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“Picnic scientifici” al Museo del Balì

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Cosa sono i Pic-Nic scientifici?
Un modo diverso di fare la classica scampagnata : grandi e piccoli potranno trasformarsi in un team affiatato e risolvere giochi scientifici ed enigmi che si troveranno dentro a dei cestini da pic-nic!
30 minuti di tempo, 10 sfide e un premio per la squadra vincitrice: una merenda offerta dal Frantoio del Trionfo di Cartoceto.
Cosa serve?
Voglia di divertirsi, un pizzico di intuito, qualche grammo di ingegno e la ricetta della scampagnata perfetta è servita!
I Pic-Nic scientifici vi stanno aspettando nella splendida cornice della Villa del Balì!

GIORNI DI APERTURA ALL-DAY
Giorni: 2 aprile, 25 aprile, 1 maggio 2018
Orari: 10:30
Cosa faremo:
Spettacoli al planetario: 11:30, 12:30, 14:30, 16:00, 17:00, 18:00 (consigliata la prenotazione)
Pic- Nic scientifici: 15:30 – 16:30-17:30 (solo nelle giornate 2 aprile, 25 aprile e 1 maggio).
Osservazione guidata del Sole al telescopio (SOLO bel tempo): dalle 11:00 alle 12:30 e dalle 15:00 alle 17:30
ALTRE APERTURE:
Pasqua: 15:00-19:30
Lunedì 30 Aprile 15:00-19:30
Sabato e Domenica

www.museodelbali.it

TESS. Il nuovo cercatore di pianeti in cammino verso la sua orbita di lavoro

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Una schermata di "addestramento" per aspiranti cittadini scienziati scopritori di esopianeti.
Ore 00:51 (ora italiana) del 19 aprile 2018, il Falcon 9 si stacca da terra, è iniziato il viaggio di TESS. Crediti: NASA Television

Dopo un ultimo ritardo di 48 ore per problemi al razzo vettore, questa notte alle 00:51 ora italiana, il Falcon 9 della Space X è partito con successo dallo Space Launch Complex 40 della Air Force di Cape Canaveral in Florida, con a bordo il suo prezioso carico, il nuovo cercatore di pianeti extrasolari della NASA TESS.

Una telecamera sul booster del Falcon 9 ha catturato il momento della separazione, TESS inizia la sua missione. Crediti: NASA

All’1:53 i due pannelli solari gemelli che alimenteranno la sonda si sono aperti con successo.

«Siamo elettrizzati all’idea che TESS sia sulla buona strada per aiutarci a scoprire mondi che dobbiamo ancora immaginare, mondi che potrebbero essere abitabili o ospitare già la vita», ha dichiarato Thomas Zurbuchen, amministratore associato del consiglio direttivo delle missione scientifiche della NASA a Washington. «Con missioni come il James Webb Space Telescope,  che ci aiuterà a studiare in dettaglio questi pianeti, siamo sempre più vicini a scoprire se siamo soli nell’universo».

Nel corso di diverse settimane, TESS userà sei volte il propulsore per spostarsi in una serie di orbite sempre più allungate per raggiungere la Luna, dalla quale avrà un aiuto gravitazionale per potersi trasferire nella sua defintiva orbita scientifica di 13,7 giorni attorno alla Terra. Dopo altri  60 giorni circa di check-out e test della strumentazione a bordo, TESS sarà pronto per iniziare il suo lavoro.

«Un elemento fondamentale per il ritorno scientifico di TESS è l’elevata velocità di trasmissione dati associata alla sua orbita», spiega George Ricker, Principal Investigator di TESS presso il Kavli Institute for Astrophysics and Space Research Kavli  al MIT.  «Ogni volta che la sonda passa vicino alla Terra, trasmetterà immagini full frame scattate con le camere a bordo. Questa è una delle particolarità di TESS, che era mai stato possibile fare prima».

Per saperne di più sulla missione leggi anche Pronto a partire TESS il nuovo cercatore di esopianeti della NASA

Esploratori di esopianeti

Contestualmente alla riuscita del lancio, la NASA ricorda e invita a partecipare a un progetto di citizen science dedicati alla ricerca dei pianeti extrasolari, all’interno del famoso portale web ZooUniverse, utilizzando per il momento l’incredibile mole di dati della sonda Kepler, ormai in via di pensionamento.

I cittadini scienziati (ovvero chiunque abbia voglia di cimentarsi con questo tipo di ricerca dal proprio computer di casa) sono invitati a esaminare i dati della missione K2 di Kepler, per scoprire eventuali esopianeti in transito. Un lavoro di questo tipo, decisamente certosino, permetterà ai ricercatori professionisti di misurare i tassi di occorrenza dei diversi tipi di pianeti in orbita attorno diversi tipi di stelle.

Si potrà aiutare a rispondere a domande tipo: i piccoli pianeti (della taglia di Venere) sono più comuni di quelli grandi (tipo Saturno)? I pianeti a breve periodo (come Mercurio) sono più comuni di quelli su orbite lunghe (come Marte)? Abbiamo più possibilità di trovare pianeti attorno a stelle come il Sole o  attorno alle “nane rosse” più fredde e piccole ma anche più numerose?

Una schermata di "addestramento" per aspiranti cittadini scienziati scopritori di esopianeti.

Si tratta quindi di controllare e vagliare le numerose curve di luce raccolte da Kepler, alla ricerca di quei cali di luminosità che possono indicare la presenza di un pianeta in transito davanti alla sua stella. Aderendo al progetto si verrà guidati passo passo, prima con qualche semplice accenno alla teoria e poi nella ricerca vera e propria. Ovviamente sarà necessaria la conoscenza dell’inglese, ma niente di troppo complesso in realtà.

Ma i progetti di citizen science della NASA non sono gli unici che permetto agli appassionati di partecipare alla ricerca di pianeti extrasolari. Sono tante le occasioni per mettere alla prova la propria strumentazione amatorale, magari non da principianti, ma per astrofili più esperti… ma si deve sempre inziare da qualche parte, no? Una trattazione diffusa dello stato della ricerca amatoriale oggi di pianeti extrasolari e delle opportunità a disposizione la trovate in un lungo e completo articolo di Rodolfo Calanca, sui numeri 220 e 221 di Coelum Astronomia (come sempre in formato digitale e gratuito).

Quando cominceranno ad arrivare i dati da TESS, non è da escludere che anche quelli verranno messi a disposizione della comunità per permettere agli appassionati di affiancarsi alla ricerca porfessionale.

«Gli oggetti che TESS individuerà saranno materiale fantastico per la ricerca per i decenni a venire», ha affermato Stephen Rinehart, del team di missione TESS presso il Goddard Space Flight Center della NASA. «È l’inizio di una nuova era della ricerca sui pianeti extrasolari».

https://www.nasa.gov/tess



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Accademia delle Stelle

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2018-04 Coelum AdS

2018-04 Coelum AdS Ad aprile due corsi (il lunedì e il giovedì) che dureranno fino a giugno presso la nostra sede all’EUR (fermata Laurentina).

Da lunedì 23 aprile: Corso di ArcheoAstronomia. Corso di Archeoastronomia ed Astronomia Culturale per scoprire le conoscenze astronomiche degli antichi attraverso l’importanza che l’astronomia ha avuto in tutta la storia dell’umanità.

Da giovedì 26 aprile: Corso avanzato. 8 conferenze su argomenti che non vengono trattati di solito nei corsi base di astronomia. Approfondimenti che rivestono un interesse enorme. Non è richiesta alcuna preparazione di base.

Prezzi in promozione e sconti per i lettori di Coelum Astronomia.

Per informazioni:

https://www.facebook.com/accademia.dellestelle
https://www.accademiadellestelle.org

A caccia di materia oscura nelle galassie nane

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Sul lato sinistro sono riportati i risultati di una simulazione al computer in cui Eridano II risiede all’interno di un denso alone di materia oscura, come previsto nel modello cosmologico standard. In questo modello, il gruppo di stelle (in verde) si dissolve rapidamente. Dal momento che oggi vediamo un vecchio ammasso stellare sopravvissuto, possiamo escludere questo modello. Sul lato destro sono visibili i risultati di una simulazione al computer in cui Eridano II risiede in un alone di materia oscura a densità molto più bassa. In questo modello, l’ammasso stellare non solo sopravvive, ma cresce fino a raggiungere una dimensione corrispondente al gruppo di stelle effettivamente osservato, contrassegnato dal cerchio verde nel mezzo. Crediti: immagine dell’osservazione presa da Crnojevi et al. 2016; immagine composta da Maxime Delorme (University of Surrey)
Sul lato sinistro sono riportati i risultati di una simulazione al computer in cui Eridano II risiede all’interno di un denso alone di materia oscura, come previsto nel modello cosmologico standard. In questo modello, il gruppo di stelle (in verde) si dissolve rapidamente. Dal momento che oggi vediamo un vecchio ammasso stellare sopravvissuto, possiamo escludere questo modello. Sul lato destro sono visibili i risultati di una simulazione al computer in cui Eridano II risiede in un alone di materia oscura a densità molto più bassa. In questo modello, l’ammasso stellare non solo sopravvive, ma cresce fino a raggiungere una dimensione corrispondente al gruppo di stelle effettivamente osservato, contrassegnato dal cerchio verde nel mezzo. Crediti: immagine dell’osservazione presa da Crnojevi et al. 2016; immagine composta da Maxime Delorme (University of Surrey)

Nonostante la materia oscura rappresenti la maggior parte della massa dell’universo, continua ancora oggi a essere sfuggente. A seconda delle sue proprietà, potrebbe trovarsi densamente concentrata al centro delle galassie o distribuita in modo regolare su scale più grandi. Confrontando la distribuzione della materia oscura nelle galassie con quella prevista da modelli dettagliati, i ricercatori sono in grado di confermare o escludere i vari possibili candidati della materia oscura. In questo contesto, un team di ricercatori dell’Università del Surrey e dell’Università di Edimburgo – guidato dall’astrofisico Filippo Contenta, originario di Frascati – hanno sviluppato un nuovo metodo per misurare la quantità di materia oscura al centro di piccole galassie nane. I risultati sono stati pubblicati su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society.

I vincoli più restrittivi sulla materia oscura provengono dalle galassie più piccole dell’universo, le galassie nane. La più piccola di queste galassie contiene solo poche migliaia o decine di migliaia di stelle, rientrando nella categoria delle cosiddette nane “ultra-deboli”. Queste minuscole galassie, trovate in orbita vicino alla Via Lattea, sono costituite quasi interamente da materia oscura. La mappatura della distribuzione della materia oscura in queste minuscole galassie potrebbe fornire nuove ed eccitanti informazioni sulla sua natura. Tuttavia, essendo completamente prive di gas e avendo pochissime stelle, fino a poco tempo fa non esisteva un metodo praticabile per effettuare questa misurazione.

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La chiave del metodo sviluppato all’Università del Surrey per calcolare la densità della materia oscura all’interno delle galassie nane – comprese quelle che non hanno gas e sono costituite da pochissime stelle – consiste nell’utilizzare uno o più densi ammassi stellari in orbita vicino al centro della galassia stessa.

Gli ammassi stellari sono gruppi di stelle gravitazionalmente legate che orbitano all’interno delle galassie. A differenza delle galassie, gli ammassi stellari sono così densi che le loro stelle si sparpagliano a causa dell’attrazione gravitazionale reciproca, e questa dispersione porta ad una lenta espansione dell’ammasso stesso. I ricercatori coinvolti nello studio pubblicato su Mnras si sono resi conto che la velocità di questa espansione dipende dal campo gravitazionale in cui orbita l’ammasso stellare e quindi dalla distribuzione della materia oscura nella galassia ospite. Il gruppo di ricerca si è servito di diverse simulazioni al computer per mostrare come la struttura degli ammassi stellari sia sensibile al fatto che la materia oscura sia densamente concentrata al centro delle galassie o distribuita più uniformemente. Successivamente, ha applicato il proprio metodo alla galassia nana “ultra-debole” scoperta di recente, Eridanus II, trovando molta meno materia oscura nel suo centro di quanto molti modelli avrebbero previsto.

Filippo Contenta, astrofisico 32enne nato a Frascati. Lo studio presentato su Mnras è stato svolto durante il suo dottorato all’Università del Surrey (UK)

Per capire meglio i risultati presentati nello studio e le loro implicazioni, abbiamo intervistato il primo autore, Filippo Contenta, dell’Università del Surrey.

Il metodo che avete sviluppato consiste nell’utilizzare gli ammassi stellari in orbita attorno al centro delle galassie nane per mappare la materia oscura presente nelle galassie stesse. In che modo riuscite a farlo?

«Abbiamo utilizzato più di 200 simulazioni di ammassi stellari e abbiamo visto se queste simulazioni potessero riprodurre l’ammasso osservato. Dalle osservazioni è possibile derivare la massa totale della galassia Eridanus II e da qui abbiamo assunto il profilo di densità della materia oscura, ossia come è distribuita la materia oscura all’interno della galassia. Dalle simulazioni di galassie è possibile vedere come la materia oscura è distribuita nelle galassie, tuttavia dalle osservazioni risulta che nel centro di alcune, o molte, galassie c’è meno materia oscura di quanto aspettato. Quindi noi, nelle nostre simulazioni, abbiamo usato due galassie: una con la materia oscura distribuita come previsto dalle simulazioni e l’altra con meno materia oscura al centro. Provando diverse condizioni iniziali per l’ammasso di stelle abbiamo visto quale degli ammassi simulati riusciva a riprodurre quello osservato, arrivando alla conclusione che era possibile riprodurre l’ammasso osservato avendo meno materia oscura al centro della galassia».

Come è nata l’intuizione di servirsi degli ammassi stellari in questo modo?

«Hénon nel 1961, studiando gli ammassi stellari, aveva notato che questi sistemi raggiungono una fase di “equilibrio” dove la dimensione dell’ammasso dipende da quanto è forte il campo mareale della galassia. In particolare, Hénon trovò che il rapporto tra il raggio entro il quale è racchiusa metà massa (raggio di metà messa) dell’ammasso e il raggio mareale dell’ammasso è all’incirca costante. Il raggio mareale dell’ammasso è quel raggio entro il quale una stella dell’ammasso è influenzata maggiormente dalla forza gravitazione delle stelle nell’ammasso; appena la stella esce da questo raggio/volume allora il suo moto sarà dominato dalla forza gravitazionale della galassia. Il raggio mareale dell’ammasso dipende sia dall’ammasso che dalla galassia. Per esempio, se studiamo lo stesso ammasso in due galassie diverse, questi ammassi avranno un raggio mareale diverso. Il raggio mareale dipende da quanto è massiccia la galassia e da come è distribuita la massa all’interno della galassia stessa. Da questo si può capire che se abbiamo lo stesso ammasso nel centro di due galassie con diverse quantità di materia (in questo caso materia oscura) otterremo un campo mareale diverso. Quindi, se il rapporto tra il raggio di metà massa e il raggio mareale deve rimanere costante allora avremo un diverso raggio di metà massa.

Inoltre, dal 1998 già diversi autori (Hernandez & Gilmore 1998; Goerdt et al. 2006; Sanchez-Salcedo, Reyes-Iturbide & Hernandez 2006) avevano proposto di usare gli ammassi stellari per trovare la distribuzione di materia oscura nel centro delle galassie nane. Questo è stato fatto per la galassia nana della Fornace, per la quale è stato studiato come il moto e la sopravvivenza di questi ammassi stellari dipenda dalla quantità e distribuzione della materia oscura.

Di diverso, rispetto a questi autori, nel nostro caso non solo guardiamo se l’ammasso sopravvive o meno e alla sua posizione, ma studiamo anche le dimensioni (raggio di metà massa) dell’ammasso e come queste sono distribuite all’interno le sue stelle. Queste due ultime proprietà sono molto importanti perché, come trovato da Hénon, dipendono dalla distribuzione di materia oscura».

Dalla mappatura della materia oscura, come riuscite a dedurre informazioni sulla sua natura?
«Attraverso conti teorici e simulazioni cosmologiche (simulazione dell’universo), si è visto che un diverso tipo di materia oscura porta alla formazione di diversi tipi di strutture, dove per strutture si intende diversi tipi di galassie e ammassi di galassie. Abbiamo scelto proprio Eridanus II perché è una delle galassie nane meno massicce mai osservate. Dalle ultime simulazioni cosmologiche (fatte da diversi gruppi) che utilizzano il modello di Cold Dark Matter (Cdm) per la materia oscura, si è visto che tutte le galassie grandi quanto Eridanus II non hanno questa “mancanza” di materia oscura. Quindi la nostra conclusione è che o abbiamo bisogno di un altro modello di materia oscura oppure la nostra idea di formazione ed evoluzione delle galassie non è corretta».

Su quante galassie nane avete usato il vostro nuovo metodo e su quante altre galassie contate di usarlo? Sono tutte galassie vicine alla Via Lattea? Quanto lontano ci si può spingere nell’indagine?

«Al momento questo studio è stato fatto solo per la galassia nana Eridanus II, tuttavia altri ammassi stellari sono stati osservati in prossimità del centro di altre galassie nane. Quindi è possibile applicare questo metodo ad altre galassie. Diciamo che il termine “vicino” è relativo. Ci sono un paio di galassie nane nella galassia di Andromeda (2.5 milioni di anni luce) e la galassia nana irregolare di Pegaso (4 milioni di anni luce) che hanno un ammasso stellare in orbita attorno al centro; ovviamente dipende dal telescopio/satellite che è possibile usare. Negli ultimi anni le osservazioni e la ricerca di galassie nane è aumentata proprio perché queste possono avere un ruolo importante per capire e trovare la natura della materia oscura».

