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La danza delle tre lune

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Titano, Mimas e Rea. Crediti: NASA/JPL-Caltech/Space Science Institute

Tre sottili falci di luna nel cielo attorno a Saturno: Rea in alto a sinistra, Titano la più grande al centro e la piccola Mimas in basso. Crediti: NASA/JPL-Caltech/Space Science Institute

Possiamo restare ore a guardare la luna nel cielo. Che sia luna piena, o uno spicchio bianco che si staglia nel nero della notte sulla Terra. Un’immagine romantica, che ha ispirato opere, poesie e in alcuni casi ha fatto scoccare la scintilla dell’amore. Pensate allora cosa accadrebbe se potessimo guardare non una sola luna bensì tre, come su Saturno, il sesto pianeta del Sistema solare.

In questa immagine possiamo ammirare tre dei satelliti naturali di Saturno, Titano (5150 chilometri di grandezza), Mimas (396 chilometri) e Rea (1527 chilometri), in tutte le loro peculiarità.

Titano infatti, la luna più grande, appare un po’ annebbiata a causa dello strato di nuvole che la circonda  e poiché Titano ha un’atmosfera che rifrange la luce, il suo spicchio è più illuminato rispetto alle compagne senza atmosfera. Rea appare ruvida perché la sua superficie ghiacciata è piena di crateri. E a un attento esame Mimas, anche se difficile da vedere in questa scala, mostra parte delle irregolarità presenti sulla superficie che rivelano il suo violento passato.

L’immagine ovviamente è stata scattata dal fotografo officiale di Saturno e delle sue lune, la sonda di NASA/ESA/ASI Cassini, lo scorso 25 marzo con la narrow-angle camera. Al momento dello scatto Titano era distante da Cassini circa 2 milioni di chilometri, Mimas 3,1 milioni di chilometri e Rea circa 3,5 milioni.

Per saperne di più:

Visita il sito della missione Cassini-Huygens

Società Astronomica Fiorentina

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27.06: Gita Archeoastronomica “Visita al sito
Archeoastronomico di San Lorenzo (Farfalla Dorata)”
con la partecipazione del Prof. Enrico Calzolari
che ci guiderà nei vari luoghi da lui scoperti e/o
analizzati. Si consiglia un abbigliamento adeguato
per una passeggiata trekking, trasferimento con
mezzi propri, mangiare a sacco. Il numero di
partecipanti è limitato e pertanto è obbligatoria la
prenotazione.
Per info: cell. 377.1273573 – presidente@astrosaf.it
www.astrosaf.it

Associazione Ligure Astrofili Polaris

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26.06: Osservazione della Luna in Corso Italia.
Per il programma completo andare al sito.
Per info: cell. 346.2402066 – info@astropolaris.it
www.astropolaris.it

Al Planetario di Ravenna

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26.06: Osservazione della volta stellata (ingresso
libero, cielo permettendo).
Prenotazione sempre consigliata.
Per info: tel. 0544.62534 – info@arar.it
www.racine.ra.it/planet – www.arar.it

Associazione Astrofili Centesi

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26.06: “Bufale spaziali: notizie dell’altro mondo”.
Al telescopio: la Luna gibbosa, il pianeta Saturno e
i suoi satelliti, l’ammasso stellare M13 in Ercole e
la stella Antares nello Scorpione.
Per info: cell. 346 8699254
astrofilicentesi@gmail.com
www.astrofilicentesi.it

I punti caldi di Venere. Prove di attività vulcanica in corso.

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In questa infografica dell’ESA sono sintetizzate le tre principali evidenze, ottenute dai dati di Venus Express, che possono essere spiegate da attività vulcanica recente su Venere. Crediti: ESA

In questa infografica dell’ESA sono sintetizzate le tre principali evidenze, ottenute dai dati di Venus Express, che possono essere spiegate da attività vulcanica recente su Venere (cliccare per ingrandire l'immagine). Crediti: ESA

Esaminando i dati raccolti dall’ESA durante la missione Venus Express, un team internazionale di scienziati ha trovato picchi variabili di temperatura in diversi punti della superficie del pianeta. Questi cosiddetti hotspot, che sono stati visti apparire e scomparire nel giro di pochi giorni, sembrano essere generati da flussi di lava attivi sulla superficie. La ricerca, pubblicata online su Geophysical Research Letters, si aggiunge a precedenti scoperte che, nel loro insieme, indicano che Venere continua a essere vulcanicamente e tettonicamente attivo anche ai giorni nostri.

«Siamo riusciti a ottenere prove evidenti del vulcanismo di Venere e del fatto che sia attualmente in attività, e quindi geologicamente attivo» afferma James W. Head, geologo alla Brown University e coautore del nuovo studio. «E’ una scoperta importante, che ci aiuterà a capire l’evoluzione di pianeti come il nostro».

Gli hotspot sono apparsi nelle immagini termiche riprese dalla Venus Monitoring Camera a bordo della sonda Venus Express. I dati hanno mostrato picchi di temperatura di svariate centinaia di gradi in zone di dimensioni variabili da 1 a 200 kilometri quadrati.

Le macchie erano raggruppate in una grande depressione tettonica chiamata Ganiki Chasma. Depressioni tettoniche come queste si formano a causa dell’allungamento della crosta provocato da forze interne e dal magma caldo che risale verso la superficie.

La depressione tettonica Ganiki Chasma nella regione Atla Regio sul pianeta Venere è stata spesso osservata alla ricerca di mutamenti. Le mappe qui sopra mostrano i cambiamenti in luminosità relativa associati a uno sfondo tipico (rosso-arancio indica un aumento, blu-viola una diminuzione). Mentre alcuni cambiamenti sono dovuti alle variazioni di luminosità delle nuvole, è deducibile la presenza della superficie di un hotspot fisso, categorizzato come “Oggetto A”, che mostra un aumento di luminosità tra il 22 e il 24 giugno, seguito da una diminuzione della stessa. Crediti: E. Shalygin et al. (2015)

Head e il suo collega russo Mikhail Ivanov avevano precedentemente mappato la regione come parte di una carta geologica globale di Venere, prodotta dalla missione sovietica Venera degli anni ‘80 e dalla missione americana Magellan degli anni ‘90. Il processo di mappatura aveva mostrato che Ganiki Chasma era relativamente giovane, geologicamente parlando, ma, fino a oggi, non era stato possibile definire quanto fosse giovane.

Questa carta geologia di Venere sovrapposta a una vista prospettica topografica del pianeta mostra un’estesa altura (Atla Regio) nel centro (in rosso, da cui si irradiano propaggini viola) e le circostanti vallate vulcaniche (in verde e blu). Nuove immagini e misure dalla sonda ESA Venus Express mostrano che parti delle fratture tettoniche sono probabilmente sede di vulcanismo attivo, confermando che Venere, in queste zone in particolare, continua a essere vulcanicamente e tettonicamente attiva anche nell’era moderna. Crediti: Ivanov/Head/Dickson/Brown University

«Sapevamo che Ganiki Chasma era il risultato di un vulcanismo recente, in termini geologici, ma non sapevamo se si fosse formato ieri o un miliardo di anni fa» ha dichiarato Head. «Le anomalie attive rilevate da Venus Express coincidono esattamente con la mappatura di questi depositi relativamente giovani e suggeriscono un’attività ininterrotta».

L’ultimo rinvenimento è coerente con gli altri dati ricevuti da Venus Express che suggeriscono un’attività vulcanica molto recente. Nel 2010, immagini ad infrarossi di diversi vulcani sembravano indicare colate di lava vecchie di migliaia o pochi milioni di anni (vedi qui su Media INAF). Qualche anno dopo, gli scienziati hanno riscontrato saltuari picchi di anidride solforosa nell’atmosfera più esterna di Venere (qui il relativo articolo), un altro ipotetico segnale di vulcanismo attivo.

«Queste scoperte degne di nota sono il risultato della cooperazione tra diversi stati nel corso di svariati anni, e sottolineano l’importanza di collaborazioni internazionali nell’esplorazione del nostro sistema solare e nel capire come si evolve», conclude Head.

Gruppo Astrofili DEEP SPACE

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26.06: Osservazione dal piazzale della funivia per
i Piani d’Erna
Per info: 0341.367584 – www.deepspace.it

Al Planetario di Ravenna

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23.06: “Inizia l’estate! Storie di stagioni” di Mauro
Graziani.
Prenotazione sempre consigliata.
Per info: tel. 0544.62534 – info@arar.it
www.racine.ra.it/planet – www.arar.it

Il VLT scopre CR7, la più brillante galassia distante, con tracce di stelle di Popolazione III

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Questa rappresentazione artistica mostra CR7, una galassia molto distante scoperta con il VLT (Very Large Telescope) dell'ESO. È la galassia di gran lunga più brillante mai trovata nell'Universo primordiale e reca evidenza della presenza, al suo interno, di esempi di stelle di prima generazione. Questi oggetti massicci, brillanti e finora puramente teorici, hanno prodotto i primi elementi pesanti della storia - gli elementi necessari per costruire le stelle che vediamo oggi intorno a noi, i pianeti che le orbitano e la vita come la conosciamo. Questa galassia appena scoperta è tre volte più brillante della galassia distante più brillante trovata finora. Crediti: ESO/M. Kornmesser

Una rappresentazione artistica di CR7, la galassia di gran lunga più brillante mai trovata nell’Universo primordiale. Al suo interno i ricercaori hanno trovato evidenze della presenza di stelle di prima generazione. Crediti: ESO/M. Kornmesser

L’esistenza di una prima generazione di stelle, note come stelle di Popolazione III, nate dalla materia primordiale del Big Bang è stata a lungo teorizzata dagli astronomi. Poiché tutti gli elementi chimici più pesanti – ossigeno, azoto, carbonio e ferro, essenziali per la vita – sono stati prodotti all’interno delle stelle,  le prime stelle devono essersi formate dagli unici elementi che già esistevano: idrogeno, elio e tracce di litio.

Queste stelle di Popolazione III dovevano essere enormi – parecchie centinaia o migliaia di volte più massicce del Sole – ardenti e transitorie, dovendo esplodere come supernove dopo solo due milioni di anni, ma finora la ricerca di una prova fisica della loro esistenza era sempre stata inconcludente.

Un’equipe guidata da David Sobral, (Institute of Astrophysics and Space Sciences, Univ. di Lisbona, Portogallo, e della Leiden University, Olanda) ha usato il VLT, Very Large Telescope dell’ESO, per sbirciare nell’antico Universo – verso un periodo noto come re-ionizzazione, all’incirca 800 milioni di anni dopo il Big Bang – ampliando la visuale per la survey di galassie distanti più estesa che mai sia stata tentata.
Il risultato: la scoperta, confermata, di un grande numero di galassie molto giovani e soprendentemente brillanti.

