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Venere e una sottile falce di Luna crescente sull’orizzonte ovest-nordovest

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La poca varietà di fenomeni celesti durante il mese di maggio consente di riassumerli quasi tutti in questa illustrazione. Sarà infatti Venere, di sera e sull’orizzonte ovest, a dar vita alle congiunzioni più interessanti: sia con le stelle della costellazione dei Gemelli, sia con la Luna e con Giove. Tutto ciò potrà essere seguito ad occhio nudo o al massimo con un binocolo, non appena il cielo si farà abbastanza scuro (presumibilmente verso le 22:00) da permettere l’osservazione delle stelle coinvolte.

Il giorno 21, Venere e una sottile falce di Luna crescente si vedranno alte una ventina di gradi, sull’orizzonte ovest-nordovest, distanziate di 8 gradi.

Per le effemeridi di Luna e pianeti vedere il Cielo di maggio

Alle Svalbard per l’eclissi

Diversi anni fa ho fatto una piccola vacanza al “Nord” tramite un’agenzia specializzata. Nel febbraio del 2012 mi sono rivolto ancora a loro per sapere se avrebbero organizzato un viaggio alle Svalbard in occasione dell’eclissi di quest’anno.

Ad agosto 2013 la risposta: dovevo iscrivermi in fretta perché i posti, già allora, erano pochi. Infatti si erano appoggiati a un’agenzia americana che in pratica aveva requisito i pochissimi alberghi di Logyearbyen. Nello scorso dicembre comincio a curiosare nella cittadina attraverso le webcam: a parte la notte polare, tempo brutto e coperto. E questo è continuato fino a mercoledì 18 marzo 2015: all’arrivo c’è pure una bufera di neve…

“Cominciamo bene!”, ci siamo detti Felicita ed io.

Ci consola solo l’emozione di riassaggiare la prelibata cucina norvegese: cibi magari non politicamente corretti, ma sopraffini.

Il giorno dopo, visita della cittadina in gruppo, tempo un poco migliore, ma sempre coperto. All’albergo tutti osservano speranzosi il pannello della meteo che, per venerdì, indica sole coperto.

La mattina dell’eclissi, la sveglia suona presto.
Apro la tenda della camera e vedo un cielo blu da cartolina.
Che fortuna!
Non una nuvola.

In questo luogo desolato ma affascinante, unico sulla Terra, abbiamo il Sole dopo mesi di oscurità e brutto tempo. Tutti sono impazienti di raggiungere il campo base per l’osservazione.

Ci si pigia e ci si scontra con le porte del bus.
Il tragitto sembra non finire mai.
Non possiamo far tardi!

All’arrivo tutti corrono a cercare il posto migliore. Ridicolo, perché per chilometri e chilometri non c’è altro che una distesa di neve perfettamente piatta.

L'autore, Patricio Calderari, che attende l'evento

Sulla neve è visibile solo un piccolo capannone-tenda messo a disposizione per scaldarci, con cioccolata calda, tè, caffè. La temperatura è attorno a meno sedici gradi. Decisamente freschetto.
Poi un grido.
La luna ha intaccato il disco solare: ammiriamo impazienti l’evento spettacolare.

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Poi il silenzio, appare Venere, la luce scompare, la temperatura precipita a meno ventidue; ecco il bellissimo anello di diamante a sinistra, poi le fiamme solari, indi il diamante a destra.
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Pochissimi minuti, ma che emozione.

Per ragioni di peso ho dovuto rinunciare alla montatura equatoriale a motore, quindi ho portato un semplice cavalletto. Per fortuna la componente “verticale” del Sole, a quelle latitudini, è poco presente. Ho scelto anche un tele relativamente buono, ma di peso contenuto.

Per l’eclissi ho usato la seguente attrezzatura fotografica:

  • • Tele-Apotessar Hasselblad da 8/500 millimetri;
  • • tele converter apo 1,4x;
  • • camera fotografica Nikon d810.

Così un 700 millimetri non è né troppo “corto”, né troppo “lungo”, un buon compromesso. Scatto foto con tempi diversi che, una volta a casa, consegnerò all’amico Mauro Luraschi per sommare solo il puro totale. Non mi interessa la sequenza completa, ho solo alcuni scatti ricordo.

Pomeriggio libero per curiosare nella cittadina. Anche se “cittadina” è un gentile eufemismo.

La sera le discussioni del gruppo si accavallano, tutti vogliono raccontare la loro esperienza, le loro emozioni. Io non capisco una parola d’inglese e quindi partecipo a gesti, non resta che andare a cena e poi a letto, con sveglia verso le 23:30.

Curioso dalla finestra e intravvedo dei piccoli bagliori verdi. Infilo velocemente il training sopra il pigiama, una giacca invernale, piccoli guanti (siamo pur sempre sui meno venti), e corro fuori con cavalletto, Nikon e grandangolare.

Pur essendo completamente fuori stagione, ho la fortuna di vedere per pochi minuti una mini-aurora boreale. Un bello spettacolo: appare tenue, poi si accende di un verde brillante e sparisce. Per presentarsi altrove. Per circa una mezz’ora si ripetono vari fenomeni di circa trenta secondi, poi più nulla.

Il giorno dopo ancora bel tempo il mattino, poi il lento sopraggiungere delle nuvole e la copertura uniforme: il giorno dopo, la partenza col brutto tempo.

Due fenomeni supplementari mi hanno affascinato:

il tramonto di Venere verso l’una di notte, una discesa molto lenta (non come da noi) nel cielo ancora chiaro in lontananza.
E poi il fatto che a metà febbraio si è ancora nella notte polare, a metà aprile il giorno è perenne. In due mesi il Sole guadagna ventiquattro ore!

Patricio

Associazione Astrofili Centesi

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17.05, ore 15:00: Osserviamo il Sole al telescopio.

Per info: cell. 346 8699254
astrofilicentesi@gmail.com
www.astrofilicentesi.it

Super brillamenti extrasolari

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Come potrebbe apparirci una stella di tipo solare a super brillamenti nella luce visibile. Crediti: Università di Kyoto
Come potrebbe apparirci una stella di tipo solare a super brillamenti nella luce visibile. Crediti: Università di Kyoto

Cercava pianeti e, oltre a trovarne tantissimi, ha anche individuato gigantesche macchie e potenti brillamenti su altre stelle simili al Sole. Alcune delle diminuzioni di luce degli astri monitorati dalla missione Kepler della NASA si sono infatti rivelate essere dovute non solo al transito di pianeti ma alla presenza di enormi macchie, mentre altri repentini aumenti di luminosità sono stati causati da super brillamenti, potentissime esplosioni sulla superficie stellare, esattamente come avviene, con intensità minori, sul Sole.

Uno studio accurato di questi fenomeni extrasolari è stato condotto da un team tutto giapponese – telescopio compreso – che ha confermato che le stelle simili al Sole dotate di grandi macchie stellari possono produrre violentissimi brillamenti (super brillamenti, in inglese, superflare). Astronomi delle università di Kyoto, di Hyogo e di Nagoya e dell’Osservatorio Astronomico Nazionale del Giappone (NAOJ) hanno messo in campo l’High Dispersion Spectrograph (HDS) installato al telescopio Subaru sulle isole Hawaii per studiare le proprietà della luce emessa da stelle di tipo solare, che emettono super brillamenti in cui vengono rilasciate energie dalle dieci alle diecimila volte maggiori di quelle tipicamente liberate nelle eruzioni della nostra stella.

Dall’analisi dei dati raccolti su cinquanta stelle, selezionate in base alle osservazioni del telescopio Kepler, risulta che quelle con super brillamenti mostrano cambiamenti alquanto regolari nella loro luminosità, con periodi compresi tra un giorno e poche decine di giorni. Questo andamento può essere spiegato con la rotazione della stella e delle sue macchie. Una ipotesi confermata dai dati spettroscopici raccolti da HDS, che permettono di stimare il periodo di rotazione delle stelle dall’allargamento delle righe di assorbimento, e che hanno fornito valori che sono risultati assolutamente coerenti con  i periodi di variazione delle luminosità osservate. In più, le stelle che presentano picchi di luminosità più elevata sono quelle che possiederebbero macchie assai estese, molto maggiori di quelle solari. I ricercatori continueranno ad utilizzare il telescopio Subaru per altre osservazioni di questo tipo, a cui affiancheranno presto il telescopio dell’università di Okayama da 3,8 metri di diametro, che è in costruzione. L’obiettivo è quello di investigare in modo più dettagliato e i cambiamenti a lungo termine nell’attività delle stelle a super-brillamenti.

Per saperne di più:

  • l’articolo High Dispersion Spectroscopy of Solar-type Superflare Stars. I. Temperature, Surface Gravity, Metallicity, and v sin i di Yuta Notsu et al. pubblicato on line sul sito della rivista Publications of the Astronomical Society of Japan
  • l’articolo High Dispersion Spectroscopy of Solar-type Superflare Stars. II. Stellar Rotation, Starspots, and Chromospheric Activities di Yuta Notsu et al. pubblicato on line sul sito della rivista Publications of the Astronomical Society of Japan

Associazione Cascinese Astrofili

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16.05, ore 21:30: “Maratona Messier al CAMS”.

Per informazioni:
Domenico Antonacci Cell: 347-4131736
domenico.antonacci@astrofilicascinesi.it
Simone Pertici: cell: 329-6116984
simone.pertici@domenicoantonacci.it
www.astrofilicascinesi.it

Associazione Cascinese Astrofili

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15.05, ore 16:00: Osservazione del Sole (meteo permettendo) presso la struttura RSA, Casa della Madonna della Fiducia di Calambrone (PI).

Per informazioni:
Domenico Antonacci Cell: 347-4131736
domenico.antonacci@astrofilicascinesi.it
Simone Pertici: cell: 329-6116984
simone.pertici@domenicoantonacci.it
www.astrofilicascinesi.it

Gruppo Astrofili DEEP SPACE

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15.05: “Scienza e linguaggio” conferenza di Luigi Foschini (Nell’occasione il relatore presenterà il suo nuovo libro sull’argomento).

Per info: 0341.367584
www.deepspace.it

Astronomi: GPS del passato!

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15.05: Una mostra storica, laboratori didattici, eventi per il grande pubblico dall’11 aprile al 14 giugno presso il Parco astronomico dell’INAF a Monte Porzio Catone per raccontare il ruolo fondamentale che gli astronomi hanno avuto nel determinare forma e dimensioni del nostro pianeta e, in particolare, dei territori che abitiamo. Astrolabi, quadranti, cerchi moltiplicatori, teodoliti, sestanti, globi e carte celesti e terrestri sono gli strumenti realizzati dall’uomo nel corso dei secoli per comprendere quali fossero forma e dimensioni della Terra e per orientarsi sulla sua superficie. Tutto questo vedranno i visitatori nel percorso della mostra, che si concluderà con uno sguardo al futuro: nello spazio come si viaggia?!
Per informazioni: tel. 06.94286427 – diva@oa-roma.inaf.it

I misteriosi spot luminosi su Cerere: il sole che si riflette sul ghiaccio?

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Attenzione, a causa della dimensione dell'immagine, soprattutto se vista a piena risoluzione (cliccando l'immagine), potrebbe volerci qualche secondo prima che parta l'animazione. Credits: NASA/JPL-Caltech/UCLA/MPS/DLR/IDA

Attenzione, a causa della dimensione dell'immagine, soprattutto se vista a piena risoluzione (cliccando l'immagine), potrebbe volerci qualche secondo prima che parta l'animazione. Credits: NASA/JPL-Caltech/UCLA/MPS/DLR/IDA

Ed ecco l’animazione completa della prima orbita scientifica di Dawn attorno a Cerere. Le immagini sono state scattate da una distanza di 13600 km e la loro risoluzione è di 0,8 miglia (1,3 km) per pixel.

