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LE DIRETTE, inizio ore 21:30:

25 aprile: OCCHI AL CIELO

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VII edizione del Premio Internazionale Federico II e i Poeti tra le stelle

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premio2019-01-rit

premio2019-01-ritÈ partita la VII edizione del Premio Internazionale Federico II e i Poeti tra le stelle, concorso artistico-letterario per autori di opere ispirate al cosmo e agli oggetti celesti. Il bando, che scadrà il 30 aprile 2019, è aperto anche a tutti gli studenti delle scuole italiane.

Quattro le categorie:

– Federico II e i Poeti tra le stelle VII edizione dedicata alle opere poetiche

– V edizione De Arte narrandi dedicata alle opere narrative

– IV edizione Stupor Mundi dedicata alle opere artistiche

– VII edizione Puer Apuliae dedicato agli studenti

La cerimonia di premiazione si svolgerà in Puglia nel mese di luglio 2019.
Tutte le opere saranno pubblicate sul sito: www.poetitralestelle.it e sulla pagina facebook del Premio www.facebook.com/poetitralestelle/
BANDO PREMIO POETI TRA LE STELLE_VII EDIZIONE 2019
www.astropuglia.it

Una nube forgiata da due stelle per il 29° compleanno di Hubble ST

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La Nebulosa Granchio Australe. Credit: NASA, ESA, and STScI

Il 24 aprile 1990, il telescopio spaziale Hubble ha iniziato il suo glorioso viaggio nello spazio. In 29 anni questa nostra, straordinaria finestra sul cosmo ha rivoluzionato il modo in cui studiamo l’astronomia, oltre a mostrarci un Universo dalla bellezza strabiliante. Ogni anno il team di Hubble pubblica un’immagine speciale, in occasione dell’anniversario del telescopio. L’oggetto scelto per quest’anno è una meravigliosa planetaria, la Nebulosa Granchio Australe (Southern Crab Nebula), dall’aspetto simile a due clessidre annidate una dentro l’altra.

La nube, così chiamata per distinguerla dalla ben nota Nebulosa del Granchio, un resto di supernova nella Costellazione del Toro, è stata creata dalla turbolenta relazione tra un’insolita coppia di stelle al suo centro. Una delle due è una gigante rossa, una stella che ha consumato il suo combustibile nucleare, per poi gonfiarsi espellendo nello spazio gli strati gassosi esterni, attraverso un energico vento stellare. Parte del materiale espulso dalla gigante viene trascinato dalla gravità verso la compagna, una piccola e densa nana bianca, residuo derivante dalla morte di una stella simile al Sole. Quando l’accumulo di gas sulla sua superficie raggiunge una soglia critica, anche la nana bianca espelle materia nello spazio, dando luogo a un’eruzione improvvisa.

Nell’immagine la Nebulosa ripresa dal telescopio Hubble nel 1999 Credit: Romano Corradi, Instituto de Astrofisica de Canarias, Tenerife, Spain; Mario Livio, Space Telescope Science Institute, Baltimore, Md.; Ulisse Munari, Osservatorio Astronomico di Padova-Asiago, Italy; HugoSchwarz, Nordic Optical Telescope, Canarias, Spain; and NASA/ESA

Secondo gli astronomi la complessità della nube è dovuta alle burrascose ed episodiche eruzioni, conseguenti all’interazione tra le due stelle. Alla fine la gigante rossa cesserà di espellere gli strati esterni, smettendo di alimentare la compagna, per poi finire i suoi giorni anch’essa come nana bianca. Ma prima che ciò accada, altre emissioni di materiale creeranno strutture ancora più complesse. La nebulosa era già stata immortalata da Hubble nel 1999, ma questa nuova ripresa rivela in dettaglio le complessità al suo interno, suggerendo che le strutture a forma di clessidra corrispondano a diversi eventi eruttivi, avvenuti a distanza di varie migliaia di anni. La Nebulosa del Granchio Australe sfoggia la sua bellezza a circa 7.000 anni luce di distanza dalla Terra, nella Costellazione del Centauro. L’immagine rappresenta l’ennesima dimostrazione del ruolo fondamentale svolto dal telescopio Hubble nello svelare oggetti tra i più straordinari e misteriosi del cosmo.

Fonte: https://www.spacetelescope.org/news/heic1907/


I Segreti della Via Lattea
Il nuovo volto e il destino della nostra galassia svelati da Gaia!

Coelum Astronomia di Aprile 2019
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Finalmente individuata nello spazio la molecola “mancante”.

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Illustrazione della nebulosa planetaria NGC 7027 e delle molecole di idruro di elio, una combinazione di elio (in rosso) e idrogeno (in blu), il primo tipo di molecola a formarsi nell'universo primordiale. Crediti: NASA / SOFIA / L. Proudfit / D.Rutter
Illustrazione della nebulosa planetaria NGC 7027 e delle molecole di idruro di elio – una combinazione di elio (in rosso) e idrogeno (in blu) – il primo tipo di molecola a formarsi nell'universo primordiale e per la prima volta individuato nell'universo moderno. Crediti: NASA / SOFIA / L. Proudfit / D.Rutter

Il primo tipo di molecola che si sia mai formata nell’universo è stata per la prima volta rilevata nello spazio dopo decenni di ricerche, grazie allo Stratospheric Observatory for Infrared Astronomy SOFIA della NASA.

Alle origini dell’Universo esistevano solo pochi tipi di atomi. Circa 100 mila anni dopo il Big Bang l’elio e l’idrogeno si sono per la prima volta combinati dando origine alla prima molecola della storia dell’universo: l’elio idruro. Una molecola che, almeno in alcune parti del nostro universo, dovrebbe essere ancora presente, e che invece, pur sapendo dove cercarla, non si era ancora mai riusciti a individuarla.

Proprio come un anello mancante nell’evoluzione, mancava la prova dell’esistenza nello spazio di questo primo anello dell’evoluzione dell’universo.

Un'immagine, in luce visibile e infrarossa, di NGC 7027 ripresa dal telescopio spaziale Hubble nel 1998. Offre una visione completa di come si è modellata nel tempo, rivelando i diversi passi della sua evoluzione. Credito: William B. Latter (SIRTF Science Center / Caltech) e NASA / ESA

SOFIA, un telescopio riflettore dal diametro di 2,5 metri a bordo di un Boeing 747SP, ha trovato questa molecola in una nebulosa planetaria, residuo di una stella simile al Sole. NGC 7027, questa la sigla della nebulosa, si trova a 3000 anni luce di distanza, nei dintorni della costellazione del Cigno. Una nebulosa che aveva tutte le caratteristiche per permettere a questa misteriose molecole di formarsi, e che oggi conferma quello che conosciamo della chimica dell’universo primordiale e di come si sia evoluta fino a diventare la complessa chimica dell’universo di oggi. I risultati dello studio sono pubblicati nel numero di questa settimana di Nature.

«Questa molecola era in agguato là fuori, ma avevamo bisogno degli strumenti giusti per fare osservazioni nella giusta posizione – e SOFIA è stata in grado di farlo perfettamente», ha dichiarato Harold Yorke, direttore del SOFIA Science Center, nella Silicon Valley in California.

Il nostro universo, oggi, pullula di enormi strutture complesse, dalle galassie, alle stelle e i loro pianeti, ma più di 13 miliardi di anni fa, dopo il Big Bang, tutto quello che esisteva erano pochi atomi e altissime temperature. Quando gli atomi cominciarono a formare le prime molecole, l’universo fu finalmente in grado di raffreddarsi e cominciare e prendere forma.

E proprio questa prima molecola, l’idruro di elio, potrebbe aver poi interagito con l’idrogeno per creare l’idrogeno molecolare, alla base della formazione delle prime stelle. Le stelle poi hanno forgiato tutti gli elementi dell’universo che conosciamo oggi, ma mancava questo primo passo. Questa molecola che doveva esserci ma non si trovava. Fino ad ora…

«La mancanza di prove dell’esistenza dell’elio idruro nello spazio interstellare era un dilemma per l’astronomia per decenni», ha spiegato Rolf Guesten dell’Istituto Max Planck per l’astronomia radio, a Bonn, in Germania, e autore principale dell’articolo.

L’idruro di elio, oltretutto, è una molecola schizzinosa. L’elio stesso è un gas nobile che tende difficilmente a combinarsi con qualsiasi altro tipo di atomo. Ma nel 1925, gli scienziati furono in grado di creare la molecola in laboratorio forzando l’elio a condividere uno dei suoi elettroni con uno ione idrogeno.

Solo alla fine degli anni ’70, gli scienziati che studiavano la nebulosa planetaria NGC 7027, ritennero che potesse essere l’ambiente giusto per formare l’idruro di elio. La radiazione ultravioletta e il calore delle vecchie stelle dell’ammasso creano le condizioni adatte per questa molecola, non così propensa a formarsi. Ma non riuscirono a individuarla. Studi sucessivi davano sempre più per certa la sua presenza, ma i telescopi spaziali utilizzati non avevano la tecnologia specifica per distinguere il segnale dell’elio idruro nell’insieme delle altre molecole nella nebulosa.

Nel 2016, si chiese aiuto a SOFIA. Viaggiando a 14 chilometri circa di altezza, le osservazioni  non subiscono le interferenze degli strati più bassi e umidi dell’atmosfera terrestre, lasciando passare quasi l’85% in più della radiazione infrarossa e, a differenza dei telescopi spaziali, forse più avvantaggiati ancora da questo punto di vista, SOFIA può spostarsi sul globo per osservare la zona di cielo desiderata e rientrare a Terra quando vuole, potendo così essere costantemente aggiornato con gli strumenti più recenti.

«Siamo in grado di sostituire gli strumenti e installare la tecnologia più recente», ha dichiarato Naseem Rangwala, vice-scienziato del progetto SOFIA. «Questa flessibilità ci consente di migliorare le osservazioni e rispondere alle domande più pressanti alle quali gli scienziati vogliono dare una risposta».

Un recente aggiornamento a uno degli strumenti SOFIA, il German Receiver a frequenze terahertz (GREAT), ha aggiunto al rilevatore un canale specifico per l’idruro di elio che i precedenti telescopi non avevano. Lo strumento funziona come un ricevitore radio: si sintonizza sulla frequenza della molecola che si sta cercando, in modo simile alla sintonizzazione di una radio FM sulla stazione giusta. Quando SOFIA ha preso il volo nei cieli notturni, i ricercatori hanno potuto essere a bordo per leggere i dati dallo strumento in tempo reale, e il segnale dell’elio idruro è finalmente arrivato forte e chiaro.

«È stato così eccitante trovarsi lì, vedere l’idruro di elio tra i dati per la prima volta», ha detto Guesten. «È il lieto fine di una lunga ricerca ed elimina i dubbi sulla nostra comprensione della chimica dell’universo primordiale».


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Coelum Astronomia di Aprile 2019
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La Luna incontra Giove

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La mattina del 23 aprile, alle 5:30 circa, guardando verso ovest-sudovest sarà possibile ammirare una bella congiunzione – non strettissima, circa 4° 30’ di separazione – tra la Luna (fase dell’84%) e il brillante pianeta Giove (mag. –2,4).

Il nostro satellite naturale si troverà a ovest rispetto a Giove e i due astri saranno alti circa 25° sull’orizzonte. Il quadro è  completato dalla presenza a poca distanza della rossa stella Antares (mag. +1,05), stella alfa della costellazione dello Scorpione, la cui figura è facilmente riconoscibile più verso ovest.

I due astri potremo in realtà osservarli fin dal loro sorgere (poco dopo la mezzanotte della sera prima) attraversare il cielo da sudest verso  sudovest, quando potremo riprenderli immersi nel paesaggio.

E con temperature e meteo che devono ancora “sistemarsi”, nubi e foschie sono sempre in agguato. Può essere allora un buon momento per provare a scorgere, e riprendere, un effetto ottico suggestivo che può dare qualcosa in più alle vostre immagini: la Corona Lunare.

Scopriamolo non solo con questa bellissima immagine (qui a destra) di Giorgia Hofer, ma anche con i suoi consigli e i racconti delle sue avventure astrofotografiche.

La Corona Lunare

Le effemeridi di Luna e pianeti le trovi nel Cielo di Aprile 2019

E ancora su Coelum astronomia di aprile:

Le falci Lunari di Aprile

➜ Leggi le indicazioni di Giuseppe Petricca sui principali passaggi della ISS

➜ La LUNA di aprile.
Approfondimento: Guida all’osservazione della regione polare settentrionale (Parte D).

➜ La Chioma di Berenice (I parte): storia e mito


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Tgo passa al setaccio l’atmosfera marziana

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La sonda Trace Gas Orbiter analizza l’atmosfera marziana. Crediti: Esa/Atg Medialab

La ricerca di metano nell’atmosfera del Pianeta Rosso e l’analisi delle polveri sospese sono gli argomenti principali delle indagini svolte da un team di ricercatori dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv), dell’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf) e dell’Agenzia spaziale italiana (Asi). La missione dell’Agenzia spaziale europea (Esa) e RosCosmos ExoMars ha utilizzato strumenti che vedono un fondamentale contributo italiano, sia dal punto di vista scientifico sia dal punto di vista tecnologico e industriale, con Thales Alenia Space Italia alla guida della progettazione di entrambe le missioni ExoMars e il forte supporto fornito dall’Asi.

«La sonda Tgo», spiegano Giancarlo BellucciGiuseppe Etiope, i due ricercatori italiani dell’Inaf e dell’Ingv che hanno collaborato allo studio, «attraverso i due spettrometri ad alta precisione Nomad e Acs, ha scandagliato l’atmosfera di Marte a varie latitudini da aprile ad agosto del 2018 non rilevando, in questa fascia spazio-temporale, il metano. Il gas potrebbe però esistere a concentrazioni inferiori rispetto a quelle rilevabili dagli strumenti (0.05 parti per miliardo in volume, o ppbv)».

