I recenti passaggi di Saturno sulla celebre “Crab Nebula” hanno messo gli astroimager di fronte a un grosso problema: come ottenere un flusso comparabile per due soggetti che notoriamente hanno una differenza di luminosità di più di 8 magnitudini (ovvero, oltre 2000 volte)? Il dispositivo che propongo di costruire, tanto semplice quanto efficace, dovrebbe esser adatto a migliorare la situazione; il concetto di base è piuttosto semplice: ridurre pesantemente la luminosità del pianeta al fine di portarlo ad una brillanza superficiale paragonabile a quella della nebulosa. La verifica dell’efficacia del dispositivo non è stata possibile a causa delle pessime condizioni meteo degli ultimi periodi, ma non appena possibile aggiorneremo il presente intervento con immagini e ulteriori considerazioni.
Dispositivo occultatore
In pratica, come mostra la figura, si tratta di “occultare” un settore del campo inquadrato dal sensore (webcam o CCD), per far si che, ruotando opportunamente il cilindro di sostegno, venga nascosto, per quanto possibile, solamente il pianeta.
A questo cilindro, infatti, dovremo fissare adeguatamente un piccolo spezzone di pellicola fotografica già sviluppata, come per esempio i primi 3-4 fotogrammi di un rullino negativo, oppure fotografando zone molto scure con un’invertibile. La pellicola, opportunamente ritagliata a “settore” in modo da arrivare fin quasi al centro del cilindro che la sostiene, dovrà chiaramente avere la giusta densità, determinabile comunque senza grosse difficoltà, per esempio preparando una serie di ritagli più o meno scuri (come in una scala di grigi).
Per quanto concerne la qualità dell’immagine, si può stare tranquilli in quanto la pellicola si trova piuttosto vicina al sensore. Altra particolarità: variando la distanza della pellicola dal sensore (facendo scorrere il tubetto di sostegno) possiamo modificare la “sfocatura” dei contorni dell’ombra provocata dall’occultatore: maggiore sarà la distanza, maggiore sarà chiaramente l’entità della sfocatura… attenzione comunque a non esagerare: sfocando troppo l’occultatore potrebbe non esser più sufficiente a coprire tutto il pianeta!
Lo Space Shuttle Discovery sulla rampa di lancio per l'ultima volta
Lo Space Shuttle Discovery sulla rampa di lancio per l'ultima volta
Iniziato lunedì alle 2323 UTC e terminato martedì alle 0549 UTC, è stato effettuato l’ultimo rollout dello Space Shuttle Discovery, quello per eseguire la missione STS-133. Per tutta la giornata di martedì il Discovery è stato lasciato scoperto e la cosa si ripeterà sabato, quando i dipendenti potranno portare i famigliari a visitare tutto il Kennedy Space Center, con visite guidate all’interno dei vari edifici.
Sì, perché sabato 25 settembre sarà il Family Day per il centro NASA, sarà quindi il giorno in cui le famiglie possono vedere dove e come si lavora.
La Rotating Service Structure si riaprirà ancora una volta il sette di ottobre per poter issare a bordo il carico utile in modo da inserirlo poi nella stiva della grande astronave.
Questi i passi successivi:
– 15 ottobre, Terminal Countdown Demonstration Test
L’equinozio (dal latino “notte uguale” dato che il giorno e la notte hanno la stessa durata) è il giorno in cui il Sole, all’Equatore, sorge e tramonta verticalmente passando per lo Zenith.
A differenza degli altri inizi di stagione, che vengono convenzionalmente fissati al 21 del mese, l’equinozio d’autunno (per l’emisfero boreale, per quello australe è di primavera) viene convenzionalmente assegnato al 23 settembre.
Equinozio d'Autunno
Perché è diverso dalle altre stagioni? Semplice, perché la Terra percorre un’orbita ellittica durante il suo moto intorno al Sole e l’afelio (punto più distante dal Sole) è il 3 luglio mentre il perielio (punto più vicino al Sole) è il 3 gennaio. Per la seconda legge di Keplero, la Terra si muove più lentamente quando è più lontana dal Sole.
Quindi, riassumendo, ecco la durata delle quattro stagioni per l’emisfero boreale:
– primavera 92.75 giorni
– estate 93.65 giorni
– autunno 89.85 giorni
– inverno 88.99 giorni
Il Sole, nel suo moto annuo lungo l’eclittica, al momento dell’equinozio d’autunno (verso il 23 settembre) viene a trovarsi esattamente sull’equatore celeste nel punto della Bilancia.
Coordinate equatoriali del Sole:
δ = 0° (declinazione)
α = 180° (ascensione retta)
Diverso è però l’equinozio astronomico, che come sappiamo l’equinozio settembrino cadrà astronomicamente alle 03:09 UTC (le 5:09 CEST, italiane) del 23 settembre.
Buon autunno a tutti!
In questi giorni Giove (mag. -2,9) si mostra come da tempo non accadeva: oltre ad essere in opposizione (raggiungerà l’opposizione geometrica il 21 settembre) questo mese, e quindi visibile per tutta la notte, questa sera, 20 settembre, raggiungerà la minima distanza dalla Terra, passando a “sole” 3,954 unità astronomiche.
La tabella a destra riassume le circostanze delle ultime opposizioni di Giove, in base alle quali si può vedere (anche se le differenze sono minime) come quella del 2010 sarà la più favorevole in relazione al diametro angolare mostrato dal pianeta. Soltanto nel 1987 si ebbero valori simili (avvicinamento fino a 3,954 UA e diametro di 49,9″), mentre per trovarne di migliori bisogna addirittura risalire al 1951 (3,949 UA e 50″); e più grande di cosi torneremo a vedere Giove soltanto nel 2022!
La differenza di diametro angolare registrata negli ultimi 50 anni circa tra |’opposizione del 1963 e quella del 2005
Tanto per dare un’idea delle variazioni in gioco, in tutte le opposizioni verificatesi dall’anno -3000 al 6999, la distanza minore in assoluto (3,91 UA) verrà raggiunta nel 6874, mentre quella del 1951 verrà superata soltanto nel 2129.
La figura a sinistra mostra invece la massima differenza di diametro angolare, registrata negli ultimi circa 50 anni tra |’opposizione del 1963 e quella del 2005.
…e non solo Giove!
Anche Urano (mag. +5,7), che si manterrà nei Pesci nelle immediate vicinanze di Giove, sarà in opposizione il 21 e alla minima distanza dalla Terra questa sera (19,088 UA), chi riuscirà ad individuarlo, sperando in un cielo sereno, anche solo ad occhio nudo?
E per chiudere.. anche lo storico pianetino (6) Hebe domani sera, 21 settembre, sarà in una “super opposizione”, arriverà ad una distanza dalla Terra mai raggiunta da 34 anni a questa parte: 0,976 UA!!
La cosa non succedeva dal 1976 e si ripeterà solo durante l’opposizione del 2044.
Dal punto di vista osservativo, questa straordinaria opposizione sarà favorita dal fatto che Hebe si muoverà nella Balena, pochi gradi a sud est di Giove e Urano. Un facile bersaglio da non mancare assolutamente!
Il suo nome è Johannes Kepler e dovrà replicare la perfetta missione di rifornimento eseguita dal predecessore Jules Verne.
Attualmente è necessaria una decisione dell’ESA, dato che Arianespace sta riservando lo slot di lancio di dicembre 2010 per questa missione. La conferma dovrà arrivare entro la fine del mese, perché se lo slot si liberasse, procederanno a lanciare due satelliti per telecomunicazioni: Arianespace ha intenzione di eseguire comunque la sesta missione dell’anno, sia essa per ESA che per aziende private.
Per questa missione sono stati modificati i contenitori rack interni e migliorati i supporti dei booster del vettore, due piccole modifiche che permettono un aumento di carico utile di circa 650 kg.
ATV-2 non eseguirà più tutti i test di avvicinamento, ma attraccherà direttamente alla stazione. Il suo percorso dal lancio alla ISS durerà circa 8 giorni e la finestra di lancio sarà istantanea, one shot: o parte in orario o si rinvia.
Partendo a dicembre potrà eseguire un potente reboost della Stazione intorno alla primavera prossima, dopo l’ultima missione Shuttle. Brucerà circa 4000 kg di propellenti per risollevare la ISS di circa 40 km.
La sua missione durerà circa cinque-sei mesi e al termine si disintegrerà in atmosfera con un carico di rifiuti.
Il costo della missione si aggira fra i 400 e i 450 milioni di euro e il terzo esemplare è già in costruzione presso gli stabilimenti di Torino (la sezione cargo) e di Brema (il modulo di servizio). Partirà presumibilmente nel febbraio 2012, mentre altri due sono già in programma con date previste per il lancio nel febbraio 2013 e febbraio 2014.
Per gli ulteriori veicoli si attende pensando alla disponibilità della versione capace di rientrare a Terra.
ATV-2 ai blocchi di partenza.Il secondo cargo europeo Automated Transfer Vehicle, è da maggio allo spazioporto di Kourou nella Guyana francese e attende di essere montato su un vettore Ariane 5 per raggiungere la Stazione Spaziale Internazionale.
Il suo nome è Johannes Kepler e dovrà replicare la perfetta missione di rifornimento eseguita dal predecessore Jules Verne.Attualmente è necessaria una decisione dell’ESA, dato che Arianespace sta riservando lo slot di lancio di dicembre 2010 per questa missione. La conferma dovrà arrivare entro la fine del mese, perché se lo slot si liberasse, procederanno a lanciare due satelliti per telecomunicazioni: Arianespace ha intenzione di eseguire comunque la sesta missione dell’anno, sia essa per ESA che per aziende private.
Per questa missione sono stati modificati i contenitori rack interni e migliorati i supporti dei booster del vettore, due piccole modifiche che permettono un aumento di carico utile di circa 650 kg.
ATV-2 non eseguirà più tutti i test di avvicinamento, ma attraccherà direttamente alla stazione. Il suo percorso dal lancio alla ISS durerà circa 8 giorni e la finestra di lancio sarà istantanea, one shot: o parte in orario o si rinvia.Partendo a dicembre potrà eseguire un potente reboost della Stazione intorno alla primavera prossima, dopo l’ultima missione Shuttle. Brucerà circa 4000 kg di propellenti per risollevare la ISS di circa 40 km.La sua missione durerà circa cinque-sei mesi e al termine si disintegrerà in atmosfera con un carico di rifiuti.
Il costo della missione si aggira fra i 400 e i 450 milioni di euro e il terzo esemplare è già in costruzione presso gli stabilimenti di Torino (la sezione cargo) e di Brema (il modulo di servizio). Partirà presumibilmente nel febbraio 2012, mentre altri due sono già in programma con date previste per il lancio nel febbraio 2013 e febbraio 2014.Per gli ulteriori veicoli si attende pensando alla disponibilità della versione capace di rientrare a Terra.
Siglato un accordo fra la Space Adventures e la Boeing per dare una spinta al turismo spaziale. L’obiettivo è di assegnare un sedile della capsula CST-100 a coloro che potranno permettersi di raggiungere la ISS per una gita di piacere.
Questa capsula in fase di sviluppo da parte di Boeing avrà una capacità massima di 7 posti e si prevede possa entrare in servizio entro il 2015. La Space Adventures ha già acquistato dalla Russia i precedenti posti per turisti che si liberavano sulle Soyuz (ben 8 dal 2001 ad oggi), ma purtroppo con la chiusura del programma Shuttle, tutti i posti disponibili sono occupati dagli equipaggi delle Expedition.
I prezzi saranno “competitivi” e se l’ultimo turista ha speso 40 milioni di dollari, il prossimo potrebbe farcela con 25. Senza considerare che il CST-100 potrebbe portare i facoltosi viaggiatori su una nuova stazione spaziale costruita con i moduli gonfiabili di Bigelow.
Per contro abbiamo il congresso americano che sta mettendo i bastoni fra le ruote alla proposta del presidente Obama di finanziare lo sviluppo dei mezzi spaziali privati, cosa che non aiuta di certo.