A questa distanza, i due spot luminosi all’interno del cratere nell’emisfero settentrionale,  rivelano essere composti da più piccoli punti, ma la loro esatta natura rimane ancora sconosciuta. La NASA però si sbilancia con le prime ipotesi: «Secondo i ricercatori della missione Dawn, l’intensa lumonosità di questi punti, potrebbe essere dovuta al riflesso della luce solare su una superficie altamente riflettente, come il ghiaccio» riferisce infatti Christopher Russell, Principal Investigator della missione (Università della California).

La sonda Dawn ha così concluso la sua prima orbita di mappatura, completando in 15 giorni un giro intorno a Ceres. Il 9 maggio, ha avviato i  motori a ioni per portarsi  nella seconda orbita di mappatura, a circa 4400 km dalla superficie, dove giungerà il prossimo 6 giugno. A quella distanza le basteranno 3 giorni per completare un’orbita e una nuova mappatura che permetterà ai ricercatori di cominciare a dipanare la storia geologica del pianeta nano e verificare se sia attivo.

Ma non dovremo aspettare il 6 giugno per le prossime immagini, la sonda infatti si fermerà per due volte, nella discesa verso l’orbita di survey, per riprendere altre immagini del pianeta nano a distanza sempre più ravvicinata.

Un simpatico video che spiega cos’è un pianeta nano e dove si trova Ceres

Associazione Ligure Astrofili Polaris

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15.05: “Navigare con la longitudine” di Giorgio Bazzurro.
Per il programma completo andare al sito.
Per info: cell. 346.2402066 – info@astropolaris.it
www.astropolaris.it

LA SUPERNOVA DI TYCHO

A meno di sorprese dell’ultimo momento, sono ormai 410 anni che una supernova non appare nella porzione della Galassia a noi visibile.

Con i moderni sensori applicati ai grandi telescopi, di stelle che muoiono esplodendo ne vengono scoperte tante, ormai quasi quotidianamente, ma sempre in deboli e lontane galassie. È pur vero che dalle statistiche eseguite su tali ricerche, almeno nelle galassie a spirale come la nostra, un evento di questo tipo dovrebbe manifestarsi una volta ogni trentacinque anni circa: stando così le cose quindi, dall’ultima supernova osservata nel 1604, almeno una decina di eventi di questo tipo sarebbero dovuti apparire alle “porte di casa”.

Sfortunatamente, tutte le supernovae galattiche di cui si hanno documentazioni storiche si resero visibili prima dell’invenzione del telescopio. Prima, infatti, poco o nulla si sapeva di queste stelle nuove – come allora venivano chiamate – che di tanto in tanto comparivano nei cieli; certo, era nota la storia raccontata da Plinio il Vecchio relativa a quella avvistata da Ipparco diversi secoli prima, ma poiché questa non venne neanche considerata dal grande astronomo Tolomeo, venne quindi ritenuta alla stregua di un racconto.

In quel periodo, tra l’altro, era allora fortemente in voga la concezione aristotelica dell’immutabilità dei cieli e le nuove stelle che di tanto in tanto apparivano nella volta celeste, così come le comete, venivano descritti come fenomeni connessi all’atmosfera terrestre. Non solo: eventi del tutto naturali come i cieli coperti per lungo periodo da nuvole, o altri di diversa natura come guerre e carestie, o la voluta interpretazione di tali apparizioni, da parte dalle autorità religiose del tempo, come un cattivi presagi furono probabile causa del loro depennamento dai resoconti storici ufficiali. Fu solo in estremo oriente, ovvero in Cina, Corea e Giappone, che la comparsa di queste nuove stelle indusse gli astrologi delle corti di quei Paesi a registrarne l’apparizione nei loro annali, documenti che però restarono sempre del tutto sconosciuti in occidente.

Ad ogni modo, dopo l’ultima supernova osservata in oriente, quella del 1181, passarono ben quattro secoli perché un evento di questo tipo tornasse ad essere visto in Europa. Fortunatamente, in quel lasso di tempo, la situazione culturale nel vecchio continente era in corso di cambiamento: gli astronomi orientali restavano ancora abili osservatori come in passato ma la rinascita intellettuale esplosa in occidente portò la scienza europea a farla da padrone, soprattutto dopo che Copernico dette quel tremendo scossone alla visione antropocentrica dell’Universo con la pubblicazione del suo innovativo libro. Fortunatamente, la luce della supernova raggiunse il nostro pianeta allorché un certo Tycho Brahe si applicò ad osservarla con scrupolo diventando, proprio con gli studi su di essa condotti, il più grande astronomo dall’epoca di Tolomeo.

11 NOVEMBRE 1572: STELLA NOVA IN CASSIOPEIA

Tycho nacque nel 1546, in quella parte di Svezia che all’epoca era parte del regno di Danimarca, esattamente tre anni dopo la pubblicazione del “De revolutionibus orbium celestium”. Appartenendo a una famiglia aristocratica, venne dai genitori indotto allo studio del diritto, pur riservando da subito un grande interesse per le scienze, passione indotta soprattutto dallo zio chimico o, usando la terminologia in voga all’epoca, alchimista. A soli 14 anni, ebbe l’occasione di osservare un’eclissi solare, evento che fece nascere in sé l’interesse per l’Astronomia, che si concretizzo appieno allorché, ventiseienne, assistette con grande stupore alla ricomparsa di una supernova.

La sera dell’11 novembre 1572, infatti, uscendo dal laboratorio chimico dello zio, Tycho notò una luminosissima stella che non aveva mai visto prima, non lontana dalla luminosa Gamma Cassiopeiae, la stella centrale della famosa costellazione caratteristica per la forma a W. In pieno autunno e alle latitudini danesi, Cassiopea appariva altissima sull’orizzonte, e quell’intruso, che appariva luminoso quanto Venere, non poteva passare inosservato all’astronomo danese che conosceva molto bene la volta celeste! Incuriosito di sapere da quanto quella nuova stella fosse li, ma anche demoralizzato dal fatto di non aver potuto osservare il cielo nelle nottate precedenti a causa di altri impegni, Tycho interpellò da subito passanti e conoscenti chiedendo loro se la nuova stella da lui notata fosse stata vista da qualcuno anche nelle serate precedenti, ma grande fu la sua delusione nel non ricevere alcuna risposta. Certamente tutti la vedevano in quel preciso momento, ma nessuno sapeva dire da quanto tempo era lì.

In realtà, ben lontano da lui, il tedesco W. Schurler e l’italiano F. Maurolico, due astronomi, l’avevano già notata qualche giorno prima, precisamente il 6 novembre: la nuova stella di Cassiopea, quindi, splendeva già nel cielo almeno cinque giorni prima che fosse avvistata da Tycho ma, purtroppo per lui, egli non seppe mai di queste due osservazioni. In ogni caso, da attento osservatore qual’era, decise di fare una cosa che nessun’altro astronomo aveva mai fatto prima: seguire costantemente la nuova stella notte dopo notte, con l’ausilio di un ottima strumentazione astronomica di suo possesso.

Come detto, il telescopio non era stato ancora inventato, tuttavia Tycho aveva costruito un ottimo sestante che impiegò da subito per delineare con precisione la posizione della nuova stella. Di questa, infatti, riuscì a misurarne la distanza angolare dalle altre stelle di Cassiopea, tenendo conto tra l’altro della rifrazione della luce da parte dell’atmosfera: uno scrupoloso lavoro di astrometria quindi, il primo nella storia, riportandone con scrupolo la variazione di luminosità in un accurato diario.

Al contrario di quanto si possa pensare, Tycho era un fervido sostenitore della teoria aristotelica, e credeva che le stelle fossero buchi presenti sulla più esterna di “sfere” orbitanti attorno alla Terra; a questa teoria, qualche anno dopo, apportò anche una sostanziale modifica, ponendo i cinque pianeti in orbita attorno al Sole, pur mantenendolo ancora in orbita attorno alla Terra in quello che è chiamato sistema tychonico. Ad ogni modo, proprio le sue osservazioni sulla stella apparsa in Cassiopea furono il punto di partenza per l’Astronomia moderna, forse ancor più della stessa teoria copernicana!

Essendo Cassiopea una costellazione circumpolare, la nuova stella rimaneva sempre visibile durante tutta la notte, ruotando attorno al Polo Nord celeste non lontana dalla stella Polare: particolarità che consentì a Tycho, talmente luminosa che era, di individuarla anche in pieno giorno alla luce del Sole! Così si presentò, almeno, nelle settimane seguenti la scoperta; dopodiché, la nuova stella iniziò a calare vistosamente di luminosità, divenendo, notte dopo notte, sempre meno appariscente. Nel dicembre 1572, infatti, la sua luminosità era pari a quella di Giove per rendersi, nel febbraio seguente, addirittura appena visibile ad occhio nudo, scomparendo per sempre alla vista il mese successivo: Tycho poté quindi seguirla per un totale per 485 giorni, roba da far invidia ai più accaniti tra gli osservatori moderni di stelle variabili!

Si poneva quindi il problema della natura di quella nuova stella, che tanto stupore aveva destato tra gli astronomi europei dell’epoca e a Tycho in particolare. Era forse un fenomeno atmosferico secondo aristotelica concezione? Oltre ogni buon senso, anche lo stesso astronomo danese credeva poco alla favola che un fenomeno atmosferico potesse verificarsi per così lungo tempo restando fisso sempre nella stessa posizione!

Ciò che infatti risultava dalle sue accurate osservazioni era che la luminosa stella non aveva mostrato il benché minimo spostamento rispetto alle altre stelle di fondo; osservandone infatti la posizione da luoghi diversi, Tycho tentò di misurarne un eventuale spostamento rispetto alle stelle di Cassiopea, da lui inizialmente ritenute ben più distanti. Così facendo, Tycho voleva misurarne l’angolo di parallasse per determinarne la distanza: metodo che, come ben noto, è utile per determinare la distanza delle stelle, almeno quelle entro 300 anni-luce di distanza. Proprio grazie all’angolo di parallasse mostrato da nostro satellite naturale, fin dai tempi di Ipparco si sapeva che la distanza della Luna equivaleva a circa 30 volte il diametro della Terra, valore non lontano dalla realtà; quindi, qualsiasi corpo celeste che avesse mostrato una parallasse inferiore a quella della Luna doveva per forza di cose essere molto più distante di essa: in altre parole, stando al modello aristotelico, doveva far parte della “sfera celeste”.

Eppure, nonostante tutti i suoi sforzi e i ripetuti tentativi condotti nelle sue osservazioni, Tycho non fu mai in grado di misurare alcun minimo spostamento della nuova stella di Cassiopea. La parallasse praticamente nulla portò quindi Tycho a ritenerla non un fenomeno atmosferico terrestre, non un oggetto vicino quanto la Luna o i pianeti, ma una stella: esattamente come tutte le altre presenti sulla sfera celeste più lontana!

Questo fatto era così importante che l’astronomo, dopo notevoli esitazioni, decise di scrivere un libro sull’argomento. Tycho era pur sempre un aristocratico, gente che a quell’epoca certamente non si abbassava spiegare le cose al popolino, tuttavia la rilevanza della sua scoperta era tale che si decise a farlo, pubblicando nel 1573 un libro che aveva un titolo piuttosto lungo ma che viene generalmente ricordato nella sua forma abbreviata: il “De nova stella” (sulla nuova stella). In esso, egli descrisse il declino luminoso della nuova stella riportando anche le misurazioni della sua posizione, tracciando quest’ultima in un disegno assieme stelle di Cassiopea che facevano da riferimento; ma soprattutto, Tycho spiegò esaurientemente nel libro come la sua parallasse, che risultava al di fuori di ogni possibile misura, denotava la sua appartenenza alla lontana – e fino a quel momento considerata immutevole – sfera celeste. Con un piccolo particolare, però, rispetto fino a quanto allora creduto: il cielo aveva chiaramente subito un cambiamento, con la conseguenza che ogni concetto di stabilità e di perfezione doveva essere abbandonato, per sempre!