Una di queste, indicata come CR7, è risultata essere un oggetto eccezionalmente raro, la galassia di gran lunga più brillante mai osservata in questa fase del’Universo, ma non solo… Grazie agli strumenti X-shooter e SINFONI, sempre al VLT, hanno trovato in CR7 una forte emissione di elio ionizzato ma, sorprendentemente, nessun segno di elementi più pesanti nella zona più luminosa della galassia, prova significativa di essere alla presenza di stelle di Popolazione III.

La scoperta ha messo in crisi fin dall’inizio le nostre aspettative“, ha detto David Sobral, “già non ci aspettavamo di trovare una galassia così brillante. Successivamente, scoprendo un pezzo per volta la natura di CR7, abbiamo capito che non solo l’avevamo trovata, ma che aveva tutte le caratteristiche giuste per contenere stelle di Popolazione III. Queste stelle sono proprio quelle che hanno formato i primi elementi pesanti che alla fine hanno permesso a noi di essere qui. Non poteva essere più entusiasmante di così“.

Jorryt Matthee, secondo autore dell’articolo, ha concluso: “Mi sono sempre chiesto da dove veniamo. Fin da bambino volevo sapere da dove venivano gli elementi: il calcio nelle mie ossa, il carbonio nei miei muscoli e il ferro nel mio sangue. Ho poi scoperto che si sono formati all’inizio dell’Universo, dalla prima generazione di stelle e con questa scoperta, stiamo davvero iniziando a vederle per la prima volta“.

Ulteriori osservazioni con il VLT, con ALMA e con il telescopio spaziale Hubble della NASA/ESA sono previste per confermare la scoperta e per cercare di indentificare ulteriori esempi.

  • • Una curiosità: la sigla CR7 viene de COSMOS Redshift 7, una misura della posizione della galassia in termini di tempo cosmico (maggiore il redshift, più lontana la galassia e più indietro la vediamo nella storia dell’Universo), ma è anche ispirata al grande calciatore portoghese, Cristiano Ronaldo, noto anche come CR7.

Il Very Large Telescope di ESO (VLT) sullo sfondo di un bellissimo crepuscolo su Cerro Paranal. Le quattro unità telescopiche principali del VLT hanno i nomi di corpi celesti in Mapuche, un'antica lingua nativa del popolo indigeno di Cile e Argentina. Da sinistra a destra: Antu (UT1; il Sole), Kueyen (UT2; la Luna), Melipal (UT3; la Croce del Sud) e Yepun (UT4; Venere). Crediti: ESO/B. Tafreshi (twanight.org)

Questo lavoro è stato presentato nell’articolo “Evidence for PopIII-like stellar populations in the most luminous Lyman-α emitters at the epoch of re-ionisation: spectroscopic confirmation”, di D. Sobral, et al., accettato per la pubblicazione dalla rivista The Astrophysical Journal.

Sotto quale Sole si sviluppa la vita?

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Questa rappresentazione artistica mostra un ipotetico pianeta abitabile con due lune che orbita attorno a una stella nana rossa. Gli astronomi hanno osservato che attorno al 6% delle nane rosse ruotano pianeti della stessa dimensione della Terra, su cui il clima dovrebbe essere abbastanza caldo da permettere la presenza di acqua liquida. Crediti: David A. Aguilar (CfA)

Allo scopo di semplificare la comprensione dei complessi processi biologici che governano un ipotetico sistema di pianeti simili alla Terra, un gruppo di astronomi ha sviluppato dei modelli digitali per analizzare l’effetto della radiazione ultravioletta che irradia gli stessi esopianeti mentre ruotano attorno ai propri soli. Il relativo articolo scientifico è stato pubblicato recentemente sull’Astrophysical Journal.

«A seconda dell’intensità, la radiazione ultravioletta può essere utile o dannosa per lo sviluppo della vita», dice Lisa Kaltenegger della Cornell University. «Stiamo tentando di accertare il valore della radiazione ultravioletta che investe altri pianeti simili alla giovane Terra, e se esso possa essere compatibile con la vita».

«Osserveremo i pianeti in tutti i loro stadi evolutivi, confrontandoli con quattro epoche campione della storia della Terra», ha detto Sarah Rugheimer, sempre della Cornell University. «Nella prossima generazione di missioni ci aspettiamo di trovare un’ampia varietà di pianeti extrasolari».

Esaminando a fondo la storia della Terra, Rugheimer e i co-autori dello studio, hanno modellato la prima epoca, un mondo pre-biotico con un’atmosfera costituita per la maggior parte di anidride carbonica, simile a quella della Terra di 3,9 miliardi di anni fa. La seconda epoca, che risale a circa 2 miliardi di anni fa, avrebbe generato la prima piccola quantità di ossigeno, in quanto era presente una biosfera attiva e la possibilità di realizzare il processo di biosintesi. La percentuale di ossigeno sarebbe poi cresciuta dai primi cianobatteri fino a raggiungere una concentrazione pari all’1% di quella attuale.

«Sia l’intensità che il tipo di radiazione ultravioletta determinano conseguenze biologiche specifiche», ha detto Rugheimer. «Oltre a calcolare il valore totale della radiazione, ci occupiamo di valutare quali lunghezze d’onda siano più dannose per il DNA e le altre biomolecole».

La vita pluricellulare cominciò circa 800 milioni di anni fa, periodo sul quale il gruppo ha modellato una terza epoca, in cui l’ossigeno raggiunge il 10% della concentrazione attuale. La quarta epoca corrisponde alla Terra moderna, con i livelli correnti di ossigeno in atmosfera e una percentuale di anidride carbonica pari a circa 355 parti per milione.

I ricercatori hanno osservato che in tutte le epoche successive alla comparsa dell’ossigeno, sia le stelle più calde che le stelle più fredde presentano una radiazione biologicamente meno efficace. Nel caso delle stelle calde, questo è dovuto all’incremento della concentrazione di ozono che protegge gli ambienti da un’eccessiva attività ultravioletta; nel caso delle stelle fredde, è dovuto a una carenza di flusso UV assoluto.

Rugheimer ha spiegato che l’astrobiologia affascina i ricercatori di molte discipline, sottolineando che questo lavoro «fornisce un collegamento tra le condizioni astrofisiche che ci aspettiamo di trovare su altri pianeti e gli esperimenti sull’origine della vita condotti qui sulla Terra».

Per saperne di più:

  • L’articoloUV Surface Environment Of Earth-Like Planets Orbiting FGKM Stars Through Geological Evolution”, di S. Rugheimer, A. Segura, L. Kaltenegger e D. Sasselov, pubblicato su Astrophysical Journal

Sull’argomento vita extratterestre leggi anche la nuova Inchiesta di Coelum: “Entro dieci anni troveremo TRACCE DI VITA ALIENA” – Parte Prima di Filippo Bonaventura (Coelum 193).

Associazione Cascinese Astrofili

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21.06: Festa del Solstizio d’Estate all’interno della
festa della Pubblica Assistenza di Cascina (PI).
ore 18:00: “L’evento Astronomico del Solstizio
d’estate” conferenza di Domenico Antonacci.
ore 21:30: Osservazione pubblica con i telescopi,
meteo permettendo.
Per informazioni:
Domenico Antonacci Cell: 347-4131736
domenico.antonacci@astrofilicascinesi.it
www.astrofilicascinesi.it

Associazione Cascinese Astrofili

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19.06, ore 17:00: Osservazione del Sole (meteo
permettendo) Presso La festa della Pubblica
Assistenza di Cascina – Zona Ex Tettora.
Per informazioni:
Domenico Antonacci Cell: 347-4131736
domenico.antonacci@astrofilicascinesi.it
www.astrofilicascinesi.it

Associazione Astrofili Bassano del Grappa

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19.06, ore 21:30: “Solstizi e antiche tradizioni” di Giordano Cervi.

Per info sull’Associazione: cell. 333.4653279
astrofilibassano@gmail.com
www.astrofilibassano.it
Per info sulla Specola: tel. 0423.934111
ufficio@centrodonchiavacci.it
www.specolachiavacci.it

Philae, nuovo contatto nella notte

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Rappresentazione artistica di Philae sulla cometa 67P. Crediti: DLR
Rappresentazione artistica di Philae sulla cometa 67P. Crediti: DLR

Premuroso come il figlio che tutte le Rosette del mondo vorrebbero, Philae ha ritelefonato. Due volte in due giorni. Anzi, in due notti. Dopo averci fatto stare in pena per sette interminabili mesi, pare proprio che il nostro robot spaziale preferito stia bene e sia finalmente pronto a rimettersi all’opera, ora che il bacio del Sole sui pannelli fotovoltaici lo ha strappato al suo lungo sonno. E se il primo contatto, quello di sabato 13 giugno, ha colto di sorpresa e fatto saltare di gioia tutti gli scienziati del team, quello attesissimo di ieri notte, domenica 14, ci si augura possa segnare l’inizio di un’auspicabile routine – anche se accanto a Philae la parola routine è quanto meno un ossimoro.

Ma veniamo al contatto di ieri notte. Una toccata e fuga, quattro minuti d’orologio appena: dalle 23:22 alle 23:26. Pur lungo oltre il doppio di quello del giorno prima, durato 85 secondi, è stato comunque uno scambio breve [aggiornamento: l’Esa riferisce che il tempo d’invio effettivo di dati è stato di pochi secondi] e non del tutto soddisfacente anche per il responsabile del progetto presso la DLR, Stephan Ulamec: «Questa volta il collegamento è stato relativamente instabile», ammette. Insomma, per mettere le mani su quegli 8000 e passa pacchetti di dati conservati nella memoria di massa del lander occorrerà pazientare ancora un po’.

Life on #67P is good, @ESA_Rosetta. About 3 hrs sunlight a day & feeling energised! More from my team #lifeonacomet http://t.co/ze2aYzBdC3

— Philae Lander (@Philae2014) June 15, 2015

D’altronde, sta accadendo tutto molto in fretta. E se fino a due giorni fa il risveglio era solo una speranza e Philae non si sapeva nemmeno bene dove fosse, ora gli ingegneri della missione stanno freneticamente calcolando come modificare la traiettoria di Rosetta attorno alla cometa Churyumov-Gerasimenko così da aumentare al massimo, fra un’orbita e l’altra, la durata della finestra di visibilità tra orbiter e lander.