Questo metodo potrebbe essere utilizzato anche in galassie diverse da quelle oggetto dello studio pubblicato, tipo la nostra?

«Questo metodo può essere utilizzato in diverse galassie, tuttavia applicarlo a galassie più grandi come la nostra sarebbe troppo complicato. La nostra galassia è una galassia spirale barrata quindi è estremamente complicata, mentre Eridanus II è una delle galassie nane meno massicce mai osservate, che contiene poco o no gas. Quindi ci sono pochi altri fattori che possono giocare un ruolo importante per l’evoluzione dell’ammasso stellare. Inoltre nelle galassie più massicce ci sono altri metodi per stimare come è distribuita la materia oscura, per esempio si osserva la velocità di rotazione del gas nel disco o dal moto delle stelle nella galassia. Il nostro metodo è particolarmente utile non solo come metodo alternativo per studiare la materia oscura nella galassie, ma anche perché ci sono galassie nane che non hanno gas e/o sono troppe lontane per studiare il moto delle stelle».

Dai risultati ottenuti su Eridanus II, cosa siete riusciti a dedurre sulla natura della dark matter?

«Nel nostro studio abbiamo trovato che c’è meno materia oscura al centro di quanto aspettato dal modello di Cdm, tuttavia questa mancanza può essere spiegata utilizzando altri modelli di materia oscura. Dire quale modello sia corretto è estremamente complicato. Quello che al momento si sta facendo nella comunità scientifica è trovare quale modello possa riprodurre tutte le osservazioni, ma per il momento non si riesce a trovare un modello che funziona sempre; anche perché la nostra conoscenza riguardo l’universo ed anche solo l’evoluzione di galassie è estremamente limitata».

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Configurazione ampia ma suggestiva con falce di Luna, Aldebaran, Venere e Pleiadi

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Continua l’avvicinamento di Venere alle Pleiadi, sotto l’occhio attento della Luna.  Non stiamo parlando infatti di una vera e propria congiunzione, ma di un ampio avvicinamento (con distanze sui 10°) tra diversi corpi celesti che, la sera del 18 aprile, alle ore 21:00 circa, si riuniranno per creare uno spettacolo davvero suggestivo.

Iniziamo col dire che il luogo dell’incontro è il fantastico scenario offerto dalla regione celeste della costellazione del Toro. Guardando verso ovest, non troppo in alto rispetto all’orizzonte, potremo vedere l’inconfondibile sagoma della costellazione che si tuffa ormai sotto l’orizzonte, portando con sé le “sette sorelle” dell’ammasso delle Pleiadi (M 45) e l’ammasso aperto delle Iadi, dominato dalla rossa Aldebaran (mag. +0,85). In questa spettacolare scenografia, gli attori che si aggiungeranno alla scena saranno la Luna, una sottile falce (fase del 9%), di cui si potrà ammirare anche la luce cinerea, e il brillantissimo pianeta Venere, molto più in basso, rasente l’orizzonte all’orario indicato.

La composizione è dunque davvero suggestiva e si consiglia di scattare delle fotografie ad ampio campo in grado di riprendere non solo tutti i soggetti celesti, ma anche gli elementi del paesaggio circostante.

➜ Astrofotografia: Venere al tramonto con le Pleiadi

Effemeridi giornaliere di Luna, Sole e pianeti sul Cielo di aprile 2018

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Caronte: dagli Argonauti al Mago di Oz

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Proiezione della superficie di Caronte, la più grande delle cinque lune di Plutone, in cui compare il primo set di nomi ufficiali delle morfologie presenti sulla superficie. Con un diametro di circa 1.215 km, è uno dei più grandi oggetti conosciuti nella fascia di Kuiper, la regione oltre l’orbita di Nettuno nella quale risiedono corpi ghiacciati e rocciosi. Crediti: NASA/Johns Hopkins University Applied Physics Laboratory/Southwest Research Institute.
Proiezione della superficie di Caronte (cliccare per ingrandire), la più grande delle cinque lune di Plutone, in cui compare il primo set di nomi ufficiali delle morfologie presenti sulla superficie. Con un diametro di circa 1.215 km, è uno dei più grandi oggetti conosciuti nella fascia di Kuiper, la regione oltre l’orbita di Nettuno nella quale risiedono corpi ghiacciati e rocciosi. Crediti: NASA/Johns Hopkins University Applied Physics Laboratory/Southwest Research Institute.

L’Unione astronomica internazionale (Iau), l’autorità riconosciuta a livello internazionale per assegnare i nomi a stelle, pianeti, asteroidi e altri corpi celesti, nonché alle loro caratteristiche morfologiche superficiali, ha recentemente approvato una dozzina di nomi proposti dal team della missione New Horizons della Nasa, che nel 2015 ha condotto la prima ricognizione di Plutone e delle sue lune, tra cui Caronte.

Un lungo articolo di approfondimento in due parti sulle principali scoperte ottenute dai dati della missione New Horizon, cliccando sull'immagine la seconda parte dell'articolo con link alla prima e ad altre risorse online.

Caronte è uno dei corpi più grandi nella fascia di Kuiper e presenta una grande varietà di caratteristiche geologiche, tra cui valli, crepacci e una moltitudine di crateri simili a quelli visti sulla maggior parte delle lune. Il team di New Horizons è stato determinante nel definire i nomi delle morfologie presenti sulla superficie di Caronte, attraverso l’approvazione che ha visto partecipi Alan Stern, il leader della missione New Horizons, e i membri del team scientifico Mark Showalter, Ross Beyer, Will Grundy, William McKinnon, Jeff Moore, Cathy Olkin, Paul Schenk e Amanda Zangari. La maggior parte delle idee sono state raccolte dal team durante la campagna Our Pluto on-line nel 2015, tramite la quale persone di tutto il mondo hanno potuto proporre le loro idee e contribuire a nominare le diverse morfologie di Caronte.

Molti dei nomi assegnati rendono omaggio allo spirito dell’esplorazione umana, onorando viaggiatori, esploratori e scienziati, viaggi pionieristici e destinazioni misteriose. Rita Schulz, presidente del gruppo di lavoro dell’Iau per la nomenclatura dei sistemi planetari, ha così commentato la scelta dei nomi assegnati: «Sono lieta che le caratteristiche di Caronte siano state nominate con spirito internazionale».

Ecco i nomi assegnati alle diverse morfologie di Caronte:

  • Argo Chasma: prende il nome dalla nave Argo che conduce gli Argonauti, sotto la guida di Giasone, nelle ostili terre della Colchide, alla riconquista del vello d’oro.
  • Butler Mons: in onore di Octavia E. Butler, la prima scrittrice di fantascienza a vincere una borsa di studio MacArthur, la cui trilogia della xenogenesi descrive la partenza dell’umanità dalla Terra e il successivo ritorno.
  • Caleuche Chasma: prende il nome dalla mitologica nave fantasma che percorre i mari intorno alla piccola isola di Chiloé, al largo delle coste del Cile. Secondo la leggenda, il Caleuche esplora le coste raccogliendo i morti, che poi rimangono a bordo della nave per sempre.
  • Clarke Montes: in onore di Sir Arthur C. Clarke, autore di fantascienza e inventore britannico, i cui romanzi e racconti (tra cui 2001: Odissea nello spazio) sono rappresentazioni fantastiche dell’esplorazione dello spazio.
  • Dorothy Crater: in onore della protagonista della serie di romanzi per bambini di L. Frank Baum, Dorothy Gale, che si è avventurata nel magico mondo di Oz.
  • Kubrick Mons: in onore del regista Stanley Kubrick, il cui iconico 2001: Odissea nello spazioracconta la storia dell’evoluzione dell’umanità, dai primi ominidi che usavano rudimentali strumenti agli esploratori dello spazio.
  • Mandjet Chasma: prende il nome da una delle barche della mitologia egiziana che trasportava Ra, il dio del sole, attraverso il cielo ogni giorno, rendendola di fatto uno dei primi esempi mitologici di nave spaziale.
  • Nasreddin Crater: chiamato così in onore del protagonista di migliaia di racconti popolari umoristici raccontati in tutto il Medio Oriente, Europa meridionale e parti dell’Asia.
  • Nemo Crater: prende il nome dal capitano del Nautilus, il sottomarino dei romanzi di Jules Verne Ventimila Leghe sotto i mari (1870) e L’isola misteriosa (1874).
  • Pirx Crater: prende il nome dal personaggio principale di una serie di racconti di Stanislaw Lem, (scrittore polacco che coniugò il genere della fantascienza con il romanzo filosofico) che viaggia tra la Terra, la Luna e Marte.
  • Revati Crater: prende il nome dal personaggio principale del racconto epico indù Mahabharata, considerato il primo racconto nella storia (circa 400 a.C.) ad includere il concetto di viaggio nel tempo.
  • Sadko Crater: in onore dell’avventuriero che ha viaggiato fino in fondo al mare nell’epica medievale russa Bylina.

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Ampia congiunzione Luna e Venere

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Venere si sta avvicinando alle Pleiadi, ma prima di raggiungerle, non mancano configurazioni del cielo, complice la Luna, che sapranno dare spettacolo.

Durante la prima serata del 17 aprile, infatti, potremo assistere a una ampia, ma comunque affascinante, congiunzione tra una sottilissima falce di Luna (fase del 4%) con il brillante pianeta Venere (mag. –3,9). I due astri si troveranno a una distanza di circa 6,3°.

Spostando lo sguardo più in alto, potremo vedere l’ammasso delle Pleiadi.

Un appuntamento da non perdere, dalla durata limitata, visto che la Luna tramonterà ben presto, entro le 21:45.

➜ Leggi anche  Venere al tramonto con le Pleiadi

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Pronto a partire TESS il nuovo cercatore di esopianeti della NASA

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Il Transiting Exoplanet Survey Satellite (TESS) della NASA è pronto per il lancio su un razzo SpaceX Falcon 9 dello Space Launch Complex 40 presso la stazione aeronautica di Cape Canaveral in Florida non prima del 16 aprile 2018. Una volta in orbita, TESS impiegherà circa due anni di rilevamento 200.000 delle stelle più luminose vicino al sole per cercare pianeti al di fuori del nostro sistema solare.
Il Transiting Exoplanet Survey Satellite (TESS) della NASA è pronto per il lancio su un razzo SpaceX Falcon 9 dda Cape Canaveral in Florida il 16 aprile 2018. Una volta in orbita, TESS impiegherà circa due anni di rilevamento 200.000 delle stelle più luminose vicino al sole per cercare pianeti al di fuori del nostro sistema solare. Crediti: NASA

Dopo lo straordinario lavoro di Kepler, avviato alla pensione, grazie al quale dal 2009 sono stati individuati oltre 5000 pianeti extrasolari, il testimone passerà a TESS (Transiting Exoplanet Survey Satellite), il cui compito sarà, proprio come per il suo predecessore, quello di segnalare nuovi candidati pianeti da confermare poi con ulteriori studi e dati da altri telescopi. Quello che ci si aspetta è che nell’arco dei prossimi due anni ne individui fino a 20.000!

TESS si concentrerà su stelle vicine e luminose, in modo da  facilitare il compito a telescopi che, dallo spazio e da terra, dovranno poi confermare o smentire la natura planetaria dei candidati individuati. Sempre parlando di aspettative e probabilità, ci si aspetta che tra questi ventimila candidati almeno 500 siano di taglia confrontabile al nostro pianeta (entro il doppio delle dimensioni della Terra), e che quindi possano essere buoni candidati anche per la ricerca di forme di vita.

Il payload contenente TESS (Transiting Exoplanet Survey Satellite) della NASA che sarà caricato a bordo del Falcon 9. Crediti: NASA

Il nuovo cacciatore di esopianeti è pronto quindi a partire, dal 16 aprile, dallo Space Launch Complex 40a di Cape Canaveral (in Florida) a bordo del razzo SpaceX Falcon 9. Una volta nello spazio, TESS percorrerà un’orbita elittica particolare attorno a Terra e Luna. Inserito nella sua orbita finale, sarà infatti in grado di utilizzare la gravità della Luna per stabilizzarsi per decenni nella sua orbita senza usare carburante extra. La missione è nominalmente destinata a durare due anni, ma potrebbe continuare a ricevere dati quasi indefinitamente!

Ci vorranno alcuni mesi prima che TESS entri nella sua orbita operativa e inizi a raccogliere dati, ma a quel punto avrà a disposizione un punto di vista privilegiato che le consentirà di osservare fino all’85% del cielo, quasi 350 volte il cielo a disposizione di Kepler. Coprirà ben 26 diversi settori ognuno di 24 x 96 gradi. Le potenti camere a bordo avranno 27 giorni per coprire ogni settore, al ritmo di due brillanti stelle al minuto.

L’insolita orbita di 13,7 giorni del satellite TESS, utilizza la gravità della Luna per rimanere stabile, richiedendo l’uso di pochissimo carburante. Nella zona dell’orbita colorata in blu, TESS osserverà il cielo, mentre quando si troverà nella parte in arancione, trasmetterà i dati a Terra. In grigio l’orbita della Luna. Crediti: NASA

Come dicevamo, più luminosa è la stella, più facile è determinare le caratteristiche dei suoi pianeti, come la sua massa o se ha un’atmosfera, usando un’analogia l’astronoma del MIT Sara Seager spiega: «I fotoni sono la nostra moneta – più se ne ha, meglio è!».

E in effetti è così… Uno dei problemi che ha dovuto affrontare Kepler, infatti, è il fatto che alcune delle stelle studiate erano così lontane e così flebili che l’unico modo per confermare alcuni dei candidati da lui individuati è stato attraverso tecniche statistiche, più che da osservazioni dirette fatte da altri telescopi, e quindi con alti margini di errore. Molti di quei pianeti potrebbero, a un’esame più approfondito, non essere più considerati tali.  Un recente articolo pubblicato su arXiv.org ha mostrato, ad esempio, che Kepler 452b, un pianeta di dimensioni terrestri che orbita attorno a una stella simile al Sole, alla stessa distanza della Terra, potrebbe rivelarsi solo un miraggio.

In questo grafico vediamo, in arancione, i risultati attesi dalle osservazioni di TESS. In base alla distanza, viene indicata (con un cerchio più o meno ampio) la facilità di individuare pianeti di dimensioni da 1 a 5 volte il raggio terrestre. La maggiorparte dei pianeti individuati fin’ora sono a più di 1.000 anni luce di distanza, con qualche eccezione entro i 30 anni luce (nel grafico le distanze sono indicate in parsec: un parsec corrisponde a 3,26 anni luce). Crediti: ZACH BERTA-THOMPSON

Ma la maggiorparte delle stelle considerate da Kepler si trovavano a più di 1000 anni luce di distanza, per questo TESS si concentrerà invece su un campione di 200 mila stelle ad al massimo poche centinaia di anni luce da noi, e con una luminosità compresa tra le 30 e le 100 volte più alta di quelle osservate da Kepler.

Al di là del campione che andrà ad indagare, il modo in cui TESS cercherà gli esopianeti è lo stesso di Kepler, come dice anche il nome: il metodo dei transiti, ovvero il satellite osserverà le stelle cercando cali nelle curve di luce, che potrebbero indicare il transito di un pianeta di fronte alla stella. La misura di questi cali di luminosità può dare ai ricercatori un’idea delle dimensioni del pianeta.

Nell’animazione vediamo come il transito di un pianeta davanti alla sua stella si traduce in un calo apparente di luminosità nella curva di luce della stella.  Credits: NASA’s Goddard Space Flight Center

Una volta individuato, gli astronomi avranno bisogno di più informazioni per comprenderne le caratteristiche, ad esempio se è roccioso o gassoso, e per fare questo servirà l’uso di altri strumenti.  I telescopi terrestri misureranno l’effetto gravitazionale di un pianeta sulla sua stella ospite, ad esempio, per misurarne la densità, sperando di individuare pianeti di dimensioni minori a quelle di Nettuno e di natura rocciosa, potenzialmente quindi abitabili.

Per analizzarne poi le atmosfere, e cercare molecole che possano suggerire la presenza di vita, sarà invece necessario attendere il telescopio spaziale della NASA James Webb, al momento previsto per il lancio nel 2020, sperando non intervengano ulteriori problemi.

Viste le potenzialità di TESS, ci sia aspetta quindi che la sua missione venga estesa numerose volte. Il lavoro di TESS non dipende da nulla che possa consumarsi nel tempo (come il carburante) e, come conclude Ricker: «Sarà sostanzialmente limitato da quanto a lungo la NASA avrà la pazienza di finanziare la missione».

La NASA seguirà il lancio del satellite come sempre con un nutrito programma di interventi e conferenze in streaming su NASA TV, a partire dal giorno precedente al lancio. Per maggiori informazioni sulla missione e seguirne i prossimi passi:

http://www.nasa.gov/tess

 

 


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Tour in 3D al polo nord di Giove

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Immagine 3D del polo nord di Giove in infrarosso, derivata dai dati raccolti dallo strumento Jovian Infrared Auroral Mapper a bordo della sonda Juno della Nasa. Crediti: Nasa/Jpl-Caltech/Swri/Asi/Inaf/Jiram
Immagine 3D del polo nord di Giove in infrarosso, derivata dai dati raccolti dallo strumento Jovian Infrared Auroral Mapper a bordo della sonda Juno della Nasa. Crediti: Nasa/Jpl-Caltech/Swri/Asi/Inaf/Jiram

La “pizza” che potete ammirare qui sopra è stata sfornata ieri durante l’assemblea generale della European Geosciences Union, in corso a Vienna. Gli ingredienti sono i dati ottenuti dallo strumento Jiram – il Jovian InfraRed Auroral Mapper a bordo della sonda Juno – su cicloni e anticicloni che tempestano in formazione stretta i poli di Gioverecentemente svelati da una collaborazione internazionale a guida italiana. La novità è che, con quegli ingredienti, è stata preparata un’animazione tridimensionale che ci permette di sorvolare il polo nord gioviano. Se solo potessimo vederlo in infrarosso, come effettivamente fa Jiram.