Sicuramente la Boeing è un’azienda che può investire e seguendo logiche commerciali inseguirà gli obiettivi senza le lungaggini governative…
Il Supercluster di Galassie individuato dal Telescopio Spaziale Planck
Il Supercluster di Galassie individuato dal Telescopio Spaziale Planck
Nuove importanti scoperte arrivano da Planck, il satellite dell’Agenzia Spaziale Europea dedicato allo studio dell’Universo primordiale. Dalle osservazioni del cielo nelle microonde, Planck ha ottenuto le prime immagini di ammassi di galassie, tra gli oggetti cosmici più grandi che si conoscano, sfruttando il cosiddetto effetto “Sunyaev-Zel’dovich” (SZ), una traccia inconfondibile da essi lasciata sulla radiazione di fondo cosmico diffusa. Ulteriori indagini condotte con un altro telescopio spaziale dell’ESA, XMM-Newton, hanno poi permesso di scoprire che uno degli ammassi individuati è in realtà molto più grande di quanto ritenuto, e che per questo è stato classificato come “superammasso” di galassie, il primo ad essere identificato grazie all’effetto SZ.
Nell’Universo la materia non si distribuisce in modo uniforme: le stelle sono infatti concentrate nelle galassie e le galassie a loro volta si aggregano insieme, per creare enormi ammassi circondati da altrettanto estese regioni di spazio vuoto. Gli ammassi possono contare anche mille galassie e sono permeati da gas caldo che emette un intenso flusso di radiazione nella banda dei raggi X. Inoltre, gran parte della loro massa è composta da materia oscura. Ad una scala ancora più grande troviamo i superammassi, sterminati agglomerati di gruppi ed ammassi di galassie. Questi oggetti celesti ci danno informazioni sulla distribuzione della materia nell’Universo – sia quella visibile che quella oscura – e quindi la loro osservazione è determinante per comprendere l’origine e l’evoluzione delle strutture cosmiche.
“La scoperta degli ammassi e del superammasso è tra le più eclatanti nell’ambito di quelle già messe a segno da Planck” commenta Reno Mandolesi dell’INAF, Principal Investigator dello strumento LFI a bordo del satellite. “La rivelazione di questi oggetti celesti con il metodo SZ è da considerarsi una vera e propria pietra miliare della missione”.
E infatti la strumentazione di Planck, basata su rivelatori di radiazione compresa tra 30 e 857 GHz, è stata accuratamente progettata per riuscire a rivelare la presenza nello spazio di grandi gruppi di galassie sfruttando l’effetto “Sunyaev-Zel’dovich”. Questo fenomeno si produce quando i fotoni che costituiscono la radiazione cosmica di fondo attraversano un grande ammasso di galassie e da questa interazione subiscono una variazione nella loro energia.
“Sebbene lo scopo principale della missione Planck sia quella di dare una descrizione precisa della radiazione primordiale generata durante le prime fasi di vita dell’Universo, l’altissima qualità dei dati di questo satellite permette di fare delle scoperte molto importanti anche su oggetti come galassie e ammassi di galassie” commenta Paolo Giommi, responsabile del centro analisi dati ASDC dell’Agenzia Spaziale Italiana. “È particolarmente rilevante che i risultati siano stati ottenuti combinando dati di due satelliti apparentemente cosi’ diversi come Planck ed XMM, due missioni ESA con un forte contributo italiano”.
Dopo l’identificazione delle sorgenti, gli scienziati hanno puntato verso di esse il telescopio orbitante per raggi X XMM-Newton, consapevoli del fatto che gli ammassi di galassie emettono grandi quantità di radiazione in quella banda. Grazie a queste osservazioni complementari, gli astronomi sono stati così in grado di confermare che i segnali individuati da Planck erano prodotti da ammassi di galassie. E in un caso, da una struttura ancor più grande: un superammasso, composto da almeno tre gruppi estremamente massivi di galassie.
“Entrambi i satelliti Planck e Newton-XMM sono stati realizzati dall’ESA con anche il contributo dell’ASI” spiega Barbara Negri, responsabile Osservazione dell’Universo dell’ASI. “Fin dalla sua creazione, l’Agenzia Spaziale Italiana ha sempre guardato con grande attenzione all’Astrofisica spaziale e ha contribuito alla realizzazione, o realizzato essa stessa, satelliti ed esperimenti per osservare il Cosmo a tutte le lunghezze d’onda. Missioni che hanno sempre ottenuto risultati scientifici di grandissimo rilievo, come quest’ultima scoperta, che è stata possibile grazie alle osservazioni nei raggi X di Newton-XMM e nelle microonde di Planck. E’ anche grazie a questo impegno dell’ASI nel supportare le missioni spaziali scientifiche, che la comunità astrofisica nazionale ha potuto raggiungere quell’eccellenza che la pone oggi tra le prime al mondo.”
Con l’andata in pensione dello Space Shuttle, non esisterà più la possibilità di portare a Terra dei carichi dalla Stazione Spaziale Internazionale.
Una tale situazione può rappresentare un problema, dato che esistono molti esperimenti che necessitano del ritorno per l’analisi dei risultati.
A parte quel poco che si può imballare ed inserire nelle Soyuz, sarà una pratica impossibile ed è uno dei motivi per cui lo Shuttle era nato.
Ma Europa e Giappone potrebbero metterci una pezza. Sono iniziati gli studi per permettere all’europeo ATV (Automated Transfer Vehicle) e al Giapponese HTV (H-2 Transfer Vehicle) di effettuare viaggi di andata e ritorno verso la Stazione Spaziale.
Per fare ciò sarà necessario dotare le capsule di un adeguato scudo termico, e questo è indispensabile, ma anche della robustezza necessaria per sopportare il rientro. Ovviamente saranno necessari paracadute ed eventuali sistemi gonfiabili anti-affondamento. Da non sottovalutare i sistemi di controllo ambientale per poter trasportare anche cavie vive.
Per l’ESA si parla di Automated Return Vehicle (ARV) e il suo sviluppo potrebbe iniziare nel 2011 con una decisione degli stati membri. Nel luglio del 2009 è già stato affidato a EADS Astrium un contratto per 18 mesi di lavoro incentrato proprio su questo obiettivo. Lo stanziamento è stato di 21 milioni di euro. Stabilito che è da fare, si partirà già con una bozza di progetto. L’obiettivo è avere il primo lancio operativo fra il 2016 e il 2018, cosa decisamente possibile.
Per JAXA si parla di HTV-R e i tempi sono molto simili: inizio sviluppo nel 2011 e primo volo nel 2016.
Questi veicoli potranno riportare a Terra dei carichi compresi fra 300 e 1500 kg che, benché siano molto lontani dalle 15 tonnellate dello Shuttle, saranno assolutamente benvenuti.
Un altro dato interessante è rappresentato dal fatto che queste versioni di capsule saranno il primo passo verso la trasformazione dei cargo in veicoli abitati, prima di tutto per mantenere in vita i vegetali e i piccoli animali che partecipano agli esperimenti, ma subito dopo per affiancarsi alle altre capsule per il trasporto degli astronauti.
Negli anni ’20 di questo secolo avremo molta scelta per trasportare esseri umani da e verso l’orbita terrestre. Al Dragon di SpaceX e a Orion della NASA si affiancheranno anche gli equivalenti Europeo e Giapponese. E chissà che non sbuchino fuori anche gli omologhi Cinese e Indiano: ormai le tecnologie sono mature…
Nell’immagine una rappresentazione artistica di ARV.
Fonte: ESA.
La Luna si sta contraendoFinora si è ipotizzato che la Luna fosse geologicamente “morta” da miliardi di anni, cioè che non vi fossero più movimenti né della sua crosta e neanche del suo nucleo. Invece le osservazioni di LRO hanno dimostrato che in realtà devono ancora essere presenti piccoli movimenti tettonici e geologici causati dal suo restringimento.
Secondo Thomas Watters, scienziato senior presso lo Smithsonian National Air and Space Museum, il diametro della Luna si è probabilmente ridotto di circa 90 metri negli ultimi 800 milioni di anni.
In base alle dettagliatissime immagini inviate a Terra dalla sonda americana, è stato possibile rilevare che leggeri movimenti tettonici sono avvenuti con effetti di subsidenza (sovrapposizione degli strati geologici) formando una serie di “scogliere” note come scarpate lobate. In determinati punti si nota chiaramente che le scarpate hanno coperto parzialmente dei piccoli crateri, che, proprio per il fatto di essere piccoli e senza altri impatti al loro interno, tendono ad essere relativamente giovani. Questa copertura può derivare da frane (che evidenzierebbero comunque una certa attività, anche solo sismica) ma più probabilmente si è trattato di un vero e proprio spostamento della parete rocciosa, segno inequivocabile di un restringimento della crosta.
E parlando di attività sismica, occorre evidenziare come i movimenti geologici abbiano una correlazione con i terremoti lunari (o lunamoti, come alcuni li definiscono) che riusciamo a misurare grazie ai sismografi lasciati dagli astronauti durante quattro missioni lunari. Escludendo i possibili movimenti causati da impatti meteorici, sbalzi termici fra giorno e notte e forze mareali create dalla Terra, permane una certa quantità di fenomeni riconducibili proprio ai movimenti di faglia.
La missione LRO sta avendo fantastici ritorni scientifici grazie alla estrema definizione delle immagini che riprende.
La sua missione primaria si chiuderà a settembre di quest’anno, ma si sta già organizzando l’estensione della missione, almeno fino al 2012.
Per ottenere questo risultato si passerà dall’attuale orbita circolare a 50 km di quota ad un’orbita ellittica che si estenderà da un’altitudine di 30 km a quasi 200 km. Grazie a questo cambiamento si otterrà una sensibile diminuzione del consumo di propellenti, permettendo così il completamento della missione estesa e probabilmente un’ulteriore estensione.
In foto due piccoli crateri di circa 40 m di diametro indicati dalle frecce sono parzialmente coperti, mentre nell’ingrandimento uno di 20 m è coperto quasi per metà dalla parete rocciosa, dimostrandone lo spostamento.
Fonte: NASA/Goddard/Arizona State University/Smithsonian.
L’attività extraveicolare di ieri è avvenuta perfettamente e la pompa guasta è stata finalmente sostituita.
Durante una EVA di 7 ore e 20 minuti iniziata alle 1020 UTC, Douglas Wheelock e Tracy Caldwell Dyson hanno completato il montaggio e la riconnessione della pompa di circolazione dell’ammoniaca del circuito di raffreddamento A.
Attualmente il sistema di controllo termico della Stazione è nuovamente in piena efficienza e sta funzionando a dovere. È previsto uno spegnimento nella giornata di giovedì per ripristinare la circolazione corretta ed eliminare i by-pass attivati durante il periodo di guasto del loop A. Comunque i circuiti sono alla pressione nominale di 22,7 bar, raggiunta progressivamente dopo il termine della EVA.
Per la riparazione sono state necessarie 3 EVA per una durata totale di 22 ore e 49 minuti.
Quella di ieri è anche stata la 150esima attività extraveicolare per la ISS e la durata totale ammonta a 944 ore e 24 minuti, equivalenti a 39,4 giorni.
Solo l’ultima operazione dell’attività è stata cancellata per mancanza di tempo. Il cavo denominato J612 che avrebbe dovuto collegare il modulo Quest con Unity non è stato montato, ma sarà necessario prima dell’arrivo del PMM Leonardo con la missione Discovery STS-133, quindi dal primo novembre in poi.
Definito il piano di riparazione per la ISSDouglas Wheelock e Tracy Caldwell Dyson: sono loro due gli incaricati della sostituzione della pompa del circuito di raffreddamento che si è bloccata domenica mattina.
Effettueranno la prima attività extraveicolare venerdì mattina alle 1055 UTC quando usciranno per iniziare a preparare la nuova pompa stoccata sul traliccio nei pressi di quella guasta. La seconda escursione per eseguire tutti gli allacci elettrici e ai circuiti dell’ammoniaca avverrà lunedì.
Questo componente fa parte delle 14 parti indispensabili al funzionamento della Stazione e con 4 ricambi si può stare abbastanza tranquilli. I responsabili di missione sapevano che prima o poi una pompa si sarebbe guastata, anche se non credevano che sarebbe successo così presto. Con un tempo medio previsto fra guasti di 100’000 ore, il funzionamento di questo componente è stato di sole 80’000 ore.
La pompa costruita dalla Boeing, è lunga 1,70 m, larga 1,2 m e alta 0,9 m ed è troppo grande per essere caricata a bordo di un ATV o di un cargo Progress.
Con gli ultimi lanci Shuttle si sta cercando di completare il più possibile la scorta di parti di ricambio indispensabili, proprio per prevenire queste situazioni potenzialmente a pericolose per l’intera Stazione: in questo momento la ISS sta correndo un rischio “importante”, dato che si trova senza un sistema di refrigerazione di scorta. Se dovesse guastarsi anche il circuito B sarebbe un vero disastro.
Questo è il motivo principale per cui si stanno accorciando il più possibile i tempi ma senza imporre eccessiva fretta che potrebbe mettere a rischio i membri dell’equipaggio.
