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“MarSEC” Marana space explorer center

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Osservatorio e Planetario di Marana, Via Pasquali Marana, 36070 Marana di Crespadoro (VI).

15.03, ore 15:00: From Earth to Universe. Dalla Terra all’infinito. Galileo all’Hubble Space Telescope
15.03, ore 17:00: From Earth to Universe + Telescopio dalla Terra all’Infinito
27.03, ore 21:00: Evento: Do light mythic – Escursioni notturne nelle dolomiti di Antonio Riva Barban. Evento tramesso in streaming

Info: www.marsec.org – segreteria@marsec.org

Al mattino una danza con Luna, Giove, Saturno e Marte

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Nelle giornate comprese tra il 18 e il 20 marzo avremo modo di seguire l’evoluzione di un incontro celeste che vedrà coinvolti ben tre pianeti luminosi e la Luna.

Il teatro celeste che ospiterà questo balletto astrale sarà quello della bella costellazione del Sagittario e gli attori saranno i pianeti Giove (mag. –2,1), Saturno (mag. +0,7) e Marte (mag. +0,9). Per osservare questa particolare congiunzione multipla dovremo rivolgere il nostro sguardo verso sudest, la mattina verso le 5:00: sarà facile individuare questi pianeti, che appariranno come stelle luminose e ben staccate dal fondo cielo, che formeranno già il 18 marzo un bell’allineamento celeste, proprio a sinistra del famoso asterismo a “teiera” che segna una parte del Sagittario.

Il 18 marzo vedremo Marte e Giove in posizione molto ravvicinata, con una separazione di circa 1° 24’: Marte si troverà praticamente alla stessa altezza di Giove, circa 13° di altezza. A poca distanza, circa 2° 22’ più verso sud, la Luna (fase del 32%) si avvicinerà a Marte. Più distante, verso est-sudest, ci sarà anche Saturno, a poco più di 7° da Giove.

Passiamo ora al 19 marzo, sempre alle 5:00 del mattino circa: la situazione sarà già notevolmente mutata, con la Luna che avrà compiuto uno spostamento cospicuo di circa 12° e mezzo verso l’orizzonte di sudest: alta 7° e mezzo (fase del 23%) si troverà esattamente a sud di Saturno. Nel frattempo, anche Marte e Giove si saranno stretti ulteriormente nel loro abbraccio, raggiungendo una separazione di circa 52’.

Il giorno successivo ancora, il 20 marzo, si verificherà il momento di massimo avvicinamento tra i due pianeti, in una congiunzione di appena 45’ circa: sarà una splendida occasione per immortalare il momento in una fotografia di paesaggio oppure per effettuare una bella osservazione al binocolo o al telescopio. Sarà inoltre possibile confrontare il diverso colore dei due pianeti, con Giove che splende di un bel colore bianco un po’ tendente al paglierino e Marte che, come sappiamo, ci apparirà rossastro.

Consigliamo di seguire questo balletto celeste anche nei giorni precedenti e successivi, anche senza Luna, e perché no… tentare di catturare il moto relativo di questi pianeti in un’unica fotografia che abbracci tutte le configurazioni appena descritte. Attendiamo i vostri scatti in PhotoCoelum!

• Leggi anche la Danza dei pianeti sul numero 202 e Le danze di Venere e Giove sullo scorso numero 241

Le effemeridi di Luna e Pianeti le trovi nel Cielo di Marzo 2020 su coelum.com


Tutti consigli per l’osservazione del Cielo di Marzo su Coelum Astronomia 242

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ExoMars, il Pianeta rosso può attendere

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Rappresentazione artistica del rover Rosalind di ExoMars. Crediti: Esa
Rappresentazione artistica del rover Rosalind di ExoMars. Crediti: Esa

All’inizio doveva essere nel 2018. Poi è slittato all’estate del 2020. E il 12 marzo è arrivato l’annuncio ufficiale, da parte dell’Agenzia spaziale europea e della Roscosmos Space Corporation russa, che il lancio di ExoMars è ulteriormente rinviato, questa volta al 2022, fra agosto e ottobre. Un annuncio già nell’aria da tempo, perlomeno da quando sono emerse criticità nei test sui paracadute ai quali spetta il compito di portare sano e salvo a destinazione il rover Rosalind sulla superficie marziana. Criticità probabilmente ancora non risolte con il livello di affidabilità necessario, considerando che i test finali sui paracadute – come anticipato a Media Inaf la settimana scorsa dal direttore delle Attività di scienza dell’Esa, Günther Hasinger – sono in calendario per fine marzo.

Ma non si tratta solo dei paracadute. Ciò su cui Jan WörnerDmitry Rogozin, i direttori generali dell’Esa e di Roscosmos, si sono trovati d’accordo è la necessità di compiere ulteriori test sull’hardware e sul software definitivi del modulo di discesa e del rover. Senza contare, come entrambi hanno dovuto riconoscere, che la fase finale delle attività di ExoMars è compromessa dall’esacerbarsi, nei paesi europei, della situazione epidemiologica sorta a seguito della diffusione del coronavirus. Una situazione, ha detto Rogozin, «che ha praticamente precluso ai nostri esperti la possibilità di viaggiare verso le industrie partner».

«Vogliamo essere sicuri al cento per cento che sia una missione di successo. Non possiamo permetterci alcun margine di errore», ha dichiarato Wörner. «Ulteriori attività di verifica garantiranno un viaggio sicuro e i migliori risultati scientifici su Marte». Prudenza più che comprensibile, soprattutto dopo aver sperimentato – con lo schianto di Schiaparelli del 2016 – quanto sia ardua la sfida di atterrare su Marte. E anche gli scienziati, che da anni attendono di poter vedere i loro strumenti in azione sul Pianeta rosso, approvano rassegnati questo ulteriore posticipo di due anni abbondanti, come prevedono i rigidi slot imposti dalla meccanica celeste per le missioni dirette verso Marte: finestre di lancio relativamente brevi – 10 giorni ciascuna – che si presentano ogni 780 giorni – ovvero circa due anni e due mesi, corrispondenti al periodo sinodico di Marte rispetto alla Terra.

«Sebbene non felici di un rinvio», dice Maria Cristina De Sanctis, ricercatrice dell’Istituto nazionale di astrofisica e responsabile scientifico dello strumento Ma_Miss (Mars Multispectral Imager for Subsurface Studies), uno spettrometro miniaturizzato – integrato nel trapano di ExoMars – che permetterà di caratterizzare la composizione del suolo marziano fino alla profondità di due metri, «riteniamo che sia saggio posporre il lancio se questo “garantisce” una missione con i rischi sostanzialmente nulli. Il nostro strumento Ma_Miss, che è stato il primo a essere consegnato e quindi integrato con il trapano ed il resto del veicolo spaziale, ha superato tutti i test previsti. Siamo fiduciosi che il rinvio non porterà a nessun “degrado” delle prestazioni del nostro  strumento. Continueremo a lavorare per Ma_Miss effettuando ulteriori test nei nostri laboratori, e anzi ne approfitteremo per affinare le tecniche osservative ottimizzando la raccolta dati. Inoltre, analizzeremo campioni rappresentativi del sito di atterraggio con i “Ma_Miss di laboratorio” per essere pronti all’interpretazione dei dati che arriveranno, per la prima volta, del sottosuolo di Marte».

Per approfondire

Speciale Marte. Un insieme di articoli sullo stato dell’esplorazione di Marte, pubblicati in occasione dell’arrivo di TGO su Marte e del mancato atterraggio di Schiaparelli, lo stato della ricerca fino a quel momento e una panoramica della missione.

Le Finestre di lancio. Ovvero come mai non possiamo (ancora) partire per un pianeta quando vogliamo.


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A maggio una cometa finalmente visibile a occhio nudo?

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La cometa ripresa da Michael Jäger il 5 marzo scorso. Nel suo profilo twitter (cliccare sull'immagine) altre immagini e dettagli.

Una cometa luminosa è in arrivo sui nostri cieli e la lunga attesa di un “astro chiomato” che sia in grado di attirare realmente l’attenzione è forse finita.

Non smeteremo però mai di ricordare che le previsioni sono solo indicative, spesso infatti non sono in linea con l’andamento reale di questi fantastici ma soprattutto imprevedibili e volubili oggetti celesti, e pertanto la prudenza è d’obbligo.

Il grafico sempre aggiornato dall'ottimo Seiichi Yoshida, con i dati visuali di più osservatori amatoriali (i pallini neri) e la previsione della curva di luminosità (in rosso) che da una magnitudine intorno alla +1 al picco. Il grafico qui sopra è aggiornato all'8 maggio, cliccare sull'immagine per i futuri aggiornamenti e la scheda dedicata su aerith.net

Secondo alcune stime, le più ottimistiche, la cometa potrebbe raggiungere addirittura la prima magnitudine. Altre riducono la luminosità ma ad ogni modo sono concordi con l’affermare che la soglia di visibilità a occhio nudo dovrebbe essere raggiunta.

Qui a destra vedete il grafico preso da aerith.net, a cura del giapponese Seiichi Yoshida, uno dei principali siti amatoriali in cui controllare l’andamento e le previsioni di luminosità delle comete, basate su dati ufficiali del Minor Planet Center e sulle osservazioni dirette di una comunità di astrofili da tutto il mondo. Un altro sito, sempre a livello internazionale, su cui informarsi e seguire l’andamento della visibilità della cometa, sempre amatoriale e dedicato agli appassionati di astri chiomati, è quello a cura del Crni Vrh Observatory: il Comet Observer’s Database (COBS).

Una cometa luminosa è in arrivo sui nostri cieli, e la lunga attesa di un “astro chiomato”che sia in grado di attirare realmente l’attenzione è, forse, finita.

La nuova arrivata è la C/2019 Y4 ATLAS, scoperta il 28 dicembre 2019 dal sistema automatizzato per la ricerca di asteroidi potenzialmente pericolosi per la Terra ATLAS (Asteroid Terrestrial-Impact Last Alert System). L’aumento di cinque magnitudini a gennaio (partiva da una magnitudine di +19,6 alla scoperta) l’ha portata sotto la lente di ingrandimento degli esperti e l’attesa per maggio, mese del suo passaggio più ravvicinato al Sole e quindi del picco luminoso, è già cominciata.

Ma già ad aprile la ATLAS raggiungerà una luminosità elevata diventando una cometa binoculare, osservabile al tramonto per l’emisfero nord.

Nel prossimo numero di Coelum astronomia, all’interno della rubrica dedicata alle comete, vi daremo tutte le informazioni per seguire un oggetto che potrebbe far parlare di sé!

Leggi anche

Questo mese La PanSTARRS ospite della Regina

E per gli amanti delle immagini degli astri chiomati:

Tutti gli APOD di Rolando Ligustri


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Unione Astrofili Senesi

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Osservatorio Astronomico Provinciale di Montarrenti, SS. 73 Ponente, Sovicille (SI). L’OAPM apre gratuitamente al pubblico per l’osservazione del cielo notturno il 2° e 4° venerdì del mese

13.03 e 27.03, ore 21:30: Il cielo al castello di Montarrenti
L’Osservatorio Astronomico di Montarrenti (SI) sarà aperto al pubblico per delle serate osservative con particolare alla Luna calante il giorno 13, mentre il 27 sarà la volta dei vari oggetti del profondo cielo, come le numerose galassie che sono visibili nel periodo primaverile. Prenotazione obbligatoria sul sito www.astrofilisenesi.it o inviando un messaggio WhatsApp a Patrizio (3472874176) o un sms a Giorgio (3482650891). In caso di tempo incerto telefonare per conferma.

Seguiteci su www.astrofilisenesi.it e sulla nostra pagina facebook Unione Astrofili Senesi

“MarSEC” Marana space explorer center

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Osservatorio e Planetario di Marana, Via Pasquali Marana, 36070 Marana di Crespadoro (VI).

