando le frequenze di queste onde, gli autori hanno prodotto un modello strutturale dimostrando che Musca non è un filamento lungo e sottile come si pensava una volta, bensì una vasta struttura molto più complessa.
Posizionata nel cielo meridionale in direzione della costellazione della Mosca a centinaia di anni luce da noi, la nube molecolare si estende per circa 27 anni luce attraverso il piano del cielo, con una profondità di circa 20 anni luce e una larghezza fino ad una frazione di un anno luce.
Elaborazione dei dati che descrivono la struttura 3D della nube molecolare Musca. Crediti: Aris Tritsis, Nick Gikopoulos
«Siamo stati in grado di ricostruire la struttura tridimensionale di una nube di gas nelle primissime fasi della creazione di nuove stelle e pianeti, che alla fine richiederanno milioni di anni per evolversi», ha detto il Tritsis. «Conoscere la forma tridimensionale delle nubi molecolari migliorerà notevolmente la nostra comprensione di questi vivai di stelle e della nascita del nostro Sistema solare», ha aggiunto.
I due ricercatori hanno utilizzato dati raccolti con il telescopio spaziale Herschel dell’Esa e determinato la forma di questa nube molecolare scura analizzando le frequenze spaziali delle vibrazioni emesse dalle striature, che sono state poi convertite in suoni. Tassis ha spiegato che Musca è la più grande struttura vibrante nella Via Lattea: «C’è una vastità di nuove cose che possiamo imparare da questo modello».
Due cicli di conferenze presso la nostra sede all’EUR (fermata Laurentina) che si possono seguire anche singolarmente previa prenotazione:
Il lunedì, ore 21:00 – 22:30: ArcheoAstronomia. Le avanzate conoscenze nascoste in reperti archeologici e miti antichi. L’astronomia nella storia dell’arte, dalla pittura all’architettura. E in letteratura, religione, simboli, araldica, bandiere, ecc…
Il giovedì, ore 21:00 – 22:30: Fisica e Astronomia. Vedremo gli argomenti che non vengono trattati i solito nei corsi base di astronomia. Apprefondimenti di fisica, astrofisica e cosmologia che rivestono un interesse enorme. Non è richiesta alcuna preparazione di base.
Altri eventi: 11.05: Occhi su Giove 12.05 e 19.05: Uscite osservative 25-27.05: Il Cielo di Roma
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Altrettanto interessante e sicuramente molto meno difficoltosa dell’osservazione di Mercurio, è l’osservazione della serata del 17 maggio, quando dalle 21:00 in poi una falce lunare di 2,28 giorni (fase del 7%) sarà visibile a un’altezza iniziale di circa 14° a soli 4,5° dal pianeta Venere (mag. –3,9) a nostra disposizione per almeno due ore fino al suo tramonto previsto per le 23:02.
Con il passare dei minuti, i due soggetti celesti si faranno via via più bassi sull’orizzonte ovest e il cielo si farà più scuro, aumentando il contrasto complessivo. Si potrà tentare quindi di effettuare più riprese a distanza di 10 minuti per valutare come si modificano le condizioni di luminosità e la resa complessiva della ripresa.
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05.05: Il cielo di maggio. In caso di cielo sereno, come ogni primo sabato del mese, l’appuntamento per i soci e per il pubblico è alle ore 21:30 presso Porta Laterina a Siena da dove raggiungeremo a piedi la specola”Palmiero Capannoli” per osservare il cielo di questo periodo particolarmente ricco di galassie. In caso di tempo incerto telefonare per conferma a Davide Scutumella 3388861549. La serata è aperta alla cittadinanza.
11.05: “Il cielo al castello di Montarrenti” Come ogni secondo venerdì del mese, dalle ore 21:30 l’Osservatorio Astronomico di Montarrenti sarà aperto ai soci e al pubblico per una serata osservativa dedicata al cielo del periodo primaverile: Leone, Vergine e Chioma di Berenice, tutte contenenti bellissimi gruppi di galassie e ammassi (sia globulari che aperti). Sarà visibile anche il pianeta Giove coi satelliti galileiani. Per il pubblico è obbligatoria la prenotazione tramite il sito www.astrofilisenesi.it, inviando un messaggio WhatsApp al 3472874176 (Patrizio) oppure un sms al 3482650891 (Giorgio). La serata è aperta alla cittadinanza.
19.05: “La notte dei musei” Nell’ambito della “Notte dei musei” saremo presenti presso il Museo Archeologico di Castellina in Chianti per un’osservazione del cielo dalla suggestiva torre del paese. Per informazioni contattare Andrea 3476527389, Giacomo 3282151990 oppure Francesco 3389637212. La serata è aperta alla cittadinanza.
25.05: “Il cielo al castello di Montarrenti” Come ogni quarto venerdì del mese, dalle ore 21:30 l’Osservatorio Astronomico di Montarrenti sarà aperto ai soci e al pubblico per una serata osservativa dedicata al cielo del periodo. La luna, coi suoi crateri sarà uno degli oggetti principali d’osservazione, oltre al pianeta Giove. Per il pubblico è obbligatoria la prenotazione tramite il sito www.astrofilisenesi.it, inviando un messaggio WhatsApp al 3472874176 (Patrizio) oppure un sms al 3482650891 (Giorgio). La serata è aperta alla cittadinanza.
Un’osservazione un po’ al limite quella del 13 maggio: dovremo stare veramente attenti a contare i minuti perché questo incontro celeste tra Mercurio e una sottile falce di Luna di 27,05 giorni (fase 7%) delle 05:00 avverrà nel chiarore dell’incalzante crepuscolo mattutino. La separazione sarà di circa 6,5°.
A poca distanza, anche se praticamente invisibile, ci sarà anche il pianeta Urano (mag. +5,9), troppo debole per staccarsi dal fondo cielo già illuminato dell’alba.
Chi vuole tentare una fotografia?
Mal che vada, ci si potrà comunque dedicare all’osservazione della falce lunare e alla ripresa della sua Luce Cinerea.
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Fino ad oggi avete conosciuto il Sardinia Radio Telescope come “Srt”, uno dei più grandi e potenti radiotelescopi al mondo, ossia una megaparabola analoga a quelle televisive che abbiamo sui nostri tetti, con la differenza che le onde elettromagnetiche che riceve, invece che dai satelliti artificiali, provengono da corpi celesti “naturali” come stelle e galassie.
Da oggi l’antenna è ufficialmente parte dellaDeep Space Network (Dsn) della Nasa. A dispetto del nome, la Dsn si occupa di “spazio profondo” nel senso “umano” del termine, ovvero di quell’area del Sistema solare che, come ha specificato il presidente Asi Roberto Battiston, va oltre i 500mila km di distanza dalla Terra: in pratica tutto ciò che va oltre la Luna (per gli astronomi, invece, “spazio profondo” significa galassie lontane miliardi di anni luce come quelle fotografate dal telescopio orbitante Hubble).
L’evento, durato due giorni, ha visto la partecipazione – insieme ai molti studenti universitari e cittadini che si sono iscritti all’evento – di grandi istituzioni scientifiche e dei loro massimi rappresentanti: William H. Gerstenmaier per la Nasa, Roberto Battiston e Salvatore Viviano per l’Asi, Nichi D’Amico ed Emilio Molinari per l’Inaf, Maria Del Zompo per l’università di Cagliari, Raffaele Paci per la Regione autonoma della Sardegna, tutti accompagnati da tanti colleghi che qui è impossibile citare. C’erano poi il prefetto di Cagliari Tiziana Giovanna Costantino, i sindaci di San Basilio, Silius, Selargius e Villasalto.
Il compito della Sardinia Deep Space Antenna (Sdsa) sarà dunque inseguire le sonde interplanetarie che vagano nel Sistema solare per ricevere da esse preziose informazioni e immagini di mondi lontani, ma dovrà essere anche in grado di inviare informazioni e comandi a queste sonde per consentire loro di fare scienza ed ottimizzare le risorse nel loro lunghissimo viaggio senza ritorno. Questo implicherà un’antenna capace di emettere segnali elettromagnetici sufficientemente potenti da arrivare addirittura oltre il Sistema solare, e per questo avrà necessità di molti accorgimenti di sicurezza e di molta manutenzione. Sdsa sarà dunque una delle pochissime antenne al mondo in grado di comunicare lontano, lontanissimo da casa nostra. Ma non solo: la garanzia di telecomunicazioni spaziali stabili e capienti come quelle che abbiamo, ad esempio, sui nostri smartphone, consentirà una sempre maggiore probabilità di successo delle missioni umane nello spazio, come quelle previste sulla Luna e su Marte, per ora.
Tutto questo, cari lettori, ha un nome: esplorazione. È l’andare oltre che ha fatto dell’uomo, nel bene e nel male, il protagonista degli ultimi centomila anni della (ben più lunga) storia del mondo. Astronomicamente e geologicamente parlando non siamo quasi niente, eppure è la curiosità di sapere cosa c’è dietro la collina che ci ha spinto fin dove siamo oggi. Sapere che la Sardegna è parte di questo processo di espansione della conoscenza e di progresso tecnologico non può non suscitare in noi – almeno noi dell’Inaf, dell’Asi, della Nasa, della Regione Sardegna, che in questa avventura ci abbiamo creduto e ci crediamo davvero – un distillato di emozione, orgoglio e speranza di scoprire in un futuro prossimo cose nuove e sbalorditive, speranza che sappiamo essere, piuttosto, una certezza. Questa è l’emozione che vorremmo arrivasse a tutti coloro che, comprensibilmente, ci chiedono: perché investire in ricerca astrofisica o in scienze spaziali?
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Questo rappresentazione artistica mostra 2004 EW95, asteroide esiliato, il primo asteroide ricco di carbonio a essere confermato nelle zone più esterne e fredde del Sistema Solare. Questo curioso oggetto si è probabilmente formato nella fascia principale degli asteroidi, tra Marte e Giove, ed è stato lanciato a miliardi di chilometri dalla sua zona di origine fino all'ubicazione attuale nella fascia di Kuiper. Crediti: ESO/M. Kornmesser
Questo rappresentazione artistica mostra 2004 EW95, asteroide esiliato, il primo asteroide ricco di carbonio a essere confermato nelle zone più esterne e fredde del Sistema Solare. Questo curioso oggetto si è probabilmente formato nella fascia principale degli asteroidi, tra Marte e Giove, ed è stato lanciato a miliardi di chilometri dalla sua zona di origine fino all'ubicazione attuale nella fascia di Kuiper. Crediti: ESO/M. Kornmesser
Le prime fasi del Sistema Solare furono tempestose. Secondo alcuni modelli teorici che descrivono questo periodo, i giganti gassosi appena formati hanno imperversato nel Sistema Solare, espellendo i piccoli corpi rocciosi dalla zona interna del Sistema Solare fino a orbite remote, a grandi distanze dal Sole. In particolare, i modelli suggeriscono che la fascia di Kuiper – una regione molto fredda che giace oltre l’orbita di Nettuno – dovrebbe contenere una piccola frazione di corpi rocciosi provenienti dal Sistema Solare interno, come gli asteroidi ricchi di carbonio, detti anche carbonacei.
