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Su Marte e sulla Luna case fatte di funghi?

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Nell'immagine micelio, la parte nascosta dei funghi, che cresce su terreno simile alla regolite marziana. Credit: NASA/Ames Research Center/Lynn Rothschild

No, non stiamo parlando di casette fatte per gnomi o fatine, come in una favola fantasy, ma parliamo di vere e proprie case per ospitare esseri umani, al di fuori della Terra. Una realtà più sostenibile e “verde” di quanto previsto invece da un’altra forma di narrativa, la fantascienza, che immagina spesso il mondo ipertecnologico del futuro, fatto per lo più di metallo e vetro. La NASA sta infatti sperimentando tecnologie che riescano ad utilizzare strutture a base di… funghi! Una risorsa che potrebbe anche risolvere problemi di sostenibilità e rispetto per l’ambiente qui sulla Terra.

Questo progetto di “mico” architettura, condotto all’interno del NASA Innovative Advanced Concepts, è ancora nella prima fase, del tutto ipotetica, ma già i primi studi promettono bene. Si tratta di provare a “far crescere” gli habitat destinati alle colonie umane, sulla Luna o su Marte, utilizzando proprio i funghi o meglio, in particolare, la parte principale del fungo: sottili e lunghi fili sotterranei chiamata micelio.

«Al momento i tradizionali progetti di habitat per Marte somigliano a una tartaruga, ci portiamo cioè dietro quelle che saranno le nostre case, un piano affidabile ma dall’alto costo energetico. Invece, potremmo sfruttare i miceli per coltivarci gli habitat da soli una volta arrivati a destinazione» spiega Lynn Rothschild, PI in questa prima parte del progetto.

Uno sgabello fatto di micelio cresciuto nell'arco di due settimane. Una volta cotto diventa un oggetto di arredamento pulito e funzionale. Crediti: 2018 Stanford-Brown-RISD iGEM Team

In definitiva, gli esploratori umani, potrebbero essere in grado di portarsi dietro in forma compatta pacchetti di funghi “dormienti”, con il vantaggio di poter restare in quello stato molto a lungo, ad esempio per la durata di un viaggio fino a Marte e oltre, per essere poi rivitalizzati e fatti crescere una volta arrivati, per fornire materiale utilizzabile per la costruzione.

Un fungo sappiamo che è in realtà un gruppo di organismi che producono spore e si nutrono di materiale organico, come i lieviti del pane o della birra, o i funghi che mangiamo in insalata, ma lo sono anche quella poltiglia che cresce se dimentichiamo l’insalata nel frigorifero e quegli organismi che producono antibiotici come la penicillina. Quello che di solito non vediamo dei funghi è proprio il micelio, sottili filamenti che si espandono in strutture spesso molto più ampie del fungo come lo conosciamo.

Questi filamenti, nelle giuste condizioni, possono essere stimolati a crescere per creare delle strutture, da materiali simili alla pelle ad altri simili a mattoni, risultando utili per costruire un habitat. I mattoni di questo tipo resisterebbero agli sforzi di flessione meglio del cementi armato e a quelli di compressione meglio del legno.

Mattoni prodotti utilizzando micelio, scarti di cantiere e trucioli di legno. Crediti: 2018 Stanford-Brown-RISD Team iGEM

Un habitat di questo tipo, per essere sostenibile, non può però limitarsi alla “costruzione” di mattoni e strutture base, ma deve prevedere un vero ecosistema complesso per far vivere e prosperare l’uomo ma anche gli organismi utili alla sua sopravvivenza: insomma, come gli astronauti, anche il micelio ha bisogno di mangiare e respirare.

Ecco allora che entrano in gioco i cianobatteri, un tipo di batteri in grado di utilizzare l’energia solare per trasformare acqua e anidride carbonica in ossigeno e nutrimento per i funghi.

Lynn Rothschild NASA Ames Research Center

Il risultato quindi sarebbe una cupola in tre strati: uno strato di acqua ghiacciata, magari presa in loco (vedi anche l’articolo Dai sassi che rotolano alla colonizzazione della Luna pubblicato sul numero 239 di Coelum Astronomia), che aiuta a proteggere dalle radiazioni che penetrano fino al secondo strato, dove si trovano i cianobatteri. Questi prendono l’acqua e la luce solare che filtra dallo strato esterno, producendo ossigeno per gli astronauti e sostanze nutritive per l’ultimo strato più interno di micelio, che crescendo fornisce materiale che viene poi cotto per essere utilizzato per altre costruzioni. La cottura infatti ucciderebbe il fungo, impedendo contaminazione all’esterno, e fornirebbe integrità strutturale al materiale. Un ulteriore precauzione per evitare contaminazioni ambientali potrebbe essere quella di modificare geneticamente il fungo perché non possa sopravvivere in ambiente esterno marziano.

Ma questo sarebbe solo l’inizio… La stessa tecnologia potrebbe essere utilizzata per sistemi di filtrazione dell’acqua e estrarre minerali dalle acqua reflue, nonché per l’illuminazione per bioluminescenza, per la regolazione dell’umidità e, ancora più visionario, per l’autoriparazione di strutture rigeneranti. Tutte cose di cui potremmo beneficiare anche sulla Terra, in un’ottica di maggior sostenibilità.

«Quando progettiamo qualcosa per lo spazio, siamo liberi di sperimentare nuove idee e materiali molto più di quello che possiamo per la Terra. E dopo che questi prototipi sono stati ideati per altri mondi, possiamo riportarli qui», spiega Rothschild.

Vivere in ambienti ostili come Marte e la Luna richiede nuovi modi di vivere: far crescere le case invece di costruirle, estrarre minerali dagli scarti anziché dalla roccia. Tornando però nel nostro mondo natale, possono essere convertiti in soluzioni ecologiche e sostenibili, e i funghi, che si tratti di mondi alieni o dell’evoluzione del modo di vivere qui sulla Terra, potrebbero svolgere un ruolo importante nel nostro futuro.

Di seguito il video promozionale della ricerca presenta le “mushrooms”, in un gioco di parole tra “mushroom”, che significa fungo, e “room” che significa stanza.


Previsioni.. astronomiche!

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Coelum Astronomia di Gennaio 2020
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Due serate con Venere, Nettuno e la Luna

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Se abbiamo tenuto d’occhio il pianeta Venere nel corso dell’intero mese, avremo sicuramente notato il suo rapido avvicinamento al pianeta Nettuno. Se non ci avete fatto caso, però, non c’è da biasimarvi! Se è facile, infatti, vedere il brillante secondo pianeta del Sistema Solare (mag. –4,1), non si può dire di certo la stessa cosa per il remoto gigante ghiacciato (mag. +7,8). Però il grande pianeta è proprio lì, tra le stelle dell’Acquario, incontro a cui Venere sta viaggiando rapidamente, come dicevamo (si tratta ovviamente di un effetto prospettico).

Tale avvicinamento culminerà proprio il giorno 27, quando il brillante Venere si troverà in una congiunzione davvero stretta con Nettuno, ad appena 6’ di distanza. Il minimo avvicinamento è previsto per le 19:00. Necessariamente avremo bisogno di uno strumento ottico per osservare questo incontro: con un binocolo sarà ancora difficile scorgere i due pianeti, meglio usare un telescopio per spingere un po’ con gli ingrandimenti.

In fotografia invece dovremo stare attenti al bagliore di Venere che tenderà a inghiottire il più debole Nettuno. A circa mezzo grado di distanza dalla coppia Venere-Nettuno, a est-nordest, ci sarà anche la stella fi Aquarii (mag. +4,2).

Il giorno seguente, il 28 gennaio, Venere avrà sorpassato sia Nettuno che fi Acquarii ma, osservando questo angolino di cielo un po’ più ad ampio raggio, potremo notare la presenza di una bella falce di Luna (fase del 13%), posizionata a 4° 48′ a est di Venere.

Venere illumina sempre più le nostre serate e a lui è dedicata la rubrica di astrofotografia di Giorgia Hofer

➜ Venere nel 2020: Vespero vs Lucifero!

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e una guida per l’osservazione dell’altipiano meridionale

➜ Leggi le indicazioni di Giuseppe Petricca sui principali passaggi della ISS

e il Calendario di tutti gli eventi di gennaio 2020, giorno per giorno!





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La sfida: una sottilissima falce di Luna e Giove che riappare nel cielo del mattino

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La mattina del 23 gennaio, alle ore 7:00 circa, una vera e propria sfida: guardando verso sudest noteremo, molto bassi sull’orizzonte, il pianeta Giove (mag. –1,9) e una sottilissima falce di Luna (fase del 2,7%), a circa 2° 30’ a sudest del pianeta.

Questo incontro, che avverrà tra le stelle del Sagittario, anche se sicuramente affascinante (e un ottimo target per i cacciatori di sottili falci lunari), sarà però un po’ difficile da osservare per via del cielo già molto chiaro, essendo ormai prossimo il sorgere del Sole, e la necessità di un orizzonte libero.

Varrà comunque la pena di concedere uno sguardo a questo angolino di cielo per dare il bentornato a Giove nel cielo del mattino e per vivacizzare il lunedì.

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E’ anche il momento però di sfogliare il numero di gennaio, come sempre gratuito, e prepararsi alla congiunzione del mese: l’appuntamento è per il 28 gennaio per una congiunzione Luna, Venere e… Nettuno! Venere illumina sempre più le nostre serate e a lui è dedicata la rubrica di astrofotografia di Giorgia Hofer

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Dinosauri, l’unico killer è l’asteroide

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Rappresentazione artistica di un T. Rex che assiste impotente e inconsapevole alla fine del suo mondo. Crediti: Nasa
Rappresentazione artistica di un T. Rex che assiste impotente e inconsapevole alla fine del suo mondo. Crediti: Nasa

Se c’è un’estinzione di massa che è nota a tutti – adulti e bambini – è senz’altro quella dei dinosauri, avvenuta circa 66 milioni di anni fa. Per la verità non furono solo i dinosauri a scomparire dalla scena, ma circa il 75 per cento delle specie viventi all’epoca. Questo evento è tecnicamente noto come estinzione del Cretaceo-Paleocene (o evento K/Pg). Fu proprio grazie a questo impatto che i mammiferi iniziarono la loro ascesa, occupando le nicchie ecologiche che si erano improvvisamente liberate.

La svolta per capire la causa di questa estinzione di massa si ebbe nel 1980, in seguito alle analisi effettuate dal fisico e premio Nobel Luis Walter Alvarez su antichi sedimenti marini – databili fra 185 e 30 milioni di anni fa – affioranti nell’Appennino umbro (nei dintorni di Gubbio). Alvarez e colleghi scoprirono, infatti, la presenza di uno strato di argilla scura (databile a circa 66 milioni di anni fa), dello spessore di circa 1 cm, con una concentrazione molto elevata di iridio (circa 30 volte superiore al normale). L’iridio è un metallo siderofilo e nella crosta terrestre è rarissimo perché sprofondato, insieme al ferro, nel nucleo del nostro pianeta durante la fase di differenziazione gravitazionale. Al contrario, l’iridio è molto abbondante nelle meteoriti (e quindi negli asteroidi di cui le meteoriti sono i frammenti), dove è presente in misura mille volte superiore rispetto alla crosta terrestre. Da qui la formulazione della teoria sulla caduta di un asteroide di circa 10 km di diametro come responsabile dell’estinzione dei dinosauri: l’evento, alterando il clima terrestre, avrebbe portato all’estinzione dei meno adatti a sopravvivere. La successiva scoperta del cratere di Chicxulub – una struttura da impatto di circa 200 km di diametro, parzialmente sepolta al di sotto della penisola dello Yucatan, nel golfo del Messico – fu un’ulteriore prova a sostegno della teoria di Alvarez.