E anche sul versante scientifico l’attività ferve. Da quali esperimenti ripartire, una volta che la connessione sarà sufficientemente stabile? Qui entra in gioco la disponibilità energetica. Perché se è vero che la temperatura in progressivo aumento e l’esposizione al Sole – stimata ora in almeno tre ore per ogni giorno cometario – lasciano ben sperare, la precaria (per usare un eufemismo) situazione logistica di Philae, appeso alla parete d’un crepaccio su una cometa in rotta verso il Sole a 304 milioni di km dalla Terra, non consente il benché minimo azzardo.

L’ordine in cui gli strumenti rientreranno in azione sarà dunque stabilito con cautela e solo quando si avranno informazioni complete sullo stato di salute di ognuno. In ogni caso, per il trapano italiano SD2 ci sarà da attendere. «Useremo per primi gli strumenti non meccanici, dunque non quelli che martellano o perforano», anticipa infatti Ulamec.

Priorità dunque agli esperimenti che consumano poca energia e che non implicano una grossa mole di dati da inviare verso la Terra. Come, per esempio, i due “nasi” del lander, COSAC e Ptolemy, che seppur solo in sniffing mode (senza campioni di terreno forniti dal trapano) potrebbero sfruttare al meglio la situazione tanto imprevista quanto scientificamente ghiotta nella quale si ritrovano: a bordo d’una cometa che, correndo verso il Sole, si sta facendo sempre più attiva. Un’opportunità che mai s’era presentata prima nella storia dell’esplorazione del Sistema solare, e forse mai sognata nemmeno dagli stessi scienziati della missione, considerando i rocamboleschi fuori programma con i quali Philae non smette di stupirci.

Associazione Ligure Astrofili Polaris

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19.06: “MMS Magnetospheric MultiScale: scoprire la riconnessione magnetica” di Fabio Quarato.
Per il programma completo andare al sito.
Per info: cell. 346.2402066 – info@astropolaris.it
www.astropolaris.it

Gruppo Astrofili DEEP SPACE

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19.06: “La scoperta di Plutone: i protagonisti di
una storica epopea” di Loris Lazzati.
Per info: 0341.367584 – www.deepspace.it

Philae si è svegliato! E sta comunicando…

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DOPO SETTE MESI IL LANDER S’È RISVEGLIATO

Alle 22:28 di sabato 13 giugno, il robottino Philae dell’ESA è uscito dal letargo in cui era entrato il 15 novembre scorso dopo circa 60 ore di funzionamento. E, per la prima volta dopo sette mesi di ripetuti quanto inutili tentativi di comunicazione, ha finalmente rotto il silenzio. Lo ha fatto con una “telefonata” di 85 secondi alla sonda madre, Rosetta. Un collegamento durante il quale Philae ha inviato a Rosetta, e quindi a Terra, oltre 300 pacchetti di dati, che il team internazionale della missione sta processando e analizzando in queste ore.

«Una grandissima soddisfazione per la scienza, per l’Europa e soprattutto per l’Italia», dice Giovanni Bignami, Presidente dell’INAF, «che in Philae ha messo un grosso investimento di scienziati INAF, Universitari e industrie. Non avevamo dubbi che Philae sarebbe ripartito, soprattutto adesso che la temperatura della superficie della cometa è più calda di – 40 gradi, perché si sta avvicinando rapidamente al Sole».

«Philae si sta comportando molto bene. La sua temperatura di funzionamento è al momento di 35 gradi sottozero e ha a disposizione 24 watt», spiega Stephan Ulamec, project manager del robottino presso la DLR. «Il lander è pronto per le operazioni».

Ricostruendo dai pacchetti di house-keeping lo stato del robot, è saltato fuori che, in realtà, è già da qualche tempo che Philae s’è svegliato. Solo che non riusciva a comunicare con la sonda. I dati inviati durante il breve collegamento di ieri sera comprendono infatti informazioni raccolte nell’arco degli ultimi giorni cometari. E nella memoria di bordo del robottino ci sono ancora oltre 8000 pacchetti di dati. Pacchetti che gli scienziati contano di riuscire a scaricare nel corso del prossimo contatto, e che dovrebbero permettere di ricostruire cos’è accaduto di recente sulla cometa 67P.

Aggiornamenti a breve, stay tuned.

Asteroidi – ARRIVA ICARO! Tutte le effemeridi ora per ora!

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A sinistra, in un campo vasto una dozzina di gradi (necessario per mostrare il percorso apparente di Icaro insieme a delle conosciute stelle di riferimento come Cor Caroli e Chara) abbiamo ricostruito il moto di Icaro durante la notte del 16-17 giugno, nelle ore in cui (dalle 23:00 alle 3:00 del mattino) il pianetino si avvicinerà maggiormente alla Terra. In quel lasso di tempo Icaro sarà nei Cani da Caccia, a un’altezza sull’orizzonte che varierà dai +57° delle 23:00 ai +20° delle 3:00. Il moto proprio dell’oggetto sarà di circa 47 primi d’arco l’ora. In basso a destra. al link asteroidi, le EFFEMERIDI ORARIE per seguire Icaro.

EFFEMERIDI

>> Le effemeridi orarie di ICARO

Come si dice da noi, ero ancora un ragazzo con le gambe incrociate del cammello quando sentii da mio padre e mio nonno la storia di Icaro che stava arrivando. Nessuno di loro ci credeva davvero, ma la fantasia correva al galoppo. Era il 1968. La storia del resto già la sapete. La sera del 26 giugno 1949, quando qui in Europa era già il 27, l’astrofisico Walter Baade impressionò con lo Schimdt da 48″ del Palomar una lastra fotografica dove, il giorno dopo, risultò evidente la lunga traccia lasciata da un asteroide. Due anni dopo, quell’asteroide verrà identificato come l’oggetto che più di ogni altro, tra quelli conosciuti al tempo, era in grado di avvicinarsi al Sole (0,187 UA) al suo perielio, meritandosi così il nome di Icaro, ovvero di chi nell’antichità aveva perso la vita arrivando troppo vicino all’astro del giorno.

Sul perché Icaro sia poi diventato famoso anche al di fuori della cerchia degli specialisti, finendo sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo, ce l’ha spiegato Remondino Chavez nello scorso numero. A me non resta quindi che spiegare dal punto osservativo la geometria dell’avvicinamento che si concretizzerà il prossimo giugno.

[…]

Durante la seconda metà di giugno (nella prima parte del mese la magnitudine sarà troppo alta per una media strumentazione amatoriale) il pianetino si muoverà infatti dall’Orsa Maggiore alla Bilancia, passando per i Cani da Caccia, il Boote e la Vergine; e a una velocità angolare tale da rendere praticamente impossibile fornire una mappa generale del percorso con una risoluzione che ne permetta l’identificazione in cielo. Quello che conviene fare è puntare dunque sugli eventi principali dell’apparizione, ovvero, i punti dove la vicinanza alla Terra sarà maggiore e quello in cui raggiungerà la massima luminosità.

Per il resto, se si volesse comunque fotografare Icaro al di fuori di questo contesto, consigliamo di consultare le coordinate equatoriali orarie, che trovate anche al link “asteroidi” nel box delle effemeridi qui a destra in alto.

[…]

Raccomando ai miei pochi lettori di farsi onore e di concentrare gli sforzi nelle due date che ho suggerito.
Icaro è un oggetto difficile, e di tutti i passaggi conosciuti, dal 1949 in poi, restano ben poche tracce fotografiche. È un nostro preciso dovere mettere a frutto la straordinaria tecnologia ora a nostra disposizione per entrare nella storia di questa inconsapevole montagna celeste.

Leggi l’articolo completo con tutti i dettagli, le cartine e i consigli per l’osservazione, nella Rubrica Asteroidi di Talib Kadori presente a pagina 68 di Coelum n.193

Congiunzione luminosissima di tre oggetti: Luna, Venere e Giove

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La sera del 20 giugno, sempre verso le 22:00 (ma anche prima, a seconda delle condizioni del cielo), sull’orizzonte ovest si materializzerà un triangolo di oggetti formato da Luna (falce crescente di mag. –8), Giove (mag. –1,8) e Venere (–4,6). A quell’ora, l’altezza media del triangolo sull’orizzonte sarà di circa +16°, mentre i singoli oggetti disteranno tra loro circa 5 gradi.
Per le effemeridi di Luna e pianeti vedere il Cielo di giugno

Al Planetario di Ravenna

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16.06: “Nella vecchia fattoria… del cielo: animali
e costellazioni” di Paolo Alfieri e Gianfranco Medri.
Prenotazione sempre consigliata.
Per info: tel. 0544.62534 – info@arar.it
www.racine.ra.it/planet – www.arar.it

CORSO BASE di ASTRONOMIA

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15.06: Serata conclusiva: consegna attestati.

info: www.astropolaris.it

Associazione Cascinese Astrofili

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15.06, ore 21:30: “Osserviamo Messier…” (solo
se meteo OK).
Per informazioni:
Domenico Antonacci Cell: 347-4131736
domenico.antonacci@astrofilicascinesi.it
www.astrofilicascinesi.it

Touch down per Samantha! Le prime foto del rientro

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La sequenza dell’uscita di Samantha dalla capsula appena atterrata in un campo di grano kazakho. Tutti e tre gli astronauti sono stati quindi trasportati a braccia e depositati sulle tre sdraio appositamente predisposte.

Dopo quasi 7 mesi, 3200 orbite intorno alla Terra e 135 milioni di km percorsi, si è conclusa la missione dell’equipaggio delle Expedition 42 e 43 composto da Terry Virts, Anton Shkaplerov e Samantha Cristoforetti.

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L’atterraggio è avvenuto in maniera nominale nella steppa Kazakha e il personale di recupero ha raggiunto la capsula pochi minuti dopo l’atterraggio, estraendo uno alla volta i tre astronauti.
Subito dopo l’uscita dopo un breve check medico, inizieranno i tradizionali convenevoli con il personale addetto al recupero.
L’equipaggio verrà poi trasportato dapprima a Star City e da li, Terry e Samantha voleranno a Houston per iniziare subito il periodo di riadattamento e riabilitazione.

La diretta NASA del rientro dei tre astronauti è stata seguita, in collaborazione con ScientifiCAST.it , Linkiesta.it e Coelum, dal team AstronautiCAST cui va il nostro plauso e ringraziamento per la grande competenza e la simpatia del loro puntuale commento. Per chi se la fosse persa, qui sotto il video con la registrazione della diretta!



Riguarda la diretta del ritorno sulla Terra di Samantha Cristoforetti.