Per lavori di questo tipo è importante ad esempio avere tempi lunghi dal termine delle operazioni e il rientro a bordo. Avendo a che fare con l’ammoniaca, è molto importante che gli astronauti non ne abbiano delle piccole quantità depositata sulle tute. Impiegando un po’ di tempo dalla fine del lavoro al rientro si permette all’ammoniaca di evaporare nello spazio.
In foto Tracy e Doug iniziano la preparazione delle tute per il duro lavoro di venerdì.
Fonte: NASA.
Problema sulla ISSUno dei circuiti di controllo termico che mantengono costante la temperatura della Stazione si è guastato ieri sera causando lo spegnimento di molte apparecchiature elettroniche del grande complesso.
Il Coolant Loop si occupa di smaltire verso l’esterno il calore generato dai vari laboratori presenti a bordo ed il suo malfunzionamento avrebbe come risultato un aumento repentino delle temperature all’interno dei moduli della ISS.
Non è ancora chiara la causa, ma il modulo di pompaggio dell’ammoniaca del circuito A, montato sul lato di destra del traliccio principale della Stazione si è bloccato circa alle 0000 UTC di questa mattina, domenica primo agosto. Un guasto di questa entità fa subito scattare i sistemi di sicurezza avviando una serie di procedure d’emergenza e svegliando l’equipaggio.
Il primo effetto del blocco di metà dell’impianto di dissipazione termica è lo spegnimento di due dei quattro giroscopi che controllano l’assetto della ISS, di un canale di comunicazione, di diversi convertitori di potenza dei pannelli solari, utilizzati per il controllo dell’alimentazione e di un numero imprecisato di multiplexer-demultiplexer disseminati sulla Stazione.
L’equipaggio non è in pericolo, ma le procedure sono state febbrili, con la reimpostazione delle varie condizioni nel nuovo assetto interno, che comprende anche dei cavi di connessione elettrica aggiuntivi sistemati fra la sezione russa e quella americana per la ridistribuzione energetica. Alle 0500 UTC, Tracy Caldwell Dyson and Douglas Wheelock stavano eseguendo proprio queste riconfigurazioni dicendo che gli sembrava una esercitazione: purtroppo era un problema reale.
Poco prima delle 1000 UTC dal controllo di terra eseguivano un tentativo di ripristino della pompa bloccata, ma il sistema andava nuovamente in allarme svegliando ancora l’equipaggio. I controllori si sono scusati dicendo che pensavano di aver tacitato tutti gli allarmi, anche se non c’erano evidentemente riusciti.
La perdita del 50% di potere refrigerante per la Stazione Spaziale Internazionale significa perdere il 50% dell’elettronica di bordo e quindi degli esperimenti. Ed è un problema abbastanza grave. Sulla Stazione sono però presenti due pompe di scorta montate sugli External Storage Platform, pallet di ricambi agganciati ai lati del traliccio principale.
Di fatto dal controllo missione stanno prendendo in seria considerazione la possibilità di effettuare due EVA speciali per effettuare la sostituzione della pompa che ha una massa di 353 kg. Le connessioni sono molte e complesse; è per questa ragione che il lavoro verrebbe diviso in due escursioni, anche per una revisione accurata delle procedure di lavoro.
Wheelock and Caldwell Dyson sarebbero i prescelti e la prima EVA avverrebbe giovedì, mentre la seconda due-tre giorni dopo. Ovviamente nessuno dei due astronauti ha mai cambiato una pompa di quel tipo, ma dato che hanno seguito un addestramento per effettuare delle escursioni insieme, si preferisce mantenere la squadra unita, confidando sull’intesa di lunghi mesi di lavoro congiunto. La pompa è stata montata nell’agosto del 2009, ma nell’aprile di quest’anno è stato sostituito il serbatoio dell’ammoniaca che aveva dato problemi con alcuni bulloni e nell’apertura di una valvola poi sbloccata con dei comandi dal controllo di Terra. Nessun problema si era però riscontrato nel funzionamento, fino a stanotte.
Presentato il primo modello globale di gravità calcolato da GOCE
Presentato il primo modello globale di gravità calcolato da GOCELa missione GOCE (Gravity field and steadystate Ocean Circulation Explorer) è stata lanciata nel dicembre 2009 con l’obiettivo di misurare il campo gravitazionale terrestre e di determinare il geoide con un’elevata risoluzione ed accuratezza. I primi risultati, ottenuti con soli due mesi di dati, sono molto incoraggianti e mostrano nuove informazioni in vaste aree come il Sud America, l’Africa, L’Himalaya, il sud est asiatico e l’Antartide. Nei prossimi mesi si aspettano nuove elaborazioni più dettagliate ed accurate.
L’ Italia ha contribuito alla costruzione del satellite, essendo Thales Alenia di Torino il prime contractor del progetto per ESA. Inoltre il gruppo di ricerca del Politecnico di Milano, che da decenni lavora in campo internazionale per la realizzazione di una missione europea di misura del campo di gravità, è una parte fondante del Consorzio denominato HPF (Hight Level Processing Facility) che ha il compito di trasformare il dato del satellite in stima del campo terrestre.
L’ASI poi sostiene un progetto di coordinamento delle attività di ricerca italiane che intendono utilizzare i dati della missione GOCE per lo sviluppo di modelli globali e locali del campo gravitazionale e per lo sviluppo di applicazioni geodetiche, geofisiche, geologiche ed oceanografiche.
In particolare il progetto dell’ASI, soprannominato GOCE-ITALY, che è svolto dai gruppi di ricerca del Politecnico di Milano, Università di Milano, Università di Padova, Università di Trieste, Istituto di Oceanografia e Geofisica Sperimentale (OGS) di Trieste, Altec e Galileian Plus, prevede l’utilizzo da parte degli scienziati italiani dei prodotti della missione per il conseguimento dei seguenti obiettivi:
a) La determinazione di un modello globale del campo gravitazionale terrestre e del geoide con elevata risoluzione spaziale ed elevata accuratezza, integrando il dato spaziale con quello terrestre.
b) La determinazione di modelli locali del campo gravitazionale e del geoide basati sull’integrazione di misure gravimetriche in situ con i dati di GOCE.
c) La determinazione del geoide nel Mediterraneo.
d) La determinazione delle armoniche basse del campo gravitazionale, tramite la determinazione orbitale precisa (POD) da analisi dei dati GPS, e il miglioramento del modello delle maree oceaniche.
e) Lo sviluppo di applicazioni geodinamiche, in particolare lo sviluppo di modelli di postglacial rebound (PGR) per studiarne l’effetto sul campo gravitazionale sia a scala globale che regionale.
f) Lo sviluppo di applicazioni oceanografiche, in particolare l’uso combinato del geoide derivato da GOCE, eventualmente migliorato con dati gravimetrici in situ, e misure di altimetria da satellite, al fine di misurare le correnti nel Mar Mediterraneo.
g) Lo sviluppo di applicazioni geologiche, in particolare la determinazione di un modello avanzato della crosta nel territorio italiano e lo studio di bacini sedimentari a larga scala nella crosta inferiore o nel mantello superiore.
La responsabilità del coordinamento del team di ricerca è stata affidata al Politecnico di Milano. Alcune attività del progetto verranno svolte direttamente dal Centro ASI di Geodesia Spaziale “Giuseppe Colombo” tra cui il calcolo di serie temporali del geopotenziale, utilizzando i dati SLR (Satellite Laser Ranging) della rete ILRS su diversi satelliti geodetici (i.e. LAGEOS I e II, Starlette, Stella, Ajisai etc.), la validazione dell’orbita e il confronto tra il geoide calcolato utilizzando i dati di GOCE con quello derivato dalle informazioni di SLR.
Rosetta sorvola LutetiaSabato 10 luglio la sonda europea Rosetta ha volato a meno di 3’200 chilometri dall’asteroide Lutetia. Si tratta di un’occasione bonus aggiunta alla raccolta scientifica di questa sonda durante il suo viaggio per incontrare una cometa nel 2014.
Lutetia era praticamente sconosciuto prima del flyby e gli scienziati contavano su Rosetta per migliorare la conoscenza delle sue dimensioni, la composizione chimica e dell’origine. Questo incontro ha reso Lutetia il più grande asteroide visitato da vicino da un veicolo spaziale.
Le immagini mostrano che Lutetia è costellato di crateri, evidenziando i molti impatti subiti durante i suoi 4,5 miliardi di anni di esistenza. All’avvicinarsi di Rosetta, una depressione a forma di catino gigante che si estende per gran parte dell’asteroide è comparsa in vista. Le immagini confermano che Lutetia è un corpo allungato, con il suo lato più lungo di circa 130 km.
“Questa è esplorazione nella sua forma migliore”, ha detto David Southwood, direttore scientifico dell’Agenzia Spaziale Europea per i Programmi Robotici. Gli ingegneri all’interno dell’European Space Operations Center in Germania hanno confermato che il flyby si è svolto come previsto raggiungendo il punto più vicino alle 1610 UTC. Ci sono voluti più di 25 minuti perché i segnali radio, viaggiando attraverso il Sistema Solare giungessero a noi da Rosetta, il che significa che il massimo avvicinamento si è effettivamente verificato alle 1544 UTC.
Il flyby di Rosetta è avvenuto a 3’162 km da Lutetia ad una velocità relativa di 53’900 chilometri all’ora. Si è inoltre verificato a più di 450 milioni di chilometri dalla Terra e si è svolto in poco più di un minuto. Ma le telecamere e gli altri strumenti avevano lavorato per ore e alcuni anche giorni prima. Poco dopo il massimo avvicinamento, Rosetta ha iniziato a trasmettere i dati a Terra per l’elaborazione.
I pianificatori della missione hanno aggiunto il flyby di Lutetia alla missione Rosetta da 1,2 miliardi di dollari come un’occasione per raccogliere dati aggiuntivi mentre la sonda volava verso la cometa Churyumov-Gerasimenko. Nel 2008 la stessa sonda Rosetta ha visitato anche l’asteroide Steins, ma Lutetia, molto più grande, ha offerto molte più possibilità per l’osservazione.
“Dei due flyby asteroidali che siamo stati in grado di sfruttare lungo la strada verso la cometa, Lutetia è sempre stato il nostro obiettivo principale perché crediamo che questo ci fornirà le informazioni più preziose su come i pianeti si sono formati e in che stato si trovava il materiale durante questo periodo di formazione”, ha detto Rita Schulz, scienziato del progetto Rosetta presso l’Agenzia Spaziale Europea.
Nonostante il suo diametro medio di oltre 95 km, la composizione minerale e la forma esatta di Lutetia erano ancora un mistero per gli scienziati prima della visita di Rosetta. Lutetia è stato scoperto nel 1852, ma le migliori foto dell’asteroide riprese dai telescopi sia sulla Terra che nello spazio mostrano solo un oggetto composto da pochi pixel.
L’ipotesi più probabile è che Lutetia sia un asteroide di tipo C, il che significa che ha attraversato relativamente intatto la maggior parte della storia del Sistema Solare che dura da 4,6 miliardi di anni. Gli asteroidi di tipo C sono scuri e ricchi di carbonio e molecole organiche. Gli scienziati credono che siano cimeli rimasti dalla formazione del Sistema Solare.
“Se risultasse che è un tipo C, cosa che tutti speriamo, allora abbiamo un grande oggetto che è piuttosto incontaminato e che ci mostra il Sistema Solare poco dopo la formazione dei pianeti”, ha aggiunto Rita Schulz.
Ma alcune misurazioni suggeriscono che Lutetia possa essere ricco di metalli, quindi un asteroide di tipo M. Schulz ha detto che gli asteroidi metallici si sono formati dalla frattura di un corpo più grande e derivano da frammenti del nucleo.
“Non è possibile, non può essere sia un asteroide di tipo C che di tipo M, perché sono totalmente diversi”, ha proseguito Schulz. “Questo è un enigma che possiamo risolvere solo visitando questo oggetto perché le indicazioni provenienti da tutte le osservazioni eseguite finora non sono definitive”.
Il compito di Rosetta è stato quello di far luce su questi dubbi.
La sonda ha raccolto immagini di Lutetia nello spettro visibile, la mappa con la distribuzione dei minerali sulla sua superficie per mezzo degli spettrometri, ha cercato una eventuale sottile atmosfera e studiato le variazioni di temperatura sull’asteroide.