Tale risultato è solo apparentemente in contrasto con le precedenti rilevazioni di metano effettuate attraverso telescopi terrestri, il rover Curiosity della Nasa e, recentemente, attraverso la sonda europea Mars Express, e apre a nuove interpretazioni poiché sulla base delle conoscenze attuali, il metano, una volta rilasciato nell’atmosfera di Marte, dovrebbe diffondersi velocemente ovunque, persistendo per alcune centinaia di anni.

«In particolare», prosegue Giancarlo Bellucci dell’Inaf, «il metano su Marte sembra apparire e scomparire velocemente, suggerendo la presenza di un meccanismo di distruzione in grado di rimuovere efficientemente tale gas dall’atmosfera. Diversi meccanismi sono già stati proposti e alcuni di questi sembrano essere in grado di spiegare le variazioni spazio-temporali osservate. Tuttavia, si tratta ancora di risultati preliminari di simulazioni o di esperimenti eseguiti in laboratorio su campioni limitati, la cui validità e importanza statistica dovrà essere dimostrata da ulteriori studi».

Alcuni ricercatori considerano plausibile la variabilità della presenza di metano nell’atmosfera marziana.

«Il metano», chiarisce Giuseppe Etiope dell’Ingv, «potrebbe essere prodotto all’interno del pianeta e la sua migrazione e fuoruscita nell’atmosfera potrebbe avvenire solo in certe zone, geologicamente idonee, specialmente dove esistono faglie e fratture nelle rocce. Abbiamo già verificato in studi precedenti che, come sulla Terra, questa fuoriuscita di gas dalle rocce può essere episodica e saltuaria. Questo spiegherebbe in parte le variazioni di metano rilevate finora. Rimane però l’ipotesi del meccanismo di rimozione rapida del gas dall’atmosfera: questo è l’aspetto da scoprire nel prossimo futuro. Comunque la sonda Tgo non rileva metano in concentrazioni al di sotto di 0.05 ppbv. Con questo limite è ancora possibile avere emissioni locali di metano, simili ad alcune osservate sulla Terra, che una volta diluite nell’atmosfera marziana darebbero luogo a una bassa concentrazione di fondo. Il metano potrebbe dunque essere rilevato solo in prossimità della zona di emissione e in un periodo non troppo lontano dall’evento di rilascio».

Inoltre, al fine di analizzare le polveri sospese, i due spettrometri a bordo della sonda Tgo hanno realizzato le prime misurazioni ad alta risoluzione dell’atmosfera marziana durante una tempesta di sabbia con il metodo dell’occultazione solare, osservando cioè come la luce del Sole viene assorbita nell’atmosfera, rivelando così la composizione chimica dei suoi costituenti.

«La misura del profilo verticale dell’acqua in condizioni di tempesta di polvere globale ha permesso di determinare gli effetti del riscaldamento atmosferico sulla distribuzione del vapore acqueo», spiega Giancarlo Bellucci. «In condizioni normali, infatti, il vapore acqueo condensa sotto i 40 km. A causa della tempesta globale, invece, l’atmosfera si riscalda e il vapore acqueo può migrare a quote più elevate. Questo meccanismo era previsto dai modelli di circolazione atmosferica ma questa è la prima volta che viene osservato. La sonda Tgo, inoltre, ha anche misurato per la prima volta la distribuzione verticale di un isotopo dell’acqua, importante per la comprensione della storia dell’acqua su Marte».

Ciò ha permesso di ricostruire la distribuzione verticale del vapore acqueo e dell’acqua semi-pesante(in cui uno dei due atomi di idrogeno è sostituito da un atomo di deuterio, una forma di idrogeno con un neutrone aggiuntivo) dalla prossimità della superficie marziana fino a oltre 80 km di altezza. I nuovi risultati evidenziano l’azione che esercita la polvere presente nell’atmosfera sul vapore d’acqua, così come la perdita di atomi di idrogeno nello spazio.

«Alle latitudini settentrionali», conclude Ann Carine Vandaele, del Royal Belgian Institute for Space Aeronomy (Bira-Iasb) e principal investigator di Nomad, «abbiamo osservato nuvole di polvere a quote di circa 25-40 km che in precedenza non erano state rilevate, mentre alle latitudini meridionali abbiamo visto strati di polvere spostarsi a quote più alte».

Guarda il servizio video su Media Inaf Tv:

Per saperne di più:


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Astrobiologia: alla ricerca della vita nel cosmo

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16 aprile: PALE BLUE DOT
SEADS con Fabio DALMONTE

25 aprile: OCCHI AL CIELO

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Dall’osservazione alla determinazione delle orbite delle stelle doppie

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Circolo Culturale Astrofili Trieste

Quasi sulla Luna. Beresheet, il lander israeliano, non ce l’ha fatta.

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L'ultima immagine postata su twitter da SpaceIL (@TeamSpaceIL), poco prima che iniziassero i problemi. Berensheet è a 22 chilometri dalla Luna. Crediti: SpaceIL

Berensheet, il lander privato israeliano di SpaceIL, non ce l’ha fatta. Al momento dell’atterraggio l’imprevisto, e la sua corsa è finita si sulla Luna, ma non con l’atterraggio morbido che ci si aspettava.

La trasmissione in diretta di ieri sera, alle 21 circa italiane dell’11 aprile, ha seguito le manovre che avrebbero dovuto portare il lander nel mare della Serenità, sul lato visibile della Luna. In area spettatori, con i membri del team di Beresheet al lavoro in sala controllo, anche il neo rieletto primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu.

L'ultima immagine che sarebbe arrivata dalla Beresheet, prima di schiantarsi sul suolo lunare. Ancora non c'è la conferma dalla telemetria, ma l'immagine è stata ricevuta dal team controllo quando il lander era a circa 7,5 km dalla superficie.

Ma a pochi chilometri dalla meta, nella fase di riorientamento della sonda, i primi problemi. Un guasto al motore principale, …non funziona. Si tenta un riavvio dei sistemi, sembra quasi di farcela… ma no, niente. La telemetria segnala l’inevitabile. La sonda prende velocità e, a poco più di un centinaio di metri dalla superficie lunare, si interrompono le comunicazioni.

È la fine di un sogno, un sogno che comunque è arrivato lontano, più lontano di quanto si poteva immaginare: ha portato in orbita lunare Israele. Ed era già un successo.

Ma sarebbe dovuta essere ben di più per il paese: il primo lander israeliano e il primo gruppo privato non governativo ad arrivare sulla superficie lunare. Due primati che avrebbero inserito Israele nella ristretta cerchia dei paesi scesi sulla Luna: Stati Uniti, Unione Sovietica (Russia), Cina e India.

SpaceIL è infatti nata per partecipare al Lunar X Prize di Google che, nel 2007, ha lanciato una sfida alle compagnie private perché costruissero un veicolo spaziale che potesse atterrare sulla Luna. 30 milioni di dollari per il progetto vicente. La scadenza è stata prorogata più volte, in attesa di qualcuno che reclamasse il premio, fino al 5 aprile 2018, quando si sono arresi.

Il viaggio della Beresheet inizia a bordo del Falcon 9. Crediti: SpaceX

Il 21 febbraio 2019, Beresheet viene comunque lanciata verso il suo sogno a bordo di un Falcon 9 della SpaceX. A realizzarlo hanno contribuito 100 milioni di dollari raccolti da imprenditori e Istituti di ricerca, con l’appoggio delle Industrie Aerospaziali Israeliane (Iai) e dell’Agenzia Spaziale Israeliana (Isa). La NASA ha fornito la tecnologia per le comunicazioni, ma anche da altri paesi sono arrivati contributi, come dalla Swedish Space Corporation, mentre in Italia è stato il gruppo Leonardo a realizzare, in provincia di Milano, i pannelli solari.

«Non ce l’abbiamo fatta, ma ci abbiamo sicuramente provato, e il risultato di arrivare dove siamo arrivati è davvero eccezionale», ha detto Morris Khan, un imprenditore israeliano tra i grossi finanziatori di Beresheet. «Possiamo esserne orgogliosi!».

Ma SpaceIL non si arrende, il primo ministro israeliano annuncia, in ebraico, che «Un lander istraeliano atterrerà sulla Luna! È una promessa! Una promessa! Tra due o tre anni». Parliamo di un progetto privato e non governativo, ma è indubbio che il governo di Israele l’abbia fatto suo e gli si voglia dare anche un impatto (legittimamente) nel panorama politico internazionale del momento…

E le sue parole arrivano in contemporanea con il twit del presidente della X Prize Foundation, Peter Diamandis, che annuncia che 1 milione di dollari, del Moonshot Award, verranno comunque assegnati a SpaceIL, come contributo al notevole risultato raggiunto e per supportare un secondo tentativo.

…e Beresheet 2.0 sia!


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13 aprile: la Luna occulta M 44

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La sera del 13 aprile potremo assistere a un evento interessante che coinvolge il nostro satellite naturale, la Luna, e l’ammasso del Presepe, M 44. Nonostante si trovi in fase del 61%, e quindi con una luminosità non trascurabile, tra le ore 21:00 del 13 aprile e l’1:00 del 14 aprile, sarà comunque possibile osservare il lembo oscuro della Luna occultare in successione alcune stelle che compongono l’ammasso, le più luminose delle quali hanno magnitudine compresa tra la +6 e la +7.

La minima distanza dal centro dell’ammasso sarà raggiunta attorno alla mezzanotte. Sarà possibile seguire il fenomeno al binocolo o al telescopio.

Se si desidera effettuare scatti fotografici al fenomeno, si ricorda che, a grande campo, per far risaltare le deboli stelle di M 44 sarà necessario aumentare il tempo di esposizione, cosa che comporta una forte sovraesposizione della Luna. Meglio tentare la ripresa ad alto ingrandimento (per la quale sarà necessario un teleobiettivo o, meglio, un telescopio) del momento dell’occultazione di una delle stelle al lembo lunare oscuro.

Maggiori dettagli nel Calendario degli eventi giorno per giorno!

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Tutti consigli per l’osservazione del Cielo di Aprile su Coelum Astronomia 232

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L’ultimo uomo sulla Luna

L’ultimo uomo sulla Luna

L’astronauta Gene Cernan e la corsa allo spazio degli Stati Uniti

Cernan è scomparso il 16 gennaio 2017 a 82 anni, ma ha lasciato una grande eredità. Il libro, scritto a quattro mani con il giornalista Don Davis, con un linguaggio chiaro e diretto, racconta il punto di vista del comandante dell’ultima missione umana sulla luna: Apollo 17.

Diversi anni fa, a Cape Canaveral (con me anche Paolo Attivissimo), avevamo parlato del progetto a Gene Cernan, proprio nei giorni in cui giravano il documentario sulla sua incredibile vita. Ci disse: «parlatene con il mio editore, io sarò felice che anche gli italiani possano leggerlo». Il lavoro appariva improbo, ma qualche anno dopo un editore coraggioso ha deciso di raccogliere la sfida.

Nel momento in cui ci apprestiamo a celebrare il 50° anniversario dell’uomo sulla Luna, una piccola casa editrice di Bologna, Cartabianca Publishing, con lodevole iniziativa ha deciso di pubblicare l’edizione italiana del libro di Cernan e Davis, sia in versione cartacea – acquistabile solo direttamente presso il sito www.cartabianca.com – che in formato ebook. Dallo scorso 13 dicembre è infatti disponibile anche in Italia “L’ultimo uomo sulla Luna”: il poderoso (384 pagine!) e avvincente racconto di Eugene Cernan, uno spaccato di quegli anni straordinari che hanno esteso non solo metaforicamente i confini fisici e mentali dell’umanità.

L’ultimo uomo sulla Luna

L’astronauta Gene Cernan e la corsa allo spazio degli Stati Uniti

di Eugene Cernan e Don Davis
Cartabianca editore, dicembre 2018

Formato cartaceo: (384 pagine – € 17,90) disponibile solo presso lo store online della casa editrice.
Prezzo: € 17,90

Formato Ebook: Kindle, Apple iPad e in formato “universale” ePub (presso il sito della casa editrice e tutti i maggiori rivenditori online).
La versione ebook contiene un’estesa galleria fotografica di immagini appositamente restaurate, molte delle quali inedite e provenienti dagli archivi della famiglia Cernan.
Prezzo: € 17,90

Anteprima ebook in pdf

Cos’ha di speciale questo libro da renderlo diverso dai pochissimi altri scritti da astronauti di quell’epoca e disponibili in italiano? Innanzitutto lo stile di Cernan, sicuramente “limato” da un giornalista esperto qual è Davis: è assolutamente discorsivo, raramente magniloquente e con un impiego di terminologia tecnica e gergale limitata strettamente alla funzionalità della narrazione. Come lo stesso celeberrimo regista di Apollo 13, Ron Howard, ebbe a dichiarare: «Niente fisica avanzata, niente paroloni scientifici, solo le memorie assolutamente affascinanti del ruolo cruciale avuto da Cernan nella conquista dello spazio». Ciò non significa però che il testo sia esageratamente semplificato, né che il suo linguaggio sia edulcorato. Si tratta semplicemente di un testo da leggere tutto d’un fiato, dal quale traspare chiarissimo, fin dai primi paragrafi, l’altro pregio de “L’ultimo uomo sulla Luna”: la sua schiettezza e immediatezza.

Molti libri scritti da astronauti d’oltreoceano tendono a “premere l’acceleratore” sull’aspetto epico di quelle imprese, alimentando ego sicuramente un po’ ingombranti che talvolta prendono il sopravvento sulla narrazione stessa, risultando in testi stucchevoli e sempre un po’ sopra le righe, con quel carattere da eroe USA senza macchia e senza paura che poco ha a che fare con la realtà dei fatti. Il libro di Cernan è quasi l’opposto: è vero che si tratta di un libro scritto da un astronauta a stelle e strisce ma, a differenza dei suoi colleghi, il comandante dell’Apollo 17 preferisce non nascondere il lato umano delle proprie vicende personali, soprattutto per quanto riguarda i rapporti con i propri familiari, amici e colleghi.
Forse non sarà poetico come Michael Collins, ma nemmeno spaccone come Buzz Aldrin, né troppo controllato come Neil Armstrong. Quindi molto spazio all’uomo, e poco al superuomo, nelle righe di questo libro in cui vengono portate alla luce l’ambizione e la paura, la gioia e lo stress, la meraviglia per il creato e lo sconforto per le tragedie umane.

