I buchi neri supermassicci influenzano profondamente l’evoluzione delle galassie, riscaldando ed espellendo gas tramite potenti superventi. Un esempio notevole è la galassia “Tazza di Tè” (SDSSJ1430+1339), dove un quasar attivo ha generato un’enorme bolla di gas ionizzato.
Studi recenti, condotti con il MUSE del VLT, mostrano che questi venti trasportano elementi chimici nelle
regioni esterne, alterando la composizione della galassia. La scoperta dimostra il ruolo cruciale dei buchi
neri nel modellare la struttura e l’evoluzione dell’Universo.
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Dentro ad un buco nero: is there anybody in there?
L’estremo interesse e fascino che suscitano i buchi neri è dovuto a tutto quello che accade, o dovrebbe accadere, al loro interno: uno spazio difficilmente accessibile per l’astrofisica osservativa che si occupa di raccogliere i dati dalla luce proveniente dagli oggetti celesti. Nonostante ciò non può ricevere informazioni su tutto ciò che accade all’interno dell’orizzonte degli eventi, il limite spaziale calcolato da Karl Schwarzschild nel 1916, definito come il raggio che non può essere attraversato da niente e nessuno che si trovi all’interno di un buco nero, e quindi neanche dai fotoni di luce, nostro principale messaggero.
Questa caratteristica dei buchi neri ha dato origine a diverse congetture e speculazioni, più o meno compatibili con altre teorie scientifiche, ricamate ed arricchite da numerosi racconti di fantascienza. Per esempio: porte che conducono a universi paralleli, o cunicoli wormholes, vale a dire ‘buchi scavati da un verme dentro la mela’, i quali, unendo zone distanti dello spazio-tempo, ci permetterebbero di viaggiare in altri luoghi e tempi. In realtà queste idee sono del tutto estranee a quello che possiamo attualmente studiare mediante le osservazioni: tutto ciò che si trova al di là dell’orizzonte, cioè del raggio di Swartschild, resta per noi occulto, sebbene la teoria relativista continui a suggerirci i possibili scenari riguardo a ciò che potrebbe essere l’oltre.
L’astrofisica si occupa di studiare gli effetti che i buchi neri hanno sullo spazio circostante e sugli altri corpi celesti che si trovano sotto la loro influenza gravitazionale. Sono questi effetti che hanno permesso di passare dalla mera speculazione sulla loro esistenza, su cui lo stesso Einstein dubitava, ad avere prove inconfutabili e persino ad elaborare immagini dirette.
Un primo indizio nel quasar galattico
Una delle prime prove si ottenne negli anni sessanta con la scoperta dei quasar. I quasar sono oggetti, distribuiti in tutto il cosmo e consistono in fonti puntiformi di emissione elettromagnetica, inizialmente interpretate come prodotte da una nuova classe di stelle molto energetiche, da cui il loro nome: QUASAR (QUASi-stellAR objects, sorgenti quasi-stellari).
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L’articolo è pubblicato in COELUM 273 VERSIONE CARTACEA