Il flyby di Lutetia per Rosetta è stata l’ultima tappa durante il suo viaggio di 10 anni dalla Terra alla Churyumov-Gerasimenko. Dal suo lancio nel 2004, Rosetta ha completato quattro manovre di gravity assist per indirizzarsi verso la cometa, tre delle quali sono stati flyby della Terra e uno di Marte.
Gerhard Schwehm, responsabile della missione Rosetta, ha detto che i tecnici a Terra passeranno il prossimo anno a mettere in letargo la sonda di 2’840 kg, imponendole un sonno profondo, che durerà circa due anni e mezzo, in grado di ottimizzare il consumo energetico. I controllori di volo attiveranno tutti gli strumenti scientifici di Rosetta entro la fine dell’anno per assicurarsi che siano efficienti prima della sospensione. Alcuni di essi riceveranno anche degli aggiornamenti software. “Mettere in ibernazione un veicolo spaziale per due anni è decisamente complesso ed occorre assicurarsi la possibilità di riattivarla di nuovo”, ha detto Schulz.
Mentre Rosetta transiterà nel sistema solare esterno, le squadre di terra metteranno alla prova i suoi grandi pannelli solari in modalità a bassa intensità, una funzione speciale che aumenta l’efficienza del sistema di approvvigionamento energetico della sonda, anche se i pannelli raccoglieranno meno luce solare. I pannelli solari di Rosetta, lunghi 32 metri, forniscono una grande superficie di raccolta per convertire in elettricità la più debole luce solare.
Gli ingegneri prevedono anche una manovra di correzione a gennaio per mettere Rosetta sulla giusta rotta verso Churyumov-Gerasimenko. Quattro dei propulsori di Rosetta modificheranno la velocità della sonda di 2’844 km/h.
“Avremo in seguito un periodo molto tranquillo per il veicolo spaziale che ci permetterà di controllare tutti i sottosistemi per assicurarsi che tutto è a posto e funziona correttamente, e nel giugno metteremo finalmente Rosetta in modalità di sospensione”, ha detto Schwehm.
Il controllo missione non prevede di svegliare Rosetta durante il letargo, in parte perché la sonda non avrebbe abbastanza elettricità per alimentare tutti i suoi sistemi contemporaneamente. “Non possiamo fare molto in quanto non avremmo abbastanza potenza per attivare tutti i sistemi e correggere eventuali problemi”, ha concluso Schwehm. Un’altra grande correzione di rotta è prevista per la primavera del 2014, subito dopo la riattivazione di Rosetta e pochi mesi prima dell’arrivo dalla cometa.
Rosetta dovrebbe arrivare nei pressi di Churyumov-Gerasimenko nel maggio 2014 mentre si avvicina al Sole ed entrare in orbita attorno al nucleo, un corpo di soli 4 km di diametro. La sonda sgancerà poi il lander tedesco Philae che scenderà sulla superficie della cometa nel novembre 2014, da dove invierà immagini e dati per circa una settimana. Rosetta resterà con la cometa fino al 2015 durante il suo passaggio vicino al Sole, completerà la mappatura della superficie e osserverà le sue modificazioni man mano che si scalderà rilevando i composti emessi come il ghiaccio di acqua.
Immagine: Rosetta ha ripreso questa foto di Lutetia poco prima del massimo avvicinamento. Le immagini provengono dallo strumento OSIRIS, che combina una macchina fotografica a largo campo ed una a teleobiettivo. Al massimo avvicinamento, i dettagli visibili sono stati di 60 metri su tutta la superficie visibile di Lutetia. Fonte: ESA
Trovati frammenti raccolti da HayabusaLa Japan Aerospace Exploration Agency ha annunciato lunedì di aver trovato particelle all’interno della capsula di rientro della missione Hayabusa, capsula che avrebbe dovuto raccogliere un campione della superficie dell’asteroide Itokawa nel 2005. I funzionari dicono che non sanno ancora se le particelle sono polvere proveniente dall’asteroide o se il materiale è originato dalla Terra o proviene dallo spazio interplanetario.
La capsula di rientro Hayabusa è stata paracadutata sulla Terra il 13 giugno e proviene da una missione durata sette anni che ha percorso oltre sei miliardi di chilometri attraverso il Sistema Solare. Questa è la missione che ha compiuto il primo viaggio di andata e ritorno ad un asteroide.
La capsula da 40 centimetri è rimasta illesa nel rientro e le squadre di recupero hanno spedito immediatamente il modulo in Giappone, dove è arrivato il 18 giugno presso un laboratorio high-tech a Sagamihara, vicino a Tokyo. È stata subito eseguita una radiografia del filtro che ha mostrato segni di particelle di circa 1 millimetro e i tecnici hanno rilevato anche una traccia di gas proveniente dalla capsula.
La polvere dovrebbe provenire dall’asteroide Itokawa, ma c’è anche la possibilità che provenga dallo spazio interplanetario o potrebbe addirittura essere una contaminazione proveniente da Terra, presente all’interno del contenitore prima del lancio. Solo le analisi dettagliata del materiale determineranno la sua fonte e potrebbero essere necessari mesi prima che gli scienziati riescano a dimostrare che i campioni sono stati effettivamente prelevati dalla superficie di Itokawa, una grande roccia a forma di patata. I ricercatori prevedono di utilizzare un microscopio elettronico e uno spettrometro per misurare le dimensioni e la composizione chimica dei campioni, determinandone così la provenienza.
Hayabusa è stata progettata per raccogliere i campioni sollevati da un proiettile sparato per smuovere i frammenti depositati sulla superficie e incanalarli all’interno della camera di raccolta, il tutto mentre la sonda eseguiva un atterraggio. Ma il cattivo funzionamento del sistema durante due tentativi nel novembre 2005 ha indotto il controllo missione ad eseguire un ulteriore campionamento che è andato più liscio, ma gli ingegneri di missione hanno detto che il proiettile non è stato sparato, mettendo così in dubbio l’obiettivo primario della sonda Hayabusa.
Nonostante l’inconveniente, ai responsabili di missione è rimasta qualche speranza di trovare polvere dell’asteroide entrata nella camera di raccolta nel momento in cui la sonda ha urtato contro la sua superficie di Itokawa.
In foto l’interno della capsula con i piccoli frammenti di materiale.
Fonte JAXA.
Notizie da MarteAncora in ascolto per Spirit – Sol 2307, 30 giugno 2010.
Spirit rimane in silenzio nel luogo chiamato “Troy” sul lato ovest di Home Plate. Nessuna comunicazione è stata ricevuta dal rover dal Sol 2210 (22 marzo 2010).
Come detto in precedenza, è probabile che Spirit abbia subito un forte abbassamento di potenza e abbia quindi spento tutti i sottosistemi, anche quelli di comunicazione e sia passato in un sonno profondo. Durante il sonno, il rover utilizzerà l’energia disponibile dai pannelli solari per ricaricare le batterie. Quando le batterie avranno recuperato una sufficiente carica, Spirit si risveglierà e inizierà a comunicare.
C’è il rischio aggiuntivo che il rover abbia subito un guasto all’orologio di missione. Se ciò fosse accaduto, Spirit resterà addormentato finché le batterie non saranno ricaricate a sufficienza e quindi fino a che ci sia abbastanza luce solare per i pannelli per riattivare il rover. Con il solstizio d’inverno superato il 13 maggio 2010, i livelli di energia solare e le temperature sono previste in aumento.
L’odometria totale è invariata a 7’730,50 metri.
Opportunity.
Migliora l’alimentazione una volta superato il Solstizio d’inverno – Sol 2254-2260, 27 maggio-2 giugno 2010.
Superato il solstizio d’inverno, la produzione d’energia va migliorando. Opportunity continua a spostarsi verso il cratere Endeavour.
Il Sol 2254 (27 Maggio 2010), il rover si è spostato di circa 26 metri verso sud/sud-est. Altro spostamento nel Sol 2256 (29 Maggio 2010), per circa 25 metri. Ma il Sol 2257 (30 Maggio 2010), si è verificata un’avaria al Pancam Mast Assembly (PMA) che sostiene le telecamere di navigazione e scientifiche. Lo snodo di azimut del PMA non si è mosso quando comandato. Il Sol 2259 (1 giugno 2010), sono stati eseguiti una serie di test diagnostici sul comando specifico e su altri attuatori come controllo. Il PMA è risultato essere a posto, il che non spiega il problema precedente. Così l’intenzione è di proseguire nell’indagine con ulteriori test diagnostici.
Dal Sol 2260 (2 giugno 2010), la produzione di energia dei pannelli solari è stata 269 watt-ora, l’opacità atmosferica (Tau) era 0,465 (Sol 2256) e il fattore polvere sui pannelli solari era 0,566.
L’odometria totale ammontava a 20,862.01 metri.
Si cerca di tornare al più presto a muoversi – Sol 2261-2266, 3-9 giugno 2010.
Il Pancam Mast Assembly (PMA) pare funzionare perfettamente nonostante il malfunzionamento subito nel Sol 2257 (30 maggio 2010) e non si ha quindi una spiegazione del problema.
Sono stati eseguiti diversi test diagnostici nei Sol 2259, 2261, 2262 e 2265 (1, 3, 4 e 8 giugno). In ogni caso, la diagnostica ha indicato che l’attuatore di azimut del PMA funziona perfettamente. Ulteriori analisi suggeriscono che lo spettrometro di emissione termica in miniatura (Mini-TES) possa essere l’origine del problema al PMA e che il PMA stesso fosse solo in attesa di un segnale dal Mini-TES, segnale che non è mai arrivato. Piccole anomalie sono state osservate nel Mini-TES durante il Sol 2250 (23 Maggio 2010). Indagini sono in corso sullo strumento. Nel frattempo, sono stati effettuati test finali sul PMA per riprendere al più presto gli spostamenti.
Nel Sol 2266 (9 giugno 2010), la produzione di energia dei pannelli solari stata di 287 watt-ora, l’opacità atmosferica (Tau) è stata 0,465 (Sol 2256) e il fattore polvere sui pannelli solari era 0,589.
L’odometria totale era 20,862.01 metri.
Opportunity supera le 13 miglia percorse su Marte! – Sol 2267-2272, 10-15 giugno 2010.
Opportunity è nuovamente in viaggio e ha superato i 21 km (13 miglia) di percorso su Marte.
L’errore di azimuth del Pancam Mast Assembly (PMA) del Sol 2257 (30 maggio 2010), è stato attribuito a un problema all’interno del mini-spettrometro ad emissione termica (Mini-TES). Una verifica del Mini-TES è in corso. Il PMA è stato ripristinato per la ripresa delle immagini (e non per l’uso del Mini-TES).
Durante il Sol 2267 (10 giugno 2010), è stato eseguito un Quick Fine Attitude (QFA) per verificare la precisione della lettura dell’assetto per minimizzare la deriva giroscopica. Sono state anche riprese ulteriori immagini nella direzione di marcia. Nel Sol 2270 (13 giugno 2010), Opportunity ha eseguito uno spostamento per la prima volta dopo l’anomalia PMA, ed ha coperto oltre 70 metri. Il rover ha poi eseguito un altro spostamento durante il Sol 2272 (15 giugno 2010), muovendosi di quasi 72 metri verso est.
Dal Sol 2272 (15 giugno 2010), la produzione di energia solare è stata di 297 watt-ora, l’opacità atmosferica (Tau) è stata di 0,280 e il fattore polvere sui pannelli solari era 0,570 .
L’odometria totale era 21,005.47 metri.
Opportunity Completa le tre unità di spostamento della settimana – Sol 2273-2279, 16-22 Giugno 2010
Opportunity ha fatto buoni progressi verso il cratere Endeavour con tre unità di spostamento.
Il Sol 2274 (17 giugno 2010) il rover ha completato circa 60 metri di spostamento verso est. Il Sol 2276 (19 giugno 2010) il rover ha fatto una piccola curva per evitare un ripple e poi si è spostato di 72 metri verso est. Con questa unità, Opportunity ha superato la distanza di una mezza maratona, 21’097,5 metri, o 13,11 miglia.
Il rover ha proseguito nel Sol 2279 (22 giugno 2010) coprendo più di 70 metri verso est/sud-est.
Al Sol 2279 (22 giugno 2010), la produzione di energia solare è passata a 320 watt-ora, l’opacità atmosferica (Tau) è stata 0,257 e il fattore polvere sui pannelli solari era 0,5585.
L’odometria totale era 21’209,69 metri.
Opportunity continua il viaggio verso Endeavour Crater – Sol 2280-2286, 23-29 Giugno 2010.
Opportunity continua ad avvicinarsi al cratere Endeavour, mentre i livelli di energia solare migliorano.