Eugene Cernan nella foto di rito. Crediti: NASA

Uno dei punti di forza de “L’ultimo uomo sulla Luna” è proprio il rapporto intenso e per certi versi complesso e sfaccettato tra Cernan e la sua famiglia. Come la sua prima moglie Barbara sintetizzò mirabilmente in una frase passata alla storia: «Se credete che andare sulla Luna sia difficile, pensate a com’è per coloro che invece restano sulla Terra». E lo stesso profondo e intenso legame familiare fece sì che lo stesso Cernan lasciasse un segno indelebile sulla Luna, dedicato alla propria figlioletta Tracy, o a dedicare le ultime parole del libro alla propria nipotina Ashley.
E proprio la figlia e la nipote di Cernan hanno scritto appositamente per l’edizione italiana del libro – su richiesta della casa editrice Cartabianca – due toccanti postfazioni, in cui si riassume tutto ciò che il loro padre, e nonno, ha fatto dal 1999 al giorno della sua scomparsa.

Eugene Cernan è uno dei personaggi che più di altri, persino più del primo uomo a mettere piede sulla Luna, incarna l’ideale dell’epoca d’oro dell’astronautica. Questo personaggio non celeberrimo, con i piedi ben piantati a terra – come testimoniano le sue umili origini da figlio di immigrati cechi e slovacchi – ma con lo sguardo rivolto alle stelle, è quanto di più autentico si possa desiderare da chi ha letteralmente compiuto passi che sono entrati nella storia. Oltre ad avere partecipato alle missioni spaziali Gemini 9 e Apollo 10 (nelle quali ha orbitato rispettivamente, attorno alla Terra e alla Luna), Eugene Cernan è stato il comandante della missione Apollo conclusiva, la numero 17, ed è stato l’ultimo essere umano ad avere calpestato la superficie della Luna. Il 14 dicembre 1972, Gene Cernan, Comandante di Apollo 17, risaliva la scaletta del modulo lunare e decollava dalla valle lunare di Taurus-Littrow. Si concludeva così l’ultima esplorazione umana sulla luna.

Se si deve muovere qualche critica a “L’ultimo uomo sulla Luna”, si può dire che – pur avendo posto grande attenzione alle proprie vicende personali – Cernan è stato un po’ sbrigativo nel descrivere il resto della sua vita, dopo l’ultima storica missione spaziale, così come piuttosto soft è la trattazione di alcuni momenti di tensione, come ad esempio i rapporti piuttosto problematici con alcuni suoi colleghi o qualche reticenza nella descrizione di un suo noto incidente con un elicottero mentre volava radente sul mare. Ma questo è nel suo stile: lasciare da parte il gossip per concentrarsi su ciò che reputava veramente importante.
E gli si può perdonare anche il suo indulgere in qualche preferenza politica o nel descrivere qualcuno di quei piccoli privilegi che un uomo comune poteva solo sognarsi. Nel libro racconta dei grandi sacrifici che tutti gli astronauti e le loro famiglie dovettero affrontare e della consapevolezza degli enormi rischi a cui si esponevano. Ancora una volta, Cernan non ci parla solamente del lato eroico e affascinante della vita di un astronauta, ma anche delle paure, dei fallimenti e delle frustrazioni che dovettero sopportare per raggiungere l’obiettivo che appariva ai più impossibile.

Luigi Pizzimenti, autore della recensione, con Cernan. Copyright: Luigi Pizzimenti

Il mio rapporto personale con il Capitano era davvero unico. È stato fra i primi astronauti del programma Apollo che ho incontrato e da allora non ci siamo mai persi di vista. Era un uomo con una grande personalità, affabile e naturalmente orgoglioso della sua carriera astronautica.

Ogni volta che incontravi il comandante Cernan, sapeva coinvolgerti con la sua voce bassa e profonda che ti trasportava con lui sulla Luna e ti faceva rivivere le sue emozioni:
Cernan: «Una delle cose che ho osservato è che quasi nessuna delle domande che ricevo riguardano la tecnologia che abbiamo utilizzato. Le persone non chiedono quanto velocemente andavamo mentre orbitavamo intorno alla luna, le domande che le persone fanno sono sull’umanità di questa esperienza: che cosa sentivate? Come dormivate? Eravate spaventati? Vogliono sapere dell’esperienza del fare il primo passo sulla Luna. Rispondo che è stato importante per me e nessuno me lo può portare via. Per me i passi memorabili sono stati gli ultimi».

La sua esperienza è stata solo tecnologica o anche di fede?
«Quello che ho pensato mentre guardavo la Terra dalla Luna, è che era tutto troppo bello per essere accaduto per caso. Guardando la Terra, ho avuto la sensazione che fossi seduto sulla veranda di Dio».

Sulla Luna pensavate ai rischi che stavate correndo?
«Abbiamo trascorso tre giorni di duro lavoro, avevamo una missione da compiere. Ero consapevole che se fossi caduto e la mia tuta si fosse strappata o se il motore non si fosse riacceso potevo morire, ma non vivevo tutto ciò con paura. Siamo stati sempre consapevoli dell’ambiente ostile che ci circondava. Abbiamo scavato trincee e fatto carotaggi, scattato migliaia di foto di quella magnifica desolazione. Jack (Harrison Schmitt, pilota del modulo lunare) ha fatto un ottimo lavoro come geologo. Era sempre molto concentrato nel suo lavoro. Ho dovuto dirgli: Jack, prenditi una pausa, lo devi a te stesso, guarda dove sei».

Come si torna alla vita di tutti i giorni sulla Terra?
«Torni a casa ed è tutto normale. Avevo vissuto sulla luna per 72 ore e poi ero di nuovo nel mondo reale. È talmente incredibile che spesso mi chiedo se ho fatto quello che penso, se è successo davvero. Sono rimasto nel programma spaziale per 13 anni ed è stato come se qualcuno avesse tagliato quegli anni dalla mia vita e mi avesse messo in un mondo diverso – nel caso di Apollo 17 è stato letteralmente così – e poi mi avesse restituito di nuovo al mio mondo originale. È quasi come se avessi vissuto due vite diverse».

Gli astronauti sono delle persone speciali?
«Siamo solo la punta della lancia, Armstrong, Shepard, Lovell e tutti gli altri, abbiamo rappresentato le persone che ci hanno inviato sulla Luna. È importante ricordare che tutti insieme siamo andati sulla luna. Ecco perché fino a quando ci saremo, andremo ancora in giro a raccontare la nostra avventura, perché abbiamo la responsabilità di ispirare le nuove generazioni».

Ciò che conta davvero è che le memorie di Eugene Cernan – con tutti i suoi pregi ma soprattutto tutti i suoi difetti, che lo rendono ancora più umano e forse più grande proprio perché non infallibile – siano ora disponibili anche per i lettori italiani.
E chissà se fra loro, come era solito dire il comandante Cernan, non ci sia già chi in futuro tornerà a lasciare le proprie impronte sul suolo lunare, o su altri mondi ancora più lontani.

Il traduttore del libro, (che ringrazio per i molti spunti) Diego Meozzi scrive: «qualche purista potrà infine obiettare che nel libro alcuni termini tecnici inglesi siano stati tradotti in italiano, scelta peraltro condivisa dall’ottimo revisore tecnico, Paolo Attivissimo, autore di Spazio Magazine e dell’apprezzato “Luna? Sì ci siamo andati!”».

Insomma, un libro che consiglio e che non può mancare sui vostri scaffali, perché leggerlo sarà come essere trasportati sulla luna con il comandante Eugene “Gene” Cernan e l’equipaggio di Apollo 17.

Eugene Cernan ha partecipato a tre missioni spaziali, volando per due volte sulla Luna e atterrandovi con la missione finale Apollo. Pilota della Gemini 9, pilota del modulo lunare dell’Apollo 10 e comandante dell’Apollo 17. Laureato alla Purdue University e alla Scuola Navale Post Laurea di Monterey, ha ricevuto svariate lauree ad honorem e onorificenze militari e civili, che spaziano dalla Hall of Fame spaziale statunitense a un premio Emmy per la televisione. È morto il 17 gennaio 2017.
Don Davis, è stato corrispondente di agenzie e quotidiani negli Stati Uniti e all’estero, con esperienze di guerra in Vietnam, di imprese spaziali a Capo Kennedy e di politica alla Casa Bianca prima di diventare un autore di successo del New York Times con la sua serie di romanzi Kyle Swanson sniper.

All’ombra del buco nero. La prima foto diretta.

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I telescopi della EHT


D’accordo… non è Sagittarius A* ma è comunque la prima immagine diretta dell’ombra di un buco nero!

Messier 87 e il getto di plasma emesso dal buco nero supermassiccio al suo centro Crediti: NASA, ESA and the Hubble Heritage Team (STScI/AURA); Acknowledgment: P. Cote (Herzberg Institute of Astrophysics) and E. Baltz (Stanford University)

È il buco nero supermassiccio al centro di Messier 87, una bella galassia nella costellazione della Vergine a 55 milioni di anni luce da noi. Sei le conferenze stampa in tutto il mondo che stanno annunciando lo storico risultato ottenuto solo grazie alla collaborazione di oltre 200 ricercatori, di diverse agenzie tra cui anche ricercatori INFN e INAF, che lavorano in modo coordinato alla rete di radiotelescopi, dislocati in diverse aree del globo terrestre: Europa, Stati Uniti e Hawaii, America Centrale e del Sud, Africa e Asia:

ALMA (Atacama Large Millimeter/Submillimeter Array in Cile, Chajnantur Plateau),
APEX (Atacama Pathfinder Experiment in Cile, Chajnantur Plateau),
IRAM 30m (Institute de RadioAstonomie Millimtrique, Pico Veleta in Spagna),
LMT (Large Millimeter Telescope in Messico),
SMT (Submillimeter Telescope in Arizona, USA),
JCMT (James Clerk Maxwell Telescope alle Hawaii, USA),
SMA
(SubMillimeter Array alle Hawaii, USA),
SPT (South Pole Telescope al Polo Sud).

Osservazioni coordinate a quelle dei radio telescopi (effettuate negli stessi momenti) sono state effettuate nella banda dei raggi X e gamma.

I risultati sono stati descritti in sei articoli scientifici pubblicati su The Astrophysical Journal Letters. Dal comunicato stampa INFN:

«Questo straordinario risultato – spiega Mariafelicia De Laurentis, ricercatrice dell’INFN e professore di astrofisica all’Università Federico II di Napoli, che come membro della collaborazione EHT ha coordinato il gruppo di analisi teorica dell’esperimento – non solo ci regala la prima immagine di un buco nero, ma ci fornisce anche una prova diretta della presenza di buchi neri supermassicci al centro delle galassie e del motore centrale dei nuclei galattici attivi».

«Queste osservazioni – prosegue la ricercatrice dell’INFN – vengono ora a costituire un nuovo strumento di indagine per esplorare la gravità nel suo limite estremo e su una scala di massa che finora non era stata accessibile».

«Dal punto di vista concettuale, il risultato rappresenterà uno strumento formidabile per studiare, confermare o escludere le varie teorie relativistiche della gravitazione formulate a partire dalla Relatività Generale di Albert Einstein», conclude De Laurentis.

E Sagittarius A*? Ancora non è pronta… servirà probabilmente un altro anno di analisi ed elaborazioni, i risultati sulle immagini di M 87 erano così promettenti che si è preferito concentrarsi su quelli. Non dimentichiamo che ci troviamo in una posizione “scomoda” per osservare il centro della nostra galassia, e paradossalmente è più facile osservare più lontano. Non solo, visto così “da vicino” non sta mai fermo… difficile quindi metterlo “a fuoco”, ma abbiamo fiducia e restiamo in attesa.

Del progetto e dei risultati attesi ne abbiamo già parlato nelle news che trovate di seguito e molto altro vi aspetta nei prossimi giorni e nel prossimo numero di Coelum Astronomia.

A prestissimo!
All’orizzonte degli eventi di Sgr A*. Tutti i canali per seguire la diretta.

Ma come si fa a fotografare un buco nero? Riepiloghiamo velocemente il processo (che ricordiamo ha richiesto più di due anni di elaborazioni…) in attesa della conferenza stampa alle 15 di oggi, che finalmente ci svelerà se… la foto è riuscita e quali sono i risultati ottenuti. Tutti canali per seguirla!
 

Tutta la potenza delle stelle vista dal centro della Via Lattea

In attesa dei risultati dell’EHT, annunciati per il 10 aprile, una nuova simulazione ci porta al centro della Via Lattea, idealmente seduti sull’orizzonte degli eventi di Sagittarius A*, ad ammirare lo spettacolo della mostruosa potenza dei venti stellari di stelle giganti che interagiscono con i flussi di gas in caduta verso il buco nero.
 

Tutto pronto per la foto del secolo

ATTESI A BREVE I RISULTATI PRELIMINARI DI EHT Un grande evento attende astronomi, scienziati e curiosi: se tutto andrà bene, dovrebbe diventare presto disponibile la prima “immagine” ad alta risoluzione mai realizzata di un buco nero, o più precisamente della sua “ombra”. Per saperne di più, Media Inaf ha raggiunto Ciriaco Goddi, responsabile scientifico del progetto BlackHoleCam, che ci svela il ”dietro le quinte” dell’esperimento più atteso dell’anno.
 

Apex guarda nel cuore dell’oscurità

L’aggiunta di Apex all’Event Horizon Telescope rivela nuovi dettagli nella struttura asimmetrica e non puntiforme della sorgente Sgr A * al centro della Via Lattea. Il miglioramento della risoluzione angolare conseguito grazie ad Apex rivela ora dettagli dell’ordine di 36 milioni di km: dimensioni che sono solo 3 volte più grandi dell’ipotetica dimensione del buco nero (3 raggi di Schwarzschild). Tutti i dettagli su The Astrophysical Journal.
 