Un articolo recente ha mostrato prove affidabili del primo asteroide carbonaceo osservato nella fascia di Kuiper, fornendo sostegno a questi modelli teorici dei primi anni turbolenti del Sistema Solare. Dopo misure certosine di molteplici strumenti sul VLT (Very Large Telescope) dell’ESO, una piccola equipe di astronomi, sotto la guida di Tom Seccull, della Queen’s University di Belfast nel Regno Unito, ha potuto misurare la composizione dell’oggetto 2004 EW95, un oggetto anomalo della fascia di Kuiper, e così determinare che è un asteroide carbonaceo. Ciò suggerisce che si sia formato nel Sistema Solare interno e sia poi migrato successivamente verso l’esterno. Altri oggetti del Sistema Solare interno sono stati precedentemente rilevati nelle zone esterne del Sistema Solare, ma questo è il primo asteroide carbonaceo che si trova nella fascia di Kuiper, lontano dalla sua zona d’origine.
The red line in this image shows the orbit of 2004 EW95, with the orbits of other Solar System bodies shown in green for comparison. Crediti: ESO/L. Calçada
La natura peculiare di 2004 EW95 è stata notata per la prima volta durante osservazioni di routine con il telescopio spaziale Hubble della NASA/ESA effettuate da Wesley Fraser, un astronomo della Queen’s University di Belfast che è anche parte dell’equipe che presenta questa scoperta. Lo spettro di riflessione dell’asteroide – la specifica distribuzione di lunghezze d’onda della luce riflessa dall’oggetto – era diverso da quello di oggetti altrettanto piccoli della fascia di Kuiper (KBO da Kuiper Belt Objects, in inglese), che hanno in genere spettri poco interessanti, senza caratteristiche particolari, che danno poche informazioni sulla composizione dell’asteroide.
«Lo spettro di riflessione di 2004 EW95 era chiaramente diverso da quello degli altri oggetti del Sistema Solare esterno osservati,» spiega il primo autore Seccull. «Era abbastanza strano da farci desiderare di osservarlo più da vicino».
L’equipe ha osservato 2004 EW95 con gli strumenti X-Shooter e FORS2 installati sul VLT. La sensibilità di questi spettrografi ha permesso di ottenere misure più dettagliate della distribuzione della luce riflessa dall’asteroide e quindi derivarne la composizione.
Ma pur con l’impressionante potere di raccolta della luce del VLT, 2004 EW95 è ancora difficile da osservare. Anche se è lungo almeno 300 km, si trova al momento a ben 4 miliardi di chilometri da Terra, rendendo la raccolta di dati dalla superficie scura e ricca di carbonio una sfida scientifica impegnativa.
«È come osservare una montagna gigantesca di carbone contro lo sfondo nero come la pece del cielo notturno», commenta il coautore Thomas Puzia della Pontificia Universidad Católica de Chile.
«Non solo 2004 EW95 si muove, ma è anche molto debole,» aggiunte Seccull. «Abbiamo dovuto usare una tecnica di elaborazione dati molto avanzata per estrarre dai dati tutto il possibile». Due caratteristiche degli spettri dell’oggetto erano particolarmente attraenti e corrispondevano alla presenza di ossido ferrico e fillosilicati. La presenza di questi materiali non era mai stata confermata in un KBO e indicava come 2004 EW95 si fosse formato nel Sistema Solare interno.
Seccull conclude: «L’ubicazione attuale di 2004 EW95, nelle gelide zone esterne del Sistema Solare, richiede che sia stato espluso da un pianeta migrante, fino all’orbita presente, nelle prime fasi del Sistema Solare».
«Segnalazioni della presenza di spettri ‘atipici’ di oggetti della fascia di Kuiper erano già state presentate, ma nessuna era stata confermata con questo livello qualitativo», commenta Olivier Hainaut, astronomo dell’ESO che non fa parte dell’equipe. «La scoperta di un asteroide carbonaceo nella fascia di Kuiper è una verifica chiave di una delle previsioni fondamentali dei modelli dinamici del Sistema Solare primordiale».
15.05, ore 11:30: Diretta dall’Antartide con il dott. Marco Buttu. Grazie a PNRA – ENEA – CNR – IPEV 19.05:Serata di Stelle a Ceccano (FR) 31.05:Occhi al Cielo di Giugno
Image credit: NASA/JPL-Caltech/Space Science Institute
Ancora immagini suggestive dalla sonda Cassini, che ha ormai concluso il suo lavoro con il tuffo nell’atmosfera di Saturno il 15 settembre del 2017, come vediamo però dall’enorme mole di dati continuano ad essere estratte immagini altamente suggestive, come questo “ritratto di famiglia”.
Il 13 marzo del 2006, la narrow-angle camera della sonda ha ripreso questa vista di Saturno con gli anelli presi praticamente quasi di taglio, in compagnia della sue lune Mimas e Janus (al di sopra del piano degli anelli) e Tethys (al di sotto). Attenzione che, in questo caso, “sopra” e “sotto” è solo una questione di prospettiva… poiché lune e anelli giacciono in realtà all’incirca sullo stesso piano.
Il lato notturno di Mimas lo vediamo delicatamente illuminato dal “chiaro di Saturno”, la luce solare riflessa dalla cima delle nubi dell’atmosfera del pianeta.
L’immagine è come sempre ripresa in filtri RGB, combinati per ottenere dei colori il più possibile vicini a quanto potremmo vedere con i nostri occhi.
The Cassini mission is a cooperative project of NASA, ESA (the European Space Agency) and the Italian Space Agency. The Jet Propulsion Laboratory, a division of the California Institute of Technology in Pasadena, manages the mission for NASA’s Science Mission Directorate, Washington. The Cassini orbiter and its two onboard cameras were designed, developed and assembled at JPL. The imaging operations center is based at the Space Science Institute in Boulder, Colorado.
Per ripercorrere la missione attraverso le straodinarie immagini che nei suoi 13 anni di attività Cassini ci ha inviato, rileggi lo speciale dedicato su Coelum Astronomia 214
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Risorse online
La missione Cassini-Huygens sulsito del JPL e su quello dellaNASA
CielOstellato, organizzato dal Gruppo astrofili Columbia, la Coop. Camelot, la rivista Coelum Astronomia, in collaborazione con la Coop. Atlantide, Robintur e il patrocinio del Comune di Ostellato, giunge alla sua ventiduesima edizione e si conferma lo Star Party nazionale dedicato all’alta risoluzione. Infatti le condizioni climatiche e topografiche del luogo (le Valli di Ostellato rappresentano una zona pianeggiante vicina a specchi d’acqua ), favoriscono un buon seeing per numerose notti all’anno e la mancanza a livello nazionale di starparty dedicati all’osservazione di Luna, pianeti, Sole e stelle doppie, ci ha convinto a dedicare CielOstellato a questo genere di osservazioni.
Star Party Un’area per osservazioni astronomiche con telescopi propri e prove strumentali.
Osservatorio Astronomico telescopio newtoniano D=450mm F. 2000mm f:4.5; telescopio rifrattore D=120mm F.1000 mm f:8. Conferenze e approfondimenti (nel pomeriggio del sabato). ore 15:00: “Nuove soluzioni ottiche per l’astronomia e la naturalistica” di Adriano Lolli. ore 16:00: “La grande eclisse americana“ di Davide Andreani. ore 17:00: “Spettroscopia popolare: le ultime novità” di Carlo Muccini. ore 18:00: “Etiopia:Le stelle della regina di Saba” di Alberto Palazzi.
Rivenditori Coma e Astrottica
Le onde solari Rossby sono onde di vorticità che si muovono nella direzione opposta alla rotazione. Hanno ampiezze massime nelle regioni equatoriali del Sole. Crediti: Mps / Nasa / HormesDesign
Le onde solari Rossby sono onde di vorticità che si muovono nella direzione opposta alla rotazione. Hanno ampiezze massime nelle regioni equatoriali del Sole. Crediti: Mps / Nasa / HormesDesign
Un gruppo di scienziati guidati dal Max Planck Institute for Solar System Research (Mps) e dall’Università di Göttingen, ha scoperto nuove onde di vorticità sul Sole. Come riportato nell’articolo pubblicato su Nature Astronomy, queste onde di Rossby si propagano nella direzione opposta alla rotazione del Sole, hanno una durata di diversi mesi e ampiezze massime all’equatore. Per quarant’anni gli scienziati avevano ipotizzato l’esistenza di tali onde sul Sole, poiché ci si aspetta siano presenti in ogni sistema di fluido rotante. Ora, per la prima volta, sono state rilevate e caratterizzate in modo inequivocabile.
Le onde solari di Rossby sono parenti strette delle onde di Rossby che si manifestano nell’atmosfera terrestre e negli oceani. In quasi tutte le mappe meteorologiche dell’emisfero settentrionale della Terra, le onde atmosferiche di Rossby sono una caratteristica rilevante e appaiono come meandri nella corrente a getto che separa l’aria fredda polare, a nord, dall’aria subtropicale più calda, più a sud. A volte queste onde raggiungono le regioni equatoriali e possono anche influenzare il clima in Australia. In linea di principio, onde di questo tipo (spesso chiamate onde planetarie) si manifestano su ogni sfera rotante a causa della forza di Coriolis. Anche il famoso esagono di Saturno, la particolare conformazione nuvolosa stabile visibile al polo nord del pianeta, potrebbe essere un’espressione di queste onde.
L’esistenza delle onde di Rossby nelle stelle è stata prevista circa quarant’anni fa. «Le onde solari di Rossby hanno ampiezze molto piccole e periodi di vari mesi, quindi sono estremamente difficili da rilevare», spiega Laurent Gizon, coordinatore del gruppo che ha fatto la scoperta e direttore del Mps. Lo studio ha richiesto osservazioni ad alta precisione del Sole per molti anni. Gli scienziati di Mps hanno analizzato un set didati raccolti in sei anni dall’Heliospheric and Magnetic Imager (Hmi), a bordo della Solar Dynamics Observatory (Sdo) della Nasa, in funzione dal 2010.
In questo breve video si vede il movimento dei granuli fotosferici, sono la parte alte delle celle di convezione del plasma solarein costante movimento come le bolle d'acqua in una pentola di acqua bollente, solo che ogni granulo arriva a misurare i 1600 chilometri di larghezza... Crediti: Swedish 1-m Solar Telescope/Institute for Solar Physics/Luc Rouppe van der Voort, Oslo«Le immagini di Hmi hanno una risoluzione spaziale sufficientemente elevata da consentirci di seguire il movimento dei granuli fotosferici sulla superficie visibile del Sole», afferma Björn Löptien, scienziato del Mps e primo autore dell’articolo. Questi granuli sono piccole celle convettive che hanno una dimensione di circa 1500 chilometri, sulla superficie solare. Nel nuovo studio, i ricercatori hanno usato i granuli come traccianti passivi per scoprire i grandi flussi vorticosi sottostanti, associati alle onde di Rossby. Inoltre, sono stati usati metodi dieliosismologia per confermare la scoperta e studiare le onde di Rossby nell’interno del Sole a profondità fino a 20mila chilometri.