Interpolazione di 3 immagini composite del polo nord di Giove ottenute da Jiram il 2 febbraio 2017. Crediti: Nasa/Jpl-Caltech/Swri/Asi/Inaf/Jiram/Björn Jónsson

L’osservazione nella banda infrarossa dello spettro elettromagnetico permette a Jiram di sondare in profondità gli strati atmosferici del gigante gassoso, fino a 70 chilometri sotto la superficie. Questo permette agli scienziati di comprendere le forze che tengono in movimento il ciclone centrale e gli otto circumpolari che lo circondano, dal diametro di oltre 4000 chilometri.

«Prima di Juno, potevamo solo immaginare come apparissero i poli di Giove», ha commentato Alberto Adriani dell’Istituto nazionale di astrofisica di Roma, responsabile scientifico di Jiram. «Volando sopra i poli a distanza ravvicinata, Juno ha ora permesso la raccolta di immagini nell’infrarosso sui modelli meteorologici polari di Giove con una risoluzione spaziale senza precedenti».

Nell’animazione tridimensionale, le aree rappresentate in giallo sono più calde (o più in basso nell’atmosfera di Giove) e le aree scure sono più fredde (o più in alto). La temperatura più alta è 260 kelvin (circa -13°C) e la più bassa 190K (circa -83°C).

Sempre allo stesso consesso, Jack Connerney della Space Research Corporation statunitense ha svelato la ricetta dettagliata della dinamo gioviana, ovvero del motore che alimenta il campo magnetico del pianeta.

Connerney e colleghi hanno elaborato il nuovo modello di campo magnetico a partire da misurazioni effettuate durante otto orbite di Juno attorno a Giove, producendo una mappa del campo magnetico sia sulla superficie che nella regione sottostante, da cui si ritiene che la dinamo provenga. Poiché Giove è un gigante gassoso, la ‘superficie’ è definita dal raggio polare di Giove, che è pari a circa 71450 chilometri.

«Stiamo scoprendo che il campo magnetico di Giove è diverso da come precedentemente immaginato», ha detto Connerney. «Le osservazioni di Juno dell’ambiente magnetico di Giove rappresentano l’inizio di una nuova era negli studi di dinamo planetaria».

La nuova mappa rivela inaspettate irregolarità, come regioni di sorprendente intensità del campo magnetico e un’asimmetria tra emisfero settentrionale ed emisfero sud. Un piatto succulento per i ricercatori, che vogliono comprendere come quella che viene sinteticamente vista come una palla fluida in rotazione (Giove, per l’appunto) possa dare luogo a tutta questa varietà.

«Juno è solo a circa un terzo della sua missione programmata di mappatura e già stiamo cominciando a scoprire come funziona la dinamo di Giove», ha detto Connerney in conclusione. «Siamo davvero ansiosi di vedere i dati delle prossime orbite».

La sonda Juno ha percorso 200 milioni chilometri per completare 11 sorvoli ravvicinati da quando è entrata in orbita fortemente ellittica attorno a Giove, il 4 luglio 2016. Il prossimo passaggio con raccolta di dati scientifici è previsto per il 24 maggio.

Per approfondire

https://www.nasa.gov/juno

https://www.missionjuno.swri.edu

https://www.nasa.gov/jupiter

E le pagine Facebook e Twitter dedicate al pubblico:

https://www.facebook.com/NASAJuno

https://www.twitter.com/NASAJuno


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SPHERE rivela uno zoo di dischi intorno alle giovani stelle

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Una miriade di diversi dischi di polvere attorno a giovani stelle. SPHERE ci mostra quanto diverse, nella struttura e nelle dimensioni, e bizzarre possono essere le forme di queste nubi planetarie, che vengono modellate probabilmente anche dai meccanisimi di formazione planetaria che stanno tutt'ora avvenendo. Il pallino grigio scuro al centro di ogni immagine copre, nella ripresa, la luce della stella, che impedirebbe di cogliere i particolari meno luminosi delle polveri che la circondano. Crediti: ESO/H. Avenhaus et al./E. Sissa et al./DARTT-S and SHINE collaborations

Lo strumento SPHERE installato sul VLT (Very Large Telescope) dell’ESO in Cile permette agli astronomi di sopprimere la luce brillante delle stelle vicine per fornire una miglior veduta delle regioni che le circondano. Questa raccolta di immagini di SPHERE è solo un esempio dell’ampia varietà di dischi di polvere che si trovano intorno a giovani stelle. Dischi sono molto diversi per dimensione e forma – alcuni contengono anelli brillanti, alcuni anelli scuri e altri assomigliano addirittura a un hamburger. Differiscono notevolemente nell’aspetto, ovviamente, anche a seconda della loro orientazione nel cielo – da circolari quando visti di faccia a dischi sottili quando osservati di taglio.

In questa spettacolare immagine (cliccare per ingrandire) vediamo il disco di polveri attorno alla giovane stella IM Lupi, con un dettaglio mai ottenuto prima. Crediti: ESO/H. Avenhaus et al./DARTT-S collaboration

Lo scopo primario di SPHERE è di scoprire e studiare esopianeti giganti in orbita intorno a stelle vicine usando immagini dirette. Ma questo strumento è anche uno dei migliori strumenti esistenti per ottenere immagini dei dischi intorno a giovani stelle – regioni in cui i pianeti potrebbero essere ancora in formazione.

Studiare questi dischi è fondamentale per investigare il legame tra le proprietà del disco e la formazione e la presenza di pianeti. Molte delle giovani stelle mostrate qui provengono da un nuovo studio di stelle di tipo T Tauri, una classe di stelle molto giovani (meno di 10 milioni di anni) e di luminosità variabile. I dischi intorno a queste stelle contengono gas, polvere e planetesimi – i mattoni costitutivi dei pianeti e i progenitori dei sistemi planetari.

Le immagini mostrano anche come avrebbe potuto apparire il Sistema Solare nelle prime fasi della formazione, più di quattro miliardi di anni fa.

La maggior parte delle immagini mostrate qui sono state ottenute nell’ambito della survey DARTTS-S (Discs ARound T Tauri Stars with SPHERE). La distanza dalla Terra delle stelle bersaglio va da 230 a 550 anni luce. Per confronto, la dimensione della Via Lattea è di quasi 100 000 anni luce, perciò queste stelle sono, relativamente parlando, molto vicine alla Terra. Ma anche a questa distanza è molto difficoltoso ottenere buone immagini della debole luce riflessa dai dischi, poichè sommersi nella luce abbagliante delle stelle madri.

Tra le osservazio di Sphera, spicca il disco di taglio attorno alla stella GSC 07396-00759, parte di un sistema stellare multiplo studiato nel campione DARTTS-S. Stranamente questo disco sembra più evoluto rispetto a quelli attorno alle stelle T Tauri nonostante siano della stessa età. Il disco si estende da sinistra in basso a destra in alto del dischetto grigio centrale che maschera la luce della stella. Crediti: ESO/E. Sissa et al.

Un’altra osservazione di SPHERE ha portato alla scoperta di un disco visto di taglio intorno alla stella GSC 07396-00759, trovato dalla survey SHINE (SpHere INfrared survey for Exoplanets). Questa stella rossa è membro di un sistema multiplo incluso nel campione DARTTS-S ma, stranamente, questo nuovo disco sembra più evoluto rispetto ai dischi ricchi di gas intorno a una stella T Tauri nello stesso sistema, sebbene le due stelle abbiano la stessa età. Questa sconcertante differenza nei tempi scala dell’evoluzione dei dischi intorno a due stelle della stessa età è un altro motivo per cui gli astronomi vogliono scoprire di più sui dischi e sulle loro caratteristiche.

Gli astronomi hanno usato SPHERE anche per ottenere molte altre immagini evocative, così come per altri studi tra cui l’interazione di un pianeta con un disco, i moti orbitali all’interno di un sistema e l’evoluzione temporale di un disco.

I nuovi risultati di SPHERE, insieme ai dati di altri telescopi come ALMA, stanno rivoluzionando la comprensione che gli astronomi hanno dell’ambiente intorno alle stelle giovani e dei complessi meccanismi della formazione planetaria.

Leggi anche

Sphere, due dischi per tre stelle di Media INAF

Guarda il servizio video di MediaInaf TV


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Exomars. TGO pronto a iniziare la missione scientifica

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Meraviglioso Marte! Lo speciale pubblicato su Coelum astronomia 205 dopo l'arrivo sul pianeta della prima fase della missione Exomars. Clicca sulla copertina per iniziare a leggere... gratuitamente.

Tutti ricordiamo l’attesa e l’eccitazione per l’arrivo su Marte della missione Exomars, a contributo ESA e Roscosmos, ma con una grossa parte di partecipazione italiana, e anche la delusione per il mancato atterraggio del lander di prova Schiaparelli… che ha rubato la scena però a quella che era in realtà la parte di missione principale e più importante, la messa in orbita del Trace Gas Orbiter (TGO), un satellite che ha lo scopo di studiare con un dettaglio ancora mai visto i gas traccia nell’atmosfera del Pianeta Rosso, e di fare da apripista e da ponte per le comunicazioni di quella che sarà la seconda e principale fase della missione Exomars, il grande rover europeo e una piattaforma scientifica russa, che partiranno nel 2020 e scenderanno su Marte per la ricerca diretta di vita microbica, passata o attuale.

Il TGO ha raggiunto finalmente la sua orbita finale, dopo un anno di “aerobraking” che si è concluso a febbraio. Questo passaggio ha visto la sonda sfiorare la parte superiore dell’atmosfera di Marte e usare la resistenza sulle sue ali ricoperte da pannelli solari per trasformare la sua orbita iniziale di quattro giorni altamente ellittica (andava da 200 a 98mila km) nel percorso finale, molto più basso e quasi circolare a circa 400 km.

Ora il satellite impiega circa due ore a compiere un giro del pianeta e, dopo la calibrazione e l’installazione del nuovo software, inizierà finalmente le osservazioni scientifiche di routine.

«Si tratta di un importante traguardo per il nostro programma ExoMars e di un risultato fantastico per l’Europa», dichiara Pia Mitschdoerfer, responsabile della missione Trace Gas Orbiter.

«Per la prima volta questo tipo di orbita è stata raggiunta grazie all’aerobraking e con l’orbiter più pesante mai inviato attorno al pianeta rosso, pronto a iniziare la ricerca di segni di vita».

Entro un paio di settimane cominceranno i rilevamenti, e dal team si aspettano importanti informazioni già dalle prime misurazioni. Håkan Svedhem, che ha progettato l’orbiter, spiega: «Abbiamo una sensibilità tale da rilevare gas rari in minuscole proporzioni, con la possibilità di scoprire se Marte è ancora attivo – biologicamente o geologicamente parlando».

L’obiettivo principale, da cui il nome dell’orbiter, è quello di fare un inventario dettagliato dei gas traccia – quei gas che costituiscono meno dell’1% del volume totale dell’atmosfera del pianeta. In particolare, l’orbiter cercherà prove di metano e altri gas che potrebbero rappresentare la firma di attività biologica o geologica attiva.

Come creare e distruggere il metano su Marte. Nella grafica i cicli ipotizzati, sia di tipo geologico che biologico, che potrebbero rilasciare, o eliminare, le tracce di metano nell'atmosfera del pianeta. Crediti: ESA/ATG medialab

Sulla Terra, gran parte del metano del pianeta viene rilasciato dagli organismi viventi, ma è anche il principale componente dei giacimenti di gas idrocarburi presenti in natura, al quale contribuiscono anche l’attività vulcanica e idrotermale. Ci si aspetta che, su Marte, il metano abbia però una vita piuttosto breve – di circa 400 anni – a causa dell’azione della luce ultravioletta proveniente dal Sole, oltre alle reazioni con altri elementi nell’atmosfera e ad essere soggetto a miscelazione e a dispersione a causa dei venti. Questo significa che le tracce di metano che si riuscissero a rilevare non potrebbero essere state create troppo indietro nel passato del pianeta, quando ad esempio si ipotizza potesse esserci acqua liquida in modo stabile, ma la loro origine andrebbe cercata in meccanismi relativamente recenti, dimostrando quindi la presenza ad oggi di un qualche tipo di attività biologica o geologica in grado di produrlo.

Sia la sonda Mars Express dell’ESA,  sia più recentemente il rover Curiosity della NASA, avrebbero rilevato tracce della presenza di metano, ma si tratta di rilevazioni ancora non definitive e oggetto di molte discussioni. Il TGO è invece in grado di rilevare e analizzare metano e altri gas traccia anche in concentrazioni estremamente basse, con una precisione superiore di tre ordini di grandezza rispetto alle misurazioni precedenti, e potrebbe quindi confermare queste prime analisi, oltretutto con una precisione da poter anche aiutare nella distinzione tra le diverse origini possibili.

Quattro strumenti eseguiranno misurazioni complementari dell’atmosfera, della superficie e del sottosuolo e, grazie alla fotocamera, i ricercatori saranno in grado di caratterizzare le varie zone della superficie che potrebbero essere correlate alle fonti di gas di traccia. Con  questi strumenti si potrà anche andare a caccia dell’acqua nascosta sotto la superficie del pianeta che, assieme alle potenziali fonti di gas traccia, darà importanti indicazioni per la scelta dei siti di atterraggio delle future missioni.

Per individuare il ghiaccio sotto la superficie del pianeta, TGO utilizza un rilevatore di neutroni, il Fine Resolution Epithermal Neutron Detector (FREND). Nell'immagine una sintesi semplificata di come funziona l'azione dei raggi cosmici che bombardano interrottamente la superficie del pianeta, rilasciando neutroni nell'atmosfera con velocità diverse. Nel caso incontrino infatti ghiaccio d'acqua, gli atomi di idrogeno nel loro cammino causano una serie di multiple riflessioni che ne rallentano la corsa. Crediti: ESA/ATG medialab

Oltre a tutto questo, il TGO si presterà anche da intermediario per le comunicazioni con i rover Opportunity e Curiosity della NASA, una collaborazione nata anche in vista dell’arrivo del lander InSight alla fine di quest’anno, e ovviamente per il rover e la piatttaforma scientifica che partiranno per il pianeta all’interno della missione ExoMars nel marzo 2021.

Forse per l’uomo in carne ed ossa è ancora presto prevedere quando avverrà la colonizzazione di Marte, ma non c’è dubbio che, roboticamente parlando, sia ormai in atto da tempo e sarà sempre più affollata!


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Marte – Incontri ravvicinati con il pianeta rosso

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Marte

La mostra, presso il Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia Leonardo da Vinci a Milano, vuole raccontare al grande pubblico la storia dell’esplorazione di Marte e l’importante contributo italiano a questa avventura. Dopo un richiamo alla figura mitologica del dio Marte, un’introduzione dedicata alle prime osservazioni dei canali di Giovanni Schiaparelli e alla grande produzione di letteratura fantascientifica, il percorso espositivo illustra lo stato della conoscenza che oggi abbiamo di Marte, attraverso i dati e le immagini che la più avanzata tecnologia spaziale ha permesso di acquisire: dalle prime ‘storiche’ immagini delle sonde Viking fino alla sonda europea Mars Express, ai rover americani Curiosity e Opportunity e alla sonda americana Mars Reconnaissance Orbiter.

La mostra vuole essere anche un omaggio al programma europeo ExoMars e non manca uno sguardo su quello che potrebbe riservare il prossimo futuro con una spettacolare e immersiva video-installazione, ispirata alle immagini della serie televisiva MARS firmata da Ron Howard.

La visita alla mostra è compresa nel biglietto d’ingresso al Museo.

www.museoscienza.org | info@museoscienza.it | Tel 02 48 555 1

Promossa da Agenzia Spaziale Italiana (ASI), Ministero dei beni e delle attività Culturali e del Turismo (MIBACT) e Museo Nazionale della Scienza e Tecnologia Leonardo da Vinci in collaborazione con Agenzia Spaziale Europea, INAF, Leonardo, Thales Alenia Space Italia e National Geographic.

Astronomiamo

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LocandinaCoelum_042018

5 aprile ore 21:30: Fast Radio Burst Live Streaming con la Dott.ssa Marta Burgay
14 aprile ore 16:00: “Incontri di Astronomia” Esapianeti e Esoatmosfere, live a Roma con il dott. Luigi Mancini (Torvergata – INAF)

Per informzioni:
https://www.astronomiamo.it/

GRAVITY. IMMAGINARE L’UNIVERSO DOPO EINSTEIN

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Nel 1917 Albert Einstein pubblica un articolo che fonda la cosmologia moderna e trasforma i modelli di cosmo e universo immaginati fino ad allora da scienziati e pensatori, rivoluzionando le categorie di spazio e tempo. A cento anni da questa pubblicazione il MAXXI dedica una mostra a una delle figure che più ha influenzato il pensiero contemporaneo. Il progetto è il risultato di una inedita collaborazione del museo con l’Agenzia Spaziale Italiana e l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare per la parte scientifica e con l’artista argentino Tomás Saraceno per la parte artistica.