Mission impossible per l’Event Horizon Telescope

UNO SGUARDO NELL’OMBRA DI SAGITTARIUS A* È tutto pronto per scattare la foto del secolo. Un insieme di otto osservatori simulerà un radiotelescopio delle dimensioni della Terra allo scopo di intravedere il moto del gas incandescente che circonda il buco nero supermassiccio della Via Lattea. Quali le sfide e le attese? Ne parliamo con Heino Falcke, presidente del consiglio scientifico dell’Eht, e Ciriaco Goddi, responsabile scientifico del progetto BlackHoleCam.

I Segreti della Via Lattea
Il nuovo volto e il destino della nostra galassia svelati da Gaia!

Coelum Astronomia di Aprile 2019
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All’orizzonte degli eventi di Sgr A*. Tutti i canali per seguire la diretta.

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L'ambiente galattico nei pressi di Sgr A ripreso nei raggi X dal telescopio spaziale Chandra: questo è intriso di gas caldo e stelle, alcune delle quali si ritiene che siano esse stesse buchi neri di taglia minore. Le ellissi individuano cosiddette eco di luce, prodotti a seguito di improvvisi flare (generati quasi sicuramente da ciò che accade nei pressi del buco nero) riflessi dalla materia interstellare. Crediti:

Mancano ormai poche ore all’attesa release della prima, storica immagine reale (non costruita al computer!) dell’orizzonte degli eventi di Sgr A* (leggesi Sagittarius A*) il buco nero supermassiccio che governa la nostra galassia. La strana sigla denota una sorgente di onde radio molto compatta e luminosa localizzata all’esatto centro della nostra galassia.

L’ambiente galattico nei pressi di Sgr A* ripreso nei raggi X dal telescopio spaziale Chandra: questo è intriso di gas caldo e stelle, alcune delle quali si ritiene che siano esse stesse buchi neri di taglia minore. Le ellissi individuano cosiddette eco di luce, prodotti a seguito di improvvisi flare (generati quasi sicuramente da ciò che accade nei pressi del buco nero) riflessi dalla materia interstellare. Crediti: NASA/Chandra X-Ray Observatory.

Dall’epoca della scoperta, avvenuta a metà degli anni ’70 dello scorso secolo, numerose sono state le osservazioni compiute su questo straordinario oggetto e sul materiale ad esso circostante: gas caldo e stelle che orbitano attorno al buco nero a velocità davvero incredibili.
Come ogni buco nero presente in ogni galassia di un certo rango, anche Sgr A* è estremamente massiccio e denso: secondo le stime, la sua massa oltrepasserebbe di ben 4 milioni di volte quella del Sole e il raggio del suo orizzonte degli eventi sarebbe, invece, di poco inferiore a quello dell’orbita di Mercurio!

Lontano quasi 26 mila anni luce dal Sistema Solare, Sgr A* è tutt’altro che facile da osservare, annidato com’è in una regione dove polveri e gas si muovono in modo tumultuoso. Stando così le cose, e tenendo presente che l’orizzonte degli eventi dovrebbe estendersi su un’area larga più o meno 30 microsecondi d’arco, come è quindi possibile ottenerne un’immagine che possa essere, ad oggi, definita “unica”?

Impossibilitato, per ovvie ragioni, a riprendere direttamente il buco nero, il progetto EHT (Event Horizon Telescope) è stato ideato infatti per osservarne quindi l’orizzonte degli eventi: quella sfera entro la quale giace il buco nero e che fa da linea di confine bloccando, di fatto, tutte le informazioni in uscita tra cui anche la luce.

In aggiunta a questo, immaginiamo di poter scorgere nettamente un DVD posto sulla superficie della Luna: l’esatto paragone di come dovrebbe apparire l’orizzonte degli eventi Sgr A* nelle immagini riprese da EHT!

Sino ad ora, le migliori immagini dell’ambiente circostante Sgr A* sono quelle ottenute nelle onde radio sub-millimetriche tramite interferometria a base molto ampia (VLBI), sfruttata per l’imaging di sorgenti cosmiche anche molto lontane, che non sembrerebbero essere centrate sul buco nero ma deriverebbero da un punto luminoso, molto vicino al suo all’orizzonte degli eventi (che, lo ricordiamo, non coincide necessariamente con la superficie del buco nero; ricordiamo qui che il diametro di questo dovrebbe essere di circa 13 milioni di chilometri), nel disco di accrescimento.

C’è chi sostiene che la fonte radio possa in realtà essere un getto relativistico di materiale espulso dal disco stesso visto esattamente di fronte, rivolto, quindi, proprio in direzione del Sistema Solare.

Proiettandosi sulla costellazione del Sagittario, l’oscuro re della Galassia si rende meglio visibile dall’emisfero australe terrestre, ragione per la quale è stato utilizzato anche il nuovo e potente radiotelescopio ALMA, situato in Cile, e il South Pole Telescope, quest’ultimo esattamente in Antartide al polo sud, assieme alla rete formata da altri 12 radiotelescopi situati in Europa e Nord America.

La rete interferometrica di radiotelescopi impiegati nel progetto EHT per l’osservazione diretta dell’orizzonte degli eventi di Sgr A*.

La tecnica interferometrica ha quindi permesso di raggiungere una risoluzione più che doppia rispetto alle precedenti osservazioni, producendo un’immagine di Sgr A* – quella che tra poche ore potremo finalmente vedere! – con una risoluzione compresa tra 10 e 20 microsecondi d’arco e completamente priva dello sfocamento dovuto alla cosiddetta dispersione di segnale, causata da irregolarità nella densità nel mezzo interstellare ionizzato – giacente lungo la linea di vista tra Sgr A* e la Terra – e che va ad influire abbassandone il grado di risoluzione delle immagini radio.

Osservando attraverso il plasma si può quindi riuscire a penetrare a profondità sempre maggiori nel tumultuoso gas rovente che si trova al di sopra del’orizzonte degli eventi di Sgr A* …d’accordo, ma come? “Semplicemente”, aggiustando la frequenza dei radiotelescopi, spostandola su frequenze sempre più piccole.

La maggior parte della luce che fuoriesce da questa caotica regione è prodotta da un processo non dissimile a quello associato alle aurore boreali. Esattamente come il flusso solare di particelle cariche che si avvicina al campo magnetico terrestre, il gas in caduta in avvicinamento al buco nero subisce stiramenti e compressioni tali che le linee del campo magnetico presente nel plasma incandescente vengono tese, obbligando ancora più le particelle ad urtarsi, producendo così il segnale radio che rappresenta, in definitiva, il segnale lanciato da questo plasma in fase di annientamento, in un ultimo e disperato tentativo di renderci partecipi della sua esistenza, giunta ormai al termine.

Osservando quindi Sgr A* a frequenze sempre più piccole, sintonizzando i radiotelescopi da frequenze millimetriche a quelle sub-millimetriche, ecco che il mezzo circostante l’orizzonte degli eventi inizia ad essere sempre più trasparente e rilevante.

Quando la trasparenza arriva al punto tale da permettere di penetrare attraverso tutto il plasma, ciò che si percepisce è la radiazione emessa dal gas che si trova proprio sull’orlo del salto finale: in altre parole, siamo giunti al punto da poter vedere proprio l’orizzonte degli eventi del buco nero o, se vogliamo, l’ombra del buco nero al centro della Galassia!

Simulazione polarimetrica di Sgr A*. Crediti: Bromley, Melia & Liu.

Al fine di rimuovere la dispersione del segnale e raggiungere, così, la massima risoluzione consentita ad EHT è stata utilizzata una nuova tecnica, sviluppata dall’astronomo M. Johnson (Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics) che sfrutta il fenomeno della polarizzazione delle onde radio, indotta dal gas caldo ionizzato (plasma) in orbita attorno al buco nero: la radiazione polarizzata di questo tende a vibrare avanti e indietro nella stessa direzione imposta dal campo magnetico ad esso sottostante.
La radiazione polarizzata può essere osservata con una certa facilità facendo uso di filtri che ne rivelino la direzione di oscillazione: ecco quindi che, a frequenze sempre più piccole (sub-millimetriche), l’effetto di sfocatura indotto dal mezzo interstellare inizia a divenire sempre meno rilevante, permettendo di vedere l’orizzonte degli eventi (che apparirà come un’ombra oscura) e il gas orbitante con maggiore chiarezza rispetto a frequenze maggiori (millimetriche).

Attendiamo quindi di vedere la tanto attesa immagine di questo evento che darà certamente una svolta decisiva nella conferma della relatività generale in ambienti dall’intenso campo gravitazionale.

Dove seguire la diretta:

Gli aggiornamenti EHT sui canali social: Twitter (@ehtelescope#EHTblackhole), Facebook (@ehtelescope), and Youtube.

Focus TV ha poi previsto una diretta per il commento dei risultati dalle 14:30 sul canale 35, condotta da Luigi Bignami.


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Accademia delle Stelle

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Accademia delle Stelle

Scuola di Astronomia a Roma
Ad aprile, due nuovi corsi di Astronomia: dureranno fino a giugno presso la nostra sede all’EUR (fermata Laurentina).

13 aprile 2019, dalle 17:00 alle 22:00: Luna, Sole e stelle al Parco delle Valli

Da giovedì 4 aprile: Corsi di ArcheoAstronomia.
Corso di Archeoastronomia ed astronomia Culturale per scoprire le conoscenze astronomiche degli antichi attraverso l’importanza che l’astronomia ha avuto in tutta la storia dell’umanità.

Da lunedì 29 aprile: Corso avanzato.
8 conferenze su argomenti che non vengono trattati di solito nei corsi base di astronomia. Approfondimenti che rivestono un interesse enorme. Non è richiesta alcuna preparazione di base.

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Informazioni:
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SDO Solar Mission. Pioggia e vento sul Sole

 Nell’immagine piogge coronali in piccoli anelli di plasma che costellano la superficie solare. Crediti: NASA’s Solar Dynamics Observatory/Emily Mason

Sulla Terra, la pioggia è solo una parte del più grande “ciclo dell’acqua“, una lotta senza fine, e senza vincitori, tra la spinta del calore e l’attrazione della gravità. Inizia quando l’acqua liquida, accumulata sulla superficie del pianeta in oceani, laghi o corsi d’acqua, viene riscaldata dal Sole. Parte di essa evapora e sale nell’atmosfera, dove si raffredda e si condensa in nuvole. Alla fine, quelle nuvole si condensano tanto da non riuscire più a resistere all’attrazione gravitazionale e l’acqua ricade sulla Terra sotto forma di pioggia, e il processo ricomincia…

Sul Sole tutto questo non può chiaramente esistere, le temperature sono talmente alte che, già qui sulla Terra come abbiamo visto, l’acqua evapora, ma se invece di avere a che fare con acqua liquida parliamo di plasma da un milione di gradi ecco che qualcosa di simile può accadere.

In questa animazione (SDO 2012) vediamo la pioggia coronale che è stata osservata in seguito a eruzioni solari, quando l’intenso riscaldamento associato a un brillamento solare si interrompe bruscamente dopo l’eruzione e il plasma rimanente si raffredda e ricade sulla superficie solare.  Crediti: Osservatorio sulla dinamica solare della NASA / Scientific Visualization Studio / Tom Bridgman, Lead Animator

Qui però iniziano le differenze con il ciclo dell’acqua terrestre. Sulla superficie del Sole, il plasma (che è un gas che ha carica elettrica) non si accumula come l’acqua in nubi, ma traccia dei circuiti magnetici che emergono dalla superficie del Sole sottoforma di archi. Alla base di questi archi, il plasma viene surriscaldato da poche migliaia a oltre 1,8 milioni di gradi Fahrenheit. A quel punto si innalza formando l’arco e si raccoglie al suo apice, lontano dalla fonte di calore (nell’immagine vedete le altezze che può raggiungere durante un’eruzione solare a confronto con le dimensioni della Terra!), dove si raffredda (per quello che questo termine può significare da quelle parti), si condensa e può quindi precipitare, a causa della gravità del Sole, sotto forma di pioggia coronale.

In particolare, piogge coronali sono state talvolta avvistate, come nell’immagine qui a destra, in concomitanza con i grandi brillamenti delle regioni attive, e dovrebbe avvenire molto spesso. Così almeno prevedeva la teoria e mostravano le simulazioni al computer. Un fenomeno che, se compreso a fondo, potrebbe darci la possibilità di svelare perché la corona solare, l’atmosfera esterna del Sole, è molto più calda della sua superficie (un “mistero” che ci portiamo avanti da 70 anni).

Ecco che, per cinque mesi a metà del 2017, Emily Mason ha osservato immagini del Sole, cercando tracce di questa pioggia senza riuscire a individuarla.  Studentessa della Catholic University of America di Washington, D.C., la Mason cercava in particolare giganteschi globuli di plasma che dall’atmosfera esterna “gocciolassero” verso la superficie, anche al di fuori dei brillamenti solari.

Una tra le foto più riuscite dell’eclissi di Sole del 1 agosto 2008, combinando la perfetta resa della corona solare, con i suoi pennacchi, con la tecnica della compositazione della luce cinerea del disco lunare. La ripresa è stata ottenuta dalla località di Altay Sun in Mongolia con una Canon 350D modificata al fuoco di un rifrattore Borg-77 ED montato su una Vixen GP-DX alimentata a pannelli solari. Media di 9 scatti in 3 gruppi da 1/500 a 1/4 di secondo. Foto di Marco Bastoni – Parma.

E li cercava, come suggeriva la teoria, nei pennacchi coronali (chiamati in ingelse helmet streamers per la somiglianza con i pennacchi degli elmi dei cavalieri), strutture che si richiudono a fiamma di candela, per l’azione del vento solare (per un approfondimento su come è composta l’atmosfera solare e sui meccanismi di formazione del vento solare potete leggere l’articolo, a lettura gratuita, dedicato allo Space Weather su Coelum astronomia 230). Sono quelle stesse strutture che vediamo “emergere” dalla corona solare durante un’eclissi.