Il Sol 2281 (24 giugno 2010) il rover ha completato circa 70 metri, viaggiando verso est/sud-est. Il Sol 2283 (26 giugno 2010) ha percorso soli 57 metri verso nord-est per evitare alcune increspature del terreno di grandi dimensioni. Opportunity ha poi proseguito nel Sol 2286 (29 giugno 2010), coprendo più di 70 metri verso est.
Dal Sol 2286 (29 giugno 2010), la produzione di energia solare è migliorata passando a 354 watt-ora, l’opacità atmosferica (Tau) è stata di 0,295 e il fattore polvere sui pannelli solari era 0,577.
L’odometria totale era 21’408,21 metri.
In foto un’immagine del bordo del cratere Endeavour ripresa da Opportunity durante il suo avvicinamento. I nomi dei picchi sono ispirati dai luoghi visitati dal Capitano Hook con il vascello Endeavour a metà del XVIII secolo.
Fonte: NASA/JPL-Caltech/Cornell University.
Gli astronauti dello Shuttle in ItaliaQuattro mesi fa orbitavano a circa 340 km di distanza dalla superficie terrestre per istallare sulla Stazione Spaziale Internazionale il Nodo3 (Tranquillity) e la Cupola, gli ultimi due gioielli’ del Made in Italy per lo Spazio. Adesso sono qui, invitati proprio dall’Agenzia Spaziale Italiana. Nicholas Patrick, Kay Hire e Terry Virtis, tre dei sei membri della missione STS-130 (nella foto a sinistra, la crew al completo) conclusasi lo scorso 22 febbraio, sono atterrerati in Italia il 28 giugno , accolti da Salvatore Pignataro che ha dato loro il benvenuto a nome dell’ASI. E nel nostro paese resteranno fino al 2 luglio. Prima destinazione Torino, per incontrare il team di tecnici di Thales Alenia Space che ha materialmente realizzato gli ultimi due elementi della ISS per conto dell’ESA. Per i tre astronauti statunitensi, che hanno avuto modo di visitare i luoghi e i laboratori dove la Cupola e Tranquillity sono diventati realtà, l’appuntamento ha rappresentato un fondamentale momento di confronto.
Entrambi i moduli (qui a destra la Cupola) sono stati infatti progettati, sviluppati e integrati negli stabilimenti torinesi di Thales Alenia Space, che ha inoltre avuto la responsabilità delle attività di preparazione al lancio e di supporto alla Nasa attraverso il centro ALTEC, società costituita da Thales Alenia Space, Agenzia Spaziale ed Enti pubblici piemontesi.
Proprio per questo, la missione Shuttle STS 130 lanciata dalla NASA il 7 febbraio scorso, ha rappresentato un passaggio importante non solo per la messa a punto della Stazione spaziale, ma anche per l’Italia. La ISS, infatti, il più grande e ambizioso progetto spaziale concepito dopo la conquista della Luna, volge verso il suo completamento con l’arrivo a bordo di un altro pezzo significativo del nostro paese: sarà italiano anche PMM, l’ultimo modulo permanente abitativo.
Al termine della visita nel capoluogo piemontese, Patrick, Hire e Virtis incontreranno il Primo cittadino della città, Sergio Chiamparino. A seguire – nel pomeriggio del 30 giugno – partiranno alla volta di Roma dove saranno accolti dal presidente dell’ASI Enrico Saggese e, in serata, riceveranno il benvenuto da parte del Ministro dell’Istruzione, Università e della Ricerca, Maristella Gelmini. Per il giorno successivo, vigilia del volo di ritorno negli Stati Uniti, è in programma il saluto del sindaco della Capitale, Gianni Alemanno.
C'era una volta su MarteNel passato di Marte possono esserci state condizioni favorevoli alla vita. Sono le conclusioni degli ultimi studi su minerali presenti all’interno di alcuni crateri del Pianeta Rosso, condotti da sonde europee e statunitensi. I risultati, apparsi sulla rivista Science, mostrano come l’acqua allo stato liquido fosse presente su ampie aree della superficie del pianeta, non solo nelle regioni meridionali, ma anche al di sotto delle pianure dell’emisfero settentrionale. Mars Express e Mars Reconnaissance Orbiter, rispettivamente dell’ Agenzia Spaziale Europea e della NASA e con importanti strumenti italiani a bordo (MARSIS e PFS sul primo e SHARAD sul secondo sono stati promossi dall’ASI e costruiti in Italia), hanno scoperto la presenza di minerali composti da silicati idrati nelle pianure settentrionali di Marte, un segnale inequivocabile che un tempo in quelle zone scorreva acqua.
La sonda europea aveva già scoperto nell’emisfero meridionale migliaia di piccoli affioramenti di rocce dove i minerali risultano alterati dall’interazione con l’acqua. Molti di questi sono presenti sotto forma di minerali argillosi idrati, i cosiddetti fillosilicati, e indicano che quelle zone erano un tempo molto più calde e umide di oggi.
Tuttavia, fino a questa settimana, siti analoghi non erano mai stati avvistati nell’emisfero settentrionale del pianeta. I primi indizi che potessero esserci rocce contaminate da acqua anche lì sono stati forniti dal sensore OMEGA a bordo di Mars Express ma gli affioramenti identificati erano troppo piccoli per confermare la presenza di acqua. Così, sono stati utilizzati dati ad alta risoluzione raccolti da un sensore di Mars Reconnaissance Orbiter, concentrando l’attenzione su 91 crateri prodotti dall’impatto di asteroidi. L’impatto ha scavato la superficie del pianeta per parecchi chilometri, portando in superficie materiale della crosta primordiale del pianeta. In almeno 9 di queste enormi voragini sono stati individuati fillosilicati o altri minerali idrati, rocce identiche per composizione a quelle già scoperte nel’emisfero meridionale.
“Oggi possiamo dire che la superficie di Marte è stata profondamente alterata da acqua allo stato liquido più di 4 miliardi di anni fa” dice John Carter dell’Università di Parigi, primo autore dell’articolo che descrive la scoperta . Questi risultati sono molto importanti per ricostruire la storia geologica del Pianeta rosso e indicano la concreta possibilità che su di esso possano esserci state in passato condizioni favorevoli per l’evoluzione di forme di vita primitive.
Rosetta punta su LutetiaL’appuntamento alla cieca i due ancora non si conoscono – è per la notte di sabato 10 luglio. Sarà il primo incontro tra una sonda e un asteroide metallico di tipo M, per cui non mancheranno certo le domande e, si spera, le risposte.
Da una parte Rosetta, la sonda ESA costruita con un importante contributo italiano e partita nel 2004 per un viaggio decennale verso la cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko, dall’altra Lutetia, il piccolo asteroide della fascia principale scoperto nel lontano 1852 all’Osservatorio di Parigi (per questo fu battezzato con l’antico nome romano della capitale francese). I due avevano fissato la data circa un mese fa, quando sono cominciate le manovre di avvicinamento verso questo flyby che si annuncia tra i più interessanti della missione.
Rosetta dovrebbe sorvolare Lutetia a circa 3200 km di distanza, mantenendosi così vicina per circa un paio d’ore. Sufficienti a mandare subito a Terra ogni foto possibile di questo asteroide così poco conosciuto (le immagini dovrebbero essere messe a disposizione dall’ESA già nel pomeriggio successivo).
Al momento, nessuno sa esattamente a cosa Lutetia assomigli. Ai telescopi di terra appare come un singolo punto luminoso, uno dei tanti tra Marte e Giove. Ma le continue variazioni nell’intensità luminosa suggeriscono che Lutetia ruoti su se stesso ed abbia una forma irregolare. Gli astronomi sono riusciti a stabilire che taglia abbia, ma non molto di più. Il diametro, nel punto di maggiore ampiezza, dovrebbe aggirarsi sui 134 km. Diverse misurazioni hanno fatto concludere che Lutetia dovrebbe con ogni probabilità essere un asteroide metallico di tipo M. Un’ipotesi che, se dovesse come si prevede essere confermata, potrebbe imporre un ripensamento nel modo tradizionale di classificare gli asteroidi.
La Notte del TempoAppuntamento giovedì 24 giugno 2010, in piazza dei Signori
Dopo 30 anni Padova torna ad avere il suo Orologio astrario, sono stati infatti ultimati i lavori di restauro della Torre di piazza dei Signori.
L’Orologio astrario viene realizzato nel 1344 da Jacopo Dondi da Chioggia, nel 1437 l’Orologio viene ricostruito fedelmente ad opera degli orologiai Matteo Novello, Giovanni e Giampietro dalle Caldiere.
L’Orologio rappresenta la teoria astronomica Tolemaica di un sistema geocentrico che poneva la Terra al centro dell’Universo.
La Torre, alta 30 m. dal piano stradale, è dotata di 5 piani interni, di cui i primi 3 sono stati destinati a contenere le parti del meccanismo dell’orologio, gli altri 2 costituivano la residenza del maestro orologiaio, custode e manutentore.
Il movimento a gabbia è dotato di 2 “treni”: il treno del tempo e quello del suono della campana.
Il quadrante ha una forma circolare: nella fascia esterna è incisa la numerazione delle ore con caratteri romani, la fascia interna, in lastre di piombo, riporta le stelle di rame. La terza fascia, invece, contiene i simboli zodiacali a rilievo.
Al centro si trova il pianeta Terra.
La lancia che indica le ore con il Sole è alla base, la Luna, invece, compare su una finestra circolare.
Tutti i segni zodiacali, tranne quello della bilancia che manca, sono rifiniti con foglia d’oro zecchino.
Il restauro degli antichi strumenti scientifici è stato curato dall’Arass – Brera Associazione onlus. Il restauro è costato 300.000 euro (di cui 250.000 dalla fondazione Cariparo).
Inaugurazione
Giovedì 24 giugno 2010, ore 21:45, in piazza dei Signori
PROGRAMMA
ore 21:45
osservazione del cielo con tre telescopi a disposizione del pubblico con l’Associazione Astronomica Euganea
ore 22:30
immagini su megaschermo del Planetario
“Il ricordo del vecchio orologiaio” con Alberto Terrani
Nuova illuminazione scenografica dell’Orologio e della Torre
I rintocchi dell’Orologio riprendono vita
Viaggio fra stelle – nebulose – galassie e altri spettacoli dal cosmo, a cura di Roberto Sannevigo, con il commento delle musiche dei Pink-Floyd dedicate al tempo, all’origine dell’universo e ai sistemi celesti
Per informazioni
Assessorato edilizia monumentale del Comune di Padova
telefono 049 8205656, fax 049 8205660
E’ questo, fino al 25 giugno, il periodo migliore per seguire il “volo” della C/2009 R1 (McNaught).
Nella notte tra il 15 e il 16 giugno, infatti, la cometa ha raggiunto il punto più vicino alla terra (1,13 Unità astronomiche, equivalente a 169 milioni di chilometri) e nei prossimi giorni si avvicinerà via via al Sole aumentando sempre piu’ la sua luminosità, ad oggi di +4,5 magnitudini.
Le ultime stime dicono che potrebbe raggiungere addirittura una magnitudine vicina a +2 e quindi, in ottime condizioni di cielo buio e terso, si potrà tentare l’osservazione ad occhio nudo! A causa della sua ridotta elongazione dal Sole la cosa non risulterà però così facile, ma invitiamo chi non volesse perdersi lo spettacolo a tentare l’osservazione verso le 4 del mattino, con il Sole sotto l’orizzonte di almeno -12°.
Mappa celeste per individuare la cometa McNaught
Basterà dirigere lo sguardo in direzione del Perseo, dove la cometa si muoverà velocemente a sud est di Mirfak (alfa Persei, mag. +1,8) in direzione della brillantissima Capella (alfa Aurigae, mag. +0.1), che raggiungerà il 22 giugno, avvicinandola di 1,8° a nordest. Continuerà poi a spostarsi nella parte settentrionale dell’Auriga fino a trovarsi il 25 a 49′ a nordest di Menkalinan (beta Aurigae, mag. +1,9).
La cometa darà il meglio di sè anche solo in un binocolo o in un piccolo telescopio, mostrando la sua chioma verdognola e una lunga coda bluastra.
La rivedremo poi il 30 giugno quando diventerà un astro della sera osservabile, fino al 9 luglio, subito dopo il tramonto, bassa sull’orizzonte ovest, ma sarà ormai troppo lontana e per continuare a seguirla saranno necessari strumenti piu’ sofisticati.