13.03, ore 21:00: Two small pieces of glass. Da Galileo all’Hubble Space Telescope
15.03, ore 15:00: From Earth to Universe. Dalla Terra all’infinito. Galileo all’Hubble Space Telescope
15.03, ore 17:00: From Earth to Universe + Telescopio dalla Terra all’Infinito
27.03, ore 21:00: Evento: Do light mythic – Escursioni notturne nelle dolomiti di Antonio Riva Barban. Evento tramesso in streaming

Info: www.marsec.org – segreteria@marsec.org

Giovedì scienza

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Giovedì Scienza

Ogni settimana il Teatro Colosseo, l’Aula magna della Cavallerizza Reale dell’Università di Torino, l’Aula magna “Giovanni Agnelli” del Politecnico di Torino e l’Auditorium della Città metropolitana di Torino, si trasformano in un grande laboratorio scientifico.
Da novembre a marzo non solo conferenze ma dimostrazioni, esperimenti di laboratorio, spettacoli teatrali e filmati per portare il sapore della ricerca al grande pubblico.

Calendario degli appuntamenti

La partecipazione è aperta a tutti, l’appuntamento è il giovedì alle 17.45
INGRESSO LIBERO FINO A ESAURIMENTO POSTI

www.giovediscienza.it

Il brillantissimo Venere e il piccolo grande Urano

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La prima congiunzione che segnaliamo per il mese di marzo vede protagonisti due pianeti molto differenti tra loro, non solo fisicamente, ma anche e soprattutto per il loro modo di presentarsi ai nostri occhi.

Parliamo di Venere e di Urano: se il primo sarà impossibile da non riconoscere in cielo, alto poco meno di 30° sull’orizzonte ovest, per via della sua eccezionale lucentezza (mag. –4,4), lo stesso non si può dire per il gigante Urano, pianeta la cui magnitudine si attesta su una ben più modesta +5,9, risultando invisibile a occhio nudo.

Il teatro di questo incontro (circa 2° 30’, con Venere situato a nord di Urano) avverrà tra le stelle dell’Ariete. La congiunzione del 9 marzo costituisce il momento clou di un inseguimento da parte del brillante pianeta che dura da settimane: consigliamo di seguire questa particolare congiunzione anche nei giorni precedenti e successivi per valutare il moto relativo dei due pianeti.

Il campo di un buon binocolo 10×50 accoglierà bene i due astri e ci permetterà di osservare l’avvicinamento (ovviamente prospettico) di Venere al remoto pianeta, anche se la grande differenza di luminosità non sarà semplice da gestire per gustare l’immagine.

Le effemeridi di Luna e Pianeti le trovi nel Cielo di Marzo 2020 su coelum.com

➜ La Luna di Marzo 2020
e una guida per l’osservazione della Regione dei Grandi Laghi

➜ Ricordiamo anche l’articolo nel numero di gennaio dedicato a Venere: Vespero, stella della sera, a Lucifero, stella del mattino, di Giorgia Hofer.


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Astrochannel: seminari e coffee-talk

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INAFUna TV via web sulle attività dell’Istituto Nazionale di Astrofisica. La visione e l’utilizzo di Astrochannel sono gratuiti e consentiti a tutti (se però siete interessati solo a singoli video, suggeriamo d’iscriversi). Suggeriamo di seguito i seminari in lingua italiana, ma il programma è decisamente più ampio e può essere consultato qui: http://www.media.inaf.it/inaftv/seminari/#3151
Attenzione: l’elenco che segue potrebbe essere non aggiornato. Per maggiori informazioni e aggiornamenti in tempo reale sui singoli seminari, vi invitiamo a fare riferimento ai siti web delle singole sedi.

IASF Milano, 11/03/2020 @ 14:00

Marco Malaspina & Marco Galliani (Inaf), “Media Inaf e Ufficio stampa Inaf: a chi servono, come funzionano

OA Napoli, 18/03/2020 @ 11:15

Arturo Colantonio (Università di Camerino), “Metodologie di ricerca per la progettazione e validazione di attività didattiche in astronomia

OA Brera, 24/03/2020 @ 14:00

Clementina Sasso (INAF Napoli), “La missione spaziale Solar Orbiter e la partecipazione italiana

Per seguire i seminari, installare il software (http://www.media.inaf.it/inaftv/) o cercare il video sul canale YouTube INAF-TV.
Astrochannel è un software di Marco Malaspina – Copyleft INAF Ufficio Comunicazione – 2007-2015

Un panorama marziano di 1,8 miliardi di pixel!

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Incredibile vero? E questa è la versione a 650 milioni di pixel. Qui trovate scaricabili tutte le immagini, ma attenzione alle dimensioni dei file! Credits: NASA/JPL-Caltech/MSSS

Curiosity ogni tanto ci ricorda che lui è sempre lì, a studiare passo dopo passo, giorno dopo giorno dal 6 agosto del 2012, la superficie marziana, la sua composizione, i suoi tanti diversi aspetti… e ci manda panorami a 360° per permetterci di immergerci nelle vastità del pianeta rosso come se fossimo lì con lui. Ma questa volta si è superato, mostrandoci il panorama marziano a maggior risoluzione mai realizzato finora.

La parte sinistra del panorama, ovviamente non alla massima risoluzione. Credits: NASA/JPL-Caltech/MSSS.

Tra fine novembre e i primi di dicembre, durante la Festa del Ringraziamento, il grande rover della NASA si trovava sui fianchi del Monte Sharp, nel cratere Gale con davanti la “Glen Torridon”, una regione particolarmente ricca di argille di cui il rover ha studiato a fondo il terreno. Proprio questa sua caratteristica ne ha fatto una regione di grande interesse per studiare quello che potrebbe essere risultato di azione di sedimentazione del grande lago che sarebbe stato un tempo il cratere Gale.

Durante quei giorni, il team della missione era in “ferie” per la più sentita fetività americana, e ha lasciato il grande rover per qualche giorno fermo, con poche attività da svolgere, in attesa di altre istruzioni. Un’opportunità per programmarlo a… guardarsi attorno con più attenzione del solito, e scattare così moltissime immagini ad altissima risoluzione del panorama che lo circondava.

«Mentre molti del team erano a casa a godersi il tacchino, Curiosity ha prodotto questa gioia per glio occhi» spiega Ashwin Vasavada, project scientist alla guida della missione Curiosity. «È la prima volta nell’arco della missione che abbiamo dedicato le nostre operazioni a un panorama stereo a 360°».
Qui sotto il video navigabile a 360°, attendete che si carichi l’immagine e poi… guardatevi attorno!

Sono quasi 1200 immagini, 6 ore e mezza di scatti totali, presi in quattro diversi giorni (tra il 24 novembre e il 1 dicembre) dal teleobiettivo della MastCam, ottenendo immagini ad altissima risoluzione e, contemporaneamente, dal suo obiettivo ad angolo medio per un panorama a più bassa risoluzione.

Il panorma da 1,8 miliardi di pixel, ovviamente qui a bassa risoluzione (vedi didascalia dell'immagine di apertura). Credits: NASA/JPL-Caltech/MSSS

Nelle immagini ad alta risoluzione, che hanno dato vita a un panorama di ben 1,8 miliardi di pixel, la camera non aveva modo di riprendere anche il corpo del rover, mentre nel secondo panorama a più bassa risoluzione – si tratta comunque di una immagine di quasi 650 milioni di pixel! – è stato possibile includere anche quello, come nei suoi migliori e ormai famosi “selfie”.

Il panorma da 650 milioni di pixel che incorpora anche il rover. Crediti: NASA/JPL-Caltech/MSSS

L’immagine di apertura (qui nelle due versioni a maggiore e minore risoluzione) può essere ingrandita utilizzando i comandi o la rotellina del mouse, e ingrandendo in profondità possiamo osservare le rime del cratere Gale. Spostando lo sguardo verso il lato sinistro dell’immagine, vediamo una imponente struttura: il cratere Slangpos. Un cratere di quasi 5 chilometri di larghezza all’interno di Gale. Un’immagine che ci ricorda che siamo in un pianeta diverso dalla Terra per quanto simile possa sembrare questo panorama a un deserto terrestre…

Se invece ci spostiamo sul lato destro vediamo la striscia nera della Vera Rubin Ridge, zona alla quale il rover ha dedicato oltre un anno di analisi, per la sua particolarietà, il profilo simile a una scogliera della Central Butte (letteralmente collinetta centrale), per arrivare al Greenheugh Pediment, una cresta sulla cima della collina che si deve essere formato dopo che il lago è evaporato e la zona ha preso la forma che vediamo oggi.
Tutto questo viene raccontato anche nel video qui di seguito, in inglese, che mostra nel dettaglio i particolari ripresi.

Scegliete il modo migliore per guardarvi attorno e… buona visione!

Dove si trova ora Curiosity?

Il sito della missione

Esploriamo Marte assieme a Curiosity una attività multimediale (in inglese)


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Primi risultati sull’impatto delle costellazioni satellitari nell’osservazione e lo studio del cielo

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In questa immagine vediamo indicate le zone in cui viene diviso il cielo per valutare l'impatto delle costellazioni satellitari sulle osservazioni. L'immagine di fondo è stata ripresa dal Osservatorio del Paranal dell'ESo, 90 minuti prima dell'alba. Le linee azzurre indicano i diversi gradi di elevazione dall'orizzonte. La maggioranza dei satelliti (cerchi verdi) si trovano bassi sull'orizzonte, e/o sono piuttosto deboli. Solo pochi satelliti (nei cerchi rossi) sono alti e brillanti, e attraversano le zone di cielo in cui si svolgono la maggiorparte delle osservazioni astronomiche, ma calano poi deasticamente di numero sparendo nell'ombra della Terra man mano che ci si inoltra nella notte (la parte più scura a sinistra). Crediti: ESO/Y. Beletsky/L. Calçada

Gli astronomi, ma anche il mondo amatoriale, si sono recentemente posti il problema che l’impatto delle megacostellazioni satellitari hanno sulla ricerca scientifica e in generale sull’osservazione del cielo. Abbiamo visto immagini di decine di satelliti in fila che minacciano di rovinare intere sessioni osservative, per svago ma soprattutto nella ricerca astronomica effettuata dai grandi telescopi a Terra. Sappiamo infatti quanto si sta investendo ancora su questo fronte, che nonostante glo Osservatori spaziali, resta di enorme importanza.

Per meglio comprendere l’effetto che queste costellazioni potrebbero avere sulle osservazioni astronomiche, l’ESO ha commissionato uno studio scientifico concentrandosi sulle osservazioni di telescopi dell’ESO nel visibile e nell’infrarosso, non senza tenere in conto anche altri Osservatori. Lo studio, che considera un totale di 18 costellazioni satellitari, in fase di sviluppo da parte di SpaceX, Amazon, OneWeb e altri, per un totale di oltre 26 mila satelliti – numero medio preventivato al momento, ma che potrebbe essere molto più alto – è stato ora accettato per la pubblicazione dalla rivista Astronomy & Astrophysics.

Il campo di cielo sopra il sito di costruzione dell'E-Elt, l'Extremely Large Telescope dell'ESO. Il grande telescopio in costruzione con un importante costributo italiano, che entrerà in funzione nel 2025. Lo studio indica che potrebbe essere interessato solo moderatamente dal passaggio dei satelliti, e che comunque, a seconda di cosa si starà studiando in quel momento, potranno essere messe in campo tecniche di mitigazione del danno. Lo stesso però non si può dire di tutti i telescopi. Crediti: ESO/M. Zamani
Lo studio rivela che i grandi telescopi come il VLT (Very Large Telescope) e il prossimo ELT (Extremely Large Telescope) dell’ESO saranno solo  “moderatamente influenzati” dalle costellazioni satellitari. L’effetto sarà invece più pronunciato per le lunghe esposizioni (sopra i 1000 s), arrivando a rovinarne fino al 3% durante il crepuscolo, mentre per le esposizioni più brevi arriverebbe a meno dello 0,5%. Anche le osservazioni condotte durante la notte sarebbero le meno colpite, poiché i satelliti passano nell’ombra della Terra e non vengono quindi illuminati dal Sole. A seconda quindi della situazione, dal punto di vista scientifico, l’impatto potrebbe essere mitigato apportando modifiche ai programmi operativi dei telescopi.

Tali cambiamenti potrebbero però avere un costo: si passa dal calcolare la posizione dei satelliti per evitare di osservare in un dato momento la zona interessata dai passaggi, a chiudere l’otturatore del telescopio nel momento preciso in cui un satellite attraversa il campo di vista, fino a limitare le osservazioni ad aree di cielo nell’ombra della Terra, dove i satelliti non sono illuminati dal Sole. Metodi non applicabili a tutti gli scopo scientifici dell’osservazione.