Poi, nell’ottobre 2017, si è resa conto che forse aveva sempre cercato nel posto sbagliato.

In un articolo pubblicato il 5 aprile sull’Astrophysical Journal Letters, Mason e i suoi coautori descrivono infatti le prime osservazioni di pioggia coronale in un tipo di anello magnetico più piccolo, precedentemente trascurato, sul Sole. Non degli “acquazzoni” all’interno delle enormi manifestazioni della corona solare, quindi, ma una pioggerellina costante e insistente molto più vicina alla supeficie del Sole, e decisamente più diffusa e svincolata dalle grandi regioni attive.

Un poster che ritrae la suite di strumenti di cui è dotato l’Osservatorio solare SDO, grazie alla quale è in grado di analizzare e riprendere il nostro Sole in più lunghezze d’onda diverse contemporaneamente. Crediti: NASA/Goddard Space Flight Center Conceptual Image Lab

Grazie alle immagini scattate dal Solar Dynamics Observatory (SDO) della NASA, se per mesi la Mason non aveva trovato una singola goccia di pioggia in un pennacchio, aveva però notato una sfilza di minuscole strutture magnetiche, che non conosceva.  «Erano davvero brillanti e continuavano ad attirare il mio sguardo», racconta. «Quando finalmente gli ho dato un’occhiata c’erano, poco ma sicuro, decine di ore di pioggia alla volta».

Nicholeen Viall, fisico solare del Goddard e coautore dello studio, racconta di quel momento: «È venuta alla riunione di gruppo e ha detto: “Non l’ho mai trovata, ma la vedo sempre in queste altre strutture, ma non sono pennacchi”. Io ho detto, “Fermi tutti… dov’è che l’hai vista?! Non credo che nessuno l’abbia mai vista prima!”».

Un lavoro apparentemente “ingrato”, mesi e mesi a scrutare quelle immagini sempre uguali e all’improvviso la svolta. Se avesse trovato quello che cercava, confermando la teoria che comunque dice che deve piovere anche nei pennacchi, non avrebbe fatto questa nuova scoperta.

Gli anelli magnetici individuati, sono decisamente più piccoli di quelli in cui ci si aspettava di vedere pioggia coronale, con grumi di plasma molto più piccoli, ma diffusi su tutta la superficie del Sole. Con una altezza che in alcuni casi raggiunge anche i 50 mila chilometri dalla superficie, sono comunque alti appena il 2% rispetto all’altezza dei pennacchi in cui si stava cercando. Tutto questo fa pensare ai ricercatori che il calore della corona sia più localizzato di quanto ci si aspettasse e che qui potrebbe proprio essere dove si sviluppa. Anche se ancora il “come” di questo meccanismo di riscaldamento non è chiaro, dice la Mason: «(ora) sappiamo che deve accadere in questo strato».

Ma non è tutto. Una parte delle osservazioni non era allineata con le previsioni della teoria. Secondo quello che sappiamo finora, la pioggia coronale si forma solo su anelli chiusi, dove il plasma viene contenuto, senza possibilità di fuga, condensandosi e raffreddandosi per poi ripiovere sulla superficie. Ma analizzando i dati, la Manson ha trovato casi in cui la pioggia si stava formando su linee di campo magnetico aperte, con la seconda estremità estesa verso lo spazio dove il plasma scappa verso l’esterno. Per spiegare l’anomalia, lo studio propone una spiegazione alternativa, che collega la pioggia coronale di queste minuscole strutture magnetiche con le origini del cosiddetto vento solare “lento”.

Nella nuova ipotesi, il plasma inizia il suo viaggio su un circuito chiuso, ma passa – attraverso un processo noto come riconnessione magnetica – a una linea aperta. Il fenomeno si verifica frequentemente sul Sole, e lo vediamo anche nel video di apertura: quando un circuito chiuso si scontra con una linea di campo aperta, si riconfigura aprendosi e unendosi in parte ad essa. A quel punto, il plasma surriscaldato sul circuito chiuso si trova su una linea di campo aperta e, mentre una parte già abbastanza condensata si raffredda e ricade sul Sole, sottoforma di pioggia coronale, il sospetto è che parte invece resti intrappolata nel nuovo binario e fugga verso l’esterno alimentando in parte il vento solare più lento.

Animazione del perielo di SDO. Crediti: Johns Hopkins University Applied Physics Lab

Per avere una conferma di questa nuova spiegazione sono necessarie nuove osservazioni a breve termine, per affinare le simulazioni al computer su cui ora il team, e Emily Manson, stanno lavorando. E la Parker Solar Probe, potrebbe fornirle.

La sonda ha da poco concluso il suo secondo avvicinamento al Sole: il 4 aprile ha raggiunto i 24 milioni di chilometri dalla nostra stella, viaggiando a una velocità di 343,112 chilometri all’ora. Il team missione, presso il Johns Hopkins Applied Physics Laboratory (APL), è riuscito a seguirla per tutto l’avvicinamento (iniziato il 30 marzo e che si concluderà il 10 aprile) e grazie al collegamento tramite il Deep Space Network ha avuto la conferma che la sonda sta funzionando come deve e sta raccogliendo dati attraverso tutti i suoi strumenti scientifici.

Viaggiando vicina al Sole, più di quanto altre sonde abbiano mai fatto prima, potrebbe trovarsi in mezzo alle raffiche di quel vento solare lento, e raccogliere i dati necessari per tracciare una di queste raffiche per poterla collegare a un evento simile a quelli individuati dalla Manson. Dopo una lunga e tortuosa ricerca nella direzione sbagliata, ci troveremmo allora non solo ad avere un collegamento con il riscaldamento anomalo della corona, ma anche con la ricerca della sorgente del vento solare lento – due dei più grandi misteri che la fisica solare si trova oggi ad affrontare.


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AstronomiAmo

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AstronomiAmo

LE DIRETTE, inizio ore 21:30:

11 aprile: CORSO DI ASTROFOTOGRAFIA

16 aprile: PALE BLUE DOT
SEADS con Fabio DALMONTE

25 aprile: OCCHI AL CIELO

Informazioni:
https://www.astronomiamo.it

Luna, Marte e Pleiadi con Aldebaran e un bel passaggio della ISS!


Torniamo nel Toro, dopo l’incontro dello scorso 30 marzo, per ritrovare ancora una volta gli stessi attori: Marte, le Pleiadi, Aldebaran con al seguito le Iadi. Questa volta però al balletto celeste si aggiungerà una nuova protagonista, una sottile falce di Luna (fase del 12%).

La sera dell’8 aprile, la Luna si troverà in posizione sottomessa agli altri astri che la sovrasteranno: più in alto di circa 8°, troveremo prima le Pleiadi, a nordovest della Luna, poi Marte (mag. +1,5), posto quasi sulla verticale con il nostro satellite naturale, e infine Aldebaran (alfa Tau, mag. +0,9).

Nasa Apod del 2 aprile 2019: la stazione spaziale internazionale davanti alla Luna. Crediti: Eric Holland

Circa 40 minuti prima dell’ora consigliata, attorno alle 20:48, con i protagonisti di questa formazione ancora alti in cielo (la Luna sarà a circa 22° di altezza), potremo osservare nei dintorni della Luna anche un passaggio della Stazione Spaziale Internazionale. Controllate bene le circostanze per la vostra località, perché per alcuni fortunati del Centro Sud (ad esempio poco a sud di Campobasso) si tratterà di un transito della ISS sul disco lunare.

➜ Leggi le indicazioni di Giuseppe Petricca sui principali passaggi della ISS

Il 9 aprile, sarà possibile apprezzare lo spostamento della Luna verso Aldebaran, con cui sarà in congiunzione, a una distanza di circa 2° e 15’ a nord-nordovest della stella. Sarà molto bello, ancora una volta, il quadro d’insieme, che unisce oggetti del Sistema Solare e del profondo cielo: sarà senza dubbio un’ottima occasione per scattare una fotografia che testimoni la fine della stagione invernale, segnata dal tramonto del Toro, inserita in un contesto paesaggistico in fioritura e rinvigorimento tipico della stagione primaverile.

Per arricchire l’osservazione, o se proprio il cielo fosse nuvoloso, ad Aldebaran e le Iadi sono dedicate più puntate della rubrica di Stefano Schirinzi sul ricco campo della costellazione del Toro. Mito, scienza e curiosità fino alla scoperta dei tesori delle profondità del cosmo:

➜ I parte: La costellazione del Toro: la storia e il mito
➜ II parte: L’ammasso delle Iadi, storia e scienza
➜ III parte: Iadi: le stelle e i loro dintorni
➜ IV parte: …è il momento di Aldebaran!

Le effemeridi di Luna e pianeti le trovi nel Cielo di Aprile 2019

E ancora su Coelum astronomia di aprile:

➜ La LUNA di aprile.
Approfondimento: Guida all’osservazione della regione polare settentrionale (Parte D).

➜ La Chioma di Berenice (I parte): storia e mito


Tutti consigli per l’osservazione del Cielo di Aprile su Coelum Astronomia 232

Leggilo subito qui sotto online, è gratuito!

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Unione Astrofili Senesi

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Osservatorio Astronomico Provinciale di Montarrenti, SS. 73 Ponente, Sovicille (SI).

12.04 e 26.04: Il cielo al castello di Montarrenti
Come ogni secondo e quarto venerdì del mese, dalle ore 21.30 l’Osservatorio Astronomico di Montarrenti (Sovicille, Siena) sarà aperto al pubblico delle serate osservative, con particolare attenzione alla Luna al primo quarto (giorno 12) e alle galassie primaverili (giorno 26). Per il pubblico è obbligatoria la prenotazione tramite il sito www.astrofilisenesi.it o inviando un messaggio WhatsApp al 3472874176 (Patrizio) oppure un sms al 3482650891 (Giorgio). In caso di tempo incerto telefonare per conferma.

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Astrochannel: seminari e coffee-talk

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INAF

INAFUna TV via web sulle attività dell’Istituto Nazionale di Astrofisica. La visione e l’utilizzo di Astrochannel sono gratuiti e consentiti a tutti (se però siete interessati solo a singoli video, suggeriamo d’iscriversi). Suggeriamo di seguito i seminari in lingua italiana, ma il programma è decisamente più ampio e può essere consultato qui: http://www.media.inaf.it/inaftv/seminari/#3151
Attenzione: l’elenco che segue potrebbe essere non aggiornato. Per maggiori informazioni e aggiornamenti in tempo reale sui singoli seminari, vi invitiamo a fare riferimento ai siti web delle singole sedi.

11/04/2019, 09:00 – 12:00, Napoli – Osservatorio Astronomico di Capodimonte
La chimica dell’universo – Conversazioni di Fisica a Capodimonte
Secondo il filosofo positivista Comte, attivo nel XIX secolo, l’uomo non potrà mai sapere di che materia sono fatte le stelle, perché non può raggiungerle. I fisici affermano, al contrario, di sapere con certezza che tutti i corpi celesti sono composti dalle stesse particelle: elettroni, protoni, neutroni, atomi sono uguali in tutto l’Universo.
Chi ha ragione? Relatore: Umberto Scotti di Uccio.

09/05/2019, 09:00 – 12:00, Napoli – Osservatorio Astronomico di Capodimonte
La geologia di Marte – Conversazioni di Fisica a Capodimonte
Una panoramica delle principali strutture geologiche superficiali e dei metodi usati per studiarle e per ricostruire la sua interessante storia geologica. Relatori: Ciprian Popa e Simone Silvestro.
Per seguire i seminari, installare il software (http://www.media.inaf.it/inaftv/) o cercare il video sul canale YouTube INAF-TV.
Astrochannel è un software di Marco Malaspina – Copyleft INAF Ufficio Comunicazione – 2007-2015

Come i satelliti artificiali aiutano a conoscere il pianeta

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Circolo Culturale Astrofili Trieste

La Luna di Aprile 2019 e una guida alla Regione Polare Nord (Parte D)

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Le fasi della Luna in aprile, calcolate per le ore 00:00 in TMEC. La visione è diritta (Nord in alto, Est dell’osservatore a sinistra). Nella tavola sono riportate anche le massime librazioni topocentriche del mese, con il circoletto azzurro che indica la regione del bordo più favorita dalla librazione.
Le fasi della Luna in aprile, calcolate per le ore 00:00 in TMEC. La visione è diritta (Nord in alto, Est dell’osservatore a sinistra). Nella tavola sono riportate anche le massime librazioni topocentriche del mese, con il circoletto azzurro che indica la regione del bordo più favorita dalla librazione.

Si comincia con la Luna Nuova alle 10:50 del giorno 5 aprile. Nel corso del nuovo ciclo lunare, la Luna inizierà a rendersi progressivamente sempre più visibile e osservabile anche telescopicamente nel cielo serale con la fase di Primo Quarto prevista per le 21:06 del 12 aprile quando si troverà a un’altezza di +59° nella costellazione dei Gemelli. Proseguendo nella fase di Luna Crescente il nostro satellite entrerà in Plenilunio alle 13:12 del giorno 19 per poi riprendere la fase opposta fino all’Ultimo Quarto previsto per il 27 aprile alle 00:18,

Approfondisci in la Luna di Aprile su Coelum Astronomia 232

Ad aprile osserviamo

 

 

9 aprile I crateri Messier e Messier-A

La prima proposta è dedicata all’osservazione di una interessantissima coppia di crateri: Messier e Messier-A in programma per la serata del 9 aprile partendo dalle 20:30 circa.  Si tratta di due piccoli crateri situati nel mare Fecunditatis, entrambi con diametro di 13 km, la cui origine viene ricondotta al Periodo Geologico Copernicano (non oltre un miliardo di anni fa).

➜ Continua con i dettagli dell’osservazione di Messier e Messier-A

14 aprile. Il Monte La Hire

La seconda proposta di aprile ha come target il monte La Hire, osservazione prevista per la serata del 14 aprile, quando il nostro satellite alle 20:30 circa sarà in fase di 9,4 giorni a un’altezza iniziale di +59° (Colong. 29,4°; frazione illuminata 72,2%) e con transito in meridiano alle 21:26 a +62°, pertanto a nostra disposizione fino in tarda nottata.