A dare ulteriore prova a tali affermazioni ci pensò una luminosa cometa che solcò i cieli qualche anno più tardi, nel 1577; anche di questa, Tycho cercò di misurare da subito la parallasse rispetto alle stelle di fondo ma, esattamente per quanto accaduto qualche anno prima per la nuova stella apparsa in Cassiopea, anche la nuova cometa non mostrò alcuno spostamento osservata da luoghi differenti. Come detto, le comete erano ritenuti qualcosa di simile a vapori incendiati nell’atmosfera, ben più vicini, quindi, della sfera lunare; ma Tycho demolì questa teoria, dimostrando che l’assenza di parallasse esibita dalla cometa era indice che la sua distanza era ben maggiore di quella della Luna, provando, tra l’altro, che l’orbita stessa della cometa era ellittica, figura ben diversa dalla perfezione circolare aristotelica!

La maggior parte degli astronomi del tempo erano in realtà ferventi credenti dell’astrologia; non di meno lo stesso Tycho, che nella sua opera descrisse si la nuova stella ma sotto un punto di vista prettamente astrologico, pieno di significati campati in aria e non per la sua reale natura sulla quale, purtroppo, nulla poteva ancora sapere.

Ad ogni modo, il termine nova da lui inventato divenne di uso comune per designare anche tutte le successive stelle nuove che da lì in poi sarebbero apparse nei cieli: da quel giorno, infatti, ogni nuova stella apparsa in cielo sarebbe infatti stata chiamata “nova”. Per lo meno, fino fino agli anni ’30 del secolo scorso, quando a seguito dell’apparizione della nuova stella dalla eccezionale luminosità assoluta apparsa nella galassia di Andromeda nel 1885, e di altre di uguale portata in seguito scoperte in altre galassie vicine, gli astronomi W. Baade e F. Zwicky coniarono il termine supernove.

LA REALE NATURA DELLE SUPERNOVAE

Oggi è ben noto come le supernovae, tra gli eventi più energetici in assoluto di quelli rilevati nel cosmo, siano in realtà vere e proprie esplosioni stellari, vagiti mortali descritti da modelli astrofisici sempre più accurati e costruiti con l’ausilio di migliaia di osservazioni.

E’ ben noto come una stella nana e relativamente poco massiccia come il Sole muoia in modo più o meno “tranquillo”. Infatti, dopo essersi espansa diventando una gigante rossa, essa spazza via l’intero involucro gassoso esterno al suo nucleo, formando un enorme guscio di gas che si espande lentamente nello spazio esterno alla stella. Il denso nucleo, tramutato in una nana bianca dalla temperatura superficiale di circa 10000 K, emette soprattutto nell’ultravioletto: l’involucro gassoso in espansione viene quindi riscaldato ed eccitato da questa intensa radiazione, che lo porta ad emettere sia luce visibile che onde radio, a differenza della polvere che, al contrario, emette solo nell’infrarosso.  Stando alla teoria e alla quantità di combustibile presente nel suo nucleo, il Sole subirà questo processo tra circa 5 miliardi di anni.

Le cose cambiano drasticamente per stelle dalla massa almeno 8 volte quella del Sole, alla cui vita, ricca di eventi, segue una morte ancor più spettacolare. Raggiunta in questo caso la fase di supergigante rossa, il loro nucleo diventa sufficientemente caldo da trasformare l’elio in una varietà di elementi via via sempre più pesanti. All’interno del nucleo, infatti, gli atomi di elio si combinano tra loro formando dapprima atomi di carbonio e ossigeno che, a loro volta, si fondono in elementi più pesanti come il silicio: la temperatura e la pressione nel nucleo di silicio sono sufficienti a convertire nuovamente tali atomi in ferro. La struttura della stella diviene simile a quella di una cipolla, con gusci concentrici di differente composizione a partire da quello più esterno, costituito principalmente da idrogeno, passando attraverso gli strati intermedi di elio, carbonio, ossigeno e silicio, per finire al nucleo di ferro. Come noto, le reazioni di fusione nucleare che hanno luogo nei nuclei stellari forniscono l’energia necessaria per sostenere il nucleo contro la forza di pressione dovuta al peso degli strati superiori.

A questo punto c’è un però; mentre tutte le reazioni di fusione che portano alla formazione del ferro producono energia, il ferro è talmente pesante da fondere in altri elementi più pesanti che, affinché ciò avvenga, è richiesta energia dall’esterno perché non si tratterebbe di un tipo di reazione che avviene spontaneamente. Detto questo, in brevissimo tempo la temperatura del nucleo passa da 10 miliardi di gradi a 100 milioni di gradi circa, con una conseguenza letteralmente catastrofica: mancando la pressione di radiazione che tiene su l’intera stella, essa cade in balia della gravità. Tutta la parte di stella esterna all’inerme nucleo ferroso collassa velocemente su di esso, in non più di una decina di secondi: per la stella, non vi è più la possibilità di espandersi gradualmente dissipando calore, come era già avvenuto in passato. L’impatto è talmente devastante che la temperatura, nel giro di una frazione di secondo, sale a miliardi di gradi sprigionando un’energia inimmaginabile, talmente immensa da far diventare la stella una vera bomba cosmica che scaglia gli strati esterni al nucleo fuori nello spazio alla tremenda velocità di circa 7000 km/s. L’esplosione si tramuta in un lampo accecante, che rilascia nel giro di pochi secondi la stessa quantità di energia prodotta dalla stella appena esplosa nell’intera sua vita, divenendo luminosa come mezzo miliardo di Soli e rendendosi visibile fino a diversi miliardi di anni-luce. Nasce così una supernova di tipo II.

Ma esiste anche un’altra modalità affinché una stella esploda come supernova; anzi, le supernovae di tipo I, così come queste vengono chiamate per distinguerle dalle altre, sono ancor più violente, divenendo non solo più luminose ma proiettando nello spazio i gas della stella – in questo caso interamente disintegrata! – all’ancora più incredibile velocità di circa 11.000 km/s!

E il bello di tutto questo è che in questo caso ad esplodere non è una stella colossale bensì una minuta nana bianca!

Tali eventi accadono allorché tali residui di stelle nane come il Sole si trovano in sistemi binari laddove è presente una stella compagna evoluta ed espansa dalla quale, essendo quasi a contatto, ne risucchiano la propria atmosfera gassosa grazie alla loro incredibile forza gravitazionale. Accade quindi che, allorché il materiale ricevuto dalla nana bianca ne aumenta la massa superando il valore limite di 1,44 masse solari (il ben noto limite di Chandrasekhar), la pressione di degenerazione che tiene ancora in vita queste stelle non è più sufficiente a contrastare l’enorme peso nel frattempo acquisito. Da quel preciso momento, essa inizia a collassare incontrollatamente, crollando su se stessa così rapidamente che i suoi nuclei di carbonio ossigeno entrano in violenta collisione tra loro; tale processo genera una violentissima fusione nucleare, generando in pochissimo tempo così tanta energia che il risultato è una vasta esplosione dell’intera stella: in poche settimane, la supernova irradia l’equivalente dell’energia prodotta dal Sole nella sua vita lunga diversi miliardi di anni! In breve, il collasso della nana bianca generano una supernova di tipo Ia. L’esplosione cui viene sottoposta la nana bianca è talmente immane che l’intera stella viene totalmente disintegrata: essa non lascia dietro di sé alcunché di consistente: nessuna nana bianca, o stella di neutroni, ma solo una turbolenta nube di gas e polveri in velocissima espansione nello spazio.

I RESTI DI SUPERNOVAE

Nulla si crea e nulla si distrugge, regola che si applica fedelmente anche a tali immani esplosioni cosmiche, laddove si parla dei resti di supernovae. Nel corso dell’esplosione di una supernova di tipo II, infatti, il nucleo resta si in vita ma tramutato in un oggetto ancora più esotico e spaventoso come una stella di neutroni o un buco nero. In ogni caso, il resto del materiale di cui la massiccia stella era una volta costituita resta comunque sotto forma di residuo nebulare in espansione e lo stesso accade per le nane bianche interamente distrutte nel corso di un evento supernova di tipo I. Tali nebulose potrebbero essere intese come nebulose planetarie “estreme” perché non sono fatti solo degli strati più esterni della stella coinvolta ma della totalità di essa. Tali resti di supernovae, una volta creati a seguito dell’esplosione, hanno la forma di gusci più o meno sferici che vanno dilatandosi nel cosmo a causa della forza impressa dell’esplosione; anch’essi però, come le nebulose planetarie, vanno incontro ad una diluizione nel materiale interstellare, che li porta quindi a diventare in realtà oggetti effimeri, della durata di poche migliaia di anni.

ESPLOSIONI COSMICHE NELLE CRONACHE STORICHE

L’elenco di supernove esplose nella nostra galassia e osservate in tempi storici purtroppo è assai breve. Negli ultimi due millenni sono solamente sei quelle esplose nella nostra galassia, tutte, come detto, apparse in epoca pre-telescopica; esattamente come le comete, anche le apparizioni di queste supernovae vennero intese dagli astrologi dell’epoca come segni premonitori di guerre e carestie.

Ce ne fu una nel 185 d.C. nella costellazione del centauro, registrata da astronomi cinesi; rimase visibile nel cielo notturno per otto mesi. La supernova del 1006 fu probabilmente la più vistosa in assoluto. Osservata dagli astronomi del sud Europa, del Nord Africa, del medio oriente, della Cina e del Giappone, viene descritta come rivaleggia in luminosità con la Luna al primo quarto, ovvero di magnitudine -9. Per un certo tempo fu infatti così brillante che di notte gli oggetti esposti alla sua luce gettano un’ombra. Immaginiamo che spettacolo: la super Nova, passa tra il Lupo e il Centauro, era così brillante rendersi visibile con il Sole ben alto sopra dell’orizzonte! La nube di detriti espansione creata da quella violenta esplosione si trova la costellazione del Lupo ed è stato osservato nei raggi X s’, in ottico, e nelle onde radio. Il resto nebulosa della super Nova del 1006 misura circa 60 a.l. di diametro ed è tutto ciò che rimane di una nana bianca distrutta seguito dell’esplosione termonucleare. Anche quella del 1054 fu molto brillante. Fu osservato da Medioriente, Cina e Giappone; alcuni pittogrammi incisi su rocce da tribù indiane del nuovo Messico sono stati interpretati come indicativi di ciò che potrebbe essere stato osservato di quell’evento anche dal Nord America. È però abbastanza sorprendente che non esistano registrazioni della sua comparsa da parte di astronomi europei.

C’è da dire che oltre all’ipotesi di cieli nuvolosi all’epoca, la stella apparve proprio nell’anno del grande scisma tra la Chiesa d’Occidente e la Chiesa d’oriente. Questa coincidenza temporale potrebbe essere stata interpretata dalle autorità religiose del tempo come un cattivo presagio e forse perciò l’evento venne depennato dai resoconti storici ufficiali. In ogni caso la super Nova giunse al picco di luce nei primi giorni del luglio 1054 attorno alla magnitudine -6, divenendo quindi più brillante di rendere al massimo delle migliori condizioni di visibilità. Essa comparve vicino alla stella zeta che segna il corno destro del Toro. Si rese visibile in pieno giorno per oltre tre settimane di notte per oltre 21 mesi dopo la sua scoperta. La nube di detriti espansione risultante da questa super Nova costituisce quella che è e la famosa Nebulosa del Granchio al centro della quale presenta una stella di neutroni rapidamente rotante, una pulsar, che è il resto super denso del nucleo della massiccia stella esplosa. Una stranezza è data dai residui osservabili espulsi nei vari casi. Quelli della Nebulosa del Granchio ad esempio sono molto spettacolari ma altrettanto non si può certo dire per le super nove galattiche successive, soprattutto quelle del 1572 e del 1604, che hanno lasciato tracce appena percettibili.

Nella Via Lattea sono presenti diverse decine di tali resti di supernove; alcuni, come la Nebulosa del Granchio, sono ben evidenti sia nell’ottico che a tutte le lunghezze d’onda; alcuni di vecchia data, come quello delle Vele o il Velo del Cigno, si sono espansi a tal punto da assumere forme quasi irregolari; altri, sopratutto quelli più giovani, appaiono invece molto regolari, simili ad anelli: ed proprio questo il caso relativo alla supernova del 1572 avvistata e seguita da Tycho Brahe.