«Nel complesso, abbiamo trovato onde di vorticità su larga scala sul Sole che si muovono nella direzione opposta alla sua rotazione. Il fatto che queste onde siano state viste solo nelle regioni equatoriali è assolutamente inaspettato», spiega Gizon. Gli schemi di vorticità osservati sono stabili per diversi mesi. Per la prima volta, i ricercatori sono stati in grado di determinare la relazione tra la frequenza delle onde e la lunghezza d’onda, identificandoli chiaramente come onde di Rossby. «Le onde di solari di Rossby hanno dimensioni gigantesche, con lunghezze d’onda paragonabili al raggio del Sole» conclude Gizon. Sono una componente essenziale delle dinamiche interne del Sole perché contribuiscono per metà all’energia cinetica su larga scala del Sole.
In questo video sulla propagazione delle onde solari di Rossby vengono mostrate tre modalità con gli ordini azimutali 3, 7 e 11.
Le fasi della Luna in maggio, calcolate per le ore 00:00 in TMEC. La visione è diritta (Nord in alto, Est dell’osservatore a sinistra). Nella tavola sono riportate anche le massime librazioni topocentriche del mese, con il circoletto azzurro che indica la regione del bordo più favorita dalla librazione. Crediti Coelum Astronomia CC-BY
Le fasi della Luna in maggio, calcolate per le ore 00:00 in TMEC. La visione è diritta (Nord in alto, Est dell’osservatore a sinistra). Nella tavola sono riportate anche le massime librazioni topocentriche del mese, con il circoletto azzurro che indica la regione del bordo più favorita dalla librazione. Crediti Coelum Astronomia CC-BY
Dopo il Plenilunio dello scorso 30 aprile, questo mese esordisce con la Luna che sorge alle 21:54 del giorno 1 in fase di 15,75 giorni fra le stelle della Bilancia, andando poi a culminare in meridiano nelle prime ore della notte successiva a un’altezza di +28°. Siamo ormai in Luna Calante, pertanto nelle successive serate il nostro satellite solcherà il cielo incrementando progressivamente il proprio ritardo fino a limitarne l’osservazione alla seconda parte della notte.
A prescindere da qualche volonteroso che vorrà approfittare dell’approssimarsi della stagione estiva per osservare la Luna in orario notturno (o quasi…), come sempre il nostro satellite darà il meglio di sé nelle serate intorno al Primo Quarto, non dimenticando però che anche in prossimità del Plenilunio è possibile effettuare dettagliate osservazioni delle strutture superficiali situate lungo il bordo lunare, attività osservativa ancora più stimolante se effettuata in corrispondenza delle zone di massima librazione o per monitorare le differenze di albedo dei crateri lontani dal bordo della Luna.
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A maggio osserviamo
Come prima proposta concentreremo la nostra attenzione sul terminatore orientale del nostro satellite, alla latitudine delle scure rocce basaltiche del mare Undarum, dove la sera del 20 maggio dopo le 21:00 circa il punto di massima librazione verrà a trovarsi nella regione fra il grande cratere Neper e il margine settentrionale del mare Smythii, con la possibilità di andare a curiosare in quel 9% dell’altro emisfero che altrimenti sarebbe tassativamente irraggiungibile dai nostri telescopi.
La seconda (e principale) proposta è per la sera del 23 maggio, col nostro satellite in fase di 8,30 giorni a un’altezza iniziale di +50°20′, con culminazione in meridiano delle 20:56, ci porterà a visitare una porzione della vasta regione situata a nord del mare Frigoris fino ai confini delle estreme regioni settentrionali in vista del Polo Nord della Luna. Nel caso specifico il nostro satellite sarà visibile per l’intera serata fino a notte fonda.
Con la terza ed ultima proposta, invece, l’appuntamento è per le estreme regioni meridionali della Luna per la serata del 29 maggio quando l’oggetto delle nostre attenzioni sarà Bailly, il più esteso cratere esistente sull’emisfero lunare rivolto verso la Terra con un diametro di 310 km e situato proprio in prossimità del bordo sud-sudovest (naturalmente a eccezione dei grandi bacini da impatto attualmente noti come “mari” appartenenti originariamente anch’essi alla tipologia dei crateri lunari).
Per approfondire queste osservazioni, per le falci di Luna e la sua luce cinerea e per tutte le altre informazioni, leggi Luna di Maggio 2018 e il Calendario di tutti gli eventi, giorno per giorno su Coelum astronomia 220 (è sempre gratis, puoi leggerlo online, scaricarlo in pdf oppure stampare le pagine che ti interessano di più 😉 ).
➜ La Luna mi va a pennello. Se la fotografia non basta, Gian Paolo Graziato ci racconta come dipingere dei rigorosi paesaggi lunari, nei più piccoli dettagli… per poi lasciarsi andare alla fantasia e all’imaginazione! Su Coelum Astronomia n. 211
E tutte le precedenti rubriche di Francesco Badalotti, con tantissimi spunti per approfondire la conoscenza del nostro satellite naturale. Per ogni formazione il momento giusto!
Hai compiuto un’osservazione? Condividi le tue impressioni, mandaci i tuoi report osservativi o un breve commento sui fenomeni osservati: puoi scriverci a segreteria@coelum.com. Inoltre, se hai scattato qualche fotografia agli eventi segnalati, carica le tue foto inPhotoCoelum!
E ancora, sempre su Coelum Astronomia n. 222
➜ 9 maggio Giove in opposizione. Come osservarlo, a occhio nudo e con uno strumento, e tutti i principali eventi che riguardano le lune medicee.
05.05: Il cielo di maggio. In caso di cielo sereno, come ogni primo sabato del mese, l’appuntamento per i soci e per il pubblico è alle ore 21:30 presso Porta Laterina a Siena da dove raggiungeremo a piedi la specola”Palmiero Capannoli” per osservare il cielo di questo periodo particolarmente ricco di galassie. In caso di tempo incerto telefonare per conferma a Davide Scutumella 3388861549. La serata è aperta alla cittadinanza.
11.05: “Il cielo al castello di Montarrenti” Come ogni secondo venerdì del mese, dalle ore 21:30 l’Osservatorio Astronomico di Montarrenti sarà aperto ai soci e al pubblico per una serata osservativa dedicata al cielo del periodo primaverile: Leone, Vergine e Chioma di Berenice, tutte contenenti bellissimi gruppi di galassie e ammassi (sia globulari che aperti). Sarà visibile anche il pianeta Giove coi satelliti galileiani. Per il pubblico è obbligatoria la prenotazione tramite il sito www.astrofilisenesi.it, inviando un messaggio WhatsApp al 3472874176 (Patrizio) oppure un sms al 3482650891 (Giorgio). La serata è aperta alla cittadinanza.
19.05: “La notte dei musei” Nell’ambito della “Notte dei musei” saremo presenti presso il Museo Archeologico di Castellina in Chianti per un’osservazione del cielo dalla suggestiva torre del paese. Per informazioni contattare Andrea 3476527389, Giacomo 3282151990 oppure Francesco 3389637212. La serata è aperta alla cittadinanza.
25.05: “Il cielo al castello di Montarrenti” Come ogni quarto venerdì del mese, dalle ore 21:30 l’Osservatorio Astronomico di Montarrenti sarà aperto ai soci e al pubblico per una serata osservativa dedicata al cielo del periodo. La luna, coi suoi crateri sarà uno degli oggetti principali d’osservazione, oltre al pianeta Giove. Per il pubblico è obbligatoria la prenotazione tramite il sito www.astrofilisenesi.it, inviando un messaggio WhatsApp al 3472874176 (Patrizio) oppure un sms al 3482650891 (Giorgio). La serata è aperta alla cittadinanza.
Al TROPICARIUM PARK in Via Aquileia, 123 a Jesolo (VE)
Una mostra interattiva sul modello dei musei scientifici americani. Il cuore della mostra è l’attività di stampo ludico e sperimentale da realizzarsi in prima persona.
Sviluppata dal Tropicarium di Jesolo in collaborazione con Pleiadi vede ben 75 macchine interattive relative a temi come CORPO UMANO, ACQUA, MATEMATICA, ILLUSIONI, ELETTRICITÀ, ARIA e FORZE che utilizzano l’approccio ludico-sperimentale per educare il visitatore al sapere scientifico e far comprendere importanti leggi della natura.
Sequenza di lancio della sonda NASA InSight. Crediti: NASA TV / JPL / processing: M. Di Lorenzo
Sequenza di lancio della sonda NASA InSight. Crediti: NASA TV / JPL / processing: M. Di Lorenzo
Arrivata presso la base dell’aeronautica di Vandenberg in California ai primi di marzo, InSight ha trascorso lì i suoi due ultimi mesi sulla Terra, tra test e controlli approfonditi richiesti soprattutto dalle criticità riscontrate su alcuni componenti che ne avevano richiesto un ritardo del lancio di ben due anni (inizialmente previsto per il 2016). La nuova data di lancio è stata rispettata al minuto e alle 13:05 di sabato 5 maggio 2018, InSight ha preso la volta dello spazio a bordo di un vettore Atlas V della United Launch Alliance. La sonda è la prima interplanetaria della storia della NASA a partire dalla costa occidentale e la prima missione dell’agenzia diretta verso il Pianeta Rosso dal lancio del Mars Science Laboratory Curiosity avvenuto nel novembre del 2011. Se tutto andrà come previsto, InSight arriverà su Marte in meno di sette mesi, atterrando in una pianura appena a nord dell’equatore il 26 novembre di quest’anno.
La rotta della sonda InSight. Crediti: Planetary Society
L’Atlas V con InSight è rimasto avvolto nella nebbia mattutina (un elemento ricorrente nei lanci da Vandenberg, specialmente se notturni) fino al momento del lancio. La versione 401 del vettore ha un’ogiva di 4 metri di diametro, nel quale sono stati ospitati InSight e due cubesat denominati MarCO-A e MarCO-B, progettati per essere dimostratori tecnologici con un proprio sistema propulsivo e per fungere da ripetitori per InSight: trasmetteranno infatti a terra i dati della sonda durante la fase di ingresso, discesa e atterraggio sul Pianeta Rosso.
Particolarmente suggestive sono state le fasi del lancio riprese con camera ad infrarosso, specialmente il distacco del primo stadio, che può essere visto nel video qui di seguito (il lancio avviene al minuto 39 del video).
L’obbiettivo della missione è quello di conoscere l’intima struttura geologica di Marte e le scoperte di InSight aiuteranno la comprensione di come i pianeti rocciosi, compresa la Terra, si siano formati nelle prime fasi della nascita del Sistema Solare.