➜ continua su Il Monte La Hire

17 e 18 aprile. La Regione Polare Nord (Parte D)

Con la terza e principale proposta di aprile viene completata la visita alla Regione Polare Nord (D) del nostro satellite, suddivisa questo mese nelle serate del 17 e 18 aprile quando andremo a osservare le regioni lunari fino in prossimità del bordo più nordoccidentale.

Anche in questo numero intendiamo ricordare che la collocazione geografica delle strutture che osserveremo risentirà inevitabilmente dello schiacciamento prospettico tipico delle formazioni lunari lontane dal centro geometrico del disco della Luna.

➜ Guida all’osservazione della Regione Polare Nord (Parte D)

Le effemeridi di Luna e pianeti le trovi nel Cielo di Aprile 2019

➜ Fotografiamo le sottili Falci di Luna di Giorgia Hofer

➜ Fotografare la Luna di Giorgia Hofer su Coelum Astronomia di novembre 2016.

 

La Luna illumina la notte Fotografiamo il paesaggio illuminato dalla Luna Piena di Giorgia Hofer

➜  La Luna mi va a pennello. Se la fotografia non basta, Gian Paolo Graziato ci racconta come dipingere dei rigorosi paesaggi lunari, nei più piccoli dettagli… per poi lasciarsi andare alla fantasia e all’imaginazione!

E tutte le precedenti rubriche di Francesco Badalotti, con tantissimi spunti per approfondire la conoscenza del nostro satellite naturale. Per ogni formazione basta attendere il momento giusto!


Tutti consigli per l’osservazione del Cielo di Aprile su Coelum Astronomia 232

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La febbre della Luna

Nasa Apod del 2 aprile 2019: la stazione spaziale internazionale davanti alla Luna. Crediti: Eric Holland
Nasa Apod del 2 aprile 2019: la stazione spaziale internazionale davanti alla Luna. Crediti: Eric Holland

Attualmente si conosce ancora poco della struttura interna della Luna. Tuttavia, recentemente è stato fatto un importante passo avanti in questa direzione da Ananya Mallik, una scienziata dell’Università del Rhode Island che ha condotto esperimenti per determinare la temperatura al confine tra nucleo e mantello del nostro satellite. Dai suoi esperimenti, Mallik è riuscita a dedurre una temperatura tra 1.300 e 1.470 gradi Celsius, un valore che si colloca all’estremo superiore di una precedente stima affetta da un’incertezza di circa 800 gradi.

«Per comprendere la struttura interna della Luna, abbiamo bisogno di definire nel migliore dei modi il suo stato termico», afferma Mallik. «Ora conosciamo la temperatura in due zone: al confine tra il nucleo e il mantello, e alla superficie, come misurata dalle missioni Apollo. Sapere la temperatura di queste due zone ci aiuterà a creare un profilo di temperatura interna della Luna, di cui abbiamo necessariamente bisogno per determinarne lo stato interno, la sua struttura e la sua composizione».

Secondo Mallik, la Luna ha un nucleo di ferro, come quello della Terra. Precedenti ricerche basate su dati sismici, hanno scoperto che tra il 5 e il 30 per cento del materiale al confine tra nucleo e mantello si trova in uno stato liquido o fuso. Ma perché dovremmo avere del materiale fuso a quella

Struttura interna della Luna. Crediti: Wikimedia Commons

Per rispondere a questa domanda, la scienziata nel 2016 ha condotto una serie di esperimenti presso il Bavarian Research Institute of Experimental Geochemistry and Geophysics in Germania, utilizzando un dispositivo in grado di esercitare le alte pressioni che si trovano nelle profondità della Luna. Ha preparato un minuscolo campione di materiale simile a quello trovato sulla Luna, lo ha compresso a una pressione 45mila volte superiore alla pressione atmosferica della Terra – che è la pressione che si ritiene esista nel limite interno del mantello della Luna – e ha usato un riscaldatore di grafite per innalzare la temperatura del campione fino a quando non si è parzialmente sciolto.

«L’obiettivo era quello di determinare quale intervallo di temperatura avrebbe prodotto tra il 5 e il 30 per cento di materiale fuso, dal quale avremmo potuto estrapolare l’intervallo di temperature al limite del mantello principale», riferisce Mallik.

Ora che, grazie a questo esperimento, l’intervallo di temperatura sul confine nucleo-mantello è stato ridotto notevolmente, gli scienziati possono iniziare a sviluppare un profilo di temperature della Luna più preciso ed andare avanti determinando anche un profilo dei minerali che compongono il mantello, dalla crosta al nucleo.

«È importante conoscere la composizione della Luna per capire meglio perché si è evoluta in un certo modo», ha detto Mallik. «La storia della Terra e quella della Luna risultano essere intrecciate sin dall’inizio. Entrambe sono il prodotto di una grande collisione tra quella che era la proto-Terra e un corpo di dimensioni approssimativamente pari a quelle di Marte, verificatosi oltre 4.5 miliardi di anni fa. Quindi, per capire meglio la nostra Terra, può essere utile conoscere la nostra vicina Luna, proprio perché hanno avuto un inizio comune».

URI Assistant Professor Ananya Mallik. Crediti: Nora Lewis

«La Terra è complicata» ha continuato la scienziata. «Qualsiasi somiglianza nella composizione tra la Terra e la Luna può darci un’idea di come si sono formati questi due corpi planetari, dell’energia della collisione e di come gli elementi siano stati suddivisi tra le due parti».

La scienziata ha inoltre osservato che la Terra si è evoluta attraverso il processo della tettonica a placche, responsabile della deriva dei continenti, della topografia della superficie terrestre, della regolazione del clima a lungo termine e forse anche dell’origine della vita. Ma non sussistono evidenze di placche tettoniche sulla Luna.

«Tutto sulla Terra accade a causa della tettonica delle placche», ha detto. «Sulla Luna non c’è traccia di questo processo. Questa evidenza cosa ci dice della nostra Terra? È lo stesso motivo per cui studiamo Marte e Venere: sono i nostri vicini più prossimi e abbiamo avuto un inizio comune, ma perché sono così diversi dal nostro pianeta?»

I prossimi passi nella ricerca della Mallik riguarderanno la determinazione sperimentale della densità del materiale fuso al confine del mantello, che raffinerà ulteriormente l’intervallo di temperatura. In collaborazione con Heidi Fuqua Haviland, che lavora presso il Marshall Space Flight Center della Nasa, e Paul Bremner, che lavora presso l’Università della Florida, la scienziata combinerà questi risultati con quelli ottenuti da metodi computazionali per ricavare il profilo della temperatura e la composizione dell’interno della Luna.

Per saperne di più:


I Segreti della Via Lattea
Il nuovo volto e il destino della nostra galassia svelati da Gaia!

Coelum Astronomia di Aprile 2019
Ora online, come sempre in formato digitale, pdf e gratuito.

AstronomiAmo

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AstronomiAmo

6 aprile, ore 16:00: Incontri di Astronomia Live con il Prof. Luciano Iess (La Sapienza), presso Via del Mandrione 190, Roma

LE DIRETTE, inizio ore 21:30:

11 aprile: CORSO DI ASTROFOTOGRAFIA

16 aprile: PALE BLUE DOT
SEADS con Fabio DALMONTE

25 aprile: OCCHI AL CIELO

Informazioni:
https://www.astronomiamo.it

NEIL ARMSTRONG The First

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Neil Armstrong

Neil Armstrong

Il 20 luglio 1969, noi esseri umani del pianeta Terra, eravamo su un altro mondo.
In quel preciso istante iniziava una nuova era dell’umanità.

Una mostra itinerante sulla vita e la carriera di Neil Armstrong commemorerà il 50° anniversario di Apollo 11 e tutto il programma lunare, include le foto della carriera di Neil Armstrong con scatti inediti o poco noti al grande pubblico. Potrete ammirare i modelli dei veicoli spaziali utilizzati da Neil Armstrong, le tute e le attrezzature utilizzate sulla superficie lunare, documenti originali, rari reperti dell’epoca, ricostruzioni a grandezza naturale. Video e suoni multimediali accompagneranno il visitatore nel più grande sogno dell’uomo: quello di raggiungere la Luna.
Leggi a pag. 176 di Coelum Astronomia 232 un articolo sulla mostra con tutti i dettagli.
Sul sito il calendario delle date e le località in continuo aggiornamento. Prossime date pubbliche confermate:

5/11.04 SPILAMBERTO (MO)
Organizzatore: Comune di Spilamberto – info@comune.spilamberto.mo.it
05.04, ore 20.30: “Neil Armstrong – The First” con il curatore della mostra Luigi Pizzimenti.
07.04, ore 17.30: “Sulla luna? Sì, ci siamo andati” con Paolo Attivissimo, giornalista e divulgatore scientifico.
09.04, ore 20.30: proiezione del film “Il Diritto di contare”.
Tutte le iniziative collaterali sono ad ingresso gratuito.

22/26.05 SOGLIANO AL RUBICONE
Organizzatore: Associazione Astrofili Soglianesi VEGA – info@astrofilisoglianesi.it
24.05: “Neil Armstrong – The First” con il curatore della mostra Luigi Pizzimenti.

Se desiderate ospitare la mostra scrivete a: info@neilarmstrongthefirst.it
www.neilarmstrongthefirst.it

A contatto con il cosmo: osservazioni e riprese con i telescopi dell’osservatorio

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Circolo Culturale Astrofili Trieste

Accademia delle Stelle

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Accademia delle Stelle

Accademia delle Stelle

Scuola di Astronomia a Roma
Ad aprile, due nuovi corsi di Astronomia: dureranno fino a giugno presso la nostra sede all’EUR (fermata Laurentina).

5 aprile: Notte europea della geografia, presso il Museo storico dell’Aeronautica Militare

13 aprile 2019, dalle 17:00 alle 22:00: Luna, Sole e stelle al Parco delle Valli

Da giovedì 4 aprile: Corsi di ArcheoAstronomia.
Corso di Archeoastronomia ed astronomia Culturale per scoprire le conoscenze astronomiche degli antichi attraverso l’importanza che l’astronomia ha avuto in tutta la storia dell’umanità.

Da lunedì 29 aprile: Corso avanzato.
8 conferenze su argomenti che non vengono trattati di solito nei corsi base di astronomia. Approfondimenti che rivestono un interesse esorme. Non è richiesta alcuna preparazione di base.

Prezzi in promozione e sconti per i lettori di Coelum Astronomia.

Informazioni:
https://www.facebook.com/accademia.dellestelle
https://www.accademiadellestelle.org

Corsa allo Spazio! SPAZIO INAF

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play

playAll’interno di PLAY festival del gioco (ModenaFiere), Padiglione C
Anche l’Istituto Nazionale di Astrofisica partecipa con un suo stand e tante attività per grandi e piccini.

Sabato 6, ore 16:30: ASTROFISICA IN GIOCO – L’esplorazione dello Spazio tra gioco e divulgazione. Dibattito fra Roberto Orosei (ricercatori INAF), Sara Ricciardi (ricercatrice INAF), Mario Sacchi (editore e curatore dei giochi Kepler-3042 e S.P.A.C.E.) e Andrea Crespi (autore dei giochi Apollo XIII e 1969).

E per tutta la durata della fiera:
Esplorazione marziana con gli MBOT
Potrai condurre i piccoli rover su una riproduzione del suolo marziano.

Tinkerspace – giochiamo a sbagliare?
Come funziona la testa di un ricercatore? che significa inventare una cosa completamente nuova e soprattutto: cosa c’entra una pista delle biglie con l’astrofisica?

Virtual Reality
Dieci minuti di uscita extraveicolare nel Mare della Tranquillità, tra il modulo lunare LEM e le varie attrezzature scientifiche posizionate nel corso della missione Apollo 11, alle coordinate lunari: 8° 30′ Nord, 31° 24′ Est. E’ possibile utilizzare la VR dai 10 anni di età.

a Space Journey
Gioco di Ruolo (demo): La nave ammiraglia della classe esplorativa, la nuovissima INAF 1112, sarà la prima di una lunga serie a partire per una missione esplorativa e a oltrepassare le frontiere del nostro Sistema Solare.

Selfie dal mare della Tranquillita’
Scattati un selfie da fare invidia ai tuoi migliori amici. Dove? Sulla Luna, a circa 400 mila chilometri da Modena e nel bel mezzo del Mare della Tranquillità.

Cosmic Mission
l’esplorazione spaziale e la “gamification” al servizio della didattica della scienza. Caccia al Radiotesoro Andrai a caccia di onde radio, proprio come fanno i radioastronomi che in questo modo studiano l’Universo, cercando di capire sempre più a fondo la sua natura, le sue origini e il suo destino.

Tutti le informazioni e gli eventi sul sito della manifestazione www.play-modena.it

Tutta la potenza delle stelle vista dal centro della Via Lattea

Un frame della simulazione che ci mostra un flusso di gas che si scontra con il materiale emesso da stelle giganti, il tutto nel teatro delle enormi forze mareali attorno al buco nero supermassicio al centro della Via Lattea. Crediti: NASA/CXC/Pontifical Catholic Univ. of Chile /C.Russell et al.

Finalmente ci siamo! Dall’ESO è arrivato l’annuncio di una conferenza stampa per il 10 aprile, in cui la Commissione Europea, il Consiglio europeo per la Ricerca e il progetto EHT (Event Horizon Telescope) presenteranno “un risultato rivoluzionario da parte dell’EHT”. Sono due anni che attendiamo notizie su quella che è stata chiamata “la foto del secolo”, una ripresa di Sagitarius A* (in breve Sgr A*), il buco nero supermassiccio al centro della nostra Via Lattea, o per lo meno della sua “ombra” (non potendolo, come sappiamo, osservare in modo diretto, ma potendo solo vedere quel che accade attorno al suo confine).