Installazioni artistiche e scientifiche immersive, reperti iconici e simulazioni di esperimenti per avvicinarsi all’essenza delle innovazioni scientifiche introdotte da Einstein e svelare le profondità sottese all’Universo conosciuto, ma anche i meccanismi che legano insieme tutti gli uomini nella ricerca della conoscenza, in un processo collettivo nel quale gli artisti e gli scienziati svolgono un ruolo ugualmente significante e fondamentale per la società.

Tra gli eventi a ingresso libero grazie a Enel, main partner della mostra. 10 APRILE 2018 ORE 18 SAMANTHA CRISTOFORETTI L’astronauta Samantha Cristoforetti incontrerà il pubblico del Museo per raccontare i suoi 200 giorni sulla Stazione Spaziale Internazionale (ISS). Per tutta la durata della mostra sono previsti eventi speciali, attività educative, film screening.

Scarica il programmaScarica la mini-guida alla mostra
MAXXI Museo nazionale delle arti del XXI secolo – Via Guido Reni 4A – 00196 Roma
<a href=”http://www.maxxi.art” target=”_blank”><strong>www.maxxi.art</strong></a>

AstronautiCON 9

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astronautiCON

astronautiCON

L’Associazione I.S.A.A. insieme al Gruppo Astrofili DEEP SPACE di Lecco promuovono l’organizzazione di AstronautiCON, Convention di Astronautica e Scienze aerospaziali, 9^ edizione.

DOVE E QUANDO
AstronautiCON 9 si terrà a Lecco (Lombardia), da venerdì 13 a domenica 15 aprile 2018 presso la prestigiosa cornice del Planetario “Città di Lecco”, in Corso Matteotti 32.

SCOPO DI ASTRONAUTICON
AstronautiCON è una manifestazione divulgativa, con la quale si vuol far conoscere la bellezza e l’importanza dell’esplorazione spaziale. Inoltre la convention è un momento di incontro, scambio e conoscenza annuale tra gli appassionati di astronautica di tutto il nostro Paese, e consente l’incontro diretto tra il pubblico e importanti personalità della ricerca aerospaziale.

COME RAGGIUNGERE IL PLANETARIO DI LECCO
Il Planetario di Lecco è una recente costruzione sita nel cuore della splendida Città manzoniana, adagiata sulle sponde del Lago di Como. Lecco è ottimamente servita da strade statali e collegamenti ferroviari; si trova a 40 minuti circa d’auto dal centro di Milano, ed i minuti si riducono a 30 se usate il treno.

Per chi viene in auto: per facilitare gli spostamenti o chi si muove da fuori città, abbiamo realizzato una mappa sulla quale sono evidenziati i luoghi in cui si svolgono le attività di convention, i principali parcheggi gratuiti e alcune strutture ricettive.
Per chi viene in treno: Lecco è servita da una linea ferroviaria diretta dalla Stazione Centrale di Milano, con una corsa ogni 60 minuti circa al costo di € 5. Il Planetario si trova a 5 minuti a piedi dalla Stazione Ferroviaria di Lecco.

PRANZI/CENE
Trovate tutti i dettagli logistici in questo articolo.

PROGRAMMA PROVVISORIO DELLA CONVENTION
VENERDI’ 13 APRILE – Planetario di Lecco

20.30 – TBD

SABATO 14 APRILE – Planetario di Lecco

10:00 – Apertura ufficiale della Convention, benvenuto ai partecipanti
11:00 – Marco Bruno – “I pianeti venuti dal Freddo”
12:30 – Pausa pranzo
15:00 – Ing. Cesare Lobascio – Thales Alenia Space – “Abitare lo Spazio, dalla Terra a Marte: le Sfide dell’Esplorazione Spaziale”
16:30 – Ing. Liliana Ravagnolo – ALTEC – “Come si diventa astronauti”
18:00 – Termine attivita in Planetario
21:00 – TBD
DOMENICA 15 APRILE – Planetario di Lecco

10:00 – Ing. Giuseppe Albini – “A spasso tra i ghiacci: il satellite Earth Explorer Cryosat-2”
11.30 – Micol Ivancic – “Scuola chiama ISS”
13.00 – Pausa pranzo
15:30 – Matteo Carpentieri – “Alla ricerca della vita nel Sistema Solare”
17:00 – Paolo Baldo – “Numeri e curiosita’ spaziali”
18:30 – Termine attivita in Planetario

Per tutti gli aggiornamenti, controllare il sito https://www.astronauticon.it

Una stella di neutroni isolata oltre la nostra Galassia

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Questa nuova immagine, prodotta a partire dai dati di telescopi da terra e dallo spazio, ci racconta la storia della caccia a un oggetto elusivo nascosto tra un complesso intrico di filamenti di gas nella Piccola Nube di Magellano, una delle galassie più vicine a noi. L'immagine rossastra di sfondo è del telescopio spaziale Hubble della NASA/ESA, mentre in verde emergono i filamenti e pennacchi di gas che compongono il resto di supernova 1E 0102.2-7219. L'anello rosso con un centro scuro viene dallo strumento MUSE sul VLT (Very Large Telescope) dell'ESO, mentre le immagini blu e viola sono del telescopio per raggi X Chandra della NASA. Il punto blu al centro dell'anello rosso è una stella di neutroni isolata con un basso campo magnetico, la prima identificata fuori dalla Via Lattea. Crediti: ESO/NASA, ESA and the Hubble Heritage Team (STScI/AURA)/F. Vogt et al.
Questa nuova immagine, prodotta a partire dai dati di telescopi da terra e dallo spazio, ci racconta la storia della caccia a un oggetto elusivo nascosto tra un complesso intrico di filamenti di gas nella Piccola Nube di Magellano, una delle galassie più vicine a noi. L'immagine rossastra di sfondo è del telescopio spaziale Hubble della NASA/ESA, mentre in verde emergono i filamenti e pennacchi di gas che compongono il resto di supernova 1E 0102.2-7219. L'anello rosso con un centro scuro viene dallo strumento MUSE sul VLT (Very Large Telescope) dell'ESO, mentre le immagini blu e viola sono del telescopio per raggi X Chandra della NASA. Il punto blu al centro dell'anello rosso è una stella di neutroni isolata con un basso campo magnetico, la prima identificata fuori dalla Via Lattea. Crediti: ESO/NASA, ESA and the Hubble Heritage Team (STScI/AURA)/F. Vogt et al.

Nuove, spettacolari immagini, prodotte a partire dai dati di telescopi da terra e dallo spazio, ci raccontano la storia della caccia a un oggetto elusivo nascosto tra un complesso intrico di filamenti di gas nella Piccola Nube di Magellano, a circa 200 000 anni luce da Terra.

Questa immagine ottenuta dal telescopio spaziale Hubble della NASA/ESA mostra la scena in cui è ambientata la caccia a un oggetto elusivo nascosto tra un complesso intrico di filamenti di gas nella Piccola Nube di Magellano, una delle galassie più vicine a noi. I filamenti di gas che compongono il resto di supernova 1E 0102.2-7219 sono visibili in blu, al centro dell'immagine. Si vede anche parte della massiccia regione di formazione stellare, N 76, nota anche come Henize 1956, in verde e rosa nell'angolo in basso a destra. Crediti: NASA, ESA and the Hubble Heritage Team (STScI/AURA)

L’immagine combina dati dello strumento MUSE montato sul VLT (Very Large Telescope) dell’ESO in Cile e dei telescopi spaziali Hubble della NASA/ESA e Chandra della NASA.

Nuovi dati dello strumento MUSE hanno rivelato un notevole anello di gas nel sistema 1E 0102.2-7219, in lenta espansione tra numerosi altri filamenti di gas e polvere in movimento, ciò che rimane dopo un’esplosione di una supernova.  La scoperta ha permesso all’equipe guidata da Frédéric Vogt, ESO Fellow in Cile, di identificare la prima stella di neutroni isolata con un basso campo magnetico al di là della Via Lattea.

L’equipe ha notato che l’anello era centrato su una sorgente di raggi X scoperta anni fa e designata p1. La natura di questa sorgente era rimasta un mistero. In particolare, non era chiaro se p1 si trovasse effettivamente all’interno del resto o dietro di esso. Solo quando l’anello di gas – che include sia neon che ossigeno – è stato osservato con MUSE, l’equipe scientifica ha realizzato che circondava perfettamente p1. La coincidenza era notevole e ha permesso di dedurre che p1 debba trovarsi proprio all’interno del resto di supernova.

In questa immagine di archivio dell'Osservatorio a raggi X Chandra, mostra come un elusivo oggetto come questo è stato trovato in mezzo a un complesso groviglio di filamenti gassosi. Il resto di supernova è infatti drammaticamente appariscente, ma solo combinato con i dati MUSE rivela la natura del pallino blu al centro: una stella a neutroni a basso campo magnetico, la prima individuata al di fuori della Via Lattea. Crediti: ESO/NASA

Dopo aver determinato l’ubicazione di p1, l’equipe ha utilizzato dati preesistenti ottenuti nella banda dei raggi X dall’Osservatorio Spaziale Chandra per determinarne la natura di stella di neutroni isolata con un basso campo magnetico.

Con le parole di Frédéric Vogt: «Se state cercando una sorgente puntiforme, non potete avere maggior fortuna di quando l’Universo stesso quasi letteralmente disegna un cerchio intorno al luogo dove dovete guardare».

Quando le stelle massicce esplodono come supernove, lasciano indietro un intreccio di gas caldo e polvere, noto come resto di supernova. Le strutture turbolente sono il modo in cui si ridistrubuiscono gli elementi più pesanti – prodotti dalle stelle massicce durante la loro vita e morte – nel mezzo interstellare, dove alla fine vanno a formare nuove stelle e nuovi pianeti.

Di dimensione tipica intorno ai 10 chilometri, ma pesanti più del nostro Sole, le stelle di neutroni isolate con basso campo magnetico dovrebbero essere abbondanti nell’Universo, ma sono molto difficili da trovare perchè sono brillanti solo nella banda dei raggi X, solo le pulsar infatti (stelle di neutroni altamente magnetizzate e in forte rotazione) emettono anche in altre frequenze e sono realtivamente facili da trovare, ma costituiscono solo una piccola frazione di tutte le stelle  di neutroni che si pensa esistano. Il fatto che la conferma di p1, come stella di neutroni isolata, dipenda da osservazioni ottiche è dunque veramente esaltante.

Gli intrecci di gas che formano il resto della supernova sono in blu, ma l'anello rosso, rivelato dai dati MUSE, che indica forme incandescenti di neon e ossigeno, è perfettamente centrato su una sorgente di raggi X, la stella a neutroni identificata da questo nuovo studio. Crediti: ESO / F. Vogt et al.

La coautrice Liz Bartlett, anch’essa ESO Fellow in Cile, riassume così la scoperta:

«Questo è il primo oggetto del suo genere per cui possiamo confermare che si trovi al di fuori della Via Lattea: la scoperta è stata resa possibile usando lo strumento MUSE come guida. Pensiamo che questo apra nuovi canali di scoperta e di studi per questi resti stellari elusivi».

Lo studio è stato presentato nell’articolo intitolato “Identification of the central compact object in the young supernova remnant 1E 0102.2-7219”, di Frédéric P. A. Vogt et al., sulla rivista Nature Astronomy.


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Hubble trova Lensed Star 1, la stella più lontana

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Immagine composita della scoperta della stella più distante singolarmente individuata. Crediti: NASA/ESA e P. Kelly (University of California, Berkeley)
Immagine composita della scoperta della stella più distante singolarmente individuata. Crediti: NASA/ESA e P. Kelly (University of California, Berkeley)

Nell’aprile 2016, un folto gruppo internazionale di astrofisici stava osservando con il telescopio spaziale Hubble l’evoluzione di una lontana supernova, soprannominata Refsdal in onore dell’astronomo norvegese Sjur Refsdal. Refsdal è stato un pioniere dello studio delle lenti gravitazionali, ovvero dell’effetto di deviazione indotto da una massa molto grande sul fascio di luce proveniente da una fonte retrostante rispetto al punto di vista terrestre; naturalmente la supernova a lui dedicata subisce esattamente questo effetto, a causa della deflessione della luce prodotta da un gigantesco ammasso di galassie frapposto.

Con grande sorpresa degli astronomi, nelle osservazioni Hubble di maggio 2016 accanto alla supernova si è materializzata una stellina. «Così come quella della supernova Refsdal, la luce di questa stella risulta intensificata, rendendola visibile da Hubble benché così lontana», spiega il team leader Patrick Kelly dell’Università del Minnesota. «Questa stella si trova infatti almeno 100 volte più lontano rispetto a qualunque stella che possiamo studiare individualmente, fatta naturalmente eccezione per le esplosioni di supernova».

Un’animazione della supergigante blu LS1.
Credit: ESA/Hubble, M. Kornmesser

La luce proveniente dalla stella appena scoperta, chiamata Lensed Star 1 (LS1), è stata emessa quando l’universo aveva solo circa il 30 per cento della sua età attuale, circa 4.4 miliardi di anni dopo il Big Bang. L’osservazione con Hubble è stata possibile solo grazie a un doppio effetto di ingrandimento che ha intensificato la luce della stella di duemila volte.

Lensed Star 1 è divenuta sufficientemente luminosa per Hubble sia a causa del fenomeno di lente gravitazionale esercitato dall’intero ammasso di galassie MACS J1149-2223, sia grazie all’effetto di cosiddetta micro-lente indotto da un oggetto compatto – dalla massa pari a circa tre volte quella del Sole – presente all’interno dell’ammasso di galassie.

Particolare del gigantesco ammasso di galassie MACS J1149.5+223, con evidenziata la posizione in cui è apparsa la stella LS1, la cui immagini risulta ingrandita 2000 volte da un duplice effetto di lente e di micro-lente gravitazionale. La galassia in cui risiede la stella è visibile ripetuta tre volte a causa della forte distorsione indotta alla luce dall’ammasso di galassie. Crediti: NASA, ESA, S. Rodney (John Hopkins University, USA) e FrontierSN team; T. Treu (University of California Los Angeles, USA), P. Kelly (University of California Berkeley, USA) e GLASS team; J. Lotz (STScI) e Frontier Fields team; M. Postman (STScI) e CLASH team; e Z. Levay (STScI)

L’oggetto compatto può essere una normale stella, una stella di neutroni oppure un buco nero di dimensioni stellari. Lo studio della luce proveniente da LS1 permetterà, secondo gli autori dello studio, di conoscere meglio la composizione degli ammassi di galassie e, in particolare, dei loro costituenti più sfuggenti.

«Se la materia oscura è almeno parzialmente composta da buchi neri di massa relativamente bassa, com’è stato recentemente proposto, dovremmo essere in grado di trovare un’evidenza di questo nella curva di luce di LS1», commenta Kelly. «In realtà, le nostre osservazioni non avallano la possibilità che un’alta frazione di materia oscura sia costituita da questi buchi neri primordiali di circa 30 masse solari».

Basandosi sulle analisi spettrali, gli autori del nuovo studio ritengono che LS1 sia una stella supergigante di tipo B. Queste stelle sono estremamente luminose e di colore blu, con una temperatura superficiale compresa tra 11mila e 14mila gradi Celsius, circa il doppio del Sole.

Allo studio “Extreme magnification of an individual star at redshift 1.5 by a galaxy-cluster lens”, appena pubblicato su Nature Astronomy, hanno partecipato anche gli italiani Claudio Grillo dell’Università di Milano, Mario Nonino dell’Inaf di Trieste e Piero Rosati dell’Università di Ferrara.

Guarda il servizio video su MediaInaf TV:


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Ore piccole con il Quarto di Luna, Marte Saturno

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Un appuntamento nel bel mezzo della notte quello che ci attende il 7 aprile quando, alle 3:30 del mattino, il Quarto di Luna (fase del 52%), Saturno (mag. +0,5) e Marte (mag. +0,1) si incontreranno in una bella congiunzione.

Marte sorgerà infatti per ultimo dall’orizzonte sudest attorno alle 2:40, nel caso si cerchi un’inquadratura particolarmente suggestiva, immersa nel paesaggio.

Il teatro di questo incontro è la magnifica regione della costellazione del Sagittario, ricca di stelle, proiettata vicino al nucleo della Via Lattea. Della costellazione sarà facilmente riconoscibile il tipico asterismo della “teiera”.

Anche se richiederà forse un’alzataccia, questo evento celeste ripagherà gli sforzi per l’osservazione o la ripresa nel contesto del paesaggio naturale. I tre astri potranno poi essere seguiti mentre si alzano sempre più sull’orizzonte fino a sparire nella luce del mattino.

Effemeridi giornaliere di Luna, Sole e pianeti sul Cielo di aprile 2018

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➜ La LUNA di aprile.
Approfondimento: Guida all’osservazione del cratere Janssen e la Vallis Rheita

➜ Leggi la rubrica di Giuseppe Petricca sui principali passaggi della ISS

Club dei 100 asteroidi. Osserviamo (4) Vesta, (9) Pallas e (10) Hygiea

➜ Comete. Cominciamo a seguire la C/2016 M1 PanSTARRS

➜ Supernovae. Una supernova difficile da classificare

La costellazione dell’Auriga (III parte).

e il Calendario di tutti gli eventi di aprile 2018, giorno per giorno


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La Luna di Aprile 2018 e una guida all’osservazione del cratere Janssen e della Vallis Rheita

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Le fasi della Luna in marzo, calcolate per le ore 00:00 in TMEC. La visione è diritta (Nord in alto, Est dell’osservatore a sinistra). Nella tavola sono riportate anche le massime librazioni topocentriche del mese, con il circoletto azzurro che indica la regione del bordo più favorita dalla librazione. Crediti Coelum Astronomia CC-BY
Le fasi della Luna in aprile, calcolate per le ore 00:00 in TMEC. La visione è diritta (Nord in alto, Est dell’osservatore a sinistra). Nella tavola sono riportate anche le massime librazioni topocentriche del mese, con il circoletto azzurro che indica la regione del bordo più favorita dalla librazione. Crediti Coelum Astronomia CC-BY

Dopo il Plenilunio del 31 marzo, aprile si apre col nostro satellite che la prima sera del mese sorgerà alle 20:55 nella costellazione della Vergine, culminando in meridiano nelle prime ore della notte seguente a un’altezza di +40°.