IL RESTO DELLA SUPERNOVA TYCHONICA

Nonostante l’astronomo danese avesse riportato nel suo libro precise indicazioni sulla posizione della stella da lui seguita – il sestante di grandi dimensioni da lui utilizzato riduceva di molto l’errore angolare – vani risultarono gli sforzi degli astronomi che, soprattutto a partire dal XIX secolo, cercarono con i telescopi le tracce dell’evento accaduto qualche secolo addietro; l’area nella quale risultava essere esplosa la supernova, scandagliata scrupolosamente nel visuale e in fotografia, non mostrava la benché minima traccia di essa. Fu solo con lo sviluppo della radioastronomia che, nel 1952 all’osservatori di Jordell Bank (UK) venne rilevata per la prima volta un’intensa emissione radio alla frequenza di 158.5 MHz proprio nella posizione indicata da Tycho. Questa venne inclusa nel secondo catalogo di sorgenti radio compilato a Cambridge con la sigla 2C34 e successivamente, nel 1959, nella terza edizione dello stesso come 3C10, sigla con la quale è oggi più comunemente nota; un’altra denominazione è Cassiopea B, in riferimento a quella che è la più intensa sorgente radio del cielo per frequenze superiori a 1GHz, guarda caso un altro resto di una supernova esplosa nel XVII secolo, presente nella stessa costellazione e noto come Cassiopea A. Per la prima volta, il resto della supernova di Tycho si rendeva visibile, seppure nelle onde radio, prodotte da elettroni energetici che spiraleggiano nel campo magnetico intrappolati nell’apparato nebulare che denotava estremamente nitidi e contrastati: essi infatti segnano il fronte d’urto dove il materiale gassoso in espansione entra a contatto con il mezzo interstellare, aumentando di densità.

Passò ancora un altro decennio prima che nelle lastre fotografiche riprese a Monte Palomar comparissero le tracce debolissime tracce, discontinue ed appena percettibili, del residuo nebulare; la controparte visuale della sorgente radio era stata finalmente rilevata anche nel visuale. La prima immagine di un certo dettaglio ripresa nell’ottico fu catturata appena nel 1980, nuovamente al telescopio Hale di Monte Palomar, quello da cinque metri di diametro; le tecniche di ripresa dell’epoca non erano certamente innovative come quelle odierne, tanto che pur con due ore di posa gli anelli di gas apparirono ancora estremamente tenui. I resti di supernova giovani assumono solitamente forme circolari che col tempo si espandono, diventando sempre più vasti e deboli; tenendo conto che quello di Tycho ha solo 442 anni – in termini temporali astronomici, è senz’altro giovane – è senz’altro strano come esso appaia estremamente debole alle lunghezze d’onda ottiche.

Eppure, e questo può sembrare davvero incredibile, nonostante il tempo trascorso dall’esplosione la maggior parte dei suoi gas risultano ancora caldissimi per mettere luce visibile; infatti, con temperature dell’ordine dei 40 milioni di Kelvin, essi splendono intensamente nei raggi X, facendo di tale residuo una delle più potenti sorgenti X presenti nella volta celeste! A riprendere per la prima volta la struttura nebulare in questa banda spettrale fu negli anni ’70 del secolo scorso il satellite UHURU, che riuscì ad identificare una sorgente X nella stessa posizione del residuo della supernova ticonica. Non se ne conosce il motivo, ma essa venne presto denominata Cepheus X-1: alquanto stranamente, perché pur essendo di dimensioni contenute e trovandosi lontana dal confine con la costellazione rappresentante il re d’Etiopia e marito di Cassiopea; evidentemente, in fase di catalogazione, ci deve essere sicuramente stata qualche sorta di svista… In ogni caso, fu la High Resolution Image (una camera ad alta risoluzione) del satellite ROSAT, qualche anno più tardi, a riprendere finalmente una decente immagine X del resto nebulare, mostrandone per la prima volta l’intera struttura nella sua completezza e con dettagli mai visti prima: un anello di gas caldo dalla forma quasi circolare esteso per 8′, valore equivalente ad un quarto del diametro angolare della Luna piena, che appare più luminoso bordi in quanto li è presente uno strato maggiore di gas.

Successivamente, il telescopio spaziale Chandra riuscì ad ottenere immagini X dalla risoluzione ancor più straordinaria nelle quali erano presenti alcuni particolari mai osservati prima in altri oggetti simili: strisce radiali poste nella parte esterna dell’anello in espansione, quasi a contatto con suo bordo. Si ritiene che queste siano formate laddove le linee di forza del campo magnetico presente nel onda d’urto del residuo risultano più intricate rispetto alle aree circostanti; qui, elettroni dall’energia almeno 100 volte maggiore di quelle riproducibili al Large Hadron Collider gli elettroni si muoverebbero spiraleggiando proprio intorno tali linee di forza la cui reciproca distanza sarebbe in relazione proprio all’energia del loro moto ricurvo. Il tutto non è certamente di poco conto, visto che tali tracce spiegherebbero una delle modalità con cui si formano i raggi cosmici, quelle particelle ad alta energia che bombardano la Terra provenendo dallo spazio profondo.

Il resto di supernova di Tycho è molto oscuro e non emette a tutte le lunghezze d’onda; considerando la nebulosa del Granchio, probabilmente il più famoso e meglio studiato oggetto di questa categoria, la differenza è ancora più sostanziale poiché la nebulosa prodotta dalla supernova comparsa nel 1054 emette radiazione anche nella parte centrale! Laddove la pulsar del Granchio rifornisce di energia la luce di sincrotrone, ben visibile con il suo colore verde-azzurrino, al centro del resto di supernova di Tycho non c’è alcuna sorgente di radiazione: un’eventuale stella di neutroni sarebbe sufficientemente brillante da essere vista come un punto luminoso nelle immagini X, anche nel caso il suo fascio di radiazione mancasse completamente la Terra ma nessuno oggetto di questo tipo è li presente. Questo resto di supernova ha infatti come sua unica fonte di energia la velocità impressa agli elettroni e ad altre particelle al momento dell’esplosione della supernova stessa.

Ad ogni modo, conoscendo la magnitudine apparente raggiunta da questa supernova, -4 stando ai dati riferiti da Tycho, e spendo che la luminosità intrinseca massima di questi oggetti è ben nota – attorno alla -17 per quelle di tipo II e -19,2 per le Ia – allora è facile dedurre la distanza del resto nebulare. Tenendo conto che lungo quella visuale è presente una grande quantità di polvere interstellare che ne assorbe la luce, di certo non rende facile il calcolo; infatti, per quanto il gas e il pulviscolo presenti nella Via Lattea possano essere rarefatti, allorché la luce percorre distanze dell’ordine di migliaia di anni-luce, il loro effetto si fa sentire sulla luce degli oggetti che ne giacciono dietro. Proprio nel caso delle supernovae extragalattiche, tale effetto influisce a tal punto da renderle a volte più deboli di quanto apparirebbero in assenza di assorbimento interstellare, risultando quindi più lontane. In ogni caso, una volta stabilita l’entità dell’assorbimento per il resto della supernova tychonica (procedimento che qui non stiamo a spiegare) e fatta questa correzione per l’assorbimento interstellare, la distanza della nebulosa in questione risulta essere compresa tra gli 8500 e i 9000 anni-luce; quindi, poiché la nebulosa appare estesa per circa otto primi, nei quattro secoli trascorsi dell’esplosione questo anello gassoso si è realmente esteso fino a raggiungere un diametro di circa una trentina di anni-luce. Vien da se che, anche ammettendo una velocità di espansione costante, ciò implica che la materia è stata proiettata nello spazio circostante con velocità di diverse migliaia di chilometri al secondo nello spazio interstellare!

PROVE ED INCERTEZZE FUTURE

Cosa abbiamo imparato, quindi, da questa supernova che illuminò i cieli a cavallo tra il 1572 e il 1573 sulla quale, fortunatamente, Tycho concentrò il suo interesse? Di certo, il fatto che nella sua posizione non sia stata scoperta alcuna stella di neutroni ma solo nebulosità è indice che essa fu molto probabilmente una supernova di tipo Ia, sviluppata quindi da una nana bianca che è andata totalmente distrutta. Alla fine del 2004, su Nature venne pubblicata una notizia relativa alla scoperta di una stella di tipo spettrale G2, simile al nostro Sole per temperatura ma già evoluta in una subgigante gialla; da subito, questa venne ritenuta essere l’ex stella compagna della nana bianca, quella che la alimentò di gas e massa portandola alla fine in frantumi. Alcuni studi compiuti su questa stella, che venne nominata Tycho G, riportarono che, con ogni probabilità, parte della massa venne letteralmente strappata via dalla violentissima esplosione della compagna, quasi una sorta di lacerazione cosmica. Non solo: la velocità spaziale di questa stella, prossima ai 136 km/s, è talmente elevata rispetto alla media delle velocità di altre stelle presenti nel suo vicinato che tale dato è inteso come prova più evidente del fatto che essa sia stata a tutti gli effetti legata in passato ad una compagna: partendo letteralmente “per la tangente” nel momento in cui la nana bianca cessò di esistere, essa intraprese un viaggio solitario ad alta velocità nel cosmo, proiettandosi lontana dal centro geometrico del resto nebulare.

Certamente, Tycho e il suo allievo Keplero ebbero una grande fortuna: quella di assistere alla comparsa di due supernovae nell’arco di soli 32 anni! Eppure, dopo quella di Keplero, nulla di simile è più stato visto.

Di certo, le nubi di polveri galattiche possono anche filtrare in maniera preponderante la luce di una supernova che dovesse presentarsi nella Via Lattea; senza contare che dalla nostra posizione, interna al disco e nei pressi dell’equatore galattico, non ci è permesso di vedere tutta la Via Lattea nella sua estensione ma solo la parte a noi più vicina; area nella quale, stando sempre alle statistiche, una supernova dovrebbe apparire mediamente ogni 250 anni circa. Una di queste, tra l’altro, dovette manifestarsi attorno al 1670 ma, anche in questo caso, nessuno notò nulla.

D’altra parte, non è possibile prevedere quale stella, o quando, esploderà come supernova, pur sapendo che tale sarà il suo destino in futuro. Sarà forse qualche supergigante come Eta Carinae, Betelgeuse o VY Canis Majoris? O forse IK Pegasi, un sistema binario stretto in cui è presente una massiccia nana bianca, distante – badate – solo 150 anni-luce, classificata come la stella a noi più vicina destinata ad esplodere in una supernova come quella di Tycho? Non lo sappiamo.

Sull’argomento abbiamo pubblicato anche:

Ceres, la prima immagine a 13600 km dalla superficie

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Questa immagine è un fotogramma del filmato realizzato da Dawn a Cerere il 4 Maggio 2015, dall’orbita RC3, da una distanza di 13600 Km dalla superficie del pianeta nano. Crediti: NASA/JPL-Caltech/UCLA/MPS/DLR/IDA

Questa immagine è un fotogramma del filmato realizzato da Dawn a Cerere il 4 Maggio 2015, dall’orbita RC3, da una distanza di 13600 Km dalla superficie del pianeta nano. Crediti: NASA/JPL-Caltech/UCLA/MPS/DLR/IDA

E’ andato tutto per il meglio: il 23 aprile, Dawn è entrato nella prima orbita scientifica intorno al pianeta nano Cerere e, una volta spenti i motori e effetuate le ultime operazioni di assetto, ha iniziato a raccogliere dati e immagini da una distanza di poco superiore ai 13.000 km. Una delle prime immagini catturate è stata pubblicata oggi ed è il magnifico primo piano qui a fianco. L’immagine è un fotogramma estratto da un filmato realizzato da Dawn il 4 maggio, da una distanza di appena 13.600 km e che verrà distribuito, sicuramente con grande clamore, dalla prossima settimana. Con l’inizio delle operazioni scientifiche, la NASA annuncia infatti di voler pubblicare le immagini del pianeta nano che arriveranno nelle prossime settimane, distribuendole online quasi in tempo reale.