Dopo aver premuto Play, il video partirà automaticamente.
Commento a cura di AstronautiCAST e Scientificast.it. In collaborazione con Coelum.com e Linkiesta.it

Prima del Big Bang

Un famoso scienziato tenne una volta una conferenza pubblica su un argomento di astronomia. Egli parlò di come la Terra orbiti attorno al Sole e di come il Sole, a sua volta, compia un’ampia rivoluzione attorno al centro di un immenso aggregato di stelle noto come la nostra galassia. Al termine della conferenza, una piccola vecchia signora in fond o alla sala si alzò in piedi e disse: «Quel che lei ha raccontato sono tutte frottole. Il mondo, in realtà, è un disco piatto che poggia sul dorso di una gigantesca tartaruga». Lo scienziato si lasciò sfuggire un sorriso di superiorità prima di rispondere: «E su cosa poggia la tartaruga?» «Lei è molto intelligente, giovanotto» disse la vecchia signora. «Ma ogni tartaruga poggia su un’altra tartaruga!»

(Stephen Hawking, Dal big bang ai buchi neri)

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La teoria cosmologica del Big Bang descrive l’evoluzione dell’universo come lo “stiramento” dello spazio-tempo a partire da una condizione di densità e di curvatura infinite. Secondo questa visione, 13 miliardi e 800 milioni di anni fa, l’intero tessuto spazio-temporale era concentrato in quello che matematicamente corrisponde a un singolo punto, che si è dilatato fino a raggiungere gradualmente le dimensioni attuali.

La nostra conoscenza di ciò che è successo dopo il Big Bang è maggiore di quanto si pensi: abbiamo un’idea abbastanza precisa, sebbene incerta e incompleta in alcuni punti, del perché il nostro universo appare proprio così come lo osserviamo. Ma la teoria del Big Bang non dice una parola su che cosa ci fosse “prima” (un “prima” rigorosamente virgolettato). Se il cosmo ha avuto un inizio, che cosa c’era prima di quell’inizio? E in definitiva, da che cosa è nato l’universo? Alzi la mano chi non se lo è mai chiesto, almeno una volta nella vita…

13,8 miliardi di anni fa, pochi secondi prima della creazione del nostro Universo… «Ok, tutto a posto. Accendiamo questo Large Hadron Particle Collider e vediamo che succede!»

Qui si entra in un territorio decisamente spinoso: non solo mancano ora come ora le conoscenze per affrontare rigorosamente la questione, ma non c’è nemmeno consenso attorno all’idea che la domanda abbia davvero senso da un punto di vista scientifico. Molti cosmologi rifiutano nettamente la domanda, considerandola una pura speculazione. Il motivo è semplice: se è vero che il tempo, lo spazio e la materia sono davvero nati con il Big Bang, allora non esiste un “prima”. Sarebbe come chiedersi che cosa c’è più a Nord del polo Nord.

Ma il caso è tutt’altro che chiuso, e come vedremo non sarà affatto così semplice risolverlo. Se infatti non ha senso chiedersi che cosa ci fosse “prima” del tempo, siamo così sicuri che il tempo si sia originato proprio con il Big Bang? Secondo alcune teorie cosmologiche, alcune delle quali stanno riscotendo un certo seguito nella comunità scientifica, la storia potrebbe essere andata diversamente. In un contesto di questo tipo, la domanda sul “prima” avrebbe un senso e sarebbe degna di essere discussa (a patto, naturalmente, che le teorie sul “prima” siano in grado di produrre previsioni falsificabili). Non parliamo poi delle implicazioni filosofiche, metafisiche e persino religiose che potrebbe avere una scoperta in tal senso…

Albert Einstein in tenuta balneare fotografato nel 1939 durante una vacanza a Long Island. Proprio dalle equazioni della sua Relatività Generale, pubblicata nel 1916, il belga Georges Lemaître formulò nel 1927 la cosiddetta teoria del Big Bang (come la chiamò in senso dispregiativo Fred Hoyle nel 1949). Nel 1931 Lemaître andò oltre e suggerì che l’evidente espansione del cosmo necessita di una sua contrazione andando indietro nel tempo, continuando fino a quando esso non si possa più contrarre ulteriormente, concentrando tutta la massa dell’universo in un singolo punto, “l’atomo primitivo”, prima del quale lo spazio e il tempo non esistono.

Qualcuno tenta di rispondere alla domanda affermando che quello che abbiamo sempre chiamato “universo” non è affatto tale, essendo soltanto un frammento infinitesimale di un sistema molto più vasto e complicato chiamato multiverso, che possiamo immaginare come un insieme di universi, cioè di regioni spazio-temporali distinte regolate da leggi fisiche a sé stanti. Una struttura, quella del multiverso, dove potrebbe essersi già ripetuto e ripetersi ancora quell’evento singolare che 13,8 miliardi di anni fa ha dato origine al nostro universo.

Secondo altri non c’è un multiverso ma un singolo universo, la cui evoluzione però è ciclica e “torna” ripetutamente a una fase di singolarità, che noi chiamiamo appunto Big Bang.

Insomma, le sfumature sull’argomento sono infinite, e noi, ingolositi dalla possibilità di contattare velocemente le migliori menti del pianeta, abbiamo voluto mettere alla prova la pazienza di amici e colleghi affrontando il problema da un punto di vista più che altro intuitivo ed emozionale. In pratica, abbiamo posto a tutti la seguente domanda:

«Nella impossibilità di dare un significato fisico a concetti come “prima” e “nulla”, lei pensa di poter riuscire a comunicare ai lettori di Coelum la sua personale visione del problema? Ovvero il modo in cui la sua parte emozionale, più che quella logica, tenta di risolvere questo apparente paradosso? In definitiva, per dirla brutalmente: Che cos’è l’essere? Perché, invece del nulla, esiste qualcosa?»

Ed ecco le prime risposte, pubblicate in ordine di arrivo. Seguiranno le altre nei prossimi numeri. I concetti più ostici citati nelle risposte saranno approfonditi in un articolo di chiusura in cui tenteremo anche di trarre delle conclusioni.  Buona lettura!

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Sean M. Carroll

Sean M. Carroll è cosmologo e fisico teorico al Caltech (California Institute of Technology). Si occupa, tra le altre cose, di relatività generale, energia oscura e teoria quantistica dei campi; è un esperto degli aspetti termodinamici del Big Bang e della freccia del tempo. È contributor per svariate riviste di divulgazione scientifica americane (tra cui Sky&Telescope, Nature, Seed) e autore di due libri di successo: Dall’eternità a qui (Adelphi, 2011) e La particella alla fine dell’universo (Codice, 2013).

Nessuno sa cosa c’era prima del Big Bang, né se effettivamente abbia senso parlare di “prima del Big Bang”. Potrebbe essere stato l’inizio del tempo stesso, o potrebbe rappresentare un momento particolarmente “energetico” nella storia di un universo eterno.

Ciò che sappiamo è che la relatività generale – la teoria di Einstein sulla gravità e lo spazio-tempo – predice una “singolarità” di densità infinita nell’universo primordiale, ed è proprio tale singolarità che noi chiamiamo Big Bang. Ma sappiamo anche che la relatività generale, nonostante il suo enorme successo come teoria scientifica, non può essere la teoria fisica definitiva, perché è incompatibile con la meccanica quantistica. E gli effetti quantistici sono senz’altro importanti quando la densità della materia è così enorme come nel caso del Big Bang.

Quindi, quando diciamo «la relatività generale predice una singolarità», quello che intendiamo veramente è «la relatività generale predice la sua stessa insufficienza nel descrivere il primissimo universo». È decisamente un segno del fatto che abbiamo bisogno di una teoria migliore.

È possibile che una teoria più completa spieghi un giorno se – e perché – il tempo abbia avuto un istante iniziale e l’universo un inizio. È possibile anche che ci fosse una fase precedente a quella dell’universo che osserviamo, e ciò che chiamiamo Big Bang sia in realtà il raccordo tra le due fasi. In questo scenario, il tempo potrebbe estendersi infinitamente nel passato. Potremmo trovarci in uno degli infiniti cicli che l’universo attraversa, oppure il nostro universo potrebbe far parte di un multiverso più grande, in cui il concetto di tempo andrebbe generalizzato. Attualmente non sappiamo ancora, ma i fisici stanno lavorando duramente per capirci qualcosa.

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Amedeo Balbi

Amedeo Balbi Astrofisico all’Università di Roma Tor Vergata si divide tra ricerca e divulgazione. Si occupa di problemi di interfaccia tra la fisica fondamentale e la cosmologia, tra cui lo studio dell’universo primordiale e l’indagine sulla natura della materia e dell’energia oscura. Autore di articoli scientifici e libri di divulgazione, dal 2006 cura il blog Keplero (www.keplero.org) “di divulgazione scientifica – astrofisica e cosmologia, ma non solo – con un occhio alla cultura pop, e (sporadiche) divagazioni personali”.

Intanto, oggi possiamo dire di avere un quadro fisico ragionevolmente solido e accurato di come la regione di spazio-tempo che chiamiamo “universo osservabile” si sia evoluta nei circa 13,8 miliardi di anni passati, e quali siano state le sue condizioni fisiche durante questa evoluzione. È già un traguardo notevole, ma ovviamente possiamo continuare a fare meglio, e quindi è del tutto lecito (e scientifico) chiedersi se e cosa ci fosse prima. Ciò che è empiricamente accessibile in modo diretto si ferma a circa 400 mila anni dopo il momento che, con una estrapolazione del migliore modello cosmologico di cui disponiamo attualmente, chiamiamo “Big Bang”. È, in linea di principio, possibile risalire in modo indiretto ancora più indietro ma, in ogni caso, raggiunto l’istante “iniziale”, le condizioni fisiche che presumiamo dovevano essere presenti non possono essere descritte dalla fisica che conosciamo al momento.

Arrivati a questo punto si va nell’ipotetico, e si aprono grosso modo due scenari. Da un lato ci sono i modelli di universo che prevedono che prima del Big Bang non ci sia nulla. È possibile (lo hanno fatto ad esempio Hartle e Hawking) costruire modelli di universo completamente autocontenuti, in cui l’universo inizia col Big Bang senza che però questo dia luogo a un confine temporale, eliminando così il problema di caratterizzare lo stato precedente (il “prima”). Dall’altro ci sono modelli che prevedono che il Big Bang sia un evento avvenuto all’interno di un sistema fisico preesistente: in questo insieme di modelli ricadono gli scenari inflazionari, i modelli ciclici ecc. Non c’è al momento evidenza empirica nell’una o nell’altra direzione, ma entrambe le strade sono logicamente percorribili senza incorrere in contraddizioni. Non so se e quando riusciremo a dirimere la questione scientificamente, ma se mi si chiede quale sia la mia preferenza o la mia opinione “filosofica”, posso dire che credo che l’idea di “nulla” sia problematica e mal definita, e che non abbia alcuna motivazione empirica, nel senso che non sperimentiamo niente del genere nella realtà (qualunque “nulla” con cui hanno avuto a che fare i fisici si è sempre dimostrato in realtà un “qualcosa”).