Essendo in fase Calante, nelle serate successive la Luna si renderà visibile sempre con maggiore ritardo limitandone l’osservazione alle  ore notturne ed entrando in fase di Ultimo Quarto (con età di 21,75 giorni) alle 09:18 del giorno 8 aprile quando sorgerà alle 02:47 fra le stelle del Sagittario, preceduta da Saturno (distante 6°) e in contemporanea con Marte (distante 4°).

Continua nella rubrica la Luna di Aprile 2018

Ad aprile osserviamo

La prima e principale proposta ci porterà la sera del 20 aprile a visitare la regione del grande cratere Janssen (diametro 200 km), la Vallis Rheita e la zona immediatamente adiacente con la Luna in fase di 4,7 giorni a un’altezza iniziale di +45°, visibile pertanto per tutta la serata fino al suo tramonto.

➜ Leggi la Guida all’osservazione al cratere Janssen e la Vallis Rheita

La seconda proposta di questo mese è per la serata del 23 aprile quando proseguiremo il nostro viaggio lungo il margine orientale del mare Nubium, dove per l’occasione andremo a osservare più dettagliatamente il cratere Alphonsus (diametro 121 km, Periodo Geologico Nectariano 3,9 miliardi di anni fa), solo parzialmente affrontato nel numero di novembre 2017 (Coelum Astronomia 216).

➜ Continua nella rubrica la Luna di Aprile 2018

Con la terza proposta invece ci sposteremo sul settore sudorientale della Luna dove la sera del 28 aprile il punto di massima Librazione coinciderà con una porzione del mare Australe, grande bacino da impatto con superficie di 150.000 km2. Infatti, dalle 21:00 circa fino alle 03:00 della notte successiva, la Librazione che ci interessa scorrerà lungo il bordo lunare alla latitudine del cratere Lyot consentendoci di effettuare osservazioni di una porzione del mare Australe a oriente di questo cratere situato in prossimità del confine fra i due emisferi lunari.

➜ Leggi la Massima librazione del 28 aprile

Per approfondire queste osservazioni, per le falci di Luna e la sua luce cinerea e per tutte le altre informazioni, leggi la Luna di Aprile e il Calendario di tutti gli eventi, giorno per giorno su Coelum astronomia 220 (è sempre gratis, puoi leggerlo online, scaricarlo in pdf oppure stampare le pagine che ti interessano di più 😉 ).

Leggi anche

➜ Fotografare la Luce Cinerea della Luna

➜  Calendario degli eventi di aprile 2018, giorno per giorno

➜  Fotografare la Luna di Giorgia Hofer su Coelum Astronomia di novembre 2016.

➜  La Luna mi va a pennello. Se la fotografia non basta, Gian Paolo Graziato ci racconta come dipingere dei rigorosi paesaggi lunari, nei più piccoli dettagli… per poi lasciarsi andare alla fantasia e all’imaginazione! Su Coelum Astronomia n. 211

E tutte le precedenti rubriche di Francesco Badalotti, con tantissimi spunti per approfondire la conoscenza del nostro satellite naturale. Per ogni formazione il momento giusto!

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Una simulazione svela l’origine delle prime molecole biologiche

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Uno dei tasselli cruciali nel puzzle dell’origine della vita è rappresentato dalla comparsa delle prime molecole biologiche sulla Terra come l’RNA, l’acido ribonucleico. Uno studio dell’Istituto per i processi chimico-fisici del Consiglio nazionale delle ricerche (Ipcf-Cnr) di Messina ha descritto, mediante avanzate tecniche di simulazione numerica, un processo chimico che da molecole semplici e presenti in enorme abbondanza nell’Universo, come l’acqua e la glicolaldeide, potrebbe aver portato alla sintesi primordiale dell’eritrosio, precursore diretto del ribosio, lo zucchero che compone l’RNA. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Chemical Communications, della Royal Society of Chemistry, da un team che coinvolge anche l’Accademia delle scienze della Repubblica Ceca di Brno e l’Università di Parigi Sorbonne.

«Nello studio dimostriamo per la prima volta che determinate condizioni prebiotiche, tipiche delle cosiddette “pozze primordiali” in cui erano presenti le molecole inorganiche più semplici, sono in grado di favorire la formazione non solo degli aminoacidi, i mattoni fondamentali delle proteine, ma anche di alcuni zuccheri semplici come l’eritrosio, precursore delle molecole che compongono l’ossatura dell’RNA», spiega Franz Saija, ricercatore Ipcf-Cnr e coautore del lavoro. «La sintesi degli zuccheri a partire da molecole più semplici, che possono essere state trasportate sul nostro pianeta da meteoriti in epoche primordiali, rappresenta una grossa sfida per gli scienziati che si occupano di chimica prebiotica. La formazione dei primi legami carbonio-carbonio da molecole molto semplici come la formaldeide non può avvenire senza la presenza di un agente esterno capace di catalizzare la reazione: la presenza di tali catalizzatori in ambienti prebiotici, tuttavia, è ancora un mistero».

L’approccio computazionale alla chimica prebiotica già nel 2014 consentì al team di ricerca, con uno studio pubblicato su Pnas, di simulare il famoso esperimento di Miller, cioè la formazione di aminoacidi dalle molecole inorganiche contenute nel “brodo primordiale” sottoposte a intensi campi elettrici. «Nel nostro esperimento, facendo uso di metodi avanzati di simulazione numerica al super-computer, una soluzione acquosa di glicolaldeide è stata sottoposta a campi elettrici dell’ordine di grandezza dei milioni di volt su centimetro, capaci di catalizzare quella reazione che in chimica viene chiamata formose reaction e che porta alla formazione di zuccheri a partire dalla formaldeide», prosegue Giuseppe Cassone dell’Institute of Biophysics, Czech Academy of Sciences e primo autore dell’articolo scientifico.

«Oggi l’approccio computazionale alla chimica prebiotica è di fondamentale rilevanza perché permette di analizzare in modo molto specifico i meccanismi molecolari delle reazioni chimiche alla base dei processi che hanno portato alla formazione delle molecole della vita», conclude Saija.

Vedi ancheRiprodotti al computer i ‘mattoni della vita’, 10/09/2014


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FRB Live! Fast Radio Burst a “incontri di astronomia” – diretta web

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Per conoscere meglio e approfondire il tema dei Fast Radio Burst, il giorno 5 aprile alle ore 21:30 sul sito dell’Associazione AstronomiAmo si terrà una diretta streaming con la partecipazione della Dott.ssa Marta Burgay.

Per partecipare alla diretta è sufficiente registrarsi gratuitamente al portale dell’Associazione e accedere dalle ore 21:20 alla pagina della diretta indicata sulla Home Page.

Sarà possibile interagire in diretta con la Dott.ssa Burgay scrivendo le domande su apposita chat. Per prepararvi sull’argomento e preparare le domande potete leggere l’articolo di Stefano Capretti (Astronomiamo) pubblicato su Coelum Astronomia 221 di aprile (come sempre in formato digitale e gratuito).

Due parole sull’ospite della trasmissione

Marta Burgay si laurea con lode in Astronomia presso l’Università degli Studi di Bologna nel 2000, conseguendo la qualifica di Dottore di Ricerca nel 2004. È Ricercatrice Astronoma presso l’Osservatorio di Cagliari e nel 2003-2004 ha rivelato l’esistenza del primo sistema binario di pulsar mai scoperto, ad oggi ancora unico. Parte del gruppo internazionale PulSE (Pulsar Science in Europe), nel 2005 vince il Premio Descartes “Excellence in Scientific Collaborative Research”.

La diretta può essere seguita anche qui su coelum.com

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Tiangong-1: Requiem per una Stazione Spaziale

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Qui il momento in cui la Tiangong-1 avrebbe dovuto raggiungere il punto di rientro nelle previsioni di The Aerospace Corporation. Dal comunicato US Strategic Commands sarebbe rientrata circa un quarto d’ora prima, presumibilmente in un punto di poco precedente quello indicato.

Una delle ultime immagini radar prodotte dal tedesco Fraunhofer Institute for High Frequency Physics and Radar Techniques FHR, la mattina del primo di aprile, quando la stazione cinese orbitava ancora a circa 160 km di quota.
Dopo lunghi mesi di osservazioni, attese e speculazioni, in cui il rientro incontrollato della stazione spaziale cinese Tiangong-1 ha tenuto il mondo con il fiato sospeso… finalmente ora sappiamo!

Dove e quando cadrà? Costituirà un pericolo per noi? Queste sono le principali domande a cui la Tiangong-1, rientrando in atmosfera, ha fornito finalmente una tanto attesa risposta.

Il “Palazzo Celeste” (questo è il significato del nome tiangong) è rientrato in atmosfera sopra l’Oceano Pacifico Meridionale alle 02:16 (ora italiana – 00:16 UTC) di questa notte, 2 aprile 2018, senza arrecare quindi alcun danno. A indicarlo sono due comunicati separati, ma usciti a pochi minuti l’uno dall’altro, prima dalla China Manned Space Agency (CMSA), l’agenzia cinese dedicata alle missioni umane nello spazio e quindi dallo US Strategic Command, JFSCC (Joint Force Space Component Command).

Non siamo stati i soli a seguire le ultime orbite della Stazione Spaziale Cinese, e dopo la rincorsa delle ultime ore con l’alternarsi delle previsioni delle varie agenzie spaziali e aereospaziali, seguite da una flotta di appassionati, la Tiangong (o quel che ne è rimasto) si è inabissata nell’Oceano come indicato dalle ultime previsioni.

Qui il momento in cui la Tiangong-1 avrebbe dovuto raggiungere il punto di rientro nelle previsioni di The Aerospace Corporation. Dal comunicato US Strategic Commands sarebbe rientrata circa un quarto d’ora prima, presumibilmente in un punto di poco precedente quello indicato.

Solo durante le ultime ore si è potuto escludere praticamente con certezza il rischio di un rientro sul territorio italiano: l’ASI (Agenzia Spaziale Italiana) e il DPC (Dipartimento Protezione Civile) ne hanno dato notizia attorno alla mezzanotte, pur con un’ultima dovuta cautela (continuando a monitorare la parte orientale dell’isola di Lampedusa nella regione Sicilia), più che altro per il rischio che l’ampia zona che avrebbe potuto interessare la caduta della scia di detriti potesse protrarsi fino ai margini della finestra di rientro prevista.

Sicuramente non ci si può lamentare di come si sono svolti, infine, i fatti: nessun danno e nessun ferito anche se nemmeno c’è stata la possibilità di godere del magnifico spettacolo pirotecnico (atteso da molti) che la stazione avrebbe potuto regalare.

Del rientro della Tiangong, purtroppo non ci sono immagini e, come sottolinea su Twitter anche l’astronomo e cacciatore di bufale Phil Plait, qualsiasi presunta immagine dovesse circolare andrà considerata un fake a meno di approfonditi controlli (chissà… una qualche imbarcazione che passava a distanza nella zona? Noi ci speriamo tanto!). Dobbiamo quindi accontentarci (come immaginavamo) delle immagini riprese negli ultimi giorni.

Il Comunicato del JFSCC sul rientro della stazione Tiangong-1

Da tutto ciò emerge comunque un aspetto positivo: in questa piccola crisi, la Tiangong-1 ha saputo unire ben 15 agenzie spaziali e un’altra infinità di enti sparsi in tutto il mondo, creando una collaborazione internazionale capace di lavorare con un unico obiettivo, dimostrando che è possibile abbattere quegli invisibili confini che troppo spesso ostacolano e bloccano gli esseri umani.

La tanto temuta stazione spaziale cinese fuori controllo, nell’atto conclusivo della sua vita, si è quindi limitata a un anonimo e inosservato rientro in atmosfera. Dalla CMSA (China Manned Space Agency) un comunicato annuncia che “la maggior parte dei dispositivi si è distrutta durante il rientro”, senza lasciare quindi alcun vero segno della sua fine. Un epilogo che probabilmente lascerà poche tracce nella memoria della gente comune, ma che comunque entrerà di diritto nella storia dell’astronautica come uno dei casi di rientro incontrollato a terra, fortunatamente senza alcuna conseguenza.

Per saperne di più

Tre giorni con Luna, Giove e Antares

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Ecco come apparirà la bella congiunzione tra la Luna e il pianeta Giove, la sera del 3 aprile, alle ore 23:30 circa. Da non perdere sarà anche la congiunzione tra la Luna e Antares, sempre nella stessa location, nelle prime ore del giorno 5 aprile. Per esigenze di rappresentazione grafica, la Luna appare ingrandita.
Ecco come apparirà la bella congiunzione tra la Luna e il pianeta Giove, la sera del 3 aprile, alle ore 23:30 circa. Da non perdere sarà anche la congiunzione tra la Luna e Antares, sempre nella stessa location, nelle prime ore del giorno 5 aprile. Per esigenze di rappresentazione grafica, la Luna appare ingrandita. Crediti: Coelum Astronomia CC-BY

La sera del 3 aprile, alle ore 23:30 circa, volgendo lo sguardo verso sudest potremo ammirare una bella congiunzione tra la Luna (fase dell’87%) e il pianeta Giove (mag. –2,4) che ci apparirà come una stella luccicante e splendente.

La separazione tra i due astri, ancora piuttosto bassi sull’orizzonte all’orario indicato (circa 7°), sarà pari a 4° e 50′. Sarà una splendida occasione per scattare una fotografia unendo elementi del paesaggio naturale che ci circonda.

Dopo un paio d’ore, potremo notare il sorgere della bella Antares (mag. +1,1), a poco meno di 15° a sud della Luna, con il suo caratteristico colore rosso sfavillante, la stella alfa della costellazione dello Scorpione. Poco prima dell’alba, sempre presente la coppia Saturno e Marte per un’immagine a largo campo.

Sempre nella stessa location, la notte seguente, tra il 4 e il 5 aprile sarà proprio Antares ad essere avvicinata dalla Luna, in una larga congiunzione (circa 8° e mezzo), osservabile a partire dalle ore 1:00 circa.

Seguendoli verso il mattino, prima che il cielo sia troppo chiaro, i due astri si troveranno circa a metà tra Giove e la coppia SaturnoMarte, sopra l’orizzonte sud.

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Astronomiamo

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LocandinaCoelum_042018

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5 aprile ore 21:30: Fast Radio Burst Live Streaming con la Dott.ssa Marta Burgay
14 aprile ore 16:00: “Incontri di Astronomia” Esapianeti e Esoatmosfere, live a Roma con il dott. Luigi Mancini (Torvergata – INAF)

Per informzioni:
https://www.astronomiamo.it/

Accademia delle Stelle

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Sei corsi di Astronomia a Roma per conoscere l’Universo e imparare a osservare il cielo. Corsi base e avanzati:
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Archeoastronomia: dal mistero alla scoperta
Conferenze gratuite:
10.03 ore 13:30: Museo Archeologico di Montecelio (RM)
23.03 ore 21:00: Associazione Astronomica Polaris, Genova
06.04 ore 21:00: Osservatorio Polifunzionale del Chianti

Per informazioni: http://www.accademiadellestelle.org/corsi

L’INFINITA CURIOSITÀ. Un viaggio nell’Universo in compagnia di Tullio Regge

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1507068881_Linfinita-curiosita-Torino-1Per tutto l’inverno, il palazzo dell’Accademia delle Scienze di Torino ospita “L’infinita curiosità. Un viaggio nell’universo in compagnia di Tullio Regge”. La mostra, curata da Vincenzo Barone e Piero Bianucci, propone, con un allestimento coinvolgente, un viaggio ideale nell’universo, dall’immensamente grande all’estremamente piccolo, alla scoperta delle meraviglie della fisica contemporanea.
L’ingresso alla mostra accoglie il visitatore con un allestimento spettacolare. Nello scenografico corridoio è posta un’installazione di legno che rappresenta la “scala cosmica”: 62 blocchi corrispondenti ai 62 ordini di grandezza dell’universo conosciuto, dall’estremamente piccolo (la lunghezza di Planck) all’immensamente grande (l’orizzonte cosmologico). Lungo il percorso della mostra il visitatore si muoverà idealmente su e giù per questa scala, confrontandosi con le dimensioni delle cose, dai quark alle galassie.
La mostra si avvale della collaborazione di importanti istituzioni scientifiche italiane, tra le quali l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) e l’Istituto Nazionale di Ricerca Metrologica (INRiM). Il progetto è realizzato nell’ambito delle attività del Sistema Scienza Piemonte, un accordo promosso dalla Compagnia di San Paolo e sottoscritto dai principali enti torinesi che si occupano di diffusione della cultura scientifica.
www.torinoscienza.it

Saturno e Marte alla minima distanza. Special guest: M 22

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Crediti: Coelum Astronomia CC-BY
Crediti: Coelum Astronomia CC-BY

Come anticipato, il 2 aprile la coppia del mattino, Saturno (mag. +0,5) e Marte (mag. +0,3), raggiungerà la minima distanza di poco meno 1,3°.