Pur essendo le prove della caduta di un asteroide incontestabili, si riteneva che l’estinzione di massa fosse stata coadiuvata anche da un periodo molto intenso di eruzioni vulcaniche, della durata di circa 30mila anni, che immisero nell’atmosfera un’enorme quantità di ceneri e gas vulcanici (fra cui il biossido di zolfo e il biossido di carbonio), contribuendo così al rapido cambiamento climatico. Quale paleovulcano potrebbe avere alterato il clima così profondamente a livello globale? La risposta è: i Trappi del Deccan, una serie di imponenti colate stratificate fatte di basalto che si trovano nell’Altopiano del Deccan, nell’India occidentale. Si tratta di una delle regioni vulcaniche più estese della Terra, con un’età di circa 66 milioni di anni, coincidente quindi con quella dell’estinzione di massa.

Ma i due eventi – asteroide ed eruzione – sono stati realmente coincidenti? E l’eruzione vulcanica ha avuto un ruolo nell’estinzione di massa? Ha cercato di fare chiarezza il geologo Pincelli Hull, della Yale University, in un articolo pubblicato venerdì scorso su Science. Come già detto, il problema è la risoluzione temporale degli eventi: se è troppo grossolana, è impossibile dire se l’eruzione abbia rafforzato gli effetti della caduta dell’asteroide o meno. Hull e colleghi si sono concentrati sull’emissione dei gas vulcanici, in particolare dell’anidride carbonica, che – essendo un gas serra – deve avere provocato un aumento di temperatura in coincidenza con l’eruzione. Come “termometro” il team ha prelevato carote di sedimenti marini oceanici, e ha analizzato prevalentemente le variazioni del rapporto O18/O16 (ossia il rapporto fra gli isotopi 16 e 18 dell’ossigeno), presente nei foraminiferi e nei molluschi fossili.

Le variazioni di temperatura globali al limite K/Pg determinate con foraminiferi e molluschi fossili (Crediti: Hull et al., Science 367, 266-272, 2020)

In natura l’ossigeno è presente in due isotopi: O16 e lO18, appunto, con il primo che costituisce il 99 per cento degli atomi. Quando nella molecola di acqua si trova l’O16, essendo più leggera di quelle che contengono l’O18, evapora più facilmente. Se il periodo è caldo, l’acqua leggera compie il suo normale ciclo di evaporazione – condensazione – pioggia e ritorna al mare, quindi il rapporto O16/O18 resta invariato. Nei periodi freddi, invece, l’acqua che evapora viene intrappolata nelle calotte polari, quindi in mare aumenta la frazione di acqua che contiene l’O18. Di conseguenza, nei periodi di temperatura più bassa si trova una maggiore quantità di acqua con l’O18 che i foraminiferi utilizzano per costruire il loro guscio di calcare che si ritrova nei fossili. Da qui la correlazione fra il rapporto O18/O16 e la temperatura dell’acqua dell’oceano. Esaminando le variazioni di O18/O16 (e anche quelle degli isotopi del carbonio C13/C12), i ricercatori hanno scoperto che c’è stato un evento di aumento della temperatura attorno ai 2 °C circa 200mila anni prima dell’evento K/Pg. Dopo un calo di temperatura in coincidenza con lo strato K/Pg, c’è stata una crescita della temperatura che ha superato 1 °C circa 600mila anni dopo l’estinzione dei dinosauri (vedi il grafico qui sopra).

Tenendo presenti questi dati sull’andamento delle variazioni di temperatura, Hull e colleghi hanno cercato di stabilire la cronologia dell’emissione di anidride carbonica dai Trappi del Deccan. A questo scopo hanno usato un modello climatico globale e cinque diversi scenari per l’emissione dei gas vulcanici, per valutare quale scenario permettesse di ricostruire al meglio le variazioni osservate di temperatura. Dei cinque scenari considerati, solo due – eruzione prima dell’impatto, oppure eruzione in corso durante l’impatto – hanno superato questo test. Quindi, in ogni caso, la maggior parte – o almeno il 50 per cento – dei gas prodotti dai Trappi del Deccan sono stati emessi in atmosfera molto prima della caduta dell’asteroide, e non da 10mila a 60mila anni prima come si riteneva in precedenza. Chiaramente non si è verificata nessuna estinzione di massa in conseguenza dell’eruzione, altrimenti ce ne sarebbe traccia nei fossili. Di conseguenza, concludono gli autori dello studio, la caduta dell’asteroide è stata l’unica causa dell’estinzione K/Pg. Al confronto, l’eruzione dei Trappi del Deccan è stato solo un piacevole diversivo.

Per saperne di più:


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Giovedì scienza

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Giovedì Scienza

Giovedì Scienza

Ogni settimana il Teatro Colosseo, l’Aula magna della Cavallerizza Reale dell’Università di Torino, l’Aula magna “Giovanni Agnelli” del Politecnico di Torino e l’Auditorium della Città metropolitana di Torino, si trasformano in un grande laboratorio scientifico.
Da novembre a marzo non solo conferenze ma dimostrazioni, esperimenti di laboratorio, spettacoli teatrali e filmati per portare il sapore della ricerca al grande pubblico.
Calendario degli appuntamenti

La partecipazione è aperta a tutti, l’appuntamento è il giovedì alle 17.45
INGRESSO LIBERO FINO A ESAURIMENTO POSTI

www.giovediscienza.it

“MarSEC” Marana space explorer center

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Osservatorio e Planetario di Marana, Via Pasquali Marana, 36070 Marana di Crespadoro (VI).
Ogni ultimo venerdì del mese avremo un ospite per varie conferenze.

24.01, ore 21.00: “Il cielo di Gennaio – Live al planetario” a seguire osservazione al telescopio.
31.01, ore 21.00: Conferenza “I colori delle stelle” di Paolo Ochner che potete seguire in streaming, sulla nostra pagina Fb e sul nostro canale YouTube,.

Info: www.marsec.org – segreteria@marsec.org

Astrochannel: seminari e coffee-talk

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INAFUna TV via web sulle attività dell’Istituto Nazionale di Astrofisica. La visione e l’utilizzo di Astrochannel sono gratuiti e consentiti a tutti (se però siete interessati solo a singoli video, suggeriamo d’iscriversi). Suggeriamo di seguito i seminari in lingua italiana, ma il programma è decisamente più ampio e può essere consultato qui: http://www.media.inaf.it/inaftv/seminari/#3151
Attenzione: l’elenco che segue potrebbe essere non aggiornato. Per maggiori informazioni e aggiornamenti in tempo reale sui singoli seminari, vi invitiamo a fare riferimento ai siti web delle singole sedi.

OA Torino, 23/01/2020 @ 11:00
Michele Cignoni (Università di Pisa), “La formazione della Via Lattea raccontata dalle stelle

Per seguire i seminari, installare il software (http://www.media.inaf.it/inaftv/) o cercare il video sul canale YouTube INAF-TV.
Astrochannel è un software di Marco Malaspina – Copyleft INAF Ufficio Comunicazione – 2007-2015

Unione Astrofili Senesi

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Osservatorio Astronomico Provinciale di Montarrenti, SS. 73 Ponente, Sovicille (SI).
L’OAPM apre gratuitamente al pubblico per l’osservazione del cielo notturno il 2° e 4° venerdì del mese.

24.01, ore 21:30: Il cielo al castello di Montarrenti
L’Osservatorio Astronomico di Montarrenti sarà aperto al pubblico per delle serate osservative, con particolare attenzione alla Luna che sarà piena il giorno 10), agli ammassi stellari e ai vari oggetti del profondo cielo, come la Nebulosa di Orione che caratterizzerà il cielo per quasi tutto il periodo autunno-inverno. Prenotazione obbligatoria sul sito o inviando un messaggio WhatsApp a Patrizio (3472874176) oppure un sms a Giorgio (3482650891).

In caso di tempo incerto telefonare per conferma.

Seguiteci su www.astrofilisenesi.it e sulla nostra pagina facebook Unione Astrofili Senesi

Marte e Antares al mattino raggiunti dalla Luna

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Il mattino del giorno 18 gennaio, alle ore 6:00, volgendo il nostro sguardo verso sudest, potremo notare la presenza di due astri rossastri a poco meno di 15° sull’orizzonte. Ci appariranno come due occhi infuocati nel cielo ancora scuro: sono il pianeta Marte (mag. +1,5) e la stella Antares (alfa Scorpii, mag. +1,1).

Avvicinamenti di questo tipo, tra il Pianeta Rosso e Antares che, come è noto e come sta anche a indicare il suo nome, è considerata per il suo colore la “rivale” del pianeta, avvengono all’incirca ogni due anni. La separazione di quest’anno sarà pari a 4° 42’, con Marte a nordest di Antares, niente a che vedere con la distanza raggiunta in passati avvicinamenti, come quella del 1999, quando Marte si avvicinò fino a una distanza di 2° 48’, ma, al di là di questi dettagli, sarà comunque piacevole osservare questa larga congiunzione.

Rappresentazione artistica di Antares
Questa rappresentazione artistica mostra la supergigante rossa Antares nella costellazione dello Scorpione. Usando il VLTI dell'ESO (l'interferometro del VLT) ne è stata ricostruita l'immagine più dettagliata mai ottenuta per questo oggetto o per una qualsiasi stella che non sia il Sole. Con gli stessi dati è anche stata prodotta la prima mappa delle velocità del materiale che compone l'atmosfera di una stella diversa dal Sole. Crediti: ESO/M. Kornmesser

Sarà un’occasione per confrontare le tonalità rosse di entrambi gli oggetti celesti, e sarà interessante anche seguire l’evoluzione nel tempo di questo incontro celeste, in particolare nei giorni a seguire, tra il 20 e il 21 gennaio, quando li raggiungerà una falce di Luna (fase del 21% il giorno 20 e del 14% il giorno 21).

Potremo quindi dapprima vedere la Luna avvicinarsi da nordovest, il giorno 20, alle brillanti stelle dello Scorpione, posizionandosi ad appena 1° 25’ da Acrab (beta1 Scorpii, mag. +2,6), a nord di Antares e a nord-nordovest di Marte.

Il 21 gennaio invece la falce di Luna avrà sorpassato sia Marte che Antares, risultando molto più bassa sull’orizzonte di sudest, a circa 12° di altezza. In questo caso la Luna si troverà a 5° 25’ a sudest di Marte e a 9° 20’ a est di Antares.

Ricordiamo per l’occasione questo articolo di Stefano Schirinzi dedicato ad Antares la stella alfa dello Scorpione e nemesi del Pianeta Rosso!

Le effemeridi di Luna e Pianeti le trovi nel Cielo di Gennaio 2020 su coelum.com



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Accademia delle Stelle

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2020-01 Coelum AdS

2020-01 Coelum AdS

Corsi di Astronomia a Roma
Il 2020 si apre con due corsi della nostra Scuola di Astronomia, uno il lunedì, l’altro il giovedì, che dureranno fin dopo la metà di marzo presso la nostra sede all’EUR, di fronte alla metro Laurentina.