Ho quindi molti dubbi sul fatto che sia una categoria che possa avere qualcosa a che vedere con la descrizione del mondo naturale. Per questo, credo che sia del tutto possibile che la risposta alla domanda “perché esiste qualcosa piuttosto che nulla” sia semplicemente che la domanda stessa è mal posta, dal momento che presuppone che possa esistere il nulla, cosa su cui c’è da essere quantomeno scettici.

Per quanto mi riguarda, non ho nessun problema a immaginare che “qualcosa” esista da sempre (indipendentemente dal fatto che riusciamo o riusciremo a comprenderlo) e che il nostro universo sia un sottosistema transitorio emerso all’interno di questo “tutto” più vasto.

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Michele Maggiore

Michele Maggiore Presidente della Sezione di Fisica del Dipartimento di Fisica Teorica dell’Università di Ginevra, dove insegna teoria quantistica dei campi. Il suo campo di ricerca si colloca al confine tra la gravità quantistica e quella classica, in particolare su temi cosmologici, onde gravitazionali e fisica dei buchi neri. È autore di testi universitari sulla teoria quantistica dei campi e sulle onde gravitazionali.

Anzitutto, secondo me la frase di partenza che spazio, tempo e materia sono nati con il Big Bang, dall’espansione di un singolo punto, è un po’ ambigua ed è causa di confusione (si espande verso cosa lo spazio, se c’è solo un punto?). Secondo me è più corretto presentare le cose in questo modo: nel regime di validità della relatività generale lo spazio è descritto da una qualche varietà che è spazialmente infinita. Queste coordinate, che in cosmologia si chiamano “comoving”, non rappresentano la vera distanza fisica tra due punti (cioè la distanza misurata con la propagazione di segnali luminosi). Se estrapoliamo all’indietro la soluzione delle equazioni di Einstein (che governano la relatività generale), si trova che la dimensione dell’universo al Big Bang era zero e la curvatura dello spazio-tempo infinita. Questo significa che usciamo dal regime di validità della relatività generale e dovrà probabilmente entrare in gioco la gravità quantistica. In ogni caso, non c’è mai un singolo punto che si espande verso qualcosa; i punti sono già tutti lì, fin dove ha un senso utilizzare le nozioni di punto.

Impostato in questo modo, il problema di capire il Big Bang perde forse un po’ del fascino filosofico ma diventa ben definito dal punto di vista fisico: si tratta di capire cosa succede alle alte curvature. Per questo in via di principio servirebbe una teoria di gravità quantistica, ed è possibile che servano concetti del tutto nuovi per entrare in questo territorio.

Un’alternativa per approcciare il problema del pre Big Bang, formulata da Gabriele Veneziano, si colloca nel contesto della teoria delle stringhe e non richiede concetti radicalmente nuovi. Secondo questa teoria è possibile che un universo con bassa curvatura evolva verso una singolarità futura; questa potrebbe essere una fase di pre Big Bang. Fatte le dovute correzioni per evitare la singolarità, si spera che queste si raccordino con una fase di “post Big Bang” compatibile con l’universo che osserviamo oggi. In realtà questa è più che una speranza: in due articoli che pubblicai vari anni fa (uno con Gasperini e Veneziano, uno con Foffa e Sturani, che all’epoca erano miei dottorandi), mostrai che questo in effetti avviene usando correzioni tipiche di certe teorie di stringa. In questo scenario io non vedo niente di particolarmente metafisico.

Naturalmente è possibile che questo tipo di approccio non sia quello giusto, e che sia necessario usare una teoria di gravità quantistica, cosa che a oggi non sappiamo fare, e che probabilmente richiederà concetti fisici nuovi.

Non sappiamo quali saranno questi concetti. È possibile che lo spazio-tempo continuo della relatività generale debba venir rimpiazzato da qualcos’altro di più opportuno. Ma allora concetti come “prima” e “nulla” diventerebbero mal definiti: staremmo cercando di applicare nozioni come il tempo classico e lo spazio classico a un regime dove non si applicano più. È possibile, quindi, che la domanda non abbia un senso fisico una volta formulata in uno scenario teorico migliore di quello disponibile attualmente.

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A sinistra, la relatività generale prevede che all’origine del tempo, e cioè al momento del Big Bang, tutta la materia presente nel nostro universo doveva essere concentrata in un unico punto, una “singolarità” a densità e curvatura dello spazio-tempo infinite. Al giorno d’oggi comincia però a diventare prevalente tra i cosmologi l’idea che se la relatività prevede il raggiungimento di valori infiniti, allora ciò significa che non è una teoria adatta a descrivere il Big Bang, dato che l’infinito nel mondo fisico non esiste. Da qui tutta una serie di modelli (a destra) che sostituiscono la “singolarità” adimensionale con una “sfera primordiale” a densità finita, magari inseriti in un contesto di continuità con universi precedenti. Certo, anche così non si risponde alla domanda su cui si basa l’inchiesta, ma semplicemente si sposta il problema “più in là”.

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Roger Penrose

Roger Penrose è un fisico teorico, un cosmologo, matematico e filosofo della scienza inglese. Professore emerito alla Oxford University, è considerato uno dei maggiori fisici matematici viventi. I suoi contributi alla cosmologia e alla fisica teorica spaziano dal campo dei buchi neri (su cui ha lavorato con Stephen Hawking) alla teoria dei twistor, dalla cosmologia ciclica conforme all’ipotesi di Weyl. Tra i riconoscimenti ricevuti spiccano la medaglia Eddington (1975), il premio Wolf (1988) e la medaglia Dirac (1989). Tra i suoi libri pubblicati in Italia ricordiamo La strada che porta alla realtà (Rizzoli, 2005).

L’opinione di quasi tutti i cosmologi contemporanei sembra accordarsi con l’idea che il Big Bang fosse l’inizio di tutto. Tuttavia, negli ultimi anni ci sono stati alcuni interessanti spunti di riflessione: particolarmente notevoli quelli di Gasperini e Veneziano, e di Steinhardt e Turok.

Per quanto riguarda la mia opinione personale, prima dell’estate del 2005 avevo una visione simile a quella secondo cui il Big Bang fu l’inizio assoluto; oggi invece sostengo la teoria della “cosmologia ciclica conforme” (CCC). Secondo questa teoria, la storia dell’universo consiste di una successione di cosiddetti “eoni”, ognuno dei quali comincia con un Big Bang (ma senza una successiva inflazione) e termina con un’espansione esponenziale, in accordo con quanto si osserva oggi sull’espansione accelerata dell’universo; il Big Bang che dà inizio a ogni eone sarebbe una continuazione diretta della precedente espansione esponenziale dell’eone precedente. A differenza dei modelli di Gasperini-Veneziano e Steinhardt-Turok, nella CCC non c’è una contrazione al termine di ogni eone: la sua espansione continua a ritmo esponenziale fino al suo infinito futuro!

La cosa difficile da capire sulla CCC è proprio questa: in ogni eone l’universo si espande “da zero a infinito”, ma l’infinito futuro di ogni eone coincide esattamente con il Big Bang dell’eone successivo. Questo processo anti-intui­tivo è possibile grazie alla scomparsa della massa – ovvero, delle masse a riposo delle particelle – negli estremi iniziale e finale dei due eoni. Senza massa a riposo non è possibile nessuna misura del tempo, e pertanto nessuna misura dello spazio.

Oggi disponiamo di orologi straordinariamente precisi, come quelli atomici, ma il loro funzionamento dipende in fondo dalla presenza di una massa a riposo, che deriva dall’unione delle due formule più importanti del XX secolo: E = mc2 ed E = hf. Qui f è una frequenza, quindi la massa di una particella determina la sua frequenza attraverso la sua energia: ogni particella con una massa ben definita, pertanto, è a tutti gli effetti un orologio perfetto. Se le masse di tutte le particelle andassero a zero, si perderebbe completamente il concetto di durata e di distanza, che tuttavia sono richiesti dalla relatività generale di Einstein. In loro assenza, ciò che rimane è chiamata “geometria conforme” (da qui deriva la terza C nella sigla CCC!).

Ora, appena dopo l’inizio del nostro eone, quando la temperatura era di gran lunga superiore alla cosiddetta “temperatura di Higgs”, le particelle non avevano massa a riposo, dunque nel nostro universo valeva la geometria conforme (intervalli di tempo brevi e lunghi erano indistinguibili, così come distanze grandi e piccole). Secondo la CCC, questo succede anche alla fine di ogni eone, quando l’espansione accelerata dell’universo produrrà una fase molto fredda nel futuro remoto di tale eone (una sorta di “meccanismo di Higgs inverso”). La CCC richiede che la geometria conforme alla fine di ciascun eone combaci esattamente con la geometria conforme del Big Bang dell’eone successivo. Il raccordo tra le due deve essere “morbido”, in modo da assicurare la continuità tra gli eoni.

Per quanto riguarda le prove osservative di questa teoria, la più diretta è nella radiazione cosmica di fondo (Cosmic Microwave Background, CMB). Un’analisi che condussi nel 2013 con Gurzadyan mostra la presenza di particolari cerchi concentrici nella CMB (che i cosmologi attribuiscono a fluttuazioni quantistiche espanse dall’inflazione).

Una parte della mappa della radiazione cosmica di fondo costruita in base ai dati rilevati dal satellite WMAP. Roger Penrose afferma che la prova a sostegno della sua teoria chiamata “Cosmologia Ciclica Conforme” sarebbe contenuta proprio nella radiazione di fondo, evidenziata da anomalie concentriche come quella mostrata in figura. Tali anomalie, secondo il cosmologo inglese, sarebbero i residui materiali degli universi precedenti.

Secondo la CCC, questi segnali sarebbero l’effetto di eventi colossali avvenuti nell’eone precedente, ovvero collisioni di buchi neri supermassicci, che potrebbero accadere durante gli incontri tra galassie, come quello che molto probabilmente accadrà tra la nostra galassia e quella di Andromeda tra qualche miliardo di anni. Ogni collisione di buchi neri supermassicci produrrebbe enormi quantità di energia sotto forma di onde gravitazionali (ovvero increspature dello spazio-tempo) che raggiungerebbero l’infinito futuro di ogni eone e si trasformerebbero, all’ingresso nell’eone successivo, in lievi perturbazioni nella distribuzione della materia oscura. Queste perturbazioni avrebbero un effetto sulla temperatura osservata nella nostra CMB proprio nella forma dei cerchi concentrici che effettivamente abbiamo osservato.