Comunque la caparbietà orientale è stata premiata e dopo 7 anni di viaggio Hayabusa è riuscita a completare la missione. Resta ancora il dubbio se effettivamente nella capsula di rientro siano presenti i campioni di materiale, ma per questo ci saranno i laboratori che si prenderanno carico di verificarlo.
La JAXA (Agenzia Spaziale Giapponese) ha comunicato di aver localizzato la capsula rientrata e di aver pianificato l’immediato recupero.
La capsula Hayabusa con il suo paracadute e le squadre in recupero
La piccola capsula di circa 40 cm (foto qui a destra) di diametro è stata recuperata il 14 giugno 2010 nella base australiana Woomera.
Ad un controllo visivo appare perfetta e senza nessun tipo di danno. È anche stato recuperato lo scudo termico per verificarne le condizioni dopo il surriscaldamento sopportato durante il rientro a 43’000 km/h.
Ora dovranno essere rispettati dei rigorosi protocolli per l’apertura del contenitore in modo da evitare assolutamente delle eventuali contaminazioni.
Piccola nota a margine. Hayabusa, secondo i piani originari della missione, non doveva entrare in atmosfera, ma eseguire solo un passaggio radente per poi continuare la sua esplorazione. Purtroppo le anomalie che ha subito non hanno lasciato la possibilità di alternative.
Notiziario: Hayabusa, Ikaros e Venus Climate Orbiter
Notiziario: Hayabusa, Ikaros e Venus Climate OrbiterMartedì scorso la sonda giapponese Hayabusa ha effettuato l’ultima accensione del suo motore a ioni per centrare al meglio il punto di discesa in Australia.
È attesa per le 1400 UTC di domenica 13 giugno ed è ormai tutto pronto. Anche un velivolo DC-8 NASA sarà in zona per seguire l’avvenimento. La rotta è definita e rimane solo più da eseguire il distacco del contenitore con i campioni: dopo aver rilasciato il suo prezioso carico, Hayabusa entrerà in atmosfera con la piccola capsula, ma non avendo lo scudo termico concluderà la sua grande missione in uno spettacolare fuoco d’artificio.
Altro successo giapponese quello di IKAROS, test di vela solare lanciato verso Venere assieme alla sonda Venus Climate Orbiter, o Akatsuki. La grande vela di 14 metri di lato è stata dispiegata in questi giorni e, per la prima volta l’operazione è andata a buon fine. Ora inizierà la missione vera e propria con la misurazione della spinta ottenuta dal Sole. IKAROS si trova ora a circa otto milioni di chilometri dalla Terra.
Anche l’ESA dovrà tirare la cinghia e si prevede il congelamento dei finanziamenti per l’agenzia spaziale europea ai valori del 2009. Non ci sarà quindi nessun incremento nel budget previsto di 3,35 miliardi di euro e questo almeno fino al 2012. Di conseguenza è già iniziata la caccia alle missioni meno utili da sacrificare.
Comunicato SpaceXCape Canaveral, Florida – 7 giugno 2010
SpaceX (Space Exploration Technologies Corp.) ha annunciato che il volo inaugurale del vettore Falcon 9 lanciato con successo la settimana scorsa, ha raggiunto l’orbita terrestre esattamente secondo i piani e segna una pietra miliare per SpaceX e per il settore commerciale del volo spaziale.
I dati preliminari indicano che Falcon 9 ha raggiunto tutti i suoi obiettivi primari della missione, che si è conclusa con un quasi perfetto inserimento del secondo stadio e della capsula Dragon (unità di qualificazione) nell’orbita circolare prevista a 250 km di quota. SpaceX ha anche raccolto importanti dati aerodinamici e delle prestazioni del veicolo durante la salita, dati che saranno utilizzati nelle missioni preparative in attesa di raggiungere la Stazione Spaziale Internazionale (ISS).
“Questa è una pietra miliare non solo per SpaceX, ma apre un futuro sempre più luminoso per il volo spaziale”, ha detto Elon Musk, CEO e CTO di SpaceX. “E’ stata una giornata incredibile per i dipendenti della SpaceX, ma è importante notare che non abbiamo fatto da soli. Vorrei ringraziare dal profondo del mio cuore tutti i nostri sostenitori, in particolare la NASA (l’ufficio Commercial Orbital Transportation Services – COTS), la U.S. Air Force, la FAA ed i nostri clienti. Il loro sostegno è stato fondamentale per questo successo”.
SpaceX ha attualmente un vasto e diversificato programma comprendente contratti per oltre 30 missioni, comprese le 18 missioni già acquisite, per mettere in orbita satelliti commerciali. Inoltre, i lanci del vettore Falcon 9 e del veicolo spaziale Dragon sono stati acquistati dalla NASA per il trasporto di rifornimenti, che comprendono anche piante ed animali vivi, da e verso la Stazione Spaziale Internazionale. Sia Falcon 9 che Dragon sono già stati progettati per soddisfare le normative NASA per il trasporto umano, consentendo una rapida transizione verso il volo con astronauti entro tre anni dalla firma del contratto. La massima priorità oggi è lo sviluppo e collaudo del Launch Escape System (sistema di salvataggio al lancio), che sarebbe un miglioramento significativo della sicurezza rispetto allo Space Shuttle, che non possiede un sistema di fuga.
Il programma NASA COTS, ha dimostrato cosa può essere realizzato quando si combinano la reattività e l’ingegnosità del settore privato con la guida, sostegno e comprensione del governo americano. Per meno del costo della torre mobile di servizio per Ares I, SpaceX ha sviluppato tutto l’hardware di volo per il razzo Falcon 9, il veicolo spaziale Dragon, nonché tre siti di lancio. SpaceX è stata in attivo per tre anni consecutivi (dal 2007 al 2009) e prevede di restare tale per il prossimo futuro. L’azienda ha oltre 1000 dipendenti in California, Texas e Florida, ed ha mantenuto un fattore di crescita pari ad un raddoppio di personale ogni due anni. La maggior parte della crescita futura è probabile che possa verificarsi in Texas e Florida.
Il Falcon 9 è decollato alle 2:45 locali pari alle 1845 UTC dal complesso di lancio 40 alla “Cape Canaveral Air Force Station” situata sulla Costa Atlantica della Florida, a circa 5,5 km a sud-est dei pad di lancio NASA per il decollo degli Space Shuttle. Il Falcon 9 è un vettore spinto da 9 motori Merlin, progettati e sviluppati direttamente dalla SpaceX che utilizzano come propellente il carburante dei jet e ossigeno liquido. I motori generano quasi mezzo milione di chilogrammi di spinta al momento del decollo.
Il motore Merlin è uno dei soli due motori per vettori orbitali sviluppati negli Stati Uniti negli ultimi dieci anni (il Kestrel, sempre di SpaceX, è l’altro) ed è il motore ad idrocarburi americano più efficiente mai costruito. Il primo stadio del Falcon 9, fra pieno e vuoto di propellenti ha un rapporto di peso di oltre 20, ha il miglior rendimento strutturale del mondo, ma è comunque progettato con i più alti standard di sicurezza, quelli previsti per le missioni abitate.
A proposito di SpaceX
SpaceX sta sviluppando una famiglia di vettori di lancio e di veicoli spaziali destinati ad aumentare l’affidabilità e ridurre di un fattore dieci i costi sia di trasporto spaziale con equipaggio che senza equipaggio. Con i vettori Falcon 1 e Falcon 9, SpaceX offre elevata affidabilità e capacità di lancio per l’inserimento di un veicolo spaziale orbitale in qualsiasi altitudine e inclinazione. A partire dal 2010, i veicoli spaziali Dragon di SpaceX permetteranno il trasporto Terra-LEO di carichi sia pressurizzati che non pressurizzati. Tra questi ci saranno anche i rifornimenti alla Stazione Spaziale Internazionale.
Fondata nel 2002, SpaceX è una società privata di proprietà del management e dei dipendenti, con investimenti di minoranza da parte di Founders Fund e Draper Fisher Jurvetson. Il team di SpaceX che conta più di 900 unità, ha sede centrale a Hawthorne, in California.
Partita la prima missione umana per MarteMagari!
In realtà è appena iniziato un esperimento (3 giugno), il Mars500, che prevede la simulazione completa di una missione verso il pianeta rosso, le operazioni sulla superficie e il conseguente viaggio di ritorno.
In una struttura isolata ed autosufficiente, sei componenti dell’equipaggio ed una riserva si sono imbarcati oggi 3 giugno alle 0949 UTC e resteranno isolati dal resto del mondo per 520 giorni. Le comunicazioni avverranno solo attraverso le radio, esattamente come se fossero veramente in missione e di conseguenza con il ritardo crescente in base a quanto saranno distanti da Terra. A bordo avranno tutte le informazioni e potranno anche utilizzare internet, ma non in tempo reale, dato che il protocollo del web prevede lo scambio di informazioni. Potranno eseguire ricerche e potranno inviare e ricevere email e messaggi. Sempre via email invieranno a Terra i loro diari di bordo dove racconteranno le loro impressioni.
Questo esperimento è organizzato dall’ESA, l’agenzia spaziale europea e l’astronave si trova a Mosca, all’istituto IMBP (Institute of Medical and Biological Problems).
Lo scopo è quello di studiare il comportamento umano ed ottimizzare le risorse disponibili in uno spazio limitato come quello di un’astronave.
Ovviamente non potranno essere provati gli effetti della lunga esposizione ai raggi cosmici e gli effetti a lunghissimo termine dell’assenza di gravità. Sicuramente ci sarà anche una componente rassicurante rappresentata dal fatto di essere comunque sempre sulla Terra ed in caso di pericolo vero si potrà interrompere l’esperimento.
I componenti dell’equipaggio di Mars500 sono Diego Urbina e Romain Charles dall’Europa, Sukhrob Kamolov, Alexey Sitev, Alexandr Smoleevskiy dalla Russia e Wang Yue dalla Cina. La riserva è Mikhail Sinelnikov, un russo.
Diego Urbina è un Italiano 26enne di origini Colombiane. Torinese, è laureato in Ingegneria Elettronica al Politecnico di Torino e se volete sentire le sue risposte e le sue impressioni pochi giorni prima di entrare nel simulatore per questa missione, potete scaricarvi la registrazione della scorsa puntata di AstronautiCAST dove lo abbiamo intervistato.
Il programma di volo prevede 250 giorni di andata, 30 giorni di esplorazione sul suolo marziano e 230 giorni di ritorno.
In foto la struttura dove verrà eseguito il test. Fonte: ESA.
Un nuovo impatto su Giove!Ieri 3 giugno, alle ore 20:31 TU un nuovo impatto su Giove è stato ripreso, in contemporanea, da due astronomi non professionisti: Anthony Wesley (Murrumbateman, Australia) e Christopher Go (dalle Filippine).
Wisley, già testimone del precedente impatto del 19 luglio scorso, durante una ripresa ha visto in diretta una fireball colpire il pianeta gigante e ha allertato la comunità internazionale. Solo in seguito Go si è accorto di averlo anche lui ripreso durante una fortunata sessione osservativa. Il flare seguito all’impatto è durato solamente un paio di secondi e non sembra aver lasciato traccia, si attendono ora eventuali immagini e la relativa analisi dei dati.
I due filmati (di Wisley e di Go rispettivamente) sono visibili agli indirizzi sotto riportati
INAF, nessun accorpamentoL’istituto nazionale di Astrofisica (Inaf), l’Istituto nazionale di Oceanografia e Geofisica (Ogs), quello sulla ricerca metrologica (Inrim), quello di Alta Matematica (Indam) e la stazione zoologica “A. Dohrn”, gli enti di ricerca i cui compiti e le attribuzioni sarebbero dovuti passare al ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e al Cnr, restano autonomi. E’ quanto si apprende dalle agenzie di stampa. Nell’ultima versione della manovra, gli istituti di ricerca spariscono infatti dalla lista degli enti pubblici destinati ad essere soppressi. Salvo è anche l’Istituto di studi giuridici internazionali.