Dalla parte delle industrie, invece, un passo efficace per mitigare l’impatto sarebbe quello di rendere scuri, non riflettenti, i satelliti.

Il maggiore danno graverebbe sulle survey a grande campo, in particolare quelle effettuate con grandi telescopi. Per fare un esempio, sarebbero “gravemente colpite”, secondo lo studio, fino al 30% delle esposizioni nella prima e ultima parte della notte e fino al 50% delle esposizioni al crepuscolo, dell’Osservatorio statunitense Vera C. Rubin della National Science Foundation (non una struttura dell’ESO).

Le tecniche di mitigazione applicabili ai telescopi dell’ESO non funzionerebbero per il telescopio americano, ma verranno esplorate attivamente altre strategie. Sono necessari quindi ulteriori studi per comprendere appieno le implicazioni scientifiche della perdita di dati osservativi. Si tratta infatti di dati di grande valore, i telescopi per survey a largo campo come l’Osservatorio Vera Rubin possono scansionare rapidamente grandi regioni di cielo e sono perciò cruciali per individuare fenomeni di breve durata, come le supernove o asteroidi potenzialmente pericolosi. Grazie alla loro capacità unica di generare insiemi di dati molto grandi, e di trovare obiettivi di interesse per molti altri Osservatori, le comunità astronomiche e le agenzie di finanziamento hanno classificato i telescopi per survey a largo campo una priorità assoluta per gli sviluppi futuri dell’astronomia.

Un Osservatorio alle medie latitudini vedrebbe solo una frazione dei satelliti di una costellazione in orbita attorno alla Terra. Per essere visto un satellite deve infatti trovarsi sopra all'orizzonte dell'Osservatorio, e deve essere illuminato dal Sole, ma la maggiorparte si trova a elevazioni più basse oppure oscurato dall'ombra della Terra, che aumenta man mano che il cielo notturno avanza. Crediti: ESO/L. Calçada.

Come dicevamo, anche il mondo amatoriale, non solo quello professionale, è preoccupato per l’effetto che queste mega-costellazioni satellitari potrebbero avere sulle osservazioni del cielo notturno. Lo studio mostra che ben 1600 satelitti si troverebbero sopra l’orizzonte di un Osservatorio alle medie latitudini, la maggiorparte dei quali si troverebbe sotto i 30° ma fino a 250 potrebbero trovarsi al di sopra, in quella zona del cielo in cui si svolgono la maggior parte delle osservazioni astronomiche – per minimizzare la turbolenza atomosferica.
Per quanto riguarda l’orario delle osservazioni, ma anche l’osservazione del cielo a occhio nudo, mentre al tramonto e all’alba sarebbero tutti illuminati dal Sole, in realtà via via che ci si inoltra nella notte sempre più satelliti entrano nell’ombra della Terra. Dallo studio si rileva che fino a circa 100 satelliti potrebbero essere abbastanza luminosi da essere visibili a occhio nudo durante le ore del crepuscolo, circa 10 dei quali sarebbero più alti di 30 gradi di elevazione, ma diminuirebbero velocemente a mano a mano che la notte diventa più scura.

Cosa significa in termini pratici per noi amanti del cielo? Complessivamente, queste nuove costellazioni satellitari arriverebbero a raddoppiare il numero di satelliti visibili a occhio nudo nel cielo notturno sopra i 30 gradi.

E i treni di decine di satelliti che abbiamo visto nelle immagini qualche tempo fa? Lo studio non ha preso in considerazione questo effetto, anche se spettacolare e molto luminoso, perché si tratta di un evento visibile solo in un periodo limitato dopo il lancio, e per lo più al crepuscolo; in orario notturno sarebbe visibile solo da aree molto limitate della Terra, impattando quindi in modo trascurabile nella globalità delle osservazioni possibili.

Lo studio dell’ESO utilizza semplificazioni e ipotesi per ottenere una stima degli effetti, che in realtà potrebbero essere più piccoli di quanto calcolato nell’articolo. Saranno comunque necessari modelli più sofisticati per quantificarli con maggiore precisione.

Le costellazioni satellitari avranno anche un impatto sugli Osservatori radio, millimetrici e submillimetrici, tra cui ALMA (Atacama Large Millimeter/submillimeter Array) e lAPEX (Atacama Pathfinder Experiment), impatto che sarà preso in considerazione nei prossimi studi.

L’ESO, insieme con altri Osservatori, l’Unione Astronomica Internazionale (IAU), l’American Astronomical Society (AAS), la UK Royal Astronomical Society (RAS) e altre società scientifiche, sta adottando misure per sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema in sedi internazionali come il Comitato delle Nazioni Unite per gli Usi Pacifici dello Spazio Esterno (COPUOS) e il Comitato europeo per le frequenze della radioastronomia (CRAF).

Allo stesso tempo, con le compagnie spaziali, si esplorano soluzioni pratiche in grado di salvaguardare gli investimenti su larga scala effettuati nelle strutture astronomiche da terra all’avanguardia, sostenendo lo sviluppo di quadri normativi che, in definitiva, garantiscano l’armoniosa coesistenza del progresso tecnologico in orbita bassa (purché promettente negli effetti) in condizioni che consentano all’umanità di continuare l’osservazione e lo studio dell’Universo.

Insomma… è il caso di dire che non tutto il male vien per nuocere? Diventeranno nel tempo uno di quegli eventi da immortalare, e attendere con impazienza, nelle nostre riprese del cielo come lo sono stati i satelliti Iridium o come è tutt’ora il passaggio della stazione spaziale internazionale? Intanto stiamo in allerta e seguiamo l’evoluzione di questo fenomeno.


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Unione Astrofili Italiani UAI

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I convegni e le iniziative UAI
7 e 8 marzo 2° Convegno Nazionale di divulgazione inclusiva

A Chianciano (SI), il secondo Convegno Nazionale di Divulgazione Inclusiva dell’Astronomia, a cura dell’omonimo Programma Nazionale di Attività della commissione Divulgazione. Le “Stelle per tutti”, per la divulgazione dell’astronomia e della scienza in favore delle persone svantaggiate
http://www.uai.it/sito/stellepertutti/

28 e 29 marzo Workshop radioastronomia sullo studio delle PULSAR
Organizzato dal Programma Nazionale di Ricerca Radioastronomia UAI e da IARA presso l’Osservatorio e Planetario di San Giovanni in Persiceto (BO).
http://www.uai.it/sito/ricerca-e-studi/

30 marzo – 5 aprile Maestra Luna
Gli studenti osservano la Luna ad occhio nudo e con il telescopio, misurano le sue dimensioni, la sua distanza, la posizione fra le stelle e come si muove intorno alla Terra scoprendo tante curiosità che non sempre si trovano sui libri scolastici.
http://www.uai.it/sito/didattica-e-formazione/

Unione Astrofili Senesi

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Osservatorio Astronomico Provinciale di Montarrenti, SS. 73 Ponente, Sovicille (SI). L’OAPM apre gratuitamente al pubblico per l’osservazione del cielo notturno il 2° e 4° venerdì del mese

07.03, ore 21:30: Il cielo di marzo.
Ritrovo presso Porta Laterina a Siena da dove raggiungeremo a piedi la Specola “Palmiero Capannoli”. Osserveremo la Luna, prossima alla fase di piena, e prenderemo conoscenza con le costellazioni primaverili che stanno apparendo sempre prima in cielo (Cancro, Leone, Vergine…). Prenotazione obbligatoria sul sito www.astrofilisenesi.it o tramite Davide Scutumella (3388861549). In caso di tempo incerto telefonare per conferma.

13.03 e 27.03, ore 21:30: Il cielo al castello di Montarrenti
L’Osservatorio Astronomico di Montarrenti (SI) sarà aperto al pubblico per delle serate osservative con particolare alla Luna calante il giorno 13, mentre il 27 sarà la volta dei vari oggetti del profondo cielo, come le numerose galassie che sono visibili nel periodo primaverile. Prenotazione obbligatoria sul sito www.astrofilisenesi.it o inviando un messaggio WhatsApp a Patrizio (3472874176) o un sms a Giorgio (3482650891). In caso di tempo incerto telefonare per conferma.

Seguiteci su www.astrofilisenesi.it e sulla nostra pagina facebook Unione Astrofili Senesi

Astronomiamo

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LocandinaCoelum_032020

LocandinaCoelum_032020
Nuovi corsi di Astronomia – The new Astronomy

Durante il mese di marzo si terranno le seguenti conferenze:
Galassie e AGN di Ivan Delvecchio
Relatività e conseguenze di Pia Astone

Per tutte le informazioni consultare il sito:
https://www.astronomiamo.it/

Accademia delle Stelle

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2020-03 Coelum AdS

2020-03 Coelum AdS

9 marzo: inizia il corso di Astronomia a Vicovaro (RM) “Stelle e Lettere”

Corsi di Astronomia a Roma
Il 2020 si apre con due corsi della nostra Scuola di Astronomia, uno il lunedì, l’altro il giovedì, che dureranno fin dopo la metà di marzo presso la nostra sede all’EUR, di fronte alla metro Laurentina ai quali è possibile iscriversi anche dopo l’inizio a prezzo ridotto.

Corso Base di Astronomia Generale
Un meraviglioso viaggio alla scoperta dell’Universo e di tutti gli oggetti incredibili che lo popolano. Pulsar, quasar, buchi neri… Un corso completo delle fasi lunari al Big Bang

Corso completo di Astrofotografia
Lezioni teoriche e pratiche per imparare e sperimentare tutte le competenze che servono per fare spettacolari fotografie del cielo con qualsiasi strumento, dalla semplice reflex al telescopio ed elaborarle.

Info:
https://www.facebook.com/accademia.dellestelle
https://www.accademiadellestelle.org

Scoperta la più grande esplosione dopo il Big Bang

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Immagine composita della regione dell’esplosione. In rosa, il gas caldo diffuso rivelato da Xmm-Newton. In blu i dati radio ottenuti del radiotelescopio Gmrt. In bianco dati i nell’infrarosso della survey 2Mass. Il riquadro in basso a destra mostra un ingrandimento basato sui dati in X ottenuti con Chandra (anch’essi rappresentati in rosa), mentre punti luminosi sparsi nel resto dell’immagine riflettono la distribuzione di stelle e galassie in primo piano. Crediti: X-Ray: Nasa/Cxc/Naval Research Lab/Giacintucci, S.; Xmm: Esa/Xmm; Radio: Ncra/Tifr/Gmrtn; Infrared: 2Mass/Umass/Ipac-Caltech/Nasa/Nsf
Immagine composita della regione dell’esplosione. In rosa, il gas caldo diffuso rivelato da Xmm-Newton. In blu i dati radio ottenuti del radiotelescopio Gmrt. In bianco dati i nell’infrarosso della survey 2Mass. Il riquadro in basso a destra mostra un ingrandimento basato sui dati in X ottenuti con Chandra (anch’essi rappresentati in rosa), mentre punti luminosi sparsi nel resto dell’immagine riflettono la distribuzione di stelle e galassie in primo piano. Crediti: X-Ray: Nasa/Cxc/Naval Research Lab/Giacintucci, S.; Xmm: Esa/Xmm; Radio: Ncra/Tifr/Gmrtn; Infrared: 2Mass/Umass/Ipac-Caltech/Nasa/Nsf

È la più grande esplosione che sia mai avvenuta nell’universo dopo il Big Bang – per quanto ne sappiamo. E a scoprirla è stato un team di astronomi guidato da Simona Giacintucci, un’astrofisica italiana – laurea e dottorato a Bologna – oggi a Washington, negli Stati Uniti, in forze al Naval Research Laboratory. L’esplosione ha avuto origine da un buco nero supermassiccio al centro di una galassia a centinaia di milioni di anni luce di distanza, e ha rilasciato cinque volte più energia rispetto al precedente detentore del record.