Ed è chiaro, per tutti gli appassionati di spazio, che è proprio questo il momento in cui inzia il vero divertimento (vedi maggiori dettagli sulle orbite in questo articolo): l’altitudine dell’orbita RC3 è stata scelta per fare in modo che in questa prima campagna di osservazione, il disco completo di Cerere fosse  interamente visibile nel campo di vista della camera, permettendo di realizzare dei ritratti completi dell’oggetto. In questa prima orbita scientifica, la risoluzione raggiungibile dalla camera sarà di 1300 metri per pixel, cioè 3.4 superiore a quella della orbita precedente RC2 e ben 24 volte la risoluzione delle immagini scattate dal telescopio Hubble. Per fare un paragone, in questa fase il pianeta nano verrà visualizzato dalla camera con le dimensioni di un pallone da calcio osservato dalla distanza di 3 metri. Le immagini scattate nelle orbite successive, piu vicine alla superficie, daranno si la possibilità agli strumenti di scrutare Cerere con una risoluzione maggiore (fino a 850 volte qualla di Hubble, nell’ultima orbita HAMO) ma permetteranno loro di inquadrare solo una parte del pianeta nano, perdendo la completezza dei magnifici ritratti d’insieme che ci aspettano nelle prossime settimane.

Ma NASA non si limita a diffondere immagini e filmati per festeggiare l’ingresso in RC3. Dopo aver trattenuto il fiato per così tanto tempo, il team della missione vuole celebrare in grande stile la prima volta in cui una sonda spaziale entra in orbita intorno a due diversi target scientifici. Per questo, organizza I C Ceres, un festival in onore del pianeta nano appena scoperto e sabato 9 maggio, apre le porte del famoso Caltech, il California Institute of Technology in Pasadena, al pubblico con visite guidate, conferenze, dirette televisive. I C Ceres è anche un evento diffuso e dilatato nel tempo, in cui i festeggiamenti per Cerere si susseguiranno a partire da questa giornata di inaugurazione per i prossimi mesi a seguire,  in diversi paesi del mondo (tra cui l’Italia, vedi qui la lista).
Per l’inaugurazione del 9 Maggio, il pubblico italiano può seguire online le dirette organizzate dal Caltech a partire dalle 21:30. Oltre a conferenze esplicative su Dawn e sulle ultime scoperte sui corpi minori del sistema solare, comete, asteroidi e pianeti nani, la diretta comprenderà una tavola rotonda a cui sarà possibile porre i propri quesiti in diretta ai membri del team della missione.

  • Per seguire la diretta (Sabato 09 Maggio dalle 21:30): Link
  • Per saperne di più su I C Ceres e vedere una lista degli eventi: Link

CORSO BASE di ASTRONOMIA

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14.05: “Qualcosa sulla Luna”.

info: www.astropolaris.it

Venere in congiunzione con Mebsuta

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La poca varietà di fenomeni celesti di questo mese, consente di riassumerli quasi tutti in questa illustrazione. Sarà infatti Venere a dr vita alle congiunzioni più interessanti del periodo. In basso l'immagine relativa alla prima congiunzione del 16 maggio. N.B. Per esigenze grafiche la dimensione del disco lunare, in questa e nelle prossime illustrazioni, è due/tre volte superiore alla giusta scala d'immagine.

Il primo fenomeno di un certo interesse, se non altro per la curiosità che sempre desta nell’osservatore occasionale lo scorgere un puntino luminoso nei pressi di un grande corpo celeste, sarà in maggio la congiunzione tra Venere e Mebsuta (e Gem) che avrà luogo la sera del 16.

Venere (mag. –4,3), sarà ovviamente brillantissimo e avvicinerà la stella (di mag. +3, circa 700 volte più debole del pianeta) da ovest, fino a una distanza osservabile di 47′.

Per le effemeridi di Luna e pianeti vedere il Cielo di maggio

Associazione Cascinese Astrofili

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12.05, ore 21:30: “Campi Stellari” osservazione pubblica di Luna, pianeti e profondo cielo.

Per informazioni:
Domenico Antonacci Cell: 347-4131736
domenico.antonacci@astrofilicascinesi.it
Simone Pertici: cell: 329-6116984
simone.pertici@domenicoantonacci.it
www.astrofilicascinesi.it

Oltre il limite – Viaggio ai confini della conoscenza – fino al 15 giugno

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Una mostra interattiva promossa dal Muse e dall’INFN (Istituto Nazionale di Fisica Nucleare), con la partecipazione dell’ASI (Agenzia Spaziale Italiana) e con la collaborazione dell’Università di Trento. La mostra viene inaugurata l’8 novembre ed è dedicata al tema del limite. Grazie ad exhibit interattivi, allestimenti, video ed esperienze multimediali i visitatori potranno avventurarsi alla scoperta dell’universo e dei suoi misteri. Tra i temi trattati, il big bang, l’infinitamente piccolo e l’infinitamente grande, le relazioni tra energia e materia, l’antimateria, i limiti della mente e della tecnologia scientifica e la natura del tempo.

museinfo@muse.it – www.muse.it

Comete – La Lovejoy incontra la Polare

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EFFEMERIDI

Più per la mancanza di rivali all’altezza, che per meriti propri, in maggio sarà ancora la C/2014 Q2 (Lovejoy) la cometa più luminosa dei nostri cieli. Del resto, continuando la sua corsa verso il Polo nord celeste, risulterà per tutto il mese circumpolare, e quindi comodamente osservabile per tutta la notte che, ahimè, a maggio diventerà sempre più corta. Il suo tragitto apparente inizierà a nord della costellazione di Cefeo per sefinire quasi a ridosso della Polare, mostrandosi con una magnitudine che dovrebbe variare dalla +8 alla +9,6; quindi alla portata, sotto cieli scuri, di buoni binocoli.

Leggi tutti i dettagli e i consigli per l’osservazione, con tutte le immagini, nella Rubrica Comete di Rolando Ligustri presente a pagina 71 di Coelum n.192

Asteroidi – HERCULINA e THIA grandi numeri in opposizione

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EFFEMERIDI

Questo mese abbiamo una pattuglia di oggetti abbastanza luminosi da seguire ma in particolare mi sento di consigliarvi le opposizioni di (532) Herculina e di (405) Thia.

Herculina è un pianetino di grandi dimensioni (222 km di diametro, uno dei 20 più massicci della Fascia principale), scoperto per via fotografica il 20 aprile 1904 da Max Wolf presso Heidelberg, ed è anche uno di quegli oggetti “fuori posto” nella cronologia delle scoperte; un gigante di mag. +9 sfuggito incredibilmente a tutte le ricerche degli anni del pionierismo, un po’ com’è successo per (511) Davida (326 km), trovato solo nel 1903 e (704) Interamnia (317 km) scoperto addirittura nel 1910. Herculina, il cui nome ha un’origine attualmente sconosciuta (gli fu tra l’altro assegnato dall’italiano Elia Millosevich, che ne aveva calcolato l’orbita), è un classico pianetino di Fascia che percorre la sua orbita in un periodo di 4,62 anni.

Leggi tutti i dettagli e i consigli per l’osservazione, nell’articolo tratto dalla Rubrica Asteroidi di Talib Kadori presente a pagina 66 di Coelum n.192

Gruppo Astrofili DEEP SPACE

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08.05: “Nuove frontiere nell’astrofisica delle alte energie: i telescopi Cherenkov” conferenza di Stefano Covino.

Per info: 0341.367584
www.deepspace.it

Associazione Ligure Astrofili Polaris

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08.05: “La scoperta dell’azione a distanza” di Pietro Planezio.
Per il programma completo andare al sito.
Per info: cell. 346.2402066 – info@astropolaris.it
www.astropolaris.it

Pio & Bubble Boy – Coelum n.192 – 2015

Pio e Bubble Boy - Mario Frassati - Coelum 192

Questa Vignetta è pubblicata su Coelum n.192 – 2015. Leggi il Sommario. Guarda le altre vignette di Pio&Bubble Boy

Il Cielo di Maggio-Giugno

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EFFEMERIDI

La poca varietà di fenomeni celesti  durante il mese di maggio consente di riassumerli quasi tutti (con i necessari approfondimenti forniti dalle figure a seguire) in questa illustrazione. Sarà infatti Venere, di sera e sull’orizzonte ovest, a dar vita alle congiunzioni più interessanti: sia con le stelle della costellazione dei Gemelli, sia con la Luna e con Giove. Tutto ciò potrà essere seguito ad occhio nudo o al massimo con un binocolo, non appena il cielo si farà abbastanza scuro (presumibilmente verso le 22:00) da permettere l’osservazione delle stelle coinvolte.

Stazione Spaziale, i più spettacolari transiti del periodo

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Stasera la vista è stata letteralmente fantastica! La ISS è apparsa giusto per inserirsi in una vista astronomica favolosa: la falce di Luna Crescente, il brillante Venere, e i deboli Marte e Mercurio (al centro in basso, tra il cipresso e gli alberi a destra dello stesso) e la Torre Pendente di Pisa! Non penso che serva aggiungere altro in quanto la foto parla da sola. Ho utilizzato una Canon EOS 700D con obiettivo 18-55 IS STM. La foto è del 20/04/15 alle ore 21:00 circa. Credit: Giuseppe Petricca

20/04/15 ore 21:00 circa. Stasera la vista è stata letteralmente fantastica! La ISS è apparsa giusto per inserirsi in una vista astronomica favolosa: la falce di Luna Crescente, il brillante Venere, e i deboli Marte e Mercurio (al centro in basso, tra il cipresso e gli alberi a destra dello stesso) e la Torre Pendente di Pisa! Non penso che serva aggiungere altro in quanto la foto parla da sola. Ho utilizzato una Canon EOS 700D con obiettivo 18-55 IS STM. Foto Credit: Giuseppe Petricca


Nell’attesa del periodo di massima illuminazione della ISS di giugno, nel mese di maggio la Stazione Spaziale tornerà ad attraversare i nostri cieli al mattino, prima dell’alba.

Per questo motivo segnaliamo solo i transiti più evidenti e luminosi, visibili dalla maggior parte della nazione – per seguire il primo dei quali dovremo attendere la metà del mese.

Il 15 maggio – dalle 04:36 alle 04:43, osservando da SSO a ENE – la ISS sarà visibile dal Centro Sud Italia, con una miglior osservabilità per le regioni ioniche. Magnitudine di picco –2,6, che renderà il transito facile da rintracciare anche dalle città.


Nel Cielo – Galassie sperdute o mai trovate storie narrate intorno alla testa del Drago

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Ben alta sulle nostre teste in questo periodo dell’anno, la costellazione del Draco si snoda attorno al Polo nord celeste, insinuandosi tra le due Orse e protendendo la testa verso l’Ercole, l’eroe greco da cui, secondo la mitologia greca, l’animale verrà ucciso. Lunghissima (la sesta più grande costellazione per estensione), circumpolare (e dunque sempre al di sopra dell’orizzonte), per l’osservatore visuale questa zona di cielo offre numerose attrattive, come ad esempio quella di ospitare il Polo nord dell’Eclittica, situato proprio nei pressi della testa della mitica creatura. Ed è proprio in quei dintorni che andremo alla ricerca di tre galassie misconosciute.

Per approfondire leggi tutti i dettagli e i consigli per l’osservazione, i cenni storici, le immagini e le mappe dettagliate, nell’articolo tratto dalla Rubrica Nel Cielo di Salvatore Albano presente a pagina 50 di Coelum n. 192

ASTROINIZIATIVE UAI

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In diretta web con il Telescopio Remoto UAI Skylive dalle ore 21:30 alle 22:30, con la nuova Skylive Web-TV all’indirizzo: http://www.skylive.it/WebTV.aspx
o collegandoti al Client Web: http://app.skylive.name/Client/
Ovviamente tutto completamente gratuito.