Da lunedì 20 gennaio: Corso Base di Astronomia Generale
Un meraviglioso viaggio alla scoperta dell’Universo e di tutti gli oggetti incredibili che lo popolano. Pulsar, quasar, buchi neri… Un corso completo delle fasi lunari al Big Bang

Da giovedì 30 gennaio: Corso completo di Astrofotografia
Lezioni teoriche e pratiche per imparare e sperimentare tutte le competenze che servono per fare spettacolari fotografie del cielo con qualsiasi strumento, dalla semplice reflex al telescopio ed elaborarle.

Info:
https://www.facebook.com/accademia.dellestelle
https://www.accademiadellestelle.org

Astronomiamo

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LocandinaCoelum_1219

LocandinaCoelum_1219Da gennaio con
Corso Base di Astronomia Teorica
Corso di Ripresa e Editing astrofotografico
Cosmologia: La Forma dell’Universo

Info:
https://www.astronomiamo.it

Supernovae: Messier 100 replica per la settima volta!

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Messier 100, la galassia protagonista del momento in una immagine d’archivio a colori ottenuta da Marco Burali Ottica : FRC 300 F7,8 - Montatura : AP 1200 GTO - CCD : FLI 1001E Pose : filtro CLS-CCD 240 minuti RGB Takahashi TOA 150 F 5.8 CCD Moravian G2 4000 60+60+60 minuti
Messier 100, la galassia protagonista del momento in una immagine d’archivio a colori ottenuta da Marco Burali. Ottica : FRC 300 F7,8 - Montatura : AP 1200 GTO - CCD : FLI 1001E Pose : filtro CLS-CCD 240 minuti RGB Takahashi TOA 150 F 5.8 CCD Moravian G2 4000 60+60+60 minuti

La stupenda galassia a spirale Messier 100, a distanza di poco più di otto mesi dalla SN2019ehk, vede esplodere al suo interno una nuova supernova scoperta nella notte del 7 gennaio dal programma professionale americano Zwicky Transient Facility ZTF presso il Palomar Observatory in California.

Al momento della scoperta il transiente brillava di mag. +17,3 e, nella notte del 9 gennaio – con il Souther Astrophysical Research Telescope (SOAR), un moderno telescopio da 4,10 metri con ottiche attive posto a 2.700 metri di altitudine sul Cerro Pachon in Cile – ne è stato ripreso lo spettro di conferma.

La SN2020oi in una immagine ottenuta da Paolo Campaner con un riflettore 400mm F.5,5 somma di 19 immagini da 40 secondi.

La SN2020oi, questa la sua sigla definitiva assegnata, è una supernova di tipo Ic scoperta circa una settimana prima del massimo di luminosità. La galassia ospite M 100 è una delle più belle galassie a spirale del catalogo di Messier, vista di faccia e distante circa 55 milioni di anni luce nella costellazione della Chioma di Berenice.

Con questa nuova scoperta M 100 raggiunge M 61 che con 7 supernovae conosciute deteneva in solitario il record di supernovae esplose in una galassia Messier.

Le sei precedenti supernovae in M 100 sono state in ordine cronologico la SN1901B che rappresenta in assoluto la quinta supernova extragalattica scoperta e la seconda esplosa in una galassia Messier dopo la primissima SN1885A in M31; proseguendo abbiamo avuto la SN1914A; la SN1959E; la SN1979C e la SN2006X scoperta dal giapponese Shoji Suzuki e dal nostro cortinese Marco Migliardi; e infine quella dello scorso anno la SN2019ehk.

A differenza però della SN2019ehk, che come massimo di luminosità si fermò alla mag. +15 a causa di un forte assorbimento da polveri, l’attuale supernova SN2020oi, nei giorni seguenti la scoperta, è aumentata rapidamente di luminosità fino a raggiungere la mag. +13,0 intorno alla metà di gennaio.

Immagini ottenute da Paolo Campaner con un riflettore 400mm F.5,5 che evidenziano l’incremento di luminosità della supernova nei giorni seguenti la scoperta.

Sembrerebbe perciò un’occasione veramente ghiotta da non perdere, ed in effetti è così, ma c’è un però: la sua posizione è purtroppo molto vicina al nucleo della galassia (1” Est – 6” Nord) e nelle pose più lunghe la luminosità del nucleo tende a coprire quella della supernova. Come se non bastasse nei giorni dopo la scoperta abbiamo avuto la Luna piena (10 gennaio) che proprio la notte del 15 gennaio si troverà a soli 10° da M100 disturbando le riprese.

Basterà però aspettare qualche giorno perché la Luna si allontani e avremmo perciò la possibilità di ottenere delle belle immagini di una supernova posta in una stupenda e fotogenica galassia. E come sempre le aspettiamo su Photocoelum!

Segui la rubrica mensile dedicata alla ricerca di amatoriale di supernovae a cura di Fabio Briganti e Riccardo Mancini dell’ISSP (Italian Supernovae Search Project), pubblicata ogni mese su Coelum Astronomia.


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Tracciato per la prima volta il viaggio del fosforo, elemento essenziale per la vita

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Dalle regioni di formazione stellare alla composizione di una cometa, e da lì sulla Terra. Un nuovo studio nato dalla collaborazione di ESA e ESO, grazie ai dati raccolti da ALMA e dallo strumento ROSINA a bordo della sonda Rosetta, ha per la prima volta tracciato il percorso di uno dei fondamentali costituenti della vita, il fosforo. Crediti: ALMA (ESO/NAOJ/NRAO), Rivilla et al.; ESO/L. Calçada; ESA/Rosetta/NAVCAM; Mario Weigand, www.SkyTrip.de

«La vita è apparsa sulla Terra circa 4 miliardi di anni fa, ma non conosciamo ancora i processi che l’hanno resa possibile», spiega Víctor Rivilla, autore principale di un nuovo studio pubblicato oggi dalla rivista Monthly Notices of the Royal Astronomical Society. I nuovi risultati di ALMA (Atacama Large Millimeter/Submillimeter Array), di cui l’Osservatorio europeo australe (ESO) è partner, e dello strumento ROSINA a bordo di Rosetta mostrano che il monossido di fosforo è un elemento chiave nel rompicapo sull’origine della vita e ne tracciano il percorso dalla formazione alla Terra.

Il primo passo è stato cercare di individuare quando il fosforo viene creato, e il posto principale non poteva essere che una regione di formazione stellare. La potenza di ALMA, ha permesso uno sguardo dettagliato nella regione di formazione stellare AFGL 5142. Queste regioni simili a nubi, formate da gas e polvere sparsi tra le stelle, sono infatti iluoghi ideali in cui cercare i cosidetti mattoni della vita, è qui che si formano infatti le nuove stelle con i loro sistemi planetari.

Questa immagine ottenuta dai dati di ALMA, mostra una dettagliata visione della regione di formazione stellare AFGL 5142. Al centro vediamo una giovanissima stella, ancora in formazione. Le radiazioni della stella hanno scavato delle cavità nella nube di gas che le ha dato vita, che vediamo a colori (i diversi colori indicano materiali che si muovono a diverse velocità). In queste cavità sono state individuate molecole contenenti fosforo, tra le quali il più abbondante monossido di fosforo. Crediti: ALMA (ESO/NAOJ/NRAO), Rivilla et al.

Le osservazioni ALMA hanno mostrato che molecole contenenti fosforo vengono create quando si formano stelle massicce. I flussi di gas provenienti da queste stelle giovani e massicce scavano delle cavità nelle nubi interstellari, e proprio sulle pareti di queste cavità si formano tali molecole, attraverso l’azione combinata di urti e radiazioni dalla giovane stella. In particolare sottoforma di monossido di fosforo, la molecola contenente fosforo più abbondante rintracciata sulle pareti di queste cavità.

L’idea a questo punto era di seguire le tracce di queste molecole. Quando le pareti delle cavità create nelle nubi interstellari collassano per formare una stella, nel caso in cui si tratti di una stella non particolarmente massiccia come il Sole, il monossido di fosforo può rimanere intrappolato nei granelli di polvere ghiacciata che restano attorno alla nuova stella. Granelli che, ancor prima che la stella sia completamente formata, si uniscono per formare sassolini, rocce e infine comete, che potevano diventare a questo punto i veicoli ideali per il rrasporto per il monossido di fosforo.

Sappiamo infatti che le comete sono responsabili della presenza di diversi elementi arrivati sulla Terra, e che in qualche misura hanno contribuito alla presenza degli elementi necessari a sviluppare la vita. Il gruppo europeo è quindi passato allo studio di una delle comete ormai più studiate del Sistema Solare, grazie soprattutto alla missione Rosetta, la cometa 67P/Churyumov–Gerasimenko.

Un mosaico di immagini scattate il 10 settembre 2014 ci mostra Chury, la cometa visitata dalla sonda Rosetta. Le immagini sono state riprese quando la sonda si trovava 27,8 km dalla superficie. Crediti: ESA/Rosetta/NAVCAM

ROSINA, acronimo che sta per Rosetta Orbiter Spectrometer for Ion and Neutral Analysis, ha raccolto dati da “Chury” per due anni, mentre la sonda Rosetta era in orbita intorno alla cometa. Gli astronomi avevano già trovato tracce di fosforo nei dati di ROSINA, ma non sapevano di quale molecola in particolare. Kathrin Altwegg,  investigatrice principale di Rosina e co-autrice del nuovo studio, ha avuto il giusto suggerimento dopo essere stata avvicinata a una conferenza da un astronoma che stava studiando con ALMA le regioni di formazione stellare: «Mi disse che il monossido di fosforo poteva essere un candidato molto probabile, quindi sono tornata a verificare i nostri dati ed eccolo lì!».

«Il fosforo è essenziale per la vita come la conosciamo», spiega infatti Altwegg. «Dato che le comete hanno probabilmente fornito grandi quantità di composti organici alla Terra, il monossido di fosforo trovato nella cometa 67P potrebbe rafforzare il legame tra le comete e la vita sulla Terra».

Finalmente la connessione è avvenuta, il tracciato del viaggio del monossido di fosforo è completo, o per lo meno ne abbiamo forti indizi a favore, a partire dalle regioni di formazione stellare, dove viene creato, fino alla Terra, dove ha svolto un ruolo di primo piano per la formazione della vita.

Questo affascinante viaggio ha potuto essere documentato grazie alla collaborazione tra astronomi,  analizzando dati raccolti da telescopi sulla Terra, gestiti dall’ESO, e missioni di esplorazione spaziale portate avanti dall’ESA.

Conclude quindi Leonardo Testi, astronomo dell’ESO e responsabile europeo delle operazioni di ALMA: «Comprendere le nostre origini cosmiche, tra cui quanto siano comuni le condizioni chimiche favorevoli all’emergenza della vita, è uno dei temi principali dell’astrofisica moderna. Mentre ESO e ALMA si concentrano sulle osservazioni di molecole in giovani sistemi planetari distanti, l’esplorazione diretta dell’inventario chimico all’interno del nostro Sistema Solare è resa possibile dalle missioni ESA, come Rosetta. La sinergia tra strutture terrestri e spaziali all’avanguardi a livello mondiale, attraverso la collaborazione tra ESO ed ESA, è una risorsa preziosa per i ricercatori europei e consente scoperte rivoluzionarie come quella riportata in questo articolo».