Ecco come potrebbe risultare una ripresa di Marte e M22 a campo stretto. Crediti: Coelum Astronomia CC-BY

A soli 22′ a sud di Marte si troverà l’ammasso globulare M 22.

I due pianeti sorgeranno dall’orizzonte sudest poco prima delle 3:00, quindi piuttosto presto e, a orari più comodi (le 5:00 come suggerito nella nostra cartina), entrambi i pianeti saranno alti già più di 23°.

Consigliamo di tentare una ripresa a campo stretto della congiunzione, soprattutto se si vuole dare risalto a Marte e all’ammasso M 22.

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La costellazione dell’Auriga (III parte).

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Luna e Spica per iniziare

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Crediti: Coelum Astronomia CC-BY
Crediti: Coelum Astronomia CC-BY

Cominciamo il mese con una bella congiunzione tra la Luna Piena (fase 99,7%) e Spica (mag. +1,1), stella alfa della Vergine.

Una congiunzione in realtà ampia, di quasi 5°, alta in cielo ma con l’opportunità di attendere l’inizio del crepuscolo e l’avvicinarsi dei due astri all’orizzonte, per una suggestiva ripresa con elementi del paesaggio. La loro luminosità li renderà infatti ben visibili anche nella luce dell’alba ormai prossima, aggiungendo fascino alla composizione.

Verso est saranno sempre visibili Giove, e ancora più in là, praticamente al meridano, la coppia Saturno e Marte, che raggiungeranno la minima distanza il mattino successivo.

Effemeridi giornaliere di Luna, Sole e pianeti sul Cielo di aprile 2018

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Astroiniziative UAI

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UAI

UAI
Tutti i primi lunedì del mese:
UNA COSTELLAZIONE SOPRA DI NOI

In diretta web con il Telescopio Remoto UAI Skylive dalle ore 21:30 alle 22:30, ovviamente tutto completamente gratuito. Un viaggio deep-sky in diretta web con il Telescopio Remoto UAI – tele #2 ASTRA Telescopi Remoti. Osservazioni con approfondimenti dal vivo ogni mese su una costellazione del periodo. Basta un collegamento internet, anche lento. Con la voce del Vicepresidente UAI, Giorgio Bianciardi
telescopioremoto.uai.it

CONVEGNI E INIZIATIVE UAI
20-22 aprile 33° Convegno Nazionale dei Planetari Italiani

Il Convegno dei Planetari italiani presso Infini.to, Pino Torinese – Torino a cura dell’Associazione dei Planetari Italiani con il patrocinio della UAI
http://www.planetari.org

4-6 maggio
51° Congresso Nazionale UAI

Presso l’Osservatorio Polifunzionale del Chianti (loc. San Donato in Poggio nel Comune di Barberino Val d’Elsa (FI). Il più importante appuntamento dell’astrofilia italiana, che quest’anno celebra il cinquantunesimo anniversario: tre giorni di conferenze e di condivisione di esperienze formative alla presenza di importanti personaggi del mondo della cultura astronomica nazionale ed internazionale.

04.05 ore 21.30
Notte Stellata UAI

Star party pubblico e per astrofili. Per l’occasione l’OPC sarà aperto e si faranno osservazioni con il grande telescopio Marcon c/o Osservatorio Polifunzionale del Chianti

https://www.uai.it/astrofilia/congressouai/congresso-2018.html

Tiangong-1 rientrata senza danni. Ultimi aggiornamenti (2 aprile 03:25)

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Questa pagina verrà aggiornata man mano che arriveranno nuovi grafici e nuove notizie. Teneteci d’occhio!

Ultimi aggiornamenti

Ormai la notizia è ufficiale, la Stazione Spaziale cinese è rientrata come previsto nel Pacifico Meridionale, senza fare alcun tipo di danno. Ad annunciarlo lo US Strategic Command JFSCC e il China Manned Space. Per il momento da qui è tutto, buona Pasquetta e a tra qualche ora (ora dormiamo un po’…) per i dettagli!

03:22 – 2 apr 2018 Agenzia Spaziale ITA @ASI_spazio Gli ultimi dati danno per caduta nell’Oceano Pacifico alle 2.16 italiane
https://www.asi.it/it/news/nel-pacifico-alle-ore-216-italiane … @giuseppinapicci ottimo lavoro di tutti @Rb_Bat

03:18 – 2 apr 2018 Jonathan McDowell @planet4589 Looks like I was wrong, and the Chinese had real data – they were just lucky their prediction was spot on. US tracking by 18SPCS confirms reentry over the S Pacific at 0016 UTC Apr 2

Il documento dello US Strategic Command JFSCC che dichiara l'avvenuto rientro in assoluta sicurezza della Stazione spaziale cinese nel Pacifico Meridionale.

03:14 – 2 apr 2018 – 18 SPCS @18SPCS UPDATE: #JFSCC confirmed #Tiangong1 reentered the atmosphere over the southern Pacific Ocean at ~5:16 p.m. (PST) April 1. For details see http://www.space-track.org

03:12 – 2 apr 2018 @Aerospacecorp We are currently waiting to receive #Tiangong1 reentry confirmation.

03:11 – 2 apr 2018 – Agenzia Spaziale ITA @ASI_spazio Ultimi aggiornamenti dicono che la tiangong 1 è caduta nell’oceano pacifico aggiornamenti a breve #Tiangong1

03:04 – 2 apr 2018 Quan-Zhi Ye @Yeqzids China Manned Space statement: #Tiangong1 has reentered the atmosphere around 0:15 UT over South Pacific: http://www.cmse.gov.cn/art/2018/4/2/art_810_32427.html …

Nessuna segnalazione ancora, si attende il passaggio previsto per i prossimi osservatori. Il rientro potrebbe già essere avvenuto nell’area prevista, nel Pacifico al largo delle coste del Cile, o nell’atlantico meridionale. Se non è già rientrata dovrebbe venire avvistata dalla costa D’Avorio o dal Ghana.

02:38 – 2 apr 2018 Jonathan McDowell @planet4589 Didn’t get any reports yet of people seeing Tiangong over S America. No decay notice on Space-Track yet. Unclear if Tiangong is still in orbit or not. That’s normal, I’m afraid! We just have to wait…

02:35 – 2 apr 2018 @ASI_spazio Tiangong-1 ultime ipotesi al largo del Cile nell’Atlantico Meridionale

Aggiornamento 2 aprile, ore 02:30

I valori possono differire per i diversi momenti in cui vengono calcolati e emessi dalle singole agenzie. Le previsioni di rientro sono soggette a continui aggiornamenti perché legate al comportamento della stazione spaziale rispetto all’orientamento che assumerà nello spazio e alle variabili dovute alla densità atmosferica e all’attività solare che agiscono su di essa.

Grafico aggiornato alle 02:29 del 2 aprile. In questa grafica, le orbite della Tiangong secondo le previsioni della Aerospace corporation. La stazione spaziale si trova in questo momento a circa 122 km di altezza. In giallo l'orbita prima dell'orario previsto su cui è centrata la finestra di rientro, in verde quella successiva, in rosso la posizione della stazione spaziale cinese al momento dell'aggiornamento, in arancione il punto di maggior probabilità per il rientro. Crediti: The Aerospace Corporation

Fonte The Aerospace Corporation (aggiornamento delle 02:30 del 2 aprile): Finestra di rientro rimane confermata per il 2 aprile 00:30 UTC ± 1,7 ore (02:30 italiane, nel sito una bella grafica con tutti i dettagli tecnici aggiornati ogni pochi minuti, qui a destra quella aggiornata alle 18:29, cliccare per ingrandire).

A questo puntola Stazione Spaziale dovrebbe aver raggiunto il punto centrale della finestra prevista. Ora tocca a Osservatori e osservatori…

Fonte ASI e Protezione Civile (aggiornamento delle 00:00 del 2 aprile): previsione di rientro sulla Terra stimata per il 2 aprile alle ore 00:44 UTC (02: 44 ora italiana del 2 aprile) con incertezza e intervalli di confidenza (cioé intervalli di probabilità) pari a ± 1.3 ore con intervallo di confidenza 80%; ± 2,6 ore con intervallo di confidenza 95%.

Dal comunicato ASI scartato il secondo passaggio, è ancora tenuto in considerazione il passaggio ai margini dell’intervallo.

Anche se ormai è sempre più improbabile che la Tiangong ritardi ulteriormente il rientro nell’atmosfera, la Protezione Civile rimane allertata, anche per la (bassa) eventualità che la fascia indicata in rosso nell’immagine  rientri nell’area di distribuzione dei detriti che dovessero sopravvivere all’attrito con l’atmosfera, che potrebbero distribuirsi su una fascia lunga anche duemila chilometri (vedi più sotto nell’articolo). Parliamo sempre di probabilità ai margini di quelle previste e ormai in consolidamento.

Fonte ESA “Monitoraggio (quasi) completo” – aggiornamento delle 18:00: La finestra di rientro si stabilizza e si restringe, per un periodo centrato attorno alle 01:07 UTC (03:07 CEST) del 2 aprile.

Dall’agenzia Europea l’invito per gli appassionati è quello di cercare di riprendere l’evento nel caso si sia testimoni delle scie del rientro di qualche detrito, questo potrebbe aiutare l’ESA Debris team nelle analisi di quanto accaduto e nell’affinare i modelli per previsioni future.  Potete inviare le immagini via twitter (con il  tag @esaoperations), o via mail a esoc.communication@esa.int.


Update ESA del 1 aprile, ore 18:00. A sinistra il grafico che mostra l’intervallo della previsione del momento della caduta, che va via via restringendosi. A destra il grafico che mostra il calo di quota del Palazzo Celeste, cliccare per ingrandire le immagini.

Articolo del 29 marzo

Ormai manca davvero poco, la stazione spaziale cinese di cui è stato perso il controllo all’incirca un anno fa, la Tiangong-1, si distruggerà rientrando in atmosfera nei prossimi giorni.

Ad oggi la finestra di rientro è stimata tra il mezzogiorno (UTC) del 31 marzo e il primo pomeriggio del 1 aprile (fonte ESA).

Per restare informati, oltre allo Space Debris Office dell’ESA, stime per il rientro vengono calcolate dall’Aerospace Corporation americana, mentre Jonathan McDowell, astronomo ad Harvard, e Dr Marco Langbroek, famoso per la sua passione nel seguire satelliti e asteroidi, forniscono con frequenza le loro previsioni via Twitter e sui loro blog.
Anche l’Istituto Fraunhofer (High Frequency Physics and Radar Techniques FHR) monitora la stazione postando frequentemente, su sito e social, dati e immagini radar (vedi qui a destra).

Per seguirne il tracciato live invece potete utilizzare uno dei tanti servizi di tracciamento satelliti, come N2YO.com, Satflare, e Satview, mentre su Heavens-above potete anche impostare un alert per qualsiasi passaggio visibile dalla vostra località.

Il rientro avverrà in una fascia tra i 43º N e 43º S (vedi immagine sotto), e non sarà possibile prevedere in quale zona se non poche ore prima dell’evento. Le aree al di sopra o al di sotto di queste latitudini possono essere escluse, mentre all’interno della fascia si può solo stabilire una probabilità (sul lato destro dell’immagine) in base al tempo impegato dalla Tiangong-1 a sorvolare le varie fasce.

L’area di potenziale rientro di Tiangong-1 (fonte: ESA)

Per questioni geometriche (orbita quasi circolare e inclinata rispetto all’equatore), i due estremi della fascia sono quelli più ad alto rischio, ma in nessun momento sarà possibile una previsione precisa dell’ora e della località. Oltretutto, una volta distrutta, secondo l’Aerospace Corporation i detriti potrebbero disperdersi in un’area lunga anche duemila chilometri… prevedere dove potrebbero cadere è impossbile.

Secondo le previsioni dell'Aerospace Corporation, i pezzi che eventualmente sopravviveranno all'attrito dell'atmosfera si spargeranno molto probabilmente in una lunga e stretta striscia. Credit: The Aerospace Corporation

È un rientro senza controllo si, ma altamente monitorato e i rischi di danni sono davvero bassi. Gran parte della stazione si disintegrerà in aria, e quanto sopravviverà avrà dimensioni tali da poter fare danni davvero circoscritti e solo nella remota possibilità che raggiungano zone abitate. Si legge in giro che la probabilità che cada sulle vostre teste (sempre se siete in una zona a rischio) è 1 milione di volte inferiore alla probabilità di vincere la lotteria, quale lotteria non lo sappiamo… ma è ovviamente un conto a spanne, per dire che la probabilità è davvero molto molto bassa!

Nonostante questo… meglio essere preparati! Better safe than sorry, dicono gli inglesi (meglio sicuri che dispiaciuti).

Per quel che riguarda l’Italia si è riunito un Tavolo Tecnico presso la sede operativa del Dipartimento della Protezione Civile con l’Agenzia Spaziale Italiana, per discutere e analizzare le strategie da attuare in caso di rientro nei cieli del territorio nazionale. All’incontro erano presenti anche il consigliere militare della Presidenza del Consiglio, i ministeri di Interno, Difesa e Esteri, Enac, Enav, Ispra e la commissione speciale della Protezione civile.

Come si vede dalla cartina ESA più in alto, la possibile area interessata per il nostro Paese è quella centro-meridionale, che parte più o meno dall’area dell’Emilia Romagna e va verso sud. Il principale consiglio che viene divulgato è, nel caso vi imbatteste in un pezzo di Tiangong-1 o in qualche detrito portato sulle spiagge dalla marea (è altamente più probabile infatti che cada in mare, che ricopre il 70% della superficie terrestre, o in zone disabitate) di NON TOCCARLO.

Sul sito della Protezione Civile in un elenco di norme di autoprotezione (da tenere in considerazione sempre in occasioni simili, nonostante il bassissimo rischio di questo genere di eventi), si legge infatti: «alcuni frammenti di grandi dimensioni potrebbero sopravvivere all’impatto e contenere idrazina. In linea generale, si consiglia a chiunque avvistasse un frammento, senza toccarlo e mantenendosi a un distanza di almeno 20 metri, di segnalarlo immediatamente alle autorità competetenti».

E anche se vi sembra un detrito innocuo… attenzione! I detriti spaziali possono diventare un “souvenir” legalmente legittimo solo una volta che il governo di origine conclude ufficialmente le sue indagini. Fino a quel momento, se doveste trovarne uno, potreste addirittura essere accusati di furto dal governo cinese…

La stazione Spaziale #Tiangong-1, ripresa da Leonardo Mazzei del Gruppo Astrofili Montagna Pistoiese la sera del 9 marzo, qui sopra un frame elaborato per evidenziare la forma della stazione spaziale, cliccando sull'immagine si accede al video del passaggio più a grande campo con ripresa anche la costellazione di Orione. Tempo di esposizione 1 secondo. Osservatorio Astronomico S.Marcello Pistoiese

Robert Z. Pearlman, storico dello spazio e direttore di collectSPACE.com, ha dichiarato: «Secondo il Trattato sullo spazio extra-atmosferico del 1967, un veicolo spaziale di un Paese è di sua legale proprietà fino a che il Paese  stesso non dichiara il contrario. Indipendentemente da dove atterrerà appartiene a quel Paese di origine». D’altra parte, questo rende anche la Cina resposnabile per qualsiasi danno che i detriti dovessero causare. Meglio chiamare in ogni caso le autorità che provvederanno alla raccolta e consegna a chi di dovere.

Volendo proprio un souvenir, dovremo accontentarci delle straordinarie immagini che astrofili e Osservatori già stanno cercando di riprendere. Qui sopra una ripresa amatoriale durante un passaggio del 9 marzo, di Leonardo Mazzei del Gruppo Astrofili Montagna Pistoiese.

L'immagine della Tiangong-1 ripresa il 28 marzo dal Virtual Telescope di Gianluca Masi.

È solo di ieri invece la ripresa effettuata durante una diretta web dedicata al Palazzo Celeste del Virtual Telescope, che vi invitiamo ad andare a rivedere!

E sicuramente, se ne avranno la possibilità, flotte di appassioanti saranno pronti per riprenderla al momento del rientro… nel frattempo continuate a seguirci per rimanere aggiornati!

Per saperne di più

  • ➜  Tiangong-1: si avvicina il rientro in atmosfera. Dove potrebbe cadere?
  • ➜  TIANGONG-1 Un addio che tiene il mondo con il fiato sospeso su Coelum Astronomia di marzo 2018. Nello speciale:
    • Il Programma Tiangong
    • Rientri incontrollati nella storia
    • Dove e quando rientrerà?
    • Monitoraggio Continuo, intervista con il Dott. Luciano Anselmo, responsabile del Laboratorio di Dinamica del Volo Spaziale dell’Istituto di Scienza e Tecnologie dell’Informazione (ISTI) del CNR di Pisa.
    • Il Progetto AMICA
    • La ripresa fotografica della Tiangong-1: una sfida per gli astrofili

    E se parlassimo di… STELLE?
    …e di Prime Stelle?