Il botto da Guinness è stato rilevato nell’ammasso di Ofiuco, un enorme conglomerato cosmico a circa 390 milioni di anni luce da noi, formato da migliaia di galassie, gas caldo e materia oscura tenuti insieme dalla gravità. Al centro dell’ammasso c’è una grande galassia, contenente a sua volta un buco nero supermassiccio: i ricercatori pensano che la fonte dell’eruzione sia proprio questo buco nero, che si nutre attivamente del gas circostante, espellendo occasionalmente grandi quantità di materia ed energia a velocità relativistiche.

La scoperta è avvenuta analizzando i dati in banda X raccolti con i telescopi spaziali Chandra della Nasa e Xmm-Newton dell’Esa, e i dati radio del Murchison Widefield Array (Mwa), in Australia, e del Giant Metrewave Radio Telescope (Gmrt), in India.

Già osservazioni di Chandra del 2016, condotte da Norbert Werner e colleghi, avevano rivelato, per la prima volta, un indizio di questa immensa esplosione: un insolito “bordo curvo” nell’immagine X dell’ammasso. Presero in considerazione la possibilità che potesse trattarsi di una cavità nel gas caldo circostante, scavata dai getti provenienti dal buco nero supermassiccio. Ma alla fine abbandonarono l’ipotesi, anche perché sarebbe stata necessaria una quantità di energia enorme per dare luogo a una cavità così grande.

E invece, a quanto pare, era proprio così: un’esplosione talmente devastante da scavare una cavità nel plasma dell’ammasso – il gas incandescente che circonda il buco nero. Una dinamica simile a quella dell’eruzione del monte Sant’Elena del 1980, che strappò via la cima della montagna, dice Giacintucci. «La differenza è che, nel cratere prodotto da questa eruzione nel gas caldo dell’ammasso, ci si potrebbero far stare 15 galassie grandi come la Via Lattea una accanto all’altra».

Lo studio, in uscita su The Astrophysical Journal, riporta che il bordo curvo della cavità osservata in precedenza da Chandra è in seguito stato rilevato anche da Xmm-Newton, confermando così l’osservazione. Cruciali sono stati inoltre i nuovi dati radio del radiotelescopio Mwa, e quelli di archivio di Gmrt, per dimostrare che il bordo curvo, circondando una regione densa d’emissione radio, fa effettivamente parte della parete di una cavità. Emissione radio, spiegano gli autori, che proviene da elettroni accelerati – probabilmente dal buco nero supermassiccio – quasi alla velocità della luce.

Per saperne di più:

Guarda il servizio video di MediaInaf Tv:


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Mostra di Astronomia e Astronautica a Santa Maria di Sala (VE)

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Locandina 23a Mostra Astronomia

Locandina 23a Mostra Astronomia23ª edizione dell’annuale Mostra di Astronomia e Astronautica organizzata dal Gruppo Astrofili Salese.

La splendida cornice di Villa Farsetti a Santa Maria di Sala ospita questo immancabile appuntamento per tutti gli appassionati di astronomia e gli amanti dell’osservazione delle stelle.
L’edizione 2020 è dedicata alle DONNE NELLA SCIENZA, e in particolar modo alle figure femminili che con le loro scoperte ed intuizioni hanno segnato importanti traguardi nella storia dell’astronomia.

Per maggiori informazioni: https://www.astrosalese.it/mostra-di-astronomia-e-astronautica-2020/

Bolide diurno sull’Italia centro-settentrionale

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Immagine del bolide diurno It20200228 ripresa da una dashcam da Zagabria. Crediti: Tomislav Čar
Immagine del bolide diurno It20200228 ripresa da una dashcam da Zagabria. Crediti: Tomislav Čar

A quasi due mesi dalla caduta del bolide del 1° gennaio 2020 che ha portato al ritrovamento della meteorite Cavezzo (Modena), questa mattina migliaia di persone in tutta Italia hanno potuto assistere a un fenomeno molto raro: un bolide diurno. Ecco una prima ricostruzione del fenomeno in base ai dati raccolti dal progetto Prisma.

Erano le 09:30:34 ora di Greenwich (le 10:30:34 dei nostri orologi), quando un brillante bolide di colore bianco ha solcato i cieli italiani seguendo una traiettoria approssimativamente da sud-ovest verso nord-est. Il bolide era molto luminoso, perfettamente visibile anche in pieno dì, nonostante la luce del Sole.

Immediatamente il form per la segnalazione dei bolidi del progetto PRISMA, coordinato dall’Inaf, è stato preso d’assalto e in breve tempo sono giunte decine di segnalazioni visuali, mentre sui social comparivano immagini e video del bolide ripresi sia dall’Italia sia dalla vicina Croazia.

Purtroppo, durante il giorno le camere all-sky della rete Prisma non sono in modalità presa dati, perché con la luce solare ci sarebbero tantissimi falsi positivi. Tuttavia è possibile ricavare a grandi linee la traiettoria che il bolide ha percorso sulla superficie terrestre triangolando direttamente le testimonianze visuali.

Ed è quello che è stato fatto in queste ore dal team di Prisma. Il risultato – preliminare – è nell’immagine qui sotto. Il bolide ha percorso una traiettoria moderatamente inclinata sulla superficie terrestre, circa 50°. I testimoni visuali lo hanno visto percorrere le coste dell’ex Jugoslavia, approssimativamente da sud-est verso nord-ovest. Nella parte finale della traiettoria il bolide ha subito due esplosioni, effetti della frammentazione del meteoroide originario, e nel cielo, per un paio d’ore, è rimasta visibile una piccola nube di colore biancastro.

La traiettoria proiettata al suolo di It20200228 ottenuta usando osservazioni visuali italiane, croate e slovene. Il simbolo rosso a sinistra indica la posizione dell’esplosione rilevata dai satelliti militari statunitensi

Il bolide è stato anche rilevato dallo spazio. Infatti i satelliti militari statunitensi hanno rilevato un’esplosione in atmosfera alle 09:30:34 Ut, alle coordinate 45,7° N, 11,5° E ossia circa sulla verticale di Thiene. Da questi dati satellitari, la quota dell’esplosione del bolide risulta di circa 34,5 km con una velocità del meteoroide, al momento dell’esplosione, di 21,5 km/s. L’energia sviluppata risulta di circa 0,34 kt (1/50 della bomba atomica di Hiroscima), compatibile con un meteoroide roccioso di circa 1,5 metri di diametro.

Viste le dimensioni è molto probabile che qualche frammento sia arrivato al suolo, ma con le sole testimonianze visuali non è possibile individuare l’esatto punto di caduta. Se vogliamo il fenomeno di stamattina è, in scala minore, simile al bolide di Cheliabinsk, caduto in Russia il 15 febbraio 2013. In quest’ultimo caso, però, si trattava di un piccolo asteroide di circa 10 metri di diametro e gli effetti sono stati ben maggiori.

Aggiornamento del 29.02.2020: avvalendoci dei dati resi disponibili dai satelliti militari statunitensi e includendo anche osservazioni visuali dall’ex Jugoslavia, abbiamo affinato l’orario dell’evento (inizialmente avevamo riportato 09:35:25 UT) e l’immagine con la traiettoria del bolide. Fonte: progetto Prisma

Qui al link il video che il ciclista Mauro Conforti ha gentilmente condiviso con Media Inaf, registrato dalla cam della sua mountain bike mentre si trovava nei dintorni di Matelica (MC)


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Space Adventure

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Fino al 22 marzo 2020

Space Adventure racconta ai visitatori di tutto il mondo una epopea straordinaria con i reperti originali – le navicelle, i satelliti, i razzi e i modelli in scala che tracciano l’arduo sentiero esplorato da astronauti, tecnici e scienziati.

Copenaghen, Tel Aviv, Johannesburg, Varsavia, Bucarest e ora a Torino: lo spazio e le sue meraviglie sono raccontate con gli oggetti e le istruzioni per l’uso degli enti che hanno scritto la storia dello spazio: NASA, ESA, ASI e ROSCosmos – l’Agenzia Spaziale Russa.

Da Torino, dal Parco del Valentino, partiremo di nuovo con l’astronave “Space Adventure”: con le immagini, i simulatori interattivi e la nostra mente percorreremo milioni di chilometri in un angolo del Sistema Solare, quello più vicino alla nostra Terra, per incontrare due pianeti affascinanti, Mercurio e Marte, qualche cometa e il satellite che da sempre accompagna le notti e i sogni dell’uomo, la Luna.

www.space-adventure.it
Attenzione! SPACE ADVENTURE resterà chiusa al pubblico fino a sabato 29 febbraio compreso

I colori della Scienza. Nell’arte della ricerca scientifica

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i_colori_della_scienza-immagine

i_colori_della_scienza-immagine

Dall’1 al 15 marzo 2020, presso la Sala della Gran Guardia, in piazza dei Signori a Padova.

L’arte come linguaggio comune a ogni processo creativo, per costruire un ponte tra la comunità scientifica e la scuola, e avvicinare i ragazzi e il pubblico alla scienza.
Assieme ad alcune opere della collezione artistica del CERN Art@CMS realizzate da artisti provenienti da diverse parti del mondo, saranno esposti anche i lavori artistici degli studenti di alcune scuole superiori che hanno partecipato al progetto Art&Science Across Italy, a cura dell’INFN.
Nell’ambito della mostra, è prevista una conferenza presso Sala Paladin, relatore il prof. Giulio Peruzzi, Docente di Storia della Fisica all’Università di Padova, con successivo trasferimento alla Gran Guardia per visitare la mostra.

L’iniziativa Padovana è realizzata con dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Padova, la collaborazione del Dipartimento di Fisica e Astronomia e del Dipartimento dei Beni Culturali dell’Università degli Studi di Padova.

Orario mostra: mart. – dom. 10-13 | 14-18

Approfondimenti su padovacultura.padovanet.it

Per via delle misure di contenimento del Coronavirus, si consiglia di verificare sul sito l’eventuale cancellazione degli eventi.

Il Cielo di Marzo 2020

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La cartina mostra l'aspetto del cielo alle ore (TMEC): 1 Mar > 00:00; 15 Mar > 23:00; 31 Mar > 22:00. Crediti Coelum Astronomia CC-BY

EFFEMERIDI

Luna

Sole e Pianeti

Ad annunciare la nuova stagione è come sempre il Leone che, con il suo caratteristico profilo segnato dalla stella Regolo, dominerà già il cielo a sud, circondato da costellazioni molto meno appariscenti come il Leone Minore, il Sestante e la Chioma di Berenice.

Niente a che vedere con l’impressionante lucentezza delle costellazioni invernali, ma c’è da tener conto del fatto che, in primavera, la porzione di cielo che si offre ai nostri occhi è quello che sta al di fuori del piano della Via Lattea, dove le stelle sono molto più rare.

Potremo però dedicarci all’osservazione dei molti oggetti che si trovano al di fuori della Via Lattea, come numerose e affascinanti galassie percepibili però soltanto al telescopio o al binocolo. Più a est, le costellazioni della Vergine, con la bella stella Spica, del Boote, con l’arancione Arturo, e di Ercole, in successione, saranno già in viaggio verso il meridiano, annunciando con quest’ultima addirittura un sapore di estate.

➜ Il Cielo di marzo con la UAI: Viaggio tra le giganti del cielo di primavera

COSA OFFRE IL CIELO

Venere al Tramonto di Tiziano Caliandro. Venere saluta gli amici dell’Accademia delle Stelle ad inizio notte osservativa a Tolfa. Per tutti i dettagli di ripresa cliccare sull'immagine.

Venere continua a dominare il cielo della sera, sempre più brillante e alto, praticamente da solo. Tutti gli altri pianeti infatti continuano a mostrarsi ai mattinieri. Marte rifnorza la sua presenza mostrandosi già qualche ora prima dell’alba, accompagnato da Giove e Saturno, che lo seguono in sequenza e daranno vita a una serie di congiunzioni sempre con la complicità della falce di Luna.

Maggiori dettagli e informazioni anche sui più distanti Urano e Nettuno, non visibili a occhio nudo, su pianeti nani e asteroidi, li trovate sempre sul

➜  Cielo di Marzo all’interno del nuovo numero (sempre in formato digitale e gratuito!)

➜ Ricordiamo anche l’articolo nel numero di gennaio dedicato a Venere: Vespero, stella della sera, a Lucifero, stella del mattino, di Giorgia Hofer.