Vera e propria sonda “geologica”, InSight monitorerà un ampio spettro di parametri del Pianeta Rosso. Ad esempio la sua temperatura interna, utilizzando un sensore che scenderà di 5 metri al di sotto della superficie. Terremoti endogeni ed eventualmente generati da impatti di meteoriti saranno registrati da un sismometro (Seismic Experiment for Interior Structure, SEIS) in grado di misurare movimenti della crosta ad una definizione comparabile alla metà del raggio di un atomo di idrogeno, per percepire anche i minimi movimenti che potrebbero originarsi nelle profondità interne di Marte. SEIS sarà inserito da InSight direttamente nel suolo attraverso il suo braccio robotico, ponendo all’intorno una protezione pensata per limitare le influenze dovute al vento o alle variazioni di temperatura.
llustrazione del sismometro SEIS. Crediti: NASA
Il sismometro e la sonda termica (nota come HP3, Heat Flow and Physical Properties Package) sono gli strumenti più importanti di InSight, ma ci saranno altre misurazioni condotte da altra strumentazione. Per esempio l’esperimento RISE (Rotation and Interior Structure Experiment) traccerà la posizione di InSight in modo estremamente preciso, con una sensibilità di 0.3 metri di spostamento. Questo permetterà al team preposto di misurare anche minime variazioni nella posizione dell’asse di rotazione marziano, che dovrebbero rivelare informazioni importanti in relazione al nucleo del pianeta, inclusa la stima della sua dimensione. Le analisi dei dati di SEIS e HP3 poi, permetteranno di gettar luce sulla conformazione dell’interno di Marte, inclusa la stima dello spessore della crosta e la struttura e la dinamica del mantello.
Il corpo principale di InSight (dal peso di 358 chilogrammi) è basato sul progetto della sonda Phoenix, atterrata su Marte nel 2008 trovando ghiaccio immediatamente sotto la superficie. InSight userà la stessa tecnica di ingresso nell’atmosfera e atterraggio, usando paracaduti e retrorazzi per rallentare la discesa e conseguire un atterraggio morbido e sicuro sulla superficie di Marte. Nessuna Skycrane come quella utilizzata da Curiosity, quindi, data la massa decisamente inferiore a quella del rover. L’avionica di bordo, invece, è stata mutuata da un’altra missione di successo, MAVEN, che è in orbita intorno a Marte dal settembre del 2014. Come sempre, utilizzare l’esperienza e la tecnologia testata per altre missioni è ragione di sicurezza per replicare il successo, ma anche una via per ridurre i costi.
Marte di fatto rimane un pianeta ostico per quanto concerne l’atterraggio. Rispetto alla Terra (che ha un’atmosfera densa e sulla quale l’uso dei paracadute è predominante) o alla Luna (dove è invece possibile usare solo retrorazzi), Marte ha un’atmosfera rarefatta e una gravità relativamente elevata che rendono l’entrata in atmosfera e l’atterraggio particolarmente impegnativi. Ma se c’è una cosa che la NASA ha dimostrato in tempi recenti rispetto a tutte le altre agenzie, è la padronanza della fase EDL (Entry, Descent and Landing) insieme all’inserimento in orbita, con ben 6 missioni di successo in 13 anni: da Mars Odissey nel 2001 a MAVEN nel 2014, passando per ben 3 rover scesi sul suolo marziano, due dei quali ancora operativi.
InSight segna il ritorno alle missioni su Marte costituendo una sorta di antipasto prima delle grandi sfide che saranno costituite dalla seconda parte della missione ExoMars dell’ESA e da Mars 2020, il prossimo rover marziano della NASA.
Due cicli di conferenze presso la nostra sede all’EUR (fermata Laurentina) che si possono seguire anche singolarmente previa prenotazione:
Il lunedì, ore 21:00 – 22:30: ArcheoAstronomia. Le avanzate conoscenze nascoste in reperti archeologici e miti antichi. L’astronomia nella storia dell’arte, dalla pittura all’architettura. E in letteratura, religione, simboli, araldica, bandiere, ecc…
Il giovedì, ore 21:00 – 22:30: Fisica e Astronomia. Vedremo gli argomenti che non vengono trattati i solito nei corsi base di astronomia. Apprefondimenti di fisica, astrofisica e cosmologia che rivestono un interesse enorme. Non è richiesta alcuna preparazione di base.
Altri eventi: 11.05: Occhi su Giove 12.05 e 19.05: Uscite osservative 25-27.05: Il Cielo di Roma
Per conoscere tutte le attività:
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Rappresentazione artistica di Wasp-107b. Crediti: Esa/Hubble, Nasa, M. Kornmesser
Rappresentazione artistica di Wasp-107b. Crediti: Esa/Hubble, Nasa, M. Kornmesser
Scoprire la composizione dell’atmosfera di un esopianeta lontano 200 anni luce. Questo l’incredibile risultato di un team di ricerca internazionale che ha osservato per la prima volta la presenza di elio nell’atmosfera che circonda Wasp-107b, un gigante gassoso di tipo supernettuniano. I risultati sono stati pubblicati oggi su Nature.
Immaginate un pianeta – o, viene da dire, un pallone gonfiato, data la sua densità – con una grandezza paragonabile a quella di Giove, ma con una massa dieci volte più piccola, che orbita vicinissimo alla sua stella, situata nella costellazione della Vergine. Un anno lì dura solo 6 giorni eppure non è la cosa più straordinaria. Wasp-107b possiede un’atmosfera modellata dalla pressione del vento solare che le da una forma allungata, a goccia, quasi come la coda di una cometa. In questa atmosfera spazzata dal vento stellare, grazie alle osservazioni del Telescopio spaziale Hubble il team di ricerca, guidato da Jessica Spake dell’University of Exeter, è riuscito a scovare, per la prima volta in un pianeta extrasolare, la presenza di elio.
Complice della scoperta una nuova tecnica che sfrutta la luce infrarossa – al posto di quella ultravioletta usata fin’ora per studiare lo spettro luminoso della luce che filtra attraverso l’atmosfera. Uno spiraglio attraverso cui è stato possibile confermare l’ipotesi per cui l’elio sarebbe uno degli elementi più facilmente individuabili in un’atmosfera lontana anni luce. «Speriamo di usare questa tecnica con l’imminente James Webb Space Telescope, per esempio per imparare quale tipo di pianeta possegga un grande involucro di idrogeno ed elio, e per quanto tempo i pianeti possano trattenere la loro atmosfera. Misurando la luce infrarossi, possiamo vedere più a fondo nello spazio rispetto all’uso della luce ultravioletta», ha spiegato Spake.
Il segnale raccolto si è rivelato così potente da suggerire che l’atmosfera di questo pianeta – contenente appunto elio in uno stato eccitato – si estenda per oltre 10mila km verso lo spazio. Un’atmosfera che, nonostante con i suoi 500 gradi sia decisamente più calda di quella a cui siamo abituati qui sulla Terra, è a oggi una delle più fredde rispetto qualsiasi altro esopianeta mai scoperto.
La nuova tecnica potrà permettere l’analisi dell’atmosfera di esopianeti di dimensioni terrestri. «Se pianeti più piccoli, della dimensione della Terra, hanno simili nubi di elio», suggerisce infatti uno dei cofirmatari del paper, Tom Evans, «questa nuova tecnica offre un mezzo esaltante per studiare, nel prossimo futuro, la parte alta delle loro atmosfere».
Per saperne di più:
Leggi su Nature l’articolo “Helium in the eroding atmosphere of an exoplanet“, di J. J. Spake, D. K. Sing, T. M. Evans, A. Oklopčić, V. Bourrier, L. Kreidberg, B. V. Rackham, J. Irwin, D. Ehrenreich, A. Wyttenbach, H. R. Wakeford, Y. Zhou, K. L. Chubb, N. Nikolov, J. M. Goyal, G. W. Henry, M. H. Williamson, S. Blumenthal, D. R. Anderson, C. Hellier, D. Charbonneau, S. Udry & N. Madhusudhan
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A notte fonda, alle ore 2:00 dei giorni 4, 5 e 6 maggio, guardando verso sudest sarà possibile assistere a una bella congiunzione tra la Luna e i pianeti Saturno e Marte. Si inizia il giorno 4, con una configurazione decisamente ampia, ma che fa da preludio alle successive due: la Luna (fase del 77%) inizierà ad avvicinarsi a Saturno, il più alto dei due pianeti, che apparirà come una stellina color giallo paglierino (mag. +0,3). La separazione sarà pari a circa 9,5°. Ben 16° più in basso, verso sudest, troveremo Marte (mag. –0,4), alto appena qualche grado sull’orizzonte.
Nei giorni seguenti potremo seguire l’evoluzione di questo incontro, con la Luna che farà visita da vicino prima a Saturno (il 5 maggio, separazione di 2,6°) e poi a Marte (il 6 maggio, separazione di 3° 20’). Luna e Marte raggiungeranno però la minima distanza di 2,5° solo verso l’alba, alle 5:00, del giorno 6.
Lo scenario di questi incontri sarà quello della bella costellazione del Sagittario, di cui sarà facilmente riconoscibile la caratteristica forma a “teiera”. Per la ripresa della Luna potranno tornare utili i consigli di Giorgia Hofer ➜ Fotografare la Luna.
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Diciassette anni fa, gli astronomi hanno visto una supernova esplodere a 40 milioni di anni luce da noi, nella galassia NGC 7424 situata nella costellazione meridionale della Gru. Ora, nello sbiadito bagliore di quell’esplosione, il telescopio spaziale Hubble ha catturato la prima immagine della compagna sopravvissuta di una supernova.
«Sappiamo che la maggior parte delle stelle massicce fanno parte di coppie binarie», ha dichiarato Stuart Ryder dell’Australian Astronomical Observatory (AAO) di Sydney, autore principale dello studio. «Molte di queste coppie binarie possono interagire e trasferire gas da una stella all’altra, se loro orbite si avvicinano a sufficenza».
La compagna della stella progenitrice della supernova non era quindi un’innocente spettatrice dell’esplosione. Ha sottratto nel tempo quasi tutto l’idrogeno dall’involucro stellare della stella condannata, da quella regione in cui l’energia viene trasportata dal nucleo della stella alla sua atmosfera. Milioni di anni prima che la stella primaria diventasse supernova, quindi, questa ladra stellare ha portato all’instabilità la stella primaria, strappandole poi via il bozzolo di idrogeno poco prima della catastrofe.
Nell'immagine la possibile evoluzione di una supernova di tipo IIb, nella quale l'involucro esterno viene strappato, ma non del tutto, poco prima dell'esplosione. Vediamo quindi le due stelle, progenitrice e compagna, orbitare una attorno all'altra avvicinarsi sempre più, e la progenitrice evolvere in gigante rossa, fin quando l'interazione gravitazionale permette alla compagna di strappare l'involucro più esterno fino a rendere la gigante instabile, che arriva ad esplodere in supernova. Nell'ultimo riquadro, il bagliore dell'esplosione ormai attenuato permette di rilevare la debole compagna. Credits NASA, ESA, and A. Feild (STScI)
La supernova, denominata SN 2001ig è classificata come una supernova di tipo IIb, un tipo però relativamente raro e insolito di supernovae, perché solo la maggior parte, ma non la totalità, dell’idrogeno scompare poco prima prima dell’esplosione.