“La scorsa settimana ricordano le agenzie -, il presidente dell’Inaf aveva scritto una “lettera aperta” al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, contro la soppressione dell’Istituto e diversi erano stati gli appelli a salvare gli Istituti di ricerca. Resta invece in manovra la soppressione dell’Ipsema e dell’Ispesl le cui funzioni sono attribuite all’Inail; così come viene decretata la fine dell’Ipost le cui funzioni sono trasferite all’Inps; eliminati anche l’Istituto affari sociali le cui funzioni andranno all’Isfol e l’Ente nazionale di assistenza e previdenza per i pittori e scultori, musicisti, scrittori ed autori drammatici (Enappsmsad). Cancellati anche l’Isae le cui funzioni finiranno al ministero dell’Economia, l’Ente italiano Montagna (Eim) le cui funzioni finiscono al Dipartimento per gli affari regionali della presidenza del consiglio e l’Ente nazionale per studi e esperienze di architettura navale (Insean). Ad avere i giorni contati scrivono ancora le agenzie – l’Istituto per la promozione industriale (Ipi), l’ente teatrale italiano (Eti), la stazione sperimentale per l’industria delle conserve alimentari, la stazione sperimentale del vetro, la stazione sperimentale per la seta, la stazione sperimentale per i combustibili, la stazione sperimentale Carta, cartoni e paste per carta (Ssccp), la stazione sperimentale per le industrie degli oli e dei grassi (Ssog), la stazione sperimentale per le industrie delle essenze e dei derivati degli agrumi, la stazione sperimentale delle pelli e materie concianti, il centro per la formazione in economia e politica dello sviluppo rurale, il Comitato nazionale italiano per il collegamento tra il Governo e la Fao, l’ente nazionale delle sementi elette, l’istituto nazionale delle conserve alimentari”.
Ulteriore conferma è giunta dal ministro dell’Istruzione, Università e Ricerca, Maria Stella Gelmini che a latere dell’assemblea degli Industriali di Brescia, ha dichiarato: “E’ una manovra coraggiosa e indispensabile per contenere la spesa. Sono stati tutelati i ceti deboli, non ci sono tagli per pensioni, sanità e scuola, non ci sono tagli per i centri di ricerca e per il fondo per l’università. Le infrastrutture del sapere del nostro Paese sono state salvaguardate”.
Ora il decreto legge inizierà il suo iter parlamentare per essere approvato entro i previsti sessanta giorni.
Hayabusa è in arrivoMentre mancano due settimane al ritorno previsto sulla Terra, l’esploratore di asteroidi giapponese Hayabusa è nel bel mezzo di una serie di correzioni di traiettoria impresse dal suo motore a ioni superstite che la indirizzeranno entro uno stretto corridoio di rientro verso l’Australia.
L’agenzia spaziale giapponese (JAXA) ha comunicato che il veicolo è perfettamente in rotta per raggiungere il 13 giugno la Woomera Test Facility in Australia meridionale dove rientrerà alle 14:00 UTC, quindi nelle tarde ore serali in ora locale.
Il veicolo madre rilascerà circa tre ore prima del rientro la capsula di ritorno dei campioni di 40 cm di diametro mentre si troverà a circa 40’000 km di distanza dalla Terra. Durante l’attraversamento atmosferico dovrà sopportare i circa 2’700°C dell’attrito con l’aria, ma il piccolo guscio sarà protetto da uno scudo termico in fibra di carbonio. Infine i paracadute lo depositeranno dolcemente al suolo.
A causa dell’esaurimento dei propellenti chimici, i tecnici hanno dovuto utilizzare i propulsori a ioni che hanno alta efficienza ed affidabilità, ma bassa spinta. Normalmente vengono usati per lunghe accelerazioni dolci che possono durare anche migliaia di ore, ma qui sono stati usati per tutto.
Nelle tre accensioni programmate per queste ultime correzioni di rotta, durate ciascuna diversi giorni, l’ultimo motore a ioni operativo (su quattro che ne aveva) ha funzionato egregiamente sopperendo ai propulsori tradizionali ormai esausti.
La sonda ha completato giovedì scorso la sua terza accensione che in circa 100 ore ha variato la traiettoria di Hayabusa di 17,5 km/h. In questo modo la rotta è ora allineata con un punto teorico posto a circa 200 km al disopra della superficie terrestre.
Secondo i dati della Japan Aerospace Exploration Agency, la sonda si trova attualmente a circa 3,5 milioni di km dalla Terra e in queste due settimane correggerà la sua rotta almeno altre due volte.
La prima è prevista il 6 giugno e piegherà la traiettoria in modo da spostare il punto di tangenza e centrare l’Australia, dopodiché l’ultima correzione farà l’allineamento finale compensando ogni piccolo errore rimasto. Verrà eseguita tre giorni prima del flyby finale.
Hayabusa ha le dimensioni di una piccola utilitaria è stata lanciata dal Giappone nel 2003 ed ha impiegato tre mesi nell’esplorazione dell’asteroide Itokawa nel tardo 2005. Benché non sia certo che la capsula di rientro contenga dei campioni dell’asteroide, il Falco Pellegrino (questo è il significato del nome in Giapponese) è comunque una missione eccezionale dato che è la prima che esegue il viaggio di andata e ritorno da un asteroide.
Questo a patto che questo impavido viaggiatore da 200 milioni di dollari riesca a completare indenne queste ultime due settimane di viaggio.
STS-132 Atlantis: fine missione.Avvicinandosi da sud, il comandante Kenneth Ham ha preso i comandi a circa 15’000 metri di quota sopra lo spazioporto ed ha guidato Atlantis in una virata di 320 gradi per allinearsi alla pista numero 33 della Shuttle Landing Facility.
Mentre scendeva con un angolo di 21°, Ham ha tirato su il muso della navetta mentre il pilota Dominic “Tony” Antonelli estendeva il carrello permettendo un tranquillo touch-down alle 1248:11 UTC.
La durata della missione è stata di 11 giorni, 18 ore, 28 minuti e 2 secondi, eseguendo così 186 orbite complete e percorrendo oltre 7,8 milioni di chilometri.
Momento dolceamaro per i tecnici che attendevano il rientro di Atlantis, soprattutto perché, iniziando da questo atterraggio, si avranno soltanto più “ultime volte”: la navetta Atlantis ha toccato Terra per non lasciarla più.
Discovery sarà la prossima, a settembre od ottobre, mentre ad Endeavour toccherà il capitolo finale, alla fine di quest’anno o più probabilmente all’inizio del prossimo.
In teoria Atlantis potrà eseguire una ulteriore missione, ma solo se dovrà eseguire la missione di salvataggio per Endeavour nel caso che quest’ultimo si trovasse in grosse difficoltà durante la sua missione. In effetti l’orbiter appena rientrato tornerà nell’OPF per iniziare la preparazione per un volo che non verrà mai compiuto.
Quindi la prossima destinazione per Atlantis sarà un museo.
Varato dalle officine di Palmdale il 6 marzo del 1985, Atlantis ha effettuato la sua prima missione il 3 ottobre dello stesso anno eseguendo la STS-51J. Nella sua carriera ha eseguito cinque missioni militari, sette verso la Stazione Spaziale Russa MIR e 11 verso la ISS. Ha lanciato due sonde planetarie, la Magellano verso Venere e Galileo verso Giove, ha depositato in orbita il Compton Gamma Ray Observatory e l’anno scorso ha visitato il telescopio spaziale Hubble per la sua ultima missione di manutenzione.
Ha trasportato complessivamente 191 membri d’equipaggio durante 300 giorni in orbita e percorrendo oltre 190 milioni di chilometri.
Bentornato a casa, Atlantis.
Bentornato sul nostro pianeta per rimanerci per sempre
In foto Atlantis pochi secondi prima di toccare la pista al Kennnedy Space Center – Foto cortesia di Stephen Clark – Spaceflight Now.
LOLA osserva i crateri lunariA bordo del Lunar Recoinnaissance Orbiter (LRO) vi è il Lunar Orbiter Laser Altimeter (LOLA) della NASA che sta ricavando in questi mesi un modello della topografia completa della Luna e una griglia geodetica di notevole importanza per le future missioni lunari, in particolare per individuare i siti di allunaggio sicuri per robot mobili che si sposteranno da un punto all’altro del suolo lunare.
Recentemente, l’attenzione è stata puntata su un paio di crateri lunari, Einstein ed Einstein A che da Terra si osservano sul bordo ovest della Luna solo in particolari condizioni di visibilità.
Il cratere Einstein A è più giovane del cratere Einstein proprio per il fatto che Einstein A si viene a trovare al centro del cratere Einstein. I dati di LOLA hanno permesso di ampliare le conoscenze sull’età e la forma del cratere d’impatto. Einstein, in particolare, ha una dimensione di circa 198 chilometri di diametro. Le sole dimensioni del cratere, però, non sono sufficienti a determinare l’età del cratere stesso. Ma, dalla frequenza e dalla distribuzione dei crateri d’impatto che si sono venuti a formare sul bordo e sulla parte interna, si può fare una stima.
I crateri più giovani sono quelli che sono stati colpiti meno da impatti successivi e questo permette di mantenere la loro morofologia originaria. Einstein A rivela molto della sua struttura originaria, come la presenza di un bordo e la depressione che non è stata modificata nel corso del tempo da più piccoli impatti, cosa che invece si nota in corrispondenza del cratere Eistein.
Il loro nome, è superfluo ricordarlo, è legato al grande fisico Albert Einstein (1879-1955).
Giove ha perso una fasciaGiove, dunque, ha approfittato del passaggio in congiunzione per cambiare look. Le osservazioni compiute fino al termine dello scorso anno, cioè fino a quando è stato possibile osservare il pianeta gigante prima che si nascondesse dietro il disco solare, non mostravano nulla di anormale. Una grande sorpresa, però, attendeva gli astronomi e gli astrofili qualche mese più tardi, al riemergere di Giove dalla luce solare.
Da qualche giorno, infatti, si è potuto notare che manca all’appello la fascia sud-equatoriale, la cosiddetta SEB (South Equatorial Belt), una delle due evidenti fasce più scure che caratterizzano Giove, visibili anche quando lo si osserva con strumenti amatoriali. All’origine delle fasce, come di numerose altre caratteristiche che rendono unico l’aspetto di Giove, vi è la natura gassosa del pianeta gigante e le incredibili turbolenze che si generano sia per il gradiente termico che per l’elevata velocità di rotazione. Il mix di sostanze chimiche e le reazioni che le coinvolgono finiscono poi col rendere tutto molto più pittoresco, colorando i vari elementi con tinte che vanno dal giallo, al rosso, al bianco e al marrone.
La scomparsa della SEB, comunque, non è affatto una novità assoluta. Ogni 3-15 anni, infatti, questa fascia equatoriale, una delle regioni più sensibili del gigantesco pianeta gassoso ai cambiamenti climatici, sfuma gradatamente fino a scomparire del tutto. Il fenomeno è noto come South Equatorial Belt Disturbance e la sua evoluzione la si può quasi osservare in tempo reale. Dopo che è rimasta invisibile per alcune settimane, infatti, la SEB comincia nuovamente a formarsi. Inizialmente si genera un ovale biancastro dal quale poi, quasi fosse un rubinetto aperto, comincia a riversarsi materiale più scuro proveniente dagli strati atmosferici più profondi. Ci pensano poi gli impetuosi venti equatoriali di Giove a stiracchiare quel materiale formando strisce più scure che pian piano avvolgeranno l’intero pianeta. Tempo qualche settimana, dunque, e Giove potrà sfoggiare una SEB nuova fiammante.
Nonostante qualche difficoltà osservativa, il momento è davvero unico per potersi gustare lo spettacolo di un pianeta Giove davvero insolito. E i lettori di Coelum non ci faranno certo mancare immagini spettacolari, magari un curioso e drammatico accostamento tra immagini recenti e riprese effettuate quando il pianeta non aveva ancora deciso di rifarsi il trucco.
STS-132 - Lo Space Shuttle Atlantis è in partenza!
STS-132 - Lo Space Shuttle Atlantis è in partenza!La preparazione dell’ultimo lancio dello Space Shuttle Atlantis, prevista per questa sera alle 19:30 (ora italiana) prosegue alla perfezione e senza alcun intoppo.
Segui il lancio in diretta sul web alle 19:30 su Coelum Stream! Con commento audio in italiano a cura dello staff ISAA e AstronautiCAST. Per seguire la diretta clicca qui .
Il 10 Maggio scorso sono arrivati al Kennedy Space Center i sei componenti dell’equipaggio per la preparazione finale al lancio.
L’ 11 maggio alle 21:30 italiane c’è stata la “Call to Stations”, la chiamata alle postazioni che avvia solennemente l’inizio del countdown fissato per le ore 16 in Florida, cioè le 22 italiane.
Intanto si è saputo che uno dei problemi a cui si è discusso molto alla FRR finale è stato il difetto alle campane dei motori che presentano curiosamente una grande quantità di microfori. I motori di Atlantis hanno le campane riparate, ma sono state elaborate diverse teorie sulla causa di queste micro fratture.