Maratona Messier

Per tutto il necessario, vedi anche:

Primavera in arrivo, tempo di Maratona Messier con tanti link utili

• Il racconto e i consigli di Claudio Pra su Maratona Messier: Tutto in una notte, con le testimonianze di esperti astrofili

• Il sito internazionale di riferimento: www.messier.seds.org

Hai tentato la maratona? Raccontacelo scrivendo a segreteria@coelum.com

Come ogni anno, marzo è il periodo ottimale per tentare la Maratona Messier, ossia la sfida che prevede di osservare tutti gli oggetti del celebre Catalogo Messier in una sola notte.

Nel 2020 la Luna Nuova si verificherà il 24 marzo. L’assenza della Luna in cielo è un fattore fondamentale per riuscire a osservare anche i più elusivi oggetti deep-sky del catalogo, per questo chi attende il fine settimana per raggiungere cieli bui da cui effettuare l’osservazione avrà due opportunità per tentare la Maratona: la prima sarà il weekend del 21-22 marzo e la seconda, il 28-29 marzo 2020.

Sottili falci di Luna e luce cinerea

l’ultimo falcetto di Luna calante prima del Novilunio e Giove di Anna Maria Catalano e Franco Traviglia

Per quanto riguarda le sottili falci di Luna l’appuntamento è al mattino il 20 e 21 marzo e, dopo il Novilunio, la sera il 26 e 27 marzo.

Per maggiori dettagli su orari e formazioni lunari da osservare con l’aiuto di uno strumento consiltare la sezione dedicata a cura di Francesco Badalotti.

Continua l’esplorazione delle formazioni lunari nella Luna di marzo

E ancora su Coelum astronomia 242

➜ La Luna di Marzo 2020
e una guida per l’osservazione della Regione dei Grandi Laghi

➜ Leggi le indicazioni di Giuseppe Petricca sui principali passaggi della ISS

➜ Comete. La PanSTARR ospite della Regina

➜ Ricerca di Supernovae: Quattro nuove scoperte amatoriali dal Giappone

e il Calendario di tutti gli eventi di marzo 2020, giorno per giorno!

Hai compiuto un’osservazione? Condividi le tue impressioni, mandaci i tuoi report osservativi o un breve commento sui fenomeni osservati: puoi scriverci a segreteria@coelum.com. E se hai scattato qualche fotografia agli eventi segnalati, carica le tue foto in PhotoCoelum!

Tutti consigli per l’osservazione del Cielo di Marzo su Coelum Astronomia 240

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La ragazza che amava “contare”

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A darne la notizia con un tweet è stato l’amministratore della Nasa Jim Bridenstine, seguito dal retweet del Nasa Langley laboratory, il laboratorio per il quale ha lavorato per oltre 30 anni: la matematica Katherine Johnson si è spenta all’età di 101 anni.

Ce la ricordiamo tutti ne “Il diritto di contare”, il film – tratto dal libro Hidden Figures, “Figure nascoste” – dove la protagonista Taraji P. Henson ha interpretato la straordinaria vita piena di successi pionieristici della matematica e scienziata afroamericana. Primo fra tutti quello di essere uno dei tre studenti neri, nonché l’unica donna, selezionati per frequentare la scuola di specializzazione in Matematica della West Virginia University nell’America razzista e sessista degli anni in cui è vissuta.

Nata nel 1918 a White Sulphur Springs, nel West Virginia, in America, dopo aver frequentato il liceo in un campus per soli neri del suo paese, a diciotto anni si iscrive al college, dove si laurea in matematica con il massimo dei voti nel 1937. Due anni dopo, nel 1939, dopo una sentenza della Corte Suprema dello stato del Missouri, è tra i primi tre studenti di colore ammessi a frequentare il Phd in matematica alla West Virginia University. Corso che tuttavia non segnerà la brillante carriera della scienziata. Lascerà infatti la scuola per dedicarsi alla famiglia, consapevole però di rimettersi in gioco non appena i tre figli sarebbero diventati più grandi. E così fece. Tornò dapprima ad insegnare matematica come aveva fatto subito dopo la laurea. Poi, nel 1952, la svolta che le cambiò la vita. Viene a sapere di posizioni aperte nella sezione per soli neri della West area Computing, presso il laboratorio Langley del National Advisory Committee for Aeronautics (Naca), l’agenzia governativa che da lì a poco sarebbe diventata la National Aeronautics and Space Administration, Ente Nazionale per le attività Spaziali e Aeronautiche“, in italiano, ovvero la Nasa. Assunta, iniziò a lavorare in quello che è oggi il Langley Research Center della NASA nell’estate del 1953. A sole due settimane dal suo incarico, fu assegnata al Maneuver Loads Branch della divisione Flight Research, dove lavorò per quattro anni a un programma di ricerca per l’attenuazione degli effetti delle raffiche di vento sugli aerei. Nonostante la iniziale discriminazione razziale e di genere sul posto di lavoro, grazie alla sua tenacia, riesce a farsi strada e convincere i suoi colleghi del suo valore.

Nel 1957, nello stesso anno del lancio di Sputnik – il satellite artificiale Russo che aprì la corsa allo spazio – contribuì con i suoi calcoli alla stesura del documento Note sulla tecnologia spaziale, una raccolta di lectures di ingegneri che hanno costituito il nucleo dello Space Task Group: la prima incursione ufficiale dell’America nei voli spaziali.

Katherine Johnson (26 agosto 1918 – 24 febbraio 2020). Fonte: Nasa

Katherine Johnson (26 agosto 1918 – 24 febbraio 2020). Fonte: Nasa

Nel 1960, partecipa alla realizzazione e firma il documento “Determination of Azimuth Angle at Burnout for Placing a Satellite Over a Selected Earth Position”, un rapporto che delinea le equazioni che descrivono un volo spaziale orbitale in cui è specificata la posizione di atterraggio del veicolo spaziale. Per la prima volta una donna della divisione di ricerca sul volo riceveva credito come autrice di un rapporto di ricerca.

Ma fu il 1961 che segnò la carriera della scienziata. È grazie alla sua analisi della traiettoria per la missione Freedom 7 che Alan Shepard poté infatti divenire il primo americano e il secondo uomo nella storia ad effettuare un volo spaziale, seguendo di pochi mesi il sovietico Jurij Gagarin.

Anche nel tentativo di eguagliare la missione sovietica, effettuato nel 1962 con la missione orbitale Friendship 7 di John Glenn, la scienziata fu chiamata in causa. Un lavoro per il quale sarebbe entrata di diritto nella storia. La complessità del volo orbitale richiese la costruzione di una rete di comunicazioni mondiale che doveva collegare stazioni di monitoraggio in tutto il mondo ai computer Ibm a Washington, Cape Canaveral e Bermuda. Computer programmati con le equazioni orbitali che avrebbero dovuto controllare la traiettoria della capsula, dal decollo all’atterraggio. Ma gli astronauti erano diffidenti nell’affidare le loro vite a macchine calcolatrici elettroniche, inclini, a quei tempi, a singhiozzi e blackout. Come parte della checklist di pre-volo, un elenco di attività che devono essere eseguite dal personale di volo prima del decollo, Glenn chiese quindi agli ingegneri che quella donna, nera, verificasse i calcoli attraverso le stesse equazioni che erano state programmate nel computer. «Se lei dice che vanno bene», ricordava di Glenn la stessa Katherine Johnson «allora sono pronto per partire». La missione ebbe il successo che tutti conosciamo, segnando una svolta nella competizione tra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica nella conquista dello spazio.

Ma non è finita. Erano sempre suoi i calcoli che permettendo la sincronizzazione del modulo lunare con il modulo di comando e servizio del Progetto Apollo hanno portato l’uomo sulla Luna. Ma il suo più importante contributo è forse un altro, ‘incalcolabile’, che come esempio di vita ha lasciato a tutti: la necessità di uguaglianza, la passione e la tenacia con cui possiamo superare i limiti e raggiungere obiettivi prima impensabili.

Si ritirò nel 1986, dopo 33 anni di servizio. Medaglia presidenziale della libertà, il più alto onore civile che un americano possa ricevere, le sono stati dedicati il Computational Research Facility a Hampton, e l’Independent Verification and Validation (IV&V) Facility a Fairmont, in Virginia. La ricordiamo con le stesse parole con cui la Nasa la celebra nel suo tweet: «Stasera, conta le stelle e ricorda una pioniera».


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Betelgeuse riprende lentamente a brillare

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Solo qualche giorno fa, le immagini del VLT dell'ESO mostravano l'oscuramento di più della metà della superficie della stella, probabilmente per via dei gas e delle polveri emesse dalla stella morente, ma forse anche di macchie stellari particolarmente estese. Dopo la metà di febbraio sembra che la stella stia invece riacquistando luminosità. Crediti: ESO/M. Montargès et al.
Solo qualche giorno fa, le immagini del VLT dell'ESO mostravano l'oscuramento di più della metà della superficie della stella, probabilmente per via dei gas e delle polveri emesse dalla stella morente, ma forse anche di macchie stellari particolarmente estese. Dopo la metà di febbraio sembra che la stella stia invece riacquistando luminosità. Crediti: ESO/M. Montargès et al.

Dalle ultime misurazioni effettuate sulla sua luminosità, dopo un piccolo ulteriore calo, Betelgeuse sembra essersi ripresa… gli indizi indicano infatti un aumento in corso della sua luminosità. Niente supernova galattica quindi, almeno per il momento. La supergigante rossa infatti si avvia comunque verso quel destino, ma il “quando” resta ancora un terno al lotto.

Lo annuncia l’ultimo bollettino, del 22 febbraio, pubblicato su astronomerstelegram.org, la piattaforma a disposizione degli astronomi per favorire la distribuzione veloce dei risultati delle osservazioni. I dati delle ultime due settimane dicono che la sua luminosità avrebbe raggiunto un minimo tra il 7 e il 13 febbraio, con una magnitudine attorno alla +1,6, e che ora sarebbe in ripresa. Solo qualche giorno fa, dall’ESO è arrivata la notizia delle immagini riprese da VISIR e SPHERE, montati su VLT, che mostravano la concentrazione di gas e polveri attorno alla stella e il forte oscuramento di più di metà della superficie della stella, in quel momento Betelgeuse brillava di magnitudine +1,3.

La rossa Betelgeuse in tempi migliori di questi, nel marzo 2017, ripresa da Giorgia Hofer, nell'insieme della magnificenza della costellazione di cui fa parte, Orione. Nel numero di marzo 2020 di Coelum Astronomia, Giorgia ci offre qualche consiglio per seguire le sorti della stella, con un pizzico di speranza nel vederla, prima o poi, splendere come una supernova galattica. In basso a sinistra fa capolino M42, la nebulosa di Orione. Clicca sull

Questo minimo ora rivelato, sarebbe consistente con il periodo di variabilità della stella, che è calcolato tra 420/430 giorni. Anche se il calo particolarmente repentino e profondo aveva stupito tutti gli osservatori, rientrebbe nella norma della turbolenta fase del fine vita di una stella di sequenza, com’è Betelgeuse, che si trova ormai verso il termine della sua vita.

Un ulteriore bollettino, del 24 febbraio, ha poi rivelato come l’energia totale della stella, misurata negli infrarossi, non sia in realtà sostanzialmente cambiata negli utlimi 50 anni se non di molto poco (al netto degli errori della strumentazione utilizzata nelle diverse misurazioni), il calo repentino nella magnitudine visuale sarebbe dunque dovuto a fenomeni locali, probabilmente nella linea di vista. Come anche lo strumento VISIR del VLT indicava, quindi, a possibili nubi di gas e materiale espulso dalla stella, o a modifiche delle caratteristiche della sua superficie (temperatura e corrispondente aspetto, come possono essere le macchie solari). Potrebbe ancora esplodere domani come entro 100 mila anni, ma di sicuro questo piccolo deafult non indica l’imminente esplosione della stella.

Ora si dovrà continuare a monitorare la stella con osservazioni possibilmente in tutte le lunghezze d’onda, non solo per comprendere la natura di questo calo, ma anche per capire cosa combinerà adesso… segretamente sperando sempre in una esplosione in supernova che sarebbe tanto strabiliante da osservare quanto importante per lo studio dell’evoluzione stellare.