In che modo questo tipo di supernovae perdano l’involucro esterno non è ancora del tutto chiaro. Inizialmente si pensava che provenissero da stelle solitarie, con un vento stellare abbastanza intenso e veloce da staccare l’involucro esterno di idrogeno. Il problema era che quando gli astronomi iniziarono a cercare le stelle primarie da cui si generavano le supernovae, per la maggiorparte delle IIb non riuscirono a trovarle.
«Era un fatto particolarmente bizzarro, perché gli astronomi si aspettavano fossero stelle particolarmente massicce e brillanti», ha spiegato Ori Fox dello Space Telescope Science Institute di Baltimora. «In più, il numero di supernovae di tipo IIb è molto più grande di quanto previsto». Questo ha portato gli scienziati a teorizzare che molte delle stelle primarie fossero quindi parte di sistemi binari, e quindi con massa inferiore, e si misero al lavoro per dimostrarlo.
Ma cercare la compagna binaria dopo l’esplosione in supernova non è un compito facile. In primo luogo, deve essere a una distanza relativamente vicina alla Terra, a portata degli occhi di Hubble, e all’interno di questa distanza non sono molte le supernovae che esplodono. Ancora più importante poi, gli astronomi devono conoscere la posizione esatta ricavata da misurazioni molto precise.
Nei vari riquadri, sempre più ingrandita, la zona di cielo ripresa dai vari telescopi, a partire dal grande campo del VLT, fino al dettaglio dell'immagine Hubble che ha immortalato la piccola ladra di idrogeno. Credits NASA, ESA, S. Ryder (Australian Astronomical Observatory), and O. Fox (STSci)
Fortunatamente SN 2001ig e la sua compagna, pur essendo quasi al limite della portata del telescopio spaziale, sono ancora abbastanza vicine. L’esplosione èstata avvistata per la prima volta nel 2001, da un astronomo australiano non professionista. Nel 2002, la posizione precisa della supernova è stata individuata grazie al Very Large Telescope (VLT) dell’ESO, a Cerro Paranal, in Cile. Nel 2004, è stata poi osservata dal Gemini South Observatory a Cerro Pachón, in Cile, e per la prima volta si è accennato della possibile presenza di una compagna sopravvissuta.
Su questa base, conoscendo le coordinate esatte, Ryder e il suo team sono stati quindi in grado di puntare Hubble nella posizione precisa 12 anni dopo l’esplosione, quando la luminosità della supernova andava ormai attenuandosi. In questo modo, grazie anche alla straordinaria risoluzione e alla possibilità di osservare nell’ultravioletto di Hubble, sono stati in grado di trovare e fotografare la sopravvissuta, grazie forse al minor effetto dell’urto dell’esplosione, attenuato da quella parte di guscio rimasto.
Già nel 2014, in realtà, Fox e il suo team avevano usato Hubble per rilevare la compagna di un’altra supernova di tipo IIb, la SN 1993J. Tuttavia, in quel caso, ne era stato ripreso solo uno spettro, non un’immagine diretta.
«Siamo stati finalmente in grado di catturare il ladro stellare, confermando il nostro sospetto che dovesse essercene uno”, ha dichiarato Filippenko.
L’obiettivo finale del team è ora di determinare con precisione quante supernovae di tipo IIb hanno effettivamente una compagna, ipotizzando al momento che possano essere circa la metà. Il prossimo obiettivo è dunque quello di osservare le supernovae che hanno perso completamente il loro guscio di idrogeno – al contrario di SN 2001ig e SN 1993J. In questo modo, le esplosioni di supernovae completamente “spogliate” dal loro involucro, non possono interagire con l’ambiente stellare circostante. Senza interazioni, si spengono quindi molto più velocemente, permettendo agli astronomi di provare a cercare la compagna anche solo dopo due o tre anni. Inoltre in futuro si avrà a disposizione anche il James Webb Space Telescope, che allargherà il campo di ricerca, permettendo di raggiungere stelle più lontane e compagne più deboli.
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Si fa presto a dire GALASSIA… È onlineCoelum Astronomia di maggio!
Come sempre in formatodigitale e gratuito. Semplicemente clicca qui sotto e leggi!
L’indirizzo email verrà utilizzato solo per informare delle prossime uscite della rivista.
Alle ore 21:00 del 3 maggio potremo assistere a una larga congiunzione tra il pianeta Venere (mag. –3,9), oggetto davvero caratterizzante delle serate di maggio, e Aldebaran (mag. +0,9), la stella alfa della costellazione del Toro, che si sta ormai tuffando in verticale sotto l’orizzonte occidentale.
Come anticipato, la separazione tra i due astri sarà piuttosto grande, circa 6,5°: sarà un’ottima occasione per fotografare i due soggetti nel contesto del paesaggio naturale, soprattutto attendendo qualche minuto in più, quando gli astri si faranno via via più bassi sull’orizzonte. Più distante e in basso, verso est, sarà forse possibile scorgere ancora l’ammasso delle Pleiadi (M 45).
Per la ripresa di Venere, vi ricordiamo le rubriche della nostra Giorgia con consigli sempre validi!
Hai compiuto un’osservazione? Condividi le tue impressioni, mandaci i tuoi report osservativi o un breve commento sui fenomeni osservati: puoi scriverci a segreteria@coelum.com. Inoltre, se hai scattato qualche fotografia agli eventi segnalati, carica le tue foto inPhotoCoelum!
05.05: Il cielo di maggio. In caso di cielo sereno, come ogni primo sabato del mese, l’appuntamento per i soci e per il pubblico è alle ore 21:30 presso Porta Laterina a Siena da dove raggiungeremo a piedi la specola”Palmiero Capannoli” per osservare il cielo di questo periodo particolarmente ricco di galassie. In caso di tempo incerto telefonare per conferma a Davide Scutumella 3388861549. La serata è aperta alla cittadinanza.
11.05: “Il cielo al castello di Montarrenti” Come ogni secondo venerdì del mese, dalle ore 21:30 l’Osservatorio Astronomico di Montarrenti sarà aperto ai soci e al pubblico per una serata osservativa dedicata al cielo del periodo primaverile: Leone, Vergine e Chioma di Berenice, tutte contenenti bellissimi gruppi di galassie e ammassi (sia globulari che aperti). Sarà visibile anche il pianeta Giove coi satelliti galileiani. Per il pubblico è obbligatoria la prenotazione tramite il sito www.astrofilisenesi.it, inviando un messaggio WhatsApp al 3472874176 (Patrizio) oppure un sms al 3482650891 (Giorgio). La serata è aperta alla cittadinanza.
19.05: “La notte dei musei” Nell’ambito della “Notte dei musei” saremo presenti presso il Museo Archeologico di Castellina in Chianti per un’osservazione del cielo dalla suggestiva torre del paese. Per informazioni contattare Andrea 3476527389, Giacomo 3282151990 oppure Francesco 3389637212. La serata è aperta alla cittadinanza.
25.05: “Il cielo al castello di Montarrenti” Come ogni quarto venerdì del mese, dalle ore 21:30 l’Osservatorio Astronomico di Montarrenti sarà aperto ai soci e al pubblico per una serata osservativa dedicata al cielo del periodo. La luna, coi suoi crateri sarà uno degli oggetti principali d’osservazione, oltre al pianeta Giove. Per il pubblico è obbligatoria la prenotazione tramite il sito www.astrofilisenesi.it, inviando un messaggio WhatsApp al 3472874176 (Patrizio) oppure un sms al 3482650891 (Giorgio). La serata è aperta alla cittadinanza.
Per tutto l’inverno, il palazzo dell’Accademia delle Scienze di Torino ospita “L’infinita curiosità. Un viaggio nell’universo in compagnia di Tullio Regge”. La mostra, curata da Vincenzo Barone e Piero Bianucci, propone, con un allestimento coinvolgente, un viaggio ideale nell’universo, dall’immensamente grande all’estremamente piccolo, alla scoperta delle meraviglie della fisica contemporanea.
L’ingresso alla mostra accoglie il visitatore con un allestimento spettacolare. Nello scenografico corridoio è posta un’installazione di legno che rappresenta la “scala cosmica”: 62 blocchi corrispondenti ai 62 ordini di grandezza dell’universo conosciuto, dall’estremamente piccolo (la lunghezza di Planck) all’immensamente grande (l’orizzonte cosmologico). Lungo il percorso della mostra il visitatore si muoverà idealmente su e giù per questa scala, confrontandosi con le dimensioni delle cose, dai quark alle galassie.
La mostra si avvale della collaborazione di importanti istituzioni scientifiche italiane, tra le quali l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) e l’Istituto Nazionale di Ricerca Metrologica (INRiM). Il progetto è realizzato nell’ambito delle attività del Sistema Scienza Piemonte, un accordo promosso dalla Compagnia di San Paolo e sottoscritto dai principali enti torinesi che si occupano di diffusione della cultura scientifica. www.torinoscienza.it
Tutti i primi lunedì del mese:
UNA COSTELLAZIONE SOPRA DI NOI
In diretta web con il Telescopio Remoto UAI Skylive dalle ore 21:30 alle 22:30, ovviamente tutto completamente gratuito. Un viaggio deep-sky in diretta web con il Telescopio Remoto UAI – tele #2 ASTRA Telescopi Remoti. Osservazioni con approfondimenti dal vivo ogni mese su una costellazione del periodo. Basta un collegamento internet, anche lento. Con la voce del Vicepresidente UAI, Giorgio Bianciardi telescopioremoto.uai.it
CONVEGNI E INIZIATIVE UAI
20-22 aprile 33° Convegno Nazionale dei Planetari Italiani
Il Convegno dei Planetari italiani presso Infini.to, Pino Torinese – Torino a cura dell’Associazione dei Planetari Italiani con il patrocinio della UAI http://www.planetari.org
Le campagne nazionali UAI
1-2 giugno Il Cielo a portata di mano. Giornata Nazionale Osservatori Aperti
La giornata italiana nazionale degli osservatori accessibili, collegata al progetto nazionale “Stelle per tutti”, per valorizzare e promuovere la rete di quasi100 strutture pubbliche, gestite dagli astrofili: una risorsa per la diffusione della cultura scientifica in Italia.
4-6 maggio
51° Congresso Nazionale UAI Presso l’Osservatorio Polifunzionale del Chianti (loc. San Donato in Poggio nel Comune di Barberino Val d’Elsa (FI). Il più importante appuntamento dell’astrofilia italiana, che quest’anno celebra il cinquantunesimo anniversario: tre giorni di conferenze e di condivisione di esperienze formative alla presenza di importanti personaggi del mondo della cultura astronomica nazionale ed internazionale.
04.05 ore 21.30
Notte Stellata UAI
Star party pubblico e per astrofili. Per l’occasione l’OPC sarà aperto e si faranno osservazioni con il grande telescopio Marcon c/o Osservatorio Polifunzionale del Chianti
Il mese di maggio viene salutato dall’incontro tra la Luna, quasi piena, e il pianeta Giove, alle ore 5:00. Il teatro dell’incontro è la costellazione della Bilancia, a una altezza di circa 16° sull’orizzonte sudovest all’orario indicato.