Herschel guarda la culla delle stelleAlla vigilia del primo compleanno in orbita, l’osservatorio spaziale Herschel porta a casa nuove spettacolari immagini che mostrano particolari finora sconosciuti del processo che dà vita a nuove stelle.
Gli scatti di Herschel mostrano nubi di stelle in formazione lungo tutta la Via Lattea e galassie lontane in piena attività come fossero delle vere e proprie fucine stellari.
Ma è un’immagine in particolare a catturare l’attenzione dei ricercatori dell’Esa riuniti a Noordwijk in Olanda per la presentazione dei primi risultati scientifici di Herschel.
Il potente occhio del telescopio Esa ha infatti catturato l’embrione di una nuova stella molto speciale, chiamata RCW 120, definita dagli scienziati “impossibile” e candidata a diventare una delle stelle più grandi e luminose della nostra galassia entro alcune centinaia di migliaia di anni.
La sua massa attuale è tra le otto e le dieci volte quella del nostro Sole ed è avvolta in una nube di gas e polveri in espansione grande quanto 2000 masse solari. “Ed è destinata a crescere”, spiega Annie Zavagno del laboratorio di astrofisica di Marsiglia. Questo basta a definire RCW 120 un astro “impossibile”. “In base alle nostra attuali conoscenze su questi corpi celesti- continua la Zavagno- non possono esistere stelle in formazione con una massa otto volte superiore quella del Sole”. Questo perché la violenta emissione di luce da parte di stelle tanto grandi dovrebbe allontanarsi dalla nube embrionale prima dell’accumularsi della massa. Ma a volte questo non succede dando vita a stelle “giganti”. Alcune di questi oggetti “impossibili”, corpi con una massa pari a 150 volte il nostro Sole, sono già state osservate. Si tratta di stelle massive molto rare e dalla vita breve. Per questo catturarne e seguirne una durante la sua nascita, come sta facendo Herschel, rappresenta un’occasione unica per risolvere questo irrisolto paradosso astronomico.
Herschel, lanciato il 14 maggio dello scorso anno insieme al “gemello” Planck, è il telescopio astronomico più grande mai inviato nello spazio. Il diametro del suo specchio principale è quattro volte maggiore di ogni altro osservatorio all’infrarosso mai realizzato ed è una volta e mezzo quello di Hubble. Quando una stella inizia a formarsi, il gas e la polvere che la circondano si riscaldano fino a raggiungere una temperatura di circa dieci gradi sopra lo zero assoluto e iniziano a emettere nelle lunghezze d’onda dell’infrarosso. Dato che l’atmosfera terrestre filtra la maggior parte di queste onde è necessario osservarle da un luogo privilegiato: lo spazio.
Grazie alla risoluzione e alla sensibilità dei suoi strumenti, Herschel sta compiendo un censimento celeste di quelle regioni della nostra galassia dove si stanno producendo nuove stelle. “Prima di Herschel non era chiaro come la materia presente nella Via Lattea si aggregasse fino a formare una densa massa alla temperatura necessaria per dare vita a nuove stelle, spiega Sergio Molinari, dell’Istituto di Fisica dello Spazio Interplanetario di Roma.
Problemi per la Voyager 2La sonda ha iniziato alcuni giorni fa ad inviare dati corrotti: un problema nella formattazione dei dati raccolti renderebbe indecifrabile il blocco dati inviato. In realtà non tutte le informazioni provenienti dal lontanissimo veicolo sono illeggibili, ma soltanto le informazioni scientifiche.
La Voyager 2 si trova a qualcosa come 92 unità astronomiche dal Sole, equivalenti a 13,8 miliardi di chilometri. Le comunicazioni impiegano ben 12,71 ore a raggiungerla e altrettanto per tornare indietro.
L’anomalia è sotto studio e dopo aver messo la sonda in una modalità di invio dei semplici dati diagnostici, i tecnici stanno tentando la riparazione.
Sono 33 anni che viaggia nello spazio e sarebbe un peccato perderla ora che sta uscendo dalla eliosfera (la zona d’influenza del nostro Sole).
La Voyager 2 è stata una delle prime sonde spaziali automatiche realizzate per l’esplorazione del Sistema Solare esterno, ed è ancora in attività. Fu lanciata il 20 agosto 1977 dalla NASA da Cape Canaveral, a bordo di un razzo Titan-Centaur, poco prima della sua sonda sorella, la Voyager 1, in un’orbita che l’avrebbe portata nel tempo a visitare i maggiori pianeti del Sietema Solare.
Testato il LAS di OrionIl test effettuato il 6 maggio nella base di White Sands Missile Range, nel New Mexico, è costato 220 milioni di dollari ed è riuscito alla perfezione.
Si trattava del collaudo della torre di fuga d’emergenza per la nuova capsula Orion (il LAS, Launch Abort System) ed è stato effettuato partendo da terra.
Il simulacro della capsula agganciato al LAS è partito alle 1300 UTC ed è schizzato verso l’alto con un’accelerazione bruciante. Pensate che in due secondi e mezzo era già a circa 700 km/h imprimendo un’accelerazione di circa 16g. Per salvaguardare l’incolumità di un possibile equipaggio, i parametri di spinta verranno rivisti per evitare di superare un’accelerazione di 10 g. I motori del torrino sono a propellente solido e generano una spinta di 225 tonnellate. Il motivo di un allontanamento così rapido è dato dal fatto che il LAS deve intervenire in caso di guasto al vettore o, peggio, in caso di esplosione dello stesso. Un’accelerazione di questo tipo garantisce una via di fuga sicura.
La spinta è durata solo sei secondi al termine della quale il simulacro si trovava già a 1200 metri di quota. La sua parabola lo ha portato fino a 1800 metri, dopodiché Orion si è separato dal LAS (che ha altri piccoli motori per allontanarsi) ed ha iniziato la discesa con l’apertura dei paracadute pilota ed infine dei tre paracadute principali del diametro di 35 metri ciascuno, che hanno depositato dolcemente la capsula al suolo.
Il simulacro è stato costruito appositamente per questo test e non verrà più utilizzato.
Resta importantissimo questo test in quanto il tipo di sistema di fuga collaudato può essere utilizzato per qualsiasi capsula, quindi anche altri modelli o Orion stesso montato su un altro vettore diverso da Ares I ormai cancellato.
La marea nera influisce sulla NASAAllo stabilimento Michoud Facility della Lockheed Martin hanno da poco terminato la costruzione del penultimo serbatoio esterno del programma Shuttle, quello che servirà al Discovery a settembre per eseguire la sua ultima missione.
La chiatta Pegasus si trova in Louisiana dove è stata caricata con l’enorme “siluro”, ma contrariamente al solito, non sarà la Freedom Star, una delle due navi della NASA che si occupano di recuperare gli SRB dopo le missioni, a trasportarla al KSC, bensì un rimorchiatore commerciale che eseguirà la prima parte delle 900 miglia di viaggio prima di passare il carico al vascello tradizionale.
Questo a causa della chiazza di petrolio che si sta allargando nel Golfo del Messico. La Freedom Star per evitare rischi inutili si trova ora nel porto di Gulfport in Mississippi pronta ad incrociare, nella mattinata di martedì, la rotta della chiatta per subentrarne nel trasporto.
La partenza è prevista per questa sera, lunedì 3 maggio.
Dato che il tempo a disposizione è veramente molto, non ci dovrebbero essere problemi con le tempistiche di preparazione delle varie missioni, anche se qualsiasi intoppo porta sempre un po’ di preoccupazione nella dirigenza del Programma Space Shuttle.
Qui si sta parlando dell’External Tank n° 137 che in un primo tempo era assegnato alla STS-134 quando doveva essere eseguita a luglio, mentre ora è destinato alla STS-133 in partenza a settembre. Il prossimo serbatoio che verrà terminato, fra circa un mese, sarà il n° 138, ultimo esemplare, ora assegnato all’Endeavour per la STS-134 di novembre.
In foto il caricamento dell’ET sulla chiatta Pegasus a Michoud.
Space Shuttle Mission NewsÈ stato ufficializzato il 26 aprile scorso lo spostamento dell’ultima missione di Endeavour.
L’esperimento AMS è in fase di ripristino per la sostituzione del magnete principale e non potrà arrivare al Kennedy Space Center per la preparazione al volo prima del tardo agosto di quest’anno. Di conseguenza il lancio di STS-134 (missione con una durata prevista di almeno 12 giorni) non potrà avvenire il 29 luglio, ma dovrà superare STS-133 (previsto per metà settembre) e portarsi a novembre, circa a metà mese.
Ma c’è un problema.
L’esposizione solare della ISS ha i famosi momenti di “beta cutout” quando per evitare surriscaldamenti deve restare di taglio rispetto ai raggi solari. In questi periodi non possono esserci missioni Shuttle perché, essendo la navetta attraccata ad una estremità e posta perpendicolare all’asse principale della Stazione, sarebbe illuminata e quindi scaldata eccessivamente. Ebbene, uno dei periodi di “beta cutout” è proprio dall’8 al 25 novembre.
Ma non basta.
Il 26 novembre lascia la stazione una Expedition e il 10 è previsto che arrivi quella successiva (della quale farà parte il nostro Paolo Nespoli). Se c’è lo Shuttle sulla Stazione gli altri veicoli non possono muoversi e quindi non abbiamo sufficienti giorni per una missione completa.
Pensate che sia finita? Invece no.
Dal 15 dicembre non si può lanciare, dato che la NASA ha sempre evitato di far subire ai computer di bordo degli Shuttle un cambio di anno in missione, per timori di comportamenti imprevisti nei vari software di bordo.
E quindi si passa all’anno nuovo.
Ma non finisce qui.
Dal 4 al 20 gennaio c’è nuovamente un “beta cutout” e quindi bisogna saltare a fine gennaio.
Ora sappiamo che non si parte più a luglio, ma a questo punto la data di febbraio è decisamente la più probabile.
Per la STS-132 il carico (composto dal modulo russo Mini Research Module-1/Rassvet e da una serie di pezzi di ricambio per la Stazione) è stato trasferito nella stiva di Atlantis. Intanto al pad i camion del rifornimento hanno riempito il serbatoio dell’idrogeno liquido, una delle due grandi sfere bianche che sono installate all’estremità dello spiazzo della rampa (l’altra è per l’ossigeno che è stato caricato un paio di giorni fa).
Esiste ancora una possibilità di rinvio “d’ufficio” della STS-132 a causa della eccessiva distanza dalla successiva missione (la STS-133 a settembre) dato che dovrebbe essere la missione di soccorso se capitasse qualcosa all’Atlantis.
I tecnici stanno verificando se la ISS è in grado di dare sostentamento a 12 persone (6 residenti e 6 dell’Atlantis) per quattro mesi nel caso che la navetta risulti danneggiata. Prima dello spostamento di STS-134, era quest’ultima a dover eseguire l’eventuale soccorso, ma con soli 2 mesi e mezzo di ritardo.
Per la STS-133, Discovery si trova nella baia 3 dell’OPF e domenica è stato rimosso Leonardo dalla stiva. Intanto i tecnici stanno eseguendo i test sui motori di manovra anteriori.
Venti di questi anni Hubble!Era il 24 aprile 1990: lo Space Shuttle Discovery “depositava” in orbita l’Hubble Space Telescope. Nel corso dei venti anni successivi, le immagini del cosmo riprese dal telescopio orbitante hanno letteralmente rivoluzionato diversi campi delle scienze astronomiche, dalla planetologia alla cosmologia.
In questi due decenni non sono mancati incidenti di percorso: a cominciare dallo specchio difettoso che durante i primi anni di vita dl telescopio ne comprometteva seriamente le prestazioni, e che ha richiesto l’installazione di ottiche correttive nel corso di diverse “Servicing Missions” (le missioni Shuttle dedicate alla manutenzione del telescopio). Fino all’ultima missione di riparazione, quella destinata a prolungarne la vita: prevista, poi rimandata sine die dopo il disastro del Challenger, infine approvata e perfettamente eseguita lo scorso anno.
Ora però il futuro di Hubble è assicurato, fino almeno al 2014, data in cui dovrebbe dargli il cambio il James Webb Space Telescope, che proseguirà nell’infrarosso lo straordinario lavoro di osservazione che Hubble ha svolto nell’ottico.
La NASA celebra ora i venti anni di quello che è forse il suo strumento scientifico più popolare, con una nuova immagine della Carina Nebula (sopra un dettaglio, qui è visibile la versione in grande formato) una porzione di cielo molto studiata perché in essa è particolarmente intensa la nascita di nuove stelle.
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