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Coelum Astronomia di Gennaio 2020
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Fragility and Beauty

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La mostra è promossa dall’Agenzia Spaziale Europea (ESA) in collaborazione con l’Agenzia Spaziale Italiana (ASI), per un nuovo allestimento con le più recenti immagini della Terra scattate dai satelliti. L’esposizione, curata da Viviana Panaccia, vuole creare un collegamento tra ricerca scientifica, tecnologia spaziale e pubblico sul tema dei cambiamenti climatici e dello sviluppo sostenibile, del loro impatto sugli ecosistemi terrestri e le conseguenze sul futuro del pianeta. I satelliti, strumenti insostituibili per la diagnosi di tali cambiamenti, ci inviano un grido di allarme sulla fragilità e vulnerabilità del nostro pianeta: frequenti fenomeni climatici sempre più estremi, calotte polari in fase di scioglimento, temperature in aumento e conseguente inaridimento, mancato accesso all’acqua potabile per molte popolazioni.

Info e prenotazioni sul sito del museo: www.museoscienza.org

“MarSEC” Marana space explorer center

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Osservatorio e Planetario di Marana, Via Pasquali Marana, 36070 Marana di Crespadoro (VI).
Ogni ultimo venerdì del mese avremo un ospite per varie conferenze.

19.01, ore 15.00: “Il cielo di Gennaio – Live al planetario” a seguire visita guidata al museo dell’astronautica.
Ore 17.00 proiezione del docu-film “Phantom of universe” a seguire orientamento in cielo e osservazione al telescopio.
24.01, ore 21.00: “Il cielo di Gennaio – Live al planetario” a seguire osservazione al telescopio.
31.01, ore 21.00: Conferenza “I colori delle stelle” di Paolo Ochner che potete seguire in streaming, sulla nostra pagina Fb e sul nostro canale YouTube,.

Info: www.marsec.org – segreteria@marsec.org

Lampi radio veloci, il mistero s’infittisce

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Crediti: Astron/Jive/Evn, Daniëlle Futselaar (artsource.nl)
Crediti: Astron/Jive/Evn, Daniëlle Futselaar (artsource.nl)

I cosiddetti lampi radio veloci o Frb (dall’inglese fast radio burst) sono intensi impulsi radio brevissimi, nell’ordine dei millesimi di secondo o anche meno, provenienti da distanti galassie. Al momento la loro origine è ancora sconosciuta, ma esistono diverse ipotesi a riguardo, che puntano in direzione soprattutto di oggetti cosmici molto compatti, come le stelle di neutroni.

Grazie a diversi radiotelescopi, a oggi sono state rilevate più di un centinaio di sorgenti di Frb, di cui alcune presentano un’emissione ripetuta di questi enigmatici flash radio. Finora sono state localizzate con precisione e associate ad una galassia d’origine solamente quattro sorgenti, di cui una sola ripetitiva, scaturita da una galassia nana irregolare con poca formazione stellare.

Ora, come riporta un articolo pubblicato il 6 gennaio su Nature, un gruppo di radiotelescopi della rete europea Evn (European Vlbi Network) ha permesso di localizzare l’origine di un lampo radio veloce ripetitivo all’interno di una galassia a spirale simile alla Via Lattea. Si tratta del fast radio burst più prossimo alla Terra tra quelli finora localizzati.

Immagine della galassia ospite di Frb 180916 (al centro) acquisita con il telescopio Gemini-Nord di 8 metri alle Hawaii. La posizione del lampo radio veloce nel braccio a spirale della galassia è contrassegnata da un cerchio verde. Crediti: Osservatorio Gemini / Nsf OiarLab / Aura

Il 19 giugno 2019, otto antenne della rete europea Evn hanno osservato contemporaneamente – comportandosi come se fossero un unico, grande, radiotelescopio – una sorgente radio nota come Frb 180916.J0158 + 65, scoperta nel 2018 dal radiotelescopio canadese Chime.

Nel corso delle cinque ore di durata dell’osservazione, il gruppo di ricerca internazionale, guidato da Benito Marcote dell’istituto olandese Jive, ha rilevato quattro lampi radio, ciascuno della durata di meno di due millesimi di secondo.

La risoluzione raggiunta attraverso la combinazione interferometrica dei radiotelescopi sparsi in una vasta area tra Europa e Cina, usando una tecnica nota come Very long baseline interferometry (Vlbi), ha permesso di localizzare l’origine dei lampi in una regione di cielo grande appena sette anni luce. Per fare un paragone, spiegano gli autori del nuovo studio, è come se da Terra si riuscisse a distinguere una persona sulla Luna.

Il gruppo di ricerca ha quindi puntato su queste precise coordinate uno dei più grandi telescopi ottici del mondo, il Gemini Nord da 8 metri sul Mauna Kea alle Hawaii, le cui osservazioni hanno rivelato che il lampi radio hanno avuto origine da una galassia a spirale, denominata Sdss J015800.28 + 654253.0, situata a mezzo miliardo di anni luce dalla Terra, in particolare da una regione di quella galassia in cui avviene abbondante formazione stellare.

Kenzie Nimmo, Astron/Univ. Amsterdam

Studiare le caratteristiche delle galassie e delle zone specifiche in cui si verificano i lampi radio veloci è uno dei passi cruciali per arrivare a comprendere come e da quali oggetti possano essere prodotte queste misteriose e repentine esplosioni d’energia.

«L’ambiente da cui scaturisce il fast radio burst da noi localizzato è radicalmente diverso rispetto a quello del lampo radio veloce ripetitivo localizzato in precedenza, ma è anche diverso da tutti gli Frb finora studiati», spiega Kenzie Nimmo, dottoranda all’Università di Amsterdam, fra gli autori del nuovo studio. «Le differenze tra lampi radio ripetitivi e non ripetitivi risultano quindi meno chiare e ora siamo portati a pensare che questi eventi potrebbero non essere collegati a un particolare tipo di galassia o ambiente. Potrebbe essere che i fast radio burst siano prodotti in una grande varietà di luoghi in tutto l’universo ma richiedano alcune specifiche condizioni per essere visibili».

Scorcio della parabola da 32 metri dell’Inaf a Medicina (Bo), parte della rete europea Evn, in mezzo ai filari dello storico radiotelescopio Croce del Nord. Crediti: Inaf/Renato Cerisola

Tra le otto antenne utilizzate per questa scoperta ce n’è anche una italiana, una parabola da 32 metri dell’Inaf localizzata alla Stazione radioastronomica di Medicina, in provincia di Bologna.

«Benché siano stati rivelati ormai un centinaio di fast radio burst, la loro origine è tutt’ora sconosciuta e rimane una delle domande aperte dell’astrofisica contemporanea. Il primo passo per studiarli è la loro localizzazione nello spazio, per la quale sono indispensabili quelle altissime risoluzioni angolari che può fornire solo la rete radioastronomica interferometrica a lunghissima base (Vlbi), a cui Inaf partecipa con le antenne di Medicina, Noto (in Sicilia) e con il Sardinia Radio Telescope», commenta a Media Inaf Tiziana Venturi, direttrice dell’Istituto di radioastronomia dell’Inaf. «Le antenne italiane partecipano alle campagne osservative della rete internazionale del Vlbi ormai da oltre 35 anni. È davvero entusiasmante vedere che gli sviluppi e le prestazioni di questa raffinatissima tecnica contribuiscono ancora in maniera insostituibile allo studio e alla comprensione di fenomeni astrofisici nuovi rivelati dagli strumenti più moderni».

Per saperne di più:

Leggi su Nature l’articolo “A repeating fast radio burst source localized to a nearby spiral galaxy”.

Guarda il video in inglese sulla scoperta realizzato da Astron/Jive:


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10 gennaio, Eclisse Lunare parziale di penombra

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Il nuovo anno si apre con una nuova eclisse lunare parziale di penombra prevista per la serata del 10 gennaio 2020.

Considerando come utile riferimento l’Italia Centrale, per quanto riguarda la Città di Roma (Latitudine 41,9°Nord – Longitudine 12,48°Est) questa eclisse avrà inizio alle 18:08 con la Luna (Plenilunio alle 20:21 del 10 gennaio) che dopo essere sorta alle 16:40 si troverà a un’altezza di +13°.

In questa prima fase dell’eclisse le regioni maggiormente penalizzate saranno ancora una volta quelle più settentrionali dove l’altezza della Luna sarà intorno ai 10/11° sopra l’orizzonte, mentre nelle estreme regioni meridionali osserveranno l’inizio di questo fenomeno col nostro satellite a un’altezza intorno ai 16/17°.

Il massimo dell’eclisse è previsto per le 20:10 con la Luna che nell’area di Roma sarà a un’altezza di +35°, pertanto potrà essere osservato senza alcun problema sia dal Nord Italia con un’altezza minima di 31° fino all’estremo Sud dove si troverà a +38/39° sopra l’orizzonte.

La fase terminale del fenomeno, prevista per le 22:12, potrà essere seguita in ottime condizioni di visibilità praticamente su tutto il territorio nazionale da nord a sud con un’altezza compresa dai 50° ai 60°, osservazioni che potranno essere limitate dall’andamento climatico stagionale. L’eclisse parziale di penombra del 10 gennaio avrà una “magnitudine di penombra” di 0,896 (frazione lunare oscurata con l’ingresso della penombra della Terra) e una “magnitudine umbral” di –0,116 (frazione lunare oscurata dal cono d’ombra della Terra).

La differenza di luminosità della Luna in penombra non sarà particolarmente evidente, soprattutto a un occhio non esperto, ma fotograficamente darà qualche soddisfazione in più… ricordiamo comunque, anche se riferiti a un’eclisse parziale di ombra, i consigli di Giorgia Hofer pubblicati sul numero 213:

➜ Riprendiamo l’eclissi parziale di Luna

Sarà invece un’occasione in più per tentare l’osservazione telescopica della Luna Piena (ma anche solo tramite un binocolo o a occhio nudo), con la guida pubblicata sul numero del dicembre scorso:

➜ Guida all’osservazione della Luna Piena

Le effemeridi di Luna e Pianeti le trovi nel Cielo di Gennaio 2020 su coelum.com

 


Tutti consigli per l’osservazione del Cielo di Gennaio e una panoramica degli eventi del Cielo del 2020 su Coelum Astronomia 240

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“MarSEC” Marana space explorer center

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Osservatorio e Planetario di Marana, Via Pasquali Marana, 36070 Marana di Crespadoro (VI).
Ogni ultimo venerdì del mese avremo un ospite per varie conferenze.

10.01, ore 21:00: “Il cielo di Gennaio – Live al planetario” a seguire osservazione al telescopio.
19.01, ore 15.00: “Il cielo di Gennaio – Live al planetario” a seguire visita guidata al museo dell’astronautica.
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Unione Astrofili Senesi

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Osservatorio Astronomico Provinciale di Montarrenti, SS. 73 Ponente, Sovicille (SI).
L’OAPM apre gratuitamente al pubblico per l’osservazione del cielo notturno il 2° e 4° venerdì del mese.

10.01 e 24.01, ore 21:30: Il cielo al castello di Montarrenti
L’Osservatorio Astronomico di Montarrenti sarà aperto al pubblico per delle serate osservative, con particolare attenzione alla Luna che sarà piena il giorno 10), agli ammassi stellari e ai vari oggetti del profondo cielo, come la Nebulosa di Orione che caratterizzerà il cielo per quasi tutto il periodo autunno-inverno. Prenotazione obbligatoria sul sito o inviando un messaggio WhatsApp a Patrizio (3472874176) oppure un sms a Giorgio (3482650891).

In caso di tempo incerto telefonare per conferma.