Leggi anche

Betelgeuse: la prossima supernova galattica? Nell’attesa… riprendiamo la bella stella nel pieno della sua ultima e turbolenta fase evolutiva.


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Una sottile falce di Luna crescente e Venere nel cielo della sera

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La sera del 27 febbraio, guardando verso ponente, potremo notare con facilità la presenza in cielo della Luna, una bella falce sottile (fase del 15%), accompagnata da un astro sfavillante, il brillante pianeta Venere (mag. –4,2).

Sebbene la coppia sia facilmente individuabile non appena il cielo si sarà fatto sufficientemente scuro, consigliamo di dedicarci all’osservazione di questa larga congiunzione (separazione di 6°) verso le ore 20:15, quando gli astri saranno alti circa 15° sull’orizzonte ovest e potranno offrirci innumerevoli opportunità di realizzare degli affascinanti scatti fotografici.

Ricordiamo a questo proposito la rubrica di astrofotografia del numero scorso dedicata proprio a Venere nel 2020: Vespero vs Lucifero

Le effemeridi di Luna e Pianeti le trovi nel Cielo di Febbraio 2020 su coelum.com

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➜ Il Cielo di febbraio con la UAI: viaggio tra le galassie del Leone

➜ Continuiamo il viaggio deep sky nel Cane Maggiore (II parte): Mizram e i suoi dintorni


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Osservatorio Astronomico Provinciale di Montarrenti, SS. 73 Ponente, Sovicille (SI).
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28.02, ore 21:30: Il cielo al castello di Montarrenti
L’Osservatorio Astronomico di Montarrenti (SI) sarà aperto al pubblico per delle serate osservative, con particolare attenzione agli ammassi stellari e ai vari oggetti del profondo cielo, come la Nebulosa di Orione che domina il cielo del periodo. Prenotazione obbligatoria sul sito o inviando un messaggio WhatsApp a Patrizio (3472874176) oppure un sms a Giorgio (3482650891).

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LocandinaCoelum_02202027.02: Webinar di Aggiornamento Astronomico

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Giovedì scienza

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Giovedì Scienza

Ogni settimana il Teatro Colosseo, l’Aula magna della Cavallerizza Reale dell’Università di Torino, l’Aula magna “Giovanni Agnelli” del Politecnico di Torino e l’Auditorium della Città metropolitana di Torino, si trasformano in un grande laboratorio scientifico.
Da novembre a marzo non solo conferenze ma dimostrazioni, esperimenti di laboratorio, spettacoli teatrali e filmati per portare il sapore della ricerca al grande pubblico.

Segnaliamo, a tema astronomico:
27.02, ore 17:45: L’esperienza del cielo, diario di un astrofisico: la missione in antartide con un team internazionale. Di Federico Nati (Astrofisico, Università di Milano

Calendario degli appuntamenti

La partecipazione è aperta a tutti, l’appuntamento è il giovedì alle 17.45
INGRESSO LIBERO FINO A ESAURIMENTO POSTI

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Juno alla ricerca di acqua su Giove

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La regione equatoriale di Giove. In questa immagine, come sempre raccolta dalla JunoCam e elaborata nella community dedicata, in questo caso dall'ormai noto Kevin M. Gill, vediamo Giove "disteso", con i poli (non visibili) da sinistra verso destra. Lo scatto è del 1 settembre 2017
La regione equatoriale di Giove. In questa immagine – come sempre raccolta dalla JunoCam e elaborata nella community dedicata, in questo caso dall'ormai noto Kevin M. Gill – vediamo Giove "disteso", con i poli (non visibili) da sinistra verso destra, per mettere in evidenza la turbolenza della fascia equatoriale del pianeta. Lo scatto è del 1 settembre 2017. NASA/JPL-Caltech/SwRI/MSSS/Kevin M. Gill

È un po’ che non ne parliamo, ma Juno la missione della NASA che dal 2016 orbita attorno a Giove avvicinandosi periodicamente alla parte alta della sua atmosfera, continua a raccogliere dati per gli scienziati e a fornire materiale per le straordinarie immagini elaborate dalla Juncam community. L’ultimo flyby è avvenuto il 17 febbraio, mentre il prossimo sarà per il 10 aprile e, recentemente, sulla rivista Nature Astronomy sono apparsi i primi risultati scientifici sulla quantità d’acqua presente nell’atmosfera di Giove.

I dati raccolti da Juno, infatti, danno una stima della quantità d’acqua contenuta nelle nubi gioviane, che all’equatore raggiungerebbero lo 0,25% delle molecole presenti nell’atmosfera, quasi tre volte quella del Sole… un dato che ha sorpreso i ricercatori, ma vediamo tutti i passaggi.

In questa immagine invece Giove è "in piedi", con il polo nord (sempre non visibile nell'inquadratura) in alto. Qui vediamo invece alcune spesse nubi della fascia equatoriale, che impediscono la misurazione agli infrarossi delle abbondanze d'acqua. Spesse nubi che invece sono "trasparenti" alle microonde, motivo per cui lo strumento MWR riesce ad arrivare con le sue misurazioni fino a quasi 150 chilometri di profondità. L'immagine è sempre stata elaborata da Kevin M. Gill, e rilasciata in questi giorni, dalle immagini grezze riprese il 16 dicembre del 2017 dalla JunoCam condivise nella community dedicata. NASA/JPL-Caltech/SwRI/MSSS/Kevin M. Gill

Durante la missione Galileo, nel 1995, i dati raccolti dalla sonda suggerivano che Giove dovesse essere estremamente più “arido” del Sole. Si parla ovviamente non di un confronto sulla quantità di acqua liquida, nessuno dei due astri può chiaramente ospitarne, ma sulla presenza dei suoi componenti, ossigeno e idrogeno.
Per decenni gli scienziati hanno atteso una stima accurata di queste quantità, visto che Giove fu probabilmente il primo pianeta a formarsi, e contiene la maggiorparte dei gas e della polvere che non sono andati a formare il Sole. Le principali teorie sulla sua formazione si basano sulla quantità di acqua assorbita dal pianeta, ecco quindi che averne una stima serve non solo a comprendere meglio la formazione del gigante gassoso, ma anche a completare una parte importante del puzzle di come il nostro Sistema Solare si sia formato. L’abbondanza d’acqua ha anche importanti implicazioni per la meteorologia del gigante gassoso e per conoscerne la sua struttura interna.

La presenza di acqua era stata suggerita dai fulmini – un fenomeno tipicamente alimentato dall’umidità – rilevati su Giove dalle Voyager e da altre sonde, ma nessuna di queste aveva mai tentato una stima accurata della quantità di acqua in profondità nell’atmosfera del pianeta.

Lo fece, come abbiamo accennato, la sonda Galileo che – prima che interrompesse le tramissioni durante la sua discesa nell’atmosfera gioviana in cui si è tuffata nel dicembre 1995 – era riuscita a misurare con il suo spettrometro la quantità di acqua fino a una profondità di circa 120 km, dove la pressione atmosferica raggiungeva i 22 bar, trovando una quantità d’acqua dieci volte inferiore a quella prevista!

Ancora più sorprendente: la quantità di acqua misurata sembrava essere in aumento alla massima profondità misurata, molto al di sotto di dove le teorie suggerivano che l’atmosfera di Giove dovesse essere ben miscelata. In un’atmosfera ben miscelata, infatti, il contenuto di acqua è costante in tutta la regione e ha maggiori probabilità di rappresentare una media globale. Questi dati combinati con una mappa a infrarossi, ottenuta in contemporaneamente da un telescopio a terra, ha fatto pensare però che si sia trattato di “un caso” e che la sonda si fosse trovata a campionare un punto insolitamente secco e caldo.

Insomma… Giove non consente approssimazioni. «Proprio quando pensiamo di aver capito le cose, Giove ci ricorda quanto dobbiamo ancora imparare», ammette Scott Bolton, investigatore principale di Juno presso il Southwest Research Institute di San Antonio.

Vista l’esperienza della sonda Galileo, con Juno si sta cercando di misurare l’abbondanza d’acqua in vaste regioni in tutto il pianeta, utilizzando un radiometro a microonde (MWR) invece che gli infrarossi, che vengono “bloccati” dalle spesse nubi. Osservando Giove dall’alto con sei antenne che misurano contemporaneamente la temperatura atmosferica a più profondità, viene sfruttata la proprietà dell’acqua (ma anche dell’ammoniaca, che viene misurata allo stesso modo) di assorbire determinate lunghezze d’onda della radiazione a microonde (lo stesso principio sfruttato dai forni a microonde per scaldare i cibi).

In questo modo Juno è riuscita a raggiungere profondità molto maggiori rispetto alla Galileo, arrivando a quasi 150 chilometri, dove la pressione raggiunge i 33 bar. Nei primi otto flyby i ricercatori si sono concentrati sulle regioni equatoriali, dove sembra che l’atmosfera sia meglio miscelata che altrove.

Ed è così che «abbiamo trovato che l’acqua all’equatore era molta di più di quanto misurato dalla sonda Galileo», spiega Cheng Li, del team scientifico della missione. «Ma poiché la regione equatoriale è molto particolare su Giove, si dovrà confrontare questo risultato con l’abbondanza d’acqua di altre regioni».

Un dettaglio della zona in prossimità del polo nord di Giove ripresa nell’infrarosso dallo strumento Jiram a bordo della sonda Juno della Nasa. Attorno a quello centrale, sono disposti altri otto cicloni. Crediti: NASA/JPL-Calthech/SwRI/ASI/INAF/JIRAM

L’orbita di 53 giorni di Juno si sta lentamente spostando verso nord, come previsto, esponendo quindi maggiormente l’emisfero nord alle misurazioni degli strumenti a bordo della sonda, oltre che al fuoco della JunoCam.

Gli scienziati sono quindi ora impazienti di vedere i nuovi dati per capire in che modo l’abbondanza d’acqua varia in base alla latitudine e quale può essere l’apporto, da questo punto di vista, dei numerosi cicloni che si formano al polo nord.

Noi attendiamo quindi nuovi risultati e ci godiamo le magnifiche imamgini che arrivano senza sosta dalla JunoCam community!

Le immagini grezze messe a disposizione degli appassionati della JunoCam Community si possono vedere al link https://missionjuno.swri.edu/junocam/processing

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Betelgeuse e il suo calo di luminosità visti “da vicino”

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La stella supergigante rossa Betelgeuse, nella costellazione di Orione, si sta affievolendo come mai prima d'ora.Questa straordinaria immagine della superficie della stella, presa con lo strumento SPHERE sul VLT (Very Large Telescope) dell'ESO alla fine dell'anno scorso, è tra le prime osservazioni ottenute durante una campagna di osservazione volta a capire perché la stella stia diventando più debole.Confrontata con l'immagine scattata nel gennaio 2019, mostra quanto la stella è più debole e come è apparentemente cambiato il suo aspetto. Crediti: ESO/M. Montargès et al.
La stella supergigante rossa Betelgeuse, nella costellazione di Orione, si sta affievolendo come mai prima d'ora. Questa straordinaria immagine della superficie della stella, presa con lo strumento SPHERE sul VLT (Very Large Telescope) dell'ESO alla fine dell'anno scorso, è tra le prime osservazioni ottenute durante una campagna di osservazione volta a capire perché la stella stia diventando più debole. Confrontata con l'immagine scattata nel gennaio 2019, mostra quanto la stella sia più debole e come sia apparentemente cambiato il suo aspetto. Crediti: ESO/M. Montargès et al.

Finora Betelgeuse è stata un faro nella notte per chiunque osservasse le stelle, ma verso la fine dell’anno scorso ha iniziato a diventare più debole. Mentre scriviamo, Betelgeuse è circa al 36% della sua luminosità normale, un cambiamento evidente anche a occhio nudo. Sia gli appassionati di astronomia che gli scienziati sono incuriositi da questo affievolimento senza precedenti.

Un’equipe guidata da Miguel Montargès, astronomo della KU di Lovanio in Belgio, sta osservando la stella con il VLT (Very Large Telescope) dell’ESO da dicembre, con l’obiettivo di capire perché stia diventando più debole. Tra le prime osservazioni emerse dalla campagna troviamo una nuova, straordinaria immagine della superficie di Betelgeuse, scattata alla fine dell’anno scorso con lo strumento SPHERE.