La CCC offre una spiegazione differente da quella fornita dal gruppo di ricerca di BICEP2 nel marzo di quest’anno, riguardo ai modi B osservati nella CMB, secondo cui essi sarebbero dovuti a onde gravitazionali primordiali in accordo con certe versioni dell’inflazione. Secondo la CCC, questi andrebbero interpretati come l’effetto di campi magnetici esistenti nell’eone precedente al nostro.

Leggi anche le successive puntate con gli interventi di: Sabrina Masiero, Angelo Tartaglia, Alberto Cappi, CARLO ROVELLI, maurizio gasperini, ANTONIO WALTER RIOTTO, Salvatore Capozziello,Francesca Perrotta, ALEXANDER DOLGOV, Stefano Foffa, Fabio Finelli, Paolo Salucci, Sabino Matarrese, Paola Battaglia

L’inchiesta è stata pubblicata su Coelum 185 – Ottobre 2014, Coelum 186 – Novembre 2014 e Coelum 187 – Dicembre 2014.

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Leggi anche l’inchiesta su LA “SCOMMESSA” DI MARTIN REES

“Sarei pronto a scommettere, per una posta ragionevole, che entro il 20l0 sapremo esattamente qual è la componente dominante della materia oscura, il valore di Ω e le proprietà dell’oscura energia del vuoto.”

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Associazione Astronomica Mirasole

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13.06: “La Terra. L’importanza degli impatti cosmici per la sua nascita ed evoluzione, il caso Tunguska 1908” a cura di Luca Gasperini.

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LA “SCOMMESSA” DI MARTIN REES

Martin John Rees (York, 23 giugno 1942) è un astronomo e cosmologo inglese. Astronomo reale dal 1995 e direttore del Trinity College di Cambridge dal 2004, dal 1º dicembre 2005 è anche presidente della Royal Society. Nella sua carriera ha prodotto più di 500 pubblicazioni e ha dato importanti contributi alla teoria dell’origine della radiazione cosmica di fondo, oltre che allo studio della formazione delle galassie. È inoltre un noto divulgatore scientifico di astronomia e di scienze in generale.

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Sarei pronto a scommettere, per una posta ragionevole, che entro il 20l0 sapremo esattamente qual è la componente dominante della materia oscura, il valore di Ω e le proprietà dell’oscura energia del vuoto. Se scopriremo tutto questo, sarà un trionfo per la cosmologia: avremo preso le misure del nostro universo, proprio come, non molti secoli fa, abbiamo imparato che forma hanno e quanto sono grandi il Sole e la Terra. E conosceremo, a parte alcune riserve di cui parlerò nel prossimo capitolo,anche il futuro a lungo termine del cosmo.

Il libro da cui è tratto il brano oggetto di commento, è stato pubblicato nella versione originale in lingua inglese (Our Cosmic Habitat) nel 2001 ed è stato insignito del “Cosmology Prize of the Peter Gruber Foundation” nel 2001 e del “New York Book Show Award” nel 2002. L’edizione italiana risale invece al 2004 ed è stata curata da Gianni Rigamonti per la Adelphi Editore (Il nostro ambiente cosmico, pagg. 227, prezzo 18,50 euro). Online – www.coelum. com – è disponibile la recensione del libro.

Dopo il 2010 le sfide da affrontare saranno di due tipi molto diversi. La cosmologia infatti ha due facce: è una scienza fondamentale, ma anche la più grande delle scienze ambientali. Il teorico canadese Werner Israel ha paragonato questa dicotomia alla contrapposizione fra gli scacchi e la lotta libera nel fango; e forse la comunità dei cosmologi è proprio una tale mescolanza male assortita di finezza estrema ed estrema brutalità (solo di stile intellettuale,ovviamente).

Di qui a una decina d’anni, per il gaudio di quelli di noi che trovano più divertente rivoltarsi nel fango, saranno disponibili osservazioni sempre più dettagliate fornite sia da telescopi a terra sia da satelliti; mentre massicce simulazioni al calcolatore ci daranno un’idea più chiara del modo in cui si formano galassie, stelle e pianeti.

Io credo tuttavia che i « giocatori di scacchi» saranno ancora alla ricerca di una spiegazione profonda dell’inizio. La ricerca di teorie unitarie dell’universo e del microcosmo non si sarà esaurita (anche se forse renderà esausti coloro che l’hanno intrapresa).

Martin Rees

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Luca Amendola

LUCA AMENDOLA è nato a Roma nel 1963. Formatosi all’Università La Sapienza, ha passato in seguito numerosi periodi all’estero, principalmente in Francia e USA. È astronomo presso l’Osservatorio Astronomico di Roma (Monte Porzio Catone). La sua ricerca verte principalmente sulla cosmologia dell’universo primordiale, teorie inflazionarie, fondo cosmico, formazione di galassie e struttura a grande scala. Fermamente convinto dell’importanza della comunicazione della scienza a tutti i livelli, dedica una parte sempre più rilevante del suo tempo alla presentazione pubblica dell’astronomia e della cosmologia.

Predire il futuro è notoriamente rischioso, soprattutto se qualcuno si prende la briga di verificare le tue predizioni. Quasi tutti, a parte i profeti di apocalissi, tendono a immaginare un futuro di macchine volanti e teletrasporto, un futuro dal quale guarderemo i nostri predecessori con l’affettuosa condiscendenza con cui contempliamo vecchie foto color seppia. Poi il futuro arriva, colmo di telefonini ma senza macchine volanti e l’unico teletrasporto rimane quello di Star Trek.

I 10 anni di Rees sono trascorsi e non sappiamo ancora cosa sia la materia oscura né tanto meno l’energia del vuoto o energia oscura. È vero che conosciamo con ottima precisione il valore di W, l’energia totale dell’universo, ma lì Rees andava sul sicuro: già nel 2000 disponevamo di buone stime [vedi l’Esperimento BOOMERanG su Coelum n. 30] i risultati attuali non sono certo una sorpresa. Di materia oscura ce n’è sempre un gran bisogno, ma quali siano le particelle o i campi quantistici che la compongono è ancora ignoto.

La ricerca diretta di particelle di materia oscura nei grandi laboratori sotterranei, iniziata già ben prima del 2000, ha proceduto senza sosta e senza risparmio di energie e di investimenti. Il primo esperimento che nel 1997 ha annunciato la cattura delle tenue tracce di particelle oscure – il progetto DAMA presso i laboratori italiani del Gran Sasso – ha mantenuto ferma la posizione; altrettanto hanno fatto esperimenti rivali che si ostinano a non cavare ragni dal buco come ad esempio, proprio quest’anno, l’esperimento XENON100, anch’esso al Gran Sasso.

Nel frattempo molti teorici hanno proposto diverse ricette per riconciliare i due punti di vista, arricchendo così il numero e gli attributi delle particelle candidate a materia oscura, ma senza convincere né i contendenti né gli spettatori. La materia oscura continua a eludere e illudere. Molte speranze sono riposte nel LHC, il superacceleratore del CERN: la sua grande energia potrebbe produrre direttamente particelle di materia oscura o almeno farci intravedere i processi che potrebbero esserne responsabili. E se LHC può sembrare un acronimo ostico, possiamo sempre contare su Rosebud, Edelweiss, Cuore o Newage, solo alcuni di una serie di esperimenti dedicati alle WIMP, o particelle massive a interazione debole, la variante più accreditata di materia oscura.

Rees, e con lui tutti noi, è stato troppo ottimista anche sull’energia oscura. Nel 1998 i dati delle supernovae avevano mostrato un universo in espansione accelerata, e quindi avevano indicato la necessità di includere una nuova forma di energia nell’inventario cosmico. Nel 2000 pensavamo che si trattasse della costante cosmologica (l’energia del vuoto vera e propria) o forse qualcosa che gli assomigliava molto; oggi la costante cosmologica è ancora la spiegazione più semplice e accettabile ma molte ipotesi alternative, per esempio una modifica della gravità Einsteiniana, sono ancora possibili. L’incertezza è aumentata di pari passo con le spiegazioni sempre più esotiche. In cambio, il ventaglio di possibili nuovi esperimenti si è arricchito molto e ora l’accelerazione cosmica, oltre che con le supernovae, viene studiata con l’effetto delle lenti gravitazionali, con la distribuzione delle galassie a grandissima distanza, con il fondo cosmico a microonde, con le esplosioni di raggi gamma e altro ancora. Magari non troveremo l’energia oscura, però nel frattempo non perdiamo l’occasione di esplorare terre ed epoche ignote.

Tutto sommato, 10 anni si sono rivelati troppo pochi. Siamo passati da 42 a circa 500 supernovae valide per la cosmologia; da acceleratori di 200 Gev (LEP) o 1 Tev (Tevatron) ai 7 Tev del LHC; da una area utile di fondo cosmico di circa 2000 gradi quadrati del pallone aerostatico Boomerang ai circa 30 000 dei satelliti WMAP e Planck. Incrementi significativi ma non stratosferici se confrontati con altre tecnologie: il mio attuale laptop è almeno 100 volte più potente del mio vecchio IBM Thinkpad (e costa di meno). Forse la fase due della cosmologia, quella delle mani sporche di fango e dei capricciosi ma fondamentali dettagli, potrà essere posposta un po’, diciamo di altri 10 o 20 anni: il tempo che i nuovi esperimenti come il satellite Euclid dell’ESA o il megatelescopio EELT dell’ESO siano realizzati, aumentando di mille volte il volume di spazio osservabile. Nessuno si aspetta che i cosmologi potranno allora dire “missione compiuta!”, anche perché porta male, ma forse gli imbarazzanti enigmi della materia e dell’energia oscura saranno finalmente comprensibili. Sistemati finalmente fondali e palcoscenico, potremo dedicare tutte le energie ai tanti importanti attori del teatro cosmico e scoprire nuove terre e nuovi cieli.

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Massimo Auci

MASSIMO AUCI è nato a Roma il 24 febbraio 1955. Si è laureato in Fisica Cosmica all'Università di Torino, dove ha lavorato presso il Dipartimento di Fisica Generale fino al 1995 svolgendo didattica e ricerca in astrofisica sperimentale ed elettrodinamica. Docente di Fisica e Matematica presso la Scuola Internazionale Europea di Torino, è autore di numerosi articoli scientifici, libri e saggi. Vicepresidente di Odisseo Space, società che opera nel settore della ricerca e della formazione in campo aerospaziale, collabora come Science Editor con il portale di comunicazione e divulgazione scientifica “Gravità Zero” www.gravita-zero.org di cui è tra i fondatori.

Lord Martin Rees non è certo nuovo alle esternazioni a effetto. Solitamente, per riuscire a mescolare scienza, filosofia e fantasia senza essere presi per matti o visionari occorre avere una certa dose di abilità e Martin Rees non ha certo fama né di matto né di visionario. La passione e l’entusiasmo da lui mostrati nella divulgazione dei grandi misteri dell’universo, coniugati al rigore, alla lungimiranza e al coraggio delle idee, hanno al di là delle personali convinzioni o delle specifiche tematiche trattate, sempre trasmesso fiducia nella scienza e sicurezza nelle sue convinzioni. Forse solo fortuna? Forse in parte ma non solo, tant’è che nonostante la moltitudine di affermazioni sensazionali fatte in questi anni, Martin Rees continua a essere sempre molto apprezzato sia dal mondo accademico della cosmologia più conservatrice, sia da coloro che hanno una visione più aperta e speculativa del nostro universo.

Comunque, come dar torto al suo ma anche al nostro entusiasmo, quando negli anni Novanta dopo i successi di COBE, reduci da faticose osservazioni fotografiche riprese da telescopi terrestri e da rudimentali elaborazioni digitali, ci trovammo per la prima volta davanti alle prime immagini di spettacolari e remoti angoli di universo riprese dallo Hubble Space Telescope (HST)? Martin Rees, da profondo conoscitore dei metodi di indagine cosmologica e astronomica qual è ha saputo vedere oltre, riuscendo a dare al metodo di indagine satellitare la giusta potenzialità. Lanciare una scommessa? Tutto nello stile di Martin, una sfida con sé stesso ma soprattutto un pungolo per la ricerca cosmologica, nulla di particolare per chi come lui ha profonda fiducia nella scienza ma soprattutto nell’uomo.

Scommessa vinta? Forse no ma se consideriamo che l’HST ha in questi ultimi dieci anni contribuito a svelare molti misteri e mai prima d’ora la potenza degli strumenti di indagine teorica, ottica e satellitare di cui disponiamo ci ha fatto sperare in una rapida soluzione della restante parte; che a oggi sono stati elaborati modelli e sviluppate tecniche di simulazione al computer in grado di verificare i meccanismi di formazione ed evoluzione delle galassie; che sono stati scoperti e studiati centinaia di sistemi planetari extrasolari; che è stata evidenziata la presenza di materia oscura anche se non se ne conosce ancora la natura; anche se a rigore la scommessa non è stata completamente vinta molto poco ci manca. Infatti le osservazioni effettuate dal duemila a oggi sull’anisotropia del fondo cosmico a microonde, prima dal satellite WMAP, poi dal pallone stratosferico BOOMERANG, potranno entro quest’anno o poco oltre essere confermate o smentite dai risultati della sonda Planck al suo primo anno di osservazione. Se confermate, il rapporto W = 1 individuerà per il nostro universo un modello euclideo con curvatura nulla, originato da una inflazione avvenuta nelle fasi primordiali successive al Big Bang, se smentite tutto verrà nuovamente rimesso in discussione e nulla forse per un po’ si potrà più dire.

Quindi, se ad oggi il 2010 non è ancora stato un annus mirabilis per la soluzione dei misteri dell’universo, grazie ai prossimi risultati della sonda Planck e del Large Hadron Collider potrebbe ancora diventarlo e Martin Rees vincere a pieno titolo la sua scommessa. Comunque manca veramente poco affinché il 2010 o i prossimi anni a venire diventino una frontiera nella storia della cosmologia, anche se sono convinto che alla conoscenza ci si possa accostare solo asintoticamente.

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Alberto Cappi

ALBERTO CAPPI è astronomo presso l’Osservatorio Astronomico di Bologna (INAF) e chercheur associé presso l’Observatoire de la Côte d’Azur. Le tematiche della sua ricerca riguardano la cosmologia osservativa, la struttura a grande scala dell’universo e gli ammassi di galassie. Si interessa anche della storia della scienza Greca e della storia della cosmologia. www.bo.astro.it/~cappi/index. html

È sempre rischioso cercare di prevedere il futuro, a maggior ragione quello della cosmologia…

In particolare, fare ricerca significa esplorare ciò che non conosciamo, dunque non è possibile sapere a priori se, come e quando un filone di ricerca ci fornirà determinate risposte.

Sir Martin Rees ha comunque scommesso su tre punti:

a) il valore di Omega. Questo valore, vicino all’unità, era già noto nel 2000, quando Rees ha scritto il suo libro: senz’altro le misure successive lo hanno confermato e reso più preciso. La predizione era dunque corretta, ma estrapolata a partire da misure già esistenti e considerate credibili.

b) Le proprietà dell’energia oscura. La predizione era un po’ vaga: suppongo che Rees intendesse dire che avremmo determinato l’equazione di stato dell’energia oscura. In effetti la conosciamo meglio e le misure attuali rimangono in accordo con quello che ci si aspetta dalla costante cosmologica, ma anche con diverse altre possibilità.

c) La natura della materia oscura. Qui Rees è stato ottimista: non sappiamo ancora che cosa sia. Forse Rees all’epoca confidava anche nei risultati dell’LHC di Ginevra, che ha avuto però notevoli ritardi.

In conclusione direi che, pur considerando gli importanti progressi compiuti, Rees non ha vinto la scommessa. Sarà interessante ritornare sull’argomento nel 2020…

Però negli ultimi 10 anni la cosmologia ha effettivamente seguito le tendenze generali predette da Rees (tendenze che erano comunque già evidenti nel 2000). Il decennio trascorso ha effettivamente visto lo sviluppo di nuovi strumenti di osservazione a terra e su satellite, l’automatizzazione del processo di analisi dei dati e la loro disponibilità in rete attraverso grandi database e veri e propri osservatori virtuali, la capacità di calcolo sempre crescente per simulazioni sempre più complesse e raffinate. Invece quelli che Rees ha definito “giocatori di scacchi” stanno continuando la loro partita.

E sarà molto lunga.

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Elena Dalla Bontà

Elena Dalla Bontà svolge attività di ricerca presso il Dipartimento di Astronomia dell'Università degli Studi di Padova, dove si è laureata in Astronomia e ha conseguito il titolo di Dottore di Ricerca. Si occupa di evoluzione e dinamica delle galassie. Nel 2007 le è stato conferito il Premio Pietro Tacchini per la Tesi di Dottorato “Supermassive Black Holes and their Host Galaxies”. Ha soggiornato negli Stati Uniti e in Canada, compiendo ricerche presso la Rutgers University e l'Herzberg Institute of Astrophysics. Collabora inoltre con la University of Oxford in Gran Bretagna.

La scommessa di Rees, fatta nel 2000, sui problemi di cosmologia che si sarebbero risolti entro l’anno 2010 è stata vinta pressoché in tutti i punti da lui indicati. Sono stati fatti grandi progressi in questo decennio, nel determinare le componenti dell’Universo, ossia materia barionica per il 4%, materia oscura per il 23% ed energia oscura per il 73%. Tuttavia resta ancora sconosciuta la natura della materia oscura, anche se la recente impresa spaziale della NASA, il telescopio Fermi lanciato nel 2008, potrebbe darci qualche indicazione, mediante lo studio dei raggi gamma. Ancora più misteriosa appare la componente dell’energia oscura. Le osservazioni hanno comunque pienamente confermato quanto si intravedeva alla fine del secolo scorso, e cioè che l’universo è piatto ed è in espansione accelerata, l’accelerazione essendo causata dall’energia oscura.

Martin Rees fa sua la distinzione del teorico canadese Werner Israel fra cosmologia fondamentale e cosmologia ambientale. La prima riguarda quei pochi eletti che come “giocatori di scacchi” trattano le proprietà dell’universo nel suo complesso, la seconda, assimilata alla lotta libera nel fango, chi (me inclusa!) contribuisce a determinare con la “forza bruta” delle osservazioni astronomiche le proprietà ambientali dell’universo.

C’è stato un grande sviluppo delle osservazioni sia da terra che dallo spazio, testimoniato da un grande fiorire di telescopi e nuova strumentazione. Lo scorso anno è stato inaugurato ad esempio il Gran Telescopio Canarias, con lo specchio principale di 10,4 m di diametro, ubicato nell’isola di La Palma, nell’arcipelago delle Canarie, che va ad aggiungersi alla ricca serie di telescopi da terra della classe dei dieci metri. Sempre nel 2009 sono stati lanciati i telescopi spaziali dell’ESA, Herschel per le osservazioni nell’infrarosso e Planck, destinato a studiare il fondo cosmico di microonde. È stata inoltre effettuata con successo la quinta operazione di manutenzione sul telescopio Hubble, frutto di una collaborazione tra l’ESA e la NASA, durante la quale sette astronauti hanno riparato dei guasti e installato nuovi strumenti, lasciando un telescopio più potente e tecnologicamente più avanzato che continua a fornire sorprendenti risultati grazie ad osservazioni dall’ultravioletto al vicino infrarosso.

Già nei primi anni del decennio considerato è stata prodotta una delle più ambiziose simulazioni dell’universo, chiamata Millennium Run, con il più grande volume virtuale che sia mai stato realizzato. È stato simulato il modo in cui la materia si è ammassata all’interno di un cubo di oltre 2 miliardi di anni luce di lato.

Uno dei più fecondi campi di indagine della moderna astrofisica è quello della ricerca di pianeti extrasolari, di cui ne sono già stati individuati oltre 200 e proprio in questi ultimi anni c’è stata la scoperta di qualche pianeta dalle dimensioni di poco superiori a quella della Terra.

Lo studio di buchi neri supermassicci nelle galassie ha permesso di rilevare oggetti con masse fino a qualche miliardo di masse solari, mentre non è ancora chiaro quale sia il limite inferiore. Osservazioni recenti indicano che nella formazione della galassia si genera un oggetto centrale massiccio sotto forma di un buco nero o di un ammasso compatto di stelle. Nelle galassie più massicce, con masse maggiori di 10 miliardi di masse solari, i buchi neri sembrano essere la forma più probabile in cui si manifesta l’oggetto centrale supermassiccio.

La gran mole di dati astronomici che vengono via via raccolti ha permesso di costruire una banca dati enorme in tutte le lunghezze d’onda, che può essere consultata a tavolino da una notevole quantità di astronomi, la cui comunità è diventata sempre più numerosa e distribuita sulla superficie del pianeta, nel senso che anche paesi privi di grosse strumentazioni possono lo stesso avere accesso ai dati più recenti.