Seguiteci su www.astrofilisenesi.it e sulla nostra pagina facebook Unione Astrofili Senesi

Astrochannel: seminari e coffee-talk

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INAFUna TV via web sulle attività dell’Istituto Nazionale di Astrofisica. La visione e l’utilizzo di Astrochannel sono gratuiti e consentiti a tutti (se però siete interessati solo a singoli video, suggeriamo d’iscriversi). Suggeriamo di seguito i seminari in lingua italiana, ma il programma è decisamente più ampio e può essere consultato qui: http://www.media.inaf.it/inaftv/seminari/#3151
Attenzione: l’elenco che segue potrebbe essere non aggiornato. Per maggiori informazioni e aggiornamenti in tempo reale sui singoli seminari, vi invitiamo a fare riferimento ai siti web delle singole sedi.

OA Torino, 09/01/2020 @ 11:00
Giovanni Valsecchi (INAF IAPS Roma), “L’orbita della Luna

OA Torino, 23/01/2020 @ 11:00
Michele Cignoni (Università di Pisa), “La formazione della Via Lattea raccontata dalle stelle

Per seguire i seminari, installare il software (http://www.media.inaf.it/inaftv/) o cercare il video sul canale YouTube INAF-TV.
Astrochannel è un software di Marco Malaspina – Copyleft INAF Ufficio Comunicazione – 2007-2015

Unione Astrofili Senesi

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Osservatorio Astronomico Provinciale di Montarrenti, SS. 73 Ponente, Sovicille (SI).
L’OAPM apre gratuitamente al pubblico per l’osservazione del cielo notturno il 2° e 4° venerdì del mese.
04.01, ore 21:30: Orione e la Luna
Ritrovo presso Porta Laterina a Siena da dove raggiungeremo a piedi la Specola “Palmiero Capannoli” per osservare il cielo invernale e gli oggetti contenuti nelle costellazioni tipiche di questo periodo (quella di Orione in particolare) e la Luna, da pochissimo oltre la fase di primo quarto. Prenotazione obbligatoria sul sito o a Davide Scutumella (3388861549)

10.01 e 24.01, ore 21:30: Il cielo al castello di Montarrenti
L’Osservatorio Astronomico di Montarrenti sarà aperto al pubblico per delle serate osservative, con particolare attenzione alla Luna che sarà piena il giorno 10), agli ammassi stellari e ai vari oggetti del profondo cielo, come la Nebulosa di Orione che caratterizzerà il cielo per quasi tutto il periodo autunno-inverno. Prenotazione obbligatoria sul sito o inviando un messaggio WhatsApp a Patrizio (3472874176) oppure un sms a Giorgio (3482650891).

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Il Cielo di Gennaio 2020

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La cartina mostra l'aspetto del cielo alle ore (TMEC): 1 Gen > 23:00; 15 Gen > 22:00; 31 Gen > 21:00. Crediti Coelum Astronomia CC-BY
La cartina mostra l’aspetto del cielo alle ore (TMEC): 1 Gen > 23:00; 15 Gen > 22:00; 31 Gen > 21:00. Crediti Coelum Astronomia CC-BY

EFFEMERIDI (apr.-ott. 2019 – TU+2)

Luna

Sole e Pianeti

Proprio le numerose ore di buio. permettono in questo periodo di spaziare dalle costellazioni autunnali più orientali (come i Pesci, il grande Pegaso o la più debole Balena), ancora visibili in prima serata verso ovest, fino alle regioni ricche di nebulose, ammassi e stelle splendenti tipiche del cielo invernale, per terminare, nella seconda parte della notte, con le prime avvisaglie della grande concentrazione di galassie del cielo primaverile, tra le plaghe celesti della Vergine e del Leone.

➜ Il Cielo di gennaio con la UAI: viaggio verso la Crab Nebula

➜ Riprendiamo il viaggio tra le costellazioni con Stefano Schirinzi dal Cane Maggiore (I parte), la casa della brillante Sirio

IL SOLE

Dopo essere arrivato alla minima declinazione durante il Solstizio dello scorso 22 dicembre, il Sole ha iniziato subito a risalire l’eclittica. La sua altezza sull’orizzonte, al momento del passaggio in meridiano, sarà nel corso di gennaio ancora molto modesta (in media +27°), ma l’arco descritto nel cielo tenderà a divenire ogni giorno più ampio. Ciò comporterà ovviamente un lieve aumento delle ore di luce, di circa 45 minuti, così che nel primo mese dell’anno la notte astronomica inizierà in media alle 18:45, mentre il mattino terminerà alle 6:00 circa..

➜ Continua a leggere sul Cielo di Gennaio all’interno del nuovo numero (sempre in formato digitale e gratuito!)

COSA OFFRE IL CIELO

Mercurio, ancora invisibile per la congiunzione con il Sole, apparirà solo verso la fine del mese, mentre Venere brilla sempre più nel cielo della sera.

➜ Segui e riprendi Venere al suo meglio in questi mesi, nel suo passaggio da Vespero, stella della sera, a Lucifero, stella del mattino, con i consigli di Giorgia Hofer.

Marte, invece, sarà il protagonista del mattino, con Giove che riapparirà solo verso fine mese. Nella prima parte del mese potremo però osservare il grande pianeta gassoso assieme a Saturno e Mercurio nel campo del coronografo LASCO C3.

Maggiori dettagli e informazioni anche sui più distanti Urano e Nettuno, non visibili a occhio nudo, su pianeti nani e asteroidi, li trovate nel Cielo di Gennaio all’interno del nuovo numero.

Le Quadrantidi

Poco dopo le Geminidi tocca alle Quadranti, altro sciame importante, ma con un picco massimo di breve durata, motivo per cui poco famoso e non semplice da osservare. Il massimo dell’attività si avrà quest’anno verso le 9:20 del 4 gennaio.

Essendo un orario diurno, il momento migliore per tentare di carpire qualche “stella cadente” sarà nella notte immediatamente precedente (quindi tra il 3 e il 4 gennaio) o in quella seguente (tra il 4 e il 5 gennaio). Purtroppo non mancherà la Luna a disturbare la visione, appena dopo la fase di Primo Quarto: fortunatamente, però, nella notte tra il 3 e il 4 gennaio il nostro satellite naturale tramonterà poco prima dell’una di notte, lasciandoci quindi la possibilità di osservare le meteore in buone condizioni, quando il radiante, che è circumpolare per le nostre latitudini, sarà anche più alto sull’orizzonte (circa 18° sull’orizzonte di nordest).

L’eclisse di Luna di Penombra

Il nuovo anno si apre con una nuova eclisse lunare parziale di penombra prevista per la serata del 10 gennaio 2020, rendendosi largamente osservabile in Italia. Le eclissi di penombra non sono particolarmente suggestive a occhio nudo, ma dal punto di vista fotografico invece offrono buone opportunità. Quest’anno ne avremo ben tre visibili dall’Italia (leggi anche Il Cielo del 2020), cominciamo quindi con questa!

Come sempre maggiori dettagli e tutti i consigli per l’osservazione del cielo li trovate sul Cielo di Gennaio 2020, su Coelum Astronomia.

Hai compiuto un’osservazione? Condividi le tue impressioni, mandaci i tuoi report osservativi o un breve commento sui fenomeni osservati: puoi scriverci a segreteria@coelum.com. E se hai scattato qualche fotografia agli eventi segnalati, carica le tue foto in PhotoCoelum!

Tutti consigli per l’osservazione del Cielo di Dicembre su Coelum Astronomia 239

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Luna e Venere per chiudere l’anno in bellezza

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L’ultima proposta di dicembre, vede protagonisti una sottile falce di Luna e il brillante pianeta Venere, un incontro che si verificherà tra le deboli stelle della costellazione del Capricorno. Si tratta di un’ampia congiunzione, con la Luna che non si avvicinerà a Venere a meno di 5°.

Il giorno 28, guardando verso ovest-sudovest all’orario indicato potremo notare, molto bassa sull’orizzonte, la Luna (fase del 6%), ormai prossima al tramonto. Più in alto, a circa 8° di altezza, vedremo il brillante pianeta Venere (mag. –4,0): i due astri saranno separati di circa 5°.

Il giorno seguente, il 29 dicembre, alla stessa ora, la Luna (fase del 12%) avrà superato Venere in altezza, posizionandosi a circa 13° sull’orizzonte: in questo caso la loro separazione sarà un po’ più ampia: circa 6° e mezzo.

Nonostante non si tratti di un incontro ravvicinato, sarà bello seguire l’evoluzione del moto dei due oggetti nel corso dei giorni indicati e magari di scattare una bella fotografia di paesaggio a grande campo che comprenda i due astri.

Sul nuovo numero di gennaio torna utile la rubrica di Giorgia Hofer ➜  Venere nel 2020: Vespero vs Lucifero con tanti consigli e link per l’osservazione e la ripresa del secondo pianeta del Sistema Solare

Le effemeridi di Luna e Pianeti le trovi nel Cielo di Dicembre 2019

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“MarSEC” Marana space explorer center

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Ogni ultimo venerdì del mese avremo un ospite per varie conferenze.
Presso l’Osservatorio e Planetario di Marana saranno proiettati i film: “Moon 2019”, “Two small pieces of Glass”, “The Hot and Energetic Universe”, “From Earth to Universe”.
Per le date e gli orari consultare il programma alla pagina https://www.marsec.org/prenotazioni-ed-eventi/

28.12, ore 19:00: Fra stelle e filosofia evento per gli auguri di buone feste

Info: www.marsec.org – segreteria@marsec.org

Luna e Saturno al tramonto

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Il 27 dicembre, alle ore 17:15, per chi vorrà ritagliarsi una breve pausa dal clima di festività che ha caratterizzato i giorni del Natale appena trascorso, il cielo offrirà un’ottima occasione.

Si tratterà di una bella congiunzione che vedrà protagonisti una sottilissima falce di Luna (fase di appena il 2%) e il Signore degli Anelli, Saturno (mag. +0,5). I due astri saranno rintracciabili guardando verso ovest-sudovest: sarà forse un po’ difficile localizzare Saturno, posizionato a 2° e mezzo a est della falce lunare, perché, all’orario indicato, i soggetti sono prossimi al tramonto (circa 6° di altezza) e immersi nelle colorate luci del crepuscolo serale, ancora piuttosto intense.

Sarà comunque interessante tentare l’osservazione: con il passare dei minuti il cielo si farà rapidamente più scuro, migliorando il contrasto tra Luna e Saturno e il fondo del cielo, ma bisogna considerare che i due astri perdono altezza molto rapidamente, scendendo sotto l’orizzonte entro circa 45 minuti.

Le effemeridi di Luna e Pianeti le trovi nel Cielo di Dicembre 2019

E ancora su Coelum astronomia 239

➜ La Luna di Dicembre 2019
e una guida per l’osservazione della Luna Piena

➜ Leggi le indicazioni di Giuseppe Petricca sui principali passaggi della ISS


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Unione Astrofili Senesi

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L’OAPM apre gratuitamente al pubblico per l’osservazione del cielo notturno il 2° e 4° venerdì del mese.