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Il Cielo di aprile 2018

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Aspetto del cielo per una località posta a Lat. 42° - Long. 12°E La cartina mostra l'aspetto del cielo alle ore (TMEC): 1 Apr > 00:00; 15 Apr > 23:00; 30 Apr > 22:00. Crediti: Coelum Astronomia CC-BY
Aspetto del cielo per una località posta a Lat. 42° - Long. 12°E La cartina mostra l'aspetto del cielo alle ore (TMEC): 1 Apr > 00:00; 15 Apr > 23:00; 30 Apr > 22:00. Crediti: Coelum Astronomia CC-BY

EFFEMERIDI
(ott. 2017 – mar. 2018)

Luna

Sole e Pianeti

Alle 23:00, la grande figura trapezoidale del Leone sarà già in meridiano, seguito più a est dalla Vergine e da Boote, con la rossa Arturo,  facilmente rintracciabile in cielo. Sull’orizzonte di est–nordest, comincerà invece ad alzarsi la figura dell’Ercole, seguita a notte fonda dalla Lira e dal Cigno, le cui stelle principali, Vega e Deneb, tracciano (assieme ad Altair, nell’Aquila) il famoso “triangolo” tipico del periodo estivo. Lo zenit sarà invece dominato dal Grande Carro dell’Orsa Maggiore.

➜ Scopri le costellazioni del Cielo di aprile con la UAI

IL SOLE

Il Sole si muoverà nella costellazione dei Pesci fino al 20 aprile, data in cui entrerà in Ariete. Complessivamente, nel corso del mese guadagnerà 10° in declinazione: se a inizio mese il crepuscolo astronomico finirà verso le 21:15, alla fine bisognerà attendere le 22:15, mentre al mattino le osservazioni non potranno protrarsi mediamente oltre le 5:00.

Cosa offre il cielo

Venere e le Pleiadi. Copyright: Giorgia Hofer

Per gli amanti osservatori del cielo, aprile offrirà numerosi spunti per l’osservazione della danza celeste che coinvolgerà non solo la Luna, ma anche i pianeti e i magnifici ammassi delle Pleiadi e delle Iadi. Si parte subito con il botto, con una serie di congiunzioni in tutta la prima settimana di aprile. Il protagonista sarà però Venere che formerà degli incontri suggestivi con le “Sette Sorelle”: da non perdere! E i consigli di Giorgia Hofer questo mese sono proprio per la ripresa di Venere e le Pleiadi, in particolare per il 18 e il 24 aprile.

➜ Astrofotografia: Venere al tramonto con le Pleiadi

Aprile ha anche lui il suo sciame meteorico: le Liridi. È un magro sciame meteorico quello delle Liridi che, nonostante susciti un grande fascino (come sempre fanno le stelle cadenti), non promette di stupire con i numeri di meteore che caratterizzano invece gli sciami delle Perseidi o delle Geminidi. Nonostante ciò, per chi vorrà tentare l’osservazione, il picco massimo è previsto per la sera del 22 aprile (lo sciame è attivo dal 14 aprile al 30 aprile). Maggiori informazioni e la cartina con il quadrante su:

➜ Organizzati in anticipo con Il Cielo di Aprile su Coelum Astronomia 221

Venere e la falce di Luna in luce cinerea. Copyright Giorgia Hofer.

La Luna continuerà a regalarci il consueto spettacolo tra pianeti e astri, mentre per quel che riguarda le falci di Luna e la sua Luce Cinerea le giornate migliori per osservarla e fotografarla saranno il 12 e 13 aprile, appena prima dell’alba e il 18 e 19 del mese, quando si avrà la migliore visibilità subito dopo il tramonto.

Per effemeridi, dettagli e i consigli sull’osservazione delle formazioni lunari invece:

➜ La LUNA di aprile.
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“Picnic scientifici” al Museo del Balì

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Cosa sono i Pic-Nic scientifici?
Un modo diverso di fare la classica scampagnata : grandi e piccoli potranno trasformarsi in un team affiatato e risolvere giochi scientifici ed enigmi che si troveranno dentro a dei cestini da pic-nic!
30 minuti di tempo, 10 sfide e un premio per la squadra vincitrice: una merenda offerta dal Frantoio del Trionfo di Cartoceto.
Cosa serve?
Voglia di divertirsi, un pizzico di intuito, qualche grammo di ingegno e la ricetta della scampagnata perfetta è servita!
I Pic-Nic scientifici vi stanno aspettando nella splendida cornice della Villa del Balì!

GIORNI DI APERTURA ALL-DAY
Giorni: 2 aprile, 25 aprile, 1 maggio 2018
Orari: 10:30
Cosa faremo:
Spettacoli al planetario: 11:30, 12:30, 14:30, 16:00, 17:00, 18:00 (consigliata la prenotazione)
Pic- Nic scientifici: 15:30 – 16:30-17:30 (solo nelle giornate 2 aprile, 25 aprile e 1 maggio).
Osservazione guidata del Sole al telescopio (SOLO bel tempo): dalle 11:00 alle 12:30 e dalle 15:00 alle 17:30
ALTRE APERTURE:
Pasqua: 15:00-19:30
Lunedì 30 Aprile 15:00-19:30
Sabato e Domenica

www.museodelbali.it

GRAVITY. IMMAGINARE L’UNIVERSO DOPO EINSTEIN

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Nel 1917 Albert Einstein pubblica un articolo che fonda la cosmologia moderna e trasforma i modelli di cosmo e universo immaginati fino ad allora da scienziati e pensatori, rivoluzionando le categorie di spazio e tempo. A cento anni da questa pubblicazione il MAXXI dedica una mostra a una delle figure che più ha influenzato il pensiero contemporaneo. Il progetto è il risultato di una inedita collaborazione del museo con l’Agenzia Spaziale Italiana e l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare per la parte scientifica e con l’artista argentino Tomás Saraceno per la parte artistica.

Installazioni artistiche e scientifiche immersive, reperti iconici e simulazioni di esperimenti per avvicinarsi all’essenza delle innovazioni scientifiche introdotte da Einstein e svelare le profondità sottese all’Universo conosciuto, ma anche i meccanismi che legano insieme tutti gli uomini nella ricerca della conoscenza, in un processo collettivo nel quale gli artisti e gli scienziati svolgono un ruolo ugualmente significante e fondamentale per la società.

Tra gli eventi a ingresso libero grazie a Enel, main partner della mostra. 10 APRILE 2018 ORE 18 SAMANTHA CRISTOFORETTI L’astronauta Samantha Cristoforetti incontrerà il pubblico del Museo per raccontare i suoi 200 giorni sulla Stazione Spaziale Internazionale (ISS). Per tutta la durata della mostra sono previsti eventi speciali, attività educative, film screening.

Scarica il programmaScarica la mini-guida alla mostra
MAXXI Museo nazionale delle arti del XXI secolo – Via Guido Reni 4A – 00196 Roma
www.maxxi.art

Marte. 2000 Sol per Curiosity

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Questo mosaico preso dal rover Mars Curiosity della NASA guarda verso l'alto, verso il Mount Sharp, che Curiosity ha scalato. Evidenziata in bianco è un'area con rocce argillose che gli scienziati non vedono l'ora di esplorare; potrebbe gettare ulteriore luce sul ruolo dell'acqua nella creazione del Monte Sharp. Il mosaico è stato assemblato da dozzine di immagini scattate da Curiosity's Mast Camera (Mastcam). E' stata scattata al Sol 1931 il gennaio scorso. La scena è stata bilanciata in bianco in modo che i colori dei materiali rocciosi assomiglino a come apparirebbero nelle condizioni di illuminazione diurna sulla Terra.
Il mosaico guarda verso l'alto, verso il Mount Sharp, che Curiosity sta risalendo. Evidenziata in bianco, spicca un'area con rocce argillose che gli scienziati non vedono l'ora di esplorare; potrebbe gettare ulteriore luce sul ruolo dell'acqua nella creazione del Monte Sharp. Il mosaico è stato assemblato da dozzine di immagini scattate dalla MastCam a bordo del rover. E' stata scattata al Sol 1931 il gennaio scorso. La scena è stata bilanciata nel bianco in modo che i colori dei materiali rocciosi assomiglino a come apparirebbero nelle condizioni di illuminazione diurna sulla Terra. Crediti: NASA/JPL-Caltech/MSSS

Il “Sol” non è altro che il “giorno” nei pianeti del sistema solare. 2000 Sol sono quindi i giorni marziani che Curiosity, il rover della NASA, ha passato su Marte! Il 22 marzo scorso quindi Curiosity ha raggiunto il suo duemillesimo giorno sul pianeta rosso, e per festeggiare ecco un mosaico di immagini scattate a gennaio, che già ci suggerisce quale sarà il suo prossimo target…

Siamo sul Monte Sharp, il cumulo di rocce che Curiosity sta scalando dal settembre 2014. Al centro dell’immagine il prossimo grande obiettivo scientifico del rover: un’area che è stata avvistata dall’orbita, e che all’apparenza sembra contenere minerali argillosi, e l’argilla non è altro che un sedimento estremamente fine, che per formarsi richiede acqua. Nell’immagine di apertura quest’area è stata evidenziata in bianco per rendere l’idea della forma del sedimento argilloso (qui sotto la stessa zona in un’immagine, sempre elaborata per sembrare in luce diurna terrestre, ma senza l’evidenziazione dei sedimenti argillosi).

Non è più una novità, e le analisi dei dati di Curiosity lo hanno già mostrato molte volte, che gli strati inferiori del Monte Sharp si sono formati all’interno di laghi che, un tempo, ricoprivano il fondo del Cratere Gale, ma quell’area potrebbe fornire utili informazioni non solo sull’effettiva presenza di acqua nel passato, ma anche per comprendere per quanto tempo potrebbe essere esistita e se quell’antico ambiente fosse potuto essere adatto per la vita.

Leggi l'approfondimento sullo stato della ricerca, successi, insuccessi e piani visionari per la colonizzazione di Marte, su Coelum 205. Una panoramica sulle scoperte storiche fatte dalle sonde che si sono susseguite nel tempo. Clicca sulla copertina per iniziare a leggere... gratuitamente!
Da poco il rover ha ricominciato a testare nuovamente trapano, aggirando il guasto che ne ha interrotto le operazioni nel dicembre 2016, e ora il team scientificonon vede l’ora di poter analizzare campioni di roccia estratti da quel fondo argilloso che vediamo nel mosaico, al centro dell’immagine. Le fasi di trapanazione e consegna del materiale estratto ai laboratori di bordo del rover è ancora in fase di perfezionamento, ma il prossimo target è già deciso.

Curiosity è atterrato su Marte nell’agosto del 2012, e da quel giorno ha percorso 18,7 chilometri. Nel 2013, la missione ha trovato la prova di un antico ambiente di laghi d’acqua dolce che offriva tutti gli ingredienti chimici di base per la vita microbica, e da quando ha raggiunto Monte Sharp, nel 2014, Curiosity sta studiando in lungo e in largo questi ambienti che hanno dimostrato di poter ospitare la vita, analizzando ovunque acqua e vento hanno lasciato segno del loro passaggio.

E ora aspettiamo i risultati dei prossimi 2000 Sol… come si dice, cento, anzi due mila di questi giorni, Curiosity!


Oggetti Volanti *Identificati*
sul nuovo Coelum Astronomia di marzo!

Nelle cronache di questi giorni ma anche come target osservativi e di ripresa! #FalconHeavy #Tiangong-1 #Tesla #ISS #SatellitiArtificiali

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Gruppo Astrofili Vicentini

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Gruppo Astrofili VicentiniConvegni presso la sede del Giornale di Vicenza, ore 17:00:
03.03: Dott. Natalino Fiorio “NEL REGNO DEL SOLE”.
31.03: Dott. Paolo Ocner astronomo presso l’osservatorio di Asiago “IL SOLE”.

Corso di cosmologia:
presso la nostra sede ad Arcugnano ore 21:00

28.02: “una cartolina dal Big Bang. La cosmologia moderna da Einstein al WMAP” 1° lezione
07.03: “tutto quello che non vediamo. Il modello standard della cosmologia contemporanea” 2° lezione
14.03: “verso l’infinito…e oltre! Il multiverso e le altre ipotesi dei cosmologi contemporanei” 3° lezione

Osservazioni presso la sede di Arcugnano:
25.03: “osserviamo la nostra Stella” osservatorio aperto dalle 14:30 alle 17:30

Ogni martedì del mese l’osservatorio sarà aperto al pubblico dalle ore 20:30.

Sede ed Osservatorio: Via Santa Giustina 127 – 36057 Arcugnano (VI).

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Né UFO né Tiangong-1…

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Per saperne di più sul rientro della Tiangong-1, sulla sua storia, su cosa dobbiamo aspettarci ed eventualmente come riprenderla prima che si distrugga... leggi l'approfondimento cliccando le immagini e tieniti aggiornato con le nostre news! Su coelum.com e sui nostri social.
Frame del video di Vallo di Diano, credit: OndaNews.it
di Sofia Lincos

Nella notte tra il 24 e il 25 marzo decine di persone sul suolo italiano hanno assistito a uno spettacolo davvero insolito: una lunga scia luminosa nel cielo, simile a una stella cadente ma molto più lenta e luminosa. Ne hanno parlato, tra gli altri, La NazioneInMeteoInfoCilentoIl Corriere della CittàL’Occhio di Salerno, riportando numerose testimonianze e segnalazioni provenienti specialmente dall’Italia centrale e meridionale, da Lucca fino a Salerno (ma nei commenti alcune persone parlano di avvistamenti anche dal Ponente Ligure).

Diversi video sono comparsi tra questa notte e questa mattina in rete, tra cui segnaliamo quello di OndaNews,proveniente da Vallo di Diano (SA), quello girato da Mario Cribello a Pozzuoli (NA) e quello riportato dal sito H24Notizie ripreso a Fondi (LT). Amalfi News ha invece pubblicato una serie di fotografie.

In comune la descrizione del fenomeno (una lunga scia luminosa, durata circa 20 secondi) e l’orario (le 3:30 circa ora italiana del 25 marzo; considerando l’ora legale e la differenza di fuso orario, circa le 1:30 UTC).

Per saperne di più sul rientro della Tiangong-1, sulla sua storia, su cosa dobbiamo aspettarci ed eventualmente come riprenderla prima che si distrugga... leggi l'approfondimento cliccando l'immagine (goo.gl/PS46Cy) e tieniti aggiornato con le nostre news! Su coelum.com e sui nostri social.

Molti media hanno subito fatto il collegamento con la Tiangong-1, la stazione spaziale cinese sfuggita al controllo nel 2016 e che, secondo le stime dell’ESA, dovrebbe rientrare in atmosfera nei prossimi giorni, con qualche possibilità che capiti sull’Italia centro-meridionale (tranquilli, però: come spiegava due giorni fa Coelum Astronomia, le probabilità sono decisamente dalla nostra parte, e l’eventualità che qualche frammento raggiunga il nostro Paese davvero remota). Un collegamento improprio: la stazione spaziale cinese è ancora troppo alta in cielo, e il rientro deve ancora avvenire.

Il mistero è stato invece svelato dall’astrofilo Marco Langbroekuna delle voci più autorevoli nel campo delle osservazioni di “spazzatura spaziale”, che da anni si occupa di rientri di razzi e satelliti artificiali.

Quello osservato sui cieli dell’Italia era con tutta probabilità il terzo stadio del vettore Soyuz-FG partito dal cosmodromo di Baikonur, in Kazakistan, il 21 marzo scorso, con l’obiettivo di far arrivare alla stazione spaziale internazionale (ISS la navetta Soyuz con gli astronauti Drew Feustel e Ricky Arnold (NASA) e il cosmonauta Oleg Artemyev (Roscosmos). L’operazione, che ha completato l’equipaggio della ISS prevista per l’Expedition 55, è stata portata a termine con successo.

Il rientro del terzo stadio della Soyuz, separatosi come previsto dalla navetta nel corso delle normali operazioni di lancio, era previsto proprio per la notte tra il 24 e il 25 marzo, e si è verificato all’1:25 UTC (cioè alle 3:25 ora italiana). Gli orari coincidono con le testimonianze italiane, quindi, e non lasciano dubbi sulla reale natura dell’oggetto avvistato.

È possibile per altro vedere la ricostruzione della traiettoria dello stadio Soyuz elaborata da Marco Langbroek (che, come si vede, passa per l’Italia).

I rientri di spazzatura spaziale visibili dall’Italia sono in effetti abbastanza rari, e non deve stupire se molte persone sono rimaste stupire e impressionate dallo spettacolo. Contrariamente a quanto in molti hanno temuto non si trattava però di oggetti “alieni”, ma di oggetti decisamente umani.

Si ringrazia per la collaborazione Guido Bertolino, Roberto Labanti, Pasquale Russo (CISU), Giuseppe Stilo (CISU)



Tiangong-1: si avvicina il rientro in atmosfera. Dove potrebbe cadere?

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No.. non si è già incendiata, sono le immagini radar della Tiangong-1 riprese dall’Istituto Fraunhofer per la Fisica delle alte frequenze e tecniche Radar (FHR) a Wachtberg, che ne stanno monitorando il rientro. La ripresa è stata ottenuta durante un passaggio della stazione spaziale cinese a una quota di circa 270 km. Crediti: Fraunhofer FHR
DI MASSIMO ORGIAZZI · Astronautinews.it

La “defunta” stazione spaziale cinese sta perdendo quota ormai da diversi mesi e si avvicina il suo rientro nell’atmosfera terrestre. Sebbene si preveda che questo possa avvenire tra l’ultima settimana di marzo e la prima di aprile, nessuno sa dare una previsione affidabile del momento e del luogo, ma in molti, tra agenzie spaziali e semplici appassionati, ci stanno provando.