Potremo ammirare il grande pianeta che brillerà come una stella di magnitudine –2,5 a circa 4° 50′ dalla Luna, il cui bagliore affogherà la flebile luce delle stelle della costellazione che li ospita, tra cui le vicine Zubenelgenubi (Alfa Librae, mag. +2,75) e Zubeneschamali (Beta Librae, mag. +2,60).
Per quanto riguarda Giove ricordiamo che siamo entrati nel suo periodo di miglior visibilità:
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➜ 9 maggio Giove in opposizione. Come osservarlo, a occhio nudo e con uno strumento, e tutti i principali eventi che riguardano le lune medicee.
Vista la fase di Luna Piena, anche se ormai in calo, ricordiamo anche le varie rubriche dedicate alla ripresa della Luna nel paesaggio e… del paesaggio illuminato dalla Luna:
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Aspetto del cielo per una località posta a Lat. 42° - Long. 12°E La cartina mostra l'aspetto del cielo alle ore (TMEC): 1 Apr > 00:00; 15 Apr > 23:00; 30 Apr > 22:00. Crediti: Coelum Astronomia CC-BY
Aspetto del cielo per una località posta a Lat. 42° - Long. 12°E La cartina mostra l'aspetto del cielo alle ore (TMEC): 1 Mag > 00:00; 15 Mag > 23:00; 30 Mag > 22:00. Crediti: Coelum Astronomia CC-BY
Allo zenit, verso nord, volteggerà intanto l’inconfondibile sagoma del Grande Carro e sarà possibile ammirare per intero la grande costellazione dell’Orsa Maggiore. A sudest, nei pressi dell’orizzonte, si affaccerà la testa dello Scorpione, caratterizzata dalla rossa Antares, preceduta dalla Bilancia che ospita il brillante Giove, questo mese in opposizione. Più a est cominceranno a farsi notare le grandi costellazioni estive come il Cigno, la Lira, con la bella Vega, e l’Ercole.
➜ Scopri le costellazioni del Cielo di maggio con la UAI, che questo mese ci porta in viaggio verso la Whirlpool Galaxy
IL SOLE
La nostra stella, che passerà dalla costellazione dell’Ariete a quella del Toro il giorno 14, descriverà un arco diurno sempre più ampio e la durata della notte astronomica si ridurrà quindi, ulteriormente, passando da 6,3 a meno di 5 ore; ciò significa che verso la metà del mese il Sole si manterrà di almeno 18° sotto l’orizzonte soltanto dalle 22:30 alle 3:45, periodo in cui sarà possibile dedicarsi alla fotografia e all’osservazione del cielo profondo.
Cosa offre il cielo
Venere sempre brillante al mattino ci offrirà alcune tra le più belle congiunzioni, ma il protagonista sarà Giove, ormai prossimo all’opposizione.
Il 9 maggio infatti si troverà alle nostre “spalle” rispetto al Sole, e quindi ben illuminato, alto nel cielo per buona parte della notte e alla minima distanza per questo periodo. Non una minima distanza “assoluta”, ma solo relativa, anzi… in questi giorni si troverà anche all’apogeo, quindi un’opposizione non tra le migliori, una cosidetta “piccola opposizione”, rispetto alla “grande opposizione” di Marte che ci aspetta il prossimo mese!
In ogni caso, Giove raggiungerà un diametro apparente sarà di 44,8″, e potremo osservarlo sorgere sempre prima nell’arco del mese, e trovarlo alto al meridiano già attorno alla mezzanotte a metà mese. Il periodo migliore per osservazioni planetarie dunque, per osservare i cambiamenti della sua maestosa atmosfera e il movimento dei suoi quattro principali satelliti.
Come sempre quando si tratta dei pianeti più distanti che variano lentamente in cielo la loro posizione rispetto a noi, non conta molto il giorno preciso dell’opposizione, ma il periodo e tutto il mese di maggio potrà essere sfruttato per le osservazioni!
➜ 9 maggioGiove in opposizione. Come osservarlo, a occhio nudo e con uno strumento, e tutti i principali eventi che riguardano le lune medicee.
Venere e la falce di Luna in luce cinerea. Copyright Giorgia Hofer.
La Luna continuerà a regalarci il consueto spettacolo tra pianeti e astri, mentre per quel che riguarda le falci di Luna e la sua Luce Cinerea le giornate migliori per osservarla e fotografarla saranno l’ 11 e 12 maggio, appena prima dell’alba e il 18 e 19 del mese, quando si avrà la migliore visibilità subito dopo il tramonto.
Per effemeridi, dettagli e i consigli sull’osservazione delle formazioni lunari invece:
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Il cratere Korolev visto da ExoMars (cliccare per ingrandire). Crediti: Esa / Roscosmos / Cassis
Il cratere Korolev visto da ExoMars (cliccare per ingrandire). Crediti: Esa / Roscosmos / Cassis
Un dettaglio del cratere Korolev, situato nell’emisfero nord del pianeta Marte, in cui sono ben evidenti depositi di ghiaccio, è la prima spettacolare immagine realizzata dallo strumento Cassis (Colour and Stereo Surface Imgaging System) a bordo del Trace Gas Orbiter (Tgo) di ExoMars, che da alcune settimane orbita a circa quattrocento chilometri dalla superficie del Pianeta rosso. Cassis, disegnato e realizzato all’Università di Berna, in Svizzera, è stato realizzato in collaborazione con l’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf) e l’Agenzia spaziale italiana (Asi). I componenti di Cassis a responsabilità italiana sono stati costruiti da Leonardo Spa divisione avionica.
«La camera funziona molto bene, e lo dimostra questa bellissima immagine a colori del cratere marziano Korolev. Le immagini a colori e ad alta risoluzione sono una delle potenzialità di Cassis a cui si aggiunge l’obiettivo di ottenere migliaia di immagini 3D ad alta risoluzione», dice Gabriele Cremonese dell’Inaf a Padova, co-pi di Cassis e responsabile per la generazione e archiviazione delle immagini 3D. «In questa fase di test anche il satellite sta perfezionando il puntamento e l’assetto, e quindi non sono ancora state ottenute le prime coppie stereo, ma è questione di giorni!».
L’immagine di pubblicata oggi mostra una regione di 50 chilometri del cratere da impatto Korolev, intitolato all’ingegnere russo Sergej Korolev che progettò i primi razzi sovietici destinati all’esplorazione spaziale. Il materiale luminoso visibile sui bordi del cratere è ghiaccio. Cassis è stato attivato il 20 marzo scorso ed è stato sottoposto a test in preparazione dell’inizio della sua piena attività, il 28 aprile prossimo. L’immagine è una composizione di tre riprese in diversi colori che sono state scattate quasi simultaneamente da Cassis il 15 aprile.
«Le prime immagini ad alta risoluzione inviate da Cassis dimostrano l’ottimo funzionamento dello strumento, realizzato in collaborazione con l’Asi», commenta Barbara Negri, responsabile dell’Unità esplorazione e osservazione dell’universo dell’Asi. «In questo modo, i team scientifici italiani coinvolti in Cassis potranno ottenere dati scientifici di Marte di estremo interesse per la futura esplorazione di questo pianeta».
Alla pianificazione delle aree di Marte da osservare e all’analisi dei dati prodotti da Cassis collaborano in Italia Stefano Debei, del Cisas, Matteo Massironi, del Dipartimento di geoscienze dell’Università di Padova e Lucia Marinangeli dell’Università di Chieti-Pescara.
Cosa sono i Pic-Nic scientifici?
Un modo diverso di fare la classica scampagnata : grandi e piccoli potranno trasformarsi in un team affiatato e risolvere giochi scientifici ed enigmi che si troveranno dentro a dei cestini da pic-nic!
30 minuti di tempo, 10 sfide e un premio per la squadra vincitrice: una merenda offerta dal Frantoio del Trionfo di Cartoceto. Cosa serve?
Voglia di divertirsi, un pizzico di intuito, qualche grammo di ingegno e la ricetta della scampagnata perfetta è servita!
I Pic-Nic scientifici vi stanno aspettando nella splendida cornice della Villa del Balì!
GIORNI DI APERTURA ALL-DAY
Giorni:2 aprile, 25 aprile, 1 maggio 2018
Orari: 10:30 Cosa faremo:
Spettacoli al planetario: 11:30, 12:30, 14:30, 16:00, 17:00, 18:00 (consigliata la prenotazione)
Pic- Nic scientifici: 15:30 – 16:30-17:30 (solo nelle giornate 2 aprile, 25 aprile e 1 maggio).
Osservazione guidata del Sole al telescopio (SOLO bel tempo): dalle 11:00 alle 12:30 e dalle 15:00 alle 17:30 ALTRE APERTURE:
Pasqua: 15:00-19:30
Lunedì 30 Aprile 15:00-19:30
Sabato e Domenica
Il cielo di GAIA a colori. Nella ripresa una vista a tutto campo delle quasi 1,7 miliardi di stelle della nostra galassia, e oltre, riprese dal satellite dell'ESA tra il luglio 2014 e il maggio 2016. Crediti: ESA/Gaia/DPAC Acknowledgement: Gaia Data Processing and Analysis Consortium (DPAC); A. Moitinho / A. F. Silva / M. Barros / C. Barata, University of Lisbon, Portugal; H. Savietto, Fork Research, Portugal.
Il cielo di GAIA a colori. Nella ripresa una vista a tutto campo delle quasi 1,7 miliardi di stelle della nostra galassia, e oltre, riprese dal satellite dell'ESA tra il luglio 2014 e il maggio 2016. Crediti: ESA/Gaia/DPAC Acknowledgement: Gaia Data Processing and Analysis Consortium (DPAC); A. Moitinho / A. F. Silva / M. Barros / C. Barata, University of Lisbon, Portugal; H. Savietto, Fork Research, Portugal.
Viene rilasciato il 25 aprile il secondo catalogo stellare prodotto dalla missione Gaia dell’Agenzia Spaziale Europea: di fatto esso sarà fino al prossimo rilascio il più dettagliato e più grande catalogo esistente.
Tre diversi aspetti del cielo di GAIA DR2: nel primo in alto la mappa con le luminosità e i colori delle stelle, in quello centrale la densità di stelle in ogni settore di cielo osservato, nel terzo in basso la mappatura della polvere insterstellare che riempie la galassia. Crediti: ESA/Gaia/DPAC
In esso sono state censite quasi un miliardo e settecento milioni di stelle della nostra Galassia, la Via Lattea, con informazioni di precisione sulla loro posizione, la velocità con cui si spostano e alcune loro proprietà fisiche. Ma non solo: sono state misurate le posizioni di oltre 14 mila nuovi asteroidi nel nostro Sistema solare e di mezzo milione di quasar nell’Universo più remoto, galassie assai distanti la cui enorme luminosità proviene dall’energia emessa dal loro buco nero centrale supermassiccio. Queste ultime rappresentano la prima realizzazione nella banda della luce visibile del sistema di riferimento celeste per la navigazione spazio-temporale.