27.12, ore 21:30: Il cielo al castello di Montarrenti. L’Osservatorio Astronomico di Montarrenti (SI) sarà aperto al pubblico per delle serate osservative, con particolare attenzione alla Luna, agli ammassi stellari e ai vari oggetti del profondo cielo, come la Nebulosa di Orione che caratterizzerà il cielo per quasi tutto il periodo autunno-inverno. Prenotazione obbligatoria sul sito o inviando un messaggio WhatsApp a Patrizio (3472874176) oppure un sms a Giorgio (3482650891)
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CARPE SIDERA

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In programma al Museo Civico di Zoologia, la mostra in cui saranno esposte le spettacolari fotografie realizzate dall’astrofisico e fotografo Gianluca Masi, astronomo del Planetario di Roma.
La meraviglia del cielo sulla bellezza di Roma: 30 immagini che immortalano l’incontro di alcuni dei fenomeni più spettacolari del firmamento notturno con monumenti e simboli della Capitale.
L’obiettivo di Gianluca Masi, in qualità di ricercatore ma anche di appassionato divulgatore scientifico, è quello di recuperare, attraverso la bellezza delle immagini, il dialogo tra la volta celeste e gli spazi urbani, punto di partenza per la salvaguardia di quel tesoro di meraviglie nascoste nel firmamento.
Nel corso della mostra si svolgeranno, ad ingresso libero fino a esaurimento posti, alcuni incontri tenuti dal fotografo stesso sulla fotografia notturna e sui fenomeni osservati e immortalati nelle fotografie.

Per maggiori informazioni sugli incontri visitare il sito: www.museodizoologia.it

Luna e Marte per iniziare la settimana di Natale

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L’ora indicata vede i due astri già alti una decina di gradi sull’orizzonte, ma potranno essere seguiti, sempre più alti, fino a che non verranno man mano cancellati dalla luce del mattino, attorno alle ore 7, fino a che ora riuscite a distinguerli? Crediti immagine Coelum Astronomia coelum.com

La mattina del 23 dicembre, alle ore 5:30 circa, volgendo il nostro sguardo verso est-sudest, potremo scorgere ancora piuttosto bassa sull’orizzonte (meno di 10°) una sottile falce di Luna (fase del 10%), accompagnata da una stellina piuttosto luminosa, di spiccato color arancione: si tratta del pianeta Marte (mag. +1,6) con cui la Luna sarà in congiunzione, a una distanza di circa 3° 6’.

Questo incontro astrale avverrà tra le deboli stelle della Bilancia, tra cui riusciremo a riconoscere Zuben Elkrab (Gamma Librae, mag. +3,9), ad appena 1° 54’ a nordovest della Luna.

Più in alto sull’orizzonte di circa 6°, vedremo due delle principali stelle della Bilancia, Zubeneschamali (Beta Librae, mag. +2,6) e Zubenelgenubi (Alfa Librae, mag. +2,8).

Non solo questo incontro potrà fornire lo spunto per scattare qualche bella fotografia di paesaggio che comprenda i due astri, ma sarà anche un’ottima occasione per i cacciatori di sottili falci lunari, con il “bonus” di catturare nel contempo anche il sempre fascinoso Pianeta Rosso.

Per chi volesse osservare la congiunzione con un ausilio ottico, segnaliamo che i tre soggetti sopra descritti calzeranno perfettamente entro il campo offerto da un binocolo 10×50 che ci permetterà di apprezzare con più dettaglio questo bel fenomeno.

Le effemeridi di Luna e Pianeti le trovi nel Cielo di Dicembre 2019

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Tutti consigli per l’osservazione del Cielo di Gennaio e una panoramica degli eventi del Cielo del 2020 su Coelum Astronomia 240

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“Verso l’infinito… e oltre”

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Locandina mostra

Locandina mostraLe meraviglie del cielo catturate da affermati astrofotografi saranno in mostra a Casole d’Elsa (SI) dal 21 dicembre al 6 gennaio. Un’ottima occasione per ammirare immagini uniche: dai crateri lunari alle eclissi di Sole e Luna, dagli anelli di Saturno alla macchia di Giove, dagli ammassi stellari alle nebulose fino alle lontane galassie. Immagini spettacolari raccolte con passione e dedizione sotto i migliori cieli d’Italia e non solo da Maurizio Cabibbo, Samuele Gasparini, Francesco Di Biase e Piermario Gualdoni, autori ormai noti nel mondo della fotografia astronomica.

All’interno della mostra, oltre alle foto, anche una proiezione multimediale delle stesse immagini e consigli sulle tecniche di acquisizione ed elaborazione.

La mostra si terrà al Centro Congressi – Palazzo Pretorio, via Casolani n.32, dal 21 dicembre al 6 gennaio. La mostra sarà aperta nei giovedì 26 dicembre, Sabato 28 dicembre, Domenica 29 dicembre, Mercoledì 1 gennaio 2020, Domenica 5 gennaio, Lunedì 6 gennaio dalle ore 10:00 alle ore 13:00 e dalle 15:00 alle 20:00. Tutti gli altri giorni dalle 16:00 alle 20:00.

Maggiori informazione sulla pagina Facebook dell’evento o contattare 340 3518037 (Maurizio) o 370 7074587 (Samuele)

Cheops è in orbita!

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Crediti: ESA - S. Corvaja

Il nuovo telescopio spaziale Cheops (Characterising ExoPlanets Satellite) dell’ESA, il “misuratore di pianeti”, è finalmente in viaggio verso la sua destinazione, in un’orbita terrestre bassa, a 700 km di quota.
Doveva partire il 17 dicembre mattina, ma il conto alla rovescia era stato interrotto a un’ora e 18 minuti dal lancio, per un problema nella sequenza automatica dell’ultimo stadio della Soyuz.  Riprogrammato per le 9:54 (ora italiana) di mercoledì 18, è regolarmente partito dalla base di Kourou, nella Guyana francese, ed è stato possibile seguirlo in diretta streaming dal sito dell’ESA.

Cheops in una impressione artistica. Crediti ESA

Il ruolo di Cheops non sarà tanto quello di nuovo cacciatore di pianeti, ma avrà il compito di indagare la natura di esopianeti già scoperti da precedenti survey, determinandone le caratteristiche fisiche e facendo quindi fare un passo in avanti alla ricerca e conoscenza di mondi al di fuori del nostro Sistema Solare.

La particolarità della sua orbita lo terrà sempre a cavallo del terminatore, quella linea in cui si passa dal giorno alla notte, in modo da avere sempre i pannelli solari illuminati dal Sole e la strumentazione puntata verso il cielo della notte.

Di Cheops e della sua missione, ce ne ha parlato Roberto Ragazzoni, del team che ha progettato Cheops e Direttore dell’Osservatorio INAF di Padova, anche lui nella Guiana francese ad assistere al lancio, nell’articolo “Alla scoperta degli esopianeti vicini”, sul numero 236. La missione ha infatti un forte contributo italiano: è stato progettato dagli Osservatori INAF di Padova e Catania e costruito – sotto la supervisione congiunta di INAF e ASI – nei laboratori della Leonardo Spa con la collaborazione di Thales Alenia Space e Media Lario di Bosisio Parini.

Prima di iniziare il suo lavoro vero e proprio, Cheops passerà attraverso due fasi: la Launch and Early Orbit Phase, in cui verificare l’operatività dell’apparecchiatura e calibrarne il funzionamento; e  la fase di In-Orbit Commissioning, in cui gli ingegneri monitoreranno le prestazioni di volo del telescopio spaziale. Potrebbe essere necessario infatti eseguire manovre di correzione dell’orbita. La prima fase richiederà i primi 5 giorni dopo il lancio, la seconda all’incirca un paio di mesi, dopo di ché Cheops sarà operativo.


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Universo curvo o piatto? Con Eleonora di Valentino

19.12: Astrofotografia con Valeriano Antonini e Amedeo Ferrante

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“MarSEC” Marana space explorer center

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Ogni ultimo venerdì del mese avremo un ospite per varie conferenze.
Presso l’Osservatorio e Planetario di Marana saranno proiettati i film: “Moon 2019”, “Two small pieces of Glass”, “The Hot and Energetic Universe”, “From Earth to Universe”.
Per le date e gli orari consultare il programma alla pagina https://www.marsec.org/prenotazioni-ed-eventi/

20.12, ore 21:00: Conferenza “Eppur si muove…“: Presentazione della Galileo Experience. Attività riservata ai soci
28.12, ore 19:00: Fra stelle e filosofia evento per gli auguri di buone feste

Info: www.marsec.org – segreteria@marsec.org

Nightingale preparati, OSIRIS-REx arriva!

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Il sito selezionato, fotografato da OSIRIS-REx con l'indicazione del punto di prelievo e delle dimensioni della sonda.Credits: NASA/Goddard/University of Arizona - Processing: Marco Di Lorenzo
Il sito selezionato, fotografato da OSIRIS-REx con l'indicazione del punto di prelievo e delle dimensioni della sonda.Credits: NASA/Goddard/University of Arizona - Processing: Marco Di Lorenzo

Dopo un anno di esplorazione della superficie disseminata di massi dell’asteroide Bennu, il team che ha guidato la missione “Origins, Spectral Interpretation, Identification, Security, Regolith Explorer” (OSIRIS-Rex) ha ufficialmente selezionato il sito designato “Nightingale” come luogo di raccolta dei campioni di superficie.

Il sito, situato in un cratere ampio 140 metri nell’emisfero settentrionale di Bennu, è stato giudicato il luogo migliore tra i quattro candidati selezionati l’estate scorsa e illustrati nell’immagine seguente; tutti  prendono il nome da altrettante specie di uccelli e rappresentano zone con un rischio contenuto per la sicurezza del veicolo spaziale offrendo, al tempo stesso, l’opportunità di raccogliere un campione di massa sufficientemente grande.

Credits: NASA/Goddard/University of Arizona - Processing: Marco Di Lorenzo

«Dopo aver valutato attentamente tutti e quattro i siti candidati, abbiamo preso la nostra decisione finale in base a quale sito ha la maggior quantità di materiale a grana fine e con quale facilità il veicolo spaziale può accedere a quel materiale mantenendo in sicurezza il veicolo spaziale», ha affermato Dante Lauretta, dell’ Università dell’Arizona e ricercatore principale della missione. «Dei quattro candidati, il sito Nightingale soddisfa al meglio questi criteri e, in definitiva, garantisce il successo della missione».

La regolite di Nightingale appare scura e le immagini mostrano che il cratere è relativamente pianeggiante; poiché si trova nell’emisfero nord, le temperature sono più basse che altrove e il materiale superficiale è ben conservato. Si ritiene inoltre che il cratere sia relativamente giovane e che la regolite sia stata esposta da poco. Ciò significa che il sito probabilmente contiene materiale relativamente “primordiale” e incontaminato e questo può fornire una visione migliore della storia di Bennu.

Tuttavia, il sito pone anche sfide per la raccolta del campione. Il piano di missione originale prevedeva una zona di raccolta con un diametro di 50 metri, mentre ora l’area abbastanza sicura per essere toccata dal veicolo è molto più piccola: 16 metri di diametro, solo un decimo della superficie originariamente prevista. Ciò significa che il veicolo spaziale deve calarsi in modo molto preciso sulla superficie di Bennu, cercando di evitare soprattutto l’enorme masso delle dimensioni di un edificio situato sul bordo orientale del cratere (in basso a destra nell’immagine di apertura) che potrebbe rappresentare un pericolo per la sonda nella fase di risalita, subito dopo aver toccato la superficie.

Il braccio robotico con il dispositivo di campionamento TAGSAM sulla destra, durante i test prima del lancio - Credit: Lockheed Martin Corporation

La manovra “touch-and-go” è prevista per l’agosto 2020; per effettuarla, Osiris-REX utilizzerà il suo meccanismo di campionamento TAGSAM, un contenitore a forma di tamburo montato all’estremità di un braccio robotico. Il braccio posizionerà l’estremità aperta del tamburo sulla superficie dell’asteroide, quindi sparerà un getto di azoto sulla superficie per sollevare il materiale e farlo ricadere nel contenitore di stoccaggio, come illustrato in questo video. TAGSAM ha abbastanza azoto gassoso per fare tre tentativi di campionamento, se necessario.
La missione Osiris-REX mira a raccogliere 60 grammi di regolite, il più massiccio prelievo di materiale da un altro mondo dopo le missioni Apollo.