Questa straordinaria immagine della superficie della stella, è stata presa con lo strumento SPHERE sul VLT (Very Large Telescope) dell'ESO nel gennaio 2019, prima che la stella iniziasse a diventare più fioca. Confrontata con l'immagine scattata nel dicembre 2019, mostra quanto la stella sia ora più debole e come sia apparentemente cambiato il suo aspetto. Crediti: ESO/M. Montargès et al.

La stessa equipe aveva anche osservato per caso la stessa stella con SPHERE nel gennaio 2019, prima che iniziasse la diminuzione di intensità, dandoci un’immagine “prima e dopo” di Betelgeuse.

Scattate in luce visibile, le immagini evidenziano i cambiamenti che si stanno verificando sulla stella, sia in termini di luminosità che di forma apparente.

Molti appassionati di astronomia si sono chiesti se l’affievolimento di Betelgeuse significasse che stava per esplodere. Come tutti le supergiganti rosse, un giorno Betelgeuse diventerà una supernova, ma gli astronomi non pensano che sia quello che sta accadendo ora. Hanno altre ipotesi per spiegare cosa esattamente sta causando il cambiamento di forma e luminosità osservato nelle immagini di SPHERE.

In questa immagine ottenuta con lo strumenti VISIR, vediamo la luce infrarossa emessa dalla polvere che circondava Betelgeuse nello scorso dicembre. Le nubi di polvere, anche se in questa immagine sembrano più fiamme infuocate, si formano quando la stella rilascia materia nello spazio. Il disco nero al centro oscura la luminosità della stella e di gran parte di ciò che la circonda. Le reali dimensioni sono infatti quelle del puntino arancione al centro, l'immagine della superficie stellare ripresa da SPHERE. Crediti: ESO/P. Kervella/M. Montargès et al., Acknowledgement: Eric Pantin

«I due scenari a cui stiamo lavorando sono: un raffreddamento della superficie dovuto a un periodo di attività stellare eccezionale e l’espulsione di polvere nella nostra direzione», afferma Montargès. «Naturalmente, la nostra conoscenza delle supergiganti rosse rimane incompleta e il nostro lavoro è ancora in corso, quindi non possiamo escludere sorprese a priori».

La superficie irregolare di Betelgeuse, infatti, è costituita da gigantesche cellule convettive che si muovono, si restringono e si gonfiano. La stella inoltre pulsa, proprio come un cuore, con un mutamento periodico di luminosità. L’attività stellare è composta proprio da questi mutamenti dovuti alla convezione e alla pulsazione in Betelgeuse.

A Montargès e al suo gruppo serviva il VLT al Cerro Paranal in Cile per studiare la stella, che si trova a oltre 700 anni luce di distanza, e raccogliere indizi sul suo affievolimento.

Un'impressione artistica di Betelgeuse, una stella così grande e sufficientemente vicina che ne siamo risuciti a ditinguere le particolarità di superficie e corona. Siamo riusciti a osservare le giganti celle che ribollono sulla sua superficie e a misurare i pennacchi della sua corona, così vasti da avere dimensioni paragonabili al nostro Sistema Solare. Nella figura le due scale sono sia in unità astronomica che in raggi della stella stessa. Crediti: ESO/L. Calçada

«L’Osservatorio dell’ESO al Paranal è una delle poche strutture in grado di visualizzare la superficie di Betelgeuse», afferma. Gli strumenti sul VLT dell’ESO consentono osservazioni dal visibile al medio infrarosso, il che significa che gli astronomi possono vedere sia la superficie di Betelgeuse che il materiale circostante. «Questo è l’unico modo in cui possiamo capire cosa stia succedendo alla stella».

Una seconda nuova immagine, ottenuta sempre nel dicembre 2019 ma con lo strumento VISIR installato sul VLT, mostra invece la luce infrarossa emessa dalla polvere che circonda Betelgeuse. Queste osservazioni sono state fatte da un gruppo di scienziati guidato da Pierre Kervella dall’Osservatorio di Parigi in Francia, che ha spiegato che la lunghezza d’onda della luce catturata dall’immagine è simile a quella rilevata dalle termocamere. Le nubi di polvere, che nell’immagine VISIR sembrano delle fiamme, si formano quando la stella lancia la propria materia nello spazio.

«Sentiamo spesso nella popolarizzazione dell’astronomia la frase “siamo fatti di polvere di stelle”, ma da dove proviene esattamente questa polvere?» commenta Emily Cannon, una studentessa di dottorato presso KU Leuven che lavora con immagini SPHERE di supergiganti rosse. «Nel corso della loro vita, le supergiganti rosse come Betelgeuse creano ed espellono enormi quantità di materia ancor prima di esplodere come supernovae. La tecnologia moderna ci ha permesso di studiare questi oggetti, a centinaia di anni luce di distanza, con dettagli senza precedenti che ci danno l’opportunità di svelare il mistero di ciò che provoca la loro perdita di massa».


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Astronomiamo

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27.02: Webinar di Aggiornamento Astronomico

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Space Adventure

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Fino al 22 marzo 2020

Space Adventure racconta ai visitatori di tutto il mondo una epopea straordinaria con i reperti originali – le navicelle, i satelliti, i razzi e i modelli in scala che tracciano l’arduo sentiero esplorato da astronauti, tecnici e scienziati.

Copenaghen, Tel Aviv, Johannesburg, Varsavia, Bucarest e ora a Torino: lo spazio e le sue meraviglie sono raccontate con gli oggetti e le istruzioni per l’uso degli enti che hanno scritto la storia dello spazio: NASA, ESA, ASI e ROSCosmos – l’Agenzia Spaziale Russa.

Da Torino, dal Parco del Valentino, partiremo di nuovo con l’astronave “Space Adventure”: con le immagini, i simulatori interattivi e la nostra mente percorreremo milioni di chilometri in un angolo del Sistema Solare, quello più vicino alla nostra Terra, per incontrare due pianeti affascinanti, Mercurio e Marte, qualche cometa e il satellite che da sempre accompagna le notti e i sogni dell’uomo, la Luna.

www.space-adventure.it

“Pale blue dot” rivisitata a 30 anni dal rilascio della celebre immagine

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Il montaggio originale dei 60 scatti e le singole immagini ingrandite dei pianeti ripresi. Crediti: NASA/JPL-Caltech

Per il trentesimo anniversario di una delle immagini più iconiche della missione Voyager, e osiamo di tutte le immagini provenienti dalle missioni di esplorazione del Sistema Solate, il Jet Propulsion Laboratory della NASA ha rilasciato una nuova versione dell’immagine nota come “pale blue dot” (punto azzurro pallido).

L’immagine aggiornata è stata ottenuta utilizzando moderni software e tecniche di elaborazione delle immagini, ma sempre nel rispetto dell’intento di coloro che hanno pianificato l’immagine. Come l’originale, la nuova visualizzazione a colori mostra il pianeta Terra come un singolo pixel blu brillante nella vastità dello spazio, dal comunicato NASA: “Raggi di luce solare sparsi all’interno dell’ottica della camera si estendono attraverso la scena, e uno di questi si è drammaticamente intersecato con la Terra”.

Si tratta di una immagine che riprende la nostra Terra, scattata il 14 febbraio del 1990, dalla sonda Voyager 1 quando si trovava a sei miliardi di chilometri di distanza. In quel momento la sonda aveva superato Nettuno, Plutone era lontano e non avrebbe più effettuato flyby ravvicinati attorno ad altri oggetti. Diventava importante risparmiare maggior energia possibile, per prolungare il più possibile la missione della sonda, e della sorella Voyager 2. Per questo motivo, pochi minuti dopo quello scatto, le camere della sonda sarebbero state spente e avrebbe rappresentato l’ultimo sguardo alla Terra, e al Sistema Solare, di una sonda che tutt’ora continua il suo viaggio verso lo spazio interstellare, rilevando importanti dati sull’ambiente che si trova ad attraversare.

La disattivazione di strumenti per il risparmio energetico dei due veicoli spaziali è stato un processo graduale e continuo, si rinunciava via via a quegli strumenti che diventavano meno importanti a favore di quelli che potevano ancora dare un contributo scientifico rilevante, e ha garantito alle sonde una longevità tale da permettergli tutt’ora, che si trovano entrambe al di fuori dalla eliosfera, di inviare dati preziosi.

L’idea di questo scatto, e anche il merito di averlo portato alla notorietà, fu del noto astrofisico, scrittore di fantascienza e divulgatore Carl Sagan. Fu lui che propose di far girare la Voyager 1, come ultimo saluto, e di farle riprendere la Terra e i pianeti del Sistema Solare in una serie di immagini chiamata “Solar System Family Portrait” (ritratto di famiglia del Sistema Solare).

Il montaggio originale dei 60 scatti e le singole immagini ingrandite dei pianeti ripresi. Crediti: NASA/JPL-Caltech
Nell'animazione (cliccare sull'immagine se non parte) la posizione dei pianeti in orbita attorno al Sole, dal punto di vista della Voyager 1, sovrapposti con gli scatti che ha effettuato. Crediti: NASA/JPL-Caltech

60 immagini che mostrano sei pianeti del nostro sistema: Venere, Terra, Giove, Saturno, Urano e Nettuno. Mercurio era troppo vicino al Sole, mentre Marte è stato “oscurato” da uno dei raggi riflessi del Sole. Plutone, che al tempo non era ancora stato declassato a pianeta nano, era comunque troppo piccolo, lontano e scuro per rientrare nell’immagine.

La Terra, un crescente di Terra visto da quella posizione, occupa quello che è solo un pixel di una delle immagini, un solo puntino azzurro pallido.

Nel 2018, Thomas Zurbuchen, amministratore associato della direzione della missione scientifica della NASA, dichiarò: «Il ritratto di famiglia è un simbolo di quello che l’esplorazione della NASA è davvero: il vedere il nostro mondo da una nuova e più ampia prospettiva», rifacendosi proprio alle parole con cui Carl Sagan descrisse quell’immagine.

Al “pale blue dot”, infatti, Sagan dedicò la copertina di un libro e quella che è diventata una famosa, e tutt’ora in questi tempi “social” tra le più condivise, riflessione sull’esplorazione spaziale ma anche sulla “prospettiva”, sul modo di vedere il mondo da lontano, per quello che è e per come questo impatta sulla visione delle nostre vicende “locali”. In questo 30esimo anniversario dell’immagine ci piace riportare la sua riflessione per esteso qui di seguito, e nel video in chiusura.

«Da questo distante punto di osservazione, la Terra può non sembrare di particolare interesse. Ma per noi, è diverso. Guardate ancora quel puntino. È qui. È casa. È noi. Su di esso, tutti coloro che amate, tutti coloro che conoscete, tutti coloro di cui avete mai sentito parlare, ogni essere umano che sia mai esistito, hanno vissuto la propria vita. L’insieme delle nostre gioie e dolori, migliaia di religioni, ideologie e dottrine economiche, così sicure di sé, ogni cacciatore e raccoglitore, ogni eroe e codardo, ogni creatore e distruttore di civiltà, ogni re e plebeo, ogni giovane coppia innamorata, ogni madre e padre, figlio speranzoso, inventore ed esploratore, ogni predicatore di moralità, ogni politico corrotto, ogni “superstar”, ogni “comandante supremo”, ogni santo e peccatore nella storia della nostra specie è vissuto lì, su un minuscolo granello di polvere sospeso in un raggio di sole. La Terra è un piccolissimo palco in una vasta arena cosmica.

Pensate ai fiumi di sangue versati da tutti quei generali e imperatori affinché, nella gloria e nel trionfo, potessero diventare per un momento padroni di una frazione di un puntino. Pensate alle crudeltà senza fine inflitte dagli abitanti di un angolo di questo pixel agli abitanti scarsamente distinguibili di qualche altro angolo, quanto frequenti le incomprensioni, quanto smaniosi di uccidersi a vicenda, quanto fervente il loro odio. Le nostre ostentazioni, la nostra immaginaria autostima, l’illusione che noi abbiamo una qualche posizione privilegiata nell’Universo, sono messe in discussione da questo punto di luce pallida. Il nostro pianeta è un granellino solitario nel grande, avvolgente buio cosmico. Nella nostra oscurità, in tutta questa vastità, non c’è alcuna indicazione che possa giungere aiuto da qualche altra parte per salvarci da noi stessi.