Questi gli appuntamenti mensili.

UAI con SKYLIVE Una Costellazione sopra di Noi – Il primo venerdì di ogni mese, a cura di Giorgio Bianciardi (vicepresidente UAI).

SKYLIVE con UAI Occhi al Cielo. Rassegnastampa e cielo del mese – Quarto giovedì del mese a cura di Stefano Capretti. www.skylive.it

IMPORTANTE: La tua iscrizione al canale Youtube è molto preziosa per noi al fine di migliorare la qualità della trasmissione. Basta cliccare sul pulsante sotto il video “iscriviti”, oppure andare al link diretto al nostro canale Youtube: www.youtube.com/subscription_center?add_user=skylivechannel

7-10 maggio

XLVIII Congresso dell’Unione Astrofili Italiani a Maddaloni (CE)
Il più importante appuntamento degli appassionati di astronomia in Italia: tre giorni di conferenze e di condivisione di esperienze formative alla presenza di importanti personaggi del mondo della cultura astronomica nazionale e internazionale. Quest’anno il Congresso sarà particolarmente ricco di iniziative e appuntamenti per scoprire, ri-scoprire o approfondire la passione per l’osservazione del cielo e per la scienza. Sarà anche un’eccellente occasione per conoscere un territorio dalle eccezionali risorse storico-culturali e turistiche. Organizzazione a cura della Delegazione UAI: Unione Maddalonese Amici del Cielo.

www.uai.it/astrofilia/congressouai/congresso-uai-2015.html

CORSO BASE di ASTRONOMIA

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07.05: “Strumenti per l’osservazione del cielo”.

info: www.astropolaris.it

Addio, MESSENGER

Ultima immagine ripresa da MESSENGER (cratere Jakin), con una risoluzione di 2,1 metri per pixel, scattata il 30 aprile [NASA].
L'ultima immagine ripresa da MESSENGER (cratere Jakin), con una risoluzione di 2,1 metri per pixel, scattata il 30 aprile - NASA

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E finisce così l’avventura del primo veicolo spaziale ad essere entrato in orbita del più piccolo pianeta del Sistema Solare per analizzarlo con un livello di dettaglio senza precedenti.
La sonda, 513 kg e tre metri di diametro, si è schiantata ad una velocità di 14 000 km/h (3,91 m/s) sulle coordinate 54,4º nord e 210,1º est, a nord-est del grande bacino da impatto Shakespeare, lasciando un cratere di circa 16 metri di diametro. A dire il vero, MESSENGER avrebbe dovuto schiantarsi su Mercurio molto prima, ma hanno deciso di estendere la sua missione di un paio di mesi.

MESSENGER (MErcury Surface, Space Environment, GEochemistry, and Ranging), un acronimo con un chiaro riferimento al messaggero degli dei del pantheon romano, è stato lanciato da Cape Canaveral il 3 agosto 2004 da un razzo Delta II 7925 diretto verso Mercurio, l’unico pianeta terrestre che non era ancora stato raggiunto da una sonda orbitale. Infatti, ad eccezione dei tre flyby di Mariner 10 nel 1974 e nel 1975, nessun altro veicolo spaziale aveva esplorato Mercurio.

Mercurio visto da MESSENGER - NASA

Fino a MESSENGER, in pieno XXI secolo, le mappe di Mercurio mostravano solo il 45% della superficie del pianeta. Il resto era territorio inesplorato. Contrariamente a quanto si potrebbe supporre, il viaggio verso Mercurio è estremamente costoso in termini di energia e, se non si desidera che la sonda trasporti enormi quantità di carburante, sono necessarie diverse manovre di gravity assist con altri pianeti. In effetti, il Mariner 10 è diventato il primo veicolo spaziale che ha effettuato queste manovre per raggiungere il suo obiettivo. Per non essere da meno del suo antenato, MESSENGER ha fatto un flyby della Terra il 2 agosto 2005 e due di Venere, rispettivamente il 24 ottobre 2006 e il 5 Giugno 2007. In seguito ha fatto tre flyby di Mercurio nel 2008 ed infine si è inserito nell’orbita del pianeta più vicino al Sole il 17 marzo 2011.

MESSENGER, rotta verso Mercurio - NASA
Il flyby della Terra ripreso da MESSENGER nel corso del 2005 - NASA

La missione primaria si è conclusa il 17 marzo 2012, dopo l’invio di oltre centomila immagini.
Al 6 marzo 2013 la sonda è riuscita a mappare il 100% della superficie di Mercurio, tranne all’interno di alcuni crateri polari che sono permanentemente in ombra e il 17 dello stesso mese ha chiuso il primo anno della sua missione estesa.
La seconda missione estesa è iniziata il 17 giugno con l’obiettivo di studiare Mercurio da meno di 20 km di quota rendendo così possibile l’utilizzo del magnetometro e dello spettrometro a neutroni per studiare la composizione della superficie in maggior dettaglio.

MESSENGER: missione principale e orbita di lavoro - NASA

L’addio a MESSENGER è stato dato dopo la ripresa di oltre 280 000 fotografie con la fotocamera MDIS (Mercury Dual Imaging System) e il completamento di una mappa tridimensionale con il laser altimetro MLA (Mercury Laser Altimeter). Il 24 Aprile 2015 la sonda ha effettuato la sesta e ultima manovra per aumentare la sua orbita. In queste manovre è stato utilizzato elio come propellente invece di idrazina, ma ad aprile è esaurito.
La piccola sonda ha completato un totale di 4104 orbite, l’ultima delle quali aveva un’altezza compresa tra 300 e 600 metri, ma alla fine MESSENGER ha dovuto cedere alle inesorabili perturbazioni gravitazionali del Sole.

Immagine del 23 aprile con una risoluzione di 1,1 metri per pixel - NASA

MESSENGER in questi quattro anni ha fatto molte scoperte che hanno rivoluzionato la nostra conoscenza di Mercurio. Una delle più suggestive riguarda quelle che sono chiamate depressioni (hollows). Nessuno sa di cosa sono fatte e come si sono formate, ma ciò che è chiaro è che questo è un fenomeno relativamente recente, in termini geologici, e mostra che Mercurio non è un pianeta morto. Si presume che le depressioni possano essere correlate a un qualche tipo di vulcanismo associato ai solfati o ai minerali ricchi di metalli (ferro, sodio o potassio), ma per ora abbiamo solo ipotesi non confermate.


Un’altra importante scoperta è stata la conferma dell’esistenza di ghiaccio in alcuni crateri polo nord di Mercurio, un ghiaccio mescolato con regolite e talvolta con uno strato di sostanze organiche. MESSENGER ha anche confermato che il nucleo di Mercurio è liquido e genera un forte campo magnetico. La sonda ha trovato anche prove di uno strato misterioso di solida roccia tra il manto semi-fuso e il nucleo liquido, oltre a scoprire le strutture tettoniche che dovrebbero aver avuto origine dal ritiro del pianeta una volta raffreddato dopo la sua formazione.
In breve, l’eredità di MESSENGER è molto più interessante di quanto ci aspettassimo. Lungi dall’essere una roccia arida, Mercurio è un mondo vivente, un obiettivo più che affascinante per la missione Europeo-Giapponese BepiColombo che dovrebbe partire nel 2017.

Grazie di tutto, MESSENGER, sei stato un buon messaggero.

La Terra e la Luna visti da MESSENGER da distanza 98 milioni di km - NASA
Sintesi della missione - NASA

Associazione Ligure Astrofili Polaris

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08.05: “La scoperta dell’azione a distanza” di Pietro Planezio.
Per il programma completo andare al sito.
Per info: cell. 346.2402066 – info@astropolaris.it
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Conosciamo i nuovi 5 crateri di Mercurio

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Nell’immagine potete vedere il pianeta Mercurio e i cinque crateri appena rinominati.

Nell’immagine potete vedere il pianeta Mercurio e i cinque crateri appena rinominati.

Mentre la sonda della NASA MESSENGER si prepara allo schianto sul pianeta Mercurio (che avverrà il 30 aprile), sono stati annunciati i nomi di altri 5 crateri sul primo pianeta del nostro Sistema solare. Messenger, lanciata nel 2004, cadrà sulla superficie di Mercurio (raggiunto nel 2001) a 3,91 chilometri al secondo e verrà ricordata come la prima sonda entrata in orbita intorno al pianeta più vicino al Sole.

La 3600 candidature per i nomi dei crateri sono state valutate da esperti del Working Group for Planetary System Nomenclature dell’International Astronomical Union (IAU). In semifinale ne sono arrivate 17 e le 5 vincitrici sono: Carolan, Enheduanna, Karsh, Kulthum e Rivera (CLICCA QUI per guardare i crateri nel dettaglio). Come prevedono le regole in questo caso, i nomi dei crateri su Mercurio devono ricordare un artista, un compositore o uno scrittore famoso da più di 50 anni o comunque morto da più di 3 anni.

Turlough O’Carolan (Carolan) è stato un compositore irlandese durante la fine del 16° secolo; Enheduanna, principessa degli Accadi vissuta nella città sumera di Ur nell’antica Mesopotamia, è considerata da molti studiosi la prima poetessa conosciuta;  Yousuf Karsh, armeno-canadese, e stato uno dei più grandi fotografi del 20° secolo; Umm Kulthum cantante egiziana, nonché autrice di canzoni e attrice di successo tra anni Venti e Settanta; infine Diego Rivera, un importante pittore messicano, marito di Frida Khalo.

La missione di MESSENGER volge al termine, ma la sonda della NASA ha superato tutte le aspettative: in circa quattro anni ha raccolto oltre 250.000 immagini numerose altre informazioni utili per comprendere l’origine e l’evoluzione del pianeta.

Per saperne di più:

Al Planetario di Ravenna

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28.04:Speciale La settimana di Urania (ingresso gratuito
per le donne): “Vita da polveri interstellari e Comete?” di C. Balella.
Prenotazione sempre consigliata.
Per info: tel. 0544.62534 – info@arar.it
www.racine.ra.it/planet – www.arar.it

Associazione Cascinese Astrofili

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28.04 ore 21:30: “Campi Stellari” osservazione
pubblca di Luna, pianeti e profondo cielo presso
la sede del gruppo.
Attività al CAMS (Centro Astronomico del
Monte Serra), presso Agriturismo Serra di Sotto,
Strada Prov. Monte Serra a Buti (PI). Per prenotare
la cena presso l’agriturismo: Simone 338.9976330
oppure Giulio 392.0297877.
Per informazioni:
Domenico Antonacci Cell: 347-4131736
domenico.antonacci@astrofilicascinesi.it
Simone Pertici: cell: 329-6116984
simone.pertici@domenicoantonacci.it
www.astrofilicascinesi.it

25 anni insieme ad Hubble

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Rappresentazione artistica del telescopio spaziale NASA/ESA Hubble in orbita attorno alla Terra a circa 600 km di altezza. Crediti: ESA
Rappresentazione artistica del telescopio spaziale NASA/ESA Hubble in orbita attorno alla Terra a circa 600 km di altezza. Crediti: ESA

In 25 anni il telescopio spaziale Hubble non ha smesso un giorno di stupirci, di regalarci meravigliose immagini dell’Universo e di emozionarci con sensazionali scoperte.  Ammassi globulari, regioni di formazione stellare, galassie vicine e lontane, nebulose planetarie, formazione stellare cosmica, fino alle galassie primitive quasi alle origini dell’Universo. Sono questi alcuni dei protagonisti delle centinaia di migliaia di immagini pubblicate in questi anni dal team di HST (così lo chiamano gli addetti ai lavori quando vanno di fretta). E oggi il telescopio festeggia il suo 25° compleanno.