Dopo la raccolta e la misura della massa del campione, il braccio posizionerà il contenitore con il suo prezioso carico nella capsula di rientro, dove rimarrà sigillato. Osiris-REX ripartirà da Bennu nel marzo del 2021 e, quattro ore prima del massimo avvicinamento con la Terra, rilascerà la piccola capsula contenente il campione che entrerà nell’atmosfera terrestre posandosi nel campo di addestramento dello Utah il 24 settembre 2023. Per due anni, i campioni verranno analizzati a fondo ma il 75% del materiale verrà preservato per ulteriori indagini da parte delle generazioni successive, come si è fatto con i campioni lunari.

Nel frattempo, la sonda si trova nel mezzo di una nuova fase detta “Orbital-R”, durante la quale orbiterà per due mesi a poco più di 1 km sopra il terminatore di Bennu (per ulteriori dettagli si veda il Mission Log). Nei prossimi mesi, il sito Nightingale verrà sottoposto un “campionamento climatico” per studiarne in dettaglio le caratteristiche al variare delle condizioni di illuminazione.


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2I/Borisov. La cometa interstellare al perielio

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In questa straoridinaria immagine la cometa è vista affiancata a una galassia sullo sfondo (per questo sfocata e confusa). La ripresa è stata fatta il 9 novembre scorso, con la cometa a 326 milioni di chilometri dalla Terra. La cometa è stata artificiosamente colorata di blu, per per distinguere i fini dettagli nel suo alone di polveri, chiamato coma, o chioma della cometa, che circonda il nucleo. Credit: NASA, ESA, and D. Jewitt (UCLA)
In questa straoridinaria immagine la cometa è vista affiancata a una galassia sullo sfondo (per questo sfocata e confusa). La ripresa è stata fatta il 9 novembre scorso, con la cometa a 326 milioni di chilometri dalla Terra. La cometa è stata artificiosamente colorata di blu, per per distinguere i fini dettagli nel suo alone di polveri, chiamato coma, o chioma della cometa, che circonda il nucleo. Credit: NASA, ESA, and D. Jewitt (UCLA)

L’8 dicembre scorso è passata al perielio, ovvero al punto più vicino al Sole del suo passaggio nel nostro Sistema Solare. In realtà un perielio piuttosto distante, visto che in quel momento si trovava a poco meno di 2 unità astronomiche dalla nostra stella (e 298 milioni di chilometri dalla Terra), ovvero a una distanza doppia di quella della Terra dal Sole, oltre l’orbita di Marte, vicino al bordo interno della fascia degli asteroidi. Stiamo parlando di una cometa, ma una cometa decisamente speciale… la 2I/Borisov, la prima cometa interstellare che abbiamo mai avvistato proprio mentre si apprestava a farci visita. E il telescopio spaziale Hubble non poteva mancare all’appuntamento.

Tra la fine di novembre e inizio dicembre, ha osservato la cometa da una distanza più ravvicinata (dopo le prime immagini di ottobre), fornendo dettagli più precisi sulla nostra ospite interstellare.

La prima immagine, qui sopra in apertura, è davvero spettacolare… è del 9 novembre scorso e ci mostra la cometa in primo piano, con la coda che si espande a destra verso l’alto, affiancata da una galassia a spirale, la 2MASX J10500165-0152029, che si trova ovviamente sullo sfondo e decisamente più distante, ben oltre i confini della nostra galassia, e per questo fuori fuoco e confusa.

La seconda immagine qui sotto è invece del 9 dicembre, quando Hubble è tornato a osservare la cometa subito dopo il perielio. Sebbene così lontana, si tratta forse del momento in cui è stata sottoposta alle maggiori temperature dell’intero suo viaggio, o comunque sicuramente da moltissimo tempo, dopo aver probabilmente trascorso gran parte della sua vita nel gelido spazio interstellare.

In questa immagine la cometa si trova subito dopo il perielio, nel punto del suo cammino più vicino al Sole. E' del 9 dicembre e la cometa si trovava a 298 milioni di chilometri dalla Terra. Il nucleo è sempre troppo piccolo per essere risolto nell'immagine, e il centro più luminoso è in realtà la chioma della cometa, formata da ghiacci e polveri sublimati e espulsi dalla superficie. Credit: NASA, ESA, and D. Jewitt (UCLA)

«Hubble ci fornisce la migliore misura delle dimensioni del nucleo della cometa Borisov, che è la parte davvero importante della cometa», spiega David Jewitt, professore di scienze planetarie e astronomia all’Università della California, a Los Angeles, il cui team ha catturato le immagini migliori e più nitide di questa prima cometa interstellare. «Sorprendentemente, le nostre immagini di Hubble mostrano che il suo nucleo è più di 15 volte più piccolo di quanto le precedenti indagini suggerivano potesse essere. Il raggio è inferiore a mezzo chilometro. Questo è importante perché conoscere le dimensioni ci aiuta a determinare il numero totale e la massa di tali oggetti nel Sistema Solare e nella Via Lattea. Borisov è la prima cometa interstellare conosciuta e vorremmo sapere quante altre ce ne sono».

Il nucleo, un agglomerato di ghiacci e polveri, e sempre però troppo piccolo per essere risolto nell’immagine, per questo al momento possiamo solo avere un limite massimo per le sue dimensioni. La parte più luminosa che vediamo nelle foto è quindi la coma, la chioma della cometa, costituita da polveri che lasciano la superficie. A questo riguardo, le indagini eseguite fin’ora, hanno mostrato come la cometa sia in realtà, come composizione chimica e comportamento, molto simile a quelle che conosciamo, fornendo una prova che si tratta di oggetti che si formano comunemente attorno a stelle e sistemi stellari.

Scoperta da Gennady Borisov, un astrofilo ucraino, il 30 agosto scorso, ve ne abbiamo parlato in modo diffuso nell’approfondimento dedicato nel numero di ottobre di Coelum Astronomia che vi invitiamo a (ri)leggere (sempre in formato digitale e gratuito) cliccando nel banner qui a destra.

Dopo la scoperta e una serie di follow up professionali, si è riconosciuto il carattere interstellare della cometa. La sua traiettoria infatti segue l’andamento di un’iperbole, estrememamente aperta… quasi una linea retta appena flessa dal suo incontro con il Sole. Fino ad ora, tutte le comete catalogate provenivano o da un anello di detriti ghiacciati alla periferia del nostro Sistema Solare, chiamato la fascia di Kuiper, o dalla nube di Oort, un guscio di oggetti ghiacciati che si pensa si trovi nelle regioni ultraperiferiche del nostro Sistema Solare, con il suo bordo più interno a circa 2000 unità astronomiche, ovvero 2000 volte la distanza tra la Terra e il Sole.



L’orbita della cometa 2I/Borisov. Crediti: ESA/spaceengine.org/L. Calçada. Musiche: Johan B. Monell

Anche se fin’ora ne abbiamo scoperti solo due (il 2I davanti al nome indica proprio questo, che si tratta del secondo oggetto interstellare, il primo è l’asteroide 1I/’Oumuamua o 1I/2017 U1, di cui vi abbiamo parlato su Coelum Astronomia 219), è probabile che ci siano migliaia di oggetti interstellari, nel nostro Sistema Solare, solo probabilmente troppo piccoli e sfuggenti per essere rilevati con i telescopi di oggi. Si tratta di oggetti di passaggio che per essere identificati come interstellari hanno bisogno di più osservazioni nel tempo, e visto il carattere temporaneo e la loro breve permanenza nei nostri paraggi, “beccarli” al momento giusto è ancora più difficile.

Osservazioni ottenute fin’ora di altri sistemi stellari, hanno mostrato che anelli e gusci di detriti ghiacciati circondano le giovani stelle, dove la formazione planetaria è ancora in corso, e si ipotizza che l’interazione gravitazionale tra questi oggetti, asteroidi o simili a una cometa, e altri corpi più grandi come pianeti giganti in formazione, per effetto di fionda gravitazionale, potrebbe impremere loro una velocità così alta da farli sfuggire dal sistema in cui si sono formati, per vagare nelle profondità dello spazio, alla deriva tra le stelle. Se poi si avvicinano abbastanza da farsi attrarre da una di queste stelle, allora accade quello che è accaduto alla Borisov, di passare nel mezzo di un sistema stellare facendosi scaldare dalla sua stella. Il calore del nostro Sole ne ha sublimato parte della superficie, aumentando la luminosità della cometa e dando il via alla formazione di coma e coda, offrendoci lo spettacolo che vediamo in queste immagini. Uno spettacolo però sfuggente, perché grazie alla sua alta velocità il nostro Sistema solare è riuscito a deviare a malapena la sua traiettoria, senza riuscire a catturarla, ed è quindi destinata a proseguire il suo vagabondaggio nello spazio profondo. 

Passaggio al perielio, inoltre, significa anche che ora la cometa se ne sta andando, ha attraversato il piano del nostro Sistema Solare e ora se ne allontanerà. Prima però ci sarà un altro appuntamento che sicuramente sarà seguito attentamente dagli astronomi e non solo: il 29 dicembre si troverà nel punto più vicino alla Terra, a 1,75 unità astronomiche (290 milioni di chilometri da noi, circa 8 milioni più vicina rispetto all’immagine del perielio).

Per gli astrofili più esperti è un appuntamento da non perdere! La cometa infatti, seppure molto debole, è comunque alla portata di una buona strumentazione amatoriale (basta pensare che è così che è stata scoperta). Nella migliore delle ipotesi ci si aspetta una magnitudine che sfiori la +15, al momento è già sotto la 16esima.
Viene sempre in nostro aiuto l’ottimo sito di Seiichi Yoshida con i grafici sempre aggiornati ottenuti dalle magnitudini osservate degli appassionati, dove trovate anche tutti i dati e le cartine per rintracciarla (qui il grafico aggiornato al 9 dicembre). La troveremo nella zona tra Idra, Cratere e Corvo, sull’orizzonte sudest, nella seconda parte della notte, verso il mattino. Non particolarmente alta, e non sarà nemmeno delle più fotogeniche, tutt’altro, ma potrebbe essere l’unica cometa interstellare che avrete la possibilità di riprendere, e comunque sicuramente la prima in assoluto! Un ricordo storico da conservare.

Aspettiamo sempre le vostre immagini su Photocoelum (oppure su gallery@coelum.com) con tutti i dettagli di ripresa e, se vi va, il racconto della vostra esperienza osservativa.

Poi comincerà davvero ad allontanarsi per sempre, con la sua velocità mozzafiato di oltre 175 mila chilometri orari (una delle comete più veloci mai viste!), per salutarci e proseguire il suo viaggio solitario nel freddo buio del mezzo interstellare.