Per quanto riguarda la cosmologia come scienza fondamentale, ben dice Martin Rees quando afferma che “i giocatori di scacchi” (in contrapposizione ai “lottatori nel fango”) saranno ancora alla ricerca di una spiegazione profonda dell’inizio che probabilmente mai si raggiungerà.

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L’inchiesta completa è stata pubblicata su Coelum 142 – Ottobre 2010

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Diretta AstronautiCAST del ritorno sulla Terra di Samantha Cristoforetti

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Copertina della diretta AstronautiCAST del ritorno di Futura. Credit: Riccardo Rossi

Copertina della diretta AstronautiCAST del ritorno di Futura. Credit: Riccardo Rossi

Il podcast AstronautiCAST condurrà una diretta speciale del ritorno sulla Terra di Samantha Cristoforetti dalla missione Futura. La diretta videostreaming, che inizierà l’11 giugno 2015 dalle ore 14:15, sarà visibile sul sito live.astronauticast.com.

Tutti i dettagli per seguire lo speciale e fare domande verranno forniti sul sito di AstronautiCAST.

I conduttori di AstronautiCAST commenteranno in italiano le immagini di NASA TV, racconteranno curiosità e risponderanno alle domande del pubblico. La diretta seguirà le fasi principali fino all’atterraggio della capsula Soyuz. Collaboreranno a questo evento speciale il giornale digitale Linkiesta.it, il podcast scientifico Scientificast e la rivista Coelum Astronomia che diffonderanno la diretta e raccoglieranno le domande del loro pubblico.

La capsula Soyuz TMA-15M con a bordo Samantha lascerà la ISS e rientrerà nell’atmosfera atterrando nelle steppe del Kazakistan, dove la attenderanno le squadre di recupero. Insieme a Samantha fanno parte dell’equipaggio il comandante della della Soyuz, il cosmonauta russo Anton Shkaplerov di Roscosmos, e l’astronauta Terry Virts della NASA.

Il rientro concluderà la missione Futura di Samantha nell’ambito della Expedition 42/43. In questa missione ricca di emozioni l’astronauta ha trascorso quasi sette mesi sulla Stazione Spaziale Internazionale conducendo un intenso programma di ricerca scientifica, attività di gestione della stazione spaziale, e iniziative di comunicazione pubblica.

AstronautiCAST, un’iniziativa dell’Associazione ISAA, è il primo podcast italiano sull’astronautica e lo spazio. Attivo dal 2007, gli episodi settimanali informano sulle novità del settore, parlano di tecnologie e missioni spaziali, raccontano la storia dell’esplorazione spaziale e ospitano esperti per approfondimenti. Il podcast ha intervistato astronauti, responsabili di missione, direttori di volo, funzionari di agenzie spaziali, tecnici, e altri esperti. Nel 2011 AstronautiCAST ha vinto l’European Podcast Award nella categoria Best non profit Podcast in Italy.

Copyright immagine: Riccardo Rossi

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Associazione Astronomica Mirasole

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13.06: “La Terra. L’importanza degli impatti
cosmici per la sua nascita ed evoluzione, il caso
Tunguska 1908” a cura di Luca Gasperini.
ufficio.stampa@astromirasole.it
www.astromirasole.it

Gruppo Astrofili DEEP SPACE

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12.06: “Verso il solstizio” proiezione a cura di Maria
Edvige Ravasio.

Per info: 0341.367584
www.deepspace.it

Venere in congiunzione con l’ammasso aperto del Presepe

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La sera del 13 giugno, intorno alle 22, Venere raggiungerà nel Cancro la parte settentrionale del noto ammasso aperto “del Presepe”, altrimenti conosciuto con la sigla M44. Per geometrie legate alla suo essere pianeta interno, e quindi con un’elongazione dal Sole limitata, le congiunzioni più strette di Venere con l’ammasso (considerando distanze angolari inferiori a un grado) possono avvenire solo nei mesi di giugno, luglio e agosto. Le uniche osservabili sono però quelle che avvengono in giugno (a intervalli di 3 e 5 anni) poco dopo il crepuscolo serale; in luglio e agosto, infatti, l’elongazione dell’ammasso dal Sole è troppo ridotta.

Per le effemeridi di Luna e pianeti vedere il Cielo di giugno

Pio & Bubble Boy – Coelum n.193 – 2015

Pio e Bubble Boy - Mario Frassati - Coelum 193
Pio e Bubble Boy - Mario Frassati - Coelum 193

Questa Vignetta è pubblicata su Coelum n.193 – 2015. Leggi il Sommario. Guarda le altre vignette di Pio&Bubble Boy

Getti notturni sulla cometa di Rosetta

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Quest’immagine della cometa di Rosetta è stata raccolta il 25 aprile 2015 da una distanza di circa 93 km e presenta getti di polvere chiaramente distinguibili lungo zone dove il Sole era già tramontato. Crediti: ESA/Rosetta/MPS for OSIRIS Team MPS/UPD/LAM/IAA/SSO/INTA/UPM/DASP/IDA

Quest’immagine della cometa di Rosetta è stata raccolta il 25 aprile 2015 da una distanza di circa 93 km e presenta getti di polvere chiaramente distinguibili lungo zone dove il Sole era già tramontato. Crediti: ESA/Rosetta/MPS for OSIRIS Team MPS/UPD/LAM/IAA/SSO/INTA/UPM/DASP/IDA

Quando scende la notte sulla cometa di Rosetta, la 67P/Churyumov-Gerasimenko, il suo corpo dalle forme bizzarre rimane molto attivo. Questo è ciò che si osserva nelle recenti immagini della regione denominata Ma’at, situata sulla “testa” della cometa, catturate dallo strumento OSIRIS, il sistema di imaging a bordo della sonda spaziale Rosetta a cui ha contribuito significativamente l’Università di Padova con il CISAS. Tali immagini sono state raccolte mezz’ora dopo il tramonto del Sole sulla regione e mostrano getti di polvere che si disperdono nello spazio. I ricercatori del team di OSIRIS ritengono che alla base di questo fenomeno ci sia il riscaldamento progressivo della cometa.

«Solo di recente abbiamo abbiamo iniziato ad osservare i getti di polvere che persistono anche dopo il tramonto», dice il Principal Investigator di OSIRIS Holger Sierks del Max Planck Institute for Solar System Research (MPS) in Germania. Negli ultimi mesi l’attività della cometa si collocava nelle aree illuminate dal Sole. Subito dopo il tramonto questi getti si abbassavano e non si risvegliavano se non alla successiva alba. Un’eccezione è rappresentata dall’immagine dal 12 marzo 2015 che mostra l’inizio di un getto di polvere proveniente da una zona vicina a quella in cui inizia l’alba.

Secondo gli scienziati del team OSIRIS, la presenza di getti anche dopo il tramonto è un nuovo segno dell’attività crescente della cometa. «Attualmente 67P si sta avvicinando al perielio, che è previsto per metà agosto», ha dichiarato Sierks. Nel momento in cui l’immagine è stata scattata la cometa e il Sole si trovavano ad appena 270 milioni di chilometri di distanza. «L’irraggiamento solare sta diventando sempre più intenso, e quindi la superficie illuminata sta aumentando la propria temperatura», ha aggiunto Sierks.

Dettaglio dei getti di polvere notturni su 67P. Crediti: ESA/Rosetta/MPS for OSIRIS Team MPS/UPD/LAM/IAA/SSO/INTA/UPM/DASP/IDA

Le prime analisi suggeriscono che la cometa potrebbe immagazzinare questo calore per un po’ di tempo nei suoi strati superficiali. «Mentre la polvere che copre la superficie della cometa si raffredda rapidamente dopo il tramonto, gli strati più profondi mantengono il calore per un periodo di tempo più lungo», afferma Xian Shi, scienziato del team OSIRIS presso il MPS, che ha esaminato i getti sulla superficie della cometa. Gli scienziati sospettano che in questi strati vi sia la scorta di gas congelati che alimenta l’attività della cometa.

Anche missioni cometarie del passato, come Stardust sulla cometa 81P/Wild 2 e Deep Impact sulla cometa 9P/Tempel 1, avevano osservato la presenza di getti lungo la superficie notturna. «Ma solo grazie alle immagini ad alta risoluzione di OSIRIS possiamo studiare questo fenomeno nel dettaglio», ha concluso Sierks.

Associazione Ligure Astrofili Polaris

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12.06: APPROFONDIMENTO CORSO BASE: “I
corpi transnettuniani e la sonda New Horizons in
dirittura d’arrivo per Plutone” di Luigi Pizzimenti.
Per il programma completo andare al sito.
Per info: cell. 346.2402066 – info@astropolaris.it
www.astropolaris.it

Gruppo Astrofili DEEP SPACE

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12.06: “Verso il solstizio” proiezione a cura di Maria
Edvige Ravasio.
Per info: 0341.367584 – www.deepspace.it

Società Astronomica Fiorentina

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12.06: “Serata Evento dedicata a Venere”.
Per info: cell. 377.1273573 – presidente@astrosaf.it
www.astrosaf.it

Al Planetario di Ravenna

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09.06: “Viaggio nel tempo: le costellazioni fra
passato e futuro” di Claudio Balella.
Prenotazione sempre consigliata.
Per info: tel. 0544.62534 – info@arar.it
www.racine.ra.it/planet – www.arar.it

Società Astronomica Fiorentina

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09.06: “Esopianeti e la vita al di là del nostro
sistema solare” di Lorenzo Betti.
Per info: cell. 377.1273573 – presidente@astrosaf.it
www.astrosaf.it

Al Planetario di Ravenna

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09.06: “Viaggio nel tempo: le costellazioni fra passato e futuro” di Claudio Balella.

Prenotazione sempre consigliata.
Per info: tel. 0544.62534 – info@arar.it
www.racine.ra.it/planet – www.arar.it

Associazione Cascinese Astrofili

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07.06, ore 9:30: Osservazione pubblica del Sole
alla “Festa dei trapianti”. Saremo all’interno della
manifestazione organizzata dall’Associazione
“Per Donare la vita”, presso: Ippodromo di San
Rossore (PI).
Per informazioni:
Domenico Antonacci Cell: 347-4131736
domenico.antonacci@astrofilicascinesi.it
www.astrofilicascinesi.it

Gruppo Astrofili Lariani

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06.06: Osservazione dedicata a Giove, Venere e
Saturno.
Per informazioni: Tel 347.6301088
info@astrofililariani.org
www.astrofililariani.org

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