Proprio il 24 aprile 1990 lo Shuttle Discovery (con la missione STS-31) partì dal Complesso di lancio 39, presso il John F. Kennedy Space Center (Florida), portando Hubble nello spazio e spingendosi fino a quasi 600 chilometri sulla superficie terrestre. Si tratta di una quota relativamente alta per uno Shuttle (la Stazione spaziale internazionale si trova a 400 chilometri di altezza), ma anche relativamente bassa tanto da poter consentire frequenti missioni di servizio per riparare guasti e per installare nuovi strumenti (ne sono state effettuate ben 5).

E’ proprio questo particolare punto di vista che lo ha reso speciale negli anni. A differenza dei telescopi costruiti a terra, i telescopi orbitanti (e Hubble non è da solo lassù!) riescono a sfuggire alle distorsioni della luce causate dall’atmosfera terrestre dall’inquinamento luminoso ed elettromagnetico. E anche per questo le immagini che vengono inviate a terra sono nitide ed estremamente suggestive.

UN PO’ DI STORIA – L’idea di costruire un telescopio orbitante risale alla fine degli anni ’40, quando l’astronomo Lyman Spitzer (a cui poi venne dedicato un telescopio cacciatore di pianeti) scrisse una relazione sui vantaggi di un osservatorio extra-terrestre. Nel 1977, Il congresso americano approvò il finanziamento per il Large Space Telescope, quello che, molti anni più tardi, divenne l’Hubble Space Telescope, chiamato così negli anni ’80 in onore di quello che per molti è il più grande astronomo del XX secolo Edwin Powell Hubble, il quale dimostrò l’esistenza di altre galassie oltre la nostra e enunciò la teoria sull’Universo in continua espansione (Legge di Hubble – 1929). In realtà HST, il cui costo al lancio è stato stimato attorno ai 1,5 miliardi di dollari, sarebbe dovuto partire per l’orbita bassa della Terra già nel 1986, ma la missione venne rimandata dopo il tragico disastro dello Shuttle Challenger, esploso 73 secondi dopo il lancio. Nessuno degli astronauti sopravvisse all’esplosione.

Lo specchio di Hubble (2,4 metri di diametro).

LO SPECCHIO È DIFETTOSO – I voli nello spazio con equipaggio non ripresero prima di due anni. La missione Hubble ricevette l’ok definitivo nel 1990, ma già a pochi giorni dal lancio il team di HST apprese la prima notizia negativa. Un macigno sulle teste dei ricercatori che per più di dieci anni avevano lavorato al progetto: lo specchio primario di 2,4 metri di diametro, che può spingere il suo sguardo lontanissimo fino ai primissimi anni dell’Universo, era difettoso. La società costruttrice calibrò male lo specchio, che riportò un’imperfezione di 1/50 dello spessore di un foglio di carta. Poco, sì, ma abbastanza da deviare la luce e da distorcere le immagini che venivano inviate a terra. Il che non era esattamente quello che gli esperti si aspettavano: le immagini avrebbero dovuto essere nitide più che mai.

Nel 1993, dopo 11 mesi di addestramento, un gruppo di astronauti partì a bordo dello Shuttle Endavour per la prima missione di servizio (STS-61) verso Hubble, portando in orbita il Corrective Optics Space Telescope Axial Replacement (COSTAR). La riparazione dello specchio primario in orbita (COSTAR introdusse un errore uguale ed opposto in modo da annullare il difetto) costò alla NASA circa 600 milioni di dollari. In ogni caso, grazie alla nuova ottica (come delle lenti a contatto messe sullo specchio primario) e alla Wide Field/Planetary Camera, WF/PC II, già nel 1994 HST mostrò diverse immagini nitide e dettagliate, come quella in cui si vede la cometa Shoemaker–Levy 9 schiantarsi contro Giove.

I Pilastri della Creazione riosservati da Hubble per celebrare il suo 25esimo compleanno (vedi anche Coelum n. 189)

I PILASTRI CHE HANNO RESO CELEBRE HST – Dopo soli 5 anni in orbita, nel 1995, Hubble portò a casa una delle immagini che forse lo ha fatto conoscere più di tutte tra il grande pubblico. Parliamo dei famosi “Pilastri della creazione”, ovvero la Nebulosa dell’Aquila (M16), a 7000 anni luce da noi nella costellazione del Serpente e appartenente alla Via Lattea. Lo scorso primo aprile abbiamo festeggiato proprio i 20 anni di questa foto (il riquadro a sinistra nell’immagine accanto) quando il team di Hubble ha regalato al mondo una nuova versione dello scatto. Come la prima volta, si vedono nitide nel cielo tre torri imponenti – lunghe anni luce – di gas e ciuffi multicolore di polvere cosmica, ma la nuova foto (quella a destra) è ovviamente più nitida e profonda, grazie alla maggiore sensibilità dello strumento attuale WFC3 rispetto alla WFPC2 montata appunto 20 anni fa.

ARRIVANO I RINFORZI – Dopo quella del 1993, come detto, ci sono state altre 4 missioni di servizio con cui gli astronauti hanno riparato e aggiunto di volta in volta nuovi strumenti ad Hubble, portando il suo peso iniziale di 11 mila a oltre 12 mila chilogrammi (800 kg sono dovuti al solo specchio). Nel 1997, con la missione STS-82, l’equipaggio dello Shuttle Discovery portò in orbita gli strumenti STIS (Space Telescope Imaging Spectrograph) e NICMOS (Near Infrared Camera and Multi-Object Spectrograph). La terza missione del 1999 (STS-103) servì per la riparazione dei sei giroscopi del telescopio, aggiungendo anche un computer di bordo. Nel 2002, l’equipaggio della missione STS-109 installò l’ACS (Advanced Camera for Surveys), il NICMOS Cooling System (NCS) e nuovi pannelli solari.timeline missioni di servizio

GALILEO SALUTA HUBBLE – L’ultima missione di servizio è la STS-125 e venne compiuta a bordo dello Shuttle Atlantis. Originariamente prevista per il 2005, il lancio venne rimandato a causa del disastro dello Space Shuttle Columbia, esploso sui cieli del Texas, al rientro di una missione, causando la morte dei sette astronauti a bordo. Nel 2006 la NASA diede il via libera per una nuova missione, che partì l’11 maggio 2009. Gli astronauti dell’Atlantis portarono in orbita nuovi strumenti, quelli che ancora oggi sono pienamente funzionanti: la celebre WFC3 (Wide Field Camera 3) e il COS (Cosmic Origins Spectrograph), che hanno reso Hubble 100 volte più potente rispetto a quando venne lanciato. Gli astronauti installarono anche il Soft Capture Mechanism e i NBLs (New Outer Blanket Layers). L’equipaggio del 2009, una volta nello spazio, celebrò anche il quarto centenario delle scoperte celesti di Galileo Galileo, puntando verso le stelle una replica del telescopio che permise a Galileo di scoprire le lune medicee, messa a disposizione dal Museo di Storia della Scienza di Firenze, dove è conservato lo strumento originale.

Il coinvolgimento della comunità scientifica italiana ed europea è stato importante fin dall’inizio, soprattuto con la partecipazione alla costruzione della Faint Object Camera dell’ESA. Molti sono i ricercatori coinvolti che ricoprono ruoli chiave presso lo Space Telescope Science Institute di Baltimora (USA) che gestisce le attività scientifiche di HST.

OLTRE UN MILIONE DI OSSERVAZIONI – Nell’estate del 2011 il team di Hubble ha festeggiato la milionesima osservazione (un’analisi spettroscopica dell’esopianeta HAT-P-7b) riuscendo a “riempire” ben 60 terabyte di archivio in totale. Ad oggi si contano oltre 1,2 milioni di analisi. Nel 2011 è stato anche pubblicato il paper numero 10 mila. Hubble è, infatti, uno degli strumenti più produttivi mai costruiti: ad oggi sono stati pubblicati quasi 13 mila studi scientifici sulle riviste di tutto il mondo.

UNO SGUARDO ALLE ORIGINI DELL’UNIVERSO – Tra i diversi studi pubblicati negli ultimi anni ce n’è uno che ha reso Hubble ancora più famoso e importante: nel 2012 HST ha fotografato sette galassie primordiali appartenenti a una lontanissima popolazione che si formò ben 13 miliardi di anni fa. Si tratta di galassie fotografate quando avevano “solo” il 4% dell’età attuale. Qualche mese dopo, Hubble ha infranto il suo stesso record osservando un oggetto risalente a soli 470 milioni di anni dopo il Big Bang (quando l’Universo aveva il 3% della sua età attuale).

Il James Webb Space Telescope: il lancio è previsto per il 2018

IL FUTURO SI CHIAMA JWST – Gli esperti affermano che Hubble, ancora in perfetta “salute”, continuerà a funzionare almeno fino al 2020, sovrapponendosi – almeno per qualche anno – al suo atteso successore, il James Webb Space Telescope (di NASA, ESA e CSA). Il JWST è in fase di costruzione avanzata e il lancio in orbita è previsto per il 2018: avrà uno specchio primario di 6.5 metri di diametro e opererà nell’infrarosso con gli strumenti NIRCam, NIRSpec, MIRI e FGS/NIRISS. I principali obiettivi scientifici di JWST, che potrebbe essere 100 volte più potente di Hubble, riguardano lo studio della Prima luce e dell’epoca di reionizzazione dell’universo, la formazione delle galassie, la nascita delle stelle e dei sistemi protoplanetari, dei sistemi planetari e l’origine della vita.

Dopo il 2020, le componenti di Hubble cominceranno presto a smettere di lavorare, in maniera graduale, fino al completo spegnimento dell’intera macchina. Cosa succederà? Hubble continuerà ad volare attorno alla Terra fino a quando non potrà più rimanere in orbita: precipiterà inesorabilmente a spirale verso la Terra.Inizialmente la NASA ipotizzava di poter riportare Hubble sulla Terra con uno Shuttle, in modo da poterlo esporre al pubblico, ma oggi ovviamente non è più possibile (l’era degli Shuttle si chiuse nel 2011 con l’ultimo volo dell’Atlantis dopo 30 anni di missioni). La fase di deorbita sarà operata da una futura missione robotica (almeno così dicono dalla NASA, ma il tutto è ancora in fase embrionale). Insomma, ci vorrà ancora qualche anno, ma un giorno dovremo dire addio ad Hubble.

insieme di immagini

CLICCA QUI PER LE 10 IMMAGINI PIÙ SUGGESTIVE SCATTATE DA HUBBLE SECONDO IL NATIONAL GEOGRAPHIC

CURIOSITÀ

  • Hubble non viaggia verso stelle, pianeti o galassie, ma resta ancorato alla sua orbita
  • HST non riesce a osservare il Sole, perché troppo luminoso, né Mercurio, perché troppo vicino alla nostra stella madre
  • Ad oggi Hubble ha percorso oltre 4,8 miliardi di chilometri lungo l’orbita bassa terrestre a circa 550 chilometri di altitudine
  • Hubble non ha dei propulsori e per cambiare gli angoli di puntamento utilizza i principi della terza legge di Newton facendo ruotare i giroscopi (che nel corso degli anni hanno subito diverse operazioni di manutenzione) in direzione opposta. Per ruotare di 90 gradi Hubble impiega 15 minuti
  • Hubble ha una precisione di puntamento di 0,007 secondi d’arco, che è come essere in grado di puntare un raggio laser su una monetina a 320 chilometri di distanza.
  • Libero dalle interferenze della nostra atmosfera, HST riesce a fotografare oggetti con una dimensione angolare di 0,05 secondi d’arco
  • L’archivio Hubble contiene più di 100 terabyte di dati e l’elaborazione delle nuove osservazioni genera circa 10 terabyte di nuovi dati ogni anno. Ogni giorno, invece, il telescopio invia a terra 120 gigabyte di dati (circa 26 DVD)
  • Hubble misura 13,3 metri, la lunghezza di una grande autobus. Nonostante le mastodontiche dimensioni bastano 2800 W per farlo funzionare. Un bollitore per il the ne richiede 2200 W

TANTI STRUMENTI, TANTE LUNGHEZZE D’ONDA – Hubble è un telescopio ottico e con il suo specchio cattura la luce a diverse lunghezze d’onda usando camere e strumenti all’avanguardia. Attualmente a bordo ci sono:

  • la Wide Field Camera 3 (WFC3), che percepisce tre tipi di luce: ultravioletto vicino, visibile e vicino infrarosso
  • il Cosmic Origins Spectrograph (COS), che percepisce solo la luce ultravioletta
  • l’Advanced Camera for Surveys (ACS) in luce visibile
  • lo Space Telescope Imaging Spectrograph (STIS), uno spettrografo che lavora nell’ultravioletto, visibile e vicino infrarosso
  • la Near Infrared Camera and Multi-Object Spectrometer (NICMOS), che è il sensore di calore di Hubble (sensibile alla luce infrarossa quindi necessario per scrutare oggetti nascosti dalla polvere interstellare
  • Fine Guidance Sensors (FGS), sensori che aiutano Hubble a puntare nella giusta direzione

Per saperne di più:

Congiunzione tra Mercurio e le Pleiadi

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La sera del 30 aprile – ultimo evento del mese – Mercurio si sostituirà a Venere nel fare visita alle Pleiadi, avvicinando l’ammasso fino a una distanza di 1,7°. L’orario consigliato è quello delle 21:00, quando i due oggetti saranno alti una decina di gradi e il Sole sarà sotto l’orizzonte di altrettanto, così che si potranno già scorgere le stelle dell’ammasso.