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I perché e le sfide di un ritorno su Venere

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Venere nasconde una quantità di informazioni che potrebbero aiutarci a capire meglio non solo la Terra ma anche gli esopianeti. Bisogna però prima riuscire a capire come resistere alle estreme condizioni ambientali del pianeta. L'immagine composita qui sopra è stata ottenuta dai dati della sonda Magellano e delle sonde Pioneer. Crediti: NASA/JPL-Caltech.
Venere nasconde una quantità di informazioni che potrebbero aiutarci a capire meglio non solo la Terra ma anche gli esopianeti. Bisogna però prima riuscire a capire come resistere alle estreme condizioni ambientali del pianeta. L'immagine composita qui sopra è stata ottenuta dai dati della sonda Magellano e delle sonde Pioneer. Crediti: NASA/JPL-Caltech.

Un paesaggio infernale, una superficie ricoperta da vulcani attivi, gigantesche fratture, alte catene montuose e una temperatura da sciogliere il piombo. Questo è quanto ci ha mostrato la sonda Magellano della NASA nella sua missione ormai 25 anni fa, quando si immerse e si vaporizzò nella densa e velenosa atmosfera del pianeta. Venere è il secondo pianeta più vicino al Sole, ma di gran lunga il più caldo. Nulla di più lontano da qualsiasi possibilità di ricerca di sostenibilità della vita, come per alcune grandi lune dei giganti gassosi, o di colonizzazione umana, come per Marte e la Luna, eppure vogliamo tornarci.

A volerci tornare è Sue Smrekar, astrofisica planetaria del Jet Propulsion Laboratory della NASA. E ci spiega il perché: «Venere è come fosse il cmapione di controllo per la Terra. Pensiamo che siano partiti dalla stessa composizione, dalla stessa acqua e anidride carbonica. Ma hanno seguito due percorsi evolutivi completamente diversi. Ma allora, perché? Quali sono le forze chiave responsabili di queste differenze?»

Venere, ora riscaldato dall’effetto serra, un tempo aveva infatti un clima simile a quello terrestre, con oceani dai bassi fondali e zone di subduzione. Al momento solo una sonda orbita attorno al pianeta, ed la sonda giapponese Akatsuki, chiamata così per via del suo inizio di missione travagliato, un’attesa di ben cinque anni per riuscire a inserirsi nell’orbita del pianeta dopo aver fallito il primo tentativo. In passato Venere è stato visitato, oltre che dalla sonda Magellano accennata all’inizio, anche da altre sonde americane e russe, il programma Venera e Vega 1 per i primi, le Mariner, le Pioneer e quindi la Magellano per gli americani. Nel nostro piccolo anche L’ESA ha avuto la Venus Express che ha studiato per quasi dieci anni l’atmosfera del pianeta.

Sue Smrekar, in una immagine del 2018, pensa che tornare su Venere ci aiuterà non solo svelare importanti dettagli sull'evoluzione dei pianeti rocciosi, ma anche sulla capacità di ospitare la vita degli esopianeti. Credits: NASA/JPL-Caltech
Ora la Smrekar lavora con il Venus Exploration Analysis Group (VEXAG), un gruppo di scienziati e ingegneri che sta studiando come tornare su Venere in base ai dati di Magellano, per rispondere proprio a quella domanda: cosa è successo al clima così surriscaldato del nostro gemello planetario e che significato ha per la vita sulla Terra?

Le missioni che fin’ora hanno visitato il pianeta hanno spaziato da sonde in orbita, a palloni atmosferici, a lander che, anche se per molto poco, hanno raggiunto la superficie e inviato dati preziosi a terra. La temperatura e la pressione al livello del suolo sono talmente alti che delle nove sonde sovietiche che l’hanno raggiunto, quella che è durata più a lungo ha a fatica raggiunto le due ore (127 minuti per la precisione).

Un orbiter sarebbe relativamente al salvo da queste estreme condizioni, e dall’orbita potrebbe utilizzare radar e spettroscopi nell’infrarosso per penetrare le dense nubi e monitorare i cambiamenti della superficie, cercando indizi di come l’antica presenza di acqua e l’odierna attività vulcanica abbia modellato il pianeta. La Smrekar sta lavorando ad un orbiter chiamato VERITAS: «conosciamo davvero poco della composizione della superficie di Venere. Pensiamo ci siano continenti, come sulla Terra, formatisi per via delle antiche dinamiche di subduzione. Ma non abbiamo le informazioni che servono per sostenerlo davvero».

Ma a volerci tornare sono anche Attila Komjathy e Siddharth Krishnamoorthy, due ingegneri del JPL, che stanno invece immaginando una flotta di palloni sonda che cavalchino i venti di burrasca negli strati più alti dell’atmosfera venusiana, dove le temperature sono più miti e simili a quelle terrestri.

«Al momento non ci sono missioni commissionate per portare un pallone su Venere, mai palloni sono un gran modo per esplorare Venere, proprio per via della densa atmosfera e superficie cosi ostile», spiega Krishnamoorthy. «Un pallone sta nel punto giusto, abbastanza vicino (alla superficie) da ottenere un sacco di cose importanti, ma anche in un ambiente molto più favorevole, dove i tuoi sensori possono sopravvivere a sufficienza da poter ottenere qualcosa di significativo».

Un team di ingegneri del JPL testa un pallone per la rilevazione di onde sismiche dall'aria. Credits: NASA/JPL-Caltech

L’idea è di equipaggiare i palloni con sismografi abbastanza sensibili da rilevare i terremoti della superifice sottostante, attraverso le increspature dell’atmosfera, sotto forma di onde a infrasuoni, causate dal sisma (il boato che si sente con l’arrivo delle scosse), così come accade sulla Terra ma, vista la densità dell’atmosfera venusiana, in modo ancor più intenso. Krishnamoorthy e Komjathy hanno infatti dimostrato che la tecnica è fattibile usando mongolfiere d’argento che hanno rilevato i deboli segnali da terremoti terrestri.

Il problema semai sarebbe far fronte ai venti burrascosi degli uragani su Venere. Il pallone ideale, come ha determinato il Venus Exploration Analysis Group, dovrebbe poter controllare i suoi movimenti in almeno una direzione, e la squadra dei nostri due ingegneri non ci è andata molto distante: una schiera di piccoli palloni che cavalcano il vento attorno al pianeta a una velocità costante, restituendo i dati all’orbiter.

Però poi, se davvero si vuole svelare ogni segreto di questo pianeta così ostile, non si può fare a meno di scendere sulla sua superficie. Quali sfide dovrebbe allora poter superare un lander venusiano? Buona parte le possiamo già immaginare, ma in fondo a sopravvivere per un paio d’ore ce l’abbiamo fatta, e un lander ancor più resistente possiamo provare a costruirlo, ma… una sfida forse meno intuitiva è quella di come alimentare il lander.
Non ci si pensa, ma sotto una coltre così densa come quella delle nubi di Venere… la luce non passa, o ne passa molto poca, quindi impossibile immaginare una qualche forma di energia solare. D’altra parte il pianeta è troppo caldo per poter pensare di utilizzare altre forme di energia esterna: « Dal punto di vista delle temperature, è come trovarsi nel forno delle nostre cucine impostato nella modalità autopulente» scherza, nemmeno poi tanto, Jeff Hall, ingegnere della JPL che ha lavorato su prototipi di palloni e lander da mandare su Venere.

Un rover a orologeria per studiare la superficie di Venere è un progetto "steampunk" di Jonathan Sauder, un ingegnere del JPL, che ha pensato di aggirare i problemi sofferti dall'elettronica in ambienti così caldi sostituendola con computer meccanici. Al posto di circuiti e cpu, leve e ingranaggi per fare i calcoli necessari al loro funzionamento. E per comunicare? Un altro revival dal passato: il codice Morse. Credit: NASA/JPL-Caltech

Su un lander l’energia serve non solo a far funzionare gli strumenti, ma anche per mantenere una “temperatura di esercizio”, fuori dalla quale l’elettronica si bloccherebbe, ben prima che la sonda si distrugga. Per permettere agli strumenti di lavorare, se su Marte basta una batteria, caricata a energia solare, per tenerli un po’ al caldo, su Venere servirebbe un potere refrigerante non da poco. Secondo Hall le batterie necessarie per far funzionare un frigorifero in grado di proteggere il lander richiederebbe più batterie di quante il lander stesso potrebbe trasportare. «Non c’è speranza di poter refrigerare un lander per tenerlo al fresco. Tutto quello che si può fare, è rallentare la velocità con cui si distrugge».

Il concetto di lander di Hall non ha passato il processo di approvazione, ma parte del suo attuale lavoro sta andando nella direzione voluta dalla NASA, che mira ad avere tecnologia in grado di sopravvivere giorni, se non settimane, in ambienti così estremi. Hall lavora con la Honeybee Robotics per sviluppare motori elettrici di nuova generazione per alimentare trapani che siano in grado di lavorare a condizioni estreme, mentre Joe Melko del JPL, sta lavorando a un progetto di campionamento pneumatico. I prototipi vengono testati nella Large Venus Test Chamber, una camera dalle pareti in acciaio riempita di anidride carbonica al 100%,  in cui vengono simulate le condizioni estreme presenti sulla superficie di Venere. Ogni test superato ci avvicinerà sempre più a superare i limiti imposti da questo inospitale pianeta.


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Tramonto con Venere e Saturno

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La sera dell’11 dicembre, alle ore 17:45 circa, volgendo il nostro sguardo verso sudovest, potremo notare non troppo in alto sull’orizzonte (circa 10°) due astri luminosi che si distinguono dalle stelle circostanti: sono i pianeti Venere (mag. –3,9) e Saturno (mag. +0,6).

I due pianeti ci appariranno prospetticamente molto ravvicinati tra loro, separati di poco meno di 2° e tramonteranno poco prima delle 19.

Per la verità sarà bello seguire questo abbraccio celeste, che avverrà nel teatro stellare del Sagittario, anche nei giorni immediatamente precedenti e successivi l’11 dicembre. Considerando che all’orario indicato i due pianeti non saranno molto alti sull’orizzonte, potremo cogliere l’occasione di immortalare la coppia planetaria in scatti fotografici che comprendano anche elementi del paesaggio naturale o elementi architettonici per impreziosire le nostre riprese.

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Ogni ultimo venerdì del mese avremo un ospite per varie conferenze.
Presso l’Osservatorio e Planetario di Marana saranno proiettati i film: “Moon 2019”, “Two small pieces of Glass”, “The Hot and Energetic Universe”, “From Earth to Universe”.
Per le date e gli orari consultare il programma alla pagina https://www.marsec.org/prenotazioni-ed-eventi/

14.12, ore 22:00: Evento: “Sciame Geminidi
20.12, ore 21:00: Conferenza “Eppur si muove…“: Presentazione della Galileo Experience. Attività riservata ai soci
28.12, ore 19:00: Fra stelle e filosofia evento per gli auguri di buone feste

Info: www.marsec.org – segreteria@marsec.org

Unione Astrofili Senesi

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L’OAPM apre gratuitamente al pubblico per l’osservazione del cielo notturno il 2° e 4° venerdì del mese.

13.12 e 27.12, ore 21:30: Il cielo al castello di Montarrenti. L’Osservatorio Astronomico di Montarrenti (SI) sarà aperto al pubblico per delle serate osservative, con particolare attenzione alla Luna (principalmente il giorno 13), agli ammassi stellari e ai vari oggetti del profondo cielo, come la Nebulosa di Orione che caratterizzerà il cielo per quasi tutto il periodo autunno-inverno. Prenotazione obbligatoria sul sito o inviando un messaggio WhatsApp a Patrizio (3472874176) oppure un sms a Giorgio (3482650891)
In caso di tempo incerto telefonare per conferma.

Accademia delle Stelle

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– Corso base di Astronomia (inizia a gennaio)
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Per info:

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