A quanto pare ci siamo…

Per conoscere qualcosa di più della nostra galassia, grazie agli ultimi dati della DR2 di Gaia, trovate un articolo di approfondimento nel nuovo numero di Coelum astronomia, in questi giorni online, dal titolo “I Segreti della Via Lattea”, come sempre in formato digitale e a lettura gratuita.

Mentre nell’attesa della conferenza stampa possiamo goderci questo nuovo video che ci porta al centro della nostra galassia, dal punto di vista di Sgr A*. Nel filmato che vedete qui sotto, un video a 360°, abbiamo infatti l’opportunità  di guardarci attorno come se fossimo seduti sull’orizzonte degli eventi del buco nero al centro della nostra galassia.

La simulazione è stata ottenuta grazie al supercomputer NASA Ames che ha combinato dati dell’Osservatorio a raggi X Chandra per mostrarci gli effetti dell’interazione di dozzine di enormi giganti stellari e dei loro feroci venti che soffiano via il loro guscio superficiale verso la regione che, a pochi anni luce di distanza, segna i confini del buco nero. Venti che forniscono il materiale di cui il buco nero si nutre.

Vediamo allora nugoli densi di materiale fluire dalle stelle verso Sgr A*, che si formano quando i venti stellari delle stelle giganti si scontrano tra loro. Lungo il loro fluire possiamo osservare nubi di gas a densità relativamente più bassa cadere verso il buco nero. Tutto questo era già visibile in una precedente simulazione, in questa nuova versione vediamo in  blu e ciano l’emissione di raggi X da gas caldo, con temperature di decine di milioni di gradi. Il colore rosso ci indica regioni moderatamente dense di gas più freddo, con temperature di decine di migliaia di gradi mentre in giallo vediamo lo spettacolo dei gas più freddi con le più alte densità.

Allontanandosi dal centro, vediamo le nubi di gas con emissione in raggi X muoversi più lentamente, con una velocità che aumenta man mano che si avvicinano sfrecciando attorno all’osservatore al centro della galassia. Un lampo di raggi X viene emesso quando questi flussi si scontrano con il gas espulso da altre stelle, quando il gas viene riscaldato dall’impatto per poi raffreddarsi velocemente.

Quando si verifica un’esplosione in gas molto vicini al buco nero, questo si scontra con il materiale in arrivo dalle stelle giganti, spingendolo indietro e facendolo anch’esso brillare nei raggi X, per poi spegnersi man mano che l’esplosione si attenua.

Questa simulazione a 360°  dal centro galattico è stata idealmente progettata per la visualizzazione in realtà virtuale, attraverso occhiali come i Samsung Gear VR o il Google Cardboard, ma può essere goduta anche sullo schermo di uno smartphone tramite l’app YouTube (cliccando sul video qui sotto). Grazie ai sensori di movimento ci si può “guardare attorno” attraverso lo schermo del telefono, muovendosi nello spazio come se fosse un dispositivo per realtà virtuale (come nelle foto panoramiche o in tutte quelle app di osservazione del cielo, ad esempio). Tramite browser possiamo invece guardarci attorno cliccando nel video, qui sotto, e trascinando con il mouse la scena nella direzione desiderata.

Questa nuova simulazione è stata presentata al 17 ° Meeting di Astrofisica delle alte energie (HEAD) dell’American Astronomical Society tenutosi a Monterey, in California, dal 17 al 21 marzo scorso, da Christopher Russell della Pontificia Università Cattolica del Cile (Pontifical Catholic University), che ne aveva curato anche la prima versione.

E ora… tutti in attesa del vero volto di Sagittarius A*!


I Segreti della Via Lattea
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Coelum Astronomia di Aprile 2019
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Osservatorio Astronomico Provinciale di Montarrenti, SS. 73 Ponente, Sovicille (SI).

06.04: Il cielo di aprile.
Come ogni primo sabato del mese, l’appuntamento per il pubblico è alle ore 21.30 presso Porta Laterina a Siena da dove raggiungeremo a piedi la specola”Palmiero Capannoli” per osservare il cielo del periodo. Al centro dell’attenzione le numerose galassie di Leone, Vergine, Chioma di Berenice e tanti altri oggetti. Per il pubblico è obbligatoria la prenotazione da effettuare on line sul sito www.astrofilisenesi.it oppure tramite Davide Scutumella 3388861549. In caso di tempo incerto telefonare per conferma.

12.04 e 26.04: Il cielo al castello di Montarrenti
Come ogni secondo e quarto venerdì del mese, dalle ore 21.30 l’Osservatorio Astronomico di Montarrenti (Sovicille, Siena) sarà aperto al pubblico delle serate osservative, con particolare attenzione alla Luna al primo quarto (giorno 12) e alle galassie primaverili (giorno 26). Per il pubblico è obbligatoria la prenotazione tramite il sito www.astrofilisenesi.it o inviando un messaggio WhatsApp al 3472874176 (Patrizio) oppure un sms al 3482650891 (Giorgio). In caso di tempo incerto telefonare per conferma.

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Asteroide condannato all’autodistruzione

L’asteroide Gault ripreso dal telescopio spaziale Hubble con le sue due sottilissime code. La più lunga misura circa 800mila km, la più corta 200mila. Crediti: Nasa, Esa, K. Meech and J. Kleyna (University of Hawaii) e O. Hainaut (European Southern Observatory)
L’asteroide Gault ripreso dal telescopio spaziale Hubble con le sue due sottilissime code. La più lunga misura circa 800mila km, la più corta 200mila. Crediti: Nasa, Esa, K. Meech and J. Kleyna (University of Hawaii) e O. Hainaut (European Southern Observatory)

È un asteroide di qualche km di diametro, fra i 4 e i 9 dicono le stime. Avvistato per la prima volta nel 1988. Ma da qualche mese esibisce un comportamento bizzarro: ha una coda. Anzi, due. Come un frac. Due lunghe e sottilissime scie di polvere che lo fanno somigliare a un’elegante cometa. E che invece sono il sintomo di un fenomeno d’autolesionismo: 6478 Gault – questo il suo nome – sta attraversando un processo che potrebbe portarlo all’autodistruzione.

I primi sospetti che qualcosa non andasse sono emersi lo scorso 5 gennaio, quando il telescopio Atlas (Asteroid Terrestrial-Impact Last Alert System), dalle Hawaii, registrò per primo la presenza di una coda. Qualche giorno più tardi, a metà gennaio, altri telescopi – fra i quali il Canada-France-Hawaii e l’Isaac Newton spagnolo – hanno mostrato che le code erano, appunto, due. Una successiva ricerca nei dati d’archivio ha poi permesso di stabilire le date esatte in cui sono comparse: rispettivamente, il 28 ottobre e il 30 dicembre 2018. Dunque un fenomeno molto recente, e destinato a sparire nell’arco di qualche mese, quando la polvere che forma le due scie si disperderà nello spazio interplanetario.

Questo per quanto riguarda l’aspetto. Ma le cause? A cosa sono dovute, quelle due lunghe code, che più si addicono a una cometa? Tre le ipotesi in campo. Una, la più improbabile, è che sia in corso un processo di sublimazione: questo sì che lo renderebbe simile a una cometa, ma i dati raccolti la rendono l’ipotesi meno gettonata.

Una seconda possibilità è che le code si siano formate a seguito di uno o più impatti. C’è però un problema: se così fosse accaduto – scrivono gli autori dell’articolo che descrive la scoperta, in uscita su The Astrophysical Journal Letters – oltre che nelle code dovremmo vedere polvere anche nei pressi del nucleo. E invece pare non essercene traccia, o quasi, nel raggio di 50 metri dalla superficie dell’asteroide. Segno del fatto che il rilascio di materia è avvenuto con una velocità iniziale piuttosto contenuta, dunque incompatibile con l’ipotesi dell’impatto.

Ed è proprio la misura della velocità relativa della polvere – circa 70 cm/s – ad aver convinto gli autori dello studio che probabilmente l’ipotesi corretta è la terza: Gault sta attraversando fasi di autodistruzione dovute al cosiddetto effetto Yorp. Un effetto piuttosto raro: in termini epidemiologici l’incidenza è di uno su un milione, nel senso che su circa 800mila asteroidi conosciuti a esserne colpito è più o meno uno all’anno. Un effetto che predilige i corpi più piccoli: in pratica, ciò che avviene è che la luce del Sole li fa ruotare a velocità sempre più elevata, fino a che non raggiungono una soglia critica oltre la quale cominciano letteralmente a perdere pezzi. Ebbene, il periodo di rotazione di Gault – definito un “rotatore ultraveloce” – è attualmente di circa due ore: pericolosamente vicino alla soglia critica. Non solo: se la stima del diametro è corretta, all’equatore la velocità superficiale si aggira attorno ai due metri al secondo. Compatibile, dunque, con la velocità della polvere presente nelle code.

«Gault è una pistola fumante: è il miglior esempio che abbiamo di un “rotatore veloce” prossimo alla soglia delle due ore», spiega il primo autore dello studio, Jan Kleyna dell’università delle Hawaii (Usa). «Potrebbe essersi mantenuto sull’orlo dell’instabilità per 10 milioni di anni. Poi potrebbe essere stata sufficiente una minima interferenza, l’impatto con un sassolino, per scatenare le recenti emissioni».

Gli scienziati sono anche riusciti a misurare la quantità di materia perduta dall’asteroide nei due eventi del 2018: 7 milioni di tonnellate nel primo, 40mila tonnellate nel secondo. Materia che potrà offrire preziosi elementi per comprendere il processo di formazione dei pianeti agli albori del Sistema solare.

Per saperne di più:

  • Leggi il preprint dell’articolo “The Sporadic Activity of (6478) Gault: A YORP-driven event?”, di Jan T. Kleyna, Olivier R. Hainaut, Karen J. Meech, Henry H. Hsieh, Alan Fitzsimmons, Marco Micheli, Jacqueline V. Keane, Larry Denneau, John Tonry, Aren Heinze, Bhuwan C. Bhatt, Devendra K. Sahu, Detlef Koschny, Ken W. Smith, Harald Ebeling, Robert Weryk, Heather Flewelling e Richard J. Wainscoat

I Segreti della Via Lattea
Il nuovo volto e il destino della nostra galassia svelati da Gaia!

Coelum Astronomia di Aprile 2019
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Luna cinerea e Venere al mattino, con uno sfuggente Mercurio

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Appuntamento problematico quanto interessante, e quindi anche stimolante, per il 2 aprile quando, alle 06:10, sorgerà nella costellazione dell’Acquario una sottilissima falce di Luna con età di 26,5 giorni preceduta dal pianeta Venere (separazione di 3,2°) e in contemporanea, ma a maggiore distanza, col pianeta Mercurio (separazione di 10°).

La falce di Luna, piuttosto bassa sull’orizzonte, sarà immersa nelle luci del crepuscolo mattutino, sovrastata dal brillante pianeta Venere (mag. – 4,0).

Mercurio invece sarà molto difficile da rintracciare: ben più basso della Luna e con una luminosità pari a mag. +0,7, sarà più difficile da scorgere nel chiarore dell’alba in arrivo.

Considerato l’imminente sorgere del Sole, si raccomandando tutte le precauzioni del caso, in quanto il tempo a disposizione per l’osservazione e la ripresa fotografica non supererà i 30 minuti.

Due le rubriche di Giorgia Hofer che vi suggeriamo per questo tipo di riprese:

➜ Fotografiamo le sottili Falci di Luna

➜ Fotografare la Luce Cinerea della Luna

Le effemeridi di Luna e pianeti le trovi nel Cielo di Aprile 2019

E ancora su Coelum astronomia di aprile:

Le falci Lunari di Aprile

➜ Leggi le indicazioni di Giuseppe Petricca sui principali passaggi della ISS

➜ La LUNA di aprile.
Approfondimento: Guida all’osservazione della regione polare settentrionale (Parte D).

➜ La Chioma di Berenice (I parte): storia e mito


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Astroiniziative UAI – Unione Astrofili Italiani

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6-7 aprile: Meeting Corpi Minori
INAF Osservatorio Astronomico di Capodimonte, Salita Moiariello 16, Napoli
Organizzato dalle Sezioni Asteroidi, Comete e Meteore dell’UAI, presso l’Osservatorio Astronomico INAF di Capodimonte (Napoli), in collaborazione con l’Unione Astrofili Napoletani
www.uai.it/ricerca-e-studi

17-19 maggio: 52° Congresso Nazionale UAI
Il vero momento di «incontro e socializzazione» di tutta la comunità astrofila: un fine settimana per fare il punto della situazione, promuovere attività e condividere esperienze, offrire nuovi stimoli e anche vivere momenti di grande divulgazione scientifica. Quest’anno a Bologna in collaborazione con l’Associazione Astrofili Bolognesi
https://www.uai.it/astrofilia/congressouai/congresso-2019/congresso-2019.html

AstronomiAmo

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AstronomiAmo

AstronomiAmo

6 aprile, ore 16:00: Incontri di Astronomia Live con il Prof. Luciano Iess (La Sapienza), presso Via del Mandrione 190, Roma

LE DIRETTE, inizio ore 21:30:
2 aprile: SPACE DEBRIS con Pierluigi DI LIZIA (PoliMi)

11 aprile: CORSO DI ASTROFOTOGRAFIA

16 aprile: PALE BLUE DOT
SEADS con Fabio DALMONTE

25 aprile: OCCHI AL CIELO

Informazioni:
https://www.astronomiamo.it

Congiunzione Marte e Pleiadi

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In seconda serata, la costellazione del Toro sarà in procinto di tuffarsi sotto l’orizzonte occidentale e sarà ben distinguibile la chiara forma a “V” tracciata dalle Iadi, in cui domina Aldebaran, stella Alfa del Toro.

Nel complesso si tratta di una configurazione astrale molto affascinante e in fotografia, nella quale potranno essere ripresi anche elementi paesaggistici, sarà bello notare il contrasto cromatico fornito dall’accoppiata di color arancio costituita da Marte e Aldebaran, contro il colore spiccatamente azzurrino delle Pleiadi.

Visibile alta in cielo non appena farà buio, volendola riprendere nel paesaggio non avremo però molto tempo a disposizione: all’orario indicato in cartina, Marte (alto 8 gradi e mezzo) tramonterà alle 22:53 circa, lasciandoci in pratica non più di mezz’ora per immortalare la scena.

Le effemeridi di Luna e pianeti le trovi nel Cielo di Marzo 2019

Per arricchire l’osservazione, o se proprio il cielo fosse nuvoloso, ad Aldebaran e le Iadi sono dedicate più puntate della rubrica di Stefano Schirinzi sul ricco campo della costellazione del Toro. Mito, scienza e curiosità fino alla scoperta delle profondità del cosmo:

➜ I parte: La costellazione del Toro: la storia e il mito
➜ II parte: L’ammasso delle Iadi, storia e scienza
➜ III parte: Iadi: le stelle e i loro dintorni
➜ IV parte: …è il momento di Aldebaran!


E’ il momento di prepararsi per il Cielo di Aprile!
Lo trovi su Coelum Astronomia 232 ora online.

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Il Cielo di Aprile 2019

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La cartina mostra l'aspetto del cielo alle ore (TMEC): 1 Mar > 23:00; 15 Mar > 22:00; 31 Mar > 21:00. Crediti Coelum Astronomia CC-BY
La cartina mostra l'aspetto del cielo alle ore (TMEC): 1 Apr > 00:00; 15 Apr > 23:00; 30 Apr > 22:00. Crediti Coelum Astronomia CC-BY

EFFEMERIDI
(apr.-ott. 2019 – TU+2)

Luna

Sole e Pianeti

Solo l’Auriga, con la splendente Capella, e i Gemelli, più alte in declinazione, terranno ancora testa alle incalzanti costellazioni primaverili. Tra queste, l’imponente figura trapezoidale del Leone dominerà il cielo in meridiano, seguito più a est dalla Vergine, con la brillante Spica, e dal Boote, con la rossa Arturo, facilmente rintracciabile in cielo.

Sull’orizzonte di est–nordest, comincerà invece ad alzarsi la figura dell’Ercole, seguita a notte fonda dalla Lira e dal Cigno, le cui stelle principali, Vega e Deneb, tracciano (assieme ad Altair, nell’Aquila) il famoso “triangolo” che ci spinge già ad assaporare con la mente il caldo periodo estivo. Lo zenit sarà invece dominato dal Grande Carro dell’Orsa Maggiore.

Continua l’esplorazione del cielo con:

➜ Il Cielo di aprile con la UAI che questo mese ci porta al centro dell’Ammasso della Vergine

➜ Per l’osservazione al telescopio: Visioni galattiche nel Leone

IL SOLE

Il Sole si muoverà nella costellazione dei Pesci fino al 20 aprile, data in cui entrerà in Ariete. Complessivamente, nel corso del mese guadagnerà 10° in declinazione, passando dai +53° ai +63° come massima altezza raggiunta sull’orizzonte al momento del transito al meridiano. Ciò si tradurrà in una durata della notte astronomica che supererà di poco le 7 ore (in media): se a inizio mese il crepuscolo astronomico finirà verso le 21:15, alla fine bisognerà attendere le 22:15, mentre al mattino le osservazioni non potranno protrarsi mediamente oltre le 5:00.

➜ Continua a leggere sul Cielo di Aprile

COSA OFFRE IL CIELO

Per quanto riguarda i pianeti, MercurioVenere e Marte si fanno sempre meno alti e brillanti. Se Mercurio sparirà del tutto nella seconda metà del mese, i secondi due potranno comunque continuare ad essere osservati, rispettivamente nel cielo del mattino e della sera (Marte tramonta prima della mezzanotte), ma sicuramente non nelle loro migliori condizioni. GioveSaturno, invece, continuano sempre più a prendersi la scena, proiettati verso le loro opposizioni estive.

Approfondisci le condizioni dei singoli pianeti, dei pianeti nani e dei principali asteroidi nella sezione dedicate del Cielo del mese di Aprile.

Crediti: Coelum astronomia CC-BY

Segnaliamo invece tra i tanti incontri tra Luna e gli astri di questo mese, che trovate sempre tra le pagine della rivista o in questa sezione del sito nel corso del mese, un evento in particolare:

13 aprile La Luna occulta M 44

Nonostante si trovi in fase del 61%, e quindi con una luminosità non trascurabile, tra le ore 21:00 del 13 aprile e l’1:00 del 14 aprile, sarà comunque possibile osservare il lembo oscuro della Luna occultare in successione alcune stelle del l’ammasso. Per l’osservazione occorrerà un binocolo o un piccolo telescopio.

Mentre per quanto riguarda gli sciami meteorici è il momento delle Liridi, ma solo nominalmente, la scarsa quantità di meteore per ora e il chiarore della Luna non le rendono particolarmente appetibili, ma qualche bella meteora luminosa potrebbe sempre apparire, il massimo è previsto tra il 22 e il 23 aprile. Al link dettagli e cartina.

Per quanto riguarda le falci lunari, le troviamo concentrate prima e dopo la Luna Nuova del 5 aprile.

Trovate come sempre tutte le informazioni sulle rubriche:

E ancora su Coelum astronomia 232

➜ La LUNA di aprile.
Approfondimento: Guida all’osservazione della regione polare settentrionale (Parte D).

➜ Leggi le indicazioni di Giuseppe Petricca sui principali passaggi della ISS

Comete. Una sfida al limite: la 123P/West-Hartley

➜ Supernovae: Una nuova possibilità per gli astrofili

La Chioma di Berenice (I parte): storia e mito

Addio Iridium flare. Un report sul progetto Catch the Iridium

➜ Astrofotografia: le corone lunari

e il Calendario di tutti gli eventi di aprile 2019, giorno per giorno!

Hai compiuto un’osservazione? Condividi le tue impressioni, mandaci i tuoi report osservativi o un breve commento sui fenomeni osservati: puoi scriverci a segreteria@coelum.com.
E se hai scattato qualche fotografia agli eventi segnalati, carica le tue foto in
PhotoCoelum!

Tutti consigli per l’osservazione del Cielo di Marzo su Coelum Astronomia 231

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Astronave Terra: come il nostro pianeta protegge la vita

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Circolo Culturale Astrofili Trieste

Circolo Culturale Astrofili Trieste

Lo strumento GRAVITY apre nuovi orizzonti nel produrre immagini dei pianeti extrasolari

Una rappresentazione artistica del pianeta chiamato HR8799e. Grazie allo strumento GRAVITY è stato possibile rilevarne in modo diretto la complessa atmosfera esoplanetaria con nubi contenenti ferro e silicati che turbinano in una tempesta di dimensioni pari a quelle del pianeta. La tecnica presenta possibilità uniche per caratterizzare molti degli esopianeti oggi conosciuti. Crediti: ESO/L. Calçada

Lo strumento GRAVITY installato sul VLTI (Very Large Telescope Interferometer) dell’ESO ha effettuato la prima osservazione diretta di un esopianeta mediante interferometria ottica. Questo metodo ha rivelato una complessa atmosfera esoplanetaria con nubi contenenti ferro e silicati che turbinano in una tempesta di dimensioni pari a quelle del pianeta. La tecnica presenta possibilità uniche per caratterizzare molti degli esopianeti oggi conosciuti.

Il risultato è stato annunciato oggi in una lettera pubblicata dalla rivista Astronomy and Astrophysics da parte delle collaborazione GRAVITY, lettera in cui sono state presentate le osservazioni dell’esopianeta HR8799e ottenute con l’interferometria ottica. L’esopianeta è stata scoperto nel 2010 in orbita intorno a HR8799, giovane stella di sequenza principale che si trova a circa 129 anni luce dalla Terra nella costellazione di Pegaso.

L’odierno risultato, che rivela nuove proprietà di HR8799e, ha richiesto uno strumento con altissima risoluzione e sensibilità. GRAVITY può utilizzare simultaneamente i quattro telescopi del VLT dell’ESO a simulare un singolo telescopio più grande utilizzando una tecnica nota come interferometria. Questo crea un super-telescopio – il VLTI – che raccoglie e districa con precisione la luce dall’atmosfera di HR8799e e da quella della sua stella madre.

Veduta aerea della piattaforma in cima al Cerro Paranal (risalente al 1999), con le quattro cupole dei telescopi principali (UT) da 8,2 m di diametro e installazioni varie per l’interferometro del VLT, o VLTI. Tre telescopi ausiliari da 1,8 m (AT) e il cammino percorso dai fasci di luce sono stati sovraimposti alla fotografia. Si vedono anche una trentna di “stazioni” in cui gli AT possono essere posizionati per l’osservazione e da cui i fasci di luce dai telescopi possono entrare nel tunnel interferometrico sottostante. Le strutture rettilinee sono i supporti delle rotaie su cui i telescopi si muovono da una stazione all’altra. Il Laboratorio Interferometrico (in parte sotterraneo) e’ al centro della piattaforma. Crediti: ESO

HR8799e è un “super-Giove“, un mondo diverso da tutti quelli del nostro Sistema Solare, sia più massiccio che molto più giovane di qualsiasi pianeta in orbita attorno al Sole. Con un’età di soli 30 milioni di anni, questo pianeta extrasolare è abbastanza giovane da offrire agli scienziati una nuova finestra sulla formazione dei pianeti e dei sistemi planetari. L’esopianeta è completamente inospitale – l’energia residua dalla sua formazione e un potente effetto serra riscaldano HR8799e a una temperatura ostile di circa 1000 °C.

Questa panoramica mostra i dintorni della giovane stella HR8799, nella costellazione di Pegaso. L’immagine e’ stata ottenuta da materiale della DSS2 (Digitized Sky Survey 2). L’ubicazione di HR8799 e’ indicata. Crediti: ESO/Digitized Sky Survey 2. Acknowledgement: Davide de Martin.

Per la prima volta l’interferometria ottica è stata utilizzata per rivelare i dettagli di un pianeta extrasolare, e la nuova tecnica ha fornito uno spettro di qualità senza precedenti – dieci volte più dettagliato rispetto alle osservazioni precedenti. Le misure sono state in grado di rivelare la composizione dell’atmosfera di HR8799e – che conteneva alcune sorprese.

«La nostra analisi ha dimostrato che HR8799e ha un’atmosfera che contiene molto più monossido di carbonio rispetto al metano – qualcosa che non ci si aspetta dalla chimica di equilibrio», spiega il leader dell’equipe Sylvestre Lacour, ricercatore CNRS all’Osservatorio di Parigi – PSL e all’Istituto Max Planck di fisica extraterrestre. «Possiamo spiegare al meglio questo risultato sorprendente con venti verticali nella parte superiore dell’atmosfera che impediscono al monossido di carbonio di reagire con l’idrogeno per formare metano».

L’equipe ha scoperto che l’atmosfera contiene anche nubi ricche di polvere di ferro e di silicati. Combinando questo risultato con l’eccesso di monossido di carbonio, possiamo pensare che l’atmosfera di HR8799e sia sottoposta a una tempesta enorme e violenta.

«Le nostre osservazioni suggeriscono una palla di gas illuminata dall’interno, con raggi di luce calda che turbinano attraverso le zone tempestose di nubi oscure», elabora Lacour. «La convezione sposta le nuvole di silicati e particelle di ferro, che si disgregano e piovono verso l’interno. Questo è il quadro dell’atmosfera dinamica di un esopianeta gigante alla nascita, sottoposto a complessi processi fisici e chimici».

Il risultato si basa sulla serie di incredibili scoperte di GRAVITY, tra cui scoperte eccezionali come l’osservazione effettuata l’anno scorso del gas che turbina al 30% della velocità della luce appena fuori l’orizzonte degli eventi del massiccio buco nero nel Centro Galattico.

Si aggiunge ora un nuovo modo di osservare gli esopianeti al già vasto arsenale di metodi disponibili ai telescopi e agli strumenti dell’ESO – aprendo la strada a molte nuove scoperte notevoli.


I Segreti della Via Lattea
Il nuovo volto e il destino della nostra galassia svelati da Gaia!

Coelum Astronomia di Aprile 2019
Ora online, come sempre in formato digitale, pdf e gratuito.

Congiunzione stretta tra Luna e Saturno al mattino

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Il 29 marzo, alle ore 5:00, potremo ammirare i due astri alla distanza di appena 52’, con la Luna (fase del 40%) posta a sudovest di Saturno (m = +0,6).

Il teatro di questa stretta celeste è costituito dalle stelle della costellazione del Sagittario, di cui sarà facilmente riconoscibile la sagoma a “teiera” volgendo lo sguardo a sudest, una manciata di gradi a destra della coppia di astri.

Ricordiamo, per gli appassionati di osservazione telescopica visuale, che con la Luna in continuo calo, il prossimo finesettimana potrebbe essere adatto per tentare la Maratona Messier, o per lo meno buona parte.

➜ Continua su Fenomeni e congiunzioni di marzo

Le effemeridi di Luna e pianeti le trovi nel Cielo di Marzo 2019


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Ore piccole con Luna e Giove

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Il mese di marzo si avvia alla sua conclusione regalandoci due ultimi eventi celesti particolarmente affascinanti. Il primo di questi avverrà nelle prime ore del giorno 27, all’1:45 (anche se sarà osservabile già a partire da pochi minuti dopo l’1:00 per chi non vuole fare troppo tardi): si tratta di una bella e stretta congiunzione tra la Luna (fase del 60%) e il pianeta Giove (mag. –2,2).

L’abbraccio celeste tra questi due astri avverrà tra le flebili stelle dell’Ofiuco. Per chi lo vorrà, sarà bello poter vedere sorgere i due soggetti, già separati di poco più di 1°. Guadagneranno altezza sull’orizzonte orientale via via con il passare delle ore.

Le effemeridi di Luna e pianeti le trovi nel Cielo di Marzo 2019

➜ Continua su Fenomeni e congiunzioni di marzo


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