Per le effemeridi di Luna e pianeti vedere il Cielo di aprile

Esopianeti: arriva l’A-Team della NASA

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Pianeti extrasolari, nel rendering di un artista.
Pianeti extrasolari, nel rendering di un artista.

Siamo soli nell’Universo? Per ottenere una risposta strutturata a quella che è una delle domande più antiche che l’umanità si sia posta, la NASA ha pronta la sua A-Team. Ma non pensate al manipolo dei Distaccamenti Operativi Alfa protagonista di una delle serie televisive più amate della storia. Non c’è traccia del sigaro di Hannibal Smith, dei catenacci dorati di P.E. Baracus, delle truffe di Sberla e delle follie di Murdock all’agenzia spaziale statunitense.

Quello che la NASA ha selezionato è un gruppo di ricerca interdisciplinare guidato dall’Università dell’Arizona, una vera e propria task force per la ricerca di vita su mondi lontani. Con NExSS, un istituto virtuale che raccoglie ricercatori di tutto il mondo e acronimo di Nexus for Exoplanet System Science, i ragazzi della UA aiuteranno la scienza a comprendere come pianeti simili a quello che abitiamo possano formarsi nell’orbita di stelle vicine.

«La partecipazione al nuovo programma NExSS ci permetterà di capire come un pianeta possa ricavare la propria acqua, il carbonio, l’azoto durante il naturale processo di formazione. Tutti quegli ingredienti che ci siamo abituati a considerare come fondamentali per creare una qualche opportunità di vita, altrove», spiega Daniel Apai, che guida il team statunitense di EOSEarths in Other Solar Systems.

NASA conferma il suo impegno in tema di ricerca della vita extraterrestre. Dal lancio del telescopio spaziale Kepler sei anni fa, oltre 1800 pianeti extrasolari sono stati rilevati. Migliaia di altri candidati sono in attesa di conferma. La chiave di questo sforzo è capire come la biologia interagisca con l’atmosfera, la geologia, gli oceani e il corpo interno di un pianeta, e come l’insieme delle interazioni fra questi elementi possa essere influenzato dalla stella ospite.

NExSS raccoglie membri da una decina di università differenti, tre centri NASA e due istituti di ricerca. Il team di EOS, che comprende 25 ricercatori, seguirà 14 progetti di ricerca per combinare i risultati in un modello completo di formazione dei sistemi planetari, in grado di prevedere le connessioni tra proprietà dei sistemi e probabilità che ospitino pianeti simili alla Terra. Il team si avvarrà anche dei dati raccolti dal Large Binocular Telescope.

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Prossimamente su Coelum: Con queste nuove tecnologie, riusciremo entro vent’anni a trovare tracce di vita nelle atmosfere dei pianeti extra solari? Coelum sta lavorando a un’inchiesta per sapere cosa ne pensano gli esperti!

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Al Planetario di Ravenna

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26.04:Speciale La settimana di Urania (ingresso gratuito
per le donne): ore 10:30: Osservazione del Sole.
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Per info: tel. 0544.62534 – info@arar.it
www.racine.ra.it/planet – www.arar.it

La prima “luce visibile” di un esopianeta

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Questa visione artistica mostra l’esopianeta 51 Pegasi b, un “Giove caldo”, a volte chiamato anche Bellerofonte, in orbita intorno a una stella a circa 50 anni luce dalla Terra nella costellazione settentrionale di Pegaso. È il primo esopianeta scoperto intorno a una stella normale, nel 1995. Vent’anni dopo, questo oggetto è anche il primo esopianeta di cui si osserva direttamente lo spettro in luce visibile. Crediti: ESO/M. Kornmesser/Nick Risinger (skysurvey.org)
Una visione artistica di 51 Pegasi b, il “Giove caldo” in orbita attorno alla sua stella a circa 50 anni luce dalla Terra, nella costellazione settentrionale di Pegaso. È stato il primo esopianeta scoperto intorno a una stella simile al Sole, nel 1995, e ora, vent’anni dopo, è anche il primo di cui si osserva direttamente lo spettro in luce visibile. Crediti: ESO/M. Kornmesser/Nick Risinger (skysurvey.org)

Grazie al “cacciatore di pianeti” HARPS, installato sul telescopio da 3,6 metri dell’Osservatorio di La Silla in Cile, è stato rilevato per la prima volta in modo diretto lo spettro di luce visibile riflessa da un esopianeta. Osservazioni che hanno anche svelato nuove proprietà di questo oggetto famoso, il primo esopianeta mai scoperto intorno a una stella simile al Sole: 51 Pegasi b. Il risultato promette un brillante futuro a questa tecnica, in particolare con l’avvento degli strumenti di nuova generazione.

L’esopianeta si trova a circa 50 anni luce dalla Terra nella costellazione di Pegaso. Sia 51 Pegasi b che la sua stella madre 51 Pegasi sono tra gli oggetti che attendono un nome dal concorso pubblico dell’IAU NameExoWorlds (“Dai un nome ai pianeti extrasolari”).

Il pianeta è stato scoperto nel 1995 e viene considerato come il tipico “Giove caldo” – una classe di pianeti extrasolari ormai ritenuta comune, simile in dimensione e massa a Giove, ma con un’orbita molto più vicina alla stella madre. Dal momento della storica scoperta sono stati confermati più di 1900 esopianeti in 1200 sistemi planetari, ma – nel ventesimo anniversario della scoperta – 51 Pegasi b torna in pista per segnare una pietra miliare per  lo studio degli esopianeti: la prima rilevazione diretta dello spettro in luce visibile. L’equipe che ha fatto questa misura è guidato da Jorge Martins dell’Istituto de Astrofísica e Ciências do Espaço (IA) e dell’Universidade do Porto, Portogallo, al momento studente di Dottorato presso l’ESO in Cile.

Attualmente il metodo usato più diffusamente per esaminare l’aftmosfera di un esopianeta è di osservare lo spettro della luce proveniente dalla stella madre attraverso l’atmosfera del pianeta durante il transito – tecnica nota come spettroscopia in trasmissione. Un approccio alternativo è quello di osservare il sistema quando la stella passa di fronte al pianeta, cosa che fornisce soprattutto informazioni sulla temperatura dell’esopianeta.

In questa immagine una foto a grande campo della stella 51 Pegasi, attorno a cui orbita 51 Pegasi b, nella costellazione settentrionale di Pegaso. L’immagine è stata ottenuta a partire da materiale fotografico provienente dalla DSS2 (Digitized Sky Survey 2). Crediti: ESO/Digitized Sky Survey 2

La nuova tecnica invece non richiede un transito planetario e perciò può potenzialmente aumentare il numero di rilevazioni possibili; permette infatti di rilevare direttamente lo spettro del pianeta in luce visibile, il che significa anche la possibilità dedurre diverse caratteristiche del pianeta inaccessibili con le tecniche indirette. Lo spettro della stella madre viene usato come modello per la ricerca di una impronta di luce simile riflessa dal pianeta durante la sua orbita. Un compito estremamente difficile dato che la luce riflessa proveniente dai pianeti  è estremamente debole rispetto a quella abbagliante della stelle madre in cui sono immersi.

Senza dimenticare poi altri effetti molto piccoli e varie sorgenti di rumore che interferiscono con la debole luce del pianeta. La difficoltà può essere paragonata allo studio del debole bagliore riflesso da un minuscolo insetto che vola intorno a un lampada lontana. Di fronte a tali difficoltà, il successo della tecnica applicata ai dati di HARPS, raccolti su 51 Pegasi b, risulta di enome valore.

Jorge Martins ha spiegato: «Questo tipo di tecnica di rivelazione è di grande importanza scientifica poiché ci permette di misurare la reale massa del pianeta e l’inclinazione della sua orbita, essenziali per una comprensione completa del sistema. Permette inoltre di stimare la riflettività del pianeta, o albedo, che può essere usata per dedurre la composizione della superficie e dell’atmosfera del pianeta».

Si è trovato quindi che 51 Pegasi b ha una massa circa la metà di quella di Giove e un’orbita con un’inclinazione di circa nove gradi rispetto alla direzione della Terra. Ciò significa che l’orbita del pianeta appare quasi di taglio vista da Terra, anche se non abbastanza per dare luogo a un transito. Il pianeta avrebbe anche  un diametro maggiore di quello di Giove e risulta essere altamente riflettente. Tutte proprietà tipiche di un Giove caldo, pianeta molto vicino alla stella madre e quindi esposto a una luce stellare intensa.

HARPS è stato fondamentale per il lavoro dell’equipe, ma di altrettanta importanza è il fatto che il risultato sia stato ottenuto con il telescopio dell’ESO da 3,6 metri. Le attrezzature esistenti saranno sorpassate infatti da strumenti più avanzati su telescopi più grandi, come il VLT (Very Large Telescope) dell’ESO e in futuro l’E-ELT (European Extremely Large Telescope) aumentado quindi enormemente le potenzialità della tecnica stessa. ESPRESSO, lo spettrografo del VLT, e gli strumenti sempre più potenti di telescopi più grandi come l’E-ELT permetteranno un aumento significativo della precisione dei dati e dell’area di raccolta, favorendo la detezione di esopianeti più piccoli e allo stesso tempo aumentando il livello di dettaglio per i pianeti simili a 51 Pegasi b.

«Stiamo aspettando con ansia la prima luce di ESPRESSO così da poter fare studi più dettagliati di questo e altri sistemi planetari», ha concluso Nuno Santos, dell’IA e dell’Universidade do Porto, co-autore del nuovo articolo.

Per saperne di più:

  • Leggi QUI il comunicato stampa in italiano
  • Clicca QUI per leggere l’articolo pubblicato su Astronomy & Astrophysics: “Evidence for a spectroscopic direct detection of reflected light from 51 Peg b”, di J. H. C. Martins et al.

Associazione Astrofili Centesi

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24.04: “Quando la vita rischiò di sparire: le grandi estinzioni.”. Al telescopio: Luna, Giove e Venere, spettrometria delle stelle del Grande Carro.
Per info: cell. 346 8699254
astrofilicentesi@gmail.com
www.astrofilicentesi.it

Gruppo Astrofili DEEP SPACE

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24.04: Osservazione con i telescopi del gruppo dal rifugio Sel ai Piani Resinellli.
Il week end della luce (nell’anno internazionale della luce).
Per info: 0341.367584 – www.deepspace.it

Associazione Ligure Astrofili Polaris

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24.04: Osservazione della Luna in Corso Italia.
Per il programma completo andare al sito.
Per info: cell. 346.2402066 – info@astropolaris.it
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24.04:Speciale La settimana di Urania (ingresso gratuito
per le donne): Osservazione della volta stellata.
Prenotazione sempre consigliata.
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