Una enorme banca dati messa a disposizione di tutta la comunità scientifica basata su 22 mesi di dati raccolti incessantemente da Gaia, che spalanca la porta a nuovi studi con un dettaglio senza precedenti sulle stelle della nostra galassia, la loro distribuzione 3D e la loro evoluzione.
Gaia è una missione che vede una importante partecipazione scientifica dell’Italia con l’Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf) e l’Agenzia Spaziale Italiana che partecipano al Data Processing and Analysis Consortium (DPAC). L’INAF vede coinvolte le sue strutture di Bologna, Catania, Firenze, Napoli, Padova, Roma, Teramo e Torino (dove risiede il management nazionale); l’ASI partecipa con lo SSDC (Space Science Data Center) e con il DPCT, il centro di processamento dati a Torino, l’unico in Italia dei sei complessivi sul territorio europeo, interamente dedicato alla validazione astrometrica e contenente tutti i dati di missione per un totale di 1,5 petabyte, ovvero 1,5 milioni di gigabyte .
«Finalmente non solo conosciamo meglio i dintorni del Sistema solare ma iniziamo a tuffarci negli immensi spazi della Via Lattea!» commenta Mario Lattanzi, dell’Istituto Nazionale di Astrofisica e responsabile nazionale, per conto di ASI e INAF, della partecipazione nazionale alla missione Gaia. «Con errori astrometrici al meglio dei 50 milionesimi di secondo d’arco, equivalenti alle dimensioni apparenti di una mela posta sulla Luna, la storia evolutiva della nostra Galassia e delle sue popolazioni non avrà più segreti in un raggio di oltre 13.000 anni luce dal Sole. Insomma, con la DR2 Gaia diventa maggiorenne e fornisce al mondo scientifico la sua prima mappa stellare dinamica totalmente basata sui dati presi dai suoi strumenti astrometrici a spettro-fotometrici».
La missione Gaia è stata lanciata nel dicembre del 2013 e ha iniziato le attività scientifiche l’anno seguente. I primi dati, basati su poco più di un anno di osservazioni, sono stati resi pubblici nel 2016 e riportavano le distanze e i moti annuali di due milioni di stelle con la precisone di “appena” 300 milionesimi di secondo d’arco. Il nuovo catalogo, che abbraccia il periodo tra il 25 luglio 2014 e il 23 maggio 2016, contiene le posizioni di quasi 1,7 miliardi di stelle e con una precisione nettamente maggiore.
Tutti i numeri di GAIA. Oltre ad aver mappato per luminosità apparente quasi 1,7 miliardi di stelle, la seconda release di GAIA include anche il moto proprio, la parallasse e il colore di oltre 1,3 miliardi di quelle stelle, La velocità radiale di 7 miliardi di stelle e la temperatura superficiale di più di cento milioni di queste.
Il catalogo completo fornisce informazioni uniche per indagini che abbracciano una vasta gamma di argomenti astronomici. In aggiunta alle posizioni, i dati presenti includono le informazioni sulla luminosità di tutte le stelle osservate e le misurazioni del colore di quasi tutte, oltre a informazioni sulla variabilità nel tempo di luminosità e colore di mezzo milione di stelle. Contiene anche le velocità lungo la linea di vista (velocità radiale) di un sottogruppo di sette milioni di stelle, le temperature superficiali di circa cento milioni di oggetti stellari e l’effetto di oscuramento prodotto dalla polvere interstellare su 87 milioni di astri.
«I nuovi dati di Gaia sono così accurati che ci stanno restituendo una panoramica senza precedenti delle proprietà delle stelle che popolano la Via Lattea e grazie ad esse possiamo già individuare degli indizi interessanti sulla loro storia evolutiva» dice Antonella Vallenari dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) a Padova, Italia, deputy chair del DPACE (DPAC Executive board). «Stiamo davvero inaugurando una nuova era in quella che potremmo definire l’archeologia stellare galattica».
«Il rilascio del secondo catalogo di Gaia rappresenta un importante traguardo scientifico, che è stato raggiunto anche grazie all’ottimo lavoro di analisi dati svolto dal team scientifico italiano in collaborazione con il Data Processing Center presso ALTEC, Torino. A questo si aggiunge l’importante contributo dato dal Centro SSDC di ASI» sottolinea Barbara Negri, responsabile dell’Unità esplorazione e osservazione dell’universo dell’ASI.
Col passare del tempo, anche le galassie invecchiano. E diventano sempre più grandi e “paffutelle”. A provarlo, con osservazioni ora pubblicate su Nature Astronomy nell’articolo “A relation between the characteristic stellar ages of galaxies and their intrinsic shapes“, è stato un team di ricercatori guidati da Jesse van de Sande, dell’Università di Sydney. I ricercatori, tra cui anche un gruppo dell’Australian National University (Anu), hanno esaminato un campione di 843 galassie, misurando il movimento delle stelle con uno strumento chiamato Sami presso il Siding Spring Observatory.
Le stelle di una giovane galassia, ha spiegato Matthew Colless dell’Australian National University, si muovono in modo ordinato attorno al disco della galassia, proprio come le auto su una pista da corsa. «Tutte le galassie sembrano sfere schiacciate, ma con l’avanzare dell’età diventano gonfie man mano che le stelle cominciano a girare in tutte le direzioni», aggiunge il ricercatore, responsabile del centro Astro 3D. «La Via Lattea ha più di 13 miliardi di anni, quindi non è giovane ma ha ancora un rigonfiamento centrale di vecchie stelle e bracci a spirale» pieni di giovani stelle.
Dai dati raccolti si evince che l’età e la tipologia delle stelle sono connesse con la forma della galassia, ma finora questo non è stato così ovvio: per questo la scoperta è sorprendente. Van de Sande ha spiegato che, con l’avanzare dell’età, la galassia subisce numerosi cambiamenti interni e «può entrare in collisione con le altre. Questi eventi disturbano i movimenti delle stelle» provocando una graduale ma inesorabile alterazione della forma originale della galassia stessa.
Nicholas Scott, scienziato presso l’Università di Sydney per il progetto Astro 3D, ha misurato l’età delle galassie basandosi sul colore delle stelle: «Le giovani stelle blu invecchiano e diventano rosse. Quando abbiamo messo a confronto la disposizione delle stelle e la forma schiacciata della galassia, è saltata fuori la relazione con l’età. Le galassie che hanno la stessa forma sferica schiacciata hanno stelle della stessa età».
«Questa è la prima volta che mostriamo come la forma e l’età sia correlate per tutti i tipi di galassie, non solo quelle più estreme», conclude Van de Sande. «Qualunque sia la forma, l’età o la massa».
Concludiamo il mese di aprile con una bella congiunzione tra la Luna Piena che avvicinerà, a circa 3,2°, il pianeta Giove (mag. –2,5).
A 4° di distanza dalla Luna si troverà anche la stella Zubeneschamali (mag. +2,6), la stella beta della costellazione della Bilancia, teatro di questo incontro celeste. A 4° da Giove invece troveremo la stella alfa della costellazione, Zubenelgenubi (mag. +2,8).
L’orario indicato consentirà di fotografare l’incontro nel contesto del paesaggio, includendo elementi architettonici o naturali che ci circondano, ma sarà ovviamente possibile seguire la congiunzione anche nelle successive ore della notte, quando il quartetto celeste guadagnerà via via altezza sull’orizzonte.
Vista la fase di Luna Piena ricordiamo anche le varie rubriche dedicate alla ripresa della Luna nel paesaggio e… del paesaggio illuminato dalla Luna:
Hai compiuto un’osservazione? Condividi le tue impressioni, mandaci i tuoi report osservativi o un breve commento sui fenomeni osservati: puoi scriverci a segreteria@coelum.com. Inoltre, se hai scattato qualche fotografia agli eventi segnalati, carica le tue foto inPhotoCoelum!
Un’opportunità unica per vivere cinque giorni tra attività nei laboratori interattivi, visite alle collezioni, divertenti giochi di gruppo e affascinanti racconti per scoprire quanta scienza e tecnologia si nascondono nella vita di tutti i giorni. Vengono proposti due nuovi temi che si alternano nelle settimane. I bambini potranno sperimentare trucchi di magia, scoprire i segreti della chimica e creare illusioni ottiche. Ispirandosi alle esposizioni del Museo saranno accompagnati a vivere da protagonisti un’esperienza straordinaria su Marte, diventare supereroi, costruire UFO e sfidare le leggi della fisica.
Magic Science Academy
Hai mai stupito qualcuno con la matematica? Quanta Scienza c’è nei trucchi di magia? Cinque giorni tra pozioni misteriose e intrugli sorprendenti immersi in una atmosfera incantevole. Scopriremo i trucchi dei prestigiatori, sveleremo i segreti della chimica e creeremo delle sorprendenti illusioni ottiche.
Astronauti, Esploratrici e Supereroi
Hai mai sognato di diventare un supereroe? Sei mai stato sul pianeta Marte? Vieni al Museo per vivere un’esperienza straordinaria e vestire i panni di personaggi sorprendenti. Scopriremo come usare un raggio laser, sfideremo le leggi della fisica e costruiremo oggetti volanti non identificati.
Le iscrizioni sono aperte da lunedì 16 aprile 2018 fino ad esaurimento posti, all’indirizzo di posta elettronica prenotazioni@museoscienza.it.
Tutte le informazioni su www.museoscienza.org/attivita/campus_estivi
La Nebulosa Testa di cavallo blu nell’infrarosso. Crediti: Wise, Irsa, Nasa. Elaborazione e copyright: Francesco Antonucci
La Nebulosa Testa di cavallo blu ha un aspetto molto diverso nella luce infrarossa. Nella luce visibile, la polvere interstellare disperde maggiormente la luce blu delle stelle e quindi la nebulosa appare blu, con la caratteristica forma di una testa di cavallo. Nella luce infrarossa, tuttavia, emerge un complesso labirinto di filamenti, caverne e bozzoli di polvere e gas incandescenti, rendendo difficile persino identificare la forma equina. Questa immagine in primo piano della nebulosa è stata creata in tre colori della banda infrarossa (R = 22 micrometri, G = 12 micrometri, B = 4,6 micrometri) partendo dai dati rilevati dalla sonda spaziale Wise (Wide Field Infrared Survey Explorer) della Nasa, in orbita dal 2009. La nebulosa è catalogata come Ic 4592 e si estende per circa 40 anni luce nella costellazione dello Scorpione, lungo il piano della nostra Via Lattea a circa 400 anni luce di distanza. Ic 4592 è più debole della più conosciuta Nebulosa Testa di cavallo di Orione ma copre una regione angolarmente più grande. La stella che prevalentemente illumina e riscalda la polvere presente nella nebulosa si chiama Nu Scorpii, ed è la stella gialla visibile a sinistra rispetto al centro dell’immagine.
L’immagine, Astronomy Picture of the Day (Apod) della Nasa, è stata elaborata da Francesco Antonucci, astroimager amatoriale di lunghissima data, che conta già una decina di Apod assegnate negli ultimi anni, al quale abbiamo fatto qualche domanda.