Il laboratorio spaziale Tiangong-1 fotografato da Deimos Sky Survey il 15 gennaio 2018 (fonte: ESA)

Tiangong-1 è stato il primo laboratorio orbitante del programma spaziale cinese: è stato lanciato in orbita il 29 settembre del 2011 e ha ospitato tre missioni Shenzou, di cui due con equipaggio. Il laboratorio è stato l’apripista per missioni nello spazio via via più ambiziose, cui ha fatto seguito Tiangong-2 da poco utilizzato e alla quale seguirà la prossima stazione cinese, con ogni probabilità la prima ad essere permanentemente utilizzata, il cui primo modulo, Tianhe, dovrebbe essere lanciato quest’anno. Con una lunghezza di 10,4 metri, un’altezza massima di circa 3,5 metri e una massa totale di 8,5 tonnellate, Tiangong-1 è dotato di un modulo di servizio, un laboratorio e di un modulo di attracco.

Clicca sull'immagine per leggere l'approfondimento sulla storia del Palazzo Celeste in Coelum astronomia di marzo (in formato digitale e gratuito).

Si tratta quindi di un veicolo spaziale decisamente notevole, sia come massa che come dimensioni, per cui esiste una probabilità non nulla che suoi frammenti possano raggiungere il suolo. Si capisce quindi perché preoccupazioni in merito ad un possibile schianto su zone abitate siano state sollevate da diverse fonti negli ultimi mesi.

Dopo una fase di silenzio radio che già i radioamatori avevano fatto notare, nel corso del 2016 l’agenzia spaziale cinese era stata costretta ad ammettere che i contatti con Tiangong-1 erano stati persi. Tuttavia la quota della stazione non è andata immediatamente calando e l’assetto, stanti le osservazioni, non è stato apparentemente perso, facendo pensare che a bordo i sistemi fossero ancora funzionanti. Dal quel momento, però, agenzie spaziali, osservatori professionali e semplici appassionati, hanno cominciato a monitorare la situazione del laboratorio orbitale. L’ESA, in particolare, guida la campagna di osservazioni richieste dall’ONU e dall’IADC (Inter Agency Space Debris Coordination Committee).

Tiangong-1 ripresa durante un sorvolo sui cieli della Francia dal fotografo Alain Figer (fonte: ESA)

Nonostante il numero di osservazioni e di modelli sviluppati, non è però possibile sapere con certezza la data e il luogo preciso in cui avverrà il rientro in atmosfera. Tuttavia, tanto più il tempo passa e gradatamente ci si avvicina all’evento, tanto più la precisione della finestra aumenta: insieme alle agenzie spaziali, molti appassionati si stanno cimentando in una sorta di toto-rientro che sta assumendo connotati decisamente competitivi.

Quanto è possibile sapere è che il rientro avverrà su latitudini inferiori ai 42,75° e questo perché l’orbita del veicolo è inclinata sull’equatore proprio di quella quantità. Dalla mappa dell’ESA, aggiornata il 15 marzo, le zone che ricadono nelle traiettorie delineate in verde scuro sono quelle che hanno maggiore probabilità di trovarsi nella zona di rientro e di possibile impatto. Nella porzione sinistra del grafico, si trova il calcolo della densità di popolamento delle aree disposte lungo i paralleli. Nel caso dell’Italia, le regioni esposte al rischio sono quella dalla Toscana verso sud.

L’area di potenziale rientro di Tiangong-1, a sinistra, in base al parallelo, viene indicata la densità di popolazione, a destra la probabilità di impatto, come si vede la probabilità è più alta nei due estremi nord e sud della fascia verde. Sono invece sicuramente a rischio zero le zone al di fuori. (fonte: ESA).

Le perplessità come detto, sono legate al timore che i frammenti più grossi del veicolo spaziale possano giungere al suolo, sebbene appunto ci si aspetti la che grossa parte della sua massa si frantumi al primo impatto con gli strati più esterni dell’atmosfera. Il danno collegato ad un eventuale arrivo a terra di parte dei frammenti si prevede comunque molto limitato, mentre le maggiori preoccupazioni sono legate al caso in cui i serbatoi di propellente dovessero raggiungere il suolo intatti, dal momento che la monometilidrazina è tossica e c’è la possibilità che Tiangong-1 ne contenga ancora una quantità importante.

Il piano di rientro originale di Tiangong-1 era ovviamente quello di un rientro controllato: se fosse stato possibile, l’agenzia spaziale cinese, arrivati a questo punto, avrebbe previsto l’accensione dei propulsori per dirigere la discesa verso zone non popolate del pianeta e, come quasi sempre succede in questi casi, si sarebbe selezionata l’area dell’oceano Pacifico meridionale.

Tuttavia, oltre al dove, esiste il problema del quando avverrà il rientro distruttivo ed è qui che le previsioni stanno assumendo forme sempre più simili a una gara competitiva. Le voci più autorevoli tra gli appassionati hanno previsto che accadrà tra il 31 marzo e il 1° aprile, con una tolleranza di più o meno 3-5 giorni. Marco Langbroek si spinge a restringere la finestra centrata sul 31 marzo a ± 3 giorni.

Come riferisce l’ESA, nessuno saprà con buona approssimazione i dati del rientro se non un giorno prima che questo avvenga e anche quella sarà una previsione ancora estremamente grossolana. Di fatto, allo stato della tecnologia attuale, una previsione dell’ordine di chilometri per un rientro non controllato è semplicemente impossibile. L’incertezza associata alla previsione per un rientro non controllato è esprimibile nell’ordine del 20% del tempo orbitale rimanente. In pratica, questo significa che anche 7 ore prima dell’effettivo rientro, l’incertezza sul punto d’impatto rimane equivalente ad una completa rivoluzione orbitale, cioè letteralmente più o meno migliaia di chilometri.

Quanto di più preciso si può ottenere al momento è contenuto in questi grafici (qui sotto, cliccare per ingrandire l’immagine)aggiornati dall’ESA periodicamente. Nel primo si osserva l’assottigliarsi della finestra temporale di rientro che va a restringersi sempre più tra fine marzo e inizio aprile, mentre nel secondo la finestra viene descritta in funzione della quota alla quale si trova il veicolo spaziale.

Il Fraunhofer Institut sta attivamente monitorando il decadimento dell’orbita di Tiangong-1 con l’antenna TIRA da 34 metri di diametro che combina un’immagine radar prodotta sulla banda ku e sulla banda I. Rispetto all’osservazione nel campo del visibile, l’osservazione radar ha degli specifici vantaggi, tra cui l’indipendenza dalla situazione meteorologica, la possibilità di operare sia di notte che di giorno e una risoluzione che è indipendente dalla distanza dall’oggetto. I risultati dell’osservazione radar sono stati di recenti condivisi e appaiono essere di una definizione decisamente notevole. Da essi si evince che la struttura di Tiangong-1 è ancora perfettamente conservata.

Tiangong-1 ovviamente non è il primo oggetto spaziale di massa relativamente elevata a rientrare nell’atmosfera con possibilità di impatto. I casi più eclatanti, tralasciando qui una lunga serie di satelliti di grandi dimensioni, sono stati quello di veicoli spaziali della stessa categoria di Tiangong-1, ovvero stazioni spaziali.

I rientri di oggetti di dimensioni simili alla Tiangong-1 Credit: ESA CC BY-SA 3.0 IGO

In ordine di massa descrescente la Mir, rientrata il 23 marzo del 2001 senza conseguenze al suolo, ma che aveva seguito una discesa controllata, e lo Skylab, letteralmente sfuggito di mano alla NASA, rientrato l’11 luglio del 1979 in Australia e resosi responsabile del decesso di una mucca. Altri notevoli casi sono raccolti nella tabella dell’ESA riportata sopra, dove tra gli esemplari più “leggeri”, si trovano i moduli di servizio e di comando delle missioni Apollo, tra cui tutte quelle servite a testare i veicoli nell’orbita terrestre, come le missioni Apollo 5, 6, 7 e 9, ma anche la prima missione ad orbitare intorno alla Luna con equipaggio, ovvero l’Apollo 10. Lo stesso destino potrebbe toccare in una decina d’anni all’imponente massa della Stazione Spaziale Internazionale, visto e considerato che la NASA ha espresso l’intenzione di non continuare a sostenere lo sforzo congiunto di mantenimento dopo il 2024 e i partner internazionali con ogni probabilità seguiranno la stessa decisione, data anche la progressiva obsolescenza che i componenti della stazione affronteranno nel prossimo quinquennio.

Il rientro controllato del satellite ESA ATV 1, rientrato e distrutto in atmosfera nel settembre del 2008

Detto quanto sopra, le probabilità che il rientro di Tiangong-1 causino danni sono estremamente contenute e considerando l’estensione della fascia di rientro, le probabilità che la discesa e un possibile impatto avvengano sull’oceano sono preponderanti. Tuttavia per chi fosse interessato a seguire l’evoluzione degli eventi, è possibile consultare la pagina ESA dedicata agli aggiornamenti su Tiangong-1.

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La stella che sfiorò il sistema solare

La Stella di Scholz apparsa nel cielo circa 70.000 anni fa. In realtà non sarebbe dovuta essere visibile a occhio nudo, a meno di improvvisi flare che potrebbero averla resa visibile ai nostri antenati (credito: José A. Peñas/SINC)
La “Stella di Scholz”, che in realtà sappiamo essere un sistema binario, apparsa nel cielo circa 70.000 anni fa. La sualuminosità non era tale da renderla visibile a occhio nudo,  ma un improvviso flare, comune in questo tipodi binaria, avrebbe potuto renderla visibile per un breve periodo ai nostri antenati (credito: José A. Peñas/SINC)

Settantamila anni fa una piccola stella, la stella di Scholz, è passata vicinissimo al nostro sistema solare, possiamo dire che l’ha letteralmente sfiorato. Passando a circa 0.6 anni luce dal nostro Sole, la sua attrazione gravitazionale ha presumibilmente influenzato la traiettoria di diversi corpi fra asteroidi e comete che si trovavano nella nube di Oort.

La scoperta, risalente al 2015, trova ora nuove conferme grazie a un nuovo studio pubblicato dai fratelli CarloRaul de la Fuente Marcosdella Complutense University of Madrid assieme a Sverre J. Aarseth dell’University of Cambridge.

Oggi la stella passeggera si trova a circa 20 anni luce dai noi. Nel 2015, ricostruendo la sua traiettoria a ritroso, è stato possibile calcolare il periodo e la posizione del suo passaggio ravvicinato. La nuova ricerca, pubblicata su MNRAS letters journal, analizzando 340 oggetti con traiettoria iperbolica(un’orbita aperta a forma di V), ha conferma che un oggetto massiccio ha disturbato le orbite di questi corpi circa settantamila anni fa.

«Usando simulazioni numeriche abbiamo calcolato i radianti o la posizione nel cielo da cui tutti questi oggetti iperbolici sembrano provenire» ha spiegato l’astronomo Carlos de la Fuente Marcos. «Ci si aspetterebbe che queste posizioni siano distribuite in maniera omogenea nel cielo, in particolare se questi oggetti vengono dalla nube di Oort; ciononostante, ciò che abbiamo trovato è molto differente: un accumulo di radianti statisticamente significativo. La pronunciata maggior densità appare proiettata nella direzione della costellazione dei Gemelli, che corrisponde con l’incontro ravvicinato della stella di Scholz».

Rappresentazione artistica della stella di Scholz e della sua compagna nana bruna (in primo piano) durante il loro passaggio ravvicinato al sistema solare 70.000 anni fa. Dal loro punto di vista, il Sole (a sinistra sullo sfondo) sarebbe apparso come una stella molto brillante. Crediti: Michael Osadciw / University of Rochester.

La stella di Scholz in realtà è un sistema binario, una piccola nana rossa, con una massa pari al 9% di quella solare accompagnata da una piccola nana bruna. Al momento del transito la stella aveva una luminosità molto bassa, rendendola praticamente invisibile ad occhio nudo, ma le nane rosse di questo tipo sono soggette a massicci brillamenti, qualora uno di questi fosse avvenuto durante il passaggio, la stella, chiamata anche WISE J072003.20-084651.2, sarebbe stata visibile per un breve periodo, qualche ora al massimo. Non sappiamo se ciò sia accaduto, ma è di certo affascinante pensare che i nostri antenati, che all’epoca stavano lasciando l’Africa, possano aver osservato brevemente un bagliore rosso nel cielo notturno.

Per saperne di più:

Guarda il servizio video realizzato da MediaInaf TV all’epoca della scoperta:


Oggetti Volanti *Identificati*
sul nuovo Coelum Astronomia di marzo!

in formato digitale e gratuito.


Nelle cronache di questi giorni ma anche come target osservativi e di ripresa! #FalconHeavy #Tiangong-1 #Tesla #ISS #SatellitiArtificiali

Gruppo Astrofili Vicentini

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Gruppo Astrofili VicentiniConvegni presso la sede del Giornale di Vicenza, ore 17:00:
03.03: Dott. Natalino Fiorio “NEL REGNO DEL SOLE”.
31.03: Dott. Paolo Ocner astronomo presso l’osservatorio di Asiago “IL SOLE”.

Corso di cosmologia:
presso la nostra sede ad Arcugnano ore 21:00

28.02: “una cartolina dal Big Bang. La cosmologia moderna da Einstein al WMAP” 1° lezione
07.03: “tutto quello che non vediamo. Il modello standard della cosmologia contemporanea” 2° lezione
14.03: “verso l’infinito…e oltre! Il multiverso e le altre ipotesi dei cosmologi contemporanei” 3° lezione

Osservazioni presso la sede di Arcugnano:
25.03: “osserviamo la nostra Stella” osservatorio aperto dalle 14:30 alle 17:30

Ogni martedì del mese l’osservatorio sarà aperto al pubblico dalle ore 20:30.

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I pianeti di Trappist-1: leggeri e pieni di acqua

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Rappresentazione artistica del sistema formato da Trappist-1 e i suoi sette pianeti rocciosi.
Rappresentazione artistica del sistema formato da Trappist-1 e i suoi sette pianeti rocciosi.

L’acqua è uno degli elementi alla base della vita, soprattutto se presente in forma liquida – come nei pianeti che si trovano nella fascia di abitabilità di un sistema esoplanetario. Ma troppa acqua potrebbe sortire l’effetto contrario, cioè quello di non consentire lo sviluppo di vita. In sintesi è questo quanto affermato da un gruppo di scienziati guidati da Cayman T. Unterborn dell’Arizona State University, i quali hanno trascorso gli ultimi mesi a studiare nel dettaglio i sette pianeti che orbitano attorno alla nana rossa ultrafredda Trappist-1 ad appena 40 anni luce dal Sole in direzione della costellazione dell’Acquario. Sono gli stessi pianeti che più di altri hanno catturato l’attenzione mediatica nell’ultimo anno, dall’annuncio della loro scoperta. Ma sono abitabili? Chiaramente è questa la domanda che tutti si fanno e studiando la loro composizione si potranno avere delle risposte.

Dalle diverse osservazioni effettuate finora si evince che i pianeti attorno a Trappist-1 sono tutti più o meno simili alla Terra come taglia, sei di loro sono rocciosi e alcuni contengono una grande quantità di acqua. Dalle misurazioni effettuate, i pianeti risultano essere curiosamente “leggeri”: esaminando massa e volume, tutti questi oggetti sembrano essere meno densi della roccia. Una bassa densità vuol dire, di solito, che potrebbe esserci un’abbondanza di gas atmosferici.

C’è un però: «I pianeti di Trappist-1 sono troppo piccoli in termini di massa per trattenere abbastanza gas in modo da compensare il deficit di densità», ha spiegato il primo autore dello studio pubblicato su Nature Astronomy. «Anche se fossero in grado di trattenere il gas, la quantità necessaria per compensare il deficit di densità renderebbe il pianeta molto più gonfio di quello che vediamo».

La soluzione al mistero si chiama H₂O, acqua. Su questo elemento il gruppo di scienziati ha focalizzato l’attenzione, utilizzando un pacchetto di software sviluppato da loro stessi chiamato ExoPlex. Gli esperti hanno potuto combinare tutte le informazioni finora raccolte su questi sette pianeti, includendo anche gli elementi chimici della stella. Ciò che hanno trovato è che i relativamente “asciutti” pianeti interni ( denominati “b” e “c”) sono composti per il 15% della loro massa da acqua (la Terra ha lo 0,02% di acqua rispetto alla sua massa totale); i pianeti esterni (“f” e “g”) presentano più del 50% di acqua rispetto alla massa (ciò equivale all’acqua presente in centinaia di oceani terrestri).

Si tratta di stime, ma l’andamento sembra chiaro: c’è molta, moltissima acqua in questo sistema planetario ed è la prima volta che vengono studiati pianeti di tipo terrestre con una quantità così abbondante di acqua ghiacciata. Ghiaccio presente anche nei pianeti più interni, perché migrati da posizioni originarie più lontane.

Sicuramente questa abbondanza di acqua non è positiva se si pensa all’eventuale abitabilità dei sette pianeti. Natalie Hinkel, Vanderbilt University, ha sottolineato: «Un pianeta acquatico, o che non ha alcuna superficie al di sopra dell’acqua, non è dotato degli importanti cicli geochimici che sono assolutamente necessari per la vita».

Per saperne di più

Sull’argomento leggi anche

➜  Le Sette Meraviglie di Trappist-1 su Coelum astronomia 210

➜ Su Coelum astronomia 204 si parla di pianeti extrasolari in occasione della scoperta di Proxima b: cos’è un pianeta extrasolare? Come si rileva? Il punto sulla ricerca: cosa ne pensano gli esperti? Intervista a Luigi Bignami. Il ruolo dell’E-ELT, l’European Extremely Large Telescope.

➜  Missione PLATO: occhi italiani alla ricerca di nuovi mondi


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