La Terra è l’unico mondo conosciuto che possa ospitare la vita. Non c’è altro posto, per lo meno nel futuro prossimo, dove la nostra specie possa migrare. Visitare, sì. Colonizzare, non ancora.
Che ci piaccia o meno, per il momento la Terra è dove ci giochiamo le nostre carte. È stato detto che l’astronomia è un’esperienza di umiltà e che forma il carattere. Non c’è forse migliore dimostrazione della follia delle vanità umane che questa distante immagine del nostro minuscolo mondo. Per me, sottolinea la nostra responsabilità di occuparci più gentilmente l’uno dell’altro, e di preservare e proteggere il pallido punto blu, l’unica casa che abbiamo mai conosciuto.»


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Quel diamante sfocato è la prima stella di Cheops

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Dettaglio dello specchio secondario di Cheops (il cerchio nero in primo piano) con i suoi tre bracci di sostegno. Sullo sfondo, lo specchio primario, sul quale si riflette il volto di un ricercatore. Crediti: University of Bern, T. Beck
L’immagine qui sopra copre circa 1000 x 1000 pixel, e il lato di ogni pixel corrisponde e un angolo di cielo di circa 0.0003 gradi, equivalente a meno di un millesimo del diametro della Luna piena. Nel dettaglio in basso a destra, un’area di circa 100 x 100 pixel centrata su Hd 70843, la stella osservata. Crediti: Esa/Airbus/Cheops Mission Consortium.

Questa che vedete qui a fianco è Hd 70843, una stella a circa 150 anni luce, nella costellazione del Cancro. È la prima immagine astronomica acquisita dal telescopio spaziale Cheops, il “misura-pianeti” dell’Esa. E sì, potete dirlo senza timore, non si offende nessuno, anche se la missione ci è costata circa 100 milioni di euro: è sfocata.

Non è un errore, non è un problema, non ci sarà bisogno di un intervento di riparazione come avvenne per il telescopio spaziale Hubble: questa volta è volutamente sfocata – o meglio, defocusedcome la definiscono gli astronomi. Questo perché lo scopo di Cheops non è compilare un bell’album di fotografie suggestive di stelle e pianeti, bensì calcolare l’esatto diametro di esopianeti già conosciuti. Per riuscirci deve misurare – con estrema precisione – la quantità di luce che riceviamo da ogni stella quando il pianeta del quale si vuole prendere la taglia le passa innanzi. Più la luce cala, più il pianeta è grande. Sapendo esattamente quanto la luce cala si può risalire a quanto il pianeta è grande.

Ora, per quanto sia controintuitivo, dovendo misurare quanto cala la luce al transito del pianeta, non aver messo l’immagine perfettamente a fuoco è un vantaggio. Questo perché la luce viene acquisita attraverso un rivelatore Ccd composto da moltissimi pixel – un milione. E sparpagliare la luce della stella su più pixel rende la misura più precisa, in quanto meno soggetta all’errore dovuto alle inevitabili differenze nella risposta dei singoli pixel e alle variazioni del puntamento del telescopio.

Insomma, queste appena arrivate sono esattamente le immagini che gli scienziati si aspettavano. E che attendevano con ansia. «Sapevamo che le prime immagini di un campo stellare sarebbero state cruciali, perché ci avrebbero permesso di capire se l’ottica del telescopio era sopravvissuta senza problemi al lancio del razzo», spiega il principal investigator di Cheops, Willy Benz, dell’Università di Berna (in Svizzera). «Quando le abbiamo viste apparire sullo schermo, è stato subito chiaro a tutti che avevamo davvero un telescopio funzionante».

Dettaglio dello specchio secondario di Cheops (il cerchio nero in primo piano) con i suoi tre bracci di sostegno. Sullo sfondo, lo specchio primario, sul quale si riflette il volto di un ricercatore. Crediti: University of Bern, T. Beck

«Per noi è un’immagine spettacolare», conferma Isabella Pagano, direttrice dell’Inaf di Catania e responsabile in Italia per Cheops. «I primi risultati sono veramente eccezionali, e ci dicono che lo strumento sta funzionando al top, come meglio non potevamo sperare».

Quanto all’aspetto spigoloso della stella, era previsto anche questo. «Il dettaglio dell’immagine sfuocata di questa stella», spiega infatti a Media Inaf un altro degli scienziati del team di Cheops, Roberto Ragazzoni, direttore dell’Inaf di Padova, «riflette esattamente quello che ci aspettavamo: le ombre dei tre supporti dello specchio secondario e la zona centrale della distribuzione di luce – chiaramente visibili – fanno sì che il segnale sia particolarmente immune ai piccoli errori di puntamento del telescopio. Cheops infatti è un potente e preciso fotometro, il suo compito non è quello di ottenere immagini della stella (peraltro inutili, considerando che con questo telescopio apparirebbe praticamente puntiforme) ma di misurarne il flusso, mediando su un migliaio di pixel le inevitabili imperfezioni del rivelatore».

«Ora che Cheops ha osservato il suo primo obiettivo», conclude Kate Isaakproject scientist Esa di Cheops, «siamo più vicini all’inizio della missione scientifica. Questa immagine meravigliosamente sfocata porta la promessa di una nuova, più profonda comprensione dei mondi al di là del Sistema solare».

Nel video Media INAF qui sotto, Roberto Ragazzoni, progettista dell’ottica di Cheops, ci spiega con alcuni colleghi dell’Inaf di Padova perché si ricorra a questo artificio.

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Allineamento di pianeti impreziosito dalla sottile falce di Luna

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Nei giorni compresi tra il 18 e il 20 febbraio, la mattina, prima del sorgere del Sole, volgendo la nostra attenzione verso l’orizzonte di sudest, potremo assistere a una bella sequenza di incontri che vedrà protagonisti la Luna e alcuni dei principali pianeti del Sistema Solare. Il teatro di questi abbracci astrali sarà quello della costellazione del Sagittario, entro i cui confini i brillanti pianeti di cui andiamo a parlare formeranno un allineamento già di per sé molto affascinante.

Marte sorgerà attorno alle quattro del mattino, Giove verso le cinque, mentre Saturno li raggiungerà una mezz’ora dopo. Potrete quindi attendere di averli tutti e tre in allineamento, o, di mattina in mattina, scegliere un orario diverso in base al soggetto delle vostre riprese.

Prendendo come orario di riferimento le 6:10 circa, si comincia il 18 febbraio, giorno in cui la Luna (fase del 26%) passerà a circa 3,5° a nordovest di Marte (mag. +1,2).

La mattina del giorno seguente, il giorno 19, sarà la volta di Giove (mag. –1,9) ad essere raggiunto dalla Luna, una falce ben più sottile (fase del 19%) che si posizionerà a 7,3° a nordovest del grande pianeta, poco più che a metà strada tra i pianeti Marte e Giove, in prossimità della stella Nunki (sigma Sagittarii, mag. +2,1) che si troverà a 3,4° a sudest del nostro satellite naturale.

Passiamo ora al 20 febbraio: termina con questa congiunzione la sequenza su cui ci siamo focalizzati, con l’incontro tra la Luna, fattasi decisamente più sottile (fase dell’11%), e Saturno (mag. +0,6). Il nostro satellite si troverà a 4,5° a ovest del pianeta con l’anello.

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Astronomiamo

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Solar orbiter in viaggio verso il Sole!

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Una suggestiva immagine del lancio dell'Atlas V 411, da Cape Canaveral, a bordo del quale viaggia la sonda europea per lo studio del Sole Solar Orbiter. Crediti: ESA - S. Corvaja
Una suggestiva immagine del lancio dell'Atlas V 411, da Cape Canaveral, a bordo del quale viaggia la sonda europea per lo studio del Sole Solar Orbiter. Crediti: ESA - S. Corvaja

Questa mattina all’alba la sonda europea per lo studio del Sole Solar Orbiter è finalmente partita per la sua missione. Dopo due rinvii, per le condizioni meteo e per un problema tecnico, a bordo di un Atlas V 411 della NASA, ha iniziato il suo viaggio partendo dal  Kennedy Space Center a Cape Canaveral, Florida, alle 05:03 ora italiana.

Vi abbiamo parlato di questa missione e sugli enigmi ancora da risolvere del nostro Sole nell’ultimo numero, il 241 di febbraio, della nostra rivista (basta cliccare qui a destra sull’immagine per accedre gratuitamente all’approfondimento).

SolO, così viene abbreviato il nome, riuscirà per la prima volta ad osservare le uniche zone del Sole che ancora non conosciamo come le sue regioni polari. Osservando zone inacessibili ai telescopi da Terra o alle sonde in orbite sul piano dell’eclittica, dal suo particolare punto di vista la Solar Orbiter potrà anche seguire in tempo reale e in modo continuo nel tempo quelle manifestazioni della sua superficie, come le espulsioni di massa coronali, che sarebbero all’origine del vento solare, per comprenderne meglio le dinamiche e affinare le previsioni di quello che viene chiamato Space weather, il meteo spaziale, importanti per il loro effetto su sonde e satelliti, ma anche in caso di viaggi umani interplanetari.

«Come esseri umani, abbiamo sempre avuto familiarità con l’importanza del Sole per la vita sulla Terra, osservandolo e indagando su come funziona in dettaglio, ma sappiamo anche da tempo che ha il potenziale per interrompere la nostra vita di tutti i giorni se dovessimo trovarci nella linea di fuoco di una potente tempesta solare», speiga Günther Hasinger, direttore scientifico dell’ESA. «Entro la fine della  missione Solar Orbiter, sapremo più di quanto abbiamo mai saputo sia sulla forza nascosta responsabile del comportamento mutevole del Sole sia della sua influenza sul nostro pianeta natale».

Grazie all’assist gravitazionale di Venere, e in un caso della Terra, SolO si troverà in orbite sempre più inclinate rispetto all’eclittica e vicina al Sole, per poter così osservare la nostra stella da un punto di vista privilegiato, che nessun’altra sonda solare ha mai raggiunto prima. Nel punto più vicino al Sole della sia orbita, SolO si troverà a circa 42 milioni di chilometri dalla superficie solare (un po’ più vicino di Mercurio). La tecnologia all’avanguardia dei suoi scudi garantirà la protezione degli strumenti scientifici del veicolo spaziale per temperature fino a 500 ° C, ovvero fino a 13 volte il calore percepito dai satelliti in orbita terrestre.

«Dopo una ventina di anni dall’inizio, sei di costruzione e più di un anno di test, insieme ai nostri partner industriali abbiamo creato nuove tecnologie ad alta temperatura e vinto la sfida di costruire un veicolo spaziale pronto ad affrontare il Sole per studiarlo da vicino», aggiunge César García Marirrodriga, responsabile del progetto Solar Orbiter dell’ESA.

In poco meno di due anni, Solar Orbiter raggiungerà la sua orbita operativa, nel corso della missione raggiungerà un’orbita dall’inclinazione di 17° sopra e sotto l’equatore solare e, se tutto andrà bene, in unam issione estesa potrà raggiungere un’inclinazione fino a 33°.

La missione gode anche di un importante cotributo NASA, non solo per il lancio ma entrando a far parte dell’Heliophysics System Observatory della NASA , andando a completare lo studio del Sole dallo spazio già cominciato con la Solar Parker Probe, della quale è complementare.

«Solar Orbiter farà cose straordinarie. In combinazione con le altre missioni della NASA lanciate di recente per studiare il Sole, stiamo acquisendo nuove conoscenze senza precedenti sulla nostra stella», ha affermato Thomas Zurbuchen (NASA). «Insieme ai nostri partner europei, stiamo entrando in una nuova era per la Fisica solare, che trasformerà lo studio del Sole e contribuirà a rendere più sicuri gli astronauti che viaggeranno nelle missioni del programma Artemis sulla Luna».


Un viaggio alla scoperta dei segreti del SOLE

50 anni di fisica solare e il nuovo Solar Orbiter europeo

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