Antonucci, è soddisfatto del premio?
«L’Apod non è un premio bensì un riconoscimento, che viene dato ogni giorno a un’immagine dello spazio profondo, o anche semplicemente a fenomeni atmosferici e simili, per contenuti o processo elaborativo. Per quanto concerne il deep-sky può derivare da riprese proprie oppure da elaborazioni di materiale in archivi pubblici quali quelli della Nasa o del Subaru; questi dati sono a disposizione di tutti e coloro che hanno familiarità con dati raw di questo tipo hanno la possibilità di assemblare mosaici e trarne un’immagine finale da divulgare».
Può dirci come ha ottenuto l’immagine proposta oggi sul sito della Nasa?
«Si tratta di materiale tratto dall’archivio Wise Irsa della Nasa, ovvero l’archivio di una tipologia di riprese infrarosse. I canali di frequenza utilizzati sono W2:W3:W4 ovvero 4.6, 12 e 22 micron. I dati in queste frequenze assemblati da me in un grande mosaico sono stati utilizzati per quello che in gergo si usa definire mapped color ovvero ‘colore mappato’, ponendo l’informazione monocromatica alle varie frequenze nella composizione standard R:G:B che quindi diventerà W4:W3:W2. La specializzazione estrema di questi canali restituisce la visione del soggetto in colore mappato che normalmente ha come scopo quello di enfatizzare enormemente la visibilità delle strutture nebulari fortemente distinte in colorazione e variegazione».
Eccoci all’incontro più stretto per questo mese, riservato allo splendente Venere e alle belle “Sette Sorelle” che costituiscono l’ammasso delle Pleiadi (M 45).
La regione celeste è quella della costellazione del Toro: potremo osservare l’incontro (con i due soggetti che si troveranno a circa 3,6° di distanza reciproca) alle ore 21:00 del 24 aprile, guardando verso ovest.
A quell’ora il cielo sarà abbastanza buio per vedere l’ammasso risplendere, e riprenderlo assieme a Venere nella cornice del paesaggio, ma bisognerà agire velocemente, perché la loro altezza di poco più di 10° all’ora indicata è destinata a ridursi velocemente. Nel giro di un’ora saranno tramontati, ma già è pronto un nuovo spettacolo alzando gli occhi verso sud-sudovest…
Non perdete ovviamente i consigli di Giorgia Hofer per l’evento del mese:
Dopo aver assistito alla bella congiunzione tra Venere e le Pleiadi (vedi appuntamento precedente), potremo ammirare un’altra bella congiunzione, questa volta piuttosto stretta. I protagonisti saranno Regolo (mag. +1,4), la stella alfa della costellazione del Leone, e la Luna (fase 72%).
In questo periodo il Leone dominerà il cielo, con la sua inconfondibile sagoma a forma di trapezio, e sarà quindi facile da individuare nel cielo, soprattutto in occasione di questa congiunzione quando il nostro satellite naturale si avvicinerà alla stella raggiungendo laminima distanza, alle 23:05, di circa 35′ (dal centro della Luna, 19′ dal bordo), formando una affascinante coppia celeste. Basterà dirigere il nostro sguardo verso sud, a una altezza di ben 51° sull’orizzonte.
Potrete poi proseguire con le osservazioni delle formazioni lunari seguendo i consigli di Francesco Badalotti:
Hai compiuto un’osservazione? Condividi le tue impressioni, mandaci i tuoi report osservativi o un breve commento sui fenomeni osservati: puoi scriverci a segreteria@coelum.com. Inoltre, se hai scattato qualche fotografia agli eventi segnalati, carica le tue foto inPhotoCoelum!
Incontro a San Vigilio di Marebbe tra ricercatori, scienziati e tecnologi per discutere degli effetti dell’inquinamento luminoso sull’uomo e sull’ecosistema e la promozione dei primi “Parchi delle Stelle” in ambito nazionale
“Le persone delle generazioni future hanno diritto a una Terra indenne e non contaminata, includendo il diritto a un cielo puro”
UNESCO, Dichiarazione Universale dei Diritti delle Generazioni Future
L’International Dark Sky Week, (Settimana Internazionale del Cielo Buio), è un evento mondiale che ogni anno si tiene ad aprile: quest’anno le celebrazioni iniziano domenica 15 aprile e durano fino a sabato 21 aprile e richiamano l’attenzione sui problemi associati all’inquinamento luminoso e promuovono soluzioni semplici disponibili per mitigarne gli effetti.
È in questa cornice di eventi che si celebrano, in molti luoghi del mondo al fine di valorizzarli, il buio naturale dei (pochi) cieli stellati ancora incontaminati.
Gli organizzatori dell’incontro/workshop di San Vigilio di Marebbe intendono discutere delle numerose problematiche legate alla salvaguardia delle straordinarie bellezze dei parchi naturali in generale, e di quelli dell’Alto Adige in particolare.
In discussione il Dark Noctis Project, un progetto di ricerca e di protezione ambientale proposto da associazioni locali e nazionali per la sperimentazione in località altoatesine, che ha i seguenti principali obiettivi: monitorare sia l’inquinamento luminoso sia la qualità scientifico/astronomica dell’atmosfera; studiare gli effetti dell’inquinamento luminoso sull’ecosistema; proporre la creazioni di “Parchi delle stelle” e procedere alla loro valorizzazione ambientale e turistica e, infine, progettare, ottimizzare e sperimentare sorgenti luminose, per l’illuminazione pubblica, a basso costo e a ridotto impatto ambientale.
Un progetto di largo respiro, multidisciplinare, che ha stimolato l’interesse di ricercatori di Università italiane, austriache e tedesche, nonché il CNR (Istituto di Biometeorologia) e alcuni Osservatori astronomici dell’Istituto Nazionale di Astrofisica, oltre ad aziende specializzate tutti riuniti a San Vigilio di Marebbe, nella sede del Centro Visite del Parco Naturale di Fanes-Senes-Braies, il 21 e 22 aprile.
L'intera nebulosa, a circa 4000 anni luce di distanza, ha un'incredibile lunghezza di 55 anni luce per una larghezza di 20. Questa immagine mostra solo una piccola parte di questa turbolenta regione di formazione stellare, di circa quattro anni luce di ampiezza. Le riprese sono della Wide Field Camera 3 di Hubble, ottenute tra il 12 febbraio e il 18 febbraio 2018. Consigliamo caldamente di cliccare per ingrandire l'immagine! Crediti: NASA, ESA, STScI
Dal suo lancio, il 24 aprile 1990, il Telescopio Spaziale Hubble della NASA / ESA ha rivoluzionato quasi ogni area dell’astronomia osservativa. Ha offerto una nuova visione dell’Universo e ha raggiunto e superato tutte le aspettative per un periodo di ben 28 anni. Per celebrare l’eredità della missione di Hubble e la lunga partnership internazionale che la rende possibile, ogni anno l’ESA e la NASA celebrano il compleanno del telescopio con una nuova spettacolare immagine. L’immagine dell’anniversario di quest’anno presenta un oggetto che è già stato osservato diverse volte in passato: la Nebulosa Laguna.
La Nebulosa Laguna è un oggetto colossale di 55 anni luce e alto 20 anni luce. Pur trovandosi a circa 4000 anni luce dalla Terra, appare nel cielo tre volte più grande della Luna Piena. Se poi avete a disposizione cieli bui e trasparenti, è anche visibile a occhio nudo. Essendo relativamente così grande, Hubble è in grado di catturare solo una piccola parte per volta della sua superficie totale, ma ci mostra in ogni caso dettagli sorprendenti!
La nebulosa Laguna (M8), e i suoi dintorni, in una immagine a grande campo ripresa da telescopi da Terra, tratta dalla Digitized Sky Survey. Credit: NASA, ESA, Digitized Sky Survey 2 (Acknowledgement: Davide De Martin)
Questa splendida nebulosa fu catalogata per la prima volta nel 1654 dall’astronomo italiano Giovanni Battista Hodierna, che decise di catalogare gli oggetti nebulosi nel cielo notturno perché non fossero scambiati per comete. Osservando questo ritaglio della nebulosa, può non essere chiaro il motivo del nome, ma allargando il campo di visuale non si può non distinguere l’ampia corsia di polvere a forma di laguna che attraversa il gas incandescente della nebulosa. In questa nuova immagine ci troviamo nel cuore di questa laguna…
Come molti vivai stellari, la nebulosa vanta molte stelle grandi e calde. La loro radiazione ultravioletta ionizza il gas circostante, facendolo splendere luminoso e scolpendolo in forme che appaiono spettrali e ultraterrene. La stella luminosa incastonata nelle nuvole scure al centro dell’immagine è Herschel 36. La sua radiazione scolpisce la nube circostante soffiando via parte del gas, creando regioni più o meno dense.
Tra le sculture create da Herschel 36 ci sono due tornadi interstellari – inquietanti strutture a corda lunghe quasi mezzo anno luce. Somigliano ai loro omonimi terrestri non solo per la forma, si pensa infatti che siano avvolti in questa forma ad imbuto a causa delle differenze di temperatura tra le calde superfici (dove i gas sono più compressi) e il più freddo interno delle nubi interstellari. Prima o poi nel futuro queste nubi collasseranno sotto il loro stesso peso e daranno vita a una nuova generazione di stelle.
La differenza più evidente tra le immagini a infrarossi e quella in luce visibile di questa regione è l'abbondanza di stelle che riempiono il campo visivo in quella IR. La maggiorparte di esse si trova oltre la nebulosa, nascoste dalle polveri che diventano "invisibili" nelle riprese IR, tuttavia, alcune sono giovani stelle che appartengono alla nebulosa stessa. Crediti: NASA, ESA, STScI
Hubble ha osservato la Nebulosa Laguna non solo in luce visibile ma anche nelle lunghezze d’onda dell’infrarosso. Mentre le prime consentono agli astronomi di studiare il gas in tutti i suoi dettagli, la luce infrarossa penetra le zone oscure di polvere e gas, rivelando le complesse strutture al di sotto e le giovani stelle nascoste al suo interno.
Solo combinando dati ottici e infrarossi è possibile dipingere un quadro completo dei processi in atto nella nebulosa.
Di seguito tutte le versioni di questa incredibile nebulosa ripresa dal telescopio spaziale Hubble nel tempo.
Ad aprile due corsi (il lunedì e il giovedì) che dureranno fino a giugno presso la nostra sede all’EUR (fermata Laurentina).
Da lunedì 23 aprile: Corso di ArcheoAstronomia. Corso di Archeoastronomia ed Astronomia Culturale per scoprire le conoscenze astronomiche degli antichi attraverso l’importanza che l’astronomia ha avuto in tutta la storia dell’umanità.
Da giovedì 26 aprile: Corso avanzato. 8 conferenze su argomenti che non vengono trattati di solito nei corsi base di astronomia. Approfondimenti che rivestono un interesse enorme. Non è richiesta alcuna preparazione di base.
Prezzi in promozione e sconti per i lettori di Coelum